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Coe.
ris)
COLLEGE
LIBRARY
LA
DIVINA COMMEDIA
LA
“DIVINA COMMEDIA
DI
DANTE ALIGHIERI
RIVEDUTA NEL TESTO E COMMENTATA
DA
G. A. SCARTAZZINI
————_—
TERZA EDIZIONE
NUOVAMENTE RIVEDUTA, CORRETTA E ARRICCHITA
col.
RIMARIO PERFEZIONATO
R
INDICR DRI NOMI PROPRI K DELLE CONSE NOTABILI
ULRICO HOEPLI
EDITORE-LIBRAIO DELLA REAL CASA
MILANO
1899
5 )
PROPRIETÀ LETTERARIA
ALL’ ONOREVOLE
GUGLIELMO WARREN VERNON
ACCADEMICO CORRISPONDENTE DELLA CRUSCA
DOTTO TRADUTTORE E COMMENTATORE DI DANTE
AMICO MAGNANIMO E SINCERO
QUESTO UMILE LAVORO
IN SEGNO DI RIVERENZA, GRATITUDINE ED AMICIZIA
IL COMMENTATORE
PER LA TERZA VOLTA
AL LETTORE
Ho ben poco da dire. Il lavoro è oramai conosciutissimo in
tutto il mondo civile, quindi una lunga prefazione non avrebbe
veruno scopo. Questa terza edizione è di nuovo riveduta. Un
lavoro nmano non riesce mai perfetto e c'è sempre da miglio-
rare, da cambiare, da emendare, da cancellare, ecc, Ho fatto
anche questa volta ciò che mi parve necessario od opportuno.
Ma non m'illudo punto ; le illusioni stanno bene alla gioventù,
non all'età avanzata. Se questo lavoro vedrà una quarta edi-
zione ci sarà di nuovo aleun che, e probabilmente non poco,
da rivedere e da migliorare,
Questa terza edizione è ricorretta in modo tale, che qualche
centinaio di errori, occorsi nelle due edizioni antecedenti, sono
spariti. Di ciò e io e i lettori andiamo debitori all’ Egregio
scrittore Adolfo Padovan, il quale volle assoggettarsi alla te-
diosa fatica di rivedere accuratamente la stampa, di correg-
gerne i non pochi errori e di proporre diverse emendazioni che
furono quasi sempre da me accettato. Per questa sua non lieve
fatica gli rendo qui pubblicamente (e spero anche in nome dei
miei lettori) i più distinti ringraziamenti.
Il volume essendo giù un po' grosso, non era mia intenzione
di arricchire di nuovo questa terza edizione. Ma chi studia sul
serio impara ogni settimana, per non dire ogni giorno, qualche
nie
rey cousultare con profitto. I mici signori
sparmino in avvenire per l'amor di Dio la fatica
rmi roba che a parer loro avrei pur dovuto citare ;
n invece intorno a cose che si potrebbero cancel-
verun danno. Ho qui una biblioteca dantesca che
foca, onde potrei aumentare le citazioni il cento
rendermi avvertito di roba passata sotto silenzio
ente fatica gettata.
rangen, ottobre 1898.
Dr. SCARTAZZINI.
-
TAVOLA DELLE ABBREVIATURE
Acq. «Le — della Div, Comm. dichiarate ed illustrate da Givtio Acqua-
iepo-Cronograf Viel ¥ ie er
Agn. « | | | o D per GIOVANNI AGNELLI, » Milano,
1801 (1 vol. 5 con 15 tavole).
Ald, Edizioni Aldine della Div, Com. delle quali abbiamo sott'occhio la prima
del 1502, la contraffazione Lionese del 1502 6 In seconda Aldina, Ven., Toe.
Amdr. «La Div, Com. di D. AI, col commento di RArrirLE AnpreotI. » Napoli,
1856 (nuove ediz. 1863, 1869, 1891, soc, 1 vol. În-89),
Am. Com. Inf. « Comento alla cantica dell'Inferno di D. Al. di Autore anonimo,
ora per la prima volta dato in Ince (per cura di Lorp VERNON » Fir,, 1848, 1 vo-
lume in-8°. È la tradoziono del Bambgl.).
Am. Flor. « Comento alla Div. Com. d'Axoximo TIoRENTINO del sec. xIv ora per
drag pa stampato a cura di PreTno FANFANI, » Bologna, 1860-1874 (3 vo-
Mm. Sel. « Chiose anonime alla prima Cantica della Div. Com. di nn contempo-
ranco del Poeta, per Francesco Sami.» Torino, 1865 (1 vol. in-89).
Amt. «Salle dottrine astronomiche della Div. Com. Ragionamenti di G. Anto-
NELLI. » Firenze, 1865 (1 faso. in-8°).
— «Studi particolari sulla Div. Com. di G. ANTONELLI. » Fir., 1871 (1 fase. in-89),
— « Annotazioni astronomiche del P. G. ANTONELLI, » nella Div. Com. col com-
mento del Tommaseo; ofr. Tom,
Arrivab. Sec. «Il secolo di Dante. Comento storico di FERDINANDO ARRTVANENE »
(Udine 1827; 1 vol. in-8° che forma la parte I del im vol. del Dante Bartoli-
niano; ctr. Viv.).
MRalb. Wit. « Vita di Dante scritta da Cesane BaLbO. Ediz, consentita dall'au-
tore» (Fir., 1853, 1 vol. in-12°).
Bambgi. «Il Commento all'Inferno di GrazioLo pr'BamnagatioLI, dal codice
Sandanielero con lo aggiunto o varianti del Sonoso, » Mdite per cura dol pro-
fessor AxTONIO Fiammazzo, Udine, 1802 (1 vol. in-89),
Barg. « Lo Inferno della Com. di D. Al. col comento di Gumironro peELLI Bar-
ort, tratto da doe Manoscritti ined. del sec. xv, con introduzione e note di
G. Zacmrroni. > Marsiglia, 1838 (1 vol. in 40 pice.).
Barlow, « Critical, historical, and philosophical contributions to the study of the
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Mart. «Storia della letteratura italiana di AvoLro BARTOLI, » vol. 4-0, Firenze,
1881 © seg. (3 vol. in-8° pice.).
Bass. < Dante's Spuren in Italien. Wanderungen und Unteranchongen von ALFRED
BasserMmANN, » Heldel 1897 (1 vol. in fol. con 1 carta geogr. e 67 tavole).
Mennmns. « La Div. Com. col commento cattolico di Luio1 Dexnasavti. » Verona,
1864-68 (3 vol. in-89),
Benv. « Benvenuti De RAMBALDIS DK IMOLA, Comentum super Dantis Aldighe-
Comodiam, nono primum integre in Incem editom, Sumptibos GuiLigLMI
ARREX VeRNwon, curante Iacono Parirro LACAITA.» Firenze, 1887 (5 vol.
in-4° ,
Berth. «La Div. Com. con commenti secondo la scolastica dol T°. Gioacnino Ber-
THIER.» Freiburg, 1892 o Sone (3 vol. in-4° in corso di stampa).
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su il manoscritto dell'autore da Gi Ougnoni» (Città di Castello, 1899,
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alla . Com. raccolti da G. Guermoni» (Città di Castello, 1893,
1 vol. in-8° picc.).
wi «La Div. Com. col commento di Giosaratte BiagroLi, » Parigi, 1818-19
vol. in-8°. Ristampato una ventina di volte).
« Vocabolario Dantesco, on Dictionnaire critique et raisonné de la Div.
de D. Al. par L. G. BLANC; » Leipzig, 1852 (1 vol. in-8°, Trad. ital. di
G. Carbone, Lay aad (1 vol. in-12°).
— et Vermch einer È ae eae Erkliirung mehrerer dunklen und atreiti-
5 i der Gathlichen omidio von DE. L. G. Branc. Halle, 1860-05
cree ee TET sopra la prima Cantica del divinissimo theo-
d' Alighieri de Bello, » Firenze, 1572 (1 vol. in-4° pico.).
Buscaino Camro, Studii Danteschi, Edizione completa »
into di Fuaxcsco Da Buri sopra la Div. ver gerani sega
| Paradise of D. Al. edited with tranala-
by Antuur Jown Burien.» Londra, 1880-92 (3 vol. in 8° pico.).
, qb per cura
i 1 )
Div. Com. ridotta a miglior lezione con l'aiuto di ottimi manoscritti
one di Lop, Casre.verro a XXIX canti dell'Inferno dantesco ora
a volta data in luce da Giovanni Franciosi. » Modena, 1880 (1 vol.
| è Modi della Div. Com. dell'uso toscano, Dizionarietto
® RAFrAELLO Cavennt.> Firenze, 1877 (1 vol. in-129),
Dialoghi di Axtonio Cksam. = Verona, 1824-26
».
La Div. Com. di D. Al. riveduta nel testo e commentata da G, A.
a, 187 874-00 (4 vol. = aa
’ . di D. Al. col comen Giovanzi Mania CorxnoLbpi. » Ro-
vol. in-8°). =
Com. con note di PaoLo Costa.» Napoli, Ama in-189),
mi. Al. Nobile Fiorentino, ridotta a mi lezione
Crusca » (Pir., 1505, 1 vol. in 8° ha
lol ocabolario degli
» (Quinta impressione, r., 1863-04, .vol. I-VIII, 1,
spiegare, o «6 Hutura),
è» I, all-
tione di M, Bkumakinno DANIELLO DA Vena:
dell'Inferno, del Purgatorio 6 del Paradiso, » Venezia,
cante © 1l ano secolo, xiv maggio uDocCLAY » (Fir., Cellini
i, _
at e Einfù in das Studinm des Lebens
Pe . A. Scartazzini. » Lipaia, 1892
Com. do opero sino tradozioni, codicl
Com. minori di Dante, seguito
CRE a, compilata dal signor isconte CoLomn ne Bartnxs.
» (Prato, 1845-40,
di D. dichiarato ai giovani da AxckLo De GUUKENATIB. »
in-24°).
_——B-- PL -— BN
TAVOLA DELLE ABBREVIATURE XIII
De Marzo, « Commento sn la Div. geo di D. AI, di Awronto GUALBERTO DE
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ee a Giiearrs Di Canakn, ote a Donte 1 per oura di Niccola Castagna » (Città
di Castello, 1894, 1 vol. in-8° pico.)
mene Gram. « Grammatik wa acs PRSCER Sprachen, » von Friepricna Dikz,
edis, Ronn, 1882 (3 vol.
Dies, Leb. & W. « Leben and "rolla der Tronbadonrs, » von Fniepricn Dirx.
Zwickan, es eee a a, 1882°(1 vol. in 89),
Dies, Poesic, « Dio Poesie der Tronbadoura,> von Fuervnicn Diez. Zwickau,
“7826; 2% edta. Lipsia, 1883 (1 vol, in-89).
Dies, Wért. « ogisches Wirterbuch der romanischen Sprachen, » von Fkir-
pRIcH Dims. gl x 1869-70 (2 vol. in-89),
Dion. «La Div. Com. di D. Al.» con introduz. ed aggiunta critica del can. G. I.
pe’ Dionisi. Parma, 1795 (3 vol. in-fol.). — « Preparazione istorica 6 critica alla
nuova ediz. di 1), pag Verona, 1806 (2 vol. in 49),
Di Siena, « Commedia di D. Al. con note di Gregorio Di Siena. Inferno.» Na
poli, 1867-70 (1 vol. in-8°).
a ao «La ANT, aceto di mare alla sua vera lettione ridotta con lo aiuto di molti anti-
Con argomenti, et allegorie per pe ciascun canto, et apostille nel
margine. Ei Eee o di tutti teionta i più importanti usati dal Poeta,
zion loro.» Per Lopovico DoLce. Venezia, 1555 (1 vol. in-129).
Ed. Ane. Tra Dir, Com.» Firenze, all'INsRONA DIRI "ANCORA, 1817-19 (4 vol. in- fol.).
Pad. «La Div. Com. col com. del P. Rald. Lombardi, ora nuovamonte ar-
ricchito di molte illustrazioni edite ed inedite. = PADOVA, Tipografia della Mi-
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Falso Bocce. < Chiose sopra Dante. Testo inedito ora per la ore desse pubbli-
; cato» da @. G. Warren Lord Vernon. Firenze, 1840 D (1 vo rig ou
Fanf. «Studi ed Osservazioni di Pierro FANFAKI sopra il testo d opero di
Dante.» Firenze, 1873 (1 vol. in-129), — «Indagini Dantesche, messe insieme da
Niccola » (Città di Castello, 1896, 1 vol. in-8° pice.).
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und en Erliinterungen versehen von PHILALETRES » (Re Glo-
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ni th "Cin. ai D. a ¢. II, 715-880; ofr. III, 679-093).
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LIUS FRANCKE, » TT, 1883-85 (2 vol. in-8° gr.).
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ie Dentonne, diretto a G. L. Passerini, Von. o Fir. 1894 0 sog.
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_ >; dig vega Firenzo, 1880 (1 vol. in 24°).
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led * Die! Komoalle dos Dante Alighieri nach ihrem wesentlichen
Imb sla Bovitiche omosile dos Danto A ETTINGER » (2% odiz. Friburgo,
1889, 1 vol. in-8°
tali
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| proceduta dalla vita e da stadj ill
e commentata da Anton10 Lupin. » Padova, 1881 (1 vol. A
tesche illustrato e confrontate da Luia! VENTURI.
fi
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1874 © 1889 (1 vol. i pico.).
gong né canti dell'Inferno di Dante,» di Lonunzo Ma
. Milano, 1819 (1 vol. in-89).
Div. Com. esposta al giovinetto, » da L. Mantani. 2° ediz, Fir., 1
I
per O, ] KILI
Do Komedie van Dante Al + In dichtmaat overgebracht door
PRA SERIE AR RESOR , 1867-73, 2 vol. in-fol. Splendida pub-
al comenti del Lombardi e del Biagioli sulla Div. Com. » (Fer-
1 vol. in-8° gr.).
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Analisi critica dei verbi italiani, » del prof. Vinc, Nannuoci. Fi-
(1 vol. in-8°.) — « Teorica dei nomi della lingua italiana. » ceo vd
| . — * Intorno allo voci usate da Dante secondo i Commontato
TAVOLA DELLE ABBREVIATURE XV
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Ozan. «Dante ot la yhie cathol. an xu sidcle,» PAR A. F. Ozanwam. Pa-
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produsse la Riforma, eco.» (Londra, 1882, 1 vol. in-8°). — « Il mistero dell'amor
del medio eva» Resta, 1840, 5 vol. in-8° pioo.).
th. «Stndien fiber D. Ein Beitrag sum Verstiindniss der Giittlichen Ko-
médie. Von Em. RUTH.» Tiibingen, 1853 (1 vol. in-89).
Serr. « Fratris Iomanx1s of SerrAvALI.E translatio et Comentum totins libri Dan-
Aldigherii, » eco. Prato, 1891 (1 vol. in fol.).
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russ. » 3° Anag. letster Hand, 9° Aufl. Braunschweig, 1871 (1 vol. in-89).
Stud. ined. « Studi inediti sn D. AI. Antori prof. S. Centofanti, Dott. A. Torri,
Vise. Colomb De Batines, Lelio Arbib, Pietro Fraticelli » (Fir., 1846, 1 vol. in 80).
Tal. «La Com. di D. Al. col commento inedito di STEFANO TALICR da Ricaldone
ro neh cura di Vincenzo Promis o di Carlo Negroni, » 2% edis. Milano,
Tedesch, « Scritti su noo di Grverrre Topescnisi, raccolti da Bartolommeo
Breswan, » Mirage Rag (2 vol. in-129),
i ea di D. Al. con ragionamenti o note di NiccoLò Tommaso, » Milano,
5 (3 vol. in-4°).
i
uhh
«vu una breve è sufliciente dichiarazione del senso letterale diversa
ida quella degli antichi commentatori. » Del P. POMPEO VENTURI.
‘(3 vol. in-8-).
igs on the Inferno and Purgatorio of Dante chiefly based on the
r of Benv. da Imola, By the hon**. WILLIAM WARREN VERNON M. A.»
9-94 (4 vol. in-8°).
"IVIANI: « La Div. Com. giusta la lezione del codice Bartoliniano. »
-28 (4 vol. in-89). —
Vocabolari zio degli Accademici della Crusca. » 4% impressione. Fir.,
vol. in-fol.).
r. VoLei: «Indici riochissimi che spiegano tutte le cose più diffi-
‘ erudizioni della Div. Com. » Padova, 1727 (1 vol. in-8°).
v. Com. di D. Al. Ricorretta sopra 4 attro dei più autorevoli testi
CarLo WITTK » (Berlino, 1862, 1 vol. in-4°). — « D. Al.'a Gdttliche
ereetst von KauL WiITTR.» 39 edis. Berlino, 1876 (2 vol. in-8°. —
chungen. Altes und Neues von Kart Witte. » Halle e Heilbronn,
. in-8°).
Marlo etimologico italiano di FRANCESCO ZAMBALDI » (Città di Ca-
1 vol. in-8°).
lezioni da sostituirsi alle invalse nell’ Inferno di D. Al. Saggio di
> ZANI DR’ FEKRANTI » Bologna, 1865 (1 vol. in-129).
LA
DIVINA COMMEDIA
CANTICA PRIMA
INFERNO
1. — Dio. Cumm., 3° odiz.
CANTO PRIMO
PROEMIO GENERALE
LO SVIAMENTO, LA FALSA VIA E LA GUIDA SICURA
Nel mezzo del cammin di nostra vita
Mi ritrovai per una selva oscura,
Ché la diritta via era smarrita.
V. 1-12, La selva, Dante finge cho
la rita umana sin un viaggio e racconta,
ehe sul mezzo di questo viaggio si ne-
corso d'avere emarrita la diritta vin, di
essere entrato in nna selva oscura, della
quale deserive gli orrori, ngginngendo
di saserri entrato sonnaechioso, quindi
senza anper come, Nel senso allegorico
personale vuol dire che, dopo aver vis-
suto un tempo vita pinttosto pecca-
minosa, nell'anno del Giubileo, epoca
fittizia della visione, si risvegliò dal pec-
caminoso sno sonno, e fece i primi ten-
tativi di convertirsi ; cfr. Purg. XXIII,
76 è seg., 115 e sog. Nel senso allegorico
wniversale poi vtol dire, cho l'nomo,
avendo abbandonata In fede o l'inno-
cenza, cfr. Par, XXVII, i27 o seg., si
perde senza avvedersene nello paasioni
© nei visj 0 vi resta sino a tanto che In
divina grazia lo risvoglia.
1.xFL MEZZO: a trentacinque anni, cioò
mel 1200. Cone. IV, 23: « La nostra vita
ewe rd gran d'arco, montanilo è
Il punto sommo di questo
arco (= il mezzo del cammin di nostra
mita) nelli perfettamente natorati è nel
25° anno. + Cfr. Sal. LXKX.XIX, 10. Isaia
XXXVIII, 10, Nato nel 1265, Dante si
trovava nel 1300 per l'appunto nel 35°
anno della sua vita. Così i più, Bambyl.
intende dell’ età di 32 0 33 anni; An. Sel.;
+ La mezza ora, cioò l'nomo di XXX
anni.» Jae, Dant.: « Il vivoro di 33 ovoro
di 34 nanni. » Dell'età di 35 anni intendono
Lan., Ott., Petr. Dant., Cass.,Boce., Falso
Boce., Beno., Buti, An. Fior., Serrav.,
Tal., Vell., Gelli è quasi tutti i poste-
riori. Barg. propone di intendere: « In-
nanzi che fosso venuto il tempo della
morte, » Cfr. Imbriani. Studi Dant.,
p. 198 e seg. Rocco Munagt, Note Dan-
tesche I, Correggio, 1894.
2. SELVA: la « selva erronea di questa
vita, » Conv. IV, 24, ossin la vita pecca-
minosa. Purg. XXIII, 115-119, Cfr. Ge-
remia V, 6, «Selva di vizzii è d'igno-
ranza; » Bambgl.=- «Il mondo, E pone
il mondo per selva, por ciò che nel mondo
lin tanta moltitudine di delottazioni cho
appena si sn l'momo partiro da esac; »
An. Sel. - « La molta gionte che nella
scorité de l'ignioranza permano; » Jac.
Dant.- «In vita viziosa; » Lan. Tutti
gli nntiehi sono concordi, che la selva
figura il vizio e l'ignoranza. Invece al-
cuni moderni credono che essa figuri Ja
miserin di Dante, privato d'ogni cosa
più cnra nell'esilio (Marchetti), o « il di-
sordine morale e politico in generale
d'Italin e più specialmente di Firenze +
(Br. B.), od altro. - oscura: cieca, Inf.
III, 47. « Ignorantia et peccatam obeo
cant, et obscurant, tenebras et petunt,
quia qui malo agit, odit lucom. » Ben,
Cfr. Prov. II, 18-15. II, Petr. II, 15.
Kraus, 442.
3. on: perchè, percioochè, Al. pren-
‘va vorace via abbandonai.
a che per pronome, ©
1a la diritta via non era
scura! Al. prendono il
me, e spiegano talmen-
one dello smarrimento
il sonno del poeta, non
la selva, nella quale la
ra. — DIRITTA VIA: vita
mpe recta est via vir-
o dacit hominem ad
notanter dicit autor
a perdita; nam quam-
tuno, tamen potorat
am virtutam; » env.
i comunemente smar-
iranza, nella oscurità
generale: » Ross. Pa-
. hanno AVEA SMAR-
ucsta lezione lo smar-
be al solo Poeta. Ma
pt;» ad Rom. TIT, 12.
10 di doloro, lat. che,
Ha, k, KT, 0. È dif-
sia lu vora lezione.
1 naturale in questo
1; altri invece ei av-
sia da prefurirsi, e
ativa, © perchè coaì
sorrispondeuza del
| ba il suffragio di
l'usa 16 altre volte
4 non si trova cho
Inf. XVI, 28. -
e, e nello stesso
Ita e disabitata. -
la di pruni. - FoR-
così intendono Dion., Lomb., Port.,
Pogg., Ross., Corn., eco. « Ma chi ebbe
animo di mettersi all'opera molto più
dura di descriver fondo a tutto l'universo
(Inf. XXXII, 8), avrebbe sentito orrore
e amarezza di morte del dire quale fosse
la selva, pure avendovi trovato il bene f »
Busc.-C. Tutti gli antichi ed il più del
moderni riferiscono amara alla selva,
della quale si continua a parlare nei
versi seg. Nd vale il dire che l'è amara
accenna non a una paurosa ricordansa,
Ina a cosa effettivamente prosente. Lo
sinarrimento del Poeta apparteneva al
passato; la selva era ed è sempre cosa
effettivamente presente. La concordia di
tatti gli antichi parla eloquentemente in
favore di questa interpretazione. Primo
a scostarsene fu il Zarg., il quale in-
tende: «Tanto è amara questa paura,
cho poco più amara è la morte. » Così
puro Scolari, Fosc., Ovst., Busc.-0., eco.
Il Fosco. legge: TAKTA k AMARA, 08860r-
vando: « Por questa lezione i due ag-
giunti riferendosi direttamente a paura,
il principio del Poewa si libera dalla sin-
tassi sconnessa e sospesa © porplessa. >»
La lez. del Fosc. ha per sé, tra altre,
l'autorità di Jac. Dant., ma le manca
il suffragio di codd. autorevoli.
8. bun: il risveglio, priucipio della sa-
late. - vi: nella selva.
0. ALTRE: le coso che seguono. Al. ALTER
civd: grandi e maravigliuse.
10. NON 80: ofr. 8. Giov. XIT, 85; losa
poi ridire Beatrice, Purg.XXX,115eseg.
Il. sonnxa- Aanl'---?
[PROEMIO GENER. ]
InF. 1. 18-26
[IL DILETTOSO MONTE] 5
13 Ma poi ch’io fui al piè d’un colle giunto,
Là ove terminava quella valle
Che m’avea di paura il cor compunto :
16 Guardai in alto, e vidi le sue spalle
Vestite già de’ raggi del pianeta
Che mena dritto altrui per ogni calle.
19 Allor fa la paura un poco queta
Che nel lago del cor m’ era durata
La notte ch'io passai con tanta piéta.
22 E come quei che, con lena affannata
Uscito fuor del pelago alla riva,
Si volge all’acqua perigliosa, e guata:
26 Cosi l'animo mio, che ancor fuggiva,
Si volse indietro a rimirar lo passo,
III, 17), della vorità (IT, Petr. IT, 2, 15)
e della giustizia (ibid. v. 21), che è Cristo
(8. Giov. XIV, 6). Dante abbandonò nn
di questa via per darsi in braccio alla
sclonza umana. Cfr. Conv. II, 2, 13, 16;
ZII, 1, 9; IV, 1.
V. 18-30. Il difettoso monte. Spa-
rentato di ritrovarsi in luogo si oscuro è
o, leva gli occhi in alto, e voile
fl colle, al eni pid intanto è ginnto, illu-
minato da' raggi del Sole, onde si ricon-
forta e tenta di salirvi soso. Forse il sim-
‘bolo dell'uomo che colle proprio forze ni
Insingn poter conseguire la salute.
12. AL mh: vede il bone, lo riconoscere,
ma non lo ha ancora conseguito, - COLLE :
fl dilettoro monte, v. 77, 0 monte del Si-
gnore, come lo chinma la Scrittura (cfr.
Generi XXIT, 14. Sal. XV, 1; XXIV,3
Gerem. XXXI, 23, coc.) è l'opposto della
selva e fignra qui la vita dedicata alla
rirtà, quindi felice o beata, Per gli an-
tichi il colle è: « Le cose celestiali ; » An.
Bel.-« L'altezza dell'umana felicità; » Jac.
Danti - « La vita dritta o virtudiosa; »
Lan., Ott., ecc, « Ad suasivam quandam
contemplationem virtutum,nt ad montem
clevatum ab hojusmodi miseriis infimis
mandania:» Petr. Dant.- « Ad virtntes; »
Casas. = » Volendo In questo dire, che egli
lorasee gli cechi della mento allo Serit-
ture è alla dottrina apostolica, dalla qualo
sporara dovere avere niato al ano bise-
paese «Sed quis est iste mons!
virtutem, que alta droit
ze ad colom, sient vallis tigurat
vielom, que: infima ducit hominem ad in-
fernom ; est enim mons propinquus calo,
et per consequens Deo; vallis sat vici-
mior centro, et per consequena inferno,
qni est in centro terre ; » Fenw.
1d. TRUMINAVA: ci era donquo uscito.
- VALLE: la selva oscura, ofr. Inf. XV,
00, Vedi pure Par. XVIT, 63.
15. comrusxTo: afflitto, tormentato.
10. in ALTO: ofr, Sal. CXX, 1.- SUR:
del colle, - arate: i fianchi del colle.
17. WiANKTA: chiama così il Sole, se-
condo l'natronomia del tempo. Il Solo
poi 4 figura di Dio; Cone, LIT, 12. Par.
XXV, 4.
IR, mwairro: ofr, &. Cio, VIII, 12, -
OGNI: ofr. Sal. XXII, 4.
10, ru: ml riconfortai alqnanto.
20. rano: chiama così per est. la ca-
vità del onore, ove s'nduna il sangve,
«In profando cordia; » Benv. « Quella
cavità del cuore ch'è ricettacolo del san-
gue, la sanguinis cisterna dell'Inrvey;»
Lomb,
21. KOTTR: del peccato è dell’ ignornn-
aa; cfr. Hom, XIII, 12. I, Tessal. V, 5. -
MATA: affanno, pena, angoscin che muore
n compassione.
22. QUEI: naufrago, - LENA: respira-
giono, alito,
24. GUATA: guarda verso l'acqua pe-
riglinsa,
25, FUOGIVA : por In panra, detta foga
dell'animo; ofr. Cie. Tune, Quest, 1V,
26. rasso: la selva, Si ha qui la ri-
flessione sul proprio stato interno, sn
quella vita che il Poeta è serinmente ri-
solto di Insciaro,
=
sccaminosa mena infalli-
sonar
e devo lasciarla, ed
POSATO UN POCO : Al. ror
0, Salle diverse altro va-
verso cfr. Moonk, Orit.,
orta del monto, — wieKn-
pone sasendo tanta rara;
14. Row, III, 12.
pos INET Ose IO Super quU
funditur et firmatur totum corpus salien-
tis; ideo dicit quod pes inferior semper
erat firmior. Sed moralitor loquendo, pes
inferior erat amor, qui trabebat ipsum
ad inforiora terrena, qui erat Ormior et
fortior adhuec in co quam pes superior,
idest amor, qui tendebat ad superna; »
Benv, Tatti gli antichi, in quanto non
tirano via da questo luogo, intendono di
nuo camminare su per l'erta, tirando die-
tro Il piede non fermo.
V. 91-00, Le tre fiere. Montro |l Poeta
s'ingegua «i salire il moute, tre belve
né lo impediscono, onde e' si vede, mal
la seconda un leone; la terza una lupa.
tro fiere sono evidentemente tolte
— da Gerem. V, 6. Per queste tre belve,
che impediscono al Poeta la salita del
collo, tutti gli antichi, senza una sola
scotnlons, intendono tre vizi capitali, |
più: lussuria, superbia ed avarizia. Al-
cuni posteriori: concopiscenza della car-
no, degli occhi, 0 superbia della vita;
altri: incredulità, anperbia e falsa dot-
trina. J moailorni interpreti polithel vi vo-
wore alla pace del Poota, Cfr. GUALTIKKI,
A tempo avanzato, Catania, 18092; è prin-
cipalmente Knaus, p. 443 e sog. Proleg.
472 è sog.
81. AL COMINCIAR: quasi sul principle
della salita. Kra dunque uscito dalla sel-
va ed aveva cominciato a salire,
32. LONZA : gr. Auy€, lat. ling; « signi.
fica lussuria, il quale intra tutt gli altri
peccati mortali tormenta nemo con aol
lecitndini ; »
[PROEMIO GENER.)
InF. 1. 33-48
[LE TRE FIBRE] 7
Che di pel maculato era coperta.
a E non mi si partia dinanzi al volto;
Anzi impediva tanto il mio cammino,
Che io fui per ritornar più volte vòlto.
37 Tempo era dal principio del mattino ;
E il sol montava su con quelle stelle
Ch'eran con lui, quando l'amor divino
40 Mosse da prima quelle cose belle;
Si che a bene sperar mi era cagione
Di quella fera alla gaietta pelle,
L'ora del tempo e la dolce stagione:
Ma non si, che paura non mi desse
La vista che mi apparve d’un leone.
Questi parea che contra me venesse
Con la test’alta e con rabbiosa fame,
Sì che parea che l'ner ne temesse:
43
46
per varie cagioni similmente s'accende
in lo coore. » Per i moderni interpreti
Hi
la lonza 4 figora di Firenze, di-
in Bianchi e Neri. Cfr. Encicl. I,
© seg. — LEGGIRRA : agile, muoven-
con facilità. Alludo forse all'inata-
bilità. Cfr. Purg. VI, 140-151.
#3. MACULATO: chiazzato, di color va-
rio; cfr. Inf. XVI, 108.
36. rut: mi voltai più volte por tornare
tei
i
a7. Tero: Venerdì Santo, 25 marzo,
608 aprile 1300, — DAL PRINCIPIO: Al
3 la prima ora del giorno, Vedi
+0, 104-8, I qnalo apiega: « 1)
vole dire, che WAL principio
mattino, quando uscì dalla selva,
momonto in cni ai trovava a contra-
stare sull'erta colla Jonzn, era trascorso
tanto di tempo, che il sole, mostratoglisi
col semplice saettare do’ raggi
dietro Ia vetta del collo (onde l'orizzonte
l'aveva passato da nn pozzo !), ora mon-
tava in en, non dall'emisfero inferiore,
gli aperti campi del cielo, diri-
een al col naturale suo corso verso il
pui
ti:
—. siasi l'Ariete, Gli notichi cre-
dettero che |! mondo fosse ereato in pri-
mavera, essendo il Sole in Ariete, e che
lo stesso
(25 marzo) fosse pure
incarnazione e della morte di
40. mossr: cred. Creazione è moto, -
cose: | corpi celesti.
42, ALLA: dalla, — GAIRTTA: propria-
mente piacevole al vedere; qui nel senso
di sororinta, variopinta, Costr, « L'ora
dol tempo 6 la dolce stagione m'erano ca-
gione a sperar bene di quella fiera dalla
pelle gaietta. > Al. LA GAIRTTA = «In
gaiotta pelle di quella Hera, l'ora del
tempo e la dolce stagione m'erano cagio-
ne a sperar bene, » Ma la pelle della lon-
za non poteva infondere al Poeta verona
speranza; egli aveva anzi sperato di
prender la lonza ALLA pelle dipinta; ofr.
Inf. XVI, 108, Salla lesione di questo
verso cfr. Moon, Crit., 250-62,
44. MA wow 61: ma la mia buona spe-
ranza non fu sì forto,
45, LEONE: secondo gli nntichi simbolo
fella superbia. Così Bambgl., An. Sel.,
Tac. Dant., Lan., Ott., Petr. Dant., Boecc.,
Falso Roce., Benv., Buti, An, Fior.,Serrav.,
Barg., Land., Tal., Vell., Gelli, Dan.,
Oast,, sco, 11 Cass.: « Superbin, sive ira
sequela superbie. » Secondo la moderna
interpretaz. storico-politica Il leone raf-
figura la Francia.
46. vENES8R: vonisse; anticamente an-
che in prosa.
48. TRMESSR: Al. TREMESSE, da treme-
re= tremare, lezione troppo sprovvista
di nutorità di codd. e comm. antichi. Cfr.
Moone, Orit., 263-64,
8 [PROEMIO GENER.]
a
In. 1. 49-60
[LE TRE PIEBE]
49 E d'una lupa, che di tutte brame
Sembiava carca nella sua magrezza,
E molte genti fe’ già viver grame.
62 Quosta mi porso tanto di gravezza
Con la paura che uscla di sua vista
Ch’io perdei la speranza dell'altezza,
65 E quale è quei che volentieri acquista,
E giugn lo face,
Che ini
68 Tal mi fee
Che, vei
Mi ripit
409, wu b' UNA: Gela vistar
d'una Inpa, Al.: ED UNA
parsami, Pod ataro lm
codd. non decidono in |
turalmento nulla, - LUPA,
l'avarizia; così Bambgl.,
Dant., Lan., Ott., Petr.
Boec,, Falso Boco., Beni
Fior., Scrrav., Jtarg., Latid., tv, ell,
Gelli, Dan., Vast., voc. Por i conunou-
tatori sturico-politici moderni la lupa è
il simbolo di Roma, ossia della Curia pa-
pale. « La comparsa simultanca del Leo-
ne e della Lupa vale ad indicaro lu lega
di Filippo con Bonifacio, fomento di quel
Guelfismo cho fe’ viver grame molte gen-
ti, e gramissimo Dante; » Joss. Quando
tutti quanti gli antichi vanno d'accordo,
è da staro alla loro interpretazione, a
meno di poter dimostrare con documenti
ineccepibili, o con argomenti indiscuti-
bili che tutti smarrirono la verace via.
60. BEMUIAVA: sembrava, essendo tanto
magra.
61. Guamk: dolenti. Cfr. S. Matt. VII,
18. Atti XX, 29.
62. MI rorsk: mi turbò talmonte.
63. cu’ uscla: che facova l'aspetto sno
terribile e tiero.
54. DKLL'ALTEZZA : del colle; disperai
affatto di salirlo. Con questi versi cfr. i
rimproveri che Beatrico fa più tardi al
Poeta, Purg. XXX, 180 es0g.; XXXIII,
85 © seg.
55. QuxI: l'avaro, desideroso di gua-
daguare.
57. riaNGk: « È dolore di speranza per-
duta, doloro che non si spande in la-
crime, ma contrista l'anima profonda-
mente. E in questo senso hanno spesso
nge e 8’ attrista:
5
0co a poco
se.
ti (come qui il noatro) il verbo
Dante, nelle Rime: “ Come
lata piange in lui (nel core)"
Cino da Piatoin :* Lasso! di
ine ogni pensiero Nella mento
[Rim. 16); e Guido Cavalean-
(ima mia dolente e panroaa
tim. antie.]. Tl qual concetto
epee Villa nel Cavalcanti, 0 so0mn-
pro cov forma nuova e mostumente gon-
tilo. » ZL. Vent., Stmnil., 303.
58. TAL: così dolente. - BESTIA : lupa.
- BENZA VACK: cfr. Isaia LVII, 21. Ga-
lati V, 19-22.
60. LA: nolla selva oscura. - TACK: non
risplende. Allude forse all'antica creden-
za, che il moto del Sole e delle sfere pro-
duca soave e dolce armonia. Giova però
osservaro che quell’ armonia può appena
sospendersi nella notte.
V. 61-99. Virgilio. Retrocedendo mal
suo grado verso la selva, il Poeta vede
una figura, della quale non sa ancora, se
sia uomo in carne ed ossa, o semplice
ombra. È Virgilio, mandatogli in soc-
corso per essergli guida. Dante ne invoca
l'aiuto, quindi Virgilio lo esorta a sce-
gliero un'altra via per conseguire la
salvazione, fulsa essendo quella sulla
qualo si è messo. Virgilio, che libera il
Poeta dalla selva oscura e lo guida sino
al Paraliso terrestre, figurante la felicità
di quosta vita, è il simbolo dell'autorità
imperiale, alla quale incombe di guidare
il gonere umano alla fullcità temporale
« secundum philosophica documenta; »
De Mon. IT, 16. E perobè egli è il sim-
bolo dell'autorità imperiale, Virgilio rap-
prosonta la ragione umana, Purg. XVIII.
46 o sog., o la Filosofia. Diversi moti-
[PROEMIO GENER.]
Inr. 1. 61-71
(VIRGILIO) 9
61 Mentre ch’io rovinava in basso loco,
Dinanzi agli occhi mi si fu offerto
Chi per lungo silenzio parea fioco.
C4 Quando vidi costui nel gran diserto:
« Miserere di me! » gridai a lui,
« Qual che tu sia, od ombra od uomo certo. »
67 Risposemi: « Non uomo; uomo già fui
E li parenti miei furon lombardi
E mantovani per patria ambidui.
70 Nacqui sub Julio, ancor che fosse tardi
E vissi a Roma sotto il buono Augusto,
vi indussero Dante a scegliero per l' ap-
punto Virgillo qualo ana guida per li
regni del dolore sterno e delle pene tem-
porali: nel medio evo Virgilio era repu-
tato sommo scienziato, a segno da farno
on gran mago; lo si credeva inoltre pro-
feta del ; efr. Purg, XXIT,
04-73. Inoltre Virgilio fu non solo il uf
cantore del sacro Impero Romano,
cantò pure il regno de' morti, ide
descritto l'andata di Enea nel secolo im-
mortale. Cfr. COMPARETTI, Virgilio nel
Medio evo, 2 vol., Livorno 1872, Fixzi,
Saggi Torino 1788, Ruin,
Studi, II, 52-20. Krauss p. 450 © sog.
Gl. rovimava: Al. nIMIKAVA (ofr. 2. P.,
p. 3-6. Faxp., Stud., 13 @ seg. 149); ma
Dante non mireva soltanto verso l'oscnra
selva tostà lasciata, anzi, angustiato
dalla lupa, si era vdlto © vi ritornava ;
ofr. v. 70, Par. XXXII, 138.
63. FIOCO: debole; per essere morto da
la vanità della forma. « Quasi deletom
ex longa tacitarnitate et tennis ac morli-
1 (sie) sonoritatis quia dudum fnerat ex
rita eublatas; » Bambgl.-< Per non es-
tere in uso lo ano parlare pootico e ornato
& moderni ; » Foce. - « Humana ratio est
modiea in osu hominum, et raro loqui-
tar; » Bene. Come simbolo dell'autorità
I'
eee be od rece. al prine
risvegliarsi del peccatore è, o almono gli
sembra, assai bassa 6 sommesaa, di modo
wn ent ne Intende appena alcuni indi-
Mano mano poi, cho 1' no-
dal peccaminoso
oe ene werte
Te messia. amante vaso. gli si (» scopre
z= distinta, più chiara, più
+ ANTOGNONI, Saggio di
Studi sopra la Div. Com., Livorno, 1899,
p. 4 è sog. Giorn. Dant. I, 130 © seg.,
IJ, 36 o sog. FiaMmMmazzo, Di una terzina
dantesca, Udine, 1885. MAzzoLKNI, Chi
parea fioco, Acironle, 1893. Scanano, Sul
verso« Chi per lungo silenzio parea fioco, »
Napoli, 1894.
64. DisERTO: « in monte, quem iden
autor appellat magnmm rdlesertam, quia
virtus est magna et alta, et fore ab
omnibus derelicta; » env. - « Nella
gran vallo del monte, che era molto
sola; > Buti,
60, certo: roalo; corpo ed anima.
68. LOMNAKDI: di nazione; mantovani
per patria.
69. E MANTOVANI, Al. MANTOVANI (cfr.
£. F., p.5): « Non tamen (uit Virgilius
de civitate, sed do villa parvala; » Benn,
= « Virgilins Maro in pago qui Andes
dicitor, hand procul a Mantna nascitar
Pampejo et Crasso consulibus, idibna
Octobribus; » Hieronym. in Fused.
Chron. ad Olymp., 177, 3; ofr. Donat.
Vit. Virg., $ 2. Martial, XII, 08, Man-
tovano fu detto Virgilio anche dagli an-
tichi; cfr. Apulej, Apolog., 10.
70, sun JULIN: rotto Giulio Cesare, -
TARDI: 29 anni dopo la nascita di Ginlio
Cesare, il quale, assassinato nel 44 a, C.,
quando Virgilio aveva appena 26 anni,
e forse non aveva ancora veduto Roma,
non potè onorarlo, come soleva onorare
i valent'oomini. Invece Bambgl.; « Quia
si fnisset tempore incarnationis divino
forte oredidisset in filo et sio non fuis-
sot tarde natng pro salute ana. » Ma Vir-
gilio, morto prima doll'Incarnazione, an-
rebbe nato troppo presto anzi che tardi
per abbracciare la folo,
71. nuoNO: è l'ombra di Virgilio che
lo dice.
10 [PROEMIO GENER.] INF. I. 72-94 [VIRGILIO]
Al tempo degli Dei falsi e bugiardi.
73 Poeta fui, e cantai di quel giusto
Figliuol d’Anchise, che venne da Troja
Poi che il superbo Ilion fu combusto.
76 Ma, tu, perché ritorni a tanta noja,
Perché non sali il dilettoso monte
Ch’ è principio e cagion di tutta gioja? »
79 « Or se! la fonte
Che = ) fiume? »
Rispo ronte,
82 « O deg mo,
Vagli; grande amore
Che n volume.
85 Tu se’ k \utore:
Tu se lai
Lo be | onoro,
88 Vedi la Isi:
Aruta: 0,
Ch’ ella m1 ta tremar le vene e 1 polsi. »
ol « A te convien tenere altro viaggio, »
Rispose, poi che lagrimar mi vide,
« Se vuoi campar d’ esto loco selvaggio:
04 Ché questa bestia, per la qual tu gride,
73. GIUBTO: Enea, « quo justio alter
nec pietate fuit nec bello maior et ar-
mis; » Virg. den. I, 644, 545.
75. SUPKRKO: « Ceciditquo superbum
Ilium; » Virg. Aen. LIT, 2 0 sog. Cfr.
Purg. XII, 61 © sog.
76. NOJA; dal lat. nozia, pena, tormon-
to, molestia, cioò alla selva solvayygia.
79. FONTK: « Coloro cho sanno porgo-
no della loro buona ricchezza alli veri
poveri, e sono quasi fonte vivo, della
cui acqua si refrigera la natural sete; »
Conv. I, 1.
81. LUI: a lui. - vELGOGNOSA : perchè
conscio di esser meritevole di biasimo, e
perchè ritornava a tanta noia.
84. NA: Al HAN; il grande amore ha
fatto cercare il libro per lo lungo studio.
- VOLUMK: l' Eneide.
87. STILK: il dolce stil nuovo delle poe-
sie liriche; Purg. XXIV, 57.
88. LKSTIA : lupa. ‘Tre erano le fiere
che si opposero alla sua salita al colle;
ina dall'apparizione di Virgilio in pol non
menziona più che la sola lupa. Forse per-
chè la lupa fu l'ostacolo più grave, v. 62
e seg,; © forse per farci intendere che
la sua descrizione pootica abbraccia tutto
un periodo dolla sua vita interiore. - MI
VOLSE: per ritornaro nolla selva oscura;
cfr. v. 58 0 sep.
89. FAMOSO SAGQIO:; alcuni codd., Boce.,
Land. ecc. FAMOSO K 8AQGG10, lez, difesa
dallo Z. F. 5 © seg., ma troppo sprov-
vista di autorità. « Saggiosavi dice Dante
i poeti degni di particolar cousiderazione.
Tale è il titolo dato da lui in numerosi
passi della Commedia a Virgilio, tale
dice Stazio (Purg. XXIII, 8; XXVII,
67; XXXIII, 15), por l' istesso nome ac-
cenna Giovenale (Conv. IV, 13), e tale è
il carattero collettivo da lui dato ad Ome-
ro, Virgilio, Orazio, Ovidio e Lucano (Inf.
IV, 110); » Witte. Cfr. Vit. N. XX, 10.
01. ALTRO VIAGGIO: via diversa. Quel-
la su cui il Puota vrasi messo non era
per conseguenza la verace.
04. quanta: alcuni codd.: QUELLA ; ofr.
|PROEMIO GENER. ]
INF. 1. 95-102
[PROF. DEL VELTRO] 11
Non lascia altrui passar per la sua via,
Ma tanto l’impedisce che 1’ uccide.
97 Ed ha natura si malvagia e ria
Che mai non empie la bramosa voglia,
E dopo il pasto ha più fame che pria.
100 Molti son gli animali a cui si ammoglia,
E più saranno ancora, infin che il Veltro
Verrà, che la farà morir di doglia,
Moors, Critie., 264, - Guive: desinenza
antica, usata le mille volte da pocti e
sara oggi gridi. Nella Div. Com.
mesta inflessione s'incontra 42 volte,
Cfr. Nannue., Voci, 8 e sog.
95. sua: sulla quale si trova la lupa;
efr. Inf. XXIV, 07. Purg. XXVIII, 42.
DA. VOGLIA: di impedire © di nocidero.
99. riù rame: « Avarus non implebi-
tor pecunin; » Keeler, V, 9, «In nullo
tempo si compie nò si anzia In sete delln
enpidità; » Conv. IV, 12.
V. 100-111. Profezia det Veltro, La
lupa continuerà a fare in terra danni
sempre più gravi, finchè verrà il Veltro
x ricacciaria nell'inferno è liberare la
povera Italin. Allude Dante ad nn per-
sonaggio determinato? E quale è questo
personaggio? Gli ani dicono che è Cri-
sto ventaro a giudicare i vivi ed i morti,
opinione da non mettero in non cale,
si sappia quanto viva e forma
era nel Medio evo la credenza nella pros-
sina seconda venuta di Cristo. Altri cre-
dono che nel Veltro sia adombrato un
0 un papa indeterminato o Bene-
XI. Altri vi vedono un Impern-
tere, o un Imperntore indeterminato, o
Arrigo VII di Lossemborgo. Altri in-
tendono di an Capitano ghibellino, vooi
di nn porteneagio Indotorminato, n di
Ugucelone della ola, o di Can
Grande della Scala. Altri eredono che
Dante parli con modestia inarrivabile di
Porno ae ig i di sasero già rentto.
III landgravio di
nel Veltro nimbo-
erediamo di dover lasciare In questione
indecisa, la scienza non avendo ancora
tanto in mano da poterla decidere. Cfr.
il nostro Com. Lips. IT, 801-817. MEDIN,
La profezia del Veltro, Padova, 1889.
Knaus p. 468 e seg. Anche il Bambgl.,
il più antico dei commentatori e contem-
poraneo di Dante, confessa implicita-
mente di non sapore chi si fosse il Veltro,
6 dà due interpretazioni como probabili :
Cristo venturo, oppure nn Pontefice o
un Imperatore, E di Cristo intendono
pure An, Sel, Coss., Renv., Torrie., eco.
Forse Dante intese di un liberatore va-
gheggiato e sperato, di un suo ideale
indeterminato sì, ma di coi credeva fer-
mamento che si realizzerebbe,
100. morti: in generalo vuol dire, che
In lopa fa gran danno nel mondo è ne
farà sempre più. L'interpretazione ape-
ciale poi dipende dall'allegorin della In pa,
Se casa è simbolo dell'avarizia, i molti
animali sono i vizi ai quali la onpidigia
s'accoppin, secondo la sentenza I, ad
Timot. VI, 10: « Radix omnium malo-
rom est cupiditaa » (così Bambgl., Cast.,
Vent., Lomb., Biag., Tom., Andr., Corn,
Ferth,, l'ol., occ.), oppure | molti ani-*
mali sono gli nomini avari, coi quali
l'avarizia si conginngo indivisibilmen-
ta, como la moglio col marito (così An,
Sel., Lan., Ott., Petr., Dant., Cass.
Hoee., Benw., Buti, Serrav., Barg., Land.,
Tal., Vell., Gelli, Br. B., ecc.). Se poi la
lupa è simbolo della Corte Romana, i
molti animali sono altre corti, le col
armi sogliono essere per lo più alcuni
animali, come l'aquila, il cavallo, il leo-
ne, sco,
101. veLtro: cano da corsa, lovriere,
102, venni: Adnnqne non ancora vo-
nuto! Ciò sembra escludere l'allusione
a persono allora viventi in terra, — m
DOGLIA: Al, CON nonnta. Ma chi non
muore con doglint
12 [PROEMIO GENER.]
————_Ak______ __
Inr. 1. 103-116
[LA VIA VERA]
103 Questi non ciberà terra né peltro,
Ma sapienza e amore e virtute,
E sua nazion sarà tra Feltro e Neltro,
106 Di quell'umile Italia fia salute, -
Per cui mori la vergine Cammilla,
Eurialo, e Turno, e Niso di ferute.
109 Questi la caccerà per ogni villa,
l'in cl ferno,
Là om lla.
112 Ond’ io } iscerno
Che tt in guida,
E trar rno,
115 Ove udir
Vedra nti,
103. FELTRO: zinco i
gento vivo; francese an
per argento loro, o me,
104. BiALIENZA : # CONT... |
so con Inf. 115, 5,0, vussorvando che vir-
tute è su per giù lo stoaso che potestate.
105. TRA FKLTRO: coloro che intendono
di Cristo venturo spiegano: tra cielo o
cielo; oppure: «inter sceloratures impios
et peccatores; » Bambgl. Que’ che inten-
dono di un personaggio indotorminato:
di parenti bassi ed oscuri. Que'cho in-
tondono di Can Grande: tra Feltre, città
dolla Marca di ‘Trevigi (efr. Par. 1X, 52),
e Moute Feltro nella Romagna. Noi ci
associumo al Boce., il quale confessa in-
genuamente di non intendoro.
106. UMILK: « humilemque videmus
* Italiam; » Virg. Aen. LIL, 652. Al. L'Ita-
lia Lazialo. - Cristo dla salute di tutto il
mondo, non della sola Italia; onde non
sembra troppo probabile che nel Veltro
Dante raffigarasse Cristo.
107. CAMMILLA: figlia di Metabo ro del
Volsci, vorgine guerriera cho morì com-
battendo contro i Troiuni, celebrata da
Virgilio, Aen. VII, 803; XI, 535; XII,
708-831.
108. EuntaLo: giovine trojano, morì
combattendo contro i Volsci; Aen. IX,
179 e seg. - Turno: principe dei Ratali,
ucciso da Enoa; Aen. XII, in fiu.- Niso:
Trojano, amico di Eurialo, con cui morì;
Aen. 1X, 179 © seg. - FKLUTK: lorito.
111. ruima: la prima invidia fa quella
che il serponto antico portò ad Adamo
lr. Sap. IT, M4. — IMPARTILI.A :
orl, Dangqne la laps osreb dal-
i vonno in questo mondo ain
vee oeerger ol Adana, Cuoata cieca,
mouzionata caprossanonte dal Poota,
sembra oscludere ogni possibilità di ve-
dere nella lupa il simbolo della Corte Ro-
inana. Alcuni però intendono prima per
primamente. Ma quale invidia fece uscire
primamente, cioò in origine, la Corte
Romana dall'Infornof
V. 112-130. La via della salvazione.
Dottogli che la via sulla quale Daunte si
è messo, non è la verace, Virgilio gli mo-
stra come Ja via della salvazione conduca
per l'Inferno ed il Purgatorio, offrendo-
sogli a guida. Se poi dal Purgatorio vorrà
ralire al regno dei beati, un'anima beata
ve lo guiderà. I] Poeta si dichiara pronto
ad intraprendere il mistico viaggio. -
L'uomo naturale si lusiuga di potersi
salvare da sò, montro egli abbisogna in-
vece di un duplice direttivo; ofr. De Mon.
III, 18. Nè lu via della salvazione è coal
facile, com'ogli si figura: vssa menn alla
coutrizione, alla confessions ed alla sati-
sfuzione; cfr. Thom. Ag. Sum. theol. 1°.
III, Qa. XC, art. 2. Petr. Lombard. Sen-
tent. lib. 1V, Dist. XVI, litt. A.
112. atk’: moglio; por la tua salute. -
DISCKRNO: giudico.
114. LOCO KrKKENO: l'inferno; ofr. Inf.
I}, 8. 11 Purgatorio è uno de’ tre ro-
gui spiritali, ina non dura in eterno,
116. ANTICHI: discesi anticamente nel-
l'Inferno.
[PROEMIO GENER.)
Inr. 1. 117-136
[LA VIA VERA] 18
Che la seconda morte ciascun grida:
118 E poi vedrai color, che son contenti
Nel fuoco, perché speran di venire,
Quando che sia, alle beate genti:
121 Alle qua’ poi se tu vorrai salire
Anima fia a ciò di me più degna:
Con lei ti lascerò nel mio partire;
124 Ché quello imperador che lassù regna,
Perch’ io fui ribellante alla sua legge,
Non vuol che in sua città per me si vegna.
127 In tutte parti impera, e quivi regge,
Quivi è la sua città e l'alto seggio.
Oh, felice colni cui ivi elegge! »
130 Ed io a lui: « Poeta, io ti richieggio
Per quello Iddio che tu non conoscesti
Acciò ch'io fugga questo male e peggio,
133 Che tu mi meni là dove or dicesti,
Si ch’io vegga la porta di san Pietro,
E color che tu fai cotanto mesti. »
130 Allor si mosse, ed io gli tenni dietro.
117. akcoxna Mourk: Ja Annnazione,
chiamata così nella S. Scrittura. « Hme
mors securida cat, in stagnum ignis; »
Apocal. XX, 14; XXI, 8; ofr. Comm,
Ldpa. 1,9. - ontva : piange; cfr. Inf. X,
è sag., 106 e seg., eco. Altri: ognu-
di morire secondo l' anima,
art la prima volta secondo il
deallerio non può por altro
nell'inferno dantesco, Cfr.
XIII, 118 è Thom. Aq. Sum.
col TT, &, 1, 3: « Non esse est ap-
stibile damnatis per accidens tantum,
| pene. — GRIDA: piange,
plora.
Hr
FL
te
5
:
a5
ii
i
i
pare
125, RIMELLANTR: non nvenilolo ado-
rato debitamente; ofr. Inf, IV, 38.
126. citrA: il Paradiso; ofr.: Ebrei
XI, 10, 10, Apocal. XXII, 14.
127. Fanti: dell'universo, — IMPERA:
governazione mediata, - nr0GR: govor-
nazione immediata. «Il cielo è il trono di
Dio, e In terra 4 lo sonnnello do' suoi
piedi »; Ieaia LXVI, 1; ofr, ITI, Ney.
VIII, 27.
132. questo: il male temporale, - rro-
GIO: il male eterno,
134. porta: del Purgatorio, ofr. Purg.
IV, 76 è seg., il cni angelo portiere è
detto Vicario di San Pietro, Al.: La por-
ta del Paradiso, commessa alla custodia
di San Pietro. Ma il Paradiso Dantesco
non ha veruna porta. Al.: La porta del
Purgatorio e quella del Paradiso, d'am-
bedne le quali Cristo diede le chiavi a
San Pietro. Danto parla non di due, ma
ili nna sola porta, o lo due chiavi le tiono
l'Angelo portiere del Purgatorio; cfr.
Purg. IX, 117-129, il qual passo è deci-
sivo ed esclade ogni dubbio. Il Mazz.
obictta: « È molto più naturale che
Dante abbin manifestato il desiderio di
vedere |) Paradiso che quello di vedere
14 [PROEMIO 12 P.]
il Purgutorio. » Vir ilio gli lia detto di
non poterlo guidar «le sino al T'urga-
torio e Dante dive che lu mi deni ld
dove or dicesti, dist iguenilo la porta di
San Pietro, e color che tu fai cotanto
anesti. Se questi sonc i dannati, nei v. 183
8GO.
InP. 11. 1-7
[PRELUDIO]
e 134 si parla evidentemente del Pur-
gatorio, non del Paradiso. Del resto la
porta del Purgatorio è anche quella del
Paradiso, dovendo entrarvi oliunque
vuol salire quando che sia alle beate
gonti. Cfr, Enciol, 1544 © sog.
NDO
‘FERNO
TO DIVINO
DETTE
Lo giorno se n’andava, e l’aer bruno
‘l'oglieva gli animai che sono in terra
Dallo fatiche loro; ed io sol uno
4 M’apparecchiava a sostener la guerra
Si del cammino e si della pietate,
Cho ritrarra la mente che non erra.
7 O Muse, o alto ingegno, or m’aiutate ;
V. 1-9 Preludio ed invocazione, È
la sora del 25 marzo, o dol 5 o doll'8
aprile 1800; cfr. AGNKLI.I, Z'upo-Crono-
grafia del viaggio Dantesco, Mil., 1891;
p. 91 e seg. Il Poeta, che si è già mosso
dietro le orme di Virgilio, fa la solita in-
vocazione poetica, considerando essergli
necessaria vastità di dottrina, perspica-
cità d'intelletto e vivacità di memoria.
1. Lo GionNO: cfr. Virg. Aen. VIII,
26, 27. - 8K N'ANDAVA: imbruniva.
2. ANIMAL: enti animati, tra'quali l’uo-
mo; cfr. Purg. XXIX, 138.
3. BOL UNO: dei viventi in torra, Vir-
gilio non essendo di quelli.
4. GUERRA: la doppia ditficoltà, l'una
del viaggio perl'asprae forte via, Purg.Il,
65, l'altra del far forza all'animo suo per
non aver pietà degli spiriti dannati.
G. tiTRARKÀ: doscrivorà. - MENTK: me-
inoria. « Mons pro memoria accipitur; »
S. Aug. Trin. 1X, 2. - NON RKRA: non Va
qua e là, vagando; non si parte dal suo
proposito, come quella che pensa sempre
© solamente in 0450. Al. non isbaglia;
ma certo Dante nun volle spacciare per
infallibile la sun memoria. Il Fose., Z.
F., ecc. leggono 8k NON Fitra, lezione
troppo sprovvista di autorità. Cfr. BI.
Vers. I, 18 © sey.
7. INGKGNO: i più intendono del pro-
priv genio inspiratore. cfr. Inf. X, 59.
Ma non pare probabile che il Poeta vo-
losse invocaro sò stesso; piuttosto l' in-
| PROEMIO INP.)
INF. 11. 8-24
#
[LO BGOMENTO] 15
O mente, che scrivesti cid ch'io vidi,
Qui si parrà la tua nobilitate.
10 Io cominciai: « Poeta che mi guidi,
Guarda la mia virtù, s’ ella è possente
Prima che all’alto passo tu mi fidi.
13 Tu dici che di Silvio lo parente,
Corruttibile ancora, ad immortale
Secolo andò, e fu sensibilmente,
16 Però, se l'avversario d’ ogni male
Cortese i fu, pensando l'alto effetto
Che uscir dovea di lui, e il chi e il quale,
19 Non pare indegno ad uomo d’intelletto:
Ch’ ei fu dell’alma Roma e di suo impero
Nell’empireo ciel per padre eletto;
22 La quale e il quale — a voler dir lo vero —
Far stabiliti per lo loco santo
U’ siede il successor del maggior Piero.
gegno ideale, l'ingegno in genere, « Qui
alto ingegno si riferisce nasolutamente ed
elegantemente n Muse (1). A che servi-
KOWILITATR: virtà, valore,
Vv. 10-42, Lo sgomento, Appena in-
cominciato il . Danto si sooraggia,
chiedendo: son io da tanto! Il suo è qui
il ha ara della ragione, non quello
fede, la quale Virgilio accende poi
cuor sno. La 16 dice: non son
degno nà abile a ciò; la fede risponde:
limi Il soccorso celesto.
12, prima cur: così i più; alcuni codd.
4aRzi cu; eft. Moone, Critic., 265. — AL-
TO: arduo, difficoltoso, - MI FIDI: mi com-
metta. Cfr. Horat. Ars poet., 38 © seg.
ia mer: nel tuo volume, Aen, VI,
2 è seg., dove Virgilio racconta come
Enea, ancor vivente, andò nel rogno de-
gil apîriti. - Siuvio : cfr. den. VI, 762 ©
tg. - PARRSTE: padre.
di sirena vivo; cfr. I, Cor,
XV, 35. - IMMORTALE SECOLO: i] mondo
dik in generale.
HH
15. SAIL ENTER: corpornimente, non
ln ristone,
16, L'avvensamio : Dio; cfr. Sal. V, 5.
Mira fini, nd Baca.- ransanpo : se
= EFFETTO: la fondazione dol-
18. 1 CHI RI. QUALE: 4 lo scolastico
quis et qualis; intendasi dell'impero e
di Roma, sede dell'impero 6 del papato ;
o, come altri vuole, di Roma e dell'anto-
rità imperiale.
19. INDEGNO: sconvenévole, irragione-
role,
20. ALMA: così | più. Al. ALTA.
21. rmrikro: «lo cielo Empireo, che
tanto vnol dire, quanto cielo di fiamma
ovvero luminoso.... E questo quieto e
pacifico cielo è lo loogo di quella Som-
ma Deità, che sò sola compintamente
vedo. Questo è lo lnogo degli spiriti
beati, eco. » Conn, TI, 4. -ravnre: fon-
dutore.
22. LA QUALE: Roma. - 1 QUALE: il
suo Impero, Salle diverse lozioni di que-
sto verso cfr. Moore, Critie., 265 e se-
guenti.
23. STABILITI : « Cagione divina è stata
principio del romano imperio. » Roma «4
imperadrice, ed ha da Dio special nasci-
mento 6 special processo; » Conv, IV, 4.
« La gloriosa Roma fu ordinata per lo
divino provvedimento; » ibid., 5.
24. sUccESSOR: il Pontefice. - MAGGIOR:
di tutti gli altri Santi di nome Pietro.
Oppure maggior sta qui per sommo, o
per altro titolo d'onore, San Pietro è
«chinmato dal Poeta il maggiore, per
antonomasia ed eccellenza di santità, ri-
spetto a gli altri successori suol ; » Gelli.
IG [PROEMIO INF.)
INF. n. 25-42
[LO SGOMENTO]
25 Per questa andata, onde gli dai tu vanto,
Intese cose che furon cagione
Di sua vittoria e del papale ammanto.
2 Andovvi poi lo Vas d’elezione
Per recarne conforto a quella fede
Ch’ è principio alla via di salvazione.
31 Ma io, «cern SORIA RSI coneeuer
lo nc sono;
Me d tri crede,
dd Perché bbandono,
Tem a folle,
Se’s non ragiono, »
J7 E qual ò che volle,
E pe | proposta,
Sì cl si tolle;
40 Tal mi \ costa;
Perc la impresa
Che tu wo. vvimiszin vuelto tosta.
25. bal: nell’ Eneide.
26. INTESK: cfr. Aen. VI. - CAGIONE:
avendolo inanimito a combattere contro
Turno ed a vincero, la quale vittoria fu
cagione della fondazione di Koma, che
divenne poi sedo del papato.
28. ANDOVVI: ad immortale secolo, cioò
in Paradiso. E forse il vi in andovwi si ri-
fuvisce all’ empireo ciel dol v. 21. Socondo
un'antica credonza popolare S. l'aolo
non salì soltanto nino nl terzo ciolo, ma
discoso pure nell’ Inferno. - Van: vaso
d'elezione è chinmato l'apostolo San
Paolo, cfr. Atti IX, 15. Paolo fu rapito
fino al torzo cielo, e dice: « se in corpo,
o fuor del corpo, io non 80; Iddivlo sa; »
II, Cor. XIIT,2 0 sog.
29. rRKCARNK: dal paradiso, rinvigo-
rendo la speranza cristiana di giungervi
quando che sia. - CONFORTO: « eccita-
mento a credere, o a perseverare nella
fede; » Pass.
30. ratxcieio: dall'un canto perchè
souza fede è impossibile di piacere a Dio,
Ebrei XI, 6; dall’altro canto perchè la
fede senza le opere è morta, Giac. II, 26.
31. rELCUÈ: a quale soopof - VENIRVI:
con teco al secolo immortale.
34. MI ABBANDONO: consonto, m’ arri-
rischio a voniro.
35. FOLLE: sconsigliata, imprudente,
temoraria.
36. INTENDI: Al. R INTENDI. - MK’;
meglio.
37. DIBVUOL: non vuole più.
38. SI TOLLK: si distoglie, abbandona
l'impresa. La similitudine dipinge la lotta
interna di chi vorrel:be convertirsi, ma
non ha il ceraggio di lasciaro lo vecchie
suo abitudini o di mottorsi sopra una
nuova via.
40. oscuna: il giorno essendosene an-
dato, v. 1.- costa: la piaggia diserta,
Inf. I, 29 © seg.
41. PENSANDO: riflettendo sulle difficoltà
e sui pericoli del viaggio propostomi da
Virgilio. - CONSUMAI: abbandonai. Te-
neva dietro a Virgilio, Inf. I, 186;
adesso ei ferma, nè osa più andare avanti.
42. TOSTA : pronta, senza riflottere su-
gli ostacoli e sulle difficoltà. Quadro pro-
fondamente psicologico.
V. 43-126. Il conforto. Virgilio rin-
faccia al Poeta i suoi scrupoli, la oui
sorgento non è savia prudenza, ma viltà
d'animo, cho distoglie sì) spesso l'uomo
dall'operare il bene. Per liberarnelo gli
espone come e perchè ei gli sia venuto
incontro per essergli guida. Beatrice,
anima celeste, ne lu ha pregato, incitata
[PROEMIO 1NF.]
INF. ll. 43-60
[rL CONFORTO] 17
43 « Se io ho ben la tua parola intesa, »
Rispose del magnanimo quell’ ombra,
« L'anima tua è da viltate offesa,
46 La qual molte fiate l’uomo ingombra,
Sì che d’onrata impresa lo rivolve,
Come falso veder bestia quand’ ombra.
rT) Da questa tema acciò che tu ti solve
Dirotti perch'io venni, e quel che intesi
Nel primo punto che di te mi dolve.
52 Io era tra color che son sospesi,
E donna mi chiamò beata e bella,
Tal che di comandare io la richiesi.
66 Lucevan gli occhi suoi più che la stella;
E cominciommi a dir soave e piana
Con angelica voce in sua favella:
“( anima cortese mantovana,
Di cui la fama ancor nel mondo dura,
E durerà quanto il mondo lontana:
due altre donne del cielo a scondere
nel limbo. Sicoro del celeste snccor-
non ha motivo di titubare.
“miti il rimprovero che
non può nen fargli.
di. DEL MAGNANIMO: inversione, per
L'ombra di quel magnanimo. Il Betti:
* Brutta inversione e indegna di Dante;
talehè sarei quasi tentato n credere che
del magnanimo volesse dire magnani-
mamente, da magnanimo, » - MAGNANI-
wo: mentre Dante si mostra pusillani-
me. « Sempre il magnanimo si pi o
in suo onore; 6 così lo pusillanimo per
contrario sompre si tiene meno che non
di . Cone. I, ul.
45. VILTATE: pusillanimità vergogno-
sa; ofr. Inf. LII, 15; IX, 1.
47. ONRATA: contratto di onorata ; ono-
stia, + eggiamo molti uomini tanto vili
è di a basen condizione, che quasi non pa-
re easore altro cho beatin; » Conv. ILI, 7.
* Uomo la bestia si rivolgo o torna
ra por falso ve-
vedere quel vba non
49, soLvE: sciolga, liberi.
Bl, notvE: dolse,
52, sosrest: quelli del Limbo non sono
beati, perohè senza speranza, né dannati,
perchè senza martiri, Inf. IV, 24 6 seg.;
si trovano dunque in nno stato medio tra
dannazione e beatitudine. Al. La loro
sorte non è ancoradefinitivamente decian.
È decisa pur troppo; cfr. Inf. I, 125, 126;
1V, 41, 42: semo perduti — senza speme!
53. DONNA: Beatrice, v. 70.
64. TAL: la bellezza sun celeste feco
certo senz'altro Virgilio, che essa discen-
deva dal cielo, avendo qualche deside-
rio: onde la pregò di comandargli.
655, STELLA: Venere, chiamata dal po
polo ora In stella bella, e ora anche per
antonomasia la stella, Secondo altri stella
è posto qui in significato collettivo per:
le stelle. Altri intendono del Sole. È difti-
cile decidere, Parecchi codd. hanno: rio
CHE UNA STELLA, lozione forse più facilo,
ma, appunto per questo, sospetta. Cfr.
Moour Critie., 205-70.
Gi. MIANA: calma, iloloo, © Soave, ciod
dolce è graziosa, o piana, clod modosta,
© como persona grave; » Celli,
57. IN BUA FAVELLA: nol suono della
sua voces; oppure In voce angelica,
60. monpo: Al, moro, Coll'antorità del
codd. non si può decidere quale sia la vera
18 [PROEMIO INF,]
InP. 11. 61-75
[IL CONFORTO]
61 L'amico mio e non della ventura,
Nella diserta piaggia è impedito
Si nel cammin, che yélto è per paura:
04 E tomo che non sia già sì smarrito
Ch'io mi sia tardi al soccorso levata,
Per quel ch'io ho di lui nel cielo udito.
67 Or muovi = san la tae narnia a-pgtg
E coni
L'ajuta
70 To son Be
Vegno i
Amor n
73 Quando s
Di te m
‘Tacette
lezione. Probabilmente Di
Dura ancor nel mondo è
dura il mondo. Ma potrel
dotto: Dura ancor nel mono < wtrere
quanto il moto. Dicono che il moto du-
rerà in oterno; ancho la fama di Virgilio
non si spegnerà inai, almeno nella « bella
scuola,» Inf. IV, 94. Peraltro Fra Giord.
Pred. I sulla Gen.: « Le cose cho furono
in prima creato, come è il cielo, gli an-
gioli, gli elomonti, staranno etotnalmen-
to; il movimento e il tempo no, » Cfr.
sopra quosto verso Z. F. 11 0 seg. Moo-
uk, Oriticizio, 270-73, Il primo propugna
la lezione MONDO, fl secondo MOTO. Col-
l'autorità dei codd. la questione non si
può decidere, e, l'una e l'altra dando un
ottimo sonso, nou si può deciderla nem-
meno con altri argomenti. Il Betti: «Du-
ra nel mondo, e durerà quanto esso mon-
do. » Ma si può anche intendere: « Dura
nol mondo, o durerà quanto il moto. »
Ol. L'AMICO: amato da me, non dalla
fortuna, la quale infatti non fu troppo
amica del Poeta. Altri: Me ama, non i
beni estrinsechi a me. Ma Beatrice affer-
ma più tardi per l'appunto il contrario,
Pury. XXX, 12460 80y., cfr. XXXI, 34 0
ses. Fanfani: « Amico 6 colui cho ama. »
Ed anche colui che è amato.
02. maAGOIA: cfr. Inf. I, 29.-1MPEKDITO:
cfr. Inf. I, 35.
64. sl SMARKITO : cfr. Purg. XXX, 136
© ney.
66. UDITO: cfr. v. 107.
67. OKNATA: porsuasiva,
no campare,
lata.
lare;
0:
lare,
rio,
110:
ite: salvamento.
ck: d il nome finto della pri-
lol Poeta. Vedi la Vita Nuova.
Nella Commedia Beatrice è essenzial-
monty personaggio allegorico. Chi no fa
il simbolo della tvologia, chi dell'Intelli-
gonza attiva, chi dell'anima tendente a
Dio colle ali dell'amore, chi della sapionza
religiosa, mora'e è civile, chi dolla vita
contemplativa, chi della visione intima
dell'artista, chi della Rivelazione, chi
della Grazia perticiente, chi dolla Chiv-
sa, eco. Dal Paradiso terrestre, simbolo
dolla beatitudine di questa vita (De Mon.
III, 15), Boatrice guida Dante al Para-
diso celeste, che Agura la beatitudine di
vita eterna (ibid.). La guida a quest’ ul-
tima è l'Antorità ecclesiastica (ibid. cfr.
Conv. IV, 4-6). Dunque Beatrice è evi-
dontomonte il simbolo dell'autorità ec-
clostastica, dol papa ideale del Pocta. Ma
dovendo l'autorità ecclesiastica drizzare
l'uomo alla felicità spiritualo secondo lo
dottrine rivelato (thid.), essa è puro la
rappresentatrico in terra della teologia.
Ondo Beatrice, appuuto perchè simbolo
della spirituale autorità, è pure simbolo
della scivuza rivolata. Cfr. Kraus, p. 452
© sog. dove sono ospusto od esaminato
le iliverse opinioni.
72. AMOR: è dunque lei che ama, cfr.
v. 01 nt.
74. MI LODKRO: « hoc antem significat
qued theologian arcpe utitur servicio ra-
tionis naturalis, ut ex notioribus nobis
deveniat ad minus nota; » Beny.
[PROEMIO INF.)
InF. mr. 76-92
76 “ O donna di virtù, sola per cui
L'umana spezie eccede ogni contento
Da quel ciel che ha minor’ li cerchi sui:
79 Tanto m’aggrada il tuo comandamento,
Che l’ubbidir, se già fosse, m’ è tardi;
Più non t’ è uo’ ch’ aprirmi il tuo talento.
82 Ma dimmi la cagion che non ti guardi
Dello scender quaggiuso in questo centro
Dall'ampio loco ove tornar tu ardi. ,,
85 “ Da che tu vuoi saper cotanto addentro
Dirotti brevemente, ,, — mi rispose, —
“ Perch’ io non temo di venir qua entro.
a8 T'emer si dee di sole quelle cose
Ch’ anno potenza di fare altrui male:
Dell’ altre no, ché non son paurose.
91 To son fatta da Dio, sua mercé, tale
Che la vostra miseria non mi tange,
76. ot vuo: piena di ogni virtù. -
60.4: la cognizione di Dio eleva |' uomo
al Aisopra degli altri enti terrestri.
77. CONTRNTO: contenuto, cosa conte-
muta.
78. cir: Inmaro: efr. Conv. II, 3, 4.
« Ogni altra creatura vivente entro |!
elelo lunare; » Pars.
RO. sk GIÀ rossr:; so il dovessi far qui
nell'atto.
BL. vo’ con’ arnt: In lozione di que-
verso è nasai diaputabile, La comn-
i è: FIÙ wow È voro aru, che fl
trovà in 77 codd., mentre agli tro-
vò on" arrinm tin 140 codd. da Ini esa-
; Onit., 274 6 seg. Dopo quanto ne
diacoree fl Frammazzo, Giorn. Dant. IT,
160-92, nombra cho la questione sin decisn
in favore del vo’ cn’ arummi (vedi però
Wull., N. 8, II, 70 6 neg.). Il Fiamm. in-
a zione * Sappi che a te non d'altro
è d'nopo ch'esprimermi la tua volontà,
come già facesti; superfino 4 tntt' il re-
ato, » aggiungendo più tardi: « Quello
loll che Beatrice rivolgo in ona mira-
bile apostrofe a Virgilio, appena appar-
pra che gli promotto anche maggiori
Dio, esigono dalla modestia del
poeta latino ni conno ill risposta; gn-
pena nta bl di cortesta con
beata è bella, all'esordio di lei
"jr von mn altro ispirato a non mi-
ammirazione e, dottosi così dispo-
de
Hat
sto all'obbedienza da sembrargli averla
già ritardata, dichinra quindi tosto so-
verchialnlusinghiera perorazione di Bea-
trice, dichiara cioè che, per nn servigio
Milani, essa non ha maggior bisogno cho
osprimerne, senza blandimento veruno,
il desiderio. » La stessa scena si ripete
Purg. I, 78-03. Cfr. pure 7. F, 13 è sog.
— AltuMi: sspormi, palesarmi. - TALEN-
TO: volontà, desiderio,
82. cu: per eni, per la quale,
83, centro: l'inferno. Fra Giord. Pred.
IT, 147: « La terra è centro del momilo.,.,
però che ella è nel merzo di tutti i cieli è
di tatti gli elementi. Ma il diritto centro
gi è nppunto quel miluogo della terra
dentro, che è in mezzo del pomo. Quello
4 il dritto centro, ove noi crediamo che
sin il ninforno, »
Bi. AaMmIO Loco: l' Emplroo, ofr. Purg.
XXVI, 63. Al. Le sfere celesti, Il para-
diso In generale.- Anni: hai ardente desi-
derio.
oO. raunosr: terribili; da mettere
patra, di eni sl ha panra.
03, TANOK: tocen, travaglia, pongo;
ofe. Pet. Lomb, Sent, Vib. 1V, dist. 50,
litt. @. Thom. Ay, Sten, theol, I’. 111,
in aoppl.qn. XCIV, art. 2,3 qu.XCVIII,
art. 0. Secondo gli Scolastici, le gioio del
beati non sono menomamente turbate
dall'aspetto delle pone dei danuati, cho
ossì vedono non vodati.
[IL CONFORTO] 19
20 [(rRoEMIO INF.]
Txr. 11. 98-107
[IL CON FORTO]
Né fiamma d'esto incendio non m' assale.
Di Donna è gentil nel ciel, che si compiange
Ni questo impedimento ov’ io ti mando,
Si cho duro gindicio Inssi frango.
07 Questa chiese Lucia in suo dimando,
E disse: Or ha bisogno il tuo fedele
Di te, ep? #n +42 Ta marano eg,
100 Lucia, nir 6,
Si moss rio era,
Che mi ichele,
103 Disse: Be, ra,
Ché nor mo tanto,
Che usi 2 schiera?
106 Non odi U ato?
Non vee ombatte
03. FIAMMA: « In fama ito sarebbe a dirai di tutti i mar-
buret iustos;» Heeles. X3
CKKMO ; Heatrice parla di, sa.
l'inforno in gonerasio, non dol solo limbo,
D4. DONNA: la Vorgine Maria, cfc. Par.
XXXIIT, 160 seg., simbolo, como si av-
Visano i più antichi commienttori, della
Grazia proveniente. Lo tre dunne bene-
dette del cielo sono l'antitesi delle tre
fiero maledette della solva oscura. « Et
hic nota quod autor non nominat express
istam dominam priuam, quia ista gratia
advenit homini occulte, quod non per-
penidit; » Benv. Tace il nomo dolla Ver-
gine como quello di Cristo in tutto l'/Zn-
Jerno, porchd questi nomi sono troppo
sacri è si profanorebbero pronuuziandoli
loggiù nel luogo del peccato.
06. aiubicio: della diviva Giustizia.
Qiudicio, per Sentenza. - FRANGK: placa.
97. Lucia: probabilmente la martire
di Siracusa, sulla qualo cfr. Brev, Tom,
ad 13 Decem, Secondo alcuni Santa Lu-
cia Ubaldini, sorella del cardinale, Taf.
X, 120. Allegoricamente: la Grazia il-
luminabte. Cfr. Kraus, p. 447 © seg.
08. FRDRLK: Lucia, la Siracusana, si
invoca da chi soffre mal di occhi, ed an-
che Dante no sofferse due volto (V. N.
c. 40; Cunv. III, 9), onde le era per av-
ventura particolarmento devoto. Secon-
do alcuni Danto si direbbe fedele di Lu-
cia perchè fu avverso alle dottrine dei
Pelugiaui.
100. NIMICA; « odia ogni crudeltà como
quella che soflorsvingiusto dolore; » Z'om.
io, forse, perchè, secondo Salo-
Hark grazia ni manasneti; » Pass,
«Gratin inimica cuiuslibot dosporantis,
qui non adinittit gratiam. Nullue et enim
crudolior co qui desperat do gratia Dei ; »
DBenv. Veramente il Poeta confessa, I, 54,
che aveva perdutola speranza. Ma Lucia
non gli era certo nimica.
102. RACHELE: figliuola recondogenita
di Labano, moglie del patriarca Giacob-
be, simbolo della vita contomplativa,
mentre Lia, di lei sorella maggiore, essa
puro moglio di Giacobbe, è il simbolo
della vita attiva.
103, Lona: lodo. « Quando passava por
la viale persone correvano per vederla.....
ed ultri dicevano: .... bonedetto sia lo Si-
gnore che sì mirabilmente sa operare; »
V. N. cap. 26. « La santa Teologia cun la
grazia cooperanto, e consumante accom-
pagnata sempre, loda Iddio veramente
e non fintamento, ovvero nell'esercizio
della attività, ovvero nol riposo della
conteniplaziono; » Buti.
105. usclo: fuggì dalla pastura del vul-
go, Conv. I, 1. Il Pootu erasi dato tutto
quanto agli studj per rendersi abile a
parlaro degnamente di Beatrice, dunque
per amor suo, V. N. c. 43. E se poi i suoi
stulj lo trasclunrono nella eelva oscura,
rimaneva pur sempre vero che vi si era
dato per Beatrice.
107. MOKTK: spirituale. « Occursum et
obstacaluin viciorum, qua sunt mors
unimiv, et oppugnant ipeam; » Beno.
[PROEMIO INF.)
Isr. ir. 108-125
[IL CONFORTO) 21
Su la fiumana, ove il mar non ha vanto?
109 Al mondo non fair mai persone ratte
A far lor pro ed a fuggir lor danno,
Com’ io dopo cotai parole fatto:
112 Venni quaggiù dal mio beato scanno
Fidandomi nel tuo parlare onesto
Che onora te e quei che udito l'hanno, ,,
115 Poscia che m’ebbe ragionato questo,
Gli occhi lucenti Jagrimando volse,
Perché mi fece del venir più presto:
118 E venni a te così com’ ella volse;
Dinanzi a quella fiera ti levai
Che del bel monte il corto andar ti tolse.
121 Dunque che è ? perché, perché ristai?
Perché tanta viltà nel core allette?
Perché ardire e franchezza non hai
1% Poscia che tai tro donne bonodetto
Curan di te nella corte del cielo,
108, FIUMANA: granilo impetnona cor-
rento di un finmo, ed anche Dilagazione
delle noque di nn flame, (Qui Ag. per In
salva oscora, più tempestosa del mare.
I più intendono dell'Acberonte, che al
nre mon dà tributo, ma cade all'inferno,
alla eni riva Dante non era ancora, ma
poco lontano. Ma Ja frase ove il mar non
ha canto significa evidentemente che il
mare è meno burrascoso, non già che la
Pumana non gli 4 tributaria. 11 Gelli in-
temle di nn flame scorronto tra la nelva
escuta ed i) dilettoso monte, « il qualo
ora tanto impetuoso, per scendere da luo-
gbi alti, cho Il Poeta dico cho il mare
non Aa vanto, cioò non si può dare il
vanto di superarlo e di tempesta e d'im-
peto. + Dante di un tal fume non fa il
monomo cenno,
110. A FAK: «la carità non cerca il pro-
prio intareano » ; 1. Cor, XITI,5, « J) buon
pastore dà la vita per le suo pecorelle ; »
Giov. X, 11. Ecco dunque Beatrice tipo
del baon pastore.
LIL, FaTre: « dette da Locia, e ascol-
tato da Bentrice, rollecita del bene di
Dante più che non sla mai stata persona
è procacciare la sua salute, fuggendo on
pericolo; » Pass.
113. oxgsTo: « pieno d'onestà o di vir-
th; + Buti, « Degno di ogni onore; » Gelli,
-« Loggindro stilo 6 sontenziono; » Vent.
- « Parlare onesto è qui riferito alla ret-
titndine, alla prudenza o al decoro, in-
somma all'onestà, che Virgilio segultòà
sempre ne'suoi versi il'oro; » Betti. -
« Nobile; » Tom. - « Eloquente; » More.
114. r quet: ofr. Inf. I, 87. « Onora
Virgilio, essendo ammirato per buon poe-
ta, 6 que' che udito l' Anno, insegnando
loro il verace modo di postare; » Cast.
116, LAGRIMANDO: per compassione, —
VOILSK: al cielo,
117. rencuk: vedendola lagrimare,
118, vou.sn: volle,
110. Fiera: Inpa. - TI Lrvat: Dante
area già tenuto dietro a Virgilio, Inf.
I, 136; 1 due Poeti sono quindi lontani
ddall'erta, dove si mostrò la Iupa.
120. IL CORTO ANDAR: « Chi salirà al
Monte del Signore!... L'uomo puro di
cuore; » Sal, XXIIT, 3. Ecco il corto
andar, cioò la via più breve e spedita.
Ondo è nopo tenere un'altra via, cioA
della contrizione 6 penitenza, finchè il
suo arbitrio sarà libero, diritto e sano;
Purg. XXVII, 140,
121. nistar: ti fermi, non mi segui.
122. ALLETTR: alletti, dai ndito, chiami
eil inviti da to stesso tanta viltà, Cfr. Inf.
IX, 03, Enciel. 67.
125.cURAN: son sollecite della ton salute.
O
22 [PROEMIO INF.]
==="
InP. 11. 126-142
[IL CONFORTO |
E il mio parlar tanto ben t'impromette? »
127 Quale i fioretti, dal notturno gelo
Chinati e chiusi, poi che il sol gl’imbianca,
Si drizzan tutti aperti in loro stolo:
130 Tal mi fec'io di mia virtude stanca;
E tanto buono ardire al cor mi corse,
Ch'io comincini. come nersona franca:
133 « O pietos
E tu co
Alle ve
136 Tu m' hai
Si al ve
Ch'io g
139 Or va’, cl
Tu duci
Cosi gli
142 Entrai pei
126. vancan: Inf. T, 112 © sog. - HKN:
Qi saliro alle beate gonti; Juf. I, 121
© seg.
V. 127-142. GU effetti salubri del
conforto dirino. Dopo che gli è solen-
nemente promosso il soccorso della (ira-
zia, lo smarrito riprendo coraggio. Egli
osprime la sua gratitudino o si dichiara
oramai pronto e desideroso di intrapren-
dore il viaggio propostogili.
127. QUALK: <« è inado avverbiale, usato
più volte dal Poeta nelle comparazioni ; »
IL. Vent. - NOTTURNO GKLO:; la rugiada.
J.a notte figura l'ignoranza o l'orrore;
Rom. XIII, 12. 1, Tees. V, 5; il golo la
imancanza di fede e di carità; Apocal.
TI, 15, 16. Lu similitudine è quindi as-
sai parlante.
128. immsiaNnca: rischiara con la sua
luce mattinale, scialba e biancastra; cfr.
Purg. IX, 2. Par. VII, 81. « Imbian-
carsi esprime il passaggio cho fu grada-
tamente un colore da men vivo a più
vivo. Qui, usato attivamente, vale: gl'il-
lumina; » 7. Vent., Son., 141.
130. ran: ini feci ardito; riguadagnai
vigore. - VIRTUTE STANCA : abbattimento
d'animo.
182. FRANCA: intrepida, risoluta; o
forse anche nel senso proprio: Libera,
cioò dalla villate, v. 45.
133. COLKI: quale dolle tro? Beatrice,
como si ha dai versi seguenti. Anche le
i!
Lo
posto
‘oposto, .
sndue:
ro.»
fue,
estro.
altre duo ebboro cura di lul, ma la sola
Boatrico disceso dul cielo nol limbo.
134. CORTIAK: « cortesia e onestade è
tutt'uno; » Conv. 11,11.
135. VKERK: cfr. Par, IV, 95. Quoste
vere parole sono evidentemente quelle
dei versi 61-66, onde Dante contessa già
qui lo suo aberrazioni.
136. pKsipkwuo: d'intraprendore il mi-
stico viaggio da to propostomi.
137. PAROLK: ricordanti l'aiuto celesto.
138. IntorosTO:; proposito di seguirti,
Inf. I, 130-134.
140. puca: cui soguirò. - SIGNOKK: cui
vo’ ubbidire. - Makstiro: cui vo' dare
ascolto. « Tu ducc, quanto è nell'andaro;
tu signore, quanto è alla preemineuza
ed al comandare: e lu imacstro, quauto è
al dimostrare; » Zocc. - « Queste tro qua-
lità che Dante dà a Virgilio saranno da
lui spessissimo impiogate nel corso del
poerna, ma con nu'arte sopraflina; e non
inetterà mai n caso una delle tre, ma sem-
pre a ragion veduta.... E si noti che, pri-
ina di dichiararlo suo duca, suo signore, 0
suo maestro, lo ha procedontomente ap-
pollato col semplice nome di poeta ; » Ross.
142. auro: diflicilo è pericoloso; Inf.
17,12; XXVI, 132. - sILvistRO: impra-
ticato. « Quanto è stretta la via (cain-
anino alto), che conduce alla vita; equanto
pochi son quei che la trovano (cammino
silvestro); » S. Matteo VII, 14.
[PORTA INFERNALE]
CANTO
InF. 111. 1-10
[ENTRATA] 28
TERZO
LA PORTA INFERNALE, IL VESTIBOLO DEGLI IGNAVI
ED II, PASSO DELL’ ACHERONTE
(Ignudi. Corrono, molestati da vespe e ila mosconi)
PER MF SI VA NELLA CITTÀ DOLENTE,
PER ME SI VA NELL'ETERNO DOLORE,
PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE.
4 GIUSTIZIA MOSSE IL MIO ALTO FATTORE,
FECEMI LA DIVINA POTESTATE,
LA SOMMA SAPIENZA E IL PRIMO AMORE.
T DINANZI A ME NON FUR COSE CREATE,
SE NON ETERNE; ED 10 ETERNO DURO.
LASCIATE OGNI SPERANZA VOI CI ENTRATE!
10 Queste parole di colore oscuro
TV. 1-21. Entrata per la porta in-
fernale. Sol cammino alto e silvestro |
doe Poeti sono giunti all'entrata sempre
aperta dell'inferno, sopra la cni porta
Dante legge ona tremenda iscrizione che,
troncando ogni speranza, rinnuva in lui
lo sgomento. Nuovamente confortato da
Virgilio, entrano.
1, PRS ME: parla la porta. — OrrTA : | l'in
forno în. ed in ispecie la parte
più bassa dell'inferno, la città di Dite,
Inf. VIIT, 98; città del fuoco, Inf. X, 22;
» città roggia, Inf. XI, 74, in opposizione
al Paradiso, che è la città di Dio, Inf. I,
120, 128; la Vern città, Purg. XIII, 95;
= la Città dol bonti, Par. XXX, 180.
4. GIUSTIZIA : clreoscrive la SS, Trinità,
coorte massima core. ely oe ad
SIMO Wades babapense LL Vo bo ossi
‘ or DARI
fl Figlinolo,
l'amore lo Spirito Santo, Nel
del Figliuolo, la fer-
carità dello Spirito Santo, »
Segue in ciò San Tommaso, ofr. Sum.
theol. P, I, qu. LV, art. 6.
7. DINAKZI: prima di me, - KON Fon:
l'inferno fu creato per i diavoli, confr.
Matt. XXV, 41, quando Lucifero cadde
dal cielo, cfr. Inf. XXXIV, 121 © seg.,
prima della creazione dell'uomo. Prima
dell'inferno furono create pur cose eter-
ne: i cieli, gli angoli, la terra quanto alla
sua materia: le cose corruttibili, quale la
forma della terra, piante, animali, vomi-
ni, cco., furono create dopo,
4. ETO: eternamente, in eterno.
Benv.: « eterno, idest eterno. » Al. kTRE-
NA, lezione di molti codil. edafarne conto,
essendo la porta che parla. Cfr. Moone,
Orit., 276.
10. COLORE OSCURO : apparenza, 0 sno-
no, logubre.Al.:scritte con inchiostro ne-
gro.-« Le lettere in luogo chiaro poste, a
voler easere ben vedute, convengono ea-
sere di colore oscoro 6 nero, ma, sé sono
poste in luogo oscuro, convengono es-
sere di colore chiaro 6 binnoo, Laonde
veggasi Dante come abbia fatto bene a
24 [PORTA INFERNALE]
INF, 111. 11-23
[ENTRATA]
Vid'io scritte al sommo d’ una porta;
Perch’io: « Maestro, il senso lor m'è duro, »
1 Id egli a me, come persona accorta;
« Qui si convien lasciare ogni sospotto,
Ogni viltà convien che qui sia morta,
10 Noi siam venuti al luogo ov'io t'ho detto
Che tu vedrai le senti dolorose
Ch’ Anne
10 E poi che
Con liet
Mi mise
Quivi, 808
Kisonay
no
ia
fare le lottore oscure in
per voler col senso loro
lottore; + Cart.
11. SCRITTE: da chil I
viaggio per l'inferno i den
sempre di farlo LOrMaro siii,
dovromo arguire che i domoni scrissero
queste parole, che veramente contougono
una verità diabolica. Almono por Dante,
come per quei molti, Inf. IV, 61, il lascia-
te ogni speranza non era per niente vero.
Il concetto: Non penetrare nella con-
templazione del peccato, della sua verace
natara e dello suo conseguenze, non è
certo di origiue divina.
12. DURO: grave, penoso, che affligge,
rattrista, angustia, sconforta l'animo.
« La sentenza importata per questo pa-
role mi è dura; non dico dura, perch’ iv
non la intenda, ma dura è, perocchè dura
cosa wi pure udir che ju debba entrare
iu luogo di eterno dolore e lasciar la spe-
ranza di uscirne mai fuori; » Barg. Ctr.
Ev. S. Joh. VI, 60: « Durus est hic
sOrmo, »
13. ACCORTA : conoscendo le astuzio in-
fernali.
14. QUI: nel laogo del peccato e dell'in-
ganno. - SO8PKTTO: timore, dubitaziono.
16. pero: nol Canto IT, 114 © seg.
18. iL KN: la cognizione e l'intuizione
di Dio; cfr. Petr. Lomb. lib. V, Dist. 49
A. Tom. Aq. Sum. theol. P. INI. suppl.
qu. XCIT, art. 1, 2, 3. S. Giov. XVIT, 3.
« Il Vero è il Bene dello intelletto; »
Conv. II, 14.
19. Posk: mi prese per mano, come
Inf. XIII, 130.
SERIE
ntelletto, »
080
‘ortai,
se,
le,
« secrete cosa dissero i noantri
ondo de' morti. E perciò nel
ansia si dice (lib. I, o, dap)
luto l'avrò, allegro io morrò :
plorioso, alle segrete cose del-
ene woe Mel ; » Telli.
V. 22-69. Iynuvi ed Angoll neutri.
Entrati nel vestibolo il Poeta odo un
gran tumulto di sospiri, piauti, lamuonti,
lingue diverse o favelle spaventevoli. Qui
sono i vigliacchi, mischiati agli angeli
neutri. Ne vede e riconosce uno, quindi
non gli occorrono ulteriori schiarimenti.
Iguudi, e stimolati da mosconi e da ve-
ape, sono condannati a correr dietro ad
una bandiera volubile, instabile, che non
resta ferma un momento, onde non han-
no mai posa. Indolenti, incapaci al male
como ul bene, perchè tanto poltroni, iner-
ti, accidiosi, vigliacchi, buoni a nulla,
vogliono soltanto godersela nel mondo,
idolatrando il dolce fur niente. In ciò
che ambiscono sono tormentati. La ban-
diera è instabile, ed essi che vorreb-
bero sopra ogni altra cosa goder quiete,
devono correrle dietro. Le punture di
femminelle e di geute bassa sono per
loro un torinento d'inferno, così grande
per gente di tal tempra, che invidiano
ad ogni sorte, bonchè di gran lunga più
dolorusa.
22. GuAI: dolorosi lamenti.
23. STELLK: in tutto l'inferno non si
vedono stelle, cfr. Inf. XXXIV, 139;
qui è ricordato espressamente, perchè
questa razza di gente non miraallestelle,
non convece verun ideale, nè religioso,
nè morale, nè politico.
[vesTIBOLO]
InP. 111. 24-38
[IGNAVI] 25
Perch’io al cominciar ne lagrimai.
25 Diverse lingue, orribili favelle,
Parole di dolore, accenti d’ira,
Voci alte e fioche, e suon di man con elle,
28 Facevano un tumulto, il qual s’aggira
Sempre in quell'aria senza tempo tinta,
Come la rena quando a turbo spira,
ai Ed io, ch'avea d’orror la testa cinta,
Dissi: « Maestro, che è quel ch'io odo?
E che gente è, che par nel duol sì vinta? »
dm Ed egli a me: « Questo misero modo
Tengon l'anime triste di coloro
Che visser senza infamia e senza lodo.
87 Mischiate sono a quel cattivo coro
Degli angeli che non furon ribelli
24. AL Commctan: sulle prime, quando
milii quei sospiri, quei pianti e quegli
alti gual.
26. DIVERSE: forse perchè tutti con-
vengon qui d'ogni paese, v, 123; e forse
la voce è nsata anche qui, come altrove,
nel senso di spaventevole; cfr. Inf. VI,
13; XXII, 10.- oRRIMLI FAVELLE: bo-
stemmia, cfr. v. 103 e seg. Alla besten-
mn i vigliacchi sono sempre pronti.
26. raroce: confr. Virg. Aen. IV,
665-67.
27. 8UON DI MAN: rumore di mani per-
Coase; non si percnoton > vicendevolmen-
te, che n ciò son troppo poltroni, ma si
battono le mani per disperazione.
28. UN TUMULTO: un gran tomulto.
Un nel senso di un grande, un tale, ecc.
usarono spesso gli Antichi.
29. GENKA TEMPO: in eterno. L' eter-
nità non ha tempo. - TINTA: oscnra, ca-
* Aria oscura senza variazion
cioè sempre oscura; » Moss.
30. COMR: «tamquam pulvisante faciem
venti; » Pal. XXXIV, 5. Non aggnaglia
Il tomalto di quello strepito infernale con
dell'area, ma fa soltanto un pa-
ragone tra rarsi di quel tnmulto e
rena nel tarbine, Il quale
: ‘arm eer s=A TUR
noi. quando vento spira a modo di tar-
BO ory ag QUANDO IL
lo sla la lezione genvina.
on por quello spaventevole
wave’ Wo; bon possibile de-
tnmalte 6 lo parole di colore oscuro. È
il Virgilinno: At me tum primum amvie
circumatetit horror, Aen. II, 650. Arrecter-
que horrore comm; ibid, IV, 280. Al.
D'rirOR, spiegando: d'ignoranza; ma
errore ed ignoranza sono due cose troppo
diverse. Cir. Z, F.,14 è seg. Moons, Crit.,
275 e sog.
32. cur È: domanda che esprime in nn
medesimo tempo e l'orrore ola vagherza
di sapere.
33. vinta: abbaltuta; lat. vieta dolore;
ridotta a tale, da non poterne più, i] do-
lore essendo troppo forte,
85, tRISTR: malvagie, aciagurate.
36, BENZA INFAMIA : senza commottero
azioni tall, da rendersi infami, nà tali da
moritarsi lode. « Erano intorno a sì bassa
e misera materia, che di sè non davano
alcuna cagion di parlare, e perciò si pod
dire che semza infamin vivessero; e senza
lado, cioè sonza fama, perciocch’ come
del Joro malo adoperare è detto, il simi-
gliante dir si pnò se alcun bene adope-
ravano; » Bocc.- « De Ipsia nulla reman-
sit fama nec infamia; » Serrav. - I più
leggono SENZA FAMA, cho Ren, spiega:
«sine virtute et valore. » Ma se lodo è
la stesso che fama, si avrebbe nna ri-
petizione inntile. Onst.: « I migliori testi
hanno: senza infamia. » E leggendo sen-
za fama, || Poeta si ripeterebbe pol an-
bito, v.49, Cfr. Z. F., 16. Fan, Stud., 144
6 seg. Moonk, Crit., 276 © seg. - LODO:
lode, lodn; nnticamente anche in prosa.
Danto l' naa soltanto qui in rima,
26 [VESTIBOLO]
Inv. 111, 39-55
(IGWAVI]
Né far fedeli a Dio, ma per sé foro.
40 CacciArli i ciel’ per non esser men belli;
Né lo profondo inferno gli riceve,
(‘hé alcuna gloria i rei avrebber d'elli, »
43 Ed io: « Maestro, che è tanto greve
A lor, che lamentar gli fa sì forte? »
Rispose: « Dicerolti molto breve.
46 Questi no.
E la lor
Che im
49 Fama di |
Miserio
Non rag
52 Ed io, che
Che gir
Che da’
E dietro |
[as |
in
89. rono: furono; non è apocope di
furono, ma voce intera in sé stessi. Foro
(e fuoro) fu adoperato anticamente sposse
volte anche in prosa; cfr. Nannuc. Voci,
14 e seg.-Suppone che, quando Lucifero
si ribellò contro Dio, alcuni angeli rima-
nossero nentrali, volendo veder |’ esito
delia lotta, prima di decidersi. Un con-
cotto alline fu esternato fin dal torzu secolo
da Clemente Alessandrino, Strom., 7. A
qual fonte Dante lo attingesse non si sa.
40. CACCIARLI: gli scacciarono. Al. CAC-
Ciani. I cieli gli discacciarono una volta
por sompre; « Proivetus ost draco illo
magnus,... et angoli cius cnin illo missi
sunt; » Apocal. XII, Y. Ma lo profondo
infernoricusa cuntinuamentedi riceverli,
chè, easendo invidiosi d'ogni altra sorte,
vi andrebbero giuso se fosse loro cou-
cesso. Cfr. Z. F., 16. - MEN BKLLI: non
sarebberu perfetti, so onti senza carat-
tore vi avessero albergu.
42. ALCUNA : qualche. Dirimpetto ai
dappoco gli scellerati energici potreb-
bero veramente gloriarsi di essere da
più di loro. Al. niuna. Ma nelle opere
di Dante alcuno non ha mai il senso di
niuno, cfr. Inf. XII, 9. Tnoltre, se lo
profondo inferno non li riceve, ciò von
può essere cho per non dar mutivo ui .
dannati di vantarsi. - KLLI: lut. illi =
loro.
1orte,
394,
a sorte.
n lassa;
degna.
rda e passa, »
segna
tte
idegna.
a
46. NON HANNO: non l'ha nessuno nel
mondo di là; ma costoro la afferrereb-
bero con givja. Avendu la coscienza della
loro assoluta nullità, sarebbe per questi
poltroul e vili mutabandiera un gran
conforto, se potessero sperare di ritor-
naro quando che sia nel loro elemento
- nel nulla.
47. CIKCA: oscura; cfr. Inf. 1V, 13;
VI, 93; X, 58; XXVII, 25, ecc. « La
vita ch'essi conducono come clechi in
quell'aria senza stelle; » Letts.
48. D'OGNI ALTRA: dunque ancho dolla
sorto di que’ cho sono nol profondo in-
forno. Vi andrebboro, ma sso non li
riceve.
49. Lassa: lascia; nel mondo non è ri-
masta di loro voruna memoria.
60. MISKRICORDIA: poichè non li vuole
né il Paradiso nè il Purgatorio, e nem-
meno il basso inferno. - BDKEGNA : rigetta.
52. INSKGNA: stendardo, bandiera. «Quia
omnes isti ribaldi trahupt ad unum si-
gnum, neo discernantur aut distinguun-
tur inter se> (î); Benv. Peri mutaban-
diera ci voleva lu bandiera. Essa gira
sempre e sempre corre; © gl’ ignavi div-
tro! Il loro carattore è la loro pena.
53. GIRANDO: roteando,
64. INDKEGNA: aliena, indignata, sdo-
guante. Al.: Immeritevolo.
65. TRATTA: schiera.
Inv. 111. 56-63
(1a@Nav1] 27
Di gente, ch'io non avrei mai creduto
Che morte tanta n’avesse disfatta.
58 Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,
Vidi e conobbi l'ombra di colui
Che fece per viltate il gran rifiuto.
61 Incontanente intesi e certo fui
Che questa era la setta de’ cattivi,
A Dio spiacenti ed a’ nemici sui.
59. coLut: secondo i più 4 questi papa
Uslastino V, che i maneggi fraudolenti
del sno successore Bonifacio VILI indus-
sero nd abdicare il papato, Fenp. dice
che sin da‘ anol tempi questa era l'opi-
nione « communis et vulgaris fore om-
ninm. » Infatti così avovano inteso Eam-
bagl., An. Sel, Jac. Dant., Lan., Falso
PBoce., ove. L' Ott. riferisce questa opi-
nione con un « Vuole alcuno, » ma senza
decidersi. Petr. Dant. intende pure di
Celestino V, aggiungendo però « ut cre-
do.» 1) Cass., seguito da altri, intende
ili Diocleziano che in vecchiaia rinunciò
all'Impero. Bore. confessa: « Chi costui
ni fosso non sì sa nssal certo, » © riferi-
oo quindi lo opinioni a Ini note senza
diecidero, Bene. fa nn longo elogio di
Celestino V, combatte In communis et
vulgaris opinio, ponendola tra le vana
Jiarg., Land , Vell,, Gelli, Dan., Cast., ove.
ritornarono all'antica comune opinione,
accettata dalla gran maggioranza dei mo-
derni, e che per fl Betti è « cosa quasi
di dobbia. » A questa opinione non
Il fatto, che Celestino fu canoniz-
pololid il relativo docreto
nanni negli archivi papali,
mon conoscìinto nel mondo. Ma avendo
fl Poeta subito conosciuto quell'ombra,
ne deriva por necessaria conseguenza
Sal aloni ie personaggio veduto
conosointo Jante in questa vita,
e pe sembra probabile che egli
Vedasa n conoscesse personalmente papa
Celestino V. 11 Mazz. risponde: « Non
a verno veduto chi sa quante volte
pl» Poteva averlo veduto, e po-
Ù
tevannche non averlo veduto. « Il ritratto
d'un papa è cosa tanto difficile a trovar-
si?» Nella seconda metà dell'Ottocento
facilissima, negli altimi del Dagento dif-
fiolle naaai. « E veduto il ritratto d'una
persona, e d'una siffatta persona, non
è forse ngerole riconoscere Ja persona
stesani» Nell'Ottoconto sì, nel Dugeuto
no, Gli artisti d'allora non riproduce-
vano colla maggior possibile esattezza |
lineamenti del volto ecc., ma facevano
ritratti e statne più secondo il loro ideale
che secondo la natura. Inoltre, checchè
Dante pensasse dell'abdicazione di Ce-
lestino V, non al pod in vernon modo
concedere, che e' lo menzionaase tra'prin-
cipali della setta de' cattivi, a Dio spia-
centi ed a’ nemici sui. Alcuni vedono
nel vigliacco innominato Angnatolo, altri
Uinno della Della, altri Vieri dei Cer-
chi, eco. Ma questa è cosa molto incerta
e nient'altro che indovinare, Avendo
Dante taciuto |i nome del personaggio,
dovremo confessare di non conoscerlo.
Volendo ciò nonostante accingersi a scio-
gliere questo enigma forte, giova tenor
presente alla mente: 1° che il gran ri-
fiuto è anteriore al 1300; 2° che chi lo
fuco era già passato ni più nella prima-
vera del 1300, opoca fittisia della visione
dantesca; 3° che Dante conobbe perso-
nalmente in vita il personaggio, nven-
dolo riconosciuto nel mondo di là, ap-
pena adocchiatolo, Cfr. BanLow, Il gran
rifiuto, Lond,, 1862, e ital. Napoli, 18614.
Gorscurr nel Dante-JahrbueA, I, 103 è
seg. Tonksciuxi, Scritti Dant. I, 202 è
seg.: 11,950. Viviani in Opuse, Ral., Mor.
et Lett, di Modena, 1875 luglio è agosto,
p. 3-47. Vaewrunt, Colwi che fece per villate
il gran rifiuto, Roma, 1875. Moonn, Crit.,
278. Bull. 1,1,45. 11,1, 26 e seg. 11, 4,181,
63. a’ NEMICI: ni diavoli. 1 poltroni,
mutabandiera, sono disprevznti non pur
dai buoni, ma e dal malvagi.
28 [VESTIBOLO]
InP. 111. 64-78
[ACHERONTE |
64 Questi sciaurati che mai non fir vivi,
Erano ignudi, e stimolati molto
l)a mosconi e da vespe chi’ eran ivi.
07 Elle rigavan lor di sanguo il volto,
Che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi
Da fastidiosi vermi era ricolto.
70 E poi che a riguardare oltre mi diedi,
Vidi ge n Hume;
Perch’i, mi concedi
73 Ch’ io sap! costume
Le fa di onte
Com’ io lune. »
76 Ed egli a conte
Quando ‘i passi
Sulla tr
Gi. vivi: non ebber n
buone nè per cattive opa,
detrimento dico questo
essere morto, pareti VIVE... - — 2. renee
morto il malvagio uomo diro si può....
Vivere nell'uomo è ragione usare. Dun-
que se vivere è l'ossere dell'uomo, 6 così
da quello uso partire è partire da essere,
e così è essere morto. » Conv. IV, 7.
60. MOSCONI K VKSI'K: « hice enim ani-
malia generanturex putrefactione et su-
perfluitate, ideo bene cruciant istos mi-
veros; > Benv. Per le bassezza dl’ unimo
non occorrono grandi tormenti; bastano
alcune punture, e fosser pure di linguo
volgari. La bassezza dei loro scopi 6
aimboleggiuta nei vermi cho raccolgono
il loro sangue. Simbolo del fine o dello
sollecitudini di questi ignavi sono le la-
grime spremute loro dalle punture.
69. VERMI: il sangue di questi sommi
eroi, versato nolla terribile guerra con-
tro nemici tanto formidabili, quali i wo-
sconi e lo vospe, non torna a profitto
che a certi vermi schifosi, i quali van
serpeggiaudo a’ lero piedi. Ond' essi, dei
quali non c'è altro da dire, se non che
son fatti pusto dei vermi, sono adopotati
alla meglio, secondo la legge doll’ econo-
min naturale. Cfr. Grated, 33.
V.70-136. Il passo del? Acheronte.
Sono giuuti alla riva di un gran finme,
primo dei fumi infernali. LA conven-
gono tutte quante le anime dei perduti,
per essere trasportate da Caronte al-
l'altra ripa ed andarscue «al loro luogo»
to, »
). Coronte procara, come fa-
tard) altri domoni, di apaven-
pod) farlo tornare indiotro.
oe ll Theol dl voloro supremo,
aude Caronte sfogu Uimpotonte nua ira
battendo le unimo dei dannati. E Vir-
Rilio conforta il suo alunno, osservan-
dogli che VP ira di quel demonio, gli è in-
dizio dolla propria salvazione. Ad un
terremoto succede un balono, e Dante
cade come uomo addormentato.
71. FIUMK: Acheronto, 0 fiteane del do-
lore, per il quale, secondo le credenze
dell'antichità classica, le anime se no
vanno ulle peno infornali; cfr. Virg. Aen.
V, 99; VI, 107, 295; VII, 91, 312, 596;
XI, 23. Danto attinse ampiamento alla
mitologia autica, facondone però un uso
da poeta cristiano.
73. COSTUMK: poeticam. per Ordine sta-
bilito, Prescrizione, Legge; cfr. Inf.
XIV, 21. Purg. I, 89.
75. DISCKUNO: so il lume era fluca,
il Poeta non poteva leggore loro in
volto. LBisoguerà dunque supporre, che
quelle povere animo si atfollavano, pro-
curando ognuna «di entrare la prima
Della nave di Caronte. - FIOCO: debole,
languido. « Come è oscura ad inten-
der lu voce fioca, così si può dire lo
lume fioco, quando non è chiaro; come
la voce fioca, quando non è chiara; »
Buti.
76. CONTE: maniluste, palesi; cfr. v.
121 o sog.
78. THISTA: dolorosa. - ACHKRONTE:
[vesTtIR01,0]
70
INF. 111. 79-100
Allor con gli occhi vergognosi e bassi,
Temendo no’! mio dir gli fosse grave,
Infino al finme di parlar mi trassi.
Ed ecco verso noi venir per nave
Un vecchio, bianco per antico pelo,
Gridando: « Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo.
I’ vegno per menarvi all'altra riva
Nelle tenebre eterne, in caldo e in gelo.
E tu che se' costi, anima viva,
Pàrtiti da codesti che son morti. »
Ma poi ch’ ei vide ch'io non mi partiva
Disse: « Per altra via, per altri porti
Verrai a piaggia, non qui per passare;
Più lieve legno convien che ti porti. »
E il duca a lui: « Caron non ti crucciaro.
Vuolsi così colà, dove si puote
Ciò che si vuole, e più non dimandare. »
[ACHERONTE] 29
97 Quinci fir quete le lanose gote
Al nocchier della livida palude
Che intorno agli occhi avea di fiamme ruote.
100 Ma quell’anime, ch’ eran lasse e nude,
Ayépmv, fiume dell'Avorno; ofr. Hom.
Od. X, 513. Virg. Aen. V1, 205.
80. TRMENDO NO "L: temendo che; è il
lat. server ne. Al. TRMENDO CHE: - GRA-
vr: im .
81. mi TRASSI: mi aatenni.
83. uw vecemo: il ritratto di Caronte
è sssenzialmente imitazione di Virgilio,
Aen, VI, 208 e seg. Attenendosi alla sen-
tenza di S. Paolo, I, Cor. X, 20: « Que
immolant gentes dremoniis immolant et
non Deo, » Dante fece delle divinità mi-
tologiche demonj. Caronte è l'antitipo
Catone, il venerando gonr-
diano del Porgatorio; of. Purg. 1,31 eseg.
4. rravR: dannato.
#7. caLDO Remo : cfr. S. Matt. XIII,
42: è Et mittent eos in caminnm ignis:
ibi erit fetus ot stridor dentium. »
88, R Tu: volge la parola n Dante, -
tiva: In senso duplice: non ancora se.
parata dal corpo, 6: non dannata; cfr.
v. [27 è seg.
89. retro: allontanati. - MORTI: sciolti
dal corpo e dannati.
Ol. ALTRA: dal fotnro verrai si può por
nvrentura Inferire, che Caronte allnde
iin via ed ni Lieve legno del Purg. II.
dI, Canon: Xdpwy, figliuolo dell'Ere-
bo o della Notts, vecchio è lordo bar-
caimolo dell'Averno; efr. Virg. Aen. VI,
205 è seg.
05. COLA: in cielo; cfr. Inf. V, 23 0
seg.; VII, 12 è seg.
DO, E IM: «quasi voglia per questo dir-
gli,non è convenovrole che ate si dimostri
la cagione della volontà di Dio; » Boece.
07. KAKOSR: barbute; ofr. Virg. Aen.
VI, 102: « Dt primam cesait furor et
rabida ora qnierunt. »
08. raLuni: cfr. Inf. VII, 100, LIvIDA
PALUDE, per palnde di acqua bruna, è
il vada livida di Virgilio, Aen. VI, 320,
09. ruorgr: cerchi ili fnoco, Segno di
grandissima ira, cagionata forse dal-
l'napetto dell'anima viva; ofr. Virg.
Aen. VI, 300; stant lumina fflamma.
100, r.AsaR: in conseguenza della re-
conte separazione dal corpo. - NUDE:
« IM consiglio o di ninto ; » Bocce, - « Spo-
=
30 [VESTIBOLO]
InP. tir. 101-114
[ACHERONTE]
Cangiàr colore e dibattéro i denti
Ratto che inteser le parole crude.
108 Bestemmiayano Iddio e lor parenti,
L'umana spezie, il luogo, il tempo o il semo
Di lor semenza e di lor nascimenti.
106 Poi si ritrasser tutte quante insieme,
Forte piangendo, alla riva malvagia
Che atti
109 Caron dim
Loro aci
Batte ci
112 Come d'a
L'una a
Vede al
liatvws veste corporis ;» B
di vestimenti, così d'ogn
Buti. - «Senza corpo; » di
gliate de' corpi, e private
gione; » Barg. — « Spoglia__
voramonte nude della divina grazia, n nu-
do d'ogni riparo; » Land. « È da notaro
cho Dante, per quanto pare, dà questo
epiteto alle anime quando vuol porre in
evidenza la miseria di loro condizione;
per il che l’attribuisco soltanto alle ani-
me del dannati o non mai a quello del
Purgatorio; » Blane. Cfr. @. Vill. Cron.
I. VIII, 69: altri aveano figura d' anime
ignude, ciod nella rappresentuzione delle
pene infernali.
101. CANGIAR: tramortirono. I corpi
aerei hanno non solo ta forma, inn ancho
il colore del corpo materiale. Clr. Purg.
III, 31 o seg.; XXV, 79-107. - vibat-
theo: cfr. S. Matt. XIII, 42: Ibi erit
Jletus et strider dentium.
102. RATTO CHE: subito che. - PAROLE:
v. 85-87.
103. Jopro: conforme la dottrina sco-
lastica, che i dannati inveiscono tanto
più contro Dio, quanto più sono colpiti
dalla Sua giustizia. Cfr. Tom. Aq. Sum.
th. II, 11, 13, 4. Inoltre essi maledicono
gli antenati, i genitori, tutti gli nomini,
il luogo ed il tompo in cui, ed il somo
di cui furono generati e nacquero. L'idea
6 tolta da Giobbe III, 3 0 seg. e da (lere-
aia XX, 140 seg. Il seme di lor semenza
sono i progenitori; il seme di lor nasci-
menti i genitori. Maledicono / umana
specie, perchè Vorrebburu essere bruti,
Dio non teme.
gia
icoglio;
dagia.
lie
in che il ramo
poglie:
na muore col corpo. Vorreb-
nina non esser mai nati, od
animali, - € Lon: Al. k1 Lou,
tassi: Al, RACCOLSER. — IN-
_A essendosi separate dal corpo
nol medeatino istanto, eran vennte l'una
dopo l'altra.
108. ATTKNbK: « la riva d’ Acheron
aspetta ciascun che non teme Dio. Chi
non teme Iddio è dannato, et ogni dan-
nato è aspottuto da quella riva; » Buti.
109. DI BRAGIA: necosi d'ira.
110. RACCOGLIK: nella sua navo.
111. 8'ADAGIA: si mette in positura più
comoda, che nou è lo starsene ritto. Al.
s'indugia, fa adagio ad entrare nella
barca. Ma so sono tanto pronto di tra-
passare, v. 74, so. spronati dalla divina
giustizia, desiderano di trapassar lo rio,
v. 124 e seg., esse non fanno certo adagio
ud entrar nella barca. « S'adagia, a se-
dere o in altra guisa; » Bocce. - « Retar-
dat ire ;» Benv.- « Non va tosto; » Buti.
« Percutit Remo quemcumque tardan-
ton; » Serrav. - « Turda al montare; »
Barg.- «Diventa agiato o tardo;» Land.
- «Tarda troppo; » Vell. - « S'accomo-
da;» Dan. Gli altri antichi tirano via.
- Una controversia au questo verso fu
iniziata da OnksTK ANTOGNONI, Saggio
di studi sopra la Com. di D., Livorno,
1893, 0 contin. du G. MakuFri, G.SKNk è
Unmuxtro NOTTOLA ; cfr. Giorn. D.I,217
© ser.; 334 6 80g.;4600seg.; II, 209 © seg.
112. come: similit. tolta da Virg. Aen.
VI. 209 e seg. Cfr. T.. ViNT. Stm., 1323.
114. VEDK: così il più dei codd. e molte
[VESTIROLO]
Inv. 11. 115-134
[ACHERONTE] 31
115 Similemente il mal seme d’Adamo
Gittansi di quel lito ad una una
Per cenni, come augel per suo richiamo.
118 Cosi sen vanno su per l'onda bruna,
Ed avanti che sien di là discese
Anche di qua nuova schiera s’aduna,
121 « Figliuol mio, » disse il maestro cortese,
« Quelli che muojon nell'ira di Dio
Tutti convegnon qui d’ ogni paese;
124 E pronti sono a trapassar lo rio,
Ché la divina giustizia gli sprona
Si che la tema si volge in disio.
127 Quinci non passa mai anima buona;
E però se Caron di te si lagna
Ben puoi sapere omai che il suo dir suona. »
130 Finito questo, la bnja campagna
Tremò si forte, che dello spavento
La mente di sudor ancor mi bagna.
133 La terra lagrimosa diede vento,
Che balenò una luce vermiglia,
ediz. Cfr. Virg. Georg. IT, 81 © neg.: Marit
ad omlun ramix felitibua arbor Miratur-
que novas frondes st non rua poema. Al.
RESON ALLA TERRA, lezione che il Moo-
ni, Orit., 278 © sog, trovò in soli 6 dol 240
told. da lul esaminati. Cir, X. P., 100
seg. Vip lossoro Lan., Cass,, Jince.,
FJleno., Buti, Serrav,, Rarg., Vell., Gelli,
Cart., ecc.
115. MAL seme : gli empl, ora dannati.
110. bi QUEL Lrro: già nella barca.
117. cent: di Caronte. - COMR AUGRI, :
Virg, Aen, VI, 209 è neg.: «Quam multa
in silvia nutumni frigore primo Lapaa
cadant folia ant nd terram gurgite ab
alte Quam malk glomerantur aves, + -
«Qui fa la similitodino de'l' nocolliore
che richiama lo sparriaro con I’ uceel-
o lo isla con I alla dello poenno,
ool pollastro, © cinsonno con
quel di che l'necollo è vago;» Buti.
118. muuma: Virg. Aen. V, 2: fuctuaque
of aquilone seeabat,
120, BVOTA Betica : muojono in torra
media ogni minuto 60 persone, le quali
non vanno tutto a ca’ del diavolo. Se
vdarante il tragitto si ndnnn nto-
tragitto deve duraro al-
SELLE
121, piotivon: dosso Virgilio rispon-
do alla slomanda di Tlante vw. 72-75.
122. Seu IRA: fuor della divina gra-
sin, rimanendo impenitenti sino agli
estremi.
124. Lo mò: AI. ber ito,
126. RI VOLGR: af muta. - pISTO : di al-
lontannrai quanto più possono dla quel
Dio, col bestemminno od odiano,
127. IUOKA: anima viva, v. 88, non
dannata.
120, suona: signillea. Dal oruccio di
Caronte puoi argnire che sei destinato
alla salvazione.
130. QUESTO: le parole di Virgilio, v.
121-120. — nusa: « perché ivi non ha nd
Sole nè stelle; e ancora bnja per la oscu-
rità de’ peccati; » An. Fior.
131, trEMÒ: ofr. S. Matt, XXVIIT, 2.
Inf. IX, 646 sog.
132. MENTE: memoria; primo caso, Il
Bolo ricordarmi dello spavento avuto mi
fa ancor mleaso andare,
104, LAviniMoRA : el. ¥. GR, 107. — tne
ur: spirò, Si credova che il terremoto
fosso prodotto da aria serrata nelle vi-
noero della terra.
134. natrexò: sfolgorò a guisa di ba-
leno. Credettero gli antichi, che le esa-
32 [cero Primo] INF. 11. 195-136 — 1v. 1-2
[LA LOCALITÀ]
La qual mi vinse ciascun sentimento;
136
lazioni frigide della terra fossero cagione
dol vonto, oO cho innalzamdoni è invon-
traindosi nello nubi gonorassoro i lampi
e i tuoni, Cfr, Cie. De divinat, LIL, n, 44.
Purg. XXI, 65 e seg. Inf. IX, 67 è sog.
135, MI VINSE: mi foco perdere tutti i
sensi,
136. canni: l'occhio 7
pPresuppone un sonno di
Svogliatoei Dante si trow
dell'Acleronte, Come vii
in poi è opinione comune
sonno il Poeta fosso co)
riva da un Angelo, opi
confermata dal passo |
TX, 640 sog., come pori
TX, 526 seg, Ma nol pi
gelo è menzionato espi
secondo si raccoula come
su in alto il Poota duran
Perchè in questo luogo
E caddi come l’uom cui sonno piglia.
nima monziono di un Angelo! Non sl ha
più cho vento, baleno o tuono, ma non
un nolo attributo degli Angeli. Vera
mente, sulle prime Caronte si rifiutò di
tragittaro il Poota, ma al acquetò poi,
uilite lo parole di Virgilio ed i verai 97-09
fa «porre cho in fatti lo tragittasso,
aver detto che Caronte si acque-
invesse voluto accennare ul un
) diverso dall'ordinario, operato
o di un Angelo, dovremmo vo-
napoettarei qualche cosa di più
uote, vento, balono è lo ator-
del l'oota, Allegoricamente, 8.
18: «fl vento apira dove vuole;
ine vili, ma non sai d'onde ven-
vo vada; così avviene a chiau-
0 di spirito, » Il Poeta descrive
mordi della sua nascita di Spi-
i B0NXO: Al. CHE IL BONNG; off,
CANTO QUARTO
CERCHIO
PRIMO:
- —
IL LIMBO
INNOCENTI, PATRIARCHI E UOMINI ILLUSTRI
(Non hanno pono positive, ma solo privaziono della beatitudine)
Ruppemi l’alto sonno nella testa
Un greve tuono, sì ch'io mi riscossi
V. 1-24. La località. Un greve tuono
che viene dall'abisso, su la cui proda i
due viandanti sì ritrovano, sveglia il
Poeta dal suo profondo s0uno. Si guarda
attorno, e sl accorge di ossoro nell’ in-
forno. Confortato da Virgilio, cho non sa
nascondore il proprio turbamento, pro-
sogue il viaggio, o si trova nel primo cor-
chio infernale, ossia nel Limbo. Del due
Limbi degli Scolastici, limbus infantum
o i. patrum (cfr. Thom. Aq. Sum. theol.
P. III, Qu. LXIX, art. 1 è seg.; art. 6),
Manto foco uu solo, poncudo al disopra
il vestibolo degl'ignavi che è sua crea-
zione originale. Per la topografia del
Poema rimandiamo una volta per tutte,
tra i tanti, ul lavoro seguente: Giov.
AGNKLLI, Z'opo-cronografia del viaggio
Dantesco, con XV tavole. Milano, 1801;
per l' interprotazione cfr. 1°. BorTAGISIO,
11 Limbo Dantesco. Studi filosofici e let-
terari, Padova, 1898.
1. ALTO: prolondo; « sopor altus; »
Virg. Aen. VIII, 27.
2. tuoxo: il rumoro infernale, tuono
d'infiniti quat, v. 9. Così An. Sel., Buti,
A
[CERCHIO PRIMO]
INF, 1v. 8-20
[LA LOCALITÀ] 83
Come persona che per forza è desta.
‘ E l’occhio riposato intorno mossi
Dritto levato, e fiso riguardai
Per conoscer lo loco dov’ io fossi.
7 Vero è che in su la proda mi trovai
Della valle d’abisso dolorosa,
Che tuono accoglie d’infiniti guai.
10 Oscura, profonda era e nebulosa
Tanto, che, per ficcar lo viso al fondo,
Io non vi discerneva alcuna cosa.
13 « Or discendiam quaggiù nel cieco mondo, »
Cominciò il poeta tutto smorto;
« Io sarò primo, e tu sarai secondo. »
Ed io, che del color mi fui accorto,
Dissi: « Come verrò, se tu paventi
Che suoli al mio dubbiare esser conforto ? »
Ed egli a me: « L’angoscia delle genti
Che son quaggiù, nel viso mi dipigne
Lomb., Biag., Ross., Tom., Camer., Cam-
pi, Berth., Pol., ecc. Molti non danno ve-
spiegazione di questo passo (Lan.,
Dant., Cass., Benv., Vell.,
«= Ces., Br. R., Frat., Andr.,
Corn ); Jac. . > «Jt trono di
tutti pechatti. » 11 Boece. mostra cho nn
vero tuono non può aver Inogo noll'In-
ferno, poi continna: « Perchà nssni chia-
ro puote apparere, l'antore por questo
tuono intendere altroche quello cho Ia lot-
tera anonn.» Foleo Boee.; + T dotti de'anvi
oe valenti hnomini. » Land.: « La grazia di
Dio, » Altri intendono di un vero tuono
anccesso al ape accennato a analy a4,
© spiegano: « La campagna infernale si
senote terribilmente, un balono vermi-
a
, — Div. Comm., 3" ediz.
tro, Cir. ANTONA-Traversi, Il greve
tuono Dantesco, Città di Castello, 1887.
5. LEVATO: era caduto, III, 136, od
nvera dormito, v. 4, tanto, che l' occhio
ano avena potuto riprendere In capacità
visiva perdntasi all'improvviso balenare
della luce vermiglia.
7. vero &: è cos); frattanto. - PRODA :
orlo, como Inf, XXXI, 42,
9. TUONO: il frastuono internale, già
nocennato nel v. 2,
11. rer FICCAR: per quanto fissassi gli
nechi al fondo.
12. ALCUKA: AL VERUNA.
13, circo MONDO: l'Inferno, privo di
luoo; cfr. Inf. VI, 03; X, 68; XXVII,
25, eco, S. Matt, VIII, 12; XXII, 13;
XXV, 30. Sapienz. XVII, 21. S. Giuda
v. 6-13,
15. rrimo: « hoe dicit, quia Virgilins
primo doseripsit latino istam matoriam,
ot otiam quin ratio semper debet prm-
colero; » Benv.
10, coLor; smorto, — ACCORTO : l'oron-
rità impediva il veder chiaro.
18. suoni: lo nveva confortato nella
selva, I, 91 © sog.; nella costa, quando
dubitava d'intraprendere il viaggio, II,
42.6 sog.; all'entrata della porta, 111,130
sog.; dirimpetto a Caronte, IIT, 127 eseg.
34 [CERCHIO PRIMO] INF. 1V. 24-39 [INNOCENTI]
Quella pietà che tu per tema senti.
22 Andiam; ché la via lunga ne sospigne. »
Così si mise e così mi fe' entrare
Nel primo cerchio che l'abisso cigne.
25 Quivi, secondo che per ascoltare,
Non avea pianto, ma che di sospiri,
Che l'a = - emare;
28 Ciò avvel dri
Ch’ave nolte e grandi,
D'infa viri,
31 Lo buon i on dimandi
Che sp vodi?
Or vo' | più andi,
dA Ch'ei non no mercedi
Non ba ‘' battesmo
Ch'è pi credi;
97 E se furor smo,
Non adorar uevitamente 1/10;
E di questi cotai son io medesmo.
21. rIKTÀ: più giù illecita; qui no, per-
chè il cerchio non è abitato da malvagi;
cfr. DELLA Ton, La pietà nell'inferno
Dantesco, Mil., 1893. - 8KNTI : interpreti,
giudichi, credi che sia timore.
22. sosPIGNK: ad affrettarci.
23. così: così dicendo. - 81 MISK: en-
trò primo. Al. MI MIS5K; BI MOSSE, ecc.
Cfr. Moonk, Orit., 279.
V. 25-45. Gli innocenti. Sono nel
limbo, dove non hanno lego pone posi-
tive, ma soltauto negativo: privazione
della beatitudine, quindi sospiri e dolori
senza martirii. Qui turbe molto e grandi
di morti senza battesimo, non per altro
esclusi dal cielo, che per mancanza di
tude. Sant'Agostino: «Ci ereasti, o Dio,
n te; ed inquieto è il cuor nostro finchè
riposi in te. » Nel mondo di là questa
inquietudine è eterna. Chi non conseguì
il fine suo nel tompo, nell'otornità non
lo conseguo più.
25. BKCONDO CHK: per quel che si po-
teva giudicaro all’ udito, Vedere nun si
poteva, essendo troppo oscuro.
26. MA CHK: non più che; lat. magie
quam; spagn. mas que. Al. PIANTO O
MAL CHR; clr. Z. F., 196 seg. Betti, I, 24.
29. MOLTK: molte le turbe, ed ogni
turba grande, comprondendo ognuna di
esse grandissima quantità di animo. Al.
CH' KRAN MOLTO GRANDI; cfr. Z. F., 20
© Bef.
30. INFANTI: bambini morti senza bat-
tesimo. - VIRI: nomini.
33. ANDI: vada. «In luogo di vo, vat,
va gli antichi diceano andi, ando, anda; »
Dan.
34. NON PECCARO: attualmente. - MER-
crbi: meriti, cioè di buone opore.
36. rani: Al. rowra. Per quosta se-
conda leziono si fa valore, che il batte-
simo è detto janta sacramentortun. Ma
non janua fidei! Dicono inoltre, che la
fede de' cristiani non ha diverse parti.
Ma diversi articoli! Bocc.: « Gli articoli
della fedo son dodici, dv’ quali dodici è il
battesimo uno.» An. Fior.: « 11 battesi-
mo è uno degli articoli della fode. » Beno.
Ramb,: « Baptismus ost articulus fidei,
et per consequens pars. » Un poeta mo-
dernoavrubbo probabilmentescritto ror-
TA; secondo la gran maggioranza dei
codd. e dei comm. antichi, Dante scris-
#6 L’ARTK. Sembra anzi che nessun cod.
abbin rorra; cfr. Moong, Orit., 25,
ut. 36. Encicl. 1545 © seg.
38. DEBIFAMENTK: non avendo creduto
in Cristo venturo; Zar. XXXII, 24.
Cir. S. Giov. X1V, 6. Atti IV, 12.
[CERCHIO PRIMO]
InF. tv. 40-59
[DISCESA DI CRISTO] 35
40 Per tai difetti, e non per altro rio,
Semo perduti, e sol di tanto offesi,
Che senza speme vivemo in disio. »
4 Gran duol mi prese al cor quando lo intesi,
Però che gente di molto valore
Conobbi che in quel limbo eran sospesi.
46 « Dimmi, maestro mio, dimmi, signore, »
Comincia’ io, per voler esser certo
Di quella fede che vince ogni errore;
49 « Uscicci mai alcuno, o per suo merto
O per altrui, che poi fosse beato? »
E quei, che intese. il mio parlar coverto,
52 Rispose: «Io era nuovo in questo stato,
Quando ci vidi venire un possente
Con segno di vittoria incoronato.
65 Trasseci l'ombra del primo parente,
D’ Abel suo figlio, e quella di Noè,
Di Moisè legista e ubbidiente ;
68 Abraàm patriarca e David re,
Israel con lo padre e co’ suoi nati
40. meerti: mancanza di battesimn è
ill debita adorazione di Dio.- nio: roità,
colpa; cfr. Purg. VII, Te seg., 25 © arg.
41. x son: Al. 0 BOL; cfr. Z, F., 22
© seg. Fanf. Stud., 146 a seg.
42. SENZA arom: dunque la loro con-
dixione è eterna, nd ponno sperare di
venire, quando cho sin, alle beate genti.
V. 40-63, Della discesa di Cristo
ag!” inferi. Fondandosi sopra qualche
sentenza serittnrale, come I, Pietro ITT,
18 e acg., | la Chiesa insegna che, nell'in-
terrallo di tempo tra la sua morto è ri-
pr qua Cristo discose giù nel limbo
nd annunziare la libertà allo anime dei
pli dell'antico Patto colà ritennte. Dante
voglie l'occasione di farsi confermare da
Virgilio la vorità di questa dottrina, Cfr.
Elucid., 64. Thom. Aq. Comp, theol. oc. 235.
48. yepe: cristiana.
49. uscicoi: osel di qui, del Limbo,
Al. USCINNE.
6l. coverto: avendo accennato a Cri-
sto senza nominarlo,
52. suovo: vi si ritrovava da oltre
nt'anni, essendo morto il 22 set-
dell'anno 19 a. 0.
53. OW rossentE: Cristo. Non lo co-
noweora quinn diacoso agl'inferi, guninii
non lo nominn, Dol resto Dante ciroo-
acrive costantemente nell'Inf. il nome
ili Criato, è per In gran riveronza n tal
nome, © per non mescolarlo con le lor-
duro dell'inferno.
Gi, CON skox0: « Coronato come ro,
con palma che significa vittoria, e col
gonfalone della eroce che significava cho
nven triunfato in sn In croce, del dimonio
nostro nvversario;» Pidi.
55. PARENTER: Adamo.
57. unmpirntR: benché legislatore del
suo popolo, fu egli stesso ubbidiente a
Dio, onde il sno epiteto di servws Do-
mint; cfr. Joewé I, 1, 2, 7, eco. Alcuni
leggono:
IM Molsà leglsta; e 1 nbbidiente
Abrahm palriarca,
rammentando l'nbbidienza di Abramo
quando si mostrò pronto n anerificaro
unico figlio, Ma tal lozione, oltre al-
l'essere sprovvista di autorità di codd.
6 comm. antichi, distrugge la bella an-
titesi del verso.
60, IsrARL: Giacobbe, - PADRE: ait
= NATI: figli.
46 [CERCHIO PRIMO]
InF. iv. 60-76
[1 BOMMI POETI]
E con Rachele per cui tanto fe’,
61 Ed altri molti; e feceli beati,
E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi,
Spiriti umani non oran salvati, »
64 Non lasciavàm l’andar perch’ ei dicessi,
Ma passavàm la selva tuttavia,
ho be
67 Non ora ria
Di qua ridi un foco
Ch’ em, ia,
70 Di lungi » POCO,
Ma non agi in parte
Che or quel loco,
73 «O tu ch rte,
(Questi ita orranza
Che da iparte ? »
74 E quegli i inanza
60. TANTO: sorvi por loi sotto anni, o
poi di nuovo sotto; ctr. Genest XXIX,
18-20, 27, 30.
63. BALVATI: non entravano nel l’ara-
diso, chiuso, secondo la teologia del me-
dio ovo, dalla caduta di Adamo alla mor-
te di Cristo; cfr. Elucidar., 04. Thom.
Ag. Sum. th. P. III, Qu. 69.
V. 64-105. I sonssssi Pocti. Pur par-
lando continuano il loro viaggio. Poco
lungi dal luogo, dove Danto si ora uddor-
montato (LEE, 136; IV, Degli vedo un
fuoco cho illumina, Vinconde lo tonobro
infornali, In forma di omisforio una parto
dol Limbo, - la luce dell'umana ragione,
che vince lo tenebre dell’ iguoranza; ma
ragiono senza fede, onde la luce non vienu
dall'alto, ma dal basso. La luce che
vieno dall'alto è il simbolo del lume della
rivelazione; la luce cho viene dal basse
simboleggia il lume dell'umana ragiono.
Ondo il fuoco non è beatificanto, - è nello
basso regioni, nell'inferno! Quell’ oni-
sperio rischiarato dal fuoco è occupato
da gente onorevole, che lasciò nulla vita
onorata nomiuanza. Compariscono quat-
tro sommi pooti che salutano Virgilio 0
fanno Dante della loro schiera. Il Poota
esprime con ciò la coscienza del proprio
valoro, nd egli si è ingannato.
64. DICRSSI: desinonza antica, per di-
cesse; benchò Virgilio ragionasse mocy.
05. SELVA: calca di spiriti.
68. DAL SONNO: dal sito ove jo dormil.
Così il più dei codd. è degli antichi. Al.
DI QUA DAL SONO, prondendo sono per il
yreve tuono del v. 2; dunque: di qua dal
luogo, dovo fui risvegliato dal grevo
tuono, Al. DI QUA DAL SOMMO, spiegando:
Di qua dalla sommità della valle d'abis-
so, ossia dalla proda su cui mi trovai
svogliato; cfr. Moons, Crit., 279 e seg.
69. VINCIA: vincova; superava e fu-
gava lo tonobre infornali iu quella parto.
Così i più. Lomb. vuole che vincia derivi
dal lat. vincere = circondava.
70. LUNGI: da quel fuoco, « Dicit in
gonorali quod cognovit a louge pricruga-
tivam honoris, qua gaudont isti; » Benv.
71. DISCKENKSSE: al loro conteguo, al-
l'aspetto, al loro essero in disparto.
72. OKREVOL: vuorevole. - LOSSKDKA :
occupava quell'emisperio illuminato dal
fuoco.
73. ONORI: colla tua opera eminente-
monte scientifica, dettata in una forma
ominentemonto artistica.
74. OKKRANZA: onoranza, onore. Non
sono nelle tenebre.
75. DIPARTE: distingue dalla condizio-
no degli altri abitatori delle regioni in-
fernali, i quali tutti sono privi di luce.
16. ONKATA: onurata. - NOMINANZA:
fuma, riputaziono.
_
[CERCHIO PRIMO]
InF. 1v. 77-94
[1 soMMI POETI] 87
Che di lor suona su nella tua vita,
Grazia acquista nel ciel che sì gli avanza. »
79 Intanto voce fu per me udita:
« Onorate l'altissimo poeta;
L'ombra sua torna ch'era dipartita. »
82 Poi che la voce fu restata e queta,
Vidi quattro grand’ombre a noi venire;
Sembianza avevan né trista né lieta.
aS Lo buon maestro cominciò a dire:
« Mira colui con quella spada in mano
Che vien dinanzi a’ tre si come sire;
Co) Quegli è Omero poeta sovrano,
L'altro è Orazio satiro cho viene,
Ovidio è il terzo, e l'ultimo è Lucano.
pi Però che ciascun meco si conviene
Nel nome che sonò la voce sola,
Fannomi onore; e di ciò fanno bene. »
DI Così vidi adunar la bella scuola
77. vira: nol mondo del viventi,
78. AVANZA : dà loro vantaggio; distin-
« Isti habent mercedem snam, quin
fecorunt opera scientim et vir-
tetis propter famam et gloriam, et illam
bene habent; « Bene, - « Diennt thoologi
Hoet quia in mortali poceato dece-
dat, tamen ai aliqua bona fecerit, licet
radat ad Infernnm, tamen propter bona
Jam facta minorantur ei pene ; » Petr,
3
ti
Dant.
TO. intANTO: montro Virgilio così par-
) = FOCR: non di tutti insiomo,
chò In tal caso avrebbero dotto enoria-
mo, ma di ano della brigata, cho volgo
la parola agli altre tre poeti, dicendo :
Torna Virgilio, onoratelo !
H
i
: per noccorrore Dante,
queta: * cessata la voce, queto Il
troppo delle cose proapere, nd turbarsi
delle avversa; » An. Fior.
86. srADA: per aver cantato le armi.
Nel bassorilievo greco dell'Apotoosi di
Omero, l'Ilindo è figurata in sombianzn
di donna tenente una apada in mano,
89, sAaTIKRO : Berittoro di satire,
n0. unTIMO: nvonilo scritto piuttosto
una gazzetta in versi che un poema.
« Accepit Dantea tres insignes poetns
latinos in triplici atylo, Iforatium in an-
tira, Ovidiom in comedia, Lucanum in
tragedia; » (1) Benw.
Ol. RI CONVIKNK: 4 ngnalo a me nel
nomo, ciascuno è poeta come mo,
02, soLA : di uno dei quattro, Al.: pro-
ferita nello stesso tempo da tutti, sì che
parea che fosse una sola. Ma « acciocchò
la voco di totti fosse sola, è da far ra-
gione che le quattro ombre si dessero il
cenno di incominciaro tutto insieme, ed
a tempo di mosica proferissero nd alia
voce il vorso onorate I altissimo poeta;
nitrimonti In voro nen naroble stata noln
© intelligibito, ma un gunezabuoglio o on
frastuono da non cavarne costrutto; »
Fanf. Vedi puro qui sopra, nt. nl v. 79,
03. HENK: onorandoe in me l'arte e la
scienza, © mostrandosi scevri da ogni
invidia,
38 [CERCHIO PRIMO]
InP. 1v. 95-113
[IL NOBILE CASTELLO]
Di quei signor’ dell’altissimo canto
Che sovra gli altri com’aquila vola.
Da ch’ ebber ragionato insieme alquanto,
Volsorsi a mo con salutovol conno;
Ic il mio maestro sorrise di tanto.
07
100
Chies = ©"
Si ch’
103 Così n'a
Parla
Si con
106 Venimm
Sette
Difeso
109 Questo p
Per se
Giugn
112
E più d’onore ancora assai mi fenno
a x i)
ichiera,
) senno,
miera,
è bello,
r'era.
istello
mura,
icello.
dora;
uesti savi,
ca verdura,
Genti v’oran con occm tardi e gravi,
Di grande autorità ne’ lor sembianti;
95. QUEI: cinque poeti. Cosìi più e mi-
gliori codd. e comm. antichi. Al. QUEL,
intendondo chi di Omero, chi di Virgilio.
Ma Orazio od Ovidio non appartenovano
alla scuola di Omero, nd questi alla
scuola di Virgilio. Cfr. Moork, Criticism,
280 © seg.
90. chk: fl qual canto, « Sicut enim
aquila volat altius, of videt acutius intor
aves, ita isti ascenderunt altius, ot vide-
runt subtilius inter poetas; » Benv.
07. RAGIONATO: i quattro chiedendo, e
Virgilio rendendo conto di Dante.
98. CENNO: salutandolo qual loro col-
lega.
09. BOKRISK: mostrando piacere. - DI
TANTO: doll’ onore fattomi da quei pocti.
102. sK8TO: loro pari. Profezinavverata.
103. LUMIKRA: luce del fuocosopradetto.
104. BRLLO: perchd dicendolo dovrebbo
lodare sò stesso; cfr. Conv. I, 2; IV, 2.
105. Kita: bollo. - pov’ knA: dove il
parlare si facova. Al.: dove io mi ritro-
vava.
V.106-114. T/ castellodcl Limbo, Ar-
rivano a piò d'un castello, simbolo della
sapionza umana, o fors'anche dol tempio
della gloria. 1l castello è corchiato sette
volto da alto mura, simboli dello setto
virtà, cioè delle morali: prudonza, giu-
atizia, fortezza e temperanga, e delle spe-
culative: intelligenza, scienza e sapienza.
(Socondo altri lo mura figurano lo setto
parti della filosofia: fisica, motufisica,
etica, politica, economica [che oggi direb-
besi economia], matematica, sillogistica).
Esso è difeso da nn bel fiumicello, sim-
bolo probabilmonto dell'oloquenza, con
che le setto virtù si insegnano è si per-
suadono, cfr. Inf. I, 79, 80. Passano il fiu-
micello a piedi asciutti, chè ai grandi o
nobili ingegni non occorrono eloquenti
persuasioni per farli esercitare io virtù
suddetto. Entrano per setto porte, le
sette arti liberali del trivio o quadrivio:
grammatica, dialettica, rettorica, musi-
ca, avitiuetica, geometria ed astronomia.
Giungono in un prato verdeggiante, di-
mora degli spiriti magni dell'antichità.
106. NONILE: la sapienza nobilital'uomo.
109. DURA: asciutta.
110. sKITK: ognuna dello sette mura
avova la sua porta.
111. rato: « similiter Virgilio Aen.
VI, et Momorus Odys. XI, fingant viros
illustros staro in prato virenti; » Benv.
112. raubi kK GKAVI: cfr, Purg. VI, 63.
Proverbi XVII, 24.
[OBRCHIO PRIMO]
InF. 1v. 114-180
[EROI] 39
Parlavan rado, con voci soavi.
115 Traemmoci così dall’ un de’ canti
In loco aperto, luminoso ed alto,
Sì che veder si potean tutti quanti.
118 Colà diritto sopra il verde smalto
Mi fir mostrati gli spiriti magni,
Che del vederli in me stesso n'esalto.
121 Iv vidi Elettra con molti compagni,
Tra’ quai conobbi ed Ettore ed Enea,
Cesare armato con gli occhi grifagni.
124 Vidi Cammilla e la Pentesilea
Dall'altra parte,
e vidi il re Latino
Che con Lavinia sua figlia sedea.
127 Vidi quel Bruto che cacciò Tarquinio,
Lucrezia, Julia, Marzia e Corniglia
E solo in parte vidi il Saladino,
130 Poi che inalzai un poco più le ciglia,
114. RADO: come si conviene al savio ;
efr. Conv. IV, 2. Proverbi XXIX, 20. -
BOAVI: piene di grazia, cfr. Eccles. X, 12.
V. 115-129. Glé eroi, I nel posti si riti-
rano da nn lato, donde non era impedito
Il valore, Il sono mostrati n Dante gli
apiriti magni di que’ cho conperarono alla
fondazione dell'impero romano, come
pore il Saladino in disparte, non avendo
egli che faro coll' impero romano.
119, pinrrto : direttamente, di contro.
= RMALTO: del prato.
120, wee venknui: d'averli voduti. -
N° RRALTO*® me ne complaceto,
121, Euserrna +: Aglinota d' Atlante, ma-
dre di Dardano fimlatoro di Troia, ctr.
Virg. Aen, VIII, 134 e sog. De Mon. II,
Î. - COMPAGNI: « Troiani, discendenti di
lel, tra’ quali Ettoro ed Enea, l'anno di-
fensore di Trota, l'altro portator dell’ im-
poro in Italia. Però da Enoa salta a Ce-
ware; » Tom.
123, omragsi: brillanti, penetranti.
Prunet. Lat. Tae. V.11: « Grifagni sono
Poni cho hanno gil occhi rossi
124. na. efr. Inf, T, 107, Virg.
Aen, XI. - PrsTRSILRA : regina dolle
Amazzoni vite da Achille: efr. Virg.
Aen, I, 400 © seg.
195. Lativo: re del Lazio, suocero di
Rnoa; of, Virg. Aen. VII, 45 © seg.,
268 è nog.; XI, 202 © seg.
126. Lavinia: moglie «d' Enea; cfr.
Virg. Aen. VI, 764; VII, 72, eco. De
Mon. II, 8: « Lavinia fuit Albanoram
Romanorumque mater, regis Latini filia
pariter et heres. »
137. Bruto: Lucio Ginnio Brnto, pri-
mo consolo, Conv. IV, 5, da non con-
fondersi con Marco Giunio Bruto, l'no-
cisore di Cesare, che è laggiù in booca a
Lucifero, Inf. XX.XIV,05, —'Tanguino:
Tarquinius Superbus, ultimo re di Roma.
128, LUCREZIA : la pudica moglie di Col-
latino, violata da Sesto Tarquinio, - JU-
Lia: figlia di Giulio Cosare, moglie di
Tompeo, - Mamnzia: moglie di Unatane,
ofr. Purg. 1, 70 6 sog. Conv. IV, 28. -
CorxigLia: Cornelia, figlia di Scipione
Africano e madre dei Gracohi ; cfr. Par.
XV, 120.
129. SOLO: o perchè estraneo alla fede
degli altri, o forse porchò senza prede-
cossori nd snocessori che gli somiglias-
aero. - SALADINO, sultano di Egitto e di
Siria, n. 1137, m. 1103, celebre perla ana
virtù © gonorosità; ofr. Conv. 1V, 11.
Boece. Decam. 1, 4; 1X, 0.
V. 130-151. I fllosafl. Vode più oltre
gli uomini di scienza, ed enumera prima i
filoaofi teoretici, poi i savii di storia natu-
rale, quelli d' eloquenza e quelli di medi-
cina. Dante e Virgilio lasciano quindi gli
altri quattro ocontinnano il loro viaggio.
Per più ampio notizie delle persone qui
40 [CERCTIIO PRIMO]
Inf. TY. 181-151
[FILOsOF1]
Vidi il maestro di color che sanno
Seder tra filosofica famiglia.
133 Tutti lo miran, tutti onor gli fanno.
(Quivi vid’io o Socrate o Platono
Che innanzi agli altri più presso gli stanno.
136 Democrito che il mondo a caso pone;
Diogenés, Anassagora e Tale,
Empedo
139 E vidi il b
Dioscori
Tullio, €
142 Euclide ge
Ippocra!
Averroì
145 Io non pos
Però che
Che mol
148 La sesta «4
ne;
iale,
Dy
ile.
10,
ito foo,
leno,
o tema
r vien meno.
scema;
Per altra via mi mena 11 savio duca
Fuor della queta nell’aura che trema;
151 E vengo in parte ove non è che luca.
nominate confr. i relativi articoli del-
l' Enciclopedia.
131. MAKSTRO: Aristotelo, « il maestro
della umana ragione; » Conv. IV, 2; cfr.
Conv. 1, 6; IV, 6, 17, ecc.
133. LO MIRAN: così il più dei codd. e
com. ant. Al. L'AMMIRAN.
135. rid’ l'4K5s80: essendo dupo A risto-
tole i più eccollenti filosofi.
136. Democurro: di Abdera, che inse-
gnava il mondo essere stato futto a caso
pel cieco concorso degli atomi.
137. DioGENÈs: Diogene, il celebre ci-
nico di Sinopu. - ANASSAGORA : di Clazo-
mene, il celobre maestro di Poricle. -
TALK: Taleto milosio.
138. EurKvoc crs: d' Agrigento, autore
di un poema su la natura o su i principii
delle cose. - EkacLiTO: d' Efeso. - Zk-
NONK: da Cittico; stuico.
139. QUALI: delle qualità dello orbe ©
delle piante.
140. T10sCOkIDE: modico grecudel19s60.
- OrFkKO: celebre musico o poeta greco.
141. TuLLI0: Cicerone. - LINO: antico
poeta greco; cfr. Virg. Eclog. IV, 56;
VI, 67. Al. Livio, ALINO, errori evi-
denti. Cfr. Moors, Orit., 282 © seg.
142. TOLOMMEO: il celobre geografo ed
astronoino.
143. IrrochraTE: medico greco, - AVI-
CKNNA: medico arabo. - GALIENO: me-
dico di Pergamo nell'Asia minore.
144. Avkiutols: filosofo arabo, cclebro
commontatore di Aristotele.
145. KITRAR: raccontare. - TUTTI: Co-
loro che io vidi colà.
146. CACCIA: spinge, sprona. ‘Tante
cose ho da dire che tutto non posso.
147. VIKN MKNO: non potendosi osten-
dere a tutto l'accaduto.
148. BKSTA: di soi: Omero, Orazio, Ovi-
dio, Lucano, Virgilio o Daute. - sCKMA:
i quattro primi restano nel loro sito; i due
ultimi centinuano il viaggio, discendendo,
sempre a sinistra, giù nol basso inferno.
149. ALTRA: diversa da quella percorsa.
150. ritkada : a motivo dulla bufera, Inf.
V, 20 © sog.
151. LUCA: deve non sono abitatori
chiari por iscienza © virtù, nè fuoco, nd
astro, nè alcun' altra cosa che dia lumo.
[CERCHIO SECONDO]
InF. v. 1-8
[Minosse] 41
CANTO QUINTO
CERCHIO SECONDO :
LUSSURIOSI
(Travolti continuamente dalla bufera infornale)
oO]
MINOSSE, PECCATORI CARNALI, FRANCESCA DA RIMINI
è
Così discesi del cerchio primaio
Giù nel secondo, che men loco cinghia,
E tanto più dolor, che pugne a guaio.
‘ Stavvi Minos orribilmente e ringhia:
Esamina le colpe:nell’ entrata,
Giudica e manda secondo che avvinghia.
7 Dico, che quando l’anima mal nata
Gli vion dinanzi tutta si confossa;
V. 1-24. Minosse, il giudice dell’ in-
ferno. Scondono giù nel sscondo cerchio,
che 4 dei peccatori carnali. All'ontrata
sta Minosse, il savio di Creta, il quale
2, crxoma: circonda, rinchinde: da
einghiare, lat. cingere. - L'inferno dan-
tesco è nn'immensa voragine circolare,
la quale, sempre rostringondosi, si spro-
fonda fino al contro della terra,
4. ii: i cerchi divontano sempre mi-
nori, i peccati sempro più gravi, lo pono
sempre più noerbo, - A Guato: sì forte-
mente, che le anime vanno traendo la-
menti e strida; cfr. v. 48.
4, Mixos: Mivmg, il mitico figlinolo
di Giove e di Europa, giusto re è lagi-
alatore di Creta, sul quale eft, Hom, It.
XIII, 450; XIV, 222, Odys, XI, 921 è
aog., 507; XVII, 523: XIX, 178 © aog.
Herod. 111, 122; VII, 170. Thuk. I, 4, 8.
Virg, Aen, VI, 432, - nincHta: digrigna
i denti; cfr. Inf. XXVIT, 126.
5. CoLre: delle anime, - ENTRATA: in-
gresso di questo cerchio.
6. MANDA: nel corchio in cui al punisce
la relativa colpa. — AvvINaitA: rivolgo
la cola Interne n sé nissso, v. 11.
7, MAL NATA: nata por sua aventura;
ofr. S, Matt, XXVI, 24, Inf. ITI, 103 è
aog.; XVIII, 76; XXX, 48.
B. TUTTA: pienamento. Minosso sim-
bologgia la coscienza.
42 [CERCHIO SECONDO]
Inv. v. 9-28
(MINOSSE]
E quel conoscitor delle peccata
10 Vede qual loco d'inferno è da essa:
Cignesi colla coda tante volte
(Juantanque gradi vuol che giù sia messa.
13 Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
Vanno a vicenda ciascuna al giudizio;
Dicono e odono, 6 poi son giù volte,
16 « O tu ch Vizio, »
Disse N | vide,
Lasciar fizio:
19 « Guarda ti fide,
Non t’, l’entrare! »
Ki il da, | par gride?
22 Non impe re:
Vuolsi e
Cid che imandare, »
26 Ora incor }
A farm uto
Là dove molto pianto mi percote.
28 Io venni in loco d'ogni luce muto,
9. conoscrror: giudice infallibile; cfr.
Inf. XXIX, 120.
10. DA: per; si conviene a quest'anima.
12. QUANTUNQUK: quanti. - GRADI : cor-
chi dell'inferno.
13, MOLTK: cfr. Inf. TIT, 119 © seg.
14. A VICKNDA: ciascuna a sua volta,
l'una dopo l'altra.
15. nicono: confessano i loro poocati.
- ODONO: la loro sentenza, proforita da
Minosso, o suggellati nello strano modo
già descritto. - VOLTK: precipitate da al-
tri demoni, esecutori delle sentenze di
Minosse, giù nel corchio infernale loro
assoynato.
16. osrizio: Inferno.
18. COTANTO: sì autorevole e terri-
bile, di osuminaro o giudicare lo anime
dannate.
19. FIbK: fidi. Avendo sospeso I' eser-
cizio del suo terribilo ministero, Minosse
non è qui più il simbolo della coscienza,
ma soltanto il domonio che, geloso (come
gli altri demoni) del suo regno, non vuole
che altri vi penotri è vi si aggiri, se non
è condotto ed in servitù dei diavoli.
20. n'AMbPIKZZA: cfr. S. Matt. VII, 13.
Virg. Aen. VI, 126. © soy.
21. PUR: anche tu, come Caronte, cfr.
Inf. III, 88 e sog.
22. FATALK: voluto dal Destino; cfr.
Inf. VII, 8, 0 soy.
V. 25-45. © lussuriosi in generale.
I lussuriosi, tanto coloro che peccarono
per istogo di libidine, quanto coloro che
peccarono per debolezza, ossia per disor-
dinato amore, sono rapiti, fra lo tenebre,
continuamente in giro da vento impe-
tuoso © piangono dolorosamente. Le te-
nobro figurano l'oftiuscamento dell’ intel-
lotto prodotto dalla passione; il vento
impetuoso ligura la tempesta e la furia
delle passioni e delle volubili voglie che
agitano o trascinano i peccatori carnali ;
il pianto doloroso è la piit conveniente
ospressione degli amanti. Cfr. Virg. Aen.
VI, 441.
25. ona: « non si dice più di Minos,
nè si dichiara como il Poets varcasse
l'entrata; ma del suo inoltrare nel cer-
chio ci fanno fede lo dolenti note e il
molto pianto; » #'ranciosi.- INCOMINCIAN:
nol Vestibolo e nol Limbo nou vi sono
propriamente dolori positivi; cfr. però
Inf. III, 44, 45, 65 © seg. - NOTE: voci.
28. MUTO: privo, cfr. Inf. IV, 151. Usa
[CERCHIO SECONDO]
InF. vy. 29-42
[LUssURI081] 43
Che mugghia come fa mar per tempesta
Se da contrar) venti è combattuto.
a1 La bufera infernal, che mai non resta,
Mena gli spirti con la sua rapina,
Voltando e percotendo li molesta.
ae Quando giungon davanti alla ruina
Quivi le strida, il compianto e il lamento,
| Bestemmian quivi la virtù divina.
37 Intesi che a cosi fatto tormento
Enno dannati i peccator’ carnali,
Che la ragion sommettono al talento.
40 E come gli stornei ne portan l’ali
Nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
Uosi quel fiato gli spiriti mali;
forse questo termine per accennare che
nom vi si ode l'armonica melodia delle
Sfere; ofr. Inf, I, 60.
20, MUGGNIA = « risuona questo luogo,
per lo ravvolgimento delle atrida è
do’ pianti, il swono de' quali raccolto in-
sieme fa on romore simile a quello che
noi dieinmo, che mugghia il mare ne’ tem-
pi tompestasi ; » Bocce.
31. NON KESTA: cfr. v. 90; 0 vuol dire
che è eterna, Lonchè abbia di tanto in
tanto qualche pausa; oppure il tacere del
vento nel v. 06 è nn' sccezione concessa
in grazia di Dante.
32. RAPINA: forza che trascina, rapi-
trice, simbolo dell' impeto della passione,
onde l'anima fa combattata.
33. vouTanpo: facendoli girare.
34. ruIiNA: scoscendimento della roc-
ela, prodotto dal tremito dell'Inferno
alla morte di Cristo (efr. Inf. XII, 31-45;
Petali 112 6 sog.), per lo quale i due poeti
reagire calare dal limbo nel cor-
chio del losanriosi. AI. diversamente:
+ Raina dell'altro giro, dove temono di
ondere. » Ma eld contradice alle leggi in-
*iolabili dell'Inferno Anntesco, Al.« Balzo
dirupato e irto di massi, contro cni vanno
& percotero. + Non vanno a percotere
contro massi, ma sono percossi dalla bu-
fern, Al. loggione: pi VENTE ALLA RUINA
. rue ca fto onde i venti seflinno
bce Ma la lezione è troppo
nutorità, né il Poeta fa on
crune di questa pretesa foco.
Criato
rt : perchè rammenta loro la
sopra il peceato e l' In-
ferno, la quale per essi, colpa loro, rimase
infruttuosa; perchè inoltre in cima a
quella ruina siede Minosse, e perchè qui
la bufora infornale li volta.
a6. LA VIRTÙ: « quella terribile Onni-
potenza che moove la bufera, onde sono
aggirati, Dopo lo strida e il lamentoso
ulninto esce la parola disperatamente fe-
roca, Coa) nell'atto della percossa altri
motte nno atrido; poi bestemmia ed im-
preca; » Frane,
27. INTESI: compresi, argomentando
dalia natura della pena (Serrav., Roes.),
oppure Udiidire da Virgilio { Boce., Biag.,
Marz., Pot.). Aleuni non si decidono (Br.
B., Frat., Camer., Campi, Berth.), è gli
altri tutti tirano via da questo luogo.
AR, RNKO: Bono; forma nsata sovente
dagli antichi e tuttora vivente in To-
acanna, Al. RAN, non erano, ma sono
dannati in eterno a così fatto tormento.
Fran pare che sia corruzione di enno.
Cfr. Moore, Crit., 283 © seg.
40. TALENTO: passione,
40. stoRKRI: stornelli; quarto caso, -
L'At1: primo caso, Alcuni intendono por-
fan lati per Volano, « Come nella fredda
stagione gli stornelli volano in larga è
folta schiera, portati dalle loro ali, così
quei cattivi spiriti portati dal vento; »
Pass.
41, Tero: il'invorno. — A RONDA:
mostra In folla grande, « Quin maxima
est multitudo istorum jnvenum discur-
rentium per contratas, ita quod vix pos-
sunt vitari; » Bene,
42, FIATO: vento, = MALI: malnati v. 7,
44 [CERCHIO SECONDO]
INF. v. 48-58
[LUSSUR1081]
43 Di qua, di là, di giù, di su gli mena;
Nulla speranza gli conforta mai
Non che di posa, ma di minor pena.
46 E come i gra van cantando lor lai
Facendo in aor di sé lunga riga:
Così vid’io venir traendo guai
49 Ombre portate dalla detta briga.
Perch’ io dissi: « Maestro, chi son quello
Genti che l’ aura nera si gastiga? »
52 « La prima di color di cui novelle
Tu vuoi saper, » mi disse quegli allotta,
« Fu imperatrice di molte favelle.
55 A vizio di lussuria fu si rotta,
| Che libito fe’ licito in sua legge
Por tòrre il biasmo in che era condotta.
58 Ell’é Semiramis, di cui si legge
© travagliati da perverso male, v. 93. Il
vonto porta gli spiriti, como lo ali por-
tano gli stornelli.
43. DI QUA, DI LÀ: « coi suoni rotti di
questi avverbi, che l'un l’altro s' incal-
zano, dipinge La bufera infernal che mai
non resta, e da cui sono quegli spiriti por
ogni parte miseramente aggirati; » L.
Vent. Sim., 432. - MENA: senza caservaro
alcun modo ed ordine. Quadro stunendo
dell'incostanza dei lussurios!.
V. 46-72. Lussuriosi che peccarono
per bussa carnalità, ossia la schiera
di Semtramide. Come risulta chiara-
mente dal v. 85 il Poeta dispone ancho
qui, come altrove nel suo inferno, i dan-
nati a schiere, secondo la gravità del
peccato. Qui due schiere; a capo della
prima, che è di coloro che peccarono per
bassa lussuria, sta Semiramide; a capo
della seconda, che è di quo’ che pecca-
rono per amore, sta la gentile v uven-
turata Didone. Virgilio lo nomina ambo-
due ed altri lussuriosi antichi.
46. LAI: canti mesti e lugubri; pro-
vens. Lai, Lais, occ.
47. YACKNDO: « Illw, clangore fugaci,
Umbra fretia arvisquo volant: sonant
avius wther; » Stat. Theb. V, 13. - RIGA:
< le gru vanno in ordino |’ una dietro al-
l'altra;» Buti. - <I gru stondono il collo,
il quale essi lianno lungo, innanzi, e lo
gambe, lo quali similmente hanno lun-
ghe, e così fanno di sd lunga riga; > Zucc.
49. BRINA : contrasto di venti; la bu-
Sera infernale, v. 31.
50. Cit: ma so avova già compreso
osser questi i peccatori carnali, v. 37-89!
O vuole accennare a due schiere speciali,
cioè alle due nominate, o desidera sapero
i nomi del singoli apiriti. Il v. 52 sombra
favorire la secouda interpretazione.
61. L'AURA NKRA: Al. L' AER NERO.
« Aer nero 6 pretto sinonimo di bufera,
che rendo sempre turbido il cielo, quando
imperversa; » Jictés.
53. ALLOTTA: allora; si usa tuttora
nella campagna toscana.
64. FAVKLLE: popoli parlanti divorsi
linguaggi.
56. LINITO: ciò che place, lat. libitum.
LEGGR: « Priecepié enim ut inter paren-
tes ac fillos, nulla delata reverentia na-
turw, de conjugiis adpetondis, quod cui-
QUE LIBITUM KSSET, LICITUM FIKRKT; >
Paul. Oros. Ilist. 1,4. Danto cho avea
lotto questo passo (cfr. De Mon. 11, 9),
traduce quasi alla lettera.
68. SeminaMis: Leplcaptc, Semira—
mido, regina dell’ Assiria, rognò dal 155&
al 1814 a. C. Cir. Herodut. I, 95. Jee
stin. I, 2. LRNokMant, La légende Gil ma
Sem. Parigi, 1877. « Fu la più crudele
dissoluta foinmina del mondo; » CG. Vee
Oron., 1, 2. Cfr. Encicl. s. v. - BI LKAC EA
presso Paolo Orosio, |. cit.: Huic INèùz
mortuo Semiramis uror successit. Aw —~
qui Danto tradnco alla lottera nol v__
[CERCHIO SECONDO]
InP, V. 59-74
[LUssURIOSI] 45
Che succedette a Nino, e fu sua sposa;
Tenne la terra che il Soldan corregge.
61 L'altra è colei che s’ancise amorosa,
E ruppe fede al coner di Sicheo,
Poi è Cleopatras lussuriosa,
di Elena vidi, per cui tanto reo
Tempo si volse, e vidi il grande Achille,
Che con amore al fine combatteo.
67 Vidi Paris, Tristano; » e più di mille
Ombre mostrommi e nominolle a dito,
Che amor di nostra vita dipartille.
70 Poscia ch'io ebbi il mio dottor udito
Nomar lo donne antiche o i cavalieri,
Pietà mi giunse, e
fui quasi smarrito.
73 Io cominciai: « Poeta, volentieri
Parlerei a que’ duo che insieme vanno
Tanto meno giora badare alla ridicola le-
zione sUGGRE DETTE, dovuta alla fantasia
dell’ Attaranti. CL Moore, Crit.,285 0 seg.
00. TENNE: come na. — SOLDAN : il
Bultano di Babilonia in Egitto, - con-
nenGR: governa messo, cind nel 1300,
61. cone: Didone; efr. Virg. Aen, I
e IV. Par. VII, 9; IX, 07. -s'axcian:
wi uccise; ofr. Purg. X1V, 62, 183; XV,
107; XVI, 12; XX, 00, 115; XXXIII,
«i. Par. XVII, 32.
62. RUTYe: Aveva promosso di rimaner
fedele a Sicheo nnchodopola di Ini morto,
© pol «innamorò d'Enen, cul si diedo.
63. Curorattan: Cleopatra, Ja famoan
d'Egitto, amien prima di Giulio
poi di Antonio; ofr. Svef. Aug.,
17, Ole. ad Att., 14, 20, 2. Plut, Ant., 26,
78-80, Vell., 2, 87.
4. Eiexa-: "EXÉv, moglie di Mone-
ino re di Sparta, rapita da Paride, onde
la guerra trojana, Cfr. Jferodot. 11, 112.
Mom. Il. LITI, 40 e sog., 156 e seg., 171 ©
neg., 420. Odys., IV, 200 e seg. Virg. Aen.
WI, 517 © seg. Pausan. LITI, 19,- viDI:
imperativo per vedi, come pure nei v.
65 © 67. tere ga di lingua nlenni
o = TANTO; i dioci anni dolla
06. AL ba s'inbamorò di Pollasona
(ofr. Inf, XXX, 17), © nello sposarla fu
67. Panis: o *AAEavBpo¢,
Paride figlio scoondogenito di Priamo,
pn
il rapitore di Elena, Così i più, ALL in-
tendono del cavaliere errante del ro-
manzi del medio evo, amante di Vienna;
ma costui non morì per cagion d'amore.
- Trisrano: onvaliere della Tavola Ro-
tonda, nmante d'Isotta, moglio di Marco
re ili Cornovaglia cho lo necise,
60. DIFARTILLE: le allontanò. Morirono
per cagion d'amore.
72. MI GIUNSE: mi prose, - BMARRITO :
fai 1} per venir meno; è ciò non per sa-
persi macolato dello stesso vizio, ma,
come dice espressamente, per la gran
prin
. 73-142, Lussuriosi che peccarono
paci minore, ossia la schiera di 1M-
done, Riavutosi dal suo smarrimonto, il
Poeta ossorva due spiriti, che attirano
la sin nttenziono, è perchè sono uniti,
e perché mossi con maggior rapidità che
gli altri. Desidera parlar loro, e Virgilio
glieno mostra il come, Gli scongiura per
l'amore che si portano. Vengono subito
6 si dichiarano pronti ad udire e parlare,
I dne sono Francesca da Rimini e Paolo
Malatesta, di lei cognato e seduttore.
Francesca racconta la pistosa storia dei
suni illociti amori e dolla ana tragica
morte, È la prima anima che parla con
Dante, Uditane la pietosa storia, egli
vien meno por compassione 6 cade como
morto.
74. txsIKMK: © gli spiriti portati dal
vento non vanno come compagni, ma
Luco è rerme, al dolce nido
Vengon per Pacre; dal voler portato
Cotali uscîr della schiera ov’ è Dido,
A noi venendo per l’aor maligno,
Si forte fu l’affettuoso grido.
« O unimal grazioso e benigno,
Che visitando vai per l’aer perso
Noi che tingemmo il mondo di sanguigno:
Se fosse amico il re dell’ universo,
Noi pregheremmo lui per la tua pace
Poiché hai pietà del nostro mal porverso.
I’ impeto della bufera; or gli
altri, quasi navola su nuvola,
e sparpagliati nell'aria a su-
di grano lanciato dal venti-
uno diotro all'altro; solo duo
inpiagnano tai, quasi tenuti
un legame invisibile. Il fatto
ichiaina lattensione del Poe-
IKUI: non opposero verana
all'bupoto dolla piusiono,
BY puuno opporre a quello
A: li mena; i per li occorro
Dante.
: Dio; venite a parlarci, se
permette.
: cfr. Virg. Aen. V, 213 ©
82: simbolo di sincerità; cfr.
6, virtà che Franvvsca oner-
racconto, ma non esercitò
vita sua, avendo tradito il
rgnata, loi, sposa a meA--
alzate e ferme vengono per l'’aere al d
nido; le anime vengono per l'acer mali,
a Dante e Virgilio. Cfr. Virg. Aen. V, 4
Volendo riforire dal voler portate alle
lombo, come fanno i più, volere avrol
qui il senso di voglia, istinto, amor na
rale, ardure di desiderio o simili.
85. sCHIRA: particolare, chesi nomi
da Dido (Didone), anima nubile che a
Riacque a passione di cuor gentile, v. 1
86. MALIGNO: contrapposto all'aore j
cul vongono al dolce nidu le colombe, ¢
è «l'aer dolce che dal Sol s’allegra; » J:
VII, 122.
87. el FORTE: tanto in essi potà il n
pregare, v. 80, 81.
88. ANIMAL: clr. Inf. II,2. Purg.XXT
138. Par. XIX, 85. — Grazi040: curte
gentile.
89. rKKSO: oscuro; <il perso è un.
lore misto di purpureo e di nero, 1
vince il nero, o da lui af A----*
7.
[CERCHIO SECONDO]
INF. v. 94-102
[PAOLO E FRANCESCA] 47
di Di quel che udire e che parlar ti piace
Noi udiremo e parleremo a vui
Mentre che il vento, come fa, si tace.
o7 Siede la terra dove nata fui,
Sulla marina dove il Po discende
Per aver pace co’ seguaci sui.
100 Amor, che al cor gentil ratto s'apprende,
Prese costui della bella persona
Che mi fu tolta, 6 il modo ancor m’ offende.
80, lezione difesa con buoni argomenti,
e che si potrebbe accettaro, se non fosse
aprovrista di antorità di coll. Maan ha
eridentemento In sun sorgonte nol com-
mento di Bene. il quale logge MAL ren-
verso, è chiosn: « idest de quo compa-
teria nostro amori perverso, cuius causa
ita jactamor.» L'amore illecito dei dno
cognati fu veramente non pare un amore
ma un male erso., Del reato Dante
ha pietà del loro male, che egli vede, non
del loro amore che non conosce ancora.
D4. TI PIACE: A. VI FIACE.
05. vu: voi; anticam. anchein prosa.
06. TACE: vedi qui sopra, v. 31 nt.
DT. TRHKA: Ravenna, — NATA: qual fi-
glia di Guido Minore, o il Vecchio da
Polenta, il quale morì il 23 gennaio 1310.
I anno della nascita di Francesca è
ignoto. Verso il 1275 andò sposn n Gian-
elotto Malatesta, signore di Rimini, cho
dicono fosse di aspetto deforme 6 zoppo,
ma nssaî valente. Da queste nozze Fran-
cesca ebbe una figlinola di nome Con-
cordia, Raccontano che Francesca fosse
ingannata, ceredendosi di sposar Paolo,
mentre la mattina seguente al dì delle
mozze si trovò essere spora di Gianciotto.
Poco probabile, poichè già prima, nel 1269,
ee ai era sposato ad Orabilo Beatrice
. che lo fece padre di due
, Uberto e Margherita. Francesca
era la zin di quel Guido Novello da Polen-
ta, cui Dante passò n Ravenna gli
anni dellasna vita. Cfr. L. Tons,
Memorie storiche intorno a Francesca da
Rimini, ediz. Rimini, 1870. IT. C. Nan-
Low, Francesca da Rimini, her lament
aad rindiostion, Lond., 1859. Imnniani,
prete 406-519. Cn. E. Yuraure,
de Rimini dans la légende et
histoire, Par., 1882. C. Ricci, L'ul-
fifugio di D. AL, p. 128 6 seguenti.
Posoceo, Franc. da Rim. secondo
i?
timo
cu.
la storia « secondo l' arte, 3% odia, To-
ramo, 1892.
NA, MARINA: costa di mare; paces longs
il maro, A'tompi dol poota Jinvonna ddi-
stava tro chilometri dal mare; poasava
presso la città il Padoreno, è fra le suo
mura s'inoltrava il Padenna, due fiomi
derivanti dal Po; in prossima vicinanza
il Po di Primaro, allora assai importante.
Quindi per quei tempi Ravenna è qui
magistralmente definita.
100. ceNTIL: Paolo era marito e padre,
Francesca moglie e madre; ambedue non
erano più troppo giovani.
101. costuI: Paolo Malatesta, fratello
di Ginanciotte, nato verso il 1250, nemo,
dico l'Ott., molto bello del corpo è bon
costumato, mn acconcio più n riposo che
a travaglio. Si sposò nel 1269 ad Ornbile
Bentrice di Ghiagginolo; fn eletto Ca-
pitano del Popolo in Firenze nel 1282,
ma già fl 1° fobbraio 1283 chiese licenza
d'andarseno, forse perchè non sapeva
più vivero lontano dalla cognata. - ren-
BONA: corpo.
102 iL Mono: avendo il tradito marito
colto sol fatto i dne adolteri, li trafiase,
onde non ebber tempo di far penitenza,
e, uccisi improvvisamente, morirono în
peccato mortale, mentre invece Cunizza
ebbe tempo di convertiral; cfr. Par, IX,
82 è seg. E Annque naturale, che il modo,
onde le fu tolto il bel corpo, la offende
ancora. Al. 1L MOKxDO; ma il mondo non
offendeva Francesca morta già da un
perro. La tragica fine dei due amanti no-
cola tra i) 1285 o il 1289; secondo Vin-
cenzo Carrari nol anttembro del 1280.
Dico Il Cerrari che Ginanciotto neciso gli
alulteri «con nn pugnale mentre trava-
gliavano insieme con battaglia amorosa. »
È dunque il modo che offende ancor sem-
pre la povera Francesca. Infatti il modo
è lez. dei più; cfr. Moork, Crit., 286-90,
48 [CERCHIO SECONDO]
INF. v. 108-115
[PAOLO E FRANCESCA]
108 Amor, che a nullo amato amar perdona,
Mi prese del costui piacer sì forte
Che, come vedi, ancor non m’abbandona.
100 Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi vita ci spense. »
Queste parole da lor ci far porte.
109 Da clie io intesi quelle anime offense,
Chinai il viso, e tanto il tenni basso
Finché il poeta mi disse: « Che pense? »
112 Quando risposi, cominciai: « O lasso!
Quanti dolci pensier’, quanto disio
Mend costoro al doloroso passo! »
115 Poi mi rivolsi a loro, e parla’ io,
103. PERDONA: parla qui Dante per
esperienza propria? La sentenza non è
sempre giusta, essendovi molti amanti
non riamati.
104. PIACER: « del piacere di amar co-
stui; forse anche, come Il Rigutini av-
visa, dolla costui avvenenza; nel qual
significato piacere e piacenza furono co-
muni a’ poeti di quel secolo; » Andr.
106. NON M'ALBANDONA: costui. Sono
uniti in eterno. Sollievo e nello stesso
tempo aggravamento di pena: unifi, ma
nell'inferno!
106. UNA: uccisi insieme, nello stesso
tempo, luogo 6 modo.
107. cainA: bolgia dei fratricidi, Inf.
XXXII. - cn: Gianciotto il tradito ma-
rito. « Perchè tanta pietà per la coppia
d'Arimino o nemmeno una scusa per la
giusta vendetta di Gianciotto? Perchè
condannare questo disgraziato, che i tri-
bunali d'oggi assolverebbero, con una
frase cruda e spietata ad esser fitto nel
duro gelo della Caina, mentre al fra-
tello che l' oltraggiò nell’ onore si con-
code anche oltretomba di stare insieme
a Francosca!... La storia, oltre a farci
sontire una certa compassione pel ma-
rito ingannato, introduce altre pietose 6
ben dolenti tigure nella tragedia, figure
che sole basterebbero a farci parere più
odioso l'atto dei due cognati. Mn d'esso
il Poeta non facendo ricordo, vie più
contribuì, sia puroinconsciamonte, a ren-
dere scusabile il doloroso passo. Oltre al
marito, Francesca tradiva la cognata;
oltre al fratello, Paolo tradiva la moglie.
L'adulterio era doppio! K se poca pietà
poteva destare Gianciotto brutto, aspro
e vendicativo, immensamente compassio-
nevole oggi ci appare Orabile di Ghiag-
giolo, al cui cordoglio nessun poeta grande
o piccolo fece giustizia, e che pur vide ra-
pito a sè l'amore del marito e per la scel-
lerata colpa rimanere orbati di padre i
due teneri figliuoli, mentre invano Con-
cordiu cercava Je carozze materno; »
Iticci, loc. cit., 132 © seg.
108. Da LOR: Francesca parla anche
in nome di Paolo. - rORTE: dette.
109. OFFENSE: offese, travagliate.
110. CHINAL: per compassione, o per
compunzione ?
111. PENSE: pensi.
112. QUANDO: non sa risponder subito,
e, quando risponde, non volge la parola
a Virgilio, ma parla come trasognato a
sè stesso. - LASSO: esclamazione di pietà,
o di rimorso!
113. DOLCI: pensieri dolci, benchè adal-
teri! < Aque furtiv® dulciores sunt, ot
punisabsconditus suavior ; » Prov. 1X, 17.
- «I dolci pensieri menarono al desìo;
questo mend alla colpa; » Frane.
114. Passo: morte violenta e danna-
zione eterna. Al.: Al punto di lasciarsi
vincere dalla passione, che poi fu cagiono
ad essi di dolore. « Mortis violentm ot
infamis, obi fuerunt turpiter jagalati ; »
Benv. - « Dall'amore onesto al disonesto ;
e dalla fama ali'infamia; e dalla vita alla
morte! Del quale passo da dolerne è
fortemente; » Buti. - « A questa morte,
chiamata da lui dolorosa, per essere sta-
ta violenta e col ferro, e passo, perchè
mediante lei si varca da questa vita al-
l'altra; » Gelli. - « Quello della morte; »
Dan.
[CERCHIO SECONDO]
E cominciai: « Francesca,
Inv. v. 116-132 [PAOLO E FRANCESCA] 49
i tuoi martiri
A lagrimar mi fanno tristo e pio.
118 Ma dimmi: al tempo de' dolci sospiri,
A che e come concedette Amore
Che conosceste i dubbiosi desiri? »
121 Ed ella a me: « Nessun maggior dolore
Che ricordarsi del tempo felice
Nella miseria; e ciò sa il tuo dottore.
124 Ma se a conoscer la prima radice
Del nostro amor tu hai cotanto affetto,
Farò come colui che piange e dice.
127 Noi leggevamo un giorno per diletto
Di Lancilotto, come amor lo strinse:
Soli eravamo e senza alcun sospetto.
130 Per più fiate gli occhi ci sospinse
Quella lettura, o scolorocci il viso:
Ma solo nn punto fu quel che ci vinse.
117. tRIsTO E PIO: mi fanno piangere
di dolore « di compassione.
118. mimi: nol ano racconto France-
eca ha laacinto wns Incnna: tra il ano in-
mamoramento o la morte giace tutta una
storia. Dante desidera di sapere come i
due cognati adolteri arrivarono ad in-
tendersi. - TeMro: amando riamati, ma
di amore tuttor colato,
119. a cur: a qual indizio. - COME: in
qual modo.
120. wirnuroet : di casor corrisposti, per-
chà non ancora espressi.
122. mconnanat; « In omni ndvorsitato
fortans, infolicissimmm est gonna infor-
tunii fuisso felicem ; » Boeth. Cons. phil.
IL, pr. 4. « Memoria protoritorum bono-
rum.... in quantum sunt amissa, camsat
tristitiam ;» Thom. Aq. Sum. theol. II,
LI, 36, 1.
123. Aa: per esperienza propria, = DOT-
TORE: i «ché ricomlandosi del suo
essere in lo mondo, poeta o in grande
stato, e ora vedersi nel limbo senza gra-
sla e sporanzn di bone, non è senza do-
lore è gramezza;» Lan. - « Virgilio, il
a a epee i fatto
Enea de'caal trolani a Didone e ancora
nel dolore di Didone nella partita d'Enea,
nasali chiaramente il dimostra; » Hocc, E
sti Virgilio intendono pure Benv., Buti,
Serrav., Barg., Land., Tal, Vell., Gelli,
a Comun., 3° ediz.
Cast., ecc. Altri, primo il Dan., segnito
poi da parecchi, intendono di Boezio, in
emi ni trova infatti ona sentonza affine;
efr. v. 114 nt, Ma od Dante chinmò mal
Boozio suo Dottore, ni Francesca vool
qui citare una sentenza, letta altre volte
nel libro di Boezio. Ufr. BLANC, Vere, I,
50 © seg.
125. AMOR: poichò non si tratta qui
della prima radice del loro amore, ma
del loro male, si potrebbe preferire (col
Betti) la lex. MAL, so non fosse troppo
sprovvista di autorità. — AFFETTO : ilesi-
derio.
120, ranò: moltiasimi codd. hanno br-
no; efr. Moore, Crit., 290. Ma « dirò
come colni che.... dice » non sembra dan-
tesco. - FIANGE KR DICE: parla piangendo;
efr. Inf. XXXIII, 9
127, ree DILRTTO: per passatempo,
dunque senza cattive intenzioni 6 senza
provedere lo consognanze dolla lettura.
128. LaxciLoTtTtO : oroo del romanzi
della Tavola Rotonda, i quali erano al-
lora in voga. Dante vi alludo più volte.
- AMOR: per la rogina Ginevra.
129, soit: tre incontivi: lettora di un
romanzo volnttnoso, l'esser soli, ed il
non aver sospetto, 0 timore di essere sco-
porti.
130. sosrinsg: a agnardi amorosi colle
conseguenze.
50 [CERCHIO SECONDO]
INF. v. 188-142
[PAOLO E FRANCESCA]
183 Quando leggemmo, il disiato riso
Esser baciato da cotanto amante,
Questi, che mai da me non fia diviso,
136 La bocca mi baciò tutto tremante.
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse.
Quel giorno più non vi leggemmo avante. »
139 Mentre che |’ uno spirto questo disse,
L’ altro piangeva si che di pietade
Io venni men così com’ io morisse;
142 E caddi come corpo morto cade.
183. k160 : bocca sorridente tanto ama-
ta. Nel romanzo: « Et la reina.... lo pi-
glia per il mento, et lo bacia davanti a
Gallohault assai lungamente. »
186. GaLztoTTO: nel romanzo di Lan-
cillotto nome dell’infame sensale di amo-
re tra Ginevra e Lancillotto. Senso: ciò
che per Ginevra e Lancillotto fu Ga-
leotto, fu per noi il libro ed il suo autore,
138. LEGGEMMO: avendo oramai altro
diletto. « Con questo vorso di molteplice
significato volle il Poeta adumbrare d'un
velo onesto una cosa inonesta in sò, ino-
nestissima in bocca d’una donna; » Giu-
sti. - AVANTE: avanti.
189. L'uno: di Fraucesca.
140. L'ALTRO: di Paolo. Piange per lo
dolore, del quale nessuno è maggiore,
v. 121, 122.
141. MORISSR: morissi. Forme consiinili
erano in uso nel ‘Trecento, nd ha qui luo-
go verun' «antitesi in grazia della rima. »
142. CAbDI : non per effetto di compun-
sione, come affermano molti, ma per ef-
fotto di compassiono; lo dice il Poeta due
volte (V, 140 e VI, 2) in termini espressi.
L'episodio di Francesca da Rimini fu ed
è ammirato, come una delle più belle pa-
gine della Divina Commedia. Ma non ai
potrà mai negare, che qui l'adulterio di
Paolo e di Francesca è moralmente ab-
bellito in modo, che non sembra conve-
nirsi troppo ad uomo < nel seno della tilo-
sofia nudrito. » L'Imbr., Stud. Dant., 520:
« Perchè Dauto falsusse (7) in tal modo
la storia © sublimasse { due volgari (1)
protagonisti di quello scandalo roma-
gnuolo, ci vuole, ci ha dovuto essere
un motivo ed un motivo forte. » Senza
dubbio; ma il guaio è che questo mo-
tivo non lo conosciamo. Fatto è, che
nell'episodio di Francesca il Bello este-
tico sovrabbonda, il Bello morale manca
affatto.
[cERCMO TERZO]
INF. Vi. 1-7
[coLos1] 51
CANTO SESTO
CERCHIO TERZO! GOLOSI
(Molestati da fredda e brutta pioggia)
CERBERO, CIACCO E SUA PROFEZIA
Al tornar della mente, che si chiuse
Dinanzi alla pietà de’ duo cognati,
Che di tristizia tutto mi confuse,
4 Nuovi tormenti e nuovi tormentati
Mi voggio intorno, come ch'io mi muova
E ch'io mi volga, e come ch'io mi guati.
7 To sono al terzo cerchio, della piova
V, 1-33. / golosi a la loro pena. Rin-
rentto dal suo svonimento, il I'oota si
trova nel terzo cerchio. Il suo passag-
gio dal secondo al terzo cerchio è mi-
sterioso, por l'appunto come quello dal
Veatibolo al primo cerchio. Confronta
TIT, 130 con V, 142; IV, 1 © seg. con
VI, 1 © seg.; IV, 7 con VI,T occ. Nol
ters» cerchio sono puniti i golosi, i quali
giacelono moltestati dn fredda e bratta
pioggia d' acqua, di nevo o di grandino,
Rone ia 6 ililaniati da Corbero od
urlano caninnmente, La pena è un qua-
simo di questi peccatori, il
eui Dio è Il entre (cfr. Filipp. 1II, 19),
VW enl prototipo è Cerbero, cho si sono
spogliati dell’ wmanitA per assamere In
eaniolté. Hanno inoltro puniti tutti i
ehe troppo necontentarono : il gu-
fango, l'odorato col puzzo, la vi-
tenebre, l'udito coi latrati di
il tatto colla pioggia e coi di-
tatlamenti del cane infernale.
1. et curuse: perdette il senso delle co-
Ei:
Bir
an sateriori. « Ma tornando alla mente -
Mi volai,e posi mente; » Brun. Lat., Teso-
ret., 0,93, Cfr. Nannuc, Man, 1°, 4616 sog.
2. DINANZI: alla vista. L'IETÀ : aspotto
compnssionerole,
3, THIBTIZIA: ofr. Inf. V, 117. - con-
ruak: mise in inquietudine, turbò gra-
remoente.
4. sUOVI: di goneredivorao, Al.:stran),
innnditi. Eran anche | formentati strani,
innawditi, ammirandif O wad Dante la vo-
co nuovi in due diversi sensi nello stesso
vorso |
6. come: da qualunque parte io mi ri-
volgessi e guardnssi.
6. cn'to MI GUATI; Al. R COME R CHE
I'auati: La voce guatare val qui nul-
l'altro che guardare attentamente.
7. MOVA: pioggia. « Eterna, perchè non
deo mai aver fine; maledetta, perchè è
pur posta a nuocere e non fa pro, come
quella del mondo; fredda, perchè fa l'no-
mo freddo di carità; © greve, perchè dà
gravità; » Buti.
eee
52 [CERCHIO TERZO]
INF. vi. 8-28
[CERBERO]
Eterna, maledetta, fredda e greve:
Regola e qualità mai non l’è nova.
10 Grandine grossa, e acqua tinta, e neve
Per |’ aer tenebroso si riversa:
Pute la terra che questo riceve.
13 Cerbero, fiera crudele e diversa,
Con tre gole caninamente latra
Sovra la gente che quivi è sommersa.
16 Gli occhi ha vermigli, e la barba unta ed atra,
E il ventre largo, e unghiate le mani
Graffia gli spirti, gli scuoia, ed isquatra.
19 Urlar gli fa la pioggia come cani; |
Dell’un de’ lati fanno all’altro schermo;
Volgonsi spesso i miseri profani.
22 Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
Le bocche aperse e mostrocci le sanne:
9. NOVA: quella pioggia cade senza In-
termissione e sempre d'un modo.
10. TINTA: sporca, sozza, puzzolente,
Al. nevischio. Dal v. 100 risulta che tinta
ha qui il senso di nauseante, schifusa, eco.
11. TENKBLOSO: la gola offusca la ra-
giono non meno dolla lussuria.
12. quksTO: mescnglio di grandino,
acqua puzzolente e neve. « Convonien-
tissima pena al delitto, chè essondo il
peccato della gola vilissimo, e chi l'eser-
cita simile al porco: a guisa di porci gli
faccia stare nel fangoso pantano ; » Dan.
«Sicut enim aliquando footot terra prop-
tor pluviam, ita corpus gulosi, fiwtot,
quod assimilatur sopulcro aperto; » Beng.
13. Caxuxno: KépBe206, cane mo-
struoso a più teste, frutto dell'unione
di Echidna con Tifone, secondo la mito-
logia antica il guardiano dell’ inferno;
ofr. Hesiod.theoy., 311. Virg. Geory. 1V,
483. Aen. VI, 417. Ovid. Met. IV, 449.
Apparisce pure come cane infernale in
alcun documento di poesia medievale te-
desca, © in molti di poesia latina. - DI-
VERSA: strana, stravagante, mostruosa.
14. TRK: per poter divorare il passato,
16. VKRMIGLI: rossi pei fami del vino.
- ATA: nera. « Però cho i golosi man-
giano brattamente ot ungonai la barba;
por la unzione ne diviene atra, cioè nera
ot oscura; » An. Fior.
17. Lanao: per riporvi molta roba. -
UNGHIATK: per rapiru e ritenore.- MANI:
ziumpe,
18. SCUOIA: scortioa. Al. INGOIA; prima
di equartarlif! XK gli squarta poi dopo
averli ingoiatif Lezione da rigottarsi, e
che il Betti chiama addirittura bestia-
le. Confr. però Z. F., 39. Buanc, Ver-
such, 62.
40. CANI: ni quali assomigliano por Ja
loro voracità.
20. sClknMO: difesa, circa come gli
usurai, Inf. XVII, 47 e seg.
21. IPROVANI: < profano come Esaù, il
quale per una pietanza vendò la sua pri-
mogeuitura; » Kbret XII, 16.
22. VKRMO: chiama cos) anche Lucifero,
Inf. XXXIV, 108. Nel linguaggio scrit-
turale il verme figura i rimorsi della co-
scienza, che rodono il peccatore; cfr. Zsaia
LXVI, 24. MarcoIX, 44, 46, 48. 8. Giuda,
6,7, 18. Zibull. I, 8, 69 © sog.: « Tum ni-
ger in porta serpentum Cerberus ore
Stridet, ot wratas excabat ante fores. =
I golosi servono al ventre, cho è un pasto
di vermi - ed il verine li tormenta im
oterno.
23. SANNK: denti di presa. Atto d\cane
adirato. Cfr. Inf. XXIII, 66.
il presente ed il futuro. « Lo tre gole di
Cerbero possono signiticare tre cose pro-
prie de’ golosi: mangiar troppo, mangiar
lautamente, mangiar ardentemente; »
Altavants.
15. BOMMEHSA: « battuta e quasi affo-
gata sotto la pioggia violenta; » Pass.
[CERCHIO TERZO]
INF. vi, 24-35
Non avena membro che tenesse fermo.
E il duca mio distese le sue spanne,
Prese la terra, e con piene le pugna
La gittò dentro alle bramose canne,
Qual è quel cane che abbaiando agugna,
E si racqueta poi che il pasto morde,
Che solo a divorarlo intende e pugna:
Cotai si fecer quelle facce lorde
Dello demorio Cerbero che introna
L'anime sì ch'esser vorrebber sorde,
[CERBERO] 58
a Noi passavam su per l’ombre che adona
La greve pioggia, e ponevàm le piante
24. renmo: tremava d'ira o forse più
ancora d'ingordigin.
26. erakye: mani alla dal pollico
al mignolo. L'atto di Virgilio somiglia n
quello della Sibilla, Virg. Aen. VI, 419
© nog.
26. rRIRA: ci vuol poco per indnrre il
goloso n dimentienre Il smo nffizio. Rn-
20. INTENDE: è tutto intento al pasto.
- FUGNA : ilivora con tale avidità cho par
che csombatta col cibo,
81. Facce: tre celti canini di quel Can-
demonio. - Loupe: sconce, deformi.
32. INTRONA : assorda Jatrando, v. 14,
Cfr, Jnf.XVI1,71.I golosi non hanno qui
musica durante il pasto, ma musica senza
questi peccatori
rono, nol mondo, lo vivande più squisito.
WV. 34-87. Ho hacker el DS
mere dalle ombre che ginoolono per
ei dial cl Posta se
In riconosca, quivdi, nvnta risposta ne-
gutiva, si nomina. È quel Clacco, che
fosse wn tempo persona cono-
scinitinsima a Firente; cfr. Roce, Dee.
* Fult tempore suo vituperono
infamia gulo; » ENTO = «Pe
Hi
fa molto corrotto e per che della memo-
ria innove fantasie fue sottile predicendo
le chose future pero qui por lui signifi-
cando di Fireuze così si predice; » Jae.
Dant,- «e Fn molto corrotto in lo pre-
ditto vizio della gola, e fu al tempo di
Danto 6 cognoscevalo in Firenze; » Lan.
- « Ebbo in sò, secondo buffone, leggia-
dri costumi, è bolli motti usò con li va-
lenti nomini, e dispettò li cattivi; » Ott.
- * Homo ilo cnrin fuit et guloaus val-
ilo; » Chess. — « Fu costui nomo non del
tutto di corte, ma perciocchd poco area
da spendere, erasi, come ogli stesso dice,
dato del tutto al vizio della gola. Era
morditore di parole, e le sue usanze erano
sempre co’ gentili nomini è ricchi, e mns-
simamente con quelli che splendidamente
e delicatamente mangiavano è beveano,
da'qualise chiamato era a mangiare v'an-
dava, è similmente so invitato non ern,
esso medesimo a'invitava, Et era per
questo vizio notissimo nomo a tutti i
Fiorentini; senzachò fuor di questo egli
ern costumato uomo, secondo la sua con-
dizione, ed eloquente e affabile e di baon
sentimento: per le quall cose era nasal
volentieri da qualunque gentile vomo ri-
cevuto; » Ieee. - Lo stesso ripete Benv.,
mentre J'etr. Dant., Falso Boec., eoc., non
danno veruna notizia del personaggio.
Buti, ripetendo il detto dal Bambgl.:« Fu
infame del visio della gola. » I commen-
latori anecessivi non fanno che ripetero
il già dotto da altri.
4. ADONA: doma, abbatle. Adonare
prov. adonar, consegnare, spagnolo ado-
narse, frane, # adonner, ecc, Cfr. Purg.
XI, 19. BLANC, Versuch, 64.
54 [CERCHIO TERZO]
INF. VI. 86-56
(CIACCO FIORENTINO]
Sopra lor vanità che par persona.
37 Elle giacean per terra tutte quante,
Fuor ch’una che a seder si levò, ratto
Ch’ ella ci vido passarsi davante.
40 « O tu che se’ per questo inferno tratto, »
Mi disse, « riconoscimi, se sai:
Tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto. »
43 Ed io a lei: « L’angoscia che tu hai
Forse ti tira fuor della mia mente,
Si che non par ch’io ti vedessi mai.
46 Ma dimmi chi tu se’, cho in sì dolente
Loco se’ messa, ed a si fatta pena
Che, s’altra è maggio, nulla è sì spiacente. »
49 Ed egli a me: « La tua città, ch'è piena
D'invidia si che già trabocca il sacco,
Saco mi tenne in la vita serena.
82 Voi cittadini mi chiamaste Ciacco.
Per la dannosa colpa della gola,
Come tu vedi, alla pioggia mi fiacco.
55 Ed io anima trista non son sola,
Ché tutte queste a simil pena stanno
86. VANITÀ: corpi vani; cfr. Purg. II,
79. Vedi però Inf. XXXII, 78 e seg. -
PRRSONA: sembra vero corpo umano.
87. TUTTR QUANTR: dunque Corbero
non ne avea ingoiata una sola; confr.
v. 18.
88. RATTO: subito che ci vide passaro
davanti a sé.
42. FATTO: nascesti prima che jo mo-
rissi. Dante nacque nel 1265; Ciacco si
dice morisse nel 1286.
43. A LEI: a quell'ombra. Al. a LUI:
cfr. Moons, Orit., 291 © seg.
44. Tina: il dolore altera i tuoi linea-
menti in modo, che non so riconoscerti
né ricordarmi di averti mai veduto.
48. MAGGIO: maggioro. Forma usitatis-
shna dagli Antichi o tuttor vivente. Piit
giù vi sono pone maggiori ed ancho più
apiacenti; ma Dante non lo ha ancora
vedute.
49. CITTÀ : Firenze. - PIKNA: cfr. v. 74.
« Avvenne che per le invidie si incomin-
Fiorenza, cho giù esce fuori; et vedesi
nell’ operazioni; » An. Fior.
51. SKRKNA: paragonata colla tenebrosa
di laggiù; cfr. Inf. XV, 49. Del resto
questa vita nel mondo è un correre alla
morte; Purg. XXXIII, 54.
62. Cracco: secondo alcuni corruzione
di Iacopo, secondo altri soprannome ob-
brobrioso, equivalente a porco. Buti:
« Ciacco dicono alquanti, che è nome di
porco ; onde costui era così chiamato per
la golosità sua. » Invece Fanf. (An. Fior.
I, 169 nt.): « Questo nome di Ciacco par
che fosse usituto a Firenze, dacchè non
di rado mi è capitato sott'occhio leg-
gendo antiche carto. » In questo caso il
homo non avrebbe che vodere col sost.
ciacco == porco, ma narobbo una italianiz-
vazione dol franc. Jacquea, o wo wbbre-
viamento di Giacomo. M x \a frase: Voi
cittadini mi chiamaste Cèacco wwbra al-
ludere piuttosto ad un Baap enous, che
all’ accorciamento di um “ Wage proprio.
53. DANNOSA: ogni Ga» d dannosa 5
ma quella della gola lc» da queti, al
corpo ed all'anima,
ciarono tra’ cittadini le sette; » G. Vill.
VIII, 89.
50. THABOCCA: « Avvi tanta invidin in
[CERCHIO TERZO]
Inr. VI. 57-70 [vICENDE DI FIRENZE] 55
Per simil colpa. » E più non fe’ parola.
Io gli risposi: « Ciacco, il tuo affanno
Mi pesa si che a lagrimar m’ invita.
Ma dimmi, se tu sai, a che verranno
i Li cittadin’ della città partita;
Se alcun v'è giusto: e dimmi la cagione
Perché l’ha tanta discordia assalita. »
Ed egli a me: « Dopo lunga tenzone
Verranno al sangue, e
la parte selvaggia
Caccerà l'altra con molta offensione.
Poi appresso convien che questa caggia
Infra tre soli, e che l'altra sormonti
Con la forza di tal che testé piaggia.
. Vicende politiche di Fi-
> dopo i 1300. Chiede Dante a
qual termine si ridurranno i
dinì di Firenze? Vi è colà al-
Ciacco risponde vaticinando i fatti nv-
venuti dopo il 1800, implicitamente l'esi-
Poeta.
60. mi - paga mi rammarica sino nile
lagrime. La compassione di Dante va
scemando a misura che i duo Poeti pro-
dall'alto al bnaso.
61. crrrA: Firenze, - rawrita: divisa
© lncerata dai partiti.
64. teNzONE: contesa tra' doe partiti
de’ Bianchi o Neri.
65. ALBANGUR: ciò che avvenne la sera
del 1 maggio 1200, « La sera di calen di
maggio anno 1300, veggendo uno ballo di
donne che ai facea nolla piazza di Santa
Trinità, l'una parte contro l'altra si co-
minciarono a sdegnare, è a pignere |’ uno
contro all'altro i cavalli, ondo si cominciò
sulfa è mischia, ov'ebbo più
>. Vill. VIII, 39, Cfr. Dei, Lurao,
Dine Comp. I, 165 © seg. - KELVAGGIA:
del Bianchi, capitanata dai Cerchi, i quali
èrmno «salvatichi e ingrati;» @. Vill, Lc.
68. L'ALTRA: la parte dei Neri, capita-
nata dai Donati. Allndo al fatto, che nel
maggio. del 1201 i enpi delle dune parti
mandati ni confini, i Bianchi sol-
5
x
È
Alte terrà lungo tempo le fronti,
68. INFRA: entro tre anni. Il colloquio
di Dante con Ciacco si finge avvenuto
nel marzo o nell'aprilo del 1300; i Binn-
chi e con loro Dante, furono sbanditi da
Firenze nei primi del 1302. Poteva dun-
que dire infra DUE soli; ma dice fre, o
perchò questo numero aveva per lui sim-
bolica importanza, ovvero per non dare
alo nn finto vaticinin la forma di nn
giornale, o di una cronaca, = L'ALTRA :
dei Neri.
60. TAL: Bonifacio VIII; confr. Par.
XVII, 49 è seg. Altri intendono di Carlo
di Valois. Ma questi venne a Firenze nel-
l'antonno del 12301, © nel 1300 Bonifn-
cio VIII aveva soltanto preso consiglio
di farlo venire a Firenzo; G, Vill, VITI,
43, 49. Di Carlo di Valois, Cineco nolla
primavera del 1200 non poteva dunquo
dire: che testà piaggia. - TRSTÈ: ora, in
questo momento, - Fraggia: si barca-
monn, procede ambignamente, Infatti
nel 1300 Ronifacio VIII piaggiara ; cfr.
G. Vill. VIII, 40 o sog. « Dicesi nppo |
Fiorontini colui piaggiare, il quale mo-
atra di voler quello che ogli non vuolo,
© di che ogli non si cura cho nvvenga:
la qual cosa vogliono alcuni in questa di-
scordia de' Bianchi e de' Neri di Firenzo
aver fatta papa Bonifazio, cioè d'aver
mostrata oguni tonerozzn di ciascuna
dolle parti; » Boece.
70, TERRÀ: la parte dei Neri insuper-
birà sopra i Rinncehi. - LUNGO TEMPO:
dunque Dante dettò questi versi parec-
chi anni dopo il 1302,
56 [CERCHIO TERZO]
INF. vi. 71-80
[FIORENTINI ILLUSTR1]
Tenendo l’altra sotto gravi pesi,
Come che di ciò pianga e che ne adonti.
78 Giusti son duo, ma non vi sono intesi;
Suporbia, invidia ed avarizia sono
Le tre faville ch’ànno i cori accesi. »
76 Qui pose fine al lacrimabil suono.
Ed io a lui: « Ancor vo’ che m'insegni,
E che di più parlar mi facci dono.
79 Farinata e il Tegghiajo, che far sì degni,
Jacopo Rusticucci, Arrigo e il Mosca
71. L'ALTRA: la parte dei Bianchi. -
PRSI: esclusione dagli uftici pubblici,
sbandimenti, confische dei beni, eco.
72. NE ADONTI: se ne adiri; oppure:
80 ne vergogni.
78. DUO: avendono il Poeta taciuto il
nome, il meglio è confessare senza smor-
fle che non si sa di chi ogli intendesse
parlare. Boce.: «Quali questi due si sieno,
sarebbe grave l'indovinare. » Si volle però
indovinarlo: Dante e Dino Compugni;
Dante e Guido Cavalcanti; Barduccio e
Giovanni da Vespignuno; la legge divina
o lalegge umana ; Guido Cavalcanti ed un
altro innominato amico di Dante, ecc.
Chi l'ha indovinata? - INTK»1 : ascoltati.
74. SULELRBIA: « Questa avversità o pe-
ricolo della nostra città nun fu senza giu-
dicio di Dio, per molti peccati commessi
per la superbia e invidia e avarizia de' no-
stri allora viventi cittadini, cho allora
guidavano la terra, e così do’ ribelli di
quolla come di coloro che la governava-
00; » GO. Vil. VIII, 68. « Por le peccata
dolla superbia c invidia ec avarizia, è altri
vizi che rognavuno tra loro, orano partiti
in setta ;» Zvi VIII, 96. Questi versi «non
contengono solamente un gruppo d' ima-
gini ben disposto, ma una storia di fatti
fedele. Superbia di Grandi avoa rotto il
quoto vivero di Firenze guolfa; super-
bia di Popolo aveva nella ropressione vc-
ceduto: da un lato Berto Frescobaldi,
dall'altro Giano della Bella. Znoidia o
malevolenza avon fomentati © fatti al-
zure cotesti bollori; invidia di viciui
verso vicini, di nobiltà vecchia contro
fortune subitanec, di mercatanti contro
mercatanti, di popolo basso contro po-
polo alto; di là i Donati, di qua i Cer-
chi. Avarizia e cupidigia di brutti gua-
dagni aveva attizzato il fuoco per trar
partito da coteati disordini, avea semi-
nato corruzione per raccoglier fiorini:
l'Aguglione, l'Acciaiuoli, messer Fazio,
i giadici. La pace della città si era, per
tal guisa, perduta in un sentimento uni-
versale di malevolenza e d'odio, che
pure invidia, nel senso della parola più
cupo e più tristo, chiama il Poeta; »
Del Lungo.
76. LACRIMABIL : parole che invitavano
a sparger lagrime, vaticinando a Firenze
tanta sciagura.
V. 77-93. Fiorentini illustri. Dante
chiede a Ciacco dove siano gli illustri Fio-
rentini, do' quali nomina alcuni. Ciacco
risponde: « Sono più giù, perchè più col-
pevoli; ciascuno nel corchio che si gua-
dagnd colle sue colpe. So torni al mondo,
rinfresca la mia memoria, Ora von ti dico
nd ti rispondo più nulla, » Volge quindi
un ultimo sguardo addolorato al l’oc
© pui ricado nel fungo.
77. ANCOR: oltro ciò chem'hai già dotto.
79. FARINATA: degli Uberti; lo trova
poi nel cerchio degli orutici, Inf. X, 82 e
sog. = TKGGINAIO: Aldobrandi; lo trova
poi nol girono dv’ Bodemiti, fay. XVI, 41.
Tegyhiajo è qui bisitlabo; gli antichi leg-
gevano Tegghia’, o così prima’ per pri-
majo, Pisto’ per Pistoja, ecc.
80. RUSTICUCCI: anche costui lo trova
più tardi nol girono dei Sodomiti, Inf.
XVI, 44.- Auuiuo: di costui il Poota
sombra essersi poi scordato, non aven-
done più fatto monzione. Probabilmente,
perchè posto qui insieme col Mosca, Ode-
rigo lifanti, uno degli uccisori di Buon-
delmonto; cfr. @. Vill V, 38. Altri cre-
donocho si parli qui di Arrigo Giandonati.
Cass.: «De Ariguciia. » - Boce.: «Giando-
nati. » - Benv.: «Istum numquam nomi-
nabit amplius; debet tacite poni cum
Musca, quia fuit secum in cadem culpa 3
fuit enim nobilis de Sifantibus. » - Ara _
(CERCHIO TERZO]
Inv. vi, 81-98 [FIORENTINI ILLUSTRI] 57
E gli altri che a ben far poser gl'ingegpi,
82 Dimmi ove sono, e
fa’ ch’io li conosca;
Ché gran desio mi stringe di sapere
Se il ciel gli addolcia o lo inferno gli attosca. »
85 E quegli: « Ei son tra le anime più nere;
Diversa colpa giù li grava al fondo.
Se tanto scendi li potrai vedere.
88 Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
Pregoti che alla mente altrui mi rechi.
Più non ti dico e più non ti rispondo. »
oi Gli diritti occhi torse allora in biechi:
Guardommi un poco, e poi chinò la testa;
Cadde con essa a par degli altri ciechi,
perfetto silenzio sopra une personng-
gio. - Mosca: de' Lamberti ; lo trova poi
tra | seminatori di discordia nella nona
bolgia; Inf. XXVIII, 106.
Sl. 4 BEN PAR: è difficile dire, se questo
parole, o quel che fur si degni del v. 79,
da prendersi snl serio o ironica-
dette. Gli uni credono che Dante
sul sorto, ma non intenda che d'una
meramente civile, non di morale
cristiana. Ma perchè allora chiederne
notizie a Ciacco nell'inferno e chiamarli
anime più nere? Altri intendono questo
lodi per una ironia. Ma almeno l' episo-
dio di Farinata (Inf. X) non sembra con-
fortare quest'opinione, la quale Benw,
penitus falsa: « quia licet sint
damnati propter aliqua vicia enormia,
tamen sunt landabilos et famosi mundo. »
Bi. ADDOLCIA : consola colle sne dolcez-
@0. — ATTOSCA : amaroggia colle ane pene.
65. wene: colpevoli.
86. AL Fowpo: dell’ inferno. Il peccato
separazione dell'anima da Dio. Quanto
a arden sp è tanto più grande la
Onde Lncifero è lagginso nel
Cia ri traggon d'ogni parte i
nel punto che in tutto o
+
He
ie
80. nec: lo stesso desiderano puro
altri dannati, Inf. XIII, 56; XV, 119;
XVI, 85, eco, « Privi del vero bone, no
desiderano almeno l'ombra, la quale da-
gli eletti 6 da que’ che sono nel Purga-
torio non è desiderata; > T. Tasso.
91. TORSE: per dolore, pensando al dolce
mondo, alla morente o già morta sna fama
ed alla sua miseria attunle ed oterna.
02, cninò: anche questo 4 nn atto di
dolore. Nuovo dolore, nato dal tacito pa-
ragone tra la suna è la condizione del.
l'interlocatore.
03, r85A: testa. — A PAR: a livello dei
suoi compagni. - crreni: avendo chinato
Ja testa prima di cadere, era di necessità
caduto por dinanzi colla faccia nol fango,
in cui giace come tutti gli altri in questo
cerchio. Avendo il viso volto in giù nel
fango, non ponno naturalmente veder
molla, sono quindi ciechi, L'allegoria è
qui chiara. Il goloso è cisco per tutto
ciò cho non è fango.
V.094-115. Della condizione del dan-
mati dopo ta risurrezione. Cadnto
Ciaceo nel fango, Virgilio dico a Dante,
ricordandogli con ciò che è tempo di con-
tinnare il viaggio: « Costui non si rialza
più sino al di del giodizio, » Mentre nt-
traversano questo cerchio, Dante chiede
se dopo il giudizio finale | tormenti dei
dannati resteranno gli stessi, o si av-
montornnno, 0 ai faran minori, « Si fa-
ranno maggiori, » rispondo Virgilio, ac-
condo le dottrine scolastiche, Chè « san-
ctarmm animarum felicitas in solis bonis
spiritoalibus orit; piena vero animarum
damnatarum post resurrectionem non
lho
Perch'io dissi: « Maestro, esti tormenti
Cresceranno ei dopo la gran sentenza
O fien minori, o saran sì cocenti? »
Ed egli a me: « Ritorna a tua scienza,
Che vuol, quanto la cosa è più perfetta
Più senta il bene, e così la doglienza.
to corchiu, sul cui ingrosso veduno
il demonio delle ricchexce.
ESTA: non si alza più da giacere.
I QUA: prima. - TROMMA: ofr. S.
KXIV, 30. I, Corint. XV, 52. I,
IV, 16. lucid. 0. 70; « Angeli cru-
ferentes privibunt, mortuos tu-
in ocoursum e)us excitabunt. »
ASTA : podestà, Cristo
ni roprobi, colla podestà di giu-
: rinchindendo quel corpo
usa della loro perdizione. Op-
è chiude un corpo dannato a
nalo dopo la risurrezione s' ag-
Tum.
: la sentenza finale, 8. Matt.
1: « Via da me, maladetti, al
Vila rutura,
manchi, manco è l'intendere. Ma
« Perchè Virgilio deo chiamare
tua, parlando a Dante, la
stotelica? © cho cosa potera |
autorità la Filosofia uristotelica
solvero un dubbio appartenente
trina cristiana! Tua scienza pertan
par da intendersi la Teologia, la
ben da Virgilio è detta tua, non
egli pagano dirla nostra mal.» Conos
Virgilio la teologia eristianaî E non |
egli il dabbio di Dante accoratam
conforme la filosofia aristotelica |
Inf. XT, 80, nel qual luogo Vir)
parlando dell' Ktica di Aristotile
la tua Etica, o Inf. XI, 101: la
Fisica,
107. PRRPRTTA: « anime magia cr
bontar post resurrectionem corporis
erunt perfectiores rations compositi
vera perfectione sed mala et damno
Benv. - «Anime nunc in Inferno
separate a corpore et sunt sine ci
quando isti resurgent, tune anime «
conjuncte corporibus, et tune isti «
perfectiores quantum ad esse esson
quia perfectior est omnpositio ox a
et corpore, quam anima solum, vel cc
solum; et idoo post ae
(CERCHIO TERZO]
Inr. vi. 109-115
[DANNATI] 59
109 Tutto che questa gente maledetta
In vera perfezion giammai non vada,
Di là, più che di qua, essere aspetta. »
112 Noi aggirammo a tondo quella strada,
Parlando più assai ch’io non ridico;
Venimmo al punto dove si digrada:
115 Quivi trovammo Pluto, il gran nemico.
111. pi LA: dal suon dell’ angelica trom-
ba. — RSSERR: in perfezione, cioè in per-
fezion di tormento, alle pene dell’ anima
aggiungendosi dopo il gran giudizioquelle
del corpo risorto.
113. a TONDO: in circolo, da destra a si-
nistra. « Dopo parlato con Ciacco, non
andarono per mezzo il cerchio, ma sul-
l'orlo; » Tom.
113. rarLanDO: della vita futura.
114. DIGRADA: discende.
115. PLuro: IModtog e MAovtav
il Dio delle ricchezze della mitologia an-
tica, figlio di Giasone e di Cerere. Cfr.
Aristoph. Plut., 90, 727. Hestod. theog.,
969. Hom. Odyss. Y, 125. Al. Plutone,
IModtwv, Pluto, Die, figlio di Saturno,
imperatore dell'Averno. Ma questi è Lu-
cifero, cui Dante chiama espressamente
Dite. (= Dis) Inf. XXXIV, 20. Se Dite è
laggiù confitto nella ghiaccia eterna, non
potevano trovarlo qui all'ingresso del
quarto cerchio. - NEMICO: della pace e
felicità dell’ uomo. Cfr. Keel. V, 12. I,
Tim. VI, 9. Lomb.: «Onde a Plutostesso,
come delle ricchezze distributore, grida
Timocreone : Per fe omnia inter homi-
nes mala. »
pores RULE AVARI RP PRODIGIT, LA FORTY
CERCHIO QUINTO: IRACONDI
(Immersi nello acque fangose dello Stigo)
ey
« Papò Satan, papè Satan aleppe, »
Cominciò Pluto con la voce chioccia.
-15. Pluto, tl custode del quarto Aamme! Se soltanto Dante avean
lo. Ad ogni corchio trovano un di obruiou! - « Papo è interjectio a
nitologico, simbolo dol vizio quivi tionis; quasi a dire cho, quand
+ Corbero ata su | Bolosi, Pluto su vido Tanto vivo, chiamde Satay
tl © prodighi. I domoni custodi nio sotto voco di maravigliarsi © <
roli cerchi aj sforzano di impedire veh! veh! » Lan. -~ « Pape è uns
rio del Poeta. Plato lo fa, sfo- di grammatica, che ha a dim
& sua rabbia in accenti strani ed quella affezione dell'animo che
gibili. Virgilio gil rammenta il stupore, e maravigliarei; © due y
Upremo, quindi Pluto nell’ impo- disse, per più esprimere quello m
\a rabbia cade a terra. gliarai: Satan è il Rtande Den
"È: dal v. 9 risalta, che queste Aleppe è una dizione, che ba a dimo
ole espresse dal furore; dai vv. l'affezione dell'animo quando si du
12 risulta, che lo scopo delle pa- O. - «0 Satan, o Satan, caput et
‘intimoriro tl Poeta. Dal v. 8 cepe Diomonunm, quid est hoc yj
loverai inferire che Virgilio in-
Nam papa interjectio est admira
sto strano linguaggio di Pluto, aleph voro Prima litera est Hel
utese, ciò vnol dire che è o vuol ,
linguaggio Umano qualunque, molto incerta, e
» s6condo mio
pm ne sappiamo. Il voler indo. niente è altro che indovinare; » di
senso di questo gergo di Pluto in altra oconsione Leonardo Bruni. -
rottata © lo provano le pareo-
centemente L. MONTI (Nuova lezion
ne d'iuterprotazioni dello «quali interpretazione, cco., Vercelli, 1894,
sono d'accordo. « Hoo est di- va ediz. ampliata, Milano, 1896) pro;
tan, o satan demon, quale mi- di leggere: Pape satàn, Pape sa
'vam est istud quod isti novi a leppe, che sarebbe il greco Tin
20 accidant; » Bambgl. ~ « In- --. +
an aa A a
[CERCHIO QUARTO]
Inr. vil. 8-17 [PLUTO] 61
E quel savio gentil che tutto seppe,
‘ Disse per confortarmi: « Non ti noccia
La tua paura, ché, poder ch’ egli abbia,
Non ti torrà lo scender questa roccia. »
7 Poi si rivolse a quella enfiata labbia
E disse: « Taci, maledetto lupo;
Consuma dentro te con la tua rabbia.
10 Non è senza cagion l'andare al cupo:
Vuolsi nell’ alto 14 dove Michele
Fe’ la vendetta del superbo strupo. »
13 Quali dal vento le gonfiate vele
Caggion avvolte, poi che |’ alber fiacca:
‘Val cadde a terra la fiera crudole.
16 Così scendemmo nella quarta lacca,
Prendendo più della dolente ripa
glocire, francese glonsser, oco. Confronta
Dixz, Wert. 1°, 124. Con questa voce il
Poeta accenna, che il grido di Pluto con-
sta di accenti natarali, non di parole
omane esprimenti logicamente an con-
cetto qualanqu.
3. agemi.: mobile, cortese. AI. paga
mo (1). - TUTTO Serre: anche il lingnag-
gio dì Pluto, o il significato del xuo grido
beatiale.
4. noocia: non lasciarti vincere dalla
5. ANIA: per quanto potente egli sia.
6. ronrà: impedirà. - ROCCIA : balzo,
dal IIC al IV cerchio.
7. KRVRATA: gonfin d'irùà. - LANA:
faccina; Inf. XXV, 21; XIV, 67; XIX,
122. Purg. XXIIT, 47.
8. LULO: « bene voont avaram lopom,
quia in prim capitolo rocavernt ava-
riciam lupam ;» Henv,- «Lo chiamò lupo
per dare ad intendere ch'egli è posto per
lo demonio dell'avarizia; la quale di so-
pra cap. primo, chiamò lnpa;» Buti. -
« È bellissimo quel maledetto Lupo nl-
Parlante demonio che presiede nl castigo
dell'ararizia. Chi si rammenta dolla Lupa
del primo canto no vele tosto l'allusio-
ney» Ross.
10. cacion: voler divino. - curo: pro-
finito inferno.
, TL. avro; cielo. - Micnriur: dall' ebr.
- | = Ohi 2 come Dio! Nowe di uno
“del sotto Arcangeli che rapprosentano il
Popolo eletto dinanzi al Trono di Dio;
Daniel. X, 18, 21; X, 1, Apoe. XII, 7-0.
12. sriuro: motatesi di stupro= ribel-
lione contro Dio. Altri derivano la voce
dal basso latino stropus = un branco di
pecore. Ti diavolo ed | suoi angeli un
branco di pecore?! E un superbo branco
di pecore?!
14. FrACCA: Neutr. si rompo, si sperza.
Al.: poi che il vento lo rompo,
V. 16-06. Avari o prodight, Giun-
gono al quarto cerchio, Qui una gran
moltitudine di anime, le quali, in due
npposte schiere, voltann pesi col petto,
al costano contro, s' oltraggiano è gri-
dano nltercando. Gran parte fir Papi
e Cardinali è chierici, e persone dotte,
mn non si riconoscono più. In questo
cerchio i peccatori sono distribuiti se-
condo il principio che « ciascuna virtir
ha doe nemici collaterali, cioè vizj, uno
in troppo e un altro in poco;» Conv.
IV, 17. I massi rotolati ricordano le gran
somme di denaro che gli avari ammassa-
rono 6 conservarono troppo gelosamente,
of prodighi sperperarono. Credettero di
farsi un nome, gli uni colle loro ricchezze,
gli nitri colla loro liberalità, od invoco si
rosoro non conoscibili a sogno, cho non
un solo è nominato.
16. LACCA: fossa, cavità; lat. lacus;
ted. lache. Cir. Enciel. 1096,
17. PRENDENDO : co’ passi ; inoltrandoci
vieppiù giù per la ripa infernale, — nirA :
balzo infernale.
62 [CERCHIO QUARTO]
- a
IWF. vir. 18-35
[AYARI E PRODIGHMI]
Che il mal dell'universo tutto insacca.
10 Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa
Nuove travaglie e pene quante io viddi!
E perché nostra colpa si ne scipa?
22 Come fa l'onda là sovra Cariddi,
Che si frange con quella in cui s’ intoppa:
Cosi co
Qui vid'i
E d' un
Voltanc
28 Percoteve
Si rivo
Gridan
2 1 O Così torni
Da ogn
Gridand
gi Poi si vol;
Li)
ir
Je riddi,
ve troppa,
| grand’ urli
oppa.
a pur li
> a retro,
e: « Perché burli? »
tro,
unto,
D metro.
ra giunto
Per lo Suu 1IlIOReau UOTULIL, ail altra giostra.
18. DELL'UNIVERSO: anche degli angoli
mali. - INSACCA: contiene.
19. 8TIPA: ammassa, dal lat. stipare.
20. NUOVE: inaudite, - vIDDI : vidi, for-
ma regolare antica.
21. sciva: strazia, lacera, malmena.
22. L'ONDA: che viene dal Mare Jonio,
- LÀ: nel Faro di Messina. - Canipnt:
lat. Oharybdis, gr. XdpuBde, voragine
nol Faro di Mossina, incontro a Scilla;
ofr. Virg. Aen. III, 450 e 60g., 558; VII,
802. Oulez, 331.
23. CON QUKLLA: che va dal Torreno.
24. uipol: faccia la ridda; giri a ton-
do. Iidda, dal vb. riddare, danzare in
giro, derivato dal ted. aut. ga-ridan, ted.
medio riden = volgere.
25. r'iÙ: l'avarizia od il suo contrario
sono i vizi più dittusi nol mondo. - TRoL-
PA: DUMErosa.
26. L'UNA LARTK: avari. - D'ALTRA:
prodighi.
27. PESI: le ricchez.ze accumulato e sciu-
pate. - rorra: qui per petto in generale.
Voltano i pesi col petto, non colle brac-
cia, essendo il petto il ricettacolo del
cuore, che agognò tanto le ricchezze.
28. INCONTRO: quando le due schiere,
degli avari a sinistra, e dei prodighi a
destra, s'iucontravano. - ruR Li: sul
panto medesiinu dello scontro. La pro-
nunzia pur li (inveco di pur A) è licenza
poetica comuno ai poeti. Licenza consi-
mile Lif. XXX, 87.
29. voLTANDO: forse gli stessi pesi che
avevano voltati sin qui; più probabil-
monto gli uni i pesi degli altri, gli avari
quelli dei prodighi e viceversa. I beni di
questo mondo, figurati nei pesi, girano
continuamente; dallo mani del prodigo
vanno in quello dell’ avaro, e dalle mani
dell'avaro in quelle del prodigo.
30. TIKNI: tu avaro. — BURLI: tu pro-
digo. Burlare significò appresso gli an-
tichi gettare, sparyere, sparpagliare e
simili. Clr. Nannuce. Anal. crit., 610.
« Burli, idest proiicis, et ost vulgare lom-
bardum; » Zeno, È dal provenz. dburlaire,
spagn. burlar. Clr. Encicl. 276 © seg.
31. TORNAVAN: givavano. - TETRO : te-
nebroso.
32. MANO: parte; i prodighi dalla de-
stra, gli avari dallasinistra dei due Poeti.
33. ANCHK: parimente, nel medesimo
modo. - METRO : il Perchè tieni? e Perchè
burli?
35. GIOSTRA : incontro, arto nel punto
opposto. Il gran cerchio è occnpato l'una
metà dagli avuri, l'altra dai prodighi; e
stando in continuo moto non posson però
nai questi passare nel mezzo cerchio di
quelli, o vicovorsa. S' incontrano nei due
[CERCHIO QUARTO]
INF. vir. 36-54
[AVARI E PRODIGHI] 63
Ed io ch'avea lo cor quasi compunto,
a7 Dissi;: « Maestro mio, or mi dimostra
Che gente è questa, e se tutti far cherci
Questi chercuti alla sinistra nostra. »
40 Ed ogli a me: « Tutti quanti for guerci
Sì della mente in la vita primaja,
Che con misura nullo spendio férci.
43 Assai la voce lor chiaro |’ abbaja
Quando vengono ai duo punti del cerchio,
Ove colpa contraria li dispaja.
“i Questi fir cherci, che non han coperchio
Piloso al capo, e papi e cardinali,
In cui usa avarizia il suo soperchio, »
49 Ed io: « Maestro, tra questi cotali
Dovre' io ben riconoscere alcuni
Che firo immondi di cotesti mali. »
Ed egli a me: « Vano pensiero aduni;
La sconoscente vita che i’ fe’ sozzi,
Ad ogni conoscenza or li fa bruni.
punti del corchia, «'Ingioriano, è gli
avari voltan faccia, rotolando i pesi ro-
0. COMPUNTO: profondamente afflitto,
i 0 forse tormontato di onriosità,
non nrendo ancora riconosciuto che quo-
ati erano gli avari od | prodighi.
E. crxTE: classe, o genero di pocca-
tori. - cumnct: ai di eherco, sincope di
cherico, dal gr. xAnpixég, Int. clericus,
Persona ecelesinatica, sncerdote così se-
colare come regolare; cfr. v. 46. Inf.
XV, 106; XVIIL, 117.
cite
40. TUTTI: avari è prodighi. - GURRCI è
stravolti della mento, non avendo rico-
l'occhio, Che patisco di strabismo, Qui
è neato (igoratamonte,
42, arexmo: dispendio. — Fiuct: ci fo-
cero, clod nella vita primaja, o terrestre,
avendo speso gli uni troppo parcamente,
gli altri soverchiamente,
43. voce: Perchè tieni? è perchè burli?
= ADMAJA: grida, manifesta.
45, DISPAJA: Sopara,
46, Quisti: a sinistra; avari — corkn-
cio: enpelli; che hanno la tonsura,
48, SOLRNRONIO: 6000880 ; ofr. Inf. XIX,
112 è seg.
52, ADUNI: accogli nolla tua mente,
63. SCONOSCENTK: priva di conoscenza,
dissennata; non avendo riconoscinto nè
il vero fine dell'umana vita, nè il vero
nao da farsi dei beni torrestri. Altri apie-
gano: vita ignobile ed osenra. Dei cherei,
papi e cardinali?! — 1': li, come Inf. V,
78 è apesso, Cir. 7. F., 45 è sog. Fanf.
Stud., 149. - sozzi: lordati del vizio di
avarizia o di prodigalità.
64, BRUNI: irriconoscibili. Credettero
gli uni ammassando ricchezze, gli altri
spendendo largamente, di rendersi cele-
bri nel mondo, ed invece si resero tali, che
ninno li conosce eil il lor nome è perduto,
Sconosciuti in vita, sconosciuti morti!
64 [CERCHIO QUARTO]
Inr. vil. 55-67
[AVARI E PRODIGMI]
65 In eterno verranno agli duo cozzi;
Questi risurgeranno del sepulero
Col pugno chiuso, e questi co’ crin mozzi.
58 Mal dare e mal tener lo mondo pulero
Ha tolto loro, e posti a questa zuffa:
Qual ella sia, parole non ci appulero.
GI Or puoi, figlinal vadar la sarta buffa
De’ ben’ la fortuna
Per che | buffa,
64 Ché tutto | na
E che gii stanche
Non pote 1a, »
67 « Maestro » di' anche:
55. cozzi: descritti nei
56. QUESTI: avari. Riso
morirono, ancor sempre a.
compressis digitia tenacitat
ritiam siguificat; » Diod, |
67. COL PUGNO CIIUBO : ann
CHIUSI, - KQUKSTI: prodighi.- MOZZI. por
avoro, secondo un proverbio italiano, dis-
sipato sino a' capelli.
68. ruLcno: bollo; il cielo. Il falso uso
che fecero de’ beni terrestri li ha osclusi
dal cielo e precipitati In questo cerchio
dell’ inferno.
69. ZUFFA: del duo cozzi ai due oppo-
siti puati del cerchio.
60. APPULCRO: non lo doscrivo con
bello parole; tu stesso lo vedi. Confr.
Z. F., 47 © seg. Fanf. Stud., 150 © seg.
Gl. sUFFA: vanità, instabilità, como
di un soltlo di vonto. Altri, invocando il
pusso Zuf. XXIL, 133, spiogano: giuuco,
burla, scherzo. La voce ha amboduo i si-
guiticati. Ma qui non si tratta di un
giuoco, anzi di cosa ben seria. Da Siena:
« Or puoi vedere quanto breve duri I’ au-
ra della fortuna, onde si goutlano i petti
umani, »
63. LER CHE: per amor dei quali beni.
- RABBUFFA: si prende pei capelli e viene
a contosa. « Il significato di questo voca-
bolo rabbuffa, par ch'importi sempre al-
cuna cosa intervenuta per riutta o por
quistione, siccomo è l'essersi l'uno uvino
accipigliato con l'altro, per la qual capi-
glia, i capelli sono rabbuffati, ciod disor-
divati, e aucora i vestimenti talvolta; è
però ne vuolo l’autore in queste parole
dimostrare lo quistioni, i piati, la guerro
© molte altre malo venture, le quali tutto
mini hanno inaleme per i ore
eredità, per lo occopazioni, a
‘egolati desider) ; » Booe.
consumato, Il tempo ed i onal
uttratto non poco all'uso do-
Senso: Tutte quante le rio.
Chuzsu vu restri dei tompi passati o pre-
senti non varrebbero ad acquistare ad
una sola di questo anime un unico istante
di requie.
V. 07 96. La Fortuna. Avendo Vir-
gilio accennato alla Fortuna, Dante lo
prega di dirgli, onde avvenga che essa
tiene i beni del mondo in sna balìa. Por
bocca di Virgilio egli ritratta quindi una
opinione da lui espressa nel Cunvivio,
duve aveva detto (IV, 11) dei beni di
questo mondo: «cho la loro imporfezione
primamente si può notare nella indiacre-
ziono del loro avvonimonto, vol quale
nulla distributiva giustizia risplende, mu
tutta iniquità quasi sempre. » La For-
tuna d unzi una jvtelligenza celeste, ordi-
nata da Dio al governo delle sorti umane;
essa distribuisce i beni terrestri giusta-
mento, secondo il volere del Supremo, e,
beata, non bada alle accuse e bestemmie
cho gli uomini le lanciano contro. « Sio-
come nella protasi è detto che Dio ha pre-
posto una intelligenza motrice, o delle
intelligenze motrici, u tutti i cieli, colla
logge di muoverli perpetuamonte in cir-
colo, così nell'upodosi deve intendersi che
similmente egli abbia duto in potere di
una intelligenza i varj boni di quaggiù
siMaittamonte, che distribuondoli fra le
geuti debba far loro percurrere un giro
perpetuo; ciod, da prima farle più e più
progredire nell'acquisto di quoi beni, tin-
[cERCHIO QUARTO]
InF. vir. 68-85
[LA FORTUNA] 65
Questa fortuna di che tn mi tocche,
Che è, che i ben’ del mondo ha si tra branche? »
70 E quegli a me: « O creature sciocche,
Quanta ignoranza è quella che vi offende!
Or vo’ che tu mia sentenza ne imbocche.
7a Colui lo cui saver tutto trascende,
Fece li cieli, e diè lor chi conduce,
Sì che ogni parte ad ogni parte splende,
76 Distribuendo ugnalmente la luce:
Similemente agli splendor’ mondani
Ordinò general ministra e duce,
79 Che permutasse a tempo li ben’ vani
Di gente in gente e d’uno in altro sangue,
Oltre la difension de’ senni umani.
82 Perché una gente impera e l’altra langue,
Seguendo lo giudicio di costei,
Che è occulto come in erba I’ angue.
85 Vostro saver non ha contrasto a lei;
chè arrivino al enlmine della terrena pro-
sperità, o pol dar volta, e di infortunio in
Infortunio ritornare alla primitiva mise-
Prose Fiorentine, Firenze, 1727, II, 1, p.
O1-120. B. BuorxromEI, Discorso della For-
funa, Fir., 1572, SaLvini, Discorsi Acca-
dem., Fir., 1725, 1, 07 © seg.
ar. pinta toochi, fai cenno.
cms è: è qui il lat. quod est = per-
A mai; onde è che, - THA BRANCHE:
ane mani. Termine esprimente di-
Quindi la riprensione di Virgi-
mi.
RATURE: « drizza ape
uomini ; » = SOIOCCHE;
INNO: 1 boni torrestri os-
nella potestà «della Fortuna come
mentre ella ne è soltanto ministra
distribwirli.
72. imsoccHR: imbocchi ; colga coll'in-
el TH Ld
at
telletto, | riceva, faccia propria.
73. con: = TUTTO: conoscendo
new solo tatto quello ansa cho hanno nin
reni e ma csinmilio tutto quello
che hanno te nn' esistenza
Ideale è
74. più: - Ci: le Intelligenzo
fy ofr. Cony. IT, 2. Par. XXVIII,
76 e seg. Allude alla simultau ea creazione
6. — Div. Comm., 39 ediz.
dei ciell 6 dogli angeli, insegnata dalla
scuola tomiatien,
75. OGNT FARTR: del cielo immateriale,
ossin ognuno dei nove cori angelici. — ap
OGNI PARTE: del cielo materiale, ossin
dello nove alore celosti. < Ambedue gli
emisferi di ciascun cielo, girando, si fan-
no vedere successivamente ad ambedne i
corrispondenti emisfori terrestri; » Pass.
76. DISTRIBUENDO : ogni parte del cielo
immaterinle,
77. sruenpor': di ricchezza, di onori,
di bellezza, di forza, di onpacità, di po-
tere, di gloria, di fama, ecc.
78. MINISTRA : Ja Fortuna, amministra-
trice generale degli umani splendori.
70. A Temro: di quando in quando, so-
condo il sno giudizio.
80. ORNTE: nazione, - SANGUE: fami-
glia, stirpe.
81. OLTRE: senza che forza od ingegno
umano possa farvi difesn.
82, rencné: onde, per lo che. - L'AL-
TRA: AI. RD ALTRA.
R4. citi è: AL cun è, por riguardo
all'eliziono, della qunto del resto gli an-
tichi non al curarono molto. - ANGUK:
serpe; efr. Virg. Belog, ITI, 93: « Latet
anguis in herbn. »
85. NON NA: non pnò contrastare; cfr.
Rom, IX, 10. = conruasTo: ostacolo.
64 [CERCHIO quinto) IF. vir. 86-101
[DISCESA]
Ella provvede, giudica e persegne
Suo regno, come il loro gli altri dei,
48 Le sue permutazion’ non hanno triegue:
Necessità la fa esser veloce;
Si spesso vien chi vicenda consegue,
91 Quest’ é colei ch'è tanto posta in croce
Pur da cstastahadta z4iaeman dar lode,
Dandole
OW Ma ella s'è
Jon l’alt
Volve su
07 Or discend
Già ogni
Quando '
100 Noi ricider
Sovra UL
Mi. VENA: L'aaguiaco D
ciò cho lias provveduto è giudici. - 4 #0-
vede, civd col suo sapere pensa odiscoras ;
giudica, come ha proveduto, 0 proseyue,
civ’ mette in esecuzione; » Buti.
87. pii: intelligenze. « Chiamulo Plato
Idew, che tauto è a diro, quanto forme è
nature universali. Li Gentili lo chiamu-
vano Dei 0 Doo; avvegnachò non così
tilosoticamente intendossero quello, como
MPlato.... La volgare ponte le chisuva A n-
peli; » Conv. II, 5.
88. PEUMUTAZION': passaggio de’ beni
torrostri da uno ad un altro. - TiaKkGUK:
riposo, cessazione, intorinittenzie.
$Y. NKCKSSITA: volero divino; clr. Z/0-
rat. Od. 1, 35, 18. Lu Fortuna è veloce,
dovendo tener dietro alla Neccssita che
le corro innanzi.
v0.sÌ:pertalmotivo. - vikn:avvieno. -
VICENDA : mutazionedi stato, «Sono tauti
che devono passaro alla volta loro che
poco spazio resta a ciuscheduno; » Tom.
91. rosta: Dbesteminiata.
92. pui: anche. - coLon': dagli uomini,
che esperimentano le sue pormutazioni. -
DAL LODE: perché inosorabilmento giusta.
93. MALA VOCI: chiamandola cieca, in-
giusta, ecc.
04. bb: è, Ben vive. - NON ODE: non
86 DO cura.
95. CRKATURK: intelligenzo, angeli,
croati contemporancamento coi cieli,
dunque prime creature.
la voce,
E
sta
‘ode.
r piéta.
va
| star sì vieta. »
ra riva
riversa
: de' beni torreatri, a loi alli-
data da Dio.
V. 97-108. #iscesa al quinto cer
clio, Js passata la metà della notte, ed
incomincia il secondo giorno dell'aziono
dol Pocma. Avrivano alla palude Stige,
regiouo degl’ iracondi.
97. A MAGGIOR: in più misorabile luogo,
ove son maggiori tormenti, il cui aspetto
ò più affunuoso 6 conpussionesvole.
99. MI MOSSI: Jaf. I, 136 è II, 1. Sin
qui il viaggio è durato sei ore. - TROVPO :
una notte sola nell’ Inferno, come Enea.
Lomb.: « Alude all'inseognamonto degli
Ascotici, che nella considerazione do' vizj
non si fermi la mento di soverchio, ma
solo quanto basta a conoscoro la brut-
tezza loro 0 pevnizio (2). - « Virgilio nel
rammentaro il cammino degli astri vuol
significare che quantunque Dante fosse
nolregnodell'eternità, pure perlui ch'era
vivo il tempo scorrea. E più d'una volta
farà ciò, e sempre con questa arcana in-
tenzione. Infatti nol Purgatorio si ve-
dranno sempre il solo, v lo stelle; perchè
il Purgatorio non è luogo eterno, come
l'Inferno ovo l'aere è senza stelle; ma è
luogo che dovrà finiro; » loss.
100. RICIDKMMO: traversammo.
101. RIVKRSA: traboccu lo sue acque;
si versa o volge giù per un fossato, il
quale è fatto da cssa fonte. Sulla origine
di questo o degli altri fiumi infernali,
cfr. Inf. XIV, 112, 148.
[CERCHIO QUINTO]
InF. Vil. 102-116
[IRACONDI] 67
Per un fossato che da lei diriva.
103 L'acqua era buja molto più che persa:
E noi, in compagnia dell’ onde bige,
Entrammo giù per una via diversa.
106 Una palude fa, che ha nome Stige,
(Questo tristo ruscel, quando è disceso
Al piè delle maligne piaggie grige.
109 Ed io, che di mirar mi stava inteso,
Vidi gente fangose in quel pantano
Ignude tutte e con sembiante offeso.
112 Quosti sì percotean non pur con mano
Ma con la testa e col petto 0 co’ piedi
Troncandosi co’ denti a brano a brano.
115 Lo buon maestro disse: « Figlio, or vedi
L'anime di color cui vinse l'ira.
102. PoRSATO: « per un canale che con
lo acorrer dello ane acque colla stossa si
menvn;» Pass.
103, rt: dunqne nera. — rrrsa: cfr.
Juf. V, 80 nt.
104. IN comragnia: lungo lo onde
oscenre, dietro alla corrente.
105. mvenaa: strrordinaria, insolita,
strana, orrida, malagevole,
106. raLunr: ofr. Virg. Aen, VI, 224.
- Stier: lat. Styx, gr, VTE, flame che
circonda la città di Dito.
108, maLiori: malageroli, sconcese, Al.
MALVAGE, lezione che il Moonn, Crif., 292
o seg., inclina a ritenere originale. Ma
age-angie—ige non sembra roba di Dante.
= finan: fancho, tetro.
V. 100-130. ON drecoudi, Nello nero
© fangose neque dello Stigo sinnno som-
gl iracondi, qual più qual meno,
la gravità della loro colpa, in
res! quasi irriconoscibili dal
ricopre. Quelli che sono
in parte si porenotono è
tra loro ferocemente; i
del tutto gorgogliano parole e
Lo Stige figura la passione del-
+ ll peronotersi è l'addentarsi anno
continanzione del fare terrestre di
peceatori, e così pure il gorgo-
te nentmerel .L'im
nome l'aso della ragione è la
facoltà di dire con parola i
Omsarrando che aceidia, invidia o #u-
è non si trovano altrove nell'in-
dantesco, | più credettero di tro-
pun
ta
vare in questo corchio anche necidiosi,
invidiosi 0 anporbi, Ma nell’ inforno «di
Dante si puniscono soltanto pocenti at-
tmali, L'accidin consisto nol non far nulla,
nd bene nè male, onde gli nccidiosi morti
impenitenti hanno il loro posto nel Ve-
atibolo. La anperbia è l'invidia in atto
sono lo radici di quasi tutti i peccati
che sì puniscono dal sesto cerchio in gil;
ofr. Inf. XII, 49 6 sog. È dunque fatien
gettata il chiedere, dove siano gli invi-
diosi ed i anperbi. Nel Purgatorio poi,
dove si tratta, non di punire fl peccato
attnale, ma di estirpare le radici del
male, il caso è diverso. Ne riparleromo
n Inogo debito. Cfr. Barron, Lett, ital.
VI, 1, p. 52 0 ang. T.. FiLomusi Guenet,
ht atrvtivra morale dell Inf, di 1), nol
Hiern Dent, 1, pr. 341 6 sog., 429 0 seg.
Enoiet. 12 © seg.
109, intriso: intento; mirara nttenta-
mente.
110. PANTANO: la sopradetta palude.
111. OFFESO: adognosn 6 ornccioso, pro-
prio di chi è vinto dall'ira.
112. questi: dannati. Al. QUESTE, clod
anime. -SI PERCOTEAN: vicendevolmente.
« È conveniente che nell'inferno si per-
cuotano coloro, che nel mondo s' hanno
porcosso, e atraccinal con li denti n porgo
& pozzo, come hanno straccinto nel mondo
lo prossimo o ancora sò medesimi; » Buti.
116, vinse L'IitA: è dunque chinro, che
in questo cerchio sono anltanto gl'irncon-
di, sé no nvrobbe detto che altri furono
vintidalln superbia, altri dall'invidia,ece,
68 [CERCHIO QUINTO]
InF. Vil. 117-130
[rRACONDI]
Ed anco vo” che tu per certo credi
118 Che sotto l'acqua ha gente che sospira,
E fanno pallular quest'acqua al summo,
Come l’oechio ti dice u' che s' aggira.
121 Fitti nel limo dicon: “ Tristi fummo
Nell’aer dolce che dal sol s’allegra,
Portanda dantra ascidinaa fommo:
124 Or ci attr
Quest’ i.
Ché dir
127 Cosi giran
Grand’a
Con gli ,
130 Venimmo |
117, cheb: creda,
118, soTtTO: sobiavi nas
roce loro passione. Al.: « i
dono e nutriscono l' ira
proprio cuore, ira tanto pri —....--<,
quanto più rattenata; ondo la prima di-
vampa, e l’altra fama. » Ma usano quei
che son sommersi del tutto altro modo?
Non si tormentano vicendevolmente? Il
Poeta non risponde.
119. rULLULAR: gorgogliare, sorgere
ia bolle sino alla superficio. « Por lo fia-
tare sotto l'acqua venivano li bollori su-
so; » Bult. - AL SUMBIO: sulla superficie.
120. u'CHIKR: dovunque l'occhio tuo al
Volga.
121. LIMO: fango, poltiglia.
122. DOLCK: vita torrostro; cfr. Znf.
VI, 88. - DAL: Al. vr. « Dal risponde
qui alla prep. a uv de lat. che significa e
cagione e tempo; sicchè dal sol varrebbe
e per cagione del Sole, è dopo che il Sole
sia sorto; » Da Siena.
123. DENTRO: nel cuore. - ACCIDIOSO : 0
lento, oppure tristo o affunnose, entrambi
nignificati dal lat. acedia. « Accidioso
fumino non vuol dir altro che lenta ira,
egra. ,,
a strozza,
\ intégra. »
8 il mézzo,
lango ingozza:
lassezzo.
n presta e subita (conciò sia
| moti non sono in potestà di
mi) non è peccato; » Dan, —
mio aecidioso fummo il Posta
coi vi vimento il diapelto cho cova-
rono nell'animo | tristi d'ira roprossa
nol trattenersi dallo sfogo della loro col-
lera; » Z'odeschini.
124. BKLLKTTA: forma varia di mel-
letta; melma, pantano, fango; deposito
dello acque torbido.
125. INNO: por ironia, lamento. - GOR-
GOGLIAN: barbugliano. «Gorgogliare espri-
mo il romore che uno fa gargarizzandosi:
pronunziare indistintamente come fareb-
be uno clie avesse dell'acqua nella gola; »
Blanc. - sruozza : cunua della gola.
126. NOL LOSSON: essendo immersi nel
pantano.
127. rozza: dal ted. Pftitze = pozzo,
gora.
128. ARCO: gran porzione di quel quinto
cerchio. - MÉZZO: con l'e stretto e le z
- aspre = fradicio della palude.
129. a Cll: a quelle povere anime.
130. AL DASSKZZO: (dal lat. da-sequiue f)
da ultimo. Cfr. Encicl. 528 e seg.
[CERCHIO QUINTO]
INF. vini. 1-8 [LE DUE FIAMMETTE]
69
CANTO OTTAVO
CERCHIO QUINTO: IRACONDI
FLEGIAS, FILIPPO ARGENTI, LA CITTÀ DI DITE
OPPOSIZIONE DEI DEMONI
To dico seguitando, che assai prima
Che noi fussimo al piè dell'alta torre,
Gli occhi nostri n'andàr suso alla cima,
Ò Per due fiammette che i’ vedemmo porre,
E un'altra da lungi render cenno,
Tanto che appena il potea l'occhio térre.
T Ed io mi volsi al mar di tutto il senno,
Dissi: « Questo che dice? e che rispondo
W.1-30, If custode del quinto cer-
elio. Andando tra la ripa secca e la mel-
ma, dopo aver girato grand'arco di quel-
la lorda pozza, con gli cechi volti a quei
che ingozzano del fango, i due Posti sono
a piè d'un'alta torre; ma prima
ancora che vi siano, il loro aguardo viene
attirato alla cima di essa da due fammet-
te che vi vedono porre, alle quali nn'al-
tra, d'assai lungi, rende cenno, Dante,
nulla odiquei segnali scam-
b'ati, ne domanda n Virgilio, il quale gli
risponde: Lo vedrai a momenti. Più ve-
loco d'una anstta cho corre via per l'aereo
spella viene per l'acqua nna piccola na-
ve, guidata da un solo nocchiere che vo-
mita parole di urdentissima ira, Disingan-
nate da Virgilio, ma como costretto da
won foren anperioro, Moegitn arenglio |
ine pellegrini nella sus barchetia, o li
\ragitta all'altra riva, dove è l'entrata
della città «di Dite,
l.agouttAaNDO: continnando e complen-
doll incconto incominciato ed interrotto ;
tfr. Amosto, Ort. XVI, 5; XXII, 3, eco,
4, r': vi, ivi. Le due fammette, poste
sulla sommità della prima torre, sono
il segno del fatto straordinario, che
nu' anima viva discende nello profondo
inferno; « siccome far si snole per le con-
trade nelle quali è guerra; + Boce. O « ad
imitazione di quello che si fa tra gli uo-
mini, quando pei tempi sospetti l' una
all'altra terra di di fa cenno col fumo,
6 di notte, come era allora, col fuoco; »
Land.
5, DA LUNGI: onde fu necessaria una
grande aggirata, v. 79, La finmmetta da
Inngi è nella città di Dite, probabilmente
sull'alta torre alla cima rovente, menzio-
nata Inf. TX, 36. - nixben CENNO: ri-
spondere ai segnali delle due fiammette.
6. TANTO: da lungi. - TORRE: scorgere;
A 1 virgilinno: « locnom caples ventia; »
Georg. 11, 230, Confr. Liean., 1, IV, 10
© sog.
7. MAR: Virgilio; cfr. Inf. VII, 3.
8. QUESTO: funco dello due fiammette,
v. 4. Oppure: Che vnol dire questo porre
di qua due fammette!
70 [CERCHIO QUINTO] INF. viti. 9-26
(PLEGIAS]
Quell’ altro foco? e chi son quei che il fenno? »
10 Ed egli a me: « Su per le sucide onde
Già scorger puoi quello che s’ aspotta,
So il fummo del pantan nol ti nasconde, »
13 Corda non pinse mai da sé saetta
Che sì corresse via per l’aer snella,
Com'io vidi nna nava ninsialgtta
10 Venir per |
Sotto il g
Cho grid
19 — « Flegil
Disse lo
Più non
22 Quale colu
Che gli +
Fecesi ]
95 Lo duca m
E poi mi
9. FKNNO: chi son coloro che inisoro
fuori quollo finnmettef
10. SUCIDR: nere e fangose; Znf. VII,
124, 129.
11. s'ASsrETTA: sta per accadere, in
conseguenza dui duo segni.
12. 1. FuMmMO: la « nebbia folta; »
Inf. 1X, 6.
13. rIN8K: spinse; da pingere=lat. in-
pingere. Cfr. Virg. Aen. XII, 855 è sog.:
«Tila volat coleriquo ad terram turbine
fortur: Non sceus se nerve por nubom
impuisa sagittià. » EX, 147 oseg.: « lu-
git illa per nudus Ocior et inculo et ven-
tos mquante sagitta. » Ovid. Met. VII,
776 e seg.: « Non ocior illo Hasta, nec
excussit contorto verbere glandes, Nec
Gortyniaco calamus levis exit ab arcu. »
10. IN QURLLA : sottintesovi ora; d'uso
frequento; qui vale: Iu quel medesi-
mo momento cho Virgilio risponduva a
Dunte.
17. GALEOTO : galeotto, come Bac, por
Bacco, afige per afigge, fusi por Sussi,
sana per sanna, ecc. « Galeotti son chia-
mati que’ marinari, i quali servono allo
galeo; ma qui, licenza poetica, nomina
galcotto il governatore d'una piccola bar-
chetta; » Bocc. Lo due fiammette dettero
il segno di qualche novità; i demoni di
Dite risposero con una fiammetta d'aver
quella,
eoto,
, anima fella! »
R voto, »
sta volta.
sando il loto. »
> ascolta
rammarca,
ta,
By
so lui,
inteso; mentre Flegiàs, nella sua piccio-
lotta navo, viene velocissimo come sact-
ta, a vedere quale sia la novità annun-
r.iata, ed a fieramente minacciare |’ assa-
litore.
18. or: avverbio di tempo, ora, essen-
do in prima vita. Parla al solo Dunto,
como fece Caronte, Inf. III, 8860 seg. I
più intendono che parli a Virgilio, nel
qual caso però l'avverbio or non avrebbo
senso alcuno, tranne quello di finalinente,
como so logis avesso aspottato Virgi-
lio da nu pezzo! - GIUNTA: arrivata,
19. FLkoràz: DAeyHag, personaggio
mitologico. Irate contro Apollo, cho gli
avea violata la figlia Coronide (madre di
Esculapio), mise tuoco al tempio di Dello
ed arselo; clr. Pind. pyth. I, 8. Virg.
Aen. VI, 618. Stat. Theb. I, 712. Val. FI.
II, 193 e seg. Alcuni lo dicono presidente
della città di Dito, i più custode del quinto
cerchio.
20. A QUESTA VOLTA: alla volta nostra,
verso di noi. Al.: Por questa volta.
21. riÙ: por maggior tempo. - AVRAI:
in tuo potero. - LOTO: fango dello Stige.
24. Acconta: addensata iu petto, non
potendo sfogaria a modo sue. « Concepta
mente ot facie; » Beno. « Collecta fatigat
edendi Kx longo rabies; » Virg. den. IX,
62 © Beg.
[cERCMIO QUINT. |
InP. viti, 27-82
[FILIPPO ARGENTI] 71
E sol quand’ io fui dentro parvo carca.
28 Tosto che il duca ed io nel legno fui,
Secando se ne va l'antica prora
Dell'acqua più che non suol con altrui.
31 Mentre noi correvam la morta gora
Dinanzi mi si fece un pien di fango,
27. cARCA: per il peso del corpo di
Dante.
20, rrorA: nave; la parte per il tutto.
30. aLtRU! : Flegiàs, ofr. v. 18 © seg. I
più spiegano colle ombree dicono che Fle-
gids abbia l'ufficio di bareainolo destina-
to a traghettare aulin palude Stige tutto
quanta le animo condannate al basso in-
forno. Ma lo animo, npponn nellta ola MI-
nosse In loro sentenza, son gin volte (Inf.
V, 15), cadono (Inf. XIII, 97,, piorono
(Inf. X.XTV,122), rvinano (Inf. XXXIITT,
133) al corchio ove sono condannate, op-
pore vi vengono portate dal diavolo, Inf.
XXI, 29 eseg.; dunque non vengono tra-
gittate da Flogias. Infatti Dante non dice
mai che esse si raccolgnno alla riva di
Stige; sn quella spiaggia di cni i due Poeti
percorrono grand arco, facendo poi gran-
de aggirata în baren, non vedono una
sola ombra che vada pol ano enmmino.
Dove sarebbero dunque le moltitudini
che incessantemonte si radnnano enila
riviera «d'Acheronto (Inf. ITT, 70-120)!
Lo stesso spettacolo dovrebbe di noces-
sità ripetersi qui, so Flogihs dovesse tra-
né la sua piccioletta nave ha-
sterebhe a tanto. (ai il viaggio dei dun
Poeti è diverso da quello delle anime
dammata, appunto come altrove; clr. p
oa, Jaf. XVI, 106; XVIT, 134; XXX.
112-145. Per tolte cià cfr. Setrmio CI-
rota, TT passo dello Stige. Vorona, 1891.
V. 21-64. Filippo ‘Argenti. Mentre
Ppasano la morta palude, ecco Filippo
tto di , l'iroso o bizzarro fiorentino che
di offondere Dante, il quale da ma-
lo ributta, onde no è lodato da
e rendicato dagli altri spiriti cho
danno addosso a quel bestiale. Questi dal
tanto sno, non potendo sfogare l'ira ana
Contre altri, Inveisce contro sè stesso.
#1. stonta: la cul superficie non pullu-
lava, ofr. Inf. VII, 119. Benv.: « Dum
i per illam vallem stygiam,
bo, qua erat mortaa, ideat immota » (1).
_ Filippo Argenti, efr, v. 01, « Fuit
ox popolaribus Civitatia
ps Rambgl. - « Degli Arlimari
di Firenze, cava(biere); » An. Sel. - « Un
charalioro fiorentino nominato Messer
Filippo Argienti degli Adimari «i truovn
il qualle irachundisimamento vivendo si
resso;» Jac, Dant, = « Non ebbo mai al-
cuno atto ili virtnile nella ana prima vita,
ma sempre fu superbe od arrogante ; »
Lan, — « Degli Adiwari di Fironzo, en-
valbere «di pormimado vita, 6 di granaio lr
banza, o di molta spesa, è di poca vir
tude © valore; » Ott. — « De Adimaribns
de Florentia, hominem multnm jam su-
perbom et nrrogantem ; » Petr. Dent, -
« Fn questo Filippo Argenti de' Cavio-
cinoli (uno de' rami degli Adimari), cava-
ere ricchissimo, tanto ché asso nloeuna
volta feco il cavallo, il quale nsnva di
cavalcare, ferraro d' nriento, e da questo
trasse il soprannome, Fn nomo di per-
sona grande, bruno e nerbornto edi ma-
ravigliosa forgn, o più che nlenn altro ira-
condo, eriandio per qualnanqune menoma
cagione: né di ave opere si sanno che
quoste dne; » Bocce, - « Fu costui messer
Mippo argienti degli adimari difironze
arroghante esnperbo enimico didante
perchera diparte nera edante ora diparte
hancn;» Falso Roce. — « Habebat sum-
me odio populum florentinom, habobat
ontm equam quem vocabat eqnum po-
poli Florentim, quem promittebat omni-
bas potentibna sum mutno; do mane
equua erat paratus tempestivo ot daba-
tor primo vonienti; postea aliia super-
venientibna dicchatur: tarde, to foisti
proerentos, et sic eludebat spes multo-
rum, et de hoe hnbebat solacium et ri-
sum; Bene.-< Fo nomo molto arro-
gante et iroso è diffamato dal vizio del-
l'ira; e fu chiamato Argenti, perchè facoa
ferrarelo suo cavallo coi ferri d'ariento ; »
Buti. - « Una volta, avendo questione con
Dante, diede nno schiaffo a Dante perchà
erano «li diversas e contrario parti. E sem-
pre fu inimicizin massima fra loro due; >
Anon. Laur. XLII, 14,-L'An. Por. oo-
pin fl Boee.; i comment. posteriori non
aggiungono nulla di nuove, - Avendo
dato motivo anche n min novella (Boer.
72 [CERCHIO QUINTO]
Inr. visi. 83-54
(FILIPPO ARGENTI]
L disse: « Chi se’ tu, che vieni anzi ora? »
a4 Ed io a lui: « S'io vegno, non rimango,
Ma tu chi se’, che si se’ fatto brutto ? »
Rispose: « Vedi che son un che piango. »
87 Ed io a lui: « Con piangere e con lutto,
Spirito maledetto, ti rimani;
Ch’ io ti conosco, ancor sia lordo tutto, »
40 Allora ste
Per che
Dicendo
43 Lo collo pe
Baciomn
Benedet
40 Que' fu al
Bontà nr
Così s' è
40 Quanti si ti
Che qui
\ani;
sospinse,
altri cani! »
nse,
Alma sdegnosa,
icinge !
rliosa ;
| fregi,
osa.
regi, ,
in brago,
Di sé lasciando orrivin aispregi! »
62 Ed io: « Maestro, molto sarei vago
Di vederlo attuffare in questa broda
Prima che noi uscissimo del lago. » |
Dec. 1X, 8), è Segno che l'Argenti si era
ben distinto per il vizio dell'iracondia.
33. ANZI ORA: prima di essere morto;
cfr. v. 18.
34. RIMANGO: come tu. Sembra che
l'Argenti credesse di avere in Dante un
muovo compagno di pena.
35. RUTTO: lordo, pieno di fuugo.
36. UN: disdegna numinarsi; cfr. Inf.
XXXII, 94.
39. ANCOR: ancorchè. - BIA. Al. sIK.
40. 8TESK: per offendere Dante.
41. acconto: della rea intenzione di
Filippo Argonti.
44. SDEGNOSA: altera, gentile. « Bene
qui si contrappone lo edegno del Poocta
all'orgoglio e burbanza (moglio: all'ira)
dell'A rgenti; nulla sendo a cotali nomini
più dura pena cho l'altrui disprezzo; >
Da Sicna.
45. COLKI: tua madre; cfr. Luc. XI,
27.-1N TR: «seguitando fl volgare antico,
che dicono molti d'una donna gravida:
Ella è incinta tn uno fanciullo, ciò è el-
l'è gravida; » An. Fior.
46. OUGOGLIOSA : danque iraconda per
orgoglio. Nell’ iuferno dantesco è punito
por l'ira, della quale la superbia fu la
radice.
48. Cosi: itaque, perciò, per tul motivo.
49. LassU: nel mondo. - GRAN RKGI:
personaggi di gran conto.
60. BRAGO: prov. brac, franc. ant.
brat ; fango, mela, mota, poltiglia; cfr.
Purg. V, 82.
61. LASCIANDO: nel mondo. - DISPREGI :
memoria di azioni orribili, a commettere
le quali furono trascinati dall'ira.
52. vaco: bramoso, desideroso. « Se-
quitur autor Dumanum appetitum quasi
dicat: sicut delectabatur distraciare et
ludificari alive, ita vellem antequam re-
cedam hine fiori destracium et ladibriam
de co; » Benv.
53. ATTUFFARK: qui iu senso intr. pas-
sivo per essere attuffato. Desidera il Poeta
di vedere più chiaramente come il vizio
dell'ira porti in sè il proprio gastigo, e
vedutolo, ne ringrazia Iddio. - Buona :
pantano.
[CERCHIO QUINTO]
Inr. vill. 55-70
[LA CITTÀ DI DITE] 73
53 Ed egli a me: « Avanti che la proda
Ti si lasci veder tu sarai sazio;
Di tal disio converrà che tu goda, »
58 Dopo ciò poco vidi quello strazio
Far di costui alle fangose genti,
Che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
ei Tutti gridavano: « A Filippo Argenti! »
E il fiorentino spirito bizzarro
In sé medesmo si volgea co’ denti.
6k Quivi il lasciammo; ché più non ne narro.
Ma negli orecchi mi percosse un duolo
Perch’ io avanti intento l’ occhio sbarro.
67 Lo buon maestro disse: « Omai, figlinolo,
S'approssa la città che ha nome Dite,
Co’ gravi cittadin', col grande stuolo. »
67. CONVERRÀ : Al. conviIRN cuR TU TI
GODA.
58. QUELLO: tale.
59. ALLE: dalle. — GENTI: iracondi nella
61. A: ndiloaso n.
62. RIL FIORENTINO: Al. LO FIORENTI-
x0; Lomb. colla Nidob. QUEL FIORRETINO.
-— MZZARRO: stiztoso, iroso. Sopra l' eti-
mologia di questa voce cfr. Diez., Etym.
Worterd. 1", p. 71. « Credo questo voon-
bolo bizzarro sia nolo «de' Fiorentini, e
scons sempre in mala parte ; perio
nol tegnamo bizzarri coloro che subita-
mente e per ogni plecola cagione corrono
nè mai da quella per alcuna di-
mostrazione rimuovere si possono ; >
in sé: non potendo offendere altri.
lo straziano colle loro grida, egli
atrazia sò stesso coi denti.
64. ont: onde, per la qual cosa. Dopo
RPMS MEG Thin lee tanene
in af stessa, non cl rimaneva altro da
. 66-81, La città che ha nome Dite.
Dante ode nn grido di dolore o spalanen
gli cechi grarisndo aranti, « KR Dito; »
ell il dace. + Voggio già lo sio
che sembrano ferro
«CW deriva dal fuoco oter-
là dentro. « Arrivnno ni
ttà Inferna lo. Flegiàs addita
o]
si
iti
Ed io: « Maestro, già le sue meschite
loro I entrata, stimolandoli ad usciro
dalla sua barchetta.
65. puoLo: doloroso lamento, il quale,
come si ha da quel che segue, veniva da
Dito, Intende per nvventura di un grido
flolente di quei tanti demoni, v. 82, nl
vedor arrivare alla porta dalla loro città
on' anima viva, o è il duolo dei dannati
(LX, 111)?
60. sHARRO: spalanco. « Apro por vo-
dere quello che fosse cagione di quel
duolo;» Buti.
68. Dire: la parte inferiore dell'Infer-
no, che prende il nome da Dite (lat. Dis),
o Lucifero, l'imperator del doloroso re-
gno, cfr. Inf. XI, 66; X11,49; XXXIV,20.
69. onavi: di colpa e di pena. - 8TUOLO:
moltitadine. « Est enim ista civitas po-
pulosa et plena gentibus toting mundi
quis habitant in diversia vicis; » Benv.
70. Mkscniri: moschee ; così chiamanal
i tompli dei Mussulmani. Sembra che le
tortezze della città infernale nvessero la
medesima forma. Forse vuol dire con ciò,
che la religione di Maometto trae sun
origine dall’ Inferno, « La barca si è già
tanto nocostata nll'altra riva di Stiga
che Danto cmminela n vedero nelle fos-
ante estorne della città lo ano torri info
cato, ch' ei chiama meschite, forso per al-
Indero ai miscredenti cho là sono; poiché
con un tal nome | Saraceni chiamano |
templi del falso lor culto; » Moss,
74 [CERCHIO QUINTO] InP, vill. 71-83
[LA CITTÀ DI DITE]
Là entro certo nella valle cerno
Vermiglie, come se di foco uscite
Ta Fossero. » Ed ei mi disse: « Il foco eterno
Ch'entro l’affoca, le dimostra rosse
Come tu vedi in questo basso inferno, »
76 Noi pur giugnemmo dentro all’ alte fosse
Che vallan quella terra sconsolata:
Le murs
79 Non senza
Venimm
« Uscite
82 Io vidi più
Da’ ciel’
Tl. Cerro: chiaramenta,
distingoo. Climma valle i
il quale sembra giacera i
ripiano del quinto, ma ,
dalle fosse, mura 0 mese
l'aspetto di una città for.
72. VeRMILIK: siflucato, como lo areho
là dentro.
75. 414880: in cui si pnniscono i peccati
li malizia e di bestialità (la x2xlz e la
Iyprdty¢ di Aristotele), mentre nell'alto
inferno fuori di Dite sono puniti i poccati
d' incontinenza, come esporrà più tardi
nel canto XI.
76. run: finalmente. - ALTK: profondo.
77. VALLAN: circondano, difendono.
« Vallo, secondo il sno proprio siguifi-
cato, è quello palancato, il quale a’ tempi
di guerra af fa d'intorno allo torre, ne-
ciocchd siano più forti, o che noi volgar-
mento chiamiumo steccato; e da questo
pare che venga nominata ogni cosa la
quale fuor delle mura si fa per afforza-
mento della torra; è perciò dico l'autore,
che giunse pelle fosso cho vallano, civé
fanno più forte quella terra; » occ.
78. FossK: fossero; il verbo accordato
al nome più viciuo. La lezione CHK eRRRO
Fossk è della gran maggioranza dei codd.
Alcuni pochi hanno cu FUssKi Fossi.
Ma le mura non potovano parergli fosse!
Cfr. Moonk, Crit., 293.
79. AGGIRATA: giro. Nella nave piccio-
letta avovano dunquo percorso un lungo
tratto del corchio.
80. NOCCHIKK: Fiogiàs. E che fu poi di
luif Rimase N nella sua nave? O tornò
indiotro? O entrò nella città? Ii primo
) fosse.
girata,
iechier forte
"entrata. »
rle
unente
ih probabile, e pare che Flegihs
ill'entrata di Dite, il sno posto,
mmlonò eccezionalmente, come
farà Gerione. L'opposizione del
l'entrata di Dite mal a' scrorda
cho Flegiia vi contrasse, e mol-
oi 01 puoi altra più roconto, ale we
fosso il presidonte, poiché Flogiha sapevn
già, vana essere ogni upposizione. I versi
1-18 di questo canto proibiscono di am-
mottore che Flegiàs, sbarcati i due poeti,
ritornasse indietro.- FORTE: fortemente,
come sogliuno fare gl’ iracondi.
81. L'ENTRATA: di Dite. Come il Pur-
gatorio propriamente detto, così ancho
il basso inferno ba una sola porta, o
entrata.
V. 82-130. Opposizione dei demoni.
Come altrove, anche qui i diavoli procu-
rano di impedire il viaggio del Poeta. Ma
questa volta l'impedimonto si fa più se-
rio. Non è un sol diavolo; sono più di
mille. Non cedono alle parole di Virgilio,
come fecoro Curonto e gli altri, ma lo
costringono a tornare indictro. L’ umana
ragione von bastu a vincore l'eresia. Onde
Virgilio non può qui nulla; ci vuole il
messo dol cielo.
83. DA’: Al. paL; ma i cieli sono novo,
più I’ Empirco, Ovnv. II, 3, © corrispon-
dono collo Gerarchie degli Angeli, ivi IT,
6. Iu tutte le Gerurchie vi furono Angeli
ribelli. Dunque gli Angeli wali caddero
DAL CIKLI, © non DAL CIKLO. Leggendo
DAL CIKL sidovrebbe intendere che Dante
parli del Paradiso complessivamente; ma
la lezione DAL CIFL 6 troppo sprovvista di
nutorità. - Movuri: caduti già dai cieli
[CERCHIO QUINTO]
INF. Vill. 84-103
[DEMONI] 75
Dicean: « Chi è costui, che, senza morte,
85 Va per lo regno della morta gente? »
E il savio mio maestro fece segno
Di voler lor parlar segretamente.
88 Allor chinsero un poco il gran disdegno,
E disser: « Vien’ tu solo, e quei sen vada,
Che sì ardito entrò per questo regno.
91 Sol si ritorni per la folle strada;
Provi se sa; ché tu qui rimarrai
Che gli hai scorta sì buja contrada. »
da Pensa, lettor, se io mi sconfortai
Nel suon delle parole maledette;
Ch’ io non credetti ritornarci mai.
07 « O caro duca mio, che più di sette
Volte m’ hai sicurtà renduta, e tratto
D’alto periglio che incontra mi stette,
100 Non mi lasciar » diss'io « così disfatto!
E se il passar più oltre ci è negato,
Ritroviam l’orme nostre insieme ratto. »
103 E quel
nell'inferno, come enggiono le govciolo
fella pioggia anila terra; cfr. Luc. X, 18.
Apoeal, XII, 0.
Bi. mortR: n s'intende della morto
corporale, è allora il senso è: prima di
morîre; 0 della spirituale, e allora vo-
gliono dire: non essendo dannato,
#5, MORTA: corporalmente e spiritual-
monte,
AT. RRURKTAMENTE: poichéò pareva fos-
sore slognati solamente della vennta «di
Dante a non di quella di Virgilio, questi
ne peg più facilmente, trattando
nme’ m segreto. « Hic autor osten-
Mit quomedo Virgilins tentaverit primo
per ne intrare, quia audiobat quod illi so-
lemmodo conquerebantur de ipso qui vi-
Tens erat; » Zieno,
#8. cimusgno : raffronarono; probabil-
nente soltanto in apparenza, per isco-
taggiare Dante tanto più; cfr, i versi
guenti.
W,amvito: verità dinvolesca. Vi entrò.
titabando.
Mi. ponti: salla qualo si è mosso tame-
Rrinmente, È sempre il Hnguaggio di
signor che li m’avea menato
03. SCORTA: mostrata, Al.: Clin sconto
L'HAI, che lo bai guidato.
06. nrrorwaAnct: ritornar qui, in que-
sto mondo,
07, BETTR: qui pel nomero indetermi-
nato, come sovente nella Bibbia; cfr.
Prov. XXIV, 16. Heel. XI, 2. Volendo,
ai potrebbero poi annoverare nove volte:
Inf. 1, 01 © sog.; 11,130; III, 04; IV, 166
seg.i V,21; VI, 22; VII, 8; VIII, 10, 41.
00. ALTO: grave, grande, - STRTTR: che
dovette affroutare.
100. misrattO: ridotto n mal partito,
in angnatie, disanimato, perchè privo di
ninto ed in grande pericolo, « Non paro
improbabile cho digfatto qni non valga
nò smerrito, 0 senza ainto, è nò perduto
oropinato; ma pinttosto stanco e lasso,
non solo del camming, ma del combnatti-
mento ed abbattimento dell'animo sno,
per aver redoti tanti dannati è ora sè in
sì grave periglio. Infatti alle parole del
nostro Poota fanno risposta quelle altre
del suo Duca v. 106, 107; » Da Siena.
101, tt, rARSAR: Al. L'ANDAR, = CI È:
AI, m'B; cfr, 4. F., 55 è sog.
102. RaTTO: ritorniamo tostamente in-
fliotro insiomo, por la via che sinm vennti.
76 [CERCHIO QUINTO) INF, vini, 104-125
[DEMONI]
Mi disse: « Non temer, ché il nostro passo
Non ci può torre alcun, da tal n’ è dato.
100 Ma qui m’attendi, a lo spirito lasso
Conforta o ciba di sporanza buona,
Ch’ io non ti lascerò nel mondo basso, »
109 Così sen va, 6 quivi m' abbandona
Lo dolce padre: ed io rimango in forse,
Ché il sì
112 Udir non j
Ma ei nc
Ché cias
115 Chiuser le
Nel pett
E rivolsi
118 Gli occhi a
D'ogni |
« Chi m'
121 Ed a me di
tenzona.
| porse;
ruari,
ll ricorse.
rersari
fuor rimase,
ri,
\ven rase
sospiri:
case ? »
m’ adiri,
Non sbigottir, ch’ io vincerò la prova
Qual ch’ alla difension dontro 8’ aggiri.
124 Questa lor tracotanza non è nuova,
Chè già l’usaro a men segreta porta,
105. TORRE: impedire. - TAL: Dio, al
cui volere nessuno può resistero; cfr.
Rom. VIII, 81.
106. 1.A8s0: « faticato per la paura; »
Boce.
107. suona: sicura; vi è anche una
speranza falsa o fallace.
108. NEL MONDO BASSO: nell'inferno;
lo stesso cha basso Inferno, v. 75.
110. iN FORSE: in dubbio.
111 iL 8) K IL NO: ritornerà sì o nof
Avendo i demoni detto: Tu qui rimar-
rai, Virgilio invece: Ju non ti lascerò.
Oppure: Gli rioscirà di vincere la roni-
teuza di quei diavoli, si o no? - TENZONA:
si combattono nelia mia mente.
112. CHE A LOK 8I r0I8K: che da Vir-
gilio fu detto a quei demoni. Al. cuk A
LOK rorsit, cho Virgilio disse loro. Non
potò egli udire a motive della lontanan-
za? O perchè parlò con voce sommessa î
Naturalment> Virgilio disse su per giù
quanto avea detto a Caronte, III, 94, a
Minosse, V, 22, a Pluto, VII, 8 0 seg.
114. 4 PROVA: a gura. Ognuno di quei
demoni si ritirò, più velocemente che
potè, dentro della porta.
115. AVVERSARI: « il diavolo vostro av-
vorsario; » I, Pietro V, 8.
117. ARI: lonti, come quegli che tor-
nava indietro di mala voglia, non avendo
potuto couseguire il suo scopo.
118. KA3K: prive, spogliate. «Gli era
caduta o sparita dazli occhi quell’ ala-
crità e franchezza che fa fede d'un unimo
forte e sicuro; » Br. B.
120. cui: parole di sdegno e di dulore.
Vedi chi 1 ha vietato l'entrare! Vedi
tracotanza! AI CHK M' NAN; clr. Z. E,
50. Fanf. Stud.,15l1vseg.- Case : gliavelli
infuocati, dentro ai quali gli eretici e mi-
scredenti dimorano como in casa loro.
122. LA PROVA: la lotta por entrare
dentro alla città di Dite; cfr. Inf. IX, 7.
123. QUAL: chiunque sia che dentro si
opponga al nostro entraro. « Benchè den-
tro s'aggiri intorno alle mura per quelli
dentro alla difensione, come si fa dagli as-
sediati nelle castella o nelle cittadi;» Butt.
125. vonra: d'inferno, LIT, 11. All'en-
(PORTA DI DITE]
Inr. vin. 126-180 — 1x. 1-2
[SGOMENTO) 77
La qual senza serrame ancor si trova.
127 Sovr’essa vedestù la scritta morta.
E già di qua da lei discende l’erta,
Passando per li cerchi senza scorta,
130 Tal che per lui ne fia la terra aperta. »
trata di questa porta dell'inferno | de-
moni «| opposero, un'antica tra-
dizione, alla discesa di Cristo al limbo,
onde Cristo spezzò la porta, cho d'allora
in poi rimase aperta. Quindi la chiesa
canta: Hodie portas mortis et seras pa-
riter Salvator noster dirupuit.
126. SENZA SERKAME; « Noctes atque
dies patet atri ianua Ditia; » Virg. Aen.,
VT, 127.
127, vrbestù: veilonti tu. — MORTA:
che annunzia morte eterna. Al.: di color
morto, oscuro (©). Benv.; « Scripturam,
que est vor mortua » (1). Questa scritta
morta è la terribile iscrizione Inf. IMI,
1 e arg.
128, Dt QUA: essendovi già entrato, -
LEI: porta. — L'ERTA: rispetto al Inogo
in coi si ritrovano | due poeti; china o
seesa per quel tale che veniva. Come lo
sapeva Virgilio, non iscorgendosene an-
cora nulla, come risulta dal C. IX, 6-0?
Pare che sia una parola di ferma speran-
za, fondata sopra ona promessa fattagli ;
ofr. Inf. IX, BR: tal ne s'oferse.
120. AKNZA ACORTA : sonza aver bisogno
di chi lo guidi. A difforenza di Dante,
scortato da Virgilio; dunqne on Essere
sovrumano,
130, TAL: un tale, del ciel messo, IX,
£5, che ben ci aprirà le porte della terra,
cioè della città di Dite.
CANTO NONO
ALLA PORTA DI DITE
LO SGOMENTO, LE TRE FURIE ED IL MESSO DEL CIELO
CERCHIO SESTO: ERETICI
(Gincciono dentro avelli roventi)
LA REGIONE DEGLI
ERESIARCHI
Quel color che viltà di fuor mi pinse
Veggendo il duca mio tornare in volta,
V.1-33. Lo agomento. Vedendo In sun
subita, rospinta dal lomoni, ritornnrsone
milirata indietro, Dante impallitisco per
poten ed Virgilio si sforza di mo-
strarsi impavido, senza poter però sop-
ptimore alcuno parole sospirate, che riac-
nen i! terrore del Poeta. Il quale,
tanto por nascondere la paura sua, chiede
so qualcheduno discenda mai gio dal lim-
ho nel profondo inferno. E Virgilio gli
dice di osservi discorso già altra volta,
confortandolo a vincoro il suo terrore,
1. QUEL: primo caso, - coon: pallido,
= VILTA: panra. — rixsR: mi spinso (op-
pure: mi dipinse) sul volto.
2. IN VOLTA: alla mia volta; indietro.
uo
78 [PORTA DI DITE]
Inv. 1x. 8-16
[SGOMENTO]
Più tosto dentro il suo nuovo ristrinse.
4 Attento si fermò com'uom che ascolta;
Ché l'occhio nol potea menare a lunga
Per l’aer nero e per la nebbia folta.
=]
« Pure a noi converrà vincer la punga, »
Cominciò ei; « se non.... Tal ne 3’ offerse....,
Oh quanta tarda a me ch'altri qui gianga! »
10 Io vidi ber
Lo comi
Che fùr
19 Ma nondin
Perch’ ic
Forse a
16 « In quest
2 ri TOSTO: che non a
mi nvosso veduto men pad
di ad; nel sno Interno, =.
lido. xNUOYvO: insolito, Sh
mon gli si era er installa pT criar
“ INTIGNDK i Fopresso. Sonno; BE ario pal-
loro foco sì, che Virgilio ricompose più
presto a serenità il proprio volto, « Vir-
gilio vedendo Dante impuarito cercò al
più presto che potò di serenar la fronto
por non isgomentarlo maggiormente; por
cui rostriuszo in sò i sogni del suo risonti-
mento in vedoro in Danto quei dollo sbi-
gottimento; onde il timer dol guidato
producendo la prudenza del duca, parvo
che il pallor dell uno, figlio della paura,
quasi respingesso internamente il rossor
dell'altro, figlio dello sdegno. Il modo con
cui Dante si è qui espresso mi sembra
troppo lambiccato; » Moss.
5. A LUNGA: da lontano. Non potendo
veder lontano per l'oscurità, Virgilio
ascoltava attentamente se alcuno venisse.
6. NicuDIA: il fureno del pantano, ri-
cordato Inf. VIIT, 12.
7. PUNGA: pugna; come apunga por
spugna, vegno per vengo, rimayna per
rimanga, ecc. Il Betti: « Punga non vuol
dirpugna, ma sforzo, contrasto, garan» (?).
Senso: ad onta dell'opposizione dei du-
moni, noi dovremo puro ontrare.
8. 6K NON: reticenza, dalla quale sem-
bra fatica cettata voler trarre senti-
mento positivo. Dante vollo qui pennol-
leggiare una reticenza e non altro, come
si ha dal forse del v.15, «il qual Forse
dice espresso che non seppe neppur egli
poi venne,
verse.
lienne,
nea
‘el non tonne.
onca
Virgilio volesse inferire, cioè
Beppe, in quanto, nel matter
role in bocca a Virgilio, non
ato neppur egli a nulla di de-
woittheac: a Faw, 1 noi dielamo tutto
glorno sc ato... esprimondo una semplico
reticonza, no pousimdo mnononinento a
cosa determinata. - VAL: un personaggio
che vuolo e può aintarci (Beatrice !). Di
un angele (BL) fin qui non si fece un cen-
HO. - NK SOFFERAE: ci si oforso in aiuto ;
elr. uf. DI, 70-74. Alcuni loggono TAL NK
SOFEKESK, 0, ossorvantlo cho Beatrice
non s'è offerta n nient'affatto, spiegano :
«l'ale, sì potente (cioò Iddio) soferse, per-
mise che noi venissimo fin qui, che sof-
frirà, permetterà puro che noi possiamo
procedore più oltre. » Cfr. Z. F., 57 oseg.
So Virgilio aspettava che altrigiungesso,
no segue di necessità che gli era stato
promesso, dunque oferto, aiuto superiore
in caso di bisogno.
9. ALTRI: più possento di mo; il nesso
del cielo, v. 85.
10. rICONrEUSR: moderò la frase inco-
minciata: se non... collo parolo seguenti:
tal nes’ offerse,
12. DIVERSK: di conforto, mentre lo
primo erano di dubbio.
13. NONDIMEN: nonostanto lo ultimo
parole osprimonti fiducia.
14. PAROLA TRONCA: quel se non.... del
v. 8, che Dante dice di aver forse preso
in un senso assai più infausto che Vir-
Rilio non uvesse avuto iu mente proffo-
rendolo.
16. FONDO: sembra cho Dante credesse
[PORTA DI DITE]
InP. 1x, 17-54
[SGOMENTO] 79
Discende mai alcun del primo grado,
Che sol per pena ha la speranza cionca? »
19 Questa question fec’io. E quei: « Di rado
Incontra, » mi rispose, « che di nui
Faccia il cammino alcun pel quale io vado,
22 Vero è ch’altra fiata quaggiù fui
Congiurato da quella Eriton cruda
Che richiamava l’ombre a’ corpi sui.
25 Di poco era di me la carne nuda,
Ch’ella mi fece entrar dentro a quel muro,
Per trarne un spirto del cerchio di Giuda.
28 Quello è il più basso loco e il più oscuro,
E il più lontan dal ciel che tutto gira;
Ben so il cammin; però ti fa securo.
a Questa palude che il gran puzzo spira,
Cinge d’intorno la città dolente
U' non potemo entrar omai senz’ ira. »
M Ed altro disse; ma non l'ho a mente,
* essere questo l'ultimo fondo dell'Inferno.
cosca: ln cavità dell'Inferno che ha la
forma «d'imbuto, o di cono rovesciato, 0
di corte conchiglie univalve.
17. rio orapo: Limbo, efr. Tuf.
IV, 42. Dante vuol sapere se Virgilio sia
del viaggio; ma invece di chio-
dere: CX sei già stato? domanda più ve-
latamente : Ci discende mai alcuno di voi
altri che siete nel limbo? La risposta di
Virgilio mostra cho il Maestro inteso as-
sal bene.
16. torta : monca ostorpia. « Cioneo—
che è impedito delle gambe o do’ pid, in
maniera che mon possa andare egunlo è
diritto, onde cammini fuor della naturalo
22. CONGIURATO: scongiurato.- Enron:
St, famona maga di L'esglia, che
fece ririvoro un morto por prediro n Se-
ato Pompeo!’ esito della battaglia di Far-
alo; cfr. Luc. Phars, VI, 608 è seg. Ciò
fo 20 anni prima della morte di Virgllio.
Dante orrò qui nella cronologia, oppure
egli suppene che Kritono ropravrivorso
ay è fresno già vecchia rivivore
che è ignoto alin mi-
reni 708 © weg. -
°
da poco tempo. Por evitare l'annero-
nismo accennato nolla nt. antec, il Ross.
suppono che ln maga Eritone scongin-
rasse Virgilio tuttor vivente è spiega :
«Per lo spazio di poco tempo la carne
mia tuttora viva era Insolata nuda di me;
porchò ella mi fece entrare dentro n quel
muro, oon, » (1).
20, muro: della città di Dite.
27. crremo: Giudecca, cf. nf XXXIV.
Aveva questo cerchio tal nome già prima
della nascita del traditore di Cristo?
29. cir: Primo Mobile, che tutto quanto
rape l'altro universo seco; Par. XXVIII,
70, 71. Cir, Conv. 11, 15.
31. suina: osala, e Kmittit ox se ma-
gunm firtorom sicut vallis mortua;» Ben.
23. ma: o dei demoni enstodi (= collo
buone), od) Virgilio stesso, cfr. Inf. VITI,
121, 0, forso meglio, del messo del cielo,
efr. v. RA,
V. 34-00. Le tre Furie. Mentre Dante
nscolta le confortanti parole di Virgilio,
egli è nd un tratto atterrito dalla snbita
apparizione di tre Forieinfornali di nspet-
to apavontovolo anll'alto della torre. Lo
Furio fanno atti di rabbia feroce, vedendo
nn vivento che osa penotrare nelle regioni
Ji laggili. Virgilio difende sollecito il Pos-
ta contro le arti malefiche delle Furie,
iM. A MENTE: non me ne ricordo più,
non avendovi fatto attenzione,
SO [PORTA DI DITE]
InP. 1x, 35-50
[FURIE]
Però che l'occhio m'avea tutto tratto
Vér l’alta torre alla cima rovente,
87 Dove in un punto furon dritte ratto
‘l'ro furio infernal’ di sangue tinte,
Che membra femminili aveano ed atto,
40 E con idre verdissime eran cinte ;
Serpent ae
Onde le
i E quei che
Della ri
« Guart
46 Questa è |
Quella
'l'esifor
49 Con l'un
Battean
45. ricatto: avon rivolta Lutta quanta
la mia uttanziono a ciò cho mi mostrò
sull’ alta turro, onde nun feci più atten-
zione a Virgilio.
86. ALLA: esprime il punto, al quale
orano attesi gli occhi del Povta. I più
spiegano alla :- dalla; ma vi starebbe
fuori di luogo.
87. DOVK: Al. OVK; sulla cima rovente
della torro. - FURON: Al. vibt. Cfr. Z. F.,
59.- RATTO: subitamente. Tutto e tre si
rizzarono in un punto.
38. TINTE: «quia istis operantibus de-
venituradsanguinis effusionem»(f) Benv.
¢ Erano sanguinose; > Buti.
39. ATTO: portamento, attitudino. «+ Non
solamonte avevano forma di femmina, ma
atti e maniero fomminili ancora; porcioc-
chò le femmine più sovente che gli uomi-
ni s'udirano e maggiormente lasciansi
trasportare dal furore; » Dan.
40. IipkK: «in orbe terrarum palcherri-
mum auguium genus est, quod in aqua
vivit, hydri vocantur, nullis serpentium
inferiores veneno; » Plin. Hist. natur.
XXIX, 4.- CINTR: alla vita.
41. CKRASTK: gr. KECAITHE, serpenti
cornuti; cfr. Franc. Sacch. Op. div., 132.
« Serpentelli e ceraste deo valere quanto
serpenti piccioli e grossi: i piccioli por
crine sciolto, i grossi avvolti in trecco; »
Lomb. - « Aveun serpentelli per crine, e
ceraste per trecco» (!); Hoss. Al. BEKL'EN-
rvinte,
shine
to:
ici Jrine,
nto;
è Aletto:
que a tanto,
; il petto;
sì alto
TKLLE CKKANTI, «cioò sorpentolli, Il quali
erano ceraslo; » Cast. Cir. Z. #., (Vo neg.
43. QUKI: Virgilio. - MESCUINK: ancollo,
serve; prov. e franc. ant. meschine; cfr.
Diez, Etym. Worterb. 1°, p. 274 e seg.
44. REGINA: Proserpina, moglie di Plu-
tono re dell'inferno cho è il regno del
pianto eterno. « Sembra che Dante ao-
cordi a Satanno una moglie di cui que-
st’ Erine fosser le serve, il che non è
affatto; poichò una tal dinvolessa Impe-
ratrice non si trova per ombra nel suo
Inferno; » Ross. Dante si attiene sem-
plicemente alla mitologia ; confronta I17/.
X, 80.
46. KRINK: (&otvbeg) plur. regolare di
Erina, anticamente anche in prosa; oggi:
Erinni. Le Erinni figurano i rimorsi dolla
coscienza.
46. MEGKRA: cfr. Virg. Aen. XII, 846.
Méyapa=la nemica. - CANTO: lato della
torre; «quia est peior quantum ad acan-
dalum in foro civili » (%); Benv.
47. ALETTO: "AÀNxT i, chenon ha mai
roquio; « Allecto luctifica, » Virg. Aen.
VII, 324. « Ab ista emanat omnis causa
planotus; » Benv.
48. Tisironk: Tratpévy, la vendica
trico dell'omicidio; cfr. Virg. Georg. 1II,
552. den. VI, 655,571; X,761.-A TANTO:
ciò detto.
49.CONL UNGII&: cfr. Virg.den.LV,671.
50. A PALME: colle palmo dello mani.
[PORTA DI DITE]
INF, 1x. 51-63
[FURIE] 81
Ch'io mi strinsi al poeta per sospetto.
82 « Venga Medusa! si’l farem di smalto, »
Dicevan tutte riguardando in giuso,
« Mal non vengiammo in Teseo l'assalto. »
53 « Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso,
Ché se il Gorgon si mostra, e tu il vedessi,
Nulla sarebbe del tornar mai suso. »
68 Cosi disse il maestro; ed egli stessi
Mi volse, e non si tenne alle mie mani,
Che con le sue ancor non mi chiudessi.
Gt O voi che avete gl’ intelletti sani,
Mirate la dottrina che s’asconde
Sotto il velame degli versi strani!
61. s08rnTrTo: spavento; cfr. Voce. Ur.a.v.
62. Meovsa: la minore delle tre Gorgo-
ni, che convertiva in pietra chi la rignar-
dava; cfr. Hom. Il. V,741; VIIT,340, He- ,
wiod. theeg. 270 0s86g.- SMALTO: «lo amalto
è pietra, però che di pietra si fa;» Buti.
651. mat: per noi. Mal fncemmo a non
reniicarci dell'assalto di 'l'eseo: facen-
done vendetta nessuno avrebbe più vanto
di veniro qnagginso. Secondo la mitolo-
gia Tesco disceso con l'irotoo nell'inferno
rapire Proserpina. Pirotoo fa divornto
Corbero; Teseo rimase laggiù prigin-
nero, finchè fn liberato da Ercole; cfr.
Virg. Aen, VI, 293, 617. La lez. MAL NON
è della maggioranza doi codd. ed è
ac cr Alenni codd. hanno
MA Nox, che dovrebbe furse leggersi ma’
non. Cir, Moons, Crif., 206 è seg.
fi. 10 viso: gli occhi,
56. Gorcon: la testa pietrificante di
Medusa.
87, KULLA: nessuna speranza 0 possi-
bilità. — suso: nel mondo,
BA. sTRSSI: stesso; desinenza ovvia
antichi.
TEXXE: contento, non fidandosi
di me.
| O tivo: chindesse gli vochi, Tare
| che Medasa simboleggi il dubbio, lo scet-
tiglamo, eni l'nomo nov deve guardare in
faccia se non vuole impietrare.
V. 01103, 12 masso tet etelo. Un fra-
mparenterole an la palude dello
annunela alcunohè di straordina-
| iena tiaine del cielo, che passa
lo Stige colle piante asciutte, agrida i
, apre In porta di Dite con una
= Die. Comm, J odiz,
verghetta, quindi ritorna tacito indietro
per la lorda strada. Secondo tutti gli an-
tichi commentatori ed il più dei moderni
questo messo del cielo è nn Angelo. Al-
cuni pochi dicono che è invece Mercurio,
Michelangelo Caetani, Dnea di Sermo-
nota, voleva che costui fnase Enea, Ci
pare che mn smesso del cielo non possa
chiamarsi che nn Angelo del cielo; cfr.
Fa. Cironia, Fl Messo celeste del O. 1X
dell Inf., Jtovorota, 1804,
68. strANI: misteriosi, allegorici. I più
riferiscono questa terzina ni versi ante-
cedenti, ciod nll' allegoria di Medusa e
dello tre forio. Dante suole però richia-
mare in tal modo l'attenzione del lettore
a ciò che sta per dire; ofr. Purg. VIIT, 19
eaeg.: 1X, 70e seg. Par. II, 10 seg., ecc,
Se la terzina si riferisco a quello che se-
gne, il senso potrebbe essere: Mirnto
quanto è piccolo è folle il più orgoglioso
potere quando vuol resistere al principio
(ogni vero potere che è l' Easero eterno!
Meglio sembra però il riferiro la terzina
n tntto il racconto, e la dottrina sarà nl-
l'incirca la seguente: Nella città di Dite
sono puniti gli eretici, cinò | peccatori
contro la vern fede. Il peccatore mes-
rosi snlin via delln conversione (Dante)
vnol entrarvi por « considerare il fine di
coloro, > Paal. LXXII, 17, ed arrivaro
maelinnto questa considerazione alla con-
trizione, 6 dalla contrizione alla conver-
sione. Virgilio procura di persumilere |
demoni, cnstodi della città, colle bnone,
cioè con ragioni filosofiche, ad aprirne
l'ingresso, ma è respinto con beffe, poi-
chè i miscredenti hanno sempro argo-
82 [PORTA DI DITE]
Inv, 1x. 64-74
[MESSO DEL CIELO]
6A E già venia su per le torbid' onde
Un fracasso d’un suon pien di spavento,
Per cui tremavano ambedue le sponde,
07 Non altrimonti fatto che d’nn vento
Impotuoso per gli avversi ardori,
Che fier la selva, e senza alcun rattento
70 Li rami schianta, abbatte, e porta fuori:
Dinanz by
E fa fu rl.
7a Gli occhi )r drizza il nerbo
Del vis 1a antica,
menti in pronto da op]
monti, e lo scherno è è fi
arma prediletta. Alla <
poccatora si oppone ind
acionta (la Krinni), è vi
il dubbio, che ha la virti
ino insensibile come piotr
earizzare gli nomini allo
cità socondo gli amma
fici a (De Mon. TTT, 10}, 0 einen anew sera pro
riale (Virgilio) ssorta l'oome di fare at-
tenzione alla mala coscienza (Guarda le
feroci Erine), e di non volgere lo sguardo
al dubbio petrificante (Volgiti indietro,
e tien lo viso chiuso); inoltre, attinchò
l'uomo non si lasci cogliere nello reti del
dubbio e della miscredenza, | autorità
imperiale gli viene in soccorso coll’ opera,
v. 58-60, ciod colle leggi contro gli eretici.
Sennonchéè l'autorità imporialo non basta
per sè sola a guidare l’uomo alla contri-
ziono in merito a peccati concernonti la
flo. Mal'aatorità ovclosinsticn lo viono
in succursu (fal ne s’ufersc) ministrando
la divina illuminaziono (il Messo del cielo)
che vince e le obbiezient du’ miscredenti
col loro scherno (demoni), © gli ostacoli
della mala coscienza (ZErinni), e i pericoli
del dubbio (Medusa), ed apre così una via
attraverso tutte le difticoltà. - Una inter-
petrazione allegorico-politica assai inge-
gnosa e dogna di essere consultata, in
Itoss. Cum. I, p. 253-61. Cir. GALANTI,
Lett. su D. Al., sor. IT, lett. II è III,
Ripatrans,, 1882. NEGRONI, L'alleg. dant.
del Capo di Medusa, Bologna, 1882.
G4. ONDK: dello Stige.
G5, FRACAKSO: « Kt factus est repente
de culo sunus tamquam advenicutis spi-
ritus voliciuentis; » Act. Lpost. 11, 2.Cfr.
Stab. Theb. VIT, 65.
60. BLONDE: ripo di Stige.
Dit: per lo disequilibrio di oa-
l'atmosfera, «Seconda Ariate-
ri vongono da parte avversa n
‘è la materia propria de’ venti :
sotto, quella di sopra; » Ca-
. Wirg. Aen. IT, 415-19,
: ferisce, porcuote. « Interdam
correns turbine campos Arbo-
‘his sternit montisque snpre-
woo oeveragis verat flabria; » Luoret.
Ker, nat. I, 274-70; cfr, Lue. Phara. I,
389 e seg. - KRATTKNTO: rattenimento,
70. FUORI : della selva; cfr. Viry. Georg.
II, 440 è seg.: « Steriles iu vertice silva
Quas animosi euri adsidue franguntque
foruntque.» Al. 1 FIORI ; per portar i fiori
non ci vuolo un vento impetuoso, e por-
tare non piglia mai il significato del lat.
auferre, se non agyiuntovi la particella
ne, ol'avverbiofuori. 11 pussocit. di Virg.
è decisivo, o non meno decisiva è l'anto-
rità dei codd., i quali hanno generalmente
PORTA FUORI, Inontro PORTA FIORI è lo-
ziono di pochissimi v poco antoruvoli;
cfr. Moouk, Ont., 296 è seg. Inquanto
ai comment. antichi dice bone il Moore
che essi « are almost all so vague or brief
here that it is difficult to be sure of the
reading they followed.» In ogni caso Jes-
seru PORTA FUORI: Bocc., Benv., Serrav.,
Gelli, occ. Buti ha: AUBATTK FRONDK K
FIORI. La lez. vourra FIORI non si trova
presso verun Quuttrocentista.
72.FA FUGGIR: « Miseris, hou, privscia
longe Horrescunt corda agricolis; » Virg.
Aden. XIT, 452 © sog.
73. MI SCIOLSK: Virgilio, allontanan-
dono le mani collo quali me li tenea chiu-
si, v. 60.- xkino: il muscolo locomotore
dell'occhio. Al. Vactes oculoruin dei latini.
74. SCHIUMA: ucqua schiumosa dello
Stige.
Ivr. 1x. 75-87
[PORTA DI DITE] [MESSO DEI CIELO) 83
Per indi ove quel fummo è più acerbo. »
70 Come le rane innanzi alla nimica
Biscia per l’acqua si dileguan tutte,
Fin che alla terra ciascuna s’abbica:
79 Vid’ io più di mille anime distrutte
Fuggir così dinanzi ad un che al passo
Passava Stige con le piante asciutte.
Dal volto rimovea quell’ner grasso
Menando la sinistra innanzi spesso:
E sol di quell’ angoscia parea lasso.
85 Ben m'accorsi ch'egli era del ciel messo,
E volsimi al maestro; e quei fe’ segno
Ch'io stossi cheto, ed inchinassi ad osso,
a
76. renino: da quella parte, - FUMMO:
ssalazione del pantano. - AcERBO: denso,
e però più molesto agli occhi.
77. macta: « dico la nimica biscia, uran-
do questo vocabolo generale quasi di tutto
le serpl, per quello detin jdra, In quale è
quella serpe che ata nell'acqua, e che ini-
wien le rano, siccome quella che di loro
al pasce; » Boec. - BI IMI.KGUAN: « Et mo-
do tota cara snbmergere membra palu-
de; a Ovid. Met. VI, a71.
78. s'amBICA : atteggia il corpo n foggin
di bica, « Da dica, quel monte de'covoni
del erano di forma connidoa, che funn: 1
contadini ne’ campi dopo sogatora, por
difanderlo intanto dalle lo, finchè
hon ala portato a battersi sull'aia. Se al-
cnuno omerraseo il modo come la si pone
n terra, git in fondo del bozzo, una rana
impanrita, direbbe, anche senza pensare
a Dante, ch'ellafadist una bica, o ch'ella
Vebbiea, così solleva il dosso e si racco-
\ glie tutta raccosciandosi e + trcsegla al
petto le braccia; + Caverni. Al.:
trappono, s'attacca, ai scarl « Li.
porated ~ op in gurgite rane ;»
Ovid. Met. V
aja tg te dagli fraconst, echo i
Mruggerano, mordevano è lacerarvano n
brane n brano ; » Dan. Forse qui per dan-
nate, Il Betti: « Avvilito, vinto da apa-
Yonto, prostrato da spaventa, o cosa si -
mule: come appanto fanno lo rano che
petti
BO. AL PASSO: di passo, co'snoi piedi ;
non sorvolandosi colle ali, nè passandolo
colla barea. Al. : al varco dello Stige,
82. GRASSO: denso, caliginoso, causa |]
fumo e la nebbia.
81. sinistRA: nella destra portava la
verghetta, v. 80.
Ri. awooecta: del rimovere dal volto
quell'ner grasso che rendeva grave il ro-
spiro; del resto non era appresso nè dalla
pietà dei danvati, nè dalla panra dei de-
moni, nè fagli orrori dell'inferno; cfr.
Inf. 11, 91-03, « Solummodo ex illo ma-
gno labore fugandi fumnm videbatar fes-
ana, quin maximo laborissnm est nddn-
core veritatem in lucem;» IBenw.- « Lo
quali cose son dette da Ini, giudicandolo
come corpo nmano, e non come spirito o
come angelo. Perciò che «’ ci lo avesso
gindicato così, egli non nvrebbe detto
che quello nero per la sua graasozza è
caliginità sna lo avesse offeso n alterato,
non possendo nà i corpi né le qualità
loro operare nello snstanze spirituali 6
negli angeli; » Gelli. Secondo Dante an-
che le anime, clod | corpi nerei, reapi-
rano (Inf. 111, 22; IV, 26; VIT, 118;
VIII, 118; XXIII, 113; XXXIV, 83.
Purg. VIT, 28; XIX,74; XXV, 104. Par,
T,100, ecc.), benchè nlonni passi sembri-
no sipporre che il respiro sia proprio di
chi ha seco di quel d' Adamo (Inf. XXIII,
RR. Purg. 11, 07; VAY).
PE. ner cu: Al. par civt. Se veniva
dal cielo non era né Enea (fas. IV, 122),
né Merenrio, ma on Angelo di Dio.
87. CHRTO: tacessì. — INCHINASSI: fa-
cessi riverenza nl mosso colesto.
84 [PORTA DI DITE]
Inr. 1x. 88-103
[MESSO DEL CIELO]
88 Ahi quanto mi parea pien di disdegno!
Venne alla porta, e con una verghetta
L’aporse, che non ebbe alcun ritegno,
DI « () cacciati del ciel, gente dispotta, »
Cominciò egli in su l'orribil soglia,
« Ond’esta tracotanza in voi si alletta?
vi Perché ricploitrata a nnalla woelig
A cui no er mozzo,
E che pit i doglia?
97 Che giova 1 10?
Cerbero | irda,
Ne porte 0 è il gozzo, »
100 Poi si rivo n,
K non fe sembiante
D'uomo 0 morda
103 Che quella vante.
80. Vimonmitta : « gli An
BPosso dagli antichi TRPprluorvit vu
una verga d'oro in muno, como vedesi in
vari dipinti; » Frat. La veryhetta d, como
lo scettro, sogno cdi autorità è di comundo.
YU. NON Kiuk. Al. NON V'KIBK,
VI. wiseKrra: spregovolo dinanzi a Dio
6 dinanzi agli uvumini.
03. OLTKACOTANZA: orgoglio con cui
resistete ai volori supremi. - si ALLEVTA ;
si accoglie, alberga; ctr. Inf. 11,122.
di. VOQLIA: voler divino; « Dura cosu
ò per to il ricalcitraro contro il pungolo ; »
Atti IX, 6.
05. MOZZO: tronco, impedito. « Volun-
tati enim cius quis resistit i» ad Roan.
IX, 19.
96. rIÙ VOLTK: ogai qualvolta vulosto
opporvi al divin volere. - CRESCIUTA: su-
condo gli Scolastici le pene dei daunatl,
o specialmente dei domoni, sono aumen-
tabili sino al dì del giudizio finale. So-
condo tl Berth.: «allude il Poota special-
mente alla vittoria di Cristo nel Limbo. »
Aumentd questa vittoria la doylia dvi de-
movi? Forse piuttosto la rabbia ed il fa-
rore. E poi: Cristo discose una sola volta
nol Limbo, mentre qui si parla di più
volte.
07. FATA: fatali, inmmutabili docreti di
Dio. « Fatum da fari= parlare, è la pa-
rola dell’ Ente immutabilo scritta iu dia-
mantini caratteri nell'etorno libro; » Da
Siena. - « Fatum est in ipsis causis crea-
ion sunt ordinato a Deo nd
vnuutuo prodocondon; » Thom, Ag. Stem.
th. 7.1210, 2. - pate DI COZZO: urtare, por-
cuotor contro.
49. PKLATO: quando Corbero vollo op-
porsi all'entrata di RErcolo nell'Inferno,
voluta dal Fato, Ercolo gli mise una cu-
tena al collo o lo trascinò sin fuori dolla
porta; cfr. Virg. ten. VI, 351 © seg.
100. STRADA LORDA : palude Stige.
101. NON Fk’: nou ci disse parola. 11
messo dol cielo non fa che oseguire quanto
Dio gli ha ordinato, e ciò nol dato caso
non è che di apriro le porto di Dite. Onde
egli non ha nulla da dire nd a Virgilio, né
a Dante. « Non fecit vorbuim nobis, quia
nobis servivorat opero; > Benv.
102. ALTRA CURA: di ritornare in cio-
lo; che. Taf. II, 71, 84.- srninca: « Ani-
nom patrie strinxit p'etatis imago; »
Tirg. len. IX, 292. - MokDA: «Si iuris
materni cura remordet; » Virg. 4en.V11,
402. « Coi quali duo csompi di Virgilio si
spiega come nel Messo di Dante (1 leggi
del cielo) i) ponsicro di tornare al clolo sia
ad un tempo o affetto cho stringe, e acuto
dosiderio che morde; » ZL. Vent.
103. QUELLA: di apriro ai due polle-
grini lo porto di Dite.
V.104-133. La regione degli ercsiar-
cli. Eutrano senza iucontraro oramad il
monomo ostucolo, 1 più di mille demoni
(VIII, 82), le feroci Frine, Medusa - tutto
6 sparito; il Pootu vou no vedo più trac-
[CERCHIO SESTO]
Inr. 1x. 104-118
[ERESIARCHI] 85
E noi movemmo i piedi in vér la terra,
Securi appresso le parole sante.
108 Dentro v’entrammo senza alcuna guerra,
Ed io, ch'avea di riguardar disio
La condizion che tal fortezza serra
109 Com’ io fui dentro, l'occhio intorno invio;
E veggio ad ogni man grande campagna
Piena di duolo e di tormento rio.
M2 Si come ad Arli, ove il Rodano stagna,
Si come a Pola presso del Quarnaro
Che Italia chiude e suoi termini bagna,
us Fanno i sepoleri tutto il loco varo:
Così facevano quivi d’ogni parte,
Salvo che il modo v'era più amaro.
118 Ché tra gli avelli fiamme erano sparte,
cla. Gunardandosi intorno non scorge che
un vasto 0 silenzioso cimitero, Ovunqno
avelli, a tra no avello è l'altro fuochi cho
fanno gli avelli eternamente roventi. T
loro coperchi sono levati in alto, onde si
odono | duri lamenti di qno' ehe dentro
ib sono. Chiestono, Virgilio insegna al
nr pera nesta la regione infernale
Cfr, Kxnico Proto, Gli
pr Fir., 1807.
104, Teena: città di Dito,
106. arriiosso : dopo aver ndito lo pa-
Tole dol messo celeste v, 91 è sog.
106. cuUKkRRA: ostacolo, opposizione.
Pira cosmzion: lo stato è In qualità
peccatori e delle pone. — cnk: quarto
caso, - SERRA : rinchiode dentro le ane
mara.
110, AD OGNI MAN: da tatto le parti, n
destra ed a sinistra. - GRAXDE CAMPAGNA:
mn vasto spazio; danque gli erotici non
sono collocati soltanto longo le mura della
triste elttà, come nlenni soppongono,
112. Ani: Aries, città della Provenza,
m la sponda sinistra del Rodano. Vi fn
nel settimo secolo nna gran battaglia tra
Raracini © Cristiani. - STAGNA: forma
nb lago.
TR Lora: eltta dell'Istria, In Pietax
Julia det Romnni.—Quanvano: Carnare
» Rollo del mare Adriatico fra
în e la costa di Dalmazia.
115. vano: vario (come aveersaro per
: SALI , 05; contraro per
i , Purg. VIII, 15; matera por
Purg. XVIII, 47, ece.), di su-
perficie inegnale por In terra qua o là
anmmnochiata. « La cagione perchè nd
Ari sinno tanti sepoleri, si dice che
nvondo Carla Magno combattnto quivi
son infedeli et essendo morta grande
quantità di Cristiani, foce priego a Dio
cho si potossino conoscore dall'infedeli,
per poterli sotterrare; è fatto lo prego
l'altra mattina si trovò grande molti-
todine d'avelli et a tutti li morti wna
reritta in an la frente; che dicen lo no-
mo ot il soprannome; e così conoscinti
li seppellirono in quelli mvelli; » Buti,
«Sell quidquid dicatur credo quod hoe
ait vanum ot fabnlosnm; et credo quod
erat ex consuetodine sepelire mortnos,
ricut vidi apud alias monlteas terras in
partibus Mis, licet non in tanta multi-
todine,...juxta Polamcivitatem estotiam
magna multitude arcarum; nodio quod
sunt quasi septingonte numero, et fer-
tor quod olim portabantor corpora de
Selavonia et Histrin sopelienda ibi inxta
maritimam ; » Ilene,
116. così: così vario facevano totto il
Inogo gli avelli ch'eran quivi,
117. PIÙ AMARO: più dolorosn che non
nd Arli ed a Pola. Qui gli avelli sono ro-
venti a que' cho vi ginciono sono tormen-
tati. Credottore che laninn morisse ool
corpo; owle le anime loro giacinno in
quell'avello da essi vagheggiato. Hanno
trovato nel mondo di Jh per l'appunto ciò
che volevano trovarvi: l'avello! Ma un
avello rovente, in coi non è requie!
118, TRA GLI AVRIL]: così leggono, aj
86 [CERCHIO SESTO]
Inv. 1x. 119-182
[ERESIARCHI]
Per le quali eran sì del tutto accosi
Che ferro più non chiede verun'arte.
121 Tutti gli lor coperchi eran sospesi;
E fuor n’uscivan sì duri lamenti,
Che ben parean di miseri e d’offesi,
124 Ed io: « Maestro, quai son quelle genti
Che, sonnallizzandanion aaa aaron,
Si fan
127 Nd eglit
Co’ lor
Più ch
130 Simile qr
E i mo
ID) poi (
pod dire, totti. Ma, owas
canto seg., v. 37 © seg,
Virgilio lo pinse tra lo
rinata, il che non si co.
gli uvolli orano sparte fanno, 4. 4
vuol che si legga: CH’ KNTHO AGLI AVKL-
LI, osservando: « Il musaico ad’ alcuni
codd. Chetragli fu risoluto in Che tra gli;
laddove, tenendo conto della Jineetta so-
vrapposta all’e, volea risolversi in Ch'en-
tr’agli. » Dove sono i codd. che hanno
Chetragli, con « lineetta sovrapposta al-
l'e»? E como fece il Poeta, appena en-
trato in questo cerchio, ad accorgersi che
entro agli avelli erano fiamme sparte?
Dol resto anche Gelli legge Cil' ENTRO LI
AVELLI, © così pare che abbia letto Cast.
o qualche altro. Anche il Campi difunde
questa lezione. Pol. leggo Tka © spiega:
< Qui tra non ha il senso che preudo al
v.28 del C. seg.; onde, non già tra l'uno
o l’altro degli avelli,... sibbeno intra gli
avelli, onde le fiamme gli accendevano. »
119. ACCKSI : roventi.
120. NON CUIKDK: quegli avelli erano 6)
accesi, che nessun'arte di fabbro o di fon-
ditore esige che, perlavorarlo, il ferro sia
più rovente. - Betti: « Chò vorun’arte
non chiede che il ferro, per ben lavo-
rarlo, sia rovento così. »
121. sosprsi; alzati; cfr. Inf. X, 8.
125. ancuk: avelli; clr. Tif. X, 20.
127. KRESIAKCHK: (plur. antico di cre-
siurca, oggi eresiarchi), priucipi, 0 capi
di eresia. Cfr. Nannuce. Voci, 35 © sog.;
Nomi, 284 © sug. « Erosiarche vuol dire
Principe di resìa, et dicitur ab arcos
lolenti? »
ysiarche
: e, molto
abe carcho.
i caldi. »
‘a volto,
«l ent princeps, et hereris quad
;» ln. Fior. « Autor fingit quod
joroolarca habet hie arcam ma-
qua sunt simul seeum in pieng
anos sequacos olus qui portinacilor te-
nuerant, defendorunt et seminavorunt
opinionem 6jus erroneam; » Benv.
128. MOLTO: in ogni avello vi sono as-
Bai più anime che tu non credi. « La città
ora malamente corrotta di resia, intra
l'altredollasetta degli Epicurei per vizio
dilussuria edi gola, evra sì grande parte,
che intra’ cittadini si combatteva per Ja
fede con armata mano in più parti di
Firenze, o durò questa maledizione in
Firenze molto tempo; » G. Vill. LV, 30.
130. simILE: ad ogni classe di eretici
è assegnato un luogo speciale in questa
regione inforuale od ogni singolo avello
accoglie que’ che più si soruigliarono
in vita.
131. MONIMENTI: sepolcri. - IÙ K MEN:
secondo la qualità doll’ eresia ed il grado
dell'ostinazione.
132. DKSTRA: sono venuti sempro a ai-
nistra; per attravorsare il cerchio de-
vono di necessità fare una volta a destra.
Nel loro viaggio por l'Interno i due poeti
volgono sempre a man sinistra. Soltanto
duv volte c'imbaltiamo iu una eccezione
da questa regola. La prima volta si vol-
gono a man destra ontcando nol corchio
degli eretici, la seconda quando vanno
vorso Gerione, situbolo della frodo, Jaf.
XVII, 31. Sonza dubbio questo fatto ha,
secondo la mento di Danto, il suo senso
allegorico. Ma quale questoscnso sia, non
(ceRCHIO SESTO]
Inr. 1x. 133 — x. 1-2
[ERESIARCHI] 87
133 Passammo tra i martiri e gli alti spaldi.
è facile indovinare. Potrebbe darsi che
nel presente luogo Il Poeta voglia inse-
gmarci, che i primi passi sulla via, il oni
termine è la miscredenza, non sono per
sà peccaminosi, la loro radice easendo
ordinariamente la sete natorale di an-
pere. Inoltre e la miscredenza e la frode
sono i dne peccati, le cai armi sogliono
ensere parole false o parole ipocrite, si-
mulate. L'andare a man destra simbo-
leggia la dirittura, la sincerità, la achiet-
tezza. E queste sono per l'appunto le
migliori armi per combattere e la mi-
scrodenza 6 la frode. Onde volle il Poeta
per avventura insegnarci, che, chi voglia
andare incontro alla miscredenza ed alla
debba armarsi di sincerità
a di schiettezza! Forse. E forse In dot-
trina che si niconda sotto il velame de-
gli veral strani 4 tutt'altra. Cfr. Blanc,
Vers., 93 e sog. Il Land.: « Qui pone che
Virgilio volse alla man destra, et poi di-
mostra, che poco dopo alquanto viaggio
si volse a sinistra, il che dinota, che '1
viaggio prese n man destra, perché an-
davano per aver cognizion del peccato,
e non coinquinarsene, ma purgarsene,
la qual azione è virtuosa, Poi volse alla
sinistra n dinotar che benchè l'operazion
sin virtmnosa, nondimeno la materia è il
suggetto » vizio.» E l'Andr.: « Avendo
i poeti dovnto fare nna grande apgirata
(C. VIII, 79) por isbarcare alla porta di
Dite, nell’ entrare poi si trovarono aver
già percorso più della solita nona parte
del cerchio; 6 perciò questa volta, per
trovare il punto prefisso alla loro tra-
voranta nel corchio segnento, inveco di
procedere a sinistra, dovettero retroco-
dere a destra, »
133. manrlni: avelli roventi. - 8rALDI è
parti superiori dello mura; Inf, X, 2.
CANTO DECIMO
__
CERCHIO SESTO: ERETICI
ST
FARINATA DEGLI UBERTI, CAVALCANTE CAVALCANTI
E FEDERIGO II IMPERATORE
Ora sen va per un secreto calle
Tra il muro della terra e li martiri
V. 1.21. Domanda e risposta. Cam-
minando tra il muro ed | sepolcri, Dante
chiede a Virgilio, che gli va innanzi, se
sin Mi vodero coloro cho ginciono
nvelll roventi, capre cole ti
leoperchi sono somperi. Virgi o,
che dopo il gran di dol giudizio tutti gli
sepolti que’
re in vita l'immortalità del-
‘ales, Rpleare co' anol segnaci. Ag-
giunge poi, che a Dante verrà subito fatto
di appagare il suo desiderio, non espresso
che in parte,
1. srRerRTO : noparato, diatinto, Virg.
Aes. VT, 449: Seereti crlant callen, Al,
amiuerto. Virg, Aen. IV, 406; Convee-
tant calle anguato. - In favoro dl questa
lez. ni potrebbe anche addurre il fatto
ehe Dante e Virgilio vanno l'uno dietro
l'altro, v. 2,
2. marTÌRI: ofr. Inf. IX, 133.
89 [CERCIIIO SESTU]
INF, x. 8-21
[ERRSIARCHI]
Lo mio maestro, e io dopo le spalle,
4 « 0) virtù somma, che per gli empi girl
Mi volvi, a cominciai, « come a te piace,
Parlami e satisfammi a' miei desiri.
7 La gente che per li sepoleri giace
Potrebbesi veder? Già son levati
Tutti i coperchi, e nessun guardia face, »
10 Ed egli a n
Quando ©
(lol corpi
1 Suo cimiter
Con Epic
Che |’ ani
16 Però alla d'
Quine’ en
E al disio
10 Ed io: « Bu
A te mio)
‘ati
nno
ati.
nno
\Gi,
fanno.
tosto,
i.»
lascosto
" poco;
E tu m'hai non pur mo’ a cio disposto, »
3. DOLO: ib calle è così stretto, che non
ponno camminare l'uno accanto all'altro.
Così pure altrovo, ctr. Inf. XXIII, 2.
4. VIRTÙ sOMMA: sommamento vir-
tuoso, — GIRI: cerchi doll fuferno, ripioni
di ompiotà.
5. VOLVI: guidi discendondo in giro.
6. A'MIKI: nov ò forma ellittica nd pleo-
nasmo, ma retto dal saliafarimii, che
come il lat. satisfacere va costrutto col
torzo case.
8. GIÀ: riompitivo, von avv. di tompo.
- LKVani: in alto; sosposi; conf. lf.
1X, 121.
9. GUARDIA : clr. Inf. VIII, 82 è seg. -
FACK: fu; da facere.
11. Josarrì: valle prosso Gerusalem-
me, dove si credeva che si terrà il giu-
dizio finale. « Congregabo omnes gentes,
et deducam eas in vallem Josaphat: et
disceptabo cum cis ibi.... Consurpnut,
et ascondant gentes in vallem Josaphat:
quia ibi sodebam ut iudicom omnes gon-
tes; > Juel TIT, 2, 12. < Vallis Josaphat
dicitur vallis judicii. Vallis cat semper
juxta montem. Vallis est hic mundas,
mons est culum. In valle ergo tit judi-
cium, i. o. in isto mundo, scilicet in isto
are, ubi justi ad dexteram Christi ut
uves statuentur, impii autem ut hadi
ad sinistro ponontur; » Alucid., c. 75.
Cir. Thom. Aq. Sum. th. LIT Suppl., 90, 3.
13. suo: loro; efr. Inf. XXII, 144.
14. Ericuno: "Ertxovzog, filosofo
greco, fondatore della scuola degli Epi-
curol. Fu da Ateno e visse dal 334 al
203 a. C. Di lui cfr. Drow. LAKRT. X, 1,
v, 26. Cicui. De Nat. Deor. 1, 26. De
Fin. T, 19. PP. GASSENDI, De vita, mori-
bus et doctrina Epicuri, Leida, 1647.
Conv. IV, 0; IV, 22. De Mon. IL, 6.
15. FANNO: afYormuaue che l'anima
muore col corpo, La nogazione del no-
prannaturalo, quindi dell'innuortalità
dell'anima, è il contro è perno di tutto
le eresio. Cfr. Conv. IV, 6.
18. visio: di vedere Farinata degli
Uberti, cfr. Inf. VI, 79.
20. PKR VICK POCO: per non importn-
narti con molto parole, non già per to-
nerti celati i mioi pensieri.
21. NON vit MO: non soltanto ora;
efe. Taf. 111, 76 0 seg. Alo’, voce dell’an-
tico dialetto fiorentino, dall'avv. latino
modo. « Virgilio avea non pur ora dispo-
sto Dante al silenzio, mu altra volta an-
cora; ora, quando alla vista del celeste
mosso gli fe' segno che stesse cheto, © nel
terzo canto, quando domandò delle ani-
me ch’ erano sulla riviera d’ Acheronte; »
[CERCIIO SESTO]
Ixr. x. 22-32
[FARINATA] 89
22 « O Tosco, che per la città del foco
Vivo ten vai così parlando onesto
Piacciati di ristare in questo loco.
25 La tua loquela ti fa manifesto
Di quella nobil patria natio
Alla qual forse fui troppo molesto, »
2a Subitamente questo suono uscio
D’ una dell’ arche, Però m'accostai,
Temendo, un poco più al duca mio.
a Ed ei mi disse: « Volgiti; che fai?
Vedi là Farinata che s’é dritto :
Ross. Alcani leggono sox run ona; cfr.
Zz. F., 0h.
V. 22-51, Forinata degli Uberti.
Alla frase non pur mo’ uno spirito ha ri-
conosciuto Dante per Fiorentino, al spor-
ge fuori del suo avello, invita Dante a
farmarsi, lo squadra e, non riconoscen-
dolo, gli chiede chi si fossero i suoi ante-
nati. Mania di dichiara suol nemici, van-
Levey di averli discacciati dae volte,
Dante risponde che i anol ritornarono
ambedue le volte, mentre invece i correli-
gionari e discendonti del dannato una vol-
ta discaociati non seppero ritornare più.
22. Tosco: toscano, - DEI. FOCO: cfr.
Inf, XI, 73.
23. oxgsTo : onestamente. Lo apirito
ha wilito le modeste parole dette da Dante
a Virgilio, v. 19-21. Sembra cho da quo-
ste parole agli indovinnase pure che Dante
hon era ancor morto. Rammenta Il ..ar-
lare onesto del canto IT, 113.
24. RISTARK: Siete gradum, viator! La
vooe fa qui le veci dell'epigrafe; più ol-
tre, XI, 7 e seg., l'epigrafe senza voce,
25, LOQUELA: o. « Loquela tua
manifestam to facit ; +8. Matt. XXVI, 73.
26. wou: Firenze, « la bellissima è
famostasima figlia di Roma; =» Conv. 1,2.
* Considerando ln nobiltà o grandezza
della nostra città;» 0. Vill. 1,1
77. rorsk: confessione da ilcrto.
ee modo dubitativo di parlare si
‘ord qui, per usare la dottrina di Cato,
Il quale dice: Non ti lodare 6 non ti bia-
Pra senza quello forse nvonso detto,
© biastmava fortomento; + Ott. — « Dice
trredutamente qui questo spirito, forse,
perelocché se azsertive nvosso detto sè es-
Prassi troppo molesto alla sua città,
si fleramonte biasimnto ; » Roce.
perd che, secondo il parere
suo non fu molosto; ma soconilo fl parero
di coloro che l'avenno encelato fnori di
Firenze, ot tonenno il roggimento della
terra; =» An. Fior, - MOLESTO: combat-
tendo contro i Guelf di Firenze, efr. G.
Vill. VI, 74-88.
30, TEMENDO: perchè « res animos in-
cognita turbat;» Virg. Aen. I, 515; 0
fora’ anche per l ambiguità delle parole
udito, v. 24.
$1. CHR FAI: « quasi dicat: qukl fngis
timide illum, ad quem deberes avide no-
cedere? » Benv.
22, Fariwata: della nobile famiglia
degli Uberti, nato nei primi del Dagento,
capo della san famiglia, e per conse-
guenza di parte ghibellina sino dal 1239,
cooporò alla cacciata del Gnell nel 1248.
Kitornati i Guelll nel 1251, Farinata
« fidandosi troppo del riso della fortuna,
è volondo quasi solo governare la re-
pabblion » (Fil. Vill.), fu encciato co'suoi
nel 1268 (Vill. VI, 65) o riparò a Siena, è
di là addimandò ed ottenne ajuto dal ro
Manfredi, onde sconfisse nel 1260 l'eser-
cito guelfo a Mont'Aperti presso il finmo
Arbia (Vill. VI, 78), rientrò trionfante in
Firenze, d'onde i Gnelli furono diacac-
cinti, o si opposo solo nella dieta di Em-
poli al consiglio di disfare la città di Fi-
tanto (Vill. VI, 81). Morì nel 1264. « Fn
ili statura grande, faccia virile, membra
forti, continenza grave, eleganza solda-
tesca, parlare civile, di consiglio sngn-
clasimo, andace, pronto e industrioso in
fatti d'armi. Fiorl vacante l'imperio per
In morto di Federigo TI, 6 ili naove ene-
ciato è fatto rubello morì in esilio; » Fil
Vill., Vite. - « Imitator Epicuri non cre-
debat case alium mundum nisi istom ;
unde omnibus modis stadebat excellere
in iste vita brevi, quia non spernbat
90 [CERCHIO SESTO]
Inr. x. 83-42
[FARINATA]
Dalla cintola in su tutto il vedrai. »
dA l'aveva già il mio viso nel suo fitto;
Ed oi s’ ergea col petto e con la fronte
Como avesse lo inferno in gran dispitto.
37 E l’animose man del duca e pronte
Mi pinser tra le sepolturo a lui,
Dicendo: « Le narole tue sien conte, »
40 CCom'io al
(Juardon
Mi dima
aliam meliorem ; » Ben. |
e seg.
89. TUTTO: « l'inattosa è
rinata anlla scenn è ap
mulo ch'egli è già gran
immaginazione, o nov l'a
ni veduto nè udito, Farina
per l'importanza che gli hi
e per l'alto posto che occu]
siero, E non lo vediamo misura v ge uu
lo ilguriamo colossale allo parle di Vir-
gilio: Dalla cintola in su TUTTO il vedrai.
Volevi vederlo: eccolo rurro innanzi a
te; » De Sanctis.
34. GIA: appena udite le parolo: vedi
là Farinata, e prima che Virgilio avesse
finito. - viso: occhi; io lo riguardava
già fiso.
35. S'KRGKA : por altorezza © grandezza
d'animo.
36. sitio : dispotto, disprezzo. Vivo
negò la vita futura, morto la disprezza.
« Fuit onim Farinata superbus cum tota
sua stirpe; > Zenv.
38. i1Nd3k&: spinsero, - LUI: Farinata.
89. CONTK: 0 dal lat. cognitus, o da
comptus. I più intendono parole chiare,
precise o simili; altri Parole contate,
numerato; altri Parole ornato e cortesi.
I più antichi (Bambagl., An. Sel., lac.
Dant., Lan., Ott., Petr. Dant., Cass.,
Falso Bocc., An. Fior.) non danno ve-
runa interpretazione. Buce.: « Composte
e ordinate a rispondere; quasi voglia di-
ro: tu non vai a parlaro ad ignorante. »
- Benv.: « Quasi dicat: loquere cum isto
familiariter clare, quia iste novit ea do
quibus tu vis scire e facere memoriam. »
- Buti: « Parla apertamonte è ordinata-
mente. » - Serrav.: « loquore modeste et
honeste. >» - darg.: « Sieu chiaro, ben in-
telligibili. Parloral apertamente sonz’ al-
fui,
uasi sdegnoso
uggior tui? »
lo.» = Land.:« Chiare et aperte;
| vnol esser fuor d' oresia deve
et parlare senz'ulonna ambi-
Vell.: « Manifeste ot chiara, et
ino ob oscure, » = Tal: «]
seoum. » - Gelli; « Accurnta»
une si conveniva far con un
ilo, » - Daw.: « Manifesta 6 ehia-
ambigne è dubbie, perciò che a
rossi iti Hereticl, bisogna caser molto
aocerto 6 riguardoso, » = Cast,; « Virgillo
dice quosto a Danto e perchè avea dotto:
Buon duca, non tegno riposto mio dir, se
non dicer (sic!) poco, e perch6 Virgilio
aveva veduto che tomuva » (1). - Vent.:
« Manifeste e chiare. » - Ces.: « Alto ©
riciso.... K forse anche conte è invece di
contate, ciod numerate; quasi dicesse,
Non le affastellare alla rinfusa, ma ben
posale por singula, » - Betti: « Modo poe-
tico por dire: Fu’ ch’ ogli sappia lo tuo
parole, cioò cid cho tu vuoi.» - Z20ss.:
« Fa’ cho i sensi tuoi sien noti. Conte è
sincope di cognite. » - Y'uin.: « Chiaro è
nobili. » - Br. B.: « Aperto e franche. »
- Andr.: « Adorne (lat. compte), nobili,
com'è degno di tanto collocutore. » -
Corn.: « Nobili e degue di memoria. » -
Carpi: « Parla chiaro o palosa libera-
monto Jo tue politiche opinioni. »- Berth.:
« Ordinate, dal lat. comptus. » - Pol. sta
col Buti. - Con Farinata Dante parla un
linguaggio franco, chiaro e preciso, mu
né particolarmente breve, nè particular-
mente ornato e cortese (v. 51! 85 e se-
guenti).
40. com'10: Al. TOSTO CH’ AL PIÈ.
41. QUARDOMMI: per riconoscermi. -
8DKGNO50: Dante non era nel suo este-
riore un uomo imponente. « Sono vile ap-
parito agli occhi a molti, che forse per
alcuna fama in altra forma mi aveano
[cerchio SESTO]
Inv, x, 48-58
[VARINATA] 91
4 Io, ch’ era d’ abbidir desideroso
Non gliel celai, ma tutto gliel’ apersi.
Ond' ei levò le ciglia un poco in soso,
46 Poi disse: « Fieramente firo avversi
A me e a’ miei primi ed a mia parte,
Si che per due fiate gli dispersi. »
40 « S’ ei fdr cacciati, ei tornAr d’ ogni parte, »
Rispos’ io a lui, « l'una e l’altra fiata;
Ma i vostri non appreser ben quell’ arte. »
52 Allor surse alla vista scoperchiata
Un’ ombra lango questa infino al mento;
immaginato; nel cospetto de' quali min
persona invillo; » Cone. I, 3, Cfr. Boce.,
Vita di D., § 8. G. Tresta: Chi filr gli
maggiori tui / Castrocaro, 1800.
43, Unmutn: a Virgilio, v. 81 on Fa-
rinata, v. 421
di. aram' ArkRSI: gli manifestai aper-
tamente s pienamente ciò che egli desi-
derava di sapere, cioè chi si fossero i miei
maggiori.
45. LRYÒ: atto di chi s' ingegna di ri-
ohklamaro cosn alin memoria, —
1% #80: In soso, In alto. Forma ovvia
presso gli antichi, .
46. FORO: | tuoi maggiori.
47. rami: antenati, — rantr: ghibel-
48. DUE: la prima volta nel 1248, colla
forza dell'imperatore Federigo IL, ofr.
Vat. VI, 23; In seconda nel 1260, dopo
la battaglia di Mont'Aperti, ofr. Fill. VI,
60, - pier: renoclandoli da Firenze è
mandandoll in esilio.
4, n'ocxt ranre: d'ogni lnogo ove si
60. L'UmA: nel gennaio 1251, dopo In
sconfitta sd Ghibellini a Fegghine, efr.
Vill. VI, 38, © dopo la morte di Ferle-
rigo IT e di ki Mtintoro di Montemerlo suo
podestà a Fironze, ofr. Vill. VI, 42. -
L'ALTRA = nel 1266 dopo la morte di Man-
frodi, efr. Vill. VII, 13 © seg.
BI. vostri: Ghibellini. — anTE: di ri-
, Rssanno ne tornò per al-
aluni nel febbraio del 68, per
\otercessione del legato apostolico. Lo
Forse voll'egli rimproverare ai compa-
gni d'esilio, che non sapessero riacqni-
stare In patria; » Tom.
V. 62-72. Caralcante Caralcanti.
Simile con simile qui è sepolto. Mentro
Dante parla con Farinata, sorge dallo
stesso avello nn' alte’ ombra e dimanda
al Poeta, perchè sno figlio non sin seco,
Dante risponde: Forse perchè ebbe a
disdegno Virgilio, «+ Ebbe? Ma non vive
egli dnnqne più?» Dante esita nn istanto
a rispondere, onde l'ombra ricade nò più
al rinlzn. Ît l'ombra di Cavalcante Caval-
canti, guelfo, padre di Guido. Di Ini Jac,
Dant.: « Con simigliante credenza viven-
do si ritenne. » - Roce.: « Leggindro e
ricco cavaliere, seguì l'opinion d' Epi-
euro, in non eredere che l'anima dopo la
morte del corpo vivesse, e che il nostro
sommo bene fosse ne' diletti carnali. »
- Benv.: « Isteomnimo tennit sectam epl-
enreornm, semper credens, et sundena
aliis, quel anima simul moreretur cam
corpore; unde ampe habebat in ore istud
dictum Salomonia: Unwus est interitua ho-
minis et jumentorum, et equa ufriuaque
conditio, » - Buti; «Fn della setta di mos-
ser Farinata in eresia, e però lo mette
seco in un sopolero; e non mostrò l'ere-
nia sun sl palese, come messer Farinata,
porò finge che non si mostri tanto fori
del sopolero; 6 non fn ancor sì snperbo,
© per’ finge cho ai levasse in ginocchia,
6 non ritto come messer Farinata, »
62. vinta: apertura, n bocen dell'nvello,
efr. Purg. X, 07. Cir. Fanf. Stud., 199 è
205-6. — SCOPRACHIATA: tutti i coperchi
essendo levati, v. 8, 0.
53. LUNGO: accante all'ombra di Fari-
nata, - MENTO: venne dunque fuori con
tnttn In testa,
92 [CERCHIO SESTO]
Ixr, x. 54-63
[CAVALCANTI]
Credo che s' era in ginocchie levata.
56 D’intorno mi guardò, come talento
Avesse di veder s’altri era meco;
Ma poi che il sospecciar fu tutto spento,
64 Piangendo disse: « Se per questo cieco
Carcere vai per l'altezza d’ingegno,
Mio figlio ov’ 4? E narché non è toco? »
Gi dd io a lui
Colui chi
Forse cu
5% carbo: poichè non !
dal meoto in su, mentre F
rasi rizzato, si vodura dall
- IN GIXOCCHIK: AL IN Gt
55. TALENTO: voglia, de
eo bramanaso
50, actu: Guido suo fl
57. BOS|PKOCIAR: BOspaott
lat. suspicarni. Al. ROSPI
ALI, 120,
68. cikoo: privo ili lusso e di cono-
acct ta,
60. FIcLI0: Guido Cavalcanti, nuto a
Fironze verso il 1250, motto ivi nel feb-
braio del 1302, « quegli cui io chiamo
primo de’ miei amici; » Vita N. 63. «Era
come filosofo virtudioso uomoin più cose,
no non ch'ern troppo tenero © stizzose: »
Vill. VIIT, 42; cfr. Bocce. Dec. G. VI,
nov. 9. Ful. Vill., Vite; Cicchavonci, No-
fizie intorno alla vita ed alle opere di
Guido C., Fir., 1813. P. EucoLk, Grado C.
e le sue Rime. Studio storico-letterario se-
guito dal testo critico delle Rime con cons-
mento, Livorno,1885. Fixzi, Dantec Guido
C. nei suoi Saggi Danteschi, 'Vor., 188%,
- TKCO: compagno del viaggio è parte-
cipe della gloria.
Ol. DA MK: Cavalcanti suppone cho
per faro un viaggio di tal natura basti
l'altezza d'ingegno; nella sna risposta
Daunte accenna che ci vuol altro uncora.
63. KK: il motivo del disdegnoa di
Guido por Virgilio è un onimma. Alcuni
spiegano : porche Guido non amava il la-
tino, cfr. Vila N.$ 31. Al perche Guido
stimava più la tilosotia che non la poesia
(egli stesso poeta !). Al. Guido ebbe in di-
spetto Virgilio, non come porta, 0 filuso-
fu, ma come cantoro entusiastivo dull im-
pero (fu Virgllio ghibellino?)., Al. perchò
all’epicureo Guido, Virgilio era troppo
religioso 7). Cfr. D'Ovinio, Saggi critici,
| vegno,
mi mona,
a disdegno. »
, pu 412-20. — Al. riferiscono JI
U Guide non a Virgilio, ma n
Cfr. Dat. Lusuo, Il diadegno
toma, 1850. G. Mazzoni: Swi
di Uwido Cavalcanti, Borga-
dtull. II, 1, 179 è seg. 192 ©
20 è seg. Lan,: « Guido non
(lio. + - Ott.: « Kdice l'Autore,
iuldo ebbe oa disdogno questo
aglio » (1' Eneide), -— Coes: è DI -
coop wddiviatusd oral stadero super
Virgilio è - Hocec.;i «è Perviovcldé la tilo-
solia gli parova, siccome cella è, da molto
più cho la poesia, ebbe a sdeguo Virgilio
e gli altri poeti. » - Faleo Boce.: « Guido
dispregio virgilio civo poesia. » - Beno.:
« Iste Guido non est delectatus in poeti-
cis, .... non dignabatur logere poetas,
quorum princeps vst Virgilins, » - Muti:
«Guido disprogiava li pocti, e Virgilio
come li altri. » - An. Afor.: « O perchò
Guido gli paresso che la sciunzia sua
fosso sì alte ch'ella avanzasso molto
quella de’ Pooti, o ch'egli non loggossi
wai loro libri, parvo ch'ogli slegonsso
il libro di Virgilio. » - Serrav.: « Non fuit
delectatus in poosi, quamvis philosophus
magnus. » - Dary.: « Non si dilettava
tle’ poeti, de’ quali Virgilio fu principe. »
- Land.: « Datosi tutto alla filosofia, non
duguò i pooti. » — Zul.: « Nou vacavit
circa poesitu. » - Vell.: « Non curò de-
gl ornamenti poetici, et quelli volor imi-
ture.» — (delli: « Guido uvova uvato la
poesia a disdogno, civò non vi aveva mai
dato opera, nè stimatola.» - Dan.: « Dan-
do opera alla Filosofia, non gli orane pia-
ciuti i Poeti. » - Cust.: «Troppo xlegnoso
parlare è il dire avere a sdegno alcuno
per significare di non curarlo, » - Come si
vede, tutti quanti gli antichi vanno qui
d'accordo (i non citati tuciono); caddero
tutti in errore?
[ceRCHIO BEST 0)
INF. x. 64-81
[FARINATA] 93
64 Le sue parole e il modo della pena
M’avean di costui già letto il nome:
Però fu la risposta così piena.
67 Di subito drizzato gridò: « Come
Dicesti:' egli ebbe ? ,, non viv’ egli ancora?
Non fiere gli occhi suoi lo dolce lome? »
70 Quando s'accorse d’alenna dimora
Ch’ io faceva dinanzi alla risposta,
Supin ricadde, e più non parve fuora.
73 Ma quell'altro magnanimo, a cui posta
Restato m’ era, non mutò aspetto,
Né mosse collo, né piegò sua costa.
70 « } so, » continuando al primo detto,
« S'ogli han quell'arte, » disse, « male appresa,
Ciò mi tormenta più che questo letto.
70 Ma non cinquanta volte fia raccesa
Tin faccia dolla donna cho qui rogge,
Che tu saprai quanto quell’arto pesa.
C4. momo: Cavaloanto Cavalonntii fu
epicareo notorio
GA were: mnmifcatato, Al.
Clr. Moons, Cre, 208 i.) Fog.
GO. PIRNA : compiuta in ogni sua parte,
67. onzz470; fin qui a'orn soltanto lo-
rato ginocchiono, v. 54; adesso si rizza
in piedi.
00. pieni: foriace; cfr. Inf. IX, 69.
Purg. XXVILI, 8.- Lome: lume, luce
del sole; cfr. Keel. XI, 7.
70. DIMORA : indugio; il motivo del suo
lo dice pol v. DI 0 sog.
TL. pixanzi: prima di rispondere.
72. wicapine; Il preterito ebbe, v. 63,
el il breve silenzio di Dante, v. 70, I in-
duossoro a credere che il ano Guido fosso
elà morto. Morì poco dopo l'epora fittizia
della visione dantesca.
V. 73-93. Ancora Marinata, La sce-
na di Caraloante non ha sommonso me-
nomamente il gran Far.nata. Continna,
del tutto l'intermerzo, la co-
dei suoi essergli più grave cho
non le pene d'inforno. Vaticivia quinili
n Dante l'esiglio, © chiede porché i Fio-
retin! continuano tuttora ad inoruilolire
contro i mol. Dante risponde: A motivo
battaglia di Mont’ A por-
Wer A Mont’ Aperti non fui
Rolo; bensi fui solo n salvar Fironzo.
Etro,
73. A CUI POSTA: alla cai disposizione ;
ofr, Inf. XVI, 81. Al., forso moglio, a
onl richiesta, Infatti cfr, sopra vy, 24, —
Itoce.: « A coi richiosta, » — Hent.: « Ad
coins roquisitionom, » - Tui: «A posta
del quale. » — Serrat,; « Ad cnins peti-
cionem. » - Cast.: « Ad istanza, » - Rogs.;:
« Alla cut richiosta. »
74, now mutò: benchè Guido Caval-
canti fosse suo gonero,
75, Mossr: Al.'ronsr; cfr. £, F..66.6s0g.
70. perro: il discorso interrotto dal-
l'ombra del Cavaleanti.
77. Rati: eglino, clos quei vostri del
v. 61, - ARTR: di ritornaro a Firenze
ilopo easerne stati abanditi.
78. Lerro: avello rovente. 11 suo letto
di morte dell'anima è terribilmente di-
verso da quello sognato mentre viveva,
80. bonNA: Proserpina (= Luna), mo-
glie di Plutone, il Dio dell' inferno; cfr.
Inf. LX, 44. Senso: non passeranno cin-
quanta plenilunii (quattro anni o due
mesi) che tu esperimentoral quanto dif-
ficilo sin il ritornare n Firenze a chi no
è shandito, Infatti nel 1304, opoca a cui
ai allude in questi versi, Dante lo sapera
troppo bone, vani essendo rinsciti tutti
gli sforzi dei Bianchi di rientrare in Fi-
renee; off. Vill, VIII, 60, 60, 72, eco.
Banroti, Lett, ital. V, 141 o sog.
94 [CERCHIO SESTO]
InP. x. 82-97
[FARINA TA)
82 E se tu mai nel dolee mondo regge,
Dimmi perché quel popolo è sì empio
Incontro a' miei in ciascuna sua legge? »
#5 Ond'io a lui: « Lo strazio e il grande scempio
Che fece l’Arbia colorata in rosso,
‘Tale orazion fa far nel nostro tempio, »
88 Poi cl’ ebbe sospirando il cano mosso,
« À ciò 1
Senza ci
DI Ma fu'io 8
Fu per ¢
Colui ch
di « Deli, se
Prega’ ic
Che qu
07 I” par che
83, sk: deprecalive = cos
aak: ritorni; da reggere por scuo,
efr. Nan. Man. 113, p. 315 nt, 7. AL do-
rivano regge da reygere, npiogando: So
tu eserciti qualche influenza sul governo
di Firenze.
83. rovoLlo: Fiorentino. - EMILIO: cru-
dolo, spietato,
B4. A'Minicagli Uborti.- Leak: «quia
semper quando tit aliqua reformatio Flo-
rentio de oxulibus rebanniendis exclu-
Auntur Uberti, Lamberti et quidam alii; »
Benv.
86. nosso: di sanguo, Alludo alla Bat-
taglia di Mont’ Aperti sull'Arbia, 4 set-
tembre 1260; cfr. Vill. VI, 78, 79.
87. ORAZION: rescritto, logge, decruto.
« Porsnasioni nel Scnato fiorentino, il
quale ei chiama per traslazione tempio,
orandosi in tal luogo agli uomini, come
si fa ne'tompli a gli Dii; » Gelli. - tKM-
mo: chiesa di san Giovanni, dove sole-
vansi fare le adunanze popolari. Secondo
altri Dante parla qui in modo vago 6
traslativo per signilicaro ci fa adoperar
così; cfr. Fanf. Stud. ed Oss., pag. 53 è
seguonti.
88. BOSPIRANDO: per lo dolore nell'udi-
re che i Fiorentini, dimentichidi Empoli,
pon serbano che la memoria di Mont'A-
perti, cioè soltunto del male da lui tutto
alla città.
89. A CIÒ: alla battaglia di Mout'A-
perti.
3, « né certo
rol mosso,
‘iorenza,
nto, »
enza, »
il nodo
entenza,
odo,
iON: eran ssuiloe porsognitato,
Connvarvova contro I suoi nemici. - ALTRI:
Ghibellini. - Mosso: a combattoro contro
l'ironze.
91. COLA: a Empoli; cfr. Vill. VI, 81.
AQUAKONK in Dante e il suo scec., 898 ©
sey. © Dante a Siena, 21 © aeg., $4 © seg.
V. 98-120. Wl vedere dei dannati,
Farinata ba prodotto a Dante il futuro;
Cavalcante si è mostrato ignaro del pre-
sente, Quest’ è per Dante unenimma, che
e' proga Farinata di sciogliergli. Questi
risponde: veggiamo poco chiaramente
l'avvenire, ma non conosciamo il pro-
sonte. Quindi Dante lo prega di dire al
Cavalcanti che il suo Guido vive aucora,
come pure di nominare i suoi compugni.
Siamo, rispondo larinata, più di mille;
tra altri c'è qui L'oderigo IT e il cardi-
nale; degli altri non vo' div nulla. Cfr. L.
Arkzio, Sulla teoria dantesc.r della pre-
acienza, Palermo, 1896.
Yi. sk: deprocativo= così possa ripo-
sare una volta la vostra discondenza! Al.
Se mai rimisi (riposi du riporre) in pa-
tria, ecc. Quali discendenti di Farinata
(Guido Cavalcanti non era talo) furono
da Dante richiamati dall'osiglio?
95. Novo: dubbio, diflicoltà.
96. BKNTENZA: giudizio = che mi ba
confusa lu mente.
97. VKUGIATK: va unito col dinanzi del
Vv. seg. = preveggiato. So ho ben iuteso,
ini pare che voi provedete le cose future.
[cERCHIO SESTO]
InF. x. 98-120
[FARINATA] 95
Dinanzi quel che il tempo seco adduce,
E nel presente tenete altro modo. »
100 « Noi veggiam, come quei che ha mala luce,
Le cose, » disse, « che ne son lontano ;
Cotanto ancor ne splende il sommo Duce.
103 Quando s’appressano, o son, tutto è vano
Nostro intelletto; e, s’ altri non ci apporta,
Nulla sapem di vostro stato umano.
106 Però comprender puoi che tutta morta
Fia nostra conoscenza da quel punto
Che del futuro fia chiusa la porta. »
100 Allor, come di mia colpa compunto,
Dissi: « Or direte dunque a quel cadnto
Che il suo nato è co’ vivi ancor congiunto.
112 E s’io fui dianzi alla risposta muto,
Fat’ ei saper che il fei perché pensava
Già nell’ error che m’avete soluto. »
115 E già il maestro mio mi richiamava
Perch'io pregai lo spirto più avaccio
Che mi dicesse chi con lui stava.
118 Dissemi: « Qui con più di mille giaccio ;
Qua dentro è lo secondo Federico,
E il cardinale, e degli altri mi taccio. »
AncheUincco gli avea predetto il futuro,
Inf. VI, 64 0 seg.
09. ALTRO MODO: non conoscete le cose
100, wor: dannati. O forae: noi eretici ?
Claceo sembra vedere anche il presente;
efr. Inf. VI, 73.6 seg. - NA: è prosbita.
101. LowTano: future = l'avvenire.
102. corasTo: « Iddio cotanto ili splen-
dore ancora dà a noi dannati, che noi
sappiamo le cose future per le loro ca-
gioni; » Buti.
103. s'Arraessaro : quindi Unvalcante
Peio della morte già vicina dol
suo Guido. - sox: in atto, presenti.
104. ALTRI: dannati, che arrivano di
fresco. - APPORTA : novelle del dolce mon-
do, +, 82. AL WO CI ArrontA.
it giudizio finale,
più tempo avvenire.
a avero indogiato n ri-
e alla dimanda di Cavalcante,
v. 67 72, 0 così tenuto in ambascia il ano
cuore di padre,
110. cabuTO: Cavalcante, ricaduto nol
uo avello, v. 72.
ILL. xaTO: figlinolo; Inf. IV, 60. Par.
XXII, 142; XXIII, 2. All'epoca fittizia
della visione Guido Cavalcanti vivera
ancora.
112. DIANZI: poco fa, - MUTO: tardai a
rispondergli, v. 70.
114. FaT' ki: fategli. Al. FATE 1.
114. NEL.’ Kenon: all' error, Pensare
in nsarono sovente gli antichi. L'errore
ora il dubbio circa il vedero dei dannati,
116, AVACCIO: io pregai quello spirito
con maggior fretta; cfr. nf. X XXIII,100.
117. CON LUT: nello stesso rovente avel-
lo; cfr. Inf. 1X, 120,
119, Feonnico: l' imporatore Federt-
go II. Fn necusato di grave eresia, anzi
di ateismo el incolpato (n torto) di essere
antoro del famigerato libro: De tribue
importorilee.
120, CANDINALIC: Ottaviano, o Atta-
m
G [CERCHIO SESTO]
INF. x, 121-131
[coxFonto]
121 Indi s'ascose; ed io in vér l'antico
Poeta volsi i passi, ripensando
A quel parlar che mi parea nemico.
tuti gli si mosse; e poi, così andando
Mi disse: « Perché sei tu sì smarrito ? »
Ed io gli satisfeci al suo dimando.
127 « La menta toa eonearvi anal che udito
Hai com
“ Ed OT
130 « Quando
DI quell
viano degli Ubaldini. Fic
e fu pure poeta volgare;
1”, p 352, Fu vescovodi L
ul 1244, eletto cardinale 1
nel 1273.- « Non crodia el
e quanilo venne a morte
ma fosse, direi cho per gl
l'avossi perduta; » An. Sa
dano nomo, lo quale ebh
di queste mondano c080, the se. par
ch’ olli credesse che altra vita fusso che
questa: fu molto di parte d'imperio e
fuco tutto quello che seppe in suo niuta-
rio. Avonno ch'egli avondo bisogno soc-
corso di moneta, dimandolla alla parte
ghibellina, vvero d'imperio di Toscana:
fulli vietato; sichè costui lamentandosi,
disso quasi conquorendo d’essi io non
posso dire, so è anima, che l'ho perduta
per parto ghibellina, è un solo nou mi
soccorra. Sichè mostrò in questo suo par-
lare, quando disse se è anima, ch'egli
non fusso certo d'avere anima; » Lan.
Lo stesso ripetono Olt., C'ass., Boce., ecc.
- « Fuit vir valentissimus tempore auo,
naigax et audax, qui cariam romanam
versabat pro velle suo, et aliquaudo 10-
nuit eam in montibus Florenti:e in terria
suorum per aliquot menses; et sicpe de-
fondabat palam rebelles ecclesi:o contra
Papam et Cardinales; fuit magnus pro-
tector et fautor ghibelinorum, et quasi
obtinebat quidquid volebat. Ipse focit
primum Archiepiscoprin de domo vice-
comitum Mediolani, quioxaltavit stirpem
sium ad dominium illius civitatis, ot al-
tam potentiam in Lombardia: erat mal-
tum lonoratus ot formidatus; ideo, quan-
do dicebatur tuoc: Cardiualis dixit sic;
intelligobatur do cardinali Ottaviano de
Ubaldinis per excellontiam. Fuit tamen
Gpicurous ex postis cl verbis cine; » Zur,
quel saggio:
zzò il dito,
3 raggio
itto vede;
regobat totam curiam roma-
bat Imperatori et detraliobal
ebat parti gebelline et perne
purtom guelfam; » Serrav. Clr,
LINN, Storia della Casa degli
Fir., 1588, p. 115 6 seg.. Lat.
#6, Conforti di Virgilio, La
edizione dell'asiglio, nonché
th del tentativi di rimpatriara)
reuuw ario tacito è ponsioroso, Virgilio
lo conforta, predicendogli che Beatrice
gli svelerà a suo tempo i venturi suoi
eventi (il che non fa poi Boatrice, ma Cac-
ciaguida, Par. XVIT). Quindi i due Pooti
continnano il loro viaggio.
121. 8'ASCOSK: nel suo avello, ricadcn-
do, o riponendosi a giacere.
123. PARLAR: allo parolo di Farinata,
v. 7981; parlaré nemico, perchè annun-
zisva venturi infortuni.
125. smakkiro: sbigottito, assorto in
cupi pensieri.
126. sarisrkci: gli mauifostal i miei
pensieri: cfr. v. 6.
127. CONSKRVI: non dimenticare cid
che hai udito; ma por intauto non ba-
darci troppo, dovendo attendere ad altro.
120. ATTENDI QUI: fa'attenzioue a quan-
to ti si mostra in questo luogo. Al: At-
tendi a quello che io ti vo' dire. Ma la
contemplazione delle pene dei danuati è
il Ane salubre del miatico viaggio di Dan-
te, più importante assai che non la ven-
tura sua sorte in terra. - DRIZZÒ: verso
la regiono in cui si trovano, dinotata dal-
l'avv. qui. Al. vorso il cielo (fh, Letts:
e E drizzo il dito al cielo, dovendo parlare
di Beatrice, ch’ ora lassi. » Pare che in
tal caso avrobbo dovuto dire: Attendi li.
131. QUELLA: Beatrice. - VKDE: Virgilio.
sa tutto, clad umanamente, nf. VII, 3;
PBoulsico vede ogni cosa iu Div,
©’ a -, Pi Tt 4 » »
a ‘
| [cERCHIO SESTO]
Inr. x. 132-186 -
x1. 1-3 [PAPA ANASTASIO J 97
Da lei saprai di tua vita il viaggio. »
133 Appresso volse a man sinistra il piede:
Lasciammo il muro, e gimmo in vér lo mezzo
Per un sentier che ad una valle fiede
136 Che in fin lassù facea spiacer suo lezzo.
132. pA LR: indirettamente. Bontrice
gli è guida nel Paradiso, e lo esorta ad
coral = Par. XVII, 7 ©
seguenti.
184. MURO : della città di Dito. - mezzo:
del cerchio. Sin qui erano andati lungo
le mura, v. 2,
185, rinpbr: va, mena alla ripa che
scende nel settimo cerchio.
136. LASSÙ: dove eravamo, A para-
gone dei cerchi inferiori, erano ancora
in alto, « Kt fumus tormentorum sorum
in ancula weculoram ascendit; » Apocal,
XIV, 11. - Lrzzo: puzzo.
CANTO DECIMOPRIMO
———6
CERCHIO
SESTO: ERETICI
TOMBA DI PAPA ANASTASIO
DIVISIONE DELLA CITTÀ INFERNALE
In su l'estremità d’ un’ alta ripa
Che facevan gran pietre rotte in cerchio
Venimmo sopra più crudele stipa.
V. 1-0. La tomba di papa Anasta-
elo. 1 due Poeti continuavo il loro viag-
gio verso il mezzo per discendere, ma il
pozzo enorme che vien au dall'abisso gli
induce n raccostarsi ad un sepolero, che
è quello di un papa erotico.
1, petreMiTÀ : orlo. — mira: che ter-
tnina il cerchio degli eretici o riaguarda
sopra il seguente, che è doi violenti,
2 cur: quarto caso = la quale ripa. -
PACKYAN: formavano, - RoTTE:la ripnora
tutta interne intorno scoscosa in grandi
tuttami. DI questa rina parla più tardi,
7. — Div. Comm., 3% ediz,
m' ellaé qui) significa una massa di sterpi,
come sono i pruni, ginestre e altre cose
simili, tagliate sinviloppato insieme n ca-
su, 6 fattone faatella per la comodità del
portarlo, por arderlo di poi nelle fornaci,
omloperarlo n riempiere fosso, o bastioni,
n altre simili macchine, Ondo è presa qui
questa tal voce, motaforicamonte o por
traslazione, da'l Poeta per la moltitudi-
ne dolle nuime racchiuso in questo bara-
tro infernale; + Gelli, — « Sopra moltitu-
dine, cho avova maggiori peocati, è più
gravi, che non avevano coloro, de' quali
infino a qui ha parlato; » Cast. - Diver-
samonte Buti: « Siepo che chiude è cir-
conda, » - Seno: « Cavea sive gabia in
qua continentur pulli. » - Betti: « Stipa,
EE.
98 [CERCHIO SESTO] Inv. x1. 4-16 (BASSO INFERNO]
4 E quivi, per l’orribile soperchio
Del puzzo che il profondo abisso gitta,
Ci raccostammo dietro ad un coperchio
7 D’un grande avello, ov’io vidi una scritta
Che diceva: Anastasio papa guardo
Lo qual trasse Fotin della via dritta.
10 « Lo nostro scender conviene esser tardo
Sì che s’ausi prima un poco il senso
Al tristo fiato. E poi non fia riguardo. »
13 Così il maestro. Ed io: « Alcun compenso »
Dissi lui, « trova, che il tempo non passi
Perduto. » Ed egli: « Vedi che a ciò penso.
16 Figliuol mio, dentro da cotesti sassi »
cioè serraglio, clausura, ecc. Nè ci vuol
tanto ad indovinarlo. La ripa, su cui
Dante venne, dominava tutto un gran
reciuto, dove più crudeli tormenti erano
a vedersi.» - Ross.: «Luogo che contiene
più dolorosa intensità di pene.» Cfr. Inf.
VII, 19; XXIV, 82.
4. BOPKUCIIO: 6CCEASO.
6. ruzzo: simbolo dol peccato. « Bona
fama bonas odor, mala vero fu:tor; » Post.
Cass. Cfr. Eccl. VII, 1.
6. RACCOSTAMMO : riparammo. - COPER-
CHIO: levato; cfr. Inf. IX, 121; X, 8.
7. GRANDK: per poter contenere il gran
numero di monofisiti. La scrifta nomina
soltanto un papa, capo della chiesa.
8. ANASTASIO: secondo di questo nome,
papa dal 496 al 498. Vivendo al tempo
dello scisma tra lo duo chioso, vrivntale
ed occidentalo, ed amando assai la pace,
sped) nol 497 due vuscovi logati all'Impe-
ratore greco, pregandolo di togliere dai
sacri Dittici il nome di Acacio, eretico,
già vescovodi Cesarvain Palestina. Verso
lo stesso tempo venne a Roma Fotino,
diacono di Tessalonica e seguace di Aca-
cio, Anastasio II lo accolse amurevol-
mente e comunicò con lui, il che eccitò
l'ira del clero di Roma. Quindi Graziano,
Decret. dist. XIX, 8,9, disse falsamente
Anastasio II condaunato dalla Chiesa, e
tutti quanti gli storici ecclesiastici sino
al secolo XVI, chiamaronlo a torto ere-
tico; ofr. Lib. pontif. decretum Gratiani
I, Dict.19,9. Doellinger, Papstfabeln, Mo-
naco, 1863, p. 124 e seg. Dante seguì in
questo luogo la tradizione erronea che ai
suoi tempi aveva il valoredi storia esatta.
- GUARDO: cnstodisco,
9. LO QUAL: quarto caso. - Form: dia-
cono di Tessalonica, da non confondersi,
come fecero molti, i quali accusarono per
ignoranza il Poeta di anacronismo (< nel
buio delle cognizioni storiche interven-
ne a Dante d'avvicinare il Fotino ere-
siarca del secolo IV ad Anastasio II cho
visse nel socolo V; > BARTOLINI, Studi
danteschi I, Siena, 1889), cul molto più
conosciuto subolliano Fotino, vescovo di
Sirmio, condannato come eretico dai con-
cilii di Antiochia (345), di Milano (347) e
di Sirmio (351). - VIA DRITTA: della fede
ortodosaa,
V. 10-66. Divisione del basso tnfer-
ao. Devono soffermarsi per avvezzure il
senso al grau puzzo. Per non perdere
inutilmente il tompo, Virgilio disegna a
Dante come 6 fatto il basso inferno. Vi
sono tre altri cerchi: l'uno de' violenti,
distinto in tre gironi: vivlenti contro
Dio, contro il prossimo e contro 84 stessi;
il secondo dei frodoleuti, distinti in dieci
classi e puniti in dieci fossi ; l'ultimo o
più profondo doi traditori, distinti in
quattro classi.
10. rarbo: ritardato, lento.
11. 8' ausi: 8’ avvezzi all'orribil puzzo.
- SKNSO : l'odurato.
12. FIATO: esalazione. - NON FIA: con-
tinueremo francamente il nostro viaggio,
senza badare alla pestilenziale esalazione.
14. LUI: a lui. - TRMIO: «tutte le no-
stre briglie, se bene vogliamo cercare li
loro principj, procedono quasi dal non co—
noscere l'uso del tempo; » Conv. IV, 2 ==
cf. Purg.I1I,78; XVII. 84. Par.XXVI - =>.
16. DKNTRO: ul disotto della cinta fo—m..
mata dallo yran pictre rotte, v. 2.
|]
[CERCHIO SESTO]
INF. xI1, 17-83
[BASSO INFERNO] 99
Cominciò poi a dir, « son tre cerchietti
Di grado in grado, come quei che lassi.
19 Tutti son pien’ di spirti maledetti.
Ma perché poi ti basti pur la vista,
Intendi come e perché son costretti.
22 D' ogni malizia ch’ odio in cielo acquista,
Ingiuria è il fine, ed ogni fin cotale
O con forza o con frode altrui contrista,
25 Ma perché frode è dell'uom proprio male,
Più spiace a Dio: e però stan di sutto
Gli frodolenti, e più dolor gli assale.
28 De’ violenti il primo cerchio è tutto:
Ma perché si fa forza a tre persone,
In tre gironi è distinto e costrutto,
31 A Dio, a sé, al prossimo si puone
Far forza; dico in sé ed in lor cose,
Come ndirai con aperta ragione,
17. concmetmi: ii diminntivo per ri-
guardo ni cerchi dell'inferno snperiore,
© fuori di Dite, che sonv assai maggiori.
18. ni Grano: digradantisi, ristringon-
tial, come | sei già
aor RPIRTI MALRDETT! + diavoli e dan-
tati. « Discedite a mo maledicti in ignem
mternum qui preparatus ost dinbolo et
angelis eius; » S. Matth. XXV, di.
20. TI HASTI: per sapere qual razza di
pesontorisitrovanoin ogni cerchio, senza
più dimandarmene. Infatti dimande co-
mo Taf. TRI, 33, 73: IV, 74; V, 60, SL;
VII, 27,88; IX, 124, non al fanno più.
21. comme: In qual modo 6 sccando qual
epirti maledetti sono costretti,
cioà stretti insieme, stipati. Alcuni rife-
rlacono costretti ni cerclietti 6 aplegano:
Sono stretti, serrati l'on dentro l'altro ;
ofr, Blanc, Versuch, 103 6 nog.
22. opto: « Odisti omnes, qui operan-
tor | 1» Peal. V, 7. - « Cum
satan È modis, idest vi aut fraude
infuria, fraus quasi volpoculme, vis leo-
nia videtor. ras alientasimum ab
sed frana odio dign
Orer. de OF. II, 18, — + Nulla cosa è da
| Mliare, no non per sopravvenimento di
iuris, viola-
B. INGIURIA: nfractio
eee pre
a i » Tom. - FINE: l'os-
senza di qualsiasi malizia è ingiustizia, 0
contra Dio, o contra il prossimo, o contra
ad stesso.
24. CON FRODK: « per forza o por frau-
de;» Cone. IV, 11.
25. rrormgio: tutti gli animali ponno
msaro della forza; ma soltanto |' uomo
pod offendere altrni colla frode, la quale
nasce dall'abuso dell'intelletto, di cui
l'uomo solo è dotato, « Frans magis pro-
prio pertinet nd erecutionem astutim,
secundum quod fit per facta; » Thom.
Aq. Sum. theot, IT, II, 56, 5.
20, surro: sobbo; & Il lat. sibérca.
28. numa: dei tro corchietti, v, 17, =
«Ciod, un solo corchio, come i prece-
denti, divisn in tre spartimenti tutti nd
un solo livello; o i tre spartimenti son
tre aren circolari concentriche, una den-
tro l'altra; o quindi la prima cingo la se-
conda, e la seconda la terza, ch’ è la più
piccola; » Jtas:.- TUTTO: pieno; ocoupato,
20. l'rRSONK: sorte di persone: Dio,
prossimo, sè stesso.
BI. A Dro: « comincia dal più grave
peccato ch'è contro Dio, 0 termina col
meno grave ch'è contro il prossimo: qui
sotto invertirà; » Moss, —- rvuonk: può,
come fene per fe’, occ.; forme dell' uso
toscano.
32. in sf: nella persona. - 1N LOR COSE :
nella roba.
À
100 [cERCHIO SESTO]
INF. x1. 84-50
(BASSO INFERNO]
34 Morte per forza e ferute dogliose
Nel prossimo si dànno, e nel suo avere
Ruine, incendj e tollette dannose:
37 Onde omicide e ciascun che mal fiere,
Guastatori e predon’, tutti tormenta
Lo giron primo per diverse schiere.
40 Puote uomo avere in sé man violenta
E ne’ suoi beni; e però nel secondo
Giron convien che senza pro si penta
43 Qualunque priva sé del vostro mondo,
Biscazza e fonde la sua facultade,
E piange là dove esser dee giocondo.
46 Puossi far forza nella Deitade,
Col cor negando e bestemmiando quella,
E spregiando natura e sua bontade:
49 E però lo minor giron suggella
Del segno suo e Sodoma e Caorsa,
34. ronza: la forza si abusa contro il
prossimo: o nolla porsona, uccidendo e
forendo; o nella roba, guastando, incen-
diando, rubando, predando. - FERUTE:
ferite; da feruto, part. di ferere.
86. TOLLKITK: usuro, « Z'olletta è lo
stesso che tolta, verbale di torre, per torre
ad usura; » Fanf. Al. COLLKTTR; cfr. Z.
F., 096 seg. Betti, Scritti Dant., 17 o seg.
Mazzoni-Toselli, Voci e passi di D. Rol.,
1871, pag. 34. - DANNOSE: rovinose, da
mandare in rovina; cfr. Inf. VI, 53.
37. OMICIDE: plur. ant. di omicida;
oggi omicidi. La lezione omicidi è cor-
rezione di chi non conosceva la lingua
antica. - MAL FIKKK: ferisce por malizia
6 per mente determinata al male, non
por impeto o per difesa.
88. GUABTATORI: colpevoli di ruine ed
incendj. - rrxbon': ladri; cho fanuo
preda della roba altrui usando violenza.
89. SCHIRKK: secondo la qualità della
violenza fatta.
40.1N SÉ: contro sè stesso, uccilendosi.
41. BKNI: dissipandoli.
43. L'IIVA 6k: è suicida.
44. HISCAZZA: (da Bisca = Luogo dove
si tien giuoco pubblico), dissipa gli averi
nelle bische, al ginoco. « Questa voce bi-
scazza Significa nella nostra lingua un
luogo nel quale si ritenga il ginoco, ma
non così pubblicamente come nelle ba-
ratterie; perciò che nello baratterie va u
giuocare chiunclie vuole, senza esservi
conosciuto oe senza aver conoscenza di
quel che vi ginocano ; © nelle dische van-
no a ginocar solamente quei che vi hanno
pratica e conoscenza; > Gelli. Cfr. Maz-
zont-Toselli, Voci e passi, p. 32. - FONDE:
acialacqua. I prodighi del canto VII non
peccarono che di mal dare, VII, 58; que-
sti qui scialacquarono i loro beni nel giuo-
cu, o in sposo smodate e pazzo.
45. LA DOVER: < e così quelle cose che a
ciascuno dovrebbero essere cagiono di
gioia e scala al paradiso, comela vita ele
ricchezzo bene usate, quelle stesse gli
sono cagiono di pianto © di dannazione
usate male; » Fan/. A).: nel mondo, dove
doveva, vivendo bene, stare giocondo ed
allegro (1).
46. NKLLA DkiTaDbK: contro Dio.
47. CoL con: Con intimo deliberato son-
timento. « Dixit insipiens in cordo suo:
Non est Deus; » Psal. XJII,1; LII,1.
48. SPRKGIANDO : commettendo peccati
contro natura, come i Sodomiti. - sua:
della Deitade, cfr. più sotto v. 96, 96.
49. MINOK: il terzo, più stretto dogli
altri due. - sucGELLA : imprime loro il
suo suggello=li dichiara suoi; confr
Apocal. XX, 3.
50. Sopoma: i sodomiti, così detti €
Sodoma, cfr. Genes. XIX. - Caonsa:
nsurai, così detti da Caorsa, lat. Cay
cun, già capoluogo dell'alto Quercy |
[CERCHIO SESTO]
InF. x1. 51-67
[BASSO INFERNO] 101
E chi, spregiando Dio, col cor favella.
62 La frode, ond’ ogni coscienza è morsa
Può l’uomo usare in quei che in lui fida
Ed in quei che fidanza non imborsa.
55 Questo modo di retro par che uccida
Pur lo vinco d'amor che fa natura;
Onde nel cerchio secondo s’annida
58 Ipocrisia, lusinghe e chi affattura,
Falsità, ladroneccio e simonia,
Raffian’, baratti e simile lordura.
si Per l’altro modo quell’amor s’obblia
Che fa natura, e quel ch'è poi aggiunto,
Di che la fede spezial si cria:
04 Onde nel cerchio minore, ov’é il punto
Dell’ universo in su che Dite siede,
Qualunque trade in eterno è consunto. »
07 Ed io: « Maestro, assai chiaro procede
modjo evo nido di usnrai. « Usurarij qui
Caursini dicuntur; » Bamb. « Come l'nom
diced'alonno: egli è Caorsino, così s'in-
lende ch'egli sin usnralo; © Joee, Cfr.
Tovrscaner, II, 301-12.
51. pavILLA : bestemmiando e negando
Dio; ofr. v. 47.
62. ock1: essendone tutti rei; « omnes
declinaverunt, simul inutiles facti sunt;
Non est qui faciat bonum, non est osqne
xi nnum. Sepulerum patens est guttur
torum, linguis suis doloso agebant; + ad
Rom. LIT, 12, 18. « Sono alcune frandi
che non rimordono la coacionza(!), perchè
E
5
che le coscienze più dure
1 0 Cie.: Sua quemque
mazrime verat; o che
rimproveraro i contem-
come | più macchiati
"i
el
i
In quet: Al. 1% COLUI CHE SI FIDA.
IN COMM CH" IN LUI FIDA.
IMBORRA : riceve in sè = non ai fida.
86. questo: I near frodo contro chi
non sì Ada. — vocina: tronohi.
60. run: soltanto l'amor naturale, « Cia-
FE?
58. Luamane : adnlazioni, - cit AFFAT-
‘Tuna: maghi, maliosi.
60. nanattr: baratterie, oppure ba-
rattiori.
Quadro de’ rel
mossi in corrispondenza ni Canti
dove partitamente se ne ragiona
mwoemisia . +... fpocriti ..... Inf. XXIN
Lustrone +... frasirtohferé ..,. » XVII
cmt arvatruna. maghi, meliardi » XX
» XXIX
FALSITÀ +. ... falsatori.... | » XXX
Lapnownocio . . ladrosi. ...,. » XXIV
SIMONIA . simoniact » XIX
RUFFIAN » 0 oss ruffiani, ».. 4» >» XVI
e » XXI
DARATTI . . barattieri . | » XXI
61. ren L'ALTRO: nsando frode contro
chi si fida, si rompe non solo il vincolo
naturale, ma e quello di parentado, e di
amicizia, e della data fede, sco
63. 61 CntaA: si crea, nasce tra gli no-
mini la fidanza specinle.
64. PUNTO: il centro della terra è dol-
l'imiverso; cfr. Conv. 11, 5. Parla natu-
ralmente socondo il siatema 'l'olomaica,
05. IN RI cn: anl qual contro Tnei-
faro ha il suo soggio.
66. TRADE: tradisce; i traditori di ogni
genere,
V. 67-90, Idannati fuori della città
di Dite, Dante interroga il Maestro per-
chè non sian puniti nella città di Dite gli
102 [CERCHIO 8E8TO)
INF. x1. 68-88
(DANNATI)
La tua ragione, ed assai ben distingue
Questo baràtro e il popol oche il possiede.
70 Ma dimmi, quei della palude pingue,
Che mena il vento, e che batte la pioggia
E che s’incontran con sì aspre lingue,
73 Perché non dentro dalla città roggia
Son ei puniti, se Dio gli ha in ira?
E se non gli ha, perché sono a tal foggia? »
76 Ed egli a me: « Perché tanto delira, »
Disse, « lo ingegno tuo da quel che suole?
Ovver la mente dove altrove mira?
79 Non ti rimembra di quelle parole
Con le quai la tua Etica pertratta
Le tre disposizion’ che il ciel non vuole,
82 Incontinenza, malizia e la matta
Bestialitade? e come incontinenza
iracondi, i lussuriosi, i golosi, gli avari od
i prodighi. PPoccarono d'incontinenza, ri-
sponde Virgilio, e l'incontinenza offende
meno lddio e procaccia minor infumia,
che non la malizia e la bestialità. Onde
gli incontinonti sono separati dagli altri
dannati o puniti fuori dolla città di Dite.
68. RAGIONK: ragiomunonto, disconio ;
ofr, v. 33.
69, nakATRO: dal gr. Bdpadcoy, lat.
barathrum ; luogo profondo, oscurissimo
© cavernoso. Qui per l' Inferno. - CHK IL
PossIKDK: che lo ubita, cho lo umpio. Al.
CHK POSSIKDK.
70. PINGUK: fungosa; Inf. VII, 106 eseg.
71. MRNA: lussuriosi.- BATIK: golosi.
72. B' INCONTRAN: uvati è prodighi. -
ABVURE LINGUE: ontoso metro; cfr. Inf.
VIT, 30, 33.
73. nOGGIA: rovento. « Tre colori ab-
blamo: rosso ch'è quello del cinabro;
vermiglio ch’ è del vorzino e della lacca;
roggio ch’ è del furro rovente o che tonde
al coloro della ruggine, il cho manifusta-
mente si vede nelle pore per questo colore
chiamate Rogge; » Borghini. Cfr. Purg.
III, 16. Par. XIV, 87.
75. NON: se Dio non gli ha in ira. - A
TAL: tormentati in tal modo.
76. DKLIRA: devia dalle sue solite nor-
me nel giudicare, esco dalla via e quasi
dal solco diritto dol vero. « Lira, lire si
è il solco il qualo il bifolco arando mette
diritto col snoi buvi, e quinel viene deliro,
deliras, il quale tanto vienoadire, quanto
uscire del solco, e perciò metaphorice par-
lando, in ciascuna cosa uscendo delia di-
rittura e della rugione si può dire e di-
cesi delirare; » Boce.
78. DOVE: 0 6 forse la inonto tua ocett-
pata da altri ponsiori f AL LA MRNTK TUA
ALTROVK; forse correzione di chi si ac-
corse che quel dove altrove non suona ve-
rameonte troppo bene.
80. TUA: d'Aristotele, che facesti tua
studiandola.- riicrua TA: lat. pertractal,
tratta distesamento; clr, Arist. BU. VII,
1 o seg. .
81. bisrosizion’: dello spirito, vis).
82. INCONTINKNZA : la &xeaola di Ari-
stotole, la quale consiste nel godimento
di quei piaceri cho sono diluttevoli per sò
atessi e che hanno per loro fondamento ©
bisogni corporali, come il mangiare, il
bere ed i piaceri carnali, o la propria der
sidorabilità, como la vittoria, la gloria,
le ricchezzo, ecc. Onde Va diatinziono: Vay _
continenza semplice, &TTÀWG EXFAS Lee
ed incontinenza aggiuuta, ui TA, a
Seat. - Malizia: AL vizio: ROMER n
Aristotele, cho conulate ne) ma) usa du
ragione. - MATTA BS Wray ret ba Ss
Ne
pòtne di Aristote=te gor”
soddisfazione di Catani sodo da
sono dilettevoli pen iN NEI ~
antropofagia, pO«= Tan ar QO
[CERCHIO SESTO]
InF, xr. 84-101
[USURA] ; 103
Men Dio offende e men biasimo accatta?
BS Se tu riguardi ben questa sentenza,
E rechiti alla mente chi son quelli
Che su di fuor sostengon penitenza:
88 Tu vedrai ben perché da questi folli
Sien dipartiti, e perché men crucciata
La divina vendetta gli martelli. »
eI « O Sol che sani ogni vista turbata,
Tu mi contenti si, quando tu solvi,
Che, non men che saver, dubbiar m’aggrata. .
di Ancora un poco indietro ti rivolvi, »
Diss’io, « 1A dove di’ che usura offende
La divina bontade, e il groppo svolvi. »
97 « Filosofia, » mi disse, « a chi la intende,
Nota, non pure in una sola parte,
Come natura lo suo corso prende
100 Dal divino intelletto e da sua arte.
E, se tu ben la tua Fisica note,
BA. ACCATTA : si tira addosso. La colpa
dell’ incontinente consiste nel non porro
freno alla coneupisconza, la quale è un
movimento naturale; quindi sono minori
e la colpa è l'infamia.
85. RIGUARDI : cogli oochi dell'intelletto
== vi rifletti sopra.
87. av: nei cerchi smperiori. - DI FUOR:
della città di Dite, - sOsTENGON: sono
tormentati.
80. VENDETTA: così || maggior numero
dei più antorevoli codd. Al. GIUSTIZIA.
Pod stare l'una e l'altra lezione. Cfr.
Moore, Crit., 290 è sog. - GLI MARTELLI,
gli
V. 01-115. Come l'usura offenda la
bontà dicina. Dante dimanda, come mai
l'asura offenda Dio, mentre essa sembra
offendere soltanto il prossimo. « La pro-
ur È punon g solve qui Virgilio e pro-
flalla natora, e ) segui-
tala, potremo dire el prega sia figlivolo di na-
ters; l'arte naturale procede da natora
è lei come sno maestro seguita; sicchè
sa due, cioò da natura 6 arte, con-
sr gras ech'elli
E perchè l'usuriere non seguita
natara, nè arte natorale, ma tiene altra
via partita dn questa: adunque dispregin
elli In natura figlinola di Dio; 6 pone in
altro In spomo sun, cioò nelle cose tom-
porali;» Ott,
01. 0 sor: ofr. Inf. I, 82. « Il Sole na-
turale caccia via le tonebro della notte e
disfà i nnvoli © In cechità della nebbia:
così Virgilio nello Autore dissipò et spen-
se ogni cechità d'ignoranzia; et pertanto
per similitudine chiama Virgilio Solo; »
An. Fior,
02. soLvi: sciogli le mie quistioni ed
i miei dubbi.
09. m'AGGRATA: mi è grato l'essere in
dabbio non meno del sapere, il dubbio
procurandomi il diletto de' tuoi discoral.
DM. TI RIVOLVI: rivolgiti, torna indietro
ancora Un poco,
96. pr’; diel; ofr, v. 48,
06. BVOLVI : sviluppa il nodo = sciogli fl
dubbio. Al. soL,vi; ma così leggendo si
avrebbe dno volte In medesima voce in
rima.
07. LA INTERNE: Al, L'ATTRXDE, cioè,
vi presta nttenzione,
08. wow PURE: In più d'un Inogo,
100, antTr: dalle sue stabilito leggi, che
sono l'arte di Dio.
101. TUA: la Fisica di Aristotelo da to
stodiata; cf. v.80,-xOTE: noti, consideri.
SS i VI LIUUU,
Per sé natura e per la sua seguace
- Dispregia, poi che in altro pon la spono.
2 Ma seguimi oramai, ché il gir mi piace;
Ché i Pesci guizzan su per l’orizzonta
E il Carro tutto sovra il Coro giace,
5 E il balzo via là oltra si dismonta. »
102, non boro: quasi al principio,
. 2: Are imitatur naturam in quan-
m potest,
103, QUELLA: la natura. L' arte segue
natura, come il discepolo sogne il
rostro.
105, QUASI: l'arte è figlia della natura;
testa è figlia di Dio. Quindi per simili-
dine l'arto può dirsi nipote di Dio.
00. DUK: natnra ed arte,
107. rumwcimo: IT, 15; « Tulit ergo
minus Dova hominem, et posuit eum
parmliso voluptatis, ut oporaretur, et
Mm, + LTT, 19: « In sudore
tua tul vescoris pane. » - Conviene
la gonte si nutrisca ed aumenti le
tà per mezzo della natora (agricol-
arte (industria è commercio).
ALTA: che non è quella prescritta
. L'nsuriere non ricava il vitto nè
ma col metallo è coi sndori altrui.
0. rin KR: In lei stoasa. — SKUIACE:
; cfr. Conv. IV, 9. Volendo che il
ro fratti denaro e rubando gli altrui
i, l'anuralo offende la natura, figlia,
te nipote di Iho.
. IN aLTRO: nel denaro è nell'altroi
« Allorché il Sogno dol Pesci
l'orizzonte all'Uriente, l'Oraa
il Carro giace tutto sulla diregh
sto vento; » Della Valla. « I) vi
lat. Cewrna, fu dai Groci dett
vuco cho coll'andar doi secoli
damente trasformata in Mae
spira fra Settentrione e l'oner
verso la sinistra dolla stella
Posci si trovano in perfetta 0)
col Carro, ciod con l'Orsa :
mediante la stella Polare. Et
i Pesci ad oriente, cloè a destr
si trova verno la sinistra della
lare, e quindi verso il punto di
il Coro. Or i Pesci precedono
l'Ariete, non ancora spuntato,
l'equinozio, essendo la notte di
[cCeRCHIO SESTO]
ottavo e nono cerchio, Lo pene infernali
non hanno altro scopo, che di espiare il
male commesso, il quale è retribuito colla
pena che al male corrisponde. Vi si os-
serra lo « , tinè la legge del
taglione (ofr. Inf. XXVIII,142), secondo
la quale tutte le pene sono distribuite,
Ma secondo questa legge non si punisce
che !l male positivo e reale, la cattiva
azione effettivamente commessa, come
anche il gindice in terra deve assoluta-
mente limitarsi alla punizione dei delitti
effettivamente commessi, ma non può
punire nè il pensiero del delitto, nè l'in-
clinazione ad esso, nè il delitto meditato
e forse ato, non però messo in
effetto. Or l'aecidia non consiste nel fare
il male positivo, anzi nel non far nulla,
nà 1) malo nè il bene, nel vivero senza
infamia e senza lodo (Inf. 111, 36), Quindi
ell aecidiosi non potevano occopare un
Lino a nel profondo inferno,
si poniscono ovunque cattive azioni
a commesse, Ondo essi sono
da cercarsi nel vestibolo, non già in qual-
che altro cerchio dell'inferno. Medesima-
mente, ewperbia ed invidia sono senza al-
nun dubblo passioni, inclinazioni, affetti,
appetiti, qualità perverse è peccaminose,
germi di molti delitti e peccati attuali. Ma
® I) delitto, il peccato, non si commette
sinalmente, non vi pud essore un posto
per Il superbo 6 l'invidioso nell'inferno
ove, come dicevamo, non si pu-
Nicono che i peccati o delitti attuali. La
superbia o l'invidia in atto producono
InP. XI.
[UsuRA] 105
tutti quei peccati che sono puniti nel set-
timo, ottavo « nono cerchio. Or le pene
dell'inferno essendo eterne, è chiaro che
corrispondono al delitto attuale. Chi dalla
ana superbia fu trascinato alla violenza o
alla frode, trova naturalmente il ano po-
ato in nno dei gironi del settimo, o in una
delle bolge dell'ottavo cerchio, Chi dalla
ana invidia fn trascinato al tradimento,
ae no andrà giù a stare coi traditori, Lo
afferma il Poeta medesimo là dove dice,
chela cieca cupidigia e la folle ira stimo-
lano l'nomo nella vita temporale, è nel-
l'eterna lo immergono nell'abisso «el
dolore, Inf. XII, 40 è seg. Dante non
poteva por conseguenza creare nel suo
inferno cerchi speciali per i superbi è
gl'invidiosi, ed è fatica gettata il cercarli
qua o là in un Inogo speciale tra quei
tanti che nolle diciassette ragioni dei tro
nltimi cerchi soffrono la pena dei delitti
attuali, che la loro superbia o la loro in-
vidia li trascinò a commettere. Tutte
queste diciassette regioni sono popolate
da superbi ed invidiosi. Vedi però Ban-
TOLI, Lett. ital. VI, I, p. 45-06. FILOMUSI
GURLFI, La struttura morale dell Inf. di
Dante, nel Giorn, Dant.I,941-57, 6420-47
e la letteratura colà citata, In quale si è
poi considerevolmente aumentata in que-
sti ultimi anni; efr. Giorn. Dant. II-V,
passim. Dal canto nostro anche mlesso
non sappiamo modificare la data inter-
pretazione; ma i giovani studiosi non
trascurino di confrontarno altre, in parte
nasni divorgenti.
—— — I I
(Attuffati nella riviera di sangue bollente)
Il. MINOTAURO, LE ROVINE DELL’ INFERNO
IL FLEGETONTE ED I CENTAURI, DIVERSI VIOL
Era lo loco, ove a scender la riva
Venimmo, alpestro, e per quel ch’ivi era:
Tal ch’ogni vista nie sarebbe schiva.
Qual è quella ruina che nel fianco
Di qua da Trento l’Adice percosse
O per tremuoto o per sostegno manco,
Y. 1-30. Zl Minotauro. I due Poeti
10 giunti dove per una ruina si scende
sesto al settimo cerchio. Custode di
sto cerchio è il Minotauro, simbolo
la violenza bestiale. Virgilio nespegue
‘abbia con le savie sane parole, quindi,
erata eziaudio la difticoltà della ro-
osa scesa, arrivano giù alle rive del
getonte.
Quxi.: il Minotauro; v. 11 © seg.
TAL: talmente erto ed aspro, e tal-
ite schifoso © spaventevole por causa
a bestia, v. 19, che vistava a guardia.
RUINA : frana. Secondo gli uni Dante
le al varco apertosi dall’ Adige a tra-
o le falde del monte Pastello nel luo-
setto la Chiusa, e che è chiamato li
ini di Marco; secondo altri alla ro-
di Manta Panna -- - "
Verons et civitatem Triden
mine Aticis, in contrata qua
citar Marcomodo. » Benv.: <
nosa per quam erant desce
tali quslis est illa qua estinr
inter Tridentum ot Veronan
.ripa, antequani fieret iatud p
maximum, orat ita recta et re
dum muri, quod nullua poù
summo ripw usque ad fundu
inferioria; sed post ruinam fu
nano aliqualiter iri. » Cfr. M
tiche di Rovereto e de’ luoghi a
Ven., 1754, p. 74 e seg. Pans!
zione di Verona, Verona, 18
p. 176. GIOVANRLLI, Der cingei
bei dew Dorfe Marco unter |
Slavini di Marco cenaeumnt '
(CERC. 7. GIR. 1)
Inr. x11. 7-26
(MINOTAURO) 107
7 Che da cima del monte, onde si mosse,
Al piano é si la roccia discoscesa,
Ch’alcuna via darebbe a chi su fosse:
10 Cotal di quel burrato era la scesa.
E in su la punta della rotta lacca
L’infamia di Creti era distesa,
13 Che fu concetta nella falsa vacca.
E quando vide noi sé stesso morse,
Sì come quei, cui l’ira dentro fiacca.
16 Lo savio mio invér lui gridò: « Forse
Tu credi che qui sia il duca d’Atene,
Che su nel mondo la morte ti porse?
19 Pàrtiti, bestia, ché questi non viene
Ammaestrato dalla tua sorella,
Ma vassi per veder le vostre pene, »
22 Qual è quel toro che si slaccia in quella
Che ha ricevuto già il colpo mortalo,
Che gir non sa, ma qua e là saltella:
2% Vid’io lo Minotauro far cotale.
E quegli accorto gridò: « Corri al varco;
7. st Moss: quella ruina.
8. AL PIANO: sino al piano. — DISCORCIK-
ea: di nrana discesa, perchè rotta ed in-
gombra dalle sue rovine.
9. ALCUNA: una qualche via, benchè
per discendere. Al. nessuna.
Ma aleuno non significa mal nessuno, ©
ss | due Poeti discesero per l'appunto lì,
ona rin qualunque c'era. Cfr. Dionist,
Amada. II, 11. Blandim. fun., 114 6 sog.
Muaxc, Versuch, 107 e sog. Encicl. 57
LI, FUNTA: orlo, = LACCA: fossa, ca-
vith; ofr. Inf. VII, 16, Prrg. VII, 71.
12. INFAMTA : reni onstelo dol
violenti, perché, como questi,
adi carne umana. ~ Ciueri : l'iso-
15. FiACCA: vinco o strazia, togliondo
"tao della ragiono.
16. LO BAVIO: così i più; alcuni codd.
loggono invece: LO SAVIO MIO VIRGILIO,
Cfr, Moon, Crit., 800 © seg. Il Betti:
«Con questa variante si toglie quell'in-
vér lwi, dotto di una bestia. »
17. Duca: Teseo, figlio di Egeo re di
Atone, che neciso il Minotanro,
20. BORMLLA: Arianna, figlia di Minos,
ro di Crotn e di Pasife, amante di Teseo,
al quale insegnò il modo da tenero per
necidero il Minotanro.
21. vassi: ci va. Al views. Cfr. Z.
F.,73 © seg.- PER VEDER: © non per far
danno n chicchessin, come Teseo a’ intro-
fiusso nel Laberinto,
22. TORO: ottimo parngono dol figlio
col padre. Virg, Aen.11,22%0s0g.: «(Qua
lia mngitua, fugit cum snucius aram ‘Pan-
rusetincertam excuesit cervice securim.s
- IN QUELLA : In quell'ora, in quel mo-
mento si slaccia, ciod rompo il sno laccio.
26. COTALE: il somiglianto.
26. QUEGLI: Virgilio. - Acconto: del
momento opportuno per passare il varco,
cioè il passo dinnzi ocenpato dal Mino-
tauro, il quale, saltellando qua o là, non
108 ([CERC. 7. GIR. 1]
INP. XII. 27-42
[ROVINE INFERNAL1]
Mentre ch'è in furia è buon che tu ti cale. »
28 Così prendemmo via giù per lo scarco
Di quelle pietre, che spesso moviensi
Sotto i miei piedi per lo nuovo carco.
31 Io gia pensando. E quei disse: « Tu pensi
Forse a questa rovina, che è guardata
Da quell’ira bestial, ch'io ora spensi.
34 Or vo’ che sappi, che l’altra fiata .
Ch’io discesi quaggiù nel basso inferno,
Questa roccia non era ancor cascata.
37 Ma certo poco pria, se ben discerno,
Che venisse Colui che la gran preda
Levò a Dite del cerchio superno,
40 Da tutte parti l’alta valle feda
Tremò si, ch’io pensai che |’ universo
Sentisse amor, per lo quale è chi creda
. attendeva in questo istante al suo aftizlo
di guardare quol passo. - CORRI: affret-
tati a passare.
27. TI CALK: ti cali, disconda.
28. KCAKCO: sesrico, vd amnasso di
pietre, < le quali erano dalla sommità di
quello scoglio cadute, como caggiono le
cose che talvoltu si scaricano; » Boce.
30. CALCO: carico, peso insolito, cioò
di persona viva, «non essendo solite scen-
dere in tal luogo, se non ombro che non
pesano; » Gelli.
V. 31-45. Le rovine infernali. Dan-
te procede oltre assorto in pensieri. Tu
pensi, gli dico Virgilio, a questa rovina.
La non o' ora ancora l' altra volta che di-
scesi quagginso (cir. Inf. 1X, 22 e seg.).
Ma, se ben mi ricorda, poco prima che
venisse il Possente (Cristo) a liberare
tante anime dal limbo, tutto quanto l' in-
ferno tremò in modo, che mi venne in
mente I’ opiniono di Empedocle, il quale
ni avvisava cho il mondo fosso formato
dalla discordia degli atomi, la cui con-
cordia tirerebbe dietro a sè la confusione
del tutto. Quell' insolito terremoto (cfr.
8. Matt. XXVII, 5!) fu causa delle rovi-
ne infernali. 11 Gelli: «lo vi addussi già,
per provarvi cho la selva, nella quale il
nostro Poeta si ritrovò essere smarrito
Nel mezzo delcammin di nostra vita, non
fu altro che un certo cominciare ad aver
qualche dubbio de gli articoli della reli-
gion cristiana, intra le altre ragioni que-
ata: che Virgilio, il quale era mandato da
Beatrice (intesa da lui per la Teologia) a
far talooffizio, pigliavaadarte, ogni volta
ch’ ei putova, occasione d’ accertarlo di
qualcuno d'essi articoli. K no vedete lo
osompio purticolamuonto in questo luogo;
ove ei pigliu occasione, da la rovina di
questa scesa, di mostrar cho ella cadde
quando ci tremò la terra nella morte di
Cristo, e ch'egli scese dopo quella all’in-
ferno, o cavò i Santi Padri dal Limbo. »
33. 1A BEBTIAL: bestia irosa, che è il Mi-
notauro. - 8PPKN8I: resi impotente a nuo-
cerci, facendolo diventar matto di rabbia.
87. LOCO PirIA: pochi momenti avanti.
11 torremoto avvenne allo apirare del Ro-
dentoro, il qualo discese agl’ inferi subito
dopo Ja sua morte. - BK BEN: 80 mi ricordo
bene. Al. se non piglio errore. Come pa-
zano Virgilio nou è troppo sicuro del
fatto suo.
88. CoLui: Cristo; cfr. Inf. IV, 53
© seg. - reapa: di animo tratte dal
limbo.
40. ALTA: profonda - Fxva: fvutida,
sozza, schifosa.
41. TREMO: S. Matt. XXVIT, 61: «Lam.
terra tremò, e le pictre si schiantarono , am
anche nell'inferno, suppono il Poeta, ci
Inf. XXI, 112.
42. SENTIS8E AMOR: che gli eleme
tornassero in concordia. - È CHI CHE
lat. est qui credat. Dante conosceva —
babilmento l'opinione di Empedocle en
opere di Aristotele, il quale la INCI
come falga.
(ceRc. 7. GIR. 1)
INF. x11. 43-58
[CENTAURI] 109
43 Più volte il mondo in caos converso.
EA in quel punto questa vecchia roccia
Qui ed altrove tal fece riverso.
46 Ma ficca gli occhi a valle; ché s'approccia
La riviera del sangue, in la qual bolle
Qual che per violenza in altrui noccia. »
49 Oh cieca cupidigia, oh ira folle,
Che si ci sproni nella vita corta,
E nell’ eterna poi si mal c'immolle!
62 Io vidi un'ampia fossa in arco torta,
Come quella che tutto il piano abbraccia
Secondo ch’ avea detto la mia scorta;
ss E tra il piè della ripa ed essa, in traccia
Correan Centauri armati di saette,
Come solean nel mondo andare a caccia.
68 Vedendoci calar ciascun ristette,
43. converso: ritornato in confusione.
45. ALTROVE: cfr. Inf. V, 34. I più in-
tendono del ponti che coprono la bolgia
degli ipocriti, cfr. Inf. XXI, 106 6 seg.
Ma di questa rovina Virgilio non ne sn
aneor nulla, onde si Inscia gabbare dai
demoni ; cfr. Inf. XXIII, 196 e seg. L'al-
trove è donque da intendorsi in generale,
semrn apsciale ad un dato luogo
dell'inferno. — FRCK KIVERSO : sì rovesciò
în tal modo.
V, 46-90, Il Flegetonte ed i Centan-
rl. Esco il te, riviera di sangue
bollente, in eni sono attoffati qual più
qual meno i violenti contro Il prossimo,
secondo la sentenza: « Fosti assetato di
ro #9 bevilo!» « Allegoricamente s'in-
di quelli del mondo che continna-
mente bollono nel sangue per accendi.
mento d'ira; » Buti. - Intorno alla riviera
sorrono Centauri armati di anette, © loro
capltano è Chirone. Sacttano chinoqne
Lt eg di penn si sporge
del bollente sangue più che ln sun
colpa non gli permetta. Virgilio chiede
= Chirone, il quale si è già accorto che
Duilia ssa vivo, che gli dia uno dei
eno! Contanri, per mostrare ai doo Pooti
na Dante an In groppa.
A regi guida il Contanro
e
guarda laggiù — s'arrRoo-
i navata il Flogotonto, terzo fame
ranle, in cul sono nttuffati i violenti
sitibondi di sangue nmano; Inf. XIV,
130 e seg.
48, QUAL: chiunque nuoce al prossimo
con violenza,
40. curIDIGIA : la onpidigia e l'ira sono
le passion! motrici della violenza. - on
IRA: Al, è con loro Bamb.: nina, Al. E
tA E FOLLE. Quest'ultima lezione vuol
sasoro scartata; l'ira è ona delle princi-
pali fonti della violenza, ed è veramente
Solle, como la enpidigin A efeca,
61. c'immonir: ci immolli sì male,
tanto dolorosamente nella riviera del
sangue che bolle,
52. Fossa: la riviera del sangue, v. 47,
che circonda il settimo cerchio. — IN ARCO
TORTA: circolare.
54, peTTo: Inf. XI, 28 e 391 Oppure
XII, 46-487 O ambedue?
66, RSSA: fossa. — IN TRACCIA: in fila,
l'uno dopo l'altro, di modo che l'uno se-
gniva lo tracce dell'altro, e ciò per essere
il sentiero nsani stretto. Al. in cerca di
anime da sacttare; interpretazione von-
fortata dai v. 73 è seg.
66. centauui: onti mitologici, dalla
vita senza legge, che non conoscono al-
tro diritto se non dolla forza, Simboli
dolla violonza ed appunto por questo tor-
montatori del violonti, Il vizio ossando
nell'inferno dantesce il suo proprio ca-
atigo. Cir. Ovid, Met. XII, 210 e seg.
58. YRDENDOCI CALAN: giù perlo scarco
delle pietre rotte; v. 28 è seg. Cir. Virg.
Aen. VI, 084 © sog.
- cv, vuissu: « Wuegh è Nosso,
(: ‘he mori per la bella Dojanira,
E fe’ di sé la vendetta egli stesso.
70 E quel di mezzo, che al petto si mira,
È il gran Chirone, il qual nudri Achille;
Quell’ altro è Folo che fu si pien d’ ira.
13 D’ intorno al fosso vanno a mille a mille,
Saettando quale anima si svelle
Del sangue più che sua colpa sortille. »
6 Noi ci appressammo a quelle fiere snelle.
69. Tux: Nesso, Chirone e Folo, v. 67
seguenti.
60. ASTICCIUOLE: freoce. - RLETTE ; scel-
| prima di staccarsi da’ loro compagni.
Tendunt vervis melioribus arcus; Cura
it lectis pharetras implore sagittis; Lu-
n. Phare. VII, 141.
61. L'un: Nusso, v. 67. - MAUTIKO: a
al genere di pena, e tra quali pecca-
“i.
33. COSTINCI: da costì e il suffisso ci;
costì, dal luogo dove siete, sonza far
| passo, altrimenti tiro l'arco, vi saet-
cfr. Purg. 1X, 85.
6. COSTÀ: giunti che vi saremo vicini.
irone, capo dei Centauri, fu, secondo
mitologia, di essi tutti il più giusto,
‘e Virgilio vuol parlare pure a lai, non
» come al capo, ma 6 come al men fu-
0 della maledetta brigata.
}. MAL: per te; alcuni pochi codd.
ru, lezione inattendibile; cfr. Moo-
Urit., 902. - TOBTA: precipitosu. Vollo
re Deianira n: rasoi 3: 1
69. EGLI STESSO : benchè v
te. Lasciò la sua veste im
Dejanira, dandole ad intend
avesse la virti di far innan
vestisse. Dejanira gli credet:
conservarsi o rig
Kroule, gliola mise indosso, «
furiò è mori.
70. SI Mika: assorto in |
sendosi accorto che Dante è
v. 80 © seg.
71. Ciuzonz: Xelowv, Gg
no e della ninfa Filira. Secor
logia fu famose medico, indo
logo e masico; fu pure aio, ©
Achille, Esculapio, Ercole, eo
IX, 87.
72. FoLo: figilo d' Iezione:
di Piritoo con Ippodainia, ri
vino, volle far violeaza alla s
altre donne dei Lapiti.- «Ia ]
rata la cupidigia vivienta; in
- Junto furore: » Foa
(CERC. 7. GIR. 1]
INF. XII. 77-90
Chiron prese uno strale, e con la cocca
Fece la barba indietro alle mascelle.
70 Quando s’ ebbe scoperta la gran bocca
Disse ai compagni: « Siete voi accorti
Che quel di retro move ciò ch'ei tocca ?
a2 Cosi non soglion fare i piò de’ morti. »
E il mio buon duca, che già gli era al petto,
Ove le due nature son consorti,
85 Rispose: « Ben è vivo, e sì soletto
Mostrargli mi convien la valle buja,
Necessità il c' induce e non diletto,
88 Tal si parti da cantare alleluja
Che ne commise quest’ uficio nuovo;
Non è ladron, né io anima fuja.
Tico in giù. - SNELLE: veloci; ne’ piedi è
nelle gambe avevano forma di cavallo.
77. cocoa: tacca o piccolo solco nella
parte posteriore della froccin.
78. Fecr: si pettinò la barba Inilietro
verso le mascelle per faro la gran bocca
Ubera e pariaro in modo da essere inteso.
Sl. quer: Dante. — MOVE: le pietre;
efr. 7. 29, 30.
RI. AL PETTO: non gli arrivava più su,
tanto Chirone era grande. - « Idest qui
jam pervenerat al pectus equi, ita quod
clm capiteattingebat pectosegni;» Benv.
= «Due petti sono nel centauro, l'uno del-
Fooma è l'altro del cavallo; » Cast.
Bi. pur: dell'nomo e del cavallo. - SON
CONSORTI : ai conginngono.
&. vivo: « quasi dicat: vere vivit et
beate, quia nalli qumrit nocero, immo
omuibns ; non est vir sangui-
num sicut vos faistis, ot ecce quare ve-
nimus: non ad martirium, sicut Nessus
petebat panlo ante, imo ut vident ponas
aliorum; » Beno.
#7. seceserrA: di fato e della sun an-
Inte. — n c'IxNDUCR: lo conduce qui. Al.
MRCRSSITÀ 'L CONDUCE. — DILETTO: di
wane curiosità.
@8. rau: Beatrice. - DA CANTARE: dal
Paradiso, dove si cantano le lodi del Si-
#9, xt: n noi duo, Al. mi; ofr, Inf. II,
67 e seg. — UFICIO : di andare per li regni
della worta gente; oppure, leggeniln mi,
di guidare nn per questi regni. -
trni avere, quali sono i dannati di questo
girone. - risa: i più spiegano ladra, da
Suro, mntala In r in i, come pajo per pa-
ro, danajo por danaro, eco. Al. fuggita,
fuggitivn; Al. nascosta, celata ; cfr. Diez,
Ftym. vort. 11%, p. 82. Ott. « Anima di
ladrone. » - Bocce, « Quasi dica, nè io al-
tresì son ladrone, perciocchd noi quelle
femmine le quali son fare, noi chiamiam
fuie. » — Henv.: « quasi dicat: noo ipso est
violentoa, nec ogo frandolentus, Latro
onim eat quiviolontor ot patentor apoliat,
fur vero framlolentor; ideo non sumuna
puniendi aliqua pena in civitate ista, in
qua punitur violentia et frandulentia, »
- Buti: « Questo si pone impropriamente
perloladrone.»- Serrav.; « Fuia, idest fa-
riosa; vel fora, idestanimaforia. »-Barg.:
« Che per ladroneccio, o furto sia dogna
di rimanere in questo cerchio, o dismon-
tar più giù a pena alcuna, » - Land.:
« Faia, cioè fara. » - Tal.: « Et ego non
sum fur,» - Vell.: « Anima fura. » - Gelli ;
«Fara 6 ladra, espone il Landino, e il
Glambollari, nera e macchiata, onde ve-
missi in quel luogo per esservi punita, »
- Dan.; « Fura 6 ladra, » - Cast.: « La-
drone è chi ruba per forza ed apertamen-
te, e conviene che Fuia significhi questo
stesso; altramente non sarebbe da punire
sotto ln guardia de’ Contanri. F si stima
che ala roco così falta di Fura, o perciò
significhi la rubatrice. » - Gli antichi non
danno veruna spiegazione, forse perchè
la voce non sembrava loro offrire alcuna
difficoltà. Secondo il Berti fio valo ce-
lato, « sicchè Dante vuol dire che Virgi-
[CENTAURI] 111
2.22) > servi e SUOLI V INTOpPpa. »
00 Noi ci movemmo con la scorta fida
Lungo la proda del bollor vermiglio,
Ove i bolliti faceano alte strida.
8 Io vidi gente sotto infino al ciglio;
E il gran Centauro disse: « Ei son tiranni
Che diér nel sangue e nell’aver di piglio.
6 Quivi si piangon li spietati danni,
Quivi è Alessandro, o Dionisio fero
non era un uomo, che andasse nasco-
nente celando sò. » Ma è possibile nel-
ltro mondo, come In questo, di andare
scosamente celando sè? Virgiliodoveva
rerlo.
1. VIRTÙ : divina.
3. TUOI: Centauri.- A PRUOVO: ap-
sso, a lato; forse dal lat. ad prope.
4. 8! GUADA: il fume del sangue bol-
2.
3. PER L'ARR: dunque gli spiriti, udita
sntenza di Minosse, non vengono tra-
ati da Flegiàa, nè portati da Gerione.
orta: mamimolla; sul dostro lato;
Inf. XVII, 81.
. TORNA: indietro. Erano venuti in-
ro al due Poeti, dunque bisognava
are indietro. - sì: come Virgilio ha
>.
| CANSAR: diacostare. - SCHIKRA : di
auri, cfr. v. 73. - v'INTOrva: v' in-
‘a. Al.s' inTorra: s'imbatte in voi.
Inf. XXV, 2. Z. F., Beneg.
100-189. Dirersi violenti contro
‘osstmo, Guidati da Nesso i dae
anantinita—n ra.
sono puniti Attila, Pirro, &
droni Rinier da Corneto e Ri
Passato il guado Nesso ritor:
100. FiDa: sicura. Buti: «.
per lo contrario, che non fa;
nira » (f). Barg.: Con Neseo
del quale eravamo raccomand
vece di NOI CI MOVEMMO 4
hanno OR CI MOVEMMO, les.
Z., F., 76.
104. GRAN: Nesso; oft. v. 71
106. srikraTtI: crudeli. - Da)
altrui.
107. ALRSSANDRO: il Grand
Ferda? I più intendono del 1]
veramente meritevole di sta:
lenti e tiranni; cfr. Lue. Phar
seg. Benv. moetra a lungo (I
che Alessandro Magno fosse vic
Denm, in se, in proximam, e!
Atlus quam in extrancos. »
Dante ne paria favorevolment:
De Mon. II, 9. Conv. IV, lls t
è di molta Importanza. Altri |
di Alessandro di Faràa aha |
[CERC. 7. GIR. 1]
InF. x11. 108-114
[omicip1] 118
Che fe’ Cicilia aver dolorosi anni.
109 E quella fronte che ha il pel cosi nero
Azzolino. E quell’ altro che è biondo
È Obizzo da Esti, il qual per vero
112 Fu spento dal figliastro su nel mondo. »
Allor mi volsi al poeta; e quei disse:
« Questi ti sia or primo, ed io secondo. »
PBamb.: «iste fuit Alexander rex Jeru-
salem et tirannos erudelissimus, de quo
dicitar quod octingentos viros cum uxo-
ribus et filiis ona vice nocari fecit. » -
An. Sel.:«Qui fa menzione d'Alessandro,
e non mi distendo a dire chi e' fn, e come
conquistò tutto il mondo. » — Jac. Dant.:
« Il grande Allesandro di Mancedonia il
qualle tiranegiando signoreggio lo dne
parti del mondo cioé Asia è Africha, »
- Lan.: «Questo Alessandro fn uno ti-
ranno Îl quale vinse tutto il mondo, fe'
molte crodelitadi, com' è scritto nellasua
vita; fra le quali n'è seritta una che aof-
ferse a far morire di quelli di Jerusalem
—— tratto LXXX milia uomini colle
» (©). — Boece. « Non dice l'an-
per inmees conciossiacosachdé nssai tiranni
stati sieno, i quali questo nome hanno
avuto; e perocchò nel maggiore si con
tutti imali fatti da’ tulperi, credo
che sia da intendere, che ogli abbia vo-
Jato dire di Alessandro re di Macedonia. »
= In Ororio, da lai stodiato, Dante leg-
sad 16: «Indo profecturns aid per-
sicom bellum, amnes cognatos no proxi-
mos anos interfecit. »+ E III, 18: « Non
minor eins in suos crndelitas, quam in
hostem, rabies fuit. » E inoltre III, 18:
+ Humani sanguinia onexsatorabilia, sive
hestinm sive etiam sociorum, recentem
sitiebat crnorem. » E di
Seritti Dant., 102 e seg. Buanc, Versuch,
1106 seg. - Dioxisio : tiranno di Siracusa,
il soniore, conaldernto da-
gl antichi qual tipo det tiranni innmant
© ermfoll; confr. Diod. Sie. XIV, XV,
74. Val, Mow. 1,1; 1V,7; 0X, 19. Plut.
Dion., 5. Ole. Tue, V, 21 e seg. Del resto
giovine fu assai crudele;
cfr. Diod. Siewl. XV, 16. Iuatin. XX, 5.
108, Cremaa: Sicilia; cfc. Val. Mas.
IX, 16, Stat, Achil. I, 80.
8, — Dip. Comm., 3% ediz.
iI
109. FLONTR: sola visibile, essendo co-
storo immersi infino al ciglio, v.108.- 1,
ree: il erine.
110. Azzouno: Ezzelino da Romano,
conte di Onara, morto in prigione nel
1250, « Fa il più orndele e ridottato ti-
ranno che mai fosse fra' cristiani, e si-
EuoreggiA per ana forza è tirannin....
grande tempo tutta In Marca di Trevigi
6 la città di Padova e gran parte di Lom-
bardin; e' cittadini di Padova molta gran
parte consumò, e acceconne, pur de’ mi-
gliori è de’ più nobili in grande quantità,
e togliendo le loro possessioni, e mando-
gli mendicanilo per lo mondo, e molti al-
tri per diversi martirii e tormenti fece
morire, e a nn'ora nodicimila Padovani
fece ardero, sco. » Vill. VI, 72.
111. Omzzo: Opizzone II da Este,
marchese di Ferrara o della Marca d'An-
cona, morto nel 1292. - rer VERO: sin
d'allora se no dubitava, nd l'autorità di
Tanto bastava ml nccortare il fatto.
112, mentastro : figlio annturato, Si
raccontava cho Azzo VIII, figlio di Obiz-
no, avesse soffocato il proprio padre con
un piumaccio. Cfr. Ricobald, ferr. in Mu-
ratori, er. Ital, Seript, 1X, 253. Masetti,
in Omaggio a Dante, Roma, 1865, p. 620
o sog. De Leva in Dante e Padova, Pado-
va, 1865, p. 237 e seg. Sardi, Mist, Ferr.,
pag. 148, Det Luxoo, Dante ne’ tempi di
Dante, Bologna, 1888, p. 386-96, 407 o ang.
113. Mt vota: meravigliato, chiedendo
collo sguardo o la conferma, o la confu-
tazione di quanto aveva or ora udito,
114. rriMO: Nesso sapendone in pro-
posite più di me. « Dicit Virgilina: Iste
centanrus precedat te et ago soquar te; »
Rambgl,- «Taaaavano nndaro Nosso in-
nanzi, che ora primo n Dante, e Virgilio
vonin diristo n Dante, al eh'ora Virgilio
n Dante socondo; » Lan, - Vuole in que-
ato affermar Virgilio, che al Centauro sin
da darfedea quelche dice ;» Boce.- « Vult
breviter dicere: nono centaurus priece-
dat, et tn ates in medio, et ego stabo
post te, ita quod ero tibi secundua, et
114 ([CBRC. 7. GIR. 1]
Inv. xu. 115-127
[OMICIDI]
116 Poco più oltre il Centauro s’ affisse
Sovra una gente che infino alla gola
Parea che di quel bulicame uscisse.
118 Mostrocci un’ ombra dall'un canto sola,
Dicendo: « Colui fesse in grembo a Dio
Lo cor che in sul Tamigi ancor si cola. »
121 Poi vidi gente che di fuor del rio
Tenea la testa ed ancor tutto il casso;
E di costoro assai riconobb’ io.
124 Così a più a più si facea basso
Quel sangue, sì che cocea pur li piedi;
E quivi fu del fosso il nostro passo.
127 « Si come tu da questa parte vedi
ille orit tibi primus; » Benv. - Si tratta
di uu dubbio di Dante, ed il modo d'an-
dare qui non c'entra. Bene l'An. Fior.:
Nesso.... avova detto all'Auttore assai
cose dell’ agjme di coloro che erano in
quel saugue. Onde l'Auttore, dubitando
che Nesso nou «dicesse la verità, si volue
a Virgilio per dimandarlo et chiariral;
onde Virgilio gli rispone: Questi ti fia
primo, ciò è Nesso ti dica testé ogni cosa
innanzi a me, et io secondo, ciò è poi te lo
conterò jo; quasi vaglia dire: Non dubi-
tare, che ciò che Nesso t'ha detto, è la
verità. »
115. s'AFFISSE : ai formò.
116. GENTE: omicidi, meno rei dei ti-
rauni, quindi meno fitti nel bulicame,
cioè nel fiume di sangue bollente.
118. soLA: per l'enormità del suo mi-
sfatto.
119. rkssx: da fendere, trafiase. — IN
GREMHO: nel templo, è nell'ora del sacri-
ficio solenne.
120. SUL ‘TAMIGI : a Londra. - 51 COLA:
si vonera. « Auchura onorato si chura; »
Iac. Dant.- « Colitur; » Benv.- « Si cola,
cioè si onora, e viene da colo, culis ; v pur-
tanto dice che egli s'onora, inquanto con
sangue agli occhi dei connazionali, cioè
tium viva in casi la memoria del delitto e
il desiderio della vendetta, » è del tutto
inattendibile. - Il fatto, a cui si allude,
avvenuto nel 1272, è così raccontato dal
Vill. VII, 39; « Essendo Arrigo, fratello
d'Adoardo tigliuolo del re Riociardo d'In-
ghilterra iu una chicsa (a Viterbo) alla
messa, colebrandosi in quell’ ora il aacri-
fizio del corpo di Criato, Guido conte di
Mouforte, il quale era per lo re Carlo vi-
cario in ‘Toscana, non guardando reve-
renza di Dio, né del re Carlo suo signore,
uccise di sua mano con uno atocco il
detto Arrigo per vendetta del conte Si-
mone di Monforte suo padre, morto a sua
colpa per lo re d' Inghilterra.... Adoar-
do fece porre il cuore del detto suo fra-
tello in una coppa d'oro in su una colon-
na in capo dol punto di Londra sopra if
Hume Tamigi, ecc. » Cfr. Ptol. Luc. in
Murat. Rer. Ital. Script. XI, 1164, 116
© seg.
122. cassu: busto, petto.
124. a rIÙ: di più in più. « Quanta
121. GENTE: | rei 6 complici di fori x
di estorsioni.
“
roverunza e compassiono, aveudo rigaar-
do alla benignita e alla virtà di colui di
cui fa, ò da tutti quelli che per quella
parte passano riguardato; » Bocce. - « Si
col, ciod si onvra; imperò che tutti l'In-
ghilesi che vi passano fanuo onore a quella
atatua, et è vocabolo grammaticale e vie-
ne da colo, colig;» Buti. - Così intesero
tutti gli antichi. DI cola da colere, usato
ancho da’ provenzali, cfr.NANNUC., Verbi,
837. L'interpretazione: « Versa ancora il
si andava in là, più si trovava m
l'altezza del sangue nella fossa, =.
si stavano fitti i peccatori; » Bua. ——
128. COCKA : lezione della gran n=<
ranza dci codd. Parecchi hanno —_
chesi potrebbe accettaro, sel'au ==="
codd. non fosse per l'altra; ia
Orit., 302 e seg. — PUR: sotmenta, SS
126. Pas80: valico. < È queas
go dove noi valicammo \ to =,
127. DA QUESTA: dalla Parte Nan
mo venuti.
i/
CoExe. 7. GIR. 1)
INF. x11. 128-139
(omicipi] 115
Lo bulicame che sempre si scema, »
Disse il Centauro, « voglio che tu credi
130 Che da quest'altra a più a più giù prema
Lo fondo suo, infin ch’ ei si raggiunge
Ove la tirannia convien che gema.
133 La divina giustizia di qua punge
Quell’Attila che fu flagello in terra,
E Pirro, e Sesto; ed in eterno munge
136 Le lacrime che col bollor disserra
A Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo,
Che fecero alle strade tanta guerra. »
139 Poi si rivolse, e ripassossi il gunzzo.
129. cueDI : creda; forma naata sovente
dagli antichi.
130. FREMA: vada sempro più orescon-
134. AmtttA : Il famono ro dogli Unni,
dette Magellum Dei, rognò dall'anno 433
detl'ira volgare nino nl 463. Ufr. KLkmm,
Attila wach der Geschichte, Sage und Le-
Lips,, 1827. HAAG, Geschichte At-
», Colle, 1802. Tmienmr, Histoire d'At-
. qa edlin. Par., 1874,
35. Pirro : re d'Mpiro n. 319, m, 272
contro i Romani 6 con-
; fa terribile non solo n' anol
mn agli stessi suoi endditi. Cfr.
mo, Rom und Koenig Pyrrhus,
1870. Al. intendo del figlinolo di
di Deidamia, sol quale ofr.
620 è sog. Encicl., 1528.
o di Pompeo il Grande, fa-
i ofr. Ime, Phars. VI, 113
al, Sesto Tarquinio, figlio
i
I
age
ra
i
Il
i
La
|
di Tarquinio ultimo ro di Roma. -MUNGR:
fu da Corneto, è l'altro Rinieri Pazzo fu
da Firenze, grandi robatori di Strade; »
An. Set. - « Per li quali le strade gran
tonpo di Toschana fnrono chorse e ru-
bate; » Jar. Dant.- «Questi doo Ranieri
furon grandi robbatori, l'uno fo da Firen-
zo, l'altro del contado di Firenze; » Lan.
« Rinieri da Corneto molto famoso ruba-
tore fu nel ano tempo, 6 molta gente som-
morse, o nocise,.., Riniorl Pazzo fu uno
cenvalioro de’ Pazzi di Vallarno, del con-
tudo tra Firenze 6 Arezzo, antichi nomi-
ni; questi fn a rubaro li prolati dolla
Chissa di Roma por comandamento di
Federigo II imperndore delli Romani,
circa gli anni del Signore MOCXXVIII;
per la qual cosa elli, e li suoi discendenti
furon sottoposti n perpetna scomunica-
zione, e contro a loro fur fatte leggi mu-
nicipali in Firenze, le quali li privarono
în porpotoo «d'ogni beneficio; » Ott, -
« Raynerina Pazzna do Valilarno, ot ille
do Corneto, magni nsonrani st dorobato-
res stratarum ; » Petr. Dant. - « Maximi
predones; » Caer. - « Messer Rinieri da
Corneto, nomo crudeliasimo e di pessi-
ma condizione, e Indrone famosissimo
ne’ suoi di, gran parte della Marittima
di Roma tenendo con le ave perverse
opernzioni e ruberie in tremore.... Mes-
ser Rinleri de' Pazzi di Valdarno, vomo
similmente pessimo e iniquo, e notissi-
mo predone e malandrino; » Boce.
139. ror: detto questo Nesso voltà in-
dietro, ripassando la riviera la ope ri
guada, v. 94. - GuAZZO: dal latino va-
dum; guado, quel punto del fiume, il
quale poteva esser passato. Confr. Inf.
XXXII, 72.
116 [CERC. 7. GIR, 2
Inr. xuit. 1-6
[SELVA]
CANTO DECIMOTERZO
CERCHIO SETTIMO
GIRONE S&S
LA DOL
I SUICIDI 1]
IACOPO DA §
Non era a
ri CONTRO SE
ELLE VIGNE
LANO DA SIENA,
IRENTINO SUICIDA
Ivato,
Quando noi ci mettemino per un bosco
Che da nessun sentiero era segnato.
4 Non frondi verdi, ma di color fosco;
Non rami schietti, ma nodosi e involti;
Non pomi v’eran, ma stecchi con tosco.
V. 1-21. La dolorosa selva. Fatti po-
chi passi al di JA del fiume di sangue, on-
trano iu una brutta e deserta selva, nella
quale non vi è cho verdeggi e dove lu
brutte Arpie fanno il loro nido Virgilio
dico a Dante chu sono nel secondo gi-
rone, dove vedrà cose che non credereb-
be, se non lo vedesse co’ proprj occhi.
Cfr. G. FkberzonI, Il Canto XIII del-
l’Inf. commentato; Bologna, 1806.
1. bi LÀ: del guado, Inf. XIT, 139.
J. NESSUN: non vi ora mai vonuto por-
sona viva, di cui si potessero vedoro le
vestigie. « Non pare che fosse molto fre-
quentato da viandanti, sicchè non era nd
strada, nè sentierv, né carreggiata, nd
battuta di cavalli; » Lan. - « E per que-
sto si può comprendere, il bosco dovere
essere stato salvatico, e per conseguente
orribile; poichò alcuna gente non anda-
Va per e880; perocchò so alcuni per esso
andati fossero, era di necessità il bosco
avere alcun sentiero ; » Bocc. - « Nou ha-
bebat aliquam certain viam, sed opportet
ire ad furtunam; » Benv. - « Nou avea al-
cun seguo di via; » Buti. - «In quo ne-
moro nullam erat signum alicuius semito,
sive vio; » Serrav. - « Da nessuua via; >
Land. - « Nou uvuva segno alcuno di
via, o di sentioro; » Harg. - « No etra-
da, nd sontioro alcuno si scorgeva in vs-
80; >» Dan.
4. NON FRONDI: non si vedevano quivi
Srondi verdi, come negli altri boschi, ma
soltanto frondi di color fosco, ciod nero;
i rami della selva non erano distesi e levi,
diritti o lisci (sclietti), ma pieni di nodi ©
intrecciati (nodost e involti); nun vi si vo-
devano frutta (pomi), ma spine velenose
(stecchi con tosco)in luogo di frutta. È una
selva selvaggia. Bruttissimo, orrido, spa-
ventevole il luogo di dimora di coloro,
ai quali questo mondo non fu bello ab-
bastanza, avondolo abbandonato arbitra-
riamente, prima che Iddio dicesse loro:
« Ritornate, o figliuoli degli nomini. »
6. 8CHIKTTI; non diritti e lisci, ma pieni
di nodi e intrecciati.
6. L'OMI:non vi crano frutti, ma in loro
veco spine velonose.
[cERc. 7. GIR. 2)
Inr. xut. 7-21
[SELVA] 117
7 Non han si aspri sterpi né si folti
Quelle fiore selvagge che in odio hanno
Tra Cécina e Corneto i luoghi colti.
10 Quivi le brutte Arpie lor nido fanno,
Che cacciàr delle Strofade i Trojani
Con tristo annunzio di futuro danno.
13 Ale hanno late, e colli e visi umani,
Piè con artigli, e pennuto il gran ventre;
Fanno lamenti in su gli alberi strani.
16 E il buon maestro: « Prima che più entre,
Sappi che se’ nel secondo girone, »
Mi cominciò a dire, « e sarai, mentre
19 Che tu verrai nell’ orribil sabbione.
Però riguarda bene, e sì vedrai
Cose che torrien fede al mio sermone. »
7. srerri: cospugli. « Sterpo ai dice lo-
, non fruitifero; » Duti.
8. ring: «Gli animali cho stan nelle
macchie tra Cecina e Corneto, e sfuggono
| Inoghi coltivati frequentati dall'uomo,
non hanno in que’ loro nascondigli più
folti © spinosi cespugli di questi; » Pass.
9, Chcixa: piccolo finme che scorre por
la provincia volterrana e sbocca nel Mo-
diterranoo :
3
mi Cicina e Marta (sul quale sivde Cor-
neto) formano all'ineirea | confini della
Maremma toscana, Inogo insalubro, dove
anche oggid) non si vedono generalmente
che baschi e macchie foltissimo; » Witte.
10. arri: enti favolosi. raffignrati con
volti di donne e corpi d'uccelli; forse sim-
bolo dei rimorsi della coscienza, e forse
dell’uomo imbestiato. Cfr. Me-
e 2607, Virg. Aen. ILT, 200 0 seg.
«LI i che au vi stanno si è !a ragione,
memoria loro no si spegne, la
quale sompro si tormonta a ricordarsi di
Gen ha fatto, ora di nna cosa, ora
prada * Letriate rivhordanze
| propria privazione si-
geifeano le quali chosi fignrato arpio
portando al chinmana;» Jac. Pant. - « Lo
le hanno qui a significare, che le ricor-
e memoria di quelli cho sò
» «lella vita, sono corrose 6
Cass,, Benv., coc, lo
Hit
Hat
11. caccràn: insozzando lo mense; cfr.
Virg. Aen. IIT, 219 è seg. - Strorani:
isolo vicine alla costa della Mossenia, di-
mora delle Arple.
12, ANNUNZIO: Celeno, nna delle arple,
nnnunziò ai Troiani i loro futuri danni e
la fame erudelo che li costringerebbe a
mangiaro lo monso; ofr. Virg. Aen, ITT,
HT 0 sog.
13, LATE: largho.
165, STRANI: può riferirsi agli alberi, o
ai Inmenti. Moglio agli alberi, | quali so-
condo la descrizione, v, 4-fi, erano vera-
mento assai strani, Cfr. Virg, Aen, LIT,
226 6 arg.
16. eNxtRR: entri=prima che ta vada
più addentro nella selva.
18, MeENTRR: finché,
19, sanmionn: del terzo girone; ofr.
Inf. XIV, 18, 28 è sog.
20. al: così, rignarilando bene. Al. ne-
NE, BÌ VEDRAI; BEN R VRDRAL; DENE BK
veal, ecc. Cfr. Moon, Crit., 103 e seg.
21. TORRIRN: ineredibili, che non cre-
deresti se io te le dicessi. AI. DARAN
FEDK; ma n qual sermone? Cir. BETTI,
Post. 1, 72 © sog. - Pose, (IL, 125): « Vir-
gilio allode alla meraviglia narrata da
esso (Aen. III) de' giunoli che avelti da
Knoa atilinvano singno, a del lamenta
che di sotto al mirto usciva dal tumulo
di Polidoro, »
V. 22-78. Pier delle Vigne, Dante non
an ancora che negli alberi di strana forma
sono incarcerate lo nnime del anicidi. Da
tutte lo partl ode gemiti o sospiri, o non
e)
118 [CERC. 7. GIR. 3]
InP. XIII. 22-42
[PIER DELLE VIGNE]
22 Io sentia da ogni parte traer guai,
E non vedea persona che il facesse;
Perch’ io tutto smarrito mi arrestai.
25 Io credo ch’ ei credette ch'io credesse
Che tante voci uscisser tra que’ bronchi
Da gente che per noi si nascondesse,
28 Però dissa il maastras « Sa tn tronchi
Quale! este piante,
Li pen ti monchi. »
31 Allor por ‘ante
E colsi ran pruno;
o il tr ché mi schiante? »
81 Da che f, pruno,
Ricom hé mi scerpi?
Non hi aleuno ?
37 Uomini f | sterpi.
Ben dc in più pia
Se state pi, »
40 Como d’un stizzo verdo, che arso sia
Dall’ un de’ capi, che dall’ altro gome,
E cigola per vento che va via:
vede personn. «Cogli una fraschetta,» gli
dice Virgilio, <o vedrai como stanno lo
cose.» Egli coglio un picciol ramo, o dal
tronco vacono subito sanguo o parolo.
Parla l'anima di Pier dollo Vigno, la-
gnandosi prima dell'offcsa teste fattagli,
e raccontando poi, ai conforti di Virgilio,
della sua vita, della sua fedeltà, del torto
fattogli da altri o del maggior torto cho
o' foce a ad stesso disperandosi. Cunchinde
colla preghiera a Danto, di 1ivendicare
su nel mondo il leso suo onore, predi-
cando la sua iuuocenza. Ctr. Encicl. 1507
© seg.
22. TRAKR: gemore, mandar lamonti.
Al. TRAGGEI; TRARRE; cle. 4. F., 77 6 sog.
24. BMAKKITO: confuso, — MI ARKRKSTAI;
per iscoprire dovo mai si celasse quella
gonte che da ogni parte traova guai.
26. cuxbo: artilizio di parole, creduto
bello dagli antichi. - CtKbkssk: credessi.
26. BRONCHI; grossi storpi, tronchi ra-
mosi ed ispidi. Dal lat. brocchus, che In
alcuni codd. trovasi scritto bronchus.
27. PKK NOI: o per timor di noi, o per
non essere da noi veduta. « Ut scilicet
apoliarent nos; » env, - « Non si vedesse
da noi; » Buti. - «Per non lasciarsi ve-
doro da noi; » Bary.
20. p's: di queste.
30. MONCHL: munchi, difuttosi = sa-
ranno sinentiti dal fatto.
33. SCHIANTK: schianti, mi smembri;
cfr. Virg. Aen. IIT, 37 è seg. « Però che
l'Auttorve non era ministro posto dalla
divina giustizia a tormentarli, però si
duole il tronco; » An. Fior.
35. RICOMINCIÒ: il tronco. - BCERII:
rompi. schianti.
37. sTtkui1: piante silvestri, v. 100.
38. ria: pietosa.
40. COMK: come esce |’ umore e lo stri-
dore. « Comparatio est propria ox omni
parte sui, quia de ramo ad ramum, de
lhumorem ad sanguinem, de stridore rami
ad clamorom rami, de violontia ardoris
ad violontiam doloris; » Zenv. Cir. Ovid.
Met. 1V, 122 © seg.: « NOn aliter, quam
cum vitiato fistola plumbo Scinditur, et
tenui stridente foramine longas Eiacu-
latur aquas. » E IX, 170 o seg.: « Ipse
oruor, gelido cen quondam lamina can-
dens Tincta lacu, stridet coquiturque
ardente venvou. »
[cERC. 7. GIR. 2]
Inr. x111. 43-58 (PIER DELLE VIGNE] 119
43 Si della scheggia rotta usciva insieme
Parole e sangue. Ond’ io lasciai la cima
Cadere, e stetti come l’uom che teme.
46 « 8’ egli avesse potuto creder prima, »
Rispose il Savio mio, « anima lesa,
Ciò c'ha veduto pur con la mia rima,
40 Non averebbe in te la man distesa;
Ma la cosa incredibile mi fece
Indurlo ad opra che a me stesso pesa.
Ma dilli chi tu fosti, sì che, invece
D’alcuna ammenda, tua fama rinfreschi
Nel mondo su dove tornar gli lece. »
66 E il tronco: « Sì con dolce dir m'adeschi
Ch’io non posso tacere; e voi non gravi
Perch’ io un poco a ragionar m’ inveschi.
58 Io son colui che tenni ambo le chiavi .
43. scnecora : fraschotta achiantata. -
usava: uscivano. Al. uscito, lezione che
sarebbe da preferirai, ae avesse por sò
l'antorità di cedd. primitivi. AI, uscîro.
- « Dante vuole in questo lnogo dipin-
gere maravigliosamente all'intelletto del
lettore como le parole è il sangue erano
una cosa in due, o doo in ona nascenti
nel medesimo tempo dalla scheggia, quasi
dicesso che fl suono delle parole nsciva
vestito di sangue, che il snono non nsciva
prima del sangue, nè questo prima di
, ma che ciò avveniva in nn punto
solo; » efr. D. C. ed. Pass., p. 095-090,
4. cura : del ramo schiantato, — TRME :
« Miki frigidus horror Membra quatit go-
colt formidine sangnia; » Virg.
Aen, LIT, 29 0 seg. - « Non determinanido
els che I’ como teme, nè descrivendo gli
effetti della panra di lai, quella breve
eomparazione comprende nella generalità
dell'idea infiniti oggetti spaventosi, e la-
sela che il lettore i a suo ta-
lento non solo la cosa più atta ad inenter
timore, ma anche l'aspetto pallido, e la
figura tremante, abigottita di colui che
teme; » L. Vent. Simil., 61.
47. savio: Virgilio. - LESA : offosa, mn-
Wats. Tl ramuserilo, v. 32, era per così
dire nn membro del corpo di quell'ani-
dannata.
oe Pine ani: parola, è
propriamente parola | NO avesse
potato eredere sulla mia sola parola ciò
che ha veduto, non avrebbo distesa In
mano contro te, cogliendo de' tnoi ramn-
scelli, Alenni credono che le parole pur
colla mia rima siano da riferirsi a ciò
che Virgilio racconta nel III dell’ Eneide.
Non è necessario di ricorrere per l'inter-
pretazione di questo verso all'Enside;
ofr. v. 21, © 28 è neg.
61. orma: di toccare con mano, — PESA:
inoresce; ignorava forse Virgilio che il
tronenre nn ramoscello cagionasse dolore
allo spirito! E se non Jo ignorava, perchò
gli posa?
53. AMMENDA: compenso nl dolore a
te cagionato. - RINFRESCHI: rinnuovi In
bene, Dante lo fa nel presento canto,
v. 01-75.
64. GLI LECE:
cor virn,
66. m'AbESCHI: mi Inainghi, mi alletti;
ofr. Purg, XXVI, 140 o sog.
66. KON GRAVI: non vi sia grave, non
v'incresca,
57. rercn' 10: se mi trattengo un poco
n ragionar con voi. - M'INVESCHI: « m'in-
trighi nel parlar, come fanno comunemen-
te li nomini, quando dall'una novella en-
trano nell'altra; » uti. Cfr. Par.XVI1,32.
GR. couut: Pier delle Vigne, capuano,
nato da bassi genitori sul finire del seo.
XII, stoidliò n Bologna e fu poi cancelliere
di Federigo II imperatore, lungo tempo
suo confidente e di grande autorità, fin-
chè fu, secondo Dante ed altri a torto,
gli è lecito, essendo an-
120 [cERC. 7. GIR. 2]
Inr. xii. 59-66
[PIER DELLE VIGNE]
Del cor di Federico, e che le volsi
Serrando 6 disserrando si soayi,
01 Che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi.
Fede portai al glorioso ufizio
Tanto ch'io ne perdei lo sonno e i polsi,
04 La meretrice che mai dall’ospizio .
Dr Cogli EI
Morte co
accusato di tradimento, om
derigo 11 lo fece incarceri
naro, Vinto dal dolore e dall
Pier delle Vigne ai uccise 1
1249. Celebre per la sua el
quale fanno prova le sue]
cate dall’ Jeelius, 2 vol, Das,
Dr Biasus, Della vita è
Pietro della Vigna, Nap., 18
DBuEuoLI.ps, Vieet correspon
re des Vignes, Pur.. 1805,
della Vigne, Mil., 1840, QU
MELLI, Pietro della Vigna, LC
G. Gionvasl, Studi sulla ar, vu. map.,
1884-86. Vol. I, c. 9. Encici., 1607 o sep.
- « L'imperatoro fece abbacinare il savio
uomo maestro Piero dallo Vigne, il buono
dittatore, opponendogli tradigiono; ma
ciò gli fu fatto per invidia di suo gran-
de stato; per la qual coca il detto savio
per dolure sl lasciò tosto morire in pro-
gione, è chi disse ch'egli medesimo si
tolse la vita; » Vill. VI, 22. Nel Registro
dei privilegi dell’ Ospedale nuovo di Pisa
si legge: « Incolpato d'uver mancuto di
fede al suv signore Federigo IT, Pior dello
Vigne, che trovavasi con Foderigo aSam-
miniato, fu fatto abbaciuare, e quindi tra-
durro a Pisa por esservi lapidato. Lo che
Pier delle Vigne prevenne, precipitandosi
a terra da uu tuulo su cui era tratto, e
sfracellandosi disperatamente le cervella.
D'onde fu che morisse nella chiesa di
Sant'Andrea in Brattolaia. » - An. Sel.:
« Fu tanto innanzi a lo 'nperadore Fedo-
rigo, che tatti i suoi segreti sapia, è il
tutto di lui facou o disfacea. E | baroni
suoi di ciò ebbero invidia, e accusarollo
a torto; ina furono tanti è tali che lo 'n-
peradore lu fece abbacinare. E questi es-
sendo in Pisa aportato, per disdegno o
credendo col morire acquisture fama,
tanto percosse il capo al moro che esse
uocise sò medesimo. » - Jac. Dunt.: « Me-
nato alcuna volta presso da Saminiato del
Tedesco a Pisa in alchuno suo Borgho
izio,
Arnonicho per isdegnio di so
losl Il chapo a un moro Anal-
celso, » — Denw.: « Nimia follel-
abiteun in invidiam et odin
nam ceteri quasi coriales ot
videntes exaltationem istius
dopressionem ipsoram, curpe-
iratione facta, certatim acou-
i fictia criminibus, Unus dice-
pao erat factus ditior principe;
asoribebat sibi quiequid im-
wrat prudentia sua; alina di-
d ipso revelabat secreta ro-
snai punvilici, et sic de aliis (« è chi
dice cho li fu apposto disouostà della im-
poradrico; » uti). Imperator suspectus
et credulus fecit ipsum exoculari, et ba-
cinari et tradi carceri; in quo ipse non
valens fere tantam indiguitatem,.... so
ipsum interfecit. » - 1KNNI: fai padrone.
- AMO: dol volere o non volere; del-
l'amoro e dell'odio.
60. SKRRANDO: chiudendolo a ciò che io
nou voleva, ed aprenilolo a ciò che a me
piaceva. - SOAVI: con tanta dolcezza che
egli non se ne accorgeva. Indica le arti
piacevoli, onde soppo insinuarsi presso
il monarca.
61. 1OLSI: allontanai; foci sì che io solo
fossi messo a parte de’ suvi segreti. Pro-
babilmente ciò fu la principale cagione
della sua ruina.
63. LO SONNO: il riposo. - I L’OLSI: la
vita. O, forse meglio, Perdi il riposo du-
runte la notte, e di giorno il vigore e le
forze mentali. Al. LE VKNK RI POLBI, ciod
la persona, la vita; cfr. [nf. I, 90. Sulle di-
verse lezioni ed interpretazioni di questo
luogo cfr. Moouk, Crit., 304-7. Z. F.,78-80.
64. MKRETRICE: l'invidia, cfr. v. 78. Al.
la Corte di Roma; è forse la corte romana
morte comune, c delle corti vizio?! - OBNI-
Z10: corte imperiale.
65. PUTTI: meretrici, venderecci; cfr.
Purg. XI, 114.
66. MORTK: « Patredo ossium, invi-
7
[orrc. 7. IR. 2]
InF. X11. 67-80 [PIER DELLE viGNe] 121
67 Infiammò contra me gli animi tutti;
E gl'infiammati infiammAr si Augusto,
Che i lieti onor’ tornàro in tristi lutti.
70 L'animo mio per disdegnoso gusto,
Credendo col morir fuggir disdegno,
Ingiusto fece me contra me giusto.
73 Per le nuove radici d’ esto legno
Vi giuro che giammai non ruppi fede
Al mio signor, che fu d’onor si degno.
76 E se di voi alcun nel mondo riede,
Conforti la memoria mia, che giace
Ancor del colpo che invidia le diede. »
70 Un poco attese e poi: « Da ch’ ei si tace, »
Disse il poeta a me, « non perder |’ ora;
dia; » Proverb. XIV, 20, « Invidia din-
boll mors introvit In orbem terrarum ; »
Sapient, IT, 24.-comunn; « tig yap ox
ole riv nivtoy, Stu tole piv Cia
naa Greot! tre 7) mAclwv 7) Atto
ques: » Demost. de Coron., p. 830.
a nes «ov'ella tiene il sno mag-
gni seggio; » Dan.
de. reviramamati: animi de' cortigiani.
ederigo If.
mi all’altroi spregio, alla vituperosa fama
di traditore ed al proprio mio sdegno, in-
nocente dello appostemi colpe, mi resi
colpevole di cage di Ingionizia contro mo stesso,
veni ped ie recenti, non 04-
sendo passati che 61 anni dalla morte di
Pier delle Vigne; oppure vale strane, co-
me Il lat. novus. Il giuramento di un dan-
sò stesso non vale molto; ma
versi provano che Dante lo cro-
te,
: come principe, gran capi-
gran politico, cortese, generoso o
ciale rag deg letterato
Vulg. Elog. 1,12; come
nf. X, 119. Alla sepoltura
serivere molte pa-
grandezza e podere e grandi
r lui, ano cherico Trottano
versi, i quali piacquero
La Manfredi 6 agli altri baroni, è
nella detta sepoltura,
no:
AEH tat
iy
#75 |
DL)
i
He
it
Si probitaa, sensua, virlulum gratia, census,
Nobllitas orti, possent resistere morti,
Nen foret extinctus Podericus, qui jacet intus.
Vill. VI, AI,
76. 8k: Virgilio glielo aveva detto, v.
54; ma quel povero spirito stenta a cre-
derlo. Imprigionato nel tronco, vedoro
non può,
77.conronTi: rivendicandole l'onore. -
aracr: viliposn dall'nocusa di traditore.
V. 70-108, Dandeldi aranti o dopo la
risurrezione, Lo spirito tace, « IMman-
da, se vuoi udirne di più, » dice Virgilio al
Poeta, « La compassione mi toglie l'nso
della parola; dimanda ta, » risponde que-
sti, E Virgilio: « Como nvviene che le
anime di voi altri suicidi entrano in qne-
sti tronchi e vi sono incarcerate! Ed ona
liberaziono è possibile! » E lo spirito:
* L'anima del suicida, appena udita la
sentenza di Minosse, cade, senza potero
scegliero il Inogo di sua dimora, in que-
sta selva, qual seme, germoglia como
pianta, delle cui foglie si pascono le Ar-
pie, Al dì del giudizio finale prenderemo
il nostro corpo risorto e lo appiccheremo
ciascuna al suo albero. » - « L' anima se-
paratasi violentemente dal corpo, non lo
rinvrà più mai, e riman chiusa in un corpo
estraneo di natura inferiore, in una pian-
ta, o ln pianta sentirà ad ogni ora la tra-
fittura che il snicida sai face in vita. La
separazione è eterna, la ferita è eterna;
l'inferno dei suicidi è il suicidio ripetnto
eternamente in ogni istante; » De Sanctis.
79. ATTESE: per vedere se quell’ anima
rolesso dire altro.
80. L'ora: il momento opportono, Qnel-
122 [CERC. 7. GIR. 2]
InF. x111. 81-100
[suicrp!)
Ma parla e chiedi a lui se più ti piace. »
82 Ond’ io a lui: « Dimandal tu ancora
Di quel che credi che a me soddisfaccia;
(h’io non potrei; tanta pietà m'accora. »
05 Perciò ricominciò: « Se l'uom ti faccia
Liberamente ciò che il tuo dir prega,
Spirite ©
88 Di dirne
In que
Se ale
YI Allor sol
Si con
« Brey
DA Quando |
Dal co
Minos,
97 Cade in |,
‘’ piaccia
» tn puoi,
‘a SI spiega, »
)ol
tal voce:
a voi,
a
‘è divelta,
| foce.
te scelta;
Ma IA au,v avivuna 1a vusnustra,
Quivi germoglia come gran di spolta.
100 Surge in vermena, ed in pianta silvestra.
le anime non ponno parlare, se non ver-
sando sangue, onde, indugiando troppo,
saria stato necessario rompere nn altro
ramicello.
81. TI PIACR: se più ti piace di chiedere;
se vuoi udire da lui alcun’ altra cosa.
83. CRKDI: Virgilio conosce i pensieri
di Daute.
84. m’ACCORA: mi commuove.
85. L'UOM: Dante vivonte; tali non
sono gli spiriti, Inf. I, 67.
80. ciò: rinfrescare nel mondo la tua
memoria e discolparti; e ciò liberamente,
senza ostacolo di passione opposta.
87. INCARCERNATO: in questo tronco.
Carcere ben duro.
89. NOCCHI: tronchi nodosi. - PUOI: se
lo sai e se ti è concesso di parlare ulte-
riormente.
00. DA TAI: da questi nocchi, in cui è
incarcerata, e cho fanno qui le veci di
membra corporali. - sriIKGA: scioglie, li-
bera.
91. SOVFIO: questo soffio è un sospiro:
il sospiro di chi rammenta le sue pene.
Non avendo altri organi da esprimere
l'immenso suo dolore, il sospiro diventa
un softio. - Foutk: fortemente.
92. CONVRETÌ: il soffio diventa parola
articolata per I’ uditore.
94. FEROCK : « imperò che come fiera in-
crudelisce contro 86 medesima; » Buti.
97. SCELTA : stabilita; non le è pre-
scritto di fermarsi in un dato luogo della
selva.
98. FORTUNA: dove il caso la porta. But-
tarono via fl proprio corpo, ondv vengono
esse medesimo buttato via dal fato. « Dice
che a caso hanno le anime quelli luoghi,
notantemente per mostrare che la diape-
razione non ha gradi; imperd che in pari
grado è oguuno che si dispera; » Buti.
Sulla punteggiatura e costruzione di que-
ata terzina cfr. Z. F., 80 © seg. Fanf.
Stud., 153 © seg.
09. SPELTA: «6 la spelta una biada, la
qual gittatain buona terra cestisce molto,
e perciò ad essa somiglia il germogliare
di quoste misero piante; » Boce. « Sicut
anima io bumano corpore exercet diver-
sas potentias et virtutes per diversa mem-
bra vel organa, ita nunc in arbore se re-
solvit per diversos ramos; » Benv.
100. VEKMENA: giovane ramoscello,
cespuglietto. Vien su in forma di piccolo
ramoscollo, cresco adagio cone le piante,
(cere. 7. GIR. 2]
INF. xin. 101-118
[svrcini) 123
Le Arpie, pascendo poi delle sue foglie,
Fanno dolore, ed al dolor finestra.
103 Come l'altre verrem per nostre spoglie,
Ma non però che alcuna sen rivesta;
Ché non è giusto aver ciò ch’uom si toglie.
106 Qui le trascineremo e per la mesta
Selva saranno i nostri corpi appesi,
Ciascuno al prun dell’ ombra sua molesta. »
109 Noi eravamo ancora al tronco attesi,
Credendo che altro ne volesse dire;
Quando noi fummo d’un romor sorpresi
112 Similemente a colui che venire
Sente il porco e la caccia alla sua posta,
Che ode le bestie e le frasche stormire.
115 Ed ecco duo dalla sinistra costa,
Nudi e grafliati, fuggendo si forte
Che della selva rompièno ogni rosta.
118 Quel dinanzi: « Ora accorri, accorri, morte! »
© si fa poi pianta rilvestra, grosso pruno,
= TIANTA SILVESTRA : albero selvatico.
101, rABCRRDO : pasceniloal,
102. FINESTRA : apertura onde escono il
pianto ed i guai.
103, ALTRE: anime. — vrerRrRM: nella
valle di Giosafat al di dol giudizio; ofr.
Inf. X, UL. = stoGLIE: a riprendere i no-
atri corpi, efr. Inf. VI, 97, 98.
104. xon rend: ma non per questo, I
corpi li riprendono, ma non vi rientrano.
Hanno separato violentemente ciò che
Tddio avera congiunto, e Dio nol con-
» la seconda volta. Restano quindi
dai loro corpi in eterno.
108, ar, PRUN : ov' è rinchiusa I’ anima,
molesta, cioè molestata già dalla suo spo-
glia. Appunto perchè queste anime si
eredettero molestate dal corpo, se ne
prirarono. Al. molosta, cio’ odiosa al
corpo. Non è il corpo che odia l'anima,
n l'anima che odia il corpo; non è il corpo
che si priva dell'anima, si questa che
ni arci di quello; dnnqne l'anima fa mo-
dal corpo, o nen virovoran,
er” 109-129. Viafenti contro a? nella
roba; Loano da Bene e Incopo da San-
Andrea, Ecco duo spiriti nudi e grat-
fati fuggire inseguiti da nere cagne bra-
tmose e correnti ! L' ano si appiatta iu un
csapnglio, le cagne lo lacerano e ne por-
tan via le membra. « La pena degli scia-
Inequnatori corrisponde a quello che eaal
fecern in vita alle proprie sostanze : le di-
visero, lo sporperarono, le distrussero ; »
Romani.
109. aTTRS!: intenti, attenti innanzi al
tronco che racchiudeva l'anima di Pier
delle Vigne,
111. sorrrrsI: « Constitit Aonens stre-
pituque exterritua hmsit; « Virg, Aen.
VI, 660.
112, A COLUT: « a quel cacciatore appo-
stato nolla selva nd aspettare il passaggio
delle fiere mentre altri nomini è cani cer-
cano la selva; » Lomb,
119, ronco: selvatico, cinghiale. - cac-
Cra: i cani cacclanti. - rosta: alla sna
volta, verso il sito dove è postato,
114, 8rORMIRE: romoreggiare ; le destie
nrinno, le frasche muovendosi,
116, xuDI: avendo scialnequato persin
gli nbiti, - anarviATI: dalle cagne e dai
pruni della selva.
117. nosTA: opposizione di frasche. Ro-
eta è ineratiorinmenta Wi rami; ofr, Da-
VANZATI, Coltivaz, XLII, XLVII,
118. quer: Lano (Arcolano) Maconi da
Siena, il quale del resto non sembra fosse
poi quel grande scialacquatore, Confr.
AQUARONE, Dante in Siena, 41 © seg.;
MavoxI, Raccolta di documenti storici,
124 ([CERC. 7. GIR. 2]
Ine. xii. 119-128
[SCIALACQUATORI]
E l’altro, a cui pareva tardar troppo
Gridava; « Lano, sì non firo accorte
121 Le gambe tue alle giostre del Toppo, »
E poi che forse gli fallia la lena,
Di sé e d'un cespuglio fece un groppo.
124 Diretro a loro era la selva piena
Di nere raena hramaca a earpenti,
Come v
127 In quel o!
E quel
Poi sen
130 Presemi t
Livorno, 1870; p. 091-114.
sicura nella battaglia del
nella quale | Senesi furom
Aretini goidati da Buone
feltro, « Jato Lanus fuit
cellus st Jovenia de Ci
qui inter civea alios ditism..
men fuit consumpilor idissipator omnium
bonorum suorum - sed ante mortem na-
turalem deficeret ipso Juveno exeuute
mortuus fuit in quodam conflictu ad lo-
cum plebis del toppa; > Bamgl. - « La-
sciollo il padre molto ricco, e fu sì pro-
digo che venne in tanta povertà e mi-
seria, che esseudo egli con altri sauesi
in una parte che si chiama il ‘oppo, e
sconfitti dagli Aretini, potendo fuggire
la morte volle auzi morire quivi che tor-
nare in tanta povertà a Siena ;» An. Sel.
119. 'ALIRO: Iacopo da Sant'Audrea
da Padova, famoso scialucquatoro, fatto
uccidere, come si credo, da Ezzolino nel
1239; cfr. SALVAGNINI in Dante e Padova,
p. 20-74; Bakozzi iu Dante e il suo secolo,
p. 796 e seg. « Fusis omnibus suis bonis
ut desperatus obiit; » Petr. Dant.- « Ut
audivi a fide dignis de terra sua, fecit
multas ridondae vanitates. Semel cum
non pusset dormire, mandavit, ut por-
tarentur plures potiw piguolati cipriani
facti cum colla, et lacerarentur a fami-
liaribus in camera, ut ad illuni stridu-
lam sonuw provocaretur sibi somnus....
Alia vice cum iret de Padua Venetias
per flumen Brentio in navi cum aliis ju-
venibus sociis, quoram aliqui pulsabunt,
aliqui cantabant, iste fatuus, no solus vi-
deretur inutilisetotiosus, cwpit accipero
pecubiam, ot dlenarios singulatim delicere
in aquam cum magno risu omnium....
atena.
denti,
rand ;
a dolenti.
mano,
il caset in rare suo, andirit,
magnatom cum comitiva ia-
um ire sd prandium secum;
m erat proviags, neo poteral
lmo temporis apatio providers,
quod sum prodigalitati vile
voniro, snbito ogrogla cantola
una oan; him Focik atatim mibti iguen
in omnia tuguria ville sum satis apta
incendio, quia ex paleis, stipulis et canu-
lis, qualia sunt communiter domicilia ru-
sticorum in territorio paduanorum; et
veniens obviam istis, dixit, quod fecerat
hoc ad festum et gaudium propter eorum
adventum, utipsos magnificentius hono-
raret; » env. - TARVALK: Correre troppo
lentamente rispetto a Lano che, correndo
più veloce. gli era entrato innanzi.
120. NON FORO: non fuggisti sì veloce
14 prosso lu Piove dol ‘l'oppo, quando fug-
gendo avresti potuto salvare la vita v
fors'uncho l’anima.
121. crostitit: la battaglia alla Pievo del
Toppo si fece quasi a corpo a corpo, come
nelle giostre. Forae é qui detto per burla.
122. FALLIA : mancava a Incopola forza
per continuare a fuggito.
123. auortvo: gruppo, si aggruppò in
uu cespuglio per nuscondorsi.
126. caAGNK: figuruno probabilmento
creditori jmportuni. « Canes persequen-
tes eos et devorantes suntcreditores, seu
indigenti supervenientes post lapsum
facultatum, unde ut desporati fugiant
homines et se occultunt; >» Petr. Dant.
120. vimini: Cani da corsa. « Bontà pro-
pria nel veltro è bene correre; > Conv.I,12.
127. QUKL: Iacopo da Saut’ Andrea.
V. 130-151. Un 2iorentino suicide,
L'anima imprigionata nel cospuglio pian-
(CERC. 7. GTR. 2]
Inr. xt. 131-147
[un SUICIDA] 125
E menommi al cespuglio, che piangea,
Per le rotture sanguinenti, invano.
133 «O Jacomo, » dicea « da Sant’ Andrea,
Che t'è giovato di me fare schermo?
Che colpa ho io della tua vita rea? »
136 Quando il maestro fu sovr’ esso fermo
Disse: « Chi fusti che per tante punte
Soffi con sangue doloroso sermo? »
139 E quegli a noi: « O anime che giunte
Siete a veder lo strazio disonesto
Che ha le mie frondi si da me disgiunte,
142 Raccoglietele al pid del tristo cesto.
To fui della città che nel Battista
Matò il primo patrone; ond' ei per questo
145 Sempre con l’arte sua Ja farà trista.
E se non fosse che in sul passo d’Arno
Rimane ancor di lui alcuna vista,
ge. « Chi fonti » domanda Virgilio, Non
dà Mentali precisa, ma dice soltanto
che fu Fiorentino è parla della statua di
Marte sul Ponte Vecchio, agginngendo
«i essersi impiccato nelle proprie caso.
R costui, secundo i più (Mambgl., Lan.,
Case., Falso Bocc., An. Fior., Serrav.,
Tat., Gelli, ec.) Lotto degli Agli, giurista,
«quidata ona sententia falsnivitdomom,
et statim se suspendit; » Bene. Altri di-
sono invece che fasse Rocco de’ Mozzi,
«fl quale fu molto ricco, e por cagione
chela compagninloro fallì, venne in tanta
povertà, ch'egli stesso a'impiccò per la
gola nollasma casa; » An. ed. Sel. (coal
pure Ott., Buti, Rarg.,eco.). Ottimamente
PReno.: « Non potest bene coniocturari de
quo autor loquatar hic, quia molti fue-
rant fiorentini, qui suspenderont se la-
que sodem tempore.... Et crede, quod
actor do industria sio fecerit, nt poaset
intelligidennoquoquetalinm.» E il Jocce.:
« Né A costui dall'autore nominato, credo
per l'una delle doe cagioni, o per ri-
guardo de' parenti che di questo cotale
rimasero, i quali por avventura sono ono-
reroli nomini, e perciò non gli vuole ma-
eolare della infamia di così disonesta
morte; ovwero perciocchò in que' tempi,
quasi come una maledizione mandata da
Dio nella città nostra, più se ne impic-
earono; accinoché ciascan possa apporlo
® quel più gli place di que' molti. »
181, craruonio: dove erasi rifugiato
Iacopo da Sant’ Andrea.
182. ROTTUNE: fatte dai candemoni di
lacorando Iacopo. - INVANO: non gio-
vanilo il pianto a diminuire il suo dolore.
123, Sast'Axonra: di Codiverno, a
sette miglia da Padova.
134. FARE SCHERMO : ripararti nel mio
cespnglio, lo cagne avendoti ciò nono-
stanto dilnoerato.
185. COLPA : da esser rotto e stracciato
per causa tua,
196, sovr'Esso : il cespuglio eradunque
aasni basso, - FERMO : fermato,
137. rUNTE: rotture del rami. « Por tot
pnnoturas dentium caninorum et ropto-
ran;» Bene.
138, sorr1: mandi fuori sangue e do-
lorose voci, - BERMO: sermone.
139. ANIME: non vede, onde non sa che
Dante è vivo.
140. pisoxestO: sconcio, brutto; cfr.
Virg. Aen. VI, 406.
142, cESTO: cespuglio.
143, citTÀ: Firenzo.- BATISTA : 8. Gio-
vanni Batista, patrono di Firenze.
144. rumo: Marte, — ki QUKSTO : per
vendetta del ripudio.
146. ARTR: guerra.
140, rasso: Ponte Vecchlo.
147, ALCUNA VISTA : la sun statua smoz-
sicatn. Firenze pagana ebbe per suo pro-
tettoro Marte, al cul onoro eresso un
126 [cERc. 7. GIR. 2]
= <= — a
Inv. xm. 148-151
[UN SUICIDA]
148 Quei cittadin' che poi la rifondarno
Sovra il cener che d’ Attila rimase
Avrebber fatto lavorare indarno.
151 [o fei giubbetto a me delle mie case. »
tempio maraviglioso, oggi il Duomo;
Vill. I, 42. Convertita la città al eristla.
nesimo, il tempio fu dea»
vanni 6 la statua di Mart,
pra un'alta torre presso
I, 60. Quando Firenze fu
atatua cadde nell'Arno, |
dificata ai tempi di Carlo
cosi che gli antichi aver
cho «di rifarla non s'eblo 1
mu non fu ritrovata &
l'imagine di marmo, oot
primi edificatori pagani 1.
zin u Marte, la quale ora
d'Arno dalla distruzione
fino a quel tempo; è, riti
aero in su uno pillere in
detto lume, ov'è oggi ile
Veochio ; » boll. III, 1. Ni... ee
nondazione del 1333 poi « caddo in Arno
la statua di Marto, ch’ ora in sul pilastro
a piò dul dotto Ponte Vocchio di qua. E
nota di Marte che gli antichi diceano v
lasciarono in iscritto, che quando la sta-
tua di Marte cadesse o fusse mussa, la
città di Firenze avrebbo gran pericolo
e mutazione; » Vill. XI, 1.
149. ATTILA: preteso distruttoredì Fi-
renzo; Vil. IT, 1; III, 1.
151. cIubbETTO: forca, patibolo; prov.
e franc. ant. gibet; oft, Diez. Etim. Wort,
“n domo sua cum quadam eorl-
icto loco ae ipsum suspondit.
rea dicit: Jo feci giubeh, oto,
in quo suspendantur homines
a Francim vocatur jubeth, et
de domo propria conatitalt
i* Bambgl, — « Giubbetto è in
coun nella quale si fa In giu-
la pubblica Signoria: l ai tar
tw, Il ai impicca, lì al procede
na de'malfattori per la ragione
Or dice l'anima del cespuglio
a dello suo case a ad giubbetto,
| appiccò sò stesso; » Lan, -
un est quedam turris Parisnls
108 suspemiantar; » Cua, —
resi, Chod furche; » Moce, — « Gi»
beth in lingua gallica idom ost quod
furca, sive locus ubi fures suspondun-
tur; » Benv. - « Questo giubbetto è vo-
cabolo fraucesco e signitica luogo delle
forche, perchè così si chiama a Parigi; »
Buti. - « Giubetto sono chiamate le for-
che in Francia; » An. Fior. - « Inbettum
Parisius dicitur forca, locus suspeudij,
sive patibuli; » Serrav. Confr. Encici.
916.
[CERC. 7. GIR. 8)
Inr. xiy. 1-9
[PIOGGIA DI FUOCO] 127
CANTO DECIMOQUARTO
CERCHIO
SETTIMO
GIRONE TERZO: VIOLENTI CONTRO DIO
(Supini e immobili, tormentati dalla pioggia di fuoco)
CAPANEO, IL VEGLIO DI CRETA, I FIUMI INFERNALI
Poi che la carità del natio loco
_ Mi strinse, raunai le fronde sparte,
‘ E rende’ le a colui ch’ era già fioco.
‘ Indi venimmo al fine, ove si parte
Lo secondo giron dal terzo, e dove
Si vede di giustizia orribil arte.
7 A ben manifestar le cose nuove,
Dico che arrivammo ad una landa
Che dal suo letto ogni pianta rimuove.
V. 1-42. La pioggia di fuoco, Arri-
vano al terzo girone, che è de' violenti
contro Dio, nna ignuda campagna an
eni piore fuoco. Que' che sono colpevoli
di violenza diretta ed immediata contro
Dio giacciono in torra supini cl immobili ;
i violenti contro natura (sodomiti) corrono
eoutinnamente ; i violenti contro l'arto
(usmral) siedono raccolti. L'idea della
pioggia di fnoco fu ispirata a Dante dal
passo Generi XIX, 24. La pona più grave
l hanno i rei di violenza diretta contro
Dio, costretti a star supini od immobili
sotto la tremenda pioggia; la più leg-
i sodomiti, che ponno schermirsi,
ma dorano la fatica del corso, trovando
però un ristoro nel moto continno.
1. carità: amor patrio, « Sarnum bi-
borimus ante dentes et Florentiam adoo
@iligamas, ut quia dileximus, oxilinm
r Injuste;» De Vulg, elog. I, 6,
apirito, fiorentino; Dante anche.
2, stRinsR: apinse, incitò, - FRONDE:
del cespuglio; cfr. XIII, 123 6 seg.
a. neNDE' LR: le rondei. Al. nexbRIT.R:
RENDELLE. - A COLUI: allo apirito di quel
fiorentino che aveva testè parlato coi due
Toeti. - rioco: stanco dal trarre guai.
Al. roco. Ma « qui non si tratta di rau-
cedine, hensì di stanchezza, di rifimimento,
eco.» £. F., Bl è rog. Del resto rioco d
lezione dei più o più natorevoli codici.
4. FINE: confine, termine. -ove: Al.
ONDE, — L'ARTE: divide.
6. OnRIimIi.: spaventevole magistero
della divina giustizia. Orribile il peccato,
orribile la pena. - ARTR: modo, artifizio.
7. NUOVE: strane, insolite, non mal
viste; lat, norws,
8. LANDA: pianura incolta e senza al-
beri « Landa è vocabolo francesco, è
propriamonte la cia che va linge nicuno
Huma; » An. Mior, = « A una landa, clod
a una compagna; chi così significa que-
sta voce, 6 si nsava molto in quei tem-
pi; + Gelli. Cfr. Dirz, Wort. 1°, 242.
9. LETTO: suolo, che è infuocato, onde
piante non ponno crescere.
128 [CERC. 7. GIR. 8]
Inr. xrv. 10-24
[PIOGGIA DI FUOCO]
10 La dolorosa selva le è ghirlanda
Intorno, come il fosso tristo ad essa.
Quivi fermammo i passi a randa a randa.
15 Lo spazzo ora un’ arena arida e spessa,
Non d'altra foggia fatta che colei
Che fu da’ piè di Caton già soppressa.
16 Oh vend © ™ * dèi
Esser 3 legge
Ciò chi chi miei |
19 D’anime ge,
Che pi seramonto,
E pare gge.
22 Supin gia gente,
Alcuna ta,
Ed altr nte,
10. seLVva: doi suicidi,
ba: circonda questa la
viera del sangoe, XII, as. «vg, ww
conda la selva. « Ladolorosa selva è quasi
ghirlanda ad essa, poichè la cinge; sic-
come il tristo fosso di saugue fa alla scl-
va; » Ross.
11. Fosso: il Flegetonte.
12. RANDA: dal ted. Itand, Orlo, Mar-
gine; onde A randa a randa por Rasente
al basso d'un luogo rilevato. « Rasente
rasente ia rena, perchè iu su la pianura
non potevano scendere, perchè v’ era
fnoco ; » Buti. Cfr. Diez. Etym. Wort.
13, 341.
13. sPAZZO: lat. spatium =lo spazio, il
suolo di questa landa.
14 COLKI: l'arena della Libla, calcata
dai piedi di Catone d'Utica, quando per
lo deserto di Libia condusso i residui
dell'esercito di Pompeo al re Giuba; cfr.
Lucan. Phars. 1X, 382 e seg. « Colei, la
rena. Raro è cho questo pronome si rife-
risca a cosa inauimata. Tuttavia esempi
non mancano; » L. Vent.
15. CATON: che fu il primo a mettervi
il piede: « Primus arenas Ingrediar, pri-
musque gradus in pulvere ponam; » Lu-
can. Phars. IX, 394. - S04IPKESSA : cal-
postata.
16. VENDETTA: giustizia retributrice;
cfr. Inf. VII, 19 e seg.
19. NUDK: onde la loro situazione era
tanto più spaventevole. Naturalmente
tutte le anime sono nude; ma il Poeta
ricorda esprossamente questa circostanza
‘mol descrivere il loro abbando-
o miseria, in tutta la aoa esten-
ovvss; wees DAY, TIT, 100; XIIT,110; XXITI,
118; XXIV, 92; XXX, 25. - GREGGK:
schiere.
21. »ARKEA: per i diversiloro atti e modi
di stare, appariva, si vedeva, che quelle
anime erano sottoposte ad una legge di-
versa, essendo ad ogni schiera imposto
un altro modo di stare al supplizio del
fuoco.
22. SUPIN: supina, supinamente, col
viso volto in su. - GRNTE: rei di violenza
diretta ed immediata contro Dio. Vollero
detronare l'Iddio onnipotente, e non
ponno noppuro muovore ad stessi; vomi-
turono bostonunio contro Dio, 0 questo
bestemmie ricadono, quali fiamme ar-
denti, sulla loro propria persona.
23. 8KDRA: violenti control'arte, o usu-
rai. Sono qui come nel mondo; invece di
lavorare colle proprie mani, vollero vi-
vere del frutto del denaro, - sedere e
conteggiare: qui hanno tutto il comodo
di farlo. - RACCOLTA: essendo gente non
compagnevole, non ad altro intesa che
al guadagno. «Stretta, per toccare meno
della rena; » Buti.
24. ALTRA: violenti contro natura, o
sodomiti. Trascinati, anche loro malgra-
do, dalle proprie suzze passioni, sono oo-
stretti a correre continuamente, come i
peccatori carnali del C. V, ma sopra un
terreno più tristo e sotto orribile pioggia.
E il terreno e la pioggia sono contro na-
tura, come fu il loro peccato.
[cERC. 7. GIR. 3]
InF. xiv. 25-40 [PIOGGIA DI Fuoco} 129
25 Quella che giva intorno era più molta.
E quella men che giaceva al tormento,
Ma più al duolo avea la lingua sciolta.
28 Sovra tutto il sabbion d'un cader lento
Piovean di fuoco dilatate falde,
Come di neve in alpe senza vento.
31 Quali Alessandro in quelle parti calde
D’ India vide sovra lo suo stuolo
Fiamme cadere infino a terra salde;
uM Perch’ei provvide a scalpitar lo suolo
Con le sue schiere, per ciò che il vapore
Me’ si stingueva mentre ch'era solo:
a7 Tale scendeva |’ eternale ardore;
Onde l'arena s’accendea com’ esca
Sotto focile, a doppiar lo dolore.
40 Senza riposo mai era la tresca
25, QUELLA: sodomiti. Moltissimi so-
domiti, la più parte letterati, XV, 106 0
seg.; mono usural ed ancor meno bestem-
miatori. Statistica morale del secolo di
Dante.
27. at. nuoto: ni lamenti: |' ebbero
eclolta nel mondo allo bestommio, l'hanno
qui alle strida. © piuttosto: le bestem-
mie sono strida di nn'anima che si sente
dannata.
28, caper: « Dominus pluit super So-
domam et Gomorrham sulphur et ignem
e Domino de cmlo; » Genes. XIX, 24.
« Ignem avi pr super eum ; »
Exch. XXXVIII
30, COME : «come sone falde
nelle alpi, quando non è vonto; imperò
che quando è vento la rompe e viene più
minuta; » Buti.
TL. quarti: famme. Nella pretean epi-
stola di Alessandro il Grande ad Aristo-
tele (Alerandri magni epistola de situ In-
dia et itinerum in ca vastitate ad Aristo-
telem prosceptorem suum perscripta. Ex
Corn. Nepotis. Fal. Pau-
11%US, Gissee, 1706) si racconta che nelle
neater opponere ignibus. E poi nor serena,
continuo nobis orantibus, reddita est,
ignes ex infegro accenduntur et @ sccu-
ris ecpule capiuntur. Cir. Alb. Magn. De
Meteor. lib. I, tr. IV, o. 8. Nynor, Stor,
dell'Epopea frane. trad. da E. Gorra,
p. 240 e sog. BrAnc, Versueh I, 120 6 sog.
P. Maren, Alex. le grand dans la litér.
frang. du moyen dge, Par., 1886,- PARTI:
regioni di clima caldo,
83, BALDR: intatto, intere, che non si
estinguevano neppur endute a terra.
34. A BCALFITAR: facendole premere
coi piedi da’ anol sanldati.
30. STINGUEVA: Al, STRINGRVA ; cfr. Z,
F., 82 © seg. - SOLO: prima cho cades-
sero altro fiamme, 6 prima che le caduto
fossero accresciuto da quelle apprese al
terreno.
37. TALE: «gli accenti gravi del verso
esprimono l'incessante e interminnbile
ploggia di fuoco; » L. Vent. Simil., 580.
89. rociLit: pietra focala percossa dal-
l'aociarino. « Ac primum scilici scintil-
lam oxcndit Achatos; » Virg. Aen. I, 174.
40, tRESCA: trescone, ballo molto agi-
tato, salteroccio, sonzn rogola o tempo,
cho al asa ancora nello campagne. Me-
navano or qua una, or là un'altra mano,
a palme nporte, scotendo e schinffog-
giando via via quelle falde dal Inogo della
persona ove si posavano. Confr. Fanf.
Studj ed Ors., p. 62 6 seg. Diez, Wort. 19,
424 © sog.
130 [CERC. 7. GIR. 3]
INF, XIV. 41-57
[CAPANEO]
Delle misere mani, or quindi or quinci
Iscotendo da sé l’arsura fresca.
du Io cominciai: « Maestro, tu che vinci
‘lutte le cose, fuor che i Demon’ duri
Che all’entrar della porta incontro uscînci;
46 Chi è quel grande che non par che curi
L’incer ~~ a
Sì che il matori? »
49 E quel m rto
Ch’ io € di lui,
Gridé: son morto.
52 Se Giove la cui
Cruccia ita
Onde | ;
65 Os’eglis a muta
In Mon, ra,
(Chiama
42. FRESCA: cio)’ nuova.
V. 43-72. Capaneo. Tra’ violenti con-
tro Dio si distinguo uno spirito il quale,
pur giacendo sotto la pioggia del fuoco,
sembra sfidaro, anche in tal misera posi-
zione, la potenza divina. «Chi è costui? »
dimanda il Poeta. Lo spirito si affretta a
rispondere con parole insultanti alla di-
vinità. E Virgilio: « La tua superbia o
la tua rabbia sono il tuo maggiur tor-
mento.» Quindi a Dante: « È uuo dei
sette di ‘l'ebe; ancor sempro indomito.
Ma gliel'ho detto; il suo furore è il suo
maggior tormento. »
44. DUKI: alla porta di Dite; cfr. Inf.
VIII, 82 © seg.
45. uscinct: ci uscirono.
46. quKL: Capaneo, v. 63, Kanavete,
figlio di Ipponoo e di Laodice, uno dei
sotte re della Grocia confederati con Pc-
linice coutro Tebe. Salito sulle nura della
città ussodiata, sfidò empiamente Giove
a difenderla, onde il Numo sdegnato lo
colpì colla folgoro e lu uccise; cfr. Stat.
Theb. X, 845 è sog. Apollod.III,7,1.Sta-
zio lo chiama magnanimue o Superuin
contemplor el aqui.
47. TORTO: torvo, bieco.
48. MATURI: ammolli, ronda mite ed
umile. « Acerbi diconsi gli orgogliosi;
acerbo è contrario di maturo; e lu piog-
gia ammollisce le frutta cadendo; » Tom.
ajuta, ajuta! ,,
Al. MANTURI: da anarturiare = martoria-
re. « Videtur quod ignis pluens non mol-
lificet duritiem ejus, et placet ejus per-
tinacem insaniam; » Benv. Cfr. Moork,
Orit., 307.
51. QUAL: non temetti gli Dei in vita,
non li tomo morto.
52. GiovE: è rimasto pagano anche nel
mondo di là. - FABLRO: Volcano, il quale,
seconilo la mitologia, fabbricava le saette
di Giove. Capaneo bestemmia laggiù co-
me bostemmiava quassù.
£3. crucciato: perchè schernito e sti-
dato con parole superbe.
64. L'ULTIMO DÌ: della mia vita su nel
mondo.
55. ALTRI: suoi fabbri, cioè i Ciclopi. -
A MUTA: a vicenda, l'uno dopo l'altro
dando loro la muta.
66. In MONGINKLLO: nell' Etna in Si-
cilia, dove secondo la mitulogia è la fu-
cina di Vulcano. - NKGUA: per la gran
fuliggiuo.
57. CHIAMANDO: gridando come fece
nella guerra coi Gigauti. Virg. Aen VIII,
439 e seg.:
“Tollite cuncta ,, Inquit “ coeptcsque auferte
{labores,
«Etnel Cycloper, et huc advertite mentem.
Arma acri facienda viro. Nuoc viribus usus,
Nunc manibus rapidi», cinni pu c arte magi-
Iracipitate moras. ,, [stra
[cERO. 7. GIR. 3)
INF, xiv. 58-75
[cAPANEO] 181
58 Sì com'ei fece alla pugna di Flegra;
E me saetti di tutta sua forza,
Non ne potrebbe aver vendetta allegra. »
GI Allora il duca mio parlò di forza
Tanto, ch'io non l’aven si forte udito:
« O Capaneo, in ciò che non s'ammorza
84 La tua superbia, se’ tu più punito:
Nullo martirio, fuor che la tua rabbia,
Sarebbe al tuo furor dolor compito. »
07 Poi si rivolse a me con miglior labbia,
Dicendo: « Quel fu l’un de’ sette regi
Che assiser Tebe; ed ebbe e par ch'egli abbia
70 Dio in disdegno, e poco par che il pregi;
Ma, come io dissi lui, li suoi dispetti
Sono al suo petto assai debiti fregi.
73 Or mi vien' dietro, e guarda che non metti
Ancor li piedi nell'arena arsiccia,
Ma sempre al bosco li ritieni stretti. »
58. FLrora: valle in Tessaglia, dove
arcaddo il combattimento fra Giove ed |
Cigant| iquall avovano sovrapposto mon-
te a monte per daro In scalata al cielo.
60, ALLEGILA : non avrebbe mal la sod-
disfazione di vedermi umiliato ed nvvi-
lito; rimarrei sempro il suo superbo di-
sprezzatore
61. pi Forza: con grande veemenza,
siognato di udire lo superbe bestemmie
di quel dannato.
62. st wowrn: jo non lo aveva ancor
ndito parlare con tanta veemenza. Vir-
è edegnato che Capaneo si vanti
som ompietà,
63. NON S'AMMORZA: non sl spegne.
Ammorzare non sl trova che in rima.
64, più: «perciò che la tua ostinazione,
aggiunta alla pena che tu soffri, ti dà
doppio martiro e tormento; « Dan.
66. comriro: ndoguato al tno furore;
+quia talia oppressua et deicctna non
potest habore maius tormentam in mon-
do isto quam rabiem suam, qua se mor-
det; » Bono.
67. Lama: viso, aspetto; Inf. VII, 7.
Si rivolso a me con viso più sereno e con
68, perre: Capanso, Adrasto sno suo-
sero, Tideo, Ippodemonte, Anfiarao, lar-
tenopeo ¢ Polinice,
69. ARSIBER: nasediarono, - KNBR: vi-
vendo. = ran: sembra, qui nell’ inferno,
La fora ann anperbin non è nitro cho
vana apparenza, Vorrebbo fare il grando,
l'indomito, ma ba la coscienza di non es-
sere che un sero, Immagine parlantis-
sima di quella classe di peccatori di cai
egli è il rappresentante.
70. Ino: parlò di Giove, v. 52; ma il
nomo non importa. I Gentili chiamarono
Giove l'ente awpremo. Dante dà questo
nome nl Redentore, Purg. VI, 118: cfr.
Inf. XXXI, 92,- IN DISDRGNO : in diapre-
gio.-ratt: vana apparonza, Quantanque
parli con dileggio delle sue pene, egli aa
troppo bene quanto sono terribili.
72. riot: ornamenti. Parlare ironico.
V. 70-09, Il Flegetonte, « Basti di que-
sto insano! Seguimi, e guarda di non
mottore i pioli nell'arena infnocata, ma
tionli atrotti alla tristo selva del secondo
girono. + Così Virgilio, Vanno avanti ed
arrivano JA dove sgorga il Flegetonte,
fiame orribile, perchè di sangue, E Vir.
gilio: « Dacchd entrammo nell’ inferno
non vedesti cosa più notabile di questo
fiumicello, » Dante gliene dimanda il
perchè,
74, ANCOR: guarda pure, venendomi
dietro, AJ. guarda intanto, per adesso, -
Ansiccia: infuocata, ardente,
—S — » «— a
182 [CERC. 7. GIR. 8]
InP. xrv. 76-91
[iL FLEGETONTE]
76 Tacendo divenimmo là ove spicca
Fuor della selva un picciol fiumicello,
Lo cui rossor ancor mi raccapriccia,
79 Qualo del Bulicame esce ruscello
Che parton poi tra lor le peccatrici,
‘T'al per l'arena giù sen giva quello.
82 Lo fondo st
l'atte era
Perch'io
85 « Tra tutto
Poscia cl
Lo cui sc
88 Cosa non ft
Notabile,
Che soprr
Ol (Queste pari
70. DIVKNIMMO: arrivammo, giungem-
mo; dul lat. devenire cho vale spesso il
semplice venire. Cfr. Inf.XVIII,68. Purg.
III, 46.- BricCIA: sgorga, scaturisco.
78. KOSSORK: sangue; cfr. Inf. XII, 47,
75, 101.
79. BULICAMK: laghetto di acqua mi-
nerale bollente, situato a due miglia da
Viterbo, dacui usciva uu ruscello, l’ucqua
del quale le meretrici a una certa distanza
della sorgente, quando è già raffreddata
alquanto, ai partivano tra loro, volgendo
ciascuna di osse alla propriastanza quella
quantità che le era nocossariu. Nol libro
dolle riforme di Viterbo, all'anno 1469,
11 maggio, si leggo: « Item aliud bandi-
mentuni che nessuna meretrice ardisca
nd presuina da hora nanzo bagnarse in
alcuno bagno dove sieno consuete ba-
goarse lo cittadine et donne viterbese,
ma si vogliono baguarse, vadino dicte
meretrici nel bagno del bulicame, sotto
pena, ecc.» - « La città di Viterbo fu fatta
per li Romani.... E gli Romani vi manda-
vano gl'infermi per cagione de’ bagni
ch'escono del bulicame, e però fu chia-
mata Vita Erbo, cioè vita agl'infermi,
ovvero città di vita;» Vill. I, 61. Al. in-
tendono: nei modo stesso come si partia
dal bulicame o Flegetunte, d'onde si de-
rivava. Cfr. i lavori citati dal De Bat. I,
539; inoltre Ciaxivi, Un municipio ita-
liano nell'età di Dante Al. Roma, 1865.
1
da lato;
io era lici,
nostrato,
la porta
rato,
rta
di
immorta, »
Lanci, Il Bulicame e la Ohiarcntana
nella Div. Com. Roma, 1872. SCARaBKL-
1, La Ohiarentana e il Bulicame nella
Div. Com. Bol., 1872. BLanc, Versuch I,
122 e seg. Fkunazzi IV, 382; V, 326.28.
BABSKEMANN, 126. MURARI, Note Dan-
tesche II, Reggio Emilia, 1895. Bull. II,
2, 103 e sog.
80. PARTON: dividono. - PRCCATRICI:
meroetrici. Al. anime dannate. Alcuni leg-
gono PKXATRICI 0 l'RZZATRICI = macora-
trici della canapa, lezione del tutto sprov-
vista di attendibili autorità.
81. ANKNA: infuocata del terzo girono.
~ QUELLO: quel fiumicello.
82. PENDICI: lo sponde pendenti, o in-
clinate.
83. FATTER ERAN: lat. facta erant, si
erano impietrite per virtù del fumicullo.
« Anco nel bulicame di Viterbo le sponde
erano impictrite; » Tom. - MARGINI: i
dorsi delle sponde.
84. M'ACCORSI: per non essere quei
margiui coperti di areua infuocata, co-
me tutto l'altro suolo. - rasso: per at-
traversaro il girone. - LICI: lì, in quel
luogo. Lici, quici, costici, eco. dissero gli
antichi ancheiu prosa per lì, qui, costi, ecc.
87. SOGLIARR: soglia della porta infer-
nale; Inf. III, 1 e seg.
90. AMMORTA: spegne tutte le fiam-
melle che vi piovono sopra. Cfr. Inf.
XV, 20 wag.
[cEKC. 7. oir. 3]
INF. xiv. 92-102 [VEGLIO DI CRETA] 188
Perché il pregai che mi largisse il pasto
Di cui largito m’aveva il disio.
di «In mezzo mar siede un paese guasto, »
Diss’egli allora, « che s’appella Creta,
Sotto il cui rege fu già il mondo casto.
97 Una montagna v'è, che già fu lieta
D'acque e di frondi, che si chiamò Ida;
Ora è diserta come cosa vieta.
100 Rea la scelse già per cuna fida
Del suo figliuolo ; e per celarlo meglio,
Quando piangea vi facea far le grida.
92. LARGIASR: mi dicesse per minuto,
senza essere avaro di parolo, perchè quol
rio fosse cosa tanto mirabile. - rasto: la
scienza detta altrove il pane degli angeli
Par. II, 10. Conv. I, 1.
93. iL DISÌIO: me ne aveva invogliato
con quel suo cenno.
V. 94-120. Il Vegtio di Creta. Rispon-
de Virgilio: «In Creta, dentro il monte
Ida, sta ritto un gran Veglio che ha le
spalle vélte vorso Damiata in Egitto, o
guarda verso Roma come in uno spec-
chio. Ha il capo d'oro, le braccia ed il
petto d'argento; di là sino allo coace è
di rame; le cosce, le gambe cd i piedi
sono di ferro, tranne il pid destro, sul
quale più che sul sinistro sta appog-
giato, che è di terra cotta. Da tutte le
parti, salvo che dal capo, gocciano la-
grime le quali vanno giù a formare i
quattro fiumi infernali: Acheronte, Sti-
ge, Flegetonte, e giù in fondo Cocito, di
cui non ti dico nulla, chè lo vedral.» Il Ve-
glio è tolto quasi di peso dal profeta Da-
niele, II, 31 © seg. Lastatua nel sogno di
Nebucadnesar figurava le quattro grandi
movarchie, ofr. Dan. II, 37 e seg., ed an-
che il gran Veglio dantesco potrebbe figu-
rare la Monarchia; secondo altri esso
figara le diverse età del mondo, o lo
scorrere degli anni, o l'umanità da cui
vengono le colpe, i dolori e le lagrime,
o la vita del mondo, od altro ancora.
«Per huno senem significatur ot figura-
tar tota etas et decurss mundi ac etiam
regni Saturni usque ad hoc tempora- po-
nitur autem iste senex orectus in monte
Yaa quod ipsius montis et insule Satar-
nos fuit primus Rector et dominus; >
Bambgl. Cfr. BLAKXC, Versuch I, 123 ©
seg. VACCHERRI e BERTACCHI, Il gran Ve-
glio del Monte Ida tradotto nel senso mo-
rale della Div. Comm. Tor., 1877. Po-
LETTO, Alcuni Studi, 191 e sog.
Il profeta Daniele II, 81 e seg. così de-
scrive la simbolica figura del Voglio:
« Ecce quari statua una grandis: statun
illa magna, et statura sublimia atabat
contra te, et intuitus eius erat terri bilis.
' Huius stature caput ex auro optimo erat,
pectus antem et brachia de argento, porro
venter, et femora ex wre. Tibim autem
ferrem, pedum quicdam pars erat ferrea,
quedam autem fictilis. » Vedi pure l'in-
terpretnrione datano dal profeta, ivi v.
B7 o rog.
04. MRZZO: cfr. Virg. Aen. III, 104 0
seg. - MAR: Mediterraneo, detto nel me-
dio evo il mare per antonomasia. - GUA-
8TO: rovinato. Si credeva che anticamente
avesse conto città, Virg. Aen. III, 106.
96. rxoK : Saturno. - CASTO: puro, senza
vizj. Era l'età dell'oro, cfr. Virg. Aen.
VIII, 319 e seg.
98. Ina: oggi Psilory, Psiloriti, o Hon-
te Giove, monte nel centro dell’isola di
Creta, la cui sommità è per lo più co-
perta di nevi, sul quale, secondo la mi-
tologia, Giove fu nudrito da' Coribanti.
99. VIKTA: « vecchia, fracida e siappa;
onde si dice saper di vioto una cosa,
quando 6 divenuta vecchia; » Dan.
100. Rra : ‘Péa, ‘Pelx, Ichea o Cibele,
moglie di Saturno e madre degli Dei
olimpici; cfr. Virg. Aen. III, 111 e seg.
101. FIGLIUOLO: Giove. - CRLARLO: £&
Saturno; cfr. Hesiod. theog., 453 e seg.
102. FAR: ai Cureti suoi servi. Volendo
render vana una profezia, che i suoi figli
lo detronerebbero, Saturno se gli man-
giava l'uno dopo l'altro. Nato Giove,
Rea lo fece trasportare a Creta per sal-
vario, ed affinchè Saturno non ne udisse
le grida, comandò ai Cnretl di fargli nn
184 ([CERC. 7. GIR. 3]
InP. xiv. 108-120
[VEGLIO DI CRETA]
103 Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,
Che tien yélte le spalle invér Damiata,
E Roma guarda si come suo speglio,
100 La sua testa è di fin oro formata,
E puro argento son le braccia e il petto,
Poi è di rame infino alla forcata;
109 Da Tad e = > —
Salvo c,
E sta ir
112 Ciascuna
D'una
Le qua;
115 Lor corso
Fanno .
Poi sen
118 Infin là ov
Fanno G
è iletto,
erra cotta,
ru l’altro, eretto.
è rotta
occia,
, grotta,
‘occia:
iègetonta;
tretta doccia
fl.
illo stagno,
Tu il vederat; pero qui non si conta, »
gran ramore attorno con spade, scudi, —
cembali ed altri strumenti.
103. DKNTRO: pone il Veglio in Creta
perchè quivi fiorì sotto Saturno l'età
dell’ oro, o perchd si credeva che Creta
fosse proprio nel mezzo alle tre parti dol
mondo conosciuto, dunque il centro e
principio del genere umano.
104. DAMIATA: in Egitto, la più splen-
dida dollo monarchie antiche.
105. GUARDA: casondo Roma l'unica
speranza dell’ avvenire della monarchia
universalo; cfr. De dun. 11; Conv. 1V, 6.
108. TESTA: inonarchia di Saturno, età
dell'oro. O forse Dante intende dol se-
colo d' Augusto, cfr. Conv. IV, 6. De
Aon. I, 16.
107. AKGKNTO: seconda otà; principio
della decudonza della monarchia romana.
108. FORCATA: il punto del corpo umano
dal quale si partono le cosce; ‘l'erza età;
decadonza della monarchia sino alla sua
divisione dopo la morte di Teodosio.
109. KLKTTO: non misto con altri me-
talli. Quarta età, che per Dante era il
tempo presente. Il piode di ferro = l'im-
pero; il piede di terra cotta = il papato.
Quello ferreo, questo assai fragile. Cfr.
Giovenale, Sat. XIII.
112. l'ARTK: della statua. - FUOR CHE:
gli uomini felici non piangono, e tali fu-
rono nell'età dell'oro ed ai tempi di Au-
gusto.
114. ACCOLTE: radanate insieme ai
piedi del Veglio. - GtoTTA: dentro dal
monte, dove il gran Veglio, sta dritto,
v. 103.
115. DIROCCIA: scende di rupe in rupe
giù nell'inferno.
116. ACHERONTE: cfr. Inf. III,71,78.-
Srick: cfr. Inf. VII, 106. - FLKGKTONTA:
Ilogotonto (ctr. Inf. XII, 47), come oriz-
zunta por orizzonto, laf. XI, 113.
117. poccia: dal lat. barb. dog@a = ca-
nale, condotto; ctr. Inf. XXIII, 46.
118. 1.4: al fondo doll’ inferno, punto al
qual si traggono d’ ogni parte i pesi, /n/.
XXXIV, 110 e seg., oltro il quale più
non si scende, ma si sale all’ uno od al-
tro doi due cmi»fvuri.
119. FANNO: tutto quanto quelle lagri-
me vanno giù a formare il Cocito, sede
della causa prima di esso, cioè di Luci-
fero, cfr. Inf. XXXII, 23 e seg.
120. NON SI CONTA: non ne parlo. - «Le
lagrime che il veglio, figurante l’uman
genere, piove da tutte le fessure ond' è
vulnerato, fuor che dal capo d'oro, sono
l'universalità dei peccati commessi da
tutti gli uomini delle tre ultime età vi-
ziate, © colanti nel gran baratro Ohe il
mal dell'universo tutto insacca (Inf. VII,
[cERC. 7. GIR. 3]
InF. xiv. 121-181 [FIUMI INFERNALI] 185
121 Ed io a lui: « Se il presente rigagno
Sì deriva così dal nostro mondo,
Perché ci appar pure a questo vivagno? »
124 Ed egli a me: « Tu sai che il luogo è tondo,
E tutto che tu sii venuto molto
Pur a sinistra giù calando a fondo,
127 Non se’ancor per tutto il cerchio vélto
Perché, se cosa n’ apparisce nuova,
Non dee addur maraviglia al tuo volto. »
130 Ed io ancor: « Maestro, ove si trova
Flegetonte e Letè ? Ché-dell’ un taci,
18); o fanno dapprima il fiume nomato la
trista riviera d'Acheronte; il quale fiume
poi ricompare buio molto più che perso
nel cerchio degli avari; si dilaga nella
palude Stige, ove stanno attaffati gl'ira-
condi; forse, nella intenzione del Poeta,
è il medesimo che, trasmutato in sangue
bollente, cruccia i violenti del primo gi-
rone, perocchè rosso e bollente spiccia
fuori alquanto sotto, ossia dalla trista
selva dei suicidi col nome di Flegetonte ;
e pervenuto ai fondo che divora Luci-
Sero con Giuda, si rappiglia in una im-
monsa spera di ghiaccio denominata Co-
cito. Codesto fiumo derivato da s) rea
fonte, che percorre le diverse regioni
dell’ Inferno sotto quattro nomi, è il con-
trapposto di quell'altro che pullula dal
mezzo 6 irriga la divina foresta de) Par-
gatorio, si biparte in Eufrate e Tigri che
poscia mutano nome, qnello in Lete e que-
sto in Eunoè. I) fiame infernale è origi-
mato dalla corruzione dell'uman genere,
Cresce in malignità di mano in mano che
avanza nel corso, funesta la dimora do’
presciti, ossia del secolo malvagio, ed è
atrumento di punizione dei medesimi;
quello della divina foresta
+... ree da fontana salda e certa
Che tanto da voler di Dio riprendo
Quant'essa versa da due parti aperta;
(Purg. XXVII, 124-27)
finisce con onda limpidissima nd abbel-
lire la chiesa di Dio, acquista correndo
rirtà dall'una parte di astergore ogni
memoria delle passate colpe, dall'altra
di conferire ogni dovizia di beni spiri-
tuali. In una parola, il primo è l’em-
blema della colpa, il secondo della gra-
zia; quello del male, questo del rimedio ;»
BarkLL.I, Alleg. della Div. Com., 90 © seg.
V.121-142. Tflermt infernatt. «Mano
questo fiume discende giù dal nostro mon-
do, perchè lo si vede soltanto qui, e non
nei cerchi superiori?» - « Il luogo è ro-
tondo e non ne hai ancora percorso l'in-
tiera circonferenza, onde non devi mera-
vigliarti so, continuando il nostro viaggio,
ti sì mostrano cose non ancor vedute. » -
« Ma dove sono dunque Flegetonte e Le-
to?» - < Il Flegetonte è per l'appunto
questo, e lo avresti dovuto indovinare
dal suo bollore. Lete lo vedrai, ma al-
trove, nel Purgatorio. Ed ora avanti! »
121. riaAGNO: pleciol fiumicello, cfr.
v. 77.
122. così: come tu dici. - NOSTHO: dei
viventi.
123. rURK: solamente in questa ripa ©
non altrove. - VIVAGNO: propr. l'orlo del
panno; qui per l'estremità della selva.
° 124. LUOGO: l'inferno. I Poeti percor-
rono durante il loro viaggio laggiù la
nona parto di ogni cerchio, onde non
hanno percorso l’intiera circonferenza,
se non giunti al fundo dove è Lucifero.
Sono adesso nel settimo cerchio, hanno
dunque percorso */100 della circonferenza
del gran baratro.
126. rur: sempro a rinistra. Al. riù
A SINISTRA; FURR SINISTRA. Cfr. Z. F.,
83 e seg. MOORR, Crit., 307-10.
127. voLTO: non hal ancora col tuo gi-
rare compito il cerchio. « Quasi voglia
dire: e porò non ti maravigliare, se an-
cora veduto non hai lo scender di que-
at’acqna, perciocchè tu non erl ancora
pervenuto a quella parte dol cerchio,
della quale ella scendo; » PBoce.
129. ADDUR: nel volto si esprime la
meraviglia dell'animo.
131. Letk: così Climenè, Par.XVII,1.
Al. LETÉO, leziono da non accettarsi, dac-
186 ({cERC.?. im. 8]
InF. xiv. 182-142
[FIUMI INFERNALI]
E l'altro di’ che si fa d’ esta piova. »
133 « In‘ atte tue question’certo mi piaci, »
Ri: »08e, « ma il bollor dell’acqua rossa
Do ea bon solver l'una che tu faci.
136 Leté
‘edrai, ma fuor di questa fossa,
Là >ve vanno l'anime a lavarsi
Qu ‘tte RM
139 Poi ¢ 1 scostarsi
Da a me vegne.
Li | son arsi,
142 E sop egne. »
chè Leteo è aggetti re se Dante sapette di Greeo, Mo-
leva dire a quel mo
scrivere: Flegeton
84. - DELL'UN: di ]
bilo non può natu
l'inferno cristiano
no), non cssondo ci
dimenticaro i pecca
di grazia negletti.
132. L'antro: il Flogetonto. — PIOVA:
le lagrimo dol Voglio di Creta.
134. 11. noLLOR: Flugolonte venondo a
dire fiumo bollente (da pAgyw = ardo
cfr. Virg. den. VI, 550: « Qui rapidus
flaninis ambit torrontibus amnis ‘l'arta-
reus Phlogeton » Serv. ad Aen. VI, 265.
dove è dotto cho Virgilio « Phlegotonta
vocat ignem »), il bollore di questo fume
doveva farti accorto che esso è per l’ ap-
punto il Flegetonte. Per accorgersene
non occorreva sapere di greco; bastava
avero in monte il vorso di Virgilio o co-
noscoro lu glussa di Sorvio. Cfr. C. Ca-
VEDONI, Osservazioni critiche intorno alla
860, BLaxo, Versuch I, 127 0 seg.
Una: la questiong: ove ai trosa
ite? Eccolo li, « Tu bene debobaa
irare ox evidoutissimis aignia qui
srat Phlegoton, quando vidist) ar-
st ruborem aqme bullientis, nam
on interpretatur ardons ; » ene.
awe. (DUAL: ofr. Purg, XXVIII, 121
e sog. - Fossa: cavità infernale.
137. LÀ: nol l’uradiso terrestre sulia
sommità del Purgatorio,
138. PRNTUTA: dall'ant. pentere, scon-
tata por penitenza; cfr. Purg. XXXI, 85-
87. «Quundola colpa, di cui si davuto pen-
timonto in tempo, dalle pene del purgato-
rio è rimossa, cioò tolta, lavata; » Jtetts.
140. DAL Bosco: dalla dolorosa selva
dol secondo girono. - VKGNK: venga; vien
dietro a me.
141. ansi: coperti di arena infuocata.
142. varon: fiamma; cfr. v. 35. - NI
SUKONK: por il motivo cho dirà subito,
Inf. XV, 1-3.
[CERC, 7. GIR. 3] |
Inr. xv. 1-4
[sonoMmiTi] 187
CANTO DECIMOQUINTO
——P
CERCHIO SETTIMO
GIRONE TERZO: VIOLENTI CONTRO NATURA
(Corrono sontinnamento tormentati dalla pioggin di fuoco)
BRUNETTO LATINI, FRANCESCO D' ACCORSO
ANDREA DE' MOZZI
Ora cen porta l'un de’ duri margini,
E il fammo del ruscel di sopra aduggin
Sì che dal fuoco salva l'acqua e gli argini.
‘ Quale i Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia
V.1-21. La regione det Sodomiti. I
Poeti continuano il loro viaggio cam-
Minando sovra l'ono dei marginiche sono
lango il sabbione infocato. SI descrivono
| margini con due similitudini tolte dagli
Ti del tempo. A lunga distanza dalla
‘elva dei violenti contro sò stessi incon-
trano una schiera di violenti contro na-
tora, che gunrdano i due insoliti vian-
danti con grande meraviglia, la quale si
dipinge con due belle similitudini.
1, puri: pletrificati è non coporti di
2, ADUGGLA : fa ombra o nebbia al di-
‘pra di sè nella quale le fiamme si estin-
guono.
Î, BALVA : « Dico che ‘1 vapore ch' nscìa
dal detto flame temperava lo sommitadi
delle fiamme, cho nsciano dal fuoco, a tal
modo che l'argine si conservava, 6 per
tonsequens l'acqua si conservava per
l'argine dal fuoco; » Lan, - « Questo è
interna che il fummo spongn il fuoco, co-
veggiamo cho, posta una envdoln ar-
sopra uno fumo, incontanente si
1% Buti. - L'ACQUA È GLI ARGINI:
sic al ii at val ton! qual tmtti |
del la; così Tac. Dant., Lan.,
Falso Bocc., Renv., Buti, Serrav.,
£8
i
quattro
ON, Itoce.,
Tal., Vell., Gelli, Cast., occ. Como legges-
sero Bambgl., An, Sel, Petr. Dant., An.
Fior., Land., eco. non si pnd Indovinaro,
Al. BALVA L'ACQUA GLI ARGINI, ciod: |l
fumo del ruscello fa ombra, 0 coal il va-
pore, spegnendo le cadenti falde, salva
gli argini dal fooco, Così Carr, od alcuni
altri codd., prime 4 ediz. Barg., Foac.,
Betti, Z. F., eco, « Dal fuoco, il qual cade
da alto, l'acqua salva gli argini, che
sono dalle ripe; » arg. 11 Viv. difende
questa lozione, afformandola del Martol,,
dopo nverno cancellnto arbitrariamente
l'e! Cfr. Friammazzo, Cod. Friulani della
D. 0,1, p. 12. Jl Fose.: « All acqua non
necessitava d'essere difesa dal fuoco; è
per ciò nppunto ch'era bollente, esalava
fomo che ammorzava le finmme innanzi
che cadesser sovr'essa, com'è natura
d'ogni vapore, Così l'esalazioni di Flege-
tonte preservavano i suoi margini, ch'al-
trimenti si sarebbero infocati e consunti.»
4, GuizzantR: Al. Guzzanti: chi in-
tendo ili Witsand o Weissand, cfr. Vill,
XIT, 68, villaggio dolla Fiandra propin-
quo al mare; chi di Oedsand, isola è città
dicontro le isole della Zelandia verso {l
nord; cfr. Della Vedova in D. e Padova,
p. 80 e seg. Fort. Lanci, Iulicame o Chia-
— ———P
198 [CERC. 7. GIR, 3]
Inr. xv. 5-18
[SODOMITI ]
‘l'emendo il fiotto che vér lor s’ avventa,
Fanno lo schermo perché il mar si fuggia;
7 E quale i Padovan’ lungo la Brenta
Por difonder lor ville e lor castelli,
Anzi che Chiarentana il caldo senta;
10 A tale imagine eran fatti quelli,
‘l'atto tb > FF dat Pf A rossi,
Qual
13 Già er
Tant
Pere
16, (Quandi
Che
tl a
(1 n)
realana, oma, 1873,
vtA: Sirreogen, «nl Loi
capitale dolla Fiandra
vandosl Wiesant vera... «const cu
dentale della Fiandra Dantesca, Brug-
gia verso l'orientule, apparisce che Dante
con que'due nomi volle indicare la diga
fiamminga da un capo all'altro del paese.
La distauza de’ due luoghi è presso a 120
chilometri o 65 miglia geografiche ita-
liano; » Dalla Vedova, |. c., p. 90.
5. FIOTTO: flusso del maro, - 5’ AVVEN-
a: vien loro addosso impetuoso.
6. SCIIRIMO: argini e dighe. - FUGGIA:
fugga, stia lontano. Fuggia congiunt. di
Suggere = faggire. « Nunc rapidus retro,
atquo ivsto ruvoluta resorbens Saxa, fu-
git litusque vado labonto relinquit; »
Virg. den. XI, 627 0 sey. - Da questi
versi alcuni inferiscono che Dante abbia
visitato Ja Iiandra. Cfr. Bass., 6.
7. K QUALK: fanno lo schermo.
9. CHIARKNTANA: Cariuzia, la Claren-
tana degli scrittori latini, che anche il
Vill. chiama ben undici volto Ohiaren-
tuna. Così quasi tutti gli antichi (anche
Bambgl. e Benv.). Secondo altri Dante
parla della Canzana, o Carenzana, monte
nel Trentino tra Valvignola e Valfronte,
che si protende lungola riva sinistra della
Brenta. Secondo altri Chiarentana doriva
da chiaro (1) 6 vuol diro: parto del cielo
da dove lo nuvole sinuno scomparse la-
aciandovi il sereno. Altri di nuovo si av-
visano che Dante intenda del lago di
Caldonazzo. Iu ogni caso il senso è: Pri-
ma che le novi diaciogliondosi al caldo di
ro félli.
381
0 dov' era,
ni fossi,
i@ una schiora
e ciascuna
la sera
‘era, fucciano gonfiare la Brrmin.
questi versi cfr. la lettereturm cl
il De Bat. 1, 630 6 seg., T%4, Lu-
ni Stlla voce Chiarentana di D. Al.
Ven., 1843 e Trento, 1864. ScoLani, La
Chiarentana, Ven., 1865. LANCI, Del B}u-
licame e della Chiarentana, Roma, 1872.
SCARABKLLI, La Chiarentana e tl Bulica-
me, Bol., 1872. Fkuiazzi, V, 329 e seg.
DALLA VEDOVA, luc. cit., p. 88 e seg. Pa-
LKSA, Dante- Raccolta, Trieste, 1805, p. 16.
Bass., 183 © sog.
10, A TALK: gli argini del ruscello erano
fatti a similitudine doi ripari che i Fiam-
minghi oppongono al mare, ovvoro come
gli argini cho i Padovani fanno lungo la
Brenta, benchò di miuor mole.
12. QUAL: chiunque ne fosse il costrut-
toro, « Mostra di dubitaro ae, come alla
torra creata da Dio hanno gli uomini ag-
giunto delle opore, così all’ inferno, pur
fatto dalia divina Jutestate (Inf. 111, 6)
abbiano i Demonj aggiunto alcuna cosa; »
Lomb. Al.: Qual che si fosso l'altezza e
la grossozza degli urgini. Lo Z. F., 876
seg. logge: QUAL CIIK 8] FOSSER, 6 spiega:
«A tale imagin eran fatti quelli (argini
infernali), tutto che (sebbene) qual che ai
fossero (in qualunque modo fossero, sot-
tintendi fatti), il maostro non li fece nd
sì alti nd sì grossi (come sono i ripari
fiamminghi e padovani). » Cfr. MONTI,
Opere, V, 239 © sog.
14. bov'kRa: la selva dei suicidi.
18. RIGUARDAVA : por l'inaudita novità
del fatto; cfr. Virg. Aen. VI, 268 e seg.
450 e seg.
[cERC. 7. GIR. 3]
INF. xv. 19-26 [BRUNETTO LATINI) 189
19 Guardar l'un l’altro sotto nuova luna;
E si vér noi aguzzavan le ciglia
Come il vecchio sartor fa nella cruna.
22 Così adocchiato da cotal famiglia,
Fui conosciuto da un, che mi prese
Per lo lembo e gridò : « Qual maraviglia! »
25 Ed io quando il suo braccio a me distese,
Ficcai gli occhi per lo cotto aspetto
19. suUOvA: quando manda più debole
fl lame. « Nam com luna est nova non
prestat nobis lumen, quia est coniuncta
soli..,, Isti ergo tamquam sub nocte re-
apiciant, quia eorum obacurissima colpa
fugit omnino luocem;» Jienv. Cfr. Virg.
Aen, VI, 208 e seg., 452 o seg.
V. 22-54. Brunetto Latini. Uno di
quegli spiriti, adocchiato Dante, esterna
meraviglia è gli stende il braccio, Dante
lo riconosce : è Brunetto Latini, col quale
Dante ha on affettuoso colloquio. Nac-
que Brunetto da illustre famiglia di Fi-
renze verso il 1220, e morì n Firenze nel
1204, Uomo politico, presa parto a molti
avvenimenti di Firenze. Fu notajo, onde
il titolo di sere, poi segretario capo del
comune di Firenze; vonne mandato am-
basciadoread Alfonso di Castiglia nel 1260
(cfr. Vill. VI, 73) è, ritornando, seppe dei
rivolgimenti della patria in consegnenza
della sconfitta do’ Guelfi n Monte A perti
(4 settembre 1260), onde andò in Francia
è rimpatriò, assieme cogli altri Guelfi,
dopo la battaglia di Benevento (26 feb-
braio 1266). Nel 1269 era notorius nec non
veriba consiliorum communis Florentio,
e seriba era tattavia nel 1273. Nel 1280
Interrenno nella concinsione dol compro-
messo tra Guelti o Ghibellini; nel 1287
fa priore 6 nel 1289 fu arringatore noi
consigli generali di Firenze. Cfr. Vill.
VI, 73,79; VIII, 10. Fil. Vill. Vite, Nan-
mese. Man.1*, p. 422 e seg. SuNDBY, Brun.
Lat. Levnetog Skriften, Kopenhagen, 1260,
trad. ital. di R. Renier, Tor., 1884. Im-
HRTASS, Scritti Dant., 3931-80. FAURIEL,
Mint. Littér, de la France, XX, 284 6 seg.
M. Scritto, Aleuni capitoli della bio-
prafta di Dante, Torino, 1899, p. 116 221.
Non fa maestro di Dante, ma sno anto-
Terole consigliatore negli studj. Del vi-
©he Dante lo fa colpevole non se
«' altronde nulla, ed è on enimma
il Poeta lo abbia posto in così
Imog), « Fu grando filosofo, o fu
55
Be
i
sommo maestro in rettorica, tanto in
bene saper dire, quanto in bene dittare.
Fu mondano vomo.... cominciatore o
maestro in digrossare i Fiorentini e farli
scorti in bene parlare, e in sapere gui-
dare è reggere la nostra Repubblica se-
condo In politica; » Vill, VIII,10,- «Brn-
netto Latini de' nobili da Scarniano fa di
professione filosofo, d'ordine notajo, è di
fama celebre 6 nominata. Costui quanto
della rettorica potesse aggiungere alla
natura dimostrò: nomo, sé così è lecito
a dire, degno d'essere con quelli periti
e antichi oratori annnmernto.... Fu mot-
teggevole, dotto e astuto, o di certi motti
piacevoli abbondante, non però senza gra-
vità e temperamento di modestia, la quale
faceva alle sue piacevolezze dare fede gio-
condiasima, di sermone piacevole, il quale
spesso movera n riso, Fu officioso e co-
stomato, o di natnra utile, severo è era-
vo, 6 por nbito di tntto le virth folicissi-
mo, se con più severo animo le ingiurie
della fmriosa patria avesse potuto con sa-
pienza sopportaro ; » Fil, Vill. Vite. Vedi
più sotto al versi 30 o seguenti, 119, ecc.
22. cCOTAL:*scilicet tam infami ; + Benv,
= FAMIGLIA : schiera, brigata. Forse ama-
ra ironia, avendo costoro preferito | sorzi
pincori allo delizie della famiglia.
24. Lembo: della veste, perchè essendo
giù nella reoa rimaneva nssai più basso
di Dante che era sull' argine, — MANAVI-
Guia: di vederti! e qui! e vivo ancora!
e Nota quod iste Brunettus, oliraadmira-
tionem generalem quam habebant omnes
de videndo enm vivum in tali loco sine
pena, etiam mirator partionlariter, quin
videbat cum appolsom nd tantam glo-
riam quod faciebat in vita in medio iti-
nere vite humanm istud mirabile iter
per infornom, et istud nobile opus per
quod querebat salvare so et alios, quod
non erat simile ano vili thesauro ; » Bent.
26, riccat: lo guardai nel viso abbru-
atolito dal fuoco,
140 [CERC, 7. GIR. 3]
INF. xv. 27-85
[BRUNETTO LATINI]
Sì che il viso abbruciato non difese
28 La conoscenza sua al mio intelletto;
E chinando la mano alla sua faccia
lkisposi : « Siote voi qui, ser Irunetto ? »
si E quegli: « O figliuol mio, non ti dispiaccia
Se Brunetto Latini un poco teco
Ritorna in dietro, e lascia andar la traccia. »
34 To dissi a lui; « Quanto posso ven preco.
E se volete che con voi m'asseggia,
27. DIFESE: non m'impedi di ricono-
acerlo,
20, LA MANO: così | più. Al.: LA MTA;
così leggendo si dovrebbo intendere: Chi-
nando la mia faccia verso la sua, non già
per riconoscerlo meglio, ma per ossequio.
R difficile decidere quale sia la lezione
autentica. 1) Vin, falsified la les. del Itar-
tol. leggendo LA MIA (vol. I, p. 131), men-
tre il cod. ha LA MANO (cfr. Fiammazzo,
Cod, Friul., 1, 12). Tal altro stampa nel
testo LA MIA, è poi, nelle note, copiando,
come fa costantemente, il Com. Lips.,
leggo LA MAXO, senza accorgersi dolla
contradizione, Cfr. £, F., 88 e seg. Moo-
nk, Orit., 105 nt. 20. « Ut tangerem eum
in fronte, qua erat mihi magis vicina,
sicut ipse coperat me per infimam vestem
quio erat sibi magis vicina, quia ogo eram
altus ot ipse bassus; » Jienv, Cir. v. 24.
30 Qui: sembra csprimero maraviglia
di rivederlo in tal luogo. Perchè ve lo
inise? « Non curò dell'anima, fu nomo
molto mondano; e molto peccò in sodo-
mia, 0 avillo molto le cose di Dio e di
Santa Chiosa;» An, Sel, - « (Quia noverat
eum infoctum turpitudine ista;» Jenv,
Come fece a saperlo! - « Dobbiamo cre-
dere, che per alcun atto non buono (qua-
le?) ei venne in odio a Dante, onde gli è
parso d'infamarlo perpetuamente in que-
st’ opera; » arg. Secondo il Barrot.,
Lett. ital. VI, n, 55 © seg., ui tempi di
Dante la sodomia non si considerava co-
ine vizio infamante. La Div. Com. sem-
bra provare il contrario. Cfr. Proleg.,
p. 492 è seg.
32. Latini: così i più; alcuni codd.
Latino; ofr. W. W. Venxox, Readings
I, 633-36. - « Fuit optimus astrologus phi-
ayca et moralitate preclarua: » DLambgl,
-« Fu vicino di Dante, è molte coso gl'in-
segnò; » An, Sel. — « Foe valorosso e na-
turale persona; » Jac. Dant, - « Fu un
tempo maestro di Dante, e fu sì intimo
domestico di Ini; che li vollo giudicar per
astrologia; » Lan, - « L'autore prose da
lui certa parte di scienza moralo;» Ott.
-« Avendo in un contratto fatto per lui
errato, 6 per quello essendo stato accu-
sato di falsità, volle avanti esser condan-
nato per falsario, che egli volesse con-
feasare d'avere orrato.,.. Mostra l'an
toro il conoscesse per peccato contro a
natora; » Bocc. — « Effugiatempo chellifu
maestro didante mapur mostra chedital-
vizio cioe dismldomito egli fosse peccha-
tore; » Falso Ioce,- «Da questo ser Bru-
netto Dante imparò molte cose, e però
li fa grande reverenzia; » Buti, - « Fu
grande rettorico, et vomo moralissimo,...
montre ch elli visso singolare amico del-
l'Auttore;» An. Fior. - « Ultra istod vi-
tinm sodomie, in quo fuit involutus, etiam
in hoe deficiebat, quod nimis presumebat
de se ipso; » Serrav, — « Uomo di gran
scienza, col quale assai praticò Dante
per imparare da lui; » Jiarg. Cfr. Tone
scuni, I, 287 0 sog. ZANNONI, Stor, del-
l'Accad. della Crusca, 106 0 sog. Imunia-
NI, loc. cit.
33. INDIETRO : per ragionar teco, = THAC-
CIA: la comitiva dei compagni che anda-
vano in direzione opposta. Confr. Inf,
XVIII, 79. Boce. logge e punteggia:
« Non ti dispiaccia Sor Iirunetto Latini
un poco teco; Ritorna indictro, ecc, »
cioè, non ti dispiaccia d'avoro mo al-
quanto teco; ecc. Cir. 4. F., 89 © sog.
Ma chi ritorna indietro è Brunotto, non
Dante.
34. raeco: è il lat. precor = prego,
35, m'assEGGIA: mi metta a sedere con
vol. Ma dove! Como? Mazz.: « Prendia-
mo qnol vorbo nel significato di tratte-
nersi, od ogni dabbiosparisce,» Assedersi
non ha mai il significato di trattenersi;
efr. Voc. Or, 15, 760 a. Bisognava addurre
t
[cERC. 7. GIR. 3]
Inr. xv. 36-51 [BRUNETTO LATINI] 14]
Faròl, se piace a costui; ché vo seco. »
37 « O figliuol, » disse, « qual di questa greggia
S'arresta punto, giace poi cent’ anni
Senza arrostarsi quando il fuoco il feggia.
“o Però ya’ oltre; io ti verrò a’ panni;
E poi rigiugnerò la mia masnada
Che va piangendo i suoi eterni danni. »
Io non osava scender della strada
Per andar par di lui; ma il capo chino
Tenea, come uom che reverente vada.
Ei cominciò: « Qual fortuna o destino
Anzi l’ultimo di quaggiù ti mena?
E chi è questi che mostra il cammino? »
« Lassù di sopra in la vita serena, »
Rispos’ io lui, « mi smarri’ in una valle,
Avanti che l’età mia fosse piena.
“mezalche esempio, Benv. logge mi sio-
“= 4; Buti, Barg., ooc.: «M'ASSROGIA, clod
= seeders mi ponga. »
6. vo: sono in sua compagnia e non
eso sspararmi da lui.
7. cresota: compagnia dei Sodomiti.
0. aRrostAnSI: affaticarai con faria
per schermirsi come che sla
“Reads pioggia di fuoco. Nel Casentino
p. è.: « Pensa che il ta’ babbo,
ER ami'marito, e tatti ci arrostiamo giorno
= waotte per raccattar qualche cosa. » Cfr.
s. ¥. Senso: Chi si forma nn mo-
®"eeento solo, è condannato n giacero poi
Tema Mobile cento anni, senza potere scher-
Nani rai du) fooco; cfr. Inf. XIV, 40, Al.
STEMI ROSTAKSI, RESTARS!, RISTASSI, ec,
= F.,906seg. Moons, Crit., 311 eseg.
Prod:
Tex: secondo altri dal verbo antiquato
lare=ferire.
0, 4° PANNI: appresso; «ita quod cum
nt sbat pannos autoris, et ag-
Sartor hominis; » Beno. DE
i. Maswana: anticamente questa voce
Mon avova cattivo suono; la naarono 80-
Tento fl Villani o il Machiavelli. E Bru-
Metto Latini la nsò più volte nel senso di
Seti chs yor temi aur
| uc-
ta compagnia di Sodomiti. i
43, NON OBAVA: per paura delle famme
cadenti e doll'arena infuocata.
44. rar: di pari con lui. -0MxOo: 0 por
reverenza, 0 soltanto per udir meglio. -
« Hoo antem figarat quod debemus ho-
norare virtutem in lstis talibus infami-
bus, et loqui cum eis per transitum, ne
sorom nimis propingna et frequens con-
versatio redderet nos infames; » Jlenr.
46. FORTUNA: « qual celeste influsso, 0
qual divina provvidenza! » Vell.
47. ANZI: prima di morire; cfr. Virg.
Aen, VI, 531 © seg.
48. MOSTRA: ti guida pel mondo de'morti.
40. SERRNA : paragonata a quelladi lag-
giù nell'inferno,
60, VALLE: selva oscura; cfr. Inf. I,
1 © seg.
51, rrewaA: compinta= prima di avere
ragginnto l'età di trentacinque anni, che
secondo Dante è l'età piena, o compiuta;
efr. Conv. IV, 23. Paolo ad Efes. IV, 15.
A trentacinque anni si accorse di essersi
smarrito nella selva oscora, Inf.I,1,6
seg. Ma vi è entrato, senza nocorger-
sene, alonn tempo, in realtà probabil-
mento qualche anno prima; cfr. Pury.
XXXI, 84eaeg. « Sarà sempre una gran
confnaions s6 questo verso non si spie-
gherh, avanti che fosse compita la mia
età; cioè avanti che io avessi piena quel-
l'età, che la provvidenza mi ha conce-
duto di vivoro; » Betti.
52. PUR: non
rando di salire
53. QUESTI; 1
mal Virgilio, fo
non nomina ma
nè Cristo. Lo n
UDB SOA VOILA, our e argo
stesso, Purg. XXI, 118 e seg. Virgilio
dal cuanto sav nun si manifesta che a
Ulisse ed a Sordello. - IN QUELLA: valle,
o selva oscara; cfr. Inf. I, 61.
54. a Ca’: a casa. Si può intendere:
« Mi riconduce al mondo di sopra; » op-
pure: « Mi guida al cielo » che è la ca’
stabile dell'uomo; cfr. Ebrei XIIT, 14:
« Nou babemus hic maneutem civitatem,
sed futaram inpquirimus.» - CALLE: via,
sentioro straordinario.
V. 55-99. Vieende di Dante. Ser Bru-
netto predice a Danto e la vontura sua
gloria, ele prossimo ste sventure, causa
il suo ben operare e la bestiale ingratitu-
dine do' suoi concittadini. « Vi sono pre-
parato, » risponde il Poeta, « nè il vostro
vaticinio mi è nuovo. Se soltanto ho buc-
pa coscienza, avvenga cid che vuole, » E
Virgilio: « Sta bone così; tienlo bene a
mente! »
55. 81KLLA: nacque Danto quando il
Sole erain Gemini, Par, XXIF,11008scg.,
o gli astrologhi del tempo credevano cho
Gemini fosso « siguiticatore di scrittura,
e di scienza e di coguoscibilitade; » Olt,
Cir. Inf. XXVT, 23 © sog. Al.: Se colti-
vorai con lo studio e la melitazione l’'iu-
gegno, di che sei dotato, to ne verrà
somma gloria. Cfr. Fu. COLAGHosso, La
predizione di Brunetto Latini, Roma,18960.
57. wt’ ACCORSI: si deduco da questi
versi che, nasceudo Danto, Brunetto
142 [ceRc. Gir. 3] Inr, xv, 52-63 [BRUNETTO LATINI]
52 Pv er mattina le volsi le spalle: .
esti m’apparve, tornand’io in quella,
‘iducemi a ca’, per questo calle, »
55 Ea glia me: « Se tu segui tua stella,
n puoi fallire a glorioso porto,
ben m’accorsi nella vita bella.
58 E 11___-e
sì benigno
J iforto.
61 Ma ligno,
f ) antico,
» del macigno,
© fucesso l' oroscopio. È vero che
strologo non congettura, ma apac-
er infallibili le soe predizioni, Per
laggiù nol settimo cerchio Ser Bra-
i aveva forse imparato a dubitare
into della propria înfallibilità. - nax-
wa. del mondo, 4. F. legge coll’ Ant. è
con qualche altro cod. IN LA VITA NO-
VKLLA, il che « vale anzi tutto: nella tua
gioventù ;.... ma significa inoltre: Per
quanto potei giudicare da quel tuo li-
bercolo, cui titolasti Vita Nuova. »
58. PEK TKMLO: in riguardo a Dante.
Brunotto morì vecchio.
69. VKGGENDO: Brunetto fa « optimus
astrologus; » Bambgl.
60. Orkua: politica e letteraria.
61. FrOroLo: fiorentino. « Cioè quel che
reggevano la città, cho si reggeva in
quel tempo a popolo, il quale egli chia-
ma ingrato, perchò gli renderebbe male
per beno, e maligno, perchè giudiche-
rebbe a mal flue tutto quellu che Dante
facessi a buono; » Gelli.
62. FiksoLk: lat. Fesula, antica città
d' Etruria a tre miglia circa da Firenze,
della quale si credeva madro; cfr. Vill.
1, 7, 9, 35eseg.; II, 2; ILI, 1, eco. Cfr.
Coin. Lips. 1, 147 e seg. Lami, Lezioni di
Antichità toscane, Fir., 1768, I, 278-84.
SALVINI, Discorsi Accad., Fir., 1725, J,
351 e seg. Macicl. 783 © seg.
63. TIKNK: è ancora rozzo escostumato.
Lo dice Dante. « Del moute, inquanto ru-
stico e salvatico, e del macigno inquanto
duro e non pieghovole ad alcun liberale
e civil costume; » Bocce. - « Unde homi-
nes nati, durum genus; » Virg. Georg. I,
63, - « Multuquo per cwlum solia volven-
tia lustra Volgivago vitam tractabant
[CERC. 7. GIR. 3]
Inv. Xv. 64-75 [BRUNETTO LATINI] 148
64 Ti si farà, per tuo ben far, nimico.
Ed è ragion; ché tra li lazzi sorbi
Si disconvien fruttare al dolce fico.
67 Vecchia fama nel mondo li chiama orbi,
Gente avara, invidiosa e superba:
Da’ lor costumi fa’ che tu ti forbi.
70 La tua fortuna tanto onor ti serba,
Che l’una parte e l’altra avranno fame
Di te; ma lungi fia dal becco l’erba.
73 Faccian le bestie fiesolane strame
Di lor medesme, e non tocchin la pianta,
Se alcuna surge ancor nel lor letame,
more ferarum; » Lucret. Rer. nat. V,
932 o seg. - < Genus duram sumus expe-
riensque laborum, Et documenta damus,
qua simus origine nati; » Ovid. Met. I,
414 © sog.
64. NEN FAR: al opposo alla venuta in
Firenze di Carlo di Valois. Nella son-
tonza del 27 Gennaio 1302: « Vel quod da-
rent, sive expenderunt contra.... domi-
num Karolum pro renitentia sui adven-
tus. » - Ma è però sempre Dante che qui
parla. - KIMICO : «cioè ti bandirà e ti con-
fischerà i beni, e ti perseguiterà a mor-
te; » Cast.
65. LAZZI: aspri, di sapore acre. I lazzi
sorbi sono i Fiorentini, Dante è il dolce
Aco. Sfogo di orgoglio offeso.
66. AL DOLCE: Al. IL DOLCE; cfr. Z.
F., 92.
67. onbI: sull'origine di questo prover-
bio si hanno doe tradizioni. Vill. II, 1:
« Totile mandò a’ Fiorentini che volon
esser loro amico, o in loro servigio di-
atruggore la città di Pistoia, promot-
tendo e mostrando loro grande amore,
e di dare loro franchigie con molti largbi
patti. I Fiorentini malavveduti (e però
farono poi sempre in proverbio chiamati
ciechi) oredeftono alle sue false Insin-
ghe, ecc. » Secondo l'altra tradizione i
Fiorentini si lasciarono gabbare dal Pi-
sani, che offersero loro due colonne di
porfirio gnaste dal fuoco e perciò coperte
di scarlatto, le quali i Fiorentini prese-
ro, non avvedendosi che troppo tardi del-
l'inganno. Così i comm. ant. Bambgl.
crede invece che Dante chiami orbi i Fio-
rentini «ex vitio superbie avaritie et in-
vidie. »
68. AVARA: cfr. Inf. VI, 74 e seg.
69. TI FoRBI: ti forbisca, ti conservi
puro.
70. FORTUNA: « disposizione de’ cieli ; »
An. Fior.
71.raARTR: Bianchi e Neri. - FAMR: de-
sidorerannodi avorti dalla loro. Coa) quasi
tutti. Inveco Todesch.:< Amboduo lo parti
dei tuvi concittadini ti odieranno a morte,
ma non potranno riuscire nel loro inten-
to; si strazino fra loro, ecc. » Ma non è
vero che fame abbina sempre un senso
odioso e nemico. La prima interpreta-
zione merita la preferenza; por l'altra
Par. XVII, 61 e sog. Cfr. Civouta, Inf.
XV, 70 e segg. Rovereto, 1895.
72. LUNGI: non potranno sodisfare il
loro desiderio. - « Ma tal desiderio non
venne ne' Fiorentini, se non poichè Dante
fu morto. E allora fu veramente l’erba
lungi dal becco; 6 invano domandarono
a' Ravignani lo coneri sne; » Betti.
73. niestiK: chiama coal i suoi concitta-
dini, cho ogli vuole, o credo discoal da
Fiesole. - STRAMK: « storquilinium et
lectum, quasi dicat: faciant distracium
de se ipsia, et dimittant virtuosos, qui
descenderunt a romanorum sanguine ge-
neroso;» Benv.
74. LIANTA: pare che Dante voglia qui
vantarsi di discendere dagli antichi Ro-
mani che fondarono Firenzo. Vanità uma-
na! « Lui pare volore in alcuni Inoghi i
suoi antichi ossere stati di quelli Romani
che posero Firenze. Ma questa è cosa
molto incerta, e, secondo mio parere,
niente è altro che indovinare; » Leon.
Bruni, Vit. Dant. - « Dante si pretendea
disceso dal seme Romano e non dal Fie-
solano, da’ quali insieme congiunti la cit-
tadinanza Fiorentina era nata; » Ross.
144 [CERC, 7. GIR. 8]
=
INF. xv. 76-89
[BRUNETTO LATINI]
76 In cui riviva la sementa santa
Di quei Roman’ che vi rimaser quando
Fu fatto il nido di malizia tanta. »
7 « Se fosse tutto pieno il mio dimando, »
« Risposi lut, « vol non sareste ancora
Dell’ umana natura posta in bando.
82 Ché in la
La cara
Di voi, q
85 M’ insegna’
E quant!
Convien
rT Ciò che nm
E serbol
76. SANTA: « populus ille
© gloriosua; » De Mon, IT,
IV, 5, Roma la santa città, 1 avussscnali UL
vini cittadini; cfr. Inf. II, 22 o seg.
77. nimasti: ad abitarvi; confronta
Vill. I, 38.
78. NIDO: Firenze. « E nota, perchè i
Fiorentini sono sempre in guerra e in
dissenzione tra loro, che non è da ma-
ravigliare, essendo stratti e nati di duo
popoli così contrarii © nemici e diversi,
come farono gli nobili Romani virtudiosi,
e' Fiosolani ruddi e aspri di guerra; »
Vill. I, 38.
79. PIKNO: esaudito. - DIMANDO: pre-
ghiora. Se ogni mia preghiera fosse esau-
dita, voi saresto ancor vivo; cfr. v. 58
© seg.
81. DELL'UMANA: Al. DALL'UMANA « che
pare più proprio benchè men elegante.
Poi si scansa l'equivoco che indurrebbe
a pensare alla prima che ser Brunetto
fusso stato posto in bando dall'umana
natura, come que’ valentuomini decre-
tarono in Vienna contro a Bonaparte
fuggitosi dall’ Isola ad’ Elba; » Fosc. (1)
82. ACCORA: vedendo cotto il vostro
aspetto, abbruciato il vostro viso, v. 26
o seg.
84. QUANDO NEL MONDO: Al. DI VOI NKL
MONDO, QUANDO; cfr. Z. F., 92.- ADORA:
sovente; di quando in quando.
85. S'KTERNA: pet mezzo della scienza,
acquistandosi fama, cfr. Inf. IT, 58-60.
Si parla qui di gloria ed immortalità let-
toraria.
r mi nocora,
Berna
ora ad ora
erna,
mentre io vivo
si scerna,
rivo,
testo
A: Al, ADDO, — MENTRE: fin-
he
oi. LINUUA: parole, — SI BCERNA: si ri-
conosca. Ma non contralice il Poota a ud
stosso, cacciando lacara e buona imagine
paterna di Ser Brunetto tra’ Sodomiti
nell'inferno e tramandandone così il no-
me coperto d'infamia alla posterità ?
Mazz., 20: «No: Dante non contradice
punto a sò stesso, anzi dà prova dol se-
vero e rigido sentimento di giustizia da
cui è inspirato nella distribuzione dei
premi e dei castighi, delle lodi e del bia-
simo. » Il fatto è, che della sodomia di
ser Brunetto non abbiamo verun' altra
testimonianza che quella di Dante e, na-
turalmente,de’' suoi commentatori. Dante
avrà detto il vero, sì; ma perchè imitare
l'esempio di Cham, invece d'imitar l'al-
tro più bello di Sem e di Jafet (cfr. Ge-
nes. 1X, 22 eseg.)î Questo è il perno della
questione. - Barg.: « Secondo verità cro-
do, che mostrando Dante molto lodare
Ser Brunetto lo vuol vituperare in por-
petao di tale infamia, che oscura ed am-
morza ogni laude, e questo fa introdu-
cendolo tra i peccatori contro natura. E
forse ironicamente parla Dante volendo
essere inteso per lo contrario di ciò che
dice, perocchè forse avea Ser Brunetto
sotto apparenza d'insegnargli scienza
volutolo indurre in alcuna scelleranza. »
88. CORSO: vita futura. - SCRIVO: nella
mia mente; cfr. Prov. VII, 8.
89. CHIOSAR: farmelo spiegare. - AL-
TRO: le parole udite da Ciacco, Inf. VI, 64
[cERC. 7. GIR. 8]
91
97
A donna che sapra, se a lei arrivo.
Tanto vogl’io che vi sia manifesto,
Pur che mia coscienza non mi garra,
Che alla fortuna, come vuol, son presto.
Non 6 nuova agli orecchi miei tale arra;
Però giri fortuna la sua ruota
Come le piace, e il villan la sua marra. »
Lo mio maestro allora in su la gota
Destra si volse indietro, e riguardommi;
INF. xv. 90-104 [BRUNETTO LATINI] 145
Poi disse: « Bene ascolta chi la nota. »
100 Né pertanto di men parlando vommi
Con ser Brunetto, e domando chi sono
Li suoi compagni più noti o più sommi.
103 Ed egli a me: « Saper d’alcuno è buono:
Degli altri fia laudabile tacerci,
© seg., e da Farinata degli Uberti, Inf.
X, 79 © sog.
90. DONNA: Boatrice, dalla qualo saprò
di mia vita il viaggio, Inf. X, 132. - RR:
se Dio mi concede di terminare quosto
mio viaggio.
91. TANTO: lat. tantum, soltanto. Sap-
plate soltanto cho, se la min coscienza
non mi mordo, nè Jo vicende ed i colpi
di fortuna, nd le persecuzioni doi mal-
vagi non potranno mai attorrarmi, scn-
tendomi ben tetragono ai colpi di ven-
tura; cfr. Par. XVII, 19 9 neg.
92. GARRA: garrisca, riprenda como
colpevole dello mie avversità; ofr. Inf.
XXVIII, 116 e seg. « Quanto più l'uomo
soggiace all’intolletto, tanto meno sog-
giaco alla fortuna; » Conv. IV, 11.
93. resto : apparecchiato a sostenere
i colpi.
%. ARRA: pagamento, mercede (ofr.
Mazzoni-Toselli, Voci e passi di D., p. 68
© seg.) Brunetto gli ha predetto qual
mercede egli avrà del suo ben fare, v. 64,
e Dante risponde : « Non mi è cosa nuova
che avrò tal mercede. » Al. arra= ca-
parre, qui predizione, la qualo, se ve-
race, è veramente una caparra del bene
o del male annunziato.
95. GIRI: volva sua spera, cfr. Inf. VII,
96. Bartoli, Rag. acad. II, 25: «Gli an-
chi figurarono la Fortuna cho ella gi-
lfanso Sompro unn ruota per mostrare la
ma instabilità. »
96. MARRA: «quasi dicat: omnia faciant
Meir sunm, ot columeet homines mu-
19. — Div. Comm., 3° odiz.
tont vicos suas, quia ego non mutabor; »
Benv. « Faccia la Fortuna è facciano li
nomini, come piace loro, ch'io sono per
sostenero; » Buti.
98. PERTRA: avendo udito un'ottima
sontenra.
09. IRNK: Virgilio gli ripete con un
provorbio cid cho nveagli detto, Inf. X,
127 o sog. Clr. Virg. Aen. V, 710. Al:
Hai bon badato ai miei detti, Al.: Util-
mento nascolta chi bon imprime nolla
monto le parolo dei navi. Benv.: « quasi
dicat: non dixisti rurdo; magna lana oat
ista ot beno valens otis si fnceris hoc. +
Cfr. BLANC, Versuch I, 186 © seg.
V.100-124. Letterati sodomitt. Danto
dimanda a Ser Brunetto: «Chi sono 1 più
famosi do' vostri compagni?» - « È beno
conoscerne alcuno; di tutti il tempo non
concede di parlaro. Tutti farono chiorici
e celobri letterati. Vedi là Prisciano e
Francesco d'Accorso; se vuoi, puoi an-
che vedervi il vescovo Andrea de’ Mozzi.
Ma non posso allungarmi di più, chè vieno
in qua una schiera con la quale non mi
6 lecito di stare. Ti raccomando fl mio
Tesoro, nd ti domando altro. » Ciò detto
ritorna indietro veloce a raggiungere la
gun masnnda. Suppone il Poeta questi
dannati divisi in schiere secondo la gra-
vità della colpa. Il passare dall'una al-
l'altra non è loro concesso, ma devono
rimanere in eterno nella Zoro schiera.
100. PERTANTO : benchè Virgilio si fosse
volto indietro.
102.NOTI:por fama.- S0MMI: per dignità.
146 [CERC. 7. GIR. 8]
InF. xv. 105-118
[SODOMITI]
Ché il tempo saria corto a tanto suono.
106 In somma sappi che tutti fàr cherci
E letterati grandi e di gian fama,
D’un medesmo peccato al mondo lerci.
109 Priscian sen va con quella turba grama,
_E Francesco d’Accorso anco; e vedervi
Se avessi avuto di tal tigna brama,
12 Colui potéi che dal servo de’ servi
Fu trasmutato d’Arno in Bacchiglione,
Ove lasciò li mal protesi nervi.
115 Di più direi; ma il venir e il sermone
Più lungo esser non può, però ch’io veggio
Là surger nuovo fummo dal sabbione.
118 Gente vien con la quale esser non deggio.
105. A TANTO: a così lungastoria. Tanti
i letterati sodomiti |
106. cuERCI: cherici. La masnada di Ser
Brunetto si compone parte di nomini di
chiesa, como Andrea de’ Mozzi, parte di
uomini di lettoro, como Francesco d'Ac-
corso, parte di uomini di chissu o nello
stesso tempo di lettere, come Prisciauo.
108. LERCI: lordi tutti dello stesso pec-
cato di sodomia.
109. Puiscian: Priscianus Casariensia,
colubre grammatico della prima neta del
sesto secolo dell’ dra volgaro. « Fu un
grundo ruasetro in granutica, 0 foco uno
utile libro per impuraro gramatica; »
An. Sel. - « Monachus fuit et apostavit,
ut acquireret sibi maiorem famam et glo-
riam ; » Benv.- «l’erchè questo l’risciauo
non sì truova ch'elli peccasse in questo
vizio, pare che l’Auttore ponga qui Pri-
xecinno per maestri che "usegnano grani-
matica, checommunemente paiono macu-
lati di questo vizio, forse per la comodità
du’ giovani a’ quali elli 'nsegnano; » An.
Fior. Priaciano dettò la migliore gramma-
tica latina nutica (Zustilutiones gramma-
tice, cd. Krehl, 2 vol. Lips., 1819-20; ed.
Hertz, Lips., 1855-59) ed altri lavori filo-
logici di minor wole; inoltre si hauno
di lui due poemi: De laude tmperatoris
Anastasti e Periegesis (ed. Behrens in
Poeta latini minores, vol. V, Lips. 1883).
110. Accorso: Fiorentino, figlio del
celobre giurista Accuraio; insegnò il Di-
ritto a Bologna, andò nel 1273 con Edoar-
do I in qualità di professore a Oxford, ri-
tornò nel 1280 a Bologna, duve morì nel
1204. « Fu giudice in legge valentissimo,
© chiosò tutt'i libri di leggo; » An. Sel. -
« Lesse in cattedra a Bologna nel gene-
rale Studio tutti li dì della vita sua; »
Ott.- «Fuo.... maculato ancora di questo
vizio della sodomia; » An. Fier.
111. 11GNA: gente sudicia, di vizii igno-
bili. Voce dell'uso. Senso: Se tu avessi
desiderato di conoscere sì lorde persone.
112. coLur: Andrea de' Mozzi, fatto ca-
nonico di Firenze nel 1272; vescovo ivi
nel 1287; trasferito per cagione de’ suoi
vizi dal vescovado di Fironze a quollo di
Viconza nel 1295; morto a Viconza il 28
agosto 1296. < lu per questo peccato di-
sonestissimo ed ancora di poco senno; »
An. Fior. - P0TF1: avresti potuto. - sKK-
vo: Bonifacio VIII.
113, ARNO: Firenze. - BACCUIGLIONK:
Vicenza. I fiumi per le città.
114. LASCIÒ: morendo, - NERVI: geni-
tali. « Nervi enim in luxuria naturali
extenduutur licito ot logiptime cum du-
bitis circuinstantiis; sed in luxuria inna-
turali, male, nequiter, ot nephario; idov
vult dicero quod iste qui male vixorat,
malo mortuus in infamia et turpitudine
sua; » Benv.
117. FUMMO: polverìo, per la rena mos-
sa dallo scalpitar di gente.
118. GkntK: «6 un'altra schiera di
dannati alla quale Branctto non dee mni-
schiarsi, quantunque rea e condannata
per la stessa colpa di sodomia, essendo
a ciascuno de’ vivlenti contro natura as-
segnato il proprio drappello, secondo la
condizione ch'ebbero nel mondo; » Pass.
(CERC. 7. GIR. 3) Ixy. xy. 119-124 [BRUNETTO LATIN] 147
Siati raccomandato il mio Tesoro
Nel quale io vivo ancora; e più non cheggio. »
121 Poi si rivolse, e parve di coloro
Che corrono a Verona il drappo verde
Per la campagna; e parve di costoro
1% Quegli che vince e non colui che perde.
110. Tesoro: titolo dell’ opera princi-
pale di Brunetto Latini, dettata in lin-
gua francese. Al. intendono del Tesoretto,
poema allegorico-morale, dettato
è di RB. Wiese nel periodico Zeitschrift fiir
tomanische Philologie, 1883, fano, 108 2°.
Bal Tesoretto cfr. RanTOLI, Lett, ital., JI,
201-200 ; anl Tesoro, ivi, 1I1, 27-22. A. Do-
meu, Ft Tesoro nelle opere di Dante,
Fener., 1896. Altre opere del Latini o
i bal attribuite: L' Etica di Aristotile ri-
dotta in compendio, ed. del CORMNELLI
Lione, 1508; ed, del Manni, Firenze,
Dell'invenzione rettorica di Cice-
trad. da B. Lat. Roma, 1546, Il
rotto! a di scherzo e di
sembra roba ana. Vedi il bel
Sundhy, più addietro citato
. 22-54 dol prea. canto).
: nella fama di quoat'opera.
APPO: spettacolo popolare
soles farsi ogni
ca di quaresima,
im; « Eaponi debent qua-
primum sit V1 bra-
sambogati et fini;
Ate
|
i
"{
i
!
È
I
il
ad quod curretur per mullerea honeatas,
etiam si osset uns. » Cfr. PAnentt in
Cod. Cass., p, Lt. Barozzi in D, e il suo
see., p, 811. Belviglieri in Albo Dant. Ve-
ron., p. 153,
124. vince: tanto corrova veloce,
« Vidi aliquando viros sapiontea ma-
Eni literaturm conquorentes, et diron-
tes, quod pro certo Dantes nimis male
locutns est hic nominando tales viros, Et
certo ego quando prima vidi literam
istam, satia indignatus fui; sed postea
experientia teste didici, quod hic sa-
pientissimus poeta optime focit. Nam
MCCCLXXV, dum essem Bononim, et
logerem librum istum, reperi aliquos ver-
mes natos de cineribns sodomorum, infi-
cientes totum illud stadium: neo valens
dintiva ferre firtorem tantom, cuius fu-
mus jam fascabat astra, non sine gravi
perienlo meo rem patefoci Tetro cardi-
nali Bituricensi, tune legato Rononi:n ;
qui vir magno virtutia et scientim de-
testans tam nblominabile scelus, man-
davit inquiri contra principales, quorum
aliqui capti sunt, ot multi territi diffoge-
runt, Et nisi quidam sacerdos proditor,
cui erat commissum negotinm, obvinsset,
quia laborabat pari morbo cum illis, multi
fuissent traditi flammis ignis, quas si vivi
effagerunt, mortni non evadent hic, nisi
forte bona peenitudo extinserit aqua la-
crymarum ct compunctionia; » Benr.
Ramb.
145 [CERC. 7. GIR. 3)
INF. XVI. 1-7
(sonomir1)
CANTO DECIMOSESTO
—————
ORRATTA QEMPTIMO
GIRONE T
GUIDO GUERRA, T
CA
id cera i
Doll'a
Simile « ----
JONTRO NATURA
DI E JACOPO RUBSTICUCOI
| GERIONE
imbombo
ltro giro,
-sa.- —Nno rombo;
4 Quando tre ombre insieme si partiro,
Correndo, d’ una torma che passava
Sotto la pioggia dell’ aspro martiro.
7 Venian vér noi, e ciascuna gridava:
V. 1-27. Ultra schiera di nodoniti,
Procedendo lungo l'argine, incontrano
un'altra schiora, dalla quale tre si sco-
stano por parlare a Dante, cui Virgilio
esorta di essoro loro corteso, perchè già
nomini di grando affuro. Socondo Petr.
Dant. è questa la schiora dei sodomiti
che peccarono agendo cum bestia, vel cum
mulieribus el uxroribus suis alio modo
quam natura disposuerit. Mu di questo
principio di divisione non c' è indizio nel
poema. Il principio della divisione sembra
essere piuttosto la qualità e professione
dei dannati: prima i cherici e letterati,
poi i guerrieri e gli nomini di Stato. Così
Ott., Tiag., ecc.
1. GIA: appona congedato da Brunetto.
2. Gino: cerchio ottavo.
3. ARNIK: le cassette delle api; qui per
le api stesse, ronzanti intorno agli al-
veari. I] rimbombo dell'acqua cadente
ora simile a quel rombo che fanno le api.
A&NIK leggono colla gran maggioranza dei
codd. quasi tutti i comment. (Bambgl.,
An. Sel., Lan., Cass., Boce., Falso Boce.,
Benv., Buti, An. Fior., Serrav., Land.,
Tat., Vell., Dan., Cast., ovc.) 0 quasi tutte
le oiliz. Zac. Dant. logge con pochi codd.
L'avi, il Barg. L'ARVIE 6 VOU. L'AUMEK,
lezione difesa dal Gelli e da 7. F., die
seg. I codd. avendo ordinariamente arme
è diflicilo decidoro se s' abbia da leggore
arnie oppure arme. Cir. Moon, Orit.,
312 © seg. - ROMBO: voce onomatopeica,
esprimente quel romoro confuso che fan-
no le api. Del rombuidelle api Virg. Georg.
IV, 260-63:
«Tum ronus auditur gravior tractimque eus-
{surrant,
Frigidus ut qucndam eilvis inmurimurat auster,
Ut mare rollicitum etridit refluentibue undis. »
4. tnx: Guido Guorra, Tegghiajo Al-
dobrandi e Iacopo Rusticucci. - BI Patt
Tito: si staccarono da'loro compagni.
5. CORRENDO: non è lor concesso di fer-
marsi, cfr. Inf. XV, 37 e sog. - TORMA:
trappa di porsono. Voce usata dagli an-
tichi anche in persona. Al. TURMA; Al.
TURBA.
7. VEN{aNn: lacostrnziono non è troppo
chiara. Alcuni: « Quaudo da una torma,
(CERC. 7. GIR. 3]
INF. XVI. 8-23
[TRE FIORENTINI] 149
« Sòstati to, che all’abito ne sembri
Essere alcun di nostra terra prava, »
10 Aimè, che piaghe vidi ne' lor membri
Recenti e vecchie dalle fiamme incese!
Ancor men’ duo], pur ch'io me ne rimembri.
13 Alle lor grida il mio dottor s’ attese,
Volse il viso vér me, e: « Ora aspetta, »
Disse, « A costor si vuole esser cortese.
16 E se non fosse il foco che saetta
La natura del loco, io dicerei
Che meglio stesse a te che a lor la fretta. »
19 Ricominciàr, come noi ristemmo, ei
L’ antico verso; e quando a noi fiir giunti
Fenno una ruota di sé tutti e trei.
22 Qual sogliono i campion' far nudi ed unti
Avvisando lor presa e lor vantaggio,
che passara sotto la pioggia dell' aspro
martiro, si partiro tre ombre insieme cor-
rendo, » Altri: «Quando tre ombre parti-
rono Insieme da ona torma, cho passava
sotto la pioggia dell'aspro martiro, e,
correndo, vennero verso noi. » Il KRoer.:
* Quando da quella stessa torma che co-
strinse Bronetto a partire, la quale pas-
savasotto la tormentosa pioggia di fuoco,
a partirono insieme correndo tre ombre,
per venire incontro ni poeti. »
8. sòstATI: formati, - ALL'ANTTO: al
vestire. « Anticamente il loro vestire ed
ibito (lei Fiorentini) era il più bello e no-
bile è onesto che di ninna altra nazione,
4 modo di tognati Romani;» Vill. XII, 4.
d. tema: Firenze. - rnava: perchè
divisa in fazioni. O si riferisce forse al-
l'ubito? « Per natura siamo disposti noi
van! cittadini delle mutazioni de' nuovi
Abiti, è i strani contraffare oltre al modo
dlogni altra nazione, sempre traendo al
disonesto @ a vanitade; » Vill. XII, 4.
10. memuri: « si può intendere di tutti
| membri, ot ancora de'merbri genitali,
| quali avevano male usati, cioò contra
Maturi; > JVufé.
11, twceme : accese dalle fiammo. Incese
Podi eso Praga la braci
Yano) 101» Tom.
cn
12. run: solo che me ne ricordi ; efr.
Inf. I, 6; XIV, 78; XXXIII, 5,0, eco.
13. S'ATTESR: si fece attento, ovvero:
si fermò.
14, ona: così | più; al. Disse ASTET-
TA; DISSE ORA ASI'ETTA 1IB88K, ecc. Cfr.
Moone, Crit., 313 © seg.
15, CORTESE: aspettandoli ed ascoltan-
doll con riverenza,
16. sk NON: ti esorterei a correre tu
incontro a loro, se la pioggia di fnoco non
te lo vietasse; trattandosi di personaggi
tanto ragguardevoli.
19, RI: eglino, Al. ner! o wey! l'antico
verso che ripetono continuamente. Così
il più dei com. ant. Non sembra facile de-
cidere ae quell'ei sia pronome o interje-
giono. Cfr. BLANC, Versuch I, 139, è seg.
20, verso: o quell’ uct! oppure i soliti
lamenti interrotti un istante per parlare
al Poeta.
21. nuOTA: girando intorno sopra sò
stessi, essendo loro vietato di arrestarsi
mai; cfr. Inf. XV, 37. - TRRI: tre.
22, BOGLIONO : Al, BUOLEN, 6 può stare;
Al. SOLIENO, 0 SOLRANO; ma |! passato
non pod stare col pros, sien di intti | cod,
è com. - CAMtrioN', lottatori, Pogili o I'a-
lestriti. - xUDI Kb UNTI: por dar meno
presa. « Exercent patrina oleo labente
palmstras Nodati socii; » Virg. Aen. III,
281 © neg.
23. AVVISANDO: badando nl modo di
150 ([CERC. 7. GIR. 8]
— = —
Inr. xvi. 24-37
[TRE FIORENTINI]
Prima che sien tra lor battuti e punti:
25 Josì, rotando, ciascuna il visaggio
Drizzava a me, sì che in contrario il collo
Faceva a' piè continuo viaggio.
28 « E se miseria d’ esto loco sollo
Rende in dispetto noi e nostri preghi, »
Comino
31 La fama
A dirne
Così se
a4 Questi, ]
‘Tutto
Fu di
87 Nepote
prender l'avveraario cor
acse permonsi oculia, of
Speravere locum; » Sta,
@ sog.
24. CHE 8SIKN: prima di venire all' at-
tacco, di percuotersi e pugnarsi.
25. KOTANDO: girando in cerchio. - VI-
8AGGIO: viso; forma antica.
26. IN CONTRARIO: correndo in cerchio,
per poter vedore in viso Dante, furmo
sull’argine, erano costretti a volgere sem-
pre il collo in direzione contraria ai pic-
di. « Atto libero è quando una persona
va volentieri ad alcuna parte, che si mo-
stra nel tenere volto lo viso in quella:
atto sforzato è, quando contro a voglia
si va, cho si nostra in non guardaro nella
parte dovo si va; » Cono. 1, 8. Jienv., leg-
ge: sì CHK CONTRARIO, occ. L' An. Fior.:
BÌ CHK CONTHARKIO AL COLLO FACKANO I
rib, ottima lezione, alla quale non manca
cho l'autorità doi codd. o di altri comm.
antichi. Cir. 4. #., 95 o seg.
V. 28-45. Tre Kiorentint illustri.
Parla l'uno degli spiriti in nome dei tre:
« Quand' anche il luogo dove siamo ed il
nostro aspetto scorticato ci renda spre-
gevoli, la nostra fama t'induca a dirci
chi tu sei. Questi che mi precede è Guido
Guerra; quest'altro che mi vien dietro ò
‘Tegghiajo Aldobrandi, ed io sono Tacopo
Rusticucci, » Del secondo e del terzo
Dante aveva dimandato a Ciacco, cfr.
Inf. VI, 79 © seg.
28. R8k: anche dato che. I tre non po-
tevano ancora saperlo. Al. sebbene (1);
Al. x, #k= E l'uno cominciò: se miso-
aspetto e brollo,
pieghi
vi piedi
freghi.
ni vedi,
vada,
n non credi.
rada:
i, Al. Din, an; cfr. 2. F., 00. -
forse dal Int, supum; cedarole,
i, Al. dal Brettone gol; basso,
pews. Più probabilo la prima Inter-
pretazione.
29. RENDE: ci fa parer degni di di-
sprezro.
30. TINTO: porché cotto ed abbruciato,
Inf. XV, 26 eseg.- BROLLO: nudo e dipe-
lato, v. 35; scorticato, cfr. Inf. KX XIV,
59 e seg. Purg. XIV,91.CUfr. Encicl., 263.
82. FREGHI: stropicci = cammini vivo
per l'inferno senza abbruciarti. I dannati
non hanno che l'apparenza de’ piedi;
Dante piedi vivi.
35. DIPELATO: « quia scilicet erat totus
spolintus capillis, barba. ot omnibus pi-
lis; » Benv. Al. nivkiua to. Era forse
senza pollef
37. GUALDRADA: figlinola di messer
Bellincione Berti de’ Ruvignani, ch'era
il maggiore è’ più onorato cavaliere di
Firenze (cfr. Par. XNV,112 © sog.), mogliv
dol conte Guido il vecchio, da cul disee-
sero tutti i conti Guidi; cfr. Vill. V, 37.
Amamnirato, Albero e Storia della famiglia
de’ conti Guidi, Fir., 1640. Fu madre di
quattro figliuoli, tra' quali il padre di
Gaido Guerra, che il Vill. chiama Rug-
geri, altri Marcovaldo conte di Dovadola.
«IlConteGuido vecchio prese per moglie
la figliuola di Messer Bellincione Uberti
do’ Ravigniuni,.... la quale ebbe nome
Gualdrada, la quale egli tolse per mo-
glie per una ‘leggiadria, che le vidde
fare nella cattedralo Chiosa di Firenze
ad una festa, alla quale era Otto IV im-
[cERC. 7. GIR. 3)
INF. xvi. 38-50
[TRE FIORENTINI] 151
Guido Guerra ebbe nome, ed in sua vita
Fece col senno assai e con la spada.
40 L'altro che appresso a me l'arena trita
E Tegghiajo Aldobrandi, la cui voce
Nel mondo su dovria esser gradita.
43 Ed io che posto son con loro in croce
Jacopo Rusticucci fui; e certo
La fiera moglie più che altro mi nuoce. »
46 Se io fussi stato dal foco coverto
Gittato mi sarei tra lor di sotto,
E credo che il dottor |’ avria sofferto.
40 Ma perch’ io mi sarei bruciato e cotto,
Vinse paura la mia buona voglia
peradore. Era la fanciulla in compagnia
di donne, ed era molto bella; il Conte
la motteggiò di volerla baciare; la fan-
cinlla disse, che nè elli, nè altri potrebbe
cid fore, ne ano marito non fosse; onde il
Lo stesso raccontano pure Vill., Boce.,
Bene., eco.
8. Gurno Guerra: valoroso 6 prode
soldato, duco dei guelfi di Firenze, che
nel 1255 scacciarono | ghibellini da Arez-
ro, Fill. VI, 61. Bandito poi da Firenze,
in Firenze, Vill. VII, 9. Cfr. Fil. Vill.
Vit., sce, s. v. Com. Lips. I, 158. Del
satzo suo vizio ne tocca il solo Dante!
* Guido Guerra de' Conti da Modigliana,
che fn ee any ad Guelfi di Firenze e di
Mesi. Saal Jero capitano, tornò con
loro in Firenze; » An. Sel. — « De chonti
Valdi; » Jac. Dant. - « Fra l'altre cose
che sì narran del detto Guido, si dice
e perdo sno senno è
rinse in Puglia lo re Manfre-
i» Lan.
40. Terra: calpesta; cammina e gira
calcando la rena.
ee Aigle dogli Adi-
mari, cavaliere valoroso 6 nomo piace-
Yolo, savio è prode in armi, e molto auto-
fevole ; efr. Vill, VI, 77. Anche di costui
Dante è l'unico accusatore « Fu fioren-
tino de’ Maviccinoli, e allora era de' mi-
Mini sarvalieri di Toscana; » An, Sel. -
* Degli Aldobrandeschi, li quali sono
gentili uomini di Firenze; fu valorosa e
Ravia persona; » Lan. - voce: se i Fio-
rentinigli avessero dato retta, non avreb-
bero sofferto la terribile sconfitta di Mon-
t'Aperti.
43. rosto: tormentato: confr. Inferno
XXXIII, 87.
44. RUSTICUCCI : ricco ed onorato cava-
liere Fiorentino. Dicono che avesse mo-
glie ritroan, dalla qnale si separasse per
darsi poi al vizio di sodomia. Giova con-
frontare quanto in proposito raccontano
Petr. Dant., Benv., eco, Confr. Eneci-
cl. 980,
46-90, Corruzione di Firenze, Dante
risponde alla dimanda fattagli (v. 32 è
Bog.}: «Sono vostro concittadino ; lo sem-
pre udito e raccontato con affetto le opere
vostre; faccio questo viaggio per conse-
guirelasalvazione.»-« Dinne, come stan-
no le cose a Firenze? Guglielmo Borsiere
ne recò teaté novelle che ci nttristano, » -
«Firenze è del tutto corrotta!» - « Sai
rispondere ottimamente, Rinfresea la no-
stra fama su nel mondo. » - Ciò detto fug-
gono via reloci,
46. COVERTO: coperto, riparato dalla
pioggia infoocata di laggiù.
47. D1 80TTO: dalla ripa, nel sabbione,
e ciò per reverenza; cfr. Inf. VI, 81. Da
questi versi l'An. Fior. inferisco «l'Aut-
tore casere stato maculato di questo vi-
zio » (!!).
48, cakbo : inferendolo dalle parole di
Virgilio, v. 16 © seg.
60, raurA: di essoro bruciato per le
fiamme, è cotto per l'arsione dol sabblo-
ne. = VOGLIA: di gittarmi tra lor di sotto,
bramoso di nbbracciarlo.
L'ovra di voi è gli onorati nomi
Con affezion ritrassi ed ascoltai.
GI Lascio lo fele, e vo per dolci pomi
Promessi a me per lo verace duca;
Ma fino al centro pria convien ch’ io tomi. »
04 « Se lungamente l’anima conduca
Le membra tue, » rispose quegli allora,
« E se la fama tua dopo te luca,
37 Cortesia e valor di’ se dimora
Nella nostra città sì come suole,
O so del tutto so n’ è gita fuora;
52. DISPETTO: come voi sombrate sup-
orre, cfr. v. 28 è seg. - IUGLIA : Com-
ussiono.
68. CUNDIZION: il misero vostro stato
| questo spaventevole luogo. - Fiasx:
stò nel cuore.
54. DISPOGLIA: si dilegua. La doglia
illa vostra condizione durerà lungo
mpo a dileguarsi dall’ animo mio.
55. TOSTO : subito che udii dire da Vir-
‘lo che voi foste persone ragguardevoli.
56. PAROLE: quello dettogli da Virgilio,
16 e seg. - PKENSA1: inferii che venissero
mini ragguardevoli quali voi siete.
:8. TEKRA : Firenze. Risponde alla di-
nda fattagli da Rusticucci, v. 82 è sog.
9. L'OVRA: le vostre opere pubbliche
iolitiche.
0. RITMASSI: raccontai, cfr. Inf. IT, 6;
, 145. - ASCOLTal: raccontato da altri.
1. FELR: del male. - roms: del bene;
Purg. XXVII,115: XXXUF 7: »:
76 e seg. <« Questo dice l’autor mo
cioò che lascia la viziosità, signi
l'inforno, che è amara più che
por le virtà promesso a lai pei
ne, significata per Virgilio, la q
l'uomo nelli atti virtuosi, li q
dolci; ma prima li conviea ve
distinzione o particolarità di pe
nanzi che se ne possa o sappia g
et andare alle virtù; » Buti.
64. sx: deprecativo ==coeì ta:
gamente, © così risplenda la |
dopo la tua morte.
65. QUKGLI: che aveva sin qui
ciod il Rusticacei.
67. CORTRSIA : onesto e virtue
re. « Cortesia o onestade è tut
perocché nelle corti auticamen
tudi © li belli costumi s'usavana
oggi s'usa il contrario), si tols
vocabolo dalle corti; e fu tanto a
(CERC. 7. GIR. 3]
Inr. xvi. 70-80
[TRE FIORENTINI] 158
70 Ché Guglielmo Borsiere, il qual si duole
Con noi per poco, e va là coi compagni,
. Assai ne cruccia con le sue parole. »
73 « La gente nuova, e i sùbiti guadagni,
Orgoglio e dismisura han gonerata,
Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni. »
76 Così gridai con la faccia levata;
E i tre, che ciò inteser per risposta,
Guatér l’un l’altro, come al ver si guata.
79 « So l'altre volte si poco ti costa, »
Risposer tutti, « il satisfare altrui,
70. BORSIRRE: valoroso e gentile cnva-
liere fiorentino; cfr. Bocc. Decam. I, 8.
«Fa uno maestro fiorentino, che dimo-
rava a Ravennaed ora morto di que’ dì ; »
An. Sel. - « Alchuno valorosso homo di
chorte: » Jac. Dant. - « Fu cavalier di
corte, uomo costumato molto © di lau-
devol maniera; ed era il suo esercizio,
e degli altri suoi pari, fl trattar paci tra
grandi e gentili uomini, trattar matri-
monj e parentadi, e talora con piacevoli
© oneste novelle recreare gli animi de’ fa-
ticati, e confortargli alle cose onorevo-
Hi; > Boce. - « Fuit qnidam civis fiorenti-
nus, facions bureas, vir socundum facnl-
tatem suam placibilis et liberalis; qui
tractu temporis habens odio otticium bur-
sarum, quibus clauditur pecunia, factus
est homo curialis, et ccepit visitare ou-
rias dominorum et domos nobilium; »
Bene. Vedi pure Maxni, Stor. del De-
cam., p. 177-81. Encicl., 252 © seg.
71. PKR roco: da poco tempo in qua.
e Par che morisse vecchissimo verso il
1300; » Tom. Cfr. Inf. X, 100-108. Al.:
per poca colpa; così p. es. Bocc. < Istud
non videtor verum, quia est de grege
istorum, qui gravins deliquerunt quam
primi; » Benv. La lez.: K xON YER POCO
è inattendibile, quantunque patrocinata
e difesa a modo sno da Z. F., 97 6 wz.;
ofr. Fanfani Studj ed Oss., p. 154 e neg.
~ COMPAGNI: non si era sepnrato dalla
torma, come focero i tre per venire in-
contro a Dante.
72. cruceta: Al. crucia: ci affligge
asani con lo ano parolo che ci dipingono
corrotta la nostra città.
73. NUOVA: o vennta di poco ad abitare
Firenze, come { Cancellieri trapiantativi
nel 1300 da Pistoja; ofr. Vill. VIII, 28;
oppure vonuti sn da piccolo stato, cfr.
Par. XVI, 50 e seg. Più probabile la pri-
ma interpretazione. Confr. Dri Lunoo, ’
Dante ne’ tempi di Dante, p. 1-182. - 8ù-
BIT1: ricchezze accumulate in breve tem-
po nelle civili turbolenze. « È che altro
cotidianamente pericola e uccide le città,
le contradi, le singulari persone, tantu
quanto lo novo raunamento d’avore appo
alcuno?» Conv. IV, 12.
74. ORGOGLIO R DISMISURA : il contrario
della cortesia e del valore, v. 67. Sulla die-
misura cfr. Par. XV, 97-129. « Suditi gua-
dagni ne accenna l'avarizia; orgoglio è si-
nonimo di superdia ; o dismisura è quello
oltrepnssaro la ginsta omulas. che declina
all’invidia; » Ross. Cfr. Inf.VI,74 e seg.
76. GIÀ: nel 1300; cfr. Vill. VIII, 39.
- TEN PIAGNI: te ne duoli.
76. LRVATA: in alto, verso la direzione
di Firenze. Inoltre « fuit signum doloris
et irm. Dolebat enim aotor quod rustici
venissent ad civitatem, ct ipse et alii no-
bilesoxularent; » Benv.« Dignitosamente
levò il capo, come avvicne a chi è per dire
qualche gran sentenza; » Betti.
77. INTESRR: compresero che la mia
apostrofe a Firenze era la risposta alla
loro Anmanda.
78. GUATÀR: dolorosamento stupefatti.
- COMK: come chi ode una novità impor-
tante che gli par incredibile, ma della cui
vorità non può dabitare. Vent.: « Facen-
dosi coll’ occhio 6 col volto quel segno di
approvazione che suo) farsi all' udire una
cosa cho si tiene per vera e dogna di ri-
sapersi. » « INi obstipuoro silontes Con-
vorriquo oculis intor no atqyno orn tono-
bant;» Virg. Aen. XI, 120 e seg. « Fixos-
que oculos per mutua paulum Ora te-
nent: » Stat. Theb. II, 173 © seg.
80. SATISYARE: il rispondere in tal
modo alle dimande che altri ti fa.
154 [cERc. 7. GIR. 8]
Inv. xvr. 81-94
[TRE FIORENTINI]
Felice te, che sì parli a tua posta!
82 Però, se campi @’ esti lochi bui
E torni a riveder le belle stelle,
Quando ti gioverà dicere: “ Io fui, ,,
8h Fa’ che di noi alla gente favelle. »
Indi rupper la ruota, ed a fuggirsi
Ale sembiaron le lor gambe snelle.
88 Un ammen non saria potuto dirsi
Tosto così, com’ ei furon spariti;
Perché al maestro parve di partirsi.
91 To lo seguiva; e poco eravam iti,
Che il suon dell’acqua n’ era sì vicino
Che per parlar saremmo appena uditi.
04 Come quel fiume che ha proprio cammino
81. rosTa: a tao talento. In poche pa-
role Dante ha dato piena risposta alla di-
manda fattagli, v. 67-69, e nello stesso
tempo indicate le cause a le conseguenze
dello condizioni di Firenzo. Secondo altri
le parole contengono un elogio dolla sin-
cerità del Poeta ed una predizione, che
tal libero parlare non gli sarebbe sempre
costato sì poco, come questa volta. Ma
per disgrazia il parlar liberamente è di
rado atto a satisfare altrui. « Parendo
loro, ch' egli avessi trovata veramente
la causa per la quale era tanto peggio-
rata Firenze ne' costumi e nel modo di
vivere, e dipoi espressola con sì brevi
parole e con modo tanto efficace di dire,
gli risposero tatti iusieme a una voce,
cho la sua era una grandissima felicità,
so ogli soddisfucova con sì puca fatica a
tutti quegli che lo domandavano di qual-
cosa si volesse, v parlava in così fatta
maniera a sua posta e qualunque volta
ei voleva; » Gelli.
82. ak: deprecativo. - Cami: ti salvi
da questo buio inferno.
84. DICKUK: il potor dire di aver vedato
ed udito ciò che tu vedi ed odi in questo
mistico tuo viaggio; Virg. Aen. I, 203:
« Forsan etluec olim meminisse juvabit. »
85. FAVRLLR: parli. I dannati sono bra-
mosi di fama nel mondo e si manifestano
al Poeta nella sporauza che egli ne rin-
freschi la memoria; i soli traditori desi-
derano di essere del tutto dimenticati,
Inf. XXXII, 94, onde non si manifesta-
no che nella speranza di far infamare i
loro nemici; cfr. Yaf. XXXIV, 7 e sog.
86. RUPPRR: sciolsero il cerchio che fa-
Cevan «i ad, v. 21, e fuggirono con tanta
fretta, come se le veloci loro gambe fos-
sero state ali.
87. ALK: « Pedibus timor addidit alas; »
Virg. Aen. VIII, 224.
88. AMMEN: « In un ammen usasi tnt-
tora da tutti per in un attimo, in brevis-
simo tempo; » Fanf. Senso: Scomparvero
in un istante, dovendo anche essi rigiu-
gnere la loro masnada, cfr. Inf. XV, 41
e seg., 121 e seg. « Sic ait dicto citius tu-
mida wquora placat; » Virg. Aen. I, 142.
00. PARVE: è fl lat. visum est = giudicò
opportuno.
V.91-136. Lu corda di Dante, segno
a Gertone. Giungono sull'orlo dell'alta
ripa, dove si odo il romore del Flogetonte
che si precipita giù nell'ottavo cerchio.
Quivi Dante si scioglie da una corda che
aveva cinta intorno, ela porge a Virgilio,
il quale la butta giù nell’ ottavo cerchio.
A tal seguo vien su nuotando per l' aero
un orribil mostro, che 6 Gerione, il cu-
atode del gran regno dei frodolenti.
93. PER PARLAL: parlundo ci saremmo
appena uditi l'un l’altro, tanto grande
essendo il fracasso della cascata del Fie-
getonte.
04. FIUMR: il Montone, o piuttosto un
ramo di esso che nomasi Acquacheta, -
PROPRIO CAMMINO : che vadadirettamente
al maro, poichò tatti i flumi tra il Po ed
il Montone dalla sinistra parte dl A pen-
nino, entrano in Po e non hanno proprio
corso. Cfr. Pareto in D. e il suo sec. pag.
565; Barlow, Contrib. pag. 133; Bertini,
[cenrc. 7. GIR. 3]
‘Inv. xvr. 95-107
[CORDA DI DANTE] 155
Prima da monte Veso in vér Jevante
Dalla sinistra costa d’Apennino,
97 Che si chiama Acquacheta suso, avante
Che si divalli giù nel basso letto,
E a Forlì di quel nome è vacante;
100 Rimbomba là sovra San Benedetto
Dell’alpe, per cadere ad una scesa,
Ove dovria per mille esser ricetto:
103 Così giù d'una ripa discoscesa
Trovammo risonar quell’ acqua tinta
Sì che in poe’ ora avria l’orecchia offesa.
100 Io avea una corda intorno cinta,
E con essa pensai alcuna volta
Nota dichiarativa, Torino, 1871. NADIANI,
Jaterpretazione dei versi di Dante sul fiu-
me Montone, Mil., 1894. Bull. IT, 2, 105 è
seg. Bass. 78 6 seg.
Di. Mowte Verso: Int. Mone Vesulus,
oggi Monviso, nelle Alpi Marittime, dove
nasce il Po.
IT. sUsO: in alto, prima che enda nella
08. LETTO: piannra della Romagna.
Mi. è VACANTR: poridondolo, porn ner
for quello di Montono. Ufr. Purg. V
Virgilio, del Tevere, Aen. VIII, Ses:
*Amlisit verom vetus Albula nomen. »
E Lucano, del finme Isara, Phars.1, 401 :
Her mquoreas nomen non pertulit un-
»
100, Sax BrxEDETTO: monastero sui
fianchi dell'Appennino, al disopra di
Forlì. Dipendeva al tempi di Dante dai
conti Guidi.
Jo. scesa: precipizio, dove il finmo
Precipita dal monte giù in ona valle.
102, ove: nel monastero di San Rene-
Ipo, - nOvRIA : a motivo delle
e «Io fui già lungamente in dob-
ciò che l' antore volesse in questo
ey dire; pol per ventura trovatomi
detto monastorio di san Benedetto
con l'abate del Inogo, ed egli
che fu già tenuto ragionnmento
conti, 1 quali son signori di
Alpe, di volore nasai presso di
luogo dove quest'acqua cade, sic-
in lnogo molto comodo agli abi-
un castello, e riducervi entro
da torno di lor vassalli : poi
colmi che questo, più che alcun de-
di
spri
uf
‘mori
gli altri, motteva innanzi, è così il ra-
gionnmento non ebbe effetto: è questo
è quello che l' autor dice; » Foce. Così
pure Beno. Si comprende che quell’ abate
non disso: La Badia è grande, | monaci
son pochi, — « Dovea esser ricetto, cioè
ricettacolo per mille monaci, attendendo
le grandi rendite di quel monastero ; »
Barg. Cir. Serrav., p. 210, col. 2. BLANC,
Veretch 1, 141 © sog. SoLtTRO. Nuova di-
chinrazione, neo, Trinste, 1806,
104. rROvAMMO: così i più; nl. BRN-
TIMMO, UDIMMO, RITROVAMMO, FACRVA
RISONARE, ecc. Cir. Moonr, Crific., 815.
= TINTA: di color sanguigno, cfr. Inf.
XIV, 78, 134.
105, sì cur: quel fracnaso era talo,
che in poo'ora ci avrebbe storditi.
106. conpa: il cordone dell'ordine di
8. Francesco. « Dante.... fo frate mino-
re; ma non vi fece professione nel tempo
della sua fanciallezza ; » Buti, I, 438, «Per
questo apparo che") nostro antoro infine
quando era garzone s'innamorasse de la
a. Sorittura; e questo credo che fnsse
quando si foce frate dell'ordine dis. Fran-
céesco, dol quale nacitte inanti cho facesso
professione ; » Ruti, IT, 735. Gli antichi
(Bambol., An. Sel., Jac, Dant,, Lan., Ott,,
Petr, Dant., Cast., Benv., An. Fior., eco.)
accusano n questo Inogo Dante ili frode
usata verso le donne, di eni vogliono che
la corda rin simbolo. Per il più dei mo-
derni la corda simboleggia una qualche
virtù che Dante buttò vin!! Cfr, Com,
Lips, I, 107-170. W. W. Venxon, Rea-
dings I, 567-76.- Il cingolo di Dante in
Serrav., p. 213.
107. rexsar: se la lonza figura la lus-
156 (CERC. 7. GIR. 8]
INF. xvi. 108-126
.[CORDA DI DANTE]
Prender la lonza alla pelle dipinta.
109 Poscia che l’ ebbi tutta da me sciolta,
Si come il duca m’avea comandato,
Porsila a lui aggroppata e ravvolta.
112 Ond’ ei si volse in vér lo destro lato,
E alquanto di lungi dalla sponda
La gittò giuso in quell’alto burrato.
115 « E pur convien che novita risponda, »
Dicea fra me medesmo, « al nuovo cenno
Che il maestro con I’ occhio si seconda. »
118 Ahi quanto cauti gli uomini esser denno
Presso a color che non veggon pur l’opra
_ Ma per entro i pensier’ miran col senno!
121 Ei disse a me: « Tosto verrà di sopra
Ciò ch’ io attendo, e che il tuo pensier sogna
Tosto convien che al tuo viso si scopra. »
124 Sempre a quel ver c’ ha faccia di menzogna
De’ l’ uom chiuder le labbra quant’ ei puote,
Pord che senza colpa fa vergogna.
suria, il senso sarà: Vestendo l'abito di
S. Francesco mi lusingai di poter vincere
le tentazioni della carne. Dato poi che
la lonza figuri, come nella Bibbia, I’ in-
credulità, il Poeta direbbe: Crodetti di
farmi credente, facendomi Francescano.
108. LONZA: cfr. Inf. I, 32-43.
109. SCIOLTA: avendo veduti molti
cherci nol centro doi sodomiti, cfr. Inf.
XV, 106, riconobbe che l'abito ecclesia-
etico nulla giova contro le tentazioni,
onde se ne sciolse dol tutto.
111. AGGROPLATA : fattone un gomitolo,
per poterla gettar giù nel burrato. Do-
veva dunque ben essere una vera corda.
112. pkstno: dovendo scagliare la cor-
da colla dostra.
113. LUNGI: porchd non si appiccasse
a qualche scoglio o sterpo prominente
dalla sponda, ma cadesse giù dove era
Ciorione.
114. LURRATO: cfr. Inf. XII. 10. «In
aliud fussum obscurum et buratu ; » Benv.
Altrove baratro; cfr. Inf. XI, 69.
115. NOVITÀ: alcun cho di strano ed
insolito.
116. NUOVO: anche qui nel senso del
lat. novus = insolito, non mai visto. È la
prima e l'unica volta cho Virgilio ac-
cenna col gettare un oggetto. A ȓ inso-
lito cenno Dante si aspetta con ragione
di vedere cosa insolita.
117. SECONDA: segue coll'occhio per
vedere se il cenno sia inteso.
118. CAUTI: persino ne’ loro pensieri.
119. L’orta: atti esteriori e parole
profferite.
120. MIRAN: penetrano con l'acume
della mente entro l'altrui pensiero, qua-
si partecipi della potenza di Dio il quale
tutto vede.
122. souNA: vede quasi per sogno,
Dante ai aspettava alcun che di insolito,
ma di Gerione non sapeva ancor nulla.
124. FACCIA: aspetto, apparenza. «Spes-
se volte la verità ha faccia di bagia....
Tal verità déi dire che ti sia creduta, chd
altrimenti ti sarebbe reputata por bu-
gia;» Albert. Giud. da Brescia in Nannue.
Man. II?, p. 49. « La veritade ha molte
volte faccia di menzogna; » Bono Giamb.
in Nannue. ibid., p. 425.
125. CHIUDER: tucere. Non si devono
raccontare coso incredibili, benchè vere,
poichd «la veritade non creduta, bugìa è
tenuta; » Albert. in Nannue. |. c., p. 40.
- PUOTK: in date circostanze non può;
anche Dante questa volta non può. Al.
FINCH’ KI PUOTK.
120. venGoGna: passando por bugia.
[cERO. 7. GIR. a]
Inr. xvr. 127-136
[GERIONE) 157
127 Ma qui tacer nol posso; e per le note
Di questa commedia, lettor, ti giuro,
S' elle non sien di lunga grazia vote,
130 Ch'io vidi per quell’aer grosso e scuro
Venir notando una figura in suso,
Maravigliosa ad ogni cor sicuro,
133 Si come torna colui che va giuso
Talora a solver Ancora che aggrappa
O scoglio od altro che nel mare è chiuso
136 Che su si stende, e da piè si rattrappa.
L'incredibile è qui, che la sozza imagine
di frode anle all'invito del cordone di
San Francesco.
127. NOTE: parole in rima, versi che si
eantano. Confr. Inf. XIX, 118. Parad.
XIX, 98.
128, commEDÌa : coll' accento sull'i alla
greca. 1) giaramento è : Poasa perire que-
tto mio Poema, so non dico il vero! Si
giura per le coso sante, oppure per lo
tose che sono più care, I) suo Poema era
A Dante mon pur caro, ma sacro; cfr,
Par. XXV, 1.
129. s'RLLR: così possano le nole, eco.
piacere n Inngo.
130. orosso : « pieno di fetidi vapori, |
quali non aveano onde svaporaro in quel
Inogo; » Bocce.
131, noTAXDO: per quell'aer grosso e
ture, come il nuotatore nell'acqua. Cfr.
Virg.Aen. VI, 14 0 seg. - FIGURA: Gerione,
132, manmavioLiosa : di quella maravi-
Ella che incute spavento. - SICURO: co-
raggioso, ardito, « Gli nomini sicnri, presi
dalla frande, so no maraviglianno; » Buti.
« La sicortà è non Anbitar delle cose che
sopravvengono ; > Hono Giamb. in Tom.
« Simulaora modis pallentia miris Visa
sunt obscurum noctis; >» Virg. Georg. I,
477 © seg.
129. cour: il marangone, - GIUSO : al
fondo del mare. Cir. Lue. Phare. ILL,
007 © seg.
134. soLveR: Al. scrogLIRR, che è la
chiosa, - AGGRAPTA: 8'inarpica co' rafli n
scoglio o altro, nò si può salpare se indi
non sia prima divelta.
135. cmiuso: nascosto, colato.
136, 19 au: nella parte superiore, vale
a dire col petto è colle braccia. — 81 8STRN-
DE: « manns ampliat et extendit supe-
tina, et pedes reatringit inferius;» Benr.
e Nella parte snperiore, cioò nel capo è
nelle braccia, diatendeal, e nella inferior
parte, cioè nelle cosce © nelle gambe, ri-
piegnai; » Lomb.
158 [CERC. 7. GIR. 3]
INF. Xvil. 1-6
[(GERIONE]
CANTO DECIMOSETTIMO
CERCHIO
SETTIMO
GIRONE TERZO: VIOLENTI CONTRO L’ARTE
(Siedono raccolti, tormentati dalla pioggia di fuoco)
GERIONE, SCROVIGNO, BUJAMONTE
DISCESA AL CERCHIO OTTAVO
« Ecco la fiera con la coda aguzza,
Che passa i monti, e rompe i muri e l’armi;
Ecco colei che tutto il mondo appuzza. »
4 Si cominciò lo mio duca a parlarmi;
Ed accennolle che venisse a proda
Vicino al fin de’ passeggiati marmi.
V. 1-33. Gertone. Ecco Gorione, la
sozza imagine di froda! Ha faccia d’uom
giusto, due branche, il corpo dipinto di
nodi e di rotelle, la coda aguzza e vole-
nosa. Il Gerione della mitologia, figlio di
Crisnoro e dell'ocenuica Calinoe, fu un
gigante a tre teste (Hesiod. theoy. 287, 289
e seg. Dionis. XXV, 236), 0 a tre carpi
(Kechil. Agam., 897. Eurip. Hercul. fur.,
423. Lucr. Iter. nat. V, 23. Virg. Aon.
VIII, 202. Horat. Carm. II, 14, 7. Ovid.
Heroid. IX, 91. Senec. Agam., 834, ecc.).
Doscrivendo la tignra di Gorione, Dante
si scosta dalla mitologia. Il suo Gerione
somiglia alle locuste infernali, o piutto-
sto all’ Angelo dell’abisso loro re: « Kt si-
militudipus locustarum similes equis pa-
ratis in pralium, et supor capita earum
tamquam coroniv similus auro, et fucies
earum sicut fucios hominum, et habebant
capillossicut capillos muliorum, et dentes
earam sicut leonum erant, et habebant
loricas furreas, et vox alarum earum si-
cut vox curruum equorum multorum cur-
rentiuo iu bellum. kt hahebaut caudas
similes scorpionum, ot aculei in candis
earum, potestas earum nocere hominibus
mensibns quinquo. Kt habebant super
se regem Angolum abyssi;» Apocal. IX,
7-11. Cfr. Lanci, Della forma di Geriv-
ne, ecc. Roma, 1858. BETTI, Scritti Dant.,
170-82. Encicl. 885 e sey.
1. AGUZZA : appuntata. Cfr. v. 26 e seg.
2. PABBA: cui nulla rosiste; che va
in ogni luogo, vincendo ogni ostacolo.
* Contro la frode poco o nulla valgono lo
difuse della natura (monti) e dell’ arte
(i murte l’armi). — I Mut: Al. K ROMP
MURA KD AkMI. « Avendo il Poeta datu
l'articolo a’ monti, non so poi vedere co-
me dovesse negarlo a’ muri ed alle ar-
mi;» Betti.
3. rurto: cfr. Inf. XI, 52. Rom. III,
12, 13.- arvuzzaA: ummorba © corrumpe.
6. ACCKNNOLLK: alla fiera, o bestia inal-
vagia; cfr. v. 1, 23, 30, 97,133. - A rPIODA:
all'estremità superiore del burrato, dove
erano | due Poeti.
6. L'ASBRGGIATI: da noi attraversati. -
Malet: argiui impictrati dol fiume.
t
(CERO. 7. GIR. 8]
cd
INF. XVII. 7-19
[GERIONE] 159
E quella sozza immagine di froda
Sen venne, ed arrivò la testa e il busto;
Ma in su la riva non trasse la coda.
10 La faccia sua era faccia d’ uom giusto,
Tanto benigna avea di fuor la pelle;
E d’un serpente tutto l’altro fusto.
13 Due branche avea pilose infin l’ascelle;
Lo dosso e il petto ed ambedue le coste
Dipinte avea di nodi e di rotelle.
16 Con più color’, sommesse e soprapposte
Non fér mai drappo Tartari né Turchi,
Né far tai tele per Aragna imposte.
19 Come talvolta stanno a riva i burchi,
7. FRODA: frode, come loda per lode,
Inf. 11, 103. Cfr. Bocce. Geneal. deor. I, 21.
8. ARRIVÒ: accostò alla sponda, mise
sopra la riva, la testa e il busto.
9. NON TRASSE: « però che il fraudolente
sempre cela e nasconde il suo fine; » Ott.
10. FACCIA: cfr. Apocal. IX, 7. Arios.
Ori. XIV, 87. « Prima dat Gerioni fa-
ciem humanam, per quam tangit primam
apociem fraudia, quin committitar verbo,
quia ioqui cet proprium hominis, ot ista
fraus committitur benigno vultu, sicut
faciunt pravi cousuitores, adulatores, le-
nones; » Benv. « La faccia è il principio
del corpo; il fusto d il mezzo; la cola è
il termine. La Frode comincia con lo spi-
rarti fiducia (faccia d’uom giusto); tesse
in seguito i suoi inganni (/usto di astuto
serpente); vibra finalmente il colpo fatale
(coda aguzza). (Questa figura dunque pre-
serita quasi una storia visibile del prinvi-
pio, mezzo e termine della Frode. F si
noti che le frasi di tramare inganni, or-
dire insidie e tesser frodi, daran subito
luogo a due similitudini desunte da tes-
sitori ed applicate al fusto serpentino; »
Ross.
11. LA PELLE: l'apparenza esterna.
« La prima apparenza dell'astuzia par
buona, e pare procedere con semplicità,
ma sempre va con malizia e callidità; »
Butt.
12. SERPENTE: ofr. Genes. LIT, 1. IL
Cor. XI, 8.- yusTo: il resto del corpo.
« Secunda fraus committitur in re ipsa,
sicut in artibus et morcibus, ideo dat
sibi corpus serpeutis varinm et diverso-
fam colorom; per serpentem quidem,
quia serpons ost astutissimum anima-
lium; par varium, quia fraudes sunt in-
numerabiles et infinito; » Benv.
18. BRANCHE: come fiera rapace. - IN-
rin: fin sotto le ascelle.
14. COSTE: lati.
15. NODI: avviluppamenti di funi ; figu-
rano i lacciuoli. - ROTRLLK: cerchietti o
scudi; qui figuratam. per Macchie roton-
do. Lo rotelle fignrano le arti con che ia
frodo procura di coprirsi.
16. con rid: costr.: Tartari nd Turchi
non fecero mai drappo con più colori,
con più sommesse e con più soprappo-
ste. - SOVRAPPOSTE: « soprapposta si dice
quel disegno a rilievo che spicca sul fon-
do, o sommessa, de'drappi rabescati; »
Pass.
17. mar: AI. MA IN=maî in; onde la
costr. anrebbe: Tartari nd Turchi, abilis-
simi tessitori, non fecero mal in drappo
sommesso e soprapposte con più colori.
Confr. Z. F., 101. BLANC, Versuch, 145
e seg.
18. THLE: le tele figurano gli orditi in-
ganni 6 le insidie tessute; cfr. Ovid. Met.
VI, 19 e seg. - ARAGNA: la celebre tessi-
trice di Lidia, da Minerva cangiata in
ragno; cfr. Ovid. Het. VI, 5 © seg. Plin.
VII, 56. Purg. XII, 43. - IMPOSTE: ab-
bozznte. « Disegnando l'abbozzo, il che
alcuni chiamano imporre ; » Vasari. Al.:
messe sul telaio.
19. 4URCHI: burchielli, piccole barche
a remi; « navigli che hanno il fundo pia-
no, e son propriamente da navigare per i
fiumi; » Auti. « La specie per il genere,
cioò i burchi per ogni naviglio; » Dan,
160 ([CERC. 7. GIR. 3]
INF. XVII. 20-83
[GERIONE]
Che parte sono in acqua e parte in terra,
E come là tra li Tedeschi lurchi
22 Lo bevero s’assetta a far sua guerra:
Così la fiera pessima si stava
Su I’ orlo che, di pietra, il sabbion serra.
25 Nel vano tutta sua coda guizzava,
Torcendo in su la venenosa forca
Che a guisa di scorpion la punta armava.
28 Lo duca disse: « Or convien che si torca
La nostra via un poco infino a quella
Bestia malvagia che colà si corca. »
31 Però scendemmo alla destra mammella,
E dieci passi femmo in su lo stremo,
Per ben cessar l’arena e la fiammella.
20. 40xX0: Al. STANKO; off. MOORE,
Orit., 316.
21. LURCHI: beoni e ghiotti - < con brat-
tezza; » An. Fior. Doi Tedeschi Tacito:
Dediti somno ciboque. Danto non cono-
sceva per avvontura che quei Tedeschi
mandati da Manfredi in soccorso dei fuo-
rusciti Fiorentini e che si lasciarono ineb-
briare da Farinata degli Uberti; cfr. Vill.
VI, 75. Serrav.: «Una patria est in parti-
bus Alamanie, quo vucalur Lurca » (1).
22. KKVERO: castoro. « Dicitur de bi-
vero animali, quod cum canda piscatur
mittendo ipsain in aquam et ipsam agi-
tando, ex cuius pinguedine resultant
guttiv ad moduin olvi, ot dum pisces ad
oan voniunt, tune so resolvendo cos ca-
più; » Petr. Dant. - B'ASSKITA: 8'attog-
gia. « Si noti come Danto coi burchi di-
pinge il solo nttoggiameonto materiale di
lerione; © col Levero, il fine insidioso di
cotesto attoyginmento. Cosi rosta com-
piuta l'immagine del mostro, nel quale
il Poeta simboleggia la Frode; » L. Vent.
- GUERRA: ai pesci.
24. 8KKRA: cinge d'intorno l'ardente
sabbione del settimo cerchio.
25. NRL VANO: nell’ aria, cfr. v. 9. -
CODA: « Tertia fraus committitur facto,
ideo bone dat caudam scorpionis possi-
mam, venenosam, quia pungit, penetrat,
inficit, sicut latrones, baractarii, simo-
niaci, proditores; » Benv.
26. FORCA: coda biforcuta, potendo
l'uomo usar frode in chi si fida e in chi
non si fida; cfr. Inf. XI, 52 © seg.
27. Cig: caso retto. - SCORPION: ofr.
Apocal. 1X, 8, 5, 10. Non può pertanto
offendere i Poeti con quella sua coda,
secondo la promessa: « Ecce dedi vobis
potostutom calcandi supra serpentes et
scorpiones, et supra omnem virtutem
inimici, et nihil vobis nocebit; » S. Luc.
X, 19.
28. TORCA: « nulla via mena diritto
alla frode; » Ole.
20. CORCA: è coricata, giaco là.
31. DESTRA: nell’ inferno vanno sem-
pre a sinistra, perch’ di male in male
peggiore. Duo solo cecezioni, qui o Inf.
IX, 132. I primi passi verso la miscre-
denza non sono poccaminosi, originando
di solito dal natural desiderio di sapore.
La dirittura, lealtà, sincerità, schiottezza
è l'arma da opporre alla frodo, alla sua
doppiezza ed alle sue malo arti.
32. DIKCI: dieci passi, dieci comanda-
menti, dieci bolgie, ecc. « Dante ha vo-
luto a suo modo esprimere che giunto
all'estremità dove la Violenza finisce e
la Frode comincia, per accostursi alla se-
conda si allontanava dalla prima, e qain-
di dall'arena e dalla fiammella che ne son
la pena. Dieci sono i generi delle frodi
cho quel mostro in sò concentra, © poco
al di là dello dieci è l'usura alttino. Dieci
passi, eccoli alla Frode, e poi che a loi
son giunti, poco più oltre è l'usura; »
Ross. - StRKMO: in su l’estremità, sul-
l'orlo dol cerchio, v. 24.
33. CR38AK: causare; cfr. Par. XXV,
133. - FIAMMELLA : pioggia di fucco,
[CERC, 7. GIR. 3]
INF, xvit. 84-46
[usurA1] 161
34 E quando noi a lei venuti semo,
Poco più oltre veggio in su |’ arena
Gente seder propinqua al loco scemo.
37 Quivi il maestro: « Acciò che tutta piena
Esperienza d’ esto giron porti, »
Mi disse, « ya’ e vedi la lor mena.
40 Li tuoi ragionamenti sian là corti.
Mentre che torni parlerò con questa,
Che ne conceda i suoi omeri forti. »
43 Cosi ancor su per la strema testa
Di quel settimo cerchio tutto solo
Andai, ove sedea la gente mesta.
‘0 Per gli occhi fuori scoppiava lor duolo,
34. A Lit: alla bestia malvagia, v. 30.
- 8EMO: siamo.
V. 34-75, Oli uswrieri. L'osnra è in
prossima vicinità della frode. Poco di-
stante dal luogo dove si stava Gerione
vede Dante gli nsurai. Virgilio gli dice
di andare a vederli, per avero piena co-
noscenza del girone in oni si trovano
ancora, esortandolo alla fretta. Ei va e
vede gli nsnrai che sednti n terra come
cani si scuotono le fiamme, Sdegnarono di
mangiare il loro pano col sudor del loro
molto e col lavoro delle proprie mani ; qui
quelle mani devono muoversi o Invorare
continnamente. Ciascrno ha pendente dal
collo una tasca - il sacchetto dei denari,
quale Dante può riconoscerlo. Al loro
petto, senza carattere como il
rare, non sono riconoscibili (cfr. Inf. VII,
63 è seg.); non si riconoscono che al loro
nobile stemma, dipinto sulla loro tasca,
veggano Ii insieme tutto ciò che
86. BKK: come fecero in vita, fnoendo
lavorare il denaro, invece di lavorar essi,
e vivendo degli altrni sndori, - SCEMO :
« la discaduta ch’ avea al fin del settimo
al principio dell'ottavo cerchio, che In
montagna era tagliata et molto alta; »
Dan.
89, va': Al. on va: cfr. 2. F., 101. -
MENA: il dimennrsi che fanno, v. 47 è seg.
confr. Inf. XXIV, 88. « Quia ultra po-
nam generalem habebant pennm specia-
lem manunm, quas impansabiliter mi-
nabant continno ;» Jienv. Al.: la condi-
zione, lo stato, la sorte loro (7). « Qual
fusse la lor sorte o il loro stato; chò così
significa questa reco, usata in questa ma-
niera; » Gelli.
40, conti: « con cotali poco si vuole
parlare, perch’ sono sanza ragione, e
con li nomini fnor di ragione non si deono
perdere le parole; » Buti. - « Percioochè
conosciuto che abbiamo la natura del-
l'usura, ci dobbinmo di subito partire
da tal considerazione; » Land.
41, QUESTA: sozza immagine di froda.
Dante va solo ad osservare gli nsnrai,
s durante la sua assenza Virgilio parla
a Gerione, onde Dante non può udire
ciò che gli dice; ofr, Inf. VITI, 112.
42. concepa: ci presti le forti sue spalle
o ne porti giù nell'altro nerchio. -— ronti :
«quia totus mundus ost fondatus supra
fraudo ; > Benw. (7).
43. ancon: dopo aver attraversato il
rimanente del girone, - trsTA: sull' ul-
tima parte di esso girone e del settimo
cerchio,
46. scorriava: in lagrime.
162 (CERO. 7. GIR. 8)
Inv. xvit. 47-64
[USURA:]
. Di qua, di là soccorrien con le mani,
Quando a’ vapori, e quando al caldo suolo.
49 Non altrimenti fan di state i cani,
Or col coffo or col pié, quando son morsi
O da pulci o da mosche o da tafani.
53 Poi che nel viso a certi gli occhi porsi,
Ne’ quali il doloroso foco casca,
Non ne conobbi alcun; ma io m'accorsi
55 Che dal collo a ciascun pendea una tasca
Che avea certo colore e certo segno,
E quindi par che il lor occhio si pasca.
58 E com’ io riguardando tra lor vegno,
In una borsa gialla vidi azzurro,
Che d’un leone avea faccia e contegno.
61 Poi procedendo di mio sguardo il curro
Vidine un’altra come sangue rossa
Mostrare un’ oca bianca più che burro.
04 Ed un che d’ una scrofa azzurra 6 grossa
47. BOCCOKRÌKN: soccorrevano. IL vorbo
soccorrere è qui preso nol primitivo suo
significato: correr sotto, e per analogia:
correr di contro.
48. vaPotniI: fiamme ardenti. - SUOLO :
sabbione infuocato.
49. I CANI: ai quali gli nsurai somi-
gliano. Cfr. Arios. Orl. X, 108.
62. ronsi: drizzai; lat. oculue inten-
dere, fixis oculis intueri.
54. CONOUBI: pel motivo detto altrove,
Inf. VII, 63 6 sog. I vistosi dobiti con-
tratti da Danto appunto vorso il 1300
potrebbero far credero che iu vita ne
conuscesse pur troppo alcuno.
66. YASCA: borsa, v. 59; sacchetto, v. 65.
In vita nun mirarono che alla borsa, onde
lu arrecano secoloro nel mondo di là, af-
tinchò possano riguardarla in eteruo,
vuota! Cfr. Beel. II, 26.
56. COLORK: ogni tasca mostra i colori
o l'arme della famiglia, alla quale il suo
possessore appartiene. « Ingegnoso per
dare a conoscere que'daunati senza lungo
discorso, 6 per portare in Inferno lo
sehorno della audicia nobiltà ; » Tom.
57. PASCA: prenda diletto, la borsa os-
sendo per questa genia il fine ultimo del-
l'uomo. « Nec satiantur oculi eius divi-
tiis; » Eccles.IV, 8; cfr. S. Luca XII,34.
58. KIGUARDANDU: il colore è il segno
dello tasche.
00. FAGCIA K CONTKUNO: forma 0 som
Dianza. L'urmo doi Gianatigliazzi di YI-
reuze era un leone azzurro in campo
giallo, o d'oro. I Giantigliazzi erano
guelfi, furono esigliati dopo la battaglia
di Mout’ A perti (Vill. V, 29; VI, 33, 79),
ed erano più tardi tutti di parte nera
(Vill. VIII, 29); «li quali sono grandis-
simi usurarii; >» Lan. Sono! Fiorivano
ancora a Firenze quando il Laneo scri-
veva? Cfr. Vill. XII, 3. « Uno che pone
per tutti loro; acquistò d'usura; dice
alcuno ch'egli intende chi questi sia; >
Ou. Chi è questo alcuno! Bambdg.: « iste
qui habebat hanc bursam ad collum fuit
quidam de Giamtigliazis de Florentia. »
61. curo: il corso, lu scorrere; guar-
dando oltre.
62. auTRa: borsa. L'oca bianca in
campo rosso era l'urmo degli Ubriachi,
nobili ghibellini di Fironze, cfr. Vill. V,
39; VI, 33, 65. « Late fuit quidum de
Ubriatis, maximus fonerator; > Bambg.
Cfr. Lou» VkuNoN, Zaf. II, 697 © seg. -
« Questi ch’ avia 1 oca bianca nel rosso è
Ciappo Ebriachi di Firenze, grande usu-
raio; » An. Sel.
63. PIÙ CHE BURRO: Al. PIÙ CH’ RBUR-
KO, clod più che avorio; cfr. Z. F., 101
e seg. BLANC, Versuch 1, 146.
64. GROBSA: prugna. La scrofa azzurra
in campo bianco ora l'arine degli Scro-
[omno. 7. GIR. 8)
INF. xvii. 65-76
(USURAI] 168
Segnato avea lo suo sacchetto bianco
Mi disse. « Che fai tu in questa fossa?
67 Or te ne va’; e perché se’ vivo anco
Sappi che il mio vicin Vitaliano
Sederà qui dal mio sinistro fianco.
70 Con questi Fiorentin’ son Padovano.
. Spesse fiate m’intronan gli orecchi
Gridando: “ Vegna, il cavalier sovrano
78 Che rechera la tasca con tre becchi! ,, »
Qui distorse la bocca, e di fuor trasse
La lingua, come bue che il naso lecchi.
76 Ed io, temendo no’! più star crucciasse
vigni di Padova. Alcuni credono che
Dante parli qui di Reginaldo Scrovigni,
usuraio famigerato; cfr. Salvatico in D.
e Pad. p. 107 e seg.; 181 e seg. Morpurgo,
ibid., p. 193 e seg.- «Fu padovano, padre
di messer Arrigo Scofrigni, anche grande
usuraio; » An. Sel.
66. CHR FAI: ancor vivo e non colpe-
vole di usura.
68. vicin: concittadino. - VITALIANO:
gli antichi comm. dicono preasochò una-
nimi che costui fosso Vitaliano del Dente,
eletto podestà nel 1307. Così Jac. Dant.,
Lan, Ott., Cass., Falso Boce., Benv.,
Buti, An. Fior. («l'Asdonte), Serrav., eco.
(Bambgl., An. Sel., Petr. Dant., 000. ta-
ciono). Il Morpurgo si avvisa invece che
Dante parli di certo Vitaliano di Jacopo
Vitaliani, usuraio marcio; Dante e Pad.,
p. 213 e seg. Che tatti gli antichi abbiano
preso un granchio?
69. SINISTHO: perchè più colpevole di me.
70. PADOVANO: « il dannato che con
queste parole chiude l'iracondo discorso
non precisa di certo senza motivo i Ino-
ghi dove gli ospiti del settimo cerchio
sortirono i natali: ma mira a mottere
in Ince il primato poco lusinghiero che le
due città vantano In quell'epoca sulle so-
relle della penisola ; » 3forpurgo, 1. 0., 205.
71. M'INTRONAN: questi Fiorentini.
72. CAVALIER: Giovanni Buiamonte, il
più infame usuraio, dicesi, d' Europa.
Sodè Gonfaloniere di ginstizin nel 1293,
ed ebbe poi ie case distrutte nel famoso
incendio suscitato dalla perfidia di Neri
Abati nel 1804. - SOvRANO : degli usurai;
ofr. Inf. XXII, 87.
73. BECCHI: rostri; al. capri. « L’arme
diquesto usuraio dipinta nell'antico Prio-
rista doll’ Archivio dello Riformagioni di
Firenze colla data del 1293 La trecapri ve-
ri e reali in campo d'oro; » D. 0. ed. Pass.,
p. 700. «Se Pietro figliuolo di Dante di-
cendo, [lle a tribus hircie fuit dominus
Joannes Buiamonte de Biccis de Floren-
tia, nota bene in quanto al nome, erra
per altro notando che !' arme della fami-
glia Buiamonti portasse tre capri, men-
tre gli autentici documenti la danno con
tro tosto d'aquila;» Loro Verxon, Inf.
IJ, 433.
74. DISTORSE: atto sconolo di scherno;
ofr. Isaia LVII, 4. Al. QUINDI BTORSR. Nei
cold. qutdistorse © quidiatorae. - ROCCA :
Al. FACCIA: trasso costni In lingun fuor
della bocca, o fuor dolla faccia ?!
75. LA LINGUA: come per leccare; «atto
che fanno i marinoli dopo aver altrui lo-
dato per beffa; » Ces. - « Super quem lo-
siatis? Super quem dilatastis os, et eleci-
stis linguam? Numquid non vos filii sce-
leati, somen mendax? >» Isaia LVII, 4.
«O Jane, a tergo quem nulla ciconia pin-
sit Nec manus nuriculas imitata est mo-
bilia albas, Neclinguwv tantum sitiatcanis
Appula quantum; » Pers. Sat. I, 62-4.
Cfr. Buanc, Versuch I, 147 © seg.
V. 76-186. Discesa all’ ottavo cer-
chio. Ritornato indietro, Dante vede
Virgilio già salito sulla groppa di Ge-
rione e che senz’ altro lo invita a mon-
tar dinanz], esortandolo ad essere forte
ed ardito. Monta spaventato o con ri-
brezzo. Gerione nuota e disconde lenta-
mente con cento ruote. Giunto al fondo,
depono i Poeti o si dilegua. I due Poeti
vanno nel regno della frode portativi
dalla sozza imagine di froda.
76. NO "L: non i] = temendo che il mio
a Pd
164 (CERC. 7. GIR. 8]
= <Q Aut |Sito, a
Inv. XVII. 77-90
- ————— +.»—
[DISCESA]
Lui che di poco star m’avea ammonito,
Torna’ mi indietro dall’ anime lasse.
70 Trovai lo duca mio ch’ era salito
Già su la groppa del fiero animale,
E disse a me: « Or sie forte ed ardito!
82 Omai si scende per si fatte scale;
Monta dinanzi, ch'io voglio esser mezzo,
Si che la coda non possa far male. »
85 Qual è colui che ha sì presso il riprezzo
Della quartana, che ha già l’unghie smorte,
E trema tutto, pur guardando il rezzo:
88 Tal divenn’io alle parole pòrte;
Ma vergogna mi fér le sue minacce,
Che innanzi a buon signor fa servo forte.
fermarmi più lungamente presso gli usu-
rai non crucciasse Virgilio. Cfr. Inf. 1II,
80.- PIÙ STAR: Al. PIÙ Dik, lezione difesa
dal Betti. Ma se il Poeta non aveva qui
ancor detto una sola parvlat
77. AMMONITO: v. 40. Al. MONITO; noi
cod. maveumonito 0 maveamonito, Como
si doveleggere? I migliori antichi lossero:
in’ ave’ ammonito =in'avea ammonito.
81. sik: sii; «< Viriliter agite ot con-
fortamini; » ZI ad Cor. XVI, 13.
82. OMAI: qui sulla groppa di Gerione ;
dall'ottavo al nouo cerchio calati du An-
teo, Inf. XXXI, 130 6 sog., e finalmente
arrampicandosi giù e su pel corpo di Lu-
cifero, Inf. XXXIV, 73 e seg.
83. MKZZO: fra te e la coda velenosa di
Gerione. È ufficio dell'autorità imperiale,
rappresentata da Virgilio, difendere l'uo-
ino dalle insidie della frode. Invece Tom.:
« Fra l'uomo e la frodo si pone la scionza
onesta. » Benv.: < Per hoo tacite autor
dat intelligi quod vir sapiens dicit illi
cui habet consulere: Fili mi, tu debes
semper priecavere fraadulentum finem,
quando habes facere cum Gerionw val-
pone, fellone. »
84. FAK MALE: a te.
85. QUAL’ È: Al. QUALR. - COLUI: il feb-
bricitante. - RILPRKZZO : ribrezzo, il bri-
vido e battimunto di denti che precede
la febbre. Al. CH'È 8I PRESSO AL RIPREZ-
zo; forse meglio, per evitare la ripeti-
zione dol che ha nel v. seg.
87. REZZO: orezzo, luogo ombroso e
fresco; cfr. Diez, Etym. Wart. 15, 89.
« Chiamasi in Toscana, o credo per tutto,
rezzo ove non batte sole, e stare al rezzo,
ove non sia sole; » Borghini.- < Il reggio,
idest rigidum frigus;» Benv.- «Il freddo,
ogni cosa gelata; » An. Fior. - « Primum
rigorem; » Serrav.- «Quel rigorechu vode
voniro por losmorire dollonnghiv; » Barg.
- «L'ombra; » Land., Vell., Dan., eco. -
«Il pallore dell’ unghie all’ appressarsi
dell'accesso febbrile; Torelli, Campi, eco.
Cfr. Inf. XXXII, 76. BLANC, Versuch,
I, 148 © seg.
88. vORTEK: dettomi da Virgilio, v. 88.
Cfr. Inf. II, 135; V, 108; VIII, 112.
89. VKERGOGNA: Al.: VRRGOUNAR. — MI-
NACCE: parole stimolanti, cioè quelle det-
tegli da Virgilio v. 81, 82. AI. divorsa-
mente; Ot.: « Decsi qui sottuintendero
che Virgilio disse: Se tu ti lasciera’ ca-
dere, io non t'aiuterò rilevare, e fia eter-
na caduta; tienti bene adunque. » Benv.:
« Dicebat ergo Virgilius cum facie tur-
bata, irata: Ah! miser, infelix; vilis, pu-
aillanimis, numquam habebis honorem,
non famam perpetuam, non gloriam wter-
nam, et perdideris tot labores tot vigi-
lias. » Buti: « Convenientemente possia-
mo pensare che dicesse: Se tu non monti
io me ne andrò e lascerotti qui.» « Yma-
ginandum est, quod Virgilius, videns Dan-
tem timidum, sibi dixit: Ah vilis perso-
na, miser! inm tantum opus fecisti; ta
ita acutus es et tam cruditus: ideo non
deberes temore; » Serrav. Ma di tutte
queste belle cuse il testo non dice nulla.
Il Barg.: « Quali fussero quelle minacce
di Virgilio ciascun lo pensi a suo modo. »
90. cuk: la qual vorgogua.
(CERC. 7. GIR. 8]
InF. xvii. 91-107
[DISCESA] 165
LI] Io m'assettai in su quelle spallacce,
Sì volli dir, ma la voce non venne
Com’io credetti: « Fa’ che tu m'abbracce. »
“ Ma esso che altra volta mi sovvenne
Ad altro forte, tosto ch'io montai
Con le braccia m’avvinse e mi sostenne,
7 E disse: « Gerion, muoviti omai!
Le ruote larghe, e lo scender sia poco;
Pensa la nuova soma che tu hai. »
100 Come Ja navicella esce del loco,
In dietro in dietro, sì quindi si tolse;
E poi che al tutto si senti a giuoco,
103 Là ov’era il petto, la coda rivolse,
E quella tesa come anguilla mosse,
E con le branche l'aere a sé raccolse.
i]
06 Maggior paura non credo che fosse
Quando Fetonte abbandonò li freni,
01. SPALLACCE : la bestia casendo tanto
grande. « Perchè erano disordinato e
Sconce» (1); An. Fior.
02. sl: volli dire così: Fa’ che tu m'ab-
bracee! ma a dir ciò mi mancò la voce,
Es
qui il forte, cioè il dif-
fille, In cosa, il punto difficile. Al. ap
ALTO, FORTI (IM. Al, AD ALTRO FORSR
punto periglioso. Cfr. Z.
‘Moons, 0 Orit., 315 © aeg. Senso:
Virgilio, cho già altre volte o ad altri
Punti diMecili mi sovvenno, mi avvinao
è tostonne colle sus braccia subito che
fal montato sullo spalle di Gerione.
08. LR RUOTE: | giri cho tu farai siano
larghi, © scendi lentamente, a larga spi-
dire dicat: non est hie curren-
eed lento incedendnm com magna
deliberations cirea istum primum introi-
tum frandinm : » Bene,
9. NUOVA: Involita, olod di nn nomo
Sena, dannati; 0» oon
o | Poeti non ne vedono una sola, nd
le anime arrecano seco nna corda, od od
| qualungqno con cho dare nn
cenno n Gerione che venga n portar-
le giù.
100, nec Loco: del porto. Al, ni Loco,
101, IN DINTRO IN METRO: « mostra
l'atto gradatamente continue del ritirar-
Ri;» L. Vent, - «Gerione, nel discendere
nell'ottaro cerchio, principiò a volare a
poco a poco all'indietro; ma pol che fa
necito dalla strettezza della bocca del cor-
chio, rivolse il petto là ove era la coda,
cioè si poss a volare di fronte, come fanno
gli animali ; » Betti, -quinpr: Aall'orlo del
aettimo cerchio. - TOISR: allontanò.
102, A oivoco : in comodo; quando vide
il tempo apportuno, « Diciamo l' necello
essere a ginoco quando è in Inogo sì aper-
to, cho può volgersi ovunquio; » Land,
104, RSA: distesa in Inugo, mentre
fin qui In torceva in sn, v. 29. - MO8sK:
von quel guizzo con che si muovono le
anguille nell'acqua.
105. raccOLSR: come fa chi nuota, Ge-
rione nuota nell'aria,
107. FrrontR: ente mitologico, figlio
di Elloa, oasia del Sole, e di Climene,
vollo guidare temerariamente i cavalli
paterni, onde precipitò nell’ Eridano;
ofr. Ovid, Met II, 47-024, specialmonte
178 © seg. Encicl. 777 è seg. — ANNAN-
pond; « Mentia inops gelida formidine
lora remiait; » Ovid. 1. 0,, 200. - FRENI:
del carro solare.
mee Diy or deren ce
166 [cERc. 7. GIR. 8]
——
INF. xvii. 108-122
= - —reoes. “ao Ma. ®..-.,—r = -
[DISCESA]
Per che il ciel, come pare ancor, si cosse:
109 Né quando Icaro misero le reni
Senti spennar per la scaldata cera,
Gridando il padre a lui: « Mala via tieni, »
112 Che fu la mia, quando vidi ch’io era
Nell’aer d’ogni parte, e vidi spenta
Ogni veduta, fuor che della fiera.
115 Ella sen va nuotando lenta lenta;
Ruota e discende, ma non me n’accorgo,
Se non che al viso e di sotto mi venta.
118 Io sentia già dalla man destra il gorgo
Far sotto noi un orribile stroscio;
Per che con gli occhi in giù la testa sporgo.
121 Allor fu’ io più timido allo scoscio;
Però ch’io vidi fuochi e sentii pianti,
108. PARE: appare, si vede ancora nella
Galassia, o via lattea. - COSSE: abbruciò.
«Cumque diem pronum transverso limite
ducens, Succendit Phiuton flagrantibus
wthera loris; » Luc. 2’Aars. II, 412 e sog.
L'opinione di Dante sulla Galassia vedila
Conv. II, 15. Qui si attiene alla mitolo-
gia, secondo la quale la Galassia apparve
quando il carro del sole, mal guidato da
Fetonte, arse una parte del cielo.
109. Icaro: "Ixxpog, figlio di Dedalo,
il quale per fuggire da Creta fece a sò ed
al tiglio ali di penne appiccicate insieme
con la cera. Icaro volò troppo alto, con-
tro il comando del genitore, la cera si
liquefoce, le ali si staccarono ed Icaro
caide nel maro; cfr. Qvid. Met. VIII,
203 e seg. Hom. Il. II, 146. Herodot. VI,
95. Horat. Carm. I, 1, 15.
111. GRIDANDO: « At pater infelix, neo
iam pater: Icare, dixit, Icare, dixit, ubi
es? qua te rogione requiramf Icare dice-
bat; » Ovid. Met. VIII, 231-83.
112. MIA: paura. l'emova o di cascare
nell'abisso, o di esservi gettato giù a
bella posta da quella sozza imagine di
Sroda.
118. NELL'AKR: dunque Gerione nuo-
tava noll’aria, non nell'acqua, come pre-
tendono Benv. ed altri. - s'ENTA: Gerione
si era allontanato già tanto dalla proda,
che non la si vedeva più. Giù nell’ottavo
cerchio non poteva vedere causa l' oscu-
rità. Non vedeva dunque che il vastis-
simo vano del burrato e la fiera con la
coda aguzza.
115. kLLA: la fiera, Gerione. - NUO-
TANDO: nell’ aere. Al. nOoTANDO. Del ro-
tare si parla nel verso seg., ove si dice
che Gerione discese facendo larghi giri,
come Virgilio gli aveva ordinato, v. 97
© Bug.
116. accorGco: Dante indovina in que-
sto luogo ciò che oggid) gli areonauti
sanno, che cioè chi discende dall' alto
per lo gran vano dell'aria non si ao-
corge di calare, se non inquanto l' aria
di sotto, che egli man mano viene rom-
pendo, gli softin incontro.
117. AL vISO: perchè Gerione discende
pigliando larghi giri.
118. GorGo: l’acqua del Flegetonte,
cadente giù nell’ottavo cerchio. Gorgo,
lat. gurgus, è propriamente quella fossa
che fa ed empie l'acqua cadendodall'alto.
119. sTROSCIO: strepito < suono del ca-
dimento d'acqua; » Barg. Cfr. Dikz, Wort.
II®, 76 8. v. Troscia.
120. 8'0KGO: « passa da sentia a sporgo,
come ai v. 58 62 da vegno a vidi. Passaggi
frequenti iv Virgilio; » Tom.
121. ALLO 8SCUSCIO: all'aspetto del pre-
cipizio. Così i più. Al.: più cauto a non
allargare le cosce per non uscir di sella.
« Scoscio vieno du coscia, ed è il sostan-
tivo fatto da scosciarsi. Nell'uso toscano,
di una ballerina si dice che ha bello sco-
scio quando allarga e stende molto le
gambe nel far l'arte sua; » Marino in
Ferr. V, 334. Ma il Betti colla Or.: « Forse
da scoscendere, ruinare. » Secondo altri
scoscto vale Allargamento di cosce (1).
®
(CERC. 7. GIR. 3]
INF. xvi. 128-136
Ond'io tremando tutto mi raccoscio.
124 E vidi poi, ché nol vedea davanti,
Lo scendere e il girar per li gran mali
Che s’appressavan da diversi canti.
127 Come il falcon ch'è stato assai sull'ali,
Che, senza veder logoro o uccello,
Fa dire al falconiere: « Oimé tu cali! »
120 Discende lasso onde sì mosse snello,
Per cento ruote, e da lungi si pone
Dal suo maestro disdegnoso e fello :
132 Così ne pose al fondo Gerione
A piede a piè della stagliata rocca,
E, discarcate le nostre persone,
250 Si dileguò come da corda cocca.
123. naccoscro: mi ristringo serrando
censo. Aveva allungato il collo per
= unnlaro giù al fondo, v. 120.
134, vini: non n'era accorto del suo
‘=ailare, v. 116; nidesso se ne accorge ve-
—Raendosi man mano avvicinare i supplizi
Well’ ottavo cerchio. E vedendo questi
= mpplizi avvicinarsi da diverse parti, si
muecorgo che cala girando, Al. & UpI' ror,
=e NON L'UDIA DAVANTI ; off. Z. F., 104
= erg. Mal ai comprendo come si possa
ciro lo scendere è il girare di chi nuota
hell’ aria.
128, Locono: * steumento di doe ali
=E' vecello legate insieme con on filo pen-
=Zente, che ai capo estremo porta nn nn-
“inello di corno; » Filal, Col girare di
“x vesto atromento il fnlconlere soleva ri-
= hiamare il falcone. ()ni: senza aspettare
='eser richiamato 6 sonza avor fatto
‘Ered.
129. FA pink: calando senza proda, -
Sau: « quasi ilica: Io mi dolgo che tu
‘all; questo non è senza cagione, o d'in-
formità, o di stanchezza, o disdegno ; per
le quali cose si sunsta fj) falcone, e l'accel-
latore niente piglia poi quel di; » Buti.
130. ONDE: il faleone discende stanco n
quel Inogo donde tutto pronto e veloce
si è mosso, — SI MOSSR: Al. SI MUOVE.
Cfr. Buanc, Vereuch, 161 © sog.
131. RUOTR: giravolte, appunto como
era disceso Gorione.
132, MARSTRO : falconiere, - FELLO: cor-
rucciato, perch’ senza preda.
133. così: disdegnoso e fello, perchè i
due, Dante e Virgilio, non erano ana pre-
da.- NK POBR: ci depose, ai scaricò di noi.
144. A FIRDB A Pik: Al. A Pre A TÈ:
ci dopose In piedi, appid del balzo dirn-
pato. Al.: ci depose rasonte rasente l'ar-
doa ripa, la stagliata rocca.
130. piukovò : si allontanò colla velo-
cità di ona freccia scaglinta dall'arco. -
COOCA: propriamente la tacca della froe-
cin, nella qualo entra la corda nell'arco;
qui por freccia, In parto per tutto; cfr.
Inf, X11, 77,
[DiscEsA] 167
168 (CkKRC. 8. ROLG. 1]
INF. XVI. 1-4
[MALEBOLGE]
CANTO DECIMOTTAVO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA PRIMA: RUFFIANI E SEDUTTORI
(Percossi da diavoli con aferze)
VENEDICO CACCIANIMICO, GIASONE
BOLGIA SECONDA:
ADULATORI
(Immersi nello sterco umano)
ALESSIO INTERMINELLI
Loco è in inferno detto Malebolge,
Tutto di pietra e di color ferrigno,
Come la cerchia che d’intorno il volge.
4 Nel dritto mezzo del campo maligno
V. 1-21. Malebolyc. L'ottavo cerchio
in cui è punita la fraudolenza contro chi
non si fida, è scompartito in dieci gran
fossi circolari e concentrici, detti male-
bolge, « che tanto vuole dire quanto male
sacco, o veramonte male valige ; » (1) An.
Fror., dove sono insaccati (cfr. Inf. VII,
18) coloro che peccarono per malizia (cfr.
In/.XI,81).Ilnomo Malebolgeò composto
di male e bolgia, specie di bisaccia o di
tasca; cfr. Diez, Etyin. Wort. 13, p. 726
seg. « Bolgia è sacca; » Lan. - « Bulgia
in vulgari floreutiuo est idum quod vallis
concava et capax; » Benv. - « Bolgia cioè
ripostignolo, o vero ripostiglio; » Huts. -
« Questo luogo è chiamato Malebolge,
che tanto vaolo diro quanto Male succo,
o veramente Malo valige; » An. Fior. -
«Hocvocabulum,AMalibolgie, est propriam
vocabulum auctoris, quia numquam tale
vocabulum in aliquoloco.... inveni; » Ser-
rav. - « Bolgia significa ripostiglio, et se-
no, et golfo, et ricettaculo; il perchè è
conveniente nome, che ha chiamato mal
ripostiglio, et ricettaculo il luogo della
fraude;» Land.-Così pure Vell., Dan.,ecc.
Tal. invece, copiando probabilm. Benv.:
« Notandum quod Afalebolge est locus con-
cavus et capax, ut vallis, lacuna, lama.»
L'interpretazione di Jienv. si potrebbe
accottare; ma gli antichi commentatori
toscani di quol volgare fiorentino non
sanno nulla. Cfr. Encicl. 1185 © seg.
2. K DI COLOK: Al. DI COLOR. - FRR-
KIONO : grigio nerastro come il ferro
greggio.
3. ckrcumia: cerchio, la «stagliata roc-
ca, > Inf. XVII, 184. « Dico cerchio lar-
gamente ogni ritondo, o corpo o super-
ficie; » Conv. IT, 14. - voLGE: il cinge, gli
gira intorno.
4. DRITTO: procisamente nel mezzo, -
[ceRe. 8. BOLO. 1)
INF, xvi. 5-17
[MALEBOLGR] 169
Vaneggia un pozzo assai largo e profondo
Di cui suo loco dicerò I’ ordigno.
7 Quel cinghio che rimane adunque è tondo,
Tra il pozzo e il piè dell’ alta ripa dura,
Ed ha distinto in dieci valli il fondo.
10 Quale, dove per guardia delle mura
Più e più fossi cingon li castelli,
La parte dov’ ei son rende figura:
13 Tale imagine quivi facean quelli;
E come a tai fortezze dai lor sogli
Alla ripa di fuor son ponticelli:
16 Così da imo della roccia scogli
Movien, che ricidean gli argini e i fossi
CAMPO: l'ottavo cerchio. - MALIGNO: per-
ché dimora dei maligni.
5. VANEGGIA: 8' apre vuoto, - POZZO:
nono cerchio, più stretto degli altri.
6. suo Loco: a luogo suo dirò com'è
fatto. Al. IN sUO Loco; Al. A BUO LOCO,
- prcend: Al. conrtenò, La les. dicerà,
conterà sembrano errore «di chi non in-
tese la frase latina suo loco. — L'ORDIGNO :
l'ordine e la forma, la struttura.
7. cisamo : spazio circolare, Costr.:
« Adanquo quel cinghio che rimano tra
I pozzo s il pid dell'alta ripa dura è tondo
ed ha, sco. » 0, forse meglio: « Qnell'area
eircolare (cinghio) che si estende tra ‘I
pozzo e "1 più dell'esterna parete petrosa
tripa dura‘ adimque è rotonda: o ha di.
atinte il fondo in dieci bolgo. »
B_ALTA tra: della atagliata rocca (Inf.
XVII, 134) che nocorchia Malebolgo,
0. VaLtt: non è il plor. di vallo (Vent.,
mer eco.) ma di valle; chè ognuna delle
dieci bolge non è nn vallo, ma una valle,
® gli argini, che veramente potrebbero
iliral valli plar. di vallo, erano nove, non
lect. Infatti ofr. v. 98, dove In prima bol-
gia è detta valle; vedi pnre XIX, 133;
XX, 7; XXIII, 185; XXV.,137; XXIX,
9; XXXI, 7. Cfr. Buanc, Versuch I, 157
© sog. — DISTINTO : scompartito.
10. QUALE: quei fossi, cioè quelle bolge
infernali, un aspetto simile n
12. ricura : aspetto, Al. RExbON RI-
cura, lezione erronea. Cfr. Moonr, Orit.,
B17 e weg. Il Blance DL. Vent., eres DO,
ricordano assai a proposito il passo Cone.
IV, 7: « Nevato è si ERRORE Ghopre In
neve, o rende una figura in ogni parte,
sicchè d'alonno sentiero vestigio non ri
vede, » Costr.: « Quale figura offre (rende)
quella parte dove sono più e più fossi,
colà dove cingono i castelli per guardia
delle mura: tale immagine facevan quivi
quelle valli circolari che accerchiano il
pozzo. » Cir. BLANC, Versuch I, 168 è seg.
13. QUELLI: quei dieci valli concen-
trici; v. 0.
14. sogni: plor. di soglio = soglia il
aoliare, o la porta. Cfr. Purg. X, 1. Co-
atr.: « E come dalle soglio di tal fortezze
vi son de’ ponti che vanno sino alla ripa
esterna della fossata, così dall'imo della
petrosa parete (da imo della roccia) pro-
cedeano allineati (moviàn) soogliosi ponti
(scogli) che nttraversavano le mura e lo
bolge (che ricidean gli argini e i forsi) in-
sino al pozzo centrale che li tronca è li
raccoglie. » Cir. Rows, II, 107; Braxc,
Versuch I, 160 è sog.
15. pi cuor: dell'ultimo fosso, f) più
lontano dalla fortezza,
16. na Imo: « dal basso della balza on-
d'eran stati calati dn Gerione ;> Lomb.
- BC0GLI: sassi che servono di ponti. Non
on solo (Dion. Aned, V, 0.10, p. 60 oaeg.),
ma più ordini di ponti alle bolge (ofr.
v. 18; XXI, 100, 130; XXIII, 68, 128 ©
aeg.), forse dieci, come dieci sono le bolgo
(Filal.), forse più, forse meno.
17. MOVIEN: mnovevnno, procodevano,
ai partivano, « Dal più dol mnaso si par-
tono songli che quasi ponti accavalcian
le bolgie e le tagliano n traverso è met-
tono nl pozzo il quale pare ll tronchi è
raccolga; » Tom. - RICIDRAN: travoran-
vano; ofr. Inf. VII, 100.
170 [cerc. 8. BOLG,1) Inv. xvitr, 18-80
nre ———
[RUFFIAN1]
Infino al pozzo che i tronca e raccégli.
19 In questo loco, dalla schiena scossi
Di Gerion, trovammoci; e il poeta
l'enno a sinistra ed io retro mi mossi,
22 Alla man destra vidi nuova piéta,
Nuovi tormenti e nuovi frustatori,
DI (°° — Bo 0 -B
26 Nel fc
Dal
Di |
28 (ome
Li's
Hai
18; i: li; cfr. I
Prop. III, 11, 184, -
glie; ofr. Nannue.,
scogli o ponti com
forenza del PULZO, ke ye a sonia
vanno più in Ja. Malebolge offro la figura
d'una ruota, il pozzo è come l’asse che
raccoglie i raggi 6 li tronca, sì che non
passino nella cavità centrale, ov' entra
l'asso.
19. scossi: deposti.
V. 22-39. Z ruffiani. Laggiù nella
prima bolgia Dante vede imprima i se-
duttori di donne per conto altrui, che gi-
rano in direzione opposta ai seduttori di
donne per couto proprio. Sono percossi
da diavoli con sforze. I diavoli sono car-
nuti por rammontare tromondamento a
questi dannati lo fedi tradito do’ mariti
cui una volta chiamarono sbeffuggiandoli
becchi cornuti. Concernente la ragione
della pena cfr. Levit. XIX, 20: « Vapu-
labunt ambo. » Tuc. Germ., 19: « Nu-
datam.... expellit domo maritus ac per
omnem vicum verbore agit. » 11 preci-
pitoso lore corrore rammenta loro como
in vita fecero correre donne o fanciulle
nellu via del disonore.
22. DESTRA : audavano a sinistra, v. 21;
dunque avevano la bolgia a destra. -
NUOVA PIÈTA: non mai veduta compas-
sionevole cosa.
23. FRUSTATORI : diavoli che da quindi
in poi tormentano i dannati.
24. KKULETA: ripiena: latinismo asato
dal Bocc. o da altri antichi. Cfr. Purg.
XXV, 72. Par. XII, 58.
25. IGNUDI: « Dante accenna la nudità
~~ f& Pepleta.
eeatori:
n verso il volto,
si maggiori.
ito molto,
ier lo ponte
nodo colto:
=
ombre sol quando le voglia dipin-
sel più miserando abbandono, prive
d schermo, p. es. ITT, 65, 100; VIT,
KIWI, 110; XIV, 10, eco.» BL
su, DAL Mezzo: dalla motà del fondo
verso noi. Questa bolgia è divisa in due
zone concontricho; nella zona di qua,
cioè dalla parto doll’ argine superiore
dove sono i Poeti, corrono i mezzani
con la faccia volta al due osservatori,
dunque a destra, poichè questi ultimi
tenevano a sinistra, v. 21; nella zona di
là, cioè dall’ altra metà, corrono i sedut-
tori in direzione opposta, cioè a sinistra.
- VERSO IL VOLTO: incontro di noi.
27. CON NOI: u verso dei nostri passi,
cioò a sinistra, ma correndo più rapi-
damonto.
28. ksKuCITO: folla del popolo accorso.
« Al continuo in tutto l'anno durante,
avea in Roma oltre al popolo romano,
duecentomila pellegrini, sanza quelli
ch’ erano per gli cammini andando e
tornando; » Vill. VIII, 36.
29. ANNO: 1300. Molti biografi si av-
visano che anche Dante assistosse al
Giubileo, ed il BaLuo, lib. I, c. 10, ne
trova in questi versi una « prova spe-
ciale. » Cfr. Bassxn., 6 © seg. - l'ONTR:
di Castel Sant'Angelo.
30. COLTO: preso provvedimento. Al.
TOLTO. Lungo il mezzo del ponte fu po-
sto un assito, o muro, aftinchè la gran
moltitudine avesse al camminare meno
d'impaccio, e andassero gli uni per un
lato a San Pietro, e tornassoro gli altri
volgendo il viso verso il snonte Giordano
cho sorge a pochi passi lontano da esso
[cERc. 8. 8, ROLG, 1)
InF. xvii. 31-42
[RUFFIANI] 171
a1 Che dall’ un lato tutti hanno la fronte
Verso il castello e vanno a Santo Pietro,
Dall'altra sponda vanno verso il monte.
Di qua, di là, su per lo sasso tetro
Vidi dimon’ cornuti con gran ferze
Che li battean crudelmente di retro.
Ahi come facean lor levar le berze
Alle prime percosse! già nessuno
Le seconde aspettava né le terze.
Mentr'io andava gli occhi miei in uno
Fiiro scontrati; ed io sì tosto dissi:
« Di già veder costui non son digiuno, »
manto. oppure come, vogliono altri, verso
monte Gianicolo. Cfr. Rrumont nel
A B98 è sog.
Dr QUA, DI LÀ: in nmbodne le zone
p= quali questa bolgin è divisa. - 8As-
"<> = fondo della bolgia, efr. v. 2.
A=5. Feuzk: sforzo, flagelli; cfr. Enci- —
776.
LEVYAK: corrore, — BRRZR : lo calea-
TEs slot ne Diez, Etym. Wiirt.
= 442. « Le gambe 6 lo calengna;» Lan.
TS erate quasi dicat, faciebant eos
velociter enrrere, quod non vide-
nent pene carrer, » Renn, — « Le
Beebe a correre; » Buti. - e Le berze,
Raeabolo antico et volgare, et vuol dire
le calcagna; » An. Fior. - « Faciebant eos
Yevare berzas, ideat calcaneos ; » Serran.
— «= Levar le gambe è i calcagni, como li
correre alle prime percosse! »
Trarg.- «Le gambe; » Land - « Le berze,
talos;» Tal. - « Alzar le piante; »
mista bolle et le vesoleho por su le
Carni, battendoli forte et erndelmente, In
alcan teato nntioo si non berze, ma
atea lo gambe; » Dan, Git altri an-
non danno verona interpretazione.
ba ‘40-00. Fenedico Caccianimiro,
Dante vele Inggil tra’ ruffiani un tale,
‘tho eredo di cononcore. « Porchd soi qui?»
= I'er nvor fatto il rofiano tra Ghiso.
irradia ila Kato, Sinmo qui
gran noamero, » Mentre parla
Vania mn diavolo lo sferza via. Di co-
dn. Sel.: « Ebbe ana figlinola (th bel-
th'ebbe nome Ghisola, de la quale
lui. » = fae. Dant.: « Per cierta quantita
di moneta la sirochia charnalle alla vo-
glia del marchese Obizzo da Esti char-
nalmente chondnsse.» Lan,;s Aveva una
sua sorella nome Ghisola bella; roffia-
nolla a messer Opizzo marchese ‘da Esti
di Ferrara, promettendo a lei che l'areb-
be signoria e grandezza: dopo lo fatto
ella si trovò a nnlla delle promesse, » -
Cass; « Lenocininndo submizit domnam
Ghisolam bellam ejos sororem et uxorem
Nicolai Clarelli de bononia Marchioni
Aczoni de Kate,» - Renv.: « Fait valde
potons in Jononia favore marchionia
Katensia, qui fuit Azzo III... Habnit
mnam sororem pulcerrimam, quam con-
fnxit ad serviendam marchioni Azoni
de sua pulera persona, ut fortins pro-
moreretar gratiam eins.» L' An, Fior. cir-
coatanzia, forse di propria fantasia, senza
aggiungere in fondo nulla di rilevante,
Cfr. Mazzoni-Toselli, Voci e passi di D.,
p. 124 © seg. La famiglia de' Caccianimici
atava a capo della fazione de' Geremei o
Guoelfi di Bologna, contro i Lambertazzi
n Ghibellini, Venedico fu podestà di Mo-
dena, d'Imola e di Milano, dove nel 1286
dovette difendersi dall' accusa d' aver ri-
cattato nn malfattore. Sbandito dalla pa-
tria il 14 agosto 1289, non si hanno più
notizie dilni, Pare che morisse poco tempo
dopo. Cir. Gorzanint, Delle torri gentilizie
di Nologna, p. 212 © seg,
dl. niss:: n Virgilio, aflinehd si for-
masso un momento.
42, DI GIÀ venER: Al. OIA DI VEDRR;
ofr, Moons, Crit., 319 © seg. Vool dire:
Non è questa la prima volta che io veggo
costui.
172 ([CERC, 8. BOLG. 1]
INF. XVIII. 43-57
[CACCIANIMICO]
43 Perciò a figurarlo i piedi affissi;
E il dolce duca meco si ristette
Ed assenti che alquanto indietro gissi.
40 E quel frustato celar si credette
Bassando il viso; ma poco gli valse,
Ch’ io dissi: « Ta che I’ occhio a terra gette,
49 Se le fag'==* tl dfon, === false
Vened, 0,
Ma che ti salsa? »
62 Ed eglia tel dico;
Ma sfo ivella
Che m. do antico,
65 To fui col ry
Condui Marchese,
Come | iovella,
435. 1 vikot: mi fermai
ma Virgilio: meco si ria
si fa cogli occhi. PIEDI 6... ,.-
codd. e comm. antichi.
44. DOLCR: «il duca è detto dolce per-
chè fu compiacento nel ristarsi e permet-
tere che Dante andusse alquanto indio-
tro; » Ross.
45. INDIRTRO: il dannato essendogli già
passato innanzi,
47. BASSANDO : credetto nascondersi
chinando la faccia, vergognandosi di aver
egli, nobile cavaliore, commosso tal de-
litto e di trovarsi a tal pena. - roco:
«quia tantum recognovi eum; per quod
notat quod quis non potest uti tanta
arte, quod non coguascatur tale vitiuin,
quia cito infumia Jaborat contra autorom
talis fraudis, et est maxima pars suw
pene; » Benv.
48.GKTTK: gotti abbassi gliocchi a terra.
49. FAZION': fattezze del tuo volto. -
FALSK: somigliando troppo alle fattezze
del volto di un altro.
61. cu: il fatto non era accertato.
« Altri vuol dire che 'l fue non con sa-
puta del ditto, ed altri dice che non fu
nulla; » An. Fior. Al. CHI. - SALSK: pena
acerba, tormento (000., Buti, Barg., Land.,
Vell., Dan., Vent., Vol., Lomb., ecc.); luogo
aspro e rovinoso (Maz.-7'08., 1. c., p. 22 ©
Rog.); nome di certa valle angusta, sterile
e desorta, a circa 15 miglia da Bologna,
ove gittavansi i corpi de' suicidi, dei mal-
fattori o di quelli che morivano in contu-
macia della chiesa (An. Fior., Tal., Boec.,
om., JH., Dr. B., 006,). Ilsanso d
aso: Per qual. poccato nei qui!
1. DICO: Al. Lo DICO,
53. CHIARA : precisa, che si mostra beno
juformate delle cose di Bologna. Al.: di-
stinta, al contrario delle voci delle ombre
che parean fioche, Al.: l'idioma toscano
che tu parli. « Dante riconobbe Venedico
alle sue fattezze : e Vonedico inveco lo ri-
conosce a quella favella, che lo rendè sì
famoso; » Betts.
54. FA BOVVENIU: ricordandomi le salse
e chiamandomi per nome. - ANTICO: il
moudo di lassù, per me passato. Al.: il
mondo degli antichi Romani ai quali tu
mi pari rassomigliaro (1).
65. 10 Ful: Al. 10 80X; cfr. MOORK,
Orit., 321. - GHISOLABRLLA : « Alcuni di-
cono che costei fu così nominata per cs-
sero stata bella; io però ne dubito, per-
chè undici anni dopo il suo matrimonio
ella dettò il suo testamento nominan-
dosi Ghisolabella quandam Alberti de
Cazzanernicis, mentre forse non era più
bella; » Afazz.-7'os.
67. SUONI: la cosa si raccontava in più
modi. « Et perchè parea forte a credero
che messer Venedico avesse consentito
questo della sirocchia, chi dicoa la novella
ot apponevala a uno, ot chi a un altro;
di chi ora messer Venedico chiarisco a
Danto;» An. Fior. Mu d'onde seppe Dan-
to il vero? - SCONCIA : turpe, scandalosa o
fors'anche guasta, falsiticata, essendochd
o non si voleva o non ai ardiva dire il
vero, trattandosi di fumiglia potente.
(CERC. 8. BOLO. 1]
Inv. xvi. 58-67
[CACCIANIMICO] 178
E non par io qui piango Bolognese,
Anzi n’ è questo loco tanto pieno
Che tante lingue non son ora apprese
61 A dicer sipa tra Savena e Reno;
E se di ciò vuoi fede o testimonio
Recati a mente il nostro avaro seno. »
sd Così parlando il percosse un demonio
Della sua scuriada, e disse: « Via,
Ruffian! qui non son femmine da conio. »
6 Io mi raggiunsi con la scorta mia;
00. APPRESE: nmmasstrate. Più Dolo-
guesi qui che lassù nel mondo, « Univer-
i
roffianare
gnoscenti chi meglio meglio; » Lan.
61. sira: idiotismo bolognese per sia;
vive ancora nella campagna, mentre in
città è divennto seppa ; cfr. Tassoni, Sec-
chia rap. XIV, 50.-SAvgNA: tra i duo
Homi nominati siede Bologna con parte
«el ano territorio. Cfr. Bass., 89 © seg.
63. RECATI A MENTE: ricordati dell'ava-
@itie di nol altri Bolognesi. « Bononiensia
=emaluraliter et communiter non est nvarus
Su retinpendo, sed in capiondo tantum.
Elli enim, qui sunt vitiosi, ibi prodiga
Rater oxpendant nitra viros facultatia vel
@® cr): ideo faciant turpia Inora, aliquando
= India, aliqnando cum fortis, nliqonn-
=~ com lenoniciis, erponentes filias, so-
ot st axores libidini, ecc.; » Beno.
-_— Biscurtaba: frusta, lat. sentiva, pro-
ale la aferza di cnojo, colla quale
==] vogliono frustare i cavalli.
E ees teh, carene, frane. ant. quin;
metro d'accisfo nel quale è intagliata Ia
Bazi che of ha da imprimere nella mo-
2% 0 tn una medaglia; Tornello, Pun-
===. Nel nostro luogo | più intendono:
E enmine ine da prostituire por danaro. Così
Ta. Dant.; « Per cierta quantità di mo-
» - Lan.: « Conio, clod moneta;
et 1 dire: : Ta non eri da altro se non
Mianare femine per moneta. » -
“Sen, « Apto ad emendum. » Così pore
Bene, Serrae., Land., Vell., Gelli, Dan ,
aut, Vot.,Or., Vent.,Lomb., Port., Pogg.,
Ty, Ces., Wagn., Tom,, Br. 3; Frat.,
Andre, Camer., Bennas., Lub., Campi,
Pol, Bl., ece..Mn madonna
Caccianomici non era
Dania fr copio is pr densi
fi anni ingannata © tradita dal
=
il quale Ja moneta ricevuta tenne por
sè, Quindi altri intendono: Fommine da
ingannare. Ott.: « Quando uno inganna
altro, quello si dice coniare; mostra uno,
ed 4 altro. Coniare è mutaro d'una for-
ma in altra forma, o viene a dire ingan-
nare, fare falso conio, falaa forma; trae
il nome dalla moneta che piglia stam-
pa;» — Buti: « Da easere coninte et in-
gannate con le tue seduzioni. » - An.
Fior.: «da poterle coniare et ingannare
por danari, » - Betti: «da essere Ingan-
nate e sedotto, » Accottando essenzin]-
mente questa seconda interpretazione,
alcuni, ricordando jl senso dell'antico
frano. Coigner, vedono nolla (rase Fem-
mine da conio una sconcia allusione, cho
in bocen nd on demonio facilmente al
comprende, Così Mazzoni-Toselli, Fanf.,
An. Sel, Petr. Dant., Falso Boce., Barg.,
Tal., Rore., Corn., eco., non danno ve-
runa spiegazione. Cfr. MAZZONI- TOSELLI,
Voci e passi, 116 0 seg. Faxvani nel Bor-
ghimi, 11, 264 © seg., 274 © sog., 211 ©
seg. RicuTIRI, Del vero senso della ma-
micra Dantesca ‘ Femmine da conio ', Fi-
ronse, 1876. Frennazzi, V, 2306-40. Lunt
DA Passano nel Propugnatore di Bolo-
gna XII, 11 (1879), p. 208 e seg. Branco
Biancut, nell'Archivio glottologico del-
l'Ascoli, VII, 1 (1880), p. 130 © seg. DEL
Lungo, D. ne tempi di D., 197-270. En-
cielopedia, 439 e sog.
V. 67-81. I seduttori, Dopo aver co-
ateggiato l'alto moro a sinistra arrivano
ad nno di quegli scogli, o ponti che acca-
valciano le bolge, lo salgono è ri partono
dalla sataglinta roccn. Giunti sulla som-
mità dell'arco del ponte, Dante vedo Jag-
giù | sednttori di donne por conto pro-
prio, i quali corrono in direzione opposta,
aferzati sasi puro dai demoni.
67. MAGGIUNAI: ritornai da Virgillo che
174 [CERC. 8. BOLG. 1} Inp, xvi. 68-84
[SEDUTTORI]
Poscia con pochi passi divenimmo
Là ove un scoglio della ripa uscia.
70 Assai leggeramente quel salimmo,
L vòlti a destra su per la sua scheggia
Da quelle cerchie eterne ci partimmo.
73 Quando noi fummo là, dov’ ei vaneggia
Di tr WMAFOIABGL
Lo , © fa’ che feggia
76 Lo vi mal nati,
Ai - i la faccia,
Pei sme andati, »
70 Dal wi m la traccia
Che altra banda,
Ei e scaccia.
82 Il bw limanda
Mi rrande che viene,
KE ma spanda,
a’ ora formato, v. 44, mentre io ora an-
dato alquanto indiotro, v. 45.
68. CON voci: dopo aver fatto pochi
passi. - DIVENIMMO: arrivammo.
69. LÀ OVE: Al. DOVK UNO SCOGLIO. -
USCÌA : cfr. v. 16, 17.
71. SCHEGGIA: dorso aspro e mal ta-
gliato.
72. ETERNK: Al. ESTERNK. Dan.: <con-
tinove, perchè abbracciava a torno a
torno tutte le bulge.» Vell.: «si partirono
da tutto le spondo, tanto di questo quanto
de' superiori corchi; porchò questa, cho
lusciavuno ora a dietro, ora l'ultima. »
Eterno 6 tutto Vinfurno, quindi ogni
cerchio,
73. ki: lo scoglio. - VANEGUGIA : fu arco,
lasciando sotto di sò un vano per dar
pusso ni frustati giù nolla bolgia.
75. ATTIENTI: sofformati. Al. ATTENDI
lez. difesa da Z. F., 107: cfr. Fosc. II,
183. - FKGGIA: ferisca, cfr. Inf. XV, 39.
Nannuc., Verbi, 336, nt. 4. - « Fa che Ja
vista di questi altri malnati venga a col-
pirti, a posarsi sulla tua persona; >» Pass.
70. ALTRI: la masnada dei seduttori
per proprio conto, la quale corre pur
sempre a sinistra, come erano andati i
Poeti sino allo scoglio.
79. vecciito: cfr. Inf. ITI, 7.-La TRAC-
CIA : la schiora di quei di là, v. 27.
81. SIMILMENTE: nello stesso modo che
i ruftiani. - SCACCIA : Al. scuiaccia. I de-
mont cacciano quei miseri, facendo lor
levar le berze, v. 37, onde fuggono senza
aspettar le seconde nè le lerze percosse,
v. 39. «Il vocabolo schiacciare e il suo
significato pajuno fredde caricature della
. pittura.... Bens) da scacciare scoppia il
disprezzo meritato da que’ ribaldi e nel
vedersi disprezzati anche dal Diavolo
sta il più acuto dolore della lor puni-
zione; » Fuse.
V. 82-99. Giasone, Ecco Giasone,
figlio di Esone re di Teasaglia, duco de-
gli Argonauti, seduttoro di Isifilo, figlia
di ‘Tounte re di Lomuo o vogiua di Lemao
dopo l'uccisione dol maschi; o seduttore
eziandio di Medea, la bella figlia del re
dei Colchi, la quale egli abbandonò per
amor di Creusa, Cfr. Par. 11, 18. Ovip.,
Afetarn., VII, 1-158, Qui paga il fio delle
sue seduzioni, benchè sia altiero ed in-
tlessibile, circa come Capaueo, cfr. Inf.
XIV, 46 e soy.
82. SENZA : Dante non avreble potuto
distinguere Giasone che correva cogli
altri, se Virgilio non ne lo avesse reso
attento.
83. QUEL GRANDE: cfr. Inf. XIV, 46.
84. PER DOLOR: per grande che sia il
dolor suo. Non piange per grandezza e
maguanimita di cuore. Alcuni intendo-
no: Non piange per eccesso di dolore.
Ma l’epitete quel grande è l'aspetto reale
sembrano escludore tule interpretasiono,
(CERC, 8. BOLO. 1]
Inr, xvi. 85-100
[GIASONE] 175
85 Quanto aspetto reale ancor ritiene!
Quelli è Jason che per core e per senno
Li Colchi del monton privati fene.
88 Egli passò per |’ isola di Lenno,
Poi che le ardite fommino spietato
Tutti li maschi loro a morte dienno.
n Ivi con segni e con parole ornate
Isifile ingannò, la giovinetta
Che prima avea tutte l'altre ingannate.
LI Lasciolla quivi gravida e soletta.
Tal colpa a tal martirio lui condanna;
Ed anche di Medea si fa vendetta.
07 Con lui sen va chi da tal parte inganna.
E questo basti della prima valle
Sapere, e di color che in sé assanna. »
100 Già eravam dove lo stretto calle
85, ANCOR: anche quaggiù nell'abisso
del dolore. - RITIENR: conserva,
#, QUELLI: quegli, come elli per egli.
“Cong: coraggio è valoro, - BENNO: Ba-
tenza e prudenza.
R7, MONTON : Il vello d'oro, — rex: no
fo’, 0 sem Je’ ; come ene por è,
Mane per Aa, fane per fa, vane per va, 600.
Cr. Namwuo., Verbi, 021.
80. ARDITE: perchè uccisero tutti i ma-
whi, - SPIRTATE: non avendo risparmiati
I padri, è fratelli, gli «posi ed i figli. Irnta
tontro le donne di Lemno perchè non la
teneravano più, Venere le punì con un
dor hircinua, ondo i loro mariti ed amanti
lievitarano ; perciò le donne congiura-
tone insieme ed uccisero tutti i maschi
crt rire I, 9, 17, eco. Ay-
fin Fab., 15. Schol. ad Pindar, Pyth,
IV, 449.
o BRONI: Da innamorato. Al, sno.
Moone, «+, 821 è sog. = ORNATE:
riabanen oft. Inf. 11, 67.
82. INGARWATR: facendo loro crodere
ll avere uociao Il ro Tonnte di lei padre
he ella nvorasnivato; ofr. Apollod. III,
ebbe partorito due figli; ofr. Pindar.
Pyth. IV, 252. Simonid. Schol. IV, 450.
Apollod, I, 9, 17. Stat. T'heb. VI, 336.
Dante segno qui un'altra tradizione,
sscondo la quale Giasone, che aveva pro.
mosso n Isifilo di apossria, In abbandonò
slealmente dopo niquanti mesi essendo
essa gravida di Jui. « Lasciolla gravida
di due figli, e promettendole di vivere
con lei in matrimonio alla ritornata sua,
navigd in Colchide; » Barg. Di Isifile ofr.
anche Purg. XXII, 112; XXVI, 95.
06. Mrpra: efr. Ovid, Met. VII, 1-158.
« Ed anche si fa vendetta dell’ abban-
dono, che egli fece di Medea; » Metti.
07. DA TAL PARTE: In tal modo, sedao-
cendo le donne per proprio conto od in-
gannandole con losinghe, con false pro-
messe di matrimonio, eco.
DB. VALLE: bolgia; cfr. v. 0.
DI. ASSANNA: proprinmente, pronde
colle sanne, 0 ganno; qui per metafora,
contiene in sè per tormentarli.
V. 100-114. Gl adulatori. Sono ar-
rivati sull'argine che separa la prima
dalla seconda bolgia. Laggiù v'è gente
che si duole 6 si percuote, attoffata in
ne sterco cho sembra umano, indizio
dello aporco serviliamo al quale costoro,
che sono gli adulatori si abbandonarono.
Lo sterco è il simbolo parlantissimo delle
loro Insingho,
100. CALLE: scoglio formante il ponte.
e Il ponte sul fosso s'incrocicchia col-
176 [ceRc, s, noLo, 2) Inv. xvi. 101-115
[ADULATORI]
Con l'argine secondo s’ incrocicchia
E fa di quello ad un altr’ arco spalle,
103 Quindi sentimmo gente che si nicchia
Nell’ altra bolgia e che col muso sbuffa,
E sé medesma con le palme picchia,
106 Le ripe eran grommate d'una mutta
Paro 3 © ptt
Che so facea zuffa.
109 Lo for ci basta
Loa re al dosso
Dell ia sovrasta,
112 Quivi nel fosso
Vid, ) sterco
Che \rea mosso.
115 E mei occhio cerco,
l'argino perchò il im
versa gli argini tutti
archi, L' argine th Ap Moose GO sIUggo Bt
archi; » Tom.
103. QUINDI: dal crocevia. ~ BI NICCHIA:
i più spiegano, si dolgouo, si lamentano,
aggiungendo che nicchiare dicesi pro-
priamente dei gemiti che manda lu don-
na nelle doglie del parto. Al. si rannio-
chia, si accoscia tuffata o bisogna che
alzi il viso per essoro rafligurata. Al. di-
cono che nicchiare vule sonare la nicchia,
dalla quale esco un suono tromolante ed
incerto. Si ba il proverbio nicchiare a
pan bianco, sinonimo di quell’ altro do-
lersi di gamba sana, cioò lamentarsi del
bene stare. Cir. Cuverni, Voci e modi
della D. O., p. 87-89. Dicono che in alcuni
luoghi si usa pure nicchiare per puzzare,
specie dei cadaveri. Daute dice che senti
il nicchiare di quella gente, non che lo
vide od odord. « Nicchiare siguifica nelia
lingua nostra quel cominciarsi a ramma-
ricar planamente, che fauno lo donne
gravide, quando incominciano loro le
prime doglie; onde si dice di loro, quan-
do giungon a tal termine: elle incomin-
ciuno a nicchiare; » Gelli. Cfr. Enciel.,
1323 e seg.
104. MUSO: usa questa voce perchè gli
adulatori leccano a mo' di cani. - BUUFFA:
« sicut facit porcus in c@no, et bene dl-
cit, quia vitium adulationis stat in Ja-
biis; » Benv.
105. piccuta: batte, percuote.
106. GROMMATE: le ripo interne della
In bolgia ormuo incrustato «quasi di
;p off. Par. XII, 114, il qual verso
o lentato dal proverbio: JI buon vin
fa gromina e sl cattivo muffa.
107. ALITO: esalazione densa e puzzo-
lente che vien dal fondo e si appiastriccia
alle ripe o muri laterali della bolgia.
108. ZUFFA: nauseante a vedere e ad
odorare. Per gli occhi alla vista delle lor-
dure si aggiungevano le punture acute
doll’ ammoniaca esulunte da questa bo)-
gia che aveva proprio l'aspetto ed il ca-
rattere di una latrina.
109. CUPO: come il cuore dell'adulatore;
«le profondità di Satana; » Apoc. II, 24.
110. Loco: Al. L'OccHIOo. » Convien sa-
lire nel più alto del ponte, giacchò por
poco che il raggio visuale si fusse sovetato
dalla perpendicolare, sarebbe ito a ferire
no ”l fondo, ma l'unao l'altra sponda del
fosso. Significa forse, che per bene osser-
vare certi vizii e' bisogna allontanarsene;
l'adulazione segnatamente, cupa insieme
e achifosa; » Tom.
118. STERCO : loro elemento in vita. Cfr.
Giobbe XX, 7: < Quasi sterquillinium in
fine perdetur. » Thren. IV, 5: « Ample-
xati sunt stercora. »
114. PRIVATI: cessi. Parea calato lag-
giù dai cossi di questo mondo. « Facit
mentionem potius de stercore humano,
quam alterius animali, quia adulari est
proprium hominis, non alterius anima-
lis; » Benv.
V. 115-126. Alessio Interminelli da
Lucca. Dante vedo laggiù uno tutto lor-
ay I ’ s]
(cere. 8. BOLG. 2]
InF. xvinr. 116-131 [AL. INTERMINELL1] 177
Vidi un col capo sì di merda lordo
Che non parea s' era laico o cherco.
118 Quei mi sgridò: « Perché se’ tu si ingordo
Di riguardar più me cha gli altri brutti ? »
Ed io a lui: « Perché, se ben ricordo,
la Già t' ho veduto coi cupelli asciutti,
E se’ Alessio Interminei da Lucca;
Però t'adocchio più che gli altri tutti, »
1M Ed egli allor, battendosi la zucca:
« Quaggiù m’ hanno sommerso le lusinghe
Ond’ io non ebbi mai la lingua stucca. »
19 Appresso ciò lo duca: « Fa’ che pinghe, »
Mi disse, « un poco il viso più avante,
Sì che la faccia ben con gli occhi attinghe
Di quella sozza e scapigliata fante
Che là si graffia con l’unghie merdose,
do, a quanto sembra più cho non gli altri.
* Perchè sei ta tanto arido di rigoardar
ma più che non gli altri?» - « Perchè mi
minelli da Lucca. » Tì dannato si porcnote
uy dolonte ed adirnto di easere rico-
oe confessa che le ane adalazioni
lo precipitarono in tale abisso. Costui tu
tontemporaneo di Dante, Gli Interminei,
nt), lee amg o Antelminelli,
tmno di parte Bianca. Alessio era ancor
vive nel decembre del 1295, « Non lasciò
Dome di sé, nè forse sarebbe stato mai
ritordato senza i versi dell’ Alighieri ; »
Ifinutoli
che non ai potova ilistingnoro sé fosso
tonduto o no.
124. zU0CA: capo, Secondo l'Ott. voce
del dinletto Incchese. È invece dell’ uso
popolare, dicendosi zucca pelata, zucca
nuota, occ. La von è qui tanta per di-
aprezzo, (Quel battersi la zueca potrebbe
anche essere atto «li chi vuol risovve-
nirsi di cosa o persona dimenticata,
126. stucca: stanca, annoiata; voco
popolare toscana dell' uso.
V. 127-136, La meretrice Taide. Vir-
gilio mostra a Dante un'altra di quelle
povere creature che, anche in tal luogo,
pur graffiandosi per lo dolore, non cossa
di fare atti moretrici, È Taide, la mo-
retrice rappresentata da Terenzio nel-
l'atto III dell’ Eunuco, tipo di certo
donne che, lusingande in diversi modi,
ingannano gli incauti; onde Dante la
dipinge tanto schifosa.
127. rinane: pinga, spinga=Gunrdn
un po' più in là.
129. ATTINGNRE : ntlinga = giunga cogli
oochl a veder bene ln faccia di quella
sozza e scapiglinta fante, clod bagnacin.
Sulla voce fante per donna di abletta
comliziono o di vile presenza cfr. Monti,
Prop, 11, 1, p. 06.
130. FANTE: donna vile.
181, 81 GRAFFIA: di Anna, sorella di
Didone Virg. Aen. IV, 671 è seg.: « Un-
guibus ora soror findans, et pectora pu-
gnis, Per modios ruit, » - MERDOSE: « certo
178 [CERC. 8. BOLG. 2) Imr. xvi. 182-196
frame)
Ed or s’ accoscia, ed ora è in piede stante.
133 Taide è, la puttana che rispose
Al drudo suo, quando disse: “ Ho io grazie
Grandi appo te? ,, — “ Anzi, meravigliose. ,,
130 E quinci sian le nostre viste sazie. »
autor non poterat melius logul, conside
rata persona de qu
nes sunt formandi
mibtoriani ; » Meno
locia optima ; etiam
pria ;» (Quintilian
142, B ACCOBCLA
da meretrice, « (I
ora stesso in pid)
meglio è lasciare
oscurità quello ch
può esplicare; » J
154, DRUDO : il st,
le cbhbu mandato
Cir. Terenz. Kun. J
inoa-Menm suaviu
nos amis? - Detidie
« Ploriuum meriti vu. - won. arvaniar ne
nol Borghing, un. 1870, p. 324. Ordinaria-
monte si riferiscono questi versi all’ A.
III, so. 1: « Magnas vero agere gratias
Thais mihi?» - « Ingentes, » occ. Cfr.
BLANC, Versuch 1, 169. 1) Burri, Scritti
Dant., 25 esey., si avvisa che Dunte, non
avendo letto Terenzio, attingosse al se-
guente luogo di Cicerone, De Amictt., 20:
« Nulla est igitar hae amicitia, cum al-
erum audire non valt, alter ad mon-
um paratos est, Nec parasitorum in
uliis nasentatis nobin facota videtur,
issont milites gloriosi: Magnas vere
| gratia Thats mihif Satis erat re-
lere magnas ; inyentes luquid, Bom
iuget assentator ll, quod is, oulus
intatem dicitar, vult esse ma-
i. a Kil Betti osserva: « Usò Dante
Div. Com. la ricordanza di questo
nsso; 0 tolto facilmonte, siccome è
o, il nominative Thais per un voca-
tenne che jl vano soldato parlnase
e parole nun al parassito Gualone,
lla donna: 6 oli’ ella rispondesse Jal
a insolfribile pisconteria, » È appena
eunuléaibile che Dante abbia introdotio
Taide nel suo Pooma senza conascere
l'Eunuchus di ‘l'erenzio. -Guazix: meriti.
135. arro: lat. apud, appresso.
136. QuiNcI: di qui=gli occhi nostri
siano sazi di quauto abbiam veduto di
queste sporcho creature. Dante fa qui
un'eccezione, non dodicando che pochi
versi a questa razza di poccatori.
InP. xx. 1-8 )
[cere, 8. BOLO. 3]
([SIMONIACIH] 179
CANTO DECIMONONO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA TERZA: I SIMONIACI
(Uoniitti capovolti dentro fori, con le piante dei piedi acceso)
PAPA NICCOLO III
O Simon mago, o miseri seguaci,
Che le cose di Dio, che di bontate
Deono essere spose, voi rapaci
Per oro e per argento adulterate :
Or convien che per voi suoni la tromba,
Però che nella terza bolgia state.
A Già eravamo alla seguente tomba
Montati, dello scoglio in quella parte
< 30. La bolgia dei simoninci,
Nella era bolgia sono puniti i simo-
traflicatori delle cose sacre. Sono
sarees, capovolti, in fori, con lo gambe
© con le piante acceso; è poi, al so-
ete ngere di nuovi dannati, cadono
pete oa fessura della apt ead
une l'ordinestabilito da Dio -q ginciono
este Bdosimi caporolti; invece di pen
Strat cielo non ebbero che lan
sid mella qual sono costretti a tener gli occhi
È ripa drireg! pen
MMe nel sno seno furono il loro idolo:
a Fanno già dove è l'idolo loro; non
*©lleroche riempire la borsa: qui la riem-
piano lor proprie persone, v. 72; cal-
Fienatono sotto i piedi la santa fiamma
Spirito (ofr, Afti TI, 3 6sog.): qui la
farms, Hi contrario dell'aureola, cuoco
fire con denari da S. Pietro doni splri-
taal ole ofr, Att VILI, 96 sog. IS. Padri lo
dimero capo di una setta orclicn (Clem.
Al. Strom. 11, 11; VII, 17, Orig. cont.
Cel». 1, p. 57), anzi antore di ogni eresin
(Tren. ado. Haer. I, 23, 24. Epiph. Haer.
21). Da lui si denomina il far mercato
delle cose sacre.
3. pkoxo. AI. pewno. Le cose sacre,
come gli nffizi ecolesiastici, devono essere
congiunte alla bontà, date ni buoni ; cfr.
I, Tim. ILI, 2-12. Tit. I, 59,- vor: Al. &
vor = voi nl contrario, Cfr. Bhaxc, Ver-
such 1, 1600seg. Moonr, Crit., 323 è seg.
4. ADULTERATE: proatituite, vendendole
ecomperandole come nna merce, Adulte-
rio chinma la Bibbia l'idolatria; efr. Gere-
mia IDI, 9; XIII, 27. Ezech, XXIII, 47.
I simoniaci non adorano altro lddio che
il Vilello d'oro.
5. TROMBA: del banditore che strom-
bnaza i misfatti dei condannati a pub-
blica punizione, Al. la tromba epica. Ma
Dante chiama il sno Poema Commedia,
non Epopea.
7. TOMBA: questa terza bolgia 4 ona
fi tomba, o ctmitaro, dove sono sepolti
i simoninei, Del resto ogni bolgia è se-
poltura dei dannati,
180 [CERC. 8. BOLG, 3]
InF. xix. 9-18
[SIMONIAC1]
Che appunto sovra mezzo il fosso piomba,
10 O somma Sapienza, quanta è l’arte
Che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,
E quanto giusto tua virtù comparte!
13 Io vidi per le coste e per lo fondo
Piena la pietra livida di fori
Di
10 Noni
Ch
Fa
D. BOVILA MEZZO IL
MEZZO POSSO, — l'IOM
bo, perpendicolarm
sulla parte più alta
come Inf. XVIII,
monte in quolla pa
cenato scoglio da è
va n piombo alla n
cavità; » Moss.
Ll. MAL MONDO: l'inferno, «Che il mal
doll'univorsotutto insacca; » Jaf. VII, 18.
12. GlusTO: giustamente; « Vera et iu-
sta iudicia taa;» Apocal. XVI,7; « Vera
et iusta iudicin sunt eius, qui indicavit
de meretrice magna, quie corrupit ter-
rum in prostitutiono sua; » ibid. XIX, 2.
- COMPARTE: distribuisce premj o casti-
ghi corrispondentemente alle virtù od ai
vizi. Torcendo gli occhi dal ciolo, per
rivolgerli del tutto alla terra, è giusto
che la terra gl'ingoi e divori. « At non
. tibi vidotur a ‘Terra devorari ille qui sem-
por do Terra cogitatt Qui semper torre-
nos habet actus, qui omnetn spom suam
ponit in terra, qui ad cwlum non respi-
cit, qui futura nou cogitat, qui judicium
Dei nou motuit, noc beata ejus promissa
desiderat, sod semper de privsentibus cu-
gitat, et ad icterna non suspirat; talem
quam videris, dicito quia devoravit cum
Torra; » Orig. Momil. 19 tn Levit.
13. COSTE: ripe, o falde degli argini, che
non sono perpendicolari, ma inclinati.
14. Liviva : di color ferrigno, cfr. Inf.
XVIII, 2.
15. D'UN: tutti di nua medesima lar-
ghezza o circonferunza.
17. BKL: battistero di Firenze; cfr. Par.
XXV, 8. «chiamalo bel San Giovanni
porò ché la cappella di santo Giovanni
è delle belle et notabili cappelle del mon-
do; » An. Fior.
18. BATTKZZATORI : plur. di dbaltezzatore,
10 era tondo,
è maggiori
bel San Giovanni
tori ;
che battezzano, Così i più, AI, bat-
wij, plur, di batterralorio, cioè per
ili battisterio, interpretazione poco
milo. Cir. Dionisi, Anedd. V, 120-27.
one, Firenze illustrota, Vir., 1084,
1 sog. £. F., 100 e sog. BLaxO, Ver-
[, 171 6 weg. Il Fonte battesimale
i non esiste più, essendo stato di-
o quando fu preparato il tempio
al solenne battesimo del principe Filippo
figlio di Francesco I e di Giovanna d'An-
stria nel 1577. Dol resto il Battisterio dl
Pisa non differisco punto da quello di
S. Giovanni a Firouze. Or ecco la pianta
del primo, la quale basterà e render
chiare lo parule del Poeta.
a, Mensa dell’altare. - è, Fori e pozzetti. -
c, Fonte battesimale riempito d'acqua. -
d, Ricinto snarimorev. - e, Colonna centrale.
Cfr. LORD VKRNON, In/. vol. III, p. 137-
141 ed ivi le tav. LUI-LYVI. ANT. VIKGILI,
Dei Battezzatoi o Battezzatorti negli an-
tichi fonti battesimali, Fir., 1802. Encicl.
181 © sog. Ricci, Div. Comm. 124-29.
P “vy - AL
Ceenc. 8. BOLG. 3]
19
Inr. X1x. 19-27
(simoniAci] 181
L’ un degli quali, ancor non è molt’ anni,
Rupp’ io per un che dentro vi annegava:
E questo fia suggel che ogni uomo sganni.
Fuor della bocca a ciascun soperchiava
D'un peccator li piedi, e delle gambe
Infino al grosso; e l'altro dentro stava.
Le piante erano a tutti accese intrambe;
Perché sì forte guizzavan le giunte
Che spezzate averian ritorte e strambe.
20. ree UN: « ddicie l'Antore che vide
in ana boca il di di Sabato (santo) quando
ti dà il faoco benedetto, in questa buca
ti vi si sconvolso Antonio di Baldinaccio
de' Caviceinoli di Firenze per siffatto mo-
doche convenne che la buca si disfavesse,
è fne l'Autore a disfarla; An. ed. Vern.,
1848, pag. 148, Aida Tae, Dant.,
Lan., Ott., Falso Boee., Buti,
An. Fior., DE non en in propo-
nulla di positivo. Ma Benr.; « Qui
fait talis: cum in ecclesia priv-
circa Baptismnm colladerent qui-
pueri, nt est de more, unns eorum
furiesior altis intravit unum istornm fo-
ramninnm, et ita ot taliter implicavit et
Inrolvit membra sna, quod nulla arte,
mollo ingenio potorat inde ratrabi. Cla-
mantibns ergo pueris, qui lam juvare
poterant,
ti
factus est in parva hora
magnos concursns populi; et broviter
nullo scionte aut potente succurrere
Poero periclitanti, supervenit Dantes,
qui ta tano erat de Prioribus regentibua.
Qui aubito viso pnero, clamare cmpit:
Ah quid facitis, gens ignara! portetar
ima sscuris; et continno portata secari,
Dantes menibue propriis peronasit lapi-
qai de marmore erat, ed faciliter
ex quo puer quasi reviviscens n
mortuia Mber evasit.» E Serrav.: « Somel
la uno Sabato Banoto erat tanta molti-
Letti
| erat ibi, accopit aleam, ot
ere ice meen,
» Confr. Dioxisi, Anedd.
v, ee aug
Ma: Al, sta. - RGANNI: «idost quod
deretur violasse rem sacram et sio com-
misisso crimen sacrilegii; » Benv. - « Al-
cuni voglion dire che lo rompesse come
eretico, per dispregio;» Vell, - « Non po-
trebb' essere cho, ossendo stata fatta
quella rottura senza testimonj, venisse
pol attribuita ad altri che no fu dai preti
vessatole che Dante per pietà di quel-
l'innocente scrivesse in faccia al mondo:
Ruppi io e non altri; e questo sia suggello
che disinganni ognuno, Ciò parmi più na-
turale; poichè essondo vivo il fanciullo,
avrebbe pototo Dante recarlo in testimo-
nianza del fatto, se il sospetto forse cn-
dato su lui: 6 ciò sarebbe bastato a giu-
atificarlo; > Joss.
22. neoca: Iimbocentura di ogni foro, =
BOCRNCHIAVA: soperchiavano i piedi.
23, LI VIRDI, E DELLE GAMUE: «al che
al vedeano li piedi e le gambe infino al
polpaccio; » Twti, AI. pri (o ot) rm re
DELLE GAMNH, lex. ovidentemente falsa ;
efr. Moone, Crit., 325.
24. onosso: polpaccio, — L'ALTRO: il
rimanente del corpo. - DENTRO : dal foro.
25. INTRAMBE: ambod.le piante de' piedi.
26. rereng: è perciò, Per la grande
arsura le giunture, ossia i colli de’ piedi,
si contorcevano talmonte, che avrebber.
rotto qual più forte legame.
27. RITORTE: vermàne verdi, che attor-
cigliate servono per legami di fastella o
cose simili. - StRAMBR: « così chiamano
in Vald'Ema quelle vette di albero ri-
tortoda legare fascine od altro, dette per-
ciò altrove ritortole; » Carer. Ma quale è
allora la differenza tra ritorte © strambe?
Al, spiognno strambe por funi fatto con
arle introccinto ma non ritorto, 11 Gelli;
« Ritorteson quei legamenti do' rami d'ar-
bori attorti, con che i villani legono le fa-
stella della stipa; strambe son quelle fa-
ne, fatto d'arbo secche e nervose, con le
quali vengon legate le cnoja di verso la
Barborin, »
182 [CERC. 8. BOLG, 8]
—— — ——_
INF, x15, 28-42
[NiccoLò 111]
28 Qual suol lo fiammeggiar delle cose unte
Muoversi pur su per l'estrema buccia:
Tal era li da’ calcagni alle punte.
91 « Chi è colui, maestro, che si cruccia,
(4uizzando più che gli altri suoi consorti, »
Diss’ io, « @ cui più rossa fiamma succia ? »
34 Ed egli a me: « Se ta vuoi ch'io ti porti
Laggiù più giace,
Da lui i torti.
37 Ed io: « o a te piace.
Tu se’) on mì parto
Dal tur 16 si tace. »
40 Allor ven quarto ;
Volgen B mano stanca
Laggiù ‘0 ed arto.
28. QUAL: « Ecce levis
tice visus Iuli Funderely
qué innoxia mollis Laml
mas eb circtim tomipOord pues, - + ory.
Aen. II, 682-4. - « Noo cum subsiliont
ignos ud tocta domorum Et celori fiam-
ma degustunt tigna trabesque; » Luerct.
Iter. nat. 11, 12-3.
29. FUR: solamente. - BUCCIA: super-
ficie; cfr. Purg. XXIII, 25.
30. TAL: così muovevasi lì il flainmog-
giaro por tutta la pianta do’ piedi volti in
su, da’ calcagui fin alle punte delle dita.
V.31-78. Papa Niccolò III. Dante
vede uno che guizza coi piodi più degli
altri. Afutato da Virgilio gli si accosta è
gli dimanda: «Chi sei?» Il miserabile
crode che Dante sia Bonifazio VILI, il
quale, già morto, vonga ad occuparo il
miserando posto. È papa Niccolò III, che
confessa le sue colpe o dichiara a Dante
lu condizione della bolgia. Sopra questo
papa cfr. Pxutz, Mon. Germ. XV ILI, 569
e seg., 687 seg. MURATORI, Script. TIT,
606 e sog., XI, 1176 e seg. RAYNALDUB,
Annal. ecel. ad n. 1277-80. Porrnast, Zte-
gesta Pontif. Rom. p. 1719 è sog. Posst,
Analecta Vatic. p. 71 0 sog.
32. GUIZZANDO: contorcendo i piedi, -
CONSORTI: nella colpa o nol supplizio.
33. BUCCIA: « perocchè la fiamma di
cose unto, quale era questa, pare quasi
non ardere la materia soggetta, mu sug-
gore la untura; Barg.
84. PORTI: « quia ipse cuin corpore non
potorat iro por ripam arduam ; » Benv.
sa por Dante troppo scoscesa, I
sconilono por avventura un‘ al-
junlalual. Il rimproverare, como
woo a nati, nl già capo della Chiesa 1 vixj
suoi ede’ suoi pari è assai poriculoso ; ma
Danto d portato da Virgilio, cioò dalla su-
prema autorità secolaro.
35. niva: inuferiore, che più giace, cioò
è più inclinata, essendo più bassa della
superiore, poichè Malcbolge tutta pende;
Inf. XXIV, 37 © seg.
86. DA LUI: ogli stesso ti dirà chi ogli
sia o qual sia la sua colpa.
37. M'È BEL: mi è grato; cfr. Purg.
XXVI, 140.
38. SIGNOKR: cfr. Inf. IT, 140. « Tu
major; tibi mo est weum parere; Viry.
Eclog. V, 4. - vanro: allontano.
39. QUKL: ciò che io penso e non ester-
no; cfr. Inf. X, 18; XVI, 121 e seg.
40. VENIMMO: Dante portato da Virgi-
lio. La dnnunda, come un'ombra potesse
portare un corpo reale è oziona. Gli spi-
riti sono dotati, secondo la credenza po-
polare, di forze fisiche, onde ponno por-
tare la gente non meno del diavolo, che
è lui pure incorpores. - QUARTO: Come
quello che separa la torza dalla quarta
bolgia; il primo urgine è la roccia, dal
cui imo si muovono gli scogli; Inferno
XVIII, 16.
41. VOLGRMMO: dal ponte verso la bol-
gia. - STANCA: sinistra.
42. FORACCHIATO: come le ripe pieno di
fori con entrovi un dannato capovolto ;
cfr. v. 13 è seg. - AKTO: stretto. Benv.:
1? x. a
[CERC. 8. BOLG. 3]
INF. xix. 43-56
[NiccoLò 111) 188
43 E il buon maestro ancor dalla sua anca
Non mi dispose, si mi giunse al rotto
Di quei che si piangeva con la zanca.
4 « O qual che se’ che il di su tien di sotto,
Anima trista, come pal commessa, »
Comincia’ io a dir, « se puoi, fa’ motto. »
49 To stava come il frate che confessa
Lo perfido assassin che, poi ch’ è fitto
Richiama lui, per che la morte cessa.
52 Ed ei gridò; « Se’ tu già costi ritto,
Se’ tu già costi ritto, Bonifazio?
Di parecchi anni mi menti lo scritto.
85 Se’ tu sì tosto di quell’ aver sazio
Per lo qual non temesti tòrre a inganno
* pleno foraminibus aretis; » contro la
grammatica, Al. arto perchè tuttele bolgo
sono strette (1). Al. arto perchè foracchia-
to, mentre tanto vi perdea il fondo, quanto
v'era di vano (1). Confessiamo di non po-
tar dire con certezza di convinzione per-
ché chiami stretta questa bolgia. Forse
il contrario, la caricatura della via stretta
(8. Matt, VII, 13)?
Prod AI. 81m, sinchd. — mi arunse: mi
ebbe appressato. - AL ROTTO: al foro di
quegli che più degli altri si dibatteva
co' piedi, v. 32.
d5. PraxoRVA: piangere è qui adope-
rato nel senso proprio del lat. piangere
=.battere, percuotere. Al. dava segni di
dolore, franc. se plaignait, - BANCA : gam-
ba, fl sing. per il plar. Al. piedi, « È voce
viva cianes cangiata la z in c, come nella
frase Andare a cianche larghe, per dire a
= larghe. Zanca o cianca è danqae
gamba, no come aleuni dicono il pio-
de; » Caverni. Cir. Inf. XXXIV, 79.
47. commessa : piantata come un palo;
fitta in mododacombaciarein ogni parte
eol foro,
48. BR PUOI: « hoc pro tanto dicit quia
non videbator beve verisimile, quod ille
posset bene loqni, qui habebat 0s reple-
tum terra, ideo autor stabat maltos at-
tenta»; » Bene. Ma è v. 267
40, rrRATR: lo Statuto municipale di Fi-
enza prescriveva: « Assassinus trabhatur
nd candam muli sen asini neque ad locum
et ibidom plantetur capite deor-
eam, Ita quod moriatur. » La pena della
| Prepagginazione era ovvia nel medioevo.
* Aliquando contingit.... quod nonna pes-
simua sicarins damnatus.... ad plantatio-
nom corporis, postqunm est positus in
fossa cum capite deorsnm revocat onnfos-
sorem suum et confiteatur sibi aliquid
peccatum, ot dicat sibi aliquid de novo.
Tune confessor necessarie inclinat aurem
sunm nd torram et attente anscultat il-
Imm; » Bene, — « Assassino è colni che
necide nitrni per danari, et è comune-
mente condannato in ogni Inogo del mon-
do a tal pena; cioè trapiantato in terra.
E veramente li simoniaci sono simili alli
nssnassini: imperò che, come li simoniaci
vendono In grazia; così ll assassini ven-
dono lo vincolo dell’ amor naturale per
danari, quando uccidono gli nomini per
danari; » Buti.
61, ckssa: tien lontana da sè, differi-
sce, ritarda, « L'assnasino talvolta, a ri-
tardare d'alcun poco In morte, che ope-
ravani col chiudere il foro por mozzo di
terra, richiamava Il frate, fingendo altro
peccato da confessargli; » L. Vent.
64. scnitTo: libro del fatero, nel quale
i dannati leggono l'avvenire ; cfr. Inf. X,
100 6 seg., 6 nol quale Niccolò IIT aveva
letto che Bonifazio VIII doveva venire a
surrogarlo non prima del 12 ottobre 1303.
65, Avi: ricchezze mal acquistate;
ofr, Vill, VIII, 6, #4.
56. INGANNO: si racconta che Tionifa-
zio VIII indnoesse con inganno Colosti-
no V a rinunziare al papato, cfr. Murat.,
Ann. d'It, ad a. 1204, è con inganno si
facesse quindi eleggere papa; cfr. Vill.
VILI, 6
184 (cenc. 8. ROLG. 3) Ixy. xix, 57-72
[NICCOLÒ 11]
Lu bella donna, e poi di farne strazio ? »
58 Tal imi fec’io quai son color’ che stanno
Pur non intender ciò ch' è lor risposto,
Quasi scornati, e risponder non sanno.
61 Allor Virgilio disse: « Digli tosto:
Non son colui, non son colui che credi.,, »
Ed ia riennai nnma a ma fy imposto.
64 Per
Pi
Mi
67 So di
Ch
Sa
70 E ve
Ci
Cl
67. DONNA: Chi.
Nella famosa bolla (nam sunt Bonl-
fazio VIII cita le parole: « una est co-
lumba mea, perfecta mea, » Cant. VI, 9,
riferendole alla Chiesa. - STRAZIO : simo-
neggiando. «Nullo maggiorestrazio puoto
uomo fare dolla sua donna, ch’ egli la
sposata, che sottumetterlu por moneta a
chi più no dà; » Ott. Di Bonifazio VITI
BxuN.GuUILO Vita Bonif. in Murat. Script.
ITI, 1, 670: « Inca:pit autem quadam via
suam potentiam et papalem magnificen-
tiam dilatare. Cuius prwdecessor Civle-
stinus miracula operatus est in vita sua
et post mortem. Ipso vero Bonifaciusa fu-
cit mirabilia multa in vita sua, sed ejus
mirabilia in fine mirabiliter defscerunt. »
E Ptolem. Luc. Hist. eccl. XXIII, oc. 36:
« Factus est fastuosua, et arrogans, ac
omnium contomntivus; cfr. Murat. Script.
XI, 1203.
68. TaL: rimasi lì come chi, non avendo
compreso ciò che gli fu risposto e creden-
dosiscornato, non su cosa debba replicare.
62. NON son: avendo Niccolò ripetuto
la domanda: Se’ tu, ecc. v. 52 © seg., Vir-
gilio dice a Dante che ripeta lui puro lu
risposta.
64. TUTTI: allatto; Al. TUTTO. Cfr.
Moonrk, Crit., 325 0 sog. Inf. XXXI, 15.
-STORSE: «In questo atto fatto per papa
Niccola si mostra, che si pentisse delle
parole dette di papa Bonifazio; u dare
ad intendere, che l'uomo non dee essere
6 i piedi;
) di pianto
me richiedi ?
sotanto
OTSA,
| gran manto.
orga,
orsatti,
nisì in borsa.
itmoso a dire male d‘altrul; » Of.
- = au sigoum ire et doloria. Dolait enim
quod iste non esset Bonifacias, quia in
adventa eius erat cooperiendus ab eo; »
Benv. Così pure Buti, Barg., Tal., Vell.,
Gelli, oco. - « Per vorgogna d'aver par-
lato ad altri che a complice sao; » Tom.,
Pol., ecc. Forse ha ragione il Ross.: « Il
pape Orsini all'udir da Dante ch’ of non
era quel Bonilazio da lui sì avidamente
attoso, nella speranza di scemare al ve-
nir di lui la propria pena (poichè a co-
lor che van sotto si spegne la fiamma
delle piante (f}), tutti distorae i piedi nel
suo dispotto. »
67. ‘rl CAL: se ti prome tanto di sapere
- chi io sia, che tu abbi por questo scorsa
la ripa che è tra l'argine e questo fosso.
68. colma: Al. SCORSA.
69. MANTO: papalo; cfr. Inf. II, 27.
70. DELL’ OKRSA: degli Orsini, che se-
condo l'An. Fior. si scrivevano «de fliis
ursit, » - « Vuole aigniticare cho fu ava-
rissimo, come l'orso, che è ingordo ani-
male, mai non si sazia ; > (1?) Buti.
71. AVANZAR: muudare avanti, far gran-
di, accrescendone gli averi e la potenza.
- ORSATTL: la famiglia degli Orsini.
72. su: nel mondo imborsai denari, qui
nell'infernola mia persona. Di Niccolò III
Vill. VII, 54: « Muntro fu giovano che-
rico e poi cardinale fu onestisaimo e di
buona vita, e dicesi ch'era il suo corpo
vergine; ma poi che fu chiamato papa
pur
(cere. R. ROLO. 3)
Inr, xix. 78-85
[CLEMENTE v] 185
n Di sotto al capo mio son gli altri tratti
Che precedetter me simoneggiando,
Per le fessure della pietra piatti.
16 Laggiù cascherò io altresi, quando
Verrà colui ch'io credea che tu fossi
Allor ch'io feci il subito dimando.
19 Ma più è il tempo già che i piè mi cossi,
E ch'io son stato così sottosopra,
Ch' ei non starà piantato coi piè rossi;
n Ché dopo lui verrà, di più laid’ opra
Di vér ponente un pastor senza legge,
Tal che convien che lui 6 me ricopra.
85 Nuovo Jason sarà, di cui si legge
Mecola terzo, fu magnanimo, e per lo
caldo de'snoi consorti molte cose
per fargli grandi, e fa de' primi, o il pri-
mo papa, nella col corte s'nansse palese
ee en ee la qual
cosa gli aggrandi molto di possessinni 6
di castella e di moneta sopra tutti | Ro-
mani, in poco tempo ch'egli vivette. »
Fa eletto papa nel dicembre 1277, e mori
11 22 ngosto 1280.
72. bi SOTTO: giù per la fessora della
Metra. — ALTRI: papi; « et nominem no-
minat, quia nullus fuerat ante eum ita
pablice infamatus de simonia; » Benv. —
: raccolti, ofr. Inf. II, 106. Al.
pala Non furono tirati ma rpinti
loro successori.
76. PIATTI: appiattati, nascosti.
77. conut: Bonifazio VIII,
78, SÙBITO: prematuro. - DIMANDO :
se" tu già cost) ritto, eco. » v. 62.
V. 79-87. Papa Clemente V. Nicco-
W ITT, che si cosse i piedi già vent'anni,
predice che Bonifazio VIII (m. 12 otto-
bre 1202) starà lì meno di vent'anni a
#uosersi | anoi, perchè verrà prima Cle-
mente V (m. 20 aprile 1314) a farlo cascar
ho ogni beneficio por danari s'aven in
on fo lossurioso; cho paleao si
a ton lon In contersa di
ren, bellissima donna, figiiaola del
;> Vill. IX, 59.
più rossi e far cascar giù Bonifazio VIII.
Il successore immediato di Bonif. VIII,
Benedetto XI (m.27 Inglio1304) « fu buono
momo, e onesto e giusto, e di santa è re-
ligiosa vita, o aven voglia di fare ogni
bene; » Vill. VIII, 80, onde non andò in
inferno. È chiaro che abblamo qui un va-
ticinium post eventum, oe che questi versi
non furono scritti che dopo il 20 apri-
lo 1314,
83. LONENTR: Rertrando del Gotto, ar-
civescovo di Bordeanx, che fu poi Cle-
mente V, era (+uascone, e la Gnascogna
è nl ponente di Roma. - SENZA LEGGR:
che non bada a veruna legge, nè divina
nè omana. Clemente V comprò infame-
mente il gran manto, cfr. Vill. VIII, 80;
trasferì la sede papale in Avignone; fu
vile schiavo delle colpevoli voglio di Fi-
lippo il Bello, cfr. Raynal. Annal. ad a.
1907. Guid. vit, Clem. in Murat. Script.
III, 676; soppresse ingiustissimamente
l'ordine dei Templari, ingannò perfida-
mente Arrigo VII, ofr. Par, XVII, 82,
Itaynal. ad a. 1312, 6 ne fece tante altre
delle suo, da meritarsi anche troppo l'elo-
gio qui fattogli dal Poeta. Cfr. Encicl. 387
© seg.
84. tur: Bonifazio VIII. - mcorna:
qui, occupando l'imboccatura di questo
foro; 6 su vel mondo, commettendo tali
o tanto Infnmio, da far dimontienro, o nl-
meno paror picciole, quelle commesse da
mo oda Bonifazio VII.
85. Jason: figlio di Simone II e fra-
tello di Onia III sommi pontefici giudei.
Comprò il pontificato dal re Antioco, in-
trodusse nella santa città costumi pa-
186 [cerc. 8. BoLG, 8) Ixr. xix. 86-100
—r
(INVETT. DI DANTE)
Ne’ Maccabei. E come a quel fu molle
Suo re, così fia lui chi Francia regge. »
88 Io non so s'io mi fui qui troppo folle,
Ch’ io pur risposi lui a questo metro:
« Deh! or mi di’: Quanto tesoro volle
91 Nostro Signore in prima da San Pietro
Ch’ ei nonesse le chiavi in sua balia?
O,
dd Né |
Oi
Al
OT Però
E
(0)
100 E se
pani, ecc.; ofr. IT
f-10. IV, Macon.
Bi, A QUEL: n JOS. — Marien. CUTE
scondonte, favoruvolo.
87. KK: Antioco, re di Siria. - CHI: Fi-
lippo il Bello, di cai Clemente V fu crea-
tura; cfr. Murat. Script. 1X, 1015. Murat.
Ann. ad a. 1305.
V. 88-117. Invettiva contro i papi
simoniaci. Arde il Poeta di sdogno o
dice gravi parole contro I’ avarizia dei
papi, idevtificandoli colla meretrice del-
l'Apocalisse e deplorando Ja donazione
di Costantino.
88. FOLLK: stolto a perder qui il tempo
nol faro rimproveri ad un dannato. Al.
temorario, usando tal linguaggio verso
Sua Santita.
89. METRO: di questo tenore: « a que-
sto modo posto in versi; » Buti. Cfr. Inf.
VII, 33.
90. v1’: dimmi un po’, quanto denaro
richiese Cristo da Sun Pietro prima di
dargli lo chiavi del regno dei cieli; cfr.
S. Matt. XVI, 19.
03. vikmami: cfr. S. Matt. IV, 19. S.
Marc. I, 17. S. Giov. XXI, 19.
04. ALTRI: Apostoli, compagni dl San
Pietro. - CHIKSkto: Al. TOLSKRO, loz.
che al Fosc. pure « più calzunte, ove si
parli di simoniaci potenti e di Papi che
rappresentando San Pietro non chiedono
ma pigliano. » Vedi pure Z. F., 111 o seg.
- MATTIA : elotto apostolo in luogo di
Giada il traditore; cfr. Ati I, 15-26.
“ Viemmi dietro. ,,
va Mattia
u sortito
a ria.
munito,
1 moneta
‘arlo ardito,
mi vieta
(1) 8TA'; stai a to, non flatare; oppu»
tatti coniì; chè tu sei punito a dovere.
- GUARDA : custodisci, Amara iroulas,
ePocunia tua loca sil in porditioneti ; »
Act. VIlI, 20. - MONK YA: forse « può in-
tendersi particolarmente quella che fu
detto aver Niccolò Orsini ricevuta da
Giovanni Procida, per consentire alla
ribellione di Sicilia, ordita dal Procida
contra Carlo, la quale scoppiò poi col
famoso Vospro Siciliano. » Rose.
99. CARLO : d'Angiò. Quasi tutti inten-
dono dell'oro bizantino recato da Gio-
vanni di Procida a Niccolò III per com-
perarno |’ assentimento nolla congiura
contro Carlo I d'Angiò; efr. Vill. V11,
64, 67. Ma Niccolò « fu bone ardito con-
tro Carlo pria del 1280, epoca supposta
della corrnzione. L'avea spogliato della
dignità di Senatore di Roma, e di Vi-
cario in Toscana; battuto ed attraver-
sato in mille guise fin dal primo istante
che pose piede nella cattedra di S. Pie-
tro: onde l’ardimento contro Carlo piut-
tosto si deve intondere di questi fatti
certi, che del supposto disegno della con-
giura, che por certo non ebbe offetto
dalla parte di Niccolò, morto nel 1280. E
le parole mal tolta moneta, meglio si ri-
feriscono alla non dubbia appropriazione
delle decime ecclesiastiche, e del ritratto
dogli Stati della Chiesa, che alla baratte-
ria; » Amari, Vesp. Sic. Append., 538.
100. ANCOR: anche adesso cho ti trovo
qui tra’ dannati.
[ceRc, 8. BOLG. 3]
InF. X1X. 101-111 [iINVETY. DI DANTE] 187
La riverenza delle somme chiavi
Che tu tenesti nella vita lieta,
193 To userei parole ancor più gravi;
Ché la vostra avarizia il mondo attrista
Calcando i buoni e sollevando i pravi.
106 Di voi pastor’ s’accorse il Vangelista
Quando colei che siede sopra l'acque
Puttaneggiar co’ regi a lui fu vista:
109 Quella che con le sette teste nacque
E dalle dieci corna ebbe argomento,
Fin che virtute al suo marito piacque.
102. LIRTA: talo sembra ni dannati,
Inf. VI, 61; X, 69,82; XV, 40, 67, «C'è
anche un po' di sarcasmo, quasi toconase
le delizie della sua vita pontificale; » Betti.
103. USRREI: è le usa veramente nei
versi seguenti.
104. vosthA : di voi pastori. - 1L MON-
DO: rammenta le molte genti che la lopa
Je già viver grame; Inf. I, 51. - atrni-
eva: «echo altro cotilianamente occide
6 pericola le città, le contrade, le singu-
Jari persone, tanto quanto lo nuovo ran-
namento d'avero appo alenno! » Conv.
1X, 12.
105, CALCANDO: « scoo la cagione, per-
chè li pastori simoniaci dellasanta Chiesa
fanno tristo fl mondo, per ch'ellino cal-
cano | buoni non accettandoli a'benofici,
perchè non hanno che dare; et Inalzino
Wi rel peri danari, accettandoli a’ benefici :
è così danno materia a’ cherici d'essere
tristi, e non curare se non d'avere danari,
sperando per quelli d'ottenere ogni gra-
mn; » Auti. — s01.evanpo: Al. SU LE-
VaNxvO, lex. inattendibile, benchè difesa
da 2. F., 112.
106. s'ACcORSR: « vi scorso o gindicò
profetando;» Tom. - VanakiustA: S. Gio-
vanni nell'Apocalisse XVII, |) qual capi-
tolo vuol essor lotto per intendere questi
versi di Dante. Il Vangelista parla di
Roms pagana; Dante, con tanti altri,
intende di Roma cristiana, papale.
107. com: Roma, Apoe. XVIT,18; por
Danto Ia 8, Beale. — Acqui: popoli, genti
© lingno; Apoe. XVII, 1h,
108. PUTTANERGIAR: « essero n Lutto lo
doi re. Matteo Villani (lib. I,
dico det del conte d'Avellino, che
NACQUR: il Vangolistala vido sin da prin-
cipio a cavallo dolla bestin dallo sotto te-
ste e dieci corna ; ibid., 8. Secondo alcuni
interpreti Ja bestia e la donna non sono
in sostanza che la stessa cosa. « Unde il
Poeta, confondendo insieme la donna 6
la bestia, scorse nel loro complesso una
figura della Chiésa ai re prostituita; »
Rose.
110. e DALLE: il Betti vnol che si legga:
Ri WA LE INKCI CORNA, fondandosi sul
passe Apocal. XVII, 7: « Et dicam tibi
sancramentum mulioris, of bestim, qnm
portat eam, que habet capita soptem et
cornua decem,» Ma la lez. è del tutto
privadi antorità, - CORNA : dieci re, Apoe.
XVII, 12, Così interpreta l'Apocalisse sò
stessa, Dante sembra però avero inteso
diversamente. Bambgl, vede nella mere-
trice la vanità mondana; nelle sette teste
i setto peccati mortali; nelle dieci corna
dieci prevaricationes, o trasgressioni dei
dieci precetti del decalogo, sce. Meglio
Petr. Dant.: « Meretrix gubernatio eccie-
sim est; bestia corpus ecclesim est; septom
capita, septem virtates, seu septem dona
Spiritus annoti; deoem cornna, decem
precepta logis Moaaicie,... A quibus cor-
nibua donec pastor Ecclesim habuit ar-
gumentum, id ost normam et modum
gubernandi, placuit ei virtns. » Secondo
Bene. In meretrice è la coria romana;
In beatin che ella cavalca la chiesa mi-
litante; le sette testo sono i doni dello
Spirito Sante, oppure lo sotto virtà enr-
dinnali; lo diesel corna | dicci comnnidn-
menti; il marito è il papa, vienrio ili
Cristo, ecc. Secondo altri antichi le sette
teste figurano i sotto sacramenti; ctr.
Com. Lips, 11, 750 e seg. - ARGOMENTO:
freno.
188 ([CERC. 8. ROLG, 3]
INP. xix. 112-122
[INVETT, DI DANTE]
112 Fatto v'avete Dio d’oro e d'argento;
E che altro è da voi all’ idolatre,
Se non ch’ egli uno, e voi ne orate conto?
115 Ahi Costantin, di quanto mal fu matre,
Non la tua conversion, ma quella dote
Che da te prese il primo ricco patre! »
118 Li E
O ir ordesse
Fort le piote,
121 Io cre ì piacesse,
Con
112. DIO: « Simul)
tum et aurum ; » Pa
gentunm suum, et |
sibi idola;» Osea V
idolorum servitus;-
ritia est simulachro!
loa. IMI, 6.
113. CHE ALTRO: q
= LIMILATHE : ant. plor, PU Wee a ee UT
tra; oggi idolatri; clr. Nunnuce. Teor.
de’ Nomi, 140 e seg., 284 e seg.
114. RGLI: eglino, gl’ idolatre. - UNO:
idolo. - ORATE: adorate. Per altro i pa-
gani non adorano an solo idolo. Onde V.
Cesatispiega: « Voi fate peggio di quanto
facesse il popolo d'Israele quando volse
ad idolatria, poich’ egli si accontentò di
un idolo d'oro unico(Esod. XXXII, 4, 8,
19, 20, 24. Sal. XV, 19), mentre voi fate
deità .d’ogni pezzo d'oro e d'argento, »
Serrav.: <Quot floronos habetis, tot Deos
honoratis. » - Alcuni loggono: 8K NON
CI'KGLI È UNO, 07. F., 112 osserva: « Por
questa nuova (1) o splendida(?) lez. la sa-
tira scoppia amarissima oltre ogni dire;
perchè torna a quello di chi dicusse ad
altri: qual differenza fra to ed un assas-
sino, se non ch’ egli uccide © tu ammaz-
zi? Niuna differenza. E niuna pore tra
i simoniaci e gl'idolatri: perchè dev no-
tarsi che qui non vuol già inforire il
Poeta che passi tale o tal altra differenza
fra costoro, come sarebbe dall'uno al
due ecc., bensì che non ve ne corre al-
cuna.» Invece Fosc.: « Cinque codd. della
Cr.: BE NON CH'KGLI È UNO, nè mi gio-
vano a chiarire il verso che per me fu,
ed è, e sarà, temo, oscurissimo. Certo
gl’ idolatri, non che orare ed adorare un
solo Dio, sacrificavano a più di cento. » -
A noi pare che il sonso sia: Por un Dio
1pre attese
lorano gl' idolatri, voi no adorato
donque il conto per uno, a vol
volte peggiori.
MATER: madre, cagione. Matre an-
anche in prosa.
CONVERSION: al cristinnesimo, -
la famosa donazione di Costantino
| Silvestro, ai tempi di Dante cre-
hus ul fatto storico; cfr. De Mon. ITI,
10; IT, 18. Inf. XXVII, 04 è sey. Purg.
XXXII, 126 e sey. Par. XX, 55 © seg.
Com. Lips. I, 209; II, 763 © seg.; ITT,
543 e seg. Encicl. 640 e seg.
117. PATRE: patre, papa Silvestro, i
cui precessori non possedevano nulla.
V. 118-133. Eitorno sullo scoglio.
All'udire le parole di Dante, Sua Santità
guizza co’ piedi, dando come de’ calci nel
vano, a ciò spinto o dall'ira o da’ rimorsi
della coscienza. Virgilio sembra appro-
vare con lieto volto il socerchio ardire
(v. 88) del suo allievo, cui egli prende
e porta su sino a mezzo il ponte che at-
traversa la quarta bolgia.
118. CANTAVA : dicuva apertamente
queste note, cioò questo parole.
120. sl'INGAVA: agitava, acuoteva |
piedi. Al. sriuinaava. Cfr. Z. F., 114.
BLANC, Versuch 1, 181 e sog. - PIOTE:
piante dei piedi. « Cuin ambabus plantis
pedam, quos dacebat et exugitabat ultra
modum solitum.... interim dum dictarem
sibi tales contumelias, ita quud cantus
poeticus erat sibi plus amarus, quam can-
tus fuerit unquam dulcia, quem audisset
in choro vivone; » env.
121. riacnssE: il cantare cotai noto a
Sua Santità.
122. LABBIA : aspetto, volto; Inf. VII,
7; XXV, 21. Purg.XXIII, 47.» ATTRSK:
ascoltò attontamento; foce attenzione.
a;
(ono. 8. BOLO. 3]
Inr. xrx. 123-133
[RITORNO] 189
Lo suon delle parole vere espresse.
1% Però con ambo le braccia mi prese,
E poi che tutto su mi s’ ebbe al petto,
Rimontò per la via onde discese;
17 Né si stancò d’avermi a sé distretto,
Sì men portò sovra il colmo dell'arco
Che dal quarto al quinto argine è tragetto.
130 Quivi soavemente spose il carco,
Soave per lo scoglio sconcio ed erto,
Che sarebbe alle capre duro varco:
123 Indi un altro .vallon mi fu scoperto.
123. vene: veraci (cfr. Inf. II, 135),
benchè ardite, -, ESPRESSE: pronuncinto
chiaramente.
124. rend; «esprime l'atto conseguente
dell'azion precedente; vale adire cheVir-
gillo tutto contento del discorso fatto da
135, wr s'rbbR: m'ebbe levato sa di
peso al suo petto.
126. PER LA VIA: sull'argine.
127. DISTRETTO : strottamente abbrac-
cinto. Al. nieruerro. Non ai alaned di
tenormi stretto al suo petto, finchè mi
ebbe portato aul colmo, eco.
sì: sinchd, como v. 44. Al. sì Mi
o 8Ì ME rorTÒ,
129. i TRAGRTTO: è passaggio, nttra-
vorea Ja quarta bolgia.
180. quivi, sul colmo dell'arco. - sro-
Bx: depose. Al, Pose; cfr. Z. F., 1l4a è
seg. Fanf. Stud. ed Osst,, 157 © nog.
131. SOAVE: avv.=depose il carico
della mia persona soavemente, perchè
lo scoglio era sconcio ed erto, Secondo
altri soare è qui agg.=il soave carico (1!)
della mia cara persona, Si depone un ca-
rico per uno scoglio?
122. puro: difficile; vi passerebbero
n faticen le capro. Veramonte quegli aco-
gli non erano fatti per persone vive.
133. INDI: da quel Inogo, cioè d'in sul
colmo dell'arco si offorse agli occhi miel
un altro vallone, che è la quarta bolgia,
190 [CERC. 8. BOLO. 4]
Inr. xx. 1-9
[INDOVINI |
CANTO VENTESIMO
CERCHIO OTTAVO
BOL
(Ha
ANFIARAO, TIRES
EURI]
lì
Di nuova pe...- ....
NDOVINI
ritroso calle)
ORIGINE DI MANTOVA
0, ASDENTE
ODERNI
PILE TY AVIR bib Versi,
E dar materia al vontesimo canto
Della prima canzon, ch'è de’ sommersi.
4 Io era già disposto tutto quanto
A riguardar nello scoperto fondo
Che si bagnava d’angoscioso pianto;
7 E vidi gente per lo vallon tondo
Venir tacendo e lagrimando, al passo
Che fanno le letane in questo mondo.
V. 1-30. Za pena degl indovini.
Laggiù nella quarta bolgia è una gente
che va piangendo a passi lenti e misn-
rati, il capo stravolto, goardaudo all’ in-
dietro e facendo ritroso calle. Souo gli
indovini che pretendono di vedere il fu-
turo, e non vedono nemmeno il presente ;
volloro vedere troppo davanti, o sono co-
strotti a gnardare indiotro. Dante piange
di compassiono; ma Virgilio gliene fa
scerbo rimprovero, essendo tal compas-
sione quasi un biasimo della divina giu-
stizia.
1. NUOVA PKNA: singolaro castigo.
3. CANZON: la Cantica dell'Inferno, che
tratta dei dannati. - soMmknsi: nell'in-
fornal voragine.
4. DIBPOSTO: m'era già posto a riguar-
dare collu massima attenzione.
5. SCOFKKTO: por i pooti, che erano sul
colmo dell'arco, cfr. Inf. XIX, 128. In-
vece Benv.: «hoc pro tanto dicit, quia ai-
moniaci in tertia bulgia sunt cooperti
sub terra, et adulatores in secunda bul-
gia sunt cooperti sub storcore; sed divi-
natores ibant appureuter per fundum
ipsius vallis. » Ma qui parla pur del sito,
non degli abitatori.
6. SI BAGNAVA: tauto copiose ossendo
lo lagrime degli indovini.
8. TACENDO: sembra che a motivo dello
strano stravolgimento, gli indovini ab-
bisno porduto la facoltà della favolla,
come infatti nessuno di essi parla. Vol-
lero parlar troppo, qui non ponno par-
lare. - LAGKIMANDO: A’ inutil pentimento,
9. LKTANK: gr. Attaverxt, lat. litaniee,
oggi comunemente litanie, Supplicazioni,
Espiazioni; qui per processioni. Vaoldire
che venivano loutumeute e tacitamente.
[CeRC., 8. ROLG. 4]
InF. xx. 10-28
[iNpDOVINI] 191
10 Come il viso mi scese in lor più basso,
Mirabilmente apparve esser travolto
Ciascun tra il mento e il principio del casso;
12 Ché dalle reni era tornato il volto,
Ed indietro venir gli convenia,
Perché il veder dinanzi era lor tolto.
10 Forse per forza già di parlasia
Si travolse così alcun del tutto;
Ma io nol vidi, né credo che sin.
19 Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto
Di tua lezione, or pensa per te stesso
Com'io potea tener lo viso asciutto
r: Quando la nostra imagine da presso
Vidi si torta, che il pianto degli occhi
Le natiche bagnava per lo fesso.
25 Certo io piangea, poggiato ad un de’ rocchi
Del duro scoglio, si che Ja mia scorta
Mi disse: « Ancor se’ tu degli altri sciocchi?
28 Qui vive Ja pietà quando è ben morta.
* Questo loro andare piccino è per oppo-
alo del trascorrere ch'egline fvuelono collo
Intelletto in giudicare le coso di Inngi et
lontane, et in questo modo perderono et
non soppono lo presenti; » An. Fior.
10. viso: occhi.- BASSO: «Stando Dante,
In lango elevato, a tenendo sempre gli oc-
chi fissi in quella gonte, la quale nel sot-
toposto vallone veniva alla sua volta, è
11, MIRABILMENTE: in guisa da produr
mi come cosa non mai veduta,
12. tira It. MENTO: Al. DAL MEKTO, -
tasso: busto, petto; cfr. Inf. X11, 122.
Dal mento al principio dol casso è lo
spazio di tutto il collo, mento della vo-
onde uscirono lo stolte predizioni.
13. DALLE RESI: salle reni, dalla parte
by reni. - TORNATO: stravolto, volto;
bagi XXVIII, 148.
aut: lore. Al: a cinscuno, v. 12.
. TOLTO: non avendo il viso davanti,
a intro « Nox vobis pro visione
tenebra vobis pro divinati.ne; »
fa: paralisia, morbo che
rid
atorce lo membra umane, o ne impedi-
eco il rotto naso, Parlada d forma ant.
come perletico por paraletico, o parali.
tico, Cir. Nneiel., 1438,
18, NÈ crenO : nol ero; non eredo cho
nlenno si travolgesse così. Secondo Filal.
tall stravolgimenti per paralisi non sono
inauditi,
19. FRUTTO: trar profitto. « Fruetus
buins lectionis eat, quod lector discat
expensia istortim, non Inquirere vano fn-
tora, et dicero molta mondacia cum per-
ditions animm et irrisione ani; » Renv.
20. LEZIONE: lettura del pooma.
22, xOSTPA: Omana, in quei dannati,
24. resso: fessura delle natiche.
25. roccni: plnr, di roechio « perzo di
legno, o di sasso, o di simil materia, il
quale non ecceda ona certa grandezza,
spiccato dal tronco, e di figura che tiri
al cilindrico; > Fanf. Qui intende di uno
dei massi prominenti da quello scoglio
snl quale erano | due Poeti; cfr. Inf.
XXVI, 17.
27. axcon: anche ta; oppure sel ancor
sempre, dopo quanto vedestit Al. er’ Tu
axcon, legione che favorisce la seconda
interpretazione.
28. vivi: qui, nel baaso Inferno, è de-
vozione il non sentircompassione, Giuorp
192 [CERC. 8. ROLO. 4]
INF. xx, 29-37
[INDOVINI ANTICHI ]
Chi è più scellerato che colui
Che al giudicio divin passion comporta?
31 Drizza la testa, drizza, e vedi a cui
S'aperse agli occhi de’ l'oban' la terra
Per che gridavan tutti: Dove rui,
34 Anfiarào? perché lasci la guerra? ,,
E n - = alle
Fine duno afferra.
37 Mira è » spalle;
di parole, come Par
strò compassione di
di Pier delle Vigne, è
fe' rimprovero, anti
passione, Inf. IV,
carono per incontin
passione, gli altri no
anche i primi al giu
« Quegli ch'è pioto,
gia vole che, seconds
abbia merito di bene ous aan ARA nn eng meg
non dee uomo esser pietoso di vedere pu-
nire i malfattori della giustizia che vuole
Iddio; An. Sel. - « Non aver pietà delli
infernali è esser pietoso; » Buti. - « L'ani-
ine beato sono concordo alla volontà di
Dio, altrimenti nou sarebbero beate; el
pertanto conviene che in quel grado che
Iddio le pove, o basso o alto che'! grado
sia, in quello sieno contente. Onde se-
guita che di quolle anime che lu giustizia
di Dio condauna allo inferno, che cia-
scheduno debba esser contento di tale
giustizia; et chi contradicesse coll' ani-
mo discorderobbe dal volero di Dio; »
An. Fior. - Dante sogne qui S. ‘lomma-
so, secondo ij] quale « Sancti de penis im-
piorom gaudebunt, » non già delle pene
« por sè, » ma « per accidens, consideran-
do in eis divinw justiti rectitadinem ; »
Sum. th. ITI in Suppl, 94, 3. Cfr. V.
Ixncuaciatro, Nota al v. 28 del canto XX
dell’ Inf. Girgenti, 1891. IR. DkLLa Tor-
RK, La pietà nell’ Inf. dantesco, Milano,
1893.
30. PASSION COMPORTA : cos) i pid; Al.
COMPABBION PORTA; Al. PASSION PORTA.
Cfr. Butri, Scritti Dant., 20 è sog. Z.
F., 116. MOOkKKk, Orit., 326 e seg. BLANC,
Versuch I, 183 © seg. Quale sia la vera
lezione è difticile, e forse impossibile de-
cidere. In ogni caso il senso è: Chi 6
più scellorato di colui che soffro movi-
menti di compassione nul cuor suo, wi-
gli effetti della divina giustizia!
può aver com di un mi-
pur riconoscendo che lddio è giu-
che il misero miote ciò che ha semi-
L'enigma contenuto in questi versi
aspetta ancor sempre il suo Edipo,
. Bozzo, Ragionamento crit. intor-
un luogo famoso della Div, Com.,
no, 1830, G. Manurrl, Sopra un
della Comm. finora non bene inter-
pre ceed, Aquila, 1806.
V. 31-39, Anflarao, Mostra Virgilio a
Dante o gli nomina alcuni de' più famosi
induvini dell'antichità (sino al v. 114) 6
dei tempi che per Dante erano moderni.
Il primo è Anflarao, "Appidp20g, figlio
di Oicloo e di Ipermuestra (Apollod. I,
8, 2. Paus. II, 2. Pind. Ol. VI, 20),
uno del sette regi che assediarono Tebe
per rimettervi il re Polinice. Co' suoi
indovinamenti conobbe che, prendendo
parte alla spedizione dei sette, avrebbe
perduto la vita, onde si tenne nascosto.
‘Tradito da sua moglio (Apollod. I, 9, 13.
Paus. II, 6) dovetto pord andarvi anche
lul. Kd un giorno, mentro arueggiava
sul suo carro, Giove aporse lu terra con
un fulmine ed Anflarao ne venne inghbiot-
tito sotto gli occhi dei Tebani (Apollod.
III, 6, 8. Pind. Nem. 1X, 51 e seg. Paus.
IX. 8, Stat. T'heb. VII, 690 e seg.). Al-
meune suo figlio no vendicò la morto uc-
cidendo la madre; cfr. Purg. XII, 506
seg. Par. IV, 103 e seg.
33. RUI: lat. ruis; dove rovini? « Qui
pricceps per inane ruls! » Parole deri-
sorie dei ‘Tebani assediati, lioti della di-
egrazia di Autiarao.
85. a VALLE: sin giù nell’ inferno, i
cai cerchi sono detti tante volte valli;
cfr. Stat., l. c.
30. Minds: cfr. Inf. V, 4. - AFFRRKA:
nessun dannato potondo sottrarsi al suo
. giudizio; clr. Inf. V, 4 e sog.
[cerc. 8. BOLG. DE
Inr. xx. 88-52 [INDOVINI ANTICII]
103
——_
Perché volle veder troppo davante,
Di retro guarda e fa retroso calle.
40 Vedi Tiresia che mutò sembiante
Quando di maschio femmina divenne,
Cangiandosi le membra tutte quante;
43 E prima poi ribatter gli convenne
Li duo serpenti avvolti con la verga,
Che riavesse le maschili penne.
16 Aronta è quel che al ventre gli s'atterga,
Che ne’ monti di Luni (dove ronca
Lo Carrarese che di sotto alberga)
40 Ebbe tra bianchi marmi la spelonca
Per sua dimora; onde a guardar le stelle
E il mar non gli era la veduta tronca.
52 E quella che ricopre le mammelle
38. DAVANTE: nell'avvenire. Ecco la
ragione della pena in questa bolgia.
39. FA RRTROSO CALLE: è il lat. retror-
eum iter facit,
¥. 40-45. Tiresia. Il secondo indovino
antico è Tiresia, Tetoeot xc, figliodi Evo-
ro e della pinfa Cariclo (Jom. Odys. X,
492 è seg.), il celebre indovino dell'oser-
cito greco durante la guerra di Troja,
padre di Manto. ‘l'ra molte altre cose In
mitologia racconta di lui, cho avendo vo-
Jato separare colla sua verga due ser-
penti nmorosamente congiunti divenno
fommina, e non poté tornare allo stato
maschile, se non quando sette anni dopo
con la stessa verga n ribattere i
soliti serpenti che gli ai offersoro
dinanzi arznffuti mentre passeggiava ;
eft, Ovid. Met. TIT, 820 © seg.
dò. SEMBIANTE: npparenza e figura.
43, ats: a Tiresia nomo; Al. LE, cioè
Tiresia femmina.
45. PENNE: barba; qui la parte per il
pei rolla siva, acer dine =
ne
‘Ovid. }. ©., 831. In tm
SARRI vivo, the ate nai
con la fraso maschili penne. Cfr. Purg.
42.
ee. Aronta. Torro indovino del-
l'ruitichîtà è ee “Appoiye, famoso
46. quer: Al. quer; cfr. Z. F., 110. -
GLI S'ATTERGA : accosta il tergo al ventre
ili Tirerin. Essenilo travolti hanno ambe-
due il ventre di dietro è il tergo dinanzi.
47, Lust: Luttoan. |. 0,: « Arruna inoo-
Init deserts mania Luom, » Al. Luco,
Dante lease Lune, e intose di Luni, città
presso In foce della Magra(efr. Vill. I, 60),
che diede il nome alla Lunigiana; cfr.
Bass, 160 è seg. Encicl, 1165. Par. XVI,
78. - nonca : coltiva. « Ma forse arron-
care ha qui il significato di arronzare,
voce viva in molte parti del nostro pas-
se, © fra queste nella Lunigiana, a si-
gnificare essere uno nffaticato o intento
e assiduo nl lavoro; » Caverni.
40. MARMI: lo cave nel Carrarese.
50, Le sTELLI: ofr. Lucan, Phare. I,
587 e seg.
bl. TRONCA: troncala, impedita. Dal-
l'alto luogo dove abitava poteva vedere
le stelle ed il mare per le ane specula-
sioni e divinazioni.
V. 62-57, Manto. Ecco una donna che,
avendo travolto il capo, cuopre le mam-
melle colle chiome. È Manto, l'indovina
Tebana, figlia di Tiresia, la quale, mor-
tole il padre, per sottrarsi alla tirannia
di Creonte fnggi da Tebe, venne in Lom-
bardia © si stabili colà, dove fu poi fon-
finta In città di Mantova; eft. Virg. Aen.
X, 198 © seg. Ovid. Met. VI, 157. Stat.
Theb. IV, 463 e seg ; VII, 758 è sog. Di
una apparente contraddizione vedi so-
pra Purg. XXII, 113; ofr. Com, Lips.
II, 431 © sog.
194 [CERC. 8. BOLG. 4]
InP, xx. 53-65
[MANTOVA]
Che tu non vedi con le trecce sciolte,
E ha di là ogni pilosa pelle,
55 Manto fu che cercò per terre molte,
Poscin si pose là dove nacqu'io;
Onde nn poco mi piace che m’ascolte.
58 Poscia che il padre suo di vita uscio
E venni reti
Questa ndo gio.
GI Suso in It 0
Appié a Magna
Sovra T enaco,
GI Per mille vagna
Tra Ga \pennino
54, n LÀ: di diotro,
55. cercò: visitò, pero
XXT,13%. Fuggita da 'l'el
per molti paesi prima di
mora in Lombardia.
50. uA: a Mantovn. Virgilio nacque
ad Andos presso Mantova.
V. 58-99. Origino di Mantova. La
menziono di Manto induce Virgilio a
fare una digressione, raccontando le ori-
gini di Mantova sua patria. Descrivo il
lago di Garda, dal quale deriva il Min-
clo, cho forma una paludo, nol cui mozzo
Mantova è situata. Racconta como ap-
punto lì si formasso a farvi sno arti
Mauto, dopo essere fuggita da ‘Tebe ed
andata errando in più parti del mondo,
ce come dopo la sua morto fosso ivi fon-
data la città che da Manto fa denominata,
- <« Qui Dante per bocca di Virgilio attri-
buisco alla Tebana Manto, figlin di Ti-
resia, quello che fu detto della Italiana
Manto, miro di Ocno, il quale, secondo
alcuni, fondò Mantua, denominandola
dalla sua genitrico profotessa; » Ross. -
Sopra i versi 61 e seg., dei quali si è
tanto e tanto variamento disputato, cfr.
Pkrsico, Descrizione di Verona, Vero-
no, 1820, IT, 210 © neg., 216, 285, eco. -
SCOLARI, Lettera sui confini Veronesi e
Treatini, Troviso, 1827.- ASQUINI, Sugli
antichi confini del territorio della provin-
cia Veronese, Verona, 1826.-TIBONI, Qual
luogo sullago di Garda accenna Dante nei
rersi 67-69 del C. XX dell’ Inf., Brescia,
1868. - l'rinazzi, IV, 389 © aeg.; V, 34d
e seg. - BLaxc, Versuch I, 185 © seg.
58. PADIK: Tirosia. - Usclo: morì.
‘A: dol tiranno Creonte, - Ba-
i, como galeoto per galcotto,
, 17; Brine per Erinni, Snf.
i, T'ebe era sacra a Dacca, ivi
pessvose, dla Semele.
60. QuEsSTA: costei, Manto, andò lan-
go tompo orrando por lo mondo.
61. LACO: lago, come preco per pre-
go, ecc. Il lago di Garda.
62.LA Magna: l'Allomagna, detta an-
ticamente la Magna. I più scrivono La-
snagna © Benv. la Alamagna. 1) serrala-
magna del più dei cold. si può lozgore
in questo modo o in quello.
63. TinaLti: Tirolo. Alcuni vogliono
che si acriva 7irollo, trovandosi in do-
cumenti del medio evo Z'irolis o Tirollia.
Ma TitkaLLto TIRALLO 6 lez. del più dei
co. e così hanno Lan., Ott., Benv., Buti,
An. Fior., Serrav., Barg., Land., Tal.,
Vell., Gelli, Cast., ecc. mentre Tiiotti
non si trova in nessuno degli antichi,
tranne nel Dan. - BENACO: Benacus, no-
me antico dol lago di Garda.
64. SI BAGNA :l'A pennino, Alpes pane,
ano di quei monti della catena tra Garda
e Val Camonica, al cui picde scorre il
Toscolano.
65. Var, CAMONICA: una delle maggiori
valli della Lombardia; si ostende più di
50 iniglia dal gioghi di ‘Tonale, eda quello
dei monti a mezzod) di Bormio fino al
lago dl’ Iseo. La furimano duo bracci delle
ramificazioni dello Alpi Retiche, e dal suo
fondo scorre il flume Oglio, che sconde a
formare il lago d'Iseo. Al. Val DI Mo-
NICA, leziono troppo sprovvista di auto-
rità. Cfr. Z. F., 117 e seg. Louta, L'Ita-
[CRRC. 8. BOLG, 4]
INF. xx. 66-80
[MANTOVA] 195
Dell’acqua che nel detto lago stagna.
07 Loco è nel mezzo là dove il trentino
Pastore e quel di Brescia e il veronese
Segnar potria, se fàsse quel cammino.
70 Siede Peschiera, bello e forte arnese
Da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,
Ove la riva intorno più discese.
73 Ivi convien che tutto quanto caschi
Ciò che in grembo a Benaco star non può,
E fassi fiume giù pei verdi paschi.
76 Tosto che l’acqua a correr mette co’,
Non più Benaco, ma Mincio sì chiama
Fino a Governo, dove cade in Po.
Non molto ha corso che trova una lama
Nella qual si distende e la impaluda,
lia nella Die. Com. Mant., 1808, p
Bass., 173 è sog. E. Lorknzi, La leg-
genda di Dante, Trento, 1807, p. 13 è
Arexaro: Al. kxxino monto delle
‘Alpi Pennino, da non confondersi, con
Pene. ed altri, colla entena degti Appen-
mint che divido per lo Inngo)' Italia, Cir,
Lorenzi, La ruina di qua da Trento,
Tronto, 1890, p. 40 6 seg.
67. Loco: Al. LUOGO; l'isola dei Frati,
ora isola Lecchi, dicono gli uni; il Cam-
piane, dicono altri; è di nuovo altri pre-
tendono che questo panto comune ria o
Peschiera, o qualche altro lvogo; cfr.
DBervioLmni in Albo Dantesco Veronese,
163 © seg. - Zor, egli di D. Al. nel
Trentino, Trento, 1864, p. 58.- Kawonne
nel Compon. della Soc. Min, di Trieste,
DP 306neg. Com. Lips. I, 210, Ferr. Man.
1V, S80; V, 3id o seg. Bass , 175 e neg.
Chi decide? — « Comunque sin, il Poeta
ha reluto doeserivero il lago nella sun
Innghozza dalll'Apo al Mincio in cni
sbocer, © nscennare por quella vin lo
principali a tramezzo alle quali vi
re Br. B.
GE. PASTOUR: vescovo.
80. seowan: benedire, il che non è lo-
pi Jie al vescovo cho entro | confini dolla
dior. Mungo: 0 il inogo di cul
pe reont il amino dello tre diocesi,
© eta soggetto ecclesianticamonte a tutti
‘etre! vescovi qui menzionati. - rorria :
. — Pissr: facesne, cfr. Nam-
+ Verdi, 630, 030, 658 © seg. Al. sk
fr. Moonk Orit., 927 © seg.
70. simpe: ove la riva intorno è dive-
nota più bassa è situata Peschiera. — an-
KESR: gli antichi spiegano: Ornamento,
cioà della contrada ; i moderni: Baluardo,
rocca (ilal ted. Harnisch? o dal celtico
Harn,= ferro), La Cr.;: « Fortezza o al-
tro Edilizio, »
TI. FROSTRGGIAR: far fronto, «In que’
tempi agevolmente Bresciani 6 Berga-
maschi dovenno esser congianti insieme
contro i signori della Scala; » Dan.
72. wiva: del Benaco. - DISCRSE: di-
acende, è più bassa.
73, TUTTO: tutta l'acqua che non può
essere contenuta nel lago conviene che
trabocchi in questo Inngo.
75, rascm: le vordi pasture veronesi.
76. Mette co': mette capo, comincia il
eno corso. « Il Po non sarebbe Po, se
l'Adda è il Ticin non ci mettosser co’; +
Prov, tose.
77. Mixcio: flume che col nomo di
Sarco o Mincio superiore discendo dai
monti di Tonale, entra a Riva nel lago
di Garda, è ne esco a Peschiera; giunto
n Rivalta si dilata nel Ingo di Mantova
che cinge intorno Ia città, indi prose-
guo il suo corso è si gotta nol Po a Go-
vernolo dopo 65 chil. di corso.
78, Govenno: oggi Gavernolo, bergo
alla dostra del Mincio, nol punto dove
questo fiume si sonrica in Po.
79. LAMA: pianura dove si formano
stagni: lagnna.
RU. IMPALUDA: rendo palodosa, ne fa
una palmle.
196 [cERc. 8. ROLO, 4]
Inf. xx, 81-98
[MANTOVA]
E suol di state talora esser grama.
82 Qniridi passando la vergine crada
Vido terra nel mezzo del pantano,
Senza cultura e d’abitanti nuda,
85 Lì, per fuggire ogni consorzio umano,
R stette co’ suoi servi a far sue arti,
E
88 Gli1
9”
Pe
91 Fér |
E
Mi:
d Già |
Pr
Da
07 Però
rpo vano,
vrano sparti
l'era forte
1 tutte parti.
| morte;
ma elesse
iltra sorte,
nl spesse,
iwalodi
cevesse.
ai odi
Originar la mia terra altrimenti,
81. GRAMA: trista, infelice, « quia sci-
licet modica acqua et iufirma est ibi; ex
modica enim aqua corrumpitur palus;
deinde aer; » Benv.
82. VERGINE: Manto, ancor donzella
quando venne iu Italia; cir. Stat. Theb.
IV, 463 e seg. - Chuva: crudele.
84. NUDA: spogliata, deserta.
86. BKRVI: uominif Mase voleva fug-
gire ogni consorzio umano? I servi su-
rauno dunque spiriti ubbidienti a lei. -
ARTI: magiche.
87. VANO: vuoto, privo dell'anima =
morto. Cfr. Purg. V, 102.
91. ossa: aulla tomba di Manto.
93. sonTK: « anticamonto si usava
quando si dovea ponoro nome ad alcuno
luugo, di gittarno surte, e secondo quello
che le sorti diceano, così avuvaue no-
me; » Lan.
04. 8Uurssk: Mantova fu già più po-
polata.
95. MATTIA: mattozza, balordagyine. -
CasaALOnI: conti guelfi, già signori di
Muntova, scacciati nel 1269 per opera
di Pinamonte, la cui signorìa darò sino
ul 1291. - « Costoro, non parendo loro
avere ne la città buono stato, o forse por
soprastaro loro vicini, o fure vendette,
fociono lega con un barone del paese che
si chiamava Pinaimonte, o presero la si-
guorìa, o molti no cacciarono e ucciso-
no. E poco stante Pinamonte cacciò an-
cho loro con molti altri, e rimase la
signorìa tutta a Pinamonte. Questi me-
nonò molto la città sì che mai non tornò
in primo stato; » An. Sel. - « Ad quod
sciondum est quud Casalodi est castel-
lum in territorio brixiensi, unde fuerunt
nobiles comites, olim dominatores civi-
tatis mantuaniw, quos Pinamonle de Bo-
pacosis, civia mantuanus, fallaciter et
sagaciter seduxit. Erat siquidem Pina-
monte magnns et audax, habens ma-
gnam sequelam in populo. Et cum Man-
tuw esset multa nobilitas odiosa et infesata
populo, Pinamonte porsuasit comiti Al-
Lerti tunc rogonti, ut mitteret certes
nobiles, privcipuo suspectos, oxtra per
castella ad certum tempus, et ipse inte-
rim placaret furinm plebeiorum irato-
rum. Quo facto cum maguo tumultu et
plausu populi, ipse invasit dominium
Mantuiw; et continue crudeliter exter-
minavit quasi omnes familias nobiles et
famosas ferro et iguo, domos evertens,
viros mactans et rolegans, etc.; » Beng.
Così in sostunza anche gli altri com.
ant. Cir. Murat. Script. XX, 722 © seg. .
07. L'ASSKNNO: ti istruisco, ti avverto.
- ODI: poteva leggerlo nell’Eneide dello
stesso Virgilio X, 198 e seg.
93. ORIGINAR: raccontar diverzamente
la storiu doll'origine di Mantova.
[CERC. 8. nora, 4]
Inr, xx. 99-114
[EURIPILO] 197
La verità nulla menzogna frodi. »
100 Ed io: « Maestro, i tuoi ragionamenti
Mi son si certi e prendon si mia fede
Che gli altri mi sarian carboni spenti.
103 Ma dimmi della gente che procede,
Se tu ne vedi alcun degno di nota;
Che solo a cid la mia mente rifiede. »
106 Allor mi disse: « Quel che dalla gota
Porge la barba in su le spalle brune
Fu, quando Grecia fn di maschi vota
109 Si che appena rimaser per le cune,
Augure, e diede il punto con Calcanta
In Aulide a tagliar la prima fune.
112 Euripilo ebbe nome, e così il canta
L'alta mia tragedia in alcun loco;
Ben lo sai tu che la sai tutta quanta.
0. rron1 : nulla menzogna faccia torto
al vero; non orederla.
V.100-114. Ewripilo, Dante ai mostra
fesa considerare i dannati Ing-
tova. Onde dice a Virgilio: « Ti presto
goa ma parlami adesso di quel-
fron laggiù, se vedi alcuno degno
di essere nominato, chè non penso ad al-
kro, » — Virgilio gli addita un altro indo-
rinodell'antichità,Enripilo, Edp)àmvAog,
dla Ini cantato Aen. IT, 113 © seg. « Euri-
fa angore de’ Greci e compagno di
te nel sacrificare è divinaro cid
the dovova snocedero socondo le coro
bocorronti, © comandaro ciò cho cono-
ievanoemere volontà degli Del, Furono
a Eoripilo e Calcanto quelli che
gli Dei, e nel punto che loro
prospero fecero levare proletti
4 ancore dalle navi del greco porto di
6 mettere in viaggio l'armata di
i, che ivi era congregata; » Marg.
“JL laennon: Ri acquistano così la mia
ALTRI: onamenti, =
ni di sialicnni il —
a rockit: vieno avanti laggiù
106, wrrreor: il mio spirito non mira
i ire Rifede da rifedire
Ta — sure AI, RISIEDE;
Il
ee
107. ronor: stende, latino porrigit, -
BPALLE: easendo travolto.
108. vòra: perchè andati tutti all'as-
seilio di Troja,
109. cunr; vi rimasero appena i bam-
bini in culla. Ouna, lat. cune, per culla,
4 voce doll’ uso.
110. aucune: lat. augur. Coloni che
presso gli antichi, osservando il volo è
il canto degli nocelli, il beceare del pol-
li, ece., pronosticava il futuro. — pirDE :
segnò l’orn favorerole nl far vela. - Can-
CANTA: KdAy2g, da xzAiyeivo, como-
nemento Calcante, sacerdote ed angore
greco al tempo della guerra trofana la
ent longa durata egli predisso; efr. Tom.
It. 1, GR 6 nceg.; 11, 200 è seg. Virg. Aen.
II, 113 è sog. Ovid. Met. XII, 19 è seg.
Di Caleanta per Calcante clr. Nannue.,
Nomi, 237 e sog.
111. Aviing: ADAG, città della Beo-
zia, dove Agamennone rulunò l'esercito
groco, Cfr. Hom, It. II, 304, 496, sec, -
TAGLIAR: n sciogliere la fone alla nave
© far vela.
113. trAaGRDIA: alla grocn, inveco di
tragédia; \' Eneide. « Mor tragiedinm su-
periorem stilum Induimuis, per comier-
diam inforiorem ; » De Vulg, Kl. IT, 4. -
ALCUN: IT, 113 © sog.
V. 116-190. Indortnd moderni. Dopo
nvergli mostrato e nominato alcuni anti-
chi, Virgilio mostra o nomina a Dante
alcuni indovini del sao secolo, quindi lo
198 [CERC. 8. BOLG. 4] Tn. xx. 115-128
[iNDOVINI MODERN]
115 Quell'altro che ne’ fianchi è così poco,
Michele Scotto fu, che veramente
Delle magiche frode seppe il gioco,
118 Vodi Guido Bonatti, vedi Asdente,
Che avere inteso al cuojo ed allo spago
Ora vorrebbe, ma tardi si pente.
121 VE a
La
Fe
invita n seguirlo,
Abbandonano lag
cinano alla quinta
115. roco: mi
Al.: che ha l'abi
l'inferno le animi
Inf. ILI, 100,
116, Micukti.r SO
‘ sione, celebre me
Federigo II impor
oltre il 1200, Soriane -...
Aristotelo ed altri libri di filosolia, aseu-
loginedulchimia. Lo sicredova un grande
atregone, e como tale il nome suo si è
conservato nella bocca del popolo in lsco-
zia. DI luni Vill. X, 104, 140; AIL, 10, 92.
Bocc. Dec. V111, 0. - « Fuit valde peritus
iu magicis artibus et scientia auguri qui
tomporibus suis potissime stetit in curia
Fedorici Imporatoris; » Bambyl. - « Fu
di Scozia graude maestro d'arto magica,
© inseguonne tanto agli Scotti, che an-
cho non funuo passo che arto magica
non soguiscano. È insegnò loro porture
calzo biauche e gonelle con muniche cu-
scite insieme; » An. Selv. - «Si ragiona
ch'essendo in Bologna, o usando con
goutili uomini e cavalivri, o mangiando
come s'usa tra ossi in brigata u casa
l'uno dell'altro, quando venia la volta
a lui d’apparecchiare, mai non faceva
faro alcuna cosa di cucina in casa, 104
avea spiriti a suo comandamento, che li
facea levare lo losso dalla cucina dello
re di Francia, lu rosto da quella del re
d'Inghilterra, lo tramesse di quella del
ro di Cicilia, lo pane d'un luogo, e ’l
vino d'un altro, contutti e Irutta la onde
li piacea; 6 queste vivande dava alla sua
brigata, pui dupo pasto li contava: del
lesso lo re di Fruucia fu nostro uste, del
rosto quel d' Inghilterra, ecc. » Lan. -
Lo stesso raccontano pure Buti ed altri.
Cir. la lunga nota del Filal. n questo
sì indovine;
in imago,
. Anche nel tempi moderni al fn-
gia nella Scozia, è non poco, di que-
unoso mage, Ufr, Jie. litter, de la
ce, XX,48 © sog. MAKNI, Stor. del
in., S11 6 nes,
- GIOCO: arte vana; « magicaram
m ludi; » Arnob. adv, gent. I. Cfr.
li. dpoli., 0. 23.
+ Donarri; da Forlì; colobre astro»
3 molto affbzionato al conte Guido
nteleltro, Viveva verso lu flue del
secolo NITI. Scrisse « Poovm tractatus
ustrovornmi:t » che gli acquisturono il ti-
tolo di priucipo degli astrulughi. Vill.
VII, 81 lu dice « ricopriture di wtti. » Di
Bonatti scrive a lungo l'anvnimo uutore
degli Annales Furuliviensis; cir. Murat.
Script. XXII, 150, 233 © seg., 237 © seg.
- « Usava costui di stare nol campanile
della mastra chiosa, o fucea armare tutta
la gente del conte da Monteleltro, poi
quundo era l'ora, v questi dava alla cam-
pana, e tutti sailano w cavallo è uaclanu
verse li nemici; » Lan. Così pure UU., ecc.
Benv. racconta di costui alcune partico-
larità, copiate in parte dall'autore degli
Annal, Furoliv. - ASDENTK: «il culzolaio
di Parma; » Conv. LV, 16. « Ditnissa arte
sua dedit se totum divinationi, et spe
multa ventura privdixit quie ventura
erant, cum magna homiuum adwira-
tione; credo cyu pulius a natura, quam
a litoratura, cum esset lilerarum igna-
rus; » Benv.
119. INTESO : Al. ATTK80. Si pente trop-
po tardi di non uver baduto a fare il cia-
butting, lasciando stare l'arto dell’ iu-
duviuu.
121. TRISTR: streghe. Non ne nomina
nossuna particolarmente,
122. INDOVINE: Al. DIVINK; cfr. Z. F.,
121 © Beg.
123. KRBK: con estratti di orbo parti-
colari e con imagini di cera, « Puossi fare
[ceRc. 8. NOLO. 4]
InF. xx. 124-130 [INDOVINI MODERNI] 199
1% Ma vienne omai, ché già tiene il confine
D’amenduo gli emisperi, e tocca |’ onda
Sotto Sibilia, Caino e le spine.
127 E già iernotte fu la luna tonda;
Ben ten dee ricordar che non ti nocque
Alcuna volta per la selva fonda. »
120 Si mi parlava; ed andavamo introcque.
malle per virtù di certe erbe medianti
Alenne parole, o per imagine di cera o
d'altro fatto in certi punti, et per certo
modo che, tenon.lo queste imagini al fuo-
co, 0 ficeando loro mpilletti nel capo, così
paro che senta colui a cui imagino elle
sono fatto, come la imagine che si strug-
ga nl fooco; » An. Fior.
124. confine: dei due emisferi, cioè
del Pargntorio e di Gerasalomme, che è
all'estremità della penisola Tspanica, due
gradi al di là di Siviglia.
120. Carso: la luna. Il volgo credeva,
le macchie del!n luna essere Caino che
innalza una forcata di spine; cfr. Par.
II, 50, Conv. II, 14.
127. TorpA: piena. — « Vnol dire che
la Luna si trova nl zenit di Gade (così
Unnte appella Cadice, Par. XXVII, 82).
È Gato il punto ore finisce l'emisfero
terrestre che hn per centro Jerusalem,
e comincia l'emisfero noqneo che ha per
centro il Purgatorio. Il punto opposto
‘Gade 4 il Gange (Purg. 11; 15). Sela
Luna fosse piena avremmo :
Mezzodì in Gange .. . ore 18
Mattino in Jerusalem . ore 12
Metzanotto in Gade .. ore 6
Sera in Purgatorio... ore 24
Manvondola Lunnritardata ciren un'ora,
poichè si trova al sedicesimo giorno, bi-
sogna n quello ore aggiungere quest'al-
tra ora, Onde segue che in Jorusalem
sono oro 13; » Nociti.
128. NON TI NOCQUE: Li giovò col suo
lume rischiarandoti In via.
129, ALCUNA VOLTA: di tratto in tratto!
O vuol forse neconnaro con questa frase
che passò bon più di una sola notte nella
selva profonda in cui ora smarrito!
180, iInTROCQUK: intanto, mentre Vir-
gilio così mi parlava: Introcque è il lat,
inter hoc. Nel De Vulg. El. Dante cita
questa voce como asempio di brutto par-
lare (I, 13). Ma nel sno Inferno il Poeta
usa noo poche voci che in altro clireo-
atanze ogli sarebbe stato il primo n con-
dlannare, Il linguaggio è adattato alla
materia,
ni
200 [cERC. 8. BOLG. 5]
2 oe oe —-.-..
InP, xx1. 1-9
(BARATTIBRI]
CANTO VENTESIMOPRIMO
OPRNMATA ADI AVI
BOLC
UN MAGISTRATO
Cosi di po)
‘TTIERI
tANCIIK, MALACODA
lando
Che la ima vues vourves 200 Cura
Venimmo, e tenevamo il colmo, quando
4 Ristemmo per veder l’altra fessura
Di Malebolge, e gli altri pianti vani;
E vidila mirabilmente oscura.
7 Quale nell’arsenà de’ Viniziani
Bolle l’inverno la tenace pece
A rimpalmar li legni lor non sani,
V. 1-21. Za bolgia dei baratticri.
Nolla quinta bolgia 6 un lago di pece nol
qualo sono immorsi i barattieri che pian-
Kuno è zufolano. Cercarono in vita di ope-
rare nolle tenebre, per meglio ricoprire i
loro pertidi intrighi, qui sono così nasco-
sti e coperti da non poter esser veduti.
Nou si curarono della giustizia, della ve-
rità o della Jealta, onde sono qui in preda
a diavoli bugiardi o senza logge, sleali
e crudeli.
1. DI PONTR: da quel della quarta a
quello della quinta bolgia. - ALTRO: di
altre cose che qui non si registrano; cfr.
Inf. 1V, 104 0 seg.
4. TRNKVAMO: eravamo sul punto più
alto dell'arco quinto.
4. FESSURA: bolgia, quasi fenditura di
terreno, detta altrove fussa.
5. VANI: perchè nulla giovano.
7. AUSKXÀ: così con più codd. Bamb.
ed altri. I più ARZANÀ; cfr. Z. F., 122 0
sog. «Cho dobba dirsi arsenà o non ar-
zanà, lo si rileva da molti documenti è
dall'antica pianta di Venezia.... ov'd
scritto chiaramente Arsenà; » Barozzi,
D., e il suo sec., p. 801. Iuvece Betti I,
105: « Arzanà è una voce da usarsi, sic-
come quella che viene da arzanar, che
in vonoziano vuol dive arginare. Onde si
è fatto l'arzandà, cioè l'urginato. » Cfr.
BLanc, Versuch I,189e 80g. Dante intende
dell’ arsenale vecchio, eretto nel 1104,
ingrandito verso 1303, considerato ai
tempi del Poeta como uno dei più impor-
tanti dell'Europa. Cfr. ScoLanri, Lettere
filologiche di marina, Ven., 1844, p. 45
e seg. Bass., 195 o sey. Sull’ etimologia
della voce (dall' arabico ddrganah = casa
d’industria) cfr. Diez., Etym. Wort. 13, 34.
9. A RIMPALMAR: destinata a rimpe-
Claro i navigli rotti o malconci.
[CERC, 8. ROLG. 5) IxF. xx1. 10-26 [BARATTIERI] 201
10 Ché navicar non ponno, e in quella vece
Chi fa il suo legno nuovo, e chi ristoppa
Le coste a quel che più viaggi fece;
12 Chi ribatte da proda e chi da poppa;
Altri fa remi ed altri volge sarte;
Chi terzeruolo od artimon rintoppa:
16 Tal, non per fuoco ma per divina arte
Bollia laggiuso una pegola spessa
Che inviscava la ripa da ogni parte.
19 Io vedea lei, ma non vedeva in essa
Ma’ che le bolle che il bollor levava,
E gonfiar tutta e riseder compressa.
22 Mentr’ io laggiù fisamente mirava,
Lo duca mio, dicendo: « Guarda, guarda! »
Mi trasse a sé dal loco dov’ io stava.
25 Allor mi volsi come l’uom cui tarda
Di veder quel che gli convien fuggire,
10, cné : perchè d'inverno i Veneziani
non ponno navigare. Al. CNR senza ac-
conto= che | legni lor non sani non pon-
no navicare, intorpretazione che rondo
la costruzione troppo intricata, - vacK:
invece di navicare. Al.: © in quell’ oc-
casione, in quel tempo jf).
11. misrorra: calafata; ritura lo fos-
aure colla stoppa.
12. costr: lati della nave.
13. muartE: con chiodi.
14. voter: attortiglia la canapo fncen-
do sarte, cho sono i cordami delle navi.
Invece di FA - - voor parecchi codd.
hanno PAN —- - YOLGON; confr. Moonn,
Crit., 329.
16. TenzeRvor: la vela minore della
mare, la quale « porta tre velo: nnn gran-
de, chesi chinma artimone ; unamerzana,
la quale si chiama la mezzana, ed nn' al-
tra minore che si chinma terzeruoto; »
Buti. - riNTOPrA: rattoppa, rappezza,
mette nuove toppa.
17, FE0OLA : pece densa,
18. InviscAavA: intonacara.
19. Lia: la poco, « Il barattiore si può
ben redero, ma non la frande cho ti vuol
a chè questa sta nel ano secreto ; »
20. ma cue: fuorchè; ofr. Inf. IV, 26.
poce non vedova che le bolle lovate
terno bollore sulla suporficio, e ve-
deva In pece tutta gonfinrsi e riabbas-
sarsi allo scoppiar delle bolle.
21, kisebER: « Unde tremor terria,
qua vi maria alta tumosnant Obicibos
ruptia ruranmaque in so ipsa realilant; »
Virg. Georg, I1, 479, 480.
V. 22-57, L'anzian di Santa Zita.
Viene on diavolo con nn barattiere loc-
chese che egli botta giù dal ponte nel
lago di poco. Attnffatosi, il barattiere
torna an convolto è i diavoli lo ndden-
tano, schernendolo, col loro rnflì, Avendo
il Poeta tacinto il nome di costui, il vo-
lerlo indovinare sarebbe fatica gettata,
No tacciono il nome BRambgl., An. Sel.,
Jac. Dent., Lan., Ott., Petr. Dant., Cass.,
Falso Hocé., Benv., coc. - « Altri vogliono
dire che costui fosse Martino lottaio il
quale mori nel 1300, l'anno che l'antor
finge che avesse questa fantasia, il vener-
lì santo la notte sopra il sabbato santo,
intendendosi del primo venord) di mar-
zo: 6 fu costui nn gran cittadino di Lucca
al tempo sun, oconcorse con Bonturo Dati
econ altri nomini di bassa mano, cho reg-
gevane allora Lneca; » Puti. Cfr, Minu-
Toni, in Dante e il ewe see., 211 6 Reg.
23. GUARDA: guardati,
24. Loco: sponda del ponte.
25, TARDA: pare mill’ anni, perchè de-
sidlera ardentemente; 4 anmmamente nn-
sioso di vedere; cfr. Inf. IX, 0.
202 [CERC. 8. BOLG. 5)
INF. XXI. 27-39
' [ANZIAN DI B. ZITA)
i cui paura subita sgagliarda,
28 Ch ; per veder non indugia il partire,
r) vidi dietro a noi un diavol nero
(‘orrendo su per lo scoglio venire.
81 Ah quanto egli era nell'aspetto fiero !
E quanto mi parea nell’atto acerbo,
Con Pala anarta a anvra j piè leggiero!
34 L’,
(
h
87 Del
}
)
27. SGAGLIARD
res subtrabit ip
XIV, 132.
28. CHE: Îl qui
ristà però di fug_
nello 6t0380 COM fil), Burri rimini nur eee
sità e dalla paura; guarda fuggendo.
33. APKRTK: per volare. — LKGGIERO:
camminando e volando in<iemo. Queato
domonio è dipinto quale appunto cel mo-
strano infinite opere d’arte del medio
evo. Cfr. Graf, Demunologia di D., p. 20
U sug.
84. L'OMKH:O: quarto caso. - ACUTO:
appantato © rialzato.
33. CARCAVA: gravava. - l'ECCATOR:
primo caso. « Il peccator calcava l'omero
dol dimonio; et il dimonio, avondulo in
sullo vomero a guisa cho fa il lupo la pe-
cora (?), ot tencalo avendo fitto gl’ un-
ghioni no’ nerbi che sono sopra’ piedi,
tra’ piedi e lo gambe; An. A¥ur. - « Un
peccatore con ambo lo sue anche cari-
cava e premoa l'omero del diavolo ch'era
acuminato o sollovato per superbia di
ricca preda; e quella brutta bestia gli
tenea ghemmnito con quelle unghiacce un-
cinate il collo del piede; o sia un pec-
catore era a cavalcioni sull’omero d'un
diavolo, che lo tenea strettamente af-
ferato pei piedi; » Jtoss.- Ad onta di
quanto ha detto altrove, Jnf. III, 121 e
Beg., Dante si attiene qui 0 /2/. XXVII,
121 e seg.) alla comunecredenza do'tewpi
suvi, secoudo Ja quale le anime malvage
sono portato via dai diavoli, e qualche
volta anche i corpi.
37. DKL NOSTRO: din sul ponto, dove
e superbo,
ambo |’ anche,
rinito il nerbo.
) Malebranche,
Santa Zita;
uo per ancho
ramo io 6 Virgilio, 11 demonio disse,
ri ponteggiano: « DEL NOSTRO rON-
» Jesh =» O MALKIILANONK, » ciod:
Malebranche del nostro ponte.» Non
» però che ogni ponte abbia 1 suol
wa voli, 0 Malebranche apeciali, anzi dai
versi 115 © seg. come pure dal C. sog.
sembra risultare indubbiamente il con-
trario, poichò i Malebranche vanno coi
due Poeti, nd questi incontrano altri Ma-
lebranche. Un modo simile Inf. XXIV,
07: da nostra proda, cioè dalla proda
ov’ eravamo, Virgilio ed io. Cfr. BLANC,
Versuch, 192 0 seg. - MALKBRANCIIK: no-
mo generico dei demoni di questa bolgia,
così chiamati dai loro unghioni ed uncini,
e dall'essor custodi di que’ che abbran-
carono con branche male, cioò ingiusto.
48. ANZIAN': magistrati supremi di
Luccu, come i Priori a Firenze. - SANTA
Zita: Lucca, così chiamata dallu protet-
trice della città. Sauta Zita fu oviunda di
un Villaggio su quel di Pontremoli, nata
nel 1218 da poveri gonitori, morta il 27
aprile del 1287. Essa 6 « la Paméla de la
légende; c'était une pauvre servante quo
sou maitre voulait séduire; » Ampère.
« La famiglia dei Fatinelli, nella quale
uvea vissuto con ofticio di fantesca, ne
conservò il corpo nella cappella gentili-
zia che possedeva nella chiesa di S. Fre-
diano a Lucca; » Lorb Vkinon, 7r/., vol.
III, p. 163; cfr. ivi tav. LXII. Geraint,
Mem. degli scrittori della Lunigiana,
Massa, 1829, J], 222 © seg. MONTRKUIL
SARA, Vie de Sainte Zita, Par., 1848.
35. YER ANCHK: per altri, a prenderne
degli altri. Al.: io toruo da capo,
(cere, 8. no1.6. 6]
Inf. xx1. 40-49 (ANZIAN DI 8. zitA) 203
40 A quella terra ch'io n’ ho ben fornita;
Ognun v’ è barattier, fuor che Bonturo,
Del no per li denar’ vi si fa ita. »
Laggiù il buttò, e per lo scoglio duro
Si volse, e mai non fu mastino sciolto
Con tanta fretta a seguitar lo furo.
Quei s'attuffò, e tornò su convolto ;
Ma i demon’ che del ponte avean coverchio
Gridar: « Qui non ha loco il santo volto;
40. trmnA: città, cioè Lucca. - cu' 10
Be Wo: fo sonno per addurvono nasai di tal
wich, imperd ch' ho bon fornita quella
Berra di tal condizione; » Lan. Questo
Ringunggio fa sentire l'arroganza di po-
©èro è la gioia maligna de’ diavoli, Al:
Se n' È DEN FORKITA.
4l. BoxtuRO : Bonturo Dati, capo della
arte popolare di Lucca, nomo assai an-
Tuworerole. Di lui cfr. Murat. Script. XV,
Pike sog.; X, 604. Vill, VII, 122. Minu-
Coli in D. e il suo sec., 212 © sag. Com.
Hips. 1, 226 © seg., Mncicl,, 250. I più
È. dicono il peggiore tra’ barattiori Ine-
She dol tempo, ondo si avrobbe in que-
Bilo verso Hu amara ironia, e luit mn-
Anna popularia io civitate predicta; »
O - * Kasendo richo mercatante
per tare nel presente mondo in
thomune r mercatatesco disse; »
Jae. Dant. - « Yu lo maggior barattieri
ui palagio che tosse o si sappia in quella
Cittala; » Lan. - « Qui maximos est; »
Cass. — « Fait archibaratarina, qui saga-
elter ducobat et versabat illud commu-
no totum, ot dabat officia quibna vole-
bat; similitor excludebat quos volebat; »
Leno. — « Fu grandissimo barattiere e fu
grande cittadino di Lucca, st ogni barat-
toria fisce per donari; » Jiuti. - « Vnol
tire ob’ 4 fl maggiore barnttiori «di vo-
Tono;» An. Fior. Gli altri "l'rocentisti
tacciono, Alowni posteriori poi si avvi-
tano che Bonturo non fosse colpevole di
barattoria, e che qui si parli propria-
mente è non per ironia, Cfr. Lucciesixt,
Opere, Laveen, 1832, 1,40 62. Tonsenini,
11,00 e seg. Z. F., 123 è sog.
42, ya; sì. Ita est, ita testor, ita exe-
quatur, formole giudiziario di attestati,
Lea sentenze, ecc. di que’ magi-
* In Luecn.... a chi do’ esser
i di no negli oftici è detto di Bl; et
Qui si nuota altrimenti che nel Serchio;
a chi non ba ragione è fatto che l'abbia
per li denari; » Buti.
45, runo: ladrone; anticam. anche in
prosa. Sn questa voce cfr. Diez, rom.
Gram, 1°, p, 24, 82. Etym. Wort. 13, p. 192.
Costr.: Can mastino disciolto non fu mai
sì veloco ad inseguire il ladro, come fu
reloce quel diavolo a tornare indietro,
Al.: mastino non fu mal sciolto con tanta
fretta, Ma qui si tratta dolla fretta nel
correre.
46. convo.To: « colla schiena in su, sì
che testa o gambe restarono nella pece.
Tale atteygiamento, cho pare in parto
d'uno che lori, stazzica i domoni nl sar-
ensmo: Non giova qui l'adornzione del
Santo volto, cui tanto avete in pregio
voi altri Luochesi; gli è troppo tardi ; »
Blanc. Secondo altri convelto vale qui
imbrodolato. Molti codd, hanno cor Vot.-
TO, o così lessoro Benv., Buti, Barg., ecc.
Dal v. 48 risulta che questa lez. è falan.
Cfr. BLaxc, Versuch 1, 195 © seg.
47. AVKAN: atavano sotto il ponte, il
quale ora loro coverchio,.
48. SON ITA LOCO: non giova invocarlo.
- VOLTO: fnmnso simulacro che si con-
serva in una cappella chinsa della catto-
drale di Lucca, E un Crocifiaso di legno
nero, che si vuole portato da Costantino-
poli verso l'ottavo secolo, quando molto
imagini, per scamparle alla perasonzione
degli Imperatori Isavrici, furono recate
in Occilente, La leggenda lucchese at-
tribuisce quest'opera a Nicodemo, ed il
volto in ispecialtà a celeste mano, cho
l'intagliò mentre Nicodemo s'ernin doles
contemplazione addormentato presso il
sno lavoro. Cfr, Lorb Vanxox, Inf. vol.
IIT, p. 155, ed ivi la tav. LXIV. Minv-
TOL! in Dante e il suo rec., 220 6 seg.
49. Senco: finme che corre a breve
tratto da Lucca, noto sin presso gli un-
204 i [cERe, 8. ROLG. 2]
Ixr. xx1. 50-66
[ANZIAN DIS. ZITA]
Però, se ta non vuoi de’ nostri grafii,
Non far sovra la pegola soverchio. »
62 Poi l'addentàr con più di cento raffi;
Disser: « Coyerto convien che qui balli,
Sì che, se puoi, nascostamente accalli, »
65 Non altrimenti i cuochi a’ lor vassalli
Fanno attnffara in maven la caldaja
La ca
68 Lo buon
Che ti
Dopo
61 E per n
Non t,
Perch
64 Poscia J
E con
Mestu
tichi Etruschi e Romani col nome a:
Aosar. Cfr. MinutoLI, |. c. « La stato
comunemente ogni Lucchese vi si bagna
entro; » Lan.
50. GRAFFI: grafiaturede' nostri uncini.
51. NON FAR: non soverchiare; non
venire a galla.
62. roi: poichè. - RAFFI: strumenti di
ferro con denti uncinati, detti rampini
o uncini.
53. COVERTO: sotto la pece. - NALLI:
«per derisione appelluno que’ demoni
ballo il dimenarai di quegli sciagurati nol
bruciore; » Lomb.
54. ACCAFFI: arrafti, pigli con male arti
l' altrui denaro, come facesti lassù nel
mondo. Ecco che la pena corrisponde al
peccato.
55. VASSALLI: fanti, guatteri, servi.
57. GALLI: galleggi, venga a galla. Da
gallare = galleggiare. Cfr. Purg. X. 127.
V. 68-75. Virgilio e i Malebranche.
Virgilio esorta il suo Alunno di tenersi
nascosto dietro uno scheggio, intanto cho
egli andrà a parlare coi Malebranche, e
di non temere por qualsivuglia offosa gli
sia fatta, conoscono ogli come vanno le
cose laggiù. Infatti i dewoni, appena ve-
dutolo, corrono addosso a Virgilio coi
loro grafli, ma egli si schermisce, invi-
tandoli a spedirgli incontro uno di loro,
con cui possa parlare ed esporgli la ra-
gione del suo viaggio colaggiù.
ié non galli.
\ non sì paja
rit t'nequatta
in schermo t' haja;
ia fatta,
ose conte,
baratta. »
ponte,
a sesta,
\ fronte.
58. St PAJA: apparisca, non al veggs.
Cfr. Inf. VIII, 106 © scg.
69. T'ACQUATTA: chinati per terra.
Sembra che nè i Malebranche sotto il
ponte, nè il diavolo nero avessero an-
cora veduto i due Poeti, chè altrimenti
questo giù t'acquatta, =. abbassati e na-
sconditi, non avrobbe verun senso.
60. poro: dietro, lat. post, come Par.
II, 100, eco. Cfr. Virg. Ect. III, 19, 20.
- CHR: il quale scheggio ti nasconda alla
vista dei demoni. - HAJA: abbia; anti-
cum. anche fuor di rima. Cfr. Par. XVII,
140. Nannuc., Verbi, 507 © sog.
62. CONTE: cognite; «quasi dicat : bene
novi fraudes istorum baratariorum; «
Benv,, essendovi già stato, cfr. Inf. IX,
22 © sog.
63. VARATTA: baruffa, contrasto, con-
tesa. « Quando due vengono a contesa
insieme e se le dunno a vicenda, si dice
cho se lo sun baruttate. E si dice barat-
tarsele unco di parole ingiuriose dette a
vicenda; » Caverni. In questo luogo ba-
rutta è detto « terse con qualche alla-
sione al luogo ove si puniscono i barat-
tivri, e ai diuvoli che vi stanno a guar
dia; > Cr.
64. co’: capo, cfr. Inf. XX, 76. Purg.
III, 128. Par. III, 90.
65. sxsra: che partiva la quinta dalla
sesta bolgia.
66. BKCUKA FRONTE: coraggio.
[cERC, 8. NOLG. 5]
INF. xx1. 67-83
[MALEBRANCHE) 205
o Con quel furor e con quella tempesta
Ch' escono i cani addosso al poverello,
Che di subito chiede ove s’arresta,
70 Usciron quei di sotto al ponticello,
E volser contra lui tutti i roncigli;
Ma ei gridò: « Nessun di voi sia fello!
n Innanzi che l'uncin vostro mi pigli
Traggasi avanti l’un di voi che m'oda,
E poi d’arroncigliarmi si consigli. »
76 Tutti gridaron: « Vada Malacoda »
Perché un si mosse, e gli altri stetter fermi,
E venne a lui dicendo: « Che gli approda? »
7 « Credi tu, Malacoda, qui vedermi
Esser venuto, » disse il mio maestro,
« Securo già da tutti i vostri schermi
8a Senza voler divino e fato destro?
Lasciane andar, ché nel cielo è voluto
UT. rRMPRSTA: « Et quasi tempestas
veniot contra Jlium;> Daniel. XI, 40.
09. cron: domanda senz’ altro l' ele-
mosina. « Accenna il Poota coan che per
mporienza è nota ad ngunno, ciod che ni
Pitocchi, ogni volta che si affaccinno n
qualche ensa per accattare, furinsamente
loan ai avtentano;» Lomb, « Rarnttarii
merito comparantur canibua; » Bene.
72. reLLO : ermlele, malvagio. « Fello è
tolul che pensa di far male ad altroi; »
Muti. Cfr. Diez, Etym. Wort, 1°, p. 174 è
wg. Inf. XVII, 192; XXVIII, 81. Par.
IV, 15.
75, st comsiati: quando l'uno di voi
mi avrà ndito, e por allora sarà tempo
di deliberare tra voi se sin da arronci-
gliarmi, |
V.T0 87. Virgilio e Malacoda. L'olo-
tone «i fa senza discnssione e sonza op-
posizione, I diavoli vanno anbito d' ac-
tordo. «Ul vada Malacoda!> gridano tutti
al ona voce. E l'eletto nocotta dal canto
ino sanza amorfio e ni avvicinaa Virgilio,
ll quale lo wmilia ricordandogli la vo-
#0. MALACOWA : taluno cradle cho sotto
(teste nome Danto abbia nascosto qual-
mo nomino, Carlo di Valoia, o Corno
Donati. Soverchiamento ingegnoso. « Il
home è presagio cho la cosa nacirebbo
» mal fino; » Tom,
TR. CUM GLA APPRODA : qual pro gli fa?
cosa gli giova? Dica pure ciò che vuole,
non gli giovorà nulla. Approdare in que-
sto medesimo senso è uanto Purg. XIII,
67. Altri intendono divoranmento, « Cho
lo condnoe quit» Buti, Tom., eco, (Ap-
prodare = venire a proda), « Che vuole,
che desilora?»s Giusti.- Ambedoe diman-
de anperfine, chà Virgilio lo ha chinmato
appunto per dirgli cià cho egli vuole è
ciò cho qui lo conduce. Al. les.: cn Tr
Arrnopa (= che vuoi? cui T'ArrRODA?
(come sei qui capitato?); cn'roLi AvrRO-
DA (= che o' 4 di nuovo ?), eco. Cfr. 2.
F., 125 © seg.
B1, scurrmi: difese; qui per impedi-
menti, opposizioni. I demoni non hanno
il potore di offendere Virgilio, il quale
non è giudicato da Minosse; Inf. XII,
DO. Purg, I, 77, Rammentando il volere
supromo agli vince gli ostacoli ; ofr. Inf.
II, Dio seg.; V,21080g.; VII, 10 e seg.
I soll guariliani del cerchio degli eretici
non cedono, Inf, VIII, 80 eseg., essendo
assi i rappresentanti di chi non orede in
un voler snpremo.
B2. nitRO : propizio, favorovole ; cfr.
Virg. Aen, V, 07 «weg, Altro volte Vir-
gilio non rammenta ni diavoli che Il vo-
ler divino; qui vi ngginnge il fato, al
quale seconds Ia mitologia sono sotto-
posti gli stessi Dei; cfr. Ovid, Met, IX,
420 è sog.
PI. LASCIANI: Al, LASCIAMI.
206 ([CERC. 8. BOLG. 5]
Inv. xx1. 84-99
[MALEBRAXCHE]
Ch’ io mostri altrui questo cammin silvestro. »
85 Allor gli fu l'orgoglio si caduto,
Che si lasciò cascar l’ uncino ai piedi,
E disse agli altri: « Omai non sia feruto. »
88 E il duca mio a me: « O tu, che siedi
Tra gli scheggion’ del ponte quatto quatto,
Securamente omai a me ti riedi. »
ol Perch'io mi mossi ed a lui venni ratto;
È i diavoli si fecer tutti avanti,
Sì ch’ io temetti non tenesser patto.
94 E così vid’io già temer li fanti
Che uscivan patteggiati di Caprona,
Veggendo sé tra nemici cotanti.
07 Io m’accostai con tutta la persona
Lungo il mio duca, e non torceva gli occhi
Dalla sembianza lor ch’ era non buona.
84. ALTRUI: a Dante nascosto. - 81L-
vasto: salvatico «i orridu.
85. canuro: a Malacoda venue meno
l'arroganza, testò tanto grande; cfr. Inf.
VII, 13 e reg.
87. FKRUTO: ferito. Cfr. Nannuc., Ver-
bi, 397, nt. 1.
V.88-105. Spavento di Dante. Spenta
collo sue parole la tracotanza di Mala-
coda e de’ suoi Malebranche, Virgilio
chiama Dante a sé. Essendusi egli mosso
per raggiungere il Maestro, i demoni si
fanno avanti e con parole sconce si eo-
citano l'un l'altro ad offendorlo, onde
Dante 6 tutto spaventato.
89. QUATTO QUATTO: « chinato c come
spiunato in terra, e como fa la gatta
quando uccella, cho si stiaccia in terra
per non esser veduta; » Burghing.
93. FATTO: la promessa futta, v. 87.
« Et nota quod auctor pulcre hoc fingit,
quia raro vel pumquam isti baratarii
servant quod promittunt, nisi sit eis
uncta manus;» Benv, Al. TRMETTI CI KI
TKNKS3kk PATTO, cho risponderebbe al
lat. vereor ne. Cfr. Moonr, Crit., 330 e seg.
di. vin'io: ci fu danque presento.
L'opinione che ogli vi s'a andato non
come milite, ma pur semplico curiosità
(Barron, Lett. ital. V, 94 0 seg.), 6 del
tutto inattendibilo.
05. PATTKGQIATI: sotto fede di capito-
lazione. - Cavnena;: castello dei L'isani,
preso dai Fiorentini o Lucchesi nell ago-
ato del 1289; cfr. Vill. VII, 187. 11 Buti
pisano e che luggova il suo commento a
lisa, raccuuta: « Questo castello era così
forte chy per battaglia non si poteva ave-
16, onde avvenno che, fatto poi cap tano
di guerra per li Pisani il conte Guido da
Monto Feltro, acquistò a’ Pisani tutto
ciò che avovano perduto, et ancora Ca-
prona; imperò cho, spiato per alcuno
secreto modo che quelli dentro non ave-
vano acqua, si niosse un di' da Plea ot
assediò Cuprona; e non avendo più che
bore, benchè avosseno assai da man-
giare, i fanti cho v'orono dentro 9‘ ar-
renderono a patto d'ossere salve lo per-
sone. li quando us irono fuori del castello
ot andavano tra nimici, verano di quelli
che diceano e pridavano: Appicca, ap-
picca; imperò che il conte Guide li avea
fatti legare tutti ad una fune, acciò che
non si partissono l'uno dall'altro, et an-
dando spartiti non fossuno mo! ti da’ con-
tadini; e facevali menare inverso Pisa,
per conducerli in una via che andava
diritto a Lucca, più breve che alcun’ al-
tra; o pertanto elli eblono paura che‘)
patto che era loro stato fatto, non fesse
attenuto. » Guido da Montefeltro fu ca-
pitano de' Pisani dal marzo 1289 sino
al 1293; cfr. Vill. VII, 128; VITI, 2.
Bass., 51, vo seg. Kraus, 345 © seg.
08 LUNGO: raseuto,p1 0990, cf Inf. X 43.
09. SEMBIANZA : dual loro minaccioso
aspetto.
[cERC. 8. ROLO. 5]
Inv. xxr. 100-112 [vbwalE DI MALACODA] 207
100 Ei chinavan gli raffi, e: « Vuoi che il tocchi, »
Diceva l'un con l’altro, «in sul groppone? »
E rispondean: «Si, fa’ che gliele accocchi. »
103 Ma quel demonio che tenea sermone
Col duca mio, si volse tutto presto
E disse: « Posa, posa, Scarmiglione, »
ind Poi disse a noi: « Più oltre andar per questo
Scoglio non si può, però che giace
Tutto spezzato al fondo l'arco sesto.
100 E se l'andare avanti pur vi piace,
Andatevene su per questa grotta;
Presso è un altro scoglio che via face.
lia Jer, più oltre cinqu’ ore che quest’ otta
100. cmimavan: abbassavano | loro
micini verso di me, è l'uno chiedeva nl-
l'altro: « Vuol ta cho il pereuota?» -Toc-
Cu: «si dice apecialmento a’ volturini
(lil porenotere | cavalli, che vadano più
relool, Tocca, tooca: via, tin; » Conerni.
101, crorFroNnE: la deretana parte del
102. auiri.R: invariabilmente per tutti
fe; e numeri, inveco di glielo, gliela,
= ACCOCCIII: « deroccarin a uno,
modo basse. Fargli qualche danno, di-
‘piacere o beffa; onde l'adagio: Tal ti
ride in bocca, che dietro te l’accocca, cinà :
TI fa l'amico in faccin e dietro t'ingan-
oa ¢ opera contro di te; » Fanfani.
103, quer: Malacoda,
168. rosa: ata’ quieto. - SCARMIOLIONE:
*armigliatore, arroffatore; « quasi cn-
pio di searmigliare, scompigliare per-
no a così; » Tom.
V. 100-114. Le bugie del diavolo,
al ingannare i duo Poeti quel dia-
tolo di Malacoda mischia da pari ano il
vero col falso. « Qui non potete onnti-
Maro il vostro viaggio, l'arco sesto ns-
mide tutte rovinato; » ciò era vero.
‘Teri, cinque ore più tardi di ndeaso, si
nmpier 1206 anni che lo scoglio ro-
tin}; s anche questo ern vero. «Se pur
tolote cont nnare If vostro vinggio an-
‘date oltre su per questo argine, e non
lungi troverete un altro scoglio che fa
tha.» era una bugia, tutti 1 ponti
della bolgia essendo rovinati, cfr.
Inf. XXITT, 123 e seg. È naturale che il
Wavolo sia bugiardo, efr. £. Giov. VITI,
44; ma il sorprendente è cho Virgilio gli
107. SCOGLIO NON SI ruò: così molti
ottimi codd, ficenio scoglio trisilinbo.
Al.: Iscoatto NON st PUÒ, che è pure lex,
di buoni coil. Ta comtine: scoaLio NON
BI POTRÀ, leziono cle involge nn certo
ilnbbio che qui sembra del tutto fuor
di Inogo,
110, GHOTTA: ripe, argine. La vono
grotta fu comunissima agli antichi anche
in senso di rupe, ed è in tal senso viva
ancora,
112, sen: Cristo mori l'nnno 14 del-
l'èra volgare, como si credette nel mo-
dio ovo il 25 di marzo, veran le tre dopo
mezzogiorno, cfr. S, Matt. XXVIT,46-50,
Al momento della ana morte, quando
ela terra tremò o la pietro ni apexen-
rono » (Matt, XXVII, 51), ebbero Inogo
le rovino nell'inferno, o rovinarono puro
1 ponti sopra la bolgia degl'ipooriti. Da
quel momento, dice Malacoda, sono pas-
sati 1206 anni 6 on giorno, meno cinque
ore, Siamo adanque nel 26 marzo del 1300,
circa alle dieci di mattina. Ma questo cal-
colo è tutt'altro che indubbio; efr. Pox-
TA, Orologio Dantesco, ed. Ginja, Città di
Castello, 1892. BLaxc, Veraweh I, 107 è
seg. AGNELLI, Tepo-Cronograsia del viag-
gio Dantesco, Mil., 1801. DeLLA Vat,
Senso geogr. astron, dei lunghi della 1.
O., Faenza, 1869, p. 12-16, 63-69, Suppl.
a questo libro, p. 60, uscaino Camro,
Studi Danteschi, Trapani, 1804, p, 40 6
aeg., 117 6 seg. F. AxcruittI, Sulla data
del viaggio dantesco, Napoli, 1897, p. 16
© segmenti, ecc. Salla lezione di questi
versi confr. Moons, Crit., 331 è sog. —
OTTA: ora; le 7 antim. Confronta Inf.
XX, 127.
208 [CERC. 8. BOLG. 5] INF. xxr. 118-128
(DIECI DEMONI]
Mille dugento con sessantasei
Anni compié che qui la via fu rotta.
115 Io mando verso là di questi miei
A riguardur se alcun se ne sciorina;
Gite con lor, ch’ei non saranno rei.
118 Tràtti avanti, Alichino e Calcabrina, »
Cominciò egli a dire, « e tu, Cagnazzo,
E Barbariccia guidi la decina.
121 Libicocco venga oltre, e Draghignazzo,
Ciriatto sannuto, e Graffiacane,
E Farfarello, e Rubicante il pazzo.
V. 116-189. La compagnia dei de-
moni. Malacoda si mostra molto gone-
roso verso i due Poeti. La generosità
del diavolo! « Mando colà, verso quello
scoglio che via face (e che in realtà non
esisto) alcuni di questi demoni a me sot-
topusti, andate con loro, chè non vi fa-
ranno del wale.» E li chiama per nome,
- nomi grottoschi, infernali, - 0 parla loro
in modo ambiguo, da bugiurdo. Danto si
accorge dell’ inganno, e ne rende av ver-
tito Virgilio, il qualo lo conforta a stare
di buon animo. I diavoli si mettono in
viaggio in modo sconcio, da loro pari;
i Poeti vanno loro dietro.
116. ALCUN: dannato, - SCIORINA : met-
te fuori della pegola il capo od ultra
parte della persona, per avere un po’ di
refrigerio al bruciore che lo tormenta.
117. net: a voi molesti.
118. ALICHINO: da chinar le ali? Ve-
ramente questo diavolo si mostra pronto
a chinarle, cfr. Inf. XXII, 112 e sog. -
CALCABRINA : « Est ille qui calcavit de
duro et molli; » Benv. - « Come suona il
vocabolo, tanto vuol dire quanto Scal-
pitatoro di brina, ciò è vizio invecchiato
assai tempo et pratico; como volgarmen-
to si dico: quelli hae scalpuato quante
nevi, ciò è, quelli 4 pratico et saputo; »
An. Fior. - « INo qui calcavit, idest diu
expertus est in baractaria ; » Serrav. -
« Calcante la brinata, la quale nelle Let-
tero Sacre significa lu divina grazia; >»
Land.
119. Cagnazzo: lo stesso che Cagnuc-
cio, peggior. di cane.
120. BARBARICCIA : «inveterata dierum
nequitia: nam crispodo barbie et capil-
lorum signnm est mali militio; » Benv.
- « Usato ot invecchiato a fare male, ct
barbuto in quell’ arte; » An. Fior. - De-
CINA: compagnia di dieci domoni, Inf.
XXII, 13.
121. LiBICOCCO : « ardens et coquens ; »
Benv.- Forse meglio: il Libico, da Libia,
ne' cui deserti ai credeva che dimorassero
molti demoni, e dove mugge il libeccio,
uno dei più furlosi venti della terra. -
DRAGHIGNAZZO: « magnus serpens mali-
ciosus, venenosus,.... quasi magnus dra-
co, vel draco ignitus; » Benv.
122. CiniatTO : forse da YOpCe = por-
co; cfr. Inf. XXII, 56. « Congruum no-
men a cyros, manus, quasi dicat, armatus
mavu ad rapienduin; » Benv, - « Porco
cho ferisce con due saune: l'una offende
la persona, l'altra l'avere; » Buti. -
GRAVFIACANK: che si diletta di graftiare
i peccatori col suo uncino; contr. Inf.
XXII, 34 e seg. Cani sono detti i dan-
nati Inf. VI, 19; VIII, 42.
123. FARFARELLO: cianciatore, infra-
scatore, « qui continuo omnes imbrat-
tat; » Benv. - RULICANTE: dal lat. ruber
== rosso; « furioso e iracondo; » Gelli. -
PAZZO: bestialo, faribondo. Il Ross. IT,
161 e seg. sappono che questi nomi sieno
« parte alterazioni e storpiaturo, e parte
anagrammatici atravolgimenti de’ uomi
stessi de' Priori è de’ Sindaci Neri » che
erano in uftizio nel 1303, quando il Car-
dinal da Prato vonne a Firenze. Quindi
Malebranche per Manno Branca, allora
podestà; Orafiucane = Ratlacani, priore;
Barbariccia — lacopo Ricci; Rubicante
il pazzo = Pazziu de' Puzzi; Alichino =
Aliotti, priore; Afalacoda= Corso Dona-
ti; Draghignazzo = Betto Brunelleschi;
Scarmiglione = Rosso della Tosa; Calca-
brina = Maruccio Cavalcanti; Ciriatte
= Geri Spini, ece. ‘Troppuo ingegnoso!
[CERC. 8. BOLO. 5]
Inr. xx1. 124-139
[DIECI DEMONI] 209
1% Cercate intorno le bollenti pane.
Costor sien salvi insino all’altro scheggio
Che tutto intero va sovra le tane, »
127 « O mè! Maestro che è quel ch'io veggio? »
Diss'io; « deh! senza scorta andiamci soli,
Se tu sa’ ir, ch'io per me non la chieggio.
&
Se tu se’ sì accorto come suoli,
Non vedi tu ch’ei digrignan li denti,
E con le ciglia ne minaccian duoli? »
Ed egli a me: « Non vo' che tu paventi.
Lasciali digrignar pure a lor senno,
Ch'ei fanno ciò per li lessi dolenti. »
|]
Per l’argine sinistro volta dienno;
Ma prima avea ciascun la lingua stretta
Coi denti, verso lor duca por cenno,
3
IM. PANE: per panic, come litane per
Utenie, matera per materia, eco, Chinma
così In pece bollente di quella bolgia,
perchè viscosa.
125, acmrogio: catona di ponti cho nt-
traveran le bolge.
126. TUTTO INTERO: menzogna : un tale
tcheggio non c'era. Evidentemente l' in-
tenzione era di guidare i Poeti fuor della
Via, forse in cerchio, « Et hie nota quell
Malacoda mandat impossibilia intix; nam,
n patobit aequenti enpitalo, isti demo
tee non possunt exire de sna bulgia
quinta, et per hoo figurat autor, quod
Magnus magister baratarim semper men-
Utar se posse plura quam possit vel vo-
it servare, nt sic continno veniant mu-
mera ct pocunie (1); Reno. - TANK:
129,
24’ m: so conosci la via, come già
mi dicesti, Inf. IX, 30. Ma l’altra volta
the Virgilio andò lagen. lo scoglio non
era ancora — to al fondo. - cure
uo: dal canto mio non chiedo una scorta
4) questo genore
DR: com ace Matta : collo aguardo bie-
on; «nol torso lo cli degli occhi
Sgilee fanno segnale di volerci ingan-
naro ;s » Barg.-DUOLI: qui probabilmente
M— Die. Comm., 1 odir.
Ed egli avea del cul fatto trombetta.
dal lat. dolws, per inganni. Al.: dolori,
guai, e può anche atare.
135. Lest: lessati, cotti nella pegola.
Così quasi tutti i codd. della prima metà
del 'rovonto, Al, Lest; ma i barattieri
mon sono lesi, cioè offesi n torto; sono
giustamente puniti. Le lezioni Lass, IL-
Lest. ecc, sono inattendibili. « Dicendo
che i domonii, gnardiani de’ barnttiori,
facevano visi od atti di minnocia poi lessi
dolenti, Virgilio vnol dire, cho quoi dan-
nati non solamontoe mostravano lo este-
riorità del dolore, como i lessi de' Greci
o de’ Romani, ma erano dolenti dav-
voro è (ft); Nicanoni, Shige. crit. sud lessi
dolenti dell’ Inf, Novara, 1884, p. 45. Cfr.
Brano, Versuch I, 200 è sog.
137. STRETTA : beffandosi sconciamente
di Virgilio, che pareva non essersi ac-
corto delle diaboliche loro intenzioni.
138. cenno: di segreta intelligenza.
199. neti: quel diavolo di Barbariccia
imita in modo sconcio, proporzionato alla
qualità ed al carattero di questi demoni,
il trombettiere : e i snoi demoni marciano
nl snono di questa trombn degna di loro,
Dante doserivo qui costmni diabolici n lo
stile suo corriaponde pionnmento alla
pertrattata materia,
210 (CERO. 8. BOLG. 5]
Inr. xx11. 1-8
(FIERA COMPAGNIA]
CANTO VENTESIMOSECONDO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA QUINTA: BARATTIERI
CIAMPOLO NAVARRESE, FRA GOMITA, MICHEL ZANOIIE
ZUFFA DE’ DEMONI
Io vidi già cavalier’ muover campo,
E cominciare stormo, e far lor mostra,
E talvolta partir per loro scampo ;
4 Corridor' vidi per la terra vostra,
O Aretini, e vidi gir gualdane,
Ferir torneamenti, e correr giostra,
7 Quando con trombe, e quando con campane,
Con tamburi e con cenni di castella,
V. 1-18. La fiera compugnia. I due
Poeti vanno coi dieci diavoli, i quali
marciano nollo sconcio modo duscritto
alla fine del canto antecedente. Questo
strano modo porge a Dante occasione di
rammentare marcio ed cscursioni mili-
tari da lui velate.
1, MUOVER CAMPO: mettersi in marcia
cia; lat. Castra movere.
2. STORNO: dal ted. Sturm, combatti-
mento, battaglia = attaccar battaglia. Vo-
ce usata anche dal Villani, I, 12. Henv.:
e tunultum et rumorem contra torram
obsessan), oppugnandam, quiactusetiam
habet fieri sub certo signo.» Mazz.-Tos.:
e Cominciare la musica militare. » - MO-
STRA: rassegna, esercizio, rivista.
3. PARTIR: faro la ritirata por salvarai.
4. CORRIDOR’: drappelli che scorraz-
zano per sorprendere Il nemico. « Homi-
nes currentes in furore populari;» Benv.
Al.: gente che fugge vorrendo, Al.: gente
che fa correrìe. Al.: piccoli drappelli di
cavalleria che scorrazzano il passe ni-
mico per riconoscerlo (î). Cfr. Z. F.,126-80.
- VIDI : nella battaglia di Campaldino del
1288? Cfr. Vil. VII, 124, 131. Zeon.
Aret. Vit. Dant. O in altra vocasione!
Cfr. Kraus, 35.
5. GUALDANE : schiere, o stnoli di gento
armata; <«oavalcate le quali si fanno al-
cuna volta in sul terreno de' nimici a ru-
bare, e ardere, e pigliare prigioni; » Buti.
Cfr. Encicl. 968.
6. TORNEAMENTI: tornei, zaffe di uo-
mini a cavallo. « Ferir torneamenti, com-
battere ne' toruci, squadra con squadra,
© correr giostra, uvmo contr’ uvmo ; »
L. Vent.
7. CAMPANE: al suon di campana, come
usavano i Fiorentini di guidare le squa-
dre al suono della Martinella appena al
Oarroccio.Cfr. Vill. VI, 75. Macchiavelli,
Stor. Fior., II, 5.
8. CKNNI: fumate di giorno e fuochi
di notte. - Pass.: « Seguali di guerra
fatti con bandiere o con fuochi dalle
torri. »
[CERC. 8. BOLG. 5]
INF. XXII. 9-27 [FIERA COMPAGNIA] 211
E con cose nostrali e con istrane;
10 Né già con sì diversa cennamella
Cavalier’ vidi mover né pedoni,
Né nave a segno di terra o di stella.
13 Noi andavam con li dieci dimoni;
Ahi fiera compagnia! ma nella chiesa
Co’ santi, e in taverna co’ ghiottoni.
16 Pure alla pegola era la mia intesa,
Per veder della bolgia ogni contegno,
E della gente ch’ entro v’ era incesa.
19 Come i delfini, quando fanno segno
Ai marinar’ con |’ arco della schiena,
Che s’argomentin di campar lor legno:
22 Talor così ad alleggiar la pena
Mostrava alcun dei peccatori il dosso,
E nascondeva in men che non balena.
25 E come all’ orlo dell’acqua d’ un fosso
Stanno i ranocchi, pur col muso fuori,
Sì che celano i piedi e l’altro grosso:
9. ISTRANR: forestiore, introdotte da
Francesi e Tedeschi.
10. x& GIÀ: ma giammai. - DIVRRSA:
strana, bizzarra, quale la trombetta di
Barbariccia, XXI, 130. - CENNAMELLA:
probabilmento dal lat. calamellus, dimi-
nut. di calamus, prov. calamel e cara-
mel, franc. ant. canimeane e chalemel;
Istrumento musicale, che sonavasi col
fiato, e che aveva presso a poco la forma
di un clarinetto. Al. CRMMAMELLA, CRRA-
MELLA, CIALAMKLLA, CIARAMEKLLA, CAN-
MAMELLA, ecc. Confr. Tavola Ritonda
ed. Polidori I, 64, 517; II, 38. Nan-
nue. Man. I, 510. MAZzoNxI-TOSRLLI,
Voci e passi, 132. Ravi, Opere, Milano,
1809, I, 226 e eeg. Z. F., 130 e seg.
12. DI TERRA: che si scuopre da lungi.
- DI STELLA: che ai mostri in cielo, « Nec
sidos regione vim lituave fefellit; » Virg.
Aen. VII, 216, nel qual luogo sidue è il
sogno di stella, litus di terra.
14. cmrsa : questo provor bio popolaro
vuol dire cho la compagnia corriapondo
sempre al Inogo in oni l'uomo si trova,
onde nell’ inferno non poteva aspettarsi
compagnia miglioro.
V. 16 30. Come i barattteri cercano
solliero. Confortato da Virgilio, XXI,
133 e seg., Dante non bada più che alla
bollonto peco. Corcando an istanto di
sollievo, i peccatori sporgono chi il dor-
so, chi Il muso fuor della pegola, ma al-
I’ apparir di Barbariccia o de’ anoi dia-
voli si ritrnggono velocomente sotto.
16. INTESA: attenzione; ai demoni per
intanto non badava più.
17. CONTRGNO: condizione, particolari-
tà. Al.: cosa contenuta; così Benv., Buti,
Dan., Cast., ecc. Ma Dante dice: Per ve-
der della bolgia ogni contegno, E della
gente, occ. Voleva ogli vodere la condi-
ziono, il modo di essere di quella gente,
oppure ciò che quella gente conteneva 1!
18. INCFSA: abbruciata, bollita.
19. DELFINI: « Et circum argento clari
delphines in orbom Aequora verrebant
caudis rostumque secabant; » Virg. Aen.
VIII. 673 e seg.
21. 8'ARGOMENTIN: 8’ ingegnin di sal-
vare la loro nave dalla minacciante tem-
pesta, della quale i delfini danno segno
snitando o mostrandosi fuori dell’acqua,
22. ALLICGGIAR: alleggoriro.
24. NASCOXDKVA: esso dosso, attuffan-
dosi nella pece.
26. rur: soltanto; cfr. Inf. XXXII,
31 © Beg.
27. CRLANO: nell’ acqna. - Grosso: Îl
busto ; le gambe e Il dorso.
212 ([CERC. 8. ROLG. 5]
INF. XXII. 28-87
[CIAMPOLO]
28 Si stavan da ogni parte i peccatori;
Ma come s'appressava Barbariccia,
Così si ritraean sotto i bollori.
3! Io vidi, ed anco il cor me n’ accapriccia
Uno aspettar così, com’ egli incontra
Che una rana rimane ed altra spiccia.
84 E Graffiacan, che gli era più di contra,
Gli arroncigliò le impegolate chiome,
E trassel su che mi parve una lontra.
37 Io sapea già di tutti quanti il nome,
30. così: in men che non balena, v. 24.
~ BOLLORI: della pece.
V. 81-75. Ciampolo Navarrese. Uno,
non essendo lesto a nascondersi sotto la
pece, è acchiappato dai demoni, che ne
fanno strazio. Dà contezza di sè, dicen-
Aosi Navarrese, già servidore del re
Tebaldo, ma non si nomina. Di costui
Bambgl., An. Sel., Iac. Dant., Ott., Petr.
Dant., Casz., eco. non danno notizia. Gli
altri antichi lo chiamano Ciampolo, o
Giampolo. « Il detto peccatore fu uno
ch’ ebbe nome Giampolo, lo qual nacque
per madre d'una gentil donna di Na-
varra.... Come fu un poco yrandicello
fu meseso por sua madro a servire un
signore, in lo quale officio elli neppe sì
proficare ch’ elli montò a essere famiglio
del re di Navarra, il quale ebbe nome
Tebaldo e fu virtuosissima persona e re
da bene. E fu lo ditto Giampolo tanto
in grazia del predetto ro Tobaldo, ed
ebbe tanto stato in sua corte, ch’ elli
avea possanza di «dispensare de’ benefici
e grazie in molta quantitade, li quali ba-
rattando per pocunia, elli dispensava in
modo illecito e inoneste; » Lan.- «Ciam-
polo da Navarra, il quale fu grandissimo
barattiore; » Falso Bocc. - « Iste infolix
fuit natione hispauusdo regno Navarriz,
natus ex nobili inatre vt viliasimo patre.
Qui cum prodigaliter dilapidasset omnia
bona sua, ut andio, tandem desperate sa-
apendit se laqueo, ita quod debet case ar-
borificatus in circulo violentorum contra
so. Iste ergo tilius vocatus est nomine
Ciampolus, quem mater sua nobilis do-
mina posuit ad standum cum quoadam
nobili; qui scivit ita sayacitor se habe-
re, quod factus est illi in brevi carissi-
mus; et sio fama prosperante et favore
domini coadiuvante, iste intravit curiam
regis Thebaldi,.... et summa sagacitate
tam mirabiliter adeptas et gratiam et
favorem regis: qui rex amoratua de eo
commisit totam curiam regendam ma-
nibus eius, ita quod conferebat beneficia,
et omnia ministrabat. Tunc ompit astu-
tissime baratare et accumulare; et licet
euepe floret querela de eo, rex nihil cre-
dere volebat; et sio continuo crescebat
audacia audacissimo; » Benv. - « Fu sa-
puto uomo secondo il mondo; » Butt. -
Gli altri antichi non uggiungono notizie
rilevanti. —- Filal.: « Se la tradiziono non
lo chiamasse Ciampolo, io supporrei che
costui fosse il siniscalco Goffredo di Beau-
mont, cui Tebaldo durante la sua assen-
za allidd il Governo di Navarra. » Cfr.
Encicl. 1312.
83. RIMANK: fuor dell’acqua, o del pan-
tano. - sriccta: sulta veloco nell'acqua.
- <luvat esse sub undis, Et modo tota
cava submergere membra palude, Nuno
proferre caput, amums modo gurgite
naro, Sivpo super ripam stagni consi-
stere, siepe In gelido» resilire lacus; »
Ovid. Afet. V1, 370 © sog.
44. DI CONTRA: dirimpetto, di faccia,
di fronto; cfr. Par. XXXI1, 133.
35. ARKONCIULIO: preso col roncigglio;
o: tirò su cull’ uncino.
36. LONTRA: lutra; « animale tutto pi-
loso e nero; ha quattro piedi ed è lungo,
ed ha una lunga coda; vive e fa sua
pausa la maggior parte del tempo in
acqua; » Lun. - « Chi ubbia veduto que-
ato animale conoscerà quanto viva sia
la similitudine tra il danuato tratto su
dalla pece, e la lontra, In quale ha pelle
untuosa e color quasi nero, e che cavata
fuori dell'acqua con le gambe spenzolate
e grondanti presenta formo appropriate
all'atto che il Povta descrive; » L. Vent.
37. TUTTI: $ dieci demoni; ciò dice a
schiarimeuto del v. 34.
[CERC. 8. BOLG. 5)
INF. xx11. 88-59
{ciAMPOLO] 218
Si li notai quando furono eletti,
E poi che si chiamAro attesi come.
« O Rubicante, fa’ che tu gli metti
Gli unghioni addosso si che tu lo scuoi, »
Gridavan tutti insieme i maledetti.
Ed io: « Maestro mio, fa’ se tu puoi
Che tu sappi chi è lo sciagurato
Venuto a man degli avversari suoi. »
Lo duca mio gli 8’accostò allato,
Domandollo ond’ e’ fosse; e quei rispose:
« Io fui del regno di Navarra nato.
Mia madre a servo d’ un signor mi pose,
Ché m’avea generato d’ un ribaldo
Distruggitor di sé e di sue cose.
52 Poi fui famiglio del buon re Tebaldo;
Quivi mi misi a far baratteria,
Di che rondo ragione in questo caldo. »
56 E Ciriatto, a cui di bocca uscia
D’ ogni parte una sanna come a porco,
Gli fe’ sentir come l’ una sdrucia.
58 Tra male gatte era venuto il sorco.
Ma Barbariccia il chiuso con lo braccia,
38. sì: così bene.,- ELETTI: cfr. Inf.
XXI, 118-123.
89. ATTESI: feci attenzione al nome
con che si chiamavano.
41. UNGHIONI: artigli. - scuot: scorti-
chi; da ecuojare = tor via il cuoio, scor-
ticare.
45. A MAN: in potore. - AVVKRSARI:
« Adversarius vester diabolas tamquam
leo rngiena circalt, quierens quem devo-
voret; » I Ep. Petr. V, 8.
48. NATO: dal Jat. gnatue, natio; op-
pure fut nato è nn Intiniamo per nacqui,
come Inf. V, 97, ma aliora doveva dire
nel regno.
50. cut: perciocchè. Adduce il motivo
perchè sun madre fa costretta a met-
terin al servizio d' un barone del re To-
baklo. - RIBALDO: boja, carnefice, como
distruggitor di sà. Cfr. Fra Giord. Pred.
ined. ed. Narducci, p. 429: « Quando l'uo-
mo si va a 'mpiccare, già non ha egli in
odio e non vuol male al ribaldo che lo
'mpicca. » Al.: guardiano della persona
del Re (1). Al.: uomo devoto a signore (1).
Buti: «ribaldo tanto vione a dire, quanto
ardito e rio nomo, »
61. mistrugGITOR: dal basso lat. de-
structor, qui figuratamento per Dissipa-
tore de'auoi beni e suicida. Cfr. la notizia
di Benv. citata più addietro v. 31-75 nt.
52. FAMIGLIO: famigliare, servo. Al.
FAMIGLIA, che ha lo stesso senso, clod
famigliaro. Cfr. FANFANI, Stud. ed oss.,
67. - TrnaLDbo: Tebaldo II, conte di
Sciampagna, che nel 1253 succedette nel
regno di Navarra a Tebaldo 1; citato
da Dante come poeta nol De Vulg. EL I,
9; II, 5,6. Cfr. MARIANA, Stor. di Spa-
gna, 1. XIII, 0. 9.
64. RENDO RAGIONE: pago fi fio; cfr.
8. Luc. XVI, 2. - CALDO: poce bollente.
57. L'UNA: delle due sanne. - sprucìa:
strncciava; da sdrucire o rdruscire =
scuciro, npriro, fendero, spaccare, ecc.
58. sorto: sorcio, topo. Sorco usò
l'Aviosto fuor ai rima. Cfr. Nannue.
Nomi, p. 107, 740.
59. citiusk: circondò e strinse, ab-
bracciò con forza, « tamquam dux supe-
214 ([CERO. 8. BOLG. 5)
Tur. xxt1. 60-75
[c1AMPOLO]
E disse: « State in là, mentr’io lo inforco. »
61 E al maestro mio volse la faccia:
« Domanda, » disse, « ancor se più desii
Saper da lui, prima cli’ altri il disfaccia. »
64 Lo duca dunque: « Or di’, degli altri rii
Conosci tu alcun che sia Latino
Sotto la pece? » E quegli: « Io mi partii
67 Poco è da un che fu di là vicino;
Cosi foss’ io ancor con lui coverto!
Ch’ io non temerei unghia né uncino. »
70 E Libicocco: « Troppo avem sofferto, »
Disse, e presegli il braccio col ronciglio,
Si che, stracciando, ne portò un lacerto.
73 Draghignazzo anco i volle dar di piglio
Giuso alle gambe; onde il decurio loro
Si volse intorno intorno con mal piglio.
rior eorum, qui poterat els privcipere ; »
env.
60. MEKTRK: flnchd.-IXFORCO: lo chiu-
do con le braccia. Al.: fino a tanto che
non lo piglio io coll’ uncino. Ma Barba-
riccia non lo pigiiò con l' uncino. Cfr.
BLaxc, Versuch I, 201 © seg.
63. ALTRI: gli altri demoni, i quali
ardevano di brama di disfarlo, cioò la-
cerarlo co' loro uncini.
64. DUNQUE: essendo iuvitato a do-
mandare. Al. costruiscono: Lo Duca:
Dunque or di’, ece., cfr. Fanf. Stud. ed
vss., p. 67-60. - ku: roi di burattoris
tuoi compagni.
65. LATINO: italiano; latino per ita-
liano anche Convito IV, 28. - « Dante
agl'Italiani non degeneri dai nostri an-
tichi applica con ispezialità il nome di
latino. In questo luogo egli chiede di
alcun barattiere italiano, chiamandolo
per ironia latino; » Da Siena. Troppo in-
gognoso! Cfr. Inf. XXIX, 88, 01.
67. UN: lo nomina più tardi, v. 81. -
DI LÀ: di quello vicinanze, cioò deli’ Isola
di Sardegna, vicina all'Italia.
68. COVKKTO: sotto la pece. Più della
pece bollente teme lo sciagurato le un-
glie e gli uncini dei demoni nelle cai
branche è capitato.
70. SOFFKETU: aspettando; abbiamo
già avuta troppa pazienza. Nell'ardente
cradel brama di offendere, ogni piocolo
indugio è per questi demoni una sofe-
renza, un martirio.
72. STRACCIANDO: stracciandogli il brao-
cio. - LACKLTO: brano, pezzo di carne;
lat. lacertus. « Lacerto è propriamente
congiunzione di più capi di nervi inaie-
me, et è in alcune parti del braccio; ma
comunomento s'intende por la parte di
sopra del braccio; » Buti. - « Lacerto non
è vocabolo speciale; ma generico, pro-
prissimo nel caso nostro, come quello
che nasce dal verbo lacerare: e vale pu-
ramente qualunque brano staccato da
un tutto, reforfbilo di proforenza a parti
molli © carnose; » Zunf.
78. 1 VOLLK: volle mettergli le mani
addosso. Al.: ANCH' KI VOLLK.
74. GIUS): volle prendergli le gambe
col ronciglio per l'appunto come Libi-
cocco gli aveva preso il braccio. Al. GIÙ
DALLE GAMUE; Cfr. Z. F., 182 e seg. -
DECURIO: decurione, capo della decina,
cioà Barbariccia; cfr. Inf. XXI, 120.
75. MAL IGLIO: sguardo crucciato 6
minaccioso.
V. 76-90. Fra Comita e Michel
Zanche. Sedata un poco la furia dei
diavoli, Ciampolo, richiestone da Vir-
gilio, parla de' suoi compagni laggià
nella pece, nominando frato Gomita e
Michel Zanche. Il primo fu di nazione
sardo, frate non si sa di qual ordine. Di
lai, d'accordo con Bambg., An. Sel., Jac.
Corre, 8, nora. 5)
Inr. xx. 76-85
[FRA GOMITA] 215
ee =
n Quand’ elli un poco rappaciati foro,
A lui che ancor mirava sua ferita
Domandò il duca mio senza dimoro:
n « Chi fa colui, da cui mala partita
: Di’ che facesti per venire a proda? »
Ed ei rispose: « Fu frate Gomita,
- Quel di Gallura, vasel d'ogni froda,
Ch'ebbe i nimici di suo donno in mano,
È E fo’ si lor che ciascun se ne loda.
ant. Lan., Ott., Petr. Dant., Benv. è
di Itri antichi, jl Vell.: « Fu appresso
il Visconti di Pian (il quale tenne
" Tuddicato di Gallura dal 1275 al 1296)
“ignore del giudicato di Gallura iv Sar-
Yigna di grande autorità. E benchè di lui
a Nino referti e dimostrati molti
le baratteric che usava nel go-
nondimeno poteva tanto nna in-
impressione che aveva di lui,
fosse buono e ginsto momo, che a
voleva in questo prestar orec-
licando che tatto fosse detto per
fino a tanto che avendo frate
ta lasciato andare per dennri al-
nomici di Nino cho gli erano vo-
nelle mani, fu fatto chiaro del tutto
® fecelo appiccar por la gola. » - « Fu
Tancelliere del Giudice di Gallura, e fa
tmolto malizioso e grande trabaldiere per
Ganari; » An, Sel.
Michele Zanche fo siniscalco di Enzo
The atore di Logodoro, una delle
quattro Gindicatore della Sardegna, Fu
boclno nel 1275. Morto Enza, Michele
Zanche si fece signore di Logodoro spo-
Itlancea Lanza, madre di Enzo
Land., Vell., scc.), 0 piuttosto la
di Enro, Adelnsia, marchesana
(Petr. Dant., eco,). - * Don
Zanche, essendo cancelliere di
Nino di Gallara, snbitamente si
a recare per le mani le tenuto
rivendetle peggio che Don Go-
. E al suo tempo morì Giudice Nino,
i tutte le tenute che pots
tre rivendé a’ Pisani, 0 no-
di Gindien Nino, è
. K in quello tompo
1) giudico «di Lagodori , onde Dum
moglie, la mogile che fu
e obbe da lel ana figlivo-
» An, Sel. - « Essendo fattore della
(Atti
TOI
ae
ine
na
Denar’ si tolse, e lasciolli di piano,
madre del re Enzo, figliolo dello 'mpe-
radere Federigo, per sua rivenderia in
tanta ricchezza divenne, che dietro alla
morte della detta donna gindico, cioà si-
gnore del detto paeso si fece; » Jac. Dant.-
« Mortoo rege Enzo ejus oxorem cepit in
conjugem, et Judicatum Gallurm accepit
ana fallacia et baratteria; et ox ea habuit
filiam, quam postea maritavit domino
Branche Aurim de Genna, qui ad men-
ram post oom proditorie interemit; »
Petr. Dant. - Fu ucciso nel 1275; efr.
Inf. XXXIII, 137 © seg.
76. ELI: eglino, — RAMTACIATI:
tati. - FOno: furono.
TR. bimoro: indugio; in questo senso
autienmento anche in prosa.
70. MALA PARTITA: partenza in mal
pants, per toa sventura.
82, GALLURA: nome dell'ano do' quat-
tro Gindicati di Sardegna, a nord-est
dell'isola. Quando i Pisani nel 1117 eb-
bero conquistata la Sardegna dai Sara-
ceni, la divisero in quattro Giudicatare :
di Logodoro, o delle Torri; di Caluri, o
Cagliari; di Gallura è di Arborea. Cfr.
Murat, Script. XV, 077 e Bog.- VABKL:
voso, « Erat totos conflatus ex omni
genero frandium, armarium omnis mali-
tim; > Meno,
83. noxNO: signore, ciod Ugolino è
Nino di Giovanni de' Visconti di Pisa,
signore della Gallora dal 1298 nl 1275, -
« Per fraudolentiam et pecuniam qnam
aocepit, inimicos Jodicis, quos carcera-
tos habebat in partibua Sicilim, relassa-
vit;a Mambg.
Bi. ri al Lon: AL: rt.’ Lom el; li trat-
Là In maniera cho cinsonn di loro so no
chinma contento, - avendoli Inaciati fag-
giro,
BG.bDI PIANO: pinnnmente,occultamente.
Al.: Senza processo (7); Benv.; «ex pacto
che-
216 (CERO. 8. BOLG. 6] Imr. xx11. 86-102
(MICHELE ZANCHE]
Si com’ei dice, E negli altri uffici anche
Barattier fu non picciol ma sovrano.
83 Usa con esso donno Michel Zanche
Di Logodoro; e a dir di Sardigna
Le lingue lor non si sentono stanche.
91 O me! vedete l’altro che digrigna:
Io direi anco; ma io temo che ello
Non s’apparecchi a grattarmi la tigna. »
94 E il gran proposto, volto a Farfarello
Che stralunava gli occhi per ferire,
Disse: « Fatti in costà, malvagio uccello.»
97 «Se voi volete vedere o udire, »
Ricominciò lo spaurato appresso,
« Toschi o Lombardi, io ne farò venire.
100 Ma stien le male branche un poco in cesso,
Si ch’e’ non teman delle lor vendette;
Ed io, sedendo in questo loco stesso,
facto; ne credas quod isti aliter ovane-
rint rumpendo carcerem vel corrampen-
do custodes, sicut solet aliquando con-
tingere. »
26. cCOM' EI DICE: « ciò si riferisce al di
piano, frase sarda. E qui Dante l' la po-
sta per cuculiare frate Gomita in una
espressione sarda. Si com'ei dice, cioè
come è usato dire nel ano dialetto ; »
Betti. - ALTRI: non solo nell'affare della
liberazione dei prigionieri.
88. usa: pratica, conversa. - DONNO:
Don, Messore.
89. a bik: non si stancano mai di par-
lare della Sardegna, e ciò naturalmente
non per amor di patria, ina per raccon-
tarsi le baratterie o ribalderie colà fatte,
«quia quilibet libunter confert de arte
sua; » Benv. Ma come mai facevano a
parlare laggiù sutto la Lollente pece? O
parlavano soltanto quando riusciva loro
di star pur col snuso fuori, v. 20.
V. 91-132. I diavoli ingannati. Par-
Jando ai Poeti l'astato Navarrese ha
studiato tra sò © sò il modo di liberarsi
dai demoni. Parché si scostino un poco,
ci promette di far uscire 1uo)ti danvati
fuor della pegola a un segnale convenuto.
Nonostante l'opposizione di Cagnazzo,
che indovina l'astuzia, i diavoli sl ap-
piattano, o lui anello salta giù e dispa-
risce nel lago, lasciando i diavoli ingan-
nati e burlati.
91.L'ALTRO: demonio; Farfarello, v. 94.
92. ANCO: ancora; continuerei a par-
lare. - xLLO: egli, cioò l'altro.
93. GRATTARMI: a maltrattarmi. Grat-
tare la tigna, modo basso, anche nell'uso
vivente, significa percuotere, battere
senza misericordia. - TIGNA: cfr. Inf.
XV, 111.
94. PROPOSTO : prapositus ; diavol Bar-
bariccia, capo della decina.
96. UCCELLO: avendo all; ofr. v. 115,
127, 144; XXIII, 85.
93. svaURATO: impaurito. Al.: tolto di
paura, rassicurato. Ma Ciampolo non era
rassicurato, nè spaurare siguifica rassi-
curare.
100. LE MALE BRANCHE: i diavoli dagli
uncini nelle branche. Al. scrivono Male-
branche, nome collettivo di quei diavoli.
Ma quando Dante usa Malebranche col-
lettivamente il termine si fa di genere
mnascolino, e qui è inveco femminino. -
IN CESSO: in recesso, in disparte.
101. x': quei Toschi e Lombardi che
Ciampolo vuoi far venire. - NON TEMAN:
sperino, non vedendo i diavoli, di poter
venir impunemente a proda. Al.: 81 CH'IO
NON TRMA, lezione ovidentemente errata.
Cfr. Moonr, Orit., 333.
102. BEDENDO: promessa ingannevole
per indurre i diavoli ad applattarsi af-
finchè ogli possa liberarsi da' loro un-
cini.
(CERO. 8. ROLO. 5]
InF. XX11. 103-118 [DIAVOLI INGANNATI] 217
109 Per un ch'io son, ne farò venir sette,
Quando sufolerò, com’ è nostr'uso
Di fare allor che fuori alcun si mette. »
106 Cagnazzo a cotal motto levò il muso,
Crollando il capo, e disse: « Odi malizia
Ch’egli ha pensata per gettarsi giuso. »
100 Ond'ei, che avea lacciuoli a gran divizia,
Rispose: « Malizioso son io troppo
Quand’io procuro a’ miei maggior tristizia, »
Ne Alichin non si tenne, e di rintoppo
Agli altri, disse a Jui; « Se tu ti cali,
Io non ti verrò dietro di galoppo,
ti Ma batterò sovra la pece l’ali:
Lascisi il colle, e sia Ja ripa scudo,
A veder se tu sol più di noi vali, »
18 O tu che leggi, udirai nuovo ludo.
103. srerre: welll; 11 numero dotermi-
tate por l'indoterminato, « Vult dicoro
ticito, pro nno hispano baratario sunt
septom tusci et lombardi, et ita de aliis
italicia ; » Ben,
104. vso: | più eredono che Ciampolo
parli sal serio, e cho veramente, gunndo
alenno di questi sommorsi nella pece mot-
tendo faori il muso si accorge che non vi
tono demoni lì vicino, avverta gli altri
con nn fischio, affinchè possano
tiscire anch' essi a prondero wn po' di sol-
lievo, Non sembra che tale amordel pros-
‘ime abbia Inogo nel lasso inferno. V'iut-
torto Ciampolo dico qui nua monzogna
per ingannare i diavoli e liborarsi dalle
100, LAGCIUOLI: astuzie, frodi,
110. MALIZIOSO: Ja voco malizioso ha
senso, aatuto è malvagio, Cagnaz-
on ha detto malizia per astuzia ; Ciampolo
te pi ira at tezza, mal-
va eri : « È vero, sono troppo
on bl t=malvagio), quando per dare
‘paseo n voi mi faccio traditore de' miei
ai di pena. »
ILL. mAGGIORI: che non hanno laggit
tolto la pegola. Al. A MIA MAGGIOR TRI-
eva, contro la regola: Solatitem et mi-
writ socion habere parnarum, Del rosto
l'A mira dei codd. fior. va letto a' mia,
fl che non vuol dire nè più nà meno che
@' miei, - TRISTIZIA : tormento,
112. TENNE: non resse alla tentazione
li vedor venire fuori allri per nvero la
glojn foroco di tormontarli, — m mxror-
ro: oppostamente agli altri dinvoli che
non volevano dare ascolto alle parole di
Ciampolo, Cfr. Enciel., 1078 0 sog.
116. baTTERÒ: so tu ti getti giù nella
poco io non ti verrò dietro correndo, ma
volando, onde ti raggiungerò senza fallo
prima cho tu sin taffato, Donque non
proenrar di fuggire, ché nulla ti giova.
119,16 COLE: la sommità dell' argine.
Al: iL coLLo, che vuol dire lo stesso,
Parlando a' suoi degni compagni, diavol
Alichino dice: Abbandoniamo la som-
mità dell'argino 0 scondiamo alquanto
dall'altra parto, sì cho la ripa ci na-
soonda ni chiamati dal Navarreso,- « Sop-
ponete Il Jago di peco starsi in mezzo alla
bolgia, di modo che rimangano due lar-
ghi margini di qua e di là al passaggio
do’ diavoli cho vi girano, Supponete ch'al
dne lati s'alzino duo alti orli di pietra,
affinchè la peco rimanga in mezzo; la
sommità di ciasoun rilievo chiamatela
collo, e il pendio chiamatelo ripa ; subito
allora comprendorete che vnol dire: La-
scist il collo, e la ripa ci ria di ecudo,
sì che chi sorge dal lago non veda noi
che ci noquattiamo al pendio estorno ; »
toss, Lo stesso ripeto fl Tomm.
117, A VEDER: per vedere se tu vali
più di noi altri © nelle astozie © nella
volocità.
118, Lupo: lat. Iudus, scherzo, giuoco,
218 [CERC. 8. BOLG. 5] Inv. xxtr. 119-186
[DIAVOLI INGANNAT1)}
Ciascun dall’altra costa gli occhi volse;
Quel prima che a ciò fare era più orudo.
121 Lo Navarrese ben suo tempo colse,
Fermò le piante a terra, e in un punto
Saltò, e dal proposto lor si sciolse.
1% Di che ciascun di colpa fu companto,
Ma quei più, che cagion fu del difetto;
Però si mosse e gridò: « Ta se’ giunto!»
127 Ma poco i valse; ché l'ale al sospetto
Non potero avanzar. Quegli andò sotto;
E quei drizzò, volando suso, il petto.
130 Non altrimenti l’anitra di botto,
Quando il falcon s’appressa, giù s’ attuffa,
Ed ei ritorna su crucciato e rotto.
133 Irato Calcabrina della buffa,
Volando dietro gli tenne, invaghito
Che quei campasse, per aver la zuffa.
136 E come il barattier fu disparito,
119. VOLSE: per ritirarsi e nascondersi.
A vrebbero anche potuto muoversi a mo'
del gambero, ma pare che non ci abbiano
pensato.
120. QUaL: Cagnazszo, cfr. v. 106 e seg.
- CRUDO: restìo, ritroso.
123. rROVOSTO : proposito, disegno che
{ diavoli avevano di farne strazio. Al.: dal
loro gran proposto, v. 94, cioò da Barba-
riccia. Ma questi si era senza dubbio ri-
tirato cogli altri demoni. — 6I SCIOLBK: ai
liberò. Al. SI TOLSE, che vale lo stesso.
124. DI COLPA: ciascuno si accusò col-
pevole di averlo lasciato scappare. Al.
DI COLPO == ciascuno fu compreso da su-
bito dolore. Cfr. Z. F., 138.
125. quar: Alichino, v.112eseg.-rid:
fa più compunto. - DIFETTO: mauca- |
mento, fallo. Alichino fu cagione che i
demoni avesacro oramai difetto, cioò man-
canza di una vittima da lacerare.
126. at MOSSE: volando; egli primo, co-
me fu il primo a ritirarsi. - GHILÒ: trop-
po presto. - GIUNTO: raggiunto.
127. 1 VALSK: gli giovò. Al. Ma roco
VALSK. - SO6rKTTO: paura. La paura rese
Ciampolo più veloce che non Alichino il
suo volare. « Pedibus timor addidit alas;»
Virg. Aen. VIII, 224.
129. QuRI: Alichino volse il petto al-
l'insh, volando verso l'argine.
180. DI BOTTO: di colpo, in un subito.
Paragona Ciampolo all'anitra che ata
nuotando e vagando a fior d’acqua, Ali-
chino al falcone.
132. KI: il falcone. - ROTTO: scornato e
perciò di mal talento. Al.: stanco, spoe-
sato. Per una piccola volata?! « Quam
facile accipiter saxo sacer alea ab alto
Consequitur pinnis sublimem in nube
columbam ; » Virg. Aen. XI, 721 © seg.
Cfr. Inf. XVII, 127 © seg.
V. 183-151. Zuffa dei demoni. Calca-
brina vola dietro ad Alichino per azzaf-
farsi secolui; vengono alle mani e cadono
ambedue nella pece bollente. Appena ca-
duti si lasciano andare, e ciascun pro-
cura di rivolare in suso, ma non ponno,
avendosi invischiate le ali nella pegola.
Gli altri demoni vanno giù a procurar
di liberaro co’ loro uncini i compagni.
Comica diabolica, degna del luogo e dei
personaggi.
183. 1gaTO: contro Alichino. - BUFFA:
baruffa. Ai.: burla, gioco; cfr. Maz.-Tos.
Voci e passi, 36, 37. Cuverni, 80 e seg.
135. Quki: Ciampolo. - AVER: con Ali-
chino. «I malvagi si volgono l'uno con-
tro l'altro, quando non hanno più deboli
da danneggiare; > Tom.
136. COME: non appena Clampolo fu
sotto la pogola.
[CERC. 8. ROLG. 5]
INF. XX11. 187-151 [ZUFFA DEI DEMONI] 219
Così volse gli artigli al suo compagno,
E fu con lui sovra il fosso ghermito.
139 Ma l'altro fu bene sparvier grifagno
Ad artigliar ben lui, ed ambedue
Cadder nel mezzo del bollente stagno.
a2 Lo caldo sghermitor subito fue:
Ma però di levarsi era niente,
Si aveano inviscate l’ale sue.
145 Barbariccia con gli altri suoi dolente
Quattro ne fe’ volar dall'altra costa
Con tutti i raffi, ed assai prestamente
148 Di qua di là discesero alla posta;
Porser gli uncini verso gl'impaniati,
Ch’ eran già cotti dentro dalla crosta:
161 E noi lasciammo lor cosi impacciati.
137. così: tosto Caleabrina volae le
griffe ad Alichino.
128. FU.... OURKMITO: fu nggraffato con
lol sopra il fosso; o tatti e duo si axenf-
farono. Fu ghermito, come fu nato, e si-
mili; efr. Nannue. Verbi, p. 163.
139. n'anrro: Alichino. - nrsE: vera-
monto, — ampango: ntto nl afforrare.
eChiamano sparriere nidiace, quando
pioclolino & preso nel nido, cho ancora
non può volare, Et ramingo, quando co-
mincia n volare, of sta so i rami. Kt gri-
Jagno, pol cho è matato In selva, et que-
ni niltimi, benehd con più diflicoltà ai
toncino, nondimeno sono più animosi
allo necellare; » Land. Così pure Benv.,
Gelli, eco.
140, ARTIALAAn: promler cogli artigli.
142. samOne: verbale dn sagher-
mire, cho è il contrario di ghermire, v.
138, donque partitore della rissa, sepa-
ratore «della zuffa, Senso: Il caldo della
pece aphermi, separò anbito que’ due dia-
voll che n'oramo ghermiti. AI, scmmnmi-
Ton; Sehermitore è chi fa o insevna l'arte
della sehierma, ed Il caldo nd schermi
que’ doo dinvoli, nd insegnò loro la schor-
ma. Cir. Moonr, Orit,, 233 © seg.
_
143, NIFNTE: vano era ogni loro sforzo
di levarsi o volar suso.
144. suR: loro, come Inf. X, 19, Conv.
I, 5. Purg. VIII, 27, ecc.
145. ALTRI: setto diavoli, spettatori
(ella zuffa. - DOLKKTE: forse pin della
fuga del Navarrese, che della sventura
dei sompagni.
146, QUATTRO: de’ anol altri netto, ni
quali ordina di volare all'altra ripa della
bolgia, mentre egli cogli altri tre rimane
di qua.
147, CON TUTTI:
mnceini.
148, ALLA POSTA: al posto assegnato
a ciascuno,
140. IMPANIATI:
pogola.
150. CROSTA : pelle; erano già cotti non
solo allnsnperficie, ma entro, Invecei più:
dentro dalla crosia cho faceva la densa
pece, Chela pece facease una crosta Dante
non dice; dalla ana descrizione sembra in-
vece risultare che la erosta non esisteva,
giacchè In peco bolliva continuamente.
151. imvacciati: imbarazzati, gli nni
procorando di liberare sò stessi, gli altri
i compagni,
armati tutti de’ loro
impiastricciati nella
220 [ORRC. 8. BOLO. 6]
Imp. XX. 1-4
[FUGA DEI POETI]
CANTO VENTESIMOTERZO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA SESTA : IPOCRITI
(Oppreasi da pesanti cappe di piombo, dorate all'esterno)
FRATI GODENTI, CAIFASSO, FRA CATALANO
Taciti, soli e senza compagnia
N’andavam, l’un dinanzi e l’altro dopo,
Come frati minor’ vanno per via.
4 Volto ora in su la favola d’Isopo
V. 1-67. Fuga del Poeti. Mentro i
diavoli sono intenti ai loro due compagni
invescati nella pece, Dante e Virgilio si
allontanano da easi e continuano a cam-
minare su per l'argino. Dante, tutto pau-
roso, proga Virgilio cho trovi modo di
sottrarsi ai demoni o Virgilio lo prende
© sicala supino por la pondento ripa già
nella sesta bolgia. Vi suono appena giunti
che { diavoli arrivano a quel punto del-
l'argine dove si sono calati, ina, non es-
sendo concesso ai domoni di abbandonare
il loro posto, restano scornati ed i Poeti
sono salvi.
1. TACITI: ambedue essendo assorti in
gravi pensieri. - SOLI: i demoni sono ri-
masti indietro, dannati non se ne vedono.
- COMPAGNIA : dei dieci diavoli. « Dante
per far vedere clie non eran più con quei
maligni pei quali gridò: ahi fiera compa-
gnia!non contento di dir soli, vi aggiun-
go senza compagnia; >» Ioss. - Alla co-
mica infernale del precedente canto negue
subitola soleunescrietà colla quale Dante
e Virgilio continuano fl loro cammino su
per lo acoglio che divide la quinta dalla
sesta bolgia.
2. L'UN DINANZI: come sogliono an-
dare, Virgilio primo o Dante secondo;
ofc. Inf. 1, 1306; II, 189; IV, 15; X, 3;
XI, 112; XIV, 140; XV, 97 eseg.; XVI,
91; XVIII, 21, ecc.
8. COMK: così raccolti e a capo chino.
Al.: « È usanza de’ Frati minori.... an-
dare l'uno innanzi, quello di più auto-
rità, l'altro diriotro et soguitarlo; » An.
Fior. - « Il qualo costumo of dovevano
avere in quel tempi, perchè oggi usono
eglino di aniaro al pari; > Gelli.
4. p'Isoro: la favola non è di Esopo,
ma passava per tale in quei tempi. Buti
e Benv. affermano che si leggeva «in un
libello che si legge a' fanciulli che impa-
rano Grammatica. » La favola è questa:
«Quando colloquebantur animalia bruta,
Inus rana amicus factus ad conam eam
invitavit, et abducta in penarium divitis
ubi multa comestibilia erant, comede, in-
quit, amica rana. l’ust epulationem et
rana murem in suam invitavit cenatio-
nem; sed ne defatigare, inquit, natando,
flo tenuituum pedem ineo alligabo. Atque
hoc facto saltavit in paludem. Kam au-
tem minata in profondum, mus suffoca-
batur, et moriens ait: ego quidem per te
snorior, sed me vindicabit major, Super-
natante igitur mure in palude mortuo,
devolans aquila hunc arripuit, cum eo
autem) appensam una ctiam ranam, et
sic ambos devoravit. » Questa favola si
[CERC. 8. NOLO. 6]
INF, xxui. 5-25
[FUGA DEI POETI] 221
Lo mio pensier per la presente rissa,
Dov’ ei parlò della rana e del topo:
7 Ché più non si pareggia mo ed issa,
Che l’un con l’altro fa, se ben s’accoppia
Principio e fine con la mente fissa,
10 E come |’ un pensier dell'altro scoppia,
Così nacque di quello un altro poi,
Che la prima paura mi fe’ doppia.
13 lo pensava così: « Questi per noi
Sono scherniti, e con danno e con beffa
Si fatta, ch’ assai credo che lor néj.
10 So l'ira sovra il mal voler s’aggueffa,
Ei ne verranno dietro più crudeli
Che il cane a quella levre ch’ egli acceffa. »
19 Già mi sentia tutti arricciar li peli
Della paura, e stava indietro intento,
Quando io dissi: « Maestro, se non celi
2 Te e me tostamente, i' ho pavento
Di Malebranche. Noi gli avem gia dietro:
Io gl’ immagino si che già gli sento, »
oh E quei: « S'io fossi d'impiombato vetro,
legge nella Vita di Esopo, ilettata dal
monaco Massimo Plamule che visse n
Costantinopoli nol sec, XIV. Una favola
consimilo, Mus et rana, al trova tra quelle
ili Fedro, e forse Dante accenna a questa.
È, PRESERXTR: « non vuol già dire la
risa poc'anzi veduta, ma bensi quella
ch'era presente al suo nnimo, mentre
tacito ivi pensava; » loss. ()) — RISSA:
del diavoli; cfr, Inf. XXII, 133 © seg.
7. PAREGGIA: rassomiglia.- MO: adeaso ;
troncamento di modo. - 188A: ndesso;
en popolare dell'uso, dal Int, hac ipsa
8.W'ACCOPPIA : si confronta il caso della
tana a del topo con quello di Alichino e
Calcabrina.
®. ruxcirto: la rana macchind contro
Il topo, come Calcabrina contro Alichino.
-FINE: rana 6 prior preda del nibbio, Cal-
enbrina ed Alichino preda della pogola. -
PIMA: wttenta.
he gle vien fuori, nasce. Un pen-
un altro,
queLLo: dal pensiero alla favola ed
Weed dei due diavoli.
13. rama : oft. Inf. XX1,127-182. « Pen-
sa Dante anna cosa panrosa nvvennta, è
corre col pensiero ml altra, paurosa non
meno, che potera avvenire; » L. Vent,
13. ren Nor: per cagion nostra, avendo
aspettato che fosse appagata la nostra
enriosità. Al. intendono da noi; ma Dante
e Virgilio non pensarono di schernire i
diavoli.
15. x0J: rechi noia, offenda; da noiare.
16. 8 AGGUEFFA: si aggiunge; cfr. Inf.
XXXI, 56. Purg. V, 112. = « Aggueffare
è filo n filo aggiugnere, come si fa po-
nende lo filo dal gomito alla mano, o in-
naspando con l'aspo; » Nuti. Senso:
Se alla naturalo malignità dei demoni si
aggiunge l'ira di essere stati gabbati è
dannegginti per cansa nostra.
18. ACCEFFA: afferra col ceffo © coi
denti; abbocca,
19, rutti: Al. TUTTO,
20, INTENTO: attonto so mai quel dia-
voli ci corresanro iliotro,
22. l'AVENTO: paura, spavonto, Al, 10
Pavaxto = jo tomo,
25. D'IMVIOMBATO VETHO: Hino spec-
chio, che è « votro terminato con piom-
bo, » Conv. III, 0. S'io fossi uno specchio
222 (CERC. 8. BOLG. 6] Inv. xxu3. 26-44
[FUGA DEI PORTI]
L’ imagine di fuor tua non trarrei
Più tosto a me, che quella dentro impetro.
28 Pur mo venian li tuoi pensier tra i miei
Con simile atto e con simile faccia
Sì che d’ entrambi un sol consiglio fei.
81 8’ egli è che si la destra costa giaccia,
Che noi possiam nell’ altra bolgia scendere,
Noi fuggirem l’immaginata caccia. »
84 Già non compié di tal consiglio rendere,
Ch’ io gli vidi venir con l’ali tese, ,
Non molto lungi, per volerne prendere.
87 Lo duca mio di subito mi prese
Come la madre che al romore 4 desta
E vede presso a sé le fiamme accese,
40 Che prende il figlio e fagge e non s’ arresta,
Avendo più di lui che di sé cura,
Tanto che solo una camicia vesta.
43 E giù dal colle della ripa dura
Supin si diede alla pendente roccia
non riceverei l'immagine tua esteriore
più presto di quello che io ritragga ed
imprima nell'animo mio l'immagine del-
l'animo tuo. « Quomodo in aquis resplen-
dent valtus prospiciontum, sic corda ho-
minum manifesta sunt prudentibus; »
Prov. XXVII, 19.
26. TRAUKKI: riflessa.
27. IMPETRO: < attraggo e stampo in
me quasi in pictra; » Br. J. S' fo fossi
uno specchio non ritrarrei nel 1uio om-
bratile corpo la tua immagine esterna
più tosto di queliu che nella mia mente
imprimo la tua interna immagino, cioè
i tuoi pensieri.
28. PUK MO: in questo stesso momento.
Io andava per l'appunto pensando quello
steseo che tu pensi e mi dici.
29. ATTO: di paura, temendo come ta.
= FACCIA: eeseniio del tuo avviso, ciod di
celarci ambedue tostamente.
80. D'ENTRANBI: i tuoi pensieri com-
binandosi perfettamente coi miei, si sono
tatti risoluti in una medesima determi-
nazione, cioè di fuggire.
B1.8'EGLI È:86 6 vero.- GIACCIA : penda
sì che possiamo sdrucciolare giuso; cfr.
Inf. XIX, 35.
83. CAOCIA: la caccia che ambedue im-
maginiamo e temiamo non siano per darci
i diavoli. « Kt disse caccia por aver detto
di sopra Cane et Lepre; » Dan.
84. GIÀ: nonaveva ancora finito di ma-
nifestarmi questo suo consiglio.
85. GLI: i demoni Malebranche. - TESR:
correndo e volando come lo struzzo.
86. LUKGI: da noi. - PRENDKRR: come i
Pooti temevano. Il loru timore era dun-
que pur troppo fondato.
38. COMK La MADLK: Virgilio wi prese
e fuggì meco come quella madre che,
scossa dal rumore e destatasi si vede vi-
cino le fiamme di an incendio e prende il
figliuoletto tra le braccia e, avendo cura
più di lui che del proprio pudore, sen
fugge via con esso senza indugiare nep-
pur tanto tempo che basti a mettersi
indosso il vestimento. - AI. KOMOKRK: dal
crepitar delle fiumme o dalle grida della
goute. Al. A ROMORE.
40. PRENDE: cfr. Virg. den. XT, 644 600g.
48. COLLE: Al. COLLO: cfr. Inf. XXII,
116 nt. Intende della sommità dell’ ar-
gine, dura, perchè di pietra.
44. SI DIEDE: locuzione latina e Virgi-
liana, dat sese; cfr. Virg. Aen. XI, 565;
XII, 227, eco. Virgilio < si adattò con
tutta la deretana parte del corpo, alla
pendente roccia, rupe (ofr. Inf. VII, 6),
per scendero sdrucciolando a quel modo
[CERC. 8. BOLO. 6)
InP. XXI. 45-57
[FUGA DEI POETI) 223
Che l'un dei lati all'altra bolgia tura.
“ Non corse mai sì tosto acqua per doccia
A volger rota di molin terragno,
Quand’ ella più verso le pale approccia,
49 Come il maestro mio per quel vivagno,
Portandosene me sovra il suo petto
Come suo figlio, non come compagno.
52 Appena far li piè suoi giunti al letto
Del fondo giù, ch’ ei furono in sul colle
Sovresso noi; ma non gli era sospetto ;
55 Ché l'alta provvidenza che lor volle
Porre ministri della fossa quinta,
Poder di partirs’ indi a tutti tolle.
nel fondo, portando me sopra il petto; »
Lomb
45. L'UN:ilamperiore. ~ ALTRA: nesta. -
Tura: chindo, Beno.: cn' è L'UN oR LATI
ALL'ALTRA BOLGIATURA, notando che « bol-
gia et bolgiatura idem est. » Potrebbe for-
so aver ragione.
46. boocra : canale; efr. Inf. XIV, 117.
47, MOLIN TERRAGNO: colin doccia al di
topra sd ona piccola ruota sotto, pinn-
tato sulla piann terra o messo in moto
dalle acque che cadono dall'alto, a diffe
renza del così detto mulino francesco,
the ha la rnota grande e dda lato, e quindi
la gora in fondo.
48, arproccIA: si avvicina; cfr. Inf.
XU, 46, - Per la pendenza la velocità
dell’ acqua cresco n misura che easa si
avvicina alle palo della ruota.
49, vivaorxo: orlo o ripa della sesta bol-
gia. « Vivagno è propriamente la estre-
mith o cimosa della tela; similmente le
son le cimose della bolgia, e però
qui vivagno; » Barg. Cfr. Inf. XIV,
ta Pe DIV, 127. Par. IX, 195.
KONCOME: Al. kKNONCOME: « Bocins
in tali timore non jJnvat nocium in
ee verbis.... Vel si juvat eom non
lernt ipsum supra se nec com tanta af-
footiane; » env,
N, roxpo: delin sesta bolgin. - er: |
= SUL COLLE: sulla sommità del-
- ‘te aus Qui la lez. conne è indiscuti-
s'ha da leggor coLLn © non
v. 43 è Inf. XXII, 116.
| 54. sovRESSO: per l'appunto sopra noi.
logge addirittura: xox vi era. Alcuni in-
tendono: Non ora a Virgilio più sospetto
ecagion di tema, Il Betti: « Non era loro
verun sospetto, » interpretazione più
oscura del verso da interpretarsi.
67. PopER: potere, facoltà. - 1xDI: dal-
l'argine che separa In quinta dalla sesta
bolgia. - TOLLE: toglie, vieta; dal lat.
tollere, Ln divina provvidenza, che poso
quei dinvoli n guardia della quinta bol-
gia, non permette loro di lasciare il pro-
prio posto.
V. 58-72. Pena degli ipocriti. Lag-
giù nella sesta bolgia sono gl'ipooriti,
gente dipinta, che vanno attorno lenti
lenti e tristamente piangendo, oppressi
ila pesantissime cappe e cappucci di piom-
bo, al di fuori dorato, Pittura stupenda
ddell'ipocrisin. 11 passo lento o misnrato,
n enpo chino, è appunto quello degl'ipo-
criti; onde «i vedono qui costretti ad an-
dare come amarono di andare nel mondo,
L'indoratora di fuori è l'apparenza di
virti oe santità; il piombo, il vizio che col-
tivano al di dentro; il peso enorme è la
gran fatica che hanno a conservarsi l'ap-
parenza di virtl, di pietà e di religiosità,
mentre appunto questa genin suo] essere
più avida che non altra gento dei godi-
monti porenminori dol mondo, Tl quadro
rammenta quello cho Cristo fa dei Fn-
risol; 8. Matt. XX111,27 0 nog.: « Similoa
catia sepolchria dealbatia, qu aforia pa-
rent hominibns speciosa, intus vero plena
sunt ossibus mortuorum et omni spur-
citia. Sic et vos aforia quidem paretis
hominibus insti, intus autem pleni estis
hypocrisi et iniquitate. »
224 [CERC. 8. noLo,. 6) Inv. xxii. 58-69
[PENA DEGLI IPOCRITI]
68 Laggiù trovammo una gente dipinta
Che giva intorno assai con lenti passi
Piangendo, e nel sembiante stanca e vinta.
61 Egli avean cappe con cappucci bassi
Dinanzi agli occhi, fatte della taglia
Che per gli monaci in Cologna fassi.
C4 Di fuor
Ma de
Che }
07 Oh, ind
Noi e.
l'on ]
58. WItinta: dal vlar
como usavano in quei
non pare le donne, ma
cfr. Par. XV, 114. Al
pinti. Ma gli abiti mi
erano dorati.
00. PIANGENDO: amando di atralonar
gli occhi è mostrarsi piaguolenti. « Hy-
pocritio tristes exterminant facios suas
ut pareant hominibus; » S. Matt. VI, 16.
- STANCA: per il grave peso che sono co-
stretti a portare in eterno, ctr. v. 67. -
VINTA: per l'angoscia interna; cfr. Inf.
III, 33.
61. EGLI: eglino. - Hassi: tirati sugli
occhi.
62. TAGLIA: taglio, foggia; dal Jat. ta-
lea, onde nel medio evo si disse taleare
por abecindere.
63. CoLogna: città d'Alemagna sul
Rono. Così tutti quanti gli antichi senza
eccezione. ‘Tra’ moderni chi pensa a Co-
logna sul Veronese, e chi logge CLUGNI,
che sarebbe la rinomata abbazia dei Re-
nedettini nella Borgogna. Cfr. Coin. Lips.
I, 254 e seg. « A Cologna è una Badia di
monaci molto ricchi e nobili. E montaro
in tanta superbia, che il loro Abato con
buona compagnia di monaci furono al
Papa, è chiesono di potere portare di
scarlatto i cappucci orati; e '] Concistoro
de’ Cardinali col Papa, vedendo questa
arroganza, comandaro cho portassero
sempre cappe di pauno non gualcato,
vilissimo, albagio, 6 sì corti, che non
toccassono terra. I tanto panno por uno
in cappuccio, quanto coprisso il capo di
quello medesimo panno. E così fu loro
fatto por la lore ipocrosiu; » An. Sel. Su
por giù lo stesso raccontano pure Lan.,
ibbaglia;
gravi tanto
paglia.
pa man manca
tristo pianto:
è. Flor., coc. Inveco l'Ott.: « ice
o della taglia delle cappe cho ai
1 Cologna per li monaci, le quali
tissimo di larghezza e di Inn-
o quasi nel cappuocio ha una
adj questo fanno per onestade, »
ual, Hnciel., 308 0 seg.
Gi, nowt: l'oro della parte esterivre.
Al. il colore dell'oro. Al. vogliono cho egli
sia qui impersonalo. Al. l'essere dorato. .
66. CHK FRDKRICO: in paragone di que-
ate, le cappe che Federico II imperatore
metteva agl'incolpati di lesa maestà sa-
rebbero parse leggiere come di paglia.
Di Federico II: « Faciebat fieri unam
tunicam ex plumbo grossiori quasi anius
unci:e, qua faclebat illum indui, ita quod
ad modum capp® tegebat totum corpus
a capite usquo ad pedos; deinde facivbat
ipsum poni in unum vas, sicut in calda-
riam, et ignom subiici, ita quod calor li-
quofaciebat plumbum, et homo fondebu-
tur simul cum plumbo, carne frustatim
cadente ; » env. Circa lo stesso, con qual-
che variazione, raccontano An. Sel., Zac.
Dant., Lan., Ott., Petr. Dant., Case.,
Falso Bocc., Buti, An. Fior., Serrav., eco.
Sembra però non essere questa che una
calunnia inventata dai nemici dell'Im-
perature. Cfr. Vico, D. e la Sicilia, Pa-
lermo, 1870, p. 19 e seg. La concordia dei
commentatori antichi potrebbe sembrare
prova cho il fatto ora generalmente cre-
duto; ma lo non poche variazioni mo-
strano, che lo si raccontava in diverse
maniero, ondo il fatto stesso ridiventa
alquanto dubbio.
68. ANCOR PUKE: anche questa volta,
como al solito.
69. INSIEME: nella 1inedesima dirozione
(CERC. 8. BOLO. 6)
INF. Xx111. 70-82
[FRATI GODENTI] 225
70 Ma per lo peso quella gente stanca
Venia si pian, che noi eravam nuovi
Di compagnia ad ogni mover d’anca,
73 Perch’ io al duca mio: « Fa’ che tu trovi
Alcun che al fatto o al nome si conosca,
E gli occhi sì andando intorno movi. »
76 Ed un che intese la parola tosca,
Diretro a noi gridò: « Tenete i piedi,
Voi che correte sì per l'aura fosca.
79 Forse che avrai da me quel che tu chiedi. »
Onde il duca si volse e disse: « Aspetta,
E poi secondo il suo passo procedi. »
82 Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta
che nndavano gli Aypoerite tristes, come
Cristo li chiama, S. Matt. VI, 10.
TI. NUOVI: ad ogni passo ci vedevamo
a lato eae ote ir poichè gli ipocriti
dere un vivo laggiù © chiedono n Dante
ur Dato loro conto di sò, chiede
di loro, i quali si nominano. Sono Cata-
lano de' Malavolti a Loderingo di Lian-
dolo, Bolognesi, il primo guelfo, l'altro
ghibellino, eletti nel 1266 per podestà di
Firenze. « Isti duo fnerunt fratres ganden-
tee de magnia domibua civitati Bononim
viri utique magne scientie ed industrie
quibus atributa fuit potestas pacificaro
2 vol, Ven., 1787, MANNI, Oseerva-
Bioni sopra é sigilli. Fir.,1746, XVII,9-38.
15, — Div. Comm., 3° odiz.
74. AL FATTO: di coni sia noto il nomo
o qualche nzione famosa. Al. Al, FATTO
IL NOME, Cir. Z. F., 138 e seg. Così leg-
gendo il senso sarebbe: « Fa' che tu trovi
alcono, il nome del quale sia conosciuto
per qualche opera famosa fatta da lui. »
E potrebbe stare, se la lezione fosse me-
no sprovvista di antorita.
76. a) ANDANDO: montre prosoguiamo
il nostro cammino come facciamo ndesso,
Al. e L'ocento, st rx ANDANDO. Cfr. Inf,
XXVII, 129, Virg. Eelog. IX, 24.
70. PAROLA TOSCA : fl parlare, o l'ao-
conto toscano di Dante, Tosca per Tosca-
na, como Inf. X, 22; XXII, 99, ecc,
77. TENKTK: fermatevi, non correte
tanto.
78. CORRETR: cfr, v. 71 6 ség. Gli ipo-
criti andavano «) lentamente, che ad essi,
avvezzi a vedere nasai lenti moti, pareva
che Dante e Virgilio corressero veloci. —
FOSCA: senza tempo tinta, come la chia-
ma altrove, Inf. ITI, 29.
70. AVKAT: volge la parola nl solo Dan-
to, perché ci solo avova esternato il desi-
derio cho gli fossero mostrate persone di
fama.
20. si VOLSE: perchè andava dinanzi, -
ABPRETTA: férmati; 0 poi, quando colui
che ha parlato ti sarà giunto al fianco,
cammina secolui a pari passo,
BÌ, BECONDO TI, BUO PABBO: con pnaao
pari al suo,
82. mostRAR: attegginre il sembiante
in modo da rivelaro il desiderio intenso
di raggiongermi. Cfr. Petrarca, In Vita,
Son, 186 (107): « Ma spesso nella fronte
il cor si logge. »
226 [CERC. s. BOLG.6) InP. xx. 83-99
[FRATI GODENTI]
Dell’ animo, col viso, d'esser meco;
Ma tardavagli il carco e la via stretta.
85 Quando far giunti, assai con l'occhio bieco
Mi rimiraron senza far parola;
Poi si volsero in sé, e dicean seco:
88 Costui par vivo all'atto della gola;
Es privilegio
Vai a stola? »
ol Poi dl 16 al collegio
De ato,
Dit dispregio. »
dI Ed io cresciuto
Sov alla gran villa,
E s mpre avuto,
07 Ma ve distilla
(Qui per le guance,
E o. sfavilla? »
83. DELL'ANIMO, COL VISO: cosh i più;
sullo divorse altre lez. cfr. Moonk, Orit.,
336 e seg. - COL VISU: «cum apparentia
facioi; » Benv. - « Che altrimenti non la
poteano mostrare, che non poteano uscire
dal passo conceduto loro;» Buti.
84. STRETTA : porchd larghe le cappe e
grande la moltitudine dog!’ ipocriti. «Ma
se la cosa è così, come Virgilio e Dante
caminavano senza ricevor impedimento
dalla via atrettaf » Cast. Non è dotto in
verun luogo che non ne ricovossero im-
pedimeuto od inoltre Dante o Virgilio
non avevuno quelle tali cappe.
85. WIKCU: storto, come sogliono guar-
dare gli ipocriti ed inoltre fors'anche
dolenti ed invidiosi vedendo chi va souzn
cappa per la loro bolgia. Al.: « Perchd
i cappucci abbassati impedivano loro di
guardare dirittamento. » E più ancora
di guardare stortameute.
87. IN 8É: l'uno verso l'altro. Al. IN-
SIKMK, cioè ad un tempo; cfr. Z. F., 139.
88. ALL'ATTO: al moto della gola pro-
dotto dalla respirazione; cfr. Purg. II,
67 o seg. Al.: Aldoglutiro, atto della vita
organica(i). « Et allegorico quia autor
non erat wortuus in isto vitio, nec lo-
quebatur ad modum hypocritie, imo au-
dacter, ita quod s:cpe in vita fuit repu-
tatus nimis rigidus; » Benv.
90. STOLA : cappa di piombo. Stola per
veste in geuerale, dissero sovonte gli
antichi; cfr. Voc. Or. Qui la voco 6 por
avventura scelta con intenzione, volendo
alludere all’abito fratesco.
91. mk: a me. Al. DISSERMI: Al. MI
pissrit. Nel codd. disserme. - COLLEGIO :
adunanza, luogo dove sono raccolti (col-
lecti) gli ipocriti.
93. NON AVKK: non disdeguaro di dirci
chi tu sei. Al. DI' CHI "TU BE’; NON N'AVE-
RK IN DI8SURKGIO. Dante rispondo soltanto
di osser Fiorentino e vivo; quindi invece
di dire chi egli è dumanda loro chi essi
SONO.
04. FUI NATO: ¢ nol dolcissimo seno di
Fiorenza fui nato e uudrito fino al colmo
di mia vita; » Cono. I, 3.
95. VILLA: città; grande perchè la mag-
gioro delle città sull'Arno.
98. boLOR: lagrime. Andavano pian-
geudo.
99. CIE PENA: anclio ammesso che o’ ai
fosse già accorto, che le cappe erano di
piombo, non poteva ancora saper nulla
dell'enorme poso dello medesime. Ma
probabilinente nou si ora ancora accorto
della natura di quello cappo, come sem-
bra risultare dai presenti versi. Ridicolo
è l'opporro Î versi G4 e seg. nei quali le
cappe si descrivono; quei versi Dante non
gliscrisse nella sosta bolgia. Raccontando
la cosa, era naturale che facesse suo pro
dello coguizioni acquistate non a prima
vista, ma pur dopo. - SFAVILLA: «ei mo-
[cERC. 8. BOLO. 6]
InF, xxiut. 100-108
[FRATI GODENTI) 227
100 E I’ un rispose a me: « Le cappe rance
Son di piombo, si grosse, che li pesi
Fan così cigolar le lor bilance.
103 Frati Godenti fummo, e Bolognesi,
Io Catalano e questi Loderingo
Nomati, e da tua terra insieme presi,
106 Come suole esser tolto un uom solingo,
Per conservar sua pace, e fummo tali
Che ancor si pare intorno dal Gardingo. »
stra per gli occhi afavillanti e le facce
; * Buti, — «Cho si fa vedore cotan-
to;s Lomb. - «Che manda tante faville,
tanta luce; » Greg. — « Si riforisconi v. 64
In che, parlandosi delle cappe di costoro,
ri dico: Di fuor dorate aon sì, ch’ egti ab-
baglia. Pare che lo indichi ancora la ri-
sposta, che fa qui Catalano, quasi voglia
dire, che le cappe sono fuori afavillanti
d'oro (ranee); ma dentro son di piombo.
E certo dovea Dante maravigliarsi non
poco di vedere per l'inferno tutto quel-
l'oro; » Betti.
100. nance: di color d'arancio, esson-
do di fuor dorate, +, 04,
101. reat: «ageunglia qnost) poocatori
alle Rilance, et i pesi, | nali si adoprono
dli contro a qualche merco che si pesa,
alle cappe di piombo. » Buonannt,
102, CIOOLARR: gemere, sospirare i poc-
citori che portano tali pesi.
103, rratt cODENTI: cavalieri dell'or-
dine di Santa Maria, istituito da Urba-
ho IV in mel 1261 per combnt-
tere contro gl'infedeli ed i violatori
della giustizia. Furono soprannominati
flodenti perchè intendevano più a gn-
dere che ad altro. « Le robe aveano bian-
che e nno mantello bigio, e l'arme il
bianco è la croce vermiglia con
due stelle, e doveano difendere le vedovo
o li, © intramettersi di paci, e al-
ordini, come religiosi, aveano ; » Vill.
VII, 18. Cfr. FrpeRICI, op. cit. Gozza-
Mt, Cron. di Ronzano e mem. di Lo-
deringo d'Andalò frate godente, Bolo-
gua, 1861. Lono Veuwon, Inf. vol. IIL,
Fog pale of ivi In tav. LXVIIT.
LL CataLano: dolla famiglia guotfa
i Matavelti da Bologna, nato verso il
3210; mol 1343 podestà in Milano, nel 1250
nel 1265 eapodel di Bologna, nol
hen sp) tae pon i
mente di quello di Bologna. Mori nel 1285,
- RQuURaTI: Al, R COSTUI. - Lopnnineo:
della fnmiglia ghibellina degli Andalò da
Bologna, nato verso il 1215, fu podostà
in parecchie città dell'Emilia è di To-
scana, collega di Catalano nel governo
di Bologna e di Firenze, fondatore del-
l'Ordine dei frati godenti, morto nel 1293,
Cfr. Reno, 11, 176-78. GozzaDbini, Delle
Torri gentilizie di Bologna e delle Fami-
glie alle quali prima appartennero, Tolo-
gna, 1875, p. 76 è sog.
105. rRRRA +: Firenze, - ras: : eletti ad
nn tempo all'uffizio di podestà,
106. sOLINGO: solo; i Fivrentini sole-
vano eloggero un solo polosth, questa
volta ne slessoro dio. Al. solitario, senza
compagnia, perchè forestiero. Al. riti-
rato dallo strepito de’ partiti. AI. on
frate, nn nomo religioso, Al, um tomo
singolare ed eccellento.
107, conskkvaRr: al podestà dl Firenze
ai davn il titolo di Conservator pacis, ana
cura principale dovendo essere di man-
tenere In pace nella città. - TALI: con-
servatori della pace,
108. S1 TARE: apparo, si vede. - GAR-
DINCO: contrada di Firenze in vicinanzn
del Palazzo Vecchio, dove erano le caso
degli Uberti, che i doo podestà, corrotti
dai Guelfi, fecero ardere © disfare, Cfr.
Vill. I, 38.
V. 100-123, Catfasso ed il suo suo-
cero. La parola cho fl Poeta incomincia
n rivolgere ai frati Godenti, parola di rim-
provero o di duolo, gli muore sulle lab-
bra all'aspetto di tino, che con tre pall
è orocifiaan in terra, su col tatto quanto
Il popolo dove passare è che porta quindi
tutta l'ipnerisia del mondo. È Caifnasn, il
grande ipocrita, che consigliò a' Gindei
l'uccisione di Cristo. Fra Catalano lo no-
mina, aggiungendo cho nello stisso modo
sono puniti In quella bolgia è Anna suo-
228 [cERC. 8. noLo. 6] INF. xxnr. 109-122
(CATFASSO]
109 Io cominciai: « O frati, i vostri maili.... »
Ma più non dissi; ché agli occhi mi corse
Un, crocifisso in terra con tre pali.
11% Quando mi vide, tutto si distorse:
Soffiando nella barba co’ sospiri
E il frate Catalan che a ciò s’accorse,
116 Mi diss
Cons
Porr,
118 Attrave
Comi
Qual
121 E a tal
In qu
coro di Caifnaso e gli
del gran sinedrio gini
100. MALI: si può su)
bene; sono bon moritati,- ppuro, yoca-
dendo mali nel senso di colpe: « furon
causa dolla rovinadella mia patria. » Juli,
Land., ecc. si avvisano cho Dante volesse
esprimere la sua compassione. Nonostan-
to Inf. XX, 27-30?!-Il Cast.: « Non veg-
go che cosa volease dir Dante. I frati
avevano sotto ipocrisia ingaunati i Fio-
rentini cd ucceliati i ghibellini e distrutte
le case intorno del Guardingo, e d'uverlo
fatto sotto ipocrisia qui l'avevano confes-
sato. Adunque Dante, come tiorentiav ed
uoino leale, non può dire che gli rincre-
sca e doglia de’ loro mali; nò sta bene
che dica, cho ne prenda piacero, usando
essi cortesia verso lui. »
110. MI Consx: mi si prosentò; mi
venne veduto.
111. crocirisso : egli ed i suoi degni
colleghi fecero crocifiggere Cristo, qui
nono crocifissi. - TitK: mani, of due piedi
insieme. - VALI: invece de’ chiudi, che nel
terreno non possono fare niuva forza.
112. 81 DISTORSBK: per lo dolore di esser
veduto in tal situazione da un vivente
che poteva riportarno novelle su nel
mondo. Oppure: « perchè vedea Dante
cristiano, salvato per la passione di Cri-
sto, perla quale egli era dannato; » Bugs.
114. 8'acconsk: del motivo per cui
aveva interrotto il parlar seco.
116. CONSIGLIO: « Expedit nobisutunus
moriatur bomo pro populo et non tota
gens poreat; » S. Joh. XI, 50. « Erat au-
iu miri
renia
a’ martiri.
a,
ch’ a’ senta
ia pria.
ita
el concilio
iphas qui consilium dederat Ju-
a expedit unum bomipem mori
alo; (bid. XVIII, 14.
aso. AITLAVKRSATO: posto a traverso,
un intoppo agli altri; « Posuisti ut ter-
rain corpus tuuin, et quasi via transoun-
tibus; » Zsaia LI, 23. - Nuvo: di solito
Dante dice nude le anime, quando vuol
porre in evidenza la miseria di loro con-
dizione. Ma in questo luogo le altre
anime non sono nude. Ognuna la la sua
cappa, soltanto Cailusso ed i suoi colle-
ghi non lianno cappe proprie, ina devono
sentire sonza cessa il peso di tutte quante
le altre.
120. QUALUNQUR: chiunque passa di
qua deve calpestarlo.
121. suocERO: Anna, sommo ponte-
fice; cfr. S. Giov. XVII1,13.-SISTENTA:
6 tormentato.
122. conciILIO: de’ Pontefici e Farisei
cho condannò Cristo; cfr. S. Toh. XT, 47.
Costoro, che dovevano essere i primi ar-
chitetti del tempio spirituale, disprezza.
rono quella piotra destinata ad essero il
capo del cantone (cfr. Psalm. CXVII,
22. S. Matth. XXI, 42. Act. Ap.IV,11.I
Petr. II, 7); © perciò essi medesimi sono
rigottati e disprezzati. S'intopparono «in
lapidom offonsionis et petram scandali »
(ad Rum. IX, 33), © perciò sono qui essi
medesimi un intoppo agli altri. Vollero at-
traversare il progresso della verità; onde
essi medesimi sono qui attraversati nella
via.Fecero spogliare Gesù Cristo delle sue
vestimenta (S. Matt. XXVII,28); e perciò
essi medesimi sono qui spogliati e nudi.
|
L]
[cERC. 8. ROLG. 6]
INF. XXI11, 123-140
[UscITA] 22!)
Che fu per li Giudei mala sementa. »
1% Allor vid'io maravigliar Virgilio
Sopra colui ch’ era disteso in croce
Tanto vilmente nell’ eterno esilio.
127 Poscia drizzò al frate cotal voce:
« Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci
Se alla man destra giace alcuna foce,
120 Onde noi ambedue possiamo uscirci
Senza costringer degli angeli neri
Che vegnan d’esto fondo a dipartirci. »
133 Rispose adunque: « Più che tu non speri
S’appressa un sasso, che dalla gran cerchia
Si move, e varca tutti i vallon’ feri,
126 Salvo che a questo è rotto, e nol coperchia.
Montar potrete su per la ruina,
Che giace in costa, e nel fondo soperchia. »
129 Lo duca stette un poco a testa china,
Poi disse: « Mal contava la bisogna
123, MALA: fl snngno di Cristo ricadde
tn di loro o fruttò la loro rovina; efr.
5, Matt. XX VIT, 25. 8. Luea XI, h0, 51.
V.124-148. Useita dalla sesta bolgia,
Richiestone da Virgilio, Catalano rispon-
de ni due Pooti, sssero lì vicina la ruina
di ooo dei ponti, su per la quale potranno
montare per uscire dalla bolgia degl'ipo-
oriti. Virgilio ai accorge dell'inganno dei
Malebranche
124. MARAVIGLIAR: « ex co quod iste
tam mirabilitor quam ignoranter prophe-
tarit, non intelligens se ipsam ;» Benv. 0
per aver parlato in alcun Inogo an per giù
tome Caifasso, dicendo: « Unum pro mul-
ta dabitur caput; » Aen. V, 8151 0 per
lanovità del supplizio, da Ini l'altra volta
ton veduto? «Omnva, qui viderint te in
Gentibus, obstupescent super te ;» Ezech.
XXVIII, 19.
120. vILMENTR: calpestato da totti
quanti | peccatori della bolgia, - « Ego
autem eum vermis, et non homo; oppro-
briam hominum, et abiectio plebis; »
Peal. XXT,7.18. Padri videro In queste
parole nona profezia di Cristo dinanzi ni
mol giudici. Caifasso è divennto lui in
eterno ciò che volle faro di Cristo. - rst-
Lo: l'inferno, dove le anime sono di-
tencciate in eterno dalla patria celvste;
i ng 18.
i
:
120, bESTRA: vanno a sinialra, v. 68;
hanno dunqne l'argine tra ln sesta o la
sottima bolgia a destra, - voor: varco,
131. costringe: ricordando loro il
voler anpremo. Ma dopo il timore avuto
teat’ degli angeli neri, preferisce di far-
no senta.
133. RIisrosr: Catalano. - ADUNQUE:
allora; lat. ad tune.
134. BASSO: uno di quegli scogli che
ricidono gli argini 6 le bolge. - ceRoma:
che circonda tutto Malebolge, efr. Inf.
XVIII, 3 6 seg. - Sopra questi versi cfr.
Inowisi, Anedd, V, 61 e seg. BLANCO, Ver-
such I, 214-16.
186. A QUESTO: rallon fero. Al. cur
QUESTO; ma era forse il vallone che era
rolto?!-î rotto: il sasso, cioè lo sco-
glio; tutto spezzato al fondo, come l' al-
tro; ofr. Inf. XXI, 106 è seg. - cormu-
cuTA: non vi fa ponte sopra.
138. cue: la qual roina. Al: perchè
esan rulna giace. — IN COSTA: su per la
ripa dell'argine | sassi giacciono rovinati,
n giù nel fondo della bolgia essi formano
un rinizo, quasi scala n salire.
139. CHINA: accorgendosi dell'inganno
fattogii; confr. Inf. XXI, 100 © seg., 125
6 Bog.
140. CONTAVA: raccontava, esponova,
= LA HISOGNA: In cosa,
230 [CERC. 8. B. 6) Inv. xxnt. 141-148 - xxiv. 1-2
[SGOMENTO]
Colui che i peccator’ di là uncina. »
142 E il frate: « Io udi’ già dire a Bologna
Del Diavol vizj assai, tra i quali udi’
Ch’ ogli è bugiardo, e padre di menzogna. »
145 Appresso il duca a gran passi sen gi
Turbato un poco d’ira nel sembianto ;
Ond'ia dacl ineareati mi narti’
148 Dietro
141. coLul: Malae
100 è seg. — DI LÀ:
bolgia,
142. uni’: odil, = 4
103. « Argumontum
nonia in ltalia est p
trix omnium scienti
144. LUGIARDO : Bt
da S. Giov. VIII, 44,
dace o padre della n
iante.
ures: old detto, dopo ciò, -
PABBI; oanere andato mn
on Dante secondo | passo Lantis
i duo frati; cfr, v. 81 0 nog.
rina; por l'inganno fa i,
WOAMUATI:; carionti delle cappe di
Al, ISCAPPATI.
‘O8TR: orme, pedate; Al. resti.
t: de’ piedi di Virgilio, il « cato
lo; + Inf. VINI, 97.
P—.
CANTO VENTESIMOQUARTO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA SETTIMA:
LADRI
(Murai da serpenti inceneriscono e ridiventano uomini,
pui tornano a tramutarsi)
VANNI FUCCI
In quella parte del giovinetto anno,
Che il sole i crin’ sotto l'Acquario tempra
V.1-21. Sgomento ec conforto. Aven-
do veduto il suo duce stare a testa chi-
na, quindi turbato nel sembiante, Dante
trasse argomento di grande apprunsione,
sospettando che il turbamento di Virgilio
fosse eflutto del timore di non poter uscire
da quella bolgia. Vedendo però Virgilio
rivolgersi a lui con dolce sguardo, riprese
animo. Prendendo le mosse da questo
fatto il Poeta ci presenta in un magnifico
quadro il villanello cal manca il foraggio
pel bestiame, che, dosto un bel mattino
di febbraio, vode la campagna tutta bian-
cheggiare e si sconforta assai, credondo
il saolo coperto di neve. Ma ben presto
la brina, che il villanello credeva fosse
neve, si scioglie e tutto racconsolato egli
guida le pecurelle al pascolo.
1. GIOVINKTTO : ancor novello; verso
la metà di fobbraio.
2. CRIN: raggi; « Crinitus Apollo; »
Virg. Aen. IX, 635.- TRMPRA : dà la tem-
(CERC. 8. nora. 6]
InP, xxIiv. 8-21
[CONFORTO]) 281
E già le notti al mezzo di sen vanno;
4 Quando la brina in su la terra assempra
L'imagine di sua sorella bianca,
Ma poco dura alla sua penna tempra:
U Lo villanello, a cui la roba manca,
Si leva 6 guarda, e vede la campagna
Biancheggiar tutta; ond’ ei si batte l’anca;
10 Ritorna in casa, e qua e là si lagna,
Come il tapin che non sa che si faccia;
Poi riede, e la speranza ringavagna
13 Veggendo il mondo aver cangiata faccia
In poco d'ora, e prende suo vincastro,
E fuor le pecorelle a pascer caccia;
10 Cosi mi fece sbigottir lo mastro,
Quand’ io gli vidi sì turbar la fronte,
E così tosto al mal giunse |’ empiastro:
19 Ché, come noi venimmo al guasto ponte
Lo duca a me si volse con quel piglio
Dolce, ch'io vidi in prima a piè del monte,
pra, fn più tepidi, riscalda. Al.: modera,
mitign, ma ciò neviono in nutunno, non
In primavera. « Crinom tomperat; + Stat.
Bit, lib. I, Carm. 11, 14 © seg.
3. AL Mezzo DÌ: vanno diventando
nguali al giorno nella durata ; si procede
Terno l'equinozio di primavera.
4, ARBEMPRA : ritrae, ricopia, riproduce
l'imagine della neve, cioò sembra neve,
6. roco: non può ritrarro a longo,
non si pnd scrivere o disegnare
ie eda se la tempera della penna
dora. La brina presto si liqnefà ni
raggi ‘det aule; + Urebant montana ni-
Tes, Camposqne jacentes Non duraturm
og gr sole pruinm; » Lue. Phares.
i hg 63, - ENNA: « personificando la
il Poeta le attribuisce una penna
eni ricopia, e dà alla penna una
ores che poco resiste ; »
. Vent. Al. R LA SUA PENA TEMPRA, cho
Land. splega: « Struggendosi, diminni-
neo ll freddo, il quale quando è eccessivo
fo gran brine, A pena n ogni corn che
a anima vogetativa. »
Hi
steli
inte
MATTR: per dolore, credendo che sia ne-
12, RINGAVAGNA: ripiglia; propria-
monto Jtimetto nel garagno, clo’ nolla
cesta n nol paniere. Cavagno, o Cavagno
è dell'uso vivente, non soltanto in qnal-
che dialetto toscano, come dicono Tom.,
Fanf. ed altri, ma anche nell'alta Lom-
bardin e nella Svizzera italiana, Al. nix-
CAVAONA ; ofr, Z. F., 142. BLaxc, Versuch
J, 219, Enciel., 1671 © seg.
13, CANGIATA: non più bianco, già cs-
sendosi disciolta la brinn,
14, VINCASTRO: sendiscio, bacchetta.
16. MASTRO: maestro; Virgilio.
18. così ros10: come nl villanello. —
L'EMPIASTRO : Îl rimedio, il conforto ; ofr.
Petr. Trionfo della fama, IT, 120. Arioe.
Orl. VI, 46. La voce non aveva nel Tro-
cento il senso materiale cho ha nlesso.
« Traslazione presa da’ ripari che si fan-
no a' Inoghi dovo sia dolore, per ciò che
impiastro significa propriamente qnei ri-
pari lenitivi, che si nsano porre ne’ Ino-
ghi ov'à dolore; » Gelli,
IN, GUARTO: rotto, — PONTE: lo scoglio
monsionato XIII, 113 è sog.
21, A rif: prima di Paes as nell’ in-
ferno; Inf, I, 61 © seg.; III,
V. 22-60, Salita outvangine. Virgi-
lio naserva la rovina dello scoglio, si con-
siglia acco stesso del modo di salire per
232 [CERC. 8. BOLG. 60) INF. xx1v, 22-35
BS
bal
[SALITA]
Le braccia aperse dopo alcun consiglio
Eletto seco, riguardando prima
Ben la ruina; e diedemi di piglio,
25 E come quei che adopera ed estima,
Che sempre par che innanzi si proveggia:
Così, levando me su vér la cima
28 D’un ronchion, avvisava un’altra scheggia,
Dicendi l'aggrappa;
| Ma tent ti reggia. »
81 Non era v h
Ché noi o sospinto,
Potevai a in chiappa.
di E se non sinto,
Più che a corta,
Non so 1 vinto.
87 Ma percht porta
Del bas: mde,
easa, prendo il suo Alunno, ambedue a ar-
rampicano su per la rovina dell’argine
destro, montano sul ponto, o per mogglio
vedere, sceudono sull'argino ottavo.
22. DOPO: costr. Jtéiguardando prima
ben la ruina, dopo eletto seco alcun con-
siglio, aperse le braccia e diedemi di pi-
glio, clod mi tolse di peso. Virgilio os-
serva prima accuratamente la ruina per
accertarsi di non essere ingannato da Ca-
talano come lo fudui Malebranche; quiudi
si consiglia seco medesimo del modo di
montar suso, e preso il suo partito, ab-
braccia Daute per di dietro por sospin-
gerselo innanzi, cfr. v. 32. Eluterzu volta
cho prende Dante tra le braccia, cfr. nf.
XIX, 124 © seg; XXIII, 37 e seg. Per
salvarsi da simoniaci, barattiori ed ipo-
criti non bastano gli « ammaestramenti
filosofici, » De Mon. III, 15, ma ci vuole
oziandio il braccio dell'autorità secolare.
25. ADOVKRA: Opera con le mani. -
KSTIMA: mentre eseguisce un lavoro volge
la mente al da farsi dopo. «Scit prictorita,
et de futuris mstimat ;» Sapient. VIII, 8.
26. INNANZI: paro che non badi a ciò
che fa, ina u ciò che dovrà fare in seguito.
28. RONCHION: accrescitivo di rocchio,
cfr. Inf. XX, 25; XXVI, 17; un grando
scoglio, un grosso pezzo di pietra spor-
gento. Al. KOCCITON ; ma nel v. 62 quasi
tatti leggono KONCHI080. Senso: Mentre
Virgilio mi levava in alto per posarmi su
a1 un prominente e grosso macigno, egli
poneva mente ad un altro grosso sasso,
dicondomi : Prova imprima collo mani se
quel sasso è formo da sostenerti e poi af-
ferrati per salirvi suso.
30. REGGIA : regga, sostenga ; comepro-
veggia per provvegga, v. 26.
31. carra: degl’ ipocriti, XXIII, 61 e
seg. « Allegoricamento vuol dimostrare
che li ostinati non si pussono partire dal
peccato, ¢ littorahnonte dimostra che,
benchè elli e Virgilio n'uscissono, non
era possibile alli ipocriti d'uscirne; » Buti.
82. LIKVK: perchè spirito, - S08PINTO :
da Virgilio.
33. bi cniavra: di pietra in pietra,
ovvero di scheggia in scheggia. « Chiappa
ost pars teguiw culiniv, qua tegantur
tecta domurum. Sicut enim qui vadit per
tecta domorum vadit valde lente et mo-
rose, quia de facili posset cadere et fran-
gere sibi collum, ita bic autor ibat valde
piano ot commode (1), quia faciliter pote-
rat ruere deorsam propter asperitatem
loci; » Benv.
34. PRKCINTO: argine che cinge le bol-
go sosta e sottima.
36. VINTO: dalla fatica, onde non avrei
potuto salire. Sarei vinto por sarei stato
vinto, como nel v. 4 fosse por fosse stato.
37. roura: apertura, buca; cfr. Lif.
XXXIV, 85.
88. TUTTA: Al. TUTTO.
I [CERC. A. noLO, 6]
Inr. xxiv. 80-55
[SALITA] 2899
Lo sito di ciascuna valle porta
40 Che l'una costa surge e l’altra scende.
Noi pur venimmo alfine in su la punta
Onde l’ultima pietra si scoscende.
4“ La lena m'era del polmon sì munta,
Quando fui su, ch'io non potea più oltre,
Anzi mi assisi nella prima giunta.
40 « Omai convien che tu cosi ti spoltre, »
Disse il maestro; « ché seggendo in piuma,
In fama non si vien, né sotto coltre;
Senza la qual chi sua vita consuma,
Cotal vestigio in terra di sé lascia
Qual fummo in aer ed in acqua la schiuma;
62 E però leva su, vinci |’ ambascia
Con l'animo che vince ogni battaglia,
Se col suo grave corpo non s'accascia.
65 Più lunga scala convien che si saglia;
30. rorta cur: richiede, è di tal na-
tura che, sco, Jat. fert ut. Se il terrono
pende, In costa inferiore di ogni bolgia è
tanto meno alta della superiore, quanta
è la pendenza. Cfr. Com. Lips. I, 266 6
seg. Lonn Vernon, Inf., vol. III, p. 163
e ivi tav. LXIX. Fiammazzo, Sul Piano
di Malebolge, Lonigo, 1800. Alenni si nv-
viaano che gli argini dello holge vadano
mano mano scemando d'altezza, nol qual
enso anche le bolge andrebbero di ne-
cessità mano mano scemando di profon-
dità. Ma Dante di questo sognato andar
scemando non fa il menomo cenno.
40. L'UmA: l'esterna. - SUROR: è più
alts. - L'ALTRA: l'interna, - scENDI: è
più bassa.
il, run: malgrado la grave difficoltà
della salita. — runTa: sommità dell'ar-
gine settimo, di cui l'nltima pietra dello
sooglio o ponte rovinato si sporge in fuori.
43, MUNTA: esausta; non avevo quasi
45. GIUNTA : appena ginnto sulla som-
46, sroLtRE: spoltronisca, vinoa la pi-
47, skcagxpo: vivendo nell'ozio, Al.
Giracenpo, buona lezione, ma troppo
eprorviata di antorità. Cfr. 7. F’., 142-45.
48, sotto coLtRE: dormendo, Costr. :
Reggendo în piuma non «i viene in fama,
nè (si viene in fama stando o gincendo)
sotto coltre, Così i più. Al. por coltre In-
tenilono baldacchino e spiegano: Non si
viene in fama nè sotto baldacchino=non
al può acquistare né fama nò ricchezza.
Cfr. Horat. Ars poet., 412 © sog.
40. LA QUAL: fama.
50. COTAL: nessuno,
fl. rummo: « Deficiontos quemadmn-
dom fumus doficient; » Peal, XXVI, 20.
- « Sicnt deficit fnmua, deficiant; » ibid.
LXVII, 3, - « Tamquam fomos, qui a
vento diffusna ost; » Sapient. V, 15. -
BCHIUMA: « Tamquam spuma gracilia,
que a procella dispergitur: » Sapient,
V, 15. - « Quasi spnumam super faciem
agum; » Onee X, 7,
62. AMNABCIA: difficoltà di respirare,
unita a un senso di oppressione. Buti:
« La fatica. »
53. axImO: volontà energica che su-
pera ogni difficoltà; — BATTAOLIA: osta-
colo, contrasto; cfr. Purg, XVI, 75-78.
54, S'ACCASCIA: «8'noculfia et Inscia an-
dar giù Insieme col avo grave corpo; »
Dan.- « Chiamasi tine porsona mecascia-
ta, quando por rvocchlezza 0 infermità è
molto mal condotta è quasi non si rog-
ge; » Borghini.
65. SCALA: su per i balzi del Purga-
torio, « Scala Purgatorii longissima, quia
pertingitn terra usque ad e@lum ; » Beno.
fa. yey AM mì jor" da workers
gu. porte: a gostonet Mm fathcme ~ aw
puro: PST affrontata Foro chie 009"
\n fore del corpo ®!* feanohort®
ell’ animo! » Biag.
91-95: qudri toro pen® usciti
fuot della se8* polgla! Poeti riprondone
a por © ;
Ta gorpe È in odo a ognan yy saro St
gery? No ona ira Vetta pugn®»
nd. « Pol
so purgondosì ogni proprietà fino 1A
pin intime sok, ano del no" rp?
i into a deci (ug la pas
(CERC. 8. BOLG. 7]
INF. XX1V. 67-84 [PENA DEI LADRI] 285
67 Non so che disse, ancor che sovra il dosso
Fossi dell’ arco già che varca quivi;
Ma chi parlava ad ira parea mosso.
70 Io era vélto in giù, ma gli occhi vivi
Non potean ire al fondo per |’ oscuro:
Perch’ io: « Maestro, fa’ che tu arrivi
78 Dall’ altro cinghio, e dismontiam lo muro;
Ché com’ i’ odo quinci e non intendo,
Così giù veggio, e niente affiguro. »
76 « Altra risposta, » disse, « non ti rendo
Se non lo far; ché la dimanda onesta
Si dee seguir con |’ opera tacendo. »
79 Noi discendemmo il ponte dalla testa
Ove s’ aggiunse con l’ ottava ripa,
E poi mi fu la bolgia manifesta:
E vidivi entro terribile stipa
Di serpenti, e di sì diversa mena,
Che la momoria il sangue ancor mi scipa.
67. nosso: sommità doll’ arco che fa
ponte sopra quella bolgia.
69. Mm0880: a parlare; pareva un grido
di ira, anzichè di dolore o d' altro. Al.
AD Ing, lez. accettata © difesa da Fosc.
([I, 245 © seg.), Z. F. (145 o seg.) e da al-
tri, ma che i] Betti chiama «lezionestolta,
siccome quella ch' è contraria a ciò cho in
seguito si dice. » F il Betti ha ragioni da
vendere.
70. vOLTO: guardavo giù nella bolgia.
~ vivi: corporali. Gli occhi di persona vi-
vente non discernevano nulla Inggit. Al:
Gli cochi non potevano andar vivi nl fon-
do; cfr. Inf. XXIX, 64.
78. DALL'ALTRO: all’ altro. - CINAIIIO:
argine che separa la settima dall’ ottava
bolgia, più basso del ponte sui cui stanno
i Poeti. - MURO: l'arco o ponte. Al.: l'ar-
gine. Ma i Poeti non discosero giù per
l'argino nella settima bolgia.
75. AFFIGURO: rafliguro, discerno. Odo
voci, ma non intendo parola ; vedo o guar-
do ginso, ma non distinguo gli oggetti.
76. ALTRA: non rispondo cho facendo ciò
che vnoi, perchè quando In dimanda 6
giusta, conviensi rispondoro co' fatti pint-
tosto che con parole, operando come è ri-
chiesto.
78. BI DER SRGUIR: « forse BI DR’ RSK-
GUIR; » Retti. È chiaro cho qui i codd.
non decidono. I più, o veramente quasi
tutti, leggono SI DER BEGUIR.
79. TRSTA: estromità. « Da quella parto
del ponte che si aggiunge con l'ottava
ripa, cioè con quella che cinge intorno
l'ottava bolgia; » Dan.
81. K rol: quando fammo giunti aul-
l'orlo dell'argine. Al.: E poi scondondo
per quell'argine. Ma i Poeti non disce-
sero in questa bolgia, la quale tutta di
serpenti ribrulicava, rimasero ansi a
guardare sotto il capo del ponte, in uno
sporgimento del mnro su cui discendo-
no, per mezzo di alcuno pietro promi-
nenti, chinmato più tardi (XXVI, 14)
borni. Masi non discesero cho giù nolla
sesta bolgia, a ciò costretti dall’ essere
spezzati al fondo tutti gli scogli che la
travorsavano.
82. sTIVA: congerie, folla. « Stipa è detta
ogni cosa che è calcata et ristretta insie-
mo, ot questo è detto stipato ;» An. Fior.
- « Cavea, sive gabia, que alibi dicitur
stia; > Benv. (1).
83. BREUVENTI: « Caput aspidam anget, et
occidet cum lingun viporm; Job. XX, 16
- «Serpentes nd vindictam croati sunt; »
Eccl. XXXIX, 36, 36. - MENA: specie, .
razza, qualità; cfr. Inf. XVII, 89. En-
ciclop. 1229.
84. AcIvA: agghinecia. «La ricordanza
236 [CERC. 8. BOLG. 7]
InP. xxIv. 85-94
[PENA DEI LADRI]
85 Più non si vanti Libia con sua rena;
Ché, se chelidri, jaculi e farée
Produce, e ceneri con amfesibena,
8: Né tante postilonzo nè sì ree
Mostrò giammai con tutta |’ Etiopia,
Né con ciò che disopra il mar rosso ee.
01 Tra quests senda a tricticaimg copia
Cort ventate,
Seng itropia.
DI Con se in legate;
di quelli serpenti anes
gue de' luoghi auoi,
cuore come fa la pa
85, Libra: provine,,
neute dell'Egitto, con
festati da serpenti; ef
268; II, 417: IX, 705
Ovid. Met. IV, G17 oi
por Libycas victor per
gonei capitis gattm ro. -
Quas humns exceptas Varios ft:
in angues: Unde frequens illa vst infe-
staque torra colubriw. »
80. CHE, 8K: così la gran maggioranza
dei codd. o com. ant. Al.: CHERSI, CHK-
LIDRI, JACULI K FAREK PRODUCER, CKN-
CRI, ecc. Ma una sintassi tanto barbara
non è certo roba di Dante. Cfr. DIONISI,
Blandimn. funebri, Pad., 1794, p. 740 seg.
Buanc, Versuch, 1, 224 e seg. BakLow,
Oontributions, 146 o seg. Z. F., 140-49.
ClikLIDRI, serpenti velenosi cho stanno
in terra ed jn acqua. « Sed quis erit no-
bis lucri pudor? inde petuntur Huc Li-
bycso mortes, et fecimus aspida mercem.
At non stare suum miseris passura cruo-
rem, Squamiferos ingens Iiemorrhois
explicat orbes; Natus et ambiguie cole-
ret gai Syrtidos arva Chersydros, trac-
tique via fumante Chelydri; Et semper
recto lapaurus limite Cenchris; Pluribus
ille notis variata pingitur alvum, Quam
parvis tinctas maculis ‘l'hobanus Ophi-
tes; Concolor oxunstis, atquo iundiscretus
arenis Hammody tes; spinaque vagi tor-
quento Corastic ; ot Scytale sparsis otiam
nune sola pruinis Exuvias positura suas;
et torrida Dipsas; Et gravis in gomi-
num surgens caput Amphisbenva. Et Na-
trix violator aquiv, Jaculique volucres;
Et contentus iter cauda sulcare Pha-
reas; » Lucan. Phars. IX, 706-721. — Ja-
cuni: «Jaculi sorpentes subcunt arbores,
10 se Vibrant et quasi missili ovo-
rmento | » Solino, 40, Plin. VIII,
ARR: serpenti che trascinandonl
nn soleo por terra colla coda; efr.
, 7654.
ENCRI: serpenti di vario colore del
dice che vanno sempre torcendosi
camminano diritto, — AMvESIHR-
appl e Pxlvw, serpente con due
: Amphisboena consurgit in caput
geminom, quorom alterum in loco ano
est, altorum in ea parto qua cauda; »
Solino, 40. Plin. VIII, 23.
88. PESTILENZK: quali erano in quella
bolgia; «Sed majora parant Libycwe spe-
ctacula pestes;» Lucan. Phars. IX, 805.
« Noxia serpentum ost admixto sanguine
pestis; » tbid., 614.
90. pISOrIRA : monziona i tre deserti
che circondano l'Egitto: quello della Li-
bia alla sinistra del Nilo; quello del-
l' Etiopia al mezzodì dell'Egitto; e quello
dell’ Arabia alla destra del Nilo disopra
il Mar rosso. - KE: per è usarono sovento
gli antichi anche in prosa. Cfr. Nannuc.
Verbi, 434 o seg. Tav. Rit. ed. Polidori,
Il, 73.
91. corta: di orribili serpenti di varie
specie.
03. rERTUGIO: foro, buco, da nascon-
dervisi. - KLiTROFIA: pivtra preziosa di
colur verde, simile a quello dello sine-
rallo, ma chiazzata o tempestata di goc-
ciule rosse, alla quale si attribuivano
virtà miracolose contro ogni sorte di ve-
leno, © specialmente contro il morso dei
serpenti, como pure la vittà di rendere
invisibilo chiunque la portasse. « Elitro-
pia, pietra di troppo gran virta, per ciò
che qualunque persona la porta sopra di
sè, mentrela tiene non è du alcuna persona
veduto, dove non è; » Bocc. Dec. VIII,8.
04. LKGATE: perchè non se le lasciaron
I
Inr. xxtv. 95-108
[CERC. 8. ROLG. 7]
[VANNI FuccI] 287
Quelle ficcavan per le ren’ la coda
E il capo, ed eran dinanzi aggroppate.
97 Ed ecco ad un, ch'era da nostra proda,
S'avventò un serpente, che il trafisse
Là dove il collo alle spalle s’annoda.
100 Né O si tosto mai né I si scrisse
Com’ ei s’accese ed arse, e cener tutto
Convenne che cascando divenisse.
103 E poi che fu a terra sì distrutto
La polver si raccolse per sé stessa,
E in quel medesmo ritornò di butto.
100 Cosi per li gran savi si confessa
Che la Fenice more e poi rinasce,
Quando al cinquecentesimo anno appressa.
legare dal precotto divino: Non furtem
JSacies, nò dallo loggi umano, G. Mazzoni ;
« Piuttosto, perchè Je tennero troppo fa-
ellmente sciolto verso In roba altrui. »
Le tennero sciolte nppunto perchè non
no lè lasciaron logare dallo leggi divine
ed umano.
05. QUELLE: serpi; non logano pur lo
muani, strumenti dol pocento, ina vamo
alla radice di esso, al cuore. - nen’; reni;
troncamento dell'uso. Cir. Nannuce., No-
mi, 578 e tutto il cap. XVII.
V. 07-139. Vanni Fueei. Ad nno si
avrenta un serpente, lo trafigge, ed egli
a Incenerisce, — riprende snbito la
figura umana. È Vanni Fucci, figlio na-
terale di Fnocio de’ Lazzeri, nobile Pi-
stolese. Si on) verso il 1293 con Vanni
della Monna e Vanni Mironne pistoiesi,
rubare il tesoro di San Iacopo. Ma
{ ladri non riuscirono pienamente, fugati
da qualche rnmore che intesero, Diverse
dei farono arrestate como soapette
tra altri Rampino di Ramuo-
as lì © por perdera la testa. Fi-
Sagri-
con jae th arroti Fir., 1810, è
Fatte . d'un verso di D.
ALA nell hg 1814.
DT. NOSTRA: « dalla ripa et costa della
bolgia dovo nol eravamo ; » Dan,
oo. LÀ: nella gola,
100. x& O: « queste duo lettere 0 ot J
si scrivono a nno tratto di penna; ot
pertanto si scrivono più velocemente che
l'altre, che con più tratti di ponna è dato
loro forma; » An, Mior, « Mostra la cole-
rità del fatto con nno del midi schiotta-
mento proverbiali della lingua; » I. Vent.
101. s'ACcESK: come ladro delle cose
di Dio; e « Dominus Dens eat ignis con-
sumena; » Dewler, IV, 24.
103, mistRUTTO: disfatto.
105, MmkbkesMO: che ora prima di ea-
sere trafitto dal serpente = riprese I' u-
mann forma. — pt RUTTO: di botto, an-
bito. Virg. Georg, IV, 440 e aeg.: « Jllo
sun contra non immemor artia Omnia
transformat sese in miracula rerum,
Ignemque horribilemque foram flavium-
que lignentem. Verum ubi nolla fogam
reperit fallacia, victus In sese redit atque
hominis tandem ore locutus » ecc.
100, savt: Erodoto, 1I, 76; Filoatrato,
Vit. Apolt. Tyan.ITI,14; Pomponio Mola,
Dese. Orbis, 111, 8; Achille 'l'azio, Amo-
res Lewcipper et Clitoph. 111, 26; Clandin-
no, Fidyll., 42; Plinto, Hist. nat. X, 2;
Senecn, Epist. 42; Ovidio, Metam. XV,
902-402; Bronotto Latini, Tes. volg. da
Bono Giam., VI, 26; e forse Dante al-
lode mi altri ancora. — 81 CONFESSA: al
paserisco, s'insegna. La descrizione della
Fenice è tolta da Ovidio loc. cit.
108. CINQUECKNTERIMO : « Hime nbi quin-
quesue complevit sccula vite [Ilicet] in
288 [CERC. 8. BOLG. 7) INF, xxiv. 109-125
[YANNI FUCCI]
109 Erba né biado in sua vita non pasce,
Ma sol d’incenso lagrime ed amomo;
E nardo 6 mirra son l’ultime fasce,
112 E quale è quei che cade e non sa como,
Per forza di demon che a terra il tira,
O d'altra oppilazion che lega l'uomo,
115 (Quandi
Tutti
Ch'e
118 Tal era
O po
Che ,
121 Lo due
Perel
Poco
124 Vita be
Si co
ramis tromuhequo cacumiuo palmo Un-
guibus et puro nidum sibi construit ore; »
Ovid. Met. XV, 395 e seg.
110. LAGRIMR: gocce dell’ incenso. — kD
AMOMO: Al. kK oD’ AMOMO. Mu l'umomo
non lagrima. È l'Ovidiano: « Sed turis
lacrimis ot succo vivit umomi; » Met.
XV, 394. Questo luogo di Ovidio è de-
cisivo, ad onta di Z. F., 149 © seg.
111. FascK: nido, « Accenne alla vita
novella a cui la Fenice rinasce; » 7'om.
112. como: como, lat. guomodo; forma
usitatissima presso gli antichi. Daute
l'usa soltauto due volte in rima, qui è
Purg. XXIII, 36.
113, DI DEMON : 80 0886880; cfr. S. Marc.
I, 26: « Et discorpons eum spiritus im-
mundus,» - S. Luc. IV, 35: « Et cum
proiecisset illud diemonium in medium.»
114. OPLILAZION: rituramento 6 riser-
ramento de’ meati del corpo. - « Oppilare
6 uno verbo latino, che significa serrare
o chiudere. Laonde son chiamati dai me-
dici quegli che hanno di sorto chiuse e
serrato, por essere ripiene di vapori gros-
si, lu vene, che gli spiriti e la virtà nu-
tritiva non posson passare e andare per
le parti del corpo dove fa di bisogno
loro. E se si fa per sorte tale oppilazione
in quelle vie che hanno a passare gli spi-
riti che vanno da 'l] cuore al cervello, l’uo-
ino cado subitumento senza sentirai in
terra; o da questo nasco il mal caduco e
sì mira
le angoscia
dando sospira:
scia.
a’ vera!
ta croscia.
gli era;
vi di Toscana,
ila fera.
numana,
m Vanni Facci
‘le sincope, chiamato da noi venirzi meno,
e altri accidenti simili; » Gelli. - Lega:
« parola sulenne, trattandosi di magia o
d'altra forza straordinaria; » Tom.
119. rOTKNZA : Al.: GIUSTIZIA. - 8K’ VR-
BRA: Al QUANTE SKVKERA. Cfr. 4. A°., 150
o sog. La subita trasformazione di quel
dannato mostra sì la giustizia di Dio, ma
forso più uncora la Sua potenza, mentre
la divina giustizia appare in tutte quante
le pene dell'inferno dantesco. E questa
potenza di Dio è certo severa, ma, quelche
più monta, è anche vera, cioè giusta, ca-
stigavdo ognuno secondo i suoi meriti.
120. PKR VENDETTA: per gastigo. - CRO-
BCIA: scarica, vibra, «< con empito per-
cuote; » Dan. - « Metafora tolta da le
pioggie e da i'acque, che si dicono ero-
sciare, quando piovono e si versono ab-
bondautissimamente ; » Gelli.
122. riovvi: caddi, piombai; cfr. Inf.
VIII, 83; XXX, 95.
123. roco: da circa cinque anni. - ao-
LA: bolgia.
125. MUL: porché bastardo. Al. perchè
ostinato come il mulo. Di costui dn. Sel.:
« Fu uomo molto arrogaute e superbo
o dileggiato. E raunato con altri di sua
compagnia, in una chiesa che si chiama
8. Jacopo, imbolarono tutt’ i paramenti,
calici, reliquio, e ciò che vi trovaro; ©
poi le impegnarono per le mani di un
prete di loro, e poi l'aposono a uno no-
(CERC. 8. NOLG. 7]
InF. xx1v. 126-138
[VANNI Fucci] 239
Bestia, e Pistoia mi fu degna tana. »
127 Ed io al duca: « Digli che non mucci,
E dimanda qual colpa laggiù il pinse;
Ch'io il vidi uomo di sangue e di crucci. »
130 E il peccator cho intese non s’ infinse,
Ma drizzò verso me l'animo e il volto,
E di trista vergogna si dipinse;
133 Poi disse: « Più mi duol che tu m’hai còlto
Nella miseria dove tu mi vedi
Che quando fui dall’altra vita tolto.
13%6 To non posso negar quel che tu chiedi.
In giù son messo tanto perch’ io fui
Ladro alla sacrestia de’ belli arredi;
taio, e mandarono nella casa sua a farlo
cercare, dicendo e infamandolo ch'egli
l'avla forato. » - An. Fior.: « Et perchè
egli era bestiale fa chiamato Vanni be-
stia.» — Secondo Îl Bacei (1. 0,, 15) la
= sorgente prima ove attinsero tutti |
chiosatori di Dante » 4 il seguonte rac-
conto che si legge in un antico codice:
« Vannes focei della dolce vannes della
monna of vannos mironne pistorionsea
elves nephandi et homines malo conver-
sationis et vite contractaverunt inter se
deliberations habita et instigationo dia-
boliea theanurom beati Jacobi derubare
quibus de cansibus ot enormitatibus
mont et aliqui fuorunt male infamati et
malta genera tormentoram. Unum de
els Rampinus filins domini Ranucci ad
mortem dicebatur dapmoari et tandem
equi vel muli et ad furcas
. Orationibns factia ox parte et
ipsias Ft vannes della monna
ex delicto predicto fuit captus
do septa majoris ecclesio quadam
die prima quadragesima tune temporis
et in fortia potestatia videlicet Giani dolla
RITO
bella d' florentia et communis pistori qui
mominavit malefactores qui ad dictum
consensorant et facere intendo
bant esi) lio dieti domini Ranneci
HE
eondem quod incu! pabilia fue-
nbitazione è una tana. E la dice degna,
perchè albergo di nomini egualmente be-
stiali; ofr. Inf, XXV, 10 è seg.
127. MUCCI : scappi. « Dicesi amucciare
di una cosa che per la liscerza esce di
mano, 6 che non si può tenere forte, anzi
quanto più si stringe, più sguscia 6 scnp-
pa, e fugge di mano; » Buonanni,
128, DIMANDA : Al, DIMANDAL. = QUAL
coLra: la domanda sappono che il farto
commosso dal Fucel non fosso notorio ;
onde non sembra probabile che fosse im-
piecato, como affermano alcuni commen-
tatori antichi.
129. i cnucci: sanguinario e rissoso,
onde dovrebbe trovarsi non qui, ma nella
settima bolgia. Fo Vanni Fucci parti-
giano furibondo di parte Nera, conginrò
contro Focaccia Cancellieri, uccise il ca-
valier Bertino e commise molte altre vio-
lense. Al. UOM GIÀ DI BANGUR K Di COR-
nucet; cfr. Z. F., 151 © seg.
130. Sow 8'INFINSE: non ai dette ve-
runa cora di celare la cosa, nA fu lento a
dirla senza vernn riguardo. Al.: non finse
dinon aver bene intesola mia domanda(?).
191, prizzò : mi guardò attentamento.
« Convertere animos acris oculosque tu-
lere Cuneti nd reginam; » Virg. Aen,
X1, B00 è seg.
122. tRI8TA : diversa da quella « cho fa
l'nom di perdon talvolta degno, » Pury.
V, 21. Non si vergogna del malo, ma sol-
tanto di essere scoperto.
115. TOLTO: accenna per avventura n
morte violenta.
130, xon rosso: avendomi tu vednto
qui nella bolgin dei ladri.
138. De’ BELLI: chiama la sagrestia di
240 [cerc. 8. BOLG. 7] InP. xxiv. 189-149
[VANNI FUCCI]
139 E falsamente già fu apposto altrui.
Ma perché di tal vista tu non godi,
Se mai sarai di fuor de’ lochi bui,
142 Apri gli orecchi al mio annunzio, ed odi:
Pistoia in pria di Negri si dimagra,
Poi Firenze rinnova genti e modi.
145 Tragge
Che è
E con
148 Sopra ci
Ond'L
Sun Jacopo di l'istola,
vano i preziosi arredì,
arredi, ciruoserivonda &
nome di Tesoro ché cssì
Al. costruiscono : Fini
redi alla sacrestia. Chr
139, ALTRUI: a Ita
Foresi.
V. 140-161. Scentiura dei Mianchi.
A sfogo dolla sua rabbia Vanni Fucci pro-
dico wu Danto lo calamità doi Biunehi di
Firenzo dal 1300 al 1302, o 1306, 6 ciò nel-
l'intento maligno e malignamente espres-
sv di addvlorare il Poeta.
140. TU: Bianco, co’ tuoi corroligionari
politici.- Gopi: goda; cfr. Nannuc., Ver-
bi, 289 e seg.
141. Loci: luoghi infernali; cfr. Inf.
VIII, 93; XII, 86; XVI, 82.
143. DIMAGRA: spoglia, spopolu. Nel
1300 avvenne la divisione di Pistoia in
Bianchi e Neri; cfr. Vill. VIII, 28. Quin-
di nel maggio 1301 «la parte bianca di
Pistoia coll'aiuto e favore de’ Bianchi che
governavano la città di Firenze, ne cac-
ciarono la parte nera, e disfeciono le loro
caso; » Vell. VIII, 45. Cfr. Dit LUNGO,
Dino Comp. T, 196 e seg.; II, 115 © seg.
144. vor: nol maggio 1301 i Neri furono
discacciatl da Pistoia ed ild)d' Ognissanti
dollo stesso anno Carlo di Valois entrò in
Firenzo; Vill. VIIT, 49. - innova: Corso
Donati, sbandito, ritornò u Firenze, con
alquauto seguito di corti suoi amici e ma-
suadieri a pid; la parte bianca fu invece
cacciata da Firenze; Vill. VIIT, 49, 50.
Cir. DrL Lunco, Dino Comp. I, 268 oseg.;
IT, 193 e seg. - MODI: il guverno passò
dallo mani dvi Bianchi a quello dei Ne-
ri; Vill. VIII, 49.
145. MAKTE: caso retto.- VALOR: quar-
to caso. Moroello Malaspina, marchese di
Magra
iluto,
dd agra
tuto:
nebbia,
Illo in Lunigiana, eletto capitano
dei Neri di Firenze nella loro
iomtro Pistola, - VAL DI MAURA:
inigiana; ai estende dalle valli
sa sino al finine Serchio.
ix; quel vapore ; Morovello. — NU-
ldath Neri, turbolenti, da lui ca-
- INVOLUTO : circondato.
sae. AUKA: cradelo, «Chiunquoeera pre-
80.... all uomeo orn tagliato il piò, o alla
fommina il nuso; 2 Vill. VIII, 82.
148. camro PICKN: l’ager Picenus men-
zionato da Salustio (Catil. c. 57), che
Dante, con altri suoi contemporanei,
identificò erroneamente coll’ agro pisto-
iese. Cfr. Bass., 71-74 e nel Giorn. Dant.
II, 390-94. Allude probabilmeénto alla spe-
dizione dei Nori Fiorentini e Lacchesi
contro Pistoia nol maggio del 1302, che
fin) colla presa di Serravalle, Vill. VIII,
52. Bass., 68 e seg. Altri riferiscono
questi vorsi all'assedio ed alla presa di
Pistoia nel 1305 e 1306; Vill. VIII, 82.
Altri affermano che nel 1302 Morvello
combatté contro i Bianchi e li disfece nel
campo Piceno o Piscense. - «Campo Pi-
ceno ai è luogo, ov’è ora Firenze, che
così si solia chiamare, e faceavisi il mer-
cato oc anchesidicea campo di Marte. Kivi
combattò messer Carlo con messer Corso
Donati, e caccionne fuori i Cerchi come
Bianchi » (1); An. Sel. - « Piconus appol-
latua est campus apud Pistorium, in quo
olim fuit debellatus Catiliva; » Benv.
Cfr., oltre i lavori cit. del Bass., Cla-
KICINI DORNLACHKK, A che fatto allude
Dante nei versi 1-42-51 del O. XXIV
dell'Inf., Padova, 1894.
1:9. EI: il vapore; Moroello. - sprz-
ZEKA: romporà dalle sue nuvole avven-
tandosi sopra i nomici in modo, che tutti
quanti 1 Bianchi no avranno gran danno.
[cERc. 8. noLG.7) Inr. xxtv. 150-151 - xxv. 1-7 [nesTEMMIA] 241
Si ch'ogni Bianco ne sarà feruto.
151 E detto l'ho perché doler ti debbia. »
150, uto: ferito; forma dell'uso
presso gli ait antichi. Cir. Nannue. Verbi,
383 o seg.
151. peuma; debba, « quia to cs Al-
* bog; » Beno. Al. TRN pena. Cfr. 2, P.,
153. Nanntcee, Verbi, 698
CANTO VENTESIMOQUINTO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA SETTIMA: LADRI
CACO, CINQUE LADRI FIORENTINI E LORO TRASMUTAZIONI
—
Al fine delle sue parole il ladro
Le mani alzò con ambedue le fiche,
Gridando: « Togli, Dio! che a te le squadro. »
4 Da indi in qua mi fùr le serpi amiche,
Perch’una gli s'avvolse allora al collo,
Come dicesse: « Io non vo’ che più diche, »
7 Ed un'altra alle braccia, o rilogollo,
VW. 1-0, Mestemmia prnite. Apponn
il maligno ave vaticinio, Vanni
Facci si volge contro Dio stesso con un
atto disonesto «lì scherno, accompagnato
«n parole sacrileghe. Immantinente on
sorponte sii si avvinghia al collo e gli
di parlare, un altro alle brac-
cine gli impedisce di fare gesti s) sconci.
2 ricne: atto sconcio e villano che si
fa In diepregio altrui, ponendo il dito
grosso tra l'indice © il medio piegati, e
ali i il pugno così chiuso verso chi
vool inginriare. « In an In rocen di
Carmignano (castello a
del territorio Ii-
sion area una torre ta tanta br
su duo braocin di marmo, cho fa-
. Menna eee Fizense; » Vell VI,
Tr. Na . Verh, 13406. 4.0. Vere.,
23 Alazzosi-Tosnt.1, Poci e passi, 128.
— Dio, Comun., a” ediz.
1. hi QUANDO: lo pongo in faqundra,
lo indirizzo, lo fo n te, « Et apornit os
sunm in blasphomia ad Deum, blasphe-
maro nomen ejua;» Apocal, XIII, 6. -
e Nello statuto di Prato chiunque ficas
Jecerit vel monstraverit nates versus cor-
lum vel versus figuram Dei o della Ver-
gine, paga dieci lire per ogni volta; se
no frustato;» Tom.
4. AMICHR: avendo prontamente pn-
nito il saerilego bestemmiatore, « Idem
vello atque idem nollo, ea demum firma
nmicitin oat, » dico Catilina; in Sallust.
de ballo catil., 20.
6. picut: diea; forma antica, usata
anche in prosa. Cfr. Nannue. Verbi, 577.
T. RILEGOLLO: lo legò di nuovo, come
ora già legato prima di incenerirsi per
ridiventar nomo; cfr. Inf. XXIV, 94.
242 ([CERC. 8. NOLO, T]
———
Inr. xxv. 8-21
[caco]
Ribadendo sé stessa si dinanzi,
Che non potea con esse dare un crollo.
10 Ahi Pistoja, Pistoja, ché non stanzi
L’incenorarti, si che più non duri,
Poi che in mal far lo seme tuo avanzi |
13 Per tutti i cerchi dello inferno oscuri
eo. ito superbo,
No: 8 giù da’ muri.
16 Quei più verbo;
Ke
Ve
19 Mare)
Qui
Inf
8. IIBADENDO + for
le reni colla coda
XXIV, 95 o sog.)
TE] Capo dinanzi, AI. BREE I LEVEL j MI di
F_,153, Moone, Orit., 330 6 seg. Unaserpo
gli stringo il collo, perchè più nun eratti
insulti; un'altra gli riloga le braccia,
perchò più non faccia fiche.
9. Ks8k: braccia. - DARE: fare il me-
nomo wovimento.
V. 10-15. Zuvettira contro Pistola.
L'orroudo sacrilegio del Fucci stimola
Dante ad inveire contro Pistoia, patria
di esso Fucci, esurtandola a ridursi in ce-
nore, piuttosto che produrre uomini sì
bestiali cho nommeno nell'inforno non
hanno pari.
10. Che: perchè. - STANZI: determini,
risolvi. Così tutti, o quasi tutti i codd.
e com. ant. La lez. CHÉ NON STAI ANZI
D'INGKNERARE (= perchè non cessi di
propagarti, condannandoti n perpetuo
celibato f), èinattendibile. Vedi però Fku-
ran noll' Etruria, febbr. 1851, p. 70.
12. skaik: secondo la tradiziono Pistoja
fu fondata dagli avanzi dell'esercito di
Catilina. Cfr. Vill. I, 32. Benv., Land.,
ed altri osservano, questa non essere che
una fuvola. Sta bene. Ma ai tempi di
Danto alla favola si prestuva fodo. -
AVANZI: superi, vinci, «Itas parentuin,
peior avis, tulit Nos nequiores, mox da-
turos Proguniem vitiosiorom; » ZMorut.
Od. III, vi, 46 o seg.
14. IN Dio: contra Dio. - TANTO: quan-
to Vanni Fucci.
15. NON QUEL: è il lat. ne ille quidem
en di rabbia
\ov'è l’acerbo? »
ante n’abbia
1 per la groppa,
a labbia.
mmeno colui, ciod Capaneo; ofr,
XIV, 46 © sog.
10-33, Caco. Ecco un Centauro mo-
stro, tutto coperto di serpenti, che corre
ilietro al Fueci, affocando chiunque in
lui si abbatte. È Caco, il figlio di Vul-
cano, l’uumo-satiro cho abitava in una
grotta del monte Aventino e con astuzia
rubò quattro buoi e quattro vacche dolla
greggia di Ercolo. I muggiti delle vacche
rubate furon scorta ad Ercole, il qualo
andò alla grotta ed uccise il brutto la-
drone; cfr. Virg. Aen. VIII, 193-267.
Questo Caco figura il ladroneggio ese-
guito colla forza o coll'astuzia. Virgilio
lo disse mezzo uomo; Dante no fa un
orrido Centauro.
16. QUEI: quogli; Vanni Lucci. Al. EI.
- FUGGÌ: vedendo da lungi venir corren-
do l’arrabbiato Centauro. Alcuni met-
tono l'accento sul si e spiegano: Quegli
se ne fuggì così malconcio dai due ser-
penti, che non obbe più modo di dir
parola.
18. L'acKkb40: l’indomabile e superbo
nemico di Dio. Vanni Lucci « fu acerbo
et duro et salvatico uomo; » An. Fior.
« Tuno pater Eueas precedere longius
iras Et s:vuvire aunimis Entellum haut pas-
sus acerbis; » Virg. Aen. V, 461 0 sog.
19. MAKRKMMA: cfr. Inf. XIII, 9 nt.
« Questa è una contrada di Pisa (f), po-
sta presso al mare, ove abbondano molte
serpi, intanto che a Vada è un monasterio
bellissimo, lo quale per le sorpi si dice es-
sere disabitato; » Buti.
21. INFIN: fluo al basso delle reni, dove
(CERO, & NOLG. 7]
INF. xxv. 22-41 [LADRI FIORENTINI] 243
n Sopra le spalle, dietro dalla coppa,
Con l’ale aperte gli giacea un draco;
E quello affoca qualunque s’ intoppa.
= Lo mio maestro disse: « Quegli è Caco,
Che sotto il sasso di monte Aventino
Di sangue fece spesse volte laco.
28 Non va co’ suoi fratei per un cammino
Per lo furar frodolente ch’ei fece
Del grande armento ch’ egli ebbe a vicino;
a Onde cessàr le sue opere biece
Sotto la mazza d’ Ercole, che forse
Gliene diè cento, e non senti le diece. »
ut Mentre che si parlava, ed ei trascorse,
E tre spiriti venner sotto noi,
De’ quai né io né il duca mio s’ accorse,
a7 Se non quando gridar: « Chi siete voi? »
Per che nostra favella si ristotte,
Ed intendemmo pure ad essi poi.
4 To non gli conoscea; ma ei seguette,
Como suol seguitar per alcun caso,
finisco la forma di cavallo ed incomincia
quella di nomo.-—LABNA: la forma umana.
22. corra: occipite, nuca.
MM. queLLo: drago. - AFFOCA : nbbrn-
cla - s'iNTOPFA : s'imbatte nel Contanro.
~ «Saper omnia Caci spelnncam adiciunt
eplrantemane ignibus ipsum ;» Virg. Aen.
VIII, 803 © sog.
27, LACO: sparse spesso tanto sangue
(degli armenti che rubava d'intorno e
quindi acannnva) da fermarne un lago.
28, rate! : Contanri nel girone do’ ti-
rannl; efe. Inf. XIT, 65 e sog.
20. vuman: Al. FURTO. Por avore rn-
bets con astuzia lo vacche ed | tori di
Ercole. Gli altri Centauri, suoi fratet,
man manrono astizia, mn soltanto forza
è violenza. - FRODOLRNTE : tirando il be-
stiamo rubato por ln coda, lo feco cam-
minaro all'indietro, affinchò Ercole non
| rere rne le orme 0 scoprire il
AI. cme FRODOLENTR Fecr; cfr.
gm reg
20, aumento: che Ercole condusse dalla
Spagna dopo avere ucciso Gorione, — A VI-
amo: in
‘UL. ospr: per lo qual farto frodolento,
cho indusse Ercolo a cercarlo ed uccider-
lo. - mgcg: bieche; prave, ingiuste, Cir,
Nanntic., Verbi, 289, nt. 1.
33. CINTO: percosse, - NON SENTÌ: es-
sendo forse già morto sotto i colpi tro-
mendi prima di averne ricevute pur dieci.
V. 34-151. Ladri Fiorentini e loro
trasmrntazioni. Vengono trespiriti Fio-
rentini: Agnello Brunelleschi, Buoso de-
gli Abatie Puocio Sclancato, Viene quindi
no quarto, Cianfa Donati, in forma di ser-
pente n soi piedi, es'incorpora in Agnello,
Viene finalmente Guercio Cavalennte in
forma di serpentello, o trasmota natura
con Burso degli Abati, Cinque Indri Fio-
rentini, le cul trasformazioni sono Incom-
parabilmente mirabili; ofr. v. 04 © sog.
24. PARLAVA: Virgilio. - rt: Caoo, -
TRASCORSK: prasad oltre.
85. tak: Agnello, Booso o Puocio, -
SOTTO NOI: sotto quel punto dell'argine
ove eravamo, Virgilio ed fo.
36. a'AcconRsE: non avendo fatto nt-
tenzione che a Caco.
88, NOVELLA: fl discorso tra noi dun
cessò; tacemmo per far attenzione sgli
spiriti laggiù nella bolgia.
40, SROURTTE: segui, avvenne,
41, SEGUITAR: avvenire,
244 [crxc. 8. none. 7) Ixy, xxv. 42-63
.[LADRI FIORENTINI]
Che l'un nomare un altro convenette,
43 Dicendo: « Cianfa dove fia rimaso? »
Perch’ io acciò che il duca stosse attento,
Mi posi il dito su dal mento al naso,
46 Se tu se’ or, lettore, a creder lento
Ciò ch’ io dirò, non sarà maraviglia,
Ché 1
49 Com' io |
Ed un
Dinan
52 Co’ pie (
E cor
Pol g
65 Gli dere
E mis
E diet
68 Ellera a
mi consento.
ciglia,
si lancia
i 8'appiglia.
n pancia,
A preso;
altra guancia.
5
ué,
Lese.
18
Ad arbor si, come l’orribil fiera
Per l'altrui membra avviticchid lo sue:
61 Poi s’appiccàr, come di calda cera
Fossero stati, e mischiar lor colore;
Né l'un né l’altro già parea quel ch’ era,
42. UN ALTRO: Al. ALL'ALTRO. Al. L'UN
NOMINAL L'ALTRO.
43. CIANFA: dolla nobile famiglia dei
Donati (Petr. Dant. lo dice degli Abati).
« Fu grando ladro di bestiame, o rompia
botteghe © vuotava lo cassotte ; » An. Sel.
Secondo il Vell. Cianfa edi suoi compa-
goi avendo in mano il governo della re-
pubblica, convertirono in uso privato le
pubbliche entrato, onde questi l'ioren-
tini non sarebboro ladri comuni. Cianfa
Nora trasforinato in sorpento a soi pivdi.
4i.reren'io: udendo chiedere di Ciunfa
argomontò costoro essere Fiorentini, on-
do desidera di saperne di più.
45. SU: atto naturale di chi chiode sl-
leuzio. « Prewit vocem digitoquo silentia
suadet; » Ovid. Met. IX, 692.
48. CONSKNTO: pussa appona crederlo
jo che l'ho veduto.
49. Com'10: montre io era tutto attento
a riguardare quegli spiriti.
50. SKRPENTE: il trasformato Cianfa.
51. ALL’ UNO: ad Agnolo Bruuelleschi,
v. 68.
55. DIRKTANI: i picdi di diotro, vicini
alla coda.
56. AMKNDUK: lo cosce di Agnolo.
58. KLLKRA: non vi fu mai ellera a) te-
nacemonto abbarbicata ad alboro, come
quell’ orribile serpente avviticchiò le suv
mombra a quelle dello spirito. « Artius,
atque hedera procera adstrivgitur ilex,
Lentis adhiereas brachiis ; » Horat. Epod.
XV, 5. Cfr. Petr. Son. 277 (II, 50). 7 e seg.
Arios. Orl. VT, 29.
59. FIKUA: « Omnia transformat seso
io miracula rerum, Ignemyae horribi-
lemquo foram; » Virg. Georg. VI, 441
© sog.
61. 8'APPICCAR: s'attaccarono, s'incor-
porarono come duo pezzi di cera riscal-
data. «Colla caputque fluunt; calido pon
ocyus Auatru Nix resoluta cadit, nec so-
lem cera scquetur; » Lucan. Phars.1X,
781 e seg.
63. L'ALTRO : colore. Dante dad agli api-
riti dannati non pure la forma, ina e il
colore del corpo umano. « Egliono si mi-
schiorono sì i colori, il serpente collo spi-
(cere, 8. nOLG. 7)
Inr. xxv. 64-78 [LADRI FIORENTINI] 245
Cri Come procede innanzi dall'ardore
Per lo papiro suso un color bruno,
Che non è nero ancora, e il bianco more.
o7 Gli altri due riguardavano, e ciascuno
Gridava: « Omè, Agnél, come ti muti!
Vedi che già non sei né duo né uno. »
70 Già eran li due capi un divenuti,
Quando n’apparver duo figure miste
In una faccia, ov’ eran duo perduti.
7a Férsi le braccia duo di quattro liste;
Le cosce con le gambe, il ventre e il casso
Divenner membra che non ffir mai viste.
76 Ogni primajo aspetto ivi era casso;
Due e nessun l’imagine perversa
Parea, e tal sen gia con lento passo.
rito e lo spirito col serpente, che feciono
mn terzo colore; » An. Fior.
Bi. PROcRDR: non altrimenti an per lo
papiro cui siasi applecato il fuoco nn co-
lor bruno precede man mano la fiamma.
66. rariro : carta bambagina, AI.:11ln-
cignolo. Così Ott., Buti, Land., Vell., eco,
J'apiro significa l'nno e l'altro (pavòr,
papér per Incignolo vive tuttora nei din-
Totti dell’ alta Lombardia). La aimilitn-
dine sembra qai più evidente, prondendo
papiro nel senso ili carta. Vedi però MAz-
zost-Tosetst, Voci e pasti, 20 o seg. Finn
Cuescrxzi, Agricoltura, 1. VI, 0, 95. Com.
Lips. T, 283, Il Ross.: « O carta o Inci-
gmolo, In similitodine va sempre bene. »
Ufr. Ovid. Met.IV, 309 © sog.
66. WORE: svanisce, si perile ; non è più
bianco è non è ancor nero.
68. ome: almè.- Aon: Agnolo, Agno-
lello, Dicono che costui fosso Agnolo Bru-
erect di nobile famiglia fiorentina, il
salito ai primi onori della ropnb-
no distrasso le rendite a proprio
. L'An. Sel. ha alenne partico-
sono appena di sun invenzio-
ne: « Questo Agnello fa de'Brunellesobi
di Firenze; e infino picciolo votava la
borsa al oe a la madre, pol votava
ee n imbolava. da
sr
Left:
7522)
;
a
HER
Hi
—_
corpo; nò uno, perchè non avente figura
© individualità o di solo serpente o di
solo tomo; » Di Siena,
72. PERDUTI: miati, confusi Insieme in
modo da aver perdoto la propria sem-
bianza. Al: duo dannati. Era proprio
necessario di dirlo!
73. wheat: si fecero, divennero. - Di
QUATTRO: delle due braccia di Agnolo è
dei duo piodi anteriori del serpente, La
confusione dei duo in nno incomincia dal
capo 6 si continua già por lo corpo. Li-
sta, propriamento longo è stretto perzo
di checchessia, chiama le braccia del-
l' nomo od i piedi del serpente.
76. rmimaJo: di prima, umano © ser-
pontino. — CASSO: ceassato, cancellato.
77. DUE: si scorgevano © non si scor-
govnno le due nature, dell'uomo è del
serponte. — PERVERSA : tramutata.
78. TAL: così orribilmente trasformata.
Il Diritto Romano distingne tre specie
di furto : in prima esso stabilisce una dif-
ferenza tra le coso divino ed umano;
quindi saddivide le cose nmane in pubbli-
che e private. « Summa rernm divisio in
dnes arlicnlos deducitur: nam alim annt
divini juris, alim homani.... Qumdam
naturali jure commonia sont omninm,
qumdom universitatia, qniedam mollios,
Pera que singulorim.» Sombracho Dante
ai sin tennto n questa triplice partizione.
Vanni Fueci, il ladro alla sagrestia, rubò
coso divine. Cianfa ed Agnolo oconparono
a quel che paro cariche pubbliche a Fi-
renzo, rubnrono quinili megli fici, cioè
246 [cERC. 8. BOLO, T]
Inr. xxv. 79-98
[LADRI FIORENTINI]
79 Como il ramarro, sotto la gran fersa
De' di canicular cangiando siepe,
Folgore par se la via attraversa:
82 Così parea, venendo verso |’ epe
Degli altri due, un serpentello acceso,
Livido e nero come gran di pepe.
85 E quelle —— "6 preso
Nostr lor trafisse;
Poi c' | disteso.
83 Lo trafi lisse;
Anzi liava,
Pur « assalisse,
01 Egli ils ruardava.
L’un per la bocca
Fuma
coss pubbliche. Gli all
ricordati in questo o
quanto ne sappiamo, le... ss
vate. Quindi la diversità della pena.
Vanni Fucci arde al morso del serpente,
»'incenerisce e ridiventa uomo per su-
bire di nuovo il medesimo supplizio. La
xua pena è per così dire un olocausto
oterno, ma senza espiazione. Cianfa ed
Agnolo si uniscono, si abbracciano, si
fanno uno ju duo; figura stupenda degli
impiegati infedeli che si uniscono per de-
rubare lo Stato. Gli altri rubano l'un
l'altro l’unica cosa cho posseggono au-
cora, l'umana hgura; ecco i ladri di cose
private, che rubano dove e ciò che pos-
sono ! Altri diversamente. Classe 19: La-
dri abituali, che rubano dove possono e
tutto ciò che capita loro nelle mani nd
lasciano mai l'abito di rubare. Classe 2:
Ladri « che eleggono quando denno fare
ee Fani
alcuno furto, e alcuna fiata dubitano, ©
perchè distinguono lo male a che elli in-
corrono ; » Lan., Ott. Classe 32; Ladri
che non sono abituati e non eleggono, ma
sonza distinzione alcuna rubano quando
capita loro il destro v non si pentono mai,
mai del furto commesso (1).
79. RAMALKO : specie di lucertola. « Ra-
marrus est serpens communis in Italia,
qui alibi dicitur marro, alibi ragano : Bo-
noniw vero dicitur diguoro, qui serpens
secundum quosdam appellatur stellio, a
quo devominatur crimen stellionatus in
jure civili, idest extraordinarium ; ideo
bene competit furi; » Benv. - FERSA: dal
si scontrava.
veo, ardore. Al: dal lat. ferula,
) sforza,
v-. -ANICULAR: giorni d'estate, circa
dal 21 luglio al 21 agosto, nei quali la
costellaziono australe detta Canicola o
Cano maggioro nasce col sole. - CAN-
GIANDO : saltando da una in altra siepe.
81. Pak: attravorsa la via con tanta
velocità che sembra una folgore. « Rum-
‘ pat et serpens iter institutum; Si per
obliquum similis sagittw Terruit man-
nos; » Horat. Od. 1II, 27, e seg.
82. L’kré: le pance.
83. SKRPKNTKLLO: Francesco Guercio
Cavalcanti, v. 161. - ACCESO: d'ira, in-
fnriato.
85. PARTE: l'ombelico; per cai il feto
riceve alimento nel sono materno.
86. ALL' UN: a Buoso dogli Abati; cfr.
v. 140.
87. CADDE: il serpentollo cadde giù di-
steso davanti al trafitto.
89. FERMATI: fermo sui piedi. - 84ADI-
GLIAVA: dicesi che il morso dell'aspide
addormenti prima di uccidere. Cfr. As-
BON nogli Atti dell'Imp. R. Istit. Veneto
di Scienze, ecc., tom. VI, ser. II, p. 854
© sog.
92. L’UN: il trafitto. - L'ALTRO: il
serpente.
03. FUMAVAN: « quod dicit de fumo,
significat obscuritate temporis, quam ut
noctem appetunt; » Petr. Dant. Ma que-
sto fumare, potrebbe anche alladere al-
l'incendio interno della cupidigia, come
il riguardarsi vicendevolmente potrebbe
n ‘
(CERC, 8. NOLG. 7]
InF. xxv. 94-108 [LADRI FIORENTINI]
247
a4 Taccia Lucano omai, là dove tocca
Del misero Sabello e di Nassidio;
E attanda a udir quel ch' or si scocca.
97 Taccia di Cadmo e d’Aretusa Ovidio;
Ché, se quello in serpente e quella in fonte
Converte poetando, io non l’invidio:
100 Ché due nature mai a fronte a fronte
Non trasmutò, sì ch' ambedue le forme
A cambiar lor materia fosser pronte.
103 Insieme si risposero a tai norme,
Che il serpente la coda in forca fesse,
E il feruto ristrinse insieme |’ orme.
106 Le gambe con le cosce seco stesse
S’appiccAr si che in poco la giuntura
Non facea segno alcun che si paresse.
alladere allo agnardo enpido del Indro
alla roba nltrui, Infatti il ladro inoo-
mincia dal trasgredire il precotto Non
eoncupizers © continna trasgredendo nn-
che l'altro Ne furtum facies. — BI 8CON-
TRAVA: passando scambievolmente dal-
l'ono nell'altro ed operando così la tra-
Mormazione dello due nature.
Ma. tA: Pharesal. 1X, 701 © sog., dovo
Lucano racconta dei due soldatidell'eser-
cito di Catone, che nei diserti della Libia
furono morsi da serpenti: Sabello dal
serpente Sepe, il eni morso lo ridusse in
tenere (1. c. 701-788): Nassidio dal ser-
Prester, il cui veleno gli gonfiò il
in modo, che gli scoppiò la corazza
780-804).
06. BI 8COCCA : si racconta, si espone.
= « Quello che manda fuori del suo arco,
parlando metaforicamente, lo ingegno e
l'arte sua; » Gelli,
07. cabmo: cangiato in serpents; cfr.
Ovid, Met. IV, 563-604. - Anerusa: tra-
sformata in fontana; ibid, V, 572-671.
08. kon L'invIDIO: la metamorfosi che
lo sto per descrivere essendo di gran
| più stupenda che non quello da
Un confronto nocvrato mo-
ntra però, che Dante si giorò, e non poco,
di Luenno è di Ovidio.
100, pus: l' umana è la serpentina.
«Gis intende che forma nel linguaggio
non significa l'estoriore con-
torno e rilievo e apparenza de' corpi, >
l'intima sostanza che fa essere gli ogge
materiali è gli oggetti spirituali ae
fi
Anno nella sua specie, quello apprnto
eh’ egli d. Intondo dunque il Moola: nello
trasformazioni cantato da altri, l'una
forma, per esempio l'anima vivente del-
l'uomo, prende la materia d'animale o
di pianta; ma qui ln forma del serpente
piglia il corpo dell’ nomo, è a vicenda la
forma dell'nomo piglia il corpo della
serpe. Cotesto baratto snbitaneo, cote-
ata confusione dalla quale riesce nin di-
stacco sì nuovo, è la terribilità del mi-
rabile che qui vnolsi notare ;» Tom.
103, 61 rIsrOsERO: si inflairono reci-
procamente, corrisposero l'una all'altra,
— A TAI KXORME: nell'ordine segnente.
104, ressr: divise in doe parti che do-
vevano diventare le doe gambe e piedi
d'uomo. La confusione di Cianfa e di
Agnolo incomincia dal capo; la trasfor-
mazione di questi doe qui dalla coda è
dai piedi.
105, YRRUTO : ferito nell'ombelico, v. 85
e sog. IN feruto per ferito cfr. Nanmue.,
Verbi, 297.- L'onmk: | piodi, l'effetto por
la causa, come | Lat, dissero vestigia per
pedes. Prima si uniseono | piedi, quindi
l'unione si continua nelle gambe è nelle
cosce, In breve l'unione è compinta,
piedi, gambe o cosce hanno preso la fgu-
ra dolla coda del serponto, In giantura
delle gnmbo non si distingue più, nè è
più possibile discornere che quella coda
è formata da due liste.
107. is roco: tempo; in un momento,
108. 81 PARESSE: apparisse, sì potesse
discernere.
248 [CERC. & noLG, 7) Inr, xxy. 109-125
[LADRI FIORENTINI]
109 Togliea la coda fessa la figura
Cle si perdea là, 6 la sua pelle
Si facea molle, e quella di là dura,
112 lo vidi entrar lo braccia per lo ascello,
E duo piè della fiera, ch’ eran corti,
l'anto allungar quanto accorciavan quelle.
115 Poscia li nié dirietro insieme attorti,
Diven l’uom cela,
E il n ino porti,
118 Mentre | ‘altro vola
Di col pel suso
Per |’ ; il dipela,
121 L'un si } 1080,
Non te le ampie,
Sotto , \va muso.
124 Quel ch’ ir le tempie,
E di tr A venne,
100. FIGURA: di piedi, gambe © conce
d'uomo.
110. si rkibKA : scompariva por dar
luogo alla coda serpentina. - LA: nel-
l’uomo. - sua: del sorpontello.
111. MOLLK: come l'umano. - DI LÀ:
la pelle dell’ uomo. - DUIA : scaglivsa co-
ine quella do’ serpenti.
112. wraccia: doll’ uomo; si accor-
ciano entrando dentro fo di lui ascelle,
e ne resta fuori solo quanta è la lan-
ghezza de'piedi anteriori dol rettile. Dal-
l’altro canto i piedi del sorpeonto si allun-
gano alla misura delle braccia dell'uomo,
« Combibit os maculas, ot quie modo bra-
chia gossit, Crura gerit; cuuda ost mu-
tutia addita membris; » Ovid. Met. V,
455 o seg.
115. riè: del serpento. Continuando
la reciproca metamorfosi, i piedi di die-
tro dol sorponte si attorcono e prendono
la figura dol membro virile; nello stosso
tempo il membro virile dell'uomo si fen-
de in due parti, le quali pigliano la figura
dei piedi di dietro del rottile.
117. puo: due membra, por formarne
le gambe deretano serpentine, - LÒORTI:
sporti.
118. Fummo: cfr. v. 93. < Il fumo, ema-
nazione doll'una e dell'altra natura, da
il colore del serpe all'uomo, dell'uomo
ul serpe; » Tom.
119. rkL: umano; capogli, barba, ecc.
121. LUN: il sorpento divenuto uomo.
-1/aALTro: l'uomo divonuto sorpe.
122. NON TORCKNDO: nou cessando tut-
tavia di riguardar fissamente l' un l'al-
tro, cfr. v. 91. - LUCKRNE: occhi; « Lu-
cerna corporis cat oculus; » S. Matt. VI,
22. Degli occhi intendono tutti quanti
gli antichi senza eccezione. Invece /t0ss.:
« L'immagine è tratta da quelle lucerne
di cui valgonsi gli orefici nel saldar me-
talli, dallo quali traggono solchi di vam-
pa fumosa di grande attività, come lo
giù descritte. ‘lutti intendono per lucer-
ne cmpie gli occhi empj; ma a cho pro
dire cho nossuno di quo’ duo torcuva gli
occhi dall'altro? Indisponsubile era però
l'esprimere che nel loro duplice moto,
di cadero è sorgere, le correnti fumose
non aveano perduto il preso cammibo;
perchè sotto la loro attività ciascun do’
duo cambiava inuso; il quale muso, è
nia volto, resta solo iu esso a cangiarsi. »
- EMPIK: « gli occhi crudeli del sorpe e
scellerati del peccatore; » Barg.
123. MUSO: aspetto. « La faccia del-
l'uomo divonia muso di serpente, 6’)
muso del serpente divenia faccia d' uu-
mo;» An. For.
124. QUEL: il serpente divenuto uomo.
- IL: il muso; ritirò il muso serpentino
verso le tempie, riducendolo alla figura
del capo dell' uomo.
125. IN LÀ: verso le tempio.
[cero. 8. ROLO. 7]
Inr. xxv. 126-141 [LADRI FIORENTINI] 249
Uscîr gli orecchi delle gote scempie;
127 Ciò che non corse indietro e si ritenne,
Di quel soverchio fe’ naso alla faccia,
E le labbra ingrossò quanto convenne.
120 Quel che gincea il muso innanzi caccia,
E gli orecchi ritira per Ja testa,
Come face le corna la lumaccia;
133 E Ja lingua, che avea unita e presta
Prima a parlar, si fende, e la forcuta
Nell’altro si richiude,
e il fummo resta.
136 L’ anima ch’ era fiera divenuta
Si fuggì sufolando per la valle,
E l’altro dietro a lui parlando sputa.
120 Poscia gli volse le novelle spalle,
E disse all'altro: » Io vo’ che Buoso corra,
Com’ ho fatt’io, carpon per questo calle. »
126. Gta onneenr: Al. LR ORECOTIA. -
scrim: le gote serpentine non avevano
orecehic. Al. riferendo scempie a orec-
chie intendono: divise dalle gote, sporte
ln fuori, come sono le nmane.
127. ciò: In matoria del muso serpen-
tino che non si raccolse indietro n for-
mare le orecchie, xi fe' naso mmano.
128, AULA FACCIA: Al. LA FACCIA, Ma
la faccia non foco jl naso, anzi ciò che
non corse indietro feco || naso dell'uma-
na faccia. Il v. sog. è prova provata che
questo è l'intendimento del Poeta; chè
non la faccia, sì la materia, ciò che non
corse indietro ingrossòà le labbra quanto
130. QUEL: ry nomo trasformato in ser-
penta,
152. race: fa. Cfr. Nannue. Verbi, 605
è sog. — LUMACCIA: Inmaca ; anticamente
in prosa.
133. AvRA: l'nomo trasformatoin serpe.
134. ronrcuta: secondo le opinioni del
di Ile quidem vult plora loqni,
Fila
tlesque aliquos parat edoro questua, Si-
Dilat; hane Mi vocem natura reliquit; »
Ovid, Met, IV, 586 © sog.
135. ALTHO: nel serpente trasformato
in uomo. - icmubpr: rinnisco. - RESTA :
cessa, la dnplice metamorfosi essendo
iplata.
137. suroLamno: fischiando n mo'di
sorpe che è diventato, E aufolando i la-
dri sogliono darsi vicendevolmente il
segno.
138. 8PUTA: atto proprio dell’ nomo.
AI; manda bava dalla bocca, apata la
relenosa bava di serpente ch'ei fu.
« Dante col contenersi alla proprietà del
serpento che sufolando fugge, 6 a quella
ilell'nomo che parlando sputa carntto-
rizza 0 ilipinge con dio semplicissimi toe-
chi lanaturadell'anoedell'altro; » Menti.
139, GLI: al nuovo serpente, = NOVEL-
LE: tostò formate.
140. ALL'ALTRO: al terzo de' tre, Pno-
cio Scianeato, che non era ancora tra-
sformato, - Buoso: gli nni lo dicono do-
gli Abati (An. Sel., Lan., Petr. Dant.,
Gelli, sc0.), gli altri dei Donnti (Ott., Falso
Bocce., Jlenv., Buti, An. Fior., Serrav.,ece.)
da Firenze. Alcuni antichi non ne di-
cono nulla (Bambo!., Tac. Dant., Cass.,
Barg., eco.), mentre i moderni lo cre-
dono degli Abati, supponendo che gli
antichi scumbinssoro questo Bnoso con
quel Bnoso do’ Donati che fn falsato da
Gianni Schicchi ; efe. Inf. XXX, 22 nt.
Ma so nose Donati era nn ladrof - « In
uMelo of nltrovo, avonilo fntto doll'albeni
suo, non possendo più ndoperaro, o fora
compiuto l' ufficio, mise in ano Inogo....
messer Francesco, chiamato Guercio,
de’ Cavalcanti; » An, Fior.
141. carrox : da serpento, « Snper po-
250 ({cErc.#. roLa. 7) InP, xxy. 142-151
[LADRI FIORENTINI]
142 Così vid'io la settima zavorra
Mutare e trasmutare, E qui mi sensi
La novità, se fior la penna abborra.
145 E avvegna cho gli occhi miei confusi
l'ossero alquanto, e l'animo smagato,
Non potér quei fuggirsi tanto chiusi
148 Ch’ia nan senrcaasi han Precio Sciancato;
I ire compagni
G ra mutato,
161 L’al ville, piagni.
ctum tuum grail
CALLE: bolgia.
142. ZAVORBA *
rena, ed anchò
che si mette nell
farla immorgerò
l'acqua, e reni
bolgia. Così Vai,
gia non si muta è,
nanni: « Dice zavorra au usato, uvò
gli spiriti ed i sorpenti. » E il Gelli: « La
settima zavorra, cioè quegli spiriti cho
sono in questa settima bolgia; i quali ei
chiama zavorra, perchd ci sono il ripieno
del fondo di quosta settima bolgia, o por-
chè la zavorra di che si riempiono le na-
vi, è sempre quella mercanzia, della quale
non 6 fatto mai troppa stima, o i ladri
sono sempre in obrobrio a ciascuno. »
144. FIOL: un poco; ofr. Purg. III,
135. - ABUORKA: mette borra, usa supor-
tluità di pavole. Al.: Se il mio stile non
è fiorito; lo stile è fiorito anche qui co-
me altrove. Al.: Se il mio linguaggio al-
cun poco erra; contro v. 040 seg. Al.:
Se la penna abborro gli allettamenti
della fantasia. Sogni ! Ha parlato di que-
sta bolgia assai più a lango che non
delle altre; qui scusa la prolissità colla
novità dolla cosa. La nuova Cr. (Gloss.,
7b); « ABORKARK © ABBORRARK, Neutr.
Aberraro, Errarve, Smurriro, Confondersi.
Dal lat. abhorrere, che trovasi presso Ca-
tullo o Cicerone iu un siguificato simi-
gliantissimo.» Hil Hetti: «JI Monti vuo-
lo che abborra, o aborra, stia per abérra.
Ed ba ragione. Eccone un esempio nel
Dittamondo, lib. V, cap. 12: Loda il bat-
tesmo, ed odi s' egli auonna: — Dice che
quando l'uomo Ja peccato - Oh' al fume
per lavarsi tosto corra. » Cfr. BLANC, Ver-
such I, 233 e seg.
>. CONFUSI: per la vista di coso al
ne è spaventevoli,
0. 8MAGATO: smarrito, scemato dalla
attività ; cfr. Purg. X,106; XXVII,
7. QUeI: doe rimasti, — CHIUSI : 00-
|, nascosti,
8, Puccio Scrancato: de’ Galigal
‘renze. « Fu cortese furo.... 1 snoi
furti erano di dio e non di notte, e se
era vedato sì si gabbava; » Cod. Ma-
gliab. I, 39. - « Non erat bene aptus ad
fugiondum quando ibat cum aliis ad fu-
randum, quia erat claudus; » Benv. -
« Questi fu cavaliori e fu fiorentino co-
ine li altri; » Buti. Cfr. LOuD VKRNON,
Inf. 1I, p. 478.
151. L'aLtItO: il serpentello che ferì
Buoso e gli rubò la figura umana. Guer-
cio de' Cavalcanti «il quale dagli uomini
d'un castello di Firenze, nominato Ga-
ville, finalmente fu morto, Per la cai
vendetta molti del detto castello da quelli
di casa sua procedendo poi ne sono morti,
ondo cotale pianto procede; » Jac. Dant.
- < Gaville è uno custello nel contado di
Firenze: or avenne che passando per
quelle contrade lo predetto messer Fran-
cesco Cavalcanti di Firenze, cd avendo
odio verso quelli di quello luogo, elli tras-
seno a lui, e 8) l'anciseno; per la qual
morte tutti i Cavalcanti banno odio a
tutti li Gavillesi, ciod quei di quello lao-
go, © funne morti intiniti, ed ancora non
6 staguata tale onta; » Lan. - « Questi
6 mosser Francesco Cavulcanti, che fu
morto da certi nomini du Gaville, ch' è
una villa nel Val d’Arno di sopra nel
contado di Firenze, per la qual morte i
consorti di messer Francesco molti di
quelli da Gaville uccisono et diafeciono ;
ot però dico l'A uttoro che per lui quella
[eerc. 8. BOLO. 8]
Inf. xxvi. 1-7 (contro Firenze] 251
villa ancor ne piange, et per le accuse ot
testimonianze et condannagioni et ucci-
sioni di loro, che per quella cagione ne
seguitorono, che bene piangono ancora
la morte di messer Francesco; » An. Fior.
Le stesse cose ripetono altri comm. anti-
chi; cfr. Enciel. 874. - riANGI: « non per
bene che tu gli volessi, ma per cagione
di tanti de' tuoi nomini, che farono morti
per vendetta ana; » (Gelli.
CANTO VENTESIMOSESTO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA OTTAVA: CONSIGLIERI FRODOLENTI
(Circonvolti da una fiamma)
ULISSE E DIOMEDE, VIAGGI E MORTE DI ULISSF
Godi, Firenze, poi che se’ si grande
Che per mare e per terra batti l’ali,
E per l'inferno il nome tuo si spande.
‘ Tra li ladron’ trovai cinque cotali
Tuoi cittadini, onde mi vien vergogna,
E tu in grande onranza non ne sali.
~~
V. 1-12, Iurettita contro Firenze.
Con amarissima ironin Dante apostrofa
Firenze, predicendole grave sventura ed
che il male le piombi ben
| addosso.
2. wATTI: voli famosa por mare o per
term. « Erano nllora i Fiorentini eparti
molto foor di Fiorenza por diverse parti
del mondo, et erano in mare et in terra,
di che forse li Fiorentini se ne gloria-
vano; » Buti.
3. st BPANDE: Fiorentini quasi in tutti
| corchi dell'inferno!
4. cinque: dei quali parlò nol C. an-
. Tre ne apparvero da prima:
Irunelleschi, Buoso degli Abati
Donati, e Poccio Sciancato, dei quali
che non fa cangiato di forma era
Sciancato. Gli altri due sono
ii
È
i
Ma se presso al mattin del ver si sogna,
Cianfa Donati o Guercio Cavalcanti. I
Donati e Dronelleschi erano doi Neri,
gli Abati 6 Cavalcanti de’ Bianchi; cfr.
Vill. VIII, 29; onde Dante mostra anche
qui, come tante volte altrove, di aversi
fatta per sò sateaso,
6. vancogGna: ossondo lo poro Fio-
rentino. Cir. Conv. 1V, 27.
6. ONRANZA: orranza, omoranza,
7. bei ver: credottero gli antichi che
i sogni presso al mattino annunzinssero
infallibilmente l'avvenire, « Namque sub
anroram jam dormitante Lncina, Tem-
pora quo cerni somnin vora solent; »
Ovid. Heroid. X1X,105 0 seg. « Vonit me
tali voce Quirinus, Post mediam noctem
visua, quum somnia vera;> Horat. Sat.
I, x, 40 ong. Cir. Purg. IX, 16 © seg.
Sembra che Dante finga qui di aver ve-
Zo2 ([CERC, 8, ROLO, 8]
Ixr. xxv. 8-16
[CONTRO FIRENZE]
Tu sentirai di qua da picciol tempo
Di quel che Prato, non ch’altri t’agogna.
10 E se già fosso, non saria per tempo;
Cosi foss'oi, da clio puro essor deo!
Ché più mi graverà, com’ più m’attempo.
19 Noi ci partimmo, e su per le scalèe
Che n'avean fatta i harni a acender pria,
Rimonti
10 E prosegu
duto in sogno sul matth
dla lui vaticinato alla pal
8. BKNTIMAI: proverni. «
magna iubet, Rex ipso La
coniugiom et dicto paren
tiut et tandem ‘lornom
armia;» Virg. Aen. VII,
QUA: in breve, tra non
0. QUEL: malo, — l'kATY
dono del Pratosi, allora a
rentini e malcontenti dol ..
altri del cardinale Niccolò ur sti vou
nel 1304 scomunicò 6 maledisse i Fivron-
tini; cfr. Vill. VITI, 69. - aura: i tuoi
nemici, «sicut pisani, aretini, et alii mul-
ti; » Benv. Al. intendono del cardinale
Napoloone degli Orsini, il qualo nel 1306
scomunicò e maledisse da capo i Fioron-
tini; cfr. Vill. VIII, 85.
10. 8K GIÀ: se le sventure ti avessero
sin d'ora colpita non sarebbe troppo pre-
sto. Allude forse alla micidiale rovina del
ponte alla Carraja, Vill. VIII, 69; al ter-
ribilo incondio del 1304, Vill. VIII, 71, 6
ad altro sciagure cho colpirono Firenze
dopo il 1300.
11. così: fosse già avvenuto, ossendo
inevitabile!
12. M'ATTKAPO: invecchio; «quia pec-
catum impuuitum maltiplicatur et au-
Botur;» Benv.- < Corto mi graverà mag-
giormonte col croscor do' mioi suni! Por-
chè, crescendo ancora lo mio disgrazie. io
mi troverò più inabilo d'ora a sopportare
questa disgrazia grandissima, essendo già
abbattuto fieramente dallo altro; » Betti.
Cfr. BLanc, Versuch 1, 236 © seg.
V. 13-48, La pena dei consigliert
frodolenti, Por la medesima via onde
discesero, i Pooti risalgono sulla scoglio,
lungo il quale proseguendo il cammino
giungono all’ ottava bolgia che tutta ri-
splendo di fiamiuo, ciascuna dolle quali
chiude un peccatoro, che fu malvagio
3 mee.
8, I loro consigli furono scin-
iroddnssero più o meno grandi
0 famine sono acute in punta,
quelle loro lingue che produs-
ie, le quali si fecero pol In-
igua ignia cet..,, Ecce quantaa
n magnam allvam incondit; «
e. III, 5, 0.
mamo: dalla riva dell'argino
ve eravamo discesi por poter
+ RI abitatori della settima bol-
pre, vir. Inf. XXIV, 70-81, e dove ave-
vamo le ombre sotto noi, XXV, 85.-sca-
(Rx: ordine di scale. Rimontammo su per
quelle sporgenzo di soglio che ci avo-
vano servito di scala a scondor giuso.
14. 1 IONI: lo sporgenze, i rilievi dello
scuglio. Così i più. « Borni propriamente
sono coso sporto in fuori, s) come erano
quelle pietro sporte fuori della ripa; »
Cust. Alcuni divoraamente. Leggendo
IuORNI Lan. e Cass. spiegano: freddi e
stanchi; l'An. Zior.: gombi e chinati,
como va chi na tentouo scondo. Leg-
gondo nouns, Beno: abluciuatos; Zand.,
Vell.: abbagliati ot di cattiva vista; per-
ciocchd borni in Bolognese significa que-
sto (?). Secondo lo Stigliano la voce bornio
vale dernoccolo, bitorzulo, e Dante vuol
dire che nello scendere si era fatto dei
bitorzoli 0 dei bornoccoli por lo mani o
por li piedi 0 per altro parti dol corpo,
Buti, Barg., Br. B., ecc. leggono: cu
I. nuron (il gran buio, efr. XXIV, 70 e
seg.) N'AVKA FATTO 8SCRNDKI PRIA, Cfr.
PARKNTI, Esercitaz. filol. XII, 23. Z. F.,
159 e sog. VIANI, Lettere filol. e crit. Bo-
logna, 1874, p. 312 è seg.
15. MKK: mo; forma antica e dell'uso
poetico. Cfr. Nannuc. Voci, 55 e seg. -
« Mehe quoque pro me apud antignoa,
tragediaram precipne scriptores, in ve-
teribus libris invonimus; » Quintilia-
no, I, 5.
[CERC. 8. nora, 8)
INF. xxvr. 17-32
[FROPOLENTI] 258
Tra le schegge e tra’ rocchi dello scoglio,
Lo piè senza la man non si spedia.
19 Allor mi dolsi ed ora mi ridoglio
Quando drizzo la mente a ciò ch'io vidi;
E più lo ingegno affreno ch'io non soglio,
22 Perché non corra che virtù nol guidi;
Sì che se stella buona, o miglior cosa
M’ ha dato il ben, ch'io stesso nol m'invidi.
25 Quante il villan, che al poggio si riposa,
Nel tempo che colui che il mondo schiara
La faccia sua a noi tien meno ascosa,
28 Come la mosca cede alla zenzara,
Vede lucciole giù per la vallea
Forse colà dove vendemmia od ara;
n Di tante fiamme tutta risplendea
L'ottava bolgia, si com'io m’accorsi
18, skxza : cfr Purg. IV, 83.- xOx SI
arkpta: non si faceva passo senza l'nin-
to delle mani; efr. Purg, IV, 33, Sempre
più erti e malagevoli gli scogli quanto
più vicini al centro; cfr. Inf. XVIII,
70+ XIX, 120 o sog.; XXIV, GI o arg.
19. M1 pots:: alla vista. - MI KIVOGLIO:
ricordandomene. - « Fa attento il lettore
con queste parole della novità e della
della pena, che deo dire d'avor
veduto in questa ottava bolgia, dicendo
che egli face e fa profitto suo dell' altrui
male, in wear male la bontà dello 'ngo-
gno infuso in lui dalle stelle o da Dio; »
Cart. Dovera, e probabilmente voleva
dire in NON waar male.
21. AFFREXO: tengo in freno più del
solito, avendo veduto come sono puniti
coloro che, dando aatati e mali consigli,
fecero abuso dell'ingogno. « Fatto osper-
to del malo altrui, mi studio di volgere
l'ingegno al bene; » Pass.
23. STELLA: influenza de’ pianeti. - MT-
oLion: la grazia divina.
24. nex: ingegno, — INVIDI: abnsan-
dono, « Qui sibi Invidet, nihil est illo
nequnima, et hive redditio est maliti il-
lina; » Keel. XIV, 6.
25. QUANTE: Al. QUALK, QUANDO; cfr.
Moore, Crit., 337 0 seg. « Il sentimento
O il sognente: Quanto Ino-
vedo il villano in tempo di state,
l far della sora, dal colle in coi si
gilt nella valle ove ha forse la
ify
dii
sun vigna o il sno campo; tanto fiam-
me io vidi splendere in tutta l'ottava
bolgia, siccome io mi accorsi, tosto che
foi alla sommità del ponte, da dove il
fondo ora visibile, Ma per dir ciò si valo
il Voota di vaghe porifrasi. eco le rosti-
tuzioni: in tempo di stato: nel tempo
che colui che il mondo schiara (il Sole)
la faccia sua a noi tien meno ascosa. —
Come fa sera: Come la mosca cede alla
zanzara; perchè in quell'ora qunest'in-
sotto sbuca o quello si ritira, - Ove ba
forse la sua vigna e il suo campo: forse
colà dove vendemmia ed ara ; perchè dai
residui della trebbia o della vendemmia,
impingnati di nmidità, sogliono svilop-
parsi molto Incciole; » Ross.
26. TRMrO: solstizio estivo. - COLUI:
il Sole; cfr. Purg. XXIII, 120,
28. comp: snll'imbronire, quando le
mosche si ritirano 6 vengono le zanzare.
20. veDE: Costr. Quante.... vede.... Di
tante.... — VALLICA : vallata.
30, ForsR: vosì tatti. Z. F. (160 è sog.),
deridenido questa lez., vuol leggere ran-
RI. — VENDKMMIA ED ARA: le dae princi-
pali opere del contadino; confr. Inf.
XX, 47.
31, HISPLEXDRA : lneova, « Cotora con-
fustque ingentem cmdis acervum Nec
nomero neque honore cremant; tono
undiquo vasti Certatim crebris conlu-
cent ignibus agri; » Virg. Aen. XI, 207
© seg.
254 [cERC, 8. DOLG, 8] INF, Xxvi, 33-48 [PENA DEI FRODOLENTI]
Tosto che fui là ’ve il fondo parea,
a4 E qual colui che si vengiò con gli orsi
Vide il carro d’Elia al dipartire,
Quando i cavalli al cielo erti levérsi,
37 Che nol potea sì con gli occhi seguire
Che vedesse altro che la fiamma sola
Si come
40 Tal si mo
Del fos
Ed ogn'
43 Io stava s
Si che,
Caduto
40 E il Duca
Disse: 4
Ciascun
33, LA: sull'arco del ponte. - Foxuvu
dell'ottava bolgia. - rALKA: appariva.
34. COLUI: il profeta Eliseo; «Cumque
ascenderot per via, pucri parvi egressi
sunt de civitate, et illudebant vi, dicen-
tes: Ascende calve, ascends calve. Qui
cum respexiaset, vidit coos, et maledixit
eis in nomine Domini: egressique sunt
due ursi do saltu, nt laceraverunt ex eis
quadragiuta duos puoros ; » LV Rey. II,
23, 24. - vaNxGIÒ: vendicò.
35. CARKO: « Ecce currus igneus, et equi
ignei diviseruut otramque: ot ascendit
Elias por turbine in ciulum. Eliseus au-
tem videbat ot clamabat: Pator mi, pa-
ter mi, currus Israel et auriga ejus; »
IV Reg. JT, 11, 12.
36. LkVOusI: 8i levarono.
37. 8KGUIKK: « Oculisque secuntur Pal-
vercam nabem;» Virg. Aen. VIII, 6920
seg. « Oculisque sequacibus auras; » Stat.
Theb. 1TI, 500.
39. NUVOLETTA: cfr. Vila N., 23. Canz.
II, 57 © eog.
40. TAL: qual Eliseo vide il carro. -
CIASCUNA: di quelle fiamme, v. 31.
41. IL FURTO: il peccatore che vi è
dentro. Colla prima similitudine vuol mo-
atraro quanto grande fosso il numero
delle fiamme; colla soconda come gli ap-
parivano. Come Elisco non vedeva altro
che la fiamma sola, v. 38, così il Poeta
non valeva cho fiamme; 6 come quella
fiamma veduta da Elisco nascondeva il
Bi
lla
‘a il furto,
| invola,
surto,
ichion preso,
urto.
[eso
_gili spirti;
gli è inceso. »
pruresà Elia, così le fiamme che Dante
vodeva nascondevano ognuna un pecca-
tore. « I.’ esser nascosti gli spiriti, l' os-
ser profouda la bolgia, talchè Dante do-
vetto porsi al sommo dell'arco per ve-
derno il fundo, esprime il solito concetto
di frodo cupa e celata; » Ross.
43. BURTO: ritto sui piedi e sporto col-
la persona in su la bolgia, onde, se non
mi fossi tenuto ml un masso dello sco-
glio, sarei cascato giù, seuza csser urto,
cioò urtato, spinto da altri; cfr. v. 69.
46. ATTK80: attonto a mirare quelle
flammo, o fuchi.
43. BI FASCIA: < Ginscano di quelli api-
riti è fasciato da quella fiamma che l'urde,
sì cho ciascuno ha una fiamma che ii cir-
conda, separata dallo altre; » Barg. -
QUKL: fuoco. - INCESO: acceso.
V. 49-75. Ulisse e Diomede, Ecco
una fiamma a due punte! Là dentru
sono puniti due erol greci della guerra
di Troia: Ulisse, re d’ Itaca e Diomede
figliuolo di Tideo. Sovo in ona fiamina
medesima « perchd uniti all'agguato 0
alla strage di Reso (Virg. Aen. I), e al
furto del Palladio, violento insieme e sa-
crilego e frodolento (ibid. VII). Ma la
fiamma va divisa in due punte, siccome
quella che arse i cadaveri do’ due fra-
telli per il regno nemici; e questo por-
chè gli uomini acuti al male si dividono
tosto o tardi in sò stessi, 0, se forzati
a star pure iusieme, cotesto è continuo
[CERC. 8. ROLO. 8)
INF. xxvr. 409-62 [ULISSE E DIOMEDE] 255
49 « Maestro mio, » rispos’ io, « per udirti
Son io più certo; ma già m’ era avviso
Che così fosse, e già volea dirti:
52 Chi è in quel fuoco che vien si diviso
Di sopra, che par surger della pira
Oy’ Etedcle col fratel fu miso? »
55 Risposemi; « La entro si martira
Ulisse e Diomede, e così insieme
Alla vendetta vanno come all'ira;
58 E dentro dalla lor fiamma si geme
L’aguato del caval che fe’ Ja porta
Ond’ uscì de’ Romani il gentil seme.
61 Piangevisi entro l'arte per che morta
Deidamia ancor si duol d'Achille;
tormento, Il corno della fiamma ove ge-
mo Ulisse è maggiore, perchè Diomede
più violento partecipò a talone delle
trame di quello; ma Ulisse, che da Vir-
gillo è pur chiamato dirus e saerue, ordiva
le trame: o altre no ha di ane proprio, co-
me la morte di Palamede(Virg. Aen.11),
è l'inganno con cui scoperso Achille, vo-
stito da donna, elo tolse all'amore di Dei-
damia per condurlo alla guerra; » Tom.
La rer UDIRTI: dopo aver ndito lo
60. ERO Avviso: lat. mihi visum
erat; m°' era già immaginato.
62. Diviso: « Ecce itornm fratres : pri-
mos ut contigit artus Ignia edax, tre-
muere rogi, st novus advena bustis Pel-
liter; exundant diviso vortice fammm,
Alternoaqne apices abropia Ince corn-
scant; » Stat. he. XII, 429 © seg. -
* Scinditor in partes, geminoque caco-
minm sorgit, Thebanos iuritata rogos; »
Lucan. Phars. I, 561 0 weg.
53. pt ROFRA: fn cima, - IRA : rogo.
bi. rratEL: Polinice. Fratelli gemelli,
di Edipo e di Gircasta, Costrinsoro
ad esilinre da Tebe, onde questi li
lo loro nimicizia eter-
na (Apollod. 111, 5,9, Paws. TX,5).Iduo
ni accordarono di regnare cinsen-
no alla ma volta durante on anno, ma
soorso il pene anno, Etedcle non volle
cedere il al fratello (Apollod. III,
6.1. Pane. 5. Eurip. Phen., 71).
ai recò era nell'Argolide, vi
nposò Argin Gglia del re Adrasto, ritornò
con cinquo re Argivi nd asaediar Tebo,
s'incontrò col fratello e si uccisero l'on
l'altro. Posti i cadaveri anllo stesso rogo,
la finmma si divise in due, Cfr. Diod. Sic.
IV, 6,7, Hurip, Pan., 55-80 a 1968-1439.
Stat. l'heb, XII, 429 6 seg. — MIRO: mosso,
posto, collocato. Miso per messo nsarono
gliantichi ancho in prosa ; cfr. Nannue.
Verbi, 301 nt, 7. Voci, 57 è sog.
67, VENDRITA : divina; alla pena. - AL-
L'ira: divina, Forono uniti a provocare
l'ira di Dio, sono uniti ad esporimentarno
gli effetti, Al. intendono della propria
ira dei duo, n sfogaro la quale corsero
insieme, - « Vanno insieme alla pena, co-
mo insieme corsero alla colpa, poichò In
venidetta divina non divide coloro che da
ira dolorosa furono congiunti a danno al-
trui; » Moss.
58,81 GKME: si pinnge. « Amyci casum
gemit;» Virg. den, I, 221,
59. cAVAL: di legno, por coi | Greci
entrarono in Trojan ed Enoa co’ anol com-
pagni no nscì per recarsi poi nel Lazio è
fondarvi Roma; cfr. Virg. Aen. IT. Dante
sembra supporre, ciò che Virgilio non
dice, che Enea uscisso da Troja per la
medesima apertura per la quale fu intro-
fotto il envallodi legno, Comunqno rinsi,
l'astozia del cavalle di logno fu la causa
che Enon lasciò 'Trnjn o venno in Italia.
62. Dreibamila : figlin di Licomede ra
di Seiro, sposa di Achille, che grazie alle
astuzie di Uliaso e Diomede, la abban-
donò per prender parto alla guerra di
Troja. Cfr. Purg. XXIT, 114.
256 [cERc. 8. BOLG. 6]
Inv. xxvi. 63-70
[ULISSE E DIOMEDL]
E del Palladio pena vi si porta. »
64 « 5S’ ci posson dentro da quelle faville
Parlar, » diss’ io, « maestro, assai ten priego
E ripriego, che il priego vaglia mille,
67 Che non mi facci dell'attender niego,
Fin che la fiamma cornuta qua yegna;
Vac
70 Ed egli a
Di molti
Ma fa'c
73 Lascia pa
Ciò che
Perch’ ¢
70 Poi che la
61, Patcamo; IaXXd
Pallade Atona conservati
cui custodia si credeva Che weno
la salute della città, rapita poi cou astu-
ziu da Ulisso 0 Diowodo; cfr. Quinta
Smyrn. X, $65 0 sey. Viry. Aen. 11, 165
© seg.
66. RIVRIEGO: lat. etiam atque etiam
rogo. Al. PRKGO — RIURKGO - NKGO: cfr.
4. F., 162. - VaGLia: mi vaglia pressu te
pur mille prieghi.
67. NIK00: negativa; che non wi nieghi
di aspettare.
69. veni: como tu vedi il gran dosi-
derio di udirla purlaro mi spinge a pie-
garmi verso quella fisinma. Dai versi
seguonti risalta che Dante aveva il de-
siderio di interrogaro Ulisse sullo ultime
suo vicende.
70. bkGNA: porchd nata dal natural
desiderio; di sapero; Conv. 1, 1.
72. 31 BOSTEGNA: si astouga dal par-
laro; = tacl.
73. 10 CONCKTTO : bo già compreso ciò
che tu desideri da loro.
74. SCHIVI: sdegnerebboro per avven-
tura di ascoltarti o di rispondorti. Cau-
saf Perch’ ei ftir Greci! « Li como Greci
superbi, 0 como nomici della città da cui
sorse l'impero cho il Ghibollino vaghog-
gia; > Z'om. Ma ullora avrebbero dato
multo meno ascolto a Virgilio, non Groce
e cantore por l'appunto di quell'imporo.
Ott., Benv., An. l'ior., ecc.: Perchò Vir-
gilio sapeva di Greco, Dante no. Ma Vir-
gilio parlò lombardo, nun greco; cfr. Inf,
A
i piego, »
sra è degna
ccetto;
jstegna.
soncetto
ber schivi,
| tuo detto, »
rivi
0, 21, Lam.: « EI furono per
rande stato nel mondo, forse
DETTE vad dgorobbono ta, però che nial
non cebbono ragione alenna d'esserti ilo
mnestici; ma fo cho scrissi nol ado volumo
di lovo morital por quello sus amista-
do. » Interpretazione confermata delle
parolo cho Virgilio dirige ai due Greci,
v. 79 o seg. - Serrav.: « Inti erant obii-
gati Virgilio, quia ipsoscripsoratdoipsis,
ot dodorituls porpotunam Canam. »- Vent :
« perchè, siccome greci dotti ed altiori
avrobbero forse sdognato di rispondero
e suldisfare all’ interrogazioni fatte da
Dante, uomo allora nd por letteratura
nè per altro pregio famoso. » Così pure
Lomb. e parecchi altri moderni.
V. 76-142, Viaggyi 0 morte di Ulisse.
Avendo indovinato l'ardeute desiderio
di Dunto, Virgilio scongiura l'ombra di
Ulisse, nascoata dentro dalla fiamma, di
narrare la storia della sua morte. Segue
quindi il relativo racconto, diverso assal
dalla tradizione omerica; cfr. Mom. Od.
XI, 121 © seg. Sembra che Dante attin-
gesso ad un'altra tradizione, accettata
da Tlinto e da Solino ed accennata già
noll’ Odissea (XI, 119 è n0g.), secondo la
qualo Ulisso intrapreso un secondo viag-
gio o fondò la città di Lisbona, detta per
ciò Olissipo. I particolari poi del viaggio
o della misera fine di Ulisse sono proba-
bilnonte propria invenzione del Poeta.
Cfr. Buanc, Versuch, 241 e seg. Griox
nel Propugnatore ITT, 1(1870), p. 670 neg.
Sopra alcune jdeo moderno cir. Guazia-
(CERO. 8. BOLG. 8]
[ULISSE] 257
INF. xxvi. 77-94
Dove parve al mio Duca tempo e loco,
In questa forma lui parlare audivi:
« O voi che siete duo dentro ad un foco,
70
S’ io meritai di voi mentre ch’ io vissi,
S’ io meritai di voi assai o poco
82 Quando nel mondo gli alti versi scrissi,
Non vi movete; ma l’un di voi dica
Dove per lui perduto a morir gissi. »
85 Lo maggior corno della fiamma antica
Cominciò a crollarsi mormorando,
Pur come quella cui vento affatica.
88 Indi Ja cima qua e là menando,
Come fosse la lingua che parlasse,
Gittò voce di fuori, e disse: « Quando
91 Mi diparti’ da Circe, che sottrasse
Me più d’un anno là presso a Gaeta,
Prima che sì Enea la nominasse;
D Né dolcezza di figlio, né la piéta
wi, Allegoria, 238 o seg. Porta, Nuovo
erperimento, 131 e seg. Com. Lips. T,305
© sag.
7 nove: bastantemento vicina,
78. aupivi: ndii; forma antica del-
l'uso. Ofr. Nannue. Verbi, 161 © sog.
81. MERITA: mi noqnistai qualche mo-
rito appo voi. È li Virgiliano: « Si bene
quid de te merni; » Aen, IV, 217.
roco: « loquitur verecunds, cum ta
mon maltam merwerit;» Bene, « Non
sempre Virgilio parla odiosamente di lo-
tw; ad ogni modo li reac immortali ; » Tom.
82. vener: l'Eneide, dotta altrove alta
tragedia, XX, 119. Il Tasso: « Credo io
che Virgilio inganni qui Ulisse fingendo
di essero Omero. » Ma Virgilio non parlò
greco, parlò lombardo ; XXVII, 20, 21,
LE ne onda nor neo.
inettera e.ju
smarritosi, ands & finire {aol giorni.
85. MAGGIOR : Ulisse, più famoso di Dio-
mede, — ANTICA : | due si trovavano là da
RO, cROLLANSI: « qui lingua latens, in-
terins primo movebator sed non videba-
tor, et faclebat unum confasum sonum ; »
BT. APPATICA : agita 6 combatte ; come
ss sofliando © risoffiando la affaticasse.
17, — Div. Comm., 39 odiz.
*« Aquilonibus Querceta Gargani labo-
rant;» JIorat. Od. II, 9, 6 o sog.
91. Circe: Klpxy, figlia dol Sole è di
Persa, la famosa maga, presso la quale
Ulisse si fermò on anno intiero ; ofr. Hom,
Od. X,210680g. Virg. Aen, VIL, 10 0s0g.
Iorat, Epod, XVII, Mioaog. Murg. XIV,
42. - sotTRA8SE: mi cold, ml nascose.
92, LA: presso il monte Cirosio, tra
Gaeta o Capo d' Anzio.
03. riima: Enea la chiamò Gaeta dalla
ana nudrice Caieta, quivi morta e sepolta,
« Tu quoque litoribus nostria, Zneia nu-
tria, Aternam moriens famam, Caleta,
dedisti; Etnune servat hbonos sedem tuus
oasaque nomen Hesperia in magna, siqua
ost ea gloria, signant; » Virg. Aen. VII,
lescg.
Di. DOLCEZZA : il desidorio di acqaistar
esperienza del mondo la vinse sui tre più
forti affetti di natura: amor filiale, amor
conjugale, amor paterno. « Nec mibi iam
patriam antiquam spes nlla videndi Neo
dulcis natua exoptatumqune parentem ; >
Virg. Aen. 11, 137 osog. Cfr, ibid, IV, 82.
Secondo ln tradizione omerica Ulisse rim-
patriò, ma lasciò poi di nuovo Itaca per
intraprendere nuovi viaggi; cfr. Hom.
Od. XI, 119 6 seg. - rita: la pietà.
« Quid ost pietas, nisi voluntas grata in
parontes!» Cicer. pro Plancio,
258 [CERC. 8. noLa. 8) INF. xxvi. 95-109
[ULISSE]
Del vecchio padre, né il debito amore
Lo qual dovea Penelope far lieta
07 Vincer potér dentro da me l’ardore
Ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto,
E degli vizj umani e del valore;
100 Ma misi me pér l'alto mare aperto
Sol con u' *--na 6 con quella compagna
Picciola |
103 L’un lito e
Fin nel ]
E l'altre
106 Io e 1 com)
Quando
Ov’ Ere
109 Acciò che
95. manto: la pietà
paterno sono naturali ;
è un dovere. « Magis
postea uxorl inclivamu. ,
00. LIikTA: « licto vivono lo qun-,
quando vivono con li loro mariti; » Buti.
- « Pone tre amori: uno, che scendp in
giù, che è del padre verso il tigliuolo, ed
uno, che monta in su, che è quello del
figliuolo verso il padre, ed un altro, cho
va pari, che è quello del marito verso
la moglie; » Cast.
97. L'ARDORE: l'ardente brama di co-
noscere per propria esperienza il mundo,
gli uomini, i loro vizj e lv loro virtà.
100. MARK: il Mediterranvo, più aper-
to, cioè più spazioso del mare Jonio; cfr.
Virg. Georg. IV, 527 © seg. « Quoris,
Ulysses ubi erraverit, potius quam efti-
cias, ne n08 semper erremus? Non vacat
andire utrum inter Italiam et Siciliam
factatus sit, an extra notum nobis or-
bem; » Senec. Ep. LKXXVIII, 6 e sog.
- <«Illud etiam scriptum fuit.... Utrum
in interiore mari Ulixes erraverit jurta
Aristarcum, aut iu extoriore justa Cra-
tetem; » Gell. Noct. Att. XIV, 6. Con-
fronta Tibull. IV, 1. Zustat. in Odys.
XI, 134.
101. COMVAGNA: compagnia; forma an-
tica usitatissima; confr. Purg. III, 4;
XXIII, 127. « Compagna significava
presso degli Antichi propriamente l' a-
dunanza di quei soldati che taglieggia-
vano e ponevano iu contribuzione i pac-
si. E poi per traslato passò a signiti-
E o
"0.
aoa,
iardi,
bagna.
tardi,
di,
metta.
Imquo compagnia; » Nannue,
sunto: nbbandonato. Non co
lu tradizione omerica che di se-
erza mano, Dante suppone che
Ulisse non fosse mal abbandonato da
tutti i anol compagni,
103. L'UN: l'Europeo. - L'ALTRO: l'Af-
fricano. - INFIN: dall'una parte tin nella
Spagna, dall'altra sino a Marocco.
104. Monnocco: forina antica. Al. Ma-
ROCCO, forina moderna. - L'ISOLA : Sar-
degna.
105. ALTRK: isole; Corsica, Sicilia, le
Baleari, ecc.
106. viccui: erano in età avanzata
quando intrapresero il viaggio, ed inol-
tre vuol forse accennare che impiega-
rono più anni nel viuggio sul Mediter-
raneo. «Steterantenim per viginti annos,
decem in bello troiano et decem in pere-
grivatione ; » Benv.- « Lungo tempo met-
temmo in cercare questi luoghi medite-
ranel, sicchè già eravamo vecchi di eta e
tardi nell'operar nostro; » Barg. - « Pre-
suppone che passassero molti anni in cer-
care che fecero i liti e l'isole del mare
mediterragno; » Cast.- TARDI: negli atti,
per effetto dell'età attempata. Al.: tardi
d'anni. Ma l'esser vecchio e tardo d’anni
è lo stesso.
107. FOCE: lo stretto di Gibilterra.
108. RIGUARDI: segni; le colonne d'Er-
cole: Calpe in Europa, Abila in Affrica,
col Nec plus ultra, avviso al naviganti,
di non avanzarsi più oltre.
Wan
(CERC, 8. nOLG. 8]
Inv. xxvr. 110-126
[ULISSE] 259
Dalla man destra mi lasciai Sibilia,
Dall’ altra già m’ avea lasciata Setta.
112 “ (© frati ,, dissi, ‘“ che per cento milia
Perigli siete giunti all’ occidente,
A questa tanto picciola vigilia
115 De’ vostri sensi, ch'è del rimanente,
Non vogliate negar |’ esperienza,
Diretro al sol, del mondo senza gente,
118 Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e conoscenza. ,,
121 Li miei compagni fec’ io sì acuti,
Con questa orazion picciola, al cammino,
Che appena poscia gli avrei ritenuti.
1% E, vòlta nostra poppa nel mattino,
De’ remi facemmo ale al folle volo
Sempre acquistando dal lato mancino.
— Smt: Siviglia; confr. Inf. XX,
Ult. Serra: la Septa doi Romani, oggi
Conta, città n fortorza d'Africa, dirim-
potto n Gibilterra. Dire che nvova già
lasciato Setta prima di Insciare Siviglia,
perchè Setta è memo occidentalo.
112. rratt: fratelli; qui por Compa-
gui. Cfr. Virg. Aen, I, 198 0 seg. Lucan,
Phara, I, 200 © sog. Morat, Od. 1,7, 26
è eg. — MILIA: lat, millia; forma antica;
ogg! mila. Cfr. Nannue. Verbi, 875 nt. 1.
Diez, Gram. 11%, 450.
113. ALL'OCCIDRNTE: all'estremità oc-
ceidentale del mondo allora conoaciuto.
«E quanto all'età loro, chè erano già
vecchi; » Vell.
14, ricinia: il poco vivere che an-
cora vi meet In vita sensitiva; confr.
Conv. II, 2.
115. com'è DEI. RIMANENTR: che ancor
vi rimano; qua de reliquo est. Al.: on'è
Di mimaNENTE:; cfr. Z, F., 163, BLaxc,
Vermuch, 241.
117. DIRETRO: seguitando il Sole; pro-
cadendo da orionto ad occidente. Ml
eres SH pate. Benv.: « nil
alind bemisperinm inforina, ad quod sol
nocodit quando recedit a nobis. » - 6RNZA
d'acqua,
BEMENZA : la dignità dell' umana
natura; cfr. Conv, III, 2, Al,:
che Groci vol siete, »
120. cONORCRNZA : sclenza, cho 4 « ]'ul-
tima perfosiono dolla nostra anima nolln
quale sta ln nostra ultima foliciti; »
Cono, I, 1. « Homo, cum in honore es-
sot, non intellexit: comparatua est in-
mentis insipientibua, ot similis fetus
eat illia; » Peal, XLVITI, 21.
121. AcUTI: invogliati, bramosi di con-
tinnaro il viaggio.
124. NEL MATTINO : a levante; dunque
la prora a ponente, viaggiando verso oo-
cidento, come ha detto v. 117. « Il Poeta
accenna la dirozione della poppa, anzichè
della prora, sapendo quel che si lascia,
ed ignorando in quali lwoghi snrà por es-
ser condotto dalla fortuna; » Di Siena.
125, ALE: movemmo i remi velocemen-
te come ali al volo, Virg, Aen, III, 520:
« Temptamusqne viam et velorum pan-
dimus alas.» Proper. 1V,6: « Classis cen-
tenia remigiet alia. » — AL FOLLE VOLO:
allo sconsigliato viaggio. Folle perchè
ebbe esito infelice; volo per aver chia-
mato ale | remi, Cfr. Par. XXVII, 83
120, ACQUISTANDO : plogando sempre a
sinistra, dalla parte del polo nntartico.
«Tl Poeta facendo giungere Ulisse alle
viste del monte del Purgatorio, sopposto
sotto il meridiano di Gerusalemme, biso-
gnava sempro tener Ja sinistra, chi mo-
vesse da Gibilterra, cioè appoggiar sem-
« Pensato
ee,
260 [CERC. 8. ROLG. 8} INF. xxvr. 127-189
[ULISSE]
127 Tutte le stelle già dell'altro polo
Vedea la notte, e il nostro tanto basso
Che non surgeva fuor del marin suolo.
130 Cinque volte racceso, e tante casso .
Lo lume era di sotto dalla luna,
Poi ch’ entrati eravam nell’ alto passo,
183 Quando n’ apparve una montagna bruna
Per la distanza, e parvemi alta tanto
Quanto veduta non avea alcuna.
136 Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
Ché della nuova terra un turbo nacque,
E percosse del legno il primo canto.
139 Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque,
pre a levante, quanto comportavano le
coste ocidentali dell'Africa, por rigua-
dagnar la distanza che separa le colonne
a’ Ercole da Gerusalemme. E così viene
a dirci anco la direzione di ostro levante,
che dovevano aver quelle coste, acciuo-
chè, secondandole, si avanzasse sempre
a mancina. (Juante cose in un versu! »
Antonelli.
127. ALTHO L'OLO: antartico.
128. VEDKA: iv: - LA NOTTE: di notte.
Al.: la notte vedea. - NOSTRO: il polo ar-
tico era sceso tanto che non sorgeva più
fuori del mare nò più si vedeva. Erano
pertanto arrivati all'Equatore. - « Viene
a dirci con mirabile esattezza ustrono-
imica, che Ulisse era giunto alla linea
equinoziale, cioò all’ Equatoro; ove al-
cuno trovandosi, avrebbe ambeduo i poli
della efera sull'orizzonte. Così ci descrive
lo parvenze astronomiche, che dovrebbe
incontrare chi da’ nostri passi s' indiriz-
zasse agli antipodi nostri, in virtù di
quella situazione dolla sfera che appel-
lasi retta; » Antonelli.
129. suoLO: la superficie del mare.
130. RACCKSO : cinque volte erasi fatto
il plenilunio, e cinque il novilunio ; erano
cioè trascorsi già cinque mesi dacchè,
partendo da Gades, eravamo entrati nel-
l'oceano. - CASSO : cussato, mancato.
131. DI 80170: « a denotare i cinque
mesi di navigazione d'Ulisse dopo uscito
dal nostro mare, ricorre alla fase del ple-
nilunio; e, da vero astronomo, acconna
alla parte lunaro ovo ha luogo il raccen-
dimento, cioò lu parte che il nostro Sa-
tellite tion sempre volta alla terra. Senza
tale determinazione non poteva stare
l’imagine del riaccendersi, giacchè ri-
apetto al Sole che sempre la illumina,
la luna è sempre accesa, tranne i casi
d' ecoliasi lunare; » Antonelli.
132. passo: « confr. Inf. XII, 126;»
Betti (1).
133. MONTAGNA: Î più intendono di
quella ove Dante colloca il Purgatorio.
Altri di una montagna dell'Atlantico,
menzionata da Platone e dai geografi
autichi. Altri di una montagua sempli-
cemonte tinta dal Poeta. Cfr. Dki.a VAL-
LE, Senso, 16 © seg. Suppl., 28 © seg. -
BRUNA: ci appariva oscura a motivo della
gran distanza; cfr. Virg. den. III, 2050
seg., 521 e seg.
134. ALTA: cfr. Purg. IIT, 14 © seg.;
IV, 40 © sog., 85 © seg., ecc.
136. CI ALLEGRAMMO: < sicut cst de ma-
re, quod terra primo viso prestat lieti-
tiam marinariis, qui din navigaverunt; »
Benv. - TORNÒ: la nostra allegrozza.
137. NUOVA: scoperta recentemente. -
TURBO: turbine, sibito vento impetuoso
e vorticoso; cfr. Inf. TIT, 30, 133.
138. CANTO: la prora della nave. « Fran-
guntur remi, tum prora avertit et nudis
Dat latus; » Virg. Aen. I, 104.
139. cox TUTTK: la violenza del tur-
bine fu tale, che esso non pur foce gi-
rar tre volte la nave, mao le acque in
modo da generaro un vortice. « Ingens a
vertice pontus In puppim forit : oxcutitur
pronusque magister Volvitur in caput,
ast illam tor fiectus ibidom Torguet
ugens circum ot .rapidus vorat iwquore
vortex; » Virg. den. I, 114 oseg.
[cERO. 8. BOLG. 8) INF. xxvi. 140-142 -
XXVII, 14 [FRODOLENTI] 261
Alla quarta levar la poppa in suso,
E la prora ire in giù, com’ altrui piacque,
142 Infin che il mar fu sopra noi richiuso. »
140, ALLA QUARTA: alla qnarta volta.
- LevaR: la quarta volta il turbine foce
lovar la poppa in su e fe'ire In prora
In giù nel 3 pratenia delle neque.
141, ALTRUI: a Dio, il quale non voole
che uom vivo ponga il pid nel regno della
morta gente; confr. Purg. I, 131 e seg.
Ulisse pagano non profferisce per rive-
renza il nome di Dio; il cristiano Vanni
Fucci lo profferisco irriverentemente, ag-
giungendovi le fiche; cfr. Inf. XXV,le
seguenti.
CANTO VENTESIMOSETTIMO
CERCHIO OTTAVO
ROLGIA OTTAVA: CONSIGLIERI FRODOLENTI
GUIDO DA MONTEFELTRO
Già era dritta in su la fiamma e queta
Per non dir più, e già da noi sen gia
Con la licenza del dolce poeta,
i Quando un’altra, che dietro a lei venia,
Ne fece volger gli occhi alla sua cima
Per un confuso suon che fuor n’ uscia.
Vv. 1-30. Guida da Montefeltro, Ap-
iena Ulisse ha terminato il sno racconto,
ed ecco uscire da nn' altra finmma una
Toce che dimanda di Romagna. (nella
fiamma invola Guido da Montefeltro, no-
mo d'armi, « il più sagaco e più sottile
tomo che a quei tempi fosse in Italia; »
Vill. VII, 80. Fu capitano doi Ghibel-
Uni di ‘Romagna nel 1274, Vill. VII, 44.
Murat. Script. XXII, 137. Scontiaso |
Goolf è nel 1275 al ponte a
San Procola; verso il 1285 si riconciliò
nola Chiesa, Nel 1280 fu eletto capitano
del Pisani, s'inimicò di nuovo col papa
6 difese Pisa con erolco valore. Si fece
Francescano nel 1206 e morì nel 1208.
Cir. v. 67 nt.
1. QUETA: avendo cessato di parlare.
Parlando si crollava, Inf. XXVI, 86 ©
Reg.; il quetarsi ora l'effetto del tacere,
Avendo risposto pienamente alla diman-
da di Virgilio, Ulisse non aveva più che
dire, nd Virgilio dimandò oltre.
3. nickenza: quosta liconza non è an-
corn menzionata ; si menziona più sotto,
verso 21],
5. Nk From: ofr, Inf. VIIT, 3, 4.
6. ren: a motivo di un sono confuso,
La voce nmana delle ombre rinchiuse
nelle fiamme è sulle prime simile al mor-
262 [CERC. 8. BOLG. 8) Inv. xxvii. 7-21 [GUIDO DA MONTEFELTRO]
7 Come il bue cicilian che mugghiò prima
‘Col pianto di colui, e ciò fu dritto
Che l’avea temperato con sua lima,
206 Mugghiavaconla voce dell’afllitto,
Sì che, con tutto ch’ e’ fosse di rame,
Pure e’ pareva dal dolor trafitto:
1s ‘Così per non aver via né forame
Dal principio del fuoco, in suo linguaggio
Si convertivan le parole grame.
16 Ma poscia ch’ ebber colto lor viaggio
Su per la punta, dandole quel guizzo
Che dato avea la lingua in lor passaggio,
19 Udimmo dire: « O tu, a cui io drizzo
La voce, e che parlavi mo’ lombardo,
Dicendo: “ Issa ten va, più non t'adizzo:,,
morìo delle fiamme agitate dal vento;
quindi, subito che il moto delia Nagua
umana ei è comunicato alla punta della
fiamma, quel mormorio si converte in
parole articolato.
7. uux: il toro di rame costruito da
Perillo d’Atene e regalato a Falaride
tiranno di Agrigenti in Sicilia, o Cicilia,
come dicevano gli antichi. Era costrutto
in modo, che, essendo arroventato, le
grida degl' infelici, postivi dentro ad es-
sere arrostiti, si convertivano in mnug-
giti di toro vivente. Falaride vi fece en-
trare primo Perillo stesso a farne l’espe-
rienza, onde ii toro magghid la prima
volta, © bon a diritto, ool pianto di co'ul
che lo avova costruito coll’ arto sua; ofr.
Plin. XXXIV, 8. Val. Maz. Memorabil.,
1. IX, 0. 2. Cicer. in Verr., 5.
8 FU DRITTO: fa giusto; gli stette be-
ne. « Neque enim lex wquior ulla, Quam
necis artifices arte perire sua; » Ovid.
Art. am. I, 655 e seg.
10. muaanmiava: Porillo a Falarido:
« Protinus inclusum lentis carbonibus
nre: Magiet, et veri vox erit illa bu-
vis; » Ovid. Trist. XI, LIT, 47 © seg.
11. r': il bue. Al. xt, troncamento di
ello = egli.
13. via: onde asciro.
1d. DAL rRixcirio: dall' elemento del
faoco; Land., Vell., Dan., Ces., eco. Da
principio che proferivansi dall'anima;
Biag., De Rom., eco. Dalla cima, o lin-
gua; Tom. Là dove prima le parole in-
contravano il fuoco (f); Greg. Al. leggo-
RO: DAL PRINCIFIO NEL FUOCO ==codì le
| parole grame
fuoco via nè forame, ei convertivano nel
linguaggio di esso fuoco, - interpretaz.
che trova appoggio nel v. 16. Ma la le-
zione NKI. FUOCO è troppo sprovvista di
autorità. «< Non avendo le parole del dan-
nato nd via, nè foro per uscire, piglia-
vano dal principio, dalla sommità, della
fiamma la forma del suo linguaggio, ciod
del mormorio ch’ essa suol fare agitata
dal vento; » L. Vent. - « Le parole del-
l’anima che era racchiusa in questa fam-
ma, non trovando alcuna uscita nel fuoco,
parvero, snlle prime, muggiti; » Pass.
15. GRAMK: mesto, dolonti.
16. coLTo: trovato la loro via su por
la punta della flamma, fimprimondole
quel guizzo datole dalla lingua umana
nel pruferirle.
20. MO’: or’ ora. - LOMUARDO: tale ee-
sendo Virgilio ed avendo usato il lom-
bardismo isea per adesso ; cfr. Inf. I, 68.
Al. prendono lombardo per italiano. Par-
lò Virgilio italiano con Ulissef < La dif-
ferenza tra’ dialetti italiani è radicata
nell'antichità, per avventura più cho
spesso non si crede; » Filal.
21. 169A: ora, adosso; clr. Taf. XXIII,
7. Purg. XXIV, 55. Encicl., 1085 e aog.
Assuefatti sin dall'infanzia a udir sem-
pre diro issa per ora, adesso, mal sap-
piamo comprendere le dispute sa questo
verso. Il senso è chiaro. Virgilio aveva
detto ad Ulisse: Vattene ora, chè non ti
stimolo più a parlaro. Viv. dice che isea
(CERC. 8, BOLO. 8]
INF. xxvil. 22-38 (ROMAGNA NEL 1300] 263
2 Perch’ io sia giunto forse alquanto tardo,
Non t’ incresca restare a parlar meco,
Vedi che non incresce a me, ed ardo.
25 Se tu pur mo’ in questo mondo cieco
Caduto sei di quella dolce terra
Latina, onde mia colpa tutta reco;
28 Dimmi se i Romagnuoli han pace o guerra;
Ch’ io fui de’ monti là intra Urbino
E il giogo di che Tever si disserra. »
at Io era in giuso ancor attento e chino,
Quando il mio duca mi tentò di costa,
Dicendo: « Parla tu; questi è latino. »
uM Ed io, che avea già pronta la risposta
Senza indugio a parlare incominciai :
« O anima che se’ laggii nascosta,
7 Romagna tua non 4, e non fu mai
Senza guerra ne’ cor’ de’ suoi tiranni,
ton è lombardo. Milanese no, lombardo
ti; secondo il Buti anche Incoheas; se-
condo il Cast. anche napoletano, Cfr. 7.
F., 103-66. Buanc, Verewch I, 244 6 sog.
Moonr, Orit., 338 è seg.-T' apizzo: ti
teclta, stimolo a parlare, Al: T'AI2ZO.
23. RESTARE: al,; DI STARE: di fermarti.
2. anvo: benchè io bruci in questa
fiamma. « Crucior in hac fiamma; » 8.
Inca XVI, 24.
25. rur Mo’: pur ora; ofr. Inf. X, 21;
XXIII, 28; XXXIII, 130. Purg. VIII,
28; XXI, 68. Crede di parlare ad nno
spirito che arriva dal mondo de' viventi
è so ne vada più giù nel basso inferno.
- arco: ofr. Inf. IV, 13; X, 58, ecc
27. LATINA: italiana. Altri intendono
del Lazio. Si parla forse nel Lazio lom-
bardo (v. 20)? - TUTTA: nulla essendomi
giovato il pentimento, nulla la confes-
sione (v. 83), nulla l'assolazione papale
tr. 100 è seg.), perchè ricaduto nel voc-
chio vizio
29, cm’ to Fut: ti chiedo nnove de' Ro-
magnuoli perchè Romagnuolo foi io. -
intra Unmixo: tra Urbino e le sorgenti
del Tevere, che scatnrisco appiò del Mon-
to Coronaro, è situnta In città o conten
di , posta sopra nn monto.
30. aloo: dell' Appennino. - 81 DIB-
ARMRA: scaturisce.
V, 31-54, La Romagna nel 1300
Esortato da Virgilio a rispondere Ini,
Dante espone all'ombra del Montefol-
trano lo stato di cose nella Romagna.
Guerre palesi non ve ne sono attnal-
mente, ma covano sotto, come di solito
in quelle regioni. Parla di Ravenna, di
Forlì, dei Malatesta, di Maghinardo Fa-
gano da Susinana, e di Cesena. In pochi
versi un quadro magistrale della Ro-
magna all’ epoca della visione.
BI. IN GIUSO: verso la sottostante bol-
gin; Inf. XXVI, 43 © sog.
#2, TENTO: toccò col gomito legger-
monte nel fianco; cfr. Inf. XII, 67. -
« Nonne vides, nliquis cobito stantem
prope tangens Inqitiet; » Horat. Sat.
II, 6, 42.
83, LATINO: ilaliano,
MA. 'RONTA : nppena ndita la dimanda,
v. 28, aveva subito pensato alle condizio-
ni della Romagna, quindi alla risposta.
36. LAGGIÙ: sotto il ponte della bolgia.
- NASCOSTA: nella flamma,
87. TUA: patria. Secondo alcuni la dice
tua perchè Guido da Montefeltro fu capo
della lega do’ Lambertazzi. Ma Dante
non sa ancora con chi paria, cfr. v. 55
o seg.; quindi non pnò aver detto tua
in questo sonso. - r NON: Al. NÉ NON.
= MAT: « postquam cirpit habere tyran-
nos; » Nene.
38, Ne’ COR’: sempre ebbero ed hanno
guerra nel cuore, sempre si odiarono è
si odiano, In ogni città per lo meno doo
tad
264 [omRc. 8. BOLO. 8] “Tor. xxvir. 89-47
(ROMAGHA WEL 1000) ,
Ma palese nessuna or vi lasciai. ‘’
40 Ravenna sta coma stata è molti anni; —
L'aquila da Polenta la si cova
Sì che Cervia ricopre co’ quoi vanni.
“as La terra che fe’ già la lunga prova,
E di Franceschi sanguinoso mucchio,
Sotto le branche verdi si ritrova.
46 E ’1 Mastin vecchio e ’l nuovo da Verrucchio
Che fecer di Montagna il mal governo,
partiti: a Bolegna Lambertazzi è Goro-
mei; a Forlì Ordelalii è Calboli; a Imola
Alklosi e Nordolt; a Fuonza Zambrasi o
Manfredi; a Rimini Parciiali o Malato»
eta, © così via; ofr. Mural. Script. XXII,
140 © nog. Veramente nel 1200, opoca
della visione, guerre palesi nella Ro-
magna non c'erano. Ma u'erano gli alii,
c'erano le dissensioni cd inimicizie che
covavano sotto, onde il poeta dice che In
guerra è nei cuori, ma non palese.
40. MOLTI ANNI: venuta in potero del
signori di Polonta nel 1270, questi ne ri-
masero signori sino al 1441.
41. L'AQUILA: l'armo dei Poleutani era
un'aquila vormiglia in campo giallo. Si-
gnore di Ravenna era nel 1300 Guido No-
vello da Polenta, figlio di Ostasio e padro
di Francesca da Rimini, il qualo se n'era
insignorito nel 1275; cfr. Afurat. Script.
XIV, 1104; XXTI, 180, 163, 166. « Illi do
Polenta portant pro inaignio aquilar,
calus medietas est alba in campo az-
surro, et alia medietas et rubea, in
campo aureo; » Benv. - LA SI COVA: 86
la cova, so la tieno sotto ia sua prote-
sione, e cara, como la gallina le uova
che cova. Al. LÀ BI COVA = tiene colà il
suo nido. Il Betti: « Là ha messo così la
sua cova l'aquila da Polenta, cho rioo-
pre anche Cervia collo sno ali. »
42. Ckuvia : borgata a inezzogiorno di
Ravonna, sulia costa clell'Adriatico, im-
portante nel medio evo per la prodazione
del sale, sotto la giurlulizione dei Po-
lentani; cfr. Murat. Script. XXII, 161.
- VANNI: ale.
43. TKRRA : Forlì, della quale poco pri-
ma del 1300 s'insignorirono gli Orde-
lafi; ofr. Murat. Script. XIV,116.-ruo-
Va: sostenne il lungo assedio nel 1282,
quando Martino IV papa spedì contro i
gbibellini della Romagna un eeercito di
francesi ed italiani comandato da Gio-
vanni d’Appia e pienamente sconfitto
da Guido da Montefkltro; ofr. Murat.
Sorigt. XXII, 140 o rseg.; XIV, 1105.
Vil. VIT, 80 0 nog. O. Itioo:, Fi sangei-
novo mucchio (Ketratte dal Giornale Let-
tere e Arti, N. 40-58, anno II).
44. MUCCHIO: « nam.... comes Johan-
nes habuit in iste prolio circa octingen-
tos equites, de quibue facta est miseranda
atrages; » Bene. - < Dante fingendo di
ricordare quel fatto a Guido da Mente-
feltro, motte ne’ versi suoi un senso di
complimento e d'ammirazione che valo
una lusinga por l’anima del celebre ca-
pitano chiusa dentro la fiamma; >» Iicci,
I. 0., 6. Come poteva Danto far questo,
se non sapeva ancora quale anima fosse
chiusa dentro la fiammat La stessa do-
manda vale puro in merito alle altro
particolarità cho Il Iticci crede di avere
scoperte in questi verai.
45. BRANCHE VERDI: gli Ordelaffi por-
tavano per insegna « leonem irridum a
medio supra in campo aureo, cum qui-
busdam listis a medio infra, quarum tres
sunt virides, ot tres aurea; » Benv. Sin
dal 1206 era signore di Forlì Scarpetta
degli Ordelaff (cfr. Murat. Script. X1V,
116), piesso cui dicono che Dante ei fer-
masse noi primi anni del suo eeiglio in
qualità di sogretario.
46. MASTIN VKCCUIO: Malatesta da
Verrucchio, padre di Paolo e di Gian-
ciotto, fatto signore di Rimini nel 1296,
dopo osserne stati scacciati i ghibellini,
motto nel 1312. - nuovo: Malatestino,
figlio primogenito e successore di Ma-
latesta. - VERRUCCHIO: caatelio donato
dai Riminesi al padre del mastin vecchio,
ondo i Malatesta si ebboro poi il titolo.
47. MONTAGNA: «nobilis miles de Par-
citatis de Arimino, priuceps partis ghi-
belline; quem captum cum quibasdam
aliis Malatesta tradidit custodiendum
[CERC. 8. BOLO. 8]
INF. xxvit. 48-62
[CONVERSIONE] 265
. Là dove soglion, fan de’ denti succhio.
49 Le città di Lamone e di Santerno
Conduce il leoncel dal nido bianco,
Che muta parte dalla state al verno.
52 E quella a cui il Savio bagna il fianco,
Cosi com’ ella sie’ tra il piano e il monte,
Tra tirannia si vive e stato franco,
55 Or chi sei ti prego che ne conte.
Non esser duro più ch'altri sia stato,
Se il nome tuo nel mondo tenga fronte. »
58 Poscia che il foco alquanto ebbe rugghiato
Al modo suo, l’aguta punta mosse
Di qua, di là, e poi diè cotal fiato:
o « S'io credessi che mia risposta fosse
' A persona che mai tornasse al mondo,
Malatestino fillo. Posten petivit nb eo,
quid factam esset do Montagna. Cui iste
respondit: Domine, est sub fida custodia;
Ita quod si vellet se snffocare, non posset,
quamwis sit juxta mare, Et dum iterum
etiterum peteret, et replicarot, dixit: Cor-
te dobito quod nescies ipsum custodire.
Malatestinus, notato verbo, forit Mon-
tagnam mactari cum quibusdam aliis; »
Bene. Cfr. Murat. Script. XV, 8040 seg.
48. LA: a Rimini è nelle terre loro sog-
Rotte. - FAN: adoperano i denti come
sncchiello, dilaniando secondo il solito.
49. crrrA: Faenza, sol Lamone ed
Imola, presso il Santerno.
60, CONDUCE: governa. - LEONCKL: Ma-
ghinardo Pagano da Suninana, la eni ar-
me era wo leone azzurro in campo bianco,
Mori nel 1302. Cfr. Murat, Script. XIV,
1113. Vill. VII, 140.
51. muta: in Romagna ghibellino, in
Toscana guelfo, come raccontano Vill.,
,, e., Benv., Buti, ecc. - DALLA state: si
può intendere in senso geografico: state
= Toscana; verno = Romagna; così Lan.,
Bene., ecc. 0 in senso temporale= da una
Se ira, Pesi, An, Fior., eco.
62, queLLA: Cesons, bagnata dal fiu-
Savio.
63. sin’: siede; cfr. Wénnue. Verbi, 708.
* Come olla 4 situnta tra il monte ed il
Diano, così ancora parte vive sotto ti-
fannido, et parte libera; » Dan. Nel 1200
Cesona si reggeva In forma di libero co-
| mune, sd aveva ogni anno un nuovo po-
dlestà, non di rado due nello stesso anno.
Chi si rendeva sospetto di voglie tiran-
niche lo si discacciava. Cir. Murat. Seript.
XIV, 1121,
V. 65-84. Conversione nella rec-
chiaja. Avendorisposto pienamente alla
domanda di Guido, Dante, che non lo
connsce ancora, lo prega di manifestarsi.
Credendo di parlare nd nno spirito dan-
nato, Guide non caita di soddAlafarlo, rac-
contanilo come, già vecchio, si fosse riti-
rato dal mondo e convertitosi, e come la
conversione, benchè tarda, gli sarebbo
giovata, se il gran prete non lo avesso
sedotto e rimenato sull'abbandonata via
del peccato.
65. conte: conti, racconti; cfr. Nan-
nic. Verbi, 284 6 sog.
50. ALTRI: spiriti da me interrogati
quaggiù nell'inferno.
57. TENGA FRONTR: faccia contrasto
all'obllo; duri longamente.
58. RUGONIATO: fatto il solito romore
di quelle fiamme dimenando la punta
qua e là, segno della voce che doveva
uscire; cfr. v. 13-18; Inf. XXVI, 85-00.
60. mf: espresse cotali parole. « Lin-
guacque vix talea icto dedit mre voces; »
Ovid, Met. IX, 684.
61. Chenwsel: avvolti nelle fiamme
questi spiriti non ponno vedere, onde
Guido da Montefeltro non si accorge,
come sl nocorsero altri dannati (ofr. Inf.
VI, 40, 88; VII1,93; X, 68; XV, 24, 46;
XVI, 31; XVII, 67; XXIII, 88), cho
Dante è tuttor vivo, Questi versi auppon-
gono però cho glione nascesse fl sospetto.
266 [ORRO. 8. BOLG. 8] Inp, 330. 68-72
pala. A
Questa fiamma starla sensa più socsse;
PP Ma però che giammai di questo
fondo
Non tornò vivo alcun, s’i' odo il vero,
Senza tema d’infamia ti
rispondo.
67 Io fai uom d’arme, e poi fui cordigliero, .
Credendomi, sì cinto, fare ammenda;
E certo il creder mio veniva intero
70 Se non fosse il gran prete a cui mal prenda
Ohe mi rimise nelle prime colpe; —
E come e quare voglio che m’intenda.
63. FIÒ: oltre quelle e. 19
© seg.==non parierel di p
66. vivo: morti ai, colle i tempi di
Dante of credeva ad ad apparizioni di animo
dannate. - 0D0: da compagni che abita-
. ‘vano già da secoli quella bolgia in cui
Guido era piovuto de anni prima. ts
. 06. Tema: paura di procacclarmi
femia su nel mondo, confessando a te
le mie colpe. Pare che fossero poco note
nel mondo.
67. v'AKMR: guerriero. È questi, come
già dicemmo, il ghibellino Guido, conte
di Montefeltro, < invictus Capitaneus
Communia Forlivil, et generalis guerro
pro parte dicti Communis>(Murat.Seript.
XXII, 141). Lo dicono nato nel 1250 (ofr.
Arrivabene, Sec. di D., 861); ma se nel 1206
era già vecchio, v. 79 © seg., era nato pa-
reochi anni prima del 1250. Nel 1274 fa
fatto capitano dei Ghibellini o Lamber-
tazzi di Romagna (Murat. Script. XXII,
187). 11 13 giugno 1275 sconfisse al ponte
a San Procolo i Guelfl e Bolognesi (Vill.
VII, 48. Bfurat. Script. IX, 140, 718, 788;
XVIII, 125; XXII, 186, ecc.), edi nuovo
nel settembre dello stessu anno a Re-
versano (Murat., 1. co. XXII, 188), e a'im-
padroni di Cesena (2furat.,l o.XIV,1104).
Nel 1275 assediò e a’ impadronì di Bagna-
cavallo (Murat., 1.0. X XII, 139). Nel 1282
sconfisse Giovanni de Appia, detto Gian-
ni de’ Pa, presso Forlì (Murat., 1.0. XIV,
161, 162, 1105; XXII, 149 © seg. Vill.
VII, 81), ed occupò la Romagna « contra
volontatem Ecclesim » (Murat., |. 0. XI,
1294). Si riconciliò colla Chiesa nel 1288
(Murat., 1. o. XIV, 1106; XXII, 168), o,
secondo altri, nel 1286 (Vill. VII, 108), e
fu confinato ad Asti. Eletto dai Pisani a
loro capitano nel 1288 (Murat., 1. o. XI,
1297 e seg.), 0 1289 (Murat., Lo. XV, 980),
e ruppe i confini che avea per la Chiesa,
© parties! di Piemonte e venne a Pisa »
(Véll. VIL, 128), onde a’ inimicd di nuovo
cel papa, fi quale le scomunicò cen tutta
interdiase
«a sua famiglia od
Piea(Murat.,
1. 0. XV, 960). Wel 1206 difeso Pien contro
i Guelfi, «che l'arebbono avata, ce la
bontà del detto conte nou fuese che la
Hberd » beromphe elses end tz
Vial. VII, 128). Nol 1392
@ Urbino (Murat. XXII, kia che nel
1204 egli difese contro l' esercito di Ma-
latestino, podestà di Cesena (Afurat., |. c.
XIV, 1109). Nello stesso anno 1294 fu
scacciato da Pisa (Murat., 1. o. XI, 200;
XV, 983. Vill. VIII, 2) e si riconciliò di
nuovo colla Chiesa (Murat., |. c. XIV,
1110). Entrò nell'Ordine de' Francescani
nel 1206 (Hurat., 1. c., IX, 144, 748 e seg.;
XI, 189; XIV, 1114; XV, 983. Vi. VIII,
23) © morì nel 1298, alonni dicono a Ve-
nesia (Murat., |. o. XI, 189), altri ad An-
cona (Murat., 1. c. XIV, 1114), ed altri in
Assisi (Witte). Nel Conv. IV, 28 Dante lo
loda, qui lo condanna. Cfr. Encicl., 975
© seg. — CORDIGLIRRO : frate dell'ordine di
San Francesco. I francescani furono chia-
mati cordeliere dalla corda, onde anda-
vano cinti.
68. YARE AMMENDA: espiare le mie
colpe cignendomi del cordone di 8. Fran-
ceaco.
60. VENIVA INTERO: sarebbe stato in-
teramente attuato = avrei fatto peni-
tensa ed espiato le mie colpe.
70. rRETK: Bonifacio VIII, che gli
venga il malanno! Sulle relazioni tra
Guido e Bonifacio VIII cfr. Tosti, Stor.
di Bonif. VIII, II, 268 © seg.
71. nrIMISR: feco ricadere ne’ vecchi
saprai de' quali mi ero pentito; confr.
v. 88.
72. QUARR: latinismo, perchè; in qual
modo o per qual motivo.
[CERC. 8. BOLG. 8]
INF, xxvit. 78-89
[CONVERSIONE] 267
73 Mentre ch'io forma fui d’ossa e di polpe
Che la madre mi diè, l’opere mie
Non furon leonine, ma di volpe.
76 Gli accorgimenti e le coperte vie
Io seppi tutte; e sì menai lor arte,
Che al fine della terra il suono uscie.
70 Quando mi vidi giunto in quella parte
Di mia eta, dove ciascun dovrebbe
Calar le vele e raccoglier le sarte,
ke Ciò che pria mi piaceva allor m’increbbe,
E pentuto e confesso mi rendei;
Ahi miser lasso! e giovato sarebbe,
85 Lo principe de’ nuovi Farisei,
Avendo guerra presso a Laterano,
E non con Saracin’, né con Giudei;
88 Ché ciascun suo nimico era cristiano,
E nessuno era stato a vincer Acri,
72, 10: è l’anima cho parla. - FORMA :
qui nel senso soolnstico = informa il
corpo ricevnto dalla madre mia. Secondo
la scolastica l'anima umana è il principio
vo dol corpo.
75, m voLre: non d' nom forte, ma di
tome frodolento. Guido fu però uno dei
valenti del sno tempo; cfr.
Script. 1X, 718, 726, 741, 743, 600,,
XI, 188; XV, 981, ORB. Vill, VII, 44. Com.
Lips. T, 316.
o d'inganno e ne foci tal nso da rendermi
famoso in tutto il mondo,
78. AL FINK: Al, ALwing, clot: Che final-
monte In fama delle mic astuzio, do' mioi
maneggi, uscì delle provincio d'Italia.
Cfr. Z%. F., 168. — renna : latina; ofr. v. 26
è ang, - - vache: msc; ofr. {Aah
XI, 188. Salm. XVIIT,
TO. PARTR: quarta età den nomo ; ofr.
Conn, IV, 24.
81, CALAR: «la naturale morto è quasi
porto a noi «di lunga navigazione, è ri-
poso, Ed è così como il buono marinaro ;
le ane vele, e sonvomente con debile con-
Mncimento entra in quello: così noi do-
temo calaro le vele delle nostre mon-
operazioni, è tornare n Dio con
ie demi intendimento e cuore; sic-
a quello porto vi vegna con tutta
arith e con tutta pace; » Conv. IV, 28,
love tra coloro cho « calaron le vele dello
mondano opernzioni » è per l'appnnto ri-
eordato « il nobilissimo nostro Latino
Guido Montefeltrano.> — BARTE: corde
delle vole; ofr. Inf. XXI, 14,
R3, rENTUTO: pentito; mi pentii e con-
fesani i mici peceati. Così Tar. Rit. ed.
Polidori, J, 637: «Ma lo mene rendo bene
pentuto, » Secondo altri mi rendei vale:
mi feci frate, ciò che ba già detto v. 67
© seg. Di pentuto per pentito cfr. Nan-
nue. Verbi, 381 e sog. - MI REKDEI: mi
feci cordigliero.
V. 85-111, Un pope seduttore. Guido
racconta come, sedotto con parolo men-
rzognero dn papa Monifazio VIII, rica-
dlesso nel vocchio peccato, dando al pon-
tefice il malvagio consiglio come gettaro
a terra Prenestino: promettendo, e non
mantenondo la fede. Il Betti n'avvian
che tutto cid sin nna mera invenzione
di Dante, il che non sembra in verun
modo ammissibile.
BS. muxcirg: Bonifazio VITI. - Fani-
set, cardinali e cherici cristiani.
AG, GUERRA : coi Colonnesi nel 1297, che
nbitavano presso San Giovanni in Lato-
rano ; ofr. Murat, Seript, 1X, 144, 000;
XI, 1218 © sog.: XIV, 1116; XV, 344;
XVIII, 201; XXIT, 178. Vill. VIII, 21.
BT. SARACIN' : saraceni ; non guerrog-
giava per zelo di religione.
89. Acti: San Giovanni d'Acri, città
968 [cERO. 8. BOLG. 8) Inv. xxvis. 90-104
[rari sspvrroza)
Né mercatante in terra di Soldano; ‘‘:
ol Né sommo uficio, né ordini gaeri 0
Guardò in sé, né in me quel capestro
Che solea far li suvi cinti più maori.
% Ma come Costantin chiese Silvestro |’
Dentro Siratti a guarir della lebbre,
Così mi chiese questi per maestro —
97 A guarir della sua superba febbre:
Domandommi consiglio, ed io tacetti,
Perché le sue parole parver ebbre. ’
100 E poi mi disse: ‘ Tuo cor non sospetti;
Fin or ti assolvo, e tu m’ insegna fare
Si come Penestrino in terra getti.
108 Lo ciel poss’io serrare e disserrare,
Come tu sai. Perd son due le chiavi,
della Siria ultima possessione deleristiani WITT, 64: « Molto fu altiero, e superbo,
im Palestina, caduto in mano ai Saraceni © crudele contro a’ suol nemici e avver-
nel 1291. Senso: nessuno dei nemici di —s sari. »
Bonifazio VIII era dei saraceni conqui-
statori di Acri, o dei giudoi mercanteg-
gianti nel paesi d'Oriente; orano anzi
tutti amici della religione di Cristo.
92. GuaRDÒ: non ebbe riguardo nè alla
propria digoita di Sommo Pontefice, nd
alla sua qualità di sacordote cristiano,
nd all’ abito di San Francosco cho io ave-
va vestito. -Cavxstuo: cfr. Par. XI, 87.
93. soLKA: no’ tompi anteriori i Fran-
cescani erano più estenuati per digiuni
ed astinenze; cfr. Par. XII, 112 © seg.
04. COME: allude alla notissima favola,
ereduta allora storia, della guarigione e
conversione di Costantino imperatore
per opera di papa Silvestro I; cfr. Euseb.
Vit. Const.IV,24. Graf, Romanelle mem.
6 nelle immaginaz. del medio evo, II, 81
e seg.
95. SIRATTI: Monte Soratte, oggi San-
t'Oreste, nelia Sabina, non molto lungi
da Roma, dove Silvestro, secondo la fa-
vola, si teneva nascosto. - LKU4bÒRK: leb-
bra, come ale, fortune, tempre, ecc. per
ala, fortuna, tempra. Cfr. Nannuc. Voci,
50 e sog. Nomi, b4 e sog. MONTI, Prop.
ITI, 1, 24. BLANC, Versuch I, 249.
96. MAESTRO: anticamente questo ti-
tolo si dava ad ogni medico; qui la voce
sembra scelta a bella posta per il suo du-
plice senso.
97. FxBuRER: brama superba di abbas-
sare i Colonnesi. DI Bunifazio VIII Vill.
90. RuBRR: da uomo ebbro di superba
brama o di desiderio di vondetta.
100. MI DISSE: Al. RIDISSK. - NON 80-
BPETTI: non tema di cadore in peccato.
101. FIN or: fin da ora; anticipata-
monte. - M'INSEKGNA : come maestro, v. 96.
Al. d'INSKONI.
102. Penksraino: Al. PKLLXSTRIXO,
PKNKSTINO, ecc.; Palestrina nel territo-
rio dell'antica Preeneste, ai tempi di
Dante fortezza dei Colonnesi. « Nel 1298
nei mese di settembre, essendo trattato
d'accordo da papa Bonifazio a’ Colon-
nesi, i detti Colounesi cherici e laici
vennero a Rieti ov' era la corte, e git-
tarai a pid del detto papa alla misericor-
dia, il quale perdlonò loro, e assolvettegli
della scomunicazione, e volle gli rendoe-
sono la città di Pilestriuo; e così feciono,
promettendo loro di restituirgli in loro
stato e dignità, la qual cosa non attonne
loro, ma fece disfare la detta città di Pi-
lestrino del poggio e fortezza ov'era, e
fecene rifare una terra al piano, ulla quale
puose nome Civita Papale; e tutto que-
slo trattato fulso è froduleute fece il papa
per consiglio del conte da Montefeltro,
allora frate minore, ove gli disse la mala
parola: LUNGA PROMKS8A COLL’ ATTEN-
DER COKTO;» Vill. VIII, 23; cfr. Murat.
Script. IX, 741, 969 e seg.
103. skunang: cfr. 8. Matt. XVI, 19.
Inf. XIX, 92.
[cERC. 8. ROLO. 8]
Tnr, xxvir. 105-121 [LOGICA pranonica] 269
oe
Che il mio antecessor non ebbe care. ,,
106 Allor mi pinser gli argomenti gravi
Là "ve il tacer mi fu avviso il peggio,
E dissi: “ Padre, da che tu mi lavi
109 Di quel peccato ove mo’ cader deggio,
Lunga promessa con l’attender corto
Ti farà trionfar nell'alto seggio. ,,
112 Francesco venne poi, com’io fui morto,
Per me. Ma un de’ neri Cherubini
Gli disse: “ Nol portar; non mi far torto.
115 Venir sen dee laggiù tra’ miei meschini,
Perché diede il consiglio frodolente,
Dal quale in qua stato gli sono a’ crini;
118 Ch’ assolver non si può chi non si pente,
Né pentére e volere insieme puossi
Per la contradizion che nol consente. ,,
121 O me dolente! come mi riscossi,
105. ANTECESSOR: Celestino V,efr. Inf.
IM, 60 nt.
100, rinsrR: mossero, - GRAVI: perchè
keritturali. Lo ragioni del papa mi focoro
tredero, il disubbidirgli osser poggio cho
fon il dargli un mal consiglio.
107. MI FU AVVIBO: mi parvo; lat. mihi
Witter freit.
108. Da CHE: poichd, — LAVI: + amplinsa
lava me ab iniquitate moa: et a poccato
Meo manda mo. Lavabia mo, et super
tirem dealbabor;» Psal. L, 4, 0.
109, PECCATO: che aa troppo bene di
| dando il consiglio frodolento,
110. LUNGA : promettenio molto è man-
tenendo poco, trionferai de’ tnoi nemici.
Alenni dubitano dolla storicità di questo
meconto. Fatto sta, che Bonlfazio VIIT
Agi precisamente secondo il frandolente
consiglio, rinnovato più tardi dal Segre-
tario Florentino; efr. Macch. Prine., 18.
Vit. VIII, 23. Murat. Script. IX, 741,
MO è nog., ecc.
111, skeaio: nel pontificato. « Guido
porgo qui n Bonifazio nn ammacstra-
mente, non solo per governaral nel ro-
rinare | Colonnes!, ma por easor vinel-
toro In tatto lo improso dol sno ponti-
finato; » Betti,
V.112-172. Fittoria del diavolo, Con-
tinnando Galdo racconta che, al momento
della sun morte, San Francesco venne
per prenderne l'anima 6 condurla in Pa-
radiso. Ma nello stesso tempo venne un
diavolo, pretese quell’ anima esser sua,
lo provò logicamente, se la portò ginso
n Minosse che In condannò all'ottava
bolgia. Un contrasto similo Purg, V.
1036 sog. Cir, Graf, Demonologia di D.,
Pp. 37 è seg.
112. veNne: le anime sogliono andaro
da sò al luogo loro, confr. Inf. ITI, 124.
Purg. IT, 10%, Le animo doi due Mon-
tefeltrani vengono angeli o dinvoli per
prenilerlo, forse perchè al momento dolla
loro morte il loro destino eterno non era
ancora definitivamente deciso.
113. cuerubiNni: « gli ordini degli an-
goli sono nove, et di cinscnno ordine cadde
in inferno; et cinsenno ordine ha In sun
proprietà. Questi cherubini, che tengono
il secondo grado dogli angeli, sanno per
natara tutto '| senso delle Scritture, ben-
ch'egli abbino perduta la scienza, onde
non senza cagione |' Auttore tolse uno
chernbino na disputazione; « An. Fior.
115. MiscHINI: servi; ofr, Inf. IX, 43,
117. DAL QUALE: dacchéà lo ebbe dato
l'ho tonnto por così diro pol enpogli, che
non mi scnppraso.
110, rexthRRR: pontiral; off. Nannwe.
Verbi, 315, 341 e sog. Non si pod pen-
Liri di nn pecento e nello stesso tempo
volerlo commettero. Logica atringente.
121. Mi riscossi: tremai di apavonto
all'udiro quella logica terribile, al ve-
270 ([CERC. 8. BOLG. 8] INF. xxvit. 122-186 [VITTORIA DEL DIAVOLO]
Quando mi prese, dicendomi: “ Forse
Tu non pensavi ch’ io loico fossi. ,,
124 A Minds mi portò; e quegli attorse
Otto volte la coda al dosso duro,
E, poi che per gran rabbia la si morse,
127 Disse: “ Questi è de’ rei del foco furo. ,,
Per ch’ io là dove vedi son perduto,
E sì vestito andando mi rancuro. »
130 Quand’ egli ebbe il suo dir così compiuto,
La fiamma dolorando si partio,
Torcendo e dibattendo il corno acuto.
138 Noi passammo oltre, ed io e il duca mio,
Su per lo scoglio infino in su l’altr’ arco
Che copre il fosso in che si paga il fio
186 A quei che scommettendo acquistan carco.
dermi schernito, preso e portato via da
quel diavolo.
123. Loico: logico, capace di ragio-
nare filosoficamente una questions.
125. orro: cfr. Inf. V,4 6 seg. - DURO:
non piogandosi mai per alcuno.
120. MmOKSK: Minosse ò il simbolo della
coscienza; il mordersi Ja coda simboleg-
gia i rimorsi della coscienza, tormento
principalo dei dannati; la rabbia di Mi-
nosse simbologgia Vira dei dannati con-
tro chi, seducendoli, fu causa della loro
dannaziono. Il Z'om.: « rabbia, di talo
reità. » Ai demoni la reità non è cagione
di rabbia, ma di malvagia gioia.
127. piss: coll'attorcersi otto volte la
coda al dorso lo condannò all'uttavo cer-
chio, collo parole all'ottava bolgia del
cerchio. - FULO : ladro, involando e na-
scondendo gli spiriti, cfr. Inf. XXVI,
41, 42.
128. rencn'10: por la colpu che ti ho
narrata.
129. VESTITO: avvolto in questa fiam-
ma cho gira senza posa, confr. v. 2 © se-
guenti. - MI RANCURO: mi lamonto è
rammarico; cfr. Purg. X, 133.
181. DOLORANDO: dolendosi ed espri-
mendo il suo dolore non più con parole,
ma col turcere e dibattere ti corno acuto,
cioò la punta di ossa fiamma; cfr. v. 16 6
seg.; Inf. XXVI, 85-88. - SI rARTÌO: al
parti, se ne andò; cfr. Nannue. Verbi,
176 © seg.
132. 11, corno: la punta; confr. Inf.
XXVI, 85, 88; XXVII, 160 seg.
V.133-136. Passaggio alla nona bol-
gia. Terminato il colloquio con Guido,
i duo Poeti continuano il loro viaggio su
por lo scoglio, finchè si trovano sul ponte
che attraversa la nona bolgia, ove sono
puniti i seminatori di discordie civili ©
religioso, pubblicho e privato.
133. PASSAMMO: andamino avanti.
135. FIO: feudo, tributo. Pagare il fio
di alcuna cosa, vale anche nel linguag-
gio del popolo, soffrire il danno o la pena
meritata; cfr. Pury. XI, 88.
186. A QUEI: Al. Da QUEI, loz. difesa
da Z. F. (170) il quale chiedv: « E la giu-
stizia divina che paga tributo ai pocca-
tori, e non questi n quella?» Risposta:
Nella nona bolgia si dà lu pona (= i pa-
ga il fiv) a coloro che, dividendo gli animi
(=scommeettendo) con far nascere dissen-
sioni o scismi, acquistan maggior carico
di puccato do’ precedenti, per cui sono
alquanto più giù, - SCOMMEITEKNDO: divi-
dondo, separando. Scommettere è il con-
trario di cominettere -: unire, congiunge-
re; cfr. Voc. Cr. ad v. - CARCO: carico di
colpa e di pena.
[CERO. 8. ROLO. 9]
InF. xxvii. 1-8
[scismaTICI) 271
CANTO VENTESIMOTTAVO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA NONA: SEMINATORI DI DISCORDIE
(DI continuo tagliati dallo spado del domoni in ogni parte del corpo)
MAOMETTO, FRA DOLCINO, PIER DA MEDICINA, CURIO,
MOSCA, BERTRAM DAL BORNIO
Chi poria mai pur con parole sciolte
Dicer del sangue e delle piaghe appieno,
Ch'i' ora vidi, per narrar più volte?
' Ogni lingua per certo verria meno
Per lo nostro sermone e per la mente,
OC’ hanno a tanto comprender poco seno.
7 Se s'adunasse ancor tutta la gente
Che già in su la fortunata terra
V. 1-21, La pena dei seminatori
dl discordie, Dal ponte della nona bol-
gia 1 due Pooti osservano lo strazio do-
ell scisamntici © sominatori di senndali, |
quali vengono mutilati o fessi dalla spada
di un diavolo, cinsenno in relazione nl suo
speciale peccato, avendo fatto nitrettanto
dei membri della società wmana. Cfr. @,
@aleani, Lez, acad. Modena, 1840, p. Je
seg. del vol. II.
1. porla: potrebbe. - run: anche in
prosa, nonchè in rima. - sciortE: non
obbligate alle loggi del metro 6 della
rima. « Verba soluta modis;» Ovid, Trist.
IV, 6, = « Qui cladem illiua noctis, qnis
fonera fando Explicet aut. possit Incrimis
inquare laborest» Virg. Aen. 11,301 6s0g.
3, PER NARRAR: per quanto riunovasse
Il racconto, riprovando di migliorarlo è
superare la difficoltà della materia.
4, OGNI LINGUA: « Non, mihi si lingue
centum «int oraque centum, Ferrea vor,
omnis scelerum comprendere formas,
Pa
Omnia pa:narum percurrere nomina pos-
sim;> Virg. Aen. VI, 625 è seg.
5. FERMOKR: a motivo del nostro nma-
na linguaggio insufficiente n deserivero
mieoquatamente a cosn.- MEN TK: ragione,
intelletto, inenpace, come il linguaggio,
di rappresentare tale spettacolo; confr,
Conv. IIT, 2.
6. senso: «la capacità o tasca formata
dalle vesti e specialmente dalla camicia
dalla cintola in so avanti il petto ; » Ca-
nerni, Qui per capacità mentale.
7. BR 8 ADUNABBE: #6 tutti gli momini
caduti noll’ Italia meridionale, dai tempi
dello guerre sannitiche e puniche ni tem-
pi delle guerre normanno ed angioine, si
midunnssoro insiomo n far mostra dolle
loro ferite e mutilnzioni, non offrirobbern
uno spettacolo da aggungliarsi a quello
che mi si offerse nella nona bolgin.
8, cme GtA: Al. cne Glace, leggondo
poi nel v. seg. E FU invece di ru: ofr. Z.
F.,171.- FORTUNATA : fortanosa, soggetta
272 (CERO. 8. BOLG. 9] Isty: xxviti. 9-28
Di Puglia fa del suo sangue dolente
10 Per li Trojani, e per la lunga
guerra
Che delle anelie fe’ sì alte spoglie, |;
Come Livio scrive, che non
13 Con quella che senti di colpi doglie
Per contrastare a Roberto Guiscardo,
E l’altra il cui ossame ancor s’ accoglie
16 A Ceperan, là dove fa bugiardo | x
Ciascun Pugliese, e là da
Ove sente’ arme vinse il vecchio Alardo;
19 E qual forato suo membro, e qual mozzo
Mostrasse, d’aequar sarebbe nulla tae
Al modo della nona bolgia sozzo.
23 Già veggia, per mezzul perdere o lulla,
alle vicende della fortana ; cfr.JafXXXI,:
115. Dionisi, Aned. II, Verona, 1786, p. 12. |
9. ru: sentì il dolore delle ferite per lo
sparso suo sangue.
10. ‘TROJANI: venati in Italia con Enea.
Al. Romani, che pare correzione di oo-
pisti. Coi suoi coetanei Dante credeva
che i Romani discendessero dai Trojani
che vennero con Enea in Italia, onde
anche nelle sue opere in prosa chiama
alcune volte Trojani i Romani; confr.
Moone, Orit., 840-48. BLANC, Versuch,
260 e seg. Allude alle guerre sannitiche
e allo puniche nelle quali perirono mi-
gilaia di uomini; cfr. Tit. Liv. X,9 seg.
= LUXGA : la seconda guerra punica durò
quindici anni, dal 218 al 202 a. C. Tit.
Iv. XXII e XXIII.
11. ANKLLA: tratto dalie dita de’ Ro-
mani, necisi nella battaglia di Canne,
delle quali Annibale fece un camulo di più
moggia: cfr. Tit. Liv. XXII,6; XXIII,7.
Polib. III, 255 e seg. Conv. IV, 5.
12. NON EnkA: lo sì credova ai tempi
di Dante; oggi no.
18. QUELLA: cou quella gente, cioè coi
saraceni uccisi nello guerre sostenute
contro Roberto Guiscardo, fratello di
Ricciardo duca di Normandia; ofr. Vill.
IV, 18, 19. H. Lxo, Gesch. der ital. Staa-
ten I, 448 © seg.
16. L'ALTRA: l'altra gente, cioè le vit-
timedelle guerre angioine dal 1266 al 1268.
16. A CErERAN : allude alla battaglia di
Benevento, conseguenza del tradimento
dei Pugliesi che erano alla guardia di
Ceperano e lasciarono libero il passo a
Carlo I d'Angiò; ofr. Vil. VII, 6,9. Mu-
vat. Sortpt. LX, 185; XI, 168 e 1284. Sa-
Umb. Ohron., 246 è seg. Dante nen igno-
rava cho Manfredi cadde a Benevento;
cfr. Purg. III, 128. Forse ogli nomina
qui Ceperano con intenzione di alludere
al tradimento del conte di Caserta.
17. TAaLIACOZZO: castello nell’ Abruzzo
Aquilano, presso il «quale a dì 23 agosto
1268 Corradino fu sconfitto e distrutta la
potenza degli Svevi.
18. ALARDO: di Valery, consigliere di
Carlo d’ Angid; cfr. Vill. VII, 26627. Saba
Malasp. IV, 3 e seg. Salimb., 248 e sep.
20. D'ARQUAR: clr. Virg. Aen. II, 862.
Al. Da EQUAR. Al. D'ADEQUAR. Al. D'aG-
GUAGLIAR. Cfr. Z. F., 171 © seg. Senso:
Tutte quelle genti o le loro ferite sareb-
bero nulla accanto alle genti e alle fe-
rite dolla nona bolgia.
21. s0zz0: «rare, onon oziose, in Dante
le trasposizioni. Questa è delle più po-
tenti; chè l'epiteto sozzo separato da
modo e posto alla fine del verso chiude
l'immagine, raccogliendo quasi in un sol
tratto di pennello tutte le deformità dol-
Yorribile scena;» L. Vent.
V. 22-51. Maometto. Ecco uno che è
spaccato dal mento sino al basso. È Mao-
metto, il fondatore dell'Islamismo. Lo
preccie All col capo fesso. Maometto
espone la ragione delle spaventevoli fe-
rite e mutilazioni, quindi chiede a Dante
chi cgli sia, alla qual dimanda risponde
Virgilio.
22. GIÀ: costr.: Una veggia, per per-
dere mezzule o lulla, non si pertagia
. be a Le 4a" i K
[CERC. 8. NOLG. 9]
InF. xxvinr. 23-37
Com’ io vidi un, così non si pertugia,
Rotto dal mento insin dove si trulla:
Tra le gambe pendevan le minugia;
La corata pareva, e il tristo sacco
Che merda fa di quel che si trangugia.
Mentre che tutto in lui veder m’ attacco,
Guardommi, e con le man’s’ aperse il petto,
Dicendo : « Or vedi come io mi dilacco;
dI Vedi come storpiato è Maometto.
Dinanzi a me sen va piangendo Ali
Fesso nel volto dal mento al ciuffetto.
34 E tutti gli altri che tu vedi qui,
Seminator’ di scandalo e di scisma
Fùr vivi; e però son fessi così.
bi) Un diavolo è qua dietro che ne accisma
così some io vidi uno rotto, eco, - veo-
ua: botte; voce d'origine ignota; cfr.
Diez, Wart, 11", 78. Vezza © vezzia per
botte vivono nel Bergamasco. - MEZZUL.:
li fondi delle botti sono di tre pezzi :
quello di mezzo è detto mezule, e li
estremi hanno nome lulle; » Lan. Se-
tondo Bene. merzul è la parto media
del fondo della botte, dove essa si apre,
6 lulla « para fundi vegetia juste extre-
ma ad modum lunm, »
‘24. noTTO: pertugiato, fesso. - TRULLA:
Eonera ; infino al pube.
25, Mmisxucia: interiora, budella; da
minutia; efr. Diez. Wort. 11°, 47. Nan-
nué., Nomi, 213 e 757.
26, CORATA: cuore, fegato © milza. -
TAURVA : ariva, sì vedeva. — THIATO:
lordo, fotanto. « Dissilnit atringens nte-
mm membrana, fluantque Viscera; nec,
quantom toto de corpore debet, Kffinit
In terras; aovum sed mombra vononnm
Decoquit: in minimum mors contrahit
omula viras. Vinenla nervorum, et la-
torwm textora.... offfuunt; » Ive. Phars.
IX, 773 e weg. - BACCO: dello stomaco è
dle l'intestino, dove gli alimenti si tra-
aformano in escrementi.
27. TuHasauaia: al manda gii, man-
o berendo.
28. m' ATTACCO: m'aflisso, sto miran-
dolo attentamente, « Dum stupet, optu-
— umo;» Virg. Aen,
405.
20. DILACCO: propr. mi taglio lo lacche ;
qui per estens, mì lacero, mi smembro.
18. — Dio. Comm., 3% ediz.
vili
Al, srorriato: guasto nelle membra.
Al. BCOrPIATO, BCRMPTATO © SCILFATO,
Cfr. £. F., 172.- Maomerro: fl fonda-
tore dell Islamismo n. a Mecca 560, m. n
Medina 633. AI. MacomeTTO. Hail corpo
fesso, per aver seminato scisma nei po-
poll. Cfr. Eneiel., 1198,
92. Aul: Ali Fon Abi Talid, cognomi-
nato Assad Ollah el Ahalib, cioè Leone
ilel Dio vincitore, e Murtadhi, cioè grato
n Dio, cogino + genero di Maometto, ed
uno de' primi suoi segunci, n. 597, noci-
a0 660. Discordando in alenni punti dalla
dottrina di Maometto, fece nna setta da
sè, onde egli ha fessa appunto quella
parto del corpo che Mnometto ha ancora
intiera.
33. rrsso: Al. “OTTO. = CIUFFETTO:
ciocea ili capegli sulla fronte, qui per
Jronte.
35. SCANDALO: discordie civili, aciasu-
re, nimicizio, — SUI8MA : separazione dal
corpo 6 dalla comunione della Chiesa cat-
tolica; da oylopx (= divisione), e que-
sto da ay(Setv = seindere, dividere.
46. vivi: mentro vivevano an nel
mando,
7. qua pietro: in on punto della
bolgia che, per essoro essa circolare, ro-
sta «di dioiro dal longo ovo si trovano
lente © Virgilio, onde non ponno ve-
dervi. - ACCISMA : aoconcia; cfr. Diez,
Wort. 17, 104. Galvani, Ler. Accadem.
II, 91-50. Nannue., Verbi, 31, nt. 3, Al:
ndorna, abbiglia; Al.: divide è taglia;
AL: piaga.
274 [CERO. 6. BOLE. 9} Tir. xxvin. 88-52
Si crudelmente, al taglio della spada
Rimettendo ciascun di questa risma,
40 Quando avem vélta la dolente strada;
Però che le ferite son richiuse
Prima ch’ altri dinanzi gli rivada.
43 Ma tu chi se’ che in su lo scoglio muse,
Forse per indugiar d'ire alla pena
Ch'è giudicata in su le tne accuse? »
a « Né morte il giunse ancor, né colpa il mena, »
Rispose il mio maestro, « a tormentarlo;
Ma per dar Ini esperienza piena,
4 A me che morto son convien menarlo
Per lo inferno qua giù di giro in giro.
E questo è ver così com’ io ti parlo. »
ss . Più fiir di cento che, quando l’udîro,
89. xIMETTENDO: sottoponendo di nuo- a guardario incantati. Maometto paria
vo ciascuno di noi al taglio della spada, di nnovo in pro di un par suo, non per
ogni qual volta abbiamo compinto il giro
circolare della bolgia. — 8MA: qui por
ciurina, turba, ecc. Si usa anour sempre:
è della stessa risma, per: è della stessa
indole. Cfr. Enciel., 1680. « Angelus Dei
nocepta sententia ab co, scindet te me-
dium;» Daniele XIII, 65.
40. VOLTA: aggirata a tondo. - STRADA:
giro della bolgia.
41. RICHIUSR: rimarginate. Durante il
giro della fosea le ferite ai rimarginano;
al passo il diavolo le riapre; onde il tor-
mento è eterno.
43. MUSE: musi, da musare = tenere il
muso (per viso, cfr. Purg. XIV, 48) fiaso
verso un luogo, appunto come faceva
Dante, confrouta v. 28. Nannuo., Verbi,
63 e seguenti. Maometto non si è accorto
che Dante è ancor vivo; confronta Inf.
XXVIII, 61.
45. GIUDICATA: che ti è atata data per
sentenza del giudice Minosse, secondo le
colpe delle quali ti confeasasti reo dinan-
zi al suo tribunale, cfr. Inf. V, 7 e seg.
46. IL GIUNSE: lo colse. Non è ancor
morto né va ad una pena.
48. Daw LUI: dargli piena conoscenna
delle pene che aspettano nell' inferno chi
vive nel peccato.
50. DI cito : di cerchio in cerchio; cfr.
Inf. X,4; XVI, 2.
51. com’ 10: è la verità, com’ io ti dico.
V. 62-63. Fra Dolcino, All'adire che
Dante è ancor vivo più di cento restano
carità, che laggiù non ha luogo, ma per
la gloja inforualo di voder continuato lo
solama. Parla dunque Jn pro di Dolcino
Tornielli di Novara, discepolo di Gerardo
Segarelli da Parma che sin dal1260aveva
fondato la setta degli Apostoli o fratelli
apostolici, della quale Dolcino divenne il
capo, dopo che il Segarelli fa arso vivo
nel 1296. Dolcino si spacciava per apo-
stolo e profeta, predicava la carità e la
comunanza di tutte le cose, anche dello
donne; cfr. Murat. Script. IX, 434, 435,
457. A Trento si guadagnò a compagna
una Tridentina, giovane, bella e ricca,
di nome Margherita, che fece aua con-
cabina, chiamandola sorella in Oristo;
Murat. ibid., 469. Nel 1305 o 1306 si ri-
dusse con cinquemila seguaci sopra il
monte Zebello nel Vercellese e vi ai for-
tificò in modo che la crociata banditagli
contro da Clemente V sarebbe andata a
vuoto, se la fame non lo avesse costretto
ad arrendersi (13 marzo 1807). Il 2 giu-
gno 1307 fu arso vivo a Novara con Mar-
gherita e più altri della sua setta. Cfr.
Murat. Script. IX, 435 e seg. Vil. VIII,
84. Baggiolini, Dolcino e i Patareni, No-
vara, 1838. KRnonk, Fra Dolcino und die
Patarener, Lipaia, 1844. GALLKNGA, Fra
Doleino and his times, Lond., 1853. Benv.
JI, 358-62. Talice I, 382 v seg. Com. Lips.
I, 828 e seg. EAncicl., 629-32.
52. rid: ofr. Inf. XII, 80 e seg. Purg.
II, 67-75. Non avevano ancor mai veduto
*
er, yt
ef
[CERC. 8. NOLG. 9]
INF, xxviir. 58-69
‘
[FRA DOLCINO] 275
S'arrestaron nel fosso a riguardarmi,
Per maraviglia obbliando il martiro.
55 « Or di'a fra Dolcin dunque che s’ armi,
Tu che forse vedrai lo sole in breve,
S’ egli non vuol qui tosto seguitarmi,
58 Si di vivanda che stretta di neve
Non rechi la vittoria al Noarese,
Ch'altrimenti acquistar non saria lieve. »
a Poi che |’ un piè per girsene sospese,
Maometto mi disse esta parola,
Indi a partirsi in terra lo distese.
su Un altro che forata avea la gola,
E tronco il naso infin sotto le ciglia,
E non avea ma’ che un’ orecchia sola,
3
Restato a riguardar per maraviglia
Con gli altri, innanzi agli altri apri Ja canna
Ch’ era di fuor d'ogni parte vermiglia;
vi 6 non dannato percorrere
i
i
a
«: sembra che non prestasse
fede a ciò cho Virgilio gli disso.
i) forse è da conginngersi con
, onde Mnomotto sarebbe « sola-
dubbioso del tosto o del tardi ;»
DA. DL VIVANDA: si armi di rinanda —
ti provvegga di vettovaglia. — STRETTA :
nerata, gran caduta di nove.
3
:
5
=
AL
ue
50. aL NoarEse: ai Novaresi e loro
compagni della crociato.
60. ALTRIMENTI: «n nomine expagnari
Le 0) hominem timobant,
tamen hnberent victualia; »
Murat. Seript, 1X, 432.
Ol. sosrese: disse le ultime parole
avendo già alzato un piede per andar-
sene oltre ed appena finito compiè l'in-
cominciato passo.
62, RstA: questa; qui il sing. per il
plur. = queste
V. 64-00. Pier da Medicina. Parla
mn altro, dalla gola furata, il naso ed un
urscelio tronco, e predice il tradimento
di Malntestino. È costui l'ietro dei Cat-
tan! da Medicina, grossa terra matildica
ome piano tra Bologna è la bassa Roma-
, tomo « valde maledicus » (Postil.
© * morditor » (Petr. Dant.). « Fu
del contado di Bologna, 0 commise In
guerra
da Fiorenza a Bologna, e da Bo-
logna agli Ubaldini; poi per sue male
opere fu cacciato, 0 stette in Fano, è
commise la guerra tra quo’ di Fano e i
Malatesti;» An. Sel. - e Fn molto cor-
rotto in quel vizio, s) di seminare scan-
dalo tra li nobili bolognesi, come ezinn-
dio tra li romagnoli e' bolognesi; » Lan.
- « Fuit pessimns seminator scandali, in
tantom quod se alingnandia magnificavit
etditavit dolose ista arte infami; » Benv.,
il quale illnatra Ja ana sentenza con esem-
pi parlantiasimi, tradotti poi e ripetuti
dlall'An, Fior. Cfr, Gozzodini, Torri gen-
tilizie, N74 © seg. Eneicl., 1223-25,
(4. GOLA: per la quale monti, vivendo,
Virg. den. VI, 404 © sog. parlando di
Deifobo: «Atque hio Piramiden laniatum
corpore toto Deiphobnm vidit, lacernm
erudeliter ora, Ora mannsque ambas,
popnulataque tempora raptia Auribas et
truncas inhonesto volnere naris. »
65. xASO: che nmava in vita ficcare
ne’ secreti altrui.
60. ma' cue: non più che; ofr. Inf. 1V,
26. Una gli è mozza,
67. MRSTATO: con quel più di cento dol
v. 62. e Noe vidiase semol antis est; invnat
naqne morari Kt conferre gradum et ve-
niedi discore causas; » Virg. Aen. VI,
487 © seg.
68. cana: della gola; parlò,
00. venmioLia: sanguinante per le fe-
rite,
276 [CERC. 8. BOLG, 0] Iwe. xxvui, 70-84
[PIER DA MEDICINA]
70 E disse: « Tu cui colpa non condanna
E cni io vidi su in terra latina
Se troppa simiglianza non m’inganna,
73 Rimembriti di Pier da Medicina,
Se mai torni a veder lo dolce piano
Che da Vercelli a Marcabò dichina.
76 E fa’ saper a’ duo miglior’ di Fano,
A messer Guido e anche ad Angiolello
Che, se l'antiveder qui non è vano,
79 Gittati saran fuor di lor vasello,
E mazzerati presso alla Cattolica,
Per tradimento d’un tiranno fello.
89 Tra l'isola di Cipri e di Majolica
Non vide mai sì gran fallo Nettuno,
Non da pirati, non da gente argolica.
71. Vint: «ad domum istoram pervenit
seme) Dantes, ubi, fuitogregiehonoratua,
Kt interrogataa quid sibi videretur de
curia illa, respondit, so non vidisso pul-
criorem in Romaudiola, si ibi osact mo-
dicum ordinis; » Benv. - TERRA: Italia;
ofr. Inf. XXVII, 26, 27.
72. TROrPa: so tu non somigli troppo
ad altra persona da mo veduta un di su
in terra latina. «Si numquam fallat ima-
go;» Viry. Eclog. II, 27.
74. BR MAI: nun è pienamente per
suaso neanche lui della verità di quanto
ba detto Virgilio, v. 46 e seg. Proprio di
questa gente, per cui il linguaggio è
principalmente uno stromento d'inganno.
~ Plaxo: la Lombardia; dolce, paragonata
col luogo dove a:lesso si ritrova.
75. Makcanò: castello costruito dai
Veneziani aul territorio di Ravenna, non
langi dallo foci del Po, distrutto da Ram-
berto da Polenta il 23 settembre 1309,
non risorse più, nè al luogo rimase il
nome. Cfr. Ricci, Ztifugio, 12. 8' intende
però che il nome non si apense ad un
tratto, onde Dante poteva menzionare
Marcabò anche alcuni anni dopo il 1309.
Infatti Benv., Buti ed altri antichi par-
lano di Marcabò in modo da escludoro
ogni dubb'o cho Îl nome nun ora ancora
spento nel tempi loro. Cfr. Encidl., 1199
© seg.
76. micLIOR': più nobili e valorosi. -
Faxo: città sull'Adriatico, distante nove
miglia da Pesaro e trenta da Rimioi.
27. Guipo: del Cassero. - ANGIOLKLLO:
da Carignano. Ambedue nobili di Fano,
Invitati da Malatostino Malatesta a vo-
nire a parlamento con lui alla Cattolica,
borgo sull'Adriatico tra Rimini e Pe-
saro, furono anneguti da’ marinari, per
ordine di Malatestino. Clò avvenne poco
dopo il 1812; ofr. Tonini nell'Eccitamen-
to, 1858, p. 58] e seg. Dunque Dante dettò
questi versi dopo quell’ epaca.
78. QUI: come suol cssero uu nel mondo,
- VANO: fallaco. Cfr. Inf. X, 100 0 seg.
Virg. Aen. 1, 392: «Ni frustra auguriuni
vani docnero parentes. »
70. VASKLLO: nave; cfr. Purg. IT, 41.
_Al., Land., Vell., ecc.: il corpo, vasello
dell'anima. Vol.: città, patria. Furono
gittati fuor del lor naviglio, o Purg. IT,
41 mostra che Dante disse vasello per
nave, naviglio.
80. MAZZKRATI: « mazzerare è gittare
l' nomo in maro iu un sacco logato con
una pietra grando, e legate le mani et i
piedi, et uno grande sasso alcollo;» Buti.
81. FELLO: iniquo, misleale. Cfr. però
Murat. Script. XV, 896, dove si dice che
Malatestino < tanto fu savio et ardito e
da bene, quanto mai fosse uomo. »
£2. tra: in tutto Il Mediterraneo, di
cui Cipri è l'isola più oriontalo, o Majo-
lica o Majorca la più «coidentale, Net-
tuno, Îl Dio del maro, non vide mai com-
mettere un simile dolitto, nd da ladri di
mare, nd da gente greca che anticamen-
te soleva corsogginre pel Mediterraneo.
83. NETTUKO: Al. Nxrssuno; confr.
MOORE, Crit., 343.
IKF. xxvini, 85-98
[CERC, 8. ROLO. 9)
[curio] 277
85 Quel traditor che vede pur con l’uno,
E tien la terra, che tal è qui meco
Vorrebbe di vedere esser digiuno,
88 Farà venirli a parlamento seco;
Poi farà sì che al vento di Focara
Non farà lor mestier voto né preco. »
91 Ed io a lui: « Dimostrami e dichiara,
Se vuoi ch’io porti su di to novella,
Chi è colui dalla veduta amara. »
da Allor pose Ja mano alla mascella
D'un suo compagno, e la bocca gli aperse
Gridando: « Questi è desso; e non favella:
07 Questi, scacciato, il dubitar sommerse
In Cesare, affermando che il fornito
85. que.: Malatestino. « Miaser Ma-
latesta ebbe tre donne: de la prima
naeque Malatestino dell’ Occhio, perchè
era manco di un occhio.... De la seconda
nacqne Gianne Sciancado (Gianciotto,
marifo della Francesca da Rimini) è
Paolo. De la terza, che fu figliuola di
Misser Righetto, nacque Pandolfo, il
quale fa molto virtuoso. E da Paolo
predetto discesero | conti da Ghiazolo ; »
Murat. Script. XV, 806.
86. TIKN: signoreggia Rimini, che un
mio compagno qui vorrebbe non nvere
mai veduta, nvenilovi commesso il mi-
sfatto che lo condusss qui. - TAL: Curio,
ofr. v. 91 e seg.
80. Focara: «monte altissimo appres-
so la Cattolica, onde venti terribili so-
glion levarsi; » Dan.
00. rneco: preghiera; ofr. Nannuc, Ver-
bi, ET nt. 6; 204. Nomi, 146, Non avranno
bisogno di votarsi © pregare che Dio gli
scampi dal vento di Focara, perchè uc-
cial prima di arrivarvi. Passando presso
Focara i naviganti si votavano e prega-
vano. Bi aveva pure il proverbio: « Cn-
stodiat te Deus n vento Focarionsi! »
V. 01-102. Cerio. Dante desidera di
sapere chi sia quel compagno che non
rorrebbe mai aver veduto Rimini, Ko-
colo qui, è Curio, o Cnrione, il tribuno
romano, partigiano prima di l'ompeo, è
pol vendatosi per denaro n Cesaro. Cfr.
Vell. Patere. IT, 46. Andò nel 705 di Ito-
ma (49 n. Cr.) da Roma n Ravenna ad
Informare Cesare dello stato di cose n
Roma, dove ritornò con lettere di Cesare
al Senato. Pubblicato Il decreto del Se-
ci
nato che dichiarava Cesare nemico della
Ropubblica, qualora non licenzinsse il
suo esercito e agombrasse la provincia,
Curione fuggi cogli altri tribuni a Ra-
venna 6, secondo Lucano, esortà Cesnro
a non indugiare. Senvonchè all'arrivo
di Curione, Cesare avora già passato il
Rubicone, onde il racconto di Lucano,
seguito qui da Dante, pecca contro la
storia,
Ol. DIMOSTRAMI: fammi vedere colni
di cui ta parli e dimmi perchè vorrebbe
non aver mai veduto Rimini.
DG, NON FAVELLA : avendo tagliata nella
strozza quella sua lingua venale; cfr. v,
101, « Audax venali comitator Curio lin-
gua ;» Luce. Pars. I, 209.
07. SCACCIATO : da Roma, v. 102, « Pel-
limur è patriis laribus, patimurque vo-
lentes Exsilium: toa nos facet victoria
elves; > Luc. Phars, 1, 278 © seg. - SOM-
MEKSK: spenso in Cesare ogni dubbio che
tenevalo irresoloto se dovesse o no pas-
sare il Kubicone ed incomincliar la guer-
ra civile,
DA. AFFERMANDO: «Dom trepidant nullo
firmatin robore partes, Tolle moras: sem-
per nocuit differre parntis;» Luc. Phars,
I, 280 e seg. Nell'Intelligenza, nitribuita
a Dino Compagni :
A Rimine giognendo | cavalleri,
Dipinto v'è che fue di notte senra:
Trumbette e corni sonavan #) fieri,
Che | Riminesi Iremàr di paura.
Curio tribuno parlò primieri,
E diese: « lo son per te di Roma fura;
Nostra franchigia è nella tua speranza;
Cavalca, Cesar, senza dimoranta;
1 tuoi nemici non avranno dura.
278 [CERC. 8. BOLG, 9] Inv. xxviii. 99-111 [MOSCA DEI LAMBERTI]
Sempre con danno l’ attender sofferse. »
100 Oh quanto mi pareva sbigottito,
Con la lingua tagliata nella strozza,
Curio, cho a dir fn così ardito!
103 Ed un ch’avea l'una e l'altra man mozza,
Levando i moncherin' per l’anra fosca,
i a =
106 Gridò
Che
Che
100 Ed io
Per
Sen
101. STROZZA: gor;
la gola.
102. A win: Al, A
V. 103-111. Ma:
Ecco il Mosca, che
rato di vedera, If. +2, wey «pregio vane)
quando gli Amidei od i loro parenti ed
amich consigliavano insiome sul modo di
vondicarsi di Buondelmonte (clr. Par.
XVI, 136 e seg),- «e stando tra loro
in consiglio in che modo il dovossero of-
fendere, o di batterlo o di ferirlo, il Mo-
sca de’ Lamberti disse la mala parola:
cosa fatta, capo ha, cioè cho fosse morto:
e così fu fatto; » Vill. V, 38; cfr. Mach.
Ist. Fior. 11, 3. VILLARI, I primi due
secoli della Storia di Firenze, Fir., 1893;
I, 155 © seg.; IT, 233 e seg. Encici., 1292
© Beg.
103. MOZZA : si serv) non pur della lin-
gua a seminare scandali, ma e delle mani,
spurgendo sangue, onde le ha mozze.
104. L'AURA: Al. L'ARIA.
107. CAPO: « cosa fatta non può di-
sfarsi; riesce ad un capo, ad un fine, a
un effetto; e porciò si uccida addirittura
Buondelmonte, senza pensare troppo co-
m'andrà a finire; basta ch'e' muoia; »
Del Lungo, Dino Comp. II, 15. « Qual-
che volta non si trova chi voglia esser
capo d’una cosa, che dee farsi; ma il
capo si trova sempre di una cosa, che
già si è fatta; » Betti. Cir. Ammirato,
Ist. Fior. lib. 1, p. 56. Nannuc. Man.
II, 18, nt. 15.
108. skMK: «per la morte del detto mos-
sore Buondelmonte tutti i legnaggide'no-
bili et altri cittadini di Firenze se ne par-
tiro, e chi tenne co’ Buondelmonti cho
I 25. A 2s he A
lecia SOZza,
del Mosca,
sosa fatta,
gente tosca, »
> di tua schiatta. »
luol con duolo,
a e matta.
i la parte guelfa e furonno capo,
pon gli Uberti che furono capo
bellini, onde alla nostra città so-
lio di malo 6 ruina;» Vill V, 88,
I morte | cittadini se ne divisiamo,
«memi insiome i parontadi è l' ami.
stà d’amondua lo parto, per modo chela
dotta divisione mai non finì; ondo nac-
quero molti scandoli e incendi e batta-
glie cittadinesche; » Dino Comp. I, 2.
109. K MOKTE: e quella tua parola fa
pure la rovina della tua schiatta. I Lam-
berti furono cacciati da Firenze nel 1258;
cfr. Vill. VI, 65. Nel 1266 furono dei pri-
mi che cominciarono a levarsi contro i
trentasei, cfr. Vill. VII, 14. Nel 1268 fu-
rono tutti dichiarati ribelli, senza distin-
zione di sesso e di età, il qual bando di
ribellione fu contvrmato nel 1280. Quindi
essi scompaiono quasi del tutto dalla
storia fioreutina. L'ultima notizia che
di essi si abbia nelle carte fiorentine è,
che i Lamberti si posero sutto le ban-
diere di Arrigo VII quando venne a por-
re assedio a l'irenze, sperando potorvi
tornare per forza delle urmi; cfr. Loup
VERNON, Zn/. vol. 11, p. 512. Questo verso
non lascia verun dubbio che Dante sori-
veva quando i Lamberti erano già spenti,
dunque dopo la morte di Arrigo VII.
110. pUOL: al dolore della sua pena si
aggiungeva il doloro cagionatogli dal sa-
pure spenta, o lì) per ispegnersi, la sua
stirpe.
111. Glo: gì, andò; cfr. Nannue., Verbi,
176 © seg.- TRISTA : mesta o fuuri del sen-
no per l'eccesso del dolore.
V. 112-142. RBertrwun dal Bornio.
A Danto ai offre uno spettacolo spavon-
(CERC. 8. NOLO. 0)
Inr. xxvii. 112-124
[RERTRANDO] 279
112 Ma io rimasi a riguardar lo stuolo,
E vidi cosa ch’ io avrei paura,
Senza più prova, di contarla solo;
115 Se non che coscienza mi assicura,
La buona compagnia che |’ uom francheggia
Sotto l'osbergo del sentirsi pura.
118 Io vidi certo, ed ancor par ch’ io il veggia,
Un busto senza capo andar, sì come
Andavan gli altri della trista greggia.
121 E il capo tronco tenea per le chiome
Pésol con mano a guisa di lanterna,
E quel mirava noi, e diceva: « O me! »
1% Di sé faceva a sé stesso lucerna,
tevole. Viene ano che ha rociao il capo,
6 lo porta in mano, o il capo parla, e si
nomina, e dice qual peccato lo condusse
a tal martirio. petra è fl celebre trova-
tore Bertrando de Born, visconto nol
Perigord, signore del castello di Hante-
eee Inf. XXX, 29), lodato da Dante
nel De Vulg. El. 17,2, Visse nella seconda
moth del secolo e fa. *«bmon cavaliere, bnon
guorriern, bnon nmanto, buon trovatore ;
bene latruito nell'arto del bel dire, anpova
sopportare la buona e Ia malvagia for-
tana; » Raynouard, Choix d. Poés. orig.
d. Trowb. V, 76. Istigò Enrico, detto il
re giovane, primogenito di Enrico II ro
il'Inghiltorra a ribellarsi al padre. Morto
il re giovane nel 1183, Enrico assediò Ber-
trando a Hautefort, ma poi, presolo, gli
restituì castello è dominio. Seminò parec-
chie altre discordie e sol finir de’ anvi
ial foco monaco, Cir. Naynouard,
©. Millot. Hist. d. Troub. I, 210. Diez,
Leben uw. Werke der Troub. 1% ed. 179-
233; 2° ed. 148-192; Stimming, Bertr.
de Born, a. Leben u. s. Werke, Hallo, 1879;
M, ScneriLLO, Bertram dal Bornio, Ro-
ma, 1897.
112. stUOLO : schiera dei seminatori di
scandali laggiù nella bolgin.
114. rrova: esperimento; senza nape-
rimentarla ulteriormente. Al.: senz'altra
éonferma che le mio parole. Ma qual mai
altra conferma del sun racconto ha il
condo? La coscienza non racconta nulla
né è un soggetto diverso dall'individuo
che ad essa si riferisce,
115. ARSICURA : sapendosi pura mi ren-
de testimoninnzn che io non ho nulla n
temero di quelle pene che vidi e deserivo,
checché ne dicano i miei nemici.
110. FRANCHEGGIA: rende franco, di-
chinrandolo scevro di colpa. © Conscia
mons nt enique ann eat, ita concipit in-
tra Teetora pro facto spemqno motum-
que suo; » Ovid, Fast. 1, 485, « Hic mn-
rus nhenena osto: Nil consciresibi, nulla
pallescere culpa; » MTorat. Epist. I, 1, 00
o acg.
118, crero: riprende qui il racconto
poctico, interrotto dal vr. 113-117. Aven-
do detto che [aura laggiù era forca,
v. 104, ed essendo ciò cho qui doscrive
com strana cd incredibile, il Poeta di-
co: Jo vidi certo, por noqniatar fodo al
suo racconto, como s9 volesse dire: Non
mi parve soltanto di vedere, vidi certa-
mente.
119. sì come: nello stesso modo, colla
medesima sicurezza degli altri sominnto-
ri di discordie, i quali avevano la testa
aul busto.
122. FÉsoL: sospeso, pendalo, a quel
modo che, camminando nell'osenrità,
l'uom tiene innanzi a sé la lanterna per
illnminare la via.
123, quer: Îl enpo tronco, AI quri.
Cir. 7. #., 175. - O MK: vimà.
124. pi sÉ: di parte di sò, cioè del suo
capo. - LUCKRNA : « cogli occhi del capo,
il quale egli aveva in mano, guidava |
suoi proprii passi; » Tom.
280 [CERC. 8. ROLG. 9) IN. xxviri, 125-139
‘ [BERTRANDO]
Ed eran due in uno, e uno in due:
Com’ esser può Quei sa che si governa.
127 Quando diritto a pié del ponte fue,
I.evdé il braccio alto con tutta la testa
Per appressarue le parole sue,
120 Che fàro: « Or vedi la pena molesta
Tu che, spirando, vai veggendo i morti;
Ved
131 K per
Sapr
Che
126 To feci
Ach
E di
150 Perch
176. DUE: erano i
diviso dal luato; w
tingando le loro fun... =
vendo una sola 6 modesima vita. Un solo
individuo in duo purti separato.
126. Quxi: Dio che così punisco; cfr.
Inf. X1X, 10 © seg.
127. Dinirro: avv., precisumente a pid
del ponte. Cfr. Inf. XVIII, 4.
128. TUTTA: riempitivo, como ZDocc.,
Dec. X, 9: « ll letto con tutto messer
Torello fu tolto via. »
131.8l'IKANDO : respirano, essendo an-
cor vivo; cfr. Inf. XXIII, 88. Purg. V,
81; XIIT, 132.
132. YKDI: «O vos omues, qui transitis
per viam, attendite, ct videte si est do-
lor sicut dolor meas; » Lament. Jer. I,
12; clr. Vita N. VII, 14.
183. roxri: su nel mondo.
135. GIOVANNI: così si può dire tutti i
codd. e tutti quanti i comm. antichi (il
Giovane di Benv. sta per Giovanni, chè
Johannes è nominato il re giovane nel
Comm. II, 370). Evidentumente tutti {
commentatori antichi confusero Eurico
primogenito con Giovanni quartogenito
di Enrico II re d' Inghilterra o sembra
che ancho Dante sia caduto nel wede-
simo errore. La lez. AL kK GIOVANK è
una correziono otlima ve nocessaria; ma
l'autorità doi cold. e dei comm. ant. non
permette di introdurla nel testo. Cir. Z.
F., 175. BanLow, The Young King and
Bertrand de Born, Loud., 1862. Contribu-
me questa.
yrti
al Bornio, quelli
mai conforti,
ié ribelli;
salone
ngelli.
arsone,
53-57. Buanon, Versuch I, 261-64,
i Crit., 344-61. W. W. VikKOK,
---ig@ on the Inf, IT, 476 eseg. Vedi
puro i lavori citati dal De Hat. T, 305 è
seg. #erraz.IV, 39% © sog.; V. 238. Quan-
do Dante avesse volato scrivere giovane
invece di Giovanni, gli sarebbo custato
ben poco il diro: «Che diedi al giovan re
i mai conforti, » - I MAI CONFORTI: cattivi
suggerimenti; suggorendogli di ribellarsi
al proprio padro. Cfr. Com. Lipa. I, 337.
136. FKCI: < metia tot son senno en
mesciar guerras, e fes mesciar lo paire
e") filh di Englaterra; » Raynouard,
Choiz, V,50;cflr.anche Stimming, Bertr.
de Born, 104 e seg. - INSE: l'uno contro
l'altro.
bimng me
137. ACHITOFKL:
tello della stoltizia), da Gilo nollo regioni
meridionali della tribù di Giuda, onde è
detto il Gilonita, famoso consigliere di
Davide re d'Israele, favorì la ribellione
di Absalone cui dette il consiglio di uc-
cidore il re Davide suo padre; cfr. II,
Reg. XV,1208eg.; XVI, 15eacg.; XVII,
1 è seg. - ANSALONE: così, o Assalone,
diasero gli antichi por Absalone. Al. An-
BALONK,
138. PUNGKLI.I: consigli malvagi. Achi-
tofule non seminò peggiore discordia tra
padre e figlio, di quella che per me fu
seluinata,
139. anti: divisi. - GIUNTK: congiunte
dal vincolo di natura.
(Cenc. & noLa. 0) Inv. xxvin. 140-142 - xxix. 1-8 [AMMoNIzZ.) 281
Partito porto il mio cerebro, lasso!
Dal suo principio ch’ è in questo troncone.
142 Cosi s’ osserva in me lo contrappasso. »
140, cenknno: cervello; qui per Capo,
la parte per il tutto,
141. ratxcirto: dalla midolla spinale, di
coi il cervello è creduto (da Aristotele, dal
Galle e da altri Fisiologi moderni) essore
rigonfiamento e aver origine da ossa.
142, conTRArrasso: lat, contra pati;
la legge del taglione, vigente in tntto
l'inferno dantesco, la quale esige cho tal
Bin punito qual fece; cfr. Fsod, XXI, 24,
Levit.X.X1V,20, Deuter, XIX, 21, §.Matt.
V, 38; VII, 2.
CANTO VENTESIMONONO
—rr co e
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA NONA:
SEMINATORI DI DISCORDIA
GERI DEL BELLO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA
DECIMA: FALSARI D'OGNI GENERE
1° FALSATORI DI METALLI
(Coperti di lebbre, pozzolenti, si graffiano ferocomente con le nnghio
e sono morsicati da altri spiriti)
GRIFFOLINO E CAPOCCIITO
La molta gente e le diverse piaghe
Avean le luci mie si inebriate,
Che dello stare a piangere eran vaghe;
V. 1-12. Ammonizione di Virgilio,
Dante è ancora tutto intento a guardare
Riù nella nona bolgia. Virgilio gliene fa
rimprovero, ricordandagli osse-
re oramai tempo di continnare il vingglo.
1, MOLTA: cfr. Inf. XXVIII, 7-21, -
DIVERSE: strano, inaudite,
PS
2, Luet: neehl; of. Puro. XV, 84; XXXI,
70. Parad. 1,66; XV111,55; X X11, 126000.
- INENRIATR: progne di lagrime per lo
dolore cagionato da quella vista miseran-
da. « Inebriabo te lacryma mea; » Isaia
XVI,09.e Ebrietato et dolore replerebis ; »
Ezech. XXII, 33, Cfr, Conv. 1V, 27,»
282 ([CERC. 8, BOLG. 9]
INF. XxIk, 4-12
[AMMONIZIONE]
4 Ma Virgilio mi disse: « Che pur guate?
Perché la vista tua pur si soffolge
Laggiù tra l’ombre triste smozzicato ?
“I
Tu non hai fatto si all’altro bolge.
Ponsa, se tu annoverar le credi,
(the miglia ventiduo la valle volge.
10 E già la luna è sotto i nostri piedi.
L
E
4. cnr: a che
cosa! Era ben 1
- QUATRE: guati, 7
Nannue,, Verbi,
6. SI BOFFOLOR:
poggia, si ferma,
XXIII, 180,
6. SMOZXZICATR
pexzi; efr. Inf.
7. Bl: così; m
scimento ii alla.
5. BK TU: 80 ti veni sia prboro 0ss6r-
varo tutto lo ombre di quosta bolgia.
VU. VOLGK: gira, lu un circuito di von-
tidue miglia, onde immenso è il numero
delle ombre che vi sono dentro.
10. K GiÀ: sono le ore 1 !/: pom. Cfr.
Agnelli, Tupo-Cron.,109.- sorto: ne'ple-
niluni (cfr. Jnf. XX, 127)lalunaò asera
sull'orizzonte, a mezzanutte nollo zenit,
il mezzodì seguente al nadir, cioè per
l'appunto sotto i piedi di chi 6 posto nel
mezzo della terra; cfr. DxkLLA VALLE,
Senso geogr. astron., 20 e seg. PONTA,
Orolog. Dant., Novi, 1846, p. 217, ed.
C. Giota, Città di Castello, 1892, p. 58
e seg. LANCI, Spirit. tre regni I, 24. No-
CITI, Orario, p. 7.
11. roco: dovendo compiere il viag-
gio por l'inferno in 24 ore, quindi uscir-
ne la sera di questo stesso giorno (confr.
Inf. XXXIV, 68), non gli rimanovano
oramai più che circa 6 ore per arrivare
ul fondo.
12. VEDI: Al. CreDI, lez. del tatto fulsa,
non avendo Dante mai fatto tre rime con
due parole di ugual senso. Cfr. Quattro
Fior. II, 113. BLANC, Versuch I, 256 e
sog. Lomb. ad h. |.
V. 13-39. Geri del Bello, Dante si
scusa a Virgilio dell'iudugio, dicendo di
aver guardato tantu attentamente gii
nella bolgia, perchè credeva di vedervi
un suo parento. Virgilio gli risponde che
ie n'è concesso,
tu non vedi, »
tale è già passato oltre sotto il ponte.
slo udì nominare Geri dol Bello, Que-
‘a figlio di Bello, che fu fratello di
ìncione, nonno di Dante. Cir, PrRLLI,
u., 33. Pasamuni in Dante « il ino
lo, 00. VnariceLLIi, Vita di D., 40,
sont nel Dante-Fahrbueh II, 335,
i sua storia è varlamento narrata
i antichi commentatori; brutta ad
modo. Uccisore a tradimento, a dopo
e con una mentogna fatto posar l'ar-
mu Al suo avversario, egli stesso è pol
lteciro a Fucocehio da un paronto di que-
sto: che famiglio fussero non Oo bon chia-
ro. E notisi! Geri aveva ucciso, dicendo
all’altro: Messere, ecco la famiglia del
Potesta, riponete UV arme; 6 l' uccisore
suo fa la vendetta, essendo davvero uf-
ticiale di Potestà e mostrando di cercar-
gli armo addosso; » Del Lungo, Archi-
vio stor. ital., 1886; XVIII, 380. <I del
Bello sono consorti di Dante, anzi suoi
stretti congiunti, perchè derivati da mee-
ser Bello giudico, figlio di Alighiero e fra-
tello di Bellincione sno avo. Questa fami-
glia fu guelfa, e vien rammentata tra
quelle che ebbero atterrate le case nol
1260, dopo la disfatta di Montaperti.
Gori del Bello, che i commentatori di
Dante ci dipingono come gran semina-
tore di divisioni, fu ucciso da uno dei
Sacchetti; o la sun violenta morte non
ancora vendicata quando Dante finge
discendere all'Inferno, lo fu più tardi
da un nipote dell'ucciso, che dell'onta
era consorte. Per le divisioni di Firenze
nelle fazioni Bianca e Nera, i del Bello
aderirono alla prima: laonde furono co-
stretti ad abbandonare la patria. 1! loro
esilio durava tuttora nel 1311, e fu con-
fermato per sempre nella famosa rifor-
ma degli Ordinamenti di giustizia, fatta
per opera di Baldo d'Aguglione. Era al-
lora questa casa rappresentata da Lapo
(CERC. 8. BOLO. 9]
Inf. xxix. 13-30 [GERI DEL BELLO] 288
13 « Se tu avessi, » rispos’ io appresso,
« Atteso alla cagion perch’ io guardava,
Forse m’avresti ancor lo star dimesso. »
16 Parte sen gia, ed io retro gli andava,
Lo duca, già facendo la risposta,
E soggiungendo: « Dentro a quella cava
19 Dov’ io teneva gli occhi si a posta,
Credo che un spirto del mio sangue pianga
La colpa che là giù cotanto costa. »
22 Allor disse il maestro: « Non si franga
Lo tuo pensier da qui innanzi sovr' ello:
Attendi ad altro, ed ei là si rimanga.
25 Cl’ io vidi lui a piè del ponticello
Mostrarti, e minacciar forte col dito
Ed udil nominar Geri del Bello.
28 Tu eri allor sì del tutto impedito
Sovra colui che già tenne Altaforte,
Che non guardasti in là sì fu partito. »
te rimase estinta; »
Lonp Veunon, Jnf., vol. II, p. 225.
D. Bonro.as, Geri del Bello, Von. 1804.
F. Sanna, La discendenza di Geri del
Dello, Piatoin 1805, Bull. 11, 2, 65-70.
13. Arruesso: udito il rimprovoro di
è dagli altri figli di moaser Cione, nel
probabilmen
15. mmesso: dal Int. dimitlere, per-
messo di fermarmi ancora un poco.
16. PARTE: mentre, intanto che; men-
tre che Virgilio so ne andava in ntto di
aprire la bocen por rispondermi, fo gli
teneva dietro soggiungendoalle già dette
lo seguenti parole. Oppure: lo lo seguiva
fhoendogli la risposta e defi engento.
Costrazione nou troppo chiara.
18. CAVA: fossa, bolgia.
cinica A: appostati, affissati; ofr.
L
2%. coe wy: Al. cREDO UNO SPIRTO;
of, 2. F., 176.
21. cora: dei seminatori di scandali,
22. YRANGA : non ai rifletta — non pen-
sare più n lui. Al: non s'intonorisca o
somimtora, Al: non si distragga ed in-
I'robabilmente frangere ha
qui il valore di rifrangere = riflette
= a re.
+ Prende eee. dal raggi, i quali,
ni frangovo sopra ona persona,
ra la illuminano. Dico: non si franga,
clot non si sparga sopra lui; » Betti, -
«Non tefrangat ista Res;»7/ Reg. XI, 25.
23. 20vn' ero: Int. super illo, sovra Ini.
26. MosTRARTI:‘agli altri spiriti, acuo-
tono il dito, como fa chi, adirato, minac-
cia altrui.
27, ume: Al. up; efr, 4. F., 176.
28, imrmorro: eri tutto intento alla
vista ed alle parolo del signore di Han-
tefort, n Altaforte, cioè Bortram dal
Bornio, nè ad altro badavi.
30, In LA: verso il Inogo ove Geri pas-
RAva.-RÌ vi: sino a cho si fa allonta-
nato; chif Bortram dal Bornio, o Uori!
Non è troppo chiaro, benchè Ser Mar-
tino dica che sia «invece chiarissimo, >» I
più o tirano via o si esprimono in modo da
non potere indovinare se riferiscono il #
Ju partito a Bertramo o a Geri (Bambgl.,
dn. Sel., Tac. Dant., Lan., Ott., Petr.
Dant,, Cass., Falso Bocc., Benv., An.
Fior., Land., Tal., Vell., Port., Tom.,
Br. R., Corn., ece.). Altri, è nol siamo
con loro, riferiscono il sì fu partito a
Bortramo (Andr., I'al., oso.), nitri a
Geri (Jiu, Serrav., Narg., Dan., Onat,,
Vent., Lomb, Biag., Ces., Ross., Frat.,
Cam., ecc.). Ma non pare che Geri si
fermasse tanto o poco, mentra invoce
Dante non cess) di tener fisso lo sguarilo
n Bertramo, finchè questi sì fu partito,
284 ([CERC. 8, BOLG, 9]
Ixr. xx1x, 31-43
(GERI DEL BELLO]
81 « O duca mio, la violenta morte
Che non gli è vendicata ancor, » diss’ io,
« Per alcun che dell’onta sia consorte,
DA l'eco lui disdegnoso; ond’ ei sen gio
Senza parlarmi, si com' io stimo;
Ed in ciò m'ha e’ fatto a sé più pio, »
87 Cosi narlamma inaino al laco primo
CI valle mostra,
Se a ad imo,
40 Quar iltima chiostra
Di i conversi
Pi | nostra,
43 Lam: ‘sl,
#2. VENDICATA :
naturaliter tenda
rentini maxime ad
et publice et privi
Hello « fu molto
vizio fu nociso dn vane we centri, no
se ne fe' vendetta, se non dupo trent'an-
ni, et altora un figliuolo di messer Cione
uccise uno de' Sacchetti su la porta della
casa sua; >» Land.(?).
83. PER: da alcuno bhe, come parente,
è partecipe dell'ingiuria. La vendetta
privata, pormossa dalla logge mosaica
(cfr. Num. XXXV, 19 © sey. II, Reg.
XIV, 5 © seg.) © considerata dai Greci
come un diritto e insieme un dovere
(cfr. Hom. Il. IX, 628 e seg.; XVIII,
498 e sog. Paus. (frac. deser. V, 1. Plat.
De Leg. 1X), ora ai tempi di Danto un
diritto logulmente riconosciuto e si rite-
neva dovere d'onore di tutti i consan-
guinei dell’ offeso. Brunetto Latini, Te-
soret., 18: « Lenta, o ratta, Sia la ven-
detta fatta. » Cir. Santini in Arch. etor.
ttal., 1886, XVIII, 162 è seg.
35. COM'IO STIMO: come credo. Al.
COM' 10 KBTIMO.
36. M’ Ha R'FATTO: mi ha egli fatto.
Al. M'HAKR FATTO. Al. HA FATTO KLLI.
Cfr. Z. F., 177. « Quasi dicat: in hoc ma-
gia doloo ct compatior, quin pulcrum ot
piam videtur facere viudictam de pa-
rentibus io isto mundo; » Benv. Andan-
dusene disdegnoso, senza volgermi la pa-
rula, mi ha mosso a maggior compassione
di lui, sapendolo non pure tormentato
come gli altri seminatori di scandali, ma
e cracciato per non cssere ancora ven-
o «in qualche membro del sao pa-
do,
VAnLAMMO: andammo parlando im»
a quel primo luogo dello scoglio,
è, 56 vi fosse maggior lume, sì ve-
wed sino al fundo della decina ed ul-
tima bolgia.
39. TUTTO AD IMO: totalmonte insino
al fondo.
V. 40-51. La decima bolgia. Arri-
vati sal ponte dell’ ultima bolgia, Dante
odo laggià diversi lamenti, come di una
immensa quantità di ammalati, e dalla
bolgia esce un puzzo insoffribile. Laggiù
sonu tormentati i fulsatori di cose, di
persone, di monete e «di parole, ogni
schiera in modo diverso, corrispondente
alla qualità del peccato.
40. CHIOSTRA: luogo chiuso, o tali erano
le bolge chinse tra gli argini; tali tutti 1
cerchi infernali, Purg. VII, 21.
41. CONVKESI: claustrali. Chiama così
gli abitanti della bolgia, por aver chia-
nato la bolgia chioetra, che vale anche
monastero. Al. converzi = trasmutati;
ma gli abitanti di questa bolgia non so-
no trasmutati. Lan.: « Conversi, cioò ter-
mini, » interpretazione accettata dal Bet-
ti, ji quale intende «che quando Dante
© Virgilio furono pervenuti sull'ultima
chiostra, poterono d'un'occhiuta vedero
i converai, ciuè lo girate de'cerchi, le voi-
tate, i termini di tutta la Malobolge. »
42. PARKRK: apparire; essere veduti
da noi che eravamo sul ponte.
43. BAKTTALON: ini colpirono, mi pua-
sero le orecchie. Al.: mi punsero il cuore
di pista.
[CERC. 8. NOLO, 10]
InP. xxix. 44-58
(PALS. DI METALLI] 285
Che di pietà ferrati avean gli strali;
Ond’ io gli orecchi con le man copersi.
“ Qual dolor fora, se degli spedali
Di Valdichiana tra il luglio e il settembre,
E di Maremma e di Sardigna i mali
0 Fossero in una fossa tutti insembre:
Tal era quivi; e tal puzzo n' usciva,
Qual suole uscir delle marcite membre,
sa Noi discendemmo in su |’ ultima riva
Del lungo scoglio, pur da man sinistra,
Ed allor fu la mia vista più viva
56 Giù vér lo fondo, dove la ministra
Dell’alto Sire, infallibil giustizia,
Punisce i falsator’ che qui registra.
8 Non credo che a veder maggior tristizia
di, PIETÀ: potrebbe qui valere dolore,
onda il senso sarebbe, che quei lamenti
erano l'espressione di immenso dolore.
Oppure vuol dire, che quei lamonti ave-
ran tanta forza da pungero il coore a
pletade; «in Inogo di punta la qual snol
oor di ferro, nrorano la pietà ; » Cer.
45, comuiesi: forso si turd lo orcochio
por non ossere commosso n troppa pietà
è non meritarsi di nuovo i rimproveri di
Virgilio, come se gli era meritati altra
volta; cfr. Inf. XX, 27 e aeg.
46, poLon : dnolo, lamento; la canen
per l'effetto, - FORA: sarebbe ; cir. Nan-
mué., Verbi, 475 0 seg. Al. ruor Rscm,
Rack ruog, eco.; cfr. Moone, Crit., 351
6 seg. Il dolore quivi raccolto era tale,
quale sarebbe se in un sol Inogo fossero
rinniti totti quant! i morbi che infestano
nell'estate le regioni palndose della Val-
dichiana, della Maremma e della Sarde-
gua. Questo paragone è affine a quell'al-
tro Inf, XXVIII, 7 © sog.
47, Vanbioniaxa: la vallo dello Chia-
ne, tra Arezzo, Cortona, Chiusi e Mon-
ni tompi di Dante paludosa è
malsana. « Tuxta antem vallem istam
orat illo tompore hospitale de Altopassu,
abi solebant owe multi panperea infir-
mantos, ef por consequens magnus do-
lor; » Nene.
48, Mankasa: In Maremma toscana
(efe, Inf. XITI, 7 © seg.; XXV, 19. Purg.
V, 134, in allora quasi spopolata ed ns-
mal insalabre; ofr. Lonta, L'Italia nella
D. ©., 434 © seg. - SAnbigNA : Sardegna
Pe
«isola molto inferma, come sa cinscuno
che v'è stato; » Buti.
40. mnsemnne: insieme, dal prov. en-
semble, Int, in simul, anticamente anche
fuor di rima; cfr. Diez, Wart. I°, 238,
Nannue., Man. 13, 188,
61. uscir: Al, vent, = DRL AI. DAL
LE. Cfr. 7. P., 178. — memori: mombra,
« Spiritus oro foras tetrim volvebat odo-
rem, Rancida quo perolent proiecta ca-
davera rita; » Lueret, Ker. nat. VI, 1161
onog.
V. 62-72. Falsatori di metalli e loro
pena, La prima classo è del falsari in
cose, in metalli (alchimisti). Kicoperti ili
lebbra, essi sono tormentati dalla senbbia
e da altre schifose malattie. La febbre
aride loro il cervello del quale abusarono
6 puzzano per l'immonderza del vizio.
62. DISCRXDEMMO : per poter ben distin-
guere il fondo della bolgia. — rIvA: ar-
gino; questo è l'ultimo, perchè confina
col profondo porzo, Inf, XVIII, 5, dove
lo scoglio finisco.
64. viva: chiara; cfr, Purg. XX1V, 70.
h6, sine: signore, Dio; ofr. Purg. XV,
112; XIX, 125. Par. XIIT, 64, eco.
57. Qui: In questo mondo. Invece
Menpn.: « quos ponit in iste bulgia do-
clima; quando onlm sentontia datar con-
tra reum, tune reglatrari solot. » (1) —
neawrka: nei libri dello colpe; cfr. Da-
miele VIT, 10. Apocal. XX, 12, Al. Con-
fina in questa bolgia (ft).
58, NON CuRDO: costr.: Non credo che
a vedere in Egina il popolo tutto infer-
[CERC, 8. BOLO, 10]
Tyr. xxix. 59-72
[FALS, DI METALLI]
Fosse in Egina il popol tutto infermo,
Quando fu l’aer si pien di malizia,
al Che gli animali infino al picciol vermo
Cascaron tutti, e poi Je genti antiche,
Secondo che i pooti hanno per fermo,
64 Si ristoràr di seme di formiche:
‘Oe | _ 45 -
L
67 Qua!
1,
SI
70 Pass
Gn
Ch
mo.... fosse magg
vedor, eco, La 3
Ovidio, Met. VII
Iter. nat. VI,
50, Ecaixa: isoletta vicina ad Ateno.
La favola in breve è: Giunone, adirata
porché la ninfa Egina (che diede il nome
ull'isola) era giaciuta con Giove, mandò
nell’ isola la peste che fece morire gli
animali prima, quindi gli uomini. Eeaco,
figlio di Egina e signore dell’ isola, ri-
masto solo vivo, essendo assiso sotto una
quercia, pregò Giove di ridonare all'isola
tanti abitanti quante formiche vedevn
a' suoi piedi. Giove lo esaudì ed i nuovi
abitanti dell’isola furono denominati dal-
la loro origine i Mirwidouni.
60. L'akk: « Ate inimicus serpere cw-
pit; » Lucret.}.c., 1117. « Letiforis calidi
spirarunt flatibus anstri; » Quid.1. c., 632.
- MALIZIA : germi di pestilenzial corruzio-
ne; cfr. Ovid. ibid., 548.
Ol. ANIMALI: cfr. Ovid. ibid., 556 e sog.
- VERMO: dei vermi Ovidio non fa men-
zione.
62. CASCARON: morti ; cfr. Inf XXXIII,
71. « Strage canum primo volucrumque
oviumque boumque Iunque feris subiti de-
pronsa potentia morbi; » Ovid. 1. c., 636
© seg. - GENTI : cfr. Ovid. ibid., 552 © seg.
- ANTICHK: così chiama anche Ovidio gli
abitanti di Egina distrutti dalla peste,
6 recenti le gonti novellamente create,
ibid., 652 e seg.
63. I rOoKTI: Ovidio non fu il solo a
raccontare il futto, o piuttosto la favola,
cfr. per es. Apollod. JII, 12, 6, Ma Dante
lil. — sel - La
Ti
a oscura vallo
‘erse biche.
| sovra le spalle
qual carpone
io calle,
| sermone,
| gli ammalati
lor persone.
nttinse che ad Ovidio, come si vede
sun desoririone.
si RISTORAR: si rinnovarono, ri-
bawyaero; ofr. Ovid, ibid., 654 è sog,
Gu, LaNGUIR:; eff. Oevd, ibid., 547. — Di-
VERSK: quattro classi o mucchi. - BICHK:
mucchi; propr. i covoni del grano; qui
per Mucchi di languenti. « Iude cater-
vatim morbo mortique dahantur; » Lu-
cret. l.c., 1141. « Omnia languor habet;
rilvisquo agrisque viisquo Corpora fieda
iacent; » Ovid. ibid., 647 © seg.
67. QUAL: gli alchimisti, tutti lebbrosi
o scabbiosi o paralitici, sono distesi cul
ventro a terra (cfr. Ovid. Met. VII, 559),
o addossati l'uno alle spalle dell'altro, o
vanno carponi,
69. BI TRABMUTAVA: gi trascinava qua
e là per lo tristo luogo. Al. SI TRAMU-
TAVA: cfr. Ovid. ibid., 574.
70. rA8SO: noi audavumo lenti e taciti
gu perl'argine, guardando cd uscoltanvdo
que’ peccatori laggiù, i quali, oppressi
da sì gravi morbi, non potevano tenersi
diritti sulla persona.
V.73-120. Griffolino d’ Arezzo. Dante
vede due dannati seduti l'uno contro le
spalle dell'altro, da cupo a pid coperti di
schianze e grattandosi la scabbia con le
unghie; Virgilio chiede loro se vi sia al-
cun italiano laggiù. Sono italiani ambe-
duo. Il primo che si manifesta è Capoo-
chio Arotiuo, il quale racconta dello sue
colpe. «Iste Aretinns vocabatur Bal, ma-
gnus et subtilissimas archimista, qui
vero dum caset domeaticus culusdam filii
cpiscopi Scnensis qui vocabatur Alber-
[cERC. 8. BOLG, 10]
InP. xxIx. 75-89
[GRIFFOLINO] 287
73 Io vidi duo sedere a sé poggiati,
Come a scaldar si poggia tegghia a tegghia,
Dal capo al piè di schianze maculati.
76 E non vidi giammai menare stregghia
Da ragazzo aspettato da signorso,
Né da colui che mal volentier vegghia:
70 Come ciascun menava spesso il morso
Dell’ unghie sovra sé per la gran rabbia
Del pizzicor che non ha più soccorso.
E si traevan giù l’unghie la scabbia,
Come coltel di scàrdova le scaglie,
O d'altro pesce che più larghe l'abbia.
85 « O tu che con le dita ti dismaglie,
Cominciò il duca mio a un di loro,
« E che fai d’ esse talvolta tenaglie,
BR Dinne se alcun Latino è tra costoro
Che son quince’ entro, se l'unghia ti basti
toa, dixit dicto Alberto: Fgo seirem vo-
lare ri vellem. Ille autum Albertus ex fn-
cititate soa hoc credena, ragavit dictum
do Aretio ut doceret ipsum volare, ot
otm non potuissot hoo facere, accnsarit
sum episcopo Senensi patri ano, ex quo
dlietnia Bal combnuatus fuit; » Mambg. Su
per giù lo stesso raccontano puro gli al-
tri antichi. L'An. ed. Sel. dico che Grif-
folino « molto falsò le monete,» n che
Albero lo ncensò «a l' inquisitore de Pa-
terini di corti peccati contro a Fede. »
Secondo Jac. Dant. « riputandosi il detto
Alberto da Ini ingannato, a un certo in-
quisitore de’ Paterini in Firenze ardere
lo faco, il quale inquisitore padre del
(letto Alberto cortamente da molti era
tennto. » Si crede che il fatto suceedesse
al tempo di Ronfiglio, che fu vescovo di
Siena dal 1210 al 1252. Cfr. Aquarone,
Dante in Siena, 50 è seg.
73. A st: l'uno a ridosso dell'altro.
74. troomA: teglin, varo di cucina.
75. scnianze: maechio della senbbin.
« Schianze o atianze chiamano a 8. Gi-
mignano le macchie del legno; » Carerni,
Al: le croste delle pinghe disseocate,
76, strroGuiA : atriglia, strumento
vpi i" più lame di ferro dentate,
quale si fregano e ripuliscono | ca-
valll è simili animali.
77. RAGAZZO: qui por mozzo, o fami-
Bilo di stalla. - siaxonso: signore ano.
Forma dell'uso antico, efr. Diez, Gram.
IL’, 467. AI. DAL SIGNORSO, contro la re-
gula generale; cfr. Fanf. Stud., 71, 160.
78. veconia: veglia; mena la striglia
addosso al cavallo con impeto, sin per di-
scacciare il sonno, sin per terminare il
sno lavoro ed andarsene a letto.
79. MORSO: « quasi i denti dell'unghie,
ciod l'acuta 6 trinciante loro punta; »
Lomb,
86. RANMA: prurito della scabbia, tanto
nontoe pungente,da non trovare altro sol-
lievo che tale graffiarsi. Al.Smania fernoe.
81. ri soccorso: verun altro sollio-
vo, tranne quello del graffiarsi.
82. © sì: le onghie trnevano giù In
achianze della seabbia, come il coltello
del enoco leva via raschiando le squame
della scardova o di altro pesce che le
abbia ancor più larghe; ofr, Horat. Epist.
lib. I, ep. 12, v. 12 6 seg.
B3, BCARDOVA: pesce d'acqua dolce con
molte scaglie, n levar le quali bisogna
adoperare |l coltello, il Oyprinte latta
del Lipnò.
R6. tt pISMAGLIR: ti dismagli, serosti
collo unghie, Dismagliare= disunire, di-
afar lo maglie.
BT. FAI: adoperi lo dita come tenaglie,
afferrando © traendoti di dosso le croste.
88, Latino: Italiano; ofr, Inf, XXII,
06; XXVII, 27, 93.
#0. quino KX THO: dentro la bolgia; ofr,
288 [CERC. 8. BOLG. 10) INF. xxx. 90-110
——-———
[GRIFFOLINO]
Eternalmente a cotesto lavoro, »
91 « Latin’ sem noi, che tu vedi sì guasti
Qui ambedne, » rispose I’ un piangendo;
« Ma tu chi se’, che di noi dimandasti ? »
94 E il duca disse: « Io son un che discendo
Con questo vivo giù di balzo in balzo,
E di mostrar l'inferno a lui intendo, »
97 Allor si ruppe lo comun rincalzo,
E tremando ciascuno a me si volso
Con altri
100 Lo buon mi
Dicendo,
Ed io ine
103 « Se la vo
Nel pri
Ma s'e!
106 Ditemi cl
La vos
Di pa
109 «To fui
Rispo
Inf. X,17.-8EL'UNOh:-
serva in eterno a graltiarti, sui. _
spuotarsi. Deprecazione che an del di-
leggio o della beffa. Inveco Heny,: «de-
lectabile enim videtur scabloso scalpere ;
ideo optat sibi instrumentum indeficiens
quo possit sompor delectari, quasi dicat:
ni Deus dot semper tibi ad laborandum.
Hoc enim summe appetit Alchimista,
unde totum ws mundi consumeret, ut
satisfaceret isti appetitui canino. »
94. SON UN: cfr. Inf. KX VITI, 46eseg.
95. DI DAT.ZO: « di cerchio in cerchio e
di ripa in ripa;>» Buti.
07. LINCALZO: il vicendevole uppoggio.
I duo stavano appoggiati l'uno all'altro,
v. 73; ull'udiro che l'uno doi due visita-
tori è ancor vivente si scostano ciascuno
dalle spalle dell'altro, por movimento
predotto dalla grun maraviglia, e si vol-
gono tremando verso Dante.
48. TREMANDO: «quia nou poterat unus
so substinere sine adhicsione alterius so-
cli; » Benv. Fors’ anche per lo spavento
di essere veduti da un vivente in « sì
aconcla e fastidiosa poua, » v. 107 e sog.
lo questo tremare si potrebbo per av-
“adiron di rimbalzo.
— “230,
vuoli. »
volse:
boli
menti,
n,
nti;
4 pena
venti.»
a Siena, »
ire al foco;
» vedoro lo spavento del falsari
i.
ov. JI RIMBALZO: per ripercumilone,
indirettamente, Virgilio non avendo par-
lato ud esa) dirottamento.
100. 8"ACCOLBK: attese con tutto l'ani-
moame, doponaverfatto attenzione ai due
dannati. Al.: s' uccustò tutto verso mo.
102. voIsk: volle.
103. IMBOLT: involi.Cosìla vostra momo-
ria non si cancelli dalle umane menti, 600.
104. PRIMO: in terra, dove l'uomo vive
la sua prima vita.
105. sotto: per molti annui; cfr. Inf.
VI, 68.
106. DI CHE GRNTI: di qualicittadinanze,
o di qualo tra‘ divorsi pupoli latins, v. 91.
107. sconcia: dalla lebbra. - rasti-
pIONA : molesta -per il prurito.
109. ALUkKo: o Alberto, como leggono
altri; forse quel medesimo di cui parla il
Sacchetti, Nov. XI e XIV; secundo! più
figlio del vescovo, secondo altri ben vo-
luto dal vescovo, ma figlio di un Bernar-
dino del popolo di S. Martino. DI lui si
hanno notizie dal 1288 al 1294. Aqua-
rone, |. c., GI,
(CERO, 8. BOLG. 10]
Inr. xx1x, 111-127 [vANITÀ DEI 5ENESI] 289
Ma quel perch’ io morii qui non mi mena.
112 Ver è ch’ io dissi a lui, parlando a gioco,
Io mi saprei levar per |’ aere a volo;
E quei che avea vaghezza e senno poco,
115 Volle ch'io gli mostrassi l’arte; e solo
Perch' io nol feci Dedalo, mi fece
Ardere a tal che l’avea per figliuolo.
118 Ma nell’ ultima bolgia delle diece
Me per l'alchimia che nel mondo usai
Dannò Minòs a cui fallar non lece. »
121 Ed io dissi al poeta: « Or fu giammai
Gente sì vana come la saneso ?
Certo non la francesca si d’assai. »
1% Onde l'altro lebbroso che m’ intese
Rispose al detto mio: « Trammene Stricca,
Che seppe far le temperate speso;
127 E Niccolò che la costuma ricca
111. QUEL: non sono dannato per quella
tolpa che mi fu imputata, e per la quale
fol arso, ma per altra, cioè como alchi-
mista, v. 119,
112. A aioco: « quia habobat solatinm
de eius fatuitato; » Benv.
114, vacuazza: curiosità di cose nuove,
* Dicesi che quello Alberto era molto va-
go di cotali truffe, e nveravi consumato
del ano, © porò avea poco senno;» Ott,
115. ARTE: di volaro,
116. DrebaLo: che sapeva volare; efr.
Inf. XVII, 109 e seg. Ovid, Met. VIII,
204 è sog.
117. ATAL: da tale, cioò dal vescovo di
Siena che lo tenea in luogo di figlinolo ;
*« licet forte non easet, quia genitua ex
meretrice; et si erat non audebat di-
tere, quia empe sacerdotes filicos dixere
nepotes ; » Beno.
110. ALCHIMIA: arte di faro oro, dal-
l'arabo al-Kimid, ofr. Diez, Wirt. 1%, 15.
Qui intende dell'alchimia illecita, ‘cho
falsa i motalli; cfr. Thom. Ag. Sum, theol,
I, 2, 77 e l'Ott. a questo verso,
120. Now LECE: Minosse non può fal-
lare, come falld il vescovo di Siena.
V. 121-182. Vanità dei Senesi, Il ri-
cordo della fatuità di Alberto da Siena
Pn Dante ad un'invettiva contro i
leant races la loro vanità, maggiore del-
lo seconda
con amara ironìa, nominando Alcuni Se-
19, — Div. Comm., 8% odiz.
Vi
nesi ole si resoro famosi per la loro
ranita.
123. FRANCHSCA: francese, cfr. Inf.
XXXII, 115. « Galli sunt gonus vanis-
simum omnium ab antiqao, sicut patet
expe apud Julium Celsum, et hodie pa-
tet de facto; » Beno,
124. L'ALTRO: Capocchio, v. 136,
125, TRAMMENR: Al. TRANNE; parlaro
ironico, como Inf. XXI, 41.- STRICCA:
probabilm. Stricca di Giovanni de’ Sa-
limbeni, podestà di Bologna nel 1276 è
1280; cfr. Mazz.-Tos. Voci e passi, 184.
Secondo altri Stricea do' Tolomei; è di
nuovo, secondo altri, doi Marescotti. Cfr.
Borgognoni in Propugnatore I, 07-924,
578-602, 645-004. « Lasciollo il padre ricco
© ogni cosa distruase in pazzie, è in scioc-
chezze cattive; » An, Sel. — « Homo de
Curia ;» Petr. Dant.
126. TKkMreraTE: continna l'ironia:
temperate per: smoderate,
127. Niccorò: secondo alconi de' Sa-
limbeni, fratello di Stricca ; secondo altri
de’ Bonsignori. « Foit primns qui dooult
poni garofanos in anporibua; » Bambg,
Lostesso ripetono altri, come An, ed. Set,
Lan., Ott., Petr. Dant., occ. « Aliqui di-
cunt, quod iste Nicolaus faciebat famu-
lum assistentem mundare sibi gariofilum,
sed istod est vanius dicere, quam fuerit
facere, Alii dicunt quod faciebat poni ga-
riofilos in nssatis; sod ista non fuissot
290 [CERC. a. BOLG, 10) InP, xxix. 128-186
(CAPOCCHIO]
Del garofano prima discoperse
Nell’ orto dove tal seme s’ appicea ;
130 E tranne la brigata in che disperse
Caccia d’Ascian la vigna e la gran fronda,
K l'Abbagliato il suo senno proferse.
133 Ma perché sappi chi sì ti seconda
Co II II
Ss ti risponda;
136 SÌ x 1 di Capocchio,
nova inventio, 1
dicunt, quod fac
caponesad pruin.
hoc credo verui
maxima vanissi;
ta;» Benv. Nell
era in Lombardi:
corona ad Arrig,
Del Lungo, Dini
G. A. MASTELL,
cold a citi Folfore sur sn »
ddicò la corona ilei sonetti dei mesi; Von,,
1893. Bull. 11, 1, 31-35.
129. NKLL'’ ORTO: « miso tale uso tra li
ghiotti e gulosi;» Lan. Al.: a Siena. Al.:
nell’ oriente, dove il garofano cresce in
pianta indigena (7).
130. BRIGATA: detta godereccia o spen-
dereccia, di dodici giovani Senesi ricchis-
simi, formatasi in Siena nella seconda
motà del sucolo XIII nell'intento di vi-
vere lietamento in conviti e feste. Cfr.
Benv. II, 411 e seg. Aquar.l. c., 45 e sog.
Sorgognons, |. c., 305 e seg. - DISI'KIWBK :
dissipò, sprecò. « Mubebat iste pulcerri-
mam et privcclaram possessionom, quam
vendidit ot consumpsit in ista brigata fa-
tua; » Benv. Lo stesso commentatore af-
ferma che la brigata non durò più di venti
mesi, « nam cito devenerunt ad inopiam,
et facti sunt fabula gentium. »
131. Caccia : degli Scialenghi, del ramo
doi Cacciaconti. «Consumpsit omues pos-
sessiones et alia bona in dicta brigata; »
Kambg.-FKONDA: Al. FONDA; le sue ric-
che possessioni.
152. L’AUBAGLIATO: Bartolommoo dei
Folcacchieri, nol 1278 multato perchd
trovato a bere in una taverna, ebbe iu
seguito uftici onorevoli nella sua patria;
cfr. Mazzi, Folcacchiero Folcacchieri, Fi-
renze, 1878, 9 e seg., 21 e seg. Al. ABBA-
GLIATO, attributo del senno di Caccia
Scialenghi. Cfr. Z. F., 180 e seg. - rro-
Creer, =
ak: profuse, Gli altri profusero gil
rl; costui, « povero, ma saputa per-
Lo (Lan., Ott.), il rec Si,
. 183-130. Capoechio. Dopo aver par-
della brigata spendereccia, lo spirito
omina. È costui Capocchio da Siena,
è dicono gli uni (Lan., Buti, Land.,
i, Dan,, eco.), 0 da Firenze, come af-
sano altri (Jac. Dant., An, Sel., Ott,,
*, Dant., eco.), arso vivo a Slena nel
---J. « Puit magnus alchimista, ot subti-
lissimus invontionia ot immaginationia
urtifox ; » Jambyg. - « Questo Capucchio
fu fiorentino, molto fulsò i metalli con
alchimia, e porò fu arso in Siena; e an-
che intendia in arte magica; » An. Sel.
- « Per eccellente operazione d' Alchimia
finalmente in Siena fue arso; » Jac. Dant.
- «Semel die quodam Veneris sancti cum
staret solus abstractus in quodam clau-
stro, effigiavit sibi totum processum pas-
sionis Domini in unguibus mira artificio-
sitate; et cum Dantes superveniens quie-
reret: quid est hoc quod fecisti ? istesubito
cum lingua delovit quidquid cum tanto
labore ingenii fabricaverat. De quo Dan-
tes multum arguit eum, eco.;» Benv.-«Fu
sanese e fu di grande ingegno, e studiò
con Dante in uno studio naturale e val-
sovi molto; » Buti. - « Fu conoscente del-
l’Auttore, et insieme studiorono; et fu
uno che, a modo d'uno uomo di corte,
seppe contraffare ogni uomo che vulen,
et ogni cosa, tanto che egli parea pro-
priamente la cosa o l'uomo ch’ egli con-
traffacea in ciascuno atto; diessi nell' ul-
timo a contraffare i metalli, come egli
fucova gli uomini; » An. Fior. Cfr. Aquar.
I. 0. Ferrazzi, IV, 398.
133. sECONDA: nell'inveire contro la
vanità dei Senesi.
134. AGUZZA : guardami attentamente,
sì che il mio volto da te riconosciuto, ri-
sponda alla dimanda fattami da te, v. 106.
[CERC. 8. BOLG. 10] Inr. xxix. 137-189 - xxx, 1-2 [ATAMANTE] 291
Che falsai li metalli con alchimia
E ten dee ricordar, se ben t’adocchio,
139 Com’ io fui di natura buona scimia. »
138, SK DEN : sé l'occhio non m' inganna
è to sof veramente colni che mi sembri,
ofr. Inf. XXVIII, 72. Dante lo aveva
dunque conosciuto personalmente.
139. scimsa: contraffattore perfetto di
momini e di cose, «Subtilia et universa-
lia magister, sicut eat acimia, que fa-
core gestit quos facie viditt » Bambg.
CANTO TRENTESIMO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA DECIMA : FALSARI D’OGNI GENERE
2° FALSATORI DI PERSONE
(Corrono disperati e rabbiosi, mordendo gli altri)
GIANNI SCHICCHI, MIRRA
3° FALSATORI DI MONETE
(Patiscono d' idropisia od hanno sete continua)
MAESTRO ADAMO, CONTI DI ROMENA
4° FALSATORI DI PAROLE
(Sono consumati da continua acuta febbre)
SINONE DA TROJA
= a
Nel tempo che Giunone era crucciata
Per Semele contra il sangue tebano,
V. 1-12. Atamante frurtoso. Volendo
dare un iden n |
l'iasania della seconda classe di falsari,
cioè dei falsatori ili persone, Dante ri-
corre alla mitologia prendendo due esem-
pida Ovidio. Il primo è di Atamante re di
Tebe che, divenuto furibondo por oporn
dl Giunone, fece tenders le reti per pron-
Psa
dere In moglio co' done figlioletti, como
fossero la leonessa ed | leoncini; quindi,
preso il figlio Learco, lo sbatté contro un
sasso, onde Ino ana moglie si gettò dispe-
rata coll'altro figlio Melicerta nel mare
vicino. Cfr. Ovin. Met. IV,416-562, Hom.
Od. V, 333, Avornon, J, 9, 1, 2.
2. SEMELK: figlia di Cadmo, primo re
292 [CERC. 8, ROLG. 10)
Inr. xxx, 8-21
[ECUBA]
Come mostrò una ed altra fiata,
4 Atainante divenne tanto insano,
Che veggendo la moglie con duo figli
Andar carcata da ciascuna mano,
7 Griilò: « Tendiam le reti, si ch’ io pigli
La lionessa e i lioncini al varco; »
E
10 Prei
E
E
13 Equ
Li
SÌ
16 Ecul
Pi
Ki
19 Del 1
artigli,
me Learco,
un 8a8S0;
iltro carco,
1 basso
intto ardiva,
il re fu casso:
a
| morta,
a riva
corta,
Forsennata latro si come cane;
‘Tanto il dolor le fe’ la mente torta.
di Tebe, amata da Giove; cfr. Ovid.
Met. TIT, 253-315. I più scrivono Semelè;
ma il Bettt: < Il vorso corre ogrugiumonto
con Semele.» E il Betti ha ragione. - BAN-
GUK: stirpo, progenie.
3. MOSTKHÒ: Al. MOSTRO GIÀ. - UNA KD
ALTRA: più volte. Ingannò Semele, per
farla uccidero dallo splendure di Giove;
feco lacerar dai cuni Atteono, unico figlio
della sorella di Semolo; fece che Agave,
altra sorella di Somele, uccidesse l’unico
figlio, credendolo un cinghiale; foco che
Ino, altra sorella di Seinole, si gettasse
nel mare, eco.
5. CON DUO: Al. co’ DUO; Learco e
Melicerta.
6. ANDAR: Al. VENIR; cfr. Z. F., 181.
-CARCATA: conducondoli, l'uno a destra
l'altro a sinistra. Al.: portandoli in col-
lo. Porta furse la leonessa i lioncini in
collo?!
9. ARTIGLI: lo mani che ogli adopra
colla fierezza di aparviere grifugno.
12. QURLLA: Ino. - L'ALTRO: Melicer-
ta; cfr. Ovid. Met. IV, 512-530.
V. 13-21. Ecuba forsennata. Il se-
condo esempio è quollo di Ecuba, moglie
di Priamo re di Troia, che, fatta schiava
dai Greci, dopo aver vedato uccidere sua
figlia Polissena sulla tomba d'Achille e
trovato il cadavero di suo figlio Polidoro
sui lidi dolla ‘L'racia, uscì fuori di vò in be-
stiali ululati o, convertita in cugna, ompi
tutta la I'racia do'suvi latrati. Cfr. Ovtd.
Med. XIII, 399-575.
13. vorse: cfr. Inf. VII, 96.
14. L'ALTEZZA : potenza superba; cfr.
Inf. 1, 75.- rutto: anche scelleratezzo
come lo spergiuro di Lavmedonte od il
ratto di Elena.
15. INSIEME: « ‘Troia simul Priamusque
cadunt; » Ovid. Afet. XIII, 404. - nk: Pria-
mo. - CA8S0: spento, ucciso; « Nullum
cum victis cortamen et wthere cassis; »
Virg. Aen. XI, 104.
16. CATTIVA: nella cattività; prigio-
niora dei Groci. « "Tutti tro epiteti con-
venionti ad esprimere o il doloro o l'in-
felicità resa più grave dalla cattività,
in cui Kcuba veniva condotta; » L. Vent.
18. k DEL SUO: Al. K 'L BKL 8UO; cfr.
Moonk, Orit , 3452 e B0g.
20. LATKÒ: « latravit conata loqui; »
Ovid. Met. XIII, 669. «< Sed torva canino
Latravit rictu, quio post hunc vixorat
uxur; » Zuven. Sat. X, 271.
21. TANTO IL DOLOR : Al. TANTO DOLOR.
- TORTA: le travolse la mente.
[cEnc, 8. ROLO. 10]
InP, XXX. 22-82 [GIANNI SCHICCIII}] 293
22 Ma né di Tebe furie né trojane
Si vider mai in alcun tanto crude,
Non punger bestie, non che membra umane,
25 Quant’ io vidi in due ombre smorte e nudo
Che mordendo correvan di quel modo,
Che il porco quando del porcil si schiude.
28 L'una giunse a Capocchio, ed in sul nodo
Del collo l’assannò si che, tirando,
Grattar gli fece il ventre al fondo sodo.
al E l'Aretin, che rimase tremando,
Mi disse: « Quel folletto è Gianni Schicchi,
V. 22-45. Falsatori di persone:
Mianni Schiechie Mirra, Pih forson-
nati e furibondi che non Atamante ed
Konba i falsari in atti, o falantori della
persona corrono laggiù nella bolgia e si
avventano foribondamente gli uni sugli
altri, essi stessi falsati in eterno, per
aver nel mondo falsato la propria e l'al-
trui peraona, Dante, vede due di costoro
correre smorti e nidi, e l'uno nesanna Un-
reg pae collo a Jo fa cadere.
l'ombra di Gianni Schiochi che filad il
testamento; l'alten è l'ombra di Mirrn,
l'incestuosa figlia del re di Cipro.
22. MA Ne: ma non si videro mai fn-
rori, nd in Atamante nò in Fenba: nò
in belva nè in nomo, così erndeli como
jo vidi in due ombro, ecc.
25, 1N DUR: Gianni Schicchi o Mirra.
AI, viDbI DUE; ma « il quanto del v. 25
è assolntamente, e devo essere relativo
del tanto del v. 23. Sicchd avendo detto
tanto erudo in alcuno, ragion vnole che
qui si dion quanto erude in due ombre; »
Betti. Cfr. £, F., 182,
26. DI QUEL: come il malalo affamato,
nl quale sia nperto il porcilo, si getta
fuori grognendo ed nasnnnando ogni cosn
che trova, « Similitudineaggianta, degna
del Inogo edi quei dannati;» L. Vent.
28, 1."UNA : l'ombra di Gianni Schicchi.
=Caroccmo: ofr. Inf. XX1X, 130. - xo-
bo; vertebre cervicali, per le quali il
enpo si congiange nl busto,
#9, r'aRsannò: « lo preso nol nodo dol
collo con le sanne, stando neo la similitu-
dine del porco, del quale lo sanne sono; »
Vell. = xopo : nuca. Cfr. Cavennt, Voci e
Modi, 89.
20, ant FRCE: tirandolo o trascinan-
dolo per lo duro fondo della bolgin. -
BODO: duro, essendo tutto di pietra; cfr.
Inf. XVIII, 2.
41. L'ArkeTiN: Griffolino; confer. Inf.
XXIX, 109. - tREMANDO : confe, Inf.
XXIX, 08.
32. FOLLETTO: propriamente nome di
certi spiriti maligni, cho In superstizione
credevnecrede vradino errando per l'arin,
e inquietando le nbitazioni degli nomini.
Qui chiama por similitndine folletto I’ om-
bra trasvolante dello Schicchi. - Granst
Scemcocnt: forse Sticchi come scrive I’ An.
Fior., il quale racconta: « Questo Gianni
Sticchi fn de'Cavalcanti da Firenze, et
dicesi di Ini che, essendo messer Buoso
Donati (cfr. Inf. XXV, 140) aggravato
d' ona infermità mortale, volea fare te-
atamente, però che gli parea nvero n ren-
doreassni dell'altrvi. Simone sno figlinolo
(o pinttosto fratello, figli ambedue di Fo-
reso il vecchio) il tenen a parole, per
ch'egli nol facesse; o tanto il tenne a pa-
role, ch'elli mori. Morto che fu, Simone
il tenea celato, et nven panra ch'elli non
avessi fatto testamento mentre ch’ egli
era sano; et ogni vicino dicea ch’ egli
l'aven fatto, Simone, non sappiendo pi-
gliare consiglio, si dolse con Gianni Stic-
chi et chiesegli consiglio. Sapca Gianni
contraffare ogni nomo, ef colla voce ot
cogli atti, ot massimamente messer Buo-
so, ch'era nso con lui, Disse n Simone:
Fa' venire uno notajo, et di' che messer
Thitoro voglia fare testamento: io enterrò
nel letta aun, et casceremo lui dirietro, et
io mi fascerò bene, et metteronmi la cap-
pellina sua in capo, et farò il testamento
come tu vorrai; è rero che io ne woglio
guadagnare. Simone fu in concordia con
Ini: Gianni entra nel letto, et mostrasi
apponnato, et contraffà In voco di mosser
294 [cERc. 8. BOLG, 10) Iw. xxx. 93-44
[MIRRA]
E va rabbioso altrui così conciando, »
da « Oh, » diss'io lui, « se l'altro non ti ficchi
Li denti addosso, non ti sia fatica
A dir chi è, pria che di qui si spicchi. »
Di Mirra scellerata, che divenne
1 Sa a
more, amica.
87 Kd egli a me: « Quell’é l'anima antica
AI :
40 Ques
Fa
Co
43 Per {
Fa.
Tiuoso che paréa È
a Lostare et diro: |
l'opera di Santa Jt
a Frati Minori, et
et così viene dist;
pochissimi danari, .
fatto ; et lascio, BOG pr LIA, Geren et
forim a Gianni Sticchi. Dice Simone a
Inesser Buoso: Questo non bisogna snet-
tere in testamento; io gliel darò come vot
lascerete. - Simone, lascerai fare del mio
a mio senno: io ti lascio sì bene, che tu
dèi essere contento. - Simone per paura si
stava cheto. (Questi sogue: Ft lascio a
Gianni Sticchi la mula mia; chè avena
messer Buoso la migliore mola di To-
scana. Oh, messer Buoso, dicoa Simone,
di cotesta mula sicura egli pouco et poco
l'avea cara. - Io so ciò che Gianni Sticchi
vuole meglio di te. Simono si comincia
adiraro et a consumarsi; ma por paura si
stava. Gianni Sticchi segue: Kt lascio a
Gianni Sticchi fiorini cento, che to debbo
avere da tale mio vicino; et nel rimanente
lascio Simone mia reda universale, con
questa clausola, ch'egli dovesse mottere
ad esecuzione ogni lascio fra quindici dì
se non, che tutto il reditaggio venisse
a’ Frati Minori del convento di Santa
Croce; et fatto il testamento ogni uomo
si part). Gianni caco del letto, et rimet-
tonvi messor Buoso, et liovano il pianto
et dicono ch'egli è morto. » Lo stesso rac-
contano An. Sel., Jac. Dant., Lan., Ott.,
Beno., Buti, eco. Alcuni (Cass., Petr.
Dant.) dicono che Simone o lo Schicchi
strozzassero messer Buoso; ma tal mi-
sfatto era ignoto a Dante ed agli altri
suoi commentatori. Confr. Encicl., 896
© 80g.
sì venne,
Irma,
A sostenne,
la torma,
ynati,
CONCIANDO: maltrattando.
HK: partic, doprocativa = così, —
nO: folletto, del due menzionati
26.
sriccui: si allontani,
ANTICA: visanta molti secoli prima
Gogo Altri attori comparsi sin qui sa que-
sta spavontovolo sacona ; clr. Jaf. XXVI,
85. Paro che Dante non potesse nemmeno
distinguero il sesso nl quale appartene-
vano le duo ombre, essendo esse tutte
deformate dal gran furore.
38. Minna: figlia di Cioira; arse di
violento e lascivo amore por il proprio
padre. Coll'aiuto della sua nutrice e delle
tenebro le riuscì di soddisfaro le ince-
stuose suo voglie, fingendosi altra gio-
vane donna. Adone fu il frutto dell'in-
cesto. Scoperta faggì in Arabia e vi fu
trasformata in pianta. Cfr. Ovid. Met.
X, 298-502, Pind. Pyth. 11, 15. Tac. Mist.
IT, 3.
39. DRITTO: figliale. - AMICA: concubina.
40. K8S0 : padre.
41. FALSIFICANDO: spacciandosi per al-
tra donna; cfr. Quid.1. c., 439. Per Dante
la falsiticazione è colpa più grave dell’ in-
cesto.
42. L'ALTRO: lo Schicchi. - SOSTRNNE:
assunse.
43. LA DONNA: la mula di Buoso Do-
nati, il quale dicono la chiamasse ma-
donna Tonina. - TORMA: armento, bran-
co. « Torma si dice propriamente la mol-
titudine de’ cavalli, donna significa ma-
dre, perd cavalla da tigliare; » Buo-
nanni.
44. PALSIFICARK: Al. FALSIFICANDO;
cfr. Moork, Crit., 354. - IN BE: Mirra
pote fingorsi altra donna qualunque; lo
bt
[cERC. 8. BOLO. 10]
Inr. xxx. 45-58 [MAESTRO ADAMO] 295
Testando, e dando al testamento norma. »
46 E poi che i due rabbiosi fir passati
Sovra cui io avea |’ occhio tenuto,
Rivolsilo a guardar gli altri mal nati.
49 Io vidi un fatto a guisa di liuto,
Pur ch'egli avesse avuta l’anguinaja
Tronca dal lato che l'uomo ha forcuto.
52 La grave idropisia che sì dispaja
Le membra con l’umor che mal converte,
Che il viso non risponde alla ventraja,
66 Facea a lui tener le labbra aperte,
Come l’etico fa, che per la sete
L’un verso il mento e l’altro in su riverte.
58 « O voi che senza alcuna pena siete,
Schiechi invece, dovendo spacciarsi per
Buoso Donati, fu costretto a tramutare
per così dire in sè l'identità di esso Bnoso.
45, DANDO: anpendo fare sl bene la
parte di Buoso, che il notaio ne fn in-
gannato ed il testamento fo dettato a
norma delle leggi ed approvato dopo
fatto
V.,460-00, Falsatori di moneta: Mae-
stro Adamo ed i conti di Romenn.
Perchè immisero immondizia nella mo-
neta, questi falsari hanno l'immondizia
nella propria persona, essendo gravati
dall'idropisia. Ed hanno recato la loro
insaziabile sete anche nel mondo di IA,
onde la loro immondizia e Ia loro sete
sono loro tremendo ed insoffribile tor-
mento. Tipo di questa classe di falsari è
Maestro Adamo da Brescia, l' \dropico
fatto n guisa di liuto, che maledice i
conti di Romena, suoi seduttori.
46, DUR: Gianni Schicchi e Mirra, i due
rappresentanti dei falantori di persona,
che corrono faribondi per la bolgia.
47. eovma cut: Al. BOVRA 1 QUALI. -
Texuro; gnardandoli attentamente.
48. MAL NATI; cfr. Inf. V, 7; XVIII,
76, A). AMMALATI } cfr. Z. F., 182,
40, uN: Maestro Adamo, v. 61, - FATTO:
dal ventre rigonfinto in modo che, pur
cho gli foaso atata tronenta l'angrinaja
(=e cosce nel nolco Inguinalo), anrebbo
parso mn linto, poichè la vontrajn sa-
rebbe stata come Il ancco della piva, e In
testa è il collo l'imboccntura e la canna
dello atromento.
50, run cur: solo ché, - ANGUINAIA:
«quella parte del corpo nmano che è tra
la coscia e il ventre, allato alle parti
vergognose ; » Or. Il Barg. legge LA IN-
GUINAIA, les. difean da Z. F., 182 © seg.,
il quale vuole che langreinaga a’ abbina
da leggere la "ngrinaga, perchè dal lat.
inguen. Gli esempi addotti dalla Or. mo-
strano che gli antichi dissero anguinaja,
e basta,
fl. LATO: dove si biforeano le gambe,
52, GRAVR: «quia reddit hominem gra-
vem, ita ut moveri non possit; » Benv. -
nIsrAJA: diaforma con la linfa non ela-
borata le membra in tal modo, che aloune
intumidiscono ed altre dimagrano, onde
il volto dimagrato non è più proporzio-
nato alla gonflezza del ventre ; cfr. Asson,
Atti dell’ Instit. Ven., v. VI, sex. ITT, p.853.
65. A Lut: Al, LUI. - APERTE: « per be-
vere l'aria che rinfreschi è ristori le ar-
denti ave fauci; » Asson, |. 0,
657. Lous: labbro, - uvenre: rivolge;
l'un labbro in su, l'altro in giù. AI. rIiN-
VERTR ; cfr. Z. F., 183 è sog.
68, o vor: cfr. Gerem. Lament. I, 12.
Inf. XXVIII, 182. — senza: « viderat
onim ille spiritus, quod isti duo non la-
borabant aliquo morbo, sient emteri de
bulgia illa, non lepra, sicut duo primi
socii, non furia, sient alii duo socii, non
alti, sicut ipse, non febre, siont alii Ano
soci... cet neaciobal quod Dantes virus
iret ex gratia per infernom sub ducatu
Virgilii; » Bene. Sembra che Maestro
Adamo non avesse udito ciò che Virgi-
lio aveva detto a Griffolino, Inf. XXIX,
DA è sog.
296 ([CERC. 8. ROLG, 10] Iw, xxx. 59-77
=————x=
[MAESTRO ADAMO]
E non so io perché, nel mondo gramo, »
Diss’ egli a noi, « guardate e attendete
61 Alla miseria del maestro Adamo;
Io ebbi, vivo, assai di quel ch'io volli,
Ed ora, lasso! un gocciol d'acqua bramo.
G4 Li ruscelletti che dei verdi colli
Ma —_ __ ‘uso in Arno,
Fac e molli,
67 Sempr non indarno;
Ché n'asciuga
Che jo mi discarno.
70 La rig 1ga
T'rag lo peccai
A m iri in fuga.
79 Iviè } i
La | ista,
Perc \sciai,
70 Ma B10 .--oe gii = dtllacare DIOGO
Di Guido, o d'Alessandro, o di lor frate,
59. GRAMO: dolento, cioè l'inferno, il
mondo del dolore.
61. ADAMO: « Iste magister Adamus
fuit do Casentino ot stabat in loco qui
dicitur Romena, et ibi falsalicavit flori-
nos et aliam monetam, et propter hanc
falsitatem monot.w hic punitur ;» Bambg.
Falsificò il fiorino d’oro fiorentino, bat-
tendone « sotto il cunio del comune di
Firenze, ch’ erano buoni di peso ma nou
di lega.... Di questi fiorini so ne spesono
assai; » An. Fior. « Già |’ iniqua moneta
lordava la Toscana, quando l'incendio
della casa degli Anchioni a Borgo San
Lorenzo iu Mugello fece scoprire grusso
numero di quei tiorini. Conosciuto I’ au-
tore fu arso vivo sulla via che di Fironze
conduce a Romena ; » Troya, Veltro alleg.
di D., 25. Il fatto accaddo nel 1281. Cir.
Eneicl., 26. :
63. UN GOCCIOL: una gocciola ; confr.
8. Luca XVI, 23, 24.
64. KUSCKLLKTTI: « magis conqueritur
et punitur de memoria quorundam ri-
volorum aqua discurrentium per Casen-
tinum, quod sitiebat sit inextinguibili
aquam affectabat insatiabili sitis. Et hoo
dignissimum erat quod sicut peccaverat
in loco illo, per illius loci memoriam be-
nemerite torquebatur; » Bambg. Confr.
Loria, L'Italia nella D. O., 19 ed., 213.
66. FRKbDI : freschi; « Hic gelidi fontes,
hic mollia prata; » Virg. Eel. X, 42.
68. ASCIUGA: asseta. « Kt sic in isto ve-
rificatur illad dictum: Nessun maggior
dolore, ecc. » (Inf. V, 121 © seg.); env.
69. MALE: |’ idropisia. - MI DISCARNO:
perdo la carno, mi dimagro.
70. RIGIDA : s0vera. — GIUSTIZIA : di Dio.
- FRUGA: punge; cfr. Purg.III,3.- «Che
mi stuzzica il senso della sete; » Betti. -
La divina giustizia trae cagione a farmi
sospirare più dolorosamente, cioò ad au-
mentare le mie pene, per il ricordo del
luogo, dove io, peccando, la offesi.
73. 1vi: nel loco ov’ io peccai, cioè nel
Casentino. - ROMKNA: castello dei conti
Guidi da Modigliana, dal quale a’ inti-
tolarono.
74. LA L&taaA: dei fiorini d'oro floren-
tini, «i quali gli otto passarono un'onucia,
o dall'un lato era la 'mprouta del giglio,
o dall'altro il San Glovanni; >» Vill. VI,
53. S'incominciò a coniarli nel 1252. -
BUGGRLLATA : improntata dell'immagine
di San Giovauni Battista, patrono di Fi-
renze.
77. Quivo: secondo di questo nome,
[CERC. 8. NOLO, 10]
INF. Xxx. 78-89
[MAESTRO ADAMO] 297
Per fonte Branda non darei la vista,
7 Dentro c'è l'una già, se l’arrabbiate
Ombre che vanno intorno dicon vero;
Ma che mi val, che ho le membra legate?
82 S’io fossi pur di tanto ancor leggiero
Ch'io potessi in cent'anni andare un’oncia
Io sarei messo già per lo sentiero,
85 Cercando lui tra questa gente sconcia,
Con tutto ch’ ella volge undici miglia,
E men d’un mezzo di traverso non ci ha.
88 Io son per lor tra si fatta famiglia;
Ei m’indussero a battere i fiorini
figlio di Guido I conte di Romenn. -
ALR88ANDRO : primo di questo nome, fra-
tello di Guido TI e marito di Caterina dei
Fantolini di Fnenza; ancor vivente nel
1316, - rraTR: Aginolfo, fratello del dno
suddetti, marito di Idnna di Raggero da
Bagnacavallo, cugina di Caterina, mo-
glio di Guido Novello da Polenta che
ospitò Dante a Ravenna, Testò nel 1338.
Cfr. Toprescnixi, Scritti Dant. I, 211-69.
Det. Luxco, Dino Comp. II, 603.
78. FONTR Brawna: di Romena, ora
inaridita. da non confondersi con Fonte-
branda di Siena, come fecero i comment.
antichi, incominciando dal Bamby., 0 co-
me fanno pure molti moderni. Maestro
Adamo parla di Romena, e Siena nel suo
discorso non c'entra; cfr. BLANc, Ver-
much I, 264 6 seg. BARLOW, Contributions,
158 e sag. Lorn Vennon, Inf., vol. ITT,
pag. 215 6 neg. ofvi lo tav. 95 096, Dr Ba-
Tinks, I, 540 0 sog. Com. Lipr. 1, 86000
seg. Ferrazzi, IV, 208; V, 960 0s0g, Am-
Pin, La Grice, Rome et Dante, 268 è nog.
Eneicl., 257 e sog. Bass., 40 © sog. Il fu-
rore di Mnestro Adamo è sì terribile, cho,
ad onta della sua sete, preferirebbo In vi-
ata de'suoi seduttori nello stesso tormen-
to al piacere di dissetarsi ad nna fonte.
70. DENTRO: n questa bolgia. — L'UNA:
ili Guido, poichè nel 1500 gli altri due
fratelli vivevano ancora.
£0. omnnr: dei falantori di porsone.
Bl. LEGATE: per l' infermità, onde non
posso muovermi per andare a vedere
quell'anima frista.
#2, LEcomERO : agile, spedito.
83. un'onciA: la dodicesima parte di
nn piede. Su tall desideri dei dannati
cfr, Suso, Biichlein von der Weinheit,
deo
cap. XI, dove o' 4 nn passo alline a que-
sto di Dante. Secondo il Suso | dannati
dicono: « Wir begehrten nichts anderes,
denn wiito ein Miihlstein so breit als
alles Erdreich und nm sich so gross, dasa
er den Himmel allenthalben beriilrte,
und kiime ein kleines Viiglein jo fiber
handerttansend Jahre und bisse ab dom
Stein so gross, ala der sehnte Thoil jet
elnos Hirskérnleins, und aber tiber hun-
derttansend Jahre so viel, also dass es
in zohnhonderttansend Jahren ao viel
nb dem stein klaubte, ala grosa ein Hira-
kirnlein ist: wir Armen begehrten nichts
andores, denn, so dos Stoines ein Ende
wiire, dasa auch dann unsere Marter ein
Endo hiitte; ond das mag nicht sein! »
84, sant: mi saroi già messo in cam-
mino per il fondo della bolgia.
85. Lut: Gnido II, conte di Romena,
vy. 79. - SCONCIA: resn deforme per il ca-
atigo nd essa inflitto.
#0. grLLA: la bolgia; altri: la gente
sconcia, Le due misnro, della lunghezza
6 della larghozza mostrano cho Maestro
Adamo parla della bolgia, la qualo ha
undici miglia di circonferenza 0 mezzo
miglio di larghezra, cfr. Inf. XXIX, 9,
quindi l'ottava 44, la settima 88, la so-
ata 176, eco,
87. E MEN: © la Inrghezza non sia mi-
nore d'on mezzo miglio. Al. pri D'Ux
MEZZO, lozione inattendibile; efr. BLANC,
Versuch 1, 205 è seg. — NON CI NA: licenza
poetica, come Inf, VIT, 28, Purg, XX, 4.
RE. FAMIGLIA : di falsari, colpevoli dello
stesso delitto 0 consorti alle medesimo
peno; ofr. Inf. XV, 22.
80. en: i tre conti Guidi suddetti, ofr.
v. TT.
OS
[SINONE]
Che avevan tre carati di mondiglia, »
91 Ed io a lui: « Chi son li duo tapini
Che fuman come man bagnata il verno,
Giacendo stretti a’ tuoi destri confini? »
da « Qui li trovai, e poi volta non dierno, »
Rispose, « quando piovvi in questo greppo,
E pen erada sha diana in sempiterno.
97 L'una
L'a
Per
100 E l'on
For:
Col
90, CARATI: la ve
della qualità più po
- MONDIGLIA : ramo
fiorini fiorentini er
earati d'oro puro.
V. 01-129, Falsatori della pavota :
Stnone da Trota e la moylic di Pu-
tifarre. La quarta classe di falsari è dei
bugiardi fraudolenti, i quali sono oppres-
si da ardentissima febbre che arde loro
il cervello, 6 per l’immondozza del loro
vizio mandano fumo puzzolente. Anche
laggiù continuano ad abusare della pa-
rola oltraggiandosi vicendevoliuente ©
dicendosi cose sconce o laide.
02. FUMAN: il calore naturale della
mano discioglie l'acqua ond’ è aspersa
in vapori che d'inverno, condensati dal
freddo, si fauno visibili o sembrano fumo.
«Kuma come d'inverno una mano ba-
gnata » è modo proverbiale vivente in
Toscana ed altrove.
93. STRETTI: « unum juxta alium, quia
laboraverunt pari morbo, scilicet eadem
specie falsitatis; » Seno. - A' TUOI: alla
tua destra, vicino a te.
04. roi: dacchè fui precipitato in que-
sta bolgia o li trovai qui non si mossero,
e credo che non si muoveranno in eterno.
05. crKrro: altura di terreno brulla e
pietrosa; qui= bolgia. Cfr. Encicl., 951.
07. LA FALSA: la moglie di Patifarre;
volle sedurre Giuseppe, figlio dol Pa-
triarca Giacobbe, che se ne fuggì via da
lei, ondo lo accusò falsamente di averle
voluto far violenza; cfr. Genesit, XXIX,
6-23. - Giusrrro: per Giuseppe, antica-
mente anche in prosa; cfr. Beri, I, 138
XHuseppo;
ico da Troja;
nto leppo. »
ya
scuro,
pa croja.
Nannue. Nomi, 171 e sog. Voci,
og.
Sixox: colui che colle sue bugle
we i Trojani ad introdurre nella
ittà il cavallo di legno; efr. Virg.
soces. al, 57-104. Inf. XXVI, 69. Era gre-
co, a non famoso che pel sno tradimento,
e perciò si cognomina dal luogo dove lo
commise; cfr. Viry. Aen. II, 147 © seg.,
ove Priamo dice a Sinone: « Quisquis es,
amissos hinc jain obliviscere Grajos; No-
ater eris. »
00. LKl'PO: «è puzza d'arso unto, come
quando lo fuoco s' appiglia alla pentola o
alla padella; e cusì dice che putivano co-
storo, come putono alcuna volta coloro
che sostengono sì fatta passione; » Buti.
100. L'un: Sinone.- 81 RECÒ: se l'ebbe
u male, so no sdegnò.
101. Oscuro: con vergogna del suo
nome, avendolo Adamo detto falso, v. 98.
O forse per averlo detto da 7roia, ben-
cho avesse tratto origine da Grecia. Il
Loss. suppono che da Troja possa forse
significare: « nato da una troja » (1).
102. L’ Rea: la pancia, il ventre, cfr.
Inf.XXV,82; propriamente la rotondità
del ventre; confr. Diez, Wort. II, 26. -
CROJA: dura, cruda, nou arrendevole;
forse dal lat. crudius, Diez, Wort. 113,
23, o forse meglio da corium, quasi in-
cuoito; cfr. Nannuc. Anal. crit., p. 373
e s0g.- « L’epa croja.... è da spiegare per
la paucia dell'idropico, che pel troppo
umore si è indurata e tesa, e non è più
codevole, ma si è nella propria tensione
irrigidita siccome cuojo; » GALVANI, Arch.
stor ital., XIV, 843.
[CERC. 8. BOLO. 10]
Inr. xxx. 108-120
[SINonE] 299
103 Quello sonò come fosse un tamburo;
E mastro Adamo gli percosse il volto
Col braccio suo che non parve men duro,
106 Dicendo a lui: « Ancor che mi sia tolto
Lo mover per le membra che son gravi,
Ho io il braccio a tal mestier disciolto. »
109 Ond’ei rispose: « Quando tu andavi
Al foco non l’avei tu così presto;
Ma sì e più l'avei quando coniavi. »
112 E l’idropico: « Tu di’ ver di questo;
Ma tu non fosti sì ver testimonio
Ove del ver fosti a Troja richiesto. »
15 « S'io dissi falso, e tu falsasti il conio, »
Disse Sinone, « e son qui per un fallo,
E tu per più che alcun altro dimonio. »
118 « Ricorditi, spergiuro, del cavallo, »
Rispose quel ch’aveva enfiata l’epa,
« E sieti reo che tutto il mondo sallo. »
106. cor. mraccio: Al. cor ruaxo, -
Mgx DURO: del pugno di Sinone,
107. LE MEMBRA: cfr. v. 52 è neg., Blo
nog. - GRAVI: per la grave idropisia.
108. mrestIknr: di peronotero altrui.
110, At Poco: al rogo, Quando tu an-
davi al supplizio per essere arao vivo, tu
non avevi le braccia così spedito, aven-
dole legate, - AVEI: nveri; cfr. Nannue.
Verhi, 494 e nag.- FRKATO: parato.
111. MA sì: ma avevi fl braccio così
spedito, e più ancora, quando battevi |
fiorini Mai. « Kt sio vide qnomodo fate
greens loqnacisaimna rotorqnet in infa-
miam (ud de quo ille videbatur gloriari,
acilicet motam brachiornm ad vindictam,
quasi velit dicere: bene credo quod hn-
beas brachia soluta ad omnia mala, sicut
ad falaandam monetam, ex quo meruisti
habere on ligata, qnando fuisti Ancetus nd
ignem; » Beno.
114. ove: quando Priamo ti richiose
di manifestargli il vero aul cavallo di le-
gno; efr. Virg. Aen. IT, 150 © sog.
116, s'10: ognuno dei dae miserabili
#'ingegna di attennaro la gravozza dol
proprio fallo aggravando il roato dell'av-
vorsario. Questo vilissimo procedere si
confà nasni beno alla viltà delle porsone.
M Carducci, Stud. lett., 163, ricorda n
proposito In risposta di Cocco Angiolieri
Pa
ad un sonetto di Dante: « S'io pranzo
con altri, e ta vi ceni; S'io mordo il
grasso, 6 tu ne anochi il lardo, » È natu-
rale che nessuno del due aveva nna ra-
giono al mondo di rinfaecciare all'altro
la sun colpa; ambedne sono falsari, è chi
è capare di una falsificazione lo 4 pure
dell'altra.—11 conto: dei fiorini d'oro,
«Quasi dica: Peggio è falanre, che o di-
re il falso; ma questo non è vero; im-
però cho s'attende a quello che ne se-
guita poi: del falsar della peennia non
si dliafanno le città, come del dire la fal-
sità che disso Sinone;» Buti, Su per giù
ripetono lo stesso Tom. od altri.
110, Un: por nna sola bugin frodolenta,
quella del cavallo. Ma i peccati non si
contano; al pesano,
117. pIMONTO: non solo più di alcun altro
de’ dannati, ma più di qualsiasi diavolo.
118. srenciuno: efr. Virg. Aen, TI,
154 © seg.
119. qurt.: Maestro Adamo dal ventre
al gonfiato, v. 40 e seg. Al. riforiscono
ech'aven onfiata l'epa» al cavallo è spio-
gano: Ricordati del cavallo ch'avea il
rentro piono d'armati. Evidentomento
enfiata l'epa è sinonimo di epa croja, v.102,
omo questa seconda interpretazione non
può aver lungo.
120, neo: sinti nmaro n ponsare che
300 [CERC, 8. BOLG. 10) Imre. xxx. 121-187
[RIMPROVE RO]
121 « A te sia rea la sete onde ti crepa, »
Disse il Greco, « la lingua, e l'acqua marcia
Che il ventre innanzi agli occhi si t’assiepa. »
124 Allor il monetier: « Così si squarcia
La bocca tua per dir mal come suole,
Ché, s’io ho sete ed umor mi rinfarcia,
127 Tu hai l'aranra a il sana sha ti duole,
E per Narcisso,
Non wi 3 parole. »
130 Ad asco] sso,
Quand : « Or pur mira!
Che p n mi risso!»
133 Quand’ i con ira
Volsin rgogna,
Che ai oi Si gira.
136 E quale « rgio Sogna,
Che, si nare,
tutto Il mondo conosce per fama il tuo
misfatto.
121. 11 crrva: ti scropola; motafora
tolta dal legno, in cui l'aridità genera
crepature. Il Greco la dà oramai vinta
al Bresciano in quanto concerne l' enor-
mità del misfatto; onde, non sapendo dir
moglio, gli rinfaccia la sua infermità.
122. L'ACQUA : la liufa goasta, v.53, cho
tifa rigonfiare il ventre sino a fartene una
siope agliocchiedimpedlirti quasila vista.
123. CHE: la qual acqua. - IL VENTRE:
quarto caso. - T'ASSIKVA: ti fa siepo.
« D'idropico o di donna gravida i To-
scani dicono cho ha la pancia agli oc-
chi; » Tom.
124. BL SQUARCIA: si spalanca: « Dilata-
verunt super me os suum; » Sal. XXXIV,
21. < Dilatat labia sna; » Prov. XX, 19.
125. SUOLK: come fu usa nol mondo,
quando falsamente sparlavi di que’ tuoi
Greci; cfr. Virg. Aen. II, 162 © seg.
126. RINFARCIA: riempie ed ingrossa,
dal lat. farcire = otturaro, ompioro. Se iv
ho sete, tu hail arsura; se io ho rigon-
fiamento d'umori, tu hai lo stordimento
della febbre, nò ti faresti progar molto a
bere dell'acqua.
128. BYrKCCHIO: acqua, nella quale si
specchiò Narciso: confr. Ovid. Met. III,
407-510. <« A un Greco rammenta favola
greca; al brutto dannato uno specchio,
e spocchio d'acqua limpida; egli cho sa
quanto sia tormentosa la memoria del-
l'acque nell'ardor della sote; » Tom.
V.130-148. Un risnpreovero a Dante.
Il Poeta è tutto intento ad ascoltare le
sconce parole del Greco e del Bresciano.
Virgilio ne lo agrida adirato, onde Dante
è tutto vorgognoso. Qnesta vergogna, gli
dico Virgilio, 6 più che sullicionte a la-
varo la tua colpa. Non dimenticartene
in avvonire, imperocchè è bassezza il
compiacersi nella baraffa do’ vili.
131. OR PUR MIRA: parolo di rimpro-
vero = guarda un po'! Al.: parole di fina
ironia = Bon fai, sta’ pur così mirando.
132. PKR POCO: poco vi manca, per poco
mi tongo che fo non me la pigli teco per
questa tua attenzione a cosa tanto igno-
bile. - rissO: faccio rissa, mi adiro.
134. VERGOGNA: d'essersi dilettato dello
sconce parole dei duo miacrabili.
135. ANCOR: ponsandovi me ne vergo-
gno ancora; cfr. Inf. I, 6.
136. DANNAGGIO : «danno; voce usata
soveute dagli antichi; Danto non la usa
cho qui; cfr. Diez, Gram. TI5, 630. 11
Nannucci, Anal. crit., 360, nt. 4 afferma
che dannaggio non sia lo stosso che dan-
no; ma nel Man. II, 416 egli chiosa
poi: « Dannaggio lo stesso che danno. »
137. bksipbkia: che la svontura della
quale sogna non sia realtà, ma un sem-
plice sogno, come sv tale non fosse vo-
ramento.
[CERC. 8. BOLG. 10]
INF. xxx. 188-148
[RIMPROvERO] 801
Si che quel ch'è, come non fosse, agogna:
139 Tal mi fec'io, non potendo parlare;
Ché desiava scusarmi, e scusava
Me tuttavia, e nol mi credea fare.
142 « Maggior difetto men vergogna lava, »
Disse il maestro, « che il tuo non è stato;
Però d'ogni tristizia ti disgrava.
145 E fa'ragion ch'io ti sia sempre allato,
Se più avvien che fortuna t’accoglia
Ove sien genti in simigliante piato;
148 Ché voler ciò udire è bassa voglia. »
120, NON POTENDO: per la vergogna è
la confusione.
140, scusanMI: parlando. - SCUBAVA :
tacendo per vergogna.
141. crEDRA : io non oredova, che il mio
tacere per vergogna del fallo commesso,
fosso già ona sensa agli cochi del mio
duce. Pudor culpa minuitur.
142. MAGGIOR: minor vergogna della
ton basta a lavare, clod n scnsare une
colpa maggiore che non sia stata In tua
nel dilettarti della baruffa e delle scon-
cozze di que’ vili.
144, trIiSTIZIA: dolore, mestizia; «None
gandeo, non quia contristati estis, sed
quia contristati estis ad penitentinm:
contristati enim estis secundum Deum,
ut in nullo detrimentum patiamini ex
hobia, Quo enim secundum Deum tri-
stitia est, peonitentiam in salutom stabi-
lem operator; J7, Cor. VII, 0, 10.- TI
isorava: allontana da te. « Tristitinm
longe repolle a te; » Feel. XXX, 24.
145. rA'mAGION: fa' conto, non dimen-
ticare; cfr. Par, XXVI, 8. So mail ti ac-
cada per nvventura di trovarti un'altra
volta n simili contrasti, ricordati che ti
son sempre vicino per riprenderti como
ho fatto adnaso.
146. T'ACCOGLIA : ti fnocin capitare. Al.:
ti colga, ti trovi. La fortuna non voglie
l'uomo in flagranza di colpa; bensi lo fa
capitare in aloun luogo, dove vi sia por
Ini gran tentazione di rendersi colpevole.
147. r1ATO: propriamente Lite agitata
innanzi al giudici, dal lat. plactum ; cfr.
Diez, Wort. 1”, 317; qui per Contrasto in
genere, e specialmente di parole ingin-
rione,
148. MASSA VOGLIA: « gusto indegno
l'una mente olovata o d'un mio sogua-
ce; + Br. B. Cfr. Prov. XVII, 4; XX, 8,
Il primo di questi passi suona: «l' nomo
maligno presta gli orecchi alle labbra
iniquo, e l'ingannatore ascolta la lingua
maliziosa, »
302 [DISCESA AL CER. 9] Iw. xxx1. 1-8
(@1GANT1]
CANTO TRENTESIMOPRIMO
DISCESA
I GIG
Una me
Si ch.
E poi
4 Così od
D'Ach
ur
NEL NONO CERCHIO
AL POZZO
) ANTEO
morso,
ra guancia,
D.
|
sser cagione
I
Prima di trista 0 poi «i buona mancia.
7 Noi demmo il dosso al misero vallone
Su per la ripa che il cinge d’intorno,
V.1-6. Lu lancia @’ Achille. Secondo
la mitologia Achille aveva ereditato da
suo padro Poleo una lancia miracolosa,
lo cui forite non si sanavano che con la
ruggive della lancia medesima raschiata
dal ferro e sparsa sulla piaga; cfr. Ovid.
Met. XIII, 171 © seg. Yrist. V, 2 © seg.
Rem. Am., 47 0 seg. I nostri poeti antichi
amaron quindi paragonare alla lancia di
Peleo lo sguarilo ed il bacio della donna.
Qui Dante paragona ad ossa lancia la tin-
gua di Virgilio cho dapprima lo punse
col rimprovero, quindi lo riconturtò o ri-
sand la piaga colle altre sue affuttuose
parole.
1. LINGUA: di Virgilio. - MonsK: pan-
86; > mordaciter me reprebendit;» Benv.
«Un rimprovero inordente è più che uno
pungente; ina lingua e morde non hanno
fra loro picna corrispondenza; » L. Vent.
2. MI TINBK: di rossore; cfr. Inf. XXX,
134 © sey.
3. LA MEDICINA: « Ego occidam, et ego
vivere faciam: percutiam, et ego sana-
bo; » Deuter. XXXII, 39. « Tu flagellas,
ot salvas: » Tob. XITI, 2.
6. THISTA: ferendo. - BUONA: risanan-
do.- MANCIA: dono, regalo; « Una manus
vobis vulnus opemque feret ; » Ovid. Rem.
am., 44. Cfr. Par. V, 66.
V. 7-45. I giyanti in yenerate. La-
sciano l'ultima bolgia e s'avviano vurso
il nono cerchio, che è un gran pozzo,
in fondo al quale sono i traditori. S'ode
il suono spavontevolmente forte di un
corno. Dante guarda verso il luogo
d'onde viene il suono o crede di vedere
una terra fortilicata da molte alto torri.
Virgilio lo disingauna, dicendogli osser
quelli i giganti, i quali avendo creduto
di poter superure Div ed osato far forza
contro di lui, sono collocati qua e là
intorno alle pareti del pozzo, sur un pie-
distallo più alto del fondo, in modo da
aver ricoperta dalla ripa la metà infe-
riore del corpo. Alcuni sono incatenati;
l'uno parla an linguaggio confuso. Sui gi-
ganti in generale cir. Hom. Odies. VII,
59, 206; X, 120; Hxsiov. Theog. 180;
AVPOLLOD. I, 6, 1 0 seg.; Ovin. Metam.I,
151; Fast. V, 35.
7. DEMMO: vultamme lo spalle alla de-
cima bolgia.
8. SU: per puter vedere la condizione
[DISCESA AL CER. 9]
InF. Xxx. 9-21
[GIGANTI] 805
Attraversando senza alcun sermone.
10 Quivi era men che notte e men che giorno
Si che il viso m’andava innanzi poco;
Ma io sentii sonare un alto corno,
13 Tanto ch’avrebbe ogni tuon fatto fioco,
Che, contra sé la sua via seguitando
Dirizzò gli occhi miei tutti ad nn loco.
16 Dopo la dolorosa rotta, quando
Carlo Magno perdé la santa gesta
Non sonò si terribilmente Orlando.
19 Poco portai in là volta la testa,
Che mi parve veder molte alte torri
Ond’io: « Maestro, di’, che terra è questa? »
dell’ altima bolgia, i Pooti erano andati
gioso su la scarpa dell'argine che la se-
para dal nono cerchio, Inf. XXIX, 652 è
seg. Ora ritornano in su ed attraversano
taciti (come Inf. XXIII, 1) l'argine per
discendere giù pell'oltimo cerchio, cen-
tro dell'inferno. - cm it ciron: AI. cn' Et
cron, cioè «ln quale (ripa) egli vallone
cinge d'intorno; » Vell., M. F., 188, ecc.
La ripa cinge d'intorno il vallone, non
viceversa. I ralloni, cioè lo bolge, sono
cinte, non cingono,
0. ATTRAVERSANDO : andando per ritto
o non in giro.
10. MEN: « orat cropureninm, quod
idem est quod dubia lox, quia tenet me-
diam inter diem et noctom ; ex quo autor
non poterat moltom videre a longe, sed
andire sio; » Benv.
12. ma: benchè io non potessi molto
vedere, un snono di corno così alto che
avrebbe superato qualanque più rumo-
Tose tuono, fece volgere al un sol punto
tutta l'attenzione de’ miel occhi, che se-
guitavano la direzione contraria a quella
del suono. - ALTO: corno che aveva alto,
forte suono.
18. TANTO: « fa comparazione del sono
del corno al tuono; 6 dice che tanto era
maggiore lo suono del corno che quel del
tmono, che il tuono sarebbe paruto fio-
eo; » Buti. - « Cornnqne recurvo Tarta-
ream incedit vocem, qua protinas omne
Contremuit nemus et silvm insonuere
profund=m; » Virg. Aen. VIII, 513 © sog.
= FATTO FIOCO: fatto sembrar fioco, al
0.
14. SEHUITANDPO: segnitanti. Come i
Provenzali anche Dante usò talvolta il
gerundio nel senso del participio pre-
sente, ofr. p. os. Vit. N.,8; Purg. IX, 38;
X, 59. Par. XVIII, 45. Così pore Petr,,
Boce., Ariosto ed altri; cfr. Nannwe.,
Verbi, 421 è sog. Dol reato qui si può an-
che intendere col Koss,: « Dirigendosi
dietro la traccia del suono, »
16. ROTTA : di Ronoisvalle, dove furono
tracidate migliaia di cristiani ivi lasciati
da Carlo Magno sotto il comando di Or-
lando; cfr. La Chanson de Noland, ol,
T. Miiller, Gitting,, 1800, Eginard, An-
nal, nd n. 778. Vita Caroli M., è. IX,
P. Rajna nol Propugn. 111, 2, p. 184-409;
1V, 1, p. 52-78, 899-300; IV, 2, p. 63-193.
17. ces TA: achiora dei palmlini combat-
tenti per In fede; ofr. Diez, Wirt. 1°, 207.
Fans, Stud., 72 6 seg. Rajna, 1, c., 111, 2,
p. 384 e seg. Gautier, Epop. franc. 1, 399 6
aeg. Rartech, Chrest. proveng., 2" ed., 505.
Del Lungo, nella Nuova Antol, del 16 mar-
zo 1800, p. 285 0 seg. Foletto, Com. 1, 679,
18, ond: « Tone tanta virtute tanta-
que fortitudine tuba sua eburnea sonnit,
quod vento oris ejas taba illa per me-
dium scissn, et von colli ejos et nervi
fulase referantur, ita ut vox tuno naque
ad Caroli anres, qui erat hospitatns cum
proprio oxercitu in valle Caroli.... an-
golico ductu pervenit; » Turpin. Chron.
c. XXIV. Ai tempi di Dante le favole
del preteso Turpino si credevano sto-
riche.
19, 1s LÀ: verso la parte ond’ era ve-
nuto il suono. — voLtA: Al. ALTA. Cfr,
Z. F., 189.
21. temmtA: città. Dante si sovvione
della città di Dite, cfr, Inf. VIII, 82 è
seg., crede di vedere le meschite di una
304 [DISCESA AL CER. 9] INP. Xxx1. 22-41
[GIGANTI]
22 Ed egli a me: « Però che tu trascorri
Per le tenebre troppo dalla lungi,
Avvien che poi nel maginare aborri.
25 Tu vedrai ben, se tu là ti congiungi,
Quanto il senso s' inganna di lontano;
Però alquanto più te stesso pungi. »
28 ROL, — *— — RS
E dissi | più avanti,
Acciò | a strano,
dI Sappi chr ganti,
E son: a ripa
Dall’ un. quanti. »
34 Come, qu sipa,
Lo sgu figura
Cid ch ere stipa:
37 Cosi, fora cura,
Più e p la sponda,
Fuggén.. SIE IPA O OA er nel paura.
40 Però che come in su la cerchia tonda
Montereggion di torri si corona,
nuova città, Inf. VIII, 70 e seg.; quindi
la sua dimanda.
22. TuASCORRI: cogli occhi. Volendo
guardare troppo innanzi in quest’ aere
tenebroso giudichi orroneamente di ciò
che vedi.
24. MAGINAKK: immaginare, qui per
giudicare, estimare, eco.; cfr. Gherar-
dini, Voci e man. II, 358. - ABORRI: dal
lat. abhorrere; aberri, ti allontani dal
vero, t'inganni immaginando; cfr. Inf.
XXV, 144. Caverni, Voci e madi, 7.
25. CONGIUNGI: ti accosti, ti avvicini;
so là tu giungi.
27. PUNGI: ad affrettare il passo, af-
frettati. Il desiderio di veder tosto ciò
cho da qui non puoi bon discernore ti
stimoli ad accelerare i tuoi passi.
28. MI PRESK: «ad firmandum se du-
bium, vel contra timorem nasciturum ex
terribili conspoctu istorum ; » Benv.
$2. INTORNO: sono intorn > intorno alla
sponda dol pozzo, i piedi posati sovra la
ghiaccia di osso; dall'ombelico in sa so-
vrastanti all'argine cho cinge intorno il
pozzo; dall'ombelico in giù dentro al
pozzo stesso.
35. RAFFIGURA: va mau wano discer-
nendo pit chiaramente i contorni dello
cose, prima nascosto dalla nebbia.
36. sriva: addensa, accumula; cfr.
Inf. VII, 19. « Questo verbo in senso
proprio valo Circondare di quei minuti
eterpi che si dicono stipa; quindi, in
traslato, Condensare, cioè ammassare
come fastello di stipa. Più in uso oggi
è stivaro; » L. Vent.
37. FORANDO: penetrando collo sguar-
do. Dice forando « per la malagevolezza
e fatica che duva all'occhio laura grossa
e scura; e però egli aguzzando la vista,
quasi con succhivllo la forava; » Ces.
38. AlPRKSSANDO: via via che io pro-
cedeva verso la sponda del pozzo.
39. FUGGÉMI: per fuggiemt, come cre-
scémi per crescicini. Ctr. Z. F.,189 0 seg.
Nannuc., Verbi, 140 o seg., 205 nt. 8. Al.
FUGGIAMI KKRORB' K CIURSCEAMI PAURA.
Al. FUGGIMBMI KRROKK Mk CKKSCKMMI PAU-
RA. Al. FUGGEMI KRROKK K GIUGNEMI
rauna. L'errones opinione che quelle
fossero torri si dileguava; ma la paura
avuta all’udire le parole di Virgilio è già
primasiaumentava alla vista dei gigauti.
41. MONTREKGGION: castrum Montis
regioni, untico custollu soneso in Val
[DISCESA AL CER, 9]
INF, xxx1. 42-52
(NEMMROTTO) 305
Cosi Ja proda che il pozzo circonda
43 Torreggiavan di mezza la persona
Gli orribili giganti, cui minaccia
Giove del cielo ancora quando tuona.
46 Ed io scorgeva gia d’alcun la faccia,
Le spalle e il petto, e del ventre gran parte,
E per le coste giù ambo le braccia.
4 Natura certo, quando lasciò l’arte
Di si fatti animali, assai fe’ bene
Per torre tali esecutori a Marte,
52 E s'ella d’elefanti e di balene
d'Elsa n asi miglia da Siona, costrutto
nel 1213, distrntto nol secolo XVI. Kle-
rarasi da collinetta isolata, in forma di
pan di succhero; la ana cinta circolare
di oltre mezzo chilometro era coronata
di dodici altissime torri; confr, Aqua-
rone, D. in Siena, 73-78. — BI CORONA:
« Moros cinxere coronas; » Virg. Aen.
x, 122.
42. rozzo: « chiama poxzo lo nono cer-
chio, perchè a rispetto dagli altri tanto
renia stretto, che paren un pozzo ; » Buti.
Costr.: Così gli orribili giganti, cai Giove,
tuonando, minaccia ancora, soverchia-
vano come torri colla metà della loro
amisurata persons (dall'umbilico in su,
¥. 32 è seg.) la proda o sponda che cir-
conda il pozzo.
43, TORRRGOGIAVAN: cingevano a somi-
glianza di torri.
44. winaccta: in memoria dell'antico
oltraggio.
45. QUANDO TUONA: porchò furono ful-
minati nel campi di Flegra; cfr. Inferno
XIV, 58.
V. 46-81. Nembrotto, Il primo dei gi-
nominati appartiene alla mitologia
ee È Nembrotto (<q “13> =fermo,
forte; gr. Nefpmd è NeBoth3no), il capo
del discendenti di Cam e primo re di Bn-
bilonia, crednto antore del pensiero di
editicare la torro di Babilonia ; cfr. S. Aug.
Civ. Dei, XVI, 4. Brun. Lat. Tes. I, 25.
Gen. Xx, 8,10, « Prosnmpait ergo în corde
ano incurabilia homo, sob persuasions
Gigantie, arte sun non solum superare
Naturam, sed et ipanum Naturantem, qui
Dens est; et ompit mdificare turim in
Sennaar, que postea dicta ost Babel,
hoo est confusio, per quam celam «pe-
20. — Div. Comm., 3” edis.
rabat nscondoro: intomlons inscing non
mquare, sed suum superare Factorom ;
De Vulg. El. 1, 7. Nembrotto parla un
linguaggio confuso che non è noto a
nessuno,
47. ventre: i giganti della mitologia
greca hanno ordinarinmento serpenti in-
voce di pledi. Etyov 3& tae fdioetg
qoMlbac Soaxdvtwy; Apollod. Bibl. I,
6. Elyov du Topyéveg xepadag ne-
pteoretpaevac pollo. Spmxdvewy;
ibid. 11,4, Apaxovténobac xal falu-
yevelove xal Pabuyaltag; Tretz. ad
Lycophr, Aler., 63. « Anguipedes; » Ovid.
Met. 1,184, «Serpontipedea;» Ovid.Trist,
IV, 7. Cfr. Lueil, Aetn., 40 osog. Apollin.,
Sidon. LX, 73 e seg. Dante dà ai suoi gi-
ganti piedi, ofr. Inf. XXXII, 17, ma non
dice che questi piedi fossero serpentini,
nttenendosi probabilmente alla mitologia
biblica, che di piedi serpentini non fa ve-
runa menzione.
48. 10: cadenti giù lungo i fianchi.
40. xATURA: Dante si attiene qui alla
mitologia greca, secondo la quale | gi-
ganti furono figli della terra, mentre in-
rece secondo la mitologia ebrea essi
nacquero dal commercio dei « figlinoli di
Dio, » cioè degli Angioli, colle « figlinole
degli nomini; » oft. Gen, VI, 1-4. - L'AR-
rk: di prodorre giganti.
50. ANIMALI: essori animati; ofr. Inf.
11,2; V, 88. - « Neo de to Natora, que-
ror: tot monstra ferentom Gontibus abla-
tum dederassorpontibas orbom ; » Lucan.
Ihara, IX, 8565 © seg.
51, ren TORKE TALI: Al. YER TOR CO-
TALI. Al. PER TOLLER TALI. - RSECUTO-
RI: guerrieri sì spaventevoli, che avreb-
bero oppresso tutti gli nomini.
306 [DISCESA AL CER, 9) INP, xxx, 53-67
[NEMBROTTO]
Non si pente, chi guarda sottilmente
Più giusta e più discreta la ne tiene;
55 Ché dove l’argomento della mente
Si giungo al mal volere ed alla possa,
Nessun riparo vi può far la gente.
58 La faccia sua mi parea lunga e grossa
Coma la nina di San Piatra g Roma;
E ai
61 Si che :
Dal n
Di se
64 Tre Fr,
Però
Dal
67 Rafel 1
63. reNTE: AL Ly
Cfr. Z. F., 101. « Pi
hominem fecisset in te
La Natura continua a prouu... uvfanti
e balene; devo qui dunque stare il pre-
sente.
64. DISCRETA: mostrando essa di saper
discernere che elefanti e balene, benchè
di corpo © forze giganteschi, non rie-
scono nocivi come quei colossi umani.
55. L'ARGOMENTO: il raziocinio, la ra-
gione. < Sicut homo, si sit perfectus vir-
tuto, est optimus animalium, sic, si sit
separatus a lege et justitiu, est pessimus
omnium, cum habeat arma rationis; »
Aristot. Polit. I, 9.
56. 81 GIUNGK: si congiunge all’ inten-
ziouo di fare il malo ed alla forza di at-
tuarlo. Al. 8'AGGIUNGE. Cfr. Inf. XXIII,
16. Purg. V, 112 © seg.
58. sua: di Nembrotto.
59. rina: di bronzo, ai tempi di Dante
sotto il portico di Vaticano, adesso nella
rala del nicchione di Bramante nel giar-
dino che sta in mezzo a’ musei, e che da
quella ha nome di giardin della pina.
Adesso 6 alta dieci palmi (= braccia 3/3);
ma serubra che ai tempi di Dante fosse
più alta. Il Manetti o Gal. Galilei la di-
cono alta braccia 6 '/2, Land. 53/4, Vell. 6
« prima che ne la sua cima fosse rotta. »
Cfr. Lorv Vuunon, Inf., vol. III, p. 217
e seg. ed ivi la tav. 97. Bass. 6 © seg.
60. A SUA: in proporzione alla faccia.
L'altezza di Notubrotto è secondo il Man.
e Gal. braccia 44. Land. 43 «o più. > Vell.
altre ossa:
n
ava ben tanto
lla chioma
il vanto;
gran palmi
fibbia il manto.
I, 64 piedi di Parigi. Altri 20 me-
, Queste cifre mostrano |’ incer-
al calcolo,
ve. w/a: sponda del puzzo. - PERIZO-
MA: groco Teplkopa=grembiale. Dante
prese la voce dalla Gen. III, 7 (feceryent
sibi perizomata), dove essa indica i grem-
biali di foglie che si fecero Adamo ed Eva.
Vuoi dire, che la ripa nascondeva a'suoi
occhi il gigante dal 1uezzo, cioè dalla cin-
tola, in gid. Cfr. Inf. X, 33.
64. Fiison': «tre uomini di Frisia (chè
in que’ paese hae grandi uomini) l'uno
posto sopra l'altro, nun avrieno aggiunto
alla chioma; » An. Fior.
65. GRAN: trenta palmi vantaggiati.
« Dicendo Dante trenta gran palini....
conviene prendere il palmo architetto-
nico; e ponendo che dalla clavicola, do-
v'uom e afgiblia il manto, al vertice del
capo corra uno spazio che sia circa '/s del-
l'umana etatura, si trova che Nembrutto
sarebbe di braccia florent. 45 %/10 alto, 08-
sia di in. 26 e mm. 806; » Antonelli (1).
67. RAFEL: dai vv. 81 e 101 risulta che
questi accenti non sono intelligibili a
verun uomo; onde i tentativi di inter-
petrarli col sussidio di lingue semitiche
sono più vani della stessa vanità. Cfr.
Com. Lips. I, 382 e seg. Di una di queste
sedicenti spiegazioni il Betti dice che « è
veramente da ridere, » il che vale di tutte.
« Mentre il Poeta dice, che tal linguaggio
a nullo è noto, è leggiadra cosa udir co-
mentatori che diggno: è noto a me, - è
leggiadrissima cosa udirli spiegare - a
[DISCESA AT. CER. 9]
76
Inr, xxx1. 68-82
Cominciò a gridar la fiera bocca,
Cui non si convenian più dolci salmi.
E il duca mio vér lui: « Anima sciocca,
Tienti col corno, e con quel ti disfoga,
Quand’ ira o altra passion ti tocca.
Cercati al collo, e troverai la soga
Che il tien legato, o anima confusa,
E vedi lui che il gran petto ti doga. »
Poi disse a me: « Egli stesso s’accusa;
Questi è Nembrotto, per lo cui mal coto
Pure un linguaggio nel mondo non s’usa.
Lasciamlo staro, e non parliamo a voto;
Ché così è a lui ciascun linguaggio
Come il suo ad altrui che a nullo è noto. »
[NEMBROTTO] 307
82 Facemmo adunque più lungo viaggio
nullo è noto = mon era noto a chi lo prof-
fariva, ed a chi l'ascoltava; » Torricel.
60. SALMI: parole, accenti; qui forse
per ironin, come Inf, VII, 125. A chi fu
cansa principale della confusione delle
lingue, ¥. 77, 78, non si conveniva un lin-
Euaggio nmano, sl on grugnire di gola,
mosso dalla rabbia, non dalla ragione.
70. SCIOCCA : efogando in tal modo l'ira,
ofr, Prov. XII, 16, 6 parlando un linguag-
gio cho nessnn uomo intendo.
71. TIRNTI: suona Îl tno corno se vuoi
afogare la tun passione,
72. 80GA: fune, corda. Vive in parecchi
dialetti sottentrionali. Cfr. Diez, Wort.
1°, 380.
74. compusa: «allude alla confusione
di Babilonin; » etti.
76. tan: il corno, Al, vent Lau, clod la
sogn. La soga è al collo: al petto, il cor-
no, Cfr. Moore, Crit., 354 e seg. - TI DO-
oa: ti cinge, ti segnad'unastriscin;« quia
tenebat cornu pertransversum pectoris;»
Bens. Dogare, propr. porre o rimottero
le doghe. Al. TL bOGA, «ed 4 pessima
variante, è pod solo difenderla chi non
ea nulla delle antichità della lingua. È
eon) certo che gli antichi avevano il vorbo
dogare, por liatare, che ne fu fatto anche
addogato, per listato ; » Betti. - Di dagare
nel significate di Cingero, Fasciare, an-
che In nuova Or. non arreca che questo
unico esempio di Dante.
70, s'ACCUBA : mostrando coll' inintelli-
gibile suo linguaggio chi ogli sin è quale
sin la sua colpa.
ae
77. coTO: pensiero di edificare la torro
di Babole. Sulla voce coto, usata anche
Par. 111, 26, cfr. Diez, Wort. 1”, p. 1326
seg. Nannucci, Omervaz, sopra la parola
coto, ecc. Fir., 1859, Ejusd. Verbi, 119,
nt. 2. Pare che ngli antichi la voce fosse
famigliare, poichè i più (Bambgl,, An. Sel,
Tac. Dant., Ott., Petr. Dant,, Cass., Falso
Boce., ecc.) non si curano di dare voernna
interpretazione, Jl Lan, parafrasanilo :
«Per lo eni consiglio, » - Beno,: « Proptor
cnius malum cogitamon, » I] uti logge
MAL voro e spiegn « mal desiderio. » -
An, Fior.: « Coro idest cogito, ciò è per
lo cni mal pensiero nacquono i linguaggi
nel mondo: et è parlare sincopato cho
trao la lettera et la sillaba del mozzo
il nome; chè, dove dovrebbe dire cogito,
et elli dice coto. » — Serrav.: « Malum co-
tum, idest cogitamen et malas operatio-
nos.» Barg. legge VOTO è spiega come
il Buti, Così pure Land., eco,
78 UN: come prima doll'edificaziono
della torre, cfr. Gen. XI, 1.
79, LABCIAMLO: Al, LASCIALO ; cfr. Inf.
LII, 5l.- A voto: inutilmente, non in-
tendendo egli l'altrui parlare; cfr. Inf.
VIII, 19
80. è A LUI: non lo intende, Ma perchè
Virgilio parlò a Ini, v. 70 6 seg., 66 sapo-
va di non sssere intoso ?
BL, A KULLO: n nessun uomo.... tranno
ml alenni dotti del secolo XIX,
V. 82-111, Wialte, Continuano il loro
viaggio, volgendosi come di solito a sini-
atra, A un tiro di balestra trovano nn al-
| Pa
308 [DISCESA AL CER. 9) Ixr. xxx1. 83-98
[FIALTE]
Volti a sinistra; ed al trar d'un balestro
Trovammo l’altro assai più fiero e maggio.
85 A cinger lui, qual che fosse il maestro
Non so io dir, ma ei tenca succinto
Dinanzi l’altro, e dietro il braccio destro
88 D’ una catena, che il teneva avvinto
Hat: = lo scoperto
Si rav quinto.
91 a Questo sperto
Di sua mo Giove, »
Disse i ha cotal morto,
Di Fialte li prove
Quand ! Dei. ©
Le bre mni non move. »
UT Ed io a ] vorrei
Che di
tro gigante, più MOTO 0 perce gros oo =~ - io, por dare ad intendere che
Nembrotto, legalo con una catena. È
Fialte, o Efialto ('EgprXAtrg), figlio di
Nettuno o di Ifimedia, giguuto di smi-
surata grandezza, uno del più forti cd
arditi nella pugna contro Giove; cfr.
Hom. Il V, 385 è seg. Odys. XI, 304
o seg. Apollod. I, 6, 6; I, 7, 4 © sog.
Diod. Sicul. IV, 87. Pausan. 1X, 29.
Apollon. Rhod. I, 484. Hygin. Fab. 28.
Horat. Od. TIT, 4, 49 e sog. Dante ester-
na il sno desidorio di veder pure Briarco;
ma Virgilio gli dico che è troppo lontano
e che vedrà invece A ntdo. In questo men-
tro Fialte si scuote di rabbia.
83. VOLTI: sin qui uvevano percorso
l'argine in senso trasversale.
84. MAGGIO: maggioro; auticamento
voco dell'uso; chr. Tav. Rit. cd. Polt-
dori I, 180, 241, ecc. Inf. VI, 48. Par.
XXVI, 29; XXVIII, 77; XXXIII, 55.
85. QUAL: cfr. Inf. XV, 12. « Chi fosse
il maestro a cingorlo dice di non sapere,
por esser leggier cosa intendere del suin-
ino © giusto giudice; » Vell. « Hoc nou
est alind dicere, nisi quod fuit Deus inco-
guoscibilis, incomprolensibilia artifox ; »
Benv. « Ta Deus deduces cos in puteum
interitus; » Psal. LIV, 24. « Ad alligan-
dos reges eorum in compendibus, et no-
biles vorum in manicia ferreis; » ibid.
CXLIX, 8.
86. SUCCINTO : logato il braccia sinistro
sul petto e il destro a tergo. « Questo fin-
l'oporo spirituali, diritto o buone cbbo
di rietro, ciod le pospose; e lo sinistro,
cioò le ree corporali, ebbo d' junauzi, cho
le elesso e soguitolle; » Buti (f). Secondo
altri il modo con cni è legato accenna
all'abuso clio fece dolla forza.
89. scOPKLTO: su quella parte del suo
corpo nou coperta dalla ripa, cioè dal-
l’umbilico in su, si vodevano cinque giri
di catena.
9I. KSBKRE BYEKTO: sperimontaro, far
prova della sua forza contro Giovo.
92. sommo: clr. Purg. VI, 118. Qui
Giove por la Divinità in generale.
93. miro: merito, morcodo; di essore
legato e del tutto impotente.
94. prove: di sovrapporro monte a
monte per assaliro Giove.
05. QUANDO: nolla pugna di Flegra;
cfr. Inf. XIV, 58. - FER PAURA: « Ma-
guum illa terrorem intulerat Iovi Fideus
iuventus horrida brachiis, Fratresque
tendentes opaco Pelyon imposuisse Oly m-
po;» Horat. Od. 111, 4, 49 0 seg.
07. b'KS8KR LUOTK: se è possibile.
98. Brianto: uno dei tro Exatov-
yeloes, figlio di Urano v della Terra,
giguute con cento mani che opponevano
a Giovo cinquanta spado od altrettanti
scudi, e con cinquanta teste, da ciascuna
bocca dello quali gittava fiamme. Prese
parto alla guorra dei ‘Vituni contro gli
Dei, © fu trafitto da Giove, Cfr. Hesiod.
Inr. xxx. 99-112
[DISCESA AL CER. 9] [FIALTE] 809
Esperienza avesser gli occhi miei. »
100 Ond' ei rispose: « Tu vedrai Antèo
Presso di qui, che parla, ed è disciolto,
Che ne porrà nel fondo d’ogni reo.
103 Quel che tu vuoi veder più là è molto,
Ed è legato e fatto come questo,
Salvo che più feroce par nel volto. »
106 Non fu tremoto già tanto rubesto
Che scotesse una torre così forte,
Come Fialte a scotersi fu presto.
109 Allor temetti più che mai la morte,
E non v'era mestier più che la dotta,
S'io non avessi viste le ritorte.
112 Noi procedemmo più avanti allotta,
Theog., 147 è weg. Virg. Aen. X, 605 è
seg., lo avea deacritto: « Aegmon qualis,
centum coi bracchia dicunt Centennaque
manus,quinquagintaoribusignem Pecto-
ribusque arsisse Jovis cum fulmina con-
tra Tot paribus streperct clipeis, tot
atringeret enses. » E Stat. Theb. II, 505 6
sog.: « Non aliter, Geticm ni fns est oro-
fore Phlogrm, Armatam immonsos Brin
rows stotit mthera contra, »
00. Rarewienza: vorrei vederlo coi
miei cechi.
100. m1: Virgilio. - Antho: Avtatog
inte alto sessanta braccia (Philostr.
Ie. If, 23), figlio di Nettuno e della Ter-
ra (Apollod. II, 5, 11. Hygin. Fab., 41).
Sì nutriva di carne di leone e dormiva
sulla node terra, dalla quale, como da
sua madre, riceveva sempre nnove forze
(Apollod, ibid.). Cfr. Vino. Aen. I, 181
© 510; XII, 443.
101, rana: on linguaggio intelligibi-
le, a differenza fi Nembrotto, il cui rug-
gito non è un linguaggio umano. — È DI-
SCIOLTO: a differenza di Fialte legato.
Nato più tardi, Autéo non prese parte
alla lotta dei giganti contro gli Dei;
cfr. v. 118 © seg.
102. FoNDO D'OGNI RRO : «cioè del luogo
(ogni reo; fl fondo bassissimo di quel ba-
ratro cho fl mal doll wnivorso tutto in-
mancn; » Noes,
102. quit: Briardo.
104. FATTO: della stessa atatarn è for-
ma, come Fialte; non ha donque nò le
cento braccia, nè le cinquanta teste attri-
buitegli dai poeti e dallo stesso Virgilio
nell'Eneide, VI, 267, nel qual Inogo è
filetto cenfumgeminus Briareus,
105. renocr: forse perchè costringeva
gli stranieri che capitavano nel suo regno
a lottare con Ini, e poi li troceidava; cfr.
Diod, IV, 47. Lucan. Phars. IV, 696. -
PAR: appare, si mostra,
106, GIA: mal, — ruBRSTO : quasi robu-
sla=vormonto, impotnono ; Purg. V, 125,
Non vi fu mai terromoto cho sooLosso con
maggior violenza la più forte torre, co-
me Finlte si scosse all'ndire le parole di
Dante o di Virgilio, La sua rabbia è moa-
sa dall'aver udito che Briardo è più fe-
roce; Fialte vorrebbe avere il vanto della
ferocia sovra tutti i giganti.
110. Non V' ERA: la sola paura mi
avrebbe ucciso, se non avessi vednto le
catene colle quali era strettamente lega-
to. - DOTTA: paura, Invoco Caverni :
« momento, occasione del tempo. È voce
viva fra’ nostri contadini uno de' quali ti
dirà, richiesto per es. d' aloun servigio :
La mi comandi pure: a tutte le dotte son
pronto» (7). Meglio Ftene.: « Dotta idest
timor; nam dotare est timere, »
V.112-145, Antéo, Vanno avanti ed ar-
rivano là dove è Antéo (cfr. v, 100 nl.),
che nvora la soa spelonca nella valle di
NRagrada presso Zama (efr, Lucen, Phare.
IV, 60 0 sog.) è che fu pal nesiso da Kr-
colo, A preghlora di Virgilio, Antào pl-
glia 1 Ano Pootl colle sno mani, al china
6 ll posa gitt nel pozzo, quindi si lova
come albero in nave,
112, ALLOTTA : allora; ofr. Inf. V, 63,
Diez, Wirt. I1?, 50,
8310 [DISCESA AL CER. 9] Inv. Xxx. 118-125
[ANTÈO]
E venimmo ad Anto, che ben cingu’ alle,
Senza la testa, uscia fuor della grotta.
115 « O tu, che nella fortunata valle
Che fece Scipion di gloria ereda
Quando Annibal co’ suoi diede le spalle,
118 Recasti già mille lion per preda,
E ch- == Lin dida 11.1, guerra
De’.
121 Che av
Met
Dov
124 Non ci
Que,
113. ALLE: «alla &
dra, come noi dich
intoruo di braccia |
puro Benv,, sco, Al,
sura inglese, di due
tina; » Land, e con h
« È impossibile determinare que vise
sione Dante dia a questa misura; » Jl.
114. SENZA: senza contar la misura del
capo. - GROTTA: roccia formante l'argine
tra l'ottavo ed il nono cerchio; cfr. Inf.
XXI, 110.
115. FORTUNATA: « un latino doveva
certamente chiamare fortunata la valle,
dove Scipione vinse il maggior nemico
del popolo romano, è salvò Htoma el'Ita-
lia dalle devastazioni nemiche; » Betti. -
VALLK: di Bagrada, presso Zama, dove
Scipione riportò la vittoria sopra A nni-
bale. Colà dimorava Antdéo; cfr. Lucan.
Phars. IV, 590 o seg., 656 © seg.
116. KRKDA: erede; al. kKDA; cfr. Nan-
nuc., Teor. dei nomi, 22, 217. Per la vit-
toria di Zamu Scipione ebbe il titolo di
«Africano.
118. ain: cfr. Lucan. Phars. IV,
601 6 seg.
119. GugiuA: dei giganti contro Giove;
« Ferunt epulas raptos habuisseleones,...
Calo pepercit Quod von Phiegrwis An-
tioum sustulit arvis; » Lucan. Phare.
1V, 596 © seg.
120. FRATKLLI: tutti i giganti essendo
figli della terra.- An: 6 ancora opinione
di alcuno; cfr. Inf. XII, 42; XVII, 108.
Con queste lodi Virgilio vuol conciliarsi
la benevolenza dol gigante od indurlo ad
esaudire la preghiera di calare i due Poe-
ti sul fondo di Cocito.
ch’ ei si creda
lla terra:
enga schifo)
ra.
fo;
qui si brama,
KON TEN VENGA: non avere a mlo-
renderci questo servigio, « lost
aria tam magnus, st iste tam par-
enw. Al. GIÙ E NON TI VRGNA ; ofr,
108,
Socio: quarto caso ; calaci al fon-
do de: pozzo, dove il freddo congela le ac-
que dol Cocito ; cfr. Inf.XXXIl1,22eseg.
124. NON CI FAR: sil tu colui che ci met-
te giuso e non volere cho andiamo a ri-
chiedere di questo servigio alcuno degli
altri giganti che stanno intorno al pozzo ;
sii tu in pari tempo colui che si merita
quella fama su nel mondo che tu ed i tuoi
pari bramate e questi può daro. - Tizio:
gigante folgorato da A pollo per aver ten-
tato Latona; cfr. Virg. Aen. VI, 504 ©
seg. Ovid. Met. 1V, 457 © seg. Lucan.
Phars. IV, 595 è neg. - Tiro: Titeo (cfr.
Par. VIII, 70), gigante fulminato da
Giove e sepolto nell’ Etua; cfr. Qvid.
Aet. V, 346 e seg. Lucano (loc. cit.) no-
mina Tifvo insieme con ‘Tizio, aggiun-
gendo che Antdo era più forte di loro.
Onde Virgilio ricorda appunto questi due
per lusingare l'orgoglio di Antéo.
125. QUKL: fama au nel mondo. « È In-
dole del superbo il cercar fama, e Vir-
gilio prende Antéo pel suo debole, per-
chè gli sia compiacente. E si badi che nel
dire, questi può dar di quel che qui si
brama, intende di tutti coloro cho son
colà, poichd tutti superbi, e tutti perciò
avidi di rinomanza: Spiritus superbia,
amor proprie laudis: Ugo da S. Vitt. »
Jtoss. - Qui: nell'inforno; cfr. Inf. VI, 89;
XIII, 76 0 seg.; XV, 119 eseg.; XVI, 83
e seg.; XXVIII, 106, ecc. È questa l'nlti-
ma volta che tale lusinga produce il vo-
[DISCESA AL CER. 9]
Inr., xxxr. 126-142
[ANTO] 511
Però ti china, e non torcer lo grifo,
127 Ancor ti può nel mondo render fama;
Ch’ ei vive, e lunga vita ancora aspetta,
Se innanzi tempo grazia a sé nol chiama. »
130 Così disse il maestro; e quegli in fretta
Le man distese, e prose il duca mio,
Ond' Ercole senti già grande stretta.
133 Virgilio, quando prender si sentio,
Disse a me: « Fatti in qua, sì ch'io ti prenda. »
Poi fece si, che un fascio er’ egli ed io.
136 Qual pare a riguardar Ja Carisenda
Sotto il chinato, quando un nuvol vada
Sovr'essa si, che ella in contro penda:
139 Tal parve Antèo a me che stava a bada
Di vederlo chinare. E fu tal ora
Ch'io avrei volut'ir per altra strada.
142 Ma lievemente, al fondo che divora
lato effetto ; | traditori non bramano fa-
ma, sì l'oblio ; ofr. Inf. XXXII, 04.
126. NOW TORCER: per superbo disde-
gno. - GRIFO: muso, Pare che il giganto
torcesse veramente il muso all'udir Vir-
gilio, ciò che indusse questi a rinfacciar-
gli la sua bestiale superbia od a ripetere
più a lango che Dante, vivo, gli darebbe
fama su nel mondo.
128. LUNGA: altri 25 anni; cfr. Inf. I, 1.
Cone. IV, 23, 24.
120. INNANZI: prima del termine natu-
rale della vita nmana; cfr. Conv. IV, 23.
= GRAZIA: divina; cfr. Conv. IV, 28.
122. oxp'ErcoLR: dalle quali mani Er-
cole si senti fortemente afferrare quando
lottò con Antéo; « Consernere manus, et
multo brachia nexn. Colla din gravibus
frusta tentata lacertis, Immotamqne ca-
put fixn com fronte tenentur; Mirantor-
que habuisse parem ; » Lucan. Phare. IV,
617 è seg. Al. onp' nt D'ERCOLK SENTÌ.
135. rrecr: mi nbbracciò sl che ora-
vamo como lognti insiema In nn solo fa-
agio. dine diceat: astrinxit mo sibi; »
. CARISENDA ; ona delle dus famose
di ae edificata nel 1110 da Fi-
© Ode dei Garisondi, Al presento
4
ha nn‘ altezza di metri 47,51 e rerso le-
vante nno strapiombo di m. 2,37, deri-
vato da nn abbassamento del terreno. Ai
tempi di Danto era assai più alta, essen-
do stata mozzata verso il 1355 per ordine
del tiranno Giovanni Visconti da Oleg-
gio, onde fu poi detta Torremozza. Quello
che ne rimane al presente ha tuttavia la
pendenza di otto piedi. Cfr. Lon» Ver-
Kon, Inf. vol. III, p. 219 ed ivi tav. 08.
« Quando le nuvole vanno all' opposita
parte del piegare della torre, a chi vi
guarda par ch' ella si chini; » Lan. « Si-
cut Garisenda corvata videtur cadere su-
per respicientem, et tamen non cadit, ita
Antheus velut alta turris corvatus vide-
bator none cadere super Dantem respi-
clentem eum, et tamen non cadebat; »
Benv.
197. sorto : dalla parte ov’ osan pende.
139, STAVA A DADA: guardava attenta-
mente; ofr. Nannue,, Anal. Orit., 206.
140, ® ru: e fa nn momento così spa-
venterole per mo, che per la panra avrei
voluto essere per qualsiasi altro cam-
mino.
141, ciro AvnET vorut'IR: AI. cnr
AVREI VOLUTO ANDAR; efr. £. F., 105,
142. LIKvRMRNTE: senza stringerci co-
me strinse Ercole, v. 182. - DIVORA: con-
tiene nelle sno buche, ingoja, chiude in
sà | traditori 0 Luciforo,
—<
312 [cER. 6. G.1) Ip, xxx1. 143-145 — xxxtt. 1-2
[EesoRDI0]
Lucifero con Giuda ci sposò;
Né si chinato lì fece dimora,
145 E come albero in nave si levò.
143. ci srosò: ci depose, dal verbo
eporre, lat. erponere, da non confondersi,
come taluno fece, con sposare da rpondeo.
Al, ci POSÒ,
144. xÉ sì: 6 non ese «= taz anal
chinato, ma ai all'retl
quella altezza è gravi
bero in nave; » Lan
ratio valdo propria,
magnus et altus ot aj
CAN
atboria navia; » Bene. Confr. L. Vent.
Simil., 368.
145. COMK ALBERO : « questa almilitu-
dine dell'alboro non possiamo intendere
Al soe grossa di mare; ma di gales, od
agre fuste, è ben ancora di navi
i doles, che sogliono levare, e ca-
bero secondo che mostier lor fa; »
« Pittura vivissima a chi ai è tro-
pra naviglio in burrasca; » Hoes,
OSECONDO
CERCHIO NONU; row LE am Wha ol FIDA, O TRADITORI
GIRO PRIMO. CAINA: TRADITORI DEI CONGIUNTI
(Immersi nella ghiaccia fino al capo, con la faccia volta in giù)
CONTI DI MANGONA, CAMICION DE’ PAZZI
GIRO SECONDO. ANTENORA: TRADITORI DELLA PATRIA
(Medesima pena)
BOCCA DEGLI ABATI, BUOSO DA DUERA
IL, CONTE UGOLINO
S’ io avessi le rime aspre e chiocce,
Come si converrebbe al tristo buco,
V. 1-15. Esordio. Dovendo trattare
dell’ altima regione infernale, che 6 la
più profonda © spaventevole di tutte o
temendo cho la sua lingua non basti a
tauto, egli invoca (come Purg. XXIX,
37 e seg.) l'aiuto delle Muse e prorompe
in una esclamazione contro i traditori
dei quali devo oramai trattare.
1. ASPRE: «quanto al suono del dettato
che a tanta materia non conviene esser
leno;» Conv. 1V, 2. - cinocck: rauche;
cfr. Inf. VII, 2. Diez, Wort. 1, 124.
2. BUCO: nono cerchio, detto buco e
per rispetto agli altri cerchi e per ri-
spetto al fondo dove è Luciforo ; cfr. Inf.
XXXIV, 131. Par. XXIX, 50 © sog.
(CERC. 9, GIRO 1]
InP. xxx. 3-16
—
Sovra il qual pontan tutte |’altre rocce,
1 Io premerei di mio concetto il suco
Più pienamente; ma perch’io non l'abbo,
Non senza tema a dicer mi conduco.
7 Ché non è impresa da pigliare a gabbo,
Descriver fondo a tutto 1’ universo
Né da lingua che chiami mamma e babbo.
Ma quelle donne ajutino il mio verso
Che ajutàro Anfione a chinder Tebe,
Si che dal fatto il dir non sia diverso.
Oh sovra tutte mal creata plebe
Che stai nel loco onde parlare è duro,
Me’ foste state qui pecore o zebe!
16
3. PONTAN: #'appoggiano come sul loro
punto o centro comune, tutti gli altri
cerchi infernali. « Quia ad centrum ter-
rm tendunt omnia pondere gravitatum ; »
4. PRRMEREI: esprimersi più compiu-
tamente. Premere qui=esprimere, dire
a parole; ofr. Par, IV, 112. - IL 8UCO:
In soatanza.
6. anno: ho; dal Int. Aabeo; efr. Nan-
nitte., Verbi, 480 è seg.; non ho le rime
aapre è chioces come vorrei nvere.
7. A GABDO: a ginoco, in ischerno,
8. ronno: il fondo; omosso l'articolo,
come nsarono alle volte gli antichi: cfr.
Nannuc., Voci, 63 © seg. Non è facile im-
presa il descrivere il fondo o centro del-
l'universo; efr. Conv. III, 5.
8. LingUA: dell'uso comune, clod vol-
gare, nella quale è dettato il poomna; efr.
Vulg. Et. 11, 7. Ep. Kani, 10. Al.: lingna
da bimbo. Era veramente necessario di
dirci, che la lingua del bimbo è insnffi-
ciente n descrivere il centro dell'uni-
verso! Al.: lingua ancor bambina, come
al tempi di Dante era la volgare. Per
Dante il volgare italiano non era una
lingua ancor bambina. Il Betti: « cioè la
umana. » Non intraprende Dante
ai dercriver fondo a tutto l'universo per
l'appunto in lingua umana?
eee le Muse, già invocato Inf.
11. ANFIONE: figlio di Giove o di An-
tiope, Snonava maestrevolmente In ce-
tra, e volendo cingere di mara la città
di Tebe, nè avendo a ciò altro mezzo,
Come noi fummo giù nel pozzo scuro
suonò la sua cetra 6 le pietre vennero
giù dal monto Citerone, si nocostarono
al lnogo loro nasegnato, ai sovrapposero
acconclamente da sò l'una all'altra e
formarono il muro; cfr. Hom. Odys. XI,
230 è seg. Apollon. Rhod. 1,740 © seg.;
IV, 1090. Horat. Ars. Foet., 304 e seg.
Proper. 111, 2, 2.
12. al cr: cow) cho lo mio parole siono
ndogunte al anbiotto; ofr. Inf, IV, 147,
13. MAL: « malo et infeliciter nate ul-
tra omnes damnatos; » Benv.
14, puno: arduo, difficile. La condizio-
no dei tenditori è sì spaventovole, cho
per descriverla adeguntamente mancano
modi alla lingua.
15, wm’: meglio per voi; ofr. &. Matt.
XXVI, 24.-Qui: nel mondo. - eng: ca-
pre; voce tuttor vivente. « Zebe sono li
caprotli saltanti; et sono dotti zebe, por-
ché vanno zebellando, cioè saltando ; »
Lan.
V. 16-39. Caina, la regione dei tra-
ditori de’ congiunti. 11 nono ed altimo
cerchio è nn gran Ingo golato che pende
verso il centro, ed è spartito in quattro
giri concentrici, in ognono dei quali è
punita nna classe speciale di traditori.
I quattro giri non sono distinti che per
la maggiore o minore gravità della pena.
Nel primo, che ha il nome da Caino, il
primo fratricida, sono i traditori de' pa-
renti, fitti nel ghiaccio fino all'anguinaia,
lividi, battendo | denti, la faccia rigata
di lagrime. Il ghiaccio, in cui i traditori
sono conflitti, è la vera immagine della
durezza e freddezza de' loro cuori, Nella
[esorDIO] 318
SE
$14 [cERc. 9. GIRO 1)
Inv. xxxIt. 17-81
fcarma)
Sotto i piè del gigante, assai più bassi,
Ed io mirava ancora all’ alto muro,
19 Dicere udimmi: « Guarda come passi;
Fv’ sì cho tu non calchi con le pianto
Le teste de’ fratei miseri lassi. »
22 Perch’ io mi volsi, e vidimi davante
E sotto i piedi un lago, che per gelo
Avea di vetro e non d’acqua sembiante.
25 Non fece al corso suo si grosso velo
Di verno la Danoja in Ostericch,
Né Tanai là sotto il freddo cielo,
28 Com’ era quivi. Ché, se Tambernicch
Vi fosse su caduto, o Pietrapana
Non avria pur dall’ orlo fatto cricch.
81 E come a gracidar si sta la rana
forma agghiacciata confinano coi mine-
rali per la loro infima degradazione.
17. PIÙ Bassi: Anto avendoli deposti
a una certa distanza dalla parete del
pozzo, il cui fondo pendo, o va digra-
dando e restringendosi come un imbuto,
sicchò viene ud appuntarsi nel centro
dove è fitto Lucifero.
18. MIRAVA: cfr. Inf. I, 26. Al. GUAR-
DAVA; cfr. Z. F., 196. - MURO: d’onde il
gigante gli avea calati.
19. UDIMAI: Al. UDIBIMO. - COME PABSI:
invece di mirare all'alto muro.
20. Fa’ st: AI. va'sì. Si è quell’ om-
bra accorta che Dante è ancor vivo? O
tene di essero calpestata da un'ombra?
Anche ciò sarebbe possibile. « Etiam mi-
seria anime derivabitur ad corpora dam-
natorum.... Eruntigitur corpora damna-
torum integra in sui natura, non tamen
illas conditiones habebunt, quie pertinent
ad gloriam beatorum: nou enim erunt
subtilia et impassibilia, eed magis in sua
grossitie ct passibilitate remanebunt, ot
augeobuutur in eis; nou erunt agilia, sed
vix ab anima portabilia: non erunt clara
sod obscara, ut obscnritas anime in cor-
poribasdemonstretur; » Thom.Aq.Comp.
theol., P. I, c. 176.
21. rratit: di noi duo che fummo fra-
telli nol mundo. Al.: dei dannati di questo
pozzo in generale. Cone se questi tradi-
tori esercitassoro laggiù la carità frater-
na! Quest’ ombra non tene che per sò.
23. LAGO: il Cocito, sull'origine del
quale cfr. Inf. XIV, 103 e seg. Sal.
LXXXVII, 5, 7. Prov. I, 12. Isaia XIV,
15. Gerem. VI, 7.
24. AVEA: pareva vetro, non acqua;
cfr. Canz. « Io son venuto, v. 59-61.
25. VKLO: crosta di ghiaccio che vela le
acque che scorrono sotto. « Concrescunt
subiti currenti in ffumine cruste ;» Virg.
Georg. Ill, 360.
26. DaxoJa: Danubio. - OSTERICCH:
Austria. Al. AUSTKKRICCH. Anche Gio-
vanni Villani scrive costantemente Oste-
ricch; cfr. VII, 27, 29, 42, ecc.
27. 'TANAI: Tana, lat. Tanais, oggi
Don, finme della Russia.
28. TAMBRRNICCH: Al. TABRRNICCH. È
incerto di qual noute Dante volle parlare.
Gli antichi intendono di un monte della
Schiavonia; così Bambg., Lan., Petr.
Dant., Benv., Land., ecc.; Buti di un
monte altissimo nell’Armenia; Vell. di
un monte in Dalmazia ; Al. dello Taber-
nicch nella Carniola, ecc. Probabilmente
Dante intende dello Javornik (= Monte
degli aceri) presso Adelsberg nella Car-
niola; cfr. Bass., 199 e seg.
29. PIRTRAPANA: Petra Apuana, grup-
po di montagne tra il Serchio e la Ma-
gra; oggi la Pania, o Alpe Apuana.
30. PUR: non avrebbe fatto alcun se-
gno di serepolaturo, nommono all'orlo
estoriore dovo era meno grusso. - CRKICCH :
suono naturale di ghiaccio o vetro nel
rompersi. « Far cricche si dice anche nel-
l'uso comune per significare suono di cosa
dura che si rompa, ed anche l'atto del
rompersi essa; ed è dell'uso; » Fanfani.
[cERC. 0. GIRO 1]
INF. XXXII. 32-47 [CONTI DI MANGONA] 315
Col muso fuor dell'acqua, quando sogna
Di spigolar sovente la villana:
34 Livide insin là dove appar vergogna
Eran |’ ombre dolenti nella ghiaccia,
Mettendo i denti in nota di cicogna.
37 Ognuna in giù tenea vélta la faccia:
Da bocca il freddo, e dagli occhi il cor tristo
Tra lor testimonianza si procaccia.
40 Quand’ io ebbi d’intorno alquanto visto,
Volsimi a’ piedi, e vidi due si stretti
Che il pel del capo avieno insieme misto.
4 « Ditemi, voi che sì stringete i petti, »
Diss’ io, « chi sioto. » E quei piegàro i colli,
4 poi ch’ ebber li visi a me eretti,
46 Gli occhi lor, ch’ eran pria pur dentro molli,
Gocciàr su per le labbra; e il gelo strinse
n2, quaxpo: nell'estate « Invat esse
sub nodis, Et modo tota cava anbmerge-
re membra palude, Nuno proferre caput,
sommo modo gurgite nare, Sepe super
ripam stagni consistere.... Vox quoque
jam ranca est; >» Ovid, Met. VI, 370 eseg.
2. LIvIDR: le ombre livide e dolenti
erano fitte nella ghiaccia sino al viso,
dove ai mostra la vergogna per lo ros-
sore. Questa interpretazione è resa imli-
sentibile dalla precedente similitudine
delle rane. Le altre interpretazioni sono
inattendibili ; ofr. Com. Lips, I, 393.
36. METTENDO: battendo i denti per lo
freddo e facendoli sonare al modo che
il rostro della cicogna. « Ibi erit
fletus et stridor dentium ; » $. Matt, XIII,
42. « Ipea sibi plandnt crepitante ciconia
rostro; » Ovid, Met. VI, 97.
37. IN GIÙ: non volendo esser vednti
6 riconosciuti; cfr. v. 94.
BA. DA Bocca: col batter de' denti ln
bocca rende testimoninnza del gran fred-
do che soffrono quei miseri ; colle lagrime
git occhi loro rendono testimonianza del-
l'interno loro dolore,
V. 40-60, I conti di Mangona e Ca-
mirion de’ Parri. Ai anol piedi Dante
vedo duo ombro onal atrettamonto nnite
che le loro chiome nono insieme confuse,
Domanda chi sono; lo guardano, poi ab-
bassano di nuovo jl viso e, invoce di ri-
corzano insieme. Un terzo,
traditore anche laggiù, li nomina ingiu-
rinndoll, nomina tre altri snoi vicini, è
finalmente sé stesso, aggiungendo che
napetta laggiù Carlino de’ Pazzi, più nero
traditore di Ini.
41, VOLSIMI: per vedere chi fosse que-
gli che gli aveva indirizzata la parola,
v. 19 e seg. — STRETTI: «non oredas hoc
ex affections vel dilectione.... sed ex ama-
ritudine et acerbitate odil, quin sic se
invicem atrinxerunt quando ae mntuis
vulneribua interfecoront; » JHenw,
42, it, rei: «i vani peli del capo le-
gano in Inferno, evi nella vita bella non
avvinsero i forti vincoli che fa natnra.
Come se Domeneddio afferrnsne insieme
pel cinffo, e tuffasse in Cocito, i fratelli
che si tradirono; > Di Siena.
43. STRINGRTR: erano nella ghiaccia
sino al capo, ma il ghiaccio era traspa-
rente come vetro, v. 24, onde si poteva
vedere anche il petto.
44. rircAno: indietro, per guardare
in au,
46. vur peNTno: pregni di lagrime,
che però non versavano,
47. eu: Al. ori). Cfr., Moore, Crit., 365
6 seg. - LAMBRA : non sembra veramente
nonossaria «li intendore delle palpobro,
labbra degli occhi (Lomb., Pogg., ecc.),
ché le palpebre non si chiamano mal
labbra è l'equivoco sarobbe qui troppo
forte e tutt'altro che dantesco. Penv.:
« emisorunt lacrymas, et sio vi nperue-
runt ocnlos ut viderent auctorem, »
316 (CERC. 9. GIRO 1)
Ixr. XXXII. 48-63
(CAMNICION DE’ PAZZI]
Le lagrime tra essi, e riserrolli.
49 Con legno legno spranga mai non cinse
Forte così. Ond’ ei, come duo becchi,
Cozziro insieme ; tanta ira gli vinse.
52 Ed un ch’avea perduto ambo gli orecchi
Per la freddura, pur col viso in giùe,
Disse: « Perché cotanto in noi ti specchi?
55 Se vuoi saper chi son cotesti due,
La valle onde Bisenzio si dichina
Del padre loro Alberto e di lor fue.
58 D’ un corpo uscîro; e tutta la Caina
Potrai cercare, 6 non troverai ombra
Degna più d’ esser fitta in gelatina;
61 Non quegli a cui fu rotto il petto e l’ ombra
Con esso un colpo per la man d’Artù;
Non Focaccia; non questi che m'ingombra
48. r8s1: occhi. Quando si farono pie-
gati col capo indietro per mirare il Poeta,
lo lagrime scoppiarono fuori, onde gli
occhi si apersero un istante; ma le la-
grime gelarono subito e richiusero loro
gli occhi.
49. CON LEGNO: Al. LEGNO CON LEGNO.
Spranga non tenne mai due pezzi di le-
guo stretti insieme così fortomente come
ll ghiaccio teneva chiusi gli occhi di
quei due.
§1.cozz4no: « Inter se adversis Inctan-
tur cornibus hdi; » Virg. Georg. 11,526.
- RA: l'essersi veduti un momento rin-
novo per avventura le antiche loro ire.
63. pur: il freddo non gli concedova
di alzare il volto.
64. TI 8PECCUI: ti rimiri come in uno
specchio; e vuol dire: Perchè ci guardi
così a lungo e con tanta attenzione?
66. Bisknzio: piccolo fiume di Toscana
che passa vicino a Prato e sbocca nell’ Ar-
no sotto Firenze di contro alla Las.ra.
57. ALBERTO : degli Alberti, conte di
Mungona, fece testamento nel 1250. - DI
Lon: di Alessandro o di Alberto, suoi
figliuoli. « Sompro tradì l'uno l'altro; è
uccise l'uno l'altro a tradimento; » Ax.
Sel. - « L'uno con l'altro sompremai si
tradirono; » Zac. Dant. - « Questi due
fratelli furono il conte Napoleone, et il
conte Alessandro doe’ conti Alberti, i
quali furono di sì perverso animo che,
per torre!’ uno all'altro le fortezze che
avevano in Val di Bisenzio, vennono a
tanta ira et a tanta malvagità d'animo
che l'uno uccise l’altro, et così insieme
morirono ; » An. Fior. Così pure Bambg.,
Benv. ed altri antichi. Il fatto sembra
avvenuto dopo il 1282. Napoleone era
ghibellino, Alessandro guelfo; si odia-
rono tuttavia più per interessi privati
che per ragioni politiche. - FUR: appar-
tonne, essendo signori dei castelli di Ver-
nio e di Cerbaia in Val di Bisenzio e di
Mangona in Val di Sieve.
58. uscito: nacquero d'una stessa ma-
dre, la contessa (iualdrada, che parton
al conte Alberto parecchi figliuoli, tra i
quali questi due. « Di lor padre, e d'un
corpo usciro mostruuo che que’ due eran
nati dagli stessi genitori, il che vale ad
aggravare la colpa di que' Caini che si
scannarono scambievolmente; » Noes.
60. IN GKLATINA: « in istam glaciem
golatam; » Benv.
61. QUKGLI: Mordréc figlio del re Arth,
volle torre il regno al padre ed acciderlo
a tradimento, ma Arti gli passò il petto
con un colpo di lancia da parto a parte.
« Et dit l’ystoiro que apprès l'ouverture
de la lance passa par my la playo uu ray
de soleil si é6videmment que Girflet le
veit bien; » Lancelot du lac, co. 21. - oxu-
Bea: qui nel senso proprio. Cfr. BLANC,
Versuch, I, 280 © seg.
63. Focaccia : de’ Cancelliori di Pistoja
e di parte Bianca, « il quale era prode e
[cEno, 9. GIRO 1]
Inf. xxxtt. 64-72 [CAMICION DE razzi] 317
64 Col capo sì ch'io non veggio oltre più,
E fu nomato Sàssol Mascheroni.
Se Tosco se’, ben sai omai chi fu.
67 E perché non mi metti in più sermoni
Sappi ch’ io fui il Camicion de’ Pazzi,
Ed aspetto Carlin che mi scagioni. »
70 Poscia vid’ io mille visi, cagnazzi
Fatti per freddo; onde mi vien riprezzo,
E verrà sempre, de’ gelati guazzi.
gagliardo molto di soa persona, del quale
forte temevano quelli della parte Nera
por le ane perversité, perchè non atten-
des ad altro, ch' ad uccisioni o ferite; »
Murat, Seript. X1, 370. Ucciso a tradi-
mento Detto de’ Cancellieri suo cugino
e dal 1286 al 1205 commise parecchi nl-
tri delitti; ofr. Murat. Script. XI, 3710
seg. Bambg., Petr. Dant. ed altri dicono
che nocise il proprio padre; Lan., Ott,,
An. Fior. e molti altri lo accusano di aver
neciso n tradimento un suo zio; Benp.,
Land., Vell., Dan., occ, lo fanno antore
del taglio della mano di Dore Cancel.
lier] nel 1286, che fu invece opera d'un
sno parente; cfr. Vill, VITI, 38. Murat,
Script. X1, 308 o seg. Fnciel., 811 0 seg. -
M'IincoMmmRA: mi sta innanzi e m' impe-
disce # ch'io non posso veder oltre.
65. Sasso. Mascneroni: de' Toschi
ila Firenze, ucciso n tradimonto l'unico
figlio d'un suo zio per succodergli nel-
l'eredità; Post. Cass., An. Fior., Benv.,
Barg., eco. L'An. Sel : « Rimase tutore
del sno avolo sopra i suoi fratolli, 0 fo-
cell necidere per nversi il loro, » Secomlo
l'Ott. Shssol era il tatore del fanciullo da
lai proditorinmento neciso. « Infine il
fatto si scoperse ; fa prose costni, et con-
fessato il malefizio, fu messo in una botte
d'aguti, et fo trascinato rotolando la
perl anf terra, et poi gli fu mozzo il
meata novella sì palese, che
por cen na se no parlò: et però
dice l'Auttore: Se tn se’ di Toscana tu
il dei anpore; » An. Fior.
00. new RAT: Al. tx DEI SAPER, - CINI
PU: AI. cm n° vu.
67, mierti: mobta; alineh’ ti non mi
molesti più con altre tuo domando.
68, Camicion: Alberto Comicione del
Paezi di Valdarno. Uccise proditoria-
mento Ubertino de' Pazzi (Jtambg.), 0
piuttosto dogli Ubertini (Del Lungo, Di-
no Compagni JI, 2), suo consangniuco
(Bambg., Lan., Ott., Benv.), chi dice cu-
gino (An, Fior.) e chi suo zio (Buti).
60. Cartin: Carlino dé’ Pazzi di Val-
darno. Trad) nel 1302 per denari il ca-
atello di l'iantrovigno ai Neri, poi lo ri-
vendette ni Bianchi; cfr. Vill. VIII, 53.
- BCAGIONI: sensi, essendo egli assai più
nero traditore che non fui io,
V. 70-111, Antenora, la regione dei
traditori della patria. Bocca degli
Abati. Il secondo giro del Cocito è de-
nominato Antenora, da Antenore prin-
cipe Troiano, che nei poemi omerici è
ilescritto come nomo savio ed eloquente,
il quale, consigliando di restituire Elena
ni Greci, procacciava la salvezza della
patria; cfr. Hom. Tl. INI, 148 è seg., 203
eseg., 202 6 s0g.; VIT, 145 6 sog. Altri ne
focoro invece un traditore che consegni
ni Greci il T'alludio (cfr. Serv. ad Aen, I,
242. Suid. ml v. IHIxXX.&dtow), diodo loro
il segno mediante una Inntorna ed nporso
fl cavallo di legno ; cfr. T'retr. ad Lycophr.
340; Strab. XIII, 1, 53. Pause. X, 27. Nel-
l'Antonora le ombre dei dannati hanno
solo parte della testa fuori dolla ghiaccia,
Dante urta col piede una di questo apor-
genti testo, vuole indarno cho si nomini,
il dannato Intra ed un terzo lo nomina.
È Bocca degli Abati, il traditore di Mon-
taperti, il quale ferì e tagliò la mano n
Iacopo Nnoca de' Pazzi di Firenze che
portava In bandiera della cavalleria Fio-
rentina, 6 da qui ne venne il disordine,
lo scompiglio, la disfatta dei Guelfi nel
1260. Cfr, Vill, VI, 78.
70. cagnAzZ: canini, fatti per soper-
chio fredilo grinzi n modo do' mostacci di
nno; MRenn,, Vett., Dan,, ooo. AL: lividi
(tuti); oppure pnonnzzi, quasi nori.
71. rirrezzo: A). ribrezzo; qui in
senso traslato per orrore, spavento.
72. GUAZZI: Btagni, acque stagnanti;
qui per le acqne de' finmi infernali, sta-
enantio ghineciato in Cocito.
818 [CERC. 9. GIRO 3)
INF. XXXIT. 73-95
[BOCCA DEGLI ABATI]
73 E mentre che andavamo in vér lo mezzo,
Al quale ogni gravezza si rauna,
Ed io tremava nell’ eterno rezzo:
76 Se voler fu, o destino, o fortuna,
Non 80; ma passeggiando tra le teste,
Forte percossi il piè nel viso ad una.
79 Piangendo mi sgridò : « Perchè mi peste?
Se tu non vieni a crescer la vendetta
Di Mont’Aperti, perchè mi moleste? »
82 Ed io: « Maestro mio, or qui m’ aspetta,
Si ch’io esca d’un dubbio per costui;
Poi mi farai, quantunque vorrai fretta. »
85 Lo duca stette. Ed io dissi a colui
Che bestemmiava duramente ancora:
« Qual se’ tu, che così rampogni altrui? »
88 « Or tu chi so’, che vai per l’Antenora
Percotendo, » rispose, « altrui le gote
Sì che, se fossi vivo, troppo fora? »
91 « Vivo son 10; e caro esser ti puoto, »
Fu mia risposta, « se domandi fama,
Ch’ io metta il nome tuo tra l’altre note. »
94 Ed egli a me: « Del contrario ho io brama.
Levati quinci, e non mi dar più lagna;
74. AL QUALE: cfr. Inf. XXXIV, 111.
75. TREMAVA: di freddo e di apavento,
v.71. -nKzz0: golo ; cfr. Diez, Wort. 15, 39.
76. VOLEK: divino, - DESTINO: del fato.
- FORTUNA: caso fortuito. Por il volere al-
cuniintendonola libora volontà di Dante,
6 spiegano: Non so se fu il mio volere, 0
il destino di Dio, o un caso fortuito. Ma
se Dante lo volle, come poteva egli dun-
que dire di non saperlo f
78. NKL VIBO: Al. NKL CAPO.
80. A CRESCER: ad aumentare contro
di mo.
81. Mont’ Arkert: villaggio nolla Val
d'Arbia vicino a Siena, ove nol 1260 fu
il colobre combattimento tra i ghibollini
di Siona ed i guolti di l'irenzo edi Lucca.
83. pusnio : all’ udir menzionare Mon-
taperti il Poeta sospetta che costui fosse
per avventura Bocca il traditore e desi-
dera accertarseno.
84. QUANTUNQUEK: poi mi farai quanta
mai fretta ti piaccia furmi a soguire di
nuovo le tracce tue.
86. BKSTKMMIAVA: cfr. 1pocal. XVI, 0,
11. - DURAMENTK: rabbiosumento.
87. così: monzionando Montaperti. In-
veco Pol.: < In sittatto modo di ira è
sdegno. »
88. on TU: alla domanda di Dante quel
traditore rispondo con ultra domanda,
proprio per le rime. Al Qual se tu? ri-
sponde con un Or tu chi se’? al Rampo-
gni altrui rispondo con un Percotendo
altrui, quasi volesse dire: Se io ti rani-
pogno, tu mi porcotesti, il che è troppo
peggio del rampognare.
89. L'KRCOTKNDO : cfr. v. 78.
90. BK FOSSI : la percossa sarebbe troppo
forto persino sv tu fossi vivo. Bocca credo
di parlare ad uno spirito dannato.
93. NOTE: della mia Commedia ; coufr.
Inf. XVI, 127.
94. DEL CONTRARIO: dell'oblio, per ti-
more dell’ infamia.
95. LKVATI: vattone pei fatti tuol. Non
mostrando voruna sorpresa all’ udire che
Dante è vivo, sembra averlo già presen-
[CERC. 9. GIRO 2]
100
103
106
100
112
115
INF. XXXII. 96-115 [BOCCA DEGLI ABATI] 319
Ché mal sai lusingar per questa lama. »
Allor lo presi per la cuticagna
E dissi: « E’ converrà che tu ti nomi,
O che capel qui su non ti rimagna. »
Ond’ egli a me: « Perché tu mi dischiomi,
Né ti dirò ch’io sia, né mostrerolti,
Se mille fiate in sul capo mi tomi. »
Io avea già i capelli in mano avvolti,
E tratti glien’avea più d’ una ciocca,
Latrando lui cogli occhi in giù raccolti;
Quando un'altro gridò: « Che hai tu, Bocca?
Non ti basta sonar con le mascelle
Se tu non latri? qual diavol ti tocca? »
« Omai, » diss’ io, « non vo’ che tu favelle,
Malvagio traditor, ché alla tua onta
To porterò di te vere novelle, »
« Va’ via, » rispose, « e ciò che tu vuoi conta
Ma non tacer, se tu di qua entr’ eschi,
Di quei ch’ ebbe or così la lingua pronta.
Ei piange qui l'argento de’ Franceschi:
tito, cfr. v. 90.- LAGNA: motivo di la-
gnarmi, molestia, fastidio.
06. LUSINGAR: promettendo fama, men-
tre invece noi altri di questo cerchio
desideriamo l'oblio. — LAMA: ofr. Inf.
XX, 79; Purg. VII, 90; chiama così il
Cocito. «Intendi camminando per que-
sta cavità ;» Betti.
07. cuncagrna: la cotenna del capo
nella parte di dietro, sull'occipite.
100, rercnî: benchè, ancorchè tn mi
strappi i cnpegli non ti dirò chi sono, e
non ta lo farò vedere levando in su il viso,
quando pore tu mi salti mille volte sul
capo per far ludibrio di me con le mani e
con | piedi.
101. we Tr: Al. xox TI; cf. Z. F.,197 eseg.
102. m1 Tom!: mi piombi. «Se mille fiato
mi percuoti sul capo, come hai fatto co'
tuoi piedi; » Betti,
105, LATRAXDO: mentre ci continunva n
gridare jrosam., cogli vochi sompre hassi
per non assoro riconoscinto nizandoli.
107. sowan: battere i denti per il
freddo, cfr. v. 36.
108, QUAL DIAVOLO: Pare che Buoso
mon Intendease il colloquio avronnto tra
Danie o Boccea, ma cho udisso soltanto i
latrati di quest'ultimo e si avvisasse che
e' fosse tormentato da qualche diavolo.
109, cuz TU: Al, cur rid,
110, ALLA TUA ONTA: a tuo dispetto e
ml infamia di to.
V. 112-123. Mxoso da Ihiera ed al-
tri traditori, Alle grida di Booca quel-
l'altro, chiedendogli che cosa nvesse è
chiamandolo per nome, lo ha manifestato.
Bocca si vendica, rivelando dal canto suo
il nome dell' interrogatore e di altri suol
vicini, Il primo è Buoso, della famiglia di
Doera, o di Dovara, che col marchoss
Uberto Pallavicini tenne Inngo tempo la
signoria di Cremona, Nel 1265 | Ghibel-
lini di Lombardia lo posero con boon
esercito ne’ Inoghi verso Parma per im-
pedire il passaggio dell'esercito francese
di Carlo I d'Angiò; ma corrotto con de-
nari non foce veruna resistenza e lasciò
pasanro liberamente i Francesi; ofr. Vill.
VII, 4. Murat. Seript, IX, 700,
113, gscnt: ascn; ove mal tu oson di
qua e faocia ritorno al mondo.
114. pirquri: di costui che fu così lesto
a palesare il mio nome,
115. aRokxTO : denaro; cfr. Par, XVII,
R4,- MrAncracit: Imnoosi,
820 [CERC. 9. GIRO 2] INF. xxxIr. 116-122
[BUOSO DA DUERA]
“ To vidi, ,, potrai dir “ quel da Duera
La dove i peccatori stanno freschi. ,,
118 Se fossi dimandato, altri chi v’ era,
Tu hai da lato quel di Boccheria,
Di cui segd Fiorenza la gorgiera.
121 Gianni del Soldanier credo che sia
Più là con Ganellone e Tebaldello,
117. 1 PECCATORI: Al. I TRADITORI, les.
troppo sprovvista di autorità. - STANNO
FRKSCHI: sono tormentati dal freddo e dal
ghiaccio. Da questo verso si crede origi-
nata Ja frase proverbiale, ironica, Star
fresco; cfr. Fanf. Vocab. dell'uso tosc.,
p. 406. Caverni, Voci e Modi, 60.
119. QUKL: Tesauro dei Beccheria, pa-
vese, abate di Vallombrosa, legato per
papa Alessandro IV in Toscana. Scacciati
iGhibellinida Firenze nel 1258, «del mese
di settembre prossimo dello stesso anno,
il popolo di Firenze fece pigliare l'abate
di Vallombrosa, il quale era gentile uomo
de' siguori di Beccheria di Pavia in Lom-
bardia, essondogli apposto che a petizione
de' Ghibellini usciti di Firenze trattava
tradimento, e quello per martirio gli fe-
cero confessare, 0 scelleratamente nella
Piazza di Santo A pollinare gli feclono a
grido di popolo tagliare il capo, non guar-
dando a sua dignità nò a ordine sacro;
per la qual cosa il comuno di Firenze
e' Fiorentini dal papa furono scomuni-
cati; o dal comune di Pavia, ond’ era il
detto abate, e da’ suoi parenti i Fioren-
tini che passavano per Lombardia rice-
vevano molto danno e molestia. E di vero
ni disso che il religioso uomo nulla colpa
avea, con tutto che di suo legnaggio fosse
grando ghibellino; » Vill. VI, 65. D'ac-
cordo con Dante, tutti gli antichi suoi
commentatori credettero che l'abate fusse
veramente colpevole. « Voluit per prodi-
ctionem subvertere stalum Civitatis Flo-
rentie; « Bambgl. - « Egli con Gioannl
Soldanieri da Fiorenza fecero faro chiave
fulse, e di notte tempo, essendo ossi in
Fiorenza, apriro la porta e iniservi den-
tro e Bianchi con molti Ghibollini di To-
scana, © anco co’ gl'Arotini; » An. Sel. -
«Col seguito d’alcuno Fiorentino la parte
guelfa di Firenzo tradio; » Jac. Dant. -
« Essendo per la Chiosa in Firenze, volle
tradir Firenzo e trarla dallo mani de'
guelfi, e darla ai ghibellini; » Lan. -
« Avua trattato con li Ghibellini di tra-
dimento della città ; > Ott.- «Prodere vo-
luit Florentiam ;»- Petr. Dant.-« Decapi-
tatus propter quemdam ejus tractatum
proditorium contra commune Florentiw
factum; » Cass. - « Menava un trattato
e tradimento per trudire in Firenze; »
Faleo Boco.
120. aoRGIKRA : propriamente quella
parte dell'armatura che copre la gula;
qui in senso traalato per la gola, il collo.
121. GIANNI: di antica e nobile famiglia
ghibellina di Firenze (cfr. Vill. IV, 12;
V, 89; VI, 83, 65), il quale dopo il go-
verno do’ due frati guudenti (cfr. Inf.
XXIII, 103 e seg.), levatosi nel 1266 il
popolo a tumulto, lasciò il suo partito
ghibellino e «si fece capo del popolo per
inonutare in istato, non guardando al tine,
che dovoa riuscire a sconcio di parto ghi-
bellina e suo dannaggio; » Vill. VII, 14;
XII, 44. « Volto in fuga dové per sempre
abbandonare Firenze. Riparatosiin Prato
con messer Pipino suo fratello vi prese
dumicilio, © vuolsi che desse vita alla
possente casa dei Rinaldoschi, da cui con
molta probabilità derivarono i Naldiui,
ora dimoranti in Firenze; » LOuv Vkr-
NON, Inf., vol. II, p. 586.
122. GANKLLONE: Gano (Quenes e lat.
Ganelo), il tipo del traditori nei romanzi
cavallereschi di Carlo Magno, il cui tra-
dimento fa la cagione della rotta di Ron-
cisvallo, cfr. Inf. XXXI, 16. Gautier,
Epop. frang. II, 500 © seg., 620 e seg. -
‘TKBALDELLO: tale, o non ‘TRIBALDKLLO,
era il nome del personaggio. Fu de’ Zam-
brasi di laenza, tradì la sua patria per
vendicarsi di una burla fattagli dai Lam-
bertazzi (ghibellini) di Bologna, che nel
1274 rifugiarono in Fuenza. Cfr. Vill.
VII, 80. Murat. Script. XIV, 1105 e sog.
Mono, Storia dei Municip) Ital. Mil.,
1837, II, 181 e seg. Mazz.-Tosell. Voci e
passi di D., 41 e seg. Valgimigli, Tebal-
dello Zambrasi, l‘aonza, 1866. I partico-
lari del fatto sono raccontati in un poe-
metto volgare anteriore alla Div. Com-
media; clr. Rime dei poeti Bologn. del
sec. XIII, Bologna, 18381.
Lai
[ceRC. 9. GIRO 2]
Inr. xxx1t. 128-138 [UGOLINO E RUGG.] 821
Che apri Faenza quando si dormia, »
Noi eravam partiti già da ello,
Ch’ io vidi duo ghiacciati in una buca
Sì che |’ un capo all’altro era cappello.
127
E come il pan per fame si manduca,
Così il sovran li denti all’ altro pose
Là ’ve il cervel si giunge con la nuca.
130
Non altrimenti Tideo sì rose
Le tempie a Menalippo per disdegno,
Che quei faceva il teschio e l’altre cose.
133
« O tu che mostri per sì bestial segno
Odio sovra colui che tu ti mangi,
Dimmi il perché, » diss’ io, « per tal convegno,
136
Che se tu a ragion di lui ti piangi,
Sappiendo chi voi siete e la sua pecca,
Nel mondo suso ancor io te ne cangi,
123, arnt: al Bolognesi, - QUANDO: di
notte, « Et nota, quod iste proditor in
premium eum proditionis fuit factua mi-
lea a commoni bononiensi; sed non din
letatns est ista victorin. Nam post mo-
dicum tempus fuit trucidatns in strage
galloram facta apud Forlivinm per comi-
tem Gnidonem de Montefeltro; » Renv,
V.124-139, Uyolino e Kuggicri. Pro-
cisamente 1 aul confine dol secondo 6 del
terzo giro, Dante vede dun ghiacciati in
una bmea, l'ono doi quali si rode il te-
achio dell'altro, (L' opinions che siano
tutt'e due nell'Antenora è al postutto
Inattendibile). A quello che rode, e che
è confitto nella ghiaccia del secondo giro,
Dante dimanda chi egli sia e perchè roda
quell'altro, confitto nella ghinecia del
terzo giro. I) rodente è il conte Ugo-
lino della Gherardesca, il roso Roggiori
degli Ubaldini arcivescovo di Pisa, come
dirà nel canto segnento.
124. nA RLLO: da lui, Booca, senza de-
gnarlo di una risposta.
126, L'Ux: il capo dell'uno (Ugolino)
stava sopra a quello dell'altro (di Raggie-
ri), in modo che parova gli frase cappello.
127, coe: colln alow avid A. © Dove
rant plebom monm siewt escam panta; »
Peal, XIII, 4. - MANDUCA : mangia.
129,14 've: di dietro, efr.Inf.XXXIII,
3. - rai GIUNOR: Al. S'AGGIUNGR.
120. Tibro: ro di Caledonia, mno doi
sette re che assediarono Tebe. Ferito a
21. — Div. Comm., 3% odiz.
morte dal tobano Menalippo e rinscitogli
di nocidero il feritore pregò i compagni
di rocargliene il capo, che, avutolo, co-
mincld moribondo a rodere furiosamente
col denti; ofr. Stat. T'heb, VIII, 749 è
seg.; Hom. Il, LV, 371 © sog. -—8l: eriom-
pitivo, ma che rincalza;» Tom, Al. 81
nose: cfr. Z. F., 190 0 ang.
132, ALTRR Coss: il cervello è le parti
carnoso dol capo.
133, nestiAL: rodendo nn teschio uma-
no, Le bestie afogano l' odio e l'ira assa-
lendo co' denti, colle corna, cogli arti-
gli, ecc, Quindi il mordero e rodere è
ntto bestiale; ofr. Stat, Theb. IX, 15 e sog.
135. in. rencné: il motivo del feroce
tuo odio.—rkR TAL: a questo patto, Con-
vegno è il Conveniium della bassa latinità
= Convenzione.
136. Tr riaNGI: ti duoli, hai motivo di
querelarti ; » si juste potis talem vindio-
tain do oo; » Bene,
137. BALTIENDO : Al, SALENDO. = ROTA :
colpa, peccato, ofr. Inf. XXXIV, 1165.
Purg. XXII, 47.
118, canor: te ne renda il cambio sn
nel mondo, deve tornar mi loco, divul-
aermmalo do ton riaperto ed 1 bardi lt tod,
Dante ha imparato ila Iioeen degli) Abati
il «Insingaro per questa lama,» ondo non
promette fama, come altrove, ma ven-
detta. - « Si noti che convegno per con-
venziono, ti piangi por ti lagni, rappien-
do por sapendo, pecca per peccato, riso
322 [orn. 9. G.2) Inv, xxxcs, 189 - xxx. 1-2 [MORTE DI UGOLINO]
139 Se quella con ch'io parlo non sì secca. »
per sopra, fe ne cangi per te ne contrac-
cambi, con ch'i per con cui io, sono tutti
vocaboli e modi distintivi del dialetto an-
tico Fiorentino; » oss.
189. QUELLA : la lingua, — 81 EKCCA : mo-
rendo, «Quasi dicat: ai lingua non deficit
mihi; et beneservavit promissim; » Benv,
« Qui Ugolino non è il traditore, ma
il tradito, Certo, anche il conte Ugolino
è nn traditore è perciò si trova qui; ma
por una ingegnosissima combinazione,
come Paolo si trova legato in eterno a
Francesca, Ugolino si trova legato in
storno a Ruggiero, che lo trad), legato
nun dall'amoro, ma dall'odio, In Ugo
lino non parla il traditore, ma il tradita,
l'uno offeso in sè è no’ suoi figli. Al
suo delitto non fa la più lontana allu-
sione; non è quistione del suo delitto ;
attaccato al teschio del suo nemico, istra-
mento dell'eterna giustizia, egli è là, ri-
cordo vivento è appassionato del delitto
all'arcivescovo luggiero. Il traditore
c'è, ma non è Ugolino; è quella testa
cho gli ata sotto n' denti, che non dà un
grido, dove ogni espressione di vita è can-
cellata, l'ideale più perfetto dell’ uomo
petrificato. Ugolino è il tradito che la di-
vina giustizia ha attaccato a quel cranio;
e non è solo Il carnefice, esecutore di co-
mandi, a cul la nua anima rimanga cstra-
nen; ina è insieme l' uomo offeso che vi
aggiunge di uno l'odio e la vendetta. 11
concetto della pona è la legge del taglione
o ll contrappasso, como direbbe Dante;
Ruggiero diviens il fiero pasto di un wo-
mo per opera sua morto di famo, lui è |
Agli.» FP. De Sanetia: L'Ugolino di Dante.
Nuova Antologia, vol. XI1, p. 068; e Nuo-
vi Saggi erit,, 5) 0 sog.
CANTO TRENTESIMOTERZO
CERCHIO NONO: FRODE IN CHI SI FIDA, O TRADITORI
GIRO SECONDO. ANTENORA: TRADITORI DELLA PATRIA
LA MORTE DEL CONTE UGOLINO
GIRO TERZO. TOLOMEA: TRADITORI DE’ COMMENSALI
(Immersi nella ghiaccia fino al capo
cogli occhi coperti da un duro strato di lagrime congelate)
FRATE ALBERIGO E BRANCA D’ORIA
La bocca sollevò dal fiero pasto
Quel peccator, forbendola a’ capelli
V. 1-78. La morte di Ugolino. Al-
ttato dalla speranza di infamare il auo
nemico su nel mondo, Ugolino solleva
bocca, paria, dice chi egli è e chi è
ai il cui teschio egli rode, racconta
dolorosa e commoventissima storia
5
rear
della sua tragica morte, quindi ripiglia
il teschio di Ruggieri e lo rode con dop-
pio furore.
1. La Bocca: « Caput spumantiaque
ora levavit; » Lucan. Phars. VI, 719. -
BOLLEVÒ: Al. SI LEVÒ.
[CERC. 9. GIRO 2]
InF. xxx. 8-138 [MORTE DI UGOLINO] 828
Del capo, ch’ egli avea di retro guasto.
4 Poi cominciò: « Tu vuoi ch'io rinnovelli
Disperato dolor che il cor mi preme
Già pur pensando, pria ch’ io ne favelli.
7 Ma se le mie parole esser den seme
Che frutti infamia al traditor ch'io rodo
Parlare e lagrimar vedrai insieme.
10 Io non so chi tu sie, né per che modo
Venuto se’ quaggiù; ma Fiorentino
Mi sembri veramente quand’ io t’ odo.
13 Tu dèi saper ch’ io fui Conte Ugolino,
4. vuol: « Infandum, Regina, jubes
renovare dolorem ;» Virg. Aen. II, 3. -
RINNOVELLI: faccia rivivero nella mia
memoria. Viceversa Inf. V, 121 è seg.
5. DISPERATO: non confortato da ape-
ranza, nè acquetato dalla foroce eterna
vendetta.
6. Già: al solo pensarvi.
7. ben; denno, devono (cfr. Nannue.
Verbi, 592); conforme la promessa Inf.
XXXII, 135 e seg. - SEME: «le parole
sono quasi seme d'operazione; » Conv.
IV, 2.
D. veonAt: Al, veona' mr. Confr. Inf,
V, 126.
10,xo0s s0: Ugolino non si cura di chie-
dere a Dante chi ogli sia, non avenido che
nn sol pensiero, quello della sua sven-
torna, ed una sola brama, d'infamare il
traditor ch'ei rode,
11, FrorExTINO : lo riconobbe per tale
alla favella, cfr. Inf. X,256s6g.; XXXII,
138 nt. Mazzoni-Tose..i, Voci e passi,
42 è seg.
13. Fur: nell'inferno non vi sono Conti ;
efr. Par. VI, 10. Al.cn'1' rur'1..- Uco-
Lino : conte di Donoratico, figlio di Gnelfo
della Gherardesca, nato nella prima metà
del sec, XIIT, signore di molte terro nei
piani della Maremma e di Pisa. Sua mo-
glie Margherita de'Pannocchieschi, con-
teasa di Montingegnoli, lo fece padre di
più figlinoli: Guelfo, Lotto, Matteo, Gaddo,
Uquecione, Emilia, Gherardesca, ecc, 1)
primogenito Guelfo IT sposò Elena figlia
naturale dol ro Enzo e n'ebbo Lapo, Bn-
rico, Nino dotto || Brigata ed Anset-
mreeto, i tre primi dei quali ereditarono
1 diritti materni sulla Sardegna, la Loni-
giana ed altri paesi. Coratore de'snoi ni-
poti, | golino andò nel 1274 nella Sarde-
gna e s'accordò con Nino Visconti sno
genero 6 coi conti di Capraia per tramn-
tare a guelfo il reggimento ghibellino di
Pisa. 1) disegno andd fallito, Nino Visconti
fu sencciato da Pisa, Ugolino imprigio-
nato, Liberato, Ugolino rifugiò a Lucca,
si collegò coi guelfi di Toscana, combatta
nel 1276 contro | Pisani, gli sconfisse,
riebbe i suoi giudicati nella Sardegna e
seppe poi cattivarsi la stima dei suoi con-
cittadini in modo tale, che n lui fn affidato
il supremo comanilo della flotta armata a
difesa contro Genova. Sconfitto nella san-
guinosa battaglia navale alla Meloria, il
6 agosto 1284, Ugolino ritornò n Pisa, mi-
nacciata dai guelfi, nasunse il governo
della città (18 ottobre 1284) è la salvò con
natuzia dividendo i nemici (cfr, Vill. VII,
08. Murat. Script, VI, 5886seg.; XI,129%
e seg.; XV, 976; XXIV, 648 e seg.). Con
Ugolino Visconti suo nipotesi fece quindi
signore quasi assoluto di Pisa. Ma l'unio-
ne col nipote non durò longo tempo. Es-
sendol'avolo ed il nipote in continue gare
tra loro, i ghibellini, goidati dall’ arcive-
scovo Ruggieri degli Ubaldini, ripresero
animo e nel gingno del 1288 sconfissero
Ugolino, lo fecero prigione, lo gettarono
con due figlinoli e due nipoti nella torre
de' Gualandi alle sette vie, e ve li Inscia-
rono morire di famo, mentre l'arcive-
scovo Ruggieri, che per riuscire ne'snoi
disegni ernsi finto amico di Ugolino, e poi
lo aveva accusato di tradimento, fu gri-
dato signore, rettore è governatore del
Comnne, Cfr. Vill. VIT, 121, 128. Murat.
Seript, XXIV, 055. Noneioni, Jator. pia.
X, XI. Brorza, Dante e i Pisani, 85-172.
Dat lionao, Dissertaz. sopra l" Ietoria
Pitana, I, 1. Pies, 1761, p. 1-148 è 822.
412. Com. Lips. I, 424-27. G. Dew No-
cr, Il conte Ugolino della Gherardesca,
Roma, 1889.
824 [CERC. 9. GIRO 2] INF. XXXIIr. 14-26
[MORTE DI UGOLINO]
E questi l’Arcivescovo Ruggieri;
Or ti dirò perché i son tal vicino.
16 Che per l’ effetto de’ suo’ ma’ pensieri,
Fidandomi di lui, io fossi preso
E poscia morto dir non è mestieri.
19 Però quel che non puoi avere inteso,
Ciò è come la morte mia fu cruda,
Udirai, e saprai 8’ e’ mi ha offeso.
23 Breve pertugio dentro dalla muda
La qual per me ha il titol della fame,
E in che conviene ancor ch’ altri si chiuda,
25 M’avea mostrato per lo suo forame
Più lune già, quand’io feci il mal sonno
14. K QUESTI: sottint. fu. Al. E QUE-
STI È; ma nell'inferno nessuno è più ar-
civescovo. Cfr. Z. F., 200 0 seg. BLANC,
Versuch, 283 e seg. - ltuaarzzi: degli
Ubaldini di Mugello, eletto arcivescovo
di Pisa nel 1278, in. 1295, fu colui che
sollevò il popolo contro al conte Ugo-
lino o lo foco poi morir di fumo.
16. 1: a lui. Ora ti dirò perché gli sono
vicino a questo a modo, cioè così crudelo
e rabbioso.
16. ua’: malvagi. « L'arcivoscovo or-
dinò di tradire il conto Ugolino; » Vill.
VII, 121.
18. NON È MESTIERI: la fama dell'avve-
nimento essendosi sparsa per tutta ‘l'o-
scava e fuori, sarà pervenuta anche a te.
20. MORTK: «notisi bene che disse di
voler narraro como fu cruda la morte. Or
se si fosse cibato de' figli, sarebbe stata
invece cruda lu vita. E pui dove avrebbe
narrata la sua morte? In questo canto
no certo; » Letti.
22. PERTUGIO: buco, finestrello del car-
cere. - MUDA: la torro de’ Gualandi allo
Sette Vie, dovo le infelici vittimo furono
incarcerate nel luglio del 1288 (dopo vs-
sere state guardato venti e più giorni
nel palazzo del populo) e dove morirono
nel maggio del 1289. Quosta torre conti-
nud a servire di carcoro sino al 1318. Sor-
geva sull’ odierna piazza dei Cavalieri.
« Muda è luogo chiuso ove si tengono li
uccelli a mudare; muda chiama l'autore
quella torre, o fvurso perchè così era chia-
mata (come affermano Bambg., Ott., An.
Fior., Benv., ecc.), perchè vi si tenes-
sono l'aquile del Comune a madare, o per
transunzione chè vi fu rinchiuso il conto
e li figliuoli come li uccelli nella muda; »
Buti.
23. pk ME: per osservi fo morto di
famo. « K da inde inansi la dicta pregione
si chiamò Pregione e Torre della fame; »
Murat. Script. XXIV, 655. Cfr. ibid. XI,
299. Vill. VII, 128.
24. ALTRI: esprimo forse una sua vaga
immaginazione, 6 furse allude alla so-
guente tradizione fondata sopra un fatto
storico; « Un figlio del Conte Ugolino fu
dalla nutrico sottratto al comune «destino
do’ suvi, l'atto grido o saputo il case, ne
prese sì disperato dolore, cho da Lucca,
ove fu cresciuto e dimorato, recossi a Pi-
sa, dicendo che egli era coli, venuto a cor-
rere la sorte comune di sun gente. Udito
ciò i Pisani lo ebbero per pazzo e lo 80-
stennero in carcere, Dopo un anno la
Aonna che lo aveva allevato domandò di
essore messa a’ servigi di lui. Le fu con-
ceduto la domanda a patto di seco starsi
rinchiusa. Per tale comuniono di vita non
vonne meno la prosapia di Conto Ugolino.
Carlo IV, che passò di colà, mise in li-
bertà que’ due. » Così in un cod. Chig.
cfr. D. O. ed. Pass., 713. La tradizione
è puro ricordata Murat. Script. X1, 299
© bug.
26. PIÙ LUNK: più volte il ritorno della
nuovaluna=io era in prigione già da più
mesi, cioè dal luglio 1288 al maggio 1289;
cfr. Murat. Script. XI,1297; XXIV, 655
e seg. Al. nO LUME, Cfr. Z. F., 203 © seg.
BLANC, Versuch I, 285 0 seg. BARLOW,
Contributions, 163 © seg. MOOREk, Orit.,
857-62. - FKCI IL MAL SONNO: vidi in s0-
gno la sorto spavontevele che wi ora
preparata,
[cERO. 9. GIRO 2]
INF. XXXII, 27-38 [MORTE DI UGOLINO] 325
a
Che del futuro mi squarciò il velame.
28 Questi pareva a me maestro e donno,
Cacciando il lupo e i lupicini al monte
Per che i Pisan’ veder Lucca non ponno,
31 Con cagne magre, studiose e conte;
Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
S'avea messi dinanzi dalla fronte.
a4 In picciol corso mi pareano stanchi
Lo padre e i figli, e con l’agute scane
Mi parea lor veder fender li fianchi.
37 Quando fui desto innanzi la dimane,
Pianger sentii fra il sonno i miei figliuoli
28, MAESTRO: delln caceia, - DONNO :
dominus, signore della brigata.
29. Luro: Ugoline. -Luricint: i figli.
- monte: San Giuliano, « Che dalle cagno
fosse cacciato verso il monte, situnto tra
Pisa e Lucca, significava, ch'egli aveva
sua sporanza di sorcorso in TLuechosi, al
quali aveva date molte castella in pro-
giudizio della Patrinproprin;» Barg. (!).
#0, ren cue: por lo qual monto, » Se
non fosso il monte pisnno in mozzo tra
Pisano Lucea, sono tanto presso, che l'una
città vedrebbe l'altra; » Iuti.
41. cagne: | Pisani segnaci dell'A rei-
vescovo, ghibellini, por contrapposto nd
Ugolino of | suoi che erano gnelli (da
Gulfo = Wrlf, lupo). Al. diversamente:
« Per canes macilentes significatur fn-
mes qua perierunt: » Bambgl, Così pure
PBenv., coc. « Questi sono lo popolo mi-
nuto che comunemente è magro è po-
vero;> Buti. - CONTR: avvezzate a simili
caccie.
32. GUALANDI: « Queste sono tre caso
di gentilnomini della città di Pisa, di
grande onore o di grande potenzia nel-
l'antico; 6 benchè ancora sieno, pur sono
molto mancate; » Muti, - « Gonlandi, Si-
smondi ot Lanfranchi ad ipsius Archiepi-
instantinm ncensavernnt et infama-
rerunt dominnm comitem Ugolinum, ex
quo ipse et fili finaliter perieront in
turri; » Bambgl.
ma. s'avia: l' Areivoacovo gli nvon
posti in enpo, « Di loro avena fatto bol-
cione contro il conte; » Jinti.- « Ad ssen-
tationem sul tamqnam fantores et facto-
res halos rei ad sni defensionem;» Bent.
BM. in riccioL: dopo breve insegui-
monto. Prosontimonto della vicina morte.
15. PADRI: lupo, = mont: lupicini, « Il
sogno è un velo, dietro al quale è facile
vedero le agitazioni della veglia: il reale
ai rivela sotto nl fantastico, Ruggero,
Gualandi, Sismomili, Lanfranchi stanno
presenti innanzi al prigioniero, erndeli
in sà è ne' figli, e ora gli appariacono in
angno encciamio il Inpo è i Inpieini; l'oe-
chio vedo animali; ma l'anima sento con-
fnanmento cho si tratta di ad « de' anol
figlinoli, 0 quel Inpo è quei Inpicini si
trasformano con vocabolo nmano in pa-
dre e figli; » De Sancti, |. è. — BCANR: lo
prese; « scane sono li denti pungenti del
cane, ch'elli ha da ogni lato coi quali elli
affwrra; » Jiuti. Al. SANE: sanno, come
galeoto per galeotto, Inf. VIII, 17, ece.
Cfr. Z. P., 204,
16. Lor: al padre ed ni figli. « Et hic
nota, lector, qnod si vernm fait quod co-
mes sio somniaverit, mirabile somniam
fuit; si non sit verum, poleram fictionem
facitantor valde convonientem facto. Non
enim possumua scire veritatem hoius
facti, quia comes inelnsns nolli locntas
eat posten of mortuns eat; » Men.
37. LA DIMASE: l'alba, Dongne on so-
gno presso Il mattino; ofr. Inf. XXVI,7.
IR. MA nm. BONNO: piangono è doman-
dan pane sognanilo. Non dice che tutti
nvessero lo stesso sogno; ma tutti ao-
gnarono In quella notte, ed a cinsche-
‘done il ano sogno annunziara morte, è
morto di fame. - riatinoni: dino, Cade
ed Ugnocione, erano anoi flgli: il Bri-
gata ed Ansolmuocio erano suoi nepoti,
figli del ano primogenito Guelfo Il; ofr.
Murat. Script. VI, 505; XXIV, 655, Vill,
VII, 121, eco, Che il nonno chiam! suoi
figlinoti i suoi nipoti, figli del ano primo-
826 [CERC. 9. GIRO 2]
INF. XXXIII. 89-50
[MORTE DI UGOLINO]
Ch’eran con meco, e dimandar del pane.
40 Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli
Pensando ciò ch’al mio cor s’annunziava.
È se non piangi, di che pianger suoli?
43 Già eran desti, e |’ ora s’appressava
Che il cibo ne soleva essere addotto,
E per suo sogno ciascun dubitava.
46 Ed io sentii chiavar l’uscio di sotto
All’orribile torre; ond’io guardai
Nel viso a’ miei figliuoi senza far motto.
49 To non piangeva; si dentro impietrai;
Piangevan elli; ed Anselmuccio mio
gonito, è cosa assai naturale, nd vuol dire
« altoraro la storia, » como alcuni accu-
sarono Dante di aver futto. Il Buti, che
leggeva il suo commento per l'appunto
a Pisa nol 1375, chiosa: « prosono il detto
conte con quattro suoi figliuoli, e rinchiu-
sonli in una torre che oggi si chiama la
torre dolla fame.» 1é l'anonimo cronista
Pisano del soc. XIV : « Nol 1288 Ruggiori
delli Ubaldiui, e i Gualandi, e Lanfran-
chi, e certi delli Orlandi, e quelli di Ri-
pafratta, o molti altri Cittadini caccia-
rono lo conte Ugolino di Signuria, o pro-
sono lui, e li figliuoli, e misseliin pregione,
e fecenli imotiro tutti di faumein una Torre
in sulla Piazza degli Anziani, che pui è
chiamata la Torre della fame; 6 morì con
quattro figliuoli di fame, è furno seppel-
liti nella Chiesa di San Francesco; » Mu-
rat. Script. XV, 979; clr. Com. Lips. I,
410 e seg.
39. Cll’ ERAN CON MECO: Al. Ci KRANO
MKCO; cfr. Z. F., 205. - DIMANDAR: « Par-
vuli petierunt panem, et non erat qui
frangeret cis; » Lam. Jer. LV, 4.
40. GIÀ: sin d'ora, prima di udire la
continuaziono del mio racconto.
41. CH'AL MIO: Al, Chk 'L MIO; « bella
variante o sentimento vero, profondo del
cuore che annunzia a sè i suoi dolori; ma
qui richiedesi semplicità di discorso; »
Fosc. Nel caso presento è il sogno cho
annunzia al cuore dell’ infelico padre
l'imminente sciagura.
43. KRAN: i quattro figliuoli. Al. kram
DESTI. Al. ERA DKSTO. Nel v. 37 Ugo-
lino ha detto cho egli, già desto, sentì i
figliuoli dormendo dimandar con pianto
del pane; qui dunque non parla che del
risveglio de' figliuoli. - 8' ArPRKSSAVA:
Al. TRavassAva. Quelia notte non dor-
inirono certo oltro il solito. Non fu il
trapassar dell'ora, fu il sogno che fece
nascere il tremendo dubbio.
46. cuiavau: dal basso lat. clavare, e
questo dal lat. clavus =chiodo, couficonre
con chiodi, inchiodare; cfr. Purg. VIII,
137 è sog. ar. XIX, 105. Mazzoni-'l'o-
BELLI, Voci e passi, 45 » seg. Altri dice
che l'uscio fu murato, Altri vuole cho
chiavare valga qui serrare con chiave,
come se durante la notte l' uscio fusse
rimasto aperto! « Intellige cum clavis
ferreis, ut amplins non aperiretur. Quia
jam clavatum fucrat cum clavibus, qui
ubiectie fuerat in Arnum; » Bene. Ed il
Vill. VII, 128: « Feciouochiavare la porta
della dettu torre e le chiavi gittare in
Arno. » Se la notizia è storica, converrà
supporre che la porta fosse inchiodata
la mattina dopo, come sembra infatti
che voglia diro Benv. O, forse meglio,
si può credere che « inchiodata la porta,
già prima chiusa a chiave, que’ feroci le
chiavi gittasscro in Arno per ultimo
stugo di vendetta, a significare che Ugo-
lino e i suoi di là non sarebbero usciti
più mai; » Pol.
47. GUARDATI: « vorrebbe dire: Poveri
figli! E nol dice: lo dice il suo sguardo.
Lo strazio è tale. che gli toglio la parola
e le lagrime. ‘Tutte la suna vita 6 raccolta
in quello sguardo; » De Sanctis.
49. DKNIRO: « Emortum est cor cius
intrinsecus, et factus est quasi lapis; »
I Reg. XXV, 87.- IMPIKTRAT: una frase
simile Vill. VIII, 63: « il dolore impie-
trato nel core di papa Bonifazio. »
60. ANSKLMUCCIO: il più giovine di
tutti, figliuol minore di Guelfu Il.
[cERO. 9. GIRO 2]
INF. xxxin. 51-65 [MORTE DI UGOLINO) 827
Disse! “ Tu guardi si! Padre, che hai?,,
Però non lagrimai, né rispos’io
Tutto quel giorno, né la notte appresso,
Infin che l’altro sol nel mondo uscio.
55 Come un poco di raggio si fu messo
Nel doloroso carcere, ed io scorsi
Per quattro visi lo mio aspetto stesso,
58 Ambo le man’ per lo dolor mi morsi
Ed ei, pensando ch'io il fessi per voglia
Di manicar, di subito levérsi,
GI E disser: “ Padre, assai ci fia men doglia
Se tu mangi di noi. Tu ne vestisti
Queste misere carni; e tu le spoglia. ,,
64 Quetàmi allor per non farli più tristi.
Lo di e l’altro stemmo tutti muti.
61. sì: così atterrito e disperato. « An-
solmaccio non sa definire nè spiegare quel
modo di guardare: quel sì significa in
modo com fuort del naturale ed ordina-
rio. Che hail domanda il fanciullo. Lo
strazio è tatto nella coscionza di quello
agnardo e nell'innocenza di quello che
hai? accompagnato con lacrime ; » De
62. pend: nonostante il loro pianto e
la loro domanda, Più terribile che non
il piangere quello atar lì impietrato ; più
terribile che non lo sfogare il dolore in
parole, quello star lì silenzioso, senza
profferir parola.
64. infin: fino all’ alba del giorno se-
gnente. Rimase dunque N ventiquattro
ore in copo silenzio, impiotrato dall'in-
tenso dolore.
55. comm: subito che, - UN POCO: quanto
poteva entrare per il breve pertugio, « In
quella notte di silenzio la fame avea la-
vorato 6 trasformato il viso del padre
dei figli, o quando, fatta un po' di luce,
quella vista lo coglie impreparato, in un
momento natnrale d'oblio l'nomo si ma-
mifesta o prorompe in un atto di rabbia
tanto più feroce e bestiale, quanto la
ar spet più violenta, e più ina-
apettata a viva è l' Impressione di
quella vista; » De Sanctia.
67. ren quattro: dai volti traafor-
mati de’ quattro giovinetti, dedusse qual
dovease essere il proprio.
68. MORSI: « quest’ nomo che in un im-
peto istantaneo di furore dà di morso allo
suo mani è già in antivipazione colui che
nell'inferno è fissato ed oternato co' denti
nel cranio nemico, come d'un can forti ; »
De Sanctis.
50, et: igunttro figlinoli, Al. r qu.
G0. MANICAR: mangiare; florentiniamo
rimasto sulla bocca del popolo che l'usa
per lo più na significare un mangiare in-
gordo, è il rifinirai delle sostanze per |
vizj. « Loquontar Florentini et dicunt:
Manuchiamo introcque: Non facciamo
altro; = Vlg. Flog. I, 13.
62, bi wor: della nostra carne, « Il pa
dre che per fame si mangia le mani è tal
cosa, li porcuote di tale spavento, che ad
un attore intelligente farebbe compren-
dere tutto ciò che si chinde in quel grido :
Fadre! accompagnato col subitanoo lo-
varsi in pid di tutti e quattro, essi che
alavano a terra esausti per fame. Quel
grido, quel levarsi in più ba virtù di ar-
restare il padre, di restituirgli la padro-
nanza di sà, tolto per forza a quell'istante
di obblio, di fargli ricordare che è padre,
enon gli è permesso di essere uomo. Quel
loro offrirsi in pasto al padre non è già
sublime sacrificio dell' amor figliale, sen-
timento troppo virile ne' teneri petti: è
un'offerta trasformata immediatamente
in nna proghiera, come di cosa invocata
© dosidorata; » De Sanctis.
64. qurTAMI: mi quotal per non acore-
scere il loro dolore; « Ut primum cessit
foror et rabida ora quierunt; » Virg.Aen.
VI, 102.
65. LO pì: Al, quet pl; il secondo dopo
$28 [oxRo. 9. erro 2) In. xxxmr. 66-75
(MORTE DI UGOLINO]
Ahi dara terra! perché non t’apristi?
67 Poscia che fummo al quarto di venuti,
Gaddo mi si gittò disteso a’ piedi,
Dicendo: ‘ Padre mio, ché non m’ ajuti? ,,
70 Quivi mori. E come tu mi vedi,
Vidi io cascar li tre ad uno ad uno
Tra il quinto dì e il sesto; ond’io mi diedi,
73 Già cieco, a brancolar sovra ciascuno,
E due di li chiamai poi che far morti.
Poscia più che il dolor poté il digiuno. »
l'inchiodamento della porta. - L'ALTRO:
il terso. - TUTTI: anche i figli, che nel
primo giorno pare non istessero muti.
Silenzio spaventevole! Ma perchè non
procaravano di confortarsi vicendevol-
mente! Pare tuttavia cho non rimanes-
sero assolutamente muti. «< Ma prima (di
morire) domandando con grida il detto
conte penitenzia, non gli concedettono
frate o prete che '] confessasse. E tutti
e cinque morti insieme della torre, vil-
mente furono sotterrati;» Vill. VII, 128.
66. DURA: crudele, che non ti apristi ad
inghiottirmi per sottrarmi a tanto stra-
zio; ofr. Virg. Aen. X, 673 e seg.; XII,
881 e seg.
67. QUARTO: i giorni sono vomputati
dal mattino che s’ era sentito inchiodare
la porta della torre. Il primo giorno Ugo-
lino guarda cupo silenzio, mentre i figli
piangono ed Ansolinuccio gli fa quella
straziante domanda, v. 49-54. La mattina
del secondo giorno Ugolino si morde lo
mani, quindi l'offerta doi figli, v. 56-68 ;
fl rimanonto di quol necondo o tutte il
terzo giorno osservano tutti un tromendo
silenzio, v. 65. Nel quarto giorno morì
Gaddo, v. 67-70; nel quinto e nel sesto
morirono gli altri tre, v. 70-72; nell’ ot-
tavo giorno iorì il conte, v. 78-75. Il
nono giorno la torre fu riaperta è tutti
farono trovati morti. « Dopo gli otto dì
(dunque il nono) ne furono cavati e por-
tati inviluppati nolle stuoie al luogo de'
Frati miuori a San Francesco e sottorrati
nel monimento che è al lato alli scaloni a
montare in chiesa alla porta del chiostro,
coi ferri in gamba; li quali ferri vid'io,
cavati dal detto monimento; » Buti.
68. GALDO: figliuolo maggiore di Ugo-
lino cho aveva già assunto il titolo di
conte, cfr. Murat. Script. XXIV, 658.
TAtta, Fam. cel. itul.. tav. V.
70. comz: determina la verità e realtà
del fatto : e così proprio come tu vedi ora
me, così vid' io allora cascar li tre ad ano
ad uno,
71. LI TRE: Uguocione, Brigata ed An-
selmaccio. - AD UNO: « quello spettacolo
di morte si ripete quattro volte, e a lun-
ghi intervalli, entro tre giorni, e fa poe-
sibile che un padre vedesse questo, e
starai quieto, tener chiuso in sè il suo
martirio, snaturarsi, disumanarsi; » De
Sanctis.
73. CIKCO: tanto indebolito e gid mo-
ribondo. - BRANCOLAR: andare al tasto;
cfr. Ovid. Met. VI, 274 0 sog.
74. DUR: il settimo o l'ottavo. Al. k
TRE DÌ, che sarebboro il sosto, settimo
ed ottavo; cfr. MOORK, Orit., 363 o seg.
All’ opinione cho Ugolino vivesse ancora
quando la torre fu aperta (Biag.) non
giova badare, facendo essa a pugni colla
storia.
75. roscia: passati i due di il digiuno
potò cid cho non aveva potato il dolore,
mi ucciso. Inntlondibilo è VT intorprota-
zione: La famo fu più forte del dolore e
m' indusse a cibarmi delle carni de' figli.
(Questa sognata antropofagia dol conte è
assolutamente ignota alla storia, e dopo
otto giorni di diginno l'uomo non può
anche volendulo, addontar cadaveri per
cibaraene. La storia dell’ inutile, lunga e
noiosa controversia è ritessnta diligente
mente da @. Sforza, Dante e i Pisani, 75
o seg. Una quarautiva di soritti relativi
alla famosa controversia registrano De
Bat. I, 787-40; Ferraz. IV, 401 © seg.;
V, 867 e seg. Nocentomente Galanti (Lett.
Il, 4): « Il digiuno tanto mi esinanì da
impedirmi che io più li toccassi e li chia-
massi. » Secondo fl J’ol. Ugolino vuol di-
re «non già che abbia mangiato la carne
de’ suoi, ma che, tratto dall’ istinto e co0-
[cEnc. P. GIRO 2)
Inr. xxxstt. 76-85 [IMPR. CONTRO PISA] 829
70 Quand’ ebbe detto cid, con gli occhi torti
Riprese il teschio misero co’ denti
Che foro all'osso, come d’un can, forti.
70 Ahi Pisa! vitupero delle genti
Del bel paese là, dove il S? suona;
Poi che i vicini a te punir son lenti,
Re Movasi la Caprara e la Gorgona,
E faccian siepe ad Arno in su la foce,
Si ch’ egli annieghi in te ogni persona.
85 Ché se il Conte Ugolino aveva voce
ma fnor di sè, n' abbia fatto come nn
tentativo,» Ugolino vnol raccontare come
la morte sua fu eruda, onde, dopo aver
flescritto le spaventevoli sofferenze dogli
ultimi suoi di, conchinde col dire: Più
potente che non il dolore fa il digiuno,
il quale mi condusse a morte.
70. Torti: biechi. Il racconto delle ane
pene rinnovò in lui la disperazione del
dolore e rincoeso l'irn immensa contro
chi ne fn l'antore.
77. Miskno: ch’ egli avea di retro gna-
sto, v. 3. Misere le carni de' figli, v. 63;
misero anche il teschio del traditore. Mi-
moria per misorin!
78. cur FORO: cho nel rosicchiare il
eranio di Ruggieri forono forti come
quelli d' an cane. Al. cue FoRÀR L'osso.
Ufr. 2. F., 208. Moonn, Crit., 364 © seg.
V. 79-00. [mprecazione contro Pisa,
Udita la narrazione orribilmente dolorosa
della morte di Ugolino, Dante prorompe
in ona tremenda imprecazione contro
Pisa, augurando a' snoi cittadini totale
sterminio. Non afferma e non nega che il
conte Ugolino fosse colpevole del tradi-
mento appoatogli ; ma accusa | Pisani di
aver tormentato così apaventevolmonte
ani innocenti, quali erano i figli è
nipoti di Ugolino, Questa improcazione
rammenta quella contro Pistoia, Inf.
XXV, 10 © seg.
79. Am: « La tonerezen 6 la pietà pa-
terna diventano ferocia © rabbia, le la-
grime diventano morsi, con infinito ter-
rore e orrore degli spottatori, Lo stesso
nontimento gnndagna Dante, Îè inferocita
anche lol; diresti quaal cho ae Ji nvoane
innanzi, li prenderebbe a morsi, quei P}-
sani, rituperio delle genti; » De Sanctis,
80, rarsr: Italia, — 11, 8}: la lingna ita-
Mana; ofr. Vulg. Flog, I, 8.
BI, vicini: Fiorentini e Lnochesi, -
LENTI: a punirti di sl orrenda crndelta.
+ Questo peccato commesso per li Pisani
non rimase impunito; » Vill. VII, 128,
«Ista vindicta, que videbotur tardari
temporo autoris, videtor facta diebus no-
stria, Nam opora Florentinorum ista ci-
vitas antiquissima et olim potentissima
mari et terra, deduota cat ad infimum et
infirmnm statum, licet din ante istnd
peccatam fuisset fracta insolentia Pisa-
norum, et libertas conculeata viribus
Januensinm ; » Penv.
82, CAPrRARA: AI, Carnasa, Caprara
e Gorgona sono dne jsolette nel mare
Tirreno non Inngi dalla foco dell'Arno,
nmbedno ni tempi di Dante sotto il do-
miniodei Pisani. «Cotte imagination peut
parnitro bizarre et foroéo si l'on regarde
la carte; car l'ile de la Gorgone est asses
loin del'embouchure de l'Arno, et j'avais
tonjonra penaé ainsi jnsqu'au jour, ob,
étant monté aur la tour de Pise, jo fns
frappé de l'aspect que, de là, me présen-
tait In Gorgone, Elle semblait fermer
l'Arno.Je compria alora comment Dante
avnit pn avoir naturellement cette idée,
qui m'avait somblée étrange, et son ima-
gination fut justifiés A mes yeux ; » Am-
père, La Grèce, Rome et D., 9% ed., 237.
Cf. MANNI, Sigilli 111,109. Bass. 53 6 sog.
83, sir: chiusnra, sl che l'Arno, il
quale traversa la città di Pisa poco prima
di versarsi nel mare, si ritorca indietro,
allaghi la città e sommerga ogni persona,
e Non so se sia più feroce Ugolino che ba
i denti infissi nel eranio del sun traditore,
n Danto, cho por vondicaro quattro inno-
conti comlanna a morto told gl'innorenti
di una intera città, i padri è i figli è i figli
dei figli. Furore biblico; » De Sanctis.
85. vocr: fama, Dante non decide se
la voce fosse vera o falsa. Ugolino fu tra-
ditore del nipote Nino Visconti o fn ne-
geeeee*eo«ewmMV>-'ErcrtÈ.
cusato d'aver tradito la patria; onde il ficatore di Pisa..,. E
Poeta lo mette lì proprio sul confine del- furono erudeli tra loro,
l'Antenora e della Tolomea, di modo che Pisani intra loro e fanno
non è troppo chiaro se vi sia come tra- caso; » Buti, - « Le at
ditore della patria, o come traditore dei Pisa contro Ugolino è la
commensali, nelle
commel 4q n
86. CASTELLA : cedette veramento Bien- la schiatta di Cadmo;»
tina, Ripafratta è Viareggio ai Fioren- Cfr. Inf. XXVI, 58 e sog
tini; S. Maria in Monte, Fucecchio, Ca- ——- Uauccionr: figlio di
stelfranco, S. Croce e Montecalvoli ai giovane nel 1288. - B
Lucchesi, e ciò per disfure la lega dei Nino, figlio di Guelfo II,
nemici di Pisa 0 salvare la patria; cfr. ino; non era più tanto £
Murat, Seript, VI, 588 0 sog.; XXIV, 049. perchè i ghibellini voleva:
Vill. VII, 08. Ma naturalmente passato —governo di Pisa; confr.
il poricolo l'opinione pubblica, fomentata XXIV, 651,
da' suol nemici, accusò Ugolino d'aver v0, vuo: Gaddo figlio
cedute le castella per tradimonto, è lo nipote di Ugolino. - suso
stesso Dante non seppe nuotare contro =—ArPRILA: nomina,
la corrente. V. 01-108, Tolomea, la
87, Dov: dovevi. - FIGLIVOI : figlivoli. —traditori de'commensali
- Chock: tormento, supplizio. dell'ultimo cerchio si denon
88, NOVKLLA: giovane; cfr. Conv. IV, probabilmente da quel To
19, 24. Erano giovani tutti quattro; An- che a splendido convito u
selmuccio non poteva avere più di quin- riamente il proprio suocer
dici anni. « Di questa eradeltà furono i cognati; cfr. J, Maceab. X
Pisani per lo universo mondo, ove si condo altri da Tolomeo re «
soppo, forte biasimati, non tanto per lo cisore di Pompeo. Tn quest
conto, che por li suoi difetti 6 tradimenti tori degli amici 6 commer
era poravventoradegno di sì fatta morte, fitti nella ghiaccia, distesi
ma per li figliuoli è nipoti, ch' erano gio- col volto in modo da guar
vani garzoni e innocenti; » Vill VII,128. non hanno neppure il con
89, Taw: « Assomiglia Pisa alla città grime, che all'uscire ai ri
ili Tebe, la qualo nel tempo de'Poeti ebbe —tornano dentro per magg!
tra dalli suoi concittadini ot altri di foori Qui Daute incomincia a si
molte percussioni ; » Lan, —*Kxclamando che fanno le ali di Lucife
contra civitatem Pisanam, vocando cam di. oLtRE: dall'Anteno:
novellam Thebam, ox oo quod secundum més. -GELATA: acqua
Ugutionem fundata fult per quosdam altrove gelatina, IT, |
Cirmena oni wanernunt da a
[CERO. 0. GIRO 8]
INF. xxx11. 94-108
(TOLOMEA) 881
D Lo pianto stesso li pianger non lascia
E il duol, che trova in su gli occhi rintoppo,
Si volve in entro a far crescer l'ambascia.
97 Ché le lagrime prime fanno groppo,
È si, come visiere di cristallo,
Riempion sotto il ciglio tutto il coppo.
100 E avvegna che, sì come d’un callo,
Per la freddura ciascun sentimento
Cessato avesse del mio viso stallo,
103 Già mi parea sentire alquanto vento.
Perch’io: « Maestro mio, questo chi muove?
Non è qua giù ogni vapore spento? »
106 Ed egli a me: « Avaccio sarai dove
Di ciò ti farà l'occhio la risposta,
Veggendo la cagion che il fiato piove. »
Di. KON LASCIA: «© però che, come lo
lagrime nacivono fuori, ghiacciavano in
su gli cechi, l'altro Ingrimo non nvovo-
no luogo et per consequens non poteono
necire fuori; » An, Fior, - « Et questo
linge, perchè qui si pnniscono quelli che
rotto spocio di benevolenza e d'amore
hamne tradito. Tanne ndunque dimostro
Regno di carità, porehò meno si gunrili,
chi vogliono tradire. Et questo esprime
lo star supino, che è guardare in su in-
verso il cielo; ma non stanno in forma
che le lagrimo possano uscire, perchè
tal carità è finta. Adanque il pianto non
lascia piangere e cresce l''ambaacia, por-
ché quella finta carità accerosco il tradi-
mento, omle morita maggior supplizio ; »
Lana
95. DUO: lagrime; la cagione per l'ef-
fetto, - KINTOrTO: propr. nrto in contra-
rio; qui per impedimento materiale, cioò
di altro lagrimo gelato.
07, rum: primisramonto versato. -
ororro: un nodo di ghiaccio.
Da. visieng: voli, bendo, ofr. v. 112.
Al.: quasi occhiali: Renv., Land,, Vell.,
Dan., Fan/., sco, Gli occhiali si ado-
prano per veder meglio; qui invece le
lagrime fatte ghiacclo impediscono la vi-
nta. Tn visiera dell'olmo pol, che cnopre
HI vise del guerriero, non ha qui che fare.
«Uervix Diriguit, saxoque ocolorum in-
durvlt homer; » Ovid, Met. V, 232 © seg.
= * Frigidna vontna aquilo finvit, et gela-
rit crystalias ab aqua,... ot sient lorica
Induet se nquis; » Fccles, XLIII, 22.
19, corro: apertura concava; qui per
In cavità dell'occhinia. - « Coppo, in To-
senno, è vaso di terra cotta dn riporvi
liquidi, La cavità dell'oochio è come un
coppo o una coppa, che tien dentro di
ai © conserva gli umori dell'occhio; »
Caverni.
100, AVVEGNA CHR: quantonque por lo
fredila il mio viso avoaso porduto ogni
sensibilità, come se fosso stato una parte
callosa, tuttavin già mi parova di sentire
alquanto vento.
102, stALLO: dal basso lat. stallum,
Inogo di abitazione. Cessar stallo = ces-
saro di atare in un luogo ; quindi = si
fosso allontanato dal mio volto,
103, Vento: che veniva dalle ali som-
pre moaso di Lucifero ; confe. Inferno
XXXIV, 61.
105. Questo: vento.
105. qua ait: Al. quanciuso: « Ven-
tos ost mris finens unda.... Nascitur com
fervor offendit humorem, et impetos frac-
tionia exprimit in apiritus flatom;» Vi-
truv. Quindi la domanda: Come pnd es-
sere vento qui, duve non è Sole che dilati
o sollevi in vapore una parte dell’ arial
106, avaccIO: in breve, tosto ; ofr, Inf.
X, 110. Par. XVI, 70. Eneciel., 102,
107, FARÀ: vedrai co’ tuoi ocohi d'ondo
quosto vento deriva.
108, Veoornpo: cfr. Inf. XXXIV, 46
è Beg.
V. 109-150, Frate Alberigo 0 Pran-
ca d'Orta, Uno spirito prega i Poeti,
che credo anime dannato all'ultimo giro
332 [ceRC. 9. GIRO 3) InP. xxx. 109-119
[FRATE ALBERIGO]
109 E un de’ tristi della fredda crosta
Gridò a noi: «0 anime crudeli
Tanto, che data v'è l'ultima posta,
112 Levatemi dal viso i duri voli,
Sì ch'io sfoghi il dolor che il cor m'impregna,
Un poco, pria che il pianto si raggeli. »
115 Perch'io a lui: « Se vuoi ch’io ti sovvegna,
Dimi ti disbrigo,
AI fc mi convegna. »
118 Risposi ‘rate Alberigo,
Io 8 1 mal orto,
dell'inferno, di togli.
gli occhi, affinchè è
momento piangendo ‘
gli domanda chi egli
berigo, » - «Oh, sei tu
mio corpo non ne Bi
fettuato il tradime
l'anima piomba qu
che lassù nel monde
animato da un diavos:. «gu.
molti anni Sor Branca d'Oria, nel cul
corpo sta pure un diavolo. » Lo spirito
rinnova quindi la preghiera di aprirgli
gli occhi, che Dante non esaudisce per
non accrescergli pena.
109. crosta: ghiaccia del Cocito; cfr.
Inf. XXXIV, 75.
110. O ANIME: i più intendono: O ani-
me, tanto crudeli (=acellerate), che siete
condannate alla più profonda regione del-
l'Inferno. Altri: O anime crudeli (= della
greggia de’ traditori, dunque nostro si-
rocchie), tanto che (= mentre che) siate
condotte giù nell'ultimo giro. Altri: O
anime crudeli che potete mirare questo
mio tormento senza piangere, ecc. La pri-
ma interpretazione merita la preferenza.
111. rosta: posto, luogo; ciod la Gin-
decca.
112. verti: le lagrime ghiacciate, dette
pure « visiere di cristallo, » v. 98, e « in-
votriate lagrime, » v. 128.
118. SFOGHI: col pianto. - M'IMPREGNA:
mi gonfia; mi riempie l'animo.
114. regia: prima che il pianto si con-
goli nuovamente sugli occhi.
116. CHI Ski: Al. cui FOSTI; cfr. Z. P.,
210 e seg. - DISERIGO: 8' io non ti leva da-
gli occhi i duri veli.
117. MI CONVKGNA: Dante doveva in-
fatti pervenire sino al fondo della ghiac-
cia, al centro dove sta Luciforo, ma non
wenn! nr na
istarvi, anzi per nscire dall' in-
Il dannato che crede di parlare
r'anima dannata prende le parolo
i ginramento onde si manifesta.
AtseRICO: figlio di Ugolino da’
oli, frate gaudente sin dal 1207,
vi capl di parte guelfa a Faensa,
ma che frute Alberico do’ Munfre-
allere gandente, ardentissimo par-
ventanni di chiesa, ed ono de’ più spetta-
Dili di sua famiglia, vennto a contesa per
gara di dominio col consanguineo Man-
frodo, nel calore di quella riportasse dal
costui figliuolo, nomato Alberglietto, una
solenne ceffata. Concepì Alberico per
qaell’ onta odio sì mortale contro I’ offen-
sore, che, malgrado degli uffici adoperati
dagli amici, giammai s' indusse nel cuor
suo a perdonargli, e solo scorso alcun
tempo fe' mostra di arrendersi e di pie-
garsi a' consigli di pace, montre a meglio
colorire l'iniquo disegno, che andavagli
per la mente, invitò Manfredo e Alber-
ghetto ad un pranzò che seguì a’ 2 mag-
gio del 1285 nella villa o castello di Fran-
cesco Manfredi, posto nella pieve di Ce-
sato, e detto la Castellina, ove, secondo-
chò Alberico erasi indettato con alcuni
sicari, quando il convito fa in sul termi-
nare, disse: Vengano le frutta ; ed ecco in
uno subito Ugolino, figliuolo di lui e il
prenominato Francesco, ad una coi na-
scosi scherani, scagliarsi co’ pugnali ad-
dosso n que’ due miseri e barbaramento
meciderli; » Valgimigli. Confr. Ferraz.
V, 308-371. Vill. X, 27. Murat. Script.
XVIII, 131. Encicl., 52 © seg.
119. DELLE FRUTTA: A. DRULK FRUT-
TK: Al. DALLK FRUTTR. « Dicitur prover-
bimn: de le frutta di Fra Alberigo; »
Murat., 1. C.- MAL ORTO: cresciute nel-
Y orto del male, perchò farono il segnale
[CERC. 9. GIRO 3)
INF. xxx. 120-134 [FRATE ALBERIGO] 338
Che qui riprendo dattero per figo. »
121
« Oh! » dissi lui, « Or se’ tu ancor morto? »
Ed egli a me; « Come il mio corpo stea
Nel mondo su, nulla scienza porto.
124
Cotal vantaggio ha questa Tolomea,
Che spesse volte l'anima ci cade
Innanzi ch'Atropòs mossa le dea.
E perché tu più volentier mi rade
Le invetriate lagrime dal volto,
Sappi che, tosto che l’anima trade,
130
Come fec' io, il corpo suo l’è tolto
Da un dimonio, che poscia il governa
Mentre che il tempo suo tutto sia vélto.
143
Ella ruina in si fatta cisterna.
E forse pare ancor lo corpo suso,
del tradimonto, Altri intendonodi Fnenza
che produce gento sì porveran. Benn, ri-
corda una tradizione, secondo la quale il
convito del 2 maggio 1285 sisarebbe fatto
nell'orto della villa dei Manfredi. « Frutte
del mal orto è proverbio toscano ; » Tom.
120. mirrexno: mi è rendnto pan per
focaccia; ricevo qui la pena del mio tra-
dimento,-FIG0: fico ; figo ai disse in tutte
le lingue romanze, Cfr. Nannue,. Voci,
G4 e seg.
121. on: nel marzo del 1300 Fra Albe-
rigo vivera ancora; quindi Ia meraviglia
di Dante di trovarne l'anima nell'in-
ferno.- ANCOR: già, non essendosene sin
qui ndita la notizin.
123. KULLA BACIENZA: dol mio corpo
lassù nel mondo non no so nulla, Giova
ricordarsi che i dannati ignorano le cose
presenti; cfr. Inf. X, 103 0 sog. Quindi
Alberigo ignora se il sno corpo © quello
di Branca d'Oria sembrino ancor vivi
sul nel mondo,
124. VANTAGGIO: prerogativa. Gli altri
cerchi infernali non accolgono le anime
che dopo la loro separazione del corpo;
la Tolomea già prima.
125. cr CADE: quaggiù nella Tolomea.
« Descendant in Infernum viventes ; »
Sat, LIV, 10.
126. ATnords : quella delle tre Parche
che ha l' ufficio di recidore Jo stame della
rita. Ma perchè racconta il dannato que-
ste cose? Se egli crede di parlare con
on’ anima dannata alla Giudecca, pare
che dovrebbe supporre che quell'anima
ao lo sappia già. Si rispose; « Potrebbo
anche snpporro cho quell'nnima non so
lo sappia; » G. Mazz. Mn si stenta a
crederlo, Alberigo non poteva sapere
se queste anime non fossero esse pure
di quelle che scendono giù nell'inferno
prima di essersi separato dal corpo per
morte.
127. RADE: rada, tolga le lagrime
ghiacciate,
129, TRADE: tradisce; da tradere per
tradire, come Inf, XI, 66.
130. come: Annque non a tutti i tra-
ditori, ma soltanto ai più neri tocca tal
sorte, O forse solamente a quelli della
Tolomea! Dal vorso 124 sembra vern-
mente cho ain così. Ma avendo Tanto
ovidentemento preao il suo concotto da
San Giovanni, XIII, 27 (« Et post bue-
collam, tane introivit in illum Satanas»),
si dovrà supporre che anche la Giudeoen
abbia cotal vantaggio.
191. GOVERNA: facendo le veci del-
l'anima.
182. MENTER: per tutto quel tempo
che, secondo il destino, quel corpo deve
vivero, « Breves dies hominia sont, nu-
meorum mensium eins apnd te est; con-
atitoisti terminos eins, qui prmteriri non
poterunt;» Giobbe, XIV, 6.- vOLTO: pas-
sato; ne sia compiuto il giro,
183. 1 sì: in questo pozzo infernale,
che è così fatto come tn vedi.
134. rorsE: il dannato non lo sa; ofr.
v. 123 nt. — rarer: appare, si mostra, -
8Uso: nel mondo.
334 [CERC. 9. GIRO 8] Imre, xxxrir. 185-150
[BRANCA D'ORIA]
Dell'ombra che di qua dietro mi verna.
136 Tu il dèi saper, se tu vien pur mo’ giuso:
Egli è ser Branca d'Oria, e son più anni
Poscia passati ch’ei fu si racchiuso. »
139 « Io credo, » dissi lui, « che tu m’inganni;
Che Branca d’Oria non morì unquanche,
E manera « han a dama 4 veste panni. »
142 « Nel fos
Là dov
Non ai
145 Che ques
Nel co
Che il
148 Ma dister
Aprimi
E corte
135. MI VERNA: è qui _.
verno infernale, cio nel glibavuv woud
‘l'ulomoa.
136.ruk MO’: in questo momento,or'ora;
cfr. Inf. X, 21; XXVII, 20.
137. Branca D’Otia: cavaliere geno-
vese, genero di Michele Zanche signore di
Logodoro in Sardegna; cfr. Inf. XXII,88.
« Avendo diritto l'occhio alla signoria di
Logodoro, invitò a mangiare seco a nno
suocastello questo suo suocero,etivi tinal-
mente il fe’ tagliare per pezzi lui e tutta
sua compagnia; » An. Fior. Il fatto av-
venne nel 1276. Secondo un'antica trudi-
zione, Dante avrobbe scritto questi versi
per vendicarsi di un’ ingiuria fattagli dai
D'Oria; cfr. Pavanti, 151-53.- PIÙ: ven-
ticinque.
140. UNQUANCHK: lat. unquam = non
mai; nou è ancor morto. Visse infatti
sin dopo il 1300; confr. Murat. Script.
XVII, 1023. Vedi però Dust Lunco, Di-
no Comp. lI, 382 nt. 12.
141. MANGIA: non è ammalato; man-
giare, bere e vestirsi suno operazioni
della vita corporea sì, ma di persona non
colpita da gravo malattia.
142. y0880: bolgia de’ barattieri, In/.
XXII. L'anima di Branca d' Oria andò
a casa del diavolo prima di avervi man-
dato il suocero.
146. ED UN: e un suo prossimano (nipo-
te, An. Fior., Benv.; 0 cugino, Ott.) fece
lo stesso, lasciò cioè un diavolo in sua
dalebranche,
8,
el Zanche,
1 sua vece
ossimano,
on lui fece.
nano;
m gliele apersi;
lano.
corpo avo. Al. Bb’ uN sUO: fu
forse ...anca d'Oria che lasciò un diavolo
nel corpo di quel suo parvutef! O prose
lo stesso diuvolo possesso di due corpi,
facendo le veci di due animef I codd.
hanno edun, alcuni et tn; l'odun è da
loggore ed tn.
148. ORAMAI: Al. OMAI, OGGIMAI, eco.
Ora che ho fatto quanto chiedesti e più
ancora, cfr. v. 115 e seg.
149. AnkiMI: lovandomi dal viso i duri
veli, v. 112.- GLIKLR: così dissero infinite
volte gli antichi invece di glieli, come ul-
cuni loggono; clr. Oinonio, Partic., 122.
Corticelli 11, 18.
160. CouTEKSIA: risparmiandogli la pena
di veder che Dante era vivo e puteva
riportare sue novello nel mundo. Al.:
atto di cortosia, ciuò di gratitudine ver-
v0 Dio; cfr. Inf. XX, 28. « Questo si può
iutendero che il nun far cortesia a frute
Alberigo fu cortesia: imperd che non si
dee fare villania al maggiore, per fare
cortesia al minore che non la merita;
aprir li occhi a colui era secondo la
finzione di Dante fare contro alla giustizia
di Dio, la qual cosa sarobbo stato grande
villania, © però non farlo fu cortosia; »
Buti. - IN LUI: contro di lui; Al. LUI. -
VILLANO: non mautonendogli la promes-
sa, v. 116 © seg.
V. 161-157. Invettira contro i geno-
vesi. Riponsando al tradimento di Branca
d'Oria, Dante invelsco contro i Geno-
[CERC. 9. GIRO 8]
Inr. xxx. 151-157
[(INVETTIVA] 835
151 Ahi Genovesi, uomini diversi
D'ogni costume, e pien d'ogni magagna,
Perché non siete voi del mondo spersi ?
154 Ché col peggiore spirto di Romagna
Troyai un tal di voi, che per sua opra
In anima in Cocito già si bagna,
157 Ed in corpo par vivo ancor di sopra.
vesi ed angura loro lo sterminio, perchè
gente aliena da ogni buon costume. Dello
stato e dei costumi di Genova verso
il 1300 Iacopo d'Oria sorive: « Quamvis
his temporibos civitate Ianom in tanta
esset sublimitate, potentia, divitiia et
honore, nibilominna tamen in civitate
et extra homicidm, malefnotorea, ot ju-
atitim contemtores multiplicare cope-
runt, Nam tempore dicti Potestatis ma-
lefactores quamplorimi gladiis et jaculia
ad invicem die noctnque percutiebant,
ac etinm perimebant; » Murat, Script,
VI, 608; cfr. Virg. Aen. XI, 700 © sog.
151. Diversi : estranei ad ogni costume
onesto. « Alieni ab omnibus aliia bomi-
nibus in moribus, precipne in cupidi-
tate querendi et parcitate servandi.
Nolli enim italici vivunt miseriua, licet
in apparatu et ornatu exteriori sint splen-
didi; » Benv, Cfr. Ferraz. V, 372 © sog.
162. MAGAGNA: vizio, « Uno Noffo Dei...
piono d'ogni magagna ; » Vill. VIII, 02.
153. srenst: dispersi, sterminati ; cfr.
Inf. XXV, 10 © seg.
154. srinto: Alberigo dei Manfredi,
da Faonza in Romagna.
155. UN TAL: Branca d' Oria. — DI vor:
rostro concittadino. O wool forse dire:
vostro parif-orrRA: malvagia; In pena
del sno tradimento.
156. BAGNA: là dove i pecontori stanno
freschi, Inf. XX.XII,117, Bagno freddo,
nello stagno gelato del Cocito.
157. FAR: appare, si mostra. - DI E0-
PRA: nel mondo. « Perchè, secondo la fin-
zione dell'A., nnoora era vivo quanto al
corpo; » Ieti.
336 [CERC. 9. GIRO 4] Inv. xxxIv. 1-7
[LUCIFERO]
CANTO TRENTESIMOQUARTO
CERCHIO NONO: FRODE IN CHI SI FIDA, O TRADITORI
GIRO QUARTO: G
L
(Limnorso nella ghia
BOCCHE DI LU
(Maciullati dai
GIUDA
RI DE’ BENEFATTORI
‘ORIA
i, o di forma mostruosa)
tl DELLA MAESTÀ
a anche scorticato)
E CASSIO
DAL CENTRO DELL'UNIVERSO ALL’ALTRKO EMISFERO
« Vewilla Regis prodeunt inferni
Verso di noi. Però dinanzi mira, »
Disse il maestro mio, « se tu il discerni. »
4 Come quando una grossa nebbia spira,
O quando l’emisperio nostro annotta,
Par da lungi un mulin che il vento gira:
7 Veder mi parve un tal dificio allotta.
V.1-9. La prima vista di Lucifero.
Passando nell’ ultimo giro, Virgilio av-
verte Dante cho sono oramai vicini a
Dite, adattando al caso le prime parolo
dell'inno alla croce di Fortunato di Ce-
neda vescovo di Poitiers nel sesto secolo :
« Voxilla regia prodeunt, Fulget crucia
mysterium.» Dante leva gli occhi e l'or-
rida figura di Luciforo che agita le suo
sei ali enormi fu su lui l'impressione d'un
mulino a vento quando l'aria è offuscata
da fitta nebbia o dall’ oscurità della sera.
1. VKXILLA: 1 vessilli del re dell'inferno
escono. I vessilli sono le sei ali di Luci-
fero che svolazzando muovono il vento
di che Cocito s’ aggola.
8.8K TU: se l'oscurità non t' impedisce
di distinguerlo.
4. GROSSA : fitta. - BLIRA : esala; o forso
« appropria lo spirare che è dell'aria alla
nebbia, perciocchd è dall'aria portata o
mossa; » Lomb.
5. ANNOTTA: quando incombe la sera.
6. PAR: appare, si mostra. - GIRA: un
mulino a vento.
7. DIFICIO: ordigno, macchina. « Di-
ficio, che il popolo ora dice più volentieri
difizio o defizio, signitica una fabbrica cun
macchinamenti mossi per lo più dall’ ac-
qua e ora anche dal vapore, o insomma
un mulino; » Caverni. - ALLOTTA : allora;
cfr. Inf. V, 53; XXI, 112; XCT, 112.
[CERC. 9. GIRO 4]
Inr. xxxtv. 8-20
[LUCIFERO] 337
Poi per lo vento mi ristrinsi retro
Al duca mio; che non v'era altra grotta.
10 Già era, e con paura il metto in metro,
Là dove l’ombre tutte eran coverte,
E trasparean come festuca in vetro.
13 Altre sono a giacere, altre stanno erte,
Quella col capo, e quella con le piante;
Altra, com'arco, il volto a’ piedi inverte.
16 Quando noi fummo fatti tanto avante,
Che al mio maestro piacque di mostrarmi
La creatura ch’ebbe il bel sembiante,
19 Dinanzi mi si tolse, e fe’ restarmi:
« Ecco Dite, » dicendo, « ed ecco il loco
8. rot: essenilo proceduto un po' più
innanzi procurni di ripararmi dal vento
mettendomi distro allo spallo di Vir-
gilio.
9. GROTTA: argine, riparo, sohermo al
vento; cfr. Inf. XXI, 110,
V. 10-15. Giudecca, la regione dei
traditori de' benefattori, Nell'ultimo
giro le anime sono intiernmente confitte
sotto In ghinecin in quattro diverso po-
ature, « (Qneste quattro differenzia pone,
perchè quattro sono le differenzie di que-
ati traditori: imperò che altri sono che
naano tradimento alli benefattori snoi
pari, è questi finge che stinno parimente
a giacere; ot altri sono che l'nsano con-
tro li maggiori benefattori tanto, come
sono i signori 6 maggiori, e maestri è
qralunque altro grado di maggioria, 6
questi stnnno col capo in giù e co' piedi
in su; et altri sono che l'nanno contra li
minori che sono loro benefattori, come ll
signori contra li andditi, e questi stanno
col capo in su è co’ piedi in già ; et altri
sono che l'nsnno contra li minori e con-
tra li maggiori parimente, e questi stan-
no inarcocehiati col capo, 0 coi piedi pa-
rimente in giù nolla ghiaccin; e tutti
stanno riversi, ciod rovescio, perché sfno-
clatamenie sonza alcuno ricoprimento
hanno nanto lo tradimonto; » Buti.
10. CON FAUNA: horresco referona ;
Virg. Aen. IT, 204. Cfr. Inf. XXII, 31.
12. TIRASFARRAN: Al. TRABLPANÎN, —
FESTUCA: paglinzzn. « In liqnidis trans-
lucet nquis, et eburnea si quis Signa te-
gat claro vel candida lilia vitro; » Ovid.
Met. IV, 354 © sog.
22. — Div. Comm., 3% ediz.
13. SONO - STANNO: Al. BONO - BONO.
Al. STANNO-STANNO, ecc. Cfr. Moons,
Crit., 565 6 sog.
14. QUELLA -— QUELLA: Al. ALTRE -
ALTRE,
16.11, vOLTO: Al. IL COLLO, — INVERTE :
convolge, rivolta; « come fa uno arco,
che l'una cima si piega vorso I' altra,
così il capo d'nno peccatore si piegava
et tornava sotto i piedi, fncondo arco di
ad; » An, Fior. « Pnrwns crat gurgos,
curves sinatus in arcus; » Ovid. Met.
XIV, 51.
V. 10-54, Descrizione di Iucifero,
Feoo Dite! Esce fuori dolla ghinocia da
mezzo il petto ed è più che smisnratis-
simo gigante, È ona figura orrida e ter-
ribilo. Ha tre facce: ona vermiglia, una
giallicela, In terza nera. Sotto ciasenna
faccin escono doe grandi ale simili a
quelle del pipistrello, che fanno il vento
onde Cocito s'aggela. Piange con sei 00-
chi o lo lagrime colano giù pei tre volti
e si mescolano colla sanguinosa bava
ch'esco dalle tro bocche, Cfr. Grof, De-
monologia di D., 22 è seg.
18. nen: si credova che prima della
sua caduta, Lucifero fosse |l più bello e
più eccellonte degli angeli; cfr. Purg.
XII, 25. Parad. XIX, 47. Thom. Ag.
Sum. theol, I, XLVII, 7. Petr. Lomb.
II, 3, 4.
10. DINANZI: ofr. v. 8 6 sog. - FE' kk-
ATARMI: mi foco formaro,
20. Dire: efr. Inf. XI, 65; XII, 39.
Chiama così, segnondo Virgilio, Aen. VI,
127, 269, 307; VII, 668; XII, 109, occ.
Satanasso, il principe del diavoli.
838
n —
[CERC. 9. GIRO 4] INP. xxxiv. 21-35
[LUCIFERO]
Ì Ove convien che di fortezza t’armi. »
22 Com’ io divenni allor gelato e fioco,
Nol dimandar, lettor, ch'io non lo gerivo,
Però ch’ ogni parlar sarebbe poco.
25 To non morti, 6 non rimasi vivo.
Ponsa oramai per te, s'hai fior d’ingegno,
Qual ig (1a ALe
28 Lo impera
Da mez:
E più co
81 Che i giga
Vedi og
Che a ec
84 S'ei fu sì b
E contra
21. rorrezza: d'animo;
per sostenerne lu vista, 6
dall'iuferno giù e an per a.
spaventevole demonio.
22. DIVKNNI: per lo spavento. - GK-
LATO: « però che per la paura manca il
caldo naturale, et pertanto divengono
le membra gelate; chè '] sangue è corso
verso il cuore. Fioco diviene perchò lo
spirito cho sospiugo fuori lu voce diviene
debole, sì che mancando vione meno la
voce, et non è così chiara ot così so-
nante; » dn. Fior.
24. voco: insutticiente ad eaprimore
tanto spavento.
25. NON MOKII: sentii lo spasimo della
morte, pur conservando la coscienza
della vitalità. Cfr. Pier Vettori, Var.
Lect. XXXI, 21. Ferraz. V, 373.
26. FIOR: un poco d' ingegno; cfr. Inf.
XXV, 144. Purg. III, 135.
27. D'uno: della morte. - D'ALTRO:
della vita. Nò vivo nè morto.
28. LO IMPERADOR: « si noti la spaven-
tosa maestà di questo verso; » L. Vent.
Lucifero è detto imperador del doloroso
regno per casere l'antitipo dell’ impe
rador che lassù regna, cioò di Dio; ctr.
Inf. I, 124.
29. DA MEZZO: « Cum pedes incedit
medii per maxima Nerei Stagna viam
scindens, umero supereminet undas ; »
Virg. Aen. X, 764 © seg.
30. x ri0: © la sproporzione tra me
ed un gigante è minore che non tra nn
gigante e lo braccia di Lucifero,
0
della ghiaccia ;
mvegno
3 braccia,
3 quel tutto
ACCIA,
itto,
6 ciglia,
L TUTTO: l'intioro corpo di
: breccia. - &f CONFACCHA :
stia 11 ju oporzione. Fondandosi su cal-
coli approssimativi, la lunghezza delle
bracciu si disse di m. 410 6 126 millim.
(Antonelli), l'altezza dell’orrendo mostro
di 200 (Land., Manetti, Galilei), o 300
braccia (Vell.); oppure di 1458 piedi di
Parigi (AYlal.); di 2106 braccia (Anto-
nelli), ecc. Il poeta non fornisco dati
bastevoli ad un computo di esattezza
matematica. - HI CONFACCIA: si aggua-
gli. si convenga.
34. FU: prima della sua ribellione e ca-
duta. « Dictus ost autom Lucifer quia
priv civteris luzit, suicque pulcritadinis
consideratio eum excucavit;» Bunaven-
tura, Comp. theol. veritatie II, 28. « La
sua deformità o turpitudino mostra beno
che ogni male dee procedere da lui, con-
siderando la superbia in In quale elli
s'inviluppò contro lo suo creature, che
l'avea creato in tanta bellozza, quanto è
contraria la sua bruttezza; » Lan. e Ott.
- «S'egli, essendo sì bello come ora 4 a)
brutto, tuttavia si ribellò al suo fattore:
conviono ben diro ch'ogli sia voramonto
la fonte d'ogni nequizia o d'ogni dan-
no; » Betti.
36. ALZÒ: si rivoltò superbamente al
suo Fattoro. « Non solam aatem voloit
esse wqualis Deo, quia presumsit ha-
bere propriam voluntatem, sed etiam
major voluit esse, volendo, quod Deus
illum velle nolebat, quoniam voluntatem
ae
[CERC, 9. GIRO 4]
Inr. XXXIV. 36-51
[LUCIFERO] 389
Ben dee da lui procedere ogni lutto,
37 O quanto parve a me gran maraviglia
Quando vidi tre faccie alla sua testa!
L'una dinanzi, e quella era vermiglia;
40 L’altre eran due, che s'aggiungéno a questa
Sovr' esso il mezzo di ciascuna spalla
E si giungéno al loco della cresta;
43 E la destra parea tra bianca e gialla;
La sinistra a veder era tal, quali
Vengon di là, onde il Nilo s’avvalla,
46 Sotto ciascuna uscivan duo grand’ali
Quanto si convenia a tanto uccello;
Vele di mar non vidi io mai cotali.
49 Non avean penne, ma di vipistrello
Era lor modo; e quelle svolazzava,
Si che tre venti si movean da ello,
suam anpra voluntatem Dei posuit; »
Anselm., De casu Diaboli, c. 4.
36. nex DER: è bon giusto, — LUTTO:
« Quid pravins, quid malignius, quid ad-
versario nostro neqnina? qui posnit in
elo bellam, in paradizo frandem, odinm
inter primos fratres, et in omni opero
nostro zizania seminavit.... Omnia mala
mundi sua sunt pravitate commixta; »
8. Aug. in Script. com. Ser., 4.
38. TRE FACCE: evidentemente Luci-
fero è l'orrendo antitipo della SS. Tri-
nità, Dubbia è tuttavia l'allegoria delle
ane tre fncce. SÌ dice che esse figurano:
Ignoranza, Odio ed Impotenza; Ott.,
Oasa., An. Selm., Petr. Dant., Benv., eco.
Avarizia, Invidia ed Ignoranza, Anon,
Fior., eco. Ira, Avarizia ed Invidia;
Buti, Land. Vell., eco. Concupiscenza,
Ignoranza, Impotenza; Torricelli, Di
Siena, eco. Buperbia, Invidia, Avarizin,
Dom. Mauro, eco. Empletà, Superbia,
Invidia; Barelli, eco. Le tre parti del
mondo allora conosciute; Lomb. ed il
dei moderni. Roma, Firenzo e Fran-
cia (1); Rosset., Arotur., eco. Se Lucifero
è l'antitesi della SS. Trinità, la quale è
podestate, sapienza cd amore, Inf. IIT,
5, 6; le tro fncco figurano il contrario,
cioè impotenza, ignoranza cd odio, Coa),
oltre i già citati, Jac. Dant., Hambg., eco.
29. VERMIOLIA: odio.
40, ALTRE FRAN: Al. DELI ALTRE DUR,
- 8 AGOIUNGENO: ai ergovano ciascuna
sopra nna delle spalle, è tutte tre si ri-
congiungevano sul vertice del capo.
42. custa: vertice; ma dice ereeta ac-
cennando alla snperbia di Lucifero.
43, DESTRA : faccia, - TRA MIANCA : gial-
liccin; denota l'impotenza.
44. TAL: nora, come gli Etiopi; denota
l'ignoranza,
45. pi LÀ: dall' Etiopia. - onpe: Al.
OVE, - B'AVVALLA : scendo nelle valli del-
l' Egitto.
46. crASCUNA: delle tre facce.
47. QUANTO: proporz. alla grandorza
del mostro,- vuccriLo: efr. Inf. XXII,
06. Par. XX1X, 118, Lucifero ha sei ali,
ginsta come i quattro animali che stanno
intorno al trono di Dio, Apocal. IV, 8.
48. coraLi: di sì enorme granderza.
49. VIrisTRELLo: Al. VISPIBTRELLO ;
efr. Z. F., 212.
50. mono: forma, materia, colore 6
struttura. « Sient enim vespertilio pro-
ditor spoliatns plumis suis missus est in
tenebram nocturnam nb aquila juxta fa-
hulam Aesopi, unde non andet apparoro
in luce; ita recte iste Lucifer, qui prodi-
dit Dominom Denm snom, et velnt tran-
afoga deservit colom, privatua gloria ot
Ince sua damnatos est ad tonobram mter-
nam Inferni;» Bene. = BVOLAZZAVA: di»
battera, agitava. Al. IN RUSO ALZAVA.
Al. IN 8U LANCIAVA.
fl. Tre: dla cinscon paio di ale. - DA
ro: da Luciforo,
340 [BOCCHE DI Lucie.) INF. XXXIV. 52-66
[LUCIFERO]
62 Quindi Cocito tutto s'aggelava.
Con sei occhi piangeva, e per tre menti
Gocciava il pianto 6 sanguinosa bava.
65 Da ogni bocca dirompea co’ denti
Un peccatore, a guisa di maciulla,
Si che tre ne facea così dolenti.
68 A quel 4*ssse0 8) naendana om nulla
Vers Ita la schiena
Rim rulla,
61 « Quel aggior pena, »
Dissi | Scariotto,
Che or le gambe mena.
Gi Degli 4 0 di sotto,
Quei iffo è Bruto;
Vedi fa motto;
53, CON SKI - l'KR 4
CON THK; CON BOI OC.
cir. Moone, Oril., 366, — BRI: Alu pes
faccia. - rIANGKVA: di dolore e rabbia
impotente. Cir. Virg. Georg. IIT, 202 o
seg., 515 o sey.
54. GOCCIAVA: « Hic vel ad Elei metas
et maxima campi Sudabit apatia et spu-
mas aget ore cruentas; » Virg. Geory.
III, 202 © seg. « Ecce autem duro fu-
mans sub vomere taurus Concidit ot
mixtum spumis vomit ore cruorem ; »
ibid., 5150 seg. - 11 PIANTO: Al. AL UKITO
BANGUINOBA BAVA; Clr. Z. F., 212 © seg.
PARENTI, Esercitaz. filolog. VII, 23 e seg.
- BAVA: che usciva dalla bocca; sangui-
nosa, perchò dirompea i tre peccatori.
V. 65-67. I traditori della Maesta
dicina ed umana: Giuda Iscariotto,
Cassio e Bruto. Da ognuna dello suo tre
enorini bocche, Lucifero dirompe coi denti
un peccatore: da quella di mezzo Giuda
Iscariotto, il traditore di Cristo, ossin
della maestà divina, il quale ha il capo
nella bocca di Lucifero; Brato e Cassio
dalle altre due, i traditori di Cosare, os-
sin della maostà umana o imporialo. So-
condo il sistoma dantesco l'autorità fin-
perialo è voluta da Dio o nocessaria al
benessere dell'umanità, cfr. De Mon.
III, 16, onde non può recar meraviglia
che egli condanui così tremendamente i
due capi della congiura contro Giulio
Cesare. Ben furono spinti dall' amoro di
libertà, nia per Daute la libertà è indi-
dall' antorità imperiale. E por
ire non fn tiranno, avendolo egli
poss: «Sl limbo tra gli orol illustri, Inf.
IV, 123.
56. MACIULLA: « così chiamano in To-
scana quel cho altrove chiamano gra-
mola, cioè quello strumento di legno da
dirompere i calami del lino; » Caverns.
58. QUKL: Giuda Iscariotto, traditore
di Cristo.
59. vkuso: al confronto del graffiare
delle mani. Gli altri due soltanto dirotti
co’ denti; Ginda inoltro terribilmente
graftiato colle unghie. Il traditore della
Maestà divina più severamente punito
che non i traditori della Maestà umana.
Verso usa Danto nellu stesso senso Purg.
III, 51; VI, 142; XXVIII, 30. - ‘raL-
VOLTA: riveste di nuovo la pelle, onde
il tormento si rinnova in eterno, como
Inf. XXVIII, 37 ov seg.
60. nuutLa: spogliata, ignuda; cfr.
Inf. XVI, 30. Diez, Wort. 113, 15.
63. MENA : questa positura del discepolo
traditore rammenta quella de' simoniaci,
Inf. XIX, 22 © aeg.; pena consimile ma
più tremenda, uveudo egli mercanteg-
giato la sacrosanta porsona di Cristo.
64. pi sorto: spenzolone fuori d'una
bocca di Lucituro.
68.81 BsToRCK: per il dolore, che egli
per grandezza d'animosopporta tacendo,
senza piangere osonza trar gual, non dis-
similo da larinata, Inf. X, 35 0 vey. e da
Capano, Inf. NIV, 460 è seg.
([ROCCHE DI LUCIFERO] InP. xxx1v. 67-79 [USCITA DALL'iNF.] 341
67 E l’altro è Cassio, che par sì membruto.
Ma la notte risurge; ed oramai
È da partir; ché tutto avém vednto. »
70 Come a lui piacque, il collo gli avvinghiai;
Ed ei prese di tempo e loco poste;
E quando l’ali fro aperte assai
73 Appigliò sé alle vellute coste;
Di vello in vello giù discese poscia
Tra il folto pelo e le gelate croste.
76 Quando noi fummo là dove la coscia
Si volge appunto in sul grosso dell’anche,
Lo duca con fatica e con angoscia
7 Volse la testa ov’ egli avea le zanche,
67. MEMBRUTO: come tale è accennato
L. Cassio da Cicerone, Catil. III; inveco
Cassio Longino, il traditore di Cesare,
era pallido, magro e di gracile corpo; efr.
. Brut., 20; Ces., 62, eco, Sembra
che Dante confondesse i due personaggi.
Cir. BLanc, Versuch I, 301 e sog.
V. 68-87, Uscita dall'inferno, I
Poeti sono ginnti davanti a Lucifero.
Sorge In notte. Sono circa le ore 6 "fs di
nera del secondo giorno. Dante si nppi-
glia al collo di Virgilio il quale coglio il
tempo che le ali sono sollevate 6 si appi-
glia alle velinte coste di Lucifero, scende
di vello in vello, e giunto a mozzo il cor-
po, che è il centro della terra, e rivolgen-
dosi naturalmonte comincia n salire su
per la parte inferiore del corpo di Lucifo-
ro, e così arrivano all'emisfero anstrale.
68, nieURGR: incomincia. « Nox ruit; »
Virg. Aen. VI, 530. A percorrere i nove
ssrchi infornali i dne Pooti impiegarono
2% oro, — « Ma la notte risurge vuol dire:
La notte risorge sull'emisfero Terrestro,
clod vi fa Il primo passo, percorre la pri-
ma vigilia sopra Gange. E sull'emiafero
Terrestro si avanza la sera, Alcontrario
il giorno risorge sull'emisfero Acquoo, è
fa il primo passo sotto Gade, E anll'emi-
sfero Acqueo si avanza il mattino, Da
tutto ciò risulta che in Jerusalem sono
ere 20 del Sabato Santo, E qui finisco
l'orario riferite a Terasnlom, non oasen-
ilosl ancora varento il centro della tor-
ra; » Nociti. Cfr, Ponta, Orol. Dant., ed.
Gioia, 46 è seg. DELLA VALLE, Senso, 21
oesog. Supplem., 34 a seg.
71. PRESE: colse il tempo opportuno,
qaando le ali furono ben nperte, e colse
il loogo opportuno per appigliarsi, ciod
le velluto costo.
73. VELLUTE: vellose, pelose, « Lento
il moto dell'ale. Virgilio s' apposta in
modo che mentre Lucifero le solleva e le
abbassa, e' possa scendere per le coste
di lui; » Tom.
74. VRLLO: groppo di peli.
76. TRA IL FOLTO; trai polosi fianchi
di Lucifero o la ghiaccia del Cocito. -
croste: incrostalure del ghiaccio che ri-
veste l'interno della cavità,
76. LA: dove la coscia di Lucifero si
piega sporgendo in foori dai fianchi. Co-
atr. Quando noi fummo in rul grosso del-
l'anche, appunto ld dove la coscia si volge.
77. ANCHE: finnohi,
78. CON FATICA: essnndo arrivato inque-
sto momento al centro dell'universo, cioè
a quel punto, dove, secondo la oredenza
del tempo, la forza centripetale è mas-
sima, «Com ipse Virgilius perveniaset et
descendisset ad centrum, et sie nlterins
descendere non valebat, volens ad aliud
emisperinm pervenire oportnit ipsum ad-
scendere hoo modo, quod ipse Virgilins
volvit fnciem versus anchas et tibias Lu-
ciferi, et piloa ipsius capiens per sos
ascendit com Dante versus alind emi-
sperium ed ad id postea emisperinm per-
venerunt; »= Fambg. - ANGOSCIA : difli-
coltà di respiro por la gran fation, Al.:
paura; ma Virgillo non al mostra pau
rose, Toe l'ooti sono in procinto «di
«uscir fuor del pelago alla riva, » e lo
fanno natnralmente « con lena affanna-
ta,» Inf. I, 22 © aog.
70, vOLAR: si capovolse. -ZANCHE: gam-
be; cfr, Inf. XIX, 45,
342 [SALITA AL PURG.) INF. xxxiy. 80-93
[CBNTRO DELL’ UNIV.)
Ed aggrappossi al pel come uom che sale,
Si che in inferno io credea tornar anche.
82 « Attienti ben, ché per si fatte scale, »
Disse il maestro, ansando come uom lasso,
« Conviensi dipartir da tanto male, »
85 Poi uscì fuor per lo foro d’ un sasso,
E pose me in su l'orlo a sedere;
Appres
88 Io levai g
Lucifer
E vidili
DI Es’ io dix
La gen,
Qual è
80. COME: in atto di sa
innanzi lo mani, non più
infatti vorso l'altro emi
passato il punto centrale
non si può più discendere, wee we — —--
tinge di avere ignorato.
81. ANCHE: di nuovo. Credeva che Vir-
gilio si fosse capovolto por ritornare in-
dietro ; « perciocchè invece di discendere,
tornò di nuovo a suliro, avendo passato il
centro della terra, od essendo divenuto
autipodo all'altro inferiore emisforio; »
Betti.
82. ATTIKNTI: al mio collo, v. 70. - si
FATTK: Al. COTALI; ma la brutta asso-
nanza di ali-ale non sembra roba di Dan-
te. - SCALK: qui in senso traslato per qual-
siasi mezzo onde si salga o scenda, cfr.
Inf. XVII, 82; XXIV, 65. Come là sul
priocipio del viaggio per l'Inferno, Inf.
V, 20, abbiamo qui, alla fine del viaggio,
un'eco di quanto si legge in Virgilio,
Aen. VI, 126 © seg.: « Facilis descensus
Averno; Noctes atque dies patet atri
ianua Ditis: Sed revocare gradum supe-
rasquo cvadere ad auras, Hoc opus, hic
labor ost. Pauci, quos mquus amavit
Iuppiter aut ardens ovexit ad wthera
virtus, Diia geniti potuere. »
86. Posk: mi depose sull'orlo di quel-
l'apertura.
87. ronsr: saltò destramente dalle
gambe di Lucifero all'orlo, dove mi ave-
va deposto. - A MK: verso di me; venne
dov’ era io. - ACCORTO : passo avveduta-
mente fatto.
V. 88-93. Lucifero capovolto. Dal-
to passo.
dere
ato
‘8.
iO,
} non vede
| passato,
i Virgilio lo depose, Dante ni
etro a rimirare lo passo, Inf.
lendo di vodere ancor sempre
como lo aveva valuto toatd,
+. =v wong, 0 MO Vode invece lo gambo ed
i piedi, di che si maraviglia molto, nou
sapendo ancora quul punto aveva or ora
passato.
90. IN SU: Satana terribile a chi gli si
avvicina, v. 22 e seg., invece una figura
comica per chi da lui si allontana, come
fanno adesso i Poeti.
91. TRAVAGLIATO: porplesso, non sa-
pendo spiegarivi il futlo.
02. GkOSSA: ignorante. Così secondo la
fisica del tempo; cfr. BLANC, Vereuch,
1,904. Cum. Lipe.I, 438. - NON VKDK: non
comprendo che avendo passato il punto
centrale io non poteva più discendere,
ma doveva salire. - PUNTO: «al qual si
traggono d'ogni parte i posi: » v. 111.
V. 04-126. Caduta di Lucifero ed
origine dell'Inferno. Alla domanda di
Dante, dove sia Cocito e perchè Lucifero
sia capovolto, Virgilio risponde che sono
oramai giunti sotto l'emisfero australe e
gli spiega il fatto dell'essere Lucifero ca-
povolto, ammavstrandolo intorno alla ca-
duta di Satana e all’origino dell’ Inferno.
«< Dante imagina che dalle acque emer-
gesso in prima la terra abitabile dalla
parte del nuovo omisfero sulla qualo era
giunto (uscendo dail'Interno); ma che,
cadendo dal cielo Lucifero, per paura del
mostro si ritirasse avvallandosi, onde le
acque marine la ricoprissero, e di quanto
si avvallasse in quell’ emisfero, venisse a
[BALITA AL PURO.]
Inr. xxx1v, 94-110 [CADUTA DI LUCIF.) 848
dA « Lévati su, » disse il maestro, « in piede;
La via è lunga e il cammino è malvagio,
E già il sole a mezza terza riede, »
07 Non era camminata di palagio
Li’
v’ eravam, ma natural burella
Ch’ avea mal suolo e di lume disagio.
100 « Prima ch’ io dell’abisso mi divella,
Maestro mio, » diss’ io quando fui dritto,
« A trarmi d’ erro un poco mi favella.
103 Ov’ è la ghiaccia? e questi come è fitto
Si sottosopra? e come in si poe’ ora
Da sera a mane ha fatto il sol tragitto? »
100 Ed egli a me: « Tu immagini ancora
D' esser di là dal centro ov'io mi presi,
Al pel del vermo reo che il mondo fora,
109 Di là fosti cotanto, quant’io scesi;
Quando mi volsi tu passasti il punto
sollevarsi nel nostro, acendendo,tra acqua
© torra, quasi nn cambio di equivalenza ;
imaginainoltre che la terra centralo dalla
parte del nuovo emisfero, per fuggire il
termo reo che il mondo fora, si sollovasso
nell'emisfero medesimo, così lasciando il
vuoto ch’ 4 adito ai due Poeti per il quale
ritornare alla luce, e formando quell'al-
tora ch’ 4 il monte della espiazione ; » An-
tonelli, Cfr. Ozanam, D.etlaphil, cathol.,
1845, p. 142 e seg. Agnelli, Topo- Cronogr.
11 è sog., 33 è seg
di. LÈVATI: ste Inf. XXIV, 52, « Sed
lam age, carpe ot snuscoptum perfice ma-
nos, Adceleremus, ait; » Virg. den. VI,
628 e seg.
05. LUNGA: dovendosi risalire dal cen-
tro alla superficie della terra. — MALVA-
Gio: difficile, il calle easondo stretto,
oscuro ed inogualo.
06. mezzA TRRZA: gli antichi divide-
vano il giorno in quattro parti: ‘Terza,
Sesta, Nona e Vespero. La Terza aveva
principio dalla nascita del Sole. Bono dun -
que circa le 8 di mattina nell'emisfero
australe, le R di sern nel boreale; cfr.
Agnelli, 110. Della Valle, Senso, 21 ©
seg. Della Valle, Suppl., 34 è avg. Pon-
ta, Orolog., 204 è sog. Blane, Versuch,
206 è seg. Conv. ILI, 6; 1V, 28. Nociti,
Orario, 8 è seg. Sull'apparente contra
dizione col v. 68 ofr. v. 106 e seg.
07. CAMMINATA : «sala spaziosa; » Dan.
« E questo dico, perchè le salo de' palag!
de’ signori sogliono essere ben piane 6
ben luminose; » Fiuti. Inattendibile è
l'opinione che Dante intenda qui di una
camminata da fuoco.
Da. NURRLLA: da buro=bujo, luogo
oscuro, carcere stretto e tenebroso. « Da-
vasi questo nome specialmente ni sotter-
raneidell'anfiteatro fiorentino ,dovesi ou-
atodivano le fiere per gli spettacoli ;» Or.
09. MAL: ineguale, erto e ronchioso. —
DISAGIO: mancanza; « Arota via est, qua
ducit ad vitam; » Matt, VII, 14.
{7 100. Amsso: inferno; ofr. Inf. IV,8,
24; X1,6. Purg. 1, 46,- DivELLA: diparta.
102. ERO: errore; forma vivente, co-
me scorpio per scorpione, sermo per Bet-
mono, eco, L'errore è quello già nocen-
nato, v, 88 è sog.
103. amiaccia : Cocito, - questi: Lu-
cifero,
104, roc’ ona: il tempo impiegato n
scendere e a salire per lo corpo di Dite.
105, SERA : ofr. v,68,- MANE: cfr. v. 96,
107. DI LÀ: nella regione boreale. — MI
PRESI: mi aggrappai. Al. M' ATPREsl.
108. vkrmo: Lucifero, ofr. Inf, IV, 22.
Vermo si disse anticamente «di ogni flora
achifosn, - pònA: paranda una parte nll'al-
tra, ossendo confitto nel centro della terra,
109. scrsi: longo il corpo di Lucifero,
v. 74 6 nog.
110. ruxto: il centro della terra, il
344 [SALITA AL PURO.] INF. xxx1v. 111-124 [CADUTA DI LUCIFERO]
Al qual si traggon d’ ogni parte i pesi.
112 E se’ or sotto l'emisperio giunto
Ch’ è contrapposto a quel che la gran secca
Coverclia, e sotto il cui colmo consunto
115 Fu l’uom che nacque 6 visse senza pecca.
Tu hai li piedi in su picciola spera
Che l’altra faccia fa della Giudecca,
118 Qui è da ms
E questi «
Fitto è a
121 Da questa }
E la terri
Per paure
124 E venne all'
quale, secondo le opinioni
pure ilcentro della gravitazi
XXXII, 73 0 sog. Aristot, D
p. 307 è seg. « La, qua est m
tellua, neque movetur, et iL a
in eam feruntur omnla suo natu ponde-
ra;» Cicer. Somu. Scip., 17.
112. EMISPERIO : l'emisfero australe.
113. cH'È CONTRAPPOSTO: Al. CHED È
OPPOSTO. Al. CH'È OrrosiTo. - QUEL:
emisfero boreale. - SKCCA : terra; « Voca-
vit Deus aridam, Terrani; » Genee. 1, 10.
114. coLMO: punto culminuntodell’omi-
sfero boreale, dove, fondandosi sopra Eze-
chiele V, 5 (« Ista eat Jerusalem, in medio
Gentium posui eam, et in circuitu eius
terras ») si credeva che fosse situ Geru-
salomme; cfr. Purg. 1], leseg.<« Dain tre
versi tre idee della scienza, qual'era
a’ suoi tempi; ch'egli è ora nell'emi-
sfero opposto alla superficie abitata da
noi; che questa superficie è Ja metà dol-
l'area terrestre; o che Gerusalemme,
ove il Verbo incarnato visso e morì come
uomo, è nel mezzo di questa superficie
abitabile, come affermava Martino Sa-
nudo e più antichi geograti; » Antonelli.
- CONSUNTO: crociflsso, ucciso.
115. L'UOM: Cristo. - NACQUK: senza
peccuto originale. - Vissk: sonza poccato
attuale.-rKcca: forma ant. por peccato,
usata eziandio nella lingua provenzale;
efr. BARTSCH, Chrest. prov., 179: « Nuilla
hom no fai major pecca, »
116. L'ICCIOLA : esseudo in prossima vi-
cinanza del contro.
117. ra: corrisponde al piccolo spazio
a.
alo,
era,
lalo;
20rse
ilo,
forse
e nell'altro emiaforo forma la
: sotto l'emisfero australe;
43 6 seg.- DI LA: sotto | emi-
vare. Qualche cod. legge: DI MAN,
«ma per intendorne il valore è da scri-
vere di man, il dies mane (dì chiaro
de’ latini e dies sera) giorno tardo sul tra-
monto; » Fosc. II, 356 e seg. Quindi Z.
F., 213 vorrebbe leggere: « Qui è di man,
quando là è di sera.» E le autorità?
119. Questi: Luciforo. - BCALA : clr. v.
73 © seg., 82.
120. PRIMA: « 60 modo stat quo ta vi-
diati primo enm, nec est matatus in ali-
quo, sed tu matasti locum. Kt ad declara-
tionem dictorum describit casum diaboli,
per quem fuctus est infornus; » Benv.
121. QUKSTA: dalla parte dell'emisfero
australe. - CADDK: « Quomodo cecidisti
de cielo, Lucifer!» /Zsaia XIV, 12. « Vi-
debani Satan sicut fulgur de cielo caden-
ton; » Luca X, 18. « Satauaa projoctus
est in terram;» Apocal. XII, 9.
122. RIA: prima che Lucifero cadesse
dal cielo. - 81 srOusK: si mostrava ju su-
porficio fuori del mare.
123. xk': si ritrasse fuggendo sotto le
acque verso l'emisfero boreale.
124. Nosrno: Al. vostito. La terra e il
limbo (dove è Virgilio) sono sutto lo stes
so emisperio. Dunque nostro. - kK FONSE:
costr. E quella terra che appar di qua, che
si sporge fuori del mure o forma la mon-
tagna dol Purgatorio, lasciò forse qui tl
loco voto, lasciò questa cavità dove siamo,
per Suggir lui, per evitare il contatto di
[SALITA AL PURG.]
Inr. xxxIv. 125-139
[UusciTA] 345
Per fuggir lui lasciò qui il loco voto
Quella che appar di qua, e su ricorse. »
127 Loco è laggiù da Belzebù rimoto
Tanto, quanto la tomba si distende,
Che non per vista, ma per suono è noto
130 D'un ruscelletto che quivi discende
Per la buca d'un sasso, ch'egli ha roso
Col corso ch'egli avvolge, e poco pende.
133 Lo duca ed io per quel cammino ascoso
Entrammo a ritornar nel chiaro mondo;
E senza cura aver d’ alcun riposo
136 Salimmo su, ei primo ed io secondo.
Tanto ch’ io vidi delle cose belle
Che porta il ciel, per un pertugio tondo.
139 E quindi uscimmo a riveder le stelle.
Lneifero, e ricorre in su, si lanciò con im-
poto verso In superficie dell'emisfero au-
strale, formando la montagna del Par-
o,
V. 127-130, Salita all'emisfero an-
strale, I due Poeti escono per una cavità
che laggiù per l'oscorità non si vede, ma
vhe è attestata dal romorìo d' un ruscel-
letto che discende per essa, salgono su al-
l'emisfero australe e rivedono il cielo e
lo stelle.
127, LAGGIÙ: nell'interno della terra.
~Bevernt : (3957 byy> = Dews avver-
; ==
runcur muscarum, ll Zee “Amdpviog
del Greci) nome dato nol Nuovo Te-
stamento al principe dei demoni, cfr.
8. Matt, XII, 24, 28. 8. Marco III, 28.
8. Imea XI, 15, 18.
128. TANTO: dal centro dov' è Lucifero
la cavità si distende dalla parte doll'emi-
afero nostralo tanto, quanto disconde nel-
la parte dell'emisfero boreale In cavita
infernale sino a Lucifero. - TOMBA : I; in-
ferno, detto altrove fossa, Inf. XIV,
136; XVII, 66. « Mortons est autem ot
fives ot sopultns est in inforno ; » S. Luca
XVI, 22.
120. vista: non si può vedere per la
grande oscurits,
130. RUSCELLETTO: Lote che toglio alle
anime purificato In ricordanza del peo-
onto, Purg. XXXIII, 91 o seg.; 0 tra-
svolgo i poconti giù nel contro, como
fanno dall'altra parte i fiumi infernali,
onde tutti quanti i pecenti ritornano final-
mente al loro principio che è Lncifero,
181, BUCA: il foro fatto da Lncifsro ca-
dendo dal cielo,
132, AVVOLGE: fa avvolgendosi. - PEX-
DE: è poco inclinato, e per questo è pos-
sibile di salire contro il suo corso, quasi
per una scala a chiocciola. Ma la salita
è ciò nonostante assai malagevole, cfr.
rv. 05 © sog.
139, ascoso: privo di luce e trovato
da pochi; ofr. 8, Matt. VII, 14.
134, A RITORNAR: Al. PER RITORNAR —
MONDO: emisfero australe,
135, BENZA CURA : senza riposare, ben-
ché la vin fosso longa 6 malagevole,
137. cosk WKLLE: il Solo è lo stella;
efr. Inf. 1, 27 © seg. « Anche prima d'es-
sere in cima del sotterraneo ascendente
cammino, vide il Poeta all' apertura del
sasso acintillar qualche stella, E dicendo
ch'egli nacì a riveder le stelle, dice in-
sieme che allora era notte e ben prepara
alla letizia della luce; » Antonelli.
188. rertuGIio: la buea del v. 121.
139. QUINDT: per quel pertugio tondo.
-STELIK: tutto e tro le cantiche finiscono
con questa parola; cfr. Com, Lips. III,
883. Vedi pure più innanzi Par. XXXIII,
145 nt.
LA
DIVINA COMMEDIA
CANTICA SECONDA
PURGATORIO
CANTO PRIMO
PROEMIO DEL PURGATORIO
LE QUATTRO STELLE, CATONE CUSTODE DEL PURGATORIO
Per correr migliori acque alza le vele
Omai la navicella del mio ingegno,
Che lascia dietro a sé mar si crudele:
4 E canterò di quel secondo regno,
Ove l'umano spirito si purga,
E di snlire al ciel diventa degno.
7 Ma qui la morta poosi risurga,
O sante Muse, poiché vostro sono,
E qui Calliopè alquanto surga,
V. 1-12. Preludio ed invocazione.
Premessa la proposizione dell'argomento
ila trattarsi, Dante invoca le Mnse in go-
nerale ed in particolare Calliopes, ln
Musa della poesia epica.
1. rem conker: per traltaro materia
più serena. - MIGLIORI: meno orride della
infernali. Al. MIGLIOR ACQUA.-LE VELE:
«Vela traham et terris fostinem adver-
tere proram; » Virg. Georg. 1V,117. Conv,
Il, 1: « Lo tempo chiama 6 domanda la
mia nave nacire di porto; per che driz-
zato l'artimone della ragione nll'ara del
mio desiderio, entro in pelago con jape-
ranza di dolce cammino e di salutevole
porto © laudabile, » « Ecce etenim nono
magni maria finctibna quatior, atque in
navi mentia tempostatia validm procellia
Mider;» S&S. Greg, Dial., proem.
2. RAVICELLA : * Non ost ingenii cymba
gravanda toi; » Propert. Fleg. III, 3.
N. metro: Al. nitro, - MAR: materia
storrida, come quella della prima Cantica.
4. neono: del purgatorio. J dottoridella
Chiesa lo immaginarono nello regioni sot-
terra, confinante all'inferno; cfr. Petr.
Lomb. 1V, 45. Thom. Ag. Siem. INI, 69,
1-6. Elucidar., 62 0 sog. Dante cred un
purgatorio più poetico e più ridente: nna
isoletta nell'oceano, e in quell'isoletta un
monte che, nel meridiano e in diretta op-
posizione di Gerusalemme, s'alza a guisa
ili cono troncato alla cima, dove finiace In
un'amenissima pianura, che è il paradiso
terrestre. Cfr. Agnelli, Topo-Cron., 52
® sog. -
7. MORTA: che sin ora cantò il regno
della morta gonte, Inf. VIII, 85. Coa) i
più. Al.: In poesia, allora negletta, è per-
ciò morta; ciò è contro la storia. -rorsl:
per poesia, anticam. anche in prosa; ofr,
Nannue., Nomi, 44 è seg.
A, vosTRO : vostro devoto, come poeta;
ofr. Purg. XXIX, 87 o seg. Horat. Od,
TIT, 4, 21 © sog.
9, Caniiori: Al. CALLIOPEA ; la Masa
400 |PROEMIO]
Puro. I. 10-20
[LE QUATTRO STELLE]
10 Seguitando il mio canto con quel suono,
Di cui le Piche misere sentîro
Lo colpo tal, che disperàr perdono,
13 Dolco color d’ oriental zaffiro,
Che s’accoglieva nel sereno aspetto
Dell’ aer, puro infino al primo giro,
16 Agli occhi miai ricamineid dilatto,
T'osto ¢ ura morta,
Che m' echi e il petto.
19 Lo bel pi nforta,
Faceva
della poesia epica. - «
precor, adspirate canon
IX, 523. - ALQUANTO: 1
tica antecedents, - sul
poco, nobilitando la mia
Met. V , 338 è seg. Sul pr
dell’ invocazione cfr. Oz
10, SEGUITANDO: 460,
SUONO : sOuVe.
11, Picur: le novo figlie di Piorlo re di
Tessaglia che, avendo sfidato al canto lo
Muse, furono da queste vinte e trasfor-
mate in piche; cfr. Ovid. Met. V,3020seg.
12. pisPKUÀRK: non vollero darsi vinte
nè chieder perdono allo Muse; cfr. Ovid.
Met. V, 663 e seg. « Potrebbe anco dire
lu testo: che dispettar perdono, civd ebbo-
no in dispetto che funse loro perdonato; »
Buti. I codd. non conoscono la lezione
DISUKTTAR. « Numquam postea possunt
sperare ut restitaantur ad primum fa-
main, quam prius intempostivo od indi-
gno usurparo sibi conabantur; » Benv.
- PERDONO: riparo, rimedio. Di perdono
ip questo senso non mancano altri esempi
presso gli antichi; cfr. Betti II, 8.
V. 13-27. Le quattro stelle. Usciti
dall'aura morta, i due Poeti si dilettano
dell'aspetto che loro si offre. Ecco I’ aere
puro di color di zaftiro, ecco la lace, il
pianeta d'amoro e quattro stelle non vi-
ate mai fuori che da Adamo ed Eva. In-
dubbio è che le quattro stelle abbiuno un
significato simbolico e figurino lo virtà
cardinali: prudenza, giuatizia, fortezza e
temperanza; cfr. Purg. XXXI, 106; in-
dubbio è pure che Dante intenda parlare
di stelle reali; cfr. Purg. VIIT, 01 © seg.
Dovrebbero dunque essere le quattro
stelle che formano la Croce del Sud. Ma
sapeva Dante della loro esistenza? O im-
magivd egli poeticamente queste quattro
non viste moi sembra alludere a
rumonte simboliche, Per altro la
: Std è acconnata da Tolomeo
3gesto, tradotto in latino sin dal
on ignoto al nostro Poeta. Ofr.
i, Abhandlungen I, 57-70, Com.
J e seg.
Jr: atzurro, simbolo della spe-
r. Innocent. ITT, Bp. 3.-onten-
sau: =ovhd dae specie di rafliri; l'una si
chiama l’orientale, perohé si trova in
Media ch'è nell’ oriente, e questa è mel-
liore che l'altra e non traluce; l'altra si
chiama per diversi nomi com’ è di diversi
lnoghi;» Buti.
14. 8'ACCOGLIRVA : 8Î adunava, si con-
teneva. « Altri avrobbo detto spandeva;
ma nell’ immensita il Nostro vede l' uni-
tà; » Tor.
15. Gino: cerchio, o circolo; l'orizzonte.
Al.: il cielo della luna. Al.: il primo e più
alto giro dello stollo, cioò il primo mobile.
Cfr. ANTONKLLI, Studi particolari sulla
D. C., p. 41 e toy.
16. DILETTO: nou più gustato dopo es-
sere entrato nell’ inferno.
17. MORTA: oscura, caliginosa.
18. GLI occu: i sensi. - IL PETTO:
l'animo.
19. PIANETA: Venere; secondo altri il
Sole (cfr. Gius. Bassi, Commento al verso
di Dante « Lo bel pianeta che ad amar
conforta, » Modena, 1893. Esusp., Com-
menti dantescht, Lucca, 1894), opinione
inattendibilo. Nell’omisfero ovo i Poeti
sono giunti, sono circa lo 4 !/s antime-
diane del quarto giorno del loro viaggio.
Ii terzo giorno fu impiegato nel risaliro
dal centro della terra fino alla superticie,
ove sorge la Montugua del Purgatorio.
- AD AMAR: cfr. Conv. IT, 6. Par. VIII,
1 © seg.
[PROEMI10]
Pura. 1. 21-83 [LE QUATTRO STELLE] 851
Velando i Pesci ch'erano in sua scorta.
22 Io mi volsi a man destra, e posi mente
All’altro polo, e vidi quattro stelle
Non viste mai fuor ch’alla prima gente.
25 Goder pareva il ciel di lor fiammelle:
O settentrional vedovo sito,
Poiché privato se’ di mirar quelle!
28 Com’ io dal loro sguardo fui partito,
Un poco me volgendo all’altro polo,
Là onde il Carro già era sparito;
al Vidi presso di me un veglio solo,
Degno di tanta reverenza in vista,
Che più non dee a padre alcun figliuolo.
21. VRLANDO: colla sua luce. - acon-
TA: in congiunzione col pinneta di Ve-
nere.
22, DESTRA: verso il polo antartico,
24. PRIMA GENTE: Adamo ed Eva, di-
morando nel paradiso terrestre; dacché
ne furono discacciati nessuno le vide più.
Al. intendono degli nomini dell'età del-
l'oro; Benv, degli antichi Romani che
praticarono lo virtit canlinali, — « Ernunt
antem em stellm, quas nmuqnuam ex hoe
loco vidimus: et em magnitudines om-
nium, quas esse numquam suspicati su-
mus; » Cie. Somm. Scip., 16. Cfr. Macrob,
in Somn. Seip. I, 16.
26. vVEnovo: disorto di virtà, efr. Purg.
XVI, 68 e sog. Qui le quattro stelle sem-
brano prese in senso tutto allegorico;
Dante ai dnole che il nostro emisfero set-
tentrionale sin privo delle quattro virtù
cardinali.
V. 28-48. Catone tl custode del Pur
gatorio. Ecco nn venorando veechio sn
la eni faccia le quattro stelle mandano il
loro lame. È Catone d'Utica, n. 95, m. di
mano 46 n, C., l'entusiasta pala-
dino della libertà romana. Come pagano
dovrebbe easere nol limbo, come anicida
nel secondo girone del settimo cerchio
dell'inferno. Ma, assieme con tutta l'anti-
ehità è con non pochi Padri della Chiesa,
Dante aveva Catono in grandissima ri-
voronza; cfr. Conv. INI, 5;1V,5, 6, 27,
28. De Mon. IT, 6. Onde non volle met-
terlo nel sno inferno non sofferen Iolo il
enor suo, nè volle passarlo sotto silenzio
non sofferendolo la ann ammirazione. Lo
mise dunque come custode all'ingresso
del Purgatorio, condannandolo ed in pari
tempo assolvendolo, Tutte quante lo al-
tre anime non dannate ponno ire a farsi
belle e salire quindi alle beate genti men-
tre dura tuttavia il tempo, Catone inve-
ce, ei solo, 4 condannato a star ll, all'In-
gresso del Purgatorio sino alla consoma-
zionede'sscoli, ciod sino al gindizio finale.
Allora, ma non prima, la sun veste sarà
chiara sopra altro 6 Catone potrà en-
trare nella gioin del Paradiso, Cir. Pro-
leg., 498 è sog. Dante-Handb., 437 6 ae-
guenti. Sulla letteratnra concernente Ca-
tone custode del Purgatorio cfr. WOLFF,
nel Danfe-Jahrbuch IT, 226-32. DELLA
Giovanna, L'Allegoria di Catone, ne’
anol Frammenti di Studj Danteschi,
Piacenza, 1886. O. VANNUCCHI, Catone,
nel suo Nuovo Commento ai parsi più
oscuri della Div. Com. Lucca, 1880. Banr-
Trout, Lett. ital. VI, 1, 192-200. Cnesci-
MANNO, Figure Dantesche, Venezia, 1893,
p. 96-126. Knawus, p. 426.
28. com'10: tosto che lascini di rignar-
dare le quattro stelle e mi volsi a sinistra
verso i] polo artico, dove l' Orsa mag-
giore non appariva più.
30. rà: l'Orsa maggiore restava sotto
l' orizzonte.
81. veanio: Dante sembra avere igno-
rato il fatto che alla sna morte M. Porcio
Catone Uticenso non aveva che 40 awn,
O al devo forso Intendero cho Cntono
s'invecchiasso nell'altro mondo?
82. IN VISTA: all'aspetto; cfr. v. 79.
Purg. X, 81; XXXII,147. Par, IX, 68,
83. riù: cfr. Lucan, Phare, IX, 601.
De Mon. III, 3, 90 6 sog.
352 [PROEMIO]
Pura. 1. 34-48
[CATONE]
84 Lunga la barba e di pel bianco mista
Portava, a’ suoi capegli simigliante,
De’ quai cadeva al petto doppia lista,
97 Li raggi delle quattro luci sante
Fregiavan sì la sua faccia di lume,
Ch'io’l vedea come il sol fosse davante.
40 « Chi siete wai she nantea al rigco finme
Faggito srna ? »
Diss’ ei, © piume:
43 « Chi v' hi lucerna,
Uscendr notte
Che sen inferna ?
46 Son le leg, la
O) è mut iglio,
Che, da grotte? »
Bi, MISTA: cauuta; ofr,
Secondo Lucano (Phara,
dal tempo che scoppiò la _
Catone non si rase più la waswe, Lu os
tagliò i capolli. « Intonsos rigidam in
frontem descendere canus l’assus erat,
mestamque genis succrescore barbam. »
35. A'8UO1: Al. kK 1 8U01. I capogli mi-
sti di bianco e di nero come la barba.
36. portria: duo lunghe ciocche di ca-
pegli grigi cadenti sul petto.
37. LUCI: stelle, cfr. v. 23. - SANTK:
porchd simboleggiano le virtù. Le quat-
tro virtù cardinali « risplendevano in
Catone via più che in alcun altro; » Dan.
39. COMK IL: come 86 iu avessi avuto il
Sole a me dinunzi; cfr. Dan. XII, 3. AL:
come se il Sole gli battesso in faccia.
Benv.: « ac si esset dies clara, qu tamen
non erat adhuc, sed claritas Catonis adiu-
vabat claritatem auroriv, et reddebat
ipsium visibilom clare. »
40. CHI: non conrscendo i due Poeti,
Catone li crede anime fuggito dall'infor-
no, onde parla tra «legnoso v maravi-
gliato. - contro: risalondo il corso del
ruscelletto già descritto, Inf. XXXIV,
130.
41. LA PRIGIONE: l'inferno, dal quale
sembra che Catone li vedesso uscire. Im-
porocchò appena usciti fuor dell’ aura
morta i due Poeti si fermarono a guar-
daro le quattro stelle; quindi, volgendosi
all'altro polo, Dante vede il veglio presso
di sè. Pare quindi cho Catone fusse lì non
lungi dal pertugio tondo per lo qualo
Virgilio uscirono a riveder le
le potè vederli uscire,
we: la barba; « Insperata Lum
Guesessa vodiet plama superbin, Et, gure
nunc humeris involitant, deciderint co-
mio; >» Horat. Od. IV, 10, 2 e sog.
43. LUCKRNA: chi vi fe’ lume ad usciro
fuori della profonda notte infernale f
40. LEGGI: che impongono ai dannati di
rimanere in etorno nol luogo loro asso-
gnato dalla divina giustizia; cfr. Inf.
III, 9. S. Matt. V, 26.
47. MUTATO: o forse che in cielo si è
fatiu nuova legge, la quale concede ad
anime dannate di usciro dall’ inferno?
Betti: « 0 il cielo ha mutato nuovamente
consiglio, cambiando le mie grotte in
luogo di danuaziono? »
48. DANNATI: tali li suppone, perchè
usciti or'ora dall'inferno. - GROTTK: non
« alla mia spelonca » (Lomb.), ud alle
« rocco che suno intorno alle falde del
monte » (ZBiag.), mu grotte chiama i cer-
chi del Purgatorio, che sono dirupi è
balzi su per i quali la montagna s'in-
grula. Grotta in senso di rupe fu voce
comunissima agli antichi ed è tuttora
viva; cfr. Inf. XXI, 110. Cuverni, Voci
e Modi, G4 © seg.
V. 49-84. Preylicra di Virgilio. In-
vitato Dante ad atteggiarsi in atto di ri-
verenza, Virgilio risponde disingannando
Catone col dirgli che non sono anime
dannate, e la cagione del viaggio e chi lo
vnole. Rammentatagli quindi la sna già
diletta Marzia, lo proga di lasciarli andar
[PROEMIO]
Pura. 1. 49-69
[CATONE] 353
49 Lo Duca mio allor mi dié di piglio,
E con parole e con mani e con cenni
Reverenti mi fe' le gambe e il ciglio.
52 Poscia rispose lui: « Da me non venni:
Donna scese del ciel, per li cui preghi
Della mia compagnia costui sovvenni.
55 Ma da ch'è tuo voler che più si spieghi
Di nostra condizion, com’ ella è vera,
Esser non puote il mio che a te si nieghi.
58 Questi non vide mai l'ultima sera,
Ma per sua follia le fu sì presso,
Che molto poco tempo a volger era.
ol Si come io dissi, fui mandato ad esso
+ Per lui campare, e non c'era altra via
Che questa, per la quale io mi son messo.
dI Mostrata ho lui tutta la gente ria:
Ed ora intendo mostrar quegli spirti
Che purgan sé sotto la tua balia.
07 Com’ io I’ ho tratto, saria lungo a dirti:
Dell’ alto scende virtù che m' aiuta
Conducerlo a vederti ed a udirti.
sn per i gironi del Purgatorio, promet-
tendogli di lodarsene poi nel limbo al-
l'affottuosa Marria.
49. mr mè: mi afferrò; ofr. Inf. IX, 58
oseg.; XXIV, 24,
50, CON PAROLE: « omnibus modis qui-
bos potnit in tam brovi puncto; quia
Cato erat dignns tanta reverentia; quod
Alias plus non debet patri; » Fenv.
61. LE GAMBE: fncendomi inginocchia-
re è chinare gli occhi; efr. v. 109.
52. vA MR: di mio arbitrio, spontanea-
mente. Al. Non son vennto por virtù
mia, colle mie forze,
52. DONNA: Beatrice cfr. Inf. II, 626
aog.; XII, 88 è seg. Prima di rispondere
alla domanda : chi siete voi? Virgilio pro-
cura di calmare lo sdegno di Catone ri-
all'altrasnadimanda: chi v'ha
guidati? cfr. V, 40, 43, Inf. XXXIV, 108
è neg. Par. XVI, 22 © neg.
f6. smroni: al esponga nitoriormonte
quale sia propria la nostra condizione.
66. VERA: veracemente; confr. Canz.
Amor, dacchè convien, at. 8.
67. 1. mio: volere; sono pronto a di-
chiararti meglio In nostra condizione.
23, — Div, Comin, 3” odiz,
58. NON VIDE: non è ancor morto. « Lit-
teralmente dico della morte corporale, et
allegoricamente s'intende della morto
spirituale; » Buti. Cfr. Conv, IV, 7.
50. rotta: abbandonando la verace
via, partendosi dall'uso della ragione è
non considerando nè |l fine della aun
vita nè il cammino cho fne doveva; ofr.
Conv, IV, 7. Inf. I, 1 © seg.
60. roco: in breve tempo e' sarebbo
stato perdato; ofr. Inf. I, 61; II, 61-66.
61. Diast: v. 62, 63.- MANDATO : da Bea-
trice; cfr. Inf. II, 68 e nog.
62. won c' wna: Al. Now v' KRHA. Per
salvarlo non o' ern altro modo che di
guidarlo attraverso | regni della morta
gente; ofr. Inf. I, 91 © sog., 112 © sog.
64. TUTTA: non ogni singolo dannato,
ma tutte le diverse classi di dannati. -
ARENTR WA: | dannati. Rio per reo anti-
camente anche in prosa.
65. arivtt: le anime del Purgatorio
equi mundantur a pecontia in purgato-
rio, cuina tu ss cnstos; » Renv.
68.ALTO: cielo. Non avrei potato guidar-
lo sin qui senza l'aiuto che vien dal cielo,
00. UDIRTI: a sapere da te in qual modo
Pura. 1, 70-85
[CATONE]
354 [PROEMIO]
70 Or ti piaccia gradir la sua venuta:
Libertà va cercando, ch’ è si cara,
Come sa chi per lei vita rifiuta,
73 Tu’l sai, ché non ti fu per lei amara
In Utica la morte, ove lasciasti
La vesta ch' al gran di sarà sì chiara.
76 Non son gli editti aterni nar noi guasti,
Ché ques
Ma sond
79 Di Marzia |
O santo }
Per lo su
82 Lasciane al
Grazie rij
Se d' essi
85 « Marzia pi,
debba propararsi al viaggi.
comulo regno, dove l'umano ser -- -1-
ga; cfr. v. 04 © sog.
71. LibkkTÀ : morale, ciod dello spirito,
la quale è il fondamento di ogni libertà
umana, anche della civile; cfr. S. Giov.
VIII, 36. Rom. VIII, 2. TI Cor. III, 17.
Inf.XVI,61. Purg. XX1V,141; XXVII,
115. Par. XXXI, 85, ecc.
72. CHI: come tu. - PKR LKI: per non
perdere la libertà. - RIFIUTA : sacrifican-
dosi o uccidendosi; cfr. De Mon. 11, 5, 97
© 80g.
75. LA VKSTA: il corpo. Al. LA VKSTK.
- GUAN bÌ: dolla rosurrezione o del giudi-
ziotinale.-cHia na: nella gloria celestiale.
76. NON S0N: risponde alla domanda di
Catone, v. 46. Essendo costui ancor vivo,
nè io essendo tra‘ dannati soggotti a Mi-
nosse, non è per noi guasta, cioò violata
alcuna delle leggi infernali.
77. Minos: cfr. Inf. V, 4 e seg. - NON,
LkGA: non sono sotto la sua giurisdizione,
la quale incominciaal 2° cerchio dell’Inf.
78. cxucnio: limbo, cfr. Inf. IV, 39. -
OCCHI: per cattivarai l'animo del severo
uticense, Virgilio evoca la memoria di
Marzia che si trova uel limbo, la descrive
come ancor laggiù felelo al suo Catone e
gli promette che riportorà grazie a lei,
tornando in quel luogo.
79. Mauzia: cfr. Inf. IV, 128. « Mar-
sia fu vergine, pui venne a Catone, fece
allora figli, e partissi da Catone e mari-
non lega;
li occhi casti
ti prega,
tegni;
joi ti piega.
regni:
degni, a
n miei,
tenalo; fece figli da questo an-
uni Jrtoneio, o Marzia vedova fatta
tornò dal principio del suo vedovaggio a
Catono, e richiose lui e pregollo chela do-
vesse riprendere. E dice Marzia: Dammi
li patti degli antichi letti, dammi lo nome
solo del maritaggio. Due ragioni mi muo-
vono a dire questo: l'una si è, che dopo
ine si dica ch'io sia morta moglie di Ca-
tone; l'altra si è, che dopo me si dica che
tu non mi scacciasti, ma di buon animo
mi maritasti; » Conv. 1V, 28; cfr. Lucan.
Phars. II, 341 © sog. - IN VISTA: col sem-
biante e negli atti.
80. 5sANTOUKITO: <osacratissimo petto
di Catono, chi presumerà di te parla-
re?» Conv. IV, 5. - TUA: moglie.
81. PKR LO SUO AMORK: si può inten-
dere Per i'amore cle tu portasti e porti
a lei, oppure Per l'amore che ella portò
e porta a te. - 11 PIEGA: condiscendi.
82. RKGNI: cerchi del Purgatorio, afil-
dati alla tua vigilanza; cfr. v. 66.
83. RIPORTKRÒ: ti ringrazierò innanzi
a Marzia. Cfr. Inf. 11, 73 e seg.
84. LAGGIÙ: « in inferno, quasi dicat:
ei salvati curant sibi de laudibus damna-
torum; vel hoc furte dicit, quia teste Sa-
lustio, Cato semper spernebat gloriam
humanam; > Benv.
V.85-111. Risposta di Catone. Il cu-
stode rispondo fucendo anzi tutto quasi
un delicato rimprovero a Virgilio. Dice
cheamò Marzia teneramente finchè visse,
[PROEM10]
Pure. 1. 86-97
[CATONE] 355
Mentre ch’ io fui di là, » diss’ egli allora,
« Che quante grazie volle da me, fei.
88 Or che di là dal mal fiume dimora,
Più mover non mi può, per quella legge
Che fatta fa quando me n'uscii fuora.
DI Ma se Donna del ciel ti move e regge,
Come tu di’, non c'è mestier lusinghe:
Bastiti ben, che per lei mi richegge.
of Va’ danque, e fa’ che tu costui ricinghe
D'un giunco schietto, e che gli lavi il viso,
Sì che ogni sucidume quindi stinghe:
oT Ché non si converria |’ occhio sorpriso
ma, ora che essa dimora di là dal mal fin-
me, cioò dall’Achoronte (cfr. Inf. ITI,7R
6 seg.), non lo può interessare punto per
quella leggo che fu da Dio imposta quan-
dl'egli uscì nori del limbo, Se però Vir-
gilio ha intrapreso il viaggio per volere
celeste, non occorrono altre lusinghe. Gli
ingiange quindi di ricingere Dante di un
giunco schietto, come crescono nel più
linano del terrono dell'isola, e dl Invargli
fl viso, finchè non sia troppo indegno di
comparire dinanzi al portiere del Purga-
torio che è an nngelo del cielo.
80. pt LÀ: nella vita terrestre, cfr. Inf.
XXVIII, 70 6 seg. Conv. IV, 28. Benv.
ed al.: nel limbo tra gli illustri; interpre-
tazione cho sembra confortata dal v, 88,
80, mover: non può più plegarmi a
farlo veruna grazia,- LE0GK: che separa
in modo assoluto i dannati dai salvati.
Catone morì circa 80 anni prima della
morte di Cristo, qnando « spiriti umani
non eran salvati, » Inf. 1V, 03, e nessuno
andava ancora in Pargatorio, ma totti
nel limbo ad aspettare il tompo della ro-
fienzione, Vi sarà per conseguonza nn-
dato anche Catone, e rimastovi finché
venne il Possente n trarnelo fuori, cioè
sino alla discesa di Cristo agl'infori; ofr. '
Inf. IV, 46-63.
00. x' usci: il ne non pnd riferirsi
qnd che alla regione al di
dal mal flreme ; dunqne Catono parla
iti «rolla logge che fa fatta quando egli
teri dal limbo, è In legge sarà, non do-
rerri da quindi innanzi essere più vo-
runa relazione tra qne' che Cristo trasso
dal limbo e gli altri che vi rimasero.
* Inter nos et vos chaos magnom firma-
tom est; » 8. Luo, XVI, 26. I più inten-
dono invece: quando moril. Ma qual mai
nuova logge divina fn fatta alla morte di
Catone!
Ol. powA: ofr. v. 63. - MOVE: fa an-
dare. - REGGE: guida :
02, LUSINGHE: preghiere; cfr. Perti-
cari, Difesa di Dante, o. 17.
03. BASTITI: « quasi dica: Per lei non
mi movrei, che è dei dannati; ma per
li celestiali sì, ai quali per vera carità
sono disposto n compincero ; » Jtudi. — ni-
cuecor: richiegga; forma dell'uso an-
tico, Cir. Nannue., Verbi, 284 6 seg.
o4. va" DUNQUE: «Et quia, ut nit Se-
neca, virtus rine fructts mul esse non po-
test, introdocit auctor iste nuno se a Ca-
tone, ut n virtute ot honestate, instrui
ad id, quod soribit Bernardus dicens :
primum opus virtutia est doceri, st cum
humilitate et cum labore quceri, et cum
amore haberi, Idoo dirigitar per enm ad
ascensnm montis, nhi ost labor; item ad
landandum (sic! lavandum?) et cingen-
dum ipsum na Virgilio, idest a rations,
de junco, idest de humilitate; » Petr.
Dant. - niciwaue: ricinga; forma del-
I nao antico, como richegge 6 stinghe, per
richicgga è stinga.
05. scatto: pulito, sensa foglie; il
contrario de' rami nella dolorosa selva,
Inf. XIIT, 5. I comm. dicono che questo
giunco figura l'umiltà semplice e pazien-
te, efr. v. 195, Ma forse intente ana umil
tà intto speciale, cio’ quella cho monnalia
fade, opposta a quell'orgoglio filosofico
del qaale il suo coetaneo e vicino Giov.
Villani ncensa il Poeta, Cron. IX, 196.
06. BUCIDUME: depositatovi sopra dal-
l'arininfernale.- sTtINauE: stinga, levi via.
07. L'ocomto : ablat. nssol.; con l'occhio
$56 [PROEMIO]
Pongo. r. 98-112
[CATONE]
D’alcuna nebbia andar davanti al primo
Ministro, ch'è di quei di Paradiso.
100 Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
Laggiù, colà dove la batte l'onda,
Porta de’ giunchi sovra il molle limo.
103 Null’altra pianta che facesse fronda,
ORA i) AE AO
Però ch’ onda.
106 Poscia non \dita;
Lo sol v omai,
Prender salita, »
109 Cosi sparì:
Senza pa 4881
Al duca drizzai,
112 Ei cominci
sorpreso, offuscato dalla in)
ID sorpriso per sorpreso i
Yerbi, 400 a sag.
09. mixistiRo : l'angelo portlere del Par-
gatorio; cfr. Purg. 1X,78086g, AL: l'an-
gelo nocchiero, Purg. II, 286 seg. Ma ud
Dantee Virgilio gli andarono dinanzi, nò
quest'angelo badò tanto o quanto a loro.
100. AD IMO: nel punto più basso, lungo
la spiaggia; « quia in loco basso vivit et
viget humilitas tutlor contra impetus ad-
versorum, quam alta superbia;» Benv.
102. PORTA : produce.
103. NULL'ALTRA: l'umiltà è il solo
principio di purgazione. Zeno. per le al-
tre pianto intendo le altre virtii, conio
giustizia, magnanimità e fortezza, cho
non si piegano innanzi ai colpi delle av-
versità. Invecel'An. For :« Perla pianta
vuol dire et mostrare l'uomo superbo: et
dice che veruna piauta che induri o fac-
cia fronda quivi non può avere luogo; ciò
è veruno superbo che mostri per le fron-
di, cio è per le sue operazioni o dimostra-
zioni, la sua superbia di fuori, o che di
quella superbia induri nell'animo et di-
ventiostinato non può quivi avereluogo. »
104. INDURASSK: non cedesse all’ urto
delle onde.
105. PERCOBSE: urti delle onde, v. 101,
e del turbine, ofr. Inf. XXVI, 187 e seg.
- NON BECONDA : non cedo, plegandosi.
106. roscia: che Dante sarà cinto e
lavato. - REDDITA : ritorno; « quia homo
ingressus purgatorium, idest paniten-
tiam, non debet amplius redire versus in-
miei passi:
ost vitia, a quibus recossit ; »
rarrà : ofr. Inf. T, 18, I Poeti
dovor cito il monto girando da levanto
a ponente ssconilo il giro del Sole. - 8uUk-
ag: efr. v. 19 è seg. « La contemplazione
del cielo, il colloquio con Catone, avevan
già preso tanto di tempo, ch’ ora ormal
spuntata l'aurora, e al volger del Sole
mancava poco; » Antonelli.
108. PRRNDRL: così con molti codd.
Benv., Serrav., Lomb., eco. I più: rrKn-
DETK: ofr. MOORE, Orit., 368. - A LIÙ LIK-
vk: dove tl monte ha ascesa men ripida;
ofr. Inf. XIX, 35. Purg. III, 76.
109. così: detto questu scomparve. Non
sembra necessario di ammettere che Ca-
tone si rendesse invisibile, come suppon-
gono Lomb. ed altri. - MI LKVAI: dallo
star inginocchione; cfr. v. 51.
110, MI RITKABSL: mi strinsi; cfr. Inf.
XXI, 97.
111. DIIZZAI: «quasi dicerem : ecce me
paratum facere obedientor omnia impe-
rata; >» Benv.
V.112-136. Dante ricinto e lavato
da Virgilio. Scomparso Catone, i due
Poeti si accingono senz' altro ad eseguire
ciò che egli ha loro imposto. Vanno dun-
que giù verso la spiaggia, Virgilio lava
colle sue mani il volto del suo alunno e lo
cinge con un giunco schietto, scegliondolo
di mezzo agli altri giunchi. Il giunco rina-
sce subitamente là dove Virgilio lo svelse.
112. FIGLIVOL, 8kGUI: Al. BKGUISCI I
MIKI PASSI.
[PROEMIO]
Puro. 1. 113-125 [DANTE E VIRGILIO) 857
Volgiamci indietro, ché di qua dichina
Questa pianura a’ suoi termini bassi, »
115 L'alba vinceva |’ bra mattutina,
Che fuggia innanzi, si che di lontano
Conobbi il tremolar della marina.
118 Noi andavam per lo solingo piano
Com’ uom che torna alla smarrita strada,
Che infino ad essa gli par ire invano.
121 Quando noi fummo dove la rugiada
Pugna col sole per essere in parte
Ove, ad orezza, poco si dirada;
124 Ambo le mani in su l’erbetta sparte
Soavemente il mio maestro pose;
113, INDIETRO: erano arrivati all'iso-
letta in direzione della parte meridionale;
efr. ¥. 10 è sog., 20 e seg. - DICHINA: de-
clina, o discende verso il mare.
114, tirRMINI ASSI: la spiaggia, il
punto ad imo ad imo dell'isnletta.
116. L'ALBA: caso retto, — L'Ora: l'an-
ra. « L'alba cacciava davanti n sé quel
venterello che suol muorersi innanzi al
sole, e che inorespando la marina, la fa-
cova tremolare: » Ces. AI. diveranmente.
Buti: « La bianchezza che nppare nel-
l'oriente qnando incomincin n venire lo
A) mincera l'ora mattutina, cioò l'ora del
mattino, che è l'altima parto do la notte,
che fuggia innanzi, cioè a l'alba.» Se-
condo lo Strocchi Dante uaa qui ora in
senso di ombra, onde il senso sarebbe:
l'ombra mattatina, o dell’ ultima parte
della notte, fuggiva davanti all'alba, che
vittoriosa l'incalzava; cfr. Virg. Aen,
TIT, 589; IV, 7. Qaalchedunointerpreta:
L'ora mattotina precedeva l'alba, sd ora
belo. Sa questo passo ofr. A. v. Humboldt,
Formor, ediz. orig. Il, 52, 120. BLAxC,
Versuch 11, 5 0 sog.
117. TREMOLAR: movimento logglero
delle onde; ofr. Virg. Aen. VIT, 0.
118. soLixco: non e' ern che Catone,
ed nnch'egli già scomparso.
119. AMARRITA : Al. PRIADUTA.
120. imnvaro: gli paro che faccia nn
cammino inutile, finchò nen sin giunto
nulla buona vin. « La rimilitadine, con
tanto semplice immagino, simboleggia il
profondo desiderio d'un bene lungamen-
te impedito, e fatto «dal contrasti più
prezioso; » L. Vent.
122. rUGNA : resisto più lungamente ni
raggidelSole.- cor soLE ren: quasi tutti
leggono: COL BOLE, K PER RSSERE, 800, Ci
sono proprio codd, che hanno soLE Kr!
Sembra di no. In ogni modo quasi tutti
hanno col role per, nd ai vorrà leggere sol,
e per (col #00!) «Il Poeta ba voluto si
gniflenre: Quando jo e Virgilio scendem-
mo verso la riva del mare, ilove la ru-
giada resiste ni raggi del sole per essere
in parte dove ossa può, ad orezza, ossia
al venticello o nll'arin fresca ed omida
del mare, mantenersi più a Inngo, Vir-
gilio ateso le mani anll'erba, ecc,» 0.
Rice.
123, AD oureza: nl vonto, all'aria fro-
aca, Orezza da avra, per soflio logglero,
rentivello, aaa Dantennche Purg.XX1V,
150, Tutti, o quasi tntti, leggono: ove
ADOREZZA : 6 spiegano: Ore è rezzo, om-
bra, spira il rezzo. Ma dove c'è nn solo
esempio di nn verbo adorezzare? E qual
mal oggetto faceva ombra li dove si tro-
vavano i duo Poeti! E come mai poteva
ln ruginila prgnare col sole, so essa ern
all'ombra! Si prugna forse con nn nasen-
to? 1 cold. hanno adorezza, adaurezza,
adorezo, sce, Boconilo l'uso di scrivere
quasi costantemente le parole attaccnte,
il qual nso non basta pol a crenre il verbo
nssolutamente ignoto adorezzare. Del re-
ato anche Henv. legge od orezza esplega:
«nd ombram, ad friacem, » -Cfr. €. Ric-
ci, Ad orezm, Nola danteren (Katratto
dal Giornale Lettere ed Arti, N, 10), Fn-
ciel, 31, - DIKRADA : «dilogna.
124. srartR: aperto, distese, per ba-
goarle di quella rogiada onde doveva In-
varo il viso di Donte, v, 05.
126. BOAVEMENTE: ofr. Inf. XIX, 130,
368 [PROEMIO]
Pura. I. 126-186
[DANTE E VIRGILIO]
Ond’ io che fui accorto di su’ arte,
127 Porsi vér lui le guance lagrimose:
(Quivi mi fecé tutto discoverto
Quel color che l'Inferno mi nascose,
130 Venimmo poi in sul lito diserto,
Che mai non vide navicar sue acque
Uomo, coe esperto.
133 Quivi mi ei incque:
O maray celse
L'umile que
136 Subitameni
120. ARTE: intenzione; 1
voleva lavarmi il volto, I
Daute lavare il volto da V
di lavarselo da sò |
127. LAGRIMOSE: dove er
segni delle lagrime verant
viaggio per l'inferno, Alenn
che Dante plangesse in ques
o di penitenza, o ili tenerezza, -
Sembra però che, uscito dali mu. Bau,
o' non versasse più una sola lacrima,
traune Purg. XIII, 67 od all’ udire i rim-
proveri fattigli da Beatrice; cfr. Purg.
XXX, 145; XXXI, 20, 34.
128. FKCK: « ini rendò, lavandomi, il
natural coloro che fino allori ora rimasto
coperto sotto la infernal fuligino ; » Br. B.
129. COLOR: naturale, coperto dalle s0-
vrapposizioni caliginuso dell inferno. Ta-
luno afformò avere Virgilivlavato il Poeta
da ogniterrona sozzura. Sarebbostato un
po’ troppo presto ed avrobbe reso inutile
il viaggio su por lo monte della purifica-
zione; cfr. Purg. XXXIII, 142 e seg.
130. piskito: cfr. v. 118.
132. ToRNAR: indietro nell'emisfero
abitato. Il lido dell isoletta, dove sorge
il monte del Purgatorio, non vide mai
approdar nuvigando uomo alcuno, che
ilornato indietro, chè Uliase
\ più ; of. [nf XX VT,126080g.
ik: con un giunco schiatto. -
Jatone; cfr. v. 94 e seg. Cos i
ilegge « LUI 6 aploga: « A lui,
tlio, »
Lan: colse, scegliendola tra
\cQus: « Primo avulso non
douu. alter Aurens et simili frondescit
virga metallo; » Virg. den. VI, 143 eaeg.
- «Quai mostra che non si scema la gra-
zia di Dio per avere più pussessioni, ma
cotanto come n'è tolto, altrettanto ai ne
rinnovella; » Lan.Cos) pure0tt., Cass.,ecc.
- «Non vuol dire altro, se non che la
scienza et la virtù, ben ch’ olla si dia o
s' insegni altrui, non scema et non manca
al donatore, ma quella ch'egli dona, et
più, se no truova; » du. Fior. - «Per hoc
autem figurat quod ex uno actu humili-
tatis nascitur alius, ot virtus est conmu-
his offerens se unuicuique volonti eam
umplecti, et trausfanditur ex uno in
aliumi, nec recipit diminutioneni; » Bene.
Così pure Serrav., Land., Vell., ecc. Me-
glio forso: Lu grazia divina, onde pro-
cede all'uomo la virtà dell'umiltà, è ine-
sauribile nò vieue mai meno.
[ANTIP. ISOLETTA]
Pura. II. 1-7
[IL MATTINO) 859
CANTO SECONDO
ANTIPURGATORIO: ISOLETTA
——_—_
L'ANGELO NOCCHIERO, ANIME CHE ARRIVANO
CASELLA, DI NUOVO CATONE
Già era il sole all'orizzonte giunto,
Lo cui meridian cerchio coverchia
Ierusalèm col suo più alto punto:
4 E la notte che opposita a lui cerchia,
Uscia di Gange fuor colle bilance,
Che le caggion di man’ quaudo soverchia;
7 Si che le bianche e le vermiglie guance,
V.1-9, I/matHno del quarto giorno.
Sono ciren le 6 '/s di mattina del quarto
giorno del mistico viaggio. Spunta il Sole
mentre | Poeti sono ancora al mare.
1. ORIZZONTE : di Gernanlemmeo, comu
ne anche al Purgatorio, i due Inoghi es-
rendo antipodi; cfr. Della Valle, Senso,
226 aeg.; 2 e sog. Suppl., Meaeg. Ponta,
Orol. Dant. od. Gioia, p. 48 6 seg. Nociti,
Orario, p. 11 e seg.
2. coverenta : lo zonit 0 punto più alto
del circolo meridiano del detto orizzonte
sta sopra alla città di Gerusalemmo.
4. LA KOTTK: « Qui Dante personifica
la notte, e fingo che nbbin le mani, Essa
gira per la volta celeste dinmetralmente
apposta al sole, è però non vi si trova
al un tempo in tutti i punti, sebbeno
influenzi e copra più o meno tutti i
punti dell'emisfero, in coi domina, col
suo velo ombroao. Il Poeta ln fa necir
fuori dal Gange porch? colà egli pone
l'orizzonte orientale di Gernanlemmo.
Ciò posto, se ella tiene in mano le bi-
lancio, ciò è perché si trova nel segno
delle bilancie o della Libra; e le tiene
un mése, perchè sta nn mese nella Libra,
come anche vi sta il sole nell’ equinozio
di antanno. El è nppunto in quest’ in-
tervallo di tempo ch’ ossa viene di mano
in mano allungandosi, 0 soverchiando il
giorno. Ma questo allongamento, o ec-
corso sopra il giorno, non diviene gran
fatto sensibile, finchè il sole non passa,
o non è vicino a passare nel Segno dello
Scorpione, E qui si noti bene, che il
Poeta, quando dice che la notte sover-
chia, anppone, come tra parentesi, che
il Sole non aia già nell'Ariete, come ai
era allora, ma nella Libra; © se non lo
dice espressamente, lo lascia però sottin-
tendere, allorchè dice quando soverchia ;»
Della Valle, Senso, 85, cfr. Suppl., 30 6
seg. Fr. Srava, Ardita ma giustificabile
congettura che nel secondo canto del Purg.
Dante abbia potuto scrivere il sesto verso:
CHE LKR CAGGION DI MAN’ QUAKD' EI 80-
venouia, Roma, 1869.
6. DI GANGE: si credeva che, quanto
alla longitndine, Gerusalemme fosse equi-
distante dalle sorgenti dell’ Ebro e dalle
foci del Gange, è che tra questi done
punti della terra fosse una distanza di
180 gradi, onde l'orizzonte orientale di
Gerusalemme fosse una stessa cosa col
meridiano delle foci del Gange. Cfr. Rog.
Bacon. Opus Majus, dist. 10.
7. MIANCHE: necenna ni tre colori del
860 [ANTIP. ISOLETTA]
Pura. 11. 8-19
—— TEE
Là dove io era, della bella Aurora,
Per troppa etate divenivan rance.
10 Noi oravam lunghesso il mare ancora,
Come gente che pensa a suo cammino,
Che va col cuore, e col corpo dimora:
13 Ed ecco qual suol presso del mattino,
Per li gropei vanar? Marta rnesgggin
Gil nel po
16 Cotal m' app
Un lume j
Che *] ma
10 Dal qual con
giorno nascente; le guance |
l'alba; lo vermiglie, ossia l'
guance rance, cioò il colori
accompagna l'apparire del
È. FER TROPPA: porchdé
già tanto tempo, che il sole
sull'orizzonto. - TATE: Al. K._
si dica, togliendo quel de di con rin è
insoffribile; » Betti.
V. 10-51. L’ Angelo nocchiero. Men-
tre i Pueti sono ancora lungo la ma-
rina appare di lontano un lume che si
fa bianco, si avvicina. E un angelo che
in una barca mena le anime, senza remi
e senza vele, trattando l’acre con le
eterne penne. Nella barca sono più di
cento spiriti che cantano un salmo di
riugraziamento. L'Angelo fa loro il se-
gno della croco, essi sbarcano ed egli
tornasl voloco come venne.
11. a suo: Al. CHK L'KNSA BUO CAM-
MINO; nell'incertezza di chi, non esperto
del luogo, cfr. v. 59 e seg., non sa qual
via prendere, desidera di andare ed in-
tanto sta furmo. « Lu similitudine mostra
lo stato di chi desidera procedere per
cammino sconosciuto, e nel dubbio di
errare sta fermo pensando; » L. Vent.
13. ED ECCO: mi apparve di subito uno
splendore luminoso, come quello del pia-
neta Marte, quando nell'aurora appare
rosseggiante verso occidente, per i densi
vapori che lo circondano. - SUOL I'RK380 :
Al. SUL PRESSO ; sull'avvicinarsi; ma qual
mai scrittore antico usò una sol volta
presso come sostantivo? « Quel presso a
modo di sostantivo non è roba né antica
nè da Dante; ma da gazzettieri e cava-
locchi del secolo XIX;» Fanfani. Le
obbiezioni di Crs. BKCcaria (Di alcuni
marino;
reggia!)
atto,
Ir pareggia:
ratto
ili è controversi della D, C.,
80) sono inattendibili, Al,
ma forso che il mattino ser-
ancta Martel! Al, sornmaso,
eco, Cir. Moomk, Orit., 200 è
Versuch 11, 0 è sog.
‘: «Ut veniens dextrum latoa
APs sul, Lievom discendons corra
fagiente vaporet;» Horat. Epist. I, XVI,
6 © seg. - ROSSKGGIA: per rosseggiare;
l'infinito tronco dell’ ultima sillaba, oo-
me si usò anticamente in verso ed in
prosa; cfr. Gherardini, Voci e Maniere
I, 661 © seg. Nannuc. Verbi, 337 e seg. -
« Marto dissecca e arde le cose, perchè il
suo calore è simile a quello del fuoco; e
questo è quello per che esso appare af-
focato di colore quando più e quando
meno, secondo la spessezza e rarità delli
vapori che '] seguono; IL) quali per loro
medosimi molto volte s'accondono, sic-
come nel primo della Meteora è determi-
uato; » Cono. II, 14.
16. GIÙ; nelle parti occidentali. « A t-
talante abitd in Africa giù nel ponente,
quasi di contro alla Spagna; » Vill. I, 7.
Al. QUI NKL PONENTE.
16. 8'10 ANCOR: così possa io vederlo
un'altra volta! Cioè dopo la mia morte.
Dan. od al.: « come a’ io lo vedessi ades-
80; » ma Dante non dice cho il lume gli
apparve come se ancor lo vedesse, sì
come Marte rosseggiante nell’ aurora. -
VEGGIA: vegga; forma dell'uso antico;
cfr. Nannuc. Verbi, 753.
17. LUMK: per la gran distanza non
può ancor distinguere che è un angelo.
18. PARKGGIA : più veloce che uccello
non possa volare; confr. Inf. VIII, 18
© seg.
[ANTIP. ISOLETTA]
Puro, 11. 20-38 [ANGELO NoccHIERO] 861
L'occhio per dimandar lo duca mio,
Rividil più lucente e maggior fatto.
22 Poi d’ ogni lato ad esso m’ appario
Un non sapea che bianco, e di sotto
A poco a poco un altro a lui n’uscio.
25 Lo mio maestro ancor non fece motto,
Mentre che i primi bianchi apparser ali.
Allor che ben conobbe il galeotto,
28 Gridò: « Fa’, fa’ che le ginocchia cali;
Ecco l’Angel di Dio, piega le mani:
| Omai vedrai di sì fatti ufficiali.
al Vedi che sdegna gli argomenti umani,
Si che remo non vuol, né altro velo
Che l’ale sue, tra liti sì lontani,
4 Vedi come le ha dritte verso ’ cielo,
Trattando l’aere con |’ eterne penne,
Che non si mutan come mortal pelo. »
07 Poi come più e più verso noi venno
L'uccel divino, più chiaro appariva;
20, DIMANDAR: cho ome si fosse quello.
21. RIviDm.: lo rividi più Incente o più
grande, perché già nssai più vicino.
22. LATO: alla destra ed alla sinistra
del lume mi apparve wn non so che «di
bianco (cioè le ali dell'Angelo) e di sotto
a quel bianco si mostrò n poco a poco
nn altro bianco (la veste dell'Angelo). -
m'arrarto: mi apparre; ofr. Nannue.
Verbi, 176 © sez.
26. mexTRR: Virgilio non parlò, fnehò
non sbbe cennoscinto la natura di quel-
l'apparizione, ignota anche a lol che nel
secondo regno non ora ancora mai stato.
—1 Primi: d'ogni lato al Inme, cioè olla
faccia dell'Angelo, che era appunto quel
lume. - arransRIt: si dimostrarono es-
sere ali. Al. AveRsER 1'ALT, lezione di
molti codd. ed ediz. Ma se i primi bian-
chi erano le ali dell'Angelo, come mai si
può dire: «lo ali npersero le ali? » Cir.
Moon, Orit., 271 © sog.
27. caLwerm: §) celostial noechioro,
v. 49; cfr. Inf. VIII, 17.
28, cani: a terra =Ingioncehiati; ofr.
Purg.1, 61; ma vedi anche Apoc, X[X,10.
20. rinca: giangi Je mani in atto di
hiera. Benv.: « in signom reveren-
B; » l'inginocchiarai era negno di ri-
verenza; il ginngere le mani è atto di
preghiera e non sogno di riverenza.
30, OMAI: d'ora innanzi durante il tno
mistico viaggio ne vedrai molti di questi
ministri di Din, con che non 4 natnral-
mento detto che questi fosse il primo
Angelo veduto dal Pocta; cfr. Inf. IX,
85 e seg.
31. SDRONA : non fa yerun nao di quelli
atrnmenti, di coni gli nomini al servono
per navigare 6 governare le navi, come
remi, vele, alberi, sarto, rece.
33, L'ALR: che gli serrono di romi è
di vela; « Remigiam alarum ; Virg. Aen.
VI, 19. - LONTANI: dall'nno all'altro emi-
sferio, dalla foce del Tevere all'isola del
Purgatorio, v. 100 e seg.
a4. DITTE: * nocennando il Inogo ore
intende rivolgere le anime ch'ei conduce
a questo alto monte; » Ginliani.
45. TRATTANDO: agitando l'aria colle
sterno penne, non cadncho nè soggetto
n onmbinmonti, como quello degli me-
colli della terra, ma oternaimonte lo mo-
desimo,
88, L'UCCRL: l'Angelo, cui Dante chia-
ma weeel divino per averne menzionate
le ale, come chiamò necelti anche i dinvoli
alati, Tnf. XX1T, 9%; XXXIV, 47; così
862
[ANTIP, ISOLETTA) Puro, 11, 99-51
[ANGELO NOCCHIERO]
Perché |’ occhio da presso nol sostenne,
40 Ma china ’] giuso; e quei sen venne a riva
Con un vasello snelletto e leggiero,
‘Tanto che l’acqua nulla ne inghiottiva,
43 Da poppa stava il celestial nocchiero,
Tal, che faria beato pur descripto;
E più eg
46 8 8 8 « In exis
Canta’
Con q
49 Poi fece
Onde
Ed eli
Stazio chiama Mercuri
geaticus; Silv.I,2, 102, i
Theb. I, 292.
39. L'OccHIO: mio,
« Certi corpi suno tant
purità del diafano, ché di. ____... _
gianti, che vincono I’ armonia dell’ oc-
chio, e non si lasciano vedero senza fa-
tica del viso; » Conv. III, 7.
40. cuiNA "L: chinai l'occhio a terra.
41. VASELL'): vascello, navicella ; forse
il più lieve legno di che aveva parlato
Caronto, Taf. I011,93.-BNEKLLETTO : « enel-
lo dice la forma v il ratto noto; leggiero il
non toccar le acque tuttochs tanti fossero
i naviganti sovra esso; » Z'om. Lo acque
le avrà pur toccate, ma come se non
fosse carco; cfr. Inf. VIII, 29.
42. TANTO: sfiorava appena le acque.
43. CELKSTIAL: quest'Angolo è l'anti-
tesi di Caronte, il nocchier della livida
palude. L'uno mena le anime alla salva-
vione, l’altro alla danuazione; l'uno na-
viga colle ali dritte verso il cielo, l'altro
batte col remo qualunque anima si ada-
gia; l'uno fail seguo della croce, l'altro
s'adira o bestemmia; l'aspetto dell’ uno
è beatilicanto, quello dell’ altro spaven-
tevole, oce.; cfr. ff. III, 82 0 sog. L'un-
titesi non è certo casuale, ma meditata
e voluta.
44. TAL: in aspetto od atto sì divino,
che non pur a vederlo, ma soltanto de-
scritto farebbe beato chiunque ne udisse
la descrizione. Al. lL'AUKA BKATO PRI
ISCRITTO, che suolsi interpetrare: Tal
che pareva avere acritto in viso la bea-
titudine. Ma non pareva soltunto. Leg-
gendu pareva bisognerebbe intendere :
S45 —
‘ —lediero.
i
na voce,
poscia scripto,
sroce;
n pinggia,
veloce,
| gli ai vedeva in fronte la beati-
ome se ve la avesse avuta acrit-
Bancow, Contrid., 183. Moore,
a,
ro: « quasi dicat, multi ; tamen
______ tibet malorem maltitadinem in
sua navi continuo, guia pro uno qui ten-
dit ad pirniteatiam, mille sunt qui ten-
dunt ad peccandam; » Benv. - SEDIKRO:
sederono; qui forse per sedevano. Sulla
forma sediero cfr. Nannuce. Verbi, 190 0 seg.
46. IN KXITU: è il principio del Sal-
mo CXIII: « Quando Taraele uscì di
Egitto, e la casa di Giacobbe d' infra il
popolo barbaro: Giuda fu consecrato al
Signore, occ.» 11 Salino solovasi cantare
dai proti durante il trasporto di nn corpo
morto alla Chiesa. « Spiritualmente s' in-
tonde che nell’ uscita dell'anima del pec-
cato, essa si è fatta santa e libera in sua
podestate ;» Conv. II, 1; cfr. Epist. Kani,
§ 7. - Kurrro: Al. Acyrto e Kaito,
quindi anche DKSCRITTO, SCRITTO, ma in
latino si dice .Egypto, © descriplo, scri-
pto, ecc. sono furmo ovvie agli antichi.
48. CON QUANTO: cantarono dunque
tutto intioro il Salmo.
49. FKCK: bonedicondoli e licenzian-
doli; cfr. Inf. XX, 69.
50. 6) GITTÀR: abbandonando Ja na-
vicolla ; cfr. Inf. III, 116.
51. kt: Al. KL.-clo: Al. cl. Quest’ A n-
gelo, uel cui silenzio e nei cul atti è tutta
la maestà della sua natura e del suo uf-
fizio divino, rammenta il messo del cielo
cho, aperta la porta di Dite, ritorna in-
dietro veloco come è venuto e senza de-
guare di una parola i due Poeti; Inf. IX,
100 c seg.
[ANTIP. ISOLETTA]
Pura. IT. 52-69
[ANIME] 863
52 La turba che rimase li, selvaggia
Parea del loco, rimirando intorno,
Come.colui che nuove cose assaggia.
55 Da tutte parti saettava il giorno
Lo sol, ch'avea colle saette conte
Di mezzo ’1 ciel cacciato il Capricorno:
58 Quando la nuova gente alzò la fronte
Vér noi, dicendo a noi: « Se voi sapete,
Mostratene la via di gire al monte, »
GI E Virgilio rispose: « Voi credete
Forse che siamo esperti d’ esto loco;
Ma noi siam perogrin’, come voi siete.
G4 Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
Per altra via, che fu si aspra e forte,
Che lo salir omai ne parrà gioco, »
07 L’ anime che si fir di me accorte,
Per lo spirar, che io era ancor vivo,
Maravigliando diventaro smorte;
V. 62-75. Le anime muoramente
errirete. Gli spiriti or' ora ginnti si
mostrano inesperti del Inogo o chiedono
ai doe Poeti che insegnino loro la via per
cui si ralo il monto, Virgilio risponde cho
anch'essi non la sanno, essendo per altra
ria testà arrivati, Intanto gli spiriti si
accorgono che Dante è vivo, gli si affol-
lano intorno e lo mirano compresi di stu-
pore o di meraviglin.
52. BRLVAOGIA: mal pratica, incaporta.
Cir. GALVANI, Poesia dei Trovat., 400.
« Ardita estensione del senso proprio;
ma efficace e giusta, in quanto l'idea che
ai unisce alla voce selroggio va conginn-
ta con quella d'ignoranza; » L. Vent.,
Simil., 294.
64. RIMIMANDO: per conoscer lo loco
dove foaso, Inf. IV, 6, e per vedere
qual via dovesse prendere per salire il
monte, v. 60 6 seg,
64. ASSAQGIA: « fia saggio di nnove co-
ho; » Metti, - « Ascolta, o vede; traslato
dal gusto agli altri sensi; » Pr, B.
55, IL Glonwo: quarto caso; il sole
ilifamdera i anol raggi an tutte le parti
dell'emisfero nustrale, dove si trovavano
| Poeti.
56. SARTTE: raggi. - coxTE: chinro;
ofr. Inf. X, 89. « Et sic vide quod, sicnt
priedixorat eis Cato, sol oriena ostende.
bat cia iter, of ascendebat panllatim, si-
cut of ipal ascendet panllatim; » Renn.
57. pi mezzo : il Sole nveva spinto ol-
tro il meridiano il segno del Capricorno,
quindi era salito 9 gradi sopra l'orizzon-
te. Era dunque poco più di mozz'ora cho
il Sole era nato nel Pargatorio. Confr.
Della Valle, Senso, 36. Agnelli, Topo-
Cron., 111 e seg. Nociti, Orario, 12.
GA. NUOVA: nrrivata or’ ora, quindi
nuova In questo stato; Inf. IV, 62,
02, ratinti: connacenti, pratici del
luogo. Al. sreuTi; Al. aris.
63. rergorin' : atranieri. « È peregrino
chinnque è fuori della patriasua;» Vit. N.,
$41; ofr. Purg, XIII, 06. Par. V1, 195,
65. ALTRA: diversa dalla vostra. -
ABrItA: malagevole ed orrida; efr. Inf.
I, G; JI, 143.
66, gioco : facile e pincerole, in pa-
ragone colla via da noi sin qui percorsa,
68. LO SPIRAR: Il respiro, « l'ntto dolla
gola, » Inf. XXIIT, 88.
O00. MARA VIGLIANDO : maravigliandosi o
temendo al vedere nn tomo vivo, - smon-
TR: loanime cho vanno a purificarsi sono
vestite di un qnasi nuovo corpo, ossia di
un nnoro termine corporeo o tale che
tenga vece di corpo, 50 cul esse possano
operare ; ofr. Perez, Sette Cerchi del Purg,
di D., 22 0 seg.
364 [ANTIP. ISOLETTA] Puro, ni. 70-82
[CASELLA]
70 E come a messagger che porta olivo,
Tragge la gente per udir novelle,
E di calcar nessun si mostra schivo;
73 Cosi al viso mio s’aflisir quelle
Anime fortanate tutte quante,
Quasi obbliando d'ire a farsi belle.
76 To vidi una di lar teooroi awanta
Per abbr, le affetto,
Che moss ante,
70 O ombre va )etto |
Tre volte
E tante r
82 Di maravig
70, OLIVO: anticamente
pace; ofr. Virg. Aen. VITI,
Stat. Theb. 11, 359; ai te.
per segno di buone novelle
efr. Vill. X1I,105, Murat, Sé
XVIII, 462.
71.TRAGGE: accorre, gli si affollaintorno.
72. CALCAR: nessuno prondo cura, af-
follandosi, di non calcar l'altro.
74. FORTUNATK: « perchè sporan di ve-
nire quando che sia, allo beuto genti; »
Inf.1,110e sog.
75. OUMLIANDO: cfr. Inf. XXVIII, 5
© seg. - FARSI BIKLLK: purificarsi.
V. 76-117. Casella. Uno spirito si fa
innanzi por abbracciar Dante, o questi
vuol abbracciar lui, ma invano, vc3seudo
lo apirito incorporeo. Dopo un breve col-
loquio Dante lo prega d'intonaro nn can-
to, e Casella canta sì dolcemente che tutti
atanno lì ad udirlo, senza pensare ad al-
tro. Di questo Casella si hanuo poche no-
tizie. Nella Vaticana trovasi un madri-
gale di Lemmo da Pistoia, che tiorì circa
il 1300, con questa ivtitolazione:«< Casella
diede il suono, » il che vuol dire cho le
parole di Lommo erano state messe in
musica da Casella; cfr. Quadrio, Poesia,
IIT, 321. Lan. e Ott.: « Fu nel tempo del-
l'autore finissimo cantatore, e già intonò
delle parole dell'autore» An. Fior.:«Fue
Casella da Pistoia (Postill., Cas., Benv.,
Buti, Land., Vell., ecc. lo dicono invece
florentino) grandissimo musico, et masai-
mamonte nell'arto dello ‘ntonare; et fu
molto dimestico dell'Autore, però che in
sua givvinezza foce Dante molte canzone
et ballate, che questi intonò; et a Dante
dilettò forte l'udirle da lui. » Kd il Falso
avvinsi,
petto.
n stato finissimo maestro di
anono, Intanto che assai volte
nto di gran piacori e diletti, E
‘quelli che si indugiò a pen-
alla fino de’ anoi di per lo di-
nto, «
ve. Inasitsi: farmisi incontro. Al.
TRARSI DAVANTI, TRAREKSI, TRAGGKRISI
AVANTE, ceco.
78. A FAR: a correrle incontro per ab-
bracciarla.
79. VANK: hanno forma corporea, ina
non sono palpabili; cfr. Purg. XXV, 79
o seg. Secondo la dommatica dol medio
evo i corpi de’ beati non sono palpabili
che dopo la risurrezione; cfr. Thom. Aq.
Ston.theol. IIT, suppl. 55 è seg. Comp.
theol. I, cap. 168. Elucid., 69, ecc.
80. ree: « Ter conatus ibi collo dare
braccia circum, ‘Ter fcustra comprensa
manus effugit imago, Par levibus ventis
volacriquo simillima somno ;> Virg. Aen.
VI, 700 è seg. « Nell’ Inferno non aveva
tentato d'abbracciar ombre; ma Virgi-
lio, ombra anch'esso, l'aveva portato in
ispalla. Or perché quosta diffurenza di
Virgilio, di Bocca al quale e' strappa i
capegli, o dell'Argenti cli' ei reapinge
nel fango, da Casella e dagli altri! Forse
perchè qui, come più pure, le ombre son
ineno gravate della mole terrena, hanno
più sottili apparenze. Matelda però trao
Dante e Stazio per l'onda di Lete. e Vir-
gilio con Sordello s'abbracciuno. TI Poe-
ta. a quel che pare, fa l'ombrov de’ non
probi (?) ora palpabili, ora uo, cone Cri-
sto risorto: l’ombro de’ dannati, palpa-
bili sempre; » Tom.
82. di DIVINSI: « Lo viso mostra lo co-
[ANTIP. ISOLETTA]
Puro, 17, 83-95 |
[CASELLA] 365
Perché |’ ombra sorrise e si ritrasse
Ed io, seguendo lei, oltre mi pinsi.
85 Soavemente disse, ch'io posasse:
Allor conobbi chi era, e pregai
Che per parlarmi un poco s’ arrestasse.
88 Risposemi: « Così com’io t'amai
Nel mortal corpo, così t'amo sciolta;
Però m’arresto: ma tu perché vai? »
vt « Casella mio, per tornare altra volta
La dove son, fo io questo viaggio, »
Diss’io; « ma a te com’é tant’ ora tolta? »
DM Ed ogli a me: « Nessun m'è fatto oltraggio,
Se quei, che leva e quando e cui gli piace,
lor del coro, Che, tramortendo, dovon-
que s'appola; » Vila Nuova, § 15.
83. sonnise: del mio stupore. - 81 RI-
THASSH: si allontanò un poco da me.
84. mr rinet: mi spinsi, cfr. Purg. XII,
126; mi avanzai, accostandomi a lei.
85. POSARSK : posassi, mi fermassi e non
ripetessi gli inutili tentativi di abbrac-
clara.
B0, ALLOR: Al. comnonn ALLOK. - K
rexoal: Al, R'L PRIROAL.
RI. NEL MORTAL: vivenilo. - SCIOLTA:
separata dal corpo,
00. rencwk var: perchè fai questo
viaggio che mon suol farsi se non dni
morti!
DI. PER TORNARE: faccio qnesto ving-
gio per ritornare qui, in Inogo di salute,
dopo la mia morto.
03. TANT’ ONA: perchè mai arrivi sol-
tanto adesso qui nel Purgatorio, essendo
morto già da tanto tempo? Come mai per-
desti un tempo tanto prezioso per ire a
farti bella? Così Lan., Ott., Petr, Dant.,
Postil. Cas., Benv., Buti, Land., Vell.,
Dan., occ. Al. COM'ERA TANTA TERRA
TOLTA: cioè, come mai ti era impedita,
sino n poco fa sì gran terra e maravi-
glinan, quanta 4 questa di Pargatorio!
Coal Dol., Lemb., Portir., ore, L' An,
Fior. conoace lo due logioni e nen sn de-
eidersi. In ogni caso Dante esprime qui
la sun maraviglia che Casella, morto da
un perzo, arrivi soltanto adesso al Pur-
gatorio. Cfr. AWTONELLI, Studi partic.
rulla Div, Com., Firenze, 1871, p. 42-50.
Moonr, Crit., 373 e seg. Il Betti: « Re-
atituisco la lex. comune: Diss' io: ma a
ta come tant'ora è tolta? E spiego: ma a
te, o Casella, come dopo morte è stato
tolto tanto bel tempo per purgarti delle
tuo colpe o per nndare al cielo? Chi mai
ha tanto ritardati i momonti delle tue
eterne bentitudini? I momenti d'andarti
a far bella? Par corto che Casella fosse
mortoalcun tempo innanzi n questo viag-
gio di Dante, so non vnolsi dare una sti-
racchiata interprotazione alle parole del
testo, e non voglia dirai che Dante abbia
fatto n Casella la puerile domanda: per-
chè sei ta morto sì tardi? E non voglia
aopporsi una poerile risposta in Casella
stesso, »
MN. OLTRAGGIO: torto.
05. guet: l'Angelo nocchiero, - LRVA:
prende le anime per tragittarle al Por-
gatorio. « Secondo il Poeta quei che
muoiono riconciliati con Dio, per pas-
saro al Purgatorio convengono alla foce
del Tovere; ma l'Angelo destinato n
trasportarli sulla sua navicella, prende
primi quelli che vuole, è gli altri nella
sua giustizia lascia nd altro tempo. A
Casella era stato negato più volte il pas-
saggio, ma finalmente, nel tempo del
Giubileo, avendo l'Angelo fatto grazia n
chiunque ne lo richiedeva, raccolse Ini
puro mentre sl stava desinsamonte guar-
dando il mare. Tn finzione del ritardo è
tolta dalla mitologia, da col si ammette
che le anime siano più o meno trattenuto
sullo Stige, prima di essere tragittate al-
l'altra ripa, verso coi tendono bramosa-
mente lo mani; cfr. Virg. Aen, VI, 313
o sog.; > Berlan, Le più belle pog. della
D. @., 182, Cfr. Antonelli, loc. cit.
366 [ANTIP. ISOLETTA) Pura, 11. 96-112
——
[CABELLA]
Più volte m'ha negato esto passaggio;
97 Ché di giusto voler lo suo si face.
Veramente da tre mesi egli ha tolto
Chi ha voluto entrar con tutta pace.
100 Ond’ io che er’ ora alla marina volto,
Dove l’acqua di Tevere s’ insala,
Benignamanta fni da Ini ricalto
103 A quella foi
Però che
Qual ver
106 Ed io: « Se
Memoria
Che mi &
109 Di ciò ti più
L'anima
Venendo
112 « Amor che
06. FIÙ VOLTE: « èrano passati piu weal
ch'egli era morto; » An. Fior.
97. VOLKR: divino. - suo: dell'Angelo.
L'Angelo vuole ciò che Div vuole.
98. VERAMKNTR: nondimeno, frattanto.
- DA TRK MESI: dal natale 1299, in cui era
cominciato i] Giubileo di Bonifazio VIII,
secondo la cui Bolla ancho le animo dei
dofunti partecipavano per modum suf-
Sragit alle indulgenze del Ginbileo; cfr.
Boehmer, Corp. jur. can. II, 1192. Baur,
Kirchengesch. IT1, 446 © seg.
09. CON TUTTA Pack: l'Angelo ha ac-
colto nollu sua nave le anime sonza faro
alcuna scelta nd opporre veruna difli-
coltà.
100. kuna VOLTO: stava attondendo alla
mariva. « Per quod intelligit quod erat
conversus ad obedientiam romani ec-
clesiw ; » Benv. (î).
101. Tkvknk: Al. TKVKRO. - 8’ INSA-
LA: intrat salum, entra in mare o si fa
nalaa.
102. BICOL TO: preso dull’ Angelo nol va-
sello per essere tragittato al Purgatorio.
103. FOCK: del ‘revere. - OV'KGLI cfr.
v. 51. Al. A QUELLA FOCK HA KULI OR
DRITTA L'ALA. - Tutte le anime desti-
nato al Purgatorio convengono da ogni
parte del mondo alla foce del ‘revere. Ma
Casella dovette uspettare alcun tempo,
ché l'Angelo non volle prenderlo nella
sua nave; pare anzi che avrebbe dovuto
ala;
loglie,
i cala,
toglie
into,
» voglio,
nto
persona
0, »
ond, »
aoponere snoora di più, se non fosse stato
il Giubileo. Il perché di questo aspettare
alla foce dul ‘Tevere non ci vien detto.
Cfr. Virg. Aen. III, 202; V, 8350 seg.
106. NUOVA LkGGK: prescrizione ine-
rente alla tua nuova condizione; confr.
Purg. I, 85 è seg. Se non ti è proibito,
so non I’ hai dimenticato, 0 se, uvendo
perduto gli urgani dolla voce, non per-
desti assieme con essi l’uso dol canto.
108 QUETAR: « la musica trae a sò gli
spiriti umani, che sono quasi principal-
mente vapori del cuore, sicchè quasi cos-
sano du ogui Operazione; sì è l'anima in-
tera quando l'ode, e lu virtù di tutti (gli
spiriti) quasi corre allo spirito sensibile
che riceve il suono; » Cono. II, 14. 11
Boce. nella Vita di D.: « Sommamento
si dilettd in suoni ed in canti nella sua
giovanezza; e a ciascuno che a que'tein-
pi era ottimo cautatore o sonatore, fu
amico ed ebbe sua usanza. » Cfr. Pelli,
Mem., $ 6.
109. ni cio: di uu tuo canto,
110. PERSONA: peso del corpo.
111. AFFANNATA: dopo aver sustennto
«la guerra sì del cammino o a) della
pietate, » Inf. II, 4 © seg., ed esser ve-
nuto qui percorrendo l'inferno.
112. AMOR: così incomincia una can-
zone di Dante, composta verso il 1294 e
cominentata nel trattato terzo del Convi-
vio. Probabilmento Casella l'aveva mes-
[ANTIP. ISOLETTA]
Pura, 11. 118-180
[CATONE] 367
‘ Cominciò egli allor sì dolcemente,
Che la dolcezza ancor dentro mi suona.
115 Lo mio maestro, ed io, e quella gente
Ch’ eran con lui, parevan si contenti
Com’a nessun toccasse altro la mente.
118 Noi eravam tutti fissi ed attenti
Alle sue note, ed ecco il veglio onesto,
Gridando: « Che è ciò, spiriti lenti?
121 Qual negligenza, quale stare è questo?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio,
Ch' esser non lascia a voi Dio manifesto. »
124 Come quando, cogliendo biada o loglio,
Gli colombi adunati alla pastura,
Queti, senza mostrar |’ usato orgoglio,
127 Se cosa appare ond’ elli abbian paura,
Subitamente lasciano star |’ esca,
Perché assaliti son da maggior cura:
130 Così vid'io quella masnada fresca
na in musica, come affermano Lan., Ott.,
Ienr., ecc.
14, ANcoR: conf, Par. XXIII, 128
0 nog.
116. Gewre: gli spiriti or’ ora arrivati
insiemo con Casella; ofr. v. 45.
117. COM’ A: come sé nessuno avessa
avuto altra cora che di nttendore a quel
dolce canto. Le anime dimenticano di ire
afarri belle, i Poet] il loro viaggio.
V. 118-122, Mtiapparizione di Ca-
tone. Mentre tatti quanti ad altro non
fanno attenzione che al ilolcissimo canto
di Casella si mostra d' improvviso sulla
scona Catone; il venerando vecchio sgri-
da le anime, esortandole ad affrettarai
alla purificazione, ondo tatti prendono In
via verso la salita.
118. ERAVAM: così con molti cold.
Lan., Falso Boee., Benv., occ. Al. sr-
prvam: Buti, Land., sco. Non sembra
che gli spiriti e Dante e Virgilio si fos-
sero nasisi. Al, con molti coli. ANDAVAM,
Cara , Ott., Vell., Dan., coc. Dai versi, 85,
87, 90, 121, 126, eco. risulta che gli spi-
riti ed | dne Poetl non andavano, ma
stavano, o erano, fi fermi; cfr. Com.
Lips. I, 24. Moone, Crit., 375.
110, tr. vecLio: Catone. — ONESTO :
grave, maestoso; cfr. Purg. I, 42.
121. QUALE STARR: Al. QUAL RISTARE.
122. connere: « Featinate, viri; nam
qum tam sera moratnr Segnities?» Virg.
Aen. 11, 171 080g,- 101 8d0aLio : ln acor-
en, l'integumento del pecento; « Expo-
liantes vos veterem hominem cum actibna
eins, et induentes novom, eum qui rono-
vator inagnitionem secundom imaginem
eius qui creavit eam; » Coloss, ITI, 9, 10.
« Deponendum saxom et onus vitiorum,
quod pergravat animam al ima; » Benv,
123. wow LASCIA : vi priva della vi-
sione di Din; « Iniqnitates veatrm divi-
sernnt inter vos et Deum vestram, of
pecenta vestra abaconderant faciem cius
a vobis; » Jeaia, LIX, 2.
124. comm: costr.: Come i colombi,
niunati alia pastara, stanno cogliendo
granelli di binda o di loglio queti e non
roteando nè mormorando, come sogliono
fare quando non beccano, se nppare cosa
alcona che gli spaventi lasciano anbito
il cibo è non si curano che di mettersi
in salvo.
120. Quei : «senza i] mormorio o senzn
quella vivace allegroszn ch'è consueta
ni colombi. Sono i loro due abiti apecia-
liasimi; L. Vent.
128. L'RSCA: fl cibo.
129. cuna: di salvarsi dal pericolo.
130. MABNADA : famiglia. La voce ma-
snada, propriamente la famiglia di un
Lu wears VOLPI nel {recento. il suo cammino, cho vuole a
Così vid’ to quella nova famiglia, quella sa onde si vada; » Vila Nuov
famiglia di nuovi figli cletti. Masnada Petr.son. XIV,7,8: « Vomme
per compsguia non è mai in buon senso, —d’orbosenzaluce, Chenon sa'
purchè non sia presa per termine milita- e pur al parte. »
re. Dante l’adopera pure Inf. XV, 41, ma 133. LA NOSTRA : nòjo e Virg
per compagnia di reprobi. » Cfr. Encicl., meno presti a partirci.
CANTO TERZO
ANTIPURGATORIO: ISOLETTA
ANIME DI MORTI IN CONTUMACIA DELLA CHIESA
(Stanno fuori del vero Purgatorio
an tempo corrispondente a trenta volte la durata della scomuni.
I. RE MANFREDI
ee
Avvegna che la subitana fuga
Dispergesse color per la campagna,
Rivolti al monte, ove ragion ne fruga;
V. 1-33. Corpi che non fannoom- dal canto mio mi accostal più }
bra. Mentre i due Poeti vanno verso il Virgilio. - suntraNa: repentina
Monte, Virgilio pare sentir rimorsi di Pura. TT 194 = ---
Concianea a +—-01-- >
[ANTIP. ISOLETTA]
Puro. 111. 4-18 [DANTE E VIRGILIO] 869
4 Io mi ristrinsi alla fida compagna.
E come sare’ io senza lui corso?
Chi m'avria tratto su per la montagna ?
7 Ei mi paren da sé stesso rimorso.
O dignitosa coscienza e netta,
Come t'è picciol fallo amaro morso!
10 Quando li piedi suoi lasciàr la fretta,
Che l’onestade ad ogni atto dismaga,
La mente mia, che prima era ristretta,
13 Lo intento rallargò, sì come vaga,
E diedi il viso mio incontro al poggio,
Che inverso il ciel più alto si dislaga.
16 Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
Rotto m' era dinanzi alla figura,
Ch’aveva in me de’ suoi raggi l'appoggio.
dere ool Betti cho « cssendo il peccato,
comecchè lieve, un’ offean alla ragione, è
giusto cho i peccatori sieno dalla ragiona
stessa tormentati d'alenna pena. + - FRU-
GA: ne cerca diligentemente colle pene
per lararci pienamente d'ogni macchin.
4. MI METRINSI: mi norostai più vicino.
- coMraona: Virgilio, mia fedol compa-
guia, Compagna per compagnia è del-
l' nso antico. Cfr. Inf. XXVI, 101. Purg.
XXIII, 127. Secondo il Bl. in questo
luogo compagna è iurece la forma femm.
di , 0 sost. particolare come
Seorta; efr. Inf. X1T, 64; XX, 26. Madi
compagna per compagno non si banno
esempi.
5. conso: per quella pioggia a me
ignota.
7. DA BR: Prime dai rim-
proveri di Catone, Purg. IT, 120 è neg.,
fatti non ni Poeti, ma ai soli spiriti, - w-
morso: a motivo del breve indugio,
Purg. II, 116 e seg., del quale si dimo-
strava pentito.
R. DIGNITOSA: nobile, delicata; « Omne
animi vitiam tanto conepectina in se Cri-
men habet, quanto major qui peceat ha-
betar. » Juven. Sat. VIII, 140 e seg.
9. morso: « quasi dica: A In degna o
netta coscionzia ogni pinento fille «tà
gramle et amara rimorsione; la rimor-
rione del peccato è riprender sò medesmo
del peccato fatto, e dolersi d'averlo fat-
to; » Buti.
10. Lascràn: quando Virgilio ebbe ral-
lentato il passo, Sulle primo ora ondaty
2M. — Div. Comm., 3% edi.
non meno ju fretta che gli spiriti, Purg.
II, 139.
11. pismaga: toglie, guasta, « Nel mo-
rimento e nell'andare e negli atti si deb-
ho tenore onestà. Il snperbo si diletta
dello srariato andare; l'nomo disonesto
nell'andnro si mostra ;» /iart, da 8. Cone.
Amm. VII, I, 5, 16, 18,
12. RISTRETTA: tatta raccolta in un solo
pensiero, cioè di Casella è dei rimproveri
di Catono, Al. iistRETTA: angustiata :
ma RISTRETTA s'accorda egregiamente
col BALLARGO del v. seg.
13. INTKNTO: lat. infentus, estensione.
- RALLAROÒ : ritornò a pensare ad altro
cose, cioè al sito, agli abitatori ed al
viaggio, desiderosa di redere e conoscoro
nuove COA è persone,
4. pinot: alzai gli occhi verso il monto.
15. BI DISLAGA: ni niza in mezzo al
gran lago più alto di qualsiasi altro
monte; cfr. Par. XXVI, 190.
16. metro: alle nostre spalle. «Tl Sole
in Purgatorio spunta in Gade. Dante
camminava verso il Gange che ivi è a
Ponente. Ecco perchè il Sole gli fiam-
moggiava dietro; » Nocifi. = ROGGIO: rosso
(lal lat. rebews, cfr. rx, Wert. 13, 356),
come anole a) primo sno levarsi aull'oriz-
onto, Ken ciren un'ora dopo i lovar del
Solo; ofr. Della Valle, Senso, 38 0 sog.
Com. Lipe, IT, 27.
17. noTTO : dall’ ombra. - ALLA FIGURA :
secondo la figura del mio corpo.
18, CW AVEVA: chè, porchd avova, 600,;
«lo Solo mi era rotto dinanzi con figura
_- #§ ;
370 [ANTIP, SOLETTA) Puro. ir. 19-83
[CORPI SENZ’ OMBRA]
10 Io mi volsi da lato con paura
D' esser abbandonato, quando i’ vidi
Solo dinanzi a me la terra oscura:
22 E 'l mio conforto: « Perché pur diffidi, »
A dir mi cominciò tutto rivolto;
« Non credi tu me teco, e ch'io ti guidi?
25 Vespero è già colà dov'è sepolto
Lo corpo, dentro al quale io facea ombra;
Napoli l'ha, e da Brandizio è tolto.
28 Ora, se innanzi a me nulla s’adombra,
Non ti maravigliar più che de' cieli,
Che l'uno all'altro raggio non ingombra,
a1 A sofferir tormenti, caldi e geli
Simili corpi la Virtù dispone,
Che, come fa, non vuol ch'a noi si sveli.
simile alla figura che l'appoggio de' suol
raggi aveva in mé;» Biag. « Quia ipsa
sol habebat inlisrentiam radiorum auo-
rum in mo;» Zieno.
19. MI voLsi: vede soltanto l'ombra
sua, non riflette che Virgilio è spirito e
che gli spiriti non fanno ombre, tome che
il dolce Maestro lo abbia abbandonato e
ai volge istintivamente dal fianco destro
per vedere dove sia la sua guida.
22. CONFORTO: Virgilio; cfr. Purg. IX,
43.- PUR: ancor sempre, dopo tante si-
curtà che io già ti ho date.
28. TUTTO: rivoltosi a me con tutta la
sua persona per farmi certo che non mi
aveva abbandonato. Atto di paterna
premura. Al.: movimento di chi si of-
fende di qualche cosa. Ma Virgilio non
ai mostra per niente offeso.
24. TECO: che io sia ancora teco.
25. VESIERO: < supposto che il tempo
del vespero sia un'ora prima del tra-
monto, a Napoli correvano le ore 5 circa
pom.; a Gerusalemme circa le ore due di
notte, ed al Purgatorio altrettante di
giorno; erano quindi le 8!/2; » Agnelli.
Cfr. Della Valle, Senso, 89. Nociti, Ora-
rio, 12 © seg.
27. Braxvizio: lat. Brundisium, e
Brundusium, oggi Brindisi, dove Vir-
gilio morì l'anno 19 a. C. Per ordine di
Augusto il suo corpo fu tolto da Brin-
disi, trasportato a Napoli e sepolto in
un tamulo onorato sulla via di Pozzuoli.
« Ossa ejas Neapolim translata sunt tu-
mulogue condita, qui eat in via puteo-
lana intra lapidem secandum ;» Donat.
Vita Virg., 03; cfr. Comparetti, Virg. nel
medio evo, II, 47 è sog.
28. s' ADOMUHA: si oscura. Al. FA
OMA.
30. INGOMBHA: essendo diafani i cieli
lasciano passar libero il raggio; così pure
la forma corporea degli spiriti sino alla
risurrezione; cfr. Thom. Ag. Sum. theol.
III. Suppl. 75 e seg. Cump. theol. I, 176
© seg. «Certi (corpi) sono che, per essere
del tutto diafani, non solamente ricevono
la luce, ma quella non impediscono; »
Conv. III, 7. *
81. CALDI: cfr. Inf. III, 87.
82. CONFI: forme corporee como questa
mia; cfr. Thom. Aq Sum. theol. III, Sup-
pi. 70, 1, 2, 3.- viuTù: divina. - DISPONE:
rende questo forme corpuree capaci di
soffrire dolori materiali come il caldo e
il gelo.
88. COME FA: il modo del suo operare.
- 61 BVKLI: « Non enim cogitationes mes,
cogitationes vestre; neque vim vestre,
viso mew, dicit Dominus; » Isaia LV, 8.
«Oaltitudodivitiarum sapientire et scien-
tim Dei: quam inconprehensibilia sunt
iudicia eins et investigabiles vis vine: »
Jtom. XI, 83.
V. 84-45. Timiti dell’umana ra-
gione. Avendo detto che Dio non vuole
che il modo del suo operare sia manifesto
agli uomini, prende da ciò argomento di
esporre come |’ umana ragione non ar-
riva a comprendere i misteri della divi-
nità e deve contentarai di sapere che le
[ANTIP. ISOLETTA]
Pure, tir. 34-49 [L'UMANA RAGIONE] 871
34 Matto 6 chi spera che nostra ragione
Possa trascorrer la infinita via,
Che tiene una sustanzia in tre persone,
97 State contenti, umana gente, al quia;
Ché, se potuto aveste veder tutto,
Mestier non era partorir Maria;
40 E disiar vedeste senza frutto
Tai, che sarebbe lor disio quetato,
Ch’ eternalmente è dato lor per lutto.
“3 Io dico d’Aristotile e di Plato,
E di molt’altri: » e qui chinò la fronte;
E più non disse, e rimase turbato.
46 Noi divenimmo intanto a pié del monte:
Quivi trovammo la roccia si erta,
Che indarno vi sarien le gambe pronte.
49 Tra Lerici e Turbia, la più diserta,
cose sono, senza volerne investigare il
come ed il perché.
34. RAGIONE: Il nostro umano intel-
letto; « Animalis homo non percepit ea
qua sunt Spiritus Dei; » J, Cor. IT, 11.
35. TRASCORRKR: comprendero, peno-
trare, conoscere pienamente.
46, UNA BUBTANZIA: quel Dio il quale è
noo nella sostanza e trino nelle persone ;
efr. Cone. II, 6. Come il triuno Iddio è
incomprensibile nella sua essenza, così è
incomprensibile nelle ane operazioni.
37. AL QUIA: al che; contentatevi «di
sapere che è così e non chiedete il perchè.
Bull'argomento dei limiti dell' nmano in-
telletto efr. S. Bernh. De Consid, V, 3,
Hug. de 8. Vitt. De sacram. fidei 111, 1,
20. Joan. Salisb. Policr, VII, 14. Anselm.
De sacram. alt. II, 2. Com. Lipa. 1I, 29
e seg. dove si trovano riferite le prin-
cipali sentenze di parecchi antori scola-
sticl o mistici; Varchi I, 163,
20. MESTIER: non sarebbe stato necea-
sario che Cristo venisse nel mondo, O vuol
dire, che in tal enso gli uomini avrebbero
potnto far senza della Rivelazione divina
compinta in Cristo; oppure che, se por
mozzo della ragiono si poteaso compren-
dor tutto, Adamo, vedendo la ragione del
divieto divino, non avrebbe peconto, onde
non sarebbe stata nocessarin la venota di
Cristo, il quale venne nel mondo appunto
per salvare i peccatori.
40. VEDESTR: Al. VKDRSTI. - RRNZA
FRUTTO : cfr. Inf. IV, 42. « Si possibile
esset per rationem naturalem et scien-
tiam acquisitam cognoscere divinitatem,
et ordinem illius in creaturia, corte maxi-
mo novissent hme et alia antiqui excel-
lontiasimi piulosophi; red noa vidernna
quod Aristotelea et Plato, qui novernnt
plus ceteris illud quod sciri potest per
intellectum humanum, non noverant om-
nia etiam in puris naturalibua, et multo
minns in divinia, quia non intellexernnt
creationem, non incarnationem, non re-
surrectionom; » Benn,
43, AmstoTriLEe: efr. Inf. IV, 131. -
PLaTO: cfr. Inf. IV, 134.
45,ruRbATO: ricordandosiche anch'egli
stesso era di quelli; cfr. Inf. IV, 29.
V.46-102, Schiera di anime. Arri-
vati appidé dell'erta montagna i due Poeti
non sanno qual vin prendere per salire.
Vedono una schiera di nnimo che ven-
gono lentamente e dimandano loro dove
nin la salita. Alla sua ombra le anime si
nocorgono che Dante 4 vivo, onde si riti-
ranostupelntteniguanto indietro. Virgilio
espone loro In ragione del mistico viaggio.
40, DIVENIMMO: nrrivammo; cfr. Inf.
XIV, 76.-ixtANTO: durante il discorso
di Virgilio. — a rift: AI. Au rik.
48. INDARNO: non era possibile di salire
altrimenti che volando; v. 54. - vi: ivi.
49, Lerici: antico castello sulla sponda
del Mediterraneo, alla destra del golfo
della Spezia ed n sinistra del fiume Ma-
372 [ANTIP. ISOLETTA] Puro. mi. 50-66
[SCHIERA DI ANIME]
La più romita via è una scala,
Verso di quella, agevole ed aperta,
52 « Or chi sa da qual man la costa cala, »
Disse ‘| maestro mio fermando il passo,
« Sì che possa salir chi va senz'ala? »
55 E mentre che, tenendo il viso basso,
Esaminava del cammin la mente,
Ed io mirava suso intorno al sasso,
58 Da man sinistra m’appari una gente
D'anime, che movieno i piè vèr noi,
E non parevan, sì venivan lente.
61 « Leva, » diss’ io, « maestro, gli occhi tuoi:
Ecco di qua chi ne darà consiglio,
Se tu da te medesmo aver nol puoi. »
GA Guardò allora, e con libero piglio
Rispose: « Andiamo in là, ch'ei vengon piano;
E tu ferma la speme, dolce figlio. »
gra. Su questo castolio Androa Doria
inalberò il vessillo apagnuolo quando
passò dal servizio di Francesco I a quello
di Cario Y.- Tunuta : o La Turnia, villag-
gio nel territorio di Nizza a poca distanza
dal Mediterraneo. Il tratto di paese che
giace tra Lerici e l'urbia è coperto di
monti aspri e scoscesi, e ai tempi di
Dante, non essendovi la strada littorale,
Il cammino ne era difticilissimo ; cfr. Lo-
ria, L'Italia nella 1). O., 113, 79. Bass.,
148 è seg.
50. scala: facile a salire, come una
scala agevole ed aperta.
51. verso: in confronto, come Inf.
XXXIV, 59. Purg. VI, 142; XXVIII,30.
= QUELLA : roccia = salita del Porgatorio.
= APERTA: <qui vale, attribuito a cosa, ciò
che vale appropr. a porsona. Uomo uper-
to, o di fisonomia aperta, dicesi di chi mo-
stra di fuori animo fidutam. leale. Perciò
scala aperta significa tale, che non incute
timore alcuno in chi ascende; » L. Vent.
52. cut sa: Virgilio conosce il cammino
neli’Inferno, Inf. 1X, 30; nel Purgatorio
no, chè non vi è ancora stato. - LA QUAL:
ne a destra o a sinistra. - CALA: discende
meno erta, è men ripida.
55. TRKENDO: Al. R MENTRE CH'KI TK-
NEVA.-BA880: in atto di cousiderazione.
86. ESAMINAVA: Al. RSAMINANDO. L'esa-
sméinare è l'atto principale, il tener il viso
A
basso è atto accossorio; onde è da leg-
gere TENKNDO - KSAMINAVA. Senso: Mon-
tre Virgilio a capo chino pensava tra sò
qual via dovesse prendere ed io guardava
in su intorno all'erta roccia che biso-
guava salire. Cir. Corrispondenza letter.
ined. di G. Gozzi, ecc. Pad., 1863. Ferraz.
V, 380 e neg.
58. GENTE: comitiva di anime uscite
dal corpo riconciliate con Dio, ma fuori
della grazia della Chiesa; cfr. v. 186 6 seg.
60. NON PARKVAN: in movimento, tanto
andavun loute. Al. NON raunkva. La len-
tezza nel muoverai figura la lontozza nel
convertirai.
61. LKva: Virgilio tiene ancor sempre
il viso basso, onde non vede la comitiva.
Al. «LKRVA » DISSI AL MARSTRO, « ULI OC-
CHI; » lezione che pnd pure atare.
62. panà: ci dirà da qual parte deb-
biamo salire, se tu non lo indovini da te.
64. ALLORA: Al. GUARDÒ A LORO; Al-
QUARDOMMI ALLORA. Probabilmente Vi n
ilio avrà guardato verso le anime, =
in viso a Danto.- r'IGLI0: con volto lot Gm n =
come di quegli che si rallegra del con —_
glio datogli. Betti: « Tranquillamentem. go SN
con fronte serena. »
65.1N LÀ: verso quelle anime che va.
gono troppo lente per aspettario qua a, ‘
66. vruMA: conforta la speranza di >_> >»
consiglio da questo a: ime. a
[ANTIP, ISOLETTA]
Puro. 111. 67-88 [SCHIERA DI ANIME] 378
67 Ancora era quel popol di lontano,
Io dico, dopo i nostri mille passi,
Quanto un buon gittator trarria con mano;
70 Quando si strinser tutti a’ duri massi
Dell’alta ripa, o stetter fermi e stretti,
Come a guardar, chi va dubbiando, stassi.
73 « O ben finiti, o già spiriti eletti, »
Virgilio incominciò, « per quella pace
Ch’ io credo che per voi tutti s' aspetti,
76 Ditene dove la montagna giace,
Si che possibil sia l’andare in suso;
Ché perder tempo a chi più sa più spiace. »
70 Come le pecorelle escon del chiuso
Ad una, a due, a tre, e l'altre stanno
Timidette atterrando l'occhio e ’1 muso;
E ciò che fa la prima e l'altre fanno,
Addossandosi a lei s’ ella s'arresta,
68, 10 pico: Al. nico, Dopo che noi
avemmo fatto nn migliaio di passi quelle
anime erano ancor lontane da noi un
boon tiro di sasso, Altri intendono: Quel
popolo era ancor lontano mille passi del
nostri, cioè on boon tiro di sasso. Ma
qual mai buon gittatore può scagliare
A mano ona pietra ad una distanza di
mille passi? Dante indica due distanze:
1° quanto egli è Virgilio erano già andati
quando furono osservati; 2° quanto le
anime erano ancor lontane da loro.
69. QUANTO: « quantum jactos et Inpi- .
din; » 8, Luo, XXII, di.
70,81 stRINBER: maraviglinti di vodore
i doe Poeti andare n sinistra, contraria-
mente alle leggi vigenti nel Purgatorio.
Bene.: « mirabantur quod ipsi duo soli
ibant versus cos multos, rolicta vera via
ascendendi ad montem, et veniebant tam
festini com ipsi irent tam lenti, »
72. come: come chi, vedendo per via
cosa nicuna che lo faccia dubitare, si
ferma è sta a guardare.
78. DEN FINITI: morti nella grazia di
Dio. = KLETTI : all’ eterna salute; confr,
Inf. I, 120.
74. PRN QUELLA: vi prego per quella
pace; ofr. Purg. V, 61.
76. ciack: cala, v. 52, è meno erta,
non ripida, e pertanto di agevole salita;
efr, Inf. XXIII, al,
78. A CHI PIÙ BA: perchè ne conosce
meglio il valore, «‘T'ntte le nostre brighe,
se bene vegnamo a cercare li loro prin-
elpii, procedono quasi dal non conoscere
l'uso del tempo ;» Conv, IV, 2, Cfr, Virg.
Aen. X, 467 è sog.
79, ciao: lnogo circondato o serra-
to, « Chiueo nel Valdarno significa ono
spazio cinto di palizzata, ovo si tiene
raccolto n cielo scoperto il bestiame, è
giaecio chiamano l'area del chinso; »
Caverni.
£1. ATTERRANDO: tenendo verso la ter-
ra, volgendo a terra.
82, L'ALTRR FANNO: «#6 Ona pecora al
gittasse dla ona ripa di mille passi, tutte
l'altre l'andrebbono dietro; e se una pe-
cora per alcona cagione al passare d'ona
strada salta, tutte le altre saltano, ezian-
dio nolla veggendo da saltare. E io ne
vidi già molte in un pozzo saltare, per
una che dentro vi saltò, forse credendo
di saltare uno muro; non ostante che il
pastore, piangendo e gridando, colle
liraccin e col petto dinanzi sl parnva ; »
Conv, 1, 11.
RI, ADDOSBANDOSI : « Coneurrunt, hm-
ret pede pes densusqne viro vir;» Virg.
Aen. X, 961. « Densum homeria bibit
auto vulgos; » Horat, Od, IT, 13, 92.
« Deosarum pecudum modum; » Stat,
Theb, V, 340.
874 [ANTIP. ISOLETTA] Pune. 11. 84-108
[SCHIERA DI ANIME]
Semplici e quete, e lo’mperché non sanno;
85 Si vid’ io muovere, a venir, la testa
Di quella mandria fortunata allotta,
Pudica in faccia, 6 nell’ andare onesta,
88 Come color dinanzi vider rotta
La luce in terra dal mio destro canto,
Sì che l’ombra era da me alla grotta,
01 Restaro, e trasser sé indietro alquanto;
E tutti gli altri che venieno appresso,
Non sapendo il perché, fenno altrettanto.
dA « Senza vostra dimanda io vi confesso,
Che questo è corpo uman che voi vedete,
Per che il lume del sole in terra è fesso.
07 Non vi maravigliate; ma credete,
Che, non senza virtù che dal ciel vegna,
Cerchi di soverchiar questa parete. »
100 Cosi’! maestro. E quella gente degna,
« Tornate, » disse, « entrate innanzi dunque, »
Coi dossi delle man’ facendo insegna.
103 Eundiloro incominciò: « Chiunque
86. MUOVERE: muoversi per venire
verso di noi. - LA TESTA: la prima linea
di una schiera.
86. MANDRIA : gregge; voce scritturale,
Gerem. XIII, 17. 8. Luc. XII, 82. S. Giov.
X, 1-18. Atti XX, 28. I, Petr. V,2,8,000.
Paragonò le anime alle pecore, avendo
Cristo chiamato sue pecore i suoi fodoli,
8. Giov. X, 3, 4, 15, 16, 27, ecc.; onde chia-
ma mandria la compagnia di osse anime.
= FORTUNATA : ofr. Purg. II, 74. - ALLOT-
TA: allora.
87. PupICA: corrisponde a semplici e
quete del v. 84. Cfr. AcQ., 52 © seg.
88. COLOR DINANZI: i primi, la testa, v.
85.- ROTTA: dalla mia ombra.
89. DESTRO: i due Poeti si erano voltati
a sinistra per andare incontro alle anime,
onde avevano alla destra il monte ed alla
sinistra il Sole; quindi l'ombra di Dante
si stendeva alla sua destra, verso la mon-
tagna.
90. GROTTA: cfr. Purg. I, 48.
01. RESTARO: si fermarono stupefatti.
08. NON BAPENDLO: erano dietro e per
questo non avevano potuto vedere l'om-
bra del corpo di Dante. - FENNO; fecero
lo stesso, cioè si fermarono ossi pure e si
ma,
ritirarono un po’ indietro. Appunto come
le pecorelle, v. 82.
95. QUESTO: Al. QUESTI. Costui è in-
fatti ancor vivo, e perciò fa ombra.
90. FESSO: interrotto dall'ombra.
97. NON VI MAUAVIGLIATE: «licet res sit
valde mirabilis, que numquam alias fait,
quia fato vonit ex spociali gratia data sibi
.& Deo; » Benv.
98. vinTO: cfr. Purg. I, 68.
99. CRECHI: Al. CERCA. -SOVERCHIAR:
di snperare questo monte, erto come una
parete.
100. DEGNA: di salire al cielo; confr.
Purg. I, 6.
101. TORNATE: rivoltatevi indietro e
procedete camminando innanzi a noi. Al.:
entrate in nostra compagnia e andate in-
nanzi.Ma quelle anime procedevano trop-
po lentamente, v. 59, 60, perchè avessero
potuto invitare i due Poeti ad andare
nella loro compagnia.
102. COI Dossi: accennando, col rivol-
gore a noi j dossi delle mani, la direzione
nella quale dovevamo andare. - INSR-
GNA: segno; cfr. Purg. XXII, 124.
V. 103-120. Manfredi. Si fa avanti
uno di quelli spiriti v dice a Danto: Poni
—_— =
[ANTIP. ISOLETTA]
Puro. ni. 104-114
| MANFREDI] 375
Tu se', così andando, volgi il viso,
Pon mente, se di là mi vedesti unque, »
106 Io mi volsi vér lui, e guardail fiso:
Biondo era e bello, e di gentile aspetto;
Ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso.
109 Quand'io mi fui umilmente disdetto
D’averlo visto mai, ei disse: « Or vedi, »
E mostrommi una piaga a sommo il petto.
112 Poi sorridendo disse: « I’ son Manfredi,
Nipote di Gostanza imperadrice,
Ond'io ti prego che, quando tu riedi,
mente sé mi vedesti mai, Dante non lo
conosce, onde e' si manifesta, pregando
il Poeta di annunzinre a sua figlia che
egli è in Inogo di salvazione, o di esor-
tarla n pregare per lui. È |l re Manfredi,
figlio naturale, ma pol legittimato, del-
l'imperatore Federigo II e di Bianca,
figlia del conte Bonifacio Lanzia, nato
in Sieilia nel 1231, morto nella battaglia
di Benevento il 26 febbraio 1266. Dante
lo ricorda con lode anche altrove, De Vulg.
ELI, 12. Dini Vill. VI, 46: « Il re Man-
fredi fu nato per madre d'una bella donna
de’ marchosi Lancia di Lombardia, con
oui lo 'mperadore ebbe a fare, o fn bello
del corpo, è come il padre, e più, disso-
Into in ogni lussuria; sonatore e canta-
tore era, volentieri si vedea intorno gio-
colari e nomini di corte, e belle concu-
bine, e sempre vestio di drappi verdi;
molto fu largo e cortese e di buon aire,
sicchè egli era molto amato e grazioso ;
ma tutta sua vita fo epionria, non cn-
rando quasi Iddio nè santi, se non a di-
letto del corpo. Nimico fu di Santa Chie-
sa, e de’ chierici e de’ religiosi, occupando
le chiese come il sno padre, è più ricco al-
gnore fu, sì del tesoro che gli rimase dello
'mperadore e del re Corrado sno fratello,
e sì per lo sno regno ch'era largo e frut-
tuoso; e agli, mentre che vivette, con
tutte le guerre ch’ ebbe con la Chiesa,
tenne in boono stato, sicchè '] montò
Ito di ricchesro e in podere per mare
terra.» Cfr, Crsark, Storia di Man-
2 vol, Napoli, 1897. Scuimmnema-
Die letzten Hohenstaufen, Git-
., 1871. Marsi, Storia del Decam.,
e seg. Necnront, La tomba di Ne
nell’ Alighieri I, 97. 8, Dr
CHARA, Dante e la Calabria, Cosenza,
1894, p. 66-104. Encicl., 1103 e seg.
di Hil
104, così ANDANDO: senza fermarti è
perdere il tao tempo.
106. DI LA: nel mondo, - UNQUE: mai.
Dante, nato on anno prima della morte
di Manfredi, non poteva natoralmente
averlo mai veduto, Dunque la finzione
poetica vorrà dire, o che Dante sem-
brava assai più vecchio che non fosse, 0
che Manfredi si scordò di essere morto
già da 34 anni.
107, sroxpo: « bomo flavus, ammpa
facie, aspectn placibilis, in maxillis ra-
bena, ocnlis sidereia, per totam nivens,
statura modiocria; » così descrive Man-
fred! Saba Malaspina in Murat. Seript.
XXIV, 830.
108. Diviso: fesso per la ferita avnta,
che fu una di quelle due punte mortali
che gli ruppero la persona, v. 118 e sag,
109. DispETTO: ebbi affermato di non
averlo mai veduto, Disdire nel senso di
negare nsò Dante anche Conv. IV, 8:
«lo, che in questo caso allo imperio re-
verenza avere non debbo, se la disdico
irriverente non sono. »
111. praca: l'altra delle dno punte
mortali, v. 110.
112, soRRIDESDO: « quia salvos erat,
quod Dantes non putabat; » Ben.
113. GOsTANZA: così dicevano gli an-
tichi; i moderni serivono Costanza, Fu
figlia postuma di Ruggieri I re di Sici-
lia © di Puglia, sorella di Guglielmo II
ultimo re della casa Normanna, moglie
dell'Imporndore Arrigo VI e madre di
Federigo I1; ofr. Par. III, 118 è seg.
« Porché fu figlinolo naturale non volle
torre lo sopranome del padre, ma faasi
nipote di sua ava;»+ Lan. Su por giù lo
steaso dicono altri.
114. rIkDI: ritorni nel mondo de’ vi-
renti.
376 [ANTIP. ISOLETTA] Puro. 111, 115-)27
[MANFREDI]
115 Vadi n mia bella figlia, genitrice
Dell’ onor di Cicilia e d'Aragona,
E dichi a lei il ver s'altro si dice.
1a Poscia ch’i’ obbi rotta la persona
Di due punte mortali, io mi rendei
Piangendo a Quei che volentier perdona.
I2l Orribil’ furon li peccati miei,
Ma la Bontà infinita ha sì gran braccia,
Che prende ciò che si rivolge a lei.
124 Se "1 pastor di Cosenza, che alla caccia
Di me fu messo per Clemente, allora
Avesse in Dio ben letta questa faccia,
127 L’ossa del corpo mio sarieno ancora
115, waa: sì chiamava essa pure Co-
stanza è fu l'ultima del sangue dagli
Svevi, come l' ava di Manfredi fu l'ul-
tima del sangue del Normanni. Costanza,
figlia di Manfredi, fu moglie di Pietro 111
re d'Aragona è di Sicilia; ofr. Ameri,
Vespro sicil. II, 324.
116. 0N0R: Costanza figlia di Manfredi
partorì a Pietro d’Aragona tre figli: Al-
fonso, morto adulescente nel 1291, Fe-
derigo che fa poi ro di Sicilia, e Iacopo
che successe al padre nel regno d’Ara-
gona. Danque l'onor di Cicilia (= Sicilia)
6 Federigo, l’onor d’ Aragona è Giacomo.
Così intesero gli antichi ed il più dei mo-
derni. Altrovo Dante biasima Federigo e
Giacomo, cfr. Purg. VII, 117 e seg. Par.
XIX, 130 © seg. Conv. IV, 6; Vuly. El.
1, 12; ma in questo Inogo qui non parla
Dante; è Manfredi che parla de’ suoi ni-
poti che tennero la Sicilia contro gli
Angioini. Altri vogliono che Dante in-
tenda del giovinetto Alfonso; altri della
conquista di Pietro d'Aragona che fece
salire il regno fn onore, ma della quale
Costanza non fu la genttrice ; altri si av-
visano che la frase yenttrice dell’ onor
di Cicilia e d'Aragona significhi sempii-
cemente, nella intenziono del Poeta, ge-
nitrice de’ reali di Sicilia e ad’ Aragona;
altri finalmente ritengono che dal C. III
al VII del Purg. Danto matasse opi-
nione sopra Federi.o; come se il Conv.
e la Vulg. El. non fossero anteriori al
Purg.! Confronta anche Ferraz. V, 331
© seg.
117. DICHI A LEI: Al. F DICHI IL vERO
A LEI. — 11. Vi: che io son qui in luogo
di salute. - aLTRO: sé nel mondo si dice
che io sla perduto, essenilo morto sco-
municato,
118. LOTTA : ferito il corpo di dae colpi
mortali, cfr. v. 102, 111.
120. renpowa: cfr. Jania XLV, 22.
Ezech. XXXIII, 11.
V. 121-135. La inisericordia dirina
e la scomunica. Confessa Manfredi di
essere stato gran peccatore; ma l'im-
mensa divina bontà accoglie chiunque
penitente a lei si rivolge. La pretaglia
mi maledisse e disperse le mie cesa, ma
la sua maledizione non può togliere la
misericordia di Dio, che accoglie chiun-
que penitente a Lui si rivolge.
121. ONKIBIL': ofr. il passo del Villani
riportato al v. 103.
124. rastor: Bartolommeo Pignatelli,
cardinale e arcivescovo di Cosenza dal
1251 al 1267. Manfredi fu sepolto « appid
del ponte di Bonevento, e sopra la sua
fossa per ciascnno dell'oste gittata una
pietra; onde si fece grande mora di
sassi. Ma per alcuni si disse, che poi per
mandato del papa il vescovo di Cosenza
il trasse di quella sepoltura, e mandollo
fuori del regno ch'era terra di Chiesa,
e fu sepolto lungo il finme del Verde
a’ confini del Reguo e di Campagna; »
Vill. VIII, 9.
125. FU MR380: fu spinto da papa Cle-
mente IV a perseguitarmi oltre la tomba.
120. 1N Dio: nella Parola di Dio. -
FACCIA: quella pagina del Vangelo, ove
si legge che la bontà divina prende chi
si rivolge a lei; «eum qui venit ad me
non elclam f.ras;» S. Giov. VI, 37.
[ANTIP. IS0LETTA]
Puro, m1. 128-141
[MANFREDI] 877
In co’ del ponte presso a Benevento,
Sotto la guardia della grave mora,
130 Or le bagna la pioggia e muove il vento
Di fuor dal regno, quasi lungo il Verde,
Dov'ei le trasmutò a lume spento.
133 Per lor maladizion sì non si perde,
Che non possa tornar l'eterno amore,
Mentre che la speranza ha fior del verde,
126 Ver è, che quale in contumacia muore
Di Santa Chiesa, ancor che al fin si penta,
Star gli convien da questa ripa in fuore
139 Per ogni tempo, ch'egli è stato, trenta,
In sua presunzion, se tal decreto
Più corto per buon' preghi non diventa.
128, 1x co': In capo; efr. Inf. XX, 76;
XXI, 64. Nannue. Teor. dei Nomi, 663.
129. ORAVE MORA: la « grande mora di
snasi, » di che parla |] Vill. Mora è un
moechio di pictre (apagn. moron = sca-
rico di sassi), cfr. Diez, Wort. 1°, 281.
La voco mora « è di uso appresso i So-
nesi;» Fanf. Confronta Caverni, Voci e
Modi, 83.
130. LE MAGNA: dongne insepolte ;
ofr. Saba Malasp. in Murat. Script.
VIII, 832.
131. ruor: fuori del confini del Rogno
di Napoli. - Verve: il finme Liri, oggi
Garigliano nella Campania, « quod inter
regnum et Campaniam deacendit in mare
tyrrhenom; » Bene. Altri intendono di
quel ruscello che sbocca nel Tronto in
vicinanza di Ascoli; altri del piccolo Can-
neto, o Marino, o 8, Magno. Cfr. Far,
VIIT, 63. Com. Lips. Il, 87; III. 196
e seg. Blane. Voc., a. v. Versuch IT, Bo
neg. Ferraz IV, 403 occ. Bass. 116 e seg.
132. EI: il pastor di Cosenza. -srexto:
*Candelis extinctis, et campania pulentis
more Ecclesine dictua Episcopus dicta
ossa tamquam hereticl anathematizati
fecit projici jnxtn flumen Verdi, quod
confinat Apulia n Marcha; » Petr, Dant.
= * Dicono alenni che il legato aveva gin-
ratedicacclar Manfredi del Jtegno, 6 non
nvenilo potnto cacciarlo vivo, caccid il
corpo; » Land,
133. Lor: dei pastori; per le scomn-
niche ecclesiastiche non si perdo il di-
vino amore in modo tale da non poterlo
mai più ricoperare. « La scomunicazione
di pur pene temporali, non altro; non
lega a inferno, e non ti può torre Para-
diso; » Fra Giord. Pred., 1.
135. HA Fion: verdeggia ancora un
poco, mentre l'uomo vive ed ha ancora
il tempo di convertirsi a Dio, Fior è qui
avv. come Jnf. XXV, 144; XXXIV, 20
== un poco, alewn che. Così i più. Al. È
FUOR DEL VERDE = « quando per non ea-
eer ancor giunto al fin della vita, non
si ha perdnto la speranza di potersi pen-
tiro; » Dan.
V. 136-145. Pena def confameci,
« Ecclesia excomunicationom ad mede-
lam, non ad jodicium inAnoit, » insegna-
rono i Teologi. Ma se la scomunica non
priva della grazia, ciò secondo Dante non
vuol dire che i contumaci restino impn-
niti. Per l'audnacia che mostrarono con-
tro la Chiesa indugiano l'entrata nel
Purgatorio il trentuplo di loro presan-
rione, sa i suffragi e le preghiere de' vi-
venti non abbreviano loro il tempo del-
l'aspettaro.
136. QUALE: chiunque, = IN CONTUMA-
cia: foori della comunione della Chiesa.
198, eran: « Nec ripas datur horren-
das et ranva fluenta Transportare prins
quam selibns ossa quierunt: Centum
errant annos volitantqne hie litora cir-
cum; ‘Tom domnm admissi stagna cxop-
tata revisnnt;» Virg. den. VI, 427 o sog.
130, STATO IN BUA IMESUNZION : BCU-
municato, non riconciliato colla Chiesa,
J4l, nuox: preghiera e snflragio di
chi vive nella grazia di Dio, cfr. Purg.
IV, 134.
378 [ANTIP. ISOLETTA] Puro. 117. 142-145
[MANPREDI]
142 Vedi oramai se tu mi puoi far lieto
Rivelando alla mia buona Gostanza
Come m’ hai visto, ed anco esto divieto;
146 Ché qui per quei di là molto s’avanza. »
142. PAR LIETO: procorandomi buon
preghi.
143, Gostanza: ofr, vy. 115, Nel 1300
Costanza figlia di Manfredi viveva in
Barcellona, dove morì nel 1302. Proba-
bilmente Dante non la vide mail; cfr.
Vigo, D. in Sicilia, 63 © seg.
144. COME: nello stato di salvazione.
-bivigTo; la proibizione di entrare nel
Purgatorio prima che sia trascorso |l
tempo decretato, o che questo tempo aia
abbreviato per lo preghiere ed i suffragi
dei vivi.
145. qui: in Purgatorio si guadagna
molto per le preghiere dei viventi; ofr,
Purg. IV,184; VI, 26 è seg.; XI, Sie
s6g., 600, Petr, Lomb. IV, 45. « Suffra-
gia vivorum mortuls dupliciter prosnnt,
sicut et vivia, et propter charitatia unio-
nem, ot propter intentionem in eva di-
rectam; pon tamen sio eis valere ore-
denda sunt vivoram enffragia, ut status
eorum mutetur de miseria nd felicita-
tem vele converso; sed VALENT AD DIMI-
NUTIONEM Puen vel aliquid hujuamodi,
quod statom mortui non traamotat ; »
Thom. Ag. Sum. theol. III, Suppl. LKXI,
2, « Piena Porgatorii est in supplemen-
tum satisfactionia, que foernt plene
in corpore consummata, st ideo, quia
operi unina possunt valeri alteri nd sa-
tsfactionem, sive vivus alive mortuus
fnerit, non est dubinm, quin suffragia
per vivos facta existentibus in Purga-
segnò che i ricchi fossero privilegiati
anche nell'altro mondo: « Potest tamen
dici alitor, illa plura subsidia contalisse
diviti celeriorem absolutionem, non ple-
niorem ; » Petr. Lomb. IV, 45, D.
[ANTIPURGATORI0] Pura. Iv. 1-7 [SALITA] 379
CANTO QUARTO
ANTIPURGATORIO: SALITA AL PRIMO BALZO
POSIZIONE DEL SOLE E NATURA DELLA MONTAGNA
ANTIPURGATORIO
BALZO
PRIMO:
NEGLIGENTI
(Stanno nell'Antipurgatorio tanti anni, quanti furono gli anni della vita)
BELACQUA
Quando per dilettanze ovver per doglie,
Che alcuna virtù nostra comprenda,
L’ anima bene ad essa si raccoglie,
4 Par che nulla potenza più intenda :
E questo è contra quello error, che crede
Che un’ anima sovr' altra in noi s'accenda.
7 E però, quando s’ ode cosa o vede,
V. 1-18. Arriro al Inogo dove si
sale. Tutto ocenpato di Manfrodi e di
quanto of gli andava dicendo, Dante non
al è accorto del passare del tempo. Intanto
è passato circa 1 ora e ‘fa di tempo ed i
Poeti, accompagnati dagli spiriti de' con-
tamaci, sono arrivati al punto, ove dal-
l'isoletta si sale al primo balzo, punto che
gli spiriti additanoloro unanimemente.
l. DILETTANZE: diletti, piaceri; voce
antignata. Quando por l' effetto di alcuna
pincevolo n doloroanimprossione che opori
sopra nia folle fueelth dell'anima, l'ani-
inn stesan sl concontra tutta in gnost'unn
facoltà : in allora pare che essa non fnc-
cia più attenzionea verun'altra delle sne
facoltà.
2. cnr: le quali; quarto caso. - vIRTÙ :
potenza: « L'anima principalmente ha
tre potenzo, cioè vivere, sentiro è ragio-
naro » (vogotativa, sonsitiva od intellot-
tiva). « E quella anima che tntte queata
potenzie comprende, è perfettiasima di
tutte le altre; s Conv, III, 2, cfr, IV, 7.
= COMPRENDA: ne riceva in sé le im-
pressioni.
8, AD ESSA: virtù o potenza. — BI RAC-
coGLit: si affissa, si concentra.
6, rknor: dei Platoniei, che insegna-
vano l'anima omana esacre triplice: ve-
getativa, sensitiva od intellettiva, ofr.
Artstot., De An, 111, o doi Manichel, cho
nnmottovano l'oslstonza di dao anime.
Undel'ottavo concilio cenmenico,can.XI
« Apparet quosdam in tantum impietatis
venisse, ut hominom duas animas habere
impodenter dogmatizent. » Confr. Delf,
Dante Aligh., 96 eseg.O0zanam. Purg.,94,
380 [ANTIPURGATORIO)
NTT eT ee eee
Tura. Iv. 8-22
ee —_ —_—____ -
[SALITA]
Che tenga forte a sé l'anima vòlta,
Vassene il tempo, e l' uom non se n'avvede:
10 Ch' altra potenza è quella che |’ ascolta,
Ed altra è quella che ha l'anima intera;
Questa è quasi legata, e quella è sciolta.
13 Di ciò ebb'io esperienza vera,
Udendo quello spirto ed ammirando;
Ché ben cinquanta gradi salito era
10 Lo Sole, ed io non m'era accorto, quando
Venimmo dove quell’anime ad una
Gridaro a noi: « Qui è vostro dimando, »
10 Maggiore aperta molte volte impruna,
Cou una forcatella di sue spine
L’uom della villa, quando l'uva imbrana,
22 Che non era la calla, onde saline
B. TENGA: nttirl a sè tutta quanta l'at-
tenzione dell'anima.
10. CH’ ALTHA: imperocchd un'altra è
la facolta che ascolta o vede cid che tira
asd tutta l'attonziono dell’ anima, ed
un'altra è quella facoltà cho l’anima
serba intiera, civè non toccata dall'im-
pressione; l'una è impedita, l'altra li-
bera. Su questi versi clr. Thom. Ag. Sum.
theol. I, 76, 8. CONTI, in Dante e il suo
sec., 808. A880N, null’ Albo Dantesco Ve-
ronese, 261 © sug. Kiva, in Alti dell’ Isti-
tuto Veneto VI, 111, 866 © seg. LILKKATO-
KE nell'Omaggio a Dante, 308 è ang. -
« Le tre anime, vegetativa, sensitiva od
intellettiva, non sono che tre modi o ca-
tegorie delle operazioni dell’ anima, 1»
quali si van man mano svulgondo l'una
sopra dell'altra. Queste tre potenze poi
sono fra sè di guisa che l’una è fonda-
mento dell'altra; la vegetativa della sen-
sitiva o questa della intellettiva; » RUTII,
Stud. 1,69; cfr. Conv. ILI, 2.
14. sunto: Manfredl. - AMMIRANDO:
meravigliandomi di vederlo in luugv di
salvazione, e di udire ciò che andava di-
condomi.
15. CINQUANTA: «il Sole, percorrendo
15 gradi In un’ ora, impioghurobbo più di
tre ore per salire 60 gradi abbondanti;
onde ai possono contarele tre ore e mezza
di Sole, cioè le 10 del mattino. Dante in
questo spazio di tempo, civé dalle 8'/a (cfr.
Purg.lII,25 eseg.) allo 10, avrebbe per-
corso più di due mila passi, dei quali una
metà molto lentamente discorrendo con
Sa
Manfredi ; » Agnelli. Cfr. Della Valle, Sen-
#0, 59 è seg. Antonelli in Tom. appen-
dice al presente canto; Nociti, Orario, 13.
17. AD UNA: ad una voce, tutte iusie-
mo; clr. Z'urg. XXI, 95.
18. LIMANDO: ciò di cho voi chiedete,
cioè il luogo dove si può salire; cfr. Purg.
IIT, 76 e seg.
V. 19-51. Salita al primo balzo. |
«ante non precisa veramente la posi-
ziono di questo sito nel quale si pronde
l'orta della montagna. Ma noi, couside-
rando che l' Angelo deposita le anime nel
punto più orientale dell’isola, e che anche
la porta del vero Purgatorio si trova ad
oriente, crediamo di non scostarci troppo
dal vero mettendo quel luogo verso mat-
tina e in linea retta tra il punto dove ap-
prodano le anime e la porta del l’urgato-
rio. Stando così le coso, i Poeti, scostan-
dosi dalla linea da oriente a ponente circa
mezzo miglio verso mezzodì, rifanno po-
scia altrettanto cammino, ma un poco più
in alto, insivmealle anime, nella direzione
di nord. Salito faticosamente un tratto
dell'erta i Poeti arrivano ad un balzo,
dove si mettono a riposare ed a orion-
tarsi, colla faccia vultanlevante; » Agnel-
li, Tupo-Oron., 82 © neg.
19. APKUTA: aportura più larga. - IM-
LPRUNA: riserra con pruui uelle siepi.
20. FORCATELLA : piccola forcata. - sri-
Kg: cfr. Prov. XV, 19.
21. IMBRUNA : incomincia a farsi bruna,
o a maturare,
22. CALLA: adito, apertara, ingresso;
[ANTIPURGATORIO]
Puro. 1v. 23-38
[SALITA] 381
Lo Duca mio ed io appresso, soli,
Come da noi la schiera si partine.
25 Vassi in Sanléo, e discendesi in Noli;
Montasi su Bismantova in cacume
Con esso i piè ; ma qui convien ch’ uom voli.
28 Dico con I’ ali snelle e con le piume
Del gran disio diretro a quel condotto,
Che speranza mi dava, e facea lume.
al Noi salivam per entro il sasso rotto
E d’ ogni lato ne stringea lo stremo,
E piedi e man voleva il suol di sotto.
nggi somunomento Callaia, Al, LO CALLE,
che è în sostanza lo abeaso. Cfr. Moonk,
Orit., 275 e weg. Il Metti: « La calla deo
dirsi, so vuolsi mantenere il paragone
con aperta del verso 10,» -— sarÌxg: salì;
© così partine per partì, eco, Cir. Inf.
XI, 41,
25, vassi: vool dire in sostanza cho
vide già molti Inoghi di difficile e fnticnsn
accesso, ma che tutti i veduti non erano
da paragonarai al calle per cui bisognava
salire qui, essendo esso tanto erto ed an-
Egnsto. - SaxLto: anche Sax Lro, già
Città Feltria, piccola città dell'antico dn-
ento d' Urbino, non Inngi ila San Marino,
Ginee sovra nn erto 6 scosceso colle, ed al
tempi di Dante non vi si poteva nscen-
dere che per un angusto sentiero intn-
glinto nella roocia. Cfr. Loria, L'Italia
nella D, O., I1*, 508, 510. Pareto in D. è
il ewo ree., 504. Dass. 846 sog. Che Dan-
te vi sia stato non rianita di necesita
da questa comparazione, - Nour: piccola
città nella riviera ligure di ponente, tra
Savona e Finale. Ai tempi di Dante non
vi si poteva andare che scendendo per
iscaglioni intagliati nelle quasi verticali
pareti dell'anfitentro de' monti che cir-
condano Noli e quasi lo separano dal re-
sto del mondo; ofr. Loria, |. 0,, 11°, 610,
26. RismaxTOVA : villaggio nel Mode.
nese distante 24 chilom. sod da Reggio,
Gince sopra una montagna dello atesso
nome, Nel medio evo era on forte en-
atello cho dominava sul circostante proso
sil sblo propri signori. Ora non appro
vestigin dol castello, ma solo si vede nn
nndo smisurato sasso, detto Pietra Ris-
mantova che ergesi sopra tatti i monti
vicini ; ofr. Loria, |. c., 11°, 511. Pareto,
1. 6., 53 e seg. — IN CACUME: Bolla cima,
o vetta. Così i più. Al. ® In cacuMe, in-
tendendo di un monte che a nullo è noto,
«Non iliona, sient nligni ignoranter, quel
cacume alt alina locus diatinctos al lato,
ecilicet unum castellam altissimam, ne-
scio ubi; quod totam est vanum, et pre-
ter intentionem pootm; » Beno,
27. COM Kss0: senz'altro niuto che del
piedi. - voi: «n voler salire, conviene
che nomo abbi ali, idest delle virth;» An,
Fior. Allode alla sentenza vangelica, an-
gusta essere la via che mena alla vita,
S. Matt. VIT, 14.
28. ALI: Al. ALI, «Colla fede è colla
speranza, cho sono l'ali che portono j
virtuosi; » An. Mor,
20, CONDOTTO : conduttore, guida, cioè
Virgilio; così Benv., Nuti, An, Fior., Ser-
rav,, Land., Vell., Dan,, Vent., Lomb.,
Pogg., Betti, Tom., Andr., Cam., Corn.,
l'ol., sce, DI Condotto, sost, per Scorta,
Guida, si hanno parscchi esempi (cfr.
Betti, 11,22), tra altri uno di Dante stesso,
Cone. I, 11, 110. Secondo altri condotto è
qui partic, di condurre, onde il senso ra-
rebbe: Tirato dietro a colui, a Virgilio,
che mi dava sporanza e mi era guida.
Così Biag., Pr. B., Frat., Greg., BI., eoo.
Tutti gli antichi, inquanto non tiran via
da questo luogo, andando d'accordo nel
prender condotto per sost., par che sia
da stare alla loro intorprotazione,
30. FACKA LUME: mi mostrava il cam-
mino; « Lucerna pedibus meis verbum
toom, et lumen semitis mola; » Sal
CXVITT, 106,
MI, HARKS ROTTO: viottolo scavato nol
ARAUO,
#2. LO STRRMO : la sponda di quel cavo
sentioro, il quale ora sì stretto, che i due
Pooti toecavano le sponde laterali,o tanto
erte da non poter salire ché arrampi-
candosi,
382 [ANTIPURGATORIO) Puro. ry. 34-52
[SALITA]
34 Poiché noi fummo in su |’ orlo supremo
Dell’ alta ripa, alla scoperta piaggia:
« Maestro mio, » diss'io, « che via faremo? »
a7 Ed ogli a me: « Nessun tuo passo caggia:
Pur suso al monte dietro a me acquista,
Fin che n’appaia alcuna scorta saggia. »
40 Lo sommo er’ alto che vincea la vista,
E la costa superba più assai,
Che da mezzo quadrante a centro lista.
42 Io era lasso, quando cominciai:
« O dolce padre, volgiti e rimira
Com'io rimango sol, se non ristai. »
46 « Figliuol mio, » disse, « infin quivi ti tira, »
Additandomi un balzo poco in sue,
Che da quel lato il poggio tutto gira,
49 Si mi spronaron le parole sue,
Ch’ io mi sforzai, carpando appresso lui,
Tanto che il cinghio sotto i piè mi fue.
53 A seder ci ponomino ivi ambedui
84. POICHÉ: Al. QUANDO. - « Per orlo
supremo, di sopra, devesi intendere la
circonferenza del primo parallelo a quel
della base, che sarebbe l'orlo inferiore o
di sotto. Chiama poi alta ripa l'imbasa-
mento della montagna che s'eleva un
buon tratto perpendicolarmente sul pia-
no, quasi un gran inuro, ein capo al quale
i Poeti son giunti per un'incavatara nel
masso alquanto inolinata; » Br. B.
85. FIAGGIA : Il dorso del monte cho ain
qui non avevano potuto vedere, quella
via per cui erano saliti essendo così ad-
dentro nel monte.
86. CHE VIA: ci rivolgeremo a destra o
asioistra? Nessano dei due sa ancora che
salendo su per il Purgatorio si va senpre
a destra.
87. CAGAIA: non volgerti nè a destra
nè a sinistra, ma continua a saliro su
voreo il monto; « Noo duclinas ad doxte-
ram veladsinistram;» Giosuè, 1,7. <Non
Acolinotis neque ad doxtoram, noquo ad
sinistram;» Jsaia, XXX, 21. Al. e sono
i più: Non dar passo indietro. Maal dar ©
passo indietro nessuno aveva pensato.
88. ACQUISTA: guadagna terreno sa-
lendo dietro di mo.
89. sAGGIA: che sappia dirci qual via
dobbiamo prendere.
——.
40. LO SOMMO: la sommità del monte
era tanto alta, che l'occhio non arrivava
a discernerla; cfr. v. 86 e seg.
41. costa: fiunco del monte. - surER-
BA: erta, ritta; cfr. Inf. XXI, 34.
42. CHK DA MKZZO: la costa aveva nua
inclinazione maggiore che una lista la
quale da mexzo quadrante vada al cen-
tro, maggiore cloò «di 45 gradi, quindi vi-
cina quasi alla perpeudicolare. - Qua-
DRANTK: quarto di cirvolo, civò un an-
golo di 90 gradi.
45. RIMANGO : indietro, non potendo per
la stanchezza seguirti se non ti aoffermi
un poco ad aspettarmi.
46. TI Tira: sforzati di arrivare sin qui
su quel balzo.
47. LALZO: aporgimento del terreno
fuori della superficie del monte.
48. Giua: circuisce tutta la parte del
poggio visibile da quel late ove oravamo.
60. CARLANDO: arrampicandomi, an-
dundo carpone divtro x lui.
51. 1L CiNGuIO: Il balzo additatomi da
Virgilio.
V. 52-84. Il sole dallu parte di set-
tentrione. Poi che sono saliti sul primo
balzo, i due Poeti siodone con la faccia
rivolta ad oriente. Dante vede il Solo
alla sua mano manca verso settentrione,
[ANTIP. BALZO 1]
Pura. 1v. 53-67 [IL SOLE AL NORD]
383
Vòlti a levante, onde eravam saliti;
Ché suole, a riguardar, giovare altrui.
55 Gli occhi prima drizzai a' bassi liti:
Poscia gli alzai al sole ed ammirava
Che da sinistra n’ eravam feriti.
68 Ben s’ avvide il poeta, ch'io stava
Stupido tutto al carro della luce,
Ove tra noi ed aquilone intrava.
oi Ond’egli a me: « Se Castore e Polluce
Fossero in compagnia di quello specchio,
Che su e giù del suo lume conduce,
sd Tu vederesti il zodiaco rubecchio
Ancora all’Orse più stretto rotare,
Se non uscisse fuor del cammin vecchio.
67 Come ciò sia, se il vuoi poter pensare,
di che si maraviglia molto. Virgilio gli
spiega che questo avviene perchè ri tro-
rano nell'altro emisfero. Dante dichiara
di aver compreso ciò che Virgilio gli ba
detto,
53, owner: dalla quale parte eravamo
anliti.
54. orovanm: fl riguardaro dall'alto al
basso la vin percorsa suole dilettare eil
incoraggiare il viaggiatore. « Fatta la fa-
tica dello studio e della virtà, giora poi
riguardare la via percorsa ; » Tom, «State
super vias, et videte, st interrogato de
semitia antignis, que sit via bona, et
ambulato in en; et invenietis refrige-
rinm animabus vestria ; » Geremia, VI,10.
56. AMMIRAVA: perchè di qua dal tro-
pico del Cancro chi guarda verso levante
vede fl Sole giraro alla sua destra. « Si-
milem admirationem haboeront illi Ara-
bea, qui venerunt in subsidiam Pompei,
Lacano dicente (Phares. III, 247 è aeg.):
Ignotum vobiz, Arabes, vemistia in or bem,
Umbras mirati nemorum non ire sini-
atras;» Petr. Dant.
59. canro: Sole; ofr. v. 72.
60. ove, dalla parte dove di qua dal
tropico del Cancro il Sole entra, cioè na-
eco tra nol ed austro, punto opposto dia-
metralmente all'aquilone. « Ad hoc etiam
dictus poeta Locanus alt (Phars. IX, 538
oneg.): Et tibi, quwcumaue es Libyeo gens
igne diremta In Noton umbra cadit, que
nobis erit in Arcton;» Petr. Dani.
61. Castors & Pouce: i Dioscuri
figli di Giovo edi Leda; ofr. Hygin. Fab,,
77; Tretz, Lycophr., 87; qui=la costella-
zione dei Gemini.
62. argocuio: |l Sole, detto #epeechio
porchà, secondo Dante, riflette la Iuco
divina più d'ogni altra croatarn; cfr.
Conv, IIT, 14.
63. convuck: rischiara a vicenda l'uno
e l'altro emisfero. Sa il Sola, o ln parto
rosseggiante dello Zodiaco, dov' è Il Sole,
fosse nei Gemelli, si vedrebbe questa
parte moversi o rotare più presso al no-
stro polo, perehà il Segno del Gemelli è
più settentrionale dell'Ariete, dove al-
lora era il Sole. Confr. Della Valle, Sen-
ro, 45,
04, VEDERKSTI : Al. vEADRESTI. — RUIRO-
cmo: rosseggiante, dal lat. rubews; cfr.
Virg. Georg. I, 224 è seg. Così i più, An,
Fior., Benv., Buti, Land., Vell., Dan.,
Vent., Lomb., Tom., eco. Alonni dicono
Inveco che qui rubecchio è sostantivo è
significa rota ilentata di mulino, onde
zodiaco rubecchio significherebbe ruota
sodincale, Così Lan,, Postil. Cae., Petr.
Dant., eco.
60, cammin: dall' eclittica, sno corso
abituale.
07. come: Dante vnol qui mostrare
perché nel Purgatorio si vegga sempro
il Sole dalla parte di settentrione, mentre
a Sion o a Gerosalomme si vede sempre
da quella di mezzogiorno. Dice pertanto
che questi doe Inoghi banno nn solo oriz-
zonte e divers) emisferi, e però sono an-
884 (ANTIP. BALZO 1]
Pure, rv. 68-80
[it sora AL NORD]
Dentro raccolto immagina Siòn
Con questo monte in su la terra stare
70 Si, che ambedue hanno un solo orizzon,
E divorsi omispori: onde la strada,
Che mal non seppe carreggiar Veton,
78 Vedrai come a costui convien che vada
Dall'un, quando a colni dall'altro fianco,
Se l'intelletto tuo ben chiaro bada. »
76 « Certo, maestro mio, » diss’ io, « unquanco
Non vid’ io chiaro sì, com’io discerno
Là dove mio ingegno parea manco.
79 Ché il mezzo cerchio del moto saperno,
Che si chiama equatore in alcun' arte,
tipodi l'uno all'altro. Ma qneste daecon-
dizieni non bastano alla detta veduta,
porchè se i due Inoghi fossero dentro i
due Tropici o nel giro dell'eclittica, è
chiaro che potrebbero essere antipodi,
senza che l'uno velesso il Sole sempro
dalla parte del Nord, e l'altro da quella
del Sud, Bisogna donque che siano anche
fuori del Tropici o dell'eclittica. Lante
non esprime una tale condizione, ma la
sottintende supponendo che il lettore
sappia che Gerusalemme è al di qua del
Tropico del Cancro ed il Pargatorio al di
là del Tropico del Capricorno, Cfr, Della
Valle, Senso, 40 6 sag.
68. RACCOLTO : in te stesso; con interno
raccoglimento dolla tua mente.
70. omzzox: gr, “QelEwy orizzonte.
(irizzon dimo puro l'Ariosto fuor ii ri-
wa, Ort. XXXI, 23,
71. ONDE: Al. oxu'È.-SsTtRADA: il cam-
minoannuo del Sole, cioè l'eclittica. Dante
vnol dire che l'eclittica va da un fianco
al monte del Pargatorio (a costui, v. 73),
6 dal fianco opposto al monte Sion (a co-
lui, v.74). Edifatto l'annuo cammino del
Sole, so gi pon mente, va per noi da sini-
etra a dostra, è pul nostri antipodi da de-
stra a sinistra, come procedono appunto
i sugni dello Zadlinco; efr. Della Valle,
Senso, 43.
72. MAL: per lul, ofr. Inf. 1X, 54. JIo-
rat. Od, IV, 6, 14, Al, CHK MAI XON; CHE
MALE Savre, lezioni cho devono la loro
origine all'ignoramza ; cfr. Moonk, Orit.,
376 è seg. - Frron: alla greca, come Ca-
ron, orizzon, eco. Secondo la mitulogia la
via litten apparvo quando jl carro del
Sole, mal guidato da betoule, arso nua
Pda __
parto del cielo, Clr, Ooid, Met, 11, 47-324.
Nonn. XXXVILII, 171 e sog., 307 6 seg.
Jlygin. Fab., 152 eco.
73. A COSTUI: a questo monte del Pur-
gatorio.
T4. A COLUT: al monte di Sion, o a Ge-
rusalemmo,
75. baba: attendo in modo da veder
chiaramente tutto ciò, « In sostanza Vir-
gilio ha voluto dire: se fossimo a giugno,
tu vedresti il Sole anche più lontano da
to a sinistra; » Andr.
76. UNQUANCO, ancora mal; mai sino
a questo momento; cfr, Bembo, Prose,
lib. III,
77. SON vIn'Io: Al. NON vIDI CHIARO,
sin.ra non intesi mai così chiaramente
cosa che prima mi paresse oltrepassare i
limiti della mia capacità, come orn por i
tuol insegnamenti comprendo cle l'equa-
tore è tanto distante dal Pargatorio quan-
to è da Sion, o da Gerusalemme,
78. MANCO: manchevole, insufficlente.
79. mezzo cencuio: Circulua medius,
cioè il circolo di mezzo del cielo criatal-
linn. - net MOTO: del più alto dei cieli
che girano.
80. ART: astronomia. « È da sapere
che ciascuno cielo, di sotto del Uristal-
lino, ha due poli fermi quanto a sè; è lo
nono gli ha formi e fissi e non mutabili,
secondo alcuno rispetto; e ciascuno, sì lo
nono come gli altri, hanno un cerchio,
che si puote chiamare equatore del suv
cielo proprio; il quale egualmente in cia-
scnna parte della sua rivoluzione è ri-
muto dall'uno polo e dall'altro, come pad
sensibilmente volere chi volge un pomo,
od altra cosa tonda; + Conv. 11,4.
[ANTIP. BALZO 1]
Pure. 1v. 81-95 [IL SACRO MONTE] 385
E che sempre riman tra il sole e il verno,
82 Per la ragion che di’, quinci si parte
Verso settentrion, quanto gli ebrei
Vedevan lui verso la calda parte.
85 Ma, se a te piace, volentier saprei
Quanto avemo ad andar; ché "1 poggio sale
Più che salir non posson gli occhi miei. »
88 Ed egli a me: « Questa montagna è tale,
Che sempre al cominciar di sotto è grave;
E quanto uom più va su, e men fa male.
91 Però quand’ ella ti parrà soave
Tanto, che il su andar ti sia leggiero,
Come a seconda in giuso andar per nave;
DA Allor sarai al fin d'esto sentiero;
Quivi di riposar l’affanno aspetta:
BI. nian: che I Equatoro rimanga
sempre trail Soloe il verno è manifesto,
Uhà se l'inverno è nei nostri climi, il Sole
si trova di là dall' Equatoro nel Tropico
di Capricorno, o vicino a questo Tropico ;
onde l' Eqnatore rimane tra il Sole 6 noi,
che abbiamo l' inverno, Se poi l'inverno
è ni nostri antipodi il Sole si trova di qua
dall' Equatore nel Tropico dol Cancro; 0
presso a questo Tropico; onde |’ Equa-
tore rimane ancora tra |l Sole e i nostri
antipodi o anteci, che hanno l'inverno,
Cfr. Della Valle, Senso, 45 © sog.
82. nagion: perché il monto del Pur-
gntorio è antipodo a Sionno, v. 68 o sog.
= quinct: da questo monte, - BI PARTE:
si scosta verso sottentrione.
85. quanto: Al. quanno. Leggendo
quanto il Poeta direbbe che gli Ebrei,
allorchè erano in Gernsalemme e non
dispersi, vedevano l'Equatore lontano o
diviso da loro, quanto è lontano o diviso
dal Purgatorio, In questa lezione ver-
rebbe determinata la precisa posizione
dell'Equatore rispetto ni due Inoghi an-
tipodi. Nella lezione quando Dante non
farebbe, se non che denotare, che l'Equa-
tore si allontana dal Purgatorio verso
asttontrione, quando gli Ebrei lo vrode-
vane dalla parte di mezzogiorno, Confr.
Della Valle, Senso, 44.
V. 85-06. Natura del Sacro Monte.
Dante desidera di sapere quanto dovran-
no ancora salire, il monte essendo tanto
alto che l'occhio ano non arrivava sino
25. — Div. Comm., 3* odiz.
iin vetta. E Virgilio gli dice che la mon-
tngna è tale che nl cominciare è grave,
ma, salendo, l'andare si fa sempre più
leggioro. Sulle prime il salire è grave,
perch’ l'anima è ancora aggravata dal
peso dolle ane colpe: « Iniquitates mem
aupergressam® sunt capnt monm: et sient
onus grave gravate aunt super me; »
Sal. XXXVII, 56. Ma a misura che ai
progredisce nell'esercizio della penitenza
o della virth, l'anima va di balzo in balzo
agravandosi dalle ane colpe ed il cam-
mino le si fa per conseguenza sempre
più facile © leggiero.
87. ri: cfr. v. 40, « Visus non pote-
rat attingero encumen montis, quod erat
contiguum erlo; et talis est recte virtus
quo tendit ad colum;» Jenwv.
0). FA MALE: affation meno.
91. soAVE: facile tanto, che il salire
non ti costi più veruna fatica.
13, A SECONDA: secondo la corrente
delle neque. Del tempo in cui nacque Cri-
ato Conv. IV,5: «la navo della numana
compagnia direttamente per dolce cam-
mino a debito porto correa. » Alonni te-
sti leggono : COM'A SECONDA GIÙ L'ANDAR
ren NAVE, lex. difesa dal Hetti, il quale
nota: « Koco In costrusiono: Che l'andar
sputi fia leggiero, come l'andar per nave a
seconda in gii. Perchè levar dunque l'ar-
ticolo nl secondo andare, quando si è con-
ceduto al primo?! =
965. rIFPOSAR: riposarti della fatica è
dell'affanno durato.
386 [ANTIP. BALZO 1]
Puro, Iv. 96-118
[BELACQUA]
Più non rispondo; e questo so per vero. »
97 E, com’ egli ebbe sua parola detta,
Una voce di presso sond: « Forse
Che di sedere in prima avrai distretta. »
100 Al suon di lei ciascun di noi sì torse,
E vedemmo a mancina un gran petrone,
Del qual né io né ei prima s’accorse.
108 La ci traer
Che si si
Com'uon
106 Ed un di k
Sedeva
'Tonendo
109 « O dolce i
Colui che
Che se p
112 Allor si vo,
Movendo
96. rid: perchò io per me oltre non
discerno, cfr. Pury. XXVII, 129.
V. 97-126. Selucqua. Mentre i Poeti
discorrono sulla natura della montagua
odono una voce, si alzano e volgono a si-
nistra, è divtro uno scoglio del monte
alquanto elovato sul balzo, tra una com-
pagnia di nogligenti trovano Belacqua,
ancora uel mondo di là pigro come nel
mondo di qua. Di costui si hanno scarse
notizie. Lan. ed Ott. nou ve sanno nulla,
An. Fior.: « Questo Belacqua fu uno cit-
tadino di Firenzo, artotice, et facea cotal
colli di liuti e di chitarre, ct era il più
pigro uoino che fosso mai; et si dice di
lui, ch'egli venia la mattina a bottega,
et ponevasi a sedere, ot mai non si le-
vava se non quanilo egli voleva ire a de-
sinare et a dormire. Ora l' Auttore fu
forte suo domestico: molto il riprendea
di questa sua negligenza; onde un dì, ri-
prendendolo, Bolacqua rispose colle pa-
role d'Aristotilo: Sedendo et quiescendo
anima eficitur sapiens; di che l'Auttore
gli rispose: Por certo, se por sedore si
diventa savio, niuno fu mai più savio di
te. > Il Postil. Cas. diceche fu pigriasimo
«in operibus mundi sicut in operibus ani-
wie.» Benv.aggiunge che Belacqua «cum
magna cura sculpebat et incidebat colla
et capita cithararum, et aliquando etiam
one
ro al sasso,
ir sì pone,
asso,
rechia,
1450,
a adocchia
rente,
chia, »
CA
coscia,
pulsabat. Ideo Dantes familiariter nove-
rat eum, quia delectatus est in sono. »
Buti dice che Belacqua «al fine si pentì. »
Serrav. ripeto il racconto dell’ An. Fior.,
traducondolo quasi alla lottera. Altre no-
tizio di costui nun si hanno. Confr. En-
cicl., 206.
99. rima: di arrivaro lassù dovo ri-
poserai il corpo stanco. - DISTRETTA: ne-
cessità.
101. a MANCINA: a sinistra, i Poeti os-
seudo vélti a levante.
102. PRIafA : di udir quolla voce. Il pe-
trone, o gran masso ora lì vicino; ma Dan-
te e Virgilio non se n' erano accorti, per-
ché arrivati lassù si erano volti a levante.
108. 'EKSONK : anime di coloro che dif-
ferirono la penitenza sino agli estremi.
105. com'uoM: sdraiate per terra come
sogliono i pigri. - NKGLIGRNZA: Al. NKa-
GMIENZA.
108. GIÙ: chinoaterratra le ginocchia.
111. 8IROCCHIA: sorella, lat. sororcula,
anticamente voce dell’ uso.
112. POSK MENTE: fece attenzione a noi.
113. MOVENDO: volgendo appena gli
occhi su lungo la coscia, per non darsi
la fatica di levare il capo. « Belacqua è la
creatura più umana, più vora(f) di tutto
il Purgatorio, come è la più comica. Egli
scherza in modo sì amichevole e sincero,
[ANTIP. BALZO 1]
Puro. 1v. 114-129
[BELACQUA] 887
E disse: « Or va’ su tu, che se’ valente. »
115 Conobbi allor chi era; e quell’ angoscia
Che m'avacciava un poco ancor la lena,
Non m'impedi l'andare a lui: e poscia
118 Che a lui fui giunto, alzò la testa appena,
Dicendo: « Hai ben veduto, come il sole
Dall’ òmero sinistro il carro mena? »
121 Gli atti suoi pigri, e le corte parole
Mosson le labbra mie un poco a riso;
Poi cominciai: « Belacqua, a me non duole
1% Di te omai; ma dimmi, perché assiso
Quiritta sei? attendi tu iscorta,
O pur lo modo usato t'ha ripriso ? »
127 Ed ei: « Frate, l’andar in su che porta,
Ché non mi lascerebbe ire a' martiri
L’uccel di Dio che siede in su la porta?
che Dante 4 il primo n riderne; è lo
scherzo proprio dell'indole di Belacqua
che non ha voglia che di necidore il Lem-
po col doleo far nionte; » A. Itòondani.
114, va'BuU ru: Al. va'TU Bu. « Como
bone esprimono tutti quoestl monosillabi
Insomma poltroneria di Bolacqua ; » Betti.
= YALKNTK: non fratello della pigrizia,
come diceati che sono io. Ironia sottile
6 nello stesso tempo bonaccia.
116. aLLOR: alla voce.
116, AVACCIAVA: m'affrettara ancora
un poco il respiro. Aracciare, verbo par-
ticipiale da abigere, abactus, abactiare,
ofr. Diez, Wort. IL’, 6, vive tuttora in
quel di Chianciano, Cir. Inf. XXXIII,
106. Purg. VI, 27.
118. ALZÒ: prima aveva pur volto gli
occhi, adesso, si di la piccola, ma per
un sno pari gran fntica di levare un poco
fl capo. Sempre lo stoaso poltrono !
119, mat: continon il parlare ironico,
fleridendo Dante di non aver compreso
il motivo perchè il Sole lo feriva a sini-
stra. « Sicut ad faciem canam non per-
tingentes, novom effeotum communiter
mimiramar: sic, qunm cananm cogno-
acim, oom qui aunt in ndmiratione ro-
ntantos, quadam dorislono dospicimns: »
De Mon. II, 1.
121, ATTI: accennati più sopra, v. 106.
6 seg., 115, 118. -conre: « quia dixerat
tantom duo verba, qum foerant duo
acommata ana; > Meno,
122. UN roco: « qual conveniva alla
gravità del loco 6 dello circostanze, è
alla serietà del filosofo, e massime di
Dante, Sino a tal segno potò Danto dar
campo nl ridicolo, ma non più; » Gioberti.
« Fatuns in risn exaltat vocem sunm :
vir autem sapiens vix tacite ridebit ; »
Eceles. XXI, 23,
124. oMAI: vedendoti qui, in luogo di
salvazione.
125. QUIRITTA : appunto qui ; cfr. Purg.
XVII, 86. Al. Qui RITTA; Qui RITTO. Cfr,
Moore, Crit., 377 © seg.
126. usATO : nol mondo; la tun vecchia
poltroneria.- T'ma: Al. T'RAI.- RIPRIBO :
ripreso. Ti ha la pigrizia ripreso da capo,
come ti ebbe nel mondo!
V. 127-199. I mogligenti del primo
fbeateo. All'ultima dimanda di Dante Be-
lacqua risponde che il tentativo di salire
il Sacro Monto nulla gli gioverebbe, es-
senilo i negligenti, in pena della loro tra-
scurntezza, trattennti nell'Antiporgato-
rio, senza scontare | loro peccati, altret-.
tanto tempo, quanto hanno perduto nol
mondo per la loro negligenza, se | suf-
irngi dei vivi non nbbreviano loro il
tompo dell'napottazione.
127. rutatR: fratello. - cme rorta: cho
giova.
128. Al MANTÌNI : alle pene parganti del
sette cerchi.
120. r'UcceL: l'Angelo portiere, cfr.
Purg. IX, 78 o sog. Uccel o augel hanno
888 [ANTIP. BALZO 1) Puro, tv. 130-139
[BELACQUA]
130 Prima convien che tanto il ciel m’ aggiri
Di fuor da essa, quanto fece in vita,
Perch’ io indugiai al fin li buon’ sospiri:
133 Se orazione in prima non m'aita,
Che surga su di cor che in grazia viva:
L’ altra che val, che in ciel non è udita? »
130 E già ] poeta innanei mi caliva
E dicea: ch’ è tocco
Meridian
139 Copre la noi sco. »
colla gran maggioranza dei
Fior., Ihuti, Land., Vell., Di
tri con pochi codd, Henov., ec
Dicono che sedere non sia at!
ma sedere ha qui, come ta
senso di Stare, Kasere collo
eno poato, eco. Al. L'UscIRi
che side in ru la porta re.
il chiamar l'Angelo usciere,-
conduce al sette cerchi; ofr,
7060 sog.
130. mw’ AGGIRI: girl intorno a mo nol-
l Antipurgatorio tanto tempo quanto mi
girò intorno mentre vissi.
181. QUANTO FRCE: Al. QUANT’ IO FKCI,
spiegando: Conviene che la giustizia di
Dio mi faccia girare tanto, quanto io in-
dugiai la ponitenza. Ma queste animo
nun girano.
132. rxrcn' 10: perchè io indugiai i
buoni sospiri del pentimento sino agli
estremi della mia vita.
183. ORAZIONE: dvi viventi; cfr. Purg.
III, 140 e seg.
184. su: al cielo, dinanzi al trono di
Dio; cfr. Apocal. VIII, 3, 4.- IN GRAZIA :
nella grazia di Dio; confr. Ep. Iacob.
II, 16.
185. UDITA: esaudita. Al. GRADITA.
item quia peccatores Dens
od ai quis Dei cultor ost et
olua facit, huno exaudit; »
i 1, Ofr, Giobbe XXVII, 9;
Salm. LXV, 18. Prov, XV,
[, 0, Jai, I, 15.
in: Al. VIENI. — fi TOCCO: « an-
con questo parole asser già
sazogloruo, segue che tutto
ro era rischiarato dai raggi
neve amm, » Ord au tatto l'opposto, ché è
quello di Gorusalomime reguava la notto.
Questa adunque aveva steso i suoi passi
fino agli estremi confini a occidente, se-
gnati qui col regno o città di Marocco,
che occapava una delle parti più occi-
dentali di terra forma, allora conosciu-
te; » Antonelli. Cfr. Della Valle, Senso,
55 e seg. Ponta, Orol. Dant. ed. Gioia,
p. 50. Nociti, Orar., 13.
138. rIVA: del Gange; cfr. Purg. II, 4
e seg. La notte si estende dalla riva del
Gange sino al Marocco, ussia su tutto
l'emisfero boreale.
139. Morikocco: Al. Monrocco, Ma-
Rocco, Mazrocco. Gli autichi denomi-
narono Morrocco la regiono africana della
Mauritania, oggi detta Marucco; coufr.
Inf. XXVI, 104.
[ANTIP. BALZO 2]
PURO, v. 1-11
[PARTENZA] 889
CANTO QUINTO
ANTIPURGATORIO
BALZO SECONDO: NEGHITTOSI MORTI VIOLENTEMENTE
DUE MESSAGGERI, IACOPO DET, CASSERO
BUONCONTE DA MONTEFELTRO, PIA DE’ TOLOMEI
Io era già da quell’ ombre partito,
E seguitava l’orme del mio duca,
Quando diretro a me, drizzando il dito,
4 Una gridò: « Ve' che non par che luca
Lo raggio da sinistra a quel di sotto,
E come vivo par che si conduca, »
7 Gli occhi rivolsi al suon di questo motto,
E vidile guardar per maraviglia
Pur me, pur me, e il Inme ch’ era rotto.
10 « Perché l'animo tuo tanto s'impiglia, »
Disse il maestro, « che l'andare allenti ?
V. 1-21. Partenza dai Negligenti.
Allontanatisi i due Poeti da Relncqua e
da' anol compagni, questi si accorgono
all'ombra ena che l'uno è ancor vivo è
fanno le maraviglie. Dante rignarda in-
dietro, di che Virgilio gli fa rimproveri
ed egli se ne vergogna. (fr. Gen. XIX,
17, 26. S. Ime, XVII, 22.
1, ompre: dei negligonti nel primo
balzo.
3, DRIZZANDO: verso di me; additan-
domi alle altro ombre che ornano secolei.
4. ve’: vedi cheilcorpo di quel di sotto
gotta ombra.
fi. DA RINISTRÀ : polelà nvovano | Sole
nilesten; off. Purg. IV, 62 e sog. - DI
soTTO: salivano; Virgilio primo e più
alto, Dante secondo e più basso,
0, st CONDUCA: « Però che’) corpo di
Dante faceva ombra; ma lo corpo di
Virgilio che era nereo non fnceva om-
bra, et in ciò apparea che era morto; »
Buti,- « Par che si muova in modo come
as vivo fosse; dando, a cagion d'esem-
pio, segno di gravezza col romore che
nel camminaro facevano | piedi perco-
tendo il suolo, diversamente da quello
facessero le ombre; » Lomb,
8. viniLi: vidi quelle ombre dalle quali
eravamo già partiti.
9. run MK: solamente me, null'altro
che me solo, « Mo, me, adsum, qui feel,
in me convertito ferrum;» Virg. Aen.
IX, 425.- rotTO: dalla mia ombra. « Isti
merito mirabantnr de Dante ani erat
vivos inter tot innrtnoa, qui ante tom-
pus mortia vonerat ad l'argatorium ad
emendandam vitam vitloaam; miraban-
tur etiam quod erat sapiens inter tot
ignorantes; » Beno. (?).
10. 8'IMPIGLIA : s' impaccia, si dà briga
di ciò che altri dicono di te.
890 [ANTIP. I \LZO 2)
Puro. v. 12-25
[PARTENZA]
Cl a ti fa ciò che quivi si pispiglia?
13 Vien dietro a me, e lascia dir le genti ;
Ste’ come torre forma, che non crolla
Gi .mmai la cima per soffiar de’ venti.
16 Ché siempre l'uomo, in cui pensier rampolla
Sora pensier, da sé dilunga il sagno,
i & jt. Be Hui, IL.T_-
Pe
19 Che
Dis
Ch
23 E int
Ve
Ca
28 Quan
12. Clim: cosa t' hi
costoro |
14. rurma: Al. 1
lagi rapes immota ar:
VII, 586. - < Illo velus supos vastum que
prodit in sequor, Obvia ventorum furits
expustaque ponte, Viin cunctam atque
minas perfert clique marisque, Ipsa
immota manens; > ibid. X, 693 © seg. -
« Quemadmodum projecti in altum sco-
puli mare frangunt, ita sapientis animus
solidus est; » Senec. De Const. 3. - «Il
cominciamento del Canto è tirato un po’
alla lunga, per farsi da Virgilio consiglia-
ro la noncurauza dolle dicerio; » J’um.
16. RAMVOLLA: sorge, germoglia; cfr.
Par. IV, 130 v veg.
17. DILUNGA: allontana da sò il fine
propostosi.
18. rreucné: l'un pensiero sopravve-
niente indebolisce |’ attività dell’ altro. »
FOGA: propriamente impeto, furia ; qui
per forza, attività. - INSOLLA: indeboli-
sco; cfr. Inf. XVI, 28. Purg. XXVII, 40.
«Sempre l'uomo che si abbandona a
inolti pensieri, arriva tardi al sogno prin-
cipalo a cui tendo, porchd si uttano css
in guisa che l'uno rallenta il corso del-
l'altro; » Greg.
20. coLon: rossore; arrossondo un po’
di vergogna.
21. TAL VOLTA: non sempre. « Vergo-
gna nou è laudabilo ud sta bene ne’ vec-
chi, nè negli uomini studiosi, perchè a
loro si conviene di guardare da quelle
cose che a vorgogna gli inducono. Alli gio-
vani e alle donne von è tanto richiosto....
"tro insolla. »
«Io vegno? »
consperso
| volta degno.
rerso
vi un poco,
erso a verso.
dava loco,
o ottimo segno di nobiltà è nolli
© imporfotti d'otado, quando, do-
Ilo, nel viso loro vorgogna sl di-
p—-.3 Come, TV, 10.
V. 22-42. Due racssaggeri. Ecco poco
oltre una gonte che procede cantando un
salmo penitonzialo. Sono anime di neghit-
tosi morti violentemente, che sono esclu-
si dal vero Purgatoriotauto tempo quanto
sono stati negligeuti. All'ombra che egli
fa si accorgono anch’ esse che Dante è
vivo, lasciano il cantare 6 prorompono
in un grido d'ammirazione. Due corrono
come messaggi incontro ai Poeti, a chie-
dere conto di loro. Virgilio ordina loro di
andare a dire allo anime che Dante è ve-
ramente ancora nella prima vita, ed i due
messaggeri ritornano coll'ambasciata ve-
loci ai loro compagni.
22. DA TRAVERSO : AT. DI TRAVKRSO; in
dliroziono trasversalo a quella di Dante è
Virgilio che salgono.
23.GKNTI: cfr. v.52 68eg. Quanto tempo
costoro devono aspettare prima di ossere
ammessi nel Purgatorio il Poeta non dice.
Sombra però che ancho vssi, come quelli
dol primo balzo, dobbano nspottaro tanto
tompo quanto vissoro in nogligunza.
24. Miskin: il Salmo L che incomin-
cia: Miscrere mei, Deus, secundum ma-
gnam misericurdiam (uan. - A_VKIGIO:
a versetti alternati, « como cantano li
chierici in coro; » Buti. «1 canti de’ pur-
gauti sono frequenti e dispongono le ani-
me alle celesti armonie; » Z'om.
25. NON DAVA: intorrompeva col mio
corpo i raggi solari fucondo ombra.
[ANTIP. BALZO 2] Pure. v. 26-42 [pve MEssAGGERI] 391
Per lo mio corpo al trapassar de’ raggi,
Mutàr lor canto in un “ oh ,, lungo e roco.
28 E due di loro in forma di messaggi
Corsero incontro a noi, e dimandàrne:
« Di vostra condizion fatene saggi. »
al E il mio maestro: « Voi potete andarne,
E ritrarre a color che vi mandaro,
Che il corpo di costui è vera carne.
au Se per veder la sua ombra restaro,
Com’ io avviso, assai è lor risposto:
Facciangli onore, ed esser può lor caro. »
a7 Vapori accesi non vid’ io si tosto
Di prima notte mai fendor sereno,
Né, Sol calando, nuvole d'agosto,
40 Che color non tornasser suso in meno:
E giunti là, con gli altri a noi diér volta,
Come schiera che corre senza freno.
27. noco: la sorpresa, cd ogni affetto
subitanes, anole alterare la voce.
28. R DUE: la scena rammenta quel-
l'altra Inf. XII, 58 © seg.
20. sAGG1: sapevoli; fateci anpere chi
siete,
82. RITRARRE: riferire. Le parole sono
il ritratto de' concetti dell'animo.
Bi. sE: 86, come io m'immagino, si
sono fermati per aver veduto che ogli fa
ombra, basti loro sapere che questi è an-
cor vivo.
26. cano: potendo egli, ritornatovi,
ricordarli nel mondo 6 procorar loro anf-
fragi dei viventi; cfr. Purg.I1I,1406s0g.;
IV, 133, eco.
87. VArORT: le così dette stelle cadenti.
Ai tempi di Dante si credeva che tanto
Il fenomeno delle stelle cadenti, quanto il
frequente 6 silenzioso lampeggiare in se-
no alle nuvole nel pomeriggio di caldia-
sima giornata d'estate, provenisse da ac-
censione di vapori; cfr, Virg. Georg. 1,
305 e seg. Brunetto Lat., Trés. II, 27.
Frezzi, Quadrir. IV, 14. Il Posta vuole
qui dipingero In velocità con che i dne
mensaggi tornarono a riferiro ni loro com-
pagni In novità ndita, ol è come se di-
casse: Corsero sì veloci che parver baleni.
38. prima: sul cominciar della notte.
Al. Mezza NOTTE; cfr. Moone, Orit. 378
© Seg. — BRRRNO: il ciol sereno,
30. nk BOL: end vidi, in anl iramonto,
rimanendo |] Sole nascosto dietro le nu-
vole ostive, raggi di esso escire così ra-
pilamente da strappi formatisi entro le
nurolo stesso; » Itoxenierti. Altri: è
non vidi mai lampi fewlore com presta-
mente le nuvole nel mese di agosto.
Altri diversamente, cambiando la le-
zione, Chi vnol leggere: NÉ SOLCA LAM-
ro: chi: KÉ soLcar LAMPO: chi: nf Sor,
CALANDO IN NUVOLE, sce, Cfr. FAUCHENR,
Accidioso vinvidiosno fumino 7 Nap., 1892.
Fuxat, Note dantesche, Gravina, 1893,
p. 35-44. Giorn, Dant. I, p. 35, 66, 127,
129, 6651, 550; II, 204 osog. eco, AcQ., 53,
40, 18 MENO: in più breve tempo.
4l. pifi VOLTA: tornarono indietro alla
nostra volta co' loro compagni. Tanto
queste anime sono bramose di procac-
ciarsi i suffragi dei viventi. 1
42, CORRR: Al, SCORIR. - SKNZA FRENO:
quanto mai può correre,
V. 43-03, Schiera di anime. Virgilio
renile Dante attento, che tutte quelle
tante anime vengono a pregarlo di suf-
fragi, onde si perderebbe troppo tempo
volendo fermarsi ad nscoltarlo. Quindi
lo ammonisce di continnaro il enmmino
o ili ascoltarlo così andando, Le animo
manifestano la loro condizione, pregando
Dante di guardare se né conosce alcuna
per riportarne novelle su nel mondo, Il
Poeta non riconosce nessuno, tuttavia
promotiods fare ciò di cho lo preghornnno.
EE SSS"
Puro. v. 43-64
[SCHIERA DI ANIME]
43 « Qi sta gente che preme a noi, è molta,
E rengonti a pregar, » disse il poeta;
« 1'erò pur va, ed in andando ascolta. »
46 « O;nima, che vai per esser lieta
C 1 quelle membra, con le quai nascesti, »
V. olan gridando, « un poco il passo queta.
49 Guar la. se alcun di noi unque vedesti,
SÌ porti:
De shé non t’ arresti?
62 Noi f A morti,
E} 1’ ora:
Qu 3 accorti,
55 Si ch do, fuora
Di ificati,
Ch 1’ accora. »
68 Ed tc si guati,
No "a vol piace
Cos sn nati,
61 Voi dite, ea 10 taro per quella pace,
Che, dietro ai piedi di si fatta guida,
Di mondo in mondo cercar mi si face. »
64 Ed uno incominciò: « Ciascun si fida
43. rRRME: fa prossa, 8 incalza por
venire a nui.
46. PERL ESSER LIkra: per purificarti
ed andar poi dove i'uomo è telice; Purg.
XXX, 76.
47. MEMBIA : corporali, in carno ed ossa.
48. Quirra: fermati un poco. Soguendo il
consiglio di Virgilio, Dante non si ferma
a parlar colle anime, ma le ascolta senza
interrompere il suo cammino. Quindi le
animegridano: Deh perchè vai? mostran-
do quanto grande fosse il loro desiderio
di parlare con lui e di raccomandarsegli.
49. UNQUE: mai: cfr.2urg.I1I,105.7°ar.
VIIT, 20. - vepbesti; nella prima vita.
52. Mori: uccisi viclontomonto, parte
in guerra, parto per inimiciziv, o parto
dai loro prossimi e congiunti, como si
vedrà in seguito.
54. QUIVI: al momento della morte la
grazia illuminante ci trasse a penitonza.
« Videntur dicero tacite: Deus non reie-
cit nos precantes in extremo, et tu nop
videris dignari velle videre vel audire
nos.» Benv.
55. l'KKDONANDO: ai nostri offensori;
«Si enim dimiseritis hominis peccata
eorum, dimittet et vobis pater vester
ciulustis delicta vestra: » S. Matt. VI, 14.
56. PACIFICATL: riconciliati con Dio o
nella Sua grazia.
57. N’ ACCORA: ne tormenta; ardiamo
del desiderio di vedero Iddio, tal visione
essendo la summa perfezione ed Il som-
mo diletto. « Sitivit anima mea ad Deum
fortem vivum: quando veniam et appa-
rebo ante faciem Deif» Psal. XLI, 3;
cfr. Thom. Aq. Comp. theol. T, 165.
58. rERCHÉ: per quanto io guardi con
attenzione nei vostri visi.
60. BEN NATI: essendo in luogo di sal-
vaziono; cfr. Par. III, 37; V, 115.
01. pitR: chiodete, e vi giuro di fare
quanto voi dimandate por la beatitudine
del Paradiso cho voi sospirato e cho io
vo cercando di mondo in mondo sotto la
scorta di questa guida, cioò di Virgilio.
V. 64-84. Tacopo del Cassero du
Fano. Udita la promessa ed il giura-
mento di Danto quello anime lo pregano
[ANTIP. RALZO 2)
Pura. v. 65-77 [JACc. DEL CASSER0] 393
Del beneficio tuo senza giurarlo,
Pur che il voler nonpossa non ricida.
67 Ond’ io, che solo innanzi agli altri parlo,
Ti prego, se mai vedi quel paese
Che siede tra Romagna e quel di Carlo,
70 Che tu mi sie de’ tuoi prieghi cortese
In Fano si, che ben per me s’ adori,
Perch’ io possa purgar le gravi offeso.
73 Quindi fu’ io, ma li profondi fori,
Ond’ uscì "1 sangue, in sul qual io sedea,
Fatti mi fàro in grembo agli Antenori,
70 Là dov’ io più sicuro esser credea:
Quel da Esti il fe’ far, che m’avea in ira
a gara di ricordarle nel mondo e pro-
cacciar loro suffragi, manifestandosi è
raccontando della loro vita e morte, Il
primo che parla è il fanese Incopo, del-
l'antion famiglia del Cassero o Cassaro;
cfr. Amiani, Memor. Istor. di Fano I,
232. Questo Iacopo fn figlio di Ugnocione
potestà di Macerata nel 1268, e nepote di
Martino del Cassero, professore di leggi
e reggitore delle scnole di Arezzo nel 1256,
uno de’ più celebri gioreconsulti do’ snoi
tempi; cfr. Tiraboschi, Lett. ital., IMI,
270, Iacopo si trovò nel 1288 tra i guelfi
delle Marcho venuti in soccorso de' Fio-
rentini contro Arezzo; cfr. Vill. VII,120,
e nel 1296-07 fu potestà di Bologna, dove,
sparlandone, s'inimicò con Azzo VILI da
Esti marchese di Ferrara. Chinmato nel
1208 podestà a Milano da Maffeo Visconti
è messosi in viaggio per colà, fn accoltel-
lato 6 morto in Oriago presso Padova
(agli sgherri di Azzo VIII, assistito nel»
tradimento da Riccardo da Cammino è
da Geraldo signore di Trevigi ; cfr. Trist,
Oalchi Mediol, Hist. XVIII, 401. Il suo
corpo fu riportato a Fano e sepolto nella
chiesa di S. Domenico, dove si legge tut-
tora ona lunga iscrizione, Cfr. Amiani,
1, ¢., 233 e sog. Barozzi, in D. e il suo sec.,
7M e seg. Masetti, in Omaggio a D., 571
eeeg. Mazzoni Toselli, Voci e passi, 101
cate. Com. Tips. TT, 54 e sog. Dar, Lu
uo, Dante ne’ tempi di Dante, 424 0 sog.
Eneiel., 084-86.
06, nexerrcio: di auffragi che tu ci pro-
cureral, ritornato nol mondo. - BRNZA :
anche senza che tu ginri.
66. noxrossa : difetto di potere; così
noncuranza, o anticam. nongiuatizia.
Cfr. Ganvani, Poes. de’ Provenz., p. 400
6 sog. — RICIDA ; tronchi, renda inefficace
la buona volontà: « Velle adjacet mihi;
perficere autem bonum non invenio; »
Rom. VII, 18.
68. rarsr: ln Marca anconitana posta
tra la Romagna ed il regno di Napoli,
governato nel 1200 da Carlo II d'Angiò;
ofr. Par. VI, 100,
71. s'ADORI: si preghi per me; « Gen-
tiloa adorabant ad Oriontem; » Thom.
Aq. Sum. theol. I, 2; 102, 4,
72. qui»pi: da Fano. - rori: ferite
mortali.
74. SRDEA: nel qual sangno io, anima,
nareva la mia sede; « Anima enim omnis
carnis in sanguine cat; + Levit. VII, 14.
75. IN arEMbO: nel territorio di Pa-
dova, fondata secondo In tradizione da
Antenore troinno ; cfr. Tit Liv. 1,1. Tae.
Ann. XVI, 21. Pompeo Mela II, 4, «Sem-
bra quasi che Dante voglia qui accusare
i Padovani d'essorsi intesi proditoria-
mente con Azzo, e che per questi li chia-
mi Antenori, dal traditore Antenore; »
Filal.
79, LA: in Inogo dove io mi credeva si-
curo, « quia inter Venotias et Paduam,
nubi solet iter esso tutissimnm ; » Ben,
e Por In potenza de’ Padovani; » Audi.
Al.: per essere io lontano dal territorio
di Azzo, mio finro nemico,
77. qiitti.: Agro VII, tiglio di Obix-
xo IL ila Kate (qui Bett come nel Vill. LX,
86, 212, 275, 325; X, 19, ecc.), ignoro di
Forrara, Modena è Reggio, morto nel
1308. Confr. Inf. XII, 112, Purg. XX,
80. Vulg. elog. I, 12; II, 6. Bneiel. 171
® seg.
$94 [ANTIP. BALZO 2] Pura. v. 78-88
[BUONCONTE]
Assai più là che dritto non volea.
79 Ma s'io fossi fuggito in vér la Mira,
Quand’ io fui sovraggiunto ad Oriaco,
Ancor sarei di là dove si spira.
82 Corsi al palude, e le cannucce e il braco
M'impigliàr si, ch’ io caddi, e li vid’ io
Delle mix
BS Poi disse un
Si compia
Con buon
88 To fui di Mx
78. rid LÀ: oltre i confin
L'odio non era del tutto imm
egli stesso confossa nel v.72,
lato di Azzo con eccessiva |
sandolo pubblicamente di *
fora’ anche di parricidio, n
abbatterlo nell'opinione di
efr. Maretti, 1. c., 570.
79. Mina: borgo tra Padova ed Oriago
sulle rive d'on canale che esce dal fiume
Brenta, Ai tempi di Dante apparteneva
ai Padovani, i quali fino d'allora avevano
molte villeggiature e castelli nelle sue vi-
cinanze; cfr. Loria, 13, 191. Bass., 194.
80. QUAND'IO: Al. QUANDO FUL. - ORIA-
co: Uriago, villaggio del Veneto tra Pa-
dova e Venezia dalla parte dello lagune.
Fino a questi ultimi anni la strada prin-
cipale che conduce a Venezia passava per
la Mira vicino ad Oriago, posta fra set-
tentrione ed occidente della laguna. Ia-
copo foggendo dagli assalitori non tenne
la via che dovova, e impigliatosi nelle
canne 0 nol limo fu sopraggiunto ed uc-
ciso. Cfr. Barozzi, 1. c.,795. Loria, 13,191.
« Et dice che s' ivi fosse fuggito, come
egli fuggì verso il padule, ch'egli sarebbe
campato, però ch'egli era bene accompa-
gnato, et arebbe sostenuto tanto cle su-
rebbe stato atato da quei della villa; »
An. Fior.
82. waco: brago, fango.
84. LACO: lago; «quia sanguia meus to-
tus effluxit ibi; » Leno.
V. 85-129. Buonconte di Montcfel-
tro. Un altro spirito prega Dante di ricor-
darlo alla moglio ed agli altri congiunti
che di lui si sono scordati, Interrogato su
di ciò da Dante, racconta la storia della
sua morto, della contesa tra un Angelo
od un diavolo por avorno l'anima o dol
modo come il diavolo sfogò la sua rabbia
laco. »
rel disio
to monte,
Di
onconte :
non avendo potuto avere l'ani-
itui Bnonconte, figlio di quel
lo da Montefeltro che Dante
sonalgliori frandolenti; cfr. Inf.
‘7 e seg. Nel 1267 Buoncoute
alla cacciata de'Guelfi d'Arer-
quale si cominciò la gnerra tra
i ed Aretini; ofr. Vill, VII, 115.
=~ --~o m (le'capitaniche poserol'aguato
ai Senesi nel valico della Mievedel Toppa,
dove i Senesi furono sconfitti; ofr. Vill.
VII, 120. Nel 1289 capitanò i Ghibellini
ad’ Arezzo nella loro guerra contro i Fio-
rentini e fu ucciso nella battuglia di Cam-
paldino, 11 giugno 1289; cfr. Vill. VII,
131. «Fu valorosa persona; andò alla bat-
taglia di Campaldino e lì) fu ferito; non si
seppe mai che fosse di lui; » Lan. ed Ott.
«Juvenis strenuissimus armorum, qui in
conflictu A retinorum apud Bibonam mis-
aus a Guillelmino episcopo aretino ad
considerandum statum hostium, retulit,
quod nullo modo erat pugnandum. ‘uno
episcopus, volut nimium animosus, dixit:
tu numquar fuisti de domo illa. Cui Bon-
contes respondit: si venerelis quo ego,
numquam revertemini;etsicfuitde facto,
quia uterque probiter puguans remausit
in campo. .... Ex isto Bonconte non re-
mansit aliqua stirps; » Benv. Cfr. En-
cicl., 273.
85. sx: particella deprecativa. - visio:
di pace, v. 61 © sog.
87. VIKTATE: opere di pietà cristiana. -
IL MIO: il desiderio che ho di andare a pu-
rificarmi per salire poi in Paradiso.
88. FUI: como vivo, cfr. Inf. XXXIII,
18.-50N: perchiò la persona rimane, cfr.
Par. VI, 10. Alcuni codici banno Ful
BUONCONTK invece di sON BUONCONTK;
confr. Movkk, Urnit., 379 è sog.; Berti,
II, 88.
[ANTIP. BALZO 2]
Puro. v. 89-101
[BUONCONTE) 895
Giovanna o altri non ha di me cura;
Per ch'io vo tra costor con bassa fronte. »
ol Ed io a lui: « Qual forza, o qual ventura
Ti traviò sì fuor di Campaldino,
Che non si seppe mai tua sepoltura? »
di « Oh,» rispos’ egli, « appié del Casentino
Traversa un'acqua c’ ha nome l’Archiano,
Che sovra l’Ermo nasce in Appennino.
07 Dove il vocabol suo diventa vano
Arriva’ io forato nella gola,
Fuggendo a piede e sanguinando il piano.
100 Quivi perdei la vista e la parola
Nel nome di Maria finii; e quivi
89. Giovanna: già moglie di Bnon-
conte, « La contessa Giovanna dopo In
morte sua mai non mostrò enrarsi di Ini,
nè non fece mai volgere preto ad altaro;»
An. Fior. Con sua bolla del 26 sett, 1206
papa Bonifazio VIII la raccomandò al
Volterrani, i quali le salvarono le terre
© cantella Insciatele per retaggio dal pa-
dro (cfr, Mumat., Antig. Fetens. IT, 05.
Rrouza, Dante e i J'innni, 127 n aeg.).
Morì senza figlinoli, lasciando suo orede
Azzono Visconti (cfr. MunraT., Seript.
XII, 098 e 1019). - ALTRI: de’ miei con-
sanguinei. I] conte Galassio di Monte-
feltro fn podestà di Arezzo nel 1290, è
Federigo di Montefeltro vi era podestà
per l'appunto nel 1300; cfr. MuraT.,
Script. XXIV, 862,
20, BASSA: vergognandomi di essere
così negletto da‘ miei congiunti. « Ex do-
lore et pudore; quia nallus est in secalo,
qui roget Denm pro me;» Penv.
D2, CAMrALMNO: piccola piannra nol
Casentino in Valdarno di sopra, dove i
Ghibellini «d'Arezzo furono sconfitti dai
(Gnelli di Firenze a di 11 giugno 1289;
efr. Vill. VII, 181. Dante poteva cono-
scere naani bene i fatti, avendo militato
nell'esercito fiorentino, comenttesta Loo-
nando Bruni Aretino, fondandosi sopra
ona epistola di Dante che egli nfforma
di aver veduta; Vita di D. e nella ana
Hist. Flor, Sni dubbi pinttosto sventatn-
monte suscitati in proposito cfr. Proleg.
38 è seg. e specialmente Dante-Mand-
buch, 63-69. Det. Lunco, Dante ne' tempi
di Dante, 183 05. Bass., 41 © seg.
93. BRPOLTURA: « mai non si seppe
dove fosso arrivato, però che mai non
al trovò il corpo suo; » An, Fior. «e Nom-
quam relatas fuit obi moriretor et qno-
modo; » Postill, Cass. « Corpus ipsius
numquam potult inveniri; » Bent,
04. CASENTING; Clusentinum provincin
di Valdarno di sopra nell'Appennino,
fra il torrente Dwuecoria è l'Ammo; cfr.
Inf. XXX, 65. Purg. XIV, 43.
DI. ACQUA: flame; per metonimia. -
Arnciiano: oggi Arehione, fimmo cho
forma il confino tra Onsontino o Tlib-
biena, « Localmente porò è chiamato Ar-
chiano, anche 0 invece, il foaao stesso di
‘amaldoli, e questo è indubitatamente
l'Archlano di eni parla il Poeta;» Gamb.
Conte,
06. Kuo: eremo, solitudine ; intendo
del convento di Camaldoli, sito nei più
alpestri Appennini presso la Giogana;
ofr. Par, XXII, 40,
97. Dove: Al. LÀ ove; circa dne mi-
glin e mezzo dn Campaldino, dove vien
mono il nome di Archiano, perchè lo suo
acque ontrano nell Arno,
100. quivi: lh dove l'Archinano metto
in Arno amarri i sensi, là finii il mio par-
lare invorando Maria, là io caddi o la
carne mia, il mio corpo rimase abbando-
nato dall'anima. Insomma: qnivi enddi
morto, invocando morendo la Santa Ver-
gine. Altri, come Benv., Land., Dan.,
Vent., Rting., Tom., punteggiano :
Quivi perdel la vista e la parola;
Nel nome di Maria fbil,....
interpretando: Quivi perdetti i sensi ela
favella; moril invocando Maria. Come si
fa ad invocare Maria dopo aver perduto
la favelln?
896 [ANTIP. BALZO 2]
[BUONCONTE]
Caddi, e rimase la mia carne sola.
103 Io dirò il vero, e tu’ ridi’ tra i vivi:
L’angel di Dio mi prese, 6 quel d'inferno
Gridava: “ O tu dal ciel, perché mi privi?
106 Tu te ne porti di costui l'eterno
Per una lagrimetta che ‘| mi toglie;
Ma io farò dell'altro altro governo. ,,
109 Ben sai come nell’aere si raccoglie
Quell’umido vapor, che in acqua riede
Tosto cl
112 Giunse qu
Con l’ip
Per la’
115 Indi la vi
Da Pri
103. RIDI’: « ad ex
nium, ut numquam de
rant peccatores usque
Meglio forse: A ftinche
sapendomi in luogo di
104. QUEL: |’ angel
monio. Un contrasto
XXVII, 112 e seg. U
cangelo Micael ed il
di Moisè è accenna... _.
v. 9. La leggenda del inedio evu... .
di simili contrasti, i quali ordinariamente
si svolgono intorno al possessi dell'ani-
ma, di rado intorno a quello del corpo.
105. DAL CIKL: Al. DEL CIKL.- MI PIIVI:
della costui anima, la quale, casendo im-
mortale, è la parte cterna dell’uomo.
107. LAGRIMKITA: da par suo parla
della conversione agli estremi con dileg-
gio. Anche nella luggenda dul medio evo
occorre sovento il concetto, che l'uomo
consegue l'oterna saluto con una lagrima
di penitenza, o raccomandandosi moren-
do a Dio, o alla Vergino, concetto tolto
da S. Luca XXIII, 42, 43.
108. DELL'ALTRO : del corpo, sul quale
sfogherò la mia rabbia.
109. HEN SAI: descrive dottrinalmente
insieme e pooticamente la formazione del-
la pioggia. - RACCOGLIE: si condensa in
nuvole. «Swpe etiam iinmensuin cielo ve-
nit agmen aquariuin Et foedam glomerat
tempestatem imbribus atris Collectae ox
alto nubes; » Virg. Georg. I, 322 © seg.
110. rirnbr: si converte in acqua e
ricade condensato in pioggia.
3va il freddo il coglie.
al chiede
imo e il vento
ede,
0,
coperse
n: nella regione superiore del-
IRDDO : « il freddo 4 gonerativo
aj è Conv, 1V, 18.
inSK: l'angolo d'inferno, +, 104,
quella cattiva volontà che nou
è non cerca ole il male, coll’ in-
ofr, Inf. XXIII, 16, XICKT, 65
il: Quel mal volor che por mal
soll'intelletto arrivò alla regione
ro doll'arla, Al.: Giunse qual
toler, clod Quel malo (il demonio)
is tit il volere coll'intelletto. Il Betti;
«Il pusso è molto imbrogliato, Forse però
vuol essere meglio punteggiato, e dopo
chieda va punto e virgola. Con lo intel-
letto e' mosse il fumo e tl vento, (ciod
coll atto della sua voloutà) secondo la
virtà della natura sua. Giunse allora si
dee spiegaro per arrivò. Ed infatti con
che altro modo, se nou coll'intelletto,
potrobbe uno spirito muovere una tom-
posta? »
113. Fummo: le umide vaporazioni.
114. vIKTÙ: possanza. Il diavolo è detto
«il principe delia podestà dell’ aria, »
Efes. II, 2. Sullo cognizioni dei demoni
cfr. Thom. Aq. Sun. theol. I, 64, 1, o I,
112, 2, dove si dice: « Angeli mali pos-
sunt aliquid in istia corporibus operari
preter actionem ciwlestium corporum,
condensando nubes in pluvias, et aliqua
hojusmodi faciendo. » Cfr. Oum. Lipe.
II, 60.
115. INDI: poi, come si fu fatto sera,
il demonio coperse di nebbia la valle.
116. PuATOMAGNO: «uno dei contraf-
[ANTIP. BALZO 2]
Pure. v. 117-131
[BUONCONTE] 397
Di nebbia, e il ciel di sopra fece intento
118 Sì, che il pregno aere in acqua si converse:
La pioggia cadde, ed a’ fossati venne
Di lei ciò che la terra non sofferse:
121 E come a’ rivi grandi si convenne,
Vér lo fiume real tanto veloce
Si ruinò, che nulla la ritenne.
1% Lo corpo mio gelato in su Ja foce
Trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse
Nell’Arno, e sciolse al mio petto la croce
127 Ch’ io fei di me quando il dolor mi vinse:
Voltommi per le ripe 6 per lo fondo,
Poi di sua preda mi coperse e cinse. »
130 « Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
E riposato della lunga via, »
forti dell'Appennino che divide il Val-
darno dalla valle Casentineso; » Bocci.
Così pure Bene., Buti, eco, Invece BI,
col più dei moderni: « Ora Pratovecchio,
borgo di Toscana nel Valdarno superiore
n piodi dell'Appennino.» Cfr. Bass., 31,
24, 41, 47. — gioco: la catonn principale
ilell'Appennino n man manen,
117. iL crn: AI. 1 ore; ma Donte
non dice che fosse nevicato, - INTENTO :
onperto, denso di vapori; « Horrida tem-
pestas cmlum contraxit, et imbres Ni-
vesque dednennt Jovom;» Morat. Fpod.
XIII, 1 6 seg. «Obtenta donsantor noote
tenebra; » Virg. Georg., 1, 248.
118. rurono: di vapori. 11 giorno della
battaglia di Campaldino « l'aria era co-
perta di nngoli, la polvere grandissima; »
Dino Comp. I, 10.
119. rossati: piccoli torrenti dell'anzi-
detta valle,
120. ciò: la parte della pioggia cho non
fu nasorbita dalla terra.
121. gr comk: © quando quell'acqua si
raccolse nei torrenti del Casentino,
122. FIUME nEAL: l'Archiano; Benv.
Invece i più (Buti, Serrav., Dan., Vol.,
Vent., Lomb. © giù giù sino al Pol.):
l'Arno, del qualo si parla in sognito, ma
ohe voramento è dotto fiume rente dal
Vill. 1, 43, Cfr. Com. Lipe, 11, 01.
125. RUBESTO; impetuoso, gonfio per
la pioggia; cfr. Inf. XXXI, 106.
126. SCIOLSE: « quando si senti che ']
moria elli s'inorociò le braccia, pol quan-
do fu rivoltato dell'acqua, la croce delle
braccia al diafece; » Lan. e Ott. Invoco
Land.: « Arno lo voltò per alquanto spa-
zio, ma nel voltarlo gli spezzò le braccia,»
127. IL poLOR: « il compungimento
de’ miei commessi errori; » Dan. Così
pure Lemb., Biag., Br, R., eco, Al.: il
dolore della ferita mortale, Innceo forse
il dolor fisico n fare In ernco?
128. vortommi: il soggetto è natural-
mente l'Archiano del v. 125. - LE nire:
Al. LE COSTE.
120. rina: «sassi, rena o ghiara, che
scorrendo per In terra et innondando
quella, come i soldati In proda, sé ne
portan con loro i fumi; » Dan. Al: n
BUA MIKTRA, clot ghiaia. - cormense RE
cinsR: mi ricoperso di sopra e d'intorno,
V. 130-126, Pia de' Tolomet. Una
terza anima si raccomanda a Dante, pro-
gandolo di ricordarsi di lei, nata in Siena
e morta nella Maremma, come lo sa il
marito traditore. È Pin senese, nata della
famiglia dei Tolomoi (An. Mior., Ren-
venuto, ecc.), che andò sposa a Nello, o
Paganello, figlio d' Inghiramo de’ Pan-
nocchieschi, signoro del castello della
Piotra a nove miglia n levante da Massa
Marittima, e di molti altri castelli di mi-
nor conto, podestà di Volterra nel 1277,
di Lucon nol 13193, capitano della taglia
guelfa di ‘Toscana nel 1284, vissuto sino al
1322, nel qual anno feco testamento. Que-
ata Pia non è da confondersi con Pia Gun-
stelloni, vedova di Baldo Tolomei, vi-
vente nel 1318. Nello, o che In moglie
aresse veramente commesso alcun fallo
898 [ANTIF BALZO 2]
Pura, vy. 152-136
[LA PIA]
Jeguitò il terzo spirito al secondo,
133 « licorditi di me che son la Pia:
Siena mi fe’, disfecemi Maremma:
Sàlsi colui che inannellata, pria
136 Di sposata m’avea con la sua gemma. »
(Lan., Ott., Ba |) ache la soapettasse sol-
tanto d'infode
o forse per d
Margherita di
dova di Guido
e eog.), condu.
di Pietra in ]
morire, <et sep
che non si sa o.
pure Otf., Postil
Dan., ecc. Inve
ella alle finesti
a una vallo in
mandò uno suo .
di dirietro, et c
stre in quella
mai di lei noi
stesso racconta ,.... —..... . -— ru
la tradizione indichi tattavis una parto
del dirupo nol quale sorge il castollo, col
nome di Salto della Cuntessa. Cfr. Quin.
Lips. II, 62. A. Lisixt, Nuovo documento
della Pia de’ Tolomei, Siena, 1823. Pio
SvaGNOTTI, La Pia de’ Tolomei, Torino,
1893. Bass.,143 0 sog. Hneicl., 1494 © seg.
133. niconviti: Al. RicokbaTi. Buun-
conte ricorda la sna Giovanna e gli altri
che si sono scordati di lui; Manfredi vuol
esserricordato a Costanza, Iacopo a'suol
ued che pregassero por lui, La povora
i nun ha alcun nome nel ano santuario
vestico è prega il solo Dante di ricor-
si di lel. Cfr. De Sanctis, Lett. ital.
218,
Sd. M1 pi: nacqui in Siena, morli in
Temma,
ia. coLui: Nello mio marito. Lai sé
aa; donque altri no. Dunque anche
nie non ne sapeva nulla, come il Lan ,
it,, 600, — INANNELLATA: cho mi diede
illo nuziale celebrando il matrimonio
ondo il rito della Chicaa, dopo nvormi
ma digporata, cioò datami promenaa
natrimonio. (Questa interpretazione è
furtata «dalla lezione 1srosanbo dél
+» 130, che è di molti codd, ed ediz. Vuol
dire che fu legittima moglie del suo uo-
cisure. Molti intendono: Che m’ avova
disposata dopo vssore prima stata inan-
nellata, cioè: che mi aveva sposata in se-
conde nozze. Ma tale interpretazione sta
o cade coll’ identificazione di Pia de’ To-
lomei con la Pin Guastelloni.
136. DISLOSATA: Al. DIBPOSANDO ; cfr.
BauLow, Contrib, 200 o seg. Moonk,
Crit, 380 © sog.
[ANTIP. BALZO 3]
PugRa. vi. 1-4
1
[GARA DI ANIME] 899
CANTO SESTO
ANTIPURGATORIO
BALZO SECONDO: NEGHITTOSI MORTI VIOLENTEMENTE
BENINCASA, GUCCIO TARLATI, FEDERICO NOVELLO
PIER DELLA BROCCIA, SORDELLO
APOSTROFE ALL'ITALIA ED A FIRENZE
Quando si parte il giuoco della zara,
Colui che perde si riman dolente,
Ripetendo le volte, e tristo impara:
4 Con l’altro se ne va tutta la gente:
V. 1-24. Gara di anime. Le anime
si affollano attoruo n Dante progandolo
di ricordarsi di loro nol mondo e procurar
loro suffragi de' viventi. La gara è tale,
che il Poeta paragona sè stesso al vinci-
tore nel ginoco della zara circondato dalla
gente che desidera doni.e mance.
1. 81 PARTE: si finisce ed i giuocatori
sì separano, cfr. Purg. XXVI, 87. -
ZARA: prov. azar, forse dall’ebr. zarah,
arab. volg. zehar © per contraz. zar =
dado; cfr. Diez, Wort. 1°, 41 e seguenti.
« Nota che questo gioco si chiama zara
per li punti divietati che sono in tre
dadi da sette in giù e da quattordici in
su; © però quando vognano quelli pun-
ti, dicono li giocatori: Zara, quasi dica
Nulla, come sero nell'Abbaco; » Buti.
La zara fa nel medio evo il tipo dei molti
giuochi di azzardo fatti coi dadi. Cfr.
Blanc, Versuch lI, 16 © seg. Zdekauer,
Giuoco in Italia, 7 e seg. Secondo N. TA-
MASSIA (Una nota Dantesca nel Giorn.
stor. della Letter. ital. vol. XXI, 1893,
p. 456 e seg.) Dante avrebbe preso l'ima-
gine presente da Odofredo, famoso dot-
tore di Bologna, morto nel 1265, il quale
scrive (Super tribus libris codicis, Lugd.,
1550, p. 31): « Item sicut videmus in
Insoribus ad taxillas vol similom ludum,
nam multi stare solent nl videndum lu-
dum, et quando unns lusorum obtinet
in ludo, illi iustantes solent petere ali-
quid sibi dari de luoro illo in ludo habi-
to, et illi lusores dare solent, et si do
suo patrimonio aliquis ab eis petoret
alias si in ludo, reputarent eum fatuum.»
Del resto il Tamassia osserva: « Odofre-
do riforisce esempi, aneddoti, detti, ecc.,
di parecchi suoi predocessori. Può darsi
quindi che questo esempio de' giocatori,
circondati da gente che aspetta il mo-
mento buono per chiedere, fosse un esem-
pio tradizionale, scolastico che si soleva
adoporaro dai dottori. E allora Dante
avrebbe tratto la materia prima della
sua similitudine dalle tradizioni scola-
stiche bologpesi. »
8. LK VOLTR: le voltate dei dadi, i
punti; riprovandosi a gettar i dadi, a
far nuovi tiri. - IMPARA: a far punto mi-
gliore. Al.: n non fidar dolla sorte. Al.:
che cosa sia giuoco.
4. CON L’ALTRO: col vincitore. - va:
chiedendo doni; « quale gli domanda par-
te; quale domanda provigione, perchè
tenea la ragioni al giuoco; quale doman-
da di vincita; » Lan.
400 [ANTIP. BALZO 2]
Pore, VI. 5-17
[GARA DI ANIME]
Qual va dinanzi, e qual di retro il prende,
E qual da lato gli si reca a mente.
7 Ei non s’ arresta, e questo e quello intende:
A cui porge la man più non fa pressa;
E così dalla calca si difende.
10 Tal era io in quella turba spessa,
Voleanda a lara a ana a 14 Ja faccia,
E p.
13 Quivi «
Fie
El
16 Quivi 1
Fed
0, GLI Bl Ekca: lo
di lui.
B. ACUTI: quegli ac
la mano damlogli la
più pressa o calca ib
pe’ fatti suoi. - FORO.
dalla sua vincita,
13. L'ARKTIN: Benincasa da Laterina,
giudice d' Arezzo, uomo dottissimo in
iure civile (Land.), valentissimo in ra-
giono, compagno di messer Accorso da
Firenze che chiosò le leggi (An. Fior.).
Essendo vicario d'Arezzo condannò a
morte uno (Ott., An. Fior., Postil. Cas.,
Petr. Dant., Falso Bucc., Benv.) o due
(Lan., Buti, Land., Vell., Dan.) stretti
parenti di Ghino di Tacco, cioò un suo
fintello Corvo(Lan.), 0 Tacco(Q(t.; Dan.),
o ‘Turino (An. Mor., Petr. Dant., Buti,
Land.,Vell.), o un altro suo fratello (OW.,
Dan.), o suo padre ‘Tacco (Aquarone), ea-
sendo essi « rubatori et omini violenti,
aveano tolto nl comune di Siena uno ca-
stello che era in Maremma, e quive sta-
vano e rubavano chiunque passava per
la strada; » Buti. Andato Benincasa a
Roma come uflicialo (An. AYor.), o vica-
rio di papa Bonificacio (Lan.), o giudice
del tribuno (Buti), Ghino gandò a sor-
prenderlo, lo uccise « sulla sala dove si
tiene la ragione » (Lan.) o se ne venne
a salvamento con la testa, la quale gli
aveva tagliata (Buti, Land., Vell., Dan.).
Cfr. GIGLI, Diario Sanese II, 312 © seg.
Bocc. Decam. II, 8; X, 2. MANNI, Sto-
ria del Decam. p. 211 e seg. 541 © seg.
14.Guix: gentiluomo senese dei nobili
della Fratta (Benv., Oarpellini), o de' Pe-
corai da Turita(Aquarone), grande ruba-
a da essa,
braccia
be la morte;
ndo in caccia.
porte
a Pisa,
an., Ott., An. Fior., Postil, Caw.),
sua forecea o le sue ruberie nomo
unoso (Hoce, Dec, X, 2). Dopo ea-
uto lungo tompo lo spavento dolle
mo Senosi è della stessa corto ro-
er i riconciliò con Bonifacio VITI che
lo fece cavaliere di 8. Giovanni e gli donò
una gran prioria di quelle dello spedale.
Mentro passeggiava inerme in Asina-
lunga nel contado di Siena fu assalito da
molti armati od ucciso. Cfr. AQUARONE,
D. in Siena, p. 93 e seg. Com. Lips.
II, 66.
16. 1.’ aLTRO: Guccio (oppure Ciacco,
come lo chiamano altri) dei Tarlati da
Pietra Mala, zio di Guido vescovo d'Arez-
zo, sjuvenisstrenuus armorum. Hic, cum
Tarlati gerorent bellum cum Bostolis no-
bilibus do Arotio, qui oxules recipiebant
se in castello, quod dicitur Roudine in
Valle Arni, equitavit contra illos; et
cum persequeretur quosdam, equas for-
tis transportavit ipsam in Arnum, et
suffocatus est in quodam pelago. Cuius
corpus inde extractum Bostoli ludibrio-
se sagiptasso dicuntur; » Benv. Altri
dicono che unnegò fuggendo ; ma se cor-
reva in caccia non fuggiva.
17. FkbkkIcO: figlio di Guido Novello
dei Conti Guidi del Casentino. Fu uc-
ciso nel 1289 o 1291 da uno de' Bostoli
d'Arezzo presso Bibbiena. - QUEL: « que-
sti fu Farinata figliaolo di messer Mar-
zucco degli Scornigiani da Pisa; lo quale
messer Marzucco fa cavaliore e dottore
di legge, et essendo ito in Maremma ca-
valcando da Suvereto a Scherlino, nella
via si fermò lo cavallo per uno ismisu-
rato serpente che correndo attraversò
(ANTIP. BALZO 2]
Pura. vi. 18-24
LA PI
[GARA DI ANIME] 401
Che fe’ parer lo buon Marzucco forte.
19 Vidi cont’ Orso, e l’anima divisa
Dal suo corpo per astio e per inveggia,
Come dicea, non per colpa commisa;
22 Pier della Broccia dico : 6 qui provveggia,
Mentr’ è di qua, la donna di Brabante,
Sì che però non sia di peggior greggia.
la strada, del quale lo detto messer Mar-
zucco ebbe grandissima paura; et avvo-
tosei di farsi frate minore, © così fece
poi che fu campato del periculo.... Fatto
frate lo detto messer Marzucco, avvenne
caso che Farinata sopradetto suo figliuo-
lo fa morto da uno cittadino di Pisa (Bec-
cio da Caprona, An. Fior., Petr. Dant.);
onde lo detto messer Marzucco cogli al-
tri frati di S. Francesco, andati per lo
corpo del detto suo figliuolo, come nsanza
è, fece la predica nel capitolo a tutti con-
sorti, mostrando con bellissime nutori-
tali e vorissimo ragioni cho nel caro
avvenuto non era nessuno migliore ri-
medio che pacificarsi col nimico loro; e
com ordinò poi che si fece la pace, et
egli volse baciare quella mano che aveva
morto lo ano fighuolo; » iui. Così in-
circa ancho An. F¥or., Petr. Dant., occ.
Cfr. Sforza, Dante e i pisani, 129 e seg.;
155 e seg. Secondo altre tradizioni Mar-
zucco si mostrò forto uccidendo l' assas-
sino di suo figlio, oppure vincendo con
la sua pazienza la durezza dell' uccisore.
V. sopra queste diverse tradizioni. Com.
Lips. II, 67. Encicl. 1218 e seg.
18. Marzucco: «a costni è indiritta la
lettera XVII di fra Gnittone; » Betti.
Cfr. Bortanri, Lettere di fra Quittone,
Roma, 1745, p. vini e 211. MANNI, Sigilli,
V, 152; XXIX, 59 e seg. Srorza, D. e i
Pisani, p. 129 e sog., 155 © seg.
19. Orso: secondo gli uni (An. Fior.,
Postill. Cass., Petr. Dant., Buti, eco.)
Orso degli Alberti di Firenze, ucciso a
tradimento da'suoi congiunti o consorti,
per torgli le fortezze che aveva in Val di
Bisenzio. Secondo altri (Benv., Land.,
Vell., Dan.) figlio del conte Napoleone
della Cerbaia (ofr. Inf. XXXII, 57), uo-
ciao per opera dol conte Alberto da Man-
gona, suo cognato (Benv.), o suo sio
(Land., Vell., Dan.).
20. 1NvEGGIA : invidia, dal prov. enveja;
cfr. Nannuc. Verbi, 37.
21. COMMISA : commessa; cfr. Nannuce.,
I. c., 891, 400 © seg.
26. — Div. Comm., 32 ediz.
22. Pirr: Pierre de Ja Brosse, di bassi
natali, di professione chirurgo; seppe
guadagnarsi il favore di Filippo l'Ar-
dito (cfr. Purg. VII, 103) re di Francia
in modo da esserne fatto gran ciamber-
lano. Quando nel 1276 Luigi, figlio mag-
giore di Filippo, fa colto da morte im-
provvisa, ai sospettò di veleno. Pare che
Piotro accusarse Maria, figlia di Arri-
go VI daca di Brabante e moglie in se-
conde nozze di Filippo, d'aver fatto av-
velennre |] figliastro por assicurare al
proprio figlio la succcasione sul trono di
Francia. Purgata ln regina più o mono
giustamente dalla colpa appostale, essa
od i suoi fautori incominciarono ad odiare
fieramontoe Pietro, il quale andò man ma-
no pordondo il favore del re. Quando poi
Filippo gnorreggiava con Alfonso X re
di Cnxtiglin, i nomici di Pietro lo accu-
sarovo di tradimento e focero consegnare
a Filippo lottero segreto ad Alfonso che
ai dissero scritto da esso Pietro, onde
Filippo lo fece impiccare. Ignorando que-
sta circostanza i com. antichi dicono che
Pietro fa ucciso ad istanza della regina
(Postil. Cass., Petr. Dant., Falso Bocce.)
che lo accusò appo il re di averle voluto
far forza (Lan., Ott., An. Fior., Benv.,
Buti, JLand., Vell., Dan., oce.). Danto
sembra qui croderln innocento. Alcuni
credono che Pier dolla Broccia sia quel
conte d' Anguersa, o Anversa, la cui sto-
ria è raccontata dal Boccaccio, Decam.
JI, 8. Cfr. MANNI, Stor. del Decam. 211
e 80g. - 'ROVEGGIA: provveda colla pe-
nitenza.
23. DONNA: la dotta regina Maria, ma-
dre «di Filippo il Bollo, morta nel 1821.
24. rrRÒ: per aver fatto morire un
innocente. - GREGGIA : de’ falai aocusato-
ri nella decima bolgia, dove è « la falsa
che accusò Giusoppo, » Inf. XXX, 97.
V. 26-57. Efficacia della preyhiera.
Tutte quelle anime si raccomandano cal-
damente a Dante per aver suffragi nel
mondo. Ma Virgilio, Aen. VI, 872 e reg.,
sembra negare |’ officacia della preghiera,
402 [ANTIP. BALZO 2]
Puro. vi, 25-43
[LA PREGHIERA]
25 Come libero fui da tutte quante
Quelle ombre che pregàr pur ch’altri preghi,
Si che s’avacci il lor divenir sante,
28 To cominciai: « I’ par cho tu mi nieghi,
O luce mia, espresso in alcun testo,
Che decreto del cielo orazion pieghi;
31 E questa gente prega pur di questo,
Sarebbe d ‘ana?
O non m’’ anifesto? »
dA Ed egli a m a 6 piana,
K la sper alla,
Se ben si 8 sana:
ST Ché cima d- illa,
Perché fi in un punto
Ciò che ae 'astalla:
40 E là doy’ io f 0,
Non si amu ir, difetto,
Perché il p -sgiunto.
43 Veramente a cosi alto sospetto
onde Dante lo prega di spiegargli l'appa-
ronte contradizione, ciò che Virgilio fa,
rinviundo il Poeta per ulteriori insegna-
menti a Beatrice, all’ adire il cui nome
Dante prega Virgilio di affrettare il pas-
so, credendo erroneamente di poter arri-
vare ancora nello stesso giorno alla sum-
mità della montagna.
25. tiskro: i Pooti vanno avanti, le
umbro rostano indietro.
26. PU: esse puro, come le altro; oppu-
re: pregaro di nient'altro che di questo.
27. S'AVACCI: si affretti il loro pur-
garsi nei sotto cerchi.
20. KSVRKSSO: espressamente, in ter-
mini espressi. - IN ALCUN TRSTO: in qual-
che luogo del tuo Poema, là dove dici che
a Palinoro, il qualo progava, la Sibilla
rispuso (Virg. Aen., 378 © 8ug.): « Unde
hoc, o Palinure, tibi tam dira cupido?
Tu Stygias inliumatus aguas amnemque
severum Eumonidum aspicies ripamve
inlassus adibis? Desine fata deumn flecti
aperare precando. »
30. Pike: che preghiera abbia la forza
di far mutare cid che in cielo è ordinato.
31. QUESTA : Al. K QUKSTK GENTI PRE-
GAN. -VUR: cid nonostante.
82. bl'KMK: che la porta del Purgato-
rio si apra loro prima del tempo stabi-
lito, per virtù delle preghiere e dei suf-
fragi doi viventi.
33. NON M'È: o non ho io forse ben
inteso la tua sentenza.
34. PIANA: chiara, dunque tu l’hai ben
intesa. Cfr. Purg. X VLIT, 85. Vit. N.c. 26
6 37.
35. NON FALLA: e la speranza di que-
sto anime, che le preghiere ed i saffragi
do’ viventi accorcino loro il tompo dul-
l'aspettazione, non è fallace.
37. cima: l’apex juris, l'altezza del
giudizio divino. - 8'AVVALLA: s'abbassa,
rimette del suo rigore.
38. rEKCUE: per il fatto che I ardore
di carità dei viventi compia in un mo-
mento solo quell’ espiazione che le anime
compirebbero senza tul aiuto in molto
tempo.
39.8’ ASTALLA: ha stallo, Inf. XXXIII,
102; dimora. Al. 81 STALLA.
40. LÀ: dove io dissi che l'ordine fa-
tale della provvidenza non si piega per
preghiere; cfr. v. 29. nt.
42. DISGIUNTO: chi pregava non era
nella grazia di Dio, onde la sua pre-
ghiera non era udita nel ciclo; cfr. Pury.
IV, 133 © sog.
43. VRRAMENTE: pord. - ALTO 8O8I'ET-
TO: « profoudo e sottil dubbio; » Vell,
i
[ANTIP. BALZO 2]
Puro. vi. 44-57
[LA PREGHIERA] 403
Non ti fermar, se quella nol ti dice,
Che lume fia tra il vero e l’intelletto.
46 Non so se intendi: io dico di Beatrice:
Tu la vedrai di sopra, in su la vetta
Di questo monte, ridere e felice. »
49 Ed io: « Signore, andiamo a maggior fretta;
Ché già non m’affatico come dianzi;
E vedi omai che il poggio l’ombra getta. »
52 « Noi anderem con questo giorno innanzi, »
Rispose, « quanto più potremo omai;
Ma il fatto è d’altra forma che non stanzi.
55 Prima che sii lassù, tornar vedrai
Colui che già si copre della costa,
Sì che i suoi raggi tu romper non fai.
45. LUMR: « che farà sì che l' Intelletto
too arrivi a cnnoscero il vero, come il
lame fa che l'occhio vegga l'oggetto
com'è; » Lomb. Secondo il sistema dan-
tesco (ofr. De Mon. TIT, 16) Virgilio non
ai occupa di quesiti teologici, ma rimanda
in questo rignardo a Beatrice.
48. RIDERE: Al. ribkNTE, lezione alla
quale daremmo la preforenza se avesso
per sè l'autorità dei codd. e degli anti-
chi commentatori,
40. siGNORE: Al. IUON DUCA, - ANDIA-
MO: «nl nome di Bentrice, Dante si sento
rinvigorito dal desiderio e già ascende
coll’ anima le altezze del monte; perchè
il desiderio di vedere lel si confonde col
bisogno di conoscere la verità; » Tom.
51. E VEDI: sono circa le tre pom. ed
il sole è ormai oconltato dalla costa a
destra de’ poeti, i quali salgono nella di-
rezione di prima, sì che essi rimangono
nell'ombra nè Dante rompe più col sno
corpo i raggi solari. Cfr. Nociti, Orar., 13.
64. srANZI: pensi, supponi, La salita è
più lunga è più difficile che ta non pensi.
56. cout: il Sole, Vedrai sorgere an-
corn tre volte il Sole,
V. 58-75. Sordello. Ecco un'anima
sola, che tace dignitosamente o guarda
| due Poeti come leone che posa. Vir-
gilio chiede dove sia In salita e l'anima
6 colla dimanda: Chi siete voi?
Virgilio incomincia nominando Mantora
ema patria, od in quella l'anima dice: Son
Mantorano anch'io! ed i duo si abbrao-
ciano. È l'anima del celebre trovntore
Sordello che fiorì nella prima metà del
secolo XIII e del quale Dante parla con
elogio anche altrove, Vulg. Flog. I, 15. Di
costui ofr. Com. Lips. II, 83-90 e la let-
teratura colà citata ; inoltre Bartoli, Lett.
ital, IT, 160 seg. LOLLI8, Vita e poesie di
Sordello da Goito, Halle, 1896. Benv. rac-
conta: « Sordellus, nobilia et prudens
miles, ot nt aliqni volant, curialia, tem-
pore Eccirini de Romano, de quo andivi
(non tamen affirmo) satis jocosum novnm,
quod brovitir est talia formm, Habebat
Eccirinis quamdain sororem svam valde
veneream, de qua fit longus sermo Par.
IX. Quae accenso amore Sordelli ordina-
vit cante, quod ille intraret ad eam tem-
pore noctis per unnm ostiolum posterius
jaxta coquinam palatii in civitate Vero-
me; et quia in atrata erat torpo voluta-
brnm porcorum, sive pocia brodiorum,
ita nt locns nullo modo videretor suspe-
ctus, faciebat se portari per quemdnm
aervom suum usque ad ostiolam, ubi
Cunitin parata recipiebat eam. Eccirinna
autem boc scito, uno sero anbornatos sub
apecio servi, transportavit Sordellum,
deinde reportavit. Quo facto, manifesta.
vit se Sordello, et dixit: sufficit. De cm-
tero abatineas nocedere ad opus tam sor-
didum perlocom tam sordidum. Sordellua
terrefactus snppliciter petivit veniam,
promittens numqnam amplius redire ad
sororem. Tamen Cnnitia malodicta re-
traxit ewm in primum fallom. Quare
ipse timens Eccirinom, formidatissimam
hominum sni temporia, recessit nd eo,
quem Eccirinns, nt quidam ferunt, fecit
postea trucidari. »
404 [ANTIP. BALZO 2]
Pura. vi. 58-75
[SORDELLO
68 Ma vedi là un’ anima, che posta
Sola soletta verso noi riguarda :
Quella ne insegnerà la via più tosta.
GI Venimmo a lei, O anima lombarda,
Come ti stavi altera e disdegnosa,
E nel muover degli occhi onesta e tarda!
G4 Ella Doo Ci dirava alenna ada *
Ma lascia
A guisa di
67 Pur Virgilio
Che ne mi
E quella n
70 Ma di nostro
C’ inchiese
« Mantova
73 Surse vér lui
Dicendo: «
dando
[hs
‘ando
alita ;
‘mando ;
cominciava:
ta in sé romita,
itava,
on Sordello
Della tua terra: — — 1 ww... asvs'0 abbracciava.
68. vosTa: a sedere. Al.: separata dol
tutto dalle altre animo. Al. a rosta =
fissamente; ofr. Inf. XXIX, 19. Al. a
POSTA =opportunamente.
61. O ANIMA: non sono parole di Vir-
gilio dirette a Sordollo (Buti), ma è una
esclamazione del Poeta cho ha presoute
alla monto sua il grave rispetto ed il di-
guitoso contegno di quell'auima. - LO:M-
BARDA: Sordello nacque a Goito, nel
territorio di Mantova.
62. TI 8TAVI: Al. TK STAI; Al. TU STAI.
- ALTKRA: ¢in nostra lingua diciamo al-
tiero e disdegnoso colui, che per eccel-
lentia d'animo non risguarda nè pon pen-
siero a cose vili, nè quelle degna. Sì che
dimostra una certa schifezza generosa
e senza vizio. Perciocchè quando uno
sprezza non per grandezza d'animo, ma
per troppa ulterigia, nou altioro, ma au-
perbo si chiamorà ; » Land. Cfr. Petrar.
Oanz. IX (22), 8 è sog. Dino Comp. I, 20
chiama Guido Cavalcanti « cortese o ar-
dito ma sdoguoso è soliturio 0 intento
allo studio; » od il Betti ossorva: « Ecco
lo sdegno in compagnia della cortesin. »
63. TARDA : ofr. Inf. IV, 112. «Specchio
della mente è la faccia; e gli occhi, anche
che tacciauo, confessano li segreti del
Cuore; » Bart. da S. Conc., Amin. Ant.
VII, 1, 6.
64. DICEVA: « ost tacons sciens tempus
aptum. Homo sapiens tacebit usque ad
tempus; » Eccles. XX, 6, 7. « Che diffe-
rovza ‘tra la curiosità e il cicaleccio de-
gli altri spiriti, e questo maestoso si-
lenzio di Sordello! » Giober.
65. GUARDANDO: soguondo collo sguar-
do i nostri movimenti. Al. GUARDANDO.
66. LEON: « requiescens accubulsti ut
leo, et quasi lewna, quis suscitabit eum f »
Genes. XLIX, 9. Cfr. Virg. Aen. IT, 287.
70. vita: condiziono. Sordello nun si è
accorto che Dante è vivo, cfr. Purg.
VIII, 58 e seg.
71. Cc’ INCHIESK: cl domandò. Al. ci
CHIKSK.
72. MANTOVA: volova dire: Mi generò,
o Fu mia patria, o simili; ma non ap-
pena ebbe nominato Mantova, Sordello
lo Interruppo. Cfr. PkrTICARI, Amor pa-
trio di Dante, Yi VIIL. - toMrra : tutta in
sè raccolta, concentrata; civ. v. 580 seg.
73. SURSK: si alzò ad un tratto e corso
incontro a Virgilio per abbracciarlo.
V.76-126. Lascerova Italia.All'aspotto
di quell'impeto di patrio amore il Poeta
prorompe in una sublime apostrofe al-
l’Italia, i cui morti si abbracciano, i cui
vivi si rodono. Apostrofa quindi |’ impe-
ratore cho non si cura di Ruma o del-
l'Italia tutta lacerata dalle fazioni e
[ANTIP. BALZO 2)
Pura, vi. 76-91 [contro L'ITALIA) 405
76 Ahi serva Italia, di dolore ostello,
Nave senza nocchiero in gran tempesta,
Non donna di provincie, ma bordello!
70 Quell'anima gentil fu così presta,
Sol per lo dolce suon della sua terra,
Di fare al cittadin suo quivi festa;
Ed ora in te non stanno senza guerra
Li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode
Di quei che un muro ed una fossa serra.
85 Cerca, misera, intorno dalle prode
Le tue marine, e poi ti guarda in seno
S’alcuna parte in te di pace gode.
88 Che val perché ti racconciasse il freno
Giustiniano, se la sella è vuota?
Senz’ esso fora la vergogna meno.
o1 Ahi gente, che dovresti esser devota,
volge poi ln parola, divenuta preghiera,
al Salvatore.
76. seeva: la chiama così perchè non
governata dal monarca da lui vagheg-
ginto, signoreggiata invece da una quan-
Uta di principi, signori e signorotti, dal
volgo, dalle sedicenti libertà popolari ecc.
«Humanom genus existens sub Monar-
cha est potiasime libernm ; » De Mon. I,
12, Cfr. Arioz., Orl. X VII, 76.- o8TRLLO:
albergo.
TT. NOCCHIRGO: monarca, imporatore ;
efr. De Mon. 1, 16. Conv, IV, 4.
78. DONNA: signora; « Facta est quasi
vidna domina Gentium: princeps provin-
elarom facta est sub tributo; » Lament.
Jerem. I, 1.- pORDELLO: luogo di cor-
ruzione e di visi. « Bordello, nol più co-
mune nao, significa Inogo ili torpitodine
o rumore 0 frastuono o difficoltà d' nacir-
ne;» Oaverni. « liordello fa nsato per si-
gnifiear cosa o persona di cui non vuol
dirsi appunto fl nome; » Fanf. Secondo
alcuni bordello vale qui meretrice; secon-
flo altri miserabiltugurio, Cfr. NANNUCCI,
Voci e locuz. ital, derivate dalla lingua
prov., 199 0 sog. Betti, 11, 31 © sog.
RI. quivi: nol Turgatorio dove tntto
quanto le anime sono cittadine dann sola
celta, Purg. XIII, 04 e neg., © dove per
consegnenza non si potrebbe aspettarsi
altro amore tra compatriotti.
Bi. FOSSA : fosso che por maggior di-
fesa gira întorno nilo città. Benw.: « qui
habitant in eadem civitate terra, et vel
sadem domo st cadem arca; quia multi
qui in morte sepelinntur simul, non pos-
sunt stare simul in vita » (1).
RS. CERCA : considera le tuo regioni ma-
rittime lungo i tuoi doe mari, Tirreno ed
Adriatico, e poi considera le tne regioni
infra terra, se ne trovi pur ona che sia
in pare.
BB, CHK VAL: «che giova perchè Justi-
niano imperadore compilasso le leggi e
correggessele? le quali leggi sono lo frono
con che si governano le repubbliche ; »
Buti. Cfr. Par. VI, 12. - RACCONCIABBR:
Al. NASSETTASSE.
89, GIUSTINIANO: ofr. Par, VI, 10 osog.
= VUOTA : efr. Purg. XVI, 07. «Quasi dire
si pnd dello Impormlore, volendo il ano
uflicio figurare con nna immagine, che
elli sia il cavalcatore della umana vo-
lontà, lo qual cavallo come vada senza
il cavalcatore per lo campo nssni è ma-
nifesto, e specialmente nolla misera Ita-
lia che sanza mezzo alcuno alla sua go-
vernazione è rimasa;» Conv. IV, 9.
00. rsso: Giastiniano. Sarebbe meno
vergogna se (Giustiniano non fosse vennto
n racconeinrtà il frono. Al: sonza naso
frono. È forse vergogna l'essere sfrenato
non avendo freno? Cfr. Fanf. Studi ed
Qua., B45.
Ol. GRNTR: di chiesa, papa e sacer-
dloti; così An. Fior., Falso Boce., Benr.,
Dan., eco. Altri intendono dei sudditi
406
[ANTIP. BALZO 2] Puro. vi. 92-106
[CONTRO L'ITALIA]
E lasciar seder Cesar nella sella,
Se bene intendi ciò che Dio ti nota,
dA Guarda com’ esta fiera è fatta fella,
Per non esser corretta dagli sproni,
Poi che ponesti mano alla predella.
97 O Alberto tedesco, che abbandoni
Costei ch** ++4--sad4aièa a elvaggia,
E dovresti
100 Giusto giudi
Sovra "lt
Tal che 1
103 Ché avete |
Per cupù
Che il gi
106 Vieni a ved
(Lan., Ott., Petr. Dant.); altri
italica (Buti, Land., Vell.) a
moderni dei guelfi ( Vent., Porl.,. _,-,--
ber., Tom., eco.).Cfr.Par.X VI,58.- rss
DRVOTA: attendere alie cose di religione.
92. SEDKR: lasciare all'imperatore l’e-
sercizio deli'autorità secolare; « Regem-
que dedit qui ficdere certo Kt premero
et laras sciret daro iussus habenas; »
Virg. Aen. I, 62 e seg. - NKLLA SELLA:
Al. IN LA BKLLA.
93. TI NOTA: nel Vangelo; cfr. S. Matt.
XII, 21. S. Luca XXII, 25, 26. S. Giov.
XVIII, 86, ecc.
94. GUAKDA: tutti i moderni intendono
che queste parolo siano diretto agli ec-
clesiustici, ai quali Danto fa rimprovero
di aver voluto pigliare le redini del go-
verno civilo. Secoudo gli antichi (Lan.,
Ott., An. Fior., Benv., Buti, Land., Vell.,
Dan., ecc.) il Poeta volge qui la parola
ad Alberto imperatore. - FIKRA : l’Italia.
- FELLA: stizzosa, biliosa.
95. CORKETTA : ben guidata. - APRONI:
di abile cavalcatore, civé di un savio im-
peratore.
06. PRKEDELLA: 0 bridella, la parte del
freno dove si attuccano lo redini e si
prende, quando menasi, il cavallo a ma-
no. Forse dimin. di brida, della quale
vive l'accresc. bridone. Sulle diverse in-
terpretazioni di questa voce cfr. Cum.
Lips. II, 75.
97. ALBEKTO: d’ Austria, figlio di Ro-
dolfo di Absburg, n. 1248, eletto impera-
tore nol 1258, ucciso a tradimento 1 mag-
ion,
ria
vo ed aperto,
nza n’aggia:
erto,
ti,
a diserto.
elletti,
Yon si occupò mai delle cose
rendo anche troppo da fare in
=. Ofr. Conv, IV, 8, Le parole di
sauté vanno naturalmente all'indirizzo
degl'imperatori in generale.
98. INDOMITA: ribelle e disubbidiente,
non avendo freno da veruna parte.
100. GIUDICIO: pena, condannazione. -
DALLE STELLE: secondo il sistema dan-
tesco Dio solo è superiore all'imperatore,
dunque Egli solo può punirlo. Impreca-
zione scritta quando la vendetta era già
compiuta.
101. NUOVO: insolito e manifesto a
tutti.
102. succkssOk: Arrigo VII di Lue-
semburgo, cfr. Par. XXX, 136. - TE-
MKNZA : timore.
103. PADIK: anche Rodolfo di Absburg
non si curò delle cose d’Italia, dove l’im-
pero si considerò vacante dalla morte di
Federigo Il all’elezioue di Arrigo VII.
Cfr. Conv. IV, 3.
104. DI COSTÀ : per avidità di acquistar
terre e ricchezze in Germania; cfr. Vill.
VII, 146.- DISTKKTTI: ritenuti nei vostri
Stati d'oltremouti.
106. MONTECCHI: versi di difficile in-
terpretaziono. Secondo i più Danto men-
ziona qui due coppie di famiglie capi di
fazioni opposte nella medesima città: a
Verona Montecchi e Cappelletti, a Or-
vieto Monaldi e Filippeschi. Secondo al-
tri Dante vuol dire: Vieni a vedere a
qual partito sono ridotti in Iltalia i fau-
tori dell'impero: i Moutecchi di Verona
Pura. vi. 107-125 [contro L'ITALIA] 407
. [ANTIP. BALZO 2]
Monaldi e Filippeschi, uom senza cura,
Color già tristi, e costor con sospetti.
109 Vien’, crudel, vieni, e vedi la pressura
De' tuoi gentili, e cura lor magagne,
E vedrai Santafior com'è sicura.
112 Vieni a veder la tua Roma che piagne,
Vedova e sola, e di e notte chiama:
« Cesare mio, perché non m'accompagne? »
115 Vieni a veder la gente quanto s'ama;
E se nulla di noi pietà ti muove,
A vergognar ti vien della tua fama.
118 E se licito m'è, o sommo Giove,
Che fosti in terra per noi crucifisso,
Son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
121 O è preparazion, che nell’ abisso
Del tuo consiglio fai per alcun bene,
In tutto dall’accorger nostro scisso?
124 Ché le città d’Italia tutte piene
Son di tiranni, ed un Marcel diventa
ed i Cappelletti di Cremona, i Monaldi di
Perugia ed | Filippeschi di Orvieto: quelli
già sconfitti ed oppressi, questi non soste-
nendosi che In mezzo alle inquietudini del
pericolo, Questa seconda interpretazione
sarebbe da preferirsi, sei Cappelletti non
fossero stati capi di parte guelfa. Per |
particolari cfr. Com, Lips. II, 76 © seg.
Gioacmso BroorxoLIG0, Montecchie Cap-
letti nella Div. Com., Bologna, 1894.
109. PRESSURA : oppressione. Al. L'or-
PRESSURA.
110. GENTILI: « conti, marchesi ed altri
gentili omini e signori d'Italia, che gra-
vano li loro sndditi oltra modo; » Buti.
- MAGAGNE: vizi (Buti, Land., Vell., ecc.).
Al.: danni, onde il senso: Rifai i danni
da essi ricevuti. - Ciò cho si cura sogliono
easero malattie, difetti, vizi.
111, SANTAFIOR: contoanolla Maremma
senese. Secondo gli uni Dante intende
del paese, in quei tempi infestato da rn-
batori e predoni; secondo gli altri dei
conti di Santafiorn che per l'appunto
verso il 1300 soffersero gravi disagi; cfr.
Murat. Script. XV, 43 0 seg. AQUARONE,
D. in Siena, p. 103 © seg.
112. TUA: Roma è in città dell'impero.
= PIAGNE: « Plorans ploravit in nocte, ot
lacrymm eius in marillia eins: non est
qui consoletur eam ex omnibus charis
elus: omnes amici sins spreverunt eam
ot fnoti sunt ei inimici; » Lament. Je-
rem. I, 2.
118, vepova: abbandonata da te. -
BOLA : derelitta, deserta (anche dai papi).
115. s'AMA: amara ironia, gl’ Italiani
vivendo in continue discordie e guerre
civili.
117, vERGOGNAR: « a vergognarti del
discredito, per cai qua sei da tutti tenuto
n vileodisprogiato;» Vent. Inveco Buti;
« Vieni almeno per mostrare che ta tl
vergogni d'avere sì fatta fama. » (1).
118. Licrro: di farti tale domanda. -
Grove: ofr. Inf. XXXI, 92.
120. ALTROVE: a motivo delle nostre
empietà; cfr. Isaia I, 15; XXVII, 17.
Deuter, XXXI, 17, 18.
121. PREPARAZION : 0 prepari Tu forse
con queste calamità alcun futuro nostro
bene, Da congiungersi ad alewn bene,
cioè Un bene che noi ignoriamo.
123, scIsso : separato, da noi non ap-
preso,
124. LR crrrA: Al. LE TRUE.
125. UN MARCEL: un nomo di grande
nutorità politica. Alonni intendono di M.
Claudio Marcello, vincitore di Siracusa,
qui ricordato come grande cittadino o co
408 [ANTIP. BALZO 2] Puro, vi. 126-140
(CONTRO FIRENZE]
Ogni villan che parteggiando viene.
127 Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
Di questa digression che non ti tocca,
Mercé del popol tuo che s’argomenta,
130 Molti han giustizia in cor, ma tardi scocca,
Per non venir senza consiglio all'arco:
Ma il popol tuo l’ha in sommo della bocca.
133 Molti rifiuta
Ma il pop
Senza chi
136 Or ti fa’ liet
Tu ricca,
S'io dico
139 Atene e La
L’antiche
pitano(Cass., Petr. Dant., La
altri di C. Claudio Marcello,
tigiano di Pompeo è fiero &
Giulio Cesare, qui ricordato yum woud
aimo oppugnatore dell'autorità imperiale
(Lan., Ott., An. Fior., Benv., Buti, ecc.).
Sembra veramente che Dante parli di
quest'ultimo. Cfr. Encicl., 1200 e seg.
126. VILLAN: ogni uomo da nulla che
si mostra partigiano zelante; cfr. Inf.
XV, 61. Par. XVI, 49.
V. 127-151. Invettira contro FKi-
renze. Dopo aver fatto il tetro quadro
delle condizioni dell’ Italia in generale, il
Poeta volge la parola a Firenze, cui con
fina ed amara ironia rinfaccia |’ arro-
ganza ed ipocrisia, l'ambizione di utlici
pubblici e la spuvontovolo volubilità ed
incostanza politica. L'invottiva è un capo
d'opera di satira eminentemente poetica.
127. MiA: «oh misera, misera patria
mia! Quanta pietà mi stringe per te,
qual volta leggo, qual volta scrivo cosa
che a reggimento civilo abbia rispetto!»
Conv. IV, 27.
128. NON Ti TOCCA: Firenze cra per
l'appunto il centro «doi disordini che
Dante sin qui ha rinfacciati all'Italia in
generale. Cir, Epist. ad Henr. VII, § 7.
129. 8'AKGOMKNTA : s'ingegna di non
meritarsi questi rimproveri. Al. si prov-
vede. Al. bl ARGOMENTA, cioò, ragiona o
pensa per l'appunto come faccio io. Cfr.
Com. Lips. ll, 80.
130. scocca: si manifesta in parole.
Hanno la giustizia nel cuore, ma non
|
nde
mi sobbarco. »
de:
yenno:
icomle,
ili,
» por non iscagliare sconsi-
# uno strale che non al possa
hh
_--» se oJMMO: sulle labbra, nel cuore
no; cfr. Prov, XXIX, 20. Eceles. TV, 34.
133. INcARCO: le magistrature, i pub-
blici uftici.
135. SENZA CHIAMAKK: prima di essere
chiamato il popol tuo si dichiara pronto
a sostenere il peso degli utlici pubblici.
- MI SOLBAKCO: me ne carico. Benv.:
«subarco idem est quod subcingo, idest
erigo pannos ad cincturam, ut sim expe-
ditior ad aliquid agondum.» Buti: « fao-
cio di me barca, o io mi piego a soppor-
tarlo e sofferirlo. »
137. wicca: di ricchezze malo acqui-
state. - CON Pack: amara ironia, porchd
sempre in guerra, o coi viciui o tra loro.
- 8KNNO: l'ironia continua.
138. DICO VEL: Al. DICO’L vera. Quanto
meritato siano queste lodi, lo si vede da-
gli effetti, cioè dai molti 8) rapidi e con-
tinui tuoi mutamenti.
139. LACKDKMONA : Al. LACKDRMONE;
Spurta ed Ateno, che ebbero sì vccol-
lenti ordini di governo con le costitu-
zioni di Licurgo e di Solone, non dettero
che un piccol saggio di buou ordine ci-
vile al confronto di te.
140. 1.kGG1: « Primi frugiparos fetus
mortalibus mgris Dididerunt quondam
preclaro nomine Athenw, Et recreave-
runt vitam legesque rogarunt; » Lueret.
Rer. nat. VI, 1 © seg. - CIVILI: « Grecia
capta foram victorem cepit, et artes In-
(ANTIP. RALZO 2)
Puro. vi. 141-151 [contro FIRENZE] 409
Fecero al viver bene un piccol cenno
142 Verso di te, che fai tanto sottili
Provvedimenti, ch’a mezzo novembre
Non giugne quel che tu d’ ottobre fili.
145 Quante volte del tempo che rimembre,
Legge, moneta, officio e costume
Hai tu mutato, e rinnovato membre!
148 E se ben ti ricorda, e vedi lume,
Vedrai te simigliante a quella inferma,
Che non può trovar posa in su le piume,
151 Ma con dar volta suo dolore scherma.
tinlit ngresti Latio;» Morat, Fpist, 11,1,
156 è sog.
142. sommi. : fievoll, deboli. Parlare
equivoco, sottile valendo anche arguto.
143. NOVEMBRE : « tutto giorno si fn-
cevano nuove leggi e ni correggovano
le vocchie.... Della quale varietà credo
che sia nato quello obe volgarmente, con
vitopero della Città si dice: Legge go-
vernativa, fatta la sera e gnnsta la mat-
tina; » Don. Giannot. Rep, Fior. 11, 18.
Cita per I' appnnto i mesi di ottobre e
novembre, alludendo forse alle grandi
mutnzioni nvvonote In Firenze dall'ot-
tobre al novembre del 1301; ofr, Vill.
VIII, 49; XII, 19, 97, Un proverbio vol-
gare: « Legge fiorentina, fatta la sera 6
guasta la mattina,» Cfr. Don. Giannotti,
Republ. fior. IV, 7.
145. RIMEMURE: di coi serbi memoria;
in questi ultimi anni. Uno specchio cro-
nologico delle mutazioni avvennto a Fi-
renze dal 1248 al 1307 si trova Com. Lipe.
II, 82 è seg.
146, OFFICIO: «quia tone conaules, nune
antianos, nunc priores habuerunt, et mul-
ta nova officia adinvenerunt ; e costume :
mores motantar ibi de die in diem, quia
florentini discurrentes per mandom re-
portant varioa mores alienigenarum in
patriam, nt potes videre in mulieribna
sorum ; » Jen,
147. Mamune: cittadini, caccinti e ri-
chiamati a vicenda, secondo il prevalere
dell'mna o dell'altra fazione,
148, 84 BEN: so non hai pordnto la mo-
morin e l'intelletto. « E' si dice tra nol
Fiorentini nno antico proverbio e ma-
terialo, cioè: Firenze non si muope, se
tutta nov ri dole; è benchè il proverbio
ala di grosse parole e rima, per jape-
rienza si trova di vera sentenzia ; » Vill.
XI1, J0.- LUME: se ti è rimasto ancora
un po'di lomo di ragione.
150, tROvAR rosa: « Neo invenil re-
quiem; > Lament. Jerem. I, 3, « Neo ha-
bent requiem die ao nocte; » Apoeal,
XIV, 11.
151. CON DAR VOLTA: l'ammalata cerca
qualche sollievo a' suoi dolori volgendosi
qua e là sulle coltrici; Firenze cerca di
rimediare a’ snoi mali mutando ogni
istante legge, moneta, officio e costume,
« Et fessum quotiens mutet latos;» Virg.
Aen, ITT, 681. -sciienMa: da schermare,
tel. achirmen, per fare schermo, confe,
Purg. XV, 26, come il lat. dafendere nel
senso di schermirai; « Defendore frigns ;»
Horat. Sat. 1, 3, 14. « Defendero sitim ; »
Siu. VII, 170,
410 [ANTIP. VALLETTA] Pura. vil. 1-10
[soRDELLO]
CANTO SETTIMO
ANTIPURGATORIO :
PRINCIPI
RODOLFO 1M
FILIPPO JIT RE DI FRAN
CARLO D'AI
GUAI
Poscia che ]
Furo iteri
LA VALLETTA AMENA
\ TERRENA
RE DI BOEMIA
\A, PIETRO 111 D'ARAGONA
INGHILTERRA
(RATO
e liete
te,
Sordel si trasse, e disse: « Voi chi siete? »
4 « Prima ch’a questo monte fosser volte
L’ anime degne di salire a Dio,
Fur |’ ossa mie per Ottavian sepolte.
7 Io son Virgilio; e per null’ altro rio
Lo ciel perdei, che per non aver fé: »
Così rispose allora il duca mio.
10 Qual è colui che cosa innanzi a sé
V. 1-36. Sordello 6 Virgilio. Dopo
le prime accoglienze Sordello, conosciuto
Virgilio, lo riabbraccia rispettosamente
e gli chiedo d’ onde venga. Virgilio ri-
sponde manifestandosi e descrivendo il
suo stato ed i suoi compagni nel limbo,
2. TRE K QUATTRO: più volto; il nu-
mero determinato per |’ indeterminato,
come Inf. VIII, 97. « Tum liquidas corvi
presso ter gutturo voces Aut quater in-
geminant;» Viry. Georg. I, 410 e seg. «O
torque quaterque beati; » Aen. I, 94;
« Terquo quatorque manu poctus por-
cussa decorum; » ibid. IV, 689.
3. BI TRASSK: si ritirò alquanto indie-
tro. - CHI SIKTK: prima aveva doman-
dato del paese « dellu vita, Purg. VI,
70; adesso domanda del nome.
4. PRIMA (AT. ANZI: « Innanzi che l’ani-
me do' giusti audassoro al Purgatorio,
cioè innanzi a la passione di Cristo; im-
però che innanzi a quella tutte l'anime
de’ ginsti andavano al limbo; » Buti.
Così pure Lan., Ott., Benv., Dan., ecc.
Cfr. Thom. Aq. Suan. theol. INI, 52, 5 è
seg. Inf. I, 70. Purg. III, 27. Virgilio
morì l'anuo 19 av. Cristo.
6. PER: per ordine di Ottaviano Augu-
sto imperatore. «Ossa ejus jussu Augusti
Neapoliin translata sunt tumuloque con-
dita, qui est via puteoluna; » Donat., Vit.
Verg., 63.
7. “lo: peccato; cfr. Inf, I, 124 © seg.;
IV, 37 e seg.
8. 'KR NON: per non avere conosciuta
la religione della vera fede, cioè la cri-
stiana; cfr. Inf. I, 126; IV, 38.
10. INNANZI A 8É: Al. INNANZI 88. Sor-
dello all'udiro il uomo di Virgilio rimane
stupefatto come chi, vodendo d'improv-
[ANTIP. VALLETTA]
PuRG. Vil. 11-29
[SORDELLO}] 411
Subita vede, ond’ ei si maraviglia,
Che crede e no, dicendo: « Ell’ è, non è; »
13 Tal parve quegli, e poi chinò le ciglia,
Ed umilmente ritornò vér lui,
Ed abbracciollo ove il minor s’ appiglia.
16 « O gloria de’ Latin’, » disse, « per cui
Mostrò ciò che potea la lingua nostra:
O pregio eterno del loco ond' io fui:
19 Qual merito o qual grazia mi ti mostra?
S’io son d'udir le tue parole degno,
Dimmi se vien’ d'inferno e di qual chiostra, »
22 « Per tutti i cerchi del dolente regno, »
Rispose lui, « son io di qua vennto:
Virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.
26 Non per far, ma per non far, ho perduto
Di veder l’alto Sol che tu desiri,
E che fu tardi da me conosciuto.
28 Loco è laggiù non tristo da martiri,
Ma di tenebre solo, ove i lamenti
riso onsn non provednta, so no maravi-
glia e dublin se In cosa sin veramente
così come gli pare.
12. crepe: Petrarca IT, Son. 116 (135),
Teseg.: « Non so s'il creda, e viromi
intra duo; Nò sì od no nel cor mi sona
Intero. » Cfr. Inf. VIII, 111.
13. e POI: fatto certo della cosa - cni-
KÒ: abbassò riverentemente gli occhi.
14. nrtorxò: gli si avvicinò di nnovo,
dopo essersi prima ritirato un po' in-
dietro,
15, ove: alle ginocchia, Beny., Vent.,
Cost., Tom., Br. B., Frat., Greg., Andr.,
Cam.,Fol.,ecc.;alle coacio, Lan., Ott.,ecc.;
dalpettoin giù, sottole braccia, An, Mior.,
Buti, Land., Vell., Dan., Betti, eco.; alli
piedi, Lomb. I] passo Purg. XXI, 130
sembra sciogliere ogni dmbbio, La va-
riante OVER IL NUTHIR 8 APPIGLIA, cono-
sciuta gih dal Lan., ma che occorre in
pochissimi codd,, è Inattendibile. Confr.
Moone, Urit., IR1 0 sog,
16, ren cur: nello eni opero.
17. LINGUA : latina, che ni tempi di Vir-
gilio e di Sordello era quelladegli Italiani.
18. Loco: Mantova, patria di Virgilio
edi Bordello.
10. merito: mio, - GRAZIA: divina.
21, n'isernvo: Virgilio gli ha detto
d'aver perduto Il cielo, v. 8, onde Sor-
dello sa che non pod venire che dall'in-
forno, ma non sa da quale regione in-
fernale.- oMtostiRA : cerchio dell'inferno ;
efr. Inf. XXIX, 40,
22, PER TUTTI: non vengo da nna sola
chiostra d'inferno, ma sono passato per
esse tutto, mosso 0 ravvalorato da co-
leste virti; ofr. Inf. II, 52 è seg. Purg.
I, 52 o seg.
26, Pe FAR, non per colpa commessa,
ma per mancanza di fode, v. 7, 8, 34.
26. Sor: Dio; cfr. Par. IX, 8; X, 63;
XVIII, 105; XXV, 64. Conv, III, 7, 12.
27, TARDI: dopo morte, alla discesa di
Cristo al limbo; efr. Inf, IV, 62.
28. Loco: il limbo, Inf. IV, 25 6 seg.
* Dolores non sunt in inferno patrum,
neque etiam in inferno puerorum, qui
non puniuntur piena sensns propter pec-
catum netvale, sed solum pena damni
proptor pocentum nriginalo ;a Thom. Aq.
Sui, theol, 111, 62, 2,
20. TRNRURE: «nol LV dell'InY. il Inogo
Inminoso è pe' soli spiriti illnstri e buoni,
non già por gli altri. Virgilio, che era
pure di quelli, dopo accennato allo te-
nebre, dice: Quiri sto to, quella loce alla
[LEGGE DEL PURG,]
Non suonan come guai, ma son sospiri.
31 Quivi sto io co’ parvoli innocenti,
Da' denti morsi della morte, avante
Che fosser dall’umana colpa esenti.
34 Quivi sto io con quei che le tre sante
Virtù non si vestiro, e senza vizio
Conobber l'altre, 6 seguir tutte quante,
87 Ma se tu sa
Da’ noi, pi
Là dove }
40 Rispose: « |
Licito m'
Per quant
43 Ma vedi gia
Ed andar,
Però è bu
40 Anime sono
celeste ern tenebre; » Toi, Li... ano
Aq. Sum. theol. TUL, Suppl. LXIX, 5.
30. Guat: clr. Taf. IV, 26 è sog.
81. co' PAKVOLI: dunque nel limbue
puerorum. « Limbus patrum et limbus
puerorum absque dubio ditferunt secun-
dum qualitatem pine vel premii. l’uo-
ris enim non adest spes beatw vite, quio
patribus in limbo aderat; in quibus etiam
lumen fidci et grati refalgebat. Sed
quantum ad situm, probabiliter credi-
tur, utrorumque locus idom fuisse; nisi
quod limbus patrum erat in superiori
loco quam limbus puerorum; » Thon.
Ag. Sum. theol. INI, Suppl. LXIX, 6.
$2. MOKSI: passati di questa vita. Danto
«concepisce col volgo la morto u guisa di
un animato è dentato umano scheletro,
e la fa agirecol mordere ;» Lomb.-<« Mor-
sus tuus oro, inferne; » Osea XIII; 17.
33. COLPA : peccato originale. - KSENTI:
lavati nel battesimo.
85. vIKTÙ: teologali: fede, speranza o
carità; cfr. Conv. MII, 14.
36. L'ALTRK: lo virtù civili o naturali.
V.37-63. Leggye del Purgyatoriocirca
la salita. Virgilio proga Surdello di mo-
atrargli la via per salire al Purgatorio v
Sordello espone la legge colà vigente,
secondo la quale tramontato il Sole non
è possibile di fare un solo passo in su,
legge conforme alla soutenza di Cristo,
8. Giov. XII, 35.
ro
più tosto
inizio. »
iosto :
rno.
ni t'nccosto,
mo,
uote ;
giorno,
*
@
re Al EK PUO: s0 conosci la via e se
ti è permesso di voniro a mostrarcola.
38. NOL: a noi; cfr. Purg. XXXI, 130.
39. DEITTO INIZIO : il suo vero principio.
Sono ancor sempre nell’ Antipurgatorio.
40. CERTO: fisso. - rOsTO: assegnato.
«Non c’è assegnato no diterminato al-
cun luogo; noi siamo liberi d' andare
come et dove ci pare; ma in Purgatorio
non possiamo entrare; » An. Fior. - È
loro permesso di circuire il monte e di
salire sino alla portu del vero Purgato-
rio, ma non di entrarvi sino a tempo
debitu,
41. al'È ANDAR: Al. È L'ANDAR.
42. PKR QUANTO: Ini t'accompagno co-
ine guida fin dove mi è lecito inoltrarmi,
cioò sino all'ingresso del voro Purgato-
rio. La questione, quali motivi induces-
sero Dante a scegliere per l'appunto
Sordello a guida nell'amena valletta è
piuttosto ozivsa, essendo difficile o quasi
impossibile di indovinarli; confr. Com.
Lips. 11, 90.
43. bICHINA: sono circa le 4 !/s pom.
45. pt kL: ad un bol luogo da pus-
sarvi la notte. Al. DI BUON.
46. rIMOTE: «in loco nvbilissimo seque-
strati: ab omni grege vulgarium bomi-
num; » Zienv. Sono anime di grandi per-
sonaggi che inteuti ad affari mondani
tardarono la ponitenza e sono qui rac-
colti in un’ amena valletta.
[ANTIP. VALLETTA]
Pune. vir. 47-68 [LEGGE DEL TURG.] 413
Se mi consenti, io ti merrò ad esse,
E non senza diletto ti fien note, »
49 « Com'è ciò? » fu risposto: « chi volesse
Salir di notte, fora egli impedito
D'altrui? o non sarria che non potesse? »
62 E il buon Sordello in terra fregò il dito,
Dicendo: « Vedi, sola questa riga
Non varcheresti dopo il sol partito:
56 Non però che altra cosa désse briga,
Che la notturna tenebra, ad ir suso:
Quella col non poter la voglia intriga.
58 Ben si poria con lei tornare in giuso,
E passeggiar la costa intorno errando,
Mentre che l'orizzonte il di tien chiuso! »
61 Allora il mio signor, quasi ammirando:
« Ménane dunque, » disse, « là ove dici
Ch’aver si può diletto dimorando.
47. BE MI CONSENTI: Al. 6% 'L MI CON-
BENTI. - MERRÒ: contrazione di menerò;
efr. Nannuc., Verbi, 241 © seg. Al. MENR-
ROTTI.
40. FU RISPOSTO : da Virgilio, ofr. v. 61.
60. saL1R: il monte. - FORA: sarebbe;
ofr. Nannue., Verbi, 475 è sog.
51,0 NON BAURIA: 0 non salirobbe por
non averne la forza. Sarria è contrazio-
ne di saliria; cfr. Nannue., |. ©., 240,
Il Boece. Dec. VII, 9, usò sarrei por eali-
rei, 6 il Cavale. Pungil., 0, disse sarrà in
cielo per salirà. Sulle diverse lerioni di
questo verso cfr. MOORE, Urif., 362 e seg.
52. rnroò: descrisse col dito una }l-
nea in terra, « Jesus autem inclinans se
deorsum digito seribebat in terrn.... Kt
iternm se inclinans scribebat in terra; »
8. Giov. VIII, 6, 8.
Bi. PARTITO : tramontato. Tl sole figura
la grazia divina, senza la quale l'uomo
non può fare un sol passo verso la pe-
nitenza. Ma occuparsi di cose mondano,
oppore ritornare al male, questo è' lo
può anche dopo il sol partito.
AS, nas nità : fosso d' impedimento
ml fr senso nl monto,
fo. Tenens: Al. timing. Ambulato
dum lucem habetia, ut non tenebrm vos
comprehendant: et qui ambulat in tene-
bria, nescit quo vadat;» 8. Giov, XII, 35.
57. INTRIGA : impaceia. Generando l'im-
potenza l' oscurità della notte impedisce
la volontà. « Non potendo non si vuole; »
Tom.
68, con LEI: colla tenebra si potrebbe
bensi ritornare indietro; senza il lume
della grazia l'uomo può ritornare al pec-
cato o camminare intorno al monte, cioè
affaticarsi senza vernn profitto.
60, misti: durante la notte. = cmitu-
80: « Ante diem clanso componet Vesper
Olympo;» Virg. Aen. I, 374.
GI, AMMIRANDO: Virgilio non conosco
le leggi dol Purgatorio.
63. mirtro : efr. v, dB.
V. 64-90. La valle fiorita. Guidatl da
Sordello | due Poeti arrivano in una nmé-
nissima valletta dipinta d'erbe e di fiori,
dove siedono, cantando una preghiera
alla Vergine, i principi negligonti di loro
eterna saluto, » Ove si voglia attendere
che la Bibbia e la clriosa è n loro imita-
zione il Poeta più volte con fiori e fra-
granze simboleggia le opere consumate
nella carità o spiranti il buon odore di
Cristo: nella ricchezza dei colori e degli
oMuvii noi nvremo un mistico linguaggio
a ytello anime già splondidamento ma
mimi sompro caritatevolmenta operoso,
una delientiasima pona lì continue rim-
provero, un invito a desiderii o preghiere
che ndempiano l'antico difetto di carità,
ed erinndio on simbolo di quella carità
con cul han già cominciato a riempir
quel difetto; » Perez. Secondo alcuni Ia
414 [ANTIP. VALLETTA] Puro. vit. 64-76
[LA VALLE FIORITA]
64 Poco allungati c' eravam di lici,
Quando mi accorsi che 'l1 monte era scemo,
A guisa che i valloni sceman quici,
67 « Cold, » disse quell’ombra, « n’ anderemo,
Dove la costa face di sé grembo,
E quivi il nuovo giorno attenderemo. »
70 Tra erto e piano era un sentiero sghembo,
Che ne « la lacca,
Là dove) re il lembo.
78 Oro ed arge acca,
Indico, le
Fresco sn si fiacca,
76 Dall’ erba e « juel seno
valletta figura la pompa de
cipesca è l'odore della loro
Benv., Land., ecc.): secon,
lori e le fragranze stauno a
rirtù morali e teologiche, a. =
Stati sono atti (Buti, ecc.), Bi... ba
mente di Dante la valktta fiorita po-
trebbe forse essere il simbolo della vita
dei suoi abitatori i quali, distratti dalle
pompe, dalle cure o dal fasto mondano,
neglessero la penitenza e trascururono
l’anima loro. L'idea di cotesta valletta
amona, osserva ZL. Vent., ove stanno il-
lustri personaggi, trasse forse il Poeta
dall' Eliso virgiliano: «At pater Anchi-
sca pouitus convallo viventi Inclusus ani-
mas superumque ad lumenituras Lustra-
bat studio recolens; » Virg. Aen. VI, 679
© Beg.
C4. ALLUNGATI: allontanati. - Lici: lì;
cfr. Inf. XIV, 84.
65. QUANDO: Al. QUAND'IO. - BCRKMO:
incavato; <« avea coucavità e valle, sic-
chè non girava tondo » (Buti), facendo di
ad grembo, come si aprono i valloncelli
nei fianchi delle montagne di questo
mondo terrestre.
60. VALLONI SCKMAN: Al. VALLON’ BI
BCKMAN. — QUICI: qui, in questo mondo,
70. TRA KRTO: uon propriamonto orto
può piano. - SGHKMHO: vbliquo, tortuoso,
71. LACCA: cavità, valle; confr. Inf.
VII, 16.
72. LÀ DOVE: «dove l'avvallamento è
men fondo; il lembo della cavità è più
che della metà più basso cho nelle altre
parti. Esso lembo quasi finisco e muore
nel luogo ove l'avvallamonto comincia:
ire passi scendesi nella valle,
C. VIII, 46; » Tom. Questa è
‘ura la migliore interpretasio-
lo Verso Oscuro.
0: lat. coccum, grana di scar-
invw, v Chermes, specie di cocciniglia
che vive sulle querce. Si hauno in que-
sta descrizione tatti i colori di una valle
fiurita : oro = giallo; argento = bianco
splendente; cocco = ross0; biacca = bian-
co puro; indico=azzurro; legno lucido
e sereno=bruno; smeraldo =verde.
74. INDICO, LKGNO: vuolsi distinguere
indico e legno lucido, come funno Lan.,
Buti, Land., Vell., ecc. I più prondono
indico legno per un capo solo, facendo
indico aggiunto di leguo; così Ott., An.
Fior., Beno., Dan., Lomb., ccc. Ma quale
8iu poi questo legno indico nessuno lo sa
(cfr. Com. Lips. II, 97 è seg.). Potrebbe
forse essere |’ ebano, di cui Virg. Georg.
IT, 116 o seg.: « Sola India nigram Fert
hebenum. » Moglio intendasi per indico
l'indaco, e pel legno lucido e sereno la
quercia fracida riluceute di notte, e così
si hanno tutti i colori di un campo fiorito.
75. FRKSCO: < lo smuraldo è verde, e
quando ai fiacca, 0 rompe, si dimostra in
tal rottura molto pitt vivo od acceso co-
lore cho non fa in superticio, per avere in
quosta già porduto alquanto dolla sua
vivacità; » Vell.
760. FIOR DENTRO: Al. FIORI KNTRO. -
BRNO: valletta. Ciascuno degli oggetti
menzionati sarebbe vinto in bellezza o
magnificenza di colori dall'erba e dai
tiori di quella vallotta, come il più su-
pera e vince il meno.
[ANTIP. VALLETTA]
Pura. vit. 77-91
[PRINCIPI] 415
Posti, ciascun saria di color vinto,
Come dal suo maggiore è vinto il meno.
79 Non avea pur natura ivi dipinto,
Ma di soavità di mille odori
Vi facova un incognito indistinto.
eo « Salve Regina » in sul verde e in su i fiori,
Quivi seder cantando anime vidi,
Che per la valle non parean di fuori.
85 « Prima che il poco sole omai s'annidi, »
Cominciò 'l1 mantovan che ci avea vélti,
« Tra color non vogliate ch'io vi guidi.
83 Da questo balzo meglio gli atti e i volti
Conoscerete voi di tutti quanti,
Che nella lama giù tra essi accolti.
n Colui che più sied'alto, e fa sombianti
79. run: è la natura avea non solo
dipinto il terreno di quella valle di ona
deliziosa varietà di colori, mn aveva inol-
tre composto dalla fragranza di diversi
odori ona mescolanza che qui nel mondo
non si conosce,
81. INDISTINTO : sostantivo — un misto,
ona mescolanza. Al, soppliscono odore ed
intendono: Vi faceva nn odore n noi nel
mondo incognito e, per la mescolanza
di tanti odori, indistinto. An, Fior.: « Di
molti odori di quei fori se ne facen uno
che avea l'odore di totti, ot non nvea di
vernno, n modo di una confozions che
si fa di molte cose buone, et diviene di
molti un sapore solo.» Secondo altri in-
eognifo è sost, cd indistinto il suo addiet-
tivo (fT).
82. BALVE: 4 il noto inno alla Vergine,
che suole recitarsi dopo i vespri, invo-
candone l' ainto in questa valle di lagri-
me o chiedendole la grazia di farci degni
della v del Salvatore, Quindi anche
la valletta Amena è per quello anime up
esilio ed una valle di lagrime.
#3. quivi: Al. Quinpt.
84. NON FARKAN : non si vedevano fuori
della valle per ragione della cavità della
medesima
85, Poco: il Sole era N vicino al tra-
monto, - 8'ANNIDI: tramonti,
86. MANTOVAN: Sordello, - voti: gui-
dati pel cammino a sghembo, v. 70.
87. coLon: Al, cosron.
Do. LAMA: laggiù nella valletta; cfr.
Inf. XX, 79. Lama è propriam. pianora
o campagna, in cui l'nequa si distende
ed impaloda; o vale anche Inogo con-
cavo ed umido, profondità, cavità. Vuol
forse nocennare alla natnra della fama.
«La immagine per la sola fama gone-
rata sempre è più ampia, quale che essa
sia, che non è la cosa immaginata nol
vero stato. La fama rlilata lo bone è
lo male oltre la vera quantità; » Cone.
I, 4, 4.
V. 91-06. Rodolfo imperatore. Sor-
dello addita è nomina ni Poeti ad uno ad
uno gli spiriti megni, ofr. Inf. IV, 118 ©
sog. Il primo, che come imperatore siede
più alto, è Redelfo di Absburg, padro di
Alberto d'Austria, n, 1 maggio 1218, co-
ronato imperatore in Aquisgrana 28 ot-
tobro 1271, m. 20 nottembre 1201. « Fa di
grande nffare, © magnanimo, e pro' in
arme, è bene avventoroso in battaglie,
molto nlottato dagli Alamanniedagl'Ita-
linni; e so nvesse voloto passare in Italia
sonra contrnsio n'ern signore, E man-
duoci suni nmbascinudori l'arcivescovo di
Trievi, è fu In Firenze negli anni di Cristo
1280, significando sua vennta, onde i Fio-
rentini non aapeano cho al fare, e se fosse
passato di certo I’ arrebbono nbbidito, E
lo re Carlo ch’ era sl possente signore, il
temotte forto.... Sempre intese a crescere
ano stato o signorinin Alnmagna, Inscinn-
do le imprese d'Itnlia per accrescere terra
s podore n' figlinoli; » Vill, VIT, 55, 146,
Cfr. Par. VIII, 78. Conv. 1V, 3.
DI. R FA: Al. RD MA.-BRMBTANTI : sem-
biante. Sembianti è nome mase, della
416 [ANTIP. VALLETTA] Puro. vir. 92-105
[PRINciri}
D'aver negletto ciò che far dovea,
E che non muove bocca agli altrui canti,
DA Ridolfo imperador fu, che potea,
Sanar le piaghe c’ hanno Italia morta,
Si che tardi per altri si ricrea.
97 L'altro, che nella vista lui conforta,
Resse la terra. dova l'acana nasce,
Chi
100 Ottacl
Fu
Ba
103 E qui
Par
Mor
terza declinazione,
in i; ofr, Bocce, De
02. cw: di venirne
condo la teoria poli
crosnnto dovere di VE ARI fre eo,
93. NON MUOVK: non cauta cogli altri
il Salve regina, forse por vergogua della
sua negligenza (Benv.) e forse per altri
motivi; cfr. Com. Lips. II, 100.
95. PIAGHK: divisioni di parte, che
hanno lucerata e disfatta I’ Italia.
06. ALTI: Al. ALTRO. Allude ai vaui
tentativi di Arrigo VII di ristaurare in
Italia l'autorità imperiale; confr. Par.
XXX, 137 © sog.
V.97-102. Ottocaro II redi Boemia.
Quell'altro cho all'apparonza mostra di
confortaro Rodolfo al qualo in vita fu the-
rawente avverso, olotto re di Roumia nel
1253, morto nella battaglia presso Vienna
il 26 agosto 1278. Fu valente guerriero e
crudole tiranno, accusato, furse non 4
torto, di aver consigliato l'assassinio del-
infelice Corradino; cfr. Fncicl., 1409 e
seg. Sembra che Dante, il quale proba-
bilmente non conosceva Ottocaro che per
la sua fama di valente guertiero, lo no-
mini qui qual fiero nemico di Rodolfo, per
mostrare cho i già nemici son» Ì) amici.
98. ‘TERRA : la Boumia, dove nascono le
acque che la Multa, oggi Moldava, riu-
nisco 6 consegna all’ Albia, oggi Elba cho
le porta nel mare.
100. NKLLE FASCK: Ottocaro da giovi-
netto fu più virtuoso assai e seppe reg-
gero lo Stato con maggior sonno che non
Vincislao suo tiglio in età matura.
Ibia in mar ne porta:
le fasce
slao suo figlio
zio pasce.
a consiglio
gno aspetto,
do il giglio:
Vixcisi.4o: Venoeslao IV, detto il
il Buono, nato nel 1270, successo al
nel regno di Boemia nel 1278, elot-
1800 re di Polonia, genero di Ro-
idoli, imperatore, morte a Buda nel 1305.
Ascoltava ogni giorno più messo ed ave-
va parecchi figli illegittimi già a venti-
cinque anni. Dante lo ricorda pure Par.
XIX, 125 e seg.
V.103-111. Filippo terzore di Fran-
cia ed Enrico di Navarra. Ecco lì due
altri stretti insieme a consiglio. L’ uno è
ÈIilippo III detto I’ Ardito, re di Francia,
secondogenito di Luigi TX e padre di Fi-
lippo il Bello e di Carlo di Valois, n. 1245,
nuccesso al padre nel rogno 1270 essendo
col padre all'assedio di Tumisi, nm. a Por-
piguano il 6 ottobro 1285. « Fu siguoro
di gran cuore, © in sua vita foco grandi
imprese; » Vill. VII, 105. Fu nasello, on-
de Dante lo chiama QUEL NABETTO, non
NASUTO come alcuni vogliono leggere.
L'altro è Enrico di Navarra, detto il
Greaso, fratello del «< buon gp Tebaldo, »
Inf. XXII, 52, suocero di Filippo il Bello,
cui aveva dato Giovanna sua figlia eredi-
taria; morì nel 1274 a Pampelona, soffo-
cato nel grasso del proprio corpo. Fu di
natura tutt'altro che bonigna, ma Dante
non parla che dell’ appuronza esteriore,
appunto come là dove dvscrisse l'appa-
renza di Gerione, Jf. XVII, 10 e seg.
105. FUGGKNDO: nella guerra di Filip
po TII con Pietro INI d'Aragona (1285)
Ruggero Lauria ammiraglio di Pietro di-
ufece la fiotta francose. Filippo avova già
occupata la Cataluguu, ma visto lo sper-
(ANTIP. VALLETTA]
Puro. vir. 106-116
\PRINCIP1} 417
106 Guardate là, come si batte il petto.
L’ altro vedete, c'ha fatto alla guancia
Della sua palma, sospirando, letto.
109 Padre e suocero son del mal di Francia:
Sanno la vita sua viziata e lorda,
E quindi viene il duol che sì li lancia.
112 Quel che par sì membruto, e che s'accorda
Cantando con colui dal maschio naso,
D'ogni valor portò cinta la corda.
115 E se re dopo lui fosse rimaso
Lo giovinetto che retro a lui siede,
pero dolla sna armata navale, o perciò
preclusa ogni via a poter vettovagliare
l'esercito che in parte perì di fame, spirò
di crepaonore in Perpignano. Cfr. Vico,
Dante e la Sicilia, p. 39. - DISFIORANDO :
rituperando l'insegna della casa di Fran-
cia, i tre gigli d'oro in campo azzurro.
106. HATTER: addolorato della viziata è
lorda vita di Filippo il Bello sno figlio.
Per lo stesso motivo Enrico di Navarra,
suocero di Filippo il Bello, sta ll dolente,
il volto nppoggiato ad una mano.
109. MAL: Filippo fl Bollo, contro il qua-
lo Dante non si stanca di inveire; cfr.
Purg. XX, 01; XXXII, 152; XXXIII,
45, Par. XIX, 118 © sog. Più mite è il
giudizio del cronista gnolfo, Vill. IX, 66.
110. Lonna : di Filippo il Bello acrivo
ll Monifaucon (citato da De Rom., Fd.
Pad., Tom. ed altri): « Tl était vindicatif
Jusqu'à l'excès, dur et impitoyablo A sos
sujets. Pendant le coura de son règne, il
yeut pins d'impita, de taxes, et do maltò-
tes que dans tons los regnos précédents. »
111. quinpi: da tal sapere proviene il
dolore che trafigge loro il cuore.
V. 112-120. Pietro III d'Aragona
6 Carlo d'Angiò. Sordello rende i duo
Poeti attenti n due altri personaggi che
cantano insieme l'inno alla Vergine e
pronde occasione di deplorare la dege-
norazione de' loro iliscendenti. L'uno,
the anche nel mondo di lA appare assai
membruto, 4 Pietro INI d'Aragona, detto
Il Grande, n. 1236, marito di Costanza
Agiia di Manfredi, incoronnto ro d'Ara-
gona il 16 agosto 1276, è re di Sicilia Il
3 settembre 1282 dopo | fnmosi Vespri,
m. a Villafranca 10 novembre 1288. « Fn
valente signore è pro' In arme, e bene
avventuroso 6 snvio, e ridottato da’ cri-
stiani e da’ saraceni altrettanto, o più,
27. — Div. Comm., 3% ediz.
come nullo re cho regnasse nl ano tem-
po;» Vill. VII, 103.
Quell'altro dal naso majuscolo è Carlo
d'Angiò, figlio di Lnigi VIII re di Fran-
cia 6 fratello di Luigi TX, n. 1220, il ladro
del regno di Napoli e Sicilia, l'assassino
di Corradino, m. 1285. Clemente IV gli
acriveva il 22 settembre 1206 (Martene et
Dorand, Thesaur. nov. an. IT, 400): «In-
humanna diceria, ot ad nullum afficeria,
prout dicitur, nmicitia, - Addimus juxta
famnm communem, quod homines regni
tni otinm videro contomnia, ct jostitiam
rastinna ; - quibus si nec visibilis fno-
ris, nec adibilis, si nec affabilis nec ama.
bilis, et eisdem voluoria principari, pro-
fecto in mann gladinm et in dorso loricam,
ota latero prmparatam orercitum habere
te juglter oportebit. - Nunc ad tuos di-
gredimur, illos scilicet, qui vel tuo ns-
sistunt Interi, vel ad terrarum tonrom
regimen destinantur: et de istia commu-
niter dicitar, quod tibi subtrabunt, et
tuis unferant, quidquid possunt. - Quodsi
rapina hujusmodi excnaabilisosse posset,
hoc aolam videtur ad excosationem pro-
desse, quod tu fures videris facere, qui-
bos non reddia debita, nec nasignata
certa stipendia. » Ma Carlo seppe fare al
bene il bacchettone e l'ipoorita, da far
quasi dimenticare i anol delitti da erga-
atolo, cfr. Vill. VIT, 1, 95, onde Dante
non lo cacciò nell'inferno dove era di
casa, sebbene non gli cadesse in pensiero
di mascherarne le male nzioni ; ofr, Pury.
XX, G7 0 rog. Par, VITI, 73 0 ang,
124, rontò: ebbe | lombi cinti d'ogni
valore, fu valoroso in ogni cosa; ofr,
Prov. XXXI, 17. Isaia XI, 5. Amari,
Vespri II, 156 e aeg. Vigo, Dante « Si-
cilia, 38.
116, o1ovinetTo: Alfonso IMI, detto fl
418 [ANTIP. VALLETTA] Puro. vit. 117-128
[PRINCIPI]
Bene andava il valor di vaso in vaso;
118 Che non si puote dir dell’altre rede.
Jacomo 6 Federico hanno i reami;
Ma il retaggio miglior nessun possiede,
121 Rade volte risurge per li rami
L’umana probitate: e questo vuole
= a LI da
Qu
124 Anche
(No
Ond
127 Tanti
Qui
Magnifico, primog
quale success nel
1285 è morì senza
LIT. bi vaso: di)
fest, XLVII, 11,»
fuit, et patel similia
118, REDR: @reall, wes. a _
Purg. XIV, 90; XVII, 116, coco.
119. Jacomo: Giacomo IT d'Aragona,
detto il Giusto, secondogenito di Pic-
tro II, incoronato re di Sicilia il 2 fub-
braio 1286. Morto nel 1291 Alfonso suo
fratello maggiore, Giacomo gli successe
in quel rogno. Morì a Barcellona il 2 no-
vembre 1327. Cumulò sal di lui fronte il
diadema siciliano e V aragonese, contro
le ultime disposizioni di Alfonso suo fra-
tollo, quindi cedette vilmonte la Sicilia
al Ciotto di Gorusalemino (ar. XIX,
127), di cui preso in moglio la figlia
Biunca, guorreggiò contro il proprio
fratello, usurpò il regno di Murcia dopo
la morte di Sancho IV, ecc. Cir. Purg.
IIT, 115 è seg. Z'ar. XIX, 137 o seg. -
Fkpkrico: Fodorigo II ro di Sicilia, ter-
zugenito di Pietro III, n. 1272, procla-
mato re di Sicilia nel 1296, m. 1337, prin-
cipe da nou meritarsi per avventura i
biasimi di Dauto; contr. Par. XIX, 130
e seg.; XX, 63. Conv. IV, 6. Vul. El.
I, 12.
120. MIGLIOR: nessuno doi duo possiede
alcun che dello virtù paterno.
121. RISUKGK: l'umana probità passa
di rado da’ genitori ne’ figliuoli; cfr. Par.
VIII, 93 0 seg. Machiavel. Disc. I, 11.
123. qukE: Dio che lada (« Omne datum
optimum et omne donum peorfectum de
sursum est descendens a patro lumi-
num; » Ep. Giuc. I, 17), affinchè si rico-
lui si chiami.
parole
er, che con lui canta),
rià si duole,
la pianta,
) Margherita,
cho la virtà dell'uomo è dono di
nou eredità naturale,
| NasuYO; Carlo d'Angiò; confe.
L-rano te: sui figli dogenorati,
| ONDE: por la quale degonorazione
gli gli Stati di Carlo I, cloò la Puglia
- ‘roventa sin d'ora al dolgono.
127. TANT'È: Carlo II è tanto Infe-
riore a Carlo I suo padre, quanto Co-
stanza, vedova di Pictro III, ba più ra-
gione di vantarsi del marito che non
avessero di vantarsi del loro le due mo-
gli di Carlo I, Beatrice, figlia del conte
Raimondo di Provenza, e Margherita,
figlia del duca di Borgogna. In sostanza:
Carlo II è tanto inferiore a Carlo I d’An-
giò, quanto questi a Pietro III d'Ara-
gona. - LA vianta: Carlo II d'Angiò,
detto il Ciotto o zoppo, n. 1243, m. 1309;
cfr. Purg. XX, 70 o seg. Par. VI, 106;
XIX, 127 o seg. Vill. VII, 108. « Costui
sarobbo pussato qual malfattore volgare,
ge non fusse nato cusualinente re. Dego-
nere del padre, ch'è quanto dire, usò ve-
nive a navalo’ battaglia con Ruggiero
Lauria, e fu disfatto o imprigionato coi
suoi capitani, e fu chiuso dapprima nella
Rocca Guelfonia di Messina, pui in que-
sto e in quel fortilizio. Meritava morire
per mano del carnefice in espiazione di
Corradino; ma i nostri principi sdogna-
rono lordarsi nol sangue di uu prigione,
Fu cotanto ipucrita da vostirsi canonico
e cantare in coro l'ufticio; sì vile, che
per danaro vondé la figlia Beatrice al
vecchio Azzo VI marchese d' Este; »
Vigo, D. e Sicil., 41 e seg.
128. BkaTRiICK: prima moglie di Carlo I
d'Angiò.- MARGHERITA : seconda moglie
di esso Carlo, sposata nel 1268, l’anno
L= i
(ANTIP. VALLETTA]
Puro. vir. 129-186
(PRINCIPI) 419
Costanza di marito ancor si vanta.
130 Vedete il re della semplice vita
Seder là solo, Arrigo d’ Inghilterra:
Questi ha ne’ rami suoi migliore uscita.
188 Quel che più basso tra costor s’atterra,
Guardando in suso,’6 Guglielmo marchese,
Per cui ed Alessandria e la sua guerra
136 Fa pianger Monferrato e Canavese. »
dopo la morte di Beatrice. Sulle altre sì
divergenti interpretaz. cfr. Com. Lips.
II, 107. i
V. 130-182. Arrigo III re d’Inghtt-
terra. Sordello mostra al due Poeti una
altra anima, aggiungendo essere essa più
fortunata ne’ snoi discendenti che non gli
altri duo. È costui Arrigo o Enrico III re
d'Inghilterra, figlio di Giovanni Senza-
terra, n. 1 ottobre 1206, snoceduto al pa-
dre 18 ottobre 1216, m. 16 novembre 1272.
Fa uomo del tntto inabile al governo,
debole, poltrono, senza carattere, sem-
plice strumento nelle mani altrui, che
meritava senz'altro un posto laggiù tra
gli « aciaurati che mai non fur vivi.» Ma
sembra cho di Ini anche Dante non no
sapesse più dol Villuni, il quale si con-
tenta di osservare, V, <, che « fu sem-
plice uomo e dl buona fe' e di poco va-
lore. » Cfr. Srunns, The early Plantage-
nets, Londra, 1876. PAULI, Simon von
Montfort, Tiibing., 1867.
182. NR’ RAMI: nel sno figlio Edoardo I,
n. 1240, succeduto al padre nel 1272,
m. 1307; < buono e valente re, il quale
fu uno de’ più valorosi signori e savio
de’ cristiani al ano tempo, o bene avven-
turoso in ogni sua impresa;» Vill. VIII,
90. Corresse ed ordini le leggi, onde fu
detto il Giustininno inglese.
V.133-136. Guglielmo VII di Mon-
ferrato. Ultimo, seduto a terra più iu
basso degli altri, perchè fu principe di
minor grado e potenza, Bordello nomina
Guglielmo VII detto Spadalunga, mar-
chese di Monferrato, che regnò dal 1254
al 1292. Essendo vicario imperiale, quindi
capo di tatti i Gbibellini, le città guelfe
si collegarono contro di lui. Nel 1290 la
repubblica d'Asti volle ritorgli la città
d'Alessandria e vi suscitò una ribellione.
Guglielmo vi accorse per sedarla e far
vendetta, ma sollevatosi tutto il popolo
fu preso (8 settembre 1290) e chiuso in
una gabbia di ferro; nella quale morì
il 18 febbraio 1202. Cfr. Murat. Script.
VIII, 1164 e seg.; XI, 168 © seg. Conv.
IV, 11. Giovanni I suo figlio, per vendi-
care la morte del padre, mosse contro
Alessandria; ma gli Alessandrini, unitisi
con Mntteo Visconti, invasero il Monfer-
rato, e s'impmironirono di Trino, Pon-
testura, Moncalvo e di parecchio altre
terre; cfr. Hurat. Script. XI, 169 © seg.,
onde il marchesato pianse lungo tompo
quelle lotte che recarono al paeso tanti
danni.
133. S'TATTRRRA: siede in terra.
134. IN 8U80: verso il cielo per devo-
sione (Benv.) o forse guardando su por
la valletta dove sono gii altri principi.
186. MONFERRATO: Mons Ferratus, re-
gione che dalla riva destra del Po si
estende fino agli Appennini liguri e fa
orn parte del Piomonto. - CANAVKSK:
parto dell'antica contea del Monferrato.
Il Monferrato ed ii Canavese costitui-
vano il marchesato di Guglielmo VII,
Cfr. Loria, Italia nella D. C.1°, 54 e seg.
420 [ANTIP. VALLETTA] Pura. vir. 1-10
— —Prrr 1 GENCONEEEI
[PREGINERA]
CANTO OTTAVO
ANTIPURGATORIO; LA
PRI
PREGHI!
NINO VISI
Era
A
Le
4 E cho i
‘
VALLETTA AMENA
IRIA TERRENA
ANGELI GUARDIANI
CORRADO MALASPINA
isìo
» il core
amici addio;
e ail Li | uallOl®O
Punge, se ode squilla di lontano,
Che paia il giorno pianger che si more:
7 Quand’ io cominciai a render vano
L’ udire, ed a mirare una dell’alme
Surta, che l’ascoltar chiedea con mano.
10 Ella giunse e levò ainbe le palme,
V. 1-18. La preglitera della sera.
Sono circa lo sei pomeridiane. Un'anima
si alzu, giungo le palino, lo leva verso il
cielo ed intuona I’ inno cho si canta dalla
Chiesa nell'ultima parte doll’ uffizio di-
vino che dicesi compieta, e tutte le altre
anime rispondono. L'inno è questo:
The lucis ante terminum
Rerum Creator, puscimus,
Ut tua pro clementia
Sis pricsul et custodia.
Procul recedant somnia
Et noctium phantassiata:
Hostemijue nostruin comprime,
Ne polluantur corpora.
Presta, Pater piissime,
Patrique compar Unice
Cum Spiritu Paraclito
Regnans per omne so-culum.
1. L'orA : della sera, la quale ora volge
il desìo dei naviganti alla patria ed inte-
nerisce il loro cuore il giorno stesso della
loro partenza dai dolci amici e congiuuti,
o la quale ora dà al peregrino novelle
punture di amore so ode da lungi il
suono dell’avomaria, risvogliando in lui
I’ amoroso e melanconico desiderio del-
l’abbandonata casa paterna.
3. LO DÌ: in quel giorno.
7. A RENDE: a non udir più voce al-
cuna, tutto intento a mirare una di quelle
anime. Sordello aveva cessato di parlare,
le anime aveano finito il cauto.
9. BUKTA: levata su in piedi; tutti in
quella valletta sedevano, cfr. Purg. VII,
83. - L'ANscoLTAR: di essere ascoltata. -
CON MANO: acconnando colla mano; « Ma-
nu silentium indicons; » Atti XIII, 16.
« Voce manuquo Murmura comprossit; »
Ovid. Met. I, 205 o seg. « Significatque
manu et magno simul incipit ore;» Virg.
den. XII, 692.
10. GIUNSE: congiunse e levò al cielo le
mani per pregare; cfr. Genest XII, 22.
Exod. XVII, 11. Dew. XXXII, 40. Sal.
LXII, 5. Virg. Aen. X, 844.
[ANTIP. VALLETTA]
12
Pura. vin, 11-28
Ficcando gli occhi verso l'oriente,
Come dicesse a Dio: « D'altro non calme, »
« Te lucis ante, » si devotamente
Le uscì di bocca, e con si dolci note,
Che fece me a me uscir di mente,
E l'altre poi dolcemente e devote
Seguitàr lei per tutto |’ inno intero,
Avendo gli occhi alle superne rote.
Aguzza qui, lettor, ben gli occhi al vero,
Ché il velo è ora ben tanto sottile,
Certo, che ’] trapassar dentro è leggiero.
Io vidi quello esercito gentile
[1 DUE ANGELI] 421
Tacito poscia riguardare in sue,
Quasi aspettando pallido ed umile :
25 E vidi uscir dall'alto, e scender giùe
Due Angeli con due spade affocate,
Tronche e private delle punte sue.
28 Verdi, come fogliette pur mo' nate,
11. L'ORIENTE: secondo il costnme de-
gii antichi cristiani i quali orando si vol-
gerano n riguardare verso oriente; cfr.
Clem. Alex. Strom. 7; Lactant, II, 10.
12. NOW CALME: non mi cale, non mi
euro d'altro che di invocare te.
15. cur Freck: che mi rapi tutto a sò,
di modo che dimenticai ogni altra cosa,
16. e L'ALTRE: le altre anime accom-
pagnarono |l canto di tutto quell'inno
tenendo gli occhi fissi alle nfero celesti.
V.19-42, I due Angeli guardiani.
Finito il canto totte quello anime guar-
dano in alto, e dall'alto scendono ne A n-
gell con doe spade di fuoco, e si mettono
al doe capi della valletta per cacciarne
via il serpento.
19, AGUZZA : guarda qui con attenzione
al vero significato della visione che sto
per narrarti; poiché il velo che ne copre
l'allegoria è così sottile e trasparente,
che 4 fncile il penetrarlo © comprendere
il senso più profondo dell'allogoria. Così
tutti gli antichi senza eccezione ed il più
dei moderni. Primo a acostarsi da questa
interpretazione fu il Vell. cho spiega: « Il
senso letterale è ora tanto dificile a po-
terlo allegoricamente interpretare, cho
trapassarlo senza trarne esso vero sen-
timento è legger cosa, » Così parecchi
moderni, Ma trapassar dentro non è tra-
passar oltre, è Vallegoria non è qui dif-
ficile ma nssni facile, il serpente figu-
rando evidontemento il tontatore ed |
dne angeli la custodia coleste.
25. IN SUR: in su verso il cielo; ofr.
Sal, CXhX, 1; CKXII,1,
Di. ASTETTANDO: Al, AMMIRANDO, —
PALLIDO: per timor del serpente. Al. ra-
Vivo, - UMILE: imperd cho con umile eno-
re dimandara soccorso e l'aiuto di Dio,
25. peLL'ALTO: del grembo di Maria,
v. 37, donqne dal cielo empires.
26. nue: como Cristo i suoi discepoli
(efr. Mare. VI, 7), così IMo manda i suoi
angeli a dne a due, cfr. 8. Lue. XXIV, 4,
8, (Giov. XX, 12. Atti I, 10, ecc. I due an-
geli fignrano il presidio che Dio concede
n chi no lo proga; efr. Sal. XXXIII, 8;
X0,]1. Thom. Ag. Sum. theol. I, 113, 1,6
seg. Forse sono i cherubini dalle spade
finammeggianti posti da Dio a guardia del
giardino di Edon, Genes. III, 24. Confr.
Com. Lipa. II, 114 © seg.
27. TROXCHE: figura della giustizia è
misericordia di Dio (Lan., An. Fior.,
Falso Boec., Benv., Buti, Land., VellL,0cc.);
o perchè l'assiatenza degli angeli è a de-
fensione, non ad offensione(Ott., Cas. 0cc.)
o perchè la tentazione si può bensi fogare
ma non necidere (Dan., Tom., BI,, ecc.).
28. ver: vestiti di vesti di colore
Eu eso».
422 [ANTIP. VALLETTA] Puro. vi. 29-42
[1 DUE ANGELI]
Erano in veste, che da verdi penne
Percosse traean dietro e ventilate.
31 L’un poco sovra noi a star si venne,
I l'altro scese in |’ opposita sponda,
Si che la gente in mezzo si contenno.
da Ben discerneya in lor la testa bionda;
~ Ma nelle facce l'occhio si smarria,
Come virtà ch'a troppo si confonda,
37 « Ambo vegnon del grembo di Maria, »
Disse Sordello, « a guardia della valle,
Per lo serpente che verrà via via, »
40 Ond’io che non sapeva per qual calle,
Mi volsi intorno, 6 stretto m'accostai
Tutto gelato alle fidate spalle.
vorde chiaro, como fogliotte recente-
monto spuntato dalla lorra o dagli al-
berl, Verde è il colore della speranza,
la quale non è che dei viventi è delle
anime del Purgatorio; cfr. Thom. Ag.
Sum. theol. 113,18, 3. Donque gli angoli
non discendono soltanto a difendere lo
anime dagli assalti del tontatore, ma
eziandio a recar loro il confurto della
speranza.
29. KRRANO IN VRSTR: Al. RRAN LOR
VESTE; Al. ERANO IN VISTA. Si traevano
dietro lo verdi vesti per l'aria, batten-
dole ed agitandole col moto delle verdi
loro ali. « Per l’ale vuol dare ad inten-
dere la volocità della grazia di Dio, la
quale ourre a' fedoli; » An. Hor.
32. IN L’OLLOSITA : Al. NELL'ULLONTA,
83. BI CONTKNNK: fu contenuta in mez-
zo tra i due angeli.
34. BEN: io poteva bensì discernere i
biondi capegli degli Augeli, ma l’occhfo
mio era abbagliato dal soverchio splen-
dore de’ loro visi. Cfr. Apocal. 1,16; X, 1.
86. A TROPPO: « ogni nostra virtà sen-
sitiva richiode l'obietto contemperato
a sò, altramente viene meno, come veg-
giamo de la virtù visiva che non soffs-
risco di vedere la rota del sulo; » Bult.
37. DKL GLUKMLO: dall' empireo, dove
Maria ha la soa seggia; Par. XXXI, 118
o seg. « Figurando Dante la magion de’
beati in Paradiso a modo di candida rosa
(Par. XXXI, 1), le foglie della quale sie-
no le sedie de’ beati, in guisa disposte,
che dal mezzo verso la circonferenza
della rosa vadino d'ordine in ordine
rtialzandosi, quasi di valle andando a
monte (ivi, v. 121), 0 ficonduvi in una
delle più alte sedie, posta alla circonfe-
revuza, nssisa Marla Vergine, e festog-
giata dagli angeli: perchè nop intende-
remo che come grembo appella il Poota
la cavità dovesiedonoquest'anime (Maury,
VII, 68), così grembo di Maria appelli la
cavità stessa della celeste rosa, a cui Ma-
ria presiede, e per cui quasi in grembo
tiensi tutte l'anime de'beati? » Lomb. (1).
89. Via Via: or'ora, a momenti.
40. PKK QUAL CALLE: dovesse venire il
serpente.
4l. VOLSI: per guardare se mai lo ve-
dossi venire.
42. QkKLATO: agghiaociato di paura. -
8L'ALLK: di Virgilio.
V. 48-81. Nino Visconti. Discesi giù
nella valle fiorita Dante vi riconosce Ni-
no, cioè Ugolino Visconti il quale si ma-
raviglia udendo che Dante è ancor vivo
e lo prega di raccomandarlo a Giovanna
sua figlia, lagnandosi della sua vedova
RIA passata a seconde nozze. Questi, figlio
di Giovanni Visconti o di una figlia del
conte Ugolino della Gherardesca, fu giu-
dice di Gallura in Sardegna, podostà di
Pisa insieme col conte Ugolino suo avo,
che lo fece scacciare da Pisa nel 1288.
Ebbe quindi Junghe guerre con Guido
da Montefeltro che nel 1202 lo discacciò
dal castello di Poute:lora; ritornò a Pisa
nel 1293 in seguito alla pace di Fuceo-
chio, quiudi se ne andò in Sardegna a
punire frate Gomita suo vicario nel giu-
dicato di Gallura. Morì nel 1296. Cfr.
[ANTIP. VALLETTA)
Puro. vin. 43-60
[NINO visconti] 423
43 E Sordello anco: « Ora avvalliamo omai
Tra le grandi ombre, e parleremo ad esse:
Grazioso fia lor vedervi assai, »
46 Solo tre passi credo ch'io scendesse,
E fui di sotto, e vidi un che mirava
Pur me, come conoscer mi volesse.
49 Tempo era già che l’aer s’ annerava,
Ma non si, che tra gli occhi suoi e i miei
Non dichiarisse ciò che pria serrava.
82 Vér me si foce, ed io vér lui mi fei:
Giudice Nin gentil, quanto mi piacque,
Quando ti vidi non esser tra i rei!
55 Nullo bel salutar tra noi si tacque;
Poi dimandé: « Quant’ è che tu venisti
A piè del monte per le lontan’ acque? »
58 « Oh! » dissi lui, « per entro i lochi tristi
Venni stamane, e sono in prima vita,
Ancor che l’altra, sì andando acquisti. »
Murat. Seript. XXIV, 049 © sog. Viti,
Cron. VII, 121 e seg. Bonsno, Diplomi
pisani, p. 270. Sronza, D. # i Pisani,
p. 123 è sog. A. GiuLini, L'rltimo dei
Giudici di Gallura nella Div. Comm. Mi-
lano, 1894. Fn probabilmente compagno
dl'arme di Dante all'assedio di Caprona,
cfr. Inf. XXI, 95. I comm. ant. lo di-
eono gentile d'animo e di costumi, forte
ed ardito.
43, ANCO: Al. SORDELLO ALLORA : On
VALICHIAMO, Riprendendo In parola Sor-
dello disse: Scendiamo oramai giù nella
valle.
45. Gkaz1080 : sarà loro molto grato di
vedervi. Perchè? Sordello non ea ancora
che Dante è vivo, nd chi egli sia. Donque
al dovrà intendere per il piacere di ve-
dere cd ndire tanto poeta come Virgilio.
46. Tre PASSI: la valletta era dunque
poco profonda, ofr. Purg. VII, 72. Il velo
allegorico non è qui sottile. Vuol forse il
Poeta, come crodono molti, alludere alla
facilità con che l'nomo ai allontana dal
suo scopo? Ma scendendo nella valle
Dante non si era allontanato dal sno
seopo. Vell.: Dalle tre virtù teologiche
che si nsano nella vita contemplativa in
che Dante si esercitava, alle virth morali
che si usano nella vita nttiva.... bisogna
scender per esse tre virtù. » Ma se gli
nbitatori della valle fiorita fossero stati
privi delle tre virtà teologiche, non an-
rebbero qui, ma altrove ; efr. Purg. VII,
34 0 seg. — BCKKDKB8K: soomileani,
49.8 ANNERAVA: si faceva bojo, Al. sk-
RENAVA (I).
51. DICHIARISSE: Al. nicniarasse, Fa-
ceva notte, ma non era ancora tanto bojo
da non vedere ciò che, por la lontupanza,
prima non si vedova.
52, si FRCE: colni che mirava pur me
per riconoscermi, v. 47, 48.
fd. net: dannati. « Hoo dicit quia Ni-
nus nimis fuerat occupatus circa potosta-
tem temporaliam, et bellaverat contra
patriam ; » Bene.
56. NULLO: non vi mancò verun cor-
diale anlnto; opporo: Non si tacque fra
noi niuna bella parola di salutazione
scambierole,
56. QUANT'È: quanto tempo 4 che tu
venisti al Purgatorio traversando il lungo
tratto di mare dalla foco del Tevero sin
qui? Nino crede di parlare con vn'ombra.
68. nissi: Al, piss'10, - TRISTI: l'in-
ferno. La via per eni son venuto qui non
è l'ordinnria delle anime; ci sono anzi ve-
nuto attraversando le regioni infernali.
50. STAMANK: cfr. Purg. I, 10, — PRIMA
vita: In corpo ed anima,
60. L'ALTRA: la vita eterna. - SÌ AN-
424 [ANTIP. VALLETTA) Pug6. vit. 61-73
[NINO VISCONTI]
al E come fu la mia risposta udita,
Sordello ed egli indietro si raccolse,
Come gente di subito smarrita.
O4 L’ uno a Virgilio, e l’altro ad un si volse
Che sedea li, gridando: « Su, Corrado,
Vieni a veder che Dio per grazia volse, »
67 Poi vélto a me: « Per quel singular grado,
Che tu déi a colui, che si nasconde
Lo suo primo perché, che non gli è guado,
70 Quando sarai di Ja dalle larghe onde,
Di' a Giovanna mia, che per me chiami
Là dove agl’innocenti si risponde.
74 Non credo che la sua madre più m’ ami,
DANDO: facendo questo viaggio straor-
dinario,
62. SI RACCOLSK: si ritirarono ambe-
due un po' indietro, colpiti di stupore,
Sordello non aj è curato che di Virgilio,
onde non si è ancor accorto che Dante
è vivo.
64. L'uno: Sordollo. - L'ALTRO: Nino.
~ ADUN: a Corrado, cfr. v. 109 e seg. Mol-
tiasimi codd., Ott., Vell. ecc. hanno: L'AL-
TRO A MESI VOLSE, lezione mostrata falsa
dal verso seguente; cfr. Moork, Orit., 884.
66. vOLBR: volle; ciò che Dio, per sua
speciale grazia, ha voluto fare, conce-
dendo ad un vivo di percorrere i regui
della morta gente. Di volse per volle ofr.
Nannue. Verbi, 770.
67. GRADO: gratitudino di cui vai debi-
tore a Dio; cfr. Par. XXIII, 63.
69. PRIMO rERCHÉ: le prime cagioni del
suo operare. - NON GLI È: in modo che
l' intelietto umano non arriva ad invo-
stigarlo. « Non è modo di guadare a lui,
fino a quella ragione potentissima ch'egli
nasconde ; » Betti.
70. bi LA: nel mondo del viver ch' è
un correre alla morte, al di là del gran
mare che circonda la montagna del l’ur-
gatorio.
41. GIOVANNA: figlia unica di Nino.
Era nel 1300 una fanciulla di circa novo
annui. Bonifazio VIII la raccomandò con
nna sua bolla del 26 sottembro 1290 ai
Volterrani, qual figlia di un guelfo grande
e benemerito amico della Chiesa. Dicono
andasse, ancor giovinetta, sposa a Ric-
cardo da Camino, che fu assassinato nel
1812, cfr. Par. 1X, 60 e seg. Morì po-
vera © senza prole verso il 1835. Cfr. Mu-
rat, Seript. XII, 098, 1019. Martini, Per-
gamen eco, di Arborea, p. 81. Sforza,
Dante ¢ i Pisani, 127 è seg. Mazzoni-
Toselli, Voci e passi, 108 0 seg. Com.
Lips. 1I, 120. - cutami: preghi.
72. LÀ: i più intendono del cielo, dove
si ascoltano le preghiere degl'innocenti
(Benv., Vell., Dan., Vent., Lomb., Biag.,
Tom., ecc.); altri dolla Chiesa e degli ora-
toril cristiani (Buti, Land., ecc.); altri
del mondo dove Dio esaudisce le pre-
ghiere dei buoni (Port., Oes., eco.). Vuol
dire: Dille che mandi le sue preghiere
su nel cielo, ed il passo Purg. IV, 133 0
seg. esclude ogni dubbio in proposito.
73. MADRK: Beatrico, figlia di Obirzo II
da Este (ofr. Inf. XII, 111), vedova di
Nino (ofr. Sacchetti, Nov. 16), rimaritata
nel luglio del 1300 a Galeazzo Visconti;
cfr. Murat. Script. XV, 318. Era stata
promessa ad un figlio di Alberto Scotti,
signore di Piacenza; ma Matteo Visconti
padre di Galeazzo, il quale voleva ad ogni
costo imparentarsi colla casa d' Este, so-
verchiò il signore di Piacenza. Onde lo
Scotti, per vendicarsi, foce sì che nel
1302 Galeazzo fu cacciato da Milano, « et
venne in basso stato, tanto ch’ egli stette
gran tempo a provisione di Castruccio
Castracani quando era signore di Luoca
et di Pisa, et quivi morì assai povera-
mente; » An. Fior.; ofr. Vill. X, 86.
Avendo Azzo, figlio di Galeazzo e di
Beatrice, riavuta lu siguoria di Milano,
Beatrice, dal 1328 per la seconda volta
vedova, ritornò in buono stato, e visse
sino al 1834. Tom.: « il chiamarla non
moglie mia ma sua madre è rimprovero
pieno di pietà. »
[ANTIP, VALLETTA]
Pura. viti. 74-89 [sGUARDO AL CIELO] 425
Poscia che trasmutò le bianche bende,
Le quai convien che misera ancor brami.
76 Per lei assai di lieve si comprende,
Quanto in femmina fuoco d'amor dura,
Se l'occhio o il tatto spesso non l’accende.
79 Non le farà si bella sepoltura
La vipera che i Milanesi accampa,
Com’ avria fatto il gallo di Gallura. »
Così dicea, segnato della stampa
Nel suo aspetto di quel dritto zelo,
Che misuratamente in core avvampa.
85 Gli occhi miei ghiotti andavan pure al cielo,
Par là dove le stelle son più tarde,
Si come rota più presso allo stelo.
88 E il duca mio: « Figliuol, che lassù guarde? »
Ed io a lui: « A quelle tre facelle,
TÀ. TRABMUTÒ: passando n seconde
norze. C'è qui un anacronismo, le nozre
di Beatrice con Galenzzo non essendosi
celebrate che nel gingno del 1200. O
erano già ufficialmento concluse prima
dealin pasqua dello atesso anno, oppure
Dante, scrivendo assai più tardi, si scor-
dò del tempo in col furono celebrate. -
MANCHE MENDE: lo veloro vestivano
nbito nero 6 cingevano Il capo di bendo
blanche in segno di Intto. Roce, Lab.
d'am.: « Guarda como a cotal donna
stanno bene le bendo bianche e i panni
neri.» Tl nero, come vero colore di Intto,
non si cominciò ad adottare in Italia che
sul principio del secolo XVI, ai tempi di
Carlo V imperatore.
75. MISERA: quando Dante acrivorn il
Purgatorio Galeazzo, secondo marito di
Beatrice, era povero, in basso stato e sco-
municato; cfr. Vill. X, 86,
TO. NON LE FARA: l'armo della vipera
(l'insegna dei Visconti di Milano) posta
sulla sepoltura di Beatrice, mostrandola
rimaritata, non le farà quell'onore che
la avrobbo fatto il Gallo di Gallura (l'in-
segna dei Visconti di Pian), cantando In
di lei fedeltà al primo marito, è la di
lei vedovilemodestia. Così Benn., Lomb.,
Port., Pogg., Cost,, Riag., Tom., ecc. So-
pra altre poco attendibili interpretazioni
ofr. Com. Lips. II, 121 è sog.
80. virrna: l'armeo dei Visconti di Mi-
lano era una vipera, o biscione, che di-
vora un fancinllo, Sui sepolori usavasi
scolpire l'arme della rispettiva famiglia.
- ACCAMPA: condnce in campo, a battn-
glia. Oppure: Porta nel campo dell' armo
sua gentilizia.
82. sEGNATO: impresso nel volto del-
l'impronta di santo e disereto zelo,
RA. MISURATAMENTE : con temperanza;
evitando qualsiasi eccesso; e Irnacimini
et nolito pocenro; » Sal, 1V, 5, « Irnaci-
mini et nolite peccare: sol non vockilnt
smnporiraonnidinm voatram ;» Kfes, IV, 26.
V. 85-09. Sguoarelo al clelo, Non cn-
ranilosi per intanto ili altre cose, Dante
guarda attentamente al cielo, contem-
plando tre stelle di splendore insolito,
mentro Je quattro, vedute la mattina,
non si vedono più.
85. amoTTI: bramosi di vedere coso
nuove,
86. LA: verso il polo antartico, dove il
moto delle stelle è più tardo, dovendo de-
sorivero nollo atesso tempo di 24 ore mn
cerchio nssni minore che non le atelle più
prossime all'equatore.
87. srELO : propriam. gambo di fiori, o
d'erba; qui Aguratam. por naso, porno,
BO. THE PACK Lit: virtà toolognli, Fede,
Speranza o Carità. « Coll’ allegoria delle
tre virti: teologali il Poeta ha voloto an-
che indicarci che dalla parte del meri-
diano, d'onde era stato colpito dalla chia-
rezza delle quattro stelle della mattina di
quel dì, nell'ora vespertina presento se
426 [ANTIP. VALLETTA] Pure. vi. 90-100
[SERPENTE]
Di che il polo di qua tutto quanto arde. »
01 Ed egli a me: « Le quattro chiare stelle
Che vedevi staman, son di là basse,
lì quoste son salite ov’ eran quelle, »
Da Com’ ei parlava, e Sordello a sé’! trasse
Dicendo: « Vedi là il nostro avversaro; »
E drizzò il dito, perché in lì guardasse.
97 Da quella parte, onde non ha riparo
La picciola vallea, era una biscia,
Forse qual diede ad Eva il cibo amaro.
100 Tra l'erba e i fior’ venia la mala striscia,
ne vedevano tre di minor lucidezza (1) è
più distanti tra loro (7) cle non fossero le
prime, attesochè il polo tutto quanto ne
ardeva: e queste indicazioni ci mostrano
che erano £ od 2 della Navecon adell' Eri-
dano, note al T'oeta per l'Almagesto; »
Antonelli (1). Secondo i più queste tre
atelle sono puramente allegoriche. Così
totti gli antichi, i quali a qnanto sembra
non seppeto attingere all’ Almagesto la
cognizione delle tro stelle.
90. DI Clik: per le quali il polo artico
tutto risplende.
92. DI LÀ: dall'altra parte del meri-
dinno, cioè dalla parte del levante, tra il
meridiano e l'orizzoute. « Significando le
quattro stelle del C. I le quattro cardi-
nali virta, focele il T'oeta apparire sal
principio del giorno; ed ora al principiar
della notte fa in luogo loro vedersi queste
altre tre, significanti lo tre virtù toolo-
gali, a dinotare che uppartengono quelle
alla vita attiva, a cui meglio si confà il
di; © queste alla vita contemplativa, u
cui meglio la notte si conviene; » Lomb.
V. 94-108. Tl serpente. Mentre Virgi-
lio parla a Dante intorno alle Stelle, Sor-
dello richiama la sua attenzione additaa-
dogli il serpente che viene ed è pol fugato
dagli Angeli. Il serpente è tolto dalla
Bibbia, dove il diavolo è chiamato «il ser-
pente antico, » Apocal. XII, 9, e figura
qui il tentatore, o la tentazione. Secondo
la dottrina della Chiesa le anime del Pur-
gatoriv non soggiacciono a veruna tenta-
zione, ed anche Dante insegna lo stesso;
ofr. Purg. X1, 22 eseg.; XXVI, 132. Ma
qui non siamo ancora nel vero Purgato-
rio. Il Ces.: « Iocreilo aver voluto Dante
a questi negligonti dell’antiportadel Pur-
gatorio assegnar oziandio questa pena
(oltre al dover aspettare di fuori la loro
purgaziono) di temere è tribolarsi per la
venuta del serpente ogni sera; ed ogni
sera volgersi a Dio con quelle lor pre-
ghiere, invocando il soccorso degli An-
geli contro l'assalto lor minacciato. Dico
del temere e tribolarsi senza più; perchè
non voglio credere che Dante gli facesse
infatti soggetti a quelle carnalità, allo
quali siamo nol; essendo troppo sicuro,
che le anime uscite da questo stato di
vita, come di merito così nè di tentazione
non sono capaci; ma per lor pena basta
il timore. E forse volle Dante simboleg-
giare un'altra ordinazione della provi-
denza di Dio: cioè che coloro, i quali
nella vita presente indugiano la peniten-
za, por divino giudizio e per malo effetto
degli abiti loro addosso lasciati invec-
chiare, sono più duramente tempestati
dalle diabolicho suggestioni; il perchò di
più guardia e di più orazioni fa loro biso-
gno, ad impetrare il soccorso celeste. »
94. com’ KI: Virgilio. Al. com'10, le-
zione di molti codd., Benv., Vell., Dan.,
eco., ma evidentemente falsa. Cfr. Moo-
kR, Orit., 385.
95. AVVERSARO: avversario, il sorpen-
te; « Adversarius vester diabolus; » J,
Petr. V, 8.
96. GUARDASSE. A). GUATASSE.
07. NON Ha: è aperta. Il tentativo ci
assale sempre dal lato nostro più fiebole.
99. QUAL: nello stesso mado; nella mo-
desiina forma; cfr. Genesi III, 1 © seg. -
ciuo: il frutto vietato, il cul godimento
contro il precetto di Dio fa la sorgente
primitiva di tutte quante le amarezze del
mondo.
100. TRA L' RRA: l'erba ed | fiori figu-
rauo i piaceri odilottidel mondo, tra'quali
[ANTIT. VALLETTA]
Pure. vii. 101-112
[SERPENTE] 427
Volgendo ad or ad or la testa al dosso
Leccando come bestia che si liscia.
108 Io nol vidi, e però dicer nol posso,
Come mosser gli astor’ celestiali,
Ma vidi bene e l'uno e l’altro mosso.
106 Sentendo fender l’aere alle verdi ali,
Fuggio "1 serpente, e gli angeli diér volta
Suso alle poste rivolando eguali.
109 L’ombra che s'era al Giudice raccolta,
Quando chiamò, per tutto quell’ assalto
Punto non fu da me guardare sciolta,
112 « Se la lucerna che ti mena in alto
la tentazione anole avvicinarsi all’ nomo.
= BTHISCIA: Rèrpento,
101. ap on: sovente ; ofr. Inf. XV, 84.
- AL poss: Al. e 11. DossO.
102. come BESTIA : ripiegandosi col ca-
po sul ilosso, Il locenrsi è liscinrsi della
serpe, figura l'astuzia del tentatore e la
dolcezza dello sue losinghe.
102. xot vini: Al. won VIDI K rerò
biCER SOX rosso. Tutto nttento alla bi-
sein, Daunte nen vide nd pò rascontaro
come gli Angeli si imvasoro, non nvemteli
venti che quamlo erano già mossi è già
volavano.
104, aston’: i duo Angeli, rapidi nol
volo a nemici lella serpe come gli astori.
106. L'UxO R L'ALTRO: i duo Angeli.
e Tl nostro intollotto non può compren-
dere lo Inizio della grazia di Dio quando
sopra noi viene, ma solo ce ne nvveggia-
mo quand'è venuta; » Lan.
106. aLLR: dalle. -— verni: cfr. v. 20. AI
solo ndire il volo degli Angeli la serpo
fnggì.
107. Drea VOLTA: ritornarono indietro,
volando in su con ngual volo come erano
108. ALLE roster: al posti loro nsso-
gnati in alto, Che rivolnasero su in cielo
fl Poeta non dice; sembra anzi che ab-
binno l'ufficio di costodire la valle du-
rante l'intera notte.
V. 100-129, Corrado Malaspina.
Quall'altra ombra, alla qualo Nino Vi-
scontaveva diroliala parola, v.04 oa0g.,
progn Dante ili dirgli novelle della Luni-
giaua, dove fn già potente signore. Le
anime del Purgatorio, non sono, come i
dannati, ignare del presente; ma sembra
che quelle della valle fiorita si trovino in
questo proposito in una condizione ecco-
zionale, forse in pena di non aver badato
in vila che alle presenti cose, Questi che
fa Ja domanda è il marchese Corrado Ma-
laspinn il giovine, figlio di Federigo I
marcheso di Villafranen, morto verso il
1204, da non confondersi coll'antico, cioè
con Corrado I marchese di Mulazzo, co-
gnato di Manfredi, di cui aveva in mo-
glie la sorella Costanza, capostipite dei
Malaspina dello spino rocco nd nvo di quel
Corriulo che Tiante trewn nl nella vallo
Ilorita, Corrmlol'antiso morì verso il 1250,
Cir. Maccioni, Cod. diplom. della Fam.
Malaspina, l'isn,1759, of ilavori cit.Com.
Tips. 11,126 0 seg. Dante ora in Lunl-
giana nel 1300, dove ni Gottobre i mnar-
chesi Franceachino, Moroello e Corradino
Malaspion lo nominarono loro procura-
tore per concludere, come egli difatti con-
chiuse, la pace con Antonio vescovo di
Loni; cfr. Lonn Vernon, Inf. vol. II,
p. 40.62. Proleg., 01, Dante-Handb., 133
o seg. Da questi versi rianlta che Dante
ebbe motivo di lodarsi dei Malnspina.
Sventuratamente non sappiamo nè chi
fossero i Malaspina che lo ospitarono, nd
quanto tempo Dante si fermò in Loni-
giana, Cir. Hoceaccio, Decamerona II, 0.
Vita di D., c. 14. Com. ed. Milanesi II,
120 © sog.
100. RACCOLTA: avvicinata.
111. xox ru: non mi levò mal gli oo-
chi d'addosso per tutto il tempo che dart
Passato dagli Angell contro fl sorponteo,
Lo guaria flao, aperando di riconosverlo.
112. 88: così In grazia illuminante, che
ti mena verso il cielo, possa trovare tan-
ta cooperazione del tno libero arbitrio,
quanta bisogna per arrivare al paradiso
428 [ANTIP, VALLETTA] Puro. vin. 113-181
[CORRADO MALASPINA]
Trovi nel tno arbitrio tanta cera,
Quant’ 4 mestiero infino al sommo smalto,
115 Cominciò ella, « se novella vera
Di Valdimacra, o di parte vicina
Sai, dilla a me, che già grande là era.
118 Chiamato fui Currado Malaspina :
Non son l'antico, ma di lui discesi:
A’ miei portai l’amor che qui raffina. »
121 « Oh! » dissi lui, « per li vostri paesi
Giammai non fui ; ma dove si dimora
Per tutta Europa, ch’ ei non sien palesi?
124 La fama che la vostra casa onora,
Grida i signori, e grida la contrada,
Sì che ne sa chi non vi fu ancora.
127 Ed io vi giuro, s’io di sopra vada,
Che vostra gente onrata non si sfregia
Del pregio della borsa e della spada,
130 Uso e natura si la privilegia,
Che, perché il capo reo lo mondo torca,
terrestre. Di là in sa la cooperazione
della propria volontà è spontanea e na-
turale.
113. cera: alimento. «In omnibus ha-
bentibus gratiam necesse est rectitudi-
nem voluntatis; » Thom. Aq. Sur. theol.
II", 8, €.
114. AL SOMMO: « usque ad summunm
cacumon montis, quom poeta vocat umal-
tum por pulcram motapheram, quia ibi
est bortus deliciaram planus, viridis, her-
bosus, floridus; » Benv. e con lui molti
altri. Lan. intende di Dio, Land. del pri-
mo cielo, 1’ Ott. seguito da molti, del som-
mo cielo, cioò dell'empireo.
116. VALDIMACRA : Val di Magra in Lu-
nigiana, nel cui centro sorge il castello di
Villafranca, residenza del padre di Cor-
rulo.
120. RaFFINA: si raffina, si purga; cfr.
Purg. XXVI, 148. « Portai tanto amore
a’ miei, che lo ne lasciai la cura dell’ ani-
ma ed indogiai l’opere meritorie della
salute per guerreggiare ed acquistare
amici; il quale amore qui si ammenda e
purga; » Ott.
128. £1: que'della vostra casa.- PALESI:
noti, celebri per fama.
124. clik: caso rutto, Nol 1300 | Mala-
spina, erano notissimi e godevano buona
fama in Italia, in Francia ed in altri paesi
d’ Europa.
126. GRIDA: celebra, pubblica ad alta
voce i signori ed il paese, cioè la Luni-
glana.
127.8'10: così io possa andare infino al
sommo smalto, v. 114. Cfr. Purg. VI, 47
o s0g., il quale passo dice chiaramente
cho per di sopra intendo il Paradiso tor-
restre.
128. vOSTRA : che quelli di casa vostra,
onorati, non hanno cessato di fregiarsi
dell'antica lode di liberalità e di prodez-
za, le due sommo virtù cavalloresche.
129. BORSA : liberalità. « Altri avrebbo
sfuggito il vocabolo come prosaico. La
virtà contraria all'avarizia è sempre
onorata da Dante, non per sua cupidigia,
ma perchè dall’avarizia e' deduceva tutte a
le miserie del mondo; » Tom. « Radix =
enim omnium malorum ost cupiditas ; » sa
I, Tim.VI,10.
130. uso: l'educazione. - NATURA : l'in- cs
clinazione naturalo. Cfr. Horat. Od. IV, —
4, 33 e seg.
131. PERCHR: per quanto Il reo capo aa
faccia deviare il mondo. Così i più (Lan. -
An. Fior., Renv., Vell., Biag., occ.). AA- — e.
[ANTIP. VALLETTA]
Pura. vill. 132-189 [CORRADO MALASP.] 429
Sola va dritta, e il mal cammin dispregia, »
133 Ed egli: « Or va’, ché il Sol non si ricorca
Sette volte nel letto che il Montone
Con tutti e quattro i piè copre ed inforca,
130 Che cotesta cortese opinione
Ti fia chiavata in mezzo della testa
Con maggior chiovi che d’altrui sermone,
139 Se corso di giudicio non s’arresta. »
quantunque il mondo devil il reo capo dal
sentiero diritto (Dan., Lomb., ece.). Al.:
quantinque il mondo torca il capo, « di-
sapprovi quel retto procedere (Vent,,
Ozanam, sv0.). -— caro neo: il domonio,
dicono gli uni (Land., Bene., eco. Clr.
&. Giov. XII, 31; XIV,30; XVI,11,ec0.);
altri il dominio del mondo (Buti); altri il
papa © l'imperatore (An, Fior.); altri
Bonifacio VITI (Biag., sc0.); altri Roma
capo del guelfismo (Frat., And., ecc.)
Il passo Purg. XVI, 100 6 seg. sembra
confermare quest'ultima interpretazio-
ne; cfr. però Com. Lips. II, 128 6 sog.
133. xox sr nicorca: il sole non tor-
nerà setto volte ad mingiarsi nel sogno
detl'arioto, nel quale è ora, cioè non pns-
seranno sette anni. Dalla primavera 1300
all’ ottobre 1806! Cfr. Antonelli in Tom. o
Com, Lips. II, 129.
184. LETTO: tratto di cielo compreso
tra i piedi del Montone, ove il Sole si ri-
corca ogni anno ai 21 di marzo.
187. CHIAVATA: inchiodata, cfr. Inf.
XXXIIT, 46. Par. XIX, 105; XXXII,
129, 'Ti sarà confermata dalla propria
esperienza, prova più efficace che non
sia Ja fama,
139. BE corso: se il divin decreto, che
ti condanna ad essore in breve bandito
dalla patria e cercar rifugio altrove, avrà
il ano corso, non sarà arrestato da Dio, o
rotto da Colei « che duro giudicio lassi
frango, » Inf, JI, 06,
4380 [ANTIP. VALLETTA]
eee
Puro. 1x. 1-8
[CONCUBINA DI TITANO)
CANTO NONO
ANTIPURGATORIO: LA VALLETTA AMENA
SOGNO DI DANTE, L'AQUILA E LUCIA
ALLA PORTA DEL PURGATORIO
L'ANGIOLO PORTIERE
La concubina di Titan antico
Già s’imbiancava al balco d’ oriente
Fuor delle braccia del suo dolce amico;
V. 1-12. Lu Concubina di Titano.
Tl Poeta incomincia con una descrizione
eminentemente poetica ed ominentemen-
te oscura dell'ora in cui fu preso dal
sonno. È chiaro che Dante intende di
un’ ora della notte già avanzata, forse
le 9 di sera, forse più tardi. I più leg-
gono Titone invece di Titano (TITAN è
del Vat., e così lessero Petr. Dant., Falso
Boco., An. Fior., ecc.) o intendono chi
dell'aurora lunare, chi dell'aurora solaro
al Purgatorio, e chi dell'aurora solare al
nostro emisfero. Cfr. la nostra disserta-
zione Com. Lips. 1I, 148-161, che lo spa-
gio non ci permotto di riprodurre in
questo luogo, ed alla quale pertanto ri-
mandiamo per tutto ciò che concerne la
letteratura e l’interpretazione di questi
versi. Gli argomenti in contrario non
avendoci persuasi, ripetiamo la già data
interpretazione, osservando porò che essa
è le mille miglia lontana dal pretenderla
ad infallibilità. Il passo è oscuro al su-
perlativo, un enigma che, come tanti
altri nel Poema sacro, aspetta per av-
ventura ancor sempre il suo Edipo. Vedi
pure P. V. PASQUINI, La Concubina di
Titone nel IX del Purg. Venezia, 1889.
AGNKLLI, Topo-Oron., 114 o seg. BUSCAI-
mo-Camro, Studi, ‘I'rapani, 1894, p. 150
e seg. GALANTI, Lettere, II, 5, 7, 8, 9.
NOCITI, Orar., 14 e seg.
1. Concunina: Tetis, moglie dell'Ocea-
no, ossia l'onda marina; ofr. Virg. Evl.,
IV, 82. Lucan. Phars. I, 414, 554 © seg.,
X, 204. Ovid. Fast. V, 8. Al.: l'Aurora
(qualef). - Titan: il Sole; cfr. Virg.
Georg. II, 481; III, 857 © seg. Aen. I,
745; IV, 478. Ovid. Fast. IT, 73 e ueg.;
VI, 717 e sog. Metam. XV, 30. Lucan.
Phars. VII, 1 0 sog. Al.: ‘Titone figlio
di Laomedonto, marito dell'Aorora. È
una moglie concubina? O ebbe il decre-
pito Titone una concubina accanto alla
moglie sua Auroraf
2. S'IMBIANCAVA: era illuminata. L'on-
da marina è opaca per sua natura; quindi
se venga investita da raggi lucidi, essa
s’imbianca per effetto di quelli; cfr. Virg.
Aen. VII, 8 © seg., 25 eseg. Purg. I, 115
e seg. - BALCO: balcone. Al. BALZO, che
in Dante ha sempre il senso di terrazzino,
o roccia sporgente, cfr. Inf. XI, 115;
XXIX, 95. Purg. IV, 47; VII, 88; IX,
50, 68, eco.
8. FUOR: Be l'astro sorgente, per cui
l'onda marina s'imbianca, non è il Sole,
allora Teti s'imbianca fuori delle brac-
cia di lui, le quali sono evidentemento i
raggi che da lui stesso procedono. E vi-
be 1
L
[ANTIP. VALLETTA]
Puro. 1x. 4-12 [concuB. DI TITANO] 481
4 Di gemme la sua fronte era lucente,
Poste in figura del freddo animale,
Che con la coda percote la gente:
7 E la notte de’ passi, con che sale,
Fatti avea due nel loco ov’ eravamo,
E il terzo già chinava in giuso |’ ale;
10 Quand’ io, che meco avea di quel d’Adamo,
Vinto dal sonno, in su l'erba inchinai
Là dove tutti 6 cinque sedevamo.
coveraa, volendo Indicare il sorgere di un
astro diverso dal Sole, e capace di illumi-
nare o rendere parvente l'onda marina
(oome nel nostro caso In Lona), è ogre-
ginmente letto cho s'imbinnen Fuor delle
braccia del suo dolee amico. Titano, cioò
il Sole, può ben dirsi dolee amico rispetto
alla gran mole delle acque, che vengono
da Ini e illuminate o riscaldate, e in qual-
cho modo fecondate coi dolcissimi e non
mono delicati amplesai delle prodigioso
ane braccia, che sono i rilocenti e riscal-
danti suoi raggi. Dicendo poi che la con-
enbina s'imbiancava fuor delle braccia
del suo dolce mmico il Poota vieno anche
ad insinuaro easer questo fatto ona spe-
cle d'eccezione, 6 che generalmente è
ordinariamente e meglio a' imbiancasse
fra le braccia dell'amico medesimo ; il
che torna n maraviglia con Teti Mare
e Titano Sole; e non potrebbe stare con
Titone fratello di Priamo o con una
Anrora.
4. GRMME: stelle.
5. ANIMALE: il serpente; cfr. Virg. Eel.
II, 98; VIII, 71. Le atelle che ornavano
la fronte dell'onda marina erano disposte
in guisa da figurare il serpente, I più
intendono dello Scorpions, che Dante
avrebbe detto freddo oontraddicendo n
Virgilio, Georg. I, 34 © seg., che lo dice
ardente, chiamando assai impropriamen-
te percossa la ferita del pungiglione è
presentando nna figura piuttosto comica
fella disposizione di gemme sulla fronte
anne Altri intendono della
tell dei Pesci che sono doe, non
UN freddo animale, 0 cho non poronoto-
tono la gente con la coda, vivendo nel
fondo delle neque, ma procurano soltanto
diliberarsi dalle branchie di chi list: inge.
7. PABSI: la Notte è qui, come altrove,
pornonificata ; il ano corso si considera
come il corso delle stelle; essa sale sino
al zenit, o di li discende giù sino all'oriz-
sonte occidentale; al tempo dell’ equi-
nozio In Notte comple il svo corso circa
in 12 oro; in ani oro onsa sale, nello avi
soguonti discende, Imnqmno | passi con
che la notte sale sono le prime sei oro
di notte, cioè dalle 0 pom. sino a mezza-
notte; e se ne nvera fatti due ed era in
procinto di compiere il terzo, al Purga-
torio erano circa lo 9 di sora, Così i più.
Tntornoad altre interpretazioni cfr, Com.
Lips. II, 160 6 sog.
8. Loco: nell'orizzonte del Purgatorio.
0. CHINAVA: la terza ora della notte già
voigovanlano fino. — L'ALR: fingeln Notte
con ali ni pioli per indicare la velocità
del tempo, « Nox ruit et fnscis tellarem
amplectitor alia; » Virg. Aen. VIII, 169,
10. bi quer: il corpo. Gli spiriti pur-
ganti non sentono verun bisogno di dor-
mire.
11. incimma1: m'inchinai, adagini |)
capo.
12. LÀ pove: Al. ove GIÀ. - CINQUE:
Dante, Virgilio, Sordello, Nino e Corrado,
V. 13-33, Sogno di Dante, Prosso del
mattino, quando «del ver si sogna, » Inf.
XXVI, 7, Dante vedo in sogno un'aquila
che lo rapisce è lo porta sn nella afera del
fuoco, dove tntti e due ardono, « Intendo
l'’Antore per quest'aquila la grazia pre-
veniente di Dio.... et fignrala l'Autore
in forma di aquila colle penne d'oro, però
che l'aquila vola più alto che vornno al-
tro uccello, come Ja grazia divina è sopra
a ogni altra grazia; et per che l'oro non
tieno di verano altro metallo quando egli
A nifinnto, of A il più nobile metallo, of
ancora quanto più si motto nel fuoco in-
fino a sun perfezione, più nflina, dice che
quest'aquila aven le penne d'oro, a di-
moatrare che i doni della grazia, quanto
più s'accendono dell'amore et della ca-
rità divina, più aflinono, ot sono ancora
432 [ANTIP. VALLETTA] Puro. 1X, 13-27
[SOGNO DI DANTE]
18 Nell'ora che comincia i tristi lai
La rondinella presso alla mattina,
Forse a memoria de’ suoi primi guai,
10 E che la mente nostra peregrina
Più dalla carne e men da’ pensier’ presa,
Alle sue vision’ quasi è divina;
10 In sogno mi parea veder sospesa
Un'aquila nel ciel con penne d’oro,
Con l’ale aperte, ed a calare intesa:
21 Ed esser mi parea là dove féro
Abbandonati i suoi da Ganimede,
Quando fu ratto al sommo consistoro.
25 Fra me pensava: « Forse questa fiede
Pur qui per uso, e forse d'altro loco
Disdegna di portarne suso in piede. »
più cari, et sopra a tutti altri doni, et non
tongono et non procedono negli nomini
per veruno loro merito, ma solo per la
volontà assoluta di Dio;» An. Fior. Nel
suo sogno Dante vede cid cho realmente
accade; l'aquila è Lucia, simbolo della
Grazia illuminante; confr. Inf. 11, 97
© Bog.
18. ORA : poco prima dello spuntare del
Sole. - LAI: il lamontoso canto; « Et ma-
tutini volucrum sub culmino cantus; »
Virg. Aen. VIII, 456. Fece Il sogno dopo
aver già dormito più ore. « Tra l' addor-
mentarsi e '! sognare corre intervallo; e
se questu non fosse e' non descriverebbe
di nuovo l'ora; quand'egli s' addormentò
gli ora dunque ancor notte; » Tom.
15. PRIMI GUAI: quandodi donna fu tra-
mutata in uccello. Allude alla nota favola
di Progne e Filomela; cfr. Ovid. Met. VI,
412-676. Purg. XVII, 19.
16. E CHE: 0 quando la nostra mente,
più sciolta e libera dallo impressioni del
sensi, quasi peregrinante fuori della car-
ne e meno presa da' pensiori, è quasi di-
vina alle sue visioni. « Atqui dormien-
tium animi maxime declarantdivinitatem
suam : multam enim, quum remissi et li-
beri sunt, futura prospiciunt. Ex quo in-
telligitur quales futuri sint, quum se pla-
ne corporis vinculis relaxaverint; » Cic.
De Senect., 80. Cfr. Moons, Orit., 886.
17. MEN: meno occupata da’ fastidiosi
pensieri, de’ quali sogliono darle materia
i sensi.
18. DIVINA: Indovinatrice; prevede fl
futuro dalle sue visioni. « Si quis ulatur
sommniia ad precognoscendam futura, se-
condum quod somnia procedunt ox re-
velatione divina, vel ex causa natarali
intrinseca sive ertrinseca, quantum po-
test so virtus talis causm extendere:
non erit illicita divinatio; » Tom. Aq.
Sum. theol. I1?, 95, 6.
19. S08L'KSA : librata sulle ali, e volante
verso di me.
21. LÀ: sul monte Ida nella Frigia, da
non confondersi col monte Ida in Creta
menzionato Inf. XIV, 98.
28. Ganimxpe: Tavup yore, figlio di
Troo re di Truia, il più belio dei mortali
(ofr. Tom. Il. XX, 232 e seg.), il quale,
andando a caccia sul monte Ida (Virg.
Aen. V, 253 e seg. Horat. Oarm. III, 20, a
15. Stat. Theb. I, 548 e seg. Val. Flac.
— 4
Argon.II, 414 seg.) fu rapito da un'aqui- —4
la mandata da Giovo (Apollod. II, 5, 9. — da
Horat. Carm. IV, 4, 4), oda Giove stesso <a
che prese forma di aquila (Ovid. Met. X, — E
155 e seg.) e portato su in cielo a far dame. sp
coppiere agli dei (Ovid. Afet. X, 160 ces» «3
seguenti).
24. RATTO: rapito. - CONSISTORO: Mati =
concilio degli dei; cfr. Virg. Georg. I, 24S.
26. QUESTA: l'aquila. - FIEDE: ferisoa>~—<cme i
« L'uocello si dice ferire, perchè ing +r agp <
misco la preda cogli artigli de' piedi. Q ma >
st’ aquila, pensavo io, non piglia prem-«cs>-=r a
se nun di questo luogo » (Buti), cioè «mm <<.
monte Ida, dove il Poota sognava di @—-> dA
varsi.
27. IN PIEDE: col piede, coll'artige==ae ED
[ANTIP. VALLETTA]
Puro. 1x. 28-41
(B1sy EGLIO]) 483
28 Poi mi parea che, roteata un poco,
T'erribil come folgor discendesse,
E me rapisse suso infino al fuoco.
at Ivi pareva ch’ ella ed io ardesse,
E si l'incendio immaginato cosse,
Che convenne che il sonno si rompesse.
34 Non altrimenti Achille si riscosse,
Gli occhi svegliati rivolgendo in giro,
E non sapendo là dove si fosse,
a7 Quando la madre da Chiron a Schiro
Trafngò lui dormendo in le sue braccia,
Là onde poi li greci il dipartîro;
40 Che mi scoss’io, sì come dalla faccia
Mi fuggi il sonno, e diventai smorto,
come portare in mano per portare colla
mano, Così Benv., Lomb., Pr. B., ecc.
Al.: portare uno ritto, coi piedi al basso,
e così doporlo (1). Nella vin ordinaria In
Grazia divina disdegna (d'insinunrs! nel
peccatoro o di agovolargli la via della po-
nitenza, se questi non lo ha proparato
il Imogo, inoltrandosi da sò fin dove può
mennrlo la ragione. La Grazia incomin-
cia al confine delle proprio forze. Cfr.
Barelli, Alleg., 125.
28. ROTRATA: fatti alcuni larghi giri
circolari; « Namque volans robra fulvus
Jovis alea in mthra Litoreas agitabat
aves tarbamque sonantem Agminia nli-
gori, enbito cam lapsus ad undas Cyo-
num excollentem pedibus rapit impro-
bos nucis; » Virg. Aen. XII, 247 © sog.
Al, PIÙ ROTATA.
29. come roLcor: « sicut fulgur, de
cielo cadentem; » &. Luca X, 18.
20. AL FUOCO : alla afera del fuoco che,
secondo le dottrine cosmografiche del
medio ovo, restava in mezzo alla sfera
dell'arla e al cielo della Luna, dove per-
ciò Dante fa riuscire il Purgatorio,
32. cossk: l'impressione di quell' in-
cendio sognato fu sl viva, cho mi fu forza
svegliarmi. L'incendio figura |l sacro
fuoco della carità che inverte e rinno-
vollainternamente il poocatore, predispo-
nendolo ad amare ciò che odiava prima
e viceversa; il che lia Inogo allma ap-
panto ch'egli prende la magnanima riso-
Inzione di far passaggio dalla vita mon-
dann del alla oriatiana della
penitenza. Cir. Barelli, Alleg., 120.
28. — Div. Comm., 3% odiz.
V. 24-51, Il risveglio, Risvegliatosi
vorso le 8 '/a di mattina, il Poeta si spa-
venta, e ciò per duo motivi: l'ono per-
chè si trova in una nuova rogione e non
vede che Virgilio solo accanto a sé ; l'al-
tro perché vodo Il sole cssere già alto più
che di due ore, o non an capacitaral di
aver dorinito oltre dieci ore. Questo
lungo sonno riuscì sorprendonte n mol-
tiasimi commentatori. Si consolino! Dan-
le stesso fu il primo ad esserne non pur
sorpreso, ma spaventato.
34. ACHILLE: Teti, madre di Achille,
tolse il figlio a Chirone Centanro (Inf.
XIT, 71), alle cui cure era affidato, o lo
trafugò dormente all'isola di Seiro, dove
limorò vestito da donna finchè, scoperto
dall'astoto Ulisse, fu da questi o da Dlo-
mede tratto alla guerra di Troia. Al suo
primo risvegliarsi a Sciro Achille rimase
assai stupofatto della novità del sito.
«Com pueri tromefacta quiea, ocalique
jacentia Infusnm sensere diom, stupet
anre primo: Qum loca! quid floctual ubi
Pelion? omnia versa Atque ignota videt,
dobitatque agnoscere matrem ; » Stat,
Achill., I, 247 e sog
97, Scummo: alla greca, ExY)pog, isola
del mare Egeo. Al. Sciro.
38. DORMENDO : dormente ; cfr. Vit. N.
111, 47.
41. pivenTA!: impallidii come l'uomo
cui s' aggela il sangue per lo spavento.
* Exterriti sunt costodes, et facti sunt
velutmortui;» &. Matt. XXVIII, 4. «Ge-
lidns formidine sanguia diriguit;» Virg.
Aen. III, 250 o sog. « Tabentosque gonm
434 [ANTIP. VALLETTA]
Pura. 1x. 42-62
[LUCIA]
Come fa l’uom che spaventato agghiaccia.
43 Dallato m’era solo il mio conforto,
E il sole er’alto già più che due ore,
E il viso m’era alla marina torto.
46 « Non aver tema, » disse il mio signore;
« Fatti sicur, ché noi siamo a buon punto:
Non stringer, ma rallarga ogni vigore.
49 Tu se’ omai al purgatorio giunto:
Vedi là il balzo che il chiude d’intorno;
Vedi l’entrata là *ve par disgiunto.
52 Dianzi nell’alba che precede al giorno,
Quando l’anima tua dentro dormia
Sopra li fiori, onde laggiù è adorno,
55 Venne una donna, e disse: “ Io son Lucia:
Lasciatemi pigliar costui che dorme,
Si l’agevolerò per la sua via. ,,
58 Sordel rimase, e l'altre gentil’ forme:
Ella ti tolse, e come il di fu chiaro,
Sen venne suso, ed io per le sue orme,
61 Qui ti posò; e pria mi dimostràro
Gli occhi suoi belli quell’entrata aperta;
etiuvenali in corpore pavor; » ibid, XII,
221. «Stupet nuxius alto Corda metu gla-
clante pater ;> Stat. Theb, X, 621 0 sog.
43. conrorto : Virgilio; cfr. Purg. II
22; XX, 40,
44, ALTO: erano adunque già passate
lo 8 di mattina.
45. TOwro: voltato verso il mare, in
modo da non vedere che cielo ed acqua.
48, KON BTHINGER: non diminuire, ma
accresci la ton speranza. Nella paura il
cuore si ristringe, rimpiccolisce ; nella
speranza si rallarga.
51, LÀ "vr: là dove il balzo che cinge
il Purgatorio sembra interrotto da una
apertura,
V. 62-69, Interpretazione del sogno.
Dante non sa dove ai trovi, nè sa com-
prendere in qual modo sin ‘arrivato in
quel sito, per lui tutto nuove. A suo
conforto Virgilio, che del sogno di Danto
non sembra saper nolla, gli racconta
l'accaduto spiegandogli così il sogno.
Lucia lo trasportò su, Virgilio la seguì;
gli altri, Sordello, Nino e Corrado, ri-
masero naturalmente indietro, dovendo
ancora aspettaro prima di essere am-
messi al vero Purgatorio, All'udir ciò
il Poota tutto si riconforta.
52, DIANZI: poco fa; cfr. v. 13 è seg.
Col principio del canto questo verso non
ha che fare, poichè qui si descrive pure ===" 7°
il tempo in cui Lucia venne a a»
e portare su il Poeta il quale dormiva, — =
nè s'era addormentato pur allora. n
54, LAGGIÙ: quel sito laggiù, cioò lam =~
valle florita. Laggiù è qui usato cone see
stantivo; secondo altri elitticamente, dass > >”
sottindendervi il stuolo,
67. st: pigliandolo, peri
58. FOMME: anime. « Anima est formes «atri e it
corporis.... non enim forma corporis ace == ue
cidentalis, sed substantialia ; » Thom. Aga>®> P— s
Sum. theol. I, 76, 7, 8. « Forma
corporis est ipsa anima, qua paga
culom vitwe ; » ibid., D1, 4.
59. FU cuiano: la legge del Porg
(Purg. VII, 44 © seg.) vale anc
Lucia. È a
62. ENTRATA: la porta del Purga =
chiusa, come dirà in seguito, ma dra
parendo «un rotto, Por come ee
che muro diparte, » v. T4 è seg., a quell fre #7
distanza sembrava aperta. Infatti Dant:
—
[PORTA DEL PURG.]
Puro. 1x. 63-78 [ANGELO PORTIERE] 485
Poi ella e il sonno ad una se n’andaro, »
64 A guisa d’uom che in dubbio si raccerta
E che muta in conforto sua paura,
Poi che la verità gli è discoperta,
67 Mi cambia’ io: e come senza cura
Videmi il duca mio, su per lo balzo
Si mosse, ed io di retro in vér l’altura.
70 Lettor, tu vedi ben com’ io innalzo
La mia materia, e però con più arte
Non ti maravigliar s'io la rincalzo.
73 Noi ci appressammo, ed eravamo in parte,
Che là dove pareami in prima un rotto,
Por come un fesso che muro diparte,
76 Vidi una porta, e tre gradi di sotto,
Per gire ad essa, di color’ diversi,
Ed un portier che ancor non facea motto.
non si accorge della porta chiusa che
dopo essersi avvicinato al rotto, 0 fesso,
cfr. v. 76.
63. AD UNA: Insieme ; tu ti risvegliasti
in quello stesso momento che Lucia ai
part) da noi. « Nox /Enenm somnosque
reliquit; » Virg. Aen. VIII, 67.
HM. A GUISA: como l'uomo, cho dobi-
tando di qualeho ano malo, anbite elo il
vero gli è manifesto, ritorna dallo atato
dol dubbio alla cortozza o si riconforta.
67. SENZA CURA: libero da ogni dubbio.
68, naLzo: Lucia depose Dante a qual-
che distanza dalla porta del Purgatorio,
dove il salire era possibilo anche a chi
aveva seco di quel d' Adamo,
V. 70-138. AUa porta del Purgato-
rio. Accingendosi a trattare nuova ma-
teria, cioò delle anime che si porgano noi
sette cerchi del vero Purgatorio, Dante
richiama l'attenzione del lettore sull'in-
nalzaral dello stile, rispondente all'innal-
sarsi dell'argomento, Descrive quindi In
porta del l'urgatorio e l'Angolo portiere
che è seduto sulla soglin, Quest'Angelo
gli descrive netto P nella fronte, apro
la porta o lascin «ntraro | due T'ooti,
esortanidoli n non riguarlaroe Indietro.
TI, FIO ARTE: più sublime la materia,
onde anche lo stile e l'arte devono innal-
narsi.
72. RINCALZO: «sulTuleio et munio fictio-
nibas magia artificiosia ot sontontionia ; »
Bene, « La fortifico con più artificiosità
di finzioni od allegorico intelletto ;» Buti.
« Adorno, velo con belle finzioni poeti-
che;» An. Fior. Meglio forse: Non ma-
ravigliarti se con più nobile stile cerco di
sostenere la materia a tale altezza. Così
anche Br. B., Anid., ecc.
74. CI APPRESSAMMO : al balzo, v. 50, là
ove ni rolova l'entrata, v. 61, 62, - piLA-
VAMO: arrivatl, Al. k niiivammo,
74. PRIMA: essendono ancor lontani, -
UN hoTTO: una rottara pari alla fessura
di un moro, «Quam angusta porta et
arcta via est, que docit ad vitam; et
panel sunt, qui juveninnt eam!» Matt.
VIT, 14. La porta del Porgatorio è l'an-
titipo della Infernale; questa ampia (Tnf.
V, 20), quella stretta; l'una chinsa, l'al-
tra sempre aperta (Inf. VIIT,126);l'ona
guardata da on Angelo, l'altra senza cu-
stodia; |" ona mena alla vita, l'altra alla
pordizione.
76. Tre: cfr. v. DA © Beg.
78. rortinne: Angelo posto a gnardia
della porta, « Questo portonnio, che l'an-
tore fingo qui secondo Ia lettera che ain
on anginlo, posto n guardia del Purga-
tario, signiflen allogoricnmonts lo sanver-
flote, lo quale è portonalo de la peniten-
sin. Fingo cho non facea motto; imperò
che Il sacerdote non de' assolvere chi nol
dimanda; ma a’ elli è richiesto, de’ esser
presto ed apparecchiato ;» Buti.Così pure
han., Ott., An, Fior., Pastill., Casa., Petr,
Dant., Benv., Land., Vell., eco,
436 [PORTA DEL PURG.]
Puro. 1x. 79-97
[ANGELO PORTIERE]
79 E come l'occhio più e più v'apersi,
Vidil seder sopra il grado soprano,
Tal nella faccia, ch’io non lo soffersi ;
82 Ed una spada nuda aveva in mano,
Che rifletteva i raggi sì vér noi,
Ch’io dirizzava spesso il viso invano.
85 « Dite costinci, che volete voi? »
Cominciò egli a dire: « ov'è la scorta?
Guardate che il venir su non vi néi! »
88 « Donna del ciel, di queste cose accorta, »
Rispose il mio maestro a lui, « pur dianzi
Ne disse; “ Andate là, quivi è la porta. ,, »
v1 « Ed ella i passi vostri in bene avanzi, »
Ricominciò il cortese portinaio :
« Venite dunque a’ nostri gradi innanzi, »
di Là ve venimmo, allo scaglion primaio,
Bianco marmo era sì pulito e terso,
Ch’io mi specchiai in esso quale io paio.
97 Era il secondo, tinto più che perso,
81. TAL: così risplendente che no re-
stai abbagliato; cfr. Z'urg. II, 89.
82. svaba: secondo gli uni figura della
divina giustizia, Lan., Ott., An. Fior.,ecc.;
secondo altri simbolo della lingua del sa-
cerdote che giudica della vita e della mor-
te, Benv.; secondo altri simbolo della giu-
stizia che deve regnare nel sacerdote,
Falso Bocc., Buti, Land., Vell., eco.; se-
condo altri simbolo dolla giurisdizione
spirituale, Filal., eco. È piuttosto quelia
spada di che parla S. Paolo, E/es., VI, 17,
che è la Parola di Dio, come risulta da
v. 112 e seg. Confr. Genes. III, 24. Dan.
X, 6.
84. DIRIZZAVA: per guardarlo, - IKVA-
xo: restandone abbagliato.
85. DITR: Al. DITKL. - COSTIXCI: di co-
stà; cfr. Inf. XII, 63. -Clik VOLETK:
l'Angelo si 6 dunque già accorto cho i
due Poeti non sono animo purganti.
86. LA SCOITA : quale potenza ha gul-
dato qui voi duo che non siete anime del
Purgatorio! Cfr. Purg. I, 43. Benv. pensa
che la ecorta sia Lucia, Biag. e con lui il
più dei moderni credono che un Angelo
guidi le anime alla porta del Purgatorio.
Ma l'Angelo portiere sapeva che i due
non eruuo anime purganti.
87. GUARDATE: cfr. Inf. V, 20. - NÒI
annoi, non vi sia cagione dl dispiacere» “a
cfr. Inf. XXIII, 15. S. Tue. X1V, 28-
88. DONNA: cfr. Purg. I, 53 © seg.
90. pissK: col cenno de' suoi begli o» E
chi, cfr. v. 61 o seg.
04. LÀ "vir: Al. LÀ NE VENIMMO, R_L- AS
BC. - PRIMAIO: primo, inferiore. - Nell'era «>
trata del Purgatorio è simboleggiato <=
sacramento della penitenza, la quale €
tre parti: contritiv cordis, confessio ori. #
satigfactio operis, lo quali tre parti sons 4"
figurate nei tre gradini per i quali sl
all'ingresso del Pargatorio. Dunque
primo scaglione figura la contriziono d. SE> «€
cuore, il secondo la confessione della bos»
ca, il terzo la soddisfazione delle oper-25 <<"
Sulle differenti opinioni diverse cfr. Cor Poe
Tips. II, 141 © seg.
95. MARMO: « por quosto primo scag he & >=
ne è da notaro la contrizione che deb! ==
avere ciascun fedele prima che venga sE «=
confessione, che esaminato in sì m
simo e specchiato nel cuore sno,
a mente tutti i suol peccati, e di quam» == |
pentesi Interamente e con buona
trizione ; ot in quel punto rimane bi
come il marmo, senza veruna macchia <<
oscurità di peccati; » An. Mor. a
97. rkrso: contr. Inf. V, 89; V
103. La confessioue orale, simboleggi - — uni
[PORTA DEL PURO.]
Pure, tx. 98-114 [ANGELO PORTIERE] 437
D’una petrina ruvida ed arsiccia,
Crepata per lo lungo e per traverso.
100 Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia,
Porfido mi parea si fiammeggiante,
Come sangue che fuor di vena spiccia.
103 Sopra questo teneva ambo le piante
L’angel di Dio, sedendo in su la soglia,
Che mi sembiava pietra di diamante.
106 Per li tre gradi su di buona voglia
Mi trasse il duca mio, dicendo: « Chiedi
Umilemente che il serrame scioglia. »
109 Divoto mi gettai a’ santi piedi:
Misericordia chiesi che m'aprisse,
Ma pria nel petto tre fiate mi diedi.
112 Sette P nella fronte mi descrisse
Col punton della spada, e: « Fa' che lavi,
Quando se’ dentro, queste piaghe, » disse.
in questo seconilo scaglione, sveln lo
oscurità del cuore.
98, reTRINA : pietra; forse figura del
«cuore di pietra; » Ezechiele, XI, 10;
XXXVI, 26.
09. cnierata: la confessione rompe la
durezza del coore svelando | pecenti nella
loro lunghezza e larghezza, durata e di-
mensione,
101. roRFIDO: « questo colore di fnoco
hae n denotare l'ardore della carità et
dell'amore che accende gli nomini, et
sospigne a fare Ia penitenza de’ peocati
commessi et avero satisfazione d'ogni
ano difetto; » An. Fior,; così puro Lan.,
Ott., Buti, ecc. Secondo altri si nllode qui
allo flagellazioni a sangue, al rossore delle
pubbliche pevitenze, ecc.
105. DIAMANTE: figura della fermerza è
costanza del confessore, cfr. Ezech. 1II,
D. Matt, XVI, 18. Così Lan., An. Fior.,
Renv., Buti, Land., Vell., Dan., eco. Se-
condo il Lomb. ed i suoi segunci il din-
mante è l'immaginodel solido fondamento
eu coi posa la Chiesa che ha ricevuto da
Cristo l'autorità di concedere l'assolu-
zione del peccati.
106, vooLia: min; trasse me che lo
seguiva volentieri.
108. UMILMMENTE: ofr. Purg.I, Die sog.
- 8CIOGLIA: apra; «cho ti dia l'assoln-
zione; » Dan.
110, cimks:: implorai che mi usnsso la
misoricordia di aprirmi la porta del Pur-
gatorio. Al. MISERICORDIA CHIKSI RCH’ RL
(ch' ei) M'AFRISSR.
111. mt mem: prima di progarlo che
mi fncesso In misericordia di aprirmi In
porta del Purgatorio mi battei tre vol-
te il petto; atto di umile contrizione.
e Percntiebat pectus suum; » 4. Lae,
XVIII, 19,
112. SKTTE PF: i segni dei setto poccati
mortali che si porgano nei setta cerchi
del Purgatorio e dei quali anche il Poota
dovrà porificarsi colla penitenza. « I) se-
gno alfabetico P non è che una abbrevia-
tura della parola intera Peccato, Onde
l'Angelo che scrive sette volte su la
fronte del Poota la parola Peccato, e poi
gl'ingiunge che si conduca po’ sette gi-
roni, sicchè richinda quelle marche della
fronte, chiaramente fa intendere chedopo
In remissione ottennta è rimasta nell'ani-
ma qualche cosa, che si pnd tuttavia diro
peccato. Or certo è che dopo rimosse lo
colpe porsistono nell'anima le malvage
propensioni, o ingenerate, o invigorite
da' roplicenti alti del medesimo gonere;
ed esse puro si possono dire in qualche
senso peccato, 4\ perchà sono, diciam così,
immediata creazione del peconto, si per-
chè di loro natora risospingono al pec-
cato; » Berardinelli, Concetto della D.
O., 197.
114, macue: chiama così i sette P
438 [PORTA DEL PURG.] Puna. 1X. 115-127
[ANGELO PORTIERE]
115 Cenere, o terra che secca si cavi
D'un color féra col suo vestimento,
E di sotto da quel trasse due chiavi.
118 L'una era d’oro e l’altra era d'argento:
Pria con la bianca, e poscia con la gialla
Feco alla porta sl ch'io fui contento.
121 « Quandungu* "na 4’ sets shioyi falla,
Che non si
Diss’ egli a
124 Più cara è |
D'arte 6 ..
Perch’ ell’,
127 Da Pier le te
perchè fatti con la punta del
per osser piaghe il termine sor
indicare i peccati; cfr. Salm. don,
6. Isaia I, 6. Gerem. XXX, 12, 17,.._, —
Osea V, 12, occ,
115. CRNERE: la veste dell’ Angelo è del
colore di cenere e di terra secca, danque
non vivace ma dimesso, simboleggiando
l'umiltà con che il sacerdote dee prace-
dere nel suo uflicio di confessore. Così
Lan., An. Fior., Cass., Petr. Dant., Fal-
so Bocc., Benv., Buti, Vell., ecc. Secondo
altri quolla veste di quol colore figura
l'autorità di assolvere data all'uomo ve-
stito di polve e cenere, cioò della carne
(Land., Dan., ecc.). Altri di nuovo di-
versamente; cfr. Com. Lips. II, 144. Il
color cenere è il simbolo della penitenza,
e la materia in che si vorsa il ministero
di quest’Angelo è per l'uppunto la pe-
nitenza.
117. cuiavi: le « chiavi del regno dei
cieli, » S. Matt. XVI, 18, che tiguravo
l'autorità conferita da Cristo a S. Pietro
di chiuderlo e di aprirlo; cfr.Zaf. XXVII,
104.« Distinguuntur dusclaves: quarum
una pertinct ad judicium de idoneitate
cius qui absolvendus est ; et alia ad ipsam
absolutionem. Et hiv du:t claves non di-
atinguunturinessentia auctoritatis, quia
utrumque ex ofticio eis competit; sed ex
comparationo ad actus, quorum unus
alium priesupponit; » Thom. Ag. Sum.
theol. III, Suppl. XVII, 3.
118. bp’ ono: simbolo dell'autorità sa-
cerdotale. - D'ARGENTO: simbolo della
scionza necessaria al buon sacerdote.
119. BIANCA: « colla chiave d'argento,
\ toppa, »
questa calla.
il troppa
a disserri,
) disgroppa.
.— 10 erri
anzi che il confessore venga
lone bisogna che esamini inl-
ew Con la sua dottrina il pecca-
_--- manu Bi CONTESSA, © conosca la qua-
lità de' peccati; » Dan.
120. CONTENTO: avendola egli aperta.
121. QUANDUNQUK:lat.quandocumque ;
qualunque volta l'una delle duo chiavi
non va dritta nella toppa, o serratura, la
porta non si apro. Quando al sacerdote
manca la scienza o I’ autorità e' non può
assolvere ,oppuro, se non usa debitamente
dell'una e dell'altra, l'assoluzione è in-
valida e non ha verun offetto.
123. CALLA: apertura, ingresso; cfr.
Purg. 1V, 22. S. Matt. VII, 13, 14.
124. L'UNA: più cara la chiave d'oro,
l'autorità sacordotalo essendo acquistata
col saugue prezioso di Cristo, Ma la chia-
ve d'argento, benchè meno preziosa, vio!
troppa d’arte e d'ingegno, dovendo il sa-
cerdote per essa distinguere le diverse
specie di peccati, giudicare la loro gra-
vità, chiariro lo obbligazioni che strin-
gono il penitente, e librare la disposi-
ziono di lui.
126. pisGROPra: schiarisce e riordina
la coscieuza iuviluppata del peccatore o
raddrizza le sue vio. Colla scienza si for-
ma il giudizio, ed in virtù del giudizio
formato si viene alla sentenza di asso-
luziono.
127. va Pik: le ebbi da S. Pietro, cul
furono date da Cristo, S. Matt. XVI, 18,
o Pietro mi disse di errare piuttosto per
buon volere di aprire, che non per sover-
chio rigore di tenere la porta chiusa. Vo-
ramento gli Angeli non sono soggotti al-
[PORTA DEI PURG.)
Pura. 1x. 128-142
[ENTRATA] 459
Anzi ad aprir, che a tenerla serrata,
Pur che la gente a’ piedi mi s' atterri, »
130 Poi pinse |’ uscio alla porta sacrata,
Dicendo: « Entrate; ma facciovi accorti
Che di fuor torna chi ’ndietro si guata. »
183 E quando fdr ne’ cardini distorti
Gli spigoli di quella regge sacra,
Che di metallo son sonanti e forti,
196 Non rugghiò sì, né si mostrò si acra
Tarpeia, come tolto le fu il buono
Metello, per che poi rimase macra,
130 Io mi rivolsi attento al primo tuono,
E « Te Deum laudamus » mi parea
Udir in voce mista al dolce suono.
142 Tale imagine appunto mi rendea
l'errore; maquil'Angeloportiere è fignra
del sacerdote non infallibile.
120. 8'ATTERRI : 8'inginoochi, chiedendo
umilmente perdono,
180. rinse: spinse in dentro l'imposta
che chindeva l'apertura. - PORTA: Al.
PARTE. — BACRATA : Al. SERRATA.
132. TORNA: perdelagrazia chi ritorna
ni vecchi peccati ; cfr. 8, Matt, X1I,43-45.
8. Ine. IX, 62; XI, 24-26; XVII, 32.
133. DISTORTI : si girarono nei cardini.
184. seicoLI: imposte, puntoni di me-
tallo, che nelle grandi porte tengono Ino-
go di bandelle ; la parte pel tutto. - REGGE:
135. cnr: può riferirsi ai cardini, o ar-
ploni (Benw.); meglio forse agli spigoli, o
bandelle,
136, nucemd: Al. ruoalo. Il romore
che fecero le porte del Pargatorio, apren-
dosi fa maggiore del rimbombo cho fece
la rope Tarpein, cansa l' irragginimento
de' gangheri, la porta del Purgatorio non
aprendosi che di rado, poichè gli eletti
sono pochi ; cfr. &. Matt. XX,16.- ACRA:
resistente ad aprirsi.
197, TARPRIA: il Tarpeius mons, rocca
Tarpea ; la vetta del Campidoglio.
198. MetELLO: il tribuno romano L.
Cecilio Metello, coi era affidata la cnato-
din del tasoro pubblico che ai consorvara
sotto la rnpe Tarpea, Quando Ginlio Ce-
sare ebbe passato il Rubicone e si fn tra-
aferito a Roma, volle impadronirsi del
pubblico tesoro; ma Metello gli si op-
poso, è Cesnre non riuscì nol sno intento
che colle minacco e colla forza. Quindi,
racconta Lucano, Phars, ILI, 154:
Tunc rupes Tarpela sonat, magnoque reclusas
Testatus stridore fores; tune conditus imo
Eruitor templo, multis intactus ab annis,
- MACHA: porchd spogliata del tesoro che
vi ai conservava.
V. 139-145. Arrico nel primo cer-
chio del Purgatorio, Appona i due
Poeti hanno varcato la porta e sono en-
trati nel primo cerchio si ode là dentro
cantare il celebro Inno Ambrosiano, dan-
dosi con quel canto e rendimento di gra-
zie Il benvennto ai nuovamente arrivati.
Pare che siano le anime purganti che
cantano; ma potrebbe anche sasere un
canto di Angeli, come S, Ewe. 11,136 seg.
139, mvorst: non indiotro allo atri-
dore dei cardini della porta (Benv,, Vell.,
Dan., ccc.), contro il precotto dell'An-
gelo, v. 130, 131; ma innanzi, verso }'in-
terno del Purgatorio, donde veniva quel
primo tuono.
141. MISTA: in voce di parole, congiunta
al dolcissimo suono del canto, Del resto
le npinioni sul sonso di questo verso va-
riano dal sublime all'assurdo; cfr. Com,
Lips. II, 147. Più facile sarebbe il verso
leggendo, come taluno vuole, A DOLCT
suono. Ma su quali antorità si fonda
questa lezione]
142. mi nenbira: mi faceva la mede-
sima impressione,
440 [Gin. PRIMO]
Puro. 1X, 143-145 - x. 1-6
[SALITA]
Ciò ch'io udiva, qual prender sì suole
Quando a cantar con organi si stea,
145 Che or sì or no s' intendon le parole.
143. rum: ricevere dall'udito.
ldd. TIA : stia, «Stando a cantar cogli
organi, alcune volto il snono scolpiace le
C
GIRON
(Cammipano co
SALITA AL Pitim
LA
parole del canto, ot Quando l'oflisca |l
tuono; + An, Mor, Ofr. S&S, Lue. XV,
7,10.
:RBIA
meno gravi)
MPI DI UMILTÀ
ESPIAZIONE DELLA SUPERBIA
Poi fummo dentro al soglio della porta,
Che il malo amor dell’anime disusa,
Perché fa parer dritta la via torta,
4 Sonando Ja sentii esser richiusa :
E s'io avessi gli occhi vélti ad essa,
Qual fora stata al fallo degna scusa?
V.1-27. Salita al prisno girone. Es-
sendo entrati nel Purgatorio, Dante ode
dietro a sè il fracasso della porta che
l'Angelo richiude, ma non osa guar-
darsi indietro, memore di quanto essa
Angelo gli ha detto, Purg.IX, 131 0 seg.
I due Poeti vanno su per una via stretta
ed angusta che mena al primo balzo, o
girone, o cerchio del vero Pargaturio.
Arrivati al primo balzo si formano, tra
per la stanchezza di Dante, o tra porchò
ambedue sono iguvuri della via da pren-
dersi.
1. POI: poichè : qui o Purg. XIV, 130;
XV,84. Par. X,76; XIX, 100 con valore
temporale; altrove Purg. X, 128. Par.
II, 56; III, 27 con valore causalo. Del-
l'uso presso gli antichi. Cfr. Diez, Gramm.
1115, 1018.
2. AMOK: amore è, secondo Dante, la
sorgente di ogni buona e cattiva opera-
zione umana; il retto amore produco
buone, il malo roe operazioni; cfr. Purg.
XVII, 103 © seg. - DISUSA: fu cho rara-
mento si apra, poche essendo lo animo
che vanno al Purgatorio. Onde lo stri-
dero di essa, Purg. IX, 133 e seg.
3. FA batti: il malo amore fa parero
un beno ciò che è un male.
4. BONANDO: non osava guardare in-
dietro, ma dal suono si accorse che la
porta si richiudeva. Prima tentazione
di guardare indietro.
6. QUAL: non avrei potuto scusarmi,
[GIRONE Primo)
Pure. x. 7-24
(saniraA] 441
7 Noi salivam per una pietra fessa,
Che si moveva d’una e d’altra parte,
Sì come l'onda che fugge e s’appressa.
10 « Qui si convien usare un poco d'arte, »
Cominciò il duca mio, « in accostarsi
Or quinci, or quindi al lato che si parte. »
13 E ciò fece li nostri passi scarsi
Tanto che pria lo scemo della luna
Rigiurise al letto suo per ricorcarsi,
16 Che noi fossimo fuor di quella cruna;
Ma quando fummo liberi ed aperti
Su dove il monte indietro si rauna,
19 Io stancato ed ambedue incerti
Di nostra via, ristemmo su in un piano
Solingo più che strade per diserti.
Dalla sua sponda, ove confina il vano,
Al piè dell'alta ripa, che pur sale,
Misurrebbe in tre volte un corpo umano:
essendo ammonito; cfr. Purg. IX, 131
© seg.
7. PreTmA FRSSA: chiama così quella
via per la quale salivano, perchè era as-
sai stretta cd incavata nel macigno.
B, SI MOVEVA: non ora rettilinea, ma
ritorcevasi in diversi modi, descrivendo
figure non dissimili la quelle cho descrive
l'onda che va e vieno. Così la gran mag-
gioranza dei commentatori antichi 1 mo-
derni. Alcuni pochi (Petr. Dant., Cass.,
Fanf., eco.) intemilono invece cho quel
masso al movesso realmente. Interpre-
tazione troppo comica! Cfr. Com. Lips.
If, 163. « Ceo gurgito cano Nunc rete-
git bibulas, nono obruit matus nrenno; »
Stat. Theb. XI, 43 © seg.
11. In ACCOSTARSI: « bisognava acco-
atarsi ora all'uno ora all'altro lato, sem-
pre a quello ch'era lontano, bisogi.ava
cioè andar continvamente da destra a si-
nistra a da sinistra a destra, como av-
viene quando si monta per una scala a
chiocciola; » Greg.
12, st Panter: dà volta.
13. scarsi: lenti e brevi; cir. Purg.
XX, 10.
14. Lo scemo: la Iona scemata, tro-
randosi quasi nell'nltimo quarto. era
già tramontata. Erano circa le ore 11 an-
tim., o circa quattro oro e mezza di Sole.
Cfr. Com. Lips. IT, 164. Inveco di sctmo
alcuni cold. hanno sTREMO ; cfr. MOORR,
Crit., 380, Lo scEMO è lex, della gran mag-
gioranza del testi e senza dubbio la vera.
15. LETTO: orizzonte.
16.CRUNA: passo, adito angusto; chia-
ma così, secondo S. Matt. XIX, 24; &.
Mare. X,26; S. Ime, XVIII, 25, quella
stretta vin, por la quale erano saliti.
Anche proverbialmente si dice: « stretto
come una cruna di ago. »
17. LIbERI: dalle dificolté della via ed
usciti fuori all' aperto,
IR. su nove: Al. LA bovR; in luogo
slevato, dove il monte si atringe in an,
lasciando un ripiano all'intorno.
21. soLINGO: più solitario che una stra-
da nel deserto, «quia pancissimi gradinn-
tur per istam viam peonitentim, et maxi-
mesnperbi, qui primo inveniantarin ista
via; > Bene, « Post eam solitndo deser-
ti; » Joel. 1I, 3.
22. sroxba: orlo esterno, -— IL VANO:
il vnoto «onde eador si puote; » Purg.
XITI, 80.
23. BALK: si alza perpendicolarmente,
24. MisunrEnuR: misurerebbe: confr.
Nannuc., Verbi, 3426 seg, Dall'orlo eater-
no alla costa il ripinno era largo tre volte
la Innghesza di nn nomo, dunque Incirca
cinque metri,
442 [GIRONI
PRIMO] Puro. x. 25-81
[SALITA]
25 E cuanto l'occhio mio poter trar d’ale
rr dal sinistro ed or dal destro fianco,
uesta cornice mi parea cotale.
28 La sù non eran mossi i piè nostri anco,
iuand’io conobbi quella ripa intorno
he, dritta, di salita aveva manco,
81 Esser di marmo candido ed adorno
25. TRAR D'AI
mia veduta pot:
o asinistra il ri
que della medas
27. CORNICE :
chi del Pargatc
XIII, 4; XVII
XV, 93) perchà
il Monte Sacro,
V. 28-45. Lan |
esempio di wim
vale lo scopa cor
l'umano spirito
degno di salito
come si compili _. - So
stosso f Modiaule l'oma odiato
la meditazione. Nun basta deporre 11 vi-
zio, conviene pure esercitare la virtù.
Onde le pene del Purgatorio sono in so-
stanza esercizi nelle virtù opposte ai pec-
cati da purgarsi. I superbi ai esercitano
nell'umiltà, gl’ invidiosi nel santo amore,
gl'iracondi nella docilità, e così le altre
classi di peccatori. K all’ esercizio si ag-
giunge la meditazione, la quale è duplice.
Dall’ un canto il suo oggetto sono le lai-
dezze ed i tristi effetti dei peccati com-
messi, dall'altro lo bellezze od i dolci
frutti delle opposte virtù. Questi oggetti
sono sottoposti, offerti alla meditazione
delle anime purganti per mezzo di esempi.
Onde all'entrata di ogni cerchio del Pur-
gatorio o ai vedono coll'occhio, o si odono
gridare, o si hanuo visioni di esompi di
belle virtù ; all’ uscire del cerchio esempi
del vizio punito. Dantetoglie questi esem-
pi parte dalla Sacra Scrittura, parte dalla
mitologia e parte dulla storia. Nel cerchio
do'superbi: l'umiltà di Maria, di Davido
o di Trajano; l'orgoglio punito di Luci-
fero, dei giganti, di Niobe, di Saul, di
Aracno, di Roboamo, di Almeone, di Sen-
nacherib, di Ciro, di Oloferne, dei ‘l'roiu-
ni. Sul balzo degli invidiosi : la carità di
Maria, di l’ilulo o la carità evangelica
prescritta dal Cristo; l'invidia punita di
Caino e di Aglauro. Sul balzo dogl' ira-
ii: la mansuotodine di Maria, di Pi-
rato e di Santo Stefano; l'ira Infaneta
iman e di Amata, madre di Lavinia,
la regione degli accidiosi : la rara sol
mdine di Maria e di Giulio Cesare;
chlia punita degli Ebrei nel deserto è
a gente che non segui Enea. In quella
il uvari: la povertà e larghezza di
‘ia, di Fabrizio e di Niccolò di Mira;
‘nrizia punita di Pigmalione, di Mida,
\éam, di Safira è del marito, di Klio-
), «li Polinestore, di Crasso. Sul balzo
golosi: la bella temperanza di Maria,
6 antiche Romane, di Daniello, del
prrsst0 scolo o del Battista; l'intempo-
ranza punita de’ Centauri è degli Ebrui
che bevvero gittandosi a terra. Final-
mente sul balzo dei lussuriosi : la castità
di Maria, di Diana o di donne e mariti
che fur casti; la sozza lussuria punita di
Soddoma e Gomorra e di Pasife. Il primo
esempio di virtù è sempre Maria; negli
altri esempi Danto sceglie liberamente.
28. 110881: arrivati nel ripiano si crano
fermati, v. 20.
20. rIPA: tra il primo ed il secondo gi-
rone del Purgatorio.
30. cur: la quale ripa, casendo diritta
quasi a perpendicolo, aveva mancanza,
impossibilità di salita. Un verso tutto si-
nile, rispetto alla sintassi, Purg. X XI,87.
Al. CHE DRITTO DI BALITA AVKA MANCO,
lozione che ha per sò l'autorità di mol-
tissimi codici ed edizioni ma dalla quale
resta diflicile cavar costrutto. Cfr. Com.
Lips. IT, 1605 e seg. 11 Betti: «Aveva man-
co il dritto della salita. Cioè impediva che
alcuno vi potesse direttamente salire. »
Cfr. Moonrk, Crit., 386-88. Il Pol. ufferma
cho piro è lozione « della quasi tota-
lità » dei codd. Ma il Moore trouvé DRITTA
in non meno di 52 dei codd. da lui esami-
nati. - MANCO: maucamento, come Par.
Ill, 30. 1] senso è in ogni caso, che era
impossibile di saliro.
31. APORNO: figurato di bassorilievi di
sovrumana perfezione v bellezza,
[GIRONE PRIMO]
Puro. x. 32-48
[LA VERG. MARIA) 448
D’ intagli si che non pur Policreto,
Ma la natura li avrebbe scorno.
34 L’ angel che venne in terra col decreto
Della molt’ anni lagrimata pace,
Che aperse il ciel dal suo lungo divieto,
a7 Dinanzi a noi pareva si verace
Quivi intagliato in un atto soave,
Che non sembiava imagine che tace.
40 Giurato si saria ch'ei dicesse: « Are, »
Perocché ivi era imaginata quella,
Che ad aprir l’alto amor volse la chiave;
4 Ed avea in atto impressa esta favella,
« Ecce ancilla Dei, » si propriamente,
Come figura in cera si suggella.
46 « Non tener pure ad un loco la mente, »
Disse il dolce maestro, che m’avea
Da quella parte onde il core ha la gente;
82. Pouicrero: toscanismo per Poli-
eleto, celebre scultore greco n. verso il
480 n. ©., contemporaneo ed emulo di
Fidia. Policleto è celebre per la bella
Ginnone colossnle fatta pel tompio d'Ar-
go, 6 per ona statua modello, detta il Ca-
none, nella quale aveva rinnite tutte le
perfezioni del corpo nmano. Dettò pure
un'opera sulle proporzioni del corpo nma-
no, che gli scultori considerarono come
codice di legge della loro arte, Cfr. Cie.
Brut. LXKXXVI, 2. Plin. XXXIV, 19, 2.
Quint. V, 12.
33. 1): Al. cu, usato da Dante per vi,
ivi anche Inf. XXIII, 54. — AvrEnDR
scomRNO: si vedrebbe suporata, vinta,
acornata.
24. L'ANGRL: l'Angelo Gabriele cho re-
cò alla Vergine Maria |' annonzio della
nascita del tanto sospirato Salvatore;
ofr. &, Tue. I, 26-38.
35, LAGRIMATA : implorata con lagrime.
-rack: dell'uomo con Dio.
a6. Arsh: la quale pace apri agli vo-
mini il cielo, stato loro chiuso da Adamo
a Cristo; cfr. Inf. IV, 02, 03, « Per pec-
catom prmcindebatnr homini nditns re-
gni culeatia. .... Anto passionem Christi
nolins intrare potorat regoum omleste ; +
Thom. Aq. Sum. theol. INI, 40, 5.
39. TACK: non sombrava mota imn-
gine, ma persona viva o parlante. Del
bronsi nella reggia d'Argo Stat. Theb.
IT, 216: « Vivia certantia vultibusa mra.»
41, reRoocHf mi: Al. PRRCHÉ QUIVI.
= IMAGINATA: efigiata Maria Vergine.
42, vOLSK: mosso l'amor divino ad aver
pietà degli nomini.
43, rsTA: questa, « Era in tale umile
atteggiamento, che, come figura in cora
per suggello apparisce, così chiaramente
apparivano dirsi da lei quelle parole:
Foce, eco, » Lomb,
44. rocr: la risposta di Maria all'An-
Eolo Gabriele; 8. Lue. I, 88.
45. 1N cena: « Ut Hymettia solo Cora
romolloscit, tractataque pollice multas
Meetitur in facica ; » Ovid. Met. X, 284 è
seg. « Utqne novia facilis signatur cera
figuris; » ibid. XV, 160. Confr. Purg,
XXXIII, 79,
V. 46-00, I° ro Davide, secondo
esempio di winilia. Il secondo esem-
pio di umiltA da divino artefice scolpito
nel marmo di quella parete, è quello di
Davide re d'Israele, il quale, allorohè
fece condurre l'Arca del Patto a Sion,
« anltava di tntta forza Anvanti al Signo-
re, essendo cinto d'un Rfod di lino. » La
storin è raccontata JI Reg. (JI Sam,) VT,
1-23. I, Cron. XIII, 1-14; XV,1; XVI, 43.
40. NON TRNER: non guardar solamente
l'una di queste rappresentazioni.
48. rartr: sinistra. Nol Purgatorio
on Uvinanzi parea gente; e tutta quanta
Partita in sette cori, a’ duo miei sensi
Faceva dir l’un « No, » l’altro « Si, canta: »
61 Similemente, al fummo degl’ incensi
Che v'era imaginato, gli occhi e il naso
Ed al si ed al no discordi fensi.
GA Li precedeva al benedetto vaso,
Trescando alzato, l'umile salmista,
E più e men che re era in quel caso,
49.301 SOMSIZINI Sile Alicrrouni
50. Pin: Al. a: alla mia destra, dietro
la scaltara rappresentante Maria,
61, MOVRKA: mn'incitò colla sua ammo
nizione, v, 46, a muovermi.
62, nivosra : scolpita bella roccia, clad
nella elpo,
OF, VAWCAT: pasa dalla sintateo alla
dostra di Virgilio, — wnat: AL wx’ si.
ai nfficle non nf
fidato da Dio. = Uomaline la mano verso
l'arca di Dio, 0 la ritenne; purolorohò |
Luol l'aveano smossa, È l'ira dal Signore
al acceso contro ml Deza; o Lillo lo por
Siate saa
presso all’ Aron
Jtog. (IT Sam.) VI, 0, 7
it primo affurmando quello eas
realo d'inconso, Il secondo ney
64. vaso: l'Arca del Dr
06. ThKECANDO: ballando i |
cho è un ballo saltorosoio suna
o senza tempo; ef, Inf. XIV,
sato: anecinto, con lu veste 6
Com O04, Stonv,, Mati, Jamd., )
oe Micol ace David rim
a’ sacle dort
och delle ag
Lori, non altrimenti che
nomo da lrn Fg ait
wtto di mal
pestilenza Sx:
nm nt
caro i) saltoti Clr; sulla dilotto
[GIRONE PRIMO]
Pura. x. 67-75
[TRAJANO] 445
67 Di contra effigiata ad una vista
D'un gran palazzo Micol ammirava,
Si come donna dispettosa e trista.
70 Io mossi i piè dal loco dov'io stava,
Per avvisar da presso un’altra storia
Che di retro a Micòl mi biancheggiava.
73 Quivi era storiata l’alta gloria
Del roman principato, il cui valore
Mosse Gregorio alla sua gran vittoria:
poca dignità di Re, Al.: più che re a Dio,
men che re ai superbi (1). - caso : in quel-
l'ntto,
67. DI CONTRA: nello stesso bassori-
liero, dirimpetto a Davide, Al. p' Incox-
TRA, - VISTA: finestra. « Come l'Arca del
Signore entrò nella città di Davide, MI-
col, figliuola di Sanlle, rignardò dalla
finestra, 0 vide Davido che saltava di
forza in presenza del Signore; o lo spror.
zò nel cor suo; » IJ Reg. VI, 16. Clr.
Inf. X, 62. Vista valeva anticamente
Apertora in genore per la quale si vede.
68. Micol: figlia di Sanlle primo re di
Tarnele, la prima delle mogli di Davide;
efr. I Reg. XVII, 25; XVIII, 17, 206
sog.; XIX, 1leseg., che fa punita della
run superbia con isterilità ; cfr. II Reg.
VI, 22.
V. 70-06. L'imperatore Trajano,
terzo csempio di umiltà. Nel melio
evo orn assai diffisa nna leggenda, la cni
sorgente sembra fosse nn aneddoto rac-
contato da Dio Cassio, XIX, 5. Nel No-
pellino, 66, con col vanno essenzialmente
Maccordo gli antichi comm., la leggenda
Ri racconta così : « Lo "mperadore Traja-
no fu molto giustissimo signore. Andando
un giorno con In sun grande cavalleria
contra enol nemici, una femina vedova
gli si fece dinanzi, 6 preselo per la stalla,
© disso: messer, fammi diritto di quelli
eh'a torto m'hanno morto il mio figliuolo.
E lo'mporadore disse: io ti soddigfarò
quando io rarò tornato. Et olln diaase:
ne tu non torni? Et elli rispose: soddi-
afaratti lo mio muecersore, Et olln disse :
eel tuo anecersore wi vien meno, fu mi
ae’ debitore. H pogniamo che pure ini sod.
disfacease ; l'altrui giustizia non libera la
tua colpa. Itene avverrae al tuo successore
n'ègli liberrà sè medesimo. Allora lo "mpe-
amontd da onvallo è foco cinstizia
di coloro ch'avorano morto il Oglinolo di
colei, e pol cavalcd e sconfisse i snoi ne-
mici. E dopo, non molto tempo dopo la
sun morte, venne il beato santo Gregorio
papa, 6 trovando In sun giustizia andò
alln statua sna, e con lagrime l'onorò di
gran lode, 6 focelo disseppellire. Trovaro
che tutto ora tornato alla terra, salvo che
l'ossa e la lingna; è ciò dimostrava co-
m'orn suto ginstissimo uomo, 6 ginsta-
monte avon parlato. E santo Gregorio
orò per lui a Dio, e dicesi per evidente
miracolo che, per li prieghi di questo
santo papa, l'anima di questo imperadore
fu liberata dalle pene dell'inferno, ed an-
flonne in vita eterna, ed era stato paga-
no.» Clr. A. Paris, La légende de Trajan,
Parigi, 1878.
TI. AVVIBAN: 08sorvare, vedere più da
vicino.
72. WIANCHWOGTIAVA: mi ei mostrava
acolpita nel marmo candido, v. 31, dopo
Micol, seguilando sempre a destra.
73. aLontA : fl fatto glorioso,
74. rmixciraTto: principe. Al. DEL RO-
MAN PRINCR, LO CUT GRAN VALORE.
75, VITTORIA: sopra I inferno. La leg-
genda della liberazione di Trajano dal-
l'inforno per opera di S. Gregorio fo rao
contata da Giov, Diacono, Vita &. Gres.
IV, 44. Nel medio ovo fu creduta storia
reridica, « Damascenus in sermone suo,
de Dafunet., narrat quod Gregorivs pro
Trajano orationom faundena, audivit vo-
cem sibi divinitns dicentem: Vocem tuam
audivi, ef ventam Trajano do; cuins rei,
ut Damascenna dicit in dicto sermone,
testis est Oriens omnia et Occidens. Sci
constal T'rnjanum in inforno filase, ....
De feto Trajani hoe modo potest pro-
babilitor mstimari, quod precibus B. Gro-
gorii nd vitam fnerit revocatus, et ita
gratiam consecutns sit;» Thom. Ag.Sum.
theol. IIT. Suppt., 71,5. Dante vi allude
pure Par, XX, 44 0 sog., 106 0 seg.
446 [GIRONE PRIMO] Pure. x, 76-95 [TRAJANO]
76 Io dico di Trajano imperatore ;
Ed una vedovella gli era al freno,
Di lagrime atteggiata e di dolore.
79 Intorno a lui parea calcato e pieno
Di cavalieri, 6 |’ aquile nell’ oro
Sovr’esso in vista al vento si moviéno.
82 La miserella intra tutti anstara
Parea dice ‘endetta
Del mio fi; d'io m'accoro. »
85 Ed egli a lei spetta
Tanto ch’ Signor mio, »
Come per, fretta,
88 « Se tu non | i fia dov’io
La ti farà, ui bene
A te che | obblio? »
dI Ond' elli: « mviene
Ch’ io soly | ch'io mova:
Giustizia Vv ne. »
94 Colui, che mai non vide cosa nuova,
Produsse esto visibile parlare,
70. 10 DICO: Al. K pico.
79. INTORNO: il Inogo intorno a Traja-
no; Virg. Ecl. I, 11, 12: « undique totis
Usque ndvo turbatur agris. »
80. L'AQUILE NkLL'OKHO: le romane
aquile ettigiate in campo d'oro. Così An.
Fior., Benv., Buti, Land., Vell., Dan., ecc.
AL L'AGUGLIK DELL'ORO, cioè di oro mus-
siccio. Si muovono al vento aquile di mo-
tallo inassiccio 1!
81. sovi'Kss0: sombrava a vederle
che, agitato dal vento, si movessero 80-
pra il capo dell'imperatore. - 81 MOVII:-
NO: «stavano collo ali allargato, sicché
pareva che si movessero al vento, come
se veramente fosser vive è volassero; »
Betti.
85. Kb KGLI: © pareva che Trajano le
rispondesse.
87. cong: insistendo con impazienza,
como chi è vinto dal dolore.
00. K QUELLA: Al. kb KLLA.- L'ALTRUIL:
che gioverà n te il beno fatto da altri,
se tu dimentichi, trascuri di fare quel
bene che sei tenuto a fure tu stesso per
obbligo del tuo utlicio?
92. sOLVA: che prima di partire col-
l'esercito io adempia il mio dovere d'in-
peratore facenduti giustizia,
93. MI RITIKNK: dal partire. Giustizia
vuole che io adempiu il nio dovere, o la
piotà che ho di te m’ induce a non dif-
ferirne l' adompimento.
94. COLUI: Dio, al quale nessuna cosa
può essere nuova, vedendo Egli ab eterno
tutto le coso. « Ad opus novum sempi-
ternum adhibet Deus consilium; » Aug.
De Civ. Da XXIT, 22. - « Dio, ossondo
tutte lo cose in Jul, unzi essendo egli
tutte le cose, ed essendo fuori e sopra il
tempo, lo vede tutte insiome ad un trat-
to, in un attimo medesimo, con una vi-
sta sola; è cos) è presunte a lui il futuro,
come il pussato; » Varchi, 1, 162 © seg.
95. VISIBILK: « il parlare, s’ode, et però
si può dire udibile; ma però che l’Au-
toro vedea quosto parlare attoggiato e
scolpito, dico et chiamalo visibile par-
lare; » An. Fior. « E così si scusa del-
l'aver posto che una clligie possa espri-
more con l'atto, non un solo ma più
affetti consecutivi. L'artista potrà be-
nissimo giungere a imprimere negli at-
teggiamenti o nel volto delle sue figure
la domanda è la risposta, ma non mai
un dialogo continuato, perchè U attitu-
dino dello figuro intagliate e dipinte è
uva © perivuuento; » Qiuali.
[GIRONE PRIMO]
Pura. x. 96-109 [PENA DEI SUPERDI] 447
Novello a noi, perché qui non si trova.
97 Mentr’ io mi dilettava di guardare
Le imagini di tante umilitadi,
E per lo fabbro loro a veder care;
100 « Ecco di qua, ma fanno i passi radi, »
Mormorava il poeta, « molte genti:
Questi ne invieranno agli alti gradi. »
103 Gli occhi miei ch’ a mirar eran intenti,
Per veder novitadi onde son vaghi,
Volgendosi vèr lui non furon lenti.
106 Non vo' però, lettor, che tu ti smaghi
Di buon proponimento, per udire
Come Dio vuol che il debito si paghi.
109 Non attender la forma del martire:
06. NOVELLO: nuovo, recente; qui per
marariglioso, stupendo. Queste scultore
sono stupende a' nostri occhi, perchè nel
nostro mondo non so ne ha di così par-
Innti o marnvigliose, Cir. Fanf. Stud. ed
Oss., 00 © nog.
V.97-130. Fapiazione della super
bin. L'napotto di una schiera di animo
che procedono lentamente, quasi rannic-
chinte a terra per gran pesi che portano
sullo spalle, induce Dante a agridare con-
tro la suporbia dogli nomini cho avrel-
bero tutti quanti i motivi di essere umili
di cuore, Perchè ebbero animo e persono
troppo erette por baldanza, i superbi
vanno qui enrvi sotto enormi massi,
piangono, pregano e mirano ssempi di
umiltà preminta e di superbia. punita.
La loro preghiera è il Padre nostro, pro-
ghiora dell'uomo umile, che mira anzi
tutto allo cose di Dio 6 per sò atesso non
chiede che il pane necessario, perdono
dei peccati commessi e, conscio della
propria debolezza, aiuto contro le ten-
tazioni. à
98, L'MILITADI: «le immagini di tanti
fatti pieni di umiltà ; » Metti.
09. CARE: perchè stupende in sè atosso,
e più care ancora perchè opera di Dio.
100. ni qua: Danto ora passato a ii-
ritta di Virgilio, v. 63; per vedere lo
anime che vanno avvicinandosi egli si
volge verso lui, v. 105; dunque le anime
vengono da alnistra,
102. NE iNviknanNO: ci mostreranno
la salita ni cerchi superiori del Porga-
torio. 1 superbi sono i minimi, nel più
basso di tutti i cerchi sembrano someg-
giare, quasi a servizio di tutto il sovra-
stanto Turgatorio, Cfr. Purg. XI, 67.
103. A minan: le soulture descritte, -
INTENTI. Al. : CONTENT.
105. VOLGENDOSI: non forono lenti a
rolgorsi n sinistra verso Virgilio, — vin
Lin: Al. ven Lon, ciod verso quello molte
genti, lex, confortata dai v, 104, 112 è
seg., come pore da tutto il contesto, ma
che è troppo sprovvista di autorità di
comici,
106, smacmi: ti sgomenti, ti smarri-
aca; ofr. Inf. XXV,136. Salla voce sma-
gare (dal ted, ant, magan= potere) cfr,
Diez, Wirt. 1", 384. Nannwe., Verbi, 402.
Zambaldi, 1177 e seg. « Qui o' insegna
l'Autore che quando siamo in ardua pe-
nitenzia non dobbiamo consideraro la
pena, anzi il bene che no segue, il quale
é determinato di necessità a tempo; ot
però dice in fignra: Non attendere In
forma della pena de' superbi, che in tal
modo al purgono, ma pensa ch'eglino
sono certi d'andare quando che sia in
vita eterna; » An. Fior, « Nee credito
factum; Vel, sì creletis, facti quogne
credite pienam; Ovid, Met, X, 2302 è s0-
guenti. Tom.: « Non tanto al lettore
rolgo l' avvertimento, quanto n sò stos-
an, pensando che, como non libero da
auporbia, anch'ogli dovrà sotto quella
soma curvarsi. » (1),
108. pentro: dei peccati commossi.
109. Nox ATTENDER: non badare alla
qualità della pena ma pensa alla boati-
tadine che succede all'espiazione,. « Nop
448 [GIRONE PRIMO]
— — —
Puro. x. 110-125
[PENA DEI SUPERBI]
Pensa la succession; pensa che, al peggio,
Oltre la gran sentenza non può ire.
112 To cominciai: « Maestro, quel ch’ io veggio
Muvur a noi, non mi sembran persone,
E non so ché, si nel veder vaneggio. »
115 Kd egli a me: « La grave condizione
Di lor tormanto a tarra li rannicchia,
Sì che i n
118 Ma guarda I
Col viso q
Già scorg:
121 O superbi ci
Che, della
Fidanza a
124 Non v’ accor,
Nati a for
sunt condigne passiones huh
ad futurnin gloriam qua roVuiesi: n
nobia; » tom. VIII, 18.
110. aLrKaGio: Al. A PKGGIO. Nel pog-
giore dei casi il martire non può durare
che fino alla gran sentenza che Cristo
pronuncierà il di del giudizio finale;
cfr. S. Matt. XXV, 34, 41.
113. a NOI: alla nostra volta. Al. VER
NOI. - 'KRSONK: come tu dici, v. 101. In
vita il superbo si credo, o vuol sembrare
essere qualchecosa di più delle persono
ordinarie; nel Purgatorio è abbassato
in modo tale che u vederlo da qualcho
lontananza non si distingue nemmeno se
sia persona od altro.
114. NON 80: non saprei dire cosa mi
sembrino, tanto s' inganna la mia vista,
parendo ora una cosa vd ora un'altra.
Al. NON 80 BE 10 NEL VKDER.
115. CONDIZIONK: natura, qualità; qui
la qualità della pona.
116. KANNICCHIA : li curva sotto i gravi
pesi in modo che anch'io al primo ve-
derli non seppi discernere se fossero per-
sone od altra cosa.
117. TRNZONK: contesa; ora mi pare-
vano persono od ora no.
118. DISVITICCHIA: disvilicchiare dal
lat. vitis, vale sciogliere; metaforicamen-
te: distinguere. La motafora, benché ar-
dita, esprime maravigliosamentelo sforzo
necessario agli occhi per trovare il voro
di quell’ indistinto viluppu cho forwa-
er tenzone.
quel sassi :
\ si picchia. »
afermi,
ere
m vermi
lla,
anime rannicchiate a terra
sa prob della loro sana.
120, OFA: essendosi avvicinati, — 81 1110-
Cia: si batto il petto rendendosi in col-
pa; « Porcatiebat pectus suum ; » S. Lue.
XVIII, 13. Così Buti, Dan., Andr., Pe-
rez, occ. Al.: 8i rammarica, geme, trae
guai (Viv., Ces., Frat., ecc.). Al.: è bat-
tuto o castigato (Lan., Vell., Dan., ecc.).
Al : si percuote il petto colle ginocchia
per la gravezza del peso (Benv., ecc.).
Al.: è a terra schiacciato (Biag., ecc.).
121. 0 SurEnBI: all'aspotto della pena
del superbi il l’outa ai chiede con istu-
pore dj che l'uomo possa vantarsi e di-
meuticare nel suo orgoglio ciò che egli è
e ciò che sarà, specialmento quando do-
vrà comparire dinanzi al giudice oter-
no. - MISKKI Lassi: la stessa locuzione
Inf. XXXII, 21.
122. INFKKMI: ciechi dolla mente.
123. nrrrosi: retrogradi. Voi siete ai
ciechi della mente che vi lusingate di
pervenire a buon fine senza accorgervi
che vi accostateinvecead un fineopposto.
124. vknati: « Filius bominis vermis; »
Giobbe XXV, 6. « Ego autem sum ver-
mia; » Sal. XXI, 7. « Noli timere, ver-
mis Jacob; » Isaia XLI, 14.
125. ANGKLICA : incorporea come gli
angeli. - FARFALLA : è negli antichi mo-
numenti, accanto alla fanciulla alata,
simbolo dell'anima. « Vuol in sentenza
dire che uvi siumo atti a diventaro an-
[GIRONE PRIMO]
Puro. x. 126-139 [rENA DEI SUPERDI) 449
Che vola alla giustizia senza schermi?
+ 127 Di che l'animo vostro in alto galla?
Poi siete quasi entomata in difetto,
Sì come verme, in cui formazion falla.
130 Come per sostentar solaio o tetto,
Per mensola talvolta una figura
Si vede giunger le ginocchia al petto,
133 La qual fa.del non ver vera rancura
Nascere a chi la vede; così fatti
Vid’ io color, quando posi ben cura.
136 Ver è che più 6 meno eran contratti,
Secondo ch’ avean più o meno addosso;
E qual più pazienza avea, negli atti
139 Piangendo parea dicer: « Più non posso. »
geli, ma operando viziosnmente diven-
tinmo diavoli; » Dan.
126. cue: la quale farfalla, ciodl'anima,
deposta In materia del corpo, va dinanzi
al giudice eterno senza poterai scher-
mire, cioè senza poter nascondere in ve-
ron modo lo proprie volpo. Così i più
(Rene., Buti, Land., Vell., Dan., ccc0.).
AI, prendono senza schermi nel sonso
di: senza impaccio, libera dal corpo
(Lan., Ott., An, Fior., Blane, ecc.). Da
quando in qua è schermo sinonimo di
impaceio? Cfr. Com. Lips. II, 176 © seg.
127, GALLA : galleggia; ofr, Diez, Wort.
II’, 33; qui per Insuperbisce,
128. ror: poichè, - ENTOMATA: insetti
difettivi, imperfetti. Dovevadire éntoma,
ma, ignorando la lingua greca, disse er-
roneamonts enfomata, Inutile ogni di-
senssione su questa voce; cfr. Com. Lips.
II, 177.
129, FALLA: manca. Vol siete come
verme, che non compiò la sua formazio
no, la quale non si compirà che quando
il verme sarà diventato farfalla.
130. SOLAIO: palco.
131. MENSOLA : pezzo che sostiene cosn
prominente dal muro, sostegno di travo
o cornice. — FIGURA: « è nota la storin
delle donne di Carin condotte schiave
dini Greei conquistatori; ondo il termino
architettonico di cariatidi. Cotali figure
d'nomini e d'animali usò l'arte del me-
20. — Div. Comm., 3° odiz.
dio evo a reggere pulpiti e porte siccome
ornamento, e più spesso, come simbolo.
In Dante ln similitudine.,.. mette in
atto con robuste pennellate la penosa
contrazione di quelle anime; » L. Vent.,
Simil., 346,
133, naxcura: dolore, Quantninque
I affanno cho tale fignra mostra non
sin reale, casa fa però nascere all'anno
reale in chi la mira.
134. cos): rannicchiati con le ginocchin
contro il petto; cfr, v, 116.
135. cura: a ravvisarli.
136. CONTRATTI: ranniochinti, ripiegati.
I pesi sono più o meno gravi secondo il
grado della anperbia.
138, © QUAL: « quivi era sì grande il
peso, cho qualunque il comportava con
più pacifico animo, parea dire piangendo:
io non bo più podere di portare questo
peso, bene che la voglia non sia stanca; »
An. Fior. e con lui i più (Lan., Benv.,
Buti, Dan., eoc.). Al. prendono pazienza
nel senso di sofferenza e spiegano: Que-
gli che agli atti mostrava di soffrire più
che gli altri, piangendo parea che dices-
so: O Dio non ne posso più (Tom., Fanf.,
Andr., Bennas., ece.). Dunque quelli che
soffrivano un po' meno, parevano dire
negli atti: « Non mi fa nolla; fo posso
portaro il mio peas?» Superbi ancora tà,
dove dovono purgarsi della auperbial!!!
Cir. Com. Lipa. II, 178 © sog.
ODERISI D'AGUBBIO, PROVENZAN SALVAN
« O Padre nostro, che nei cieli stai,
Non circoscritto, ma per più amore
Che ai primi effetti di lassù tu hai,
4 Laudato sia il tuo nome e il tuo valore
Da ogni creatura, com'è degno
Di render grazie al tuo dolce vapore.
7 Vegna vér noi la pace del tuo regno |
Ché noi ad essa non potem da noi, ‘ |
S' ella non vien, con tutto nostro ingegne
Come del suo voler gli angeli tuoi
V. 1-30, SI Padre nostro dello ani-
me penitenti, Procedendo lento lente
sotto Il grave peso, lo anime dol superbi
recitano l'orazione domenlcalo, ricono-
secondo non la propria, mn 1' altezza di
| recanilo a lui la gloria del nome,
regno, della volontà; richiedendo a
totti ! giorni, quasi mintli mandici, il
Ja; 0 rinunciando al an
Efe
pù
p
|
[GIROWE PRIMO]
PuRO. x1. 12-27
[PREGHIERA] 451
Così facciano gli uomini de’ suoi.
13 Da’ oggi a noi la cotidiana manna,
Senza la qual per questo aspro diserto
A retro va chi più di gir s’ affanna;
16 E come noi lo mal che avem sofferto
Perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
Benigno, e non guardar lo nostro merto.
19 Nostra virtù, che di leggier s’ adona,
Non spermentar con l'antico avversaro,
Ma libera da lui, che si la sprona.
22 Quest’ ultima preghiera, Signor caro,
Già non si fa per noi, ché non bisogna,
Ma per color, che retro a noi restàro. »
25 Così a sé e a noi buona ramogna
Quell’ombre orando, andavan sotto il pondo,
Simile a quel che talvolta si sogna,
gr. "Quavvà, nel senso di Salve! Cfr.
8. Matt. XXI, 9, 16. S. Mare. XI, 0, 10.
8. Joh. XII, 18. E nel senso di Salve
l'usa sempre Dante; cfr. Purg. XXIX,
bl. Par. VIT, 1; VIIT, 20; XXVIII, 118;
XXXII, 135.
18, MANNA: il pane cotidiano, cioè la
grazia divina, cibo spirituale dell'anima.
Così Lan., Ott., An. Fior., Postil, Cass.,
Petr. Dant., Benv., Land., Dan., sco.
Al.: il verbo divino (Vell., ec0,). Al.: i
quotidiani anffragi dei viventi (Pogg.,
Br. B., Frat., Greg., Franc., ece.).
14, LA QUAL: grazia divina. - DISKRTO :
chinma così il Porgatorio per aver letto
manna, che Dio diede agl' Isrneliti nel
deserto; ofr. Esod. XVI, 4 è seg. .
15. A RETRO: senza la grazia di Dio
chianque più si affatica di andare avanti
torna indietro; cfr. Purg, VII, 53 6 sog.
17. RTU: perdonnci tu pure, come noi
18. LO NOSTRO: Al, AL NOSTRO.
10. virtù: valore. - 8'ADOKA: cede,
resta vinta, nbbattuta; ofr. Inf. VI, 34.
20, SON APRRMENTAR: non mettere al
cimonto.- AVVERSA RO : nvvorsario, il din-
volo; cfr. Purg. VIII, 05, I /'etr. V,R.
21. LisRRA: ma libora la nostra virtil
dall'avversario che con tanti allettamenti
e con diverse arti In spinge al male.
22, ULTIMA: Ia preghiera: « Non in-
dnrei in tentazione, ma liberaci dal ma-
ligno. »
23. NON BISOGNA : non potendo più pec-
care, Purg. XXVI, 131, le anime del
Purgatorio non sono più esposte alle ten-
tazioni.
24. coon: viventi, che rostarono die-
tro a noi nel mondo. Così i più. Henw.,
Blane, ecc. intendono e dei viventi e
delloanime dell’ Antipurgatorio. Ma que-
ate ultime sono protette dai due Angeli
ed anch'esse non ponno più peccare,
25. namogna:cammino, viaggio. -« Ra-
mogna propriamente è iter o viaggio; »
Lan,, An. Fior., eco. — « Buona felicità
nel nostro viaggio e nel loro; ramogna è
proprio segnir nel viaggio; » Buti. Così
intendono pure Land., Vell., Vol., sco.
Al.: buon angurio; Benv., Serrav., eco.
Al.; buon avvenimento, prospero anc-
cesso; Dol., Dan., Vent., ecc. Bene il
Ceg.: « questo ramogna nian seppe che
voglia dire, ma tirando in arcata, e stan-
dosi sulle generali, dee corto essere buon
avviamento, o altro di siffatto bene, che
quelle anime pregavano n sò ed a noi, »
E l'Andr.; « Buon viaggio; locnrzione
comuna agli antichi(!), che In catesoro
anche n signifienro boone angurio in go-
nore. » Cfr. Fnceiel., 1626 6 seg.
26, roxbo; poso dei massi; cfr, Purg,
x, 119.
27. A QUEL: all'incubo, « Ac velut in
somnis, oculos nbi languida pressit No-
cte quies, nequiquam fvidos extendere
cursus Velle vidomur et in mediis cona-
452 [GIRONE PRIMO]
Puro, x1. 28-40
[AMMONIZIONE]
28 Disparmente angosciate tutte a tondo,
E lasse su per la prima cornice,
Purgando le caligini del mondo,
ul Se di là sempre ben per noi ai dico,
Di qua che dire e far per lor sì puote
Da quei c’ hanno al voler buona radice?
84 Ben si dée*—~ ————S
Che por idi e lievi
Possano mote,
37 « Deh! se isgrevi
Tosto, sì l'ala,
Che secc i levi,
40 Mostrate d i scala
tibus mgri Succldimus (non
non corpore note Sulfici
vox aut verba sequuntur
XII, 908 © seg.
28, DIBPARMENTE: inegua.
aciate, secondo la maggior
gravità del peso, corrispondente wr gs
vità del peccato ; ofr. Purg. X, 130 è seg.
- A TONDO: in giro circolaro.
30. CALIGINI: i fumi delia superbia.
V. 31-36. Armsmonizione di pregare
pel defunti. All'udire le ultime parole
di quella preghiera si affaccia alla mente
di Daute il paragone tra i morti ed i vi-
venti. Quelli preganu tanto, questi sì
poco! Se nel Purgatorio le anime pre-
gano tanto per i viventi, i viventi che
sono nella grazia di Dio non pregheranno
mai abbastanza e non faranno mai opere
pietose adeguate per rivompensare le
anime. Nui abbiamo pertanto grande ob-
Dligo di aiutare con suffragi quelle anime
a purificarsi dai peccati che da questo
mondo portarono seco nel Purgatorio, sì)
che pure o leggiero possano salire alle
sfere celesti.
32. R FAR: le anime del Purgatorio non
ponno che pregare; i viventi ponno inol-
tre far opere pie a pro’ dei defunti. « Eu-
charistia, eleemosyna et oratio ponun-
tus quasi pracipua mortuorum subsi-
dia; quaravis quiecumque alia bona qui
ex charitate tiunt pro defunctis, cis va-
lero credenda sint; » Thom. Ay. Sum.
theol. III, Suppl., 71, 9.
33. navicge: della grazia divina; cfr.
Purg. IV, 135. Thom. Aq., 1. c¢., 71, 8.
34. aAlTAK: alutare; al.: ATAK. - NOTE:
macchie del peccato.
ct; da queato nell'altro mondo,
re: | cieli, giranti ed ornati
1. Tl passo da salire al se-
‘chlo, Lo anime si sono avvi-
luo Poeti. Virgilio lo prega di
tivo gli la via per la quale potranno
salire alla seconda cornice, e lo fa con un
augurio, del quale niuno poteva suonar
loro più grato: Così la Giustizia e la mi-
sericordia di Dio vi liberino presto dal
peso de’ vostri peccati, sì che possiate
volare al ciclo come desiderate! Una
delle anime risponde: Venite con noi a
destra, e trovorete un passo tale, da po-
tervi salire chi ba ancor seco « di quel
d'Adamo. »
37. GIUSTIZIA EPIKTA: di Dio. Così Ott.,
Benv., Buti, Dan., Tum., Filal., eco. Al.
riferiscono lu sola giustizia a Dio, la
pictà invece ai viventi che coi loro suf-
fragi devono aiutare le anime a purifi-
carsi. Così Vell., Vent., Lomb., Biag.,
Br. B., Frat., Andr., ecc. « Qundam
opera attribuuntur justiti:c, et quiedam
misericordi.r, quia in quibusdam vohe-
mentius apparot justitia, in quibusdam
misericordia. Et tamen in damnationem
reproborum apparct misericordia, non
quidem totaliter relaxans, sed aliquali-
tor allevians, dum puuit citra condi-
gnum: et in justificatione impii appa-
ret justitia, dum culpas relaxat propter
dilectionem, quam tamen ipso misericor-
diter infuudit; » Thom. dy. Sum. theol.,
I, 21, 4.
39. vi LEVI: vi porti, v’innalzi là dove
è jl vostro duslo, cioò al Paradiso.
40. DA QUAL: so si arriva più presto
[GIRONE PRIMO]
Pura. x1. 41-57 [PASSO AL 2° GIRONE] 458
Si va più corto; e se c’é più d'un varco,
Quel ne insegnate che men erto cala;
43 Ché questi che vien meco, per |’ incarco
Della carne d’Adamo ond’ ei si veste,
A] montar su, contro sua voglia, è parco. »
4 Le lor parole, che rendéro a queste,
Che dette avea colui cu’ io seguiva,
Non fir da cui venisser manifeste ;
49 Ma fu detto: « A man destra per la riva
Con noi venite, e troverete il passo
Possibile a salir persona viva.
52 E s’io non fossi impedito dal sasso,
Che la cervice mia superba doma,
Onde portar convienmi il viso basso,
55 Cotesti che ancor vive, e non si noma,
Guardere’io, per veder s’io "1 conosco,
E per farlo pietoso a questa soma.
alla scala del secondo girone a destra o a
sinistra; 6 se o' è più d'un passo insegna-
teci quello che è meno ripido.
44. CARNE: il corpo; cfr. Purg. IX, 10.
45. VOGLIA: cfr. Purg. VI, 49. - È
Parco: è lento contro del voler suo, oa-
sinhalospirito pronto, ma la carne infer-
ma. Coal Renv., Buti, Lomb., Tom., eco.
Al. diversamento. Lan.: è flevole; Ott.:
è senrro n salire; An. Fior.: egli si ri-
aparmia, et non sogue Virgilio como
dee (!).
46. LE LOR: non si potò distinguere da
chi venissero proferite quelle parole, os-
sendo le anime tanto rannicchiate sotto
| loro pesi, Come dice in segnito, quegli
che rispose a Virgilio fu i) conteOmberto
di Santaflore.
61. rossiviLr: tale da potervi salire
chi ha seco il corpo; cfr. Purg. XII, 106
© sog. "
V. 62-72. Omberto Aldobrandeschi
conte di Santaflore, Quell'anima che
ha risposto a Virgilio continua a parlare,
eaprimendo il sno desiderio di poter ve-
lore Dante od indnrio n progare o far
pregnro per lol, Quindi si di n oonnacero,
confisamio sdeplorando tn ania anperbin,
È l'anima di Omborto o Uberto, figlio di
Guglielmo Aldobrandeschi del conti di
Santafiore, cfr. Purg. VI, 111, famiglia
assai potente nella Maremma Snneso, di
parte ghibellina (cfr. Vill. VI, 81; IX,
47, 71, 201). Di Omberto, nominato ona
sola volta in nn documento del 1250, ai
hanno scarse notizie. Tutti i comm. nnt.
lo dicono uomo assai snperbo. Il croni-
ata Soneso Angelo Dei racconta (Murat.
Seript, XV, 28): « in questo anno (1260)
fu morto il conte Uberto di Santa Fiore
in Campagnatico, e fn affogato in sul
letto da Stricha Tubaldocci, da Pelacano
di Ranieri Ulivieri, e da Torehio Marra-
gozzi; è fello affogaro il Comune di Sienna
per donari, » Cfr. Tommast, Stor, di Sie-
na II, 21 0 sog.; 186 0 seg AQUARONE,
D. in Siena, 101 è sog. BERLINGHIERI,
Degli Aldobrandeschi, 37 e seg. Com. Lips.
IT, 185 0 nog.
68. canvicr: dura cervice è voce sorit-
turale per indicare In superbia ostinata ;
ofr. Erod. XXXII, 0; XXXIII, 3, 5;
XXXIV, 9. Deut. IX, 6, 13; XXXI,
27. II Cron, XXX, 8, In. XLVIII, 4.
Atti VIT, 61. Honat., Ep. I, 3, 84: « in-
domita cervice ferns, »
Bd. CONVIENMI: Al. CONVIKMMI.
55, NON BI NOMA: Virgilio non lo ha
nominato, T'nnima esprimo con questo
parola Il desideria di anporo chi sia quel
vivo che va pol l'nrgniarto,
DT. FARLO Mieroso: imlurlo n progare
per me e procurarmi suffragi altroi quan-
do sarà ritornato nel mondo de’ viventi.
- B0MA : carioo, peso; cfr. Inf. XVII, 00,
Purg. XVI, 120. Ego nd nihilum reda-
454 [GIRONE PRIMO]
Pure. x1. 58-738
[OMBERTO ALDOBRAND.)]
58 Io fui latino, e nato d'un gran Tosco:
Guglielmo Aldobrandesco fu mio padre;
Non so se il nome suo giammai fu vosco.
61 L'antico sangue e l'opere leggiadre
De'miei maggior’ mi fér sì arrogante,
Che, non pensando alla comune madre,
64 Ogni uomo abhi in disnatta tanto avante
Ch’io ne sanno,
E sallo i, fante.
67 Io sono Om. me danno
superbia onsorti
Ha ella t 10.
70 E qui convi ) porti
Per lei, t isfaccia,
Poi ch’ ia tra’ morti. »
73 Ascoltando, a;
ctus sum.... Ut iomentam
apud te; » Sal. LXXIIT, 22, —.
68. LATINO: italiano; cfr. Inf. XXII,
65; XXVII, 33; XXIX, 88, DI, ecc.
69. GUGLIELMO: a' suoi tempi assai po-
tente iu Toscana; fu prigioniero a Siena
nel 1224, in bando dell' impero nel 1250;
morì verso il 1254; cfr. Murat. Script.
XV, 23, 25. - ALbPOBRANDESCO: Al. AL-
DOBRANDKSCIII.
60. vusco: con voi; non su se udiste
mai nominarlo. Quel nome dovova es-
sere conosclutissimo ai tempi di Dante;
mu Omberto parla il linguaggio del-
DP umilta.
01. BANGUK: «Genus huic materna su-
perbum Nobilitas dabat, incertum de pa-
tre ferebat; » Virg. Aen. XI, 340 © seg.
- LEGGIADLRE: nobili, generuso.
63. MADRK: la terra. « Usque in diem
sepoltura, in matrem omnium; » Eccl.
XL, 1. « Non jam mater alit tellus viris-
que ministrat; » Virg. Aen. XI, 71.
64. OGN1: « fu sì superbo cho ogni uno
disprogiò, © luassimamonte li Sanesi; »
Buti. - AVANTE: oltre misura.
65. NK Mou’ : l'occossiva sua arroganza
avendo stimolato i Sanosi a farlo ucci-
dere. - BANNO: cfr. Purg. V, 135.
60. CAMPAGNATICO: forte castello de-
gli Aldobrandeschi, sito sulla sommità
d'un poggio nella valle dell'Ombrone
Saneso. - FANTK: fanciullo; cfr. Purg.
XXV, 61.
ento: Al. Ummerto,
wu. arma Al, me’. Al. FU. = CONSORTI:
danque la superbia era vizio ereditario
nella famiglia dei conti Aldobrandeschi.
69. TRATTI: «Ja superbia ha tirato con
seco tutti li altri conti in pena el ango-
scia che vastorà a tempo; e sì in questa
vita che li ha fatti periculare e morire
innanti ora, e s) nell'altra che li ha posti
in pena; » Buti.
71. LEI: la mia superbia.
72. NOL Fki: non mi umiliai e soddi-
afeci a Dio vivendo.
V .73-00.Oderisid’ [gobbioe Franco
Bolognese. Conscio dolla propria aupor-
biu(efr. Purg. XIII, 136.0 seg.) o temendo
quindi della stessa pena, Dante china la
faccia. Un'altr'anima lo mira fissamente.
Dante lo riconosce. - « Ol, non sci tu
Oideriai da Gubbio, il celeberrimo minia-
toref » - « Fratello, lu mia fama è già
oscurata da Franco Bologuese. In vita
mon l'avrei confessato per la mia super-
bia, della quale qui nel Purgatorio biso-
Qua pagare il tiv. »
Oderisi da Gubbio, nel ducato d' Ur-
bino, fu colebro miniutore dolla soconda
metà del secolo XIII. Di lui Vasari, Vite
1, 312 (ed. Milanesi I, 384): « Fu in que-
sto tempo in Roma Oderigi d'Agobbio,
eccellente miniatore in que’ templ, il
qaale condotto percid dal papa minid
molti libri per la Libroria di palazzo,
che sono in gran parte oggi consumati
[GIRONE PRIMO] |
Puro, x1. 74-89 [ODeRISI D’AGOnBIO] 455
Ed un di lor, non questi che parlava,
Si torse sotto il peso che lo impaccia;
76 E videmi 6 conobbemi e chiamava,
Tenendo gli occhi con fatica fisi
A me, che tutto chin con loro andava,
79 « Oh, » dissi lui, « non sei tu Oderisi,
L’onor d’Agobbio, e l’onor di quell'arte
Che “ alluminare ,, chiamata è in Parisi? »
82 « Frate, » diss’ egli, « più ridon le carte,
Che pennelleggia Franco bolognese:
L'onor è tutto or suo, e mio in parte.
ah Ben non sare’ jo stato si cortese
Mentre ch’ io vissi, per lo gran disio
Dell’ eccellenza, ove mio core inteso,
88 Di tal superbia qui si paga il fio;
Ed ancor non sarei qui, se non fosse
dal tempo. E nel mio libro do’ disegni an-
tichi sono alonne relignie di man propria
di costui, che in vero fu valent’ uomo, »
Nel 1268 è 1271 era a Bologna; andò nel
1295 a Roma, dove morì nel 1209, Due
Messali miniati, di gran valore, nella
canonica di S. Pietro in Roma, si credono
opera suna. Del resto cfr. Tinanoscni,
Lett. ital. IV, 622 è sog. Batorsvucci,
Notizie de' professori di disegno I, 152,
Lanzi, Storia pittorica dell'Italia 11,11.
Bartow, Contributions, 215 0 seguenti,
Bass., 92.
Di Franco Bolognese abbiamo scarse
notizie ed anche i comm. ant, né sape-
vano poco o nulla. 11 Vareri, |. e.: « Fo
molto miglior maestro di Oderisi, Franco
Bolognese minintore, che per lo stesso
papa e por In stessa Libreria no’ modo-
simi tempi lavorò nsani corso eccellente
mente in quella maniera, como si pod
vedere nel detto libro, dore ho di sua
mano disegni di pitturo e di miulo, 6 fra
essi un'aquila molto ben fatta, ed an
leone che rompe un albero, bellissimo, »
Vell. e Dan. affermano che Franco fu
discepolo di Oderisi. Alcuni lo dicono
fondatore di nn'Aocadomia di pittura n
TMologna (1). Tare che fosso ancor vivo
nel 1300, Cfr. Kugler, Kunsetgeschichte
I1*, 108. Mazz,-Tos., Voci e pazzi, 90-96,
Harlow, Contrib., 210. Com. Lips. 11, 189.
76. IMPACOIA: Impediace di guardare
in su. Usa il prosonte « perchè nell'atto
che scrive gli si affascina così nl pensiero
e così lo mira;» Biag.
78, CON LORO: Al, cow Lut. Dante an-
dava non con uno, ma con tntti.
80, Agonino: AI. Acunmo; lat. Igu-
vinm ed Bugubium, ora Gubbio, antica
città dell' Umbria.
BI. ALLUMINARE: franc. enluminer; in
ital. miniare, - Panis: lat, Parini, oggi
Varigi, Marisi dissero gli nntichi anche
im prosn.
AZ. RIDOK: sono più vivamente colo-
rite è più belle n vedere
Bd. IN PARTR: « quasi diea: innanzi
ch'egli venisse boon maestro, io tonevo
il primo Juogo, nd ora chi a compara-
zion di me fosse in aloun prezzo; ma
dope fui vinto da costui, in forma che
l'onore è Into ano; nondimeno perchò
dopo Ini io ero dinanzi agli altri, non aon
rimaso senza alcuna parte d'onore; »
Land, Cowl in sostanza anche Lan., Ott.,
Rene,, Buti, oce. Dal Vell. in poi i più in-
tesero luvece: lo non ho che l'onore di
essergli stato maestro, Ma che Franco
fusto discepolo di Oderisi non si ha dn
vorun altra testimonianza. Bene. lo dico
invece sio omolo,
BT. DLT, ROOKRLIRNZA : li essere Loniito
por il primo miniatore del mio tempo, alla
quale eccellonza il mio cuore aspirò e si
moporò,
A). QUI: 0 non sarel ancora qui nel
primo cerchio, ma tuttavia laggiù nol-
Ta gloria della lingua; e forse è na
l'Antipurgatorio tra' negligenti, se non Benv. Cfr. Vasant I,
nvossi fatto penitenza a tempo; così Lan., Tico in D. e Pad
Ott., An. Fior., Benv., eco. Al.: non sa- —»UCCI, Notizie dei
rei qui ma nell'Inforno; così Land., esog. KuaLiku, K
Dan., Vent., Lomb., Ir. }., Frat., 165, 185, 108 eco, P.
Andr., eco. condo la tradiz, 35,
00. POSSENDO: essendo jo ancora nella 92. com’: come;
prima vita; nel Purgatorio le anime non camente anche in
possono più peccare; cfr. Purg.X.X VI,182. tempo si mantiene
V. 01-06. Cimabue e Giotto. Odorisi —vana gloria delle facol
continua mostrando la vanità della fama —geguo e delle opere
mondana, Come ogli stesso credette di se non seguono tempi
essere ll primo miniatoro è fu poi supo- quali la mancanza di
rato da Franco Bolognese, così Cimabuo fa sì che non cadono
credette già di occupare nella pittura quelle dei tempi an
il primo posto; ma venne Giotto e no 06, TENER: prim
oscoré la fama, cuni Dante allude qui
Giovanni Cimabue da Firenze, n. cir- = a Cimabue nel Duomo
ca 1240, m. verso il 1300 0 poco dopo, ce- fu seppellito:
lebre pittore, fece risorgere in Italial'arto
greca che era decaduta: consultò la na- ne —
tura, corresse in parte il rettilineo del di-
segno, animòle teste, piegò i panni, eco- —Ma probabilmente |' epi
minciò a collocare le figure con artifizio, sui versi di Dante,
« Fu a) arroganto è sì sdegnoso, cho se 06. è oscuna: Al. ost
per alcuno gli fosse a sua opera posto al- —clissando.
cundifetto, o egli da sè l'avesse veduto.... V. 07-00. I due Guid
immantinente quella cosa disertava, fosse della vanità della fama
cara quanto si volesse ;» Ott, Cir, Vasari dalla storia letteraria de
od, Milanesi, I, 247 è seg. Crowee Caval- Cavalcanti (Inf. X, 60) b
caselle, Ital. Malerei I, 161-939. Com, Lips. Guinicolli (cfr. Purg. X35
Il, 191, della lingua (il Pol. inten
Giotto, figlio di Bondone dal Colle, n. a Colonne, superato in eee
Voespignano presso Firenze vorso Il 1266, at rs è forse è già
in. a Firenze 8 gennaio 1337, fu il più ce- volta la toglierà a Gu
lobre artista dei tempi di Dante, con eni Molti si Lia
te Bees se abhesbbe DI ~ fod t.
[GIRONE PRI Mo]
Pura. x1. 99-108
[FAMA MONDANA] 457
Chi l’uno e l’altro caccerà di nido.
100 Non è il mondan romore altro che un fiato
Di vento, ch'or vien quinci ed or vien quindi,
E muta nome, perché muta lato.
103 Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
Da te la carne, che se fossi morto
Innanzi che lasciassi il pappo e il dindi,
106 Pria che passin mill’anni? ch’é più corto
Spazio all’eterno, che un mover di ciglia :
Al cerchio che più tardi in cielo è torto.
sistenta a crederlo. Inoltre, o che Dante
non sapeva di essere già nato! E se lo sa-
porn, perchè dic'egli dubitativamente
forse è nato ? Quel forse, riforendosi evi-
dentemeute a nato, esclude ogni possi-
bilità di nmmettere che il poeta alluda
n sò medesimo, nel qual caso avrebbe
detto: « E già è nato chi I'nno e l'altro
forse caccerà di nido. » Dante parla qui
in generale, avendo il pensiero alla legge
enunciata, che le glorie di on dato tempo
oscurano quelle del passato, Cfr. per ul-
teriori notizie sn questi versi Com. Lipa.
II, 192 © seg. Sopra Guido Cavalcanti
come poota cfr. Bartoli, Lett. ital, IV,
135 © © Beg.
09. pt Nino: Al. DEL KIDO; « Me liber-
tino natum patre et in tenui re Maiores
pennas nido extendisse loqueris ; » Horat.
Ep. I, 20, 20 © sog.
V.100-108. Fanità della fama mon-
dana. Dopo gli esempi addotti, Oderial
continua pennelleggiando sullo gonorali
In vanità della fama che al acquista in
questo mondo. Pari allo spirar del vento,
ora in una, ora in un'altra direzione,
enmbia nome secondo le varie parti dalle
quali spira. Qual maggior fama avrai tu
da qui n mille anni se muori vecchio, cho
non avresti se ta fossi morto ancor bam-
binof Ma in paragone dell'eternità mille
anni sono meno che nn muover di ciglia
al moto del cielo stellato,
che 4 «di nn grado in conto anni » (Conv.
II, 15), onde per l'intiera rivoluzione gli
occorrono 360 ascoli,
100, nomone; fama; « Diditor hic an-
hite Trojana per agmina romor; » Virg.
Aen, VII, 144.- FIATO: « Ad nos vix te-
nuis fame perlabitur aura; » Virg. Aen.
VII, 646.
102. LATO: « Quasi flos egreditur et
conteritur, ot fugit velut umbra, et num-
quem in eodem statu permanet;» Job,
XIV, 2.
108. voce: Al, FAMA.-SCINDI : separi,
deponi.
105. 1 rarro E IL DINDI: voel Infan-
tili, pappo per pane, dindi por denari.
107, ALL'ETERNO: in paragone del-
l'eternità, « Mille anni ante nenlos tnos
tamquam dies hesterna, que privteriit,
et cnstodia in nocte ; » Pal, LAXXIX, 4.
108. AL CERCHIO: paragonato al moto
del cielo stellato, il quale è « di nn grado
in cento anni; » Conv. 1I, 15.
V. 100-142, Provenzan Salani. Ad
ulteriore conferma delle ane parole, Ode-
risi adduce un nuovo esempio, tolto dalla
storia politica del tempo. «Mira colni che
va così lento dinanzi a me, per lo grave
peso che porta! Tutta la Toscana lo cele-
brava un di, ed ora egli è appena men-
zionato in Siena, della quale fa signore
al tempo della battaglia di Montaperti. »
- et & oglit» dimanda il Poota, - « È
Provenzan Salvani, cho por suporbia si
fece signore di Siena.» - « Ma como è già
qui, mentre dovrebbe essere tuttora nel-
l'Antipurgatorio?» - « Vivendo si nmiliò
n mendicare per l'amico, il quale atto gli
fruttò di essere ammesso nel Purgatorio
sonza dover aspettare nell'Antipurgato-
rio tanto tempo quanto visse, » « Hnmi-
lia te in omnibus, et coram Deo inve-
nies gratiam; » Feel. IMI, 20.
Provenzan Salvani da Siena, ghibel-
lino, valente nelle cose di guerra e della
pace, era nl sommo del governo di Siena
quando i Fiorentini furono sconfitti a
Montaporti (4 sottomb. 1260), Fu «snpor-
biasima persona, e nomo di grande offn-
re;» Lan. Essendo governatore di Siena
nel 1260, quando i Fiorentini sconfissero
i Sanesi appiò di Colle di Valdelaa, T'ro-
venzano « fn preso, è tagliatogli il capo
458 [GIRONE PRIMO]
Pune. x1. 109-128
(PROV. SALVANI]
109 Colui, che del cammin si poco piglia
Dinanzi a me, Toscana sond tutta,
Ed ora a pena in Siena sen pispiglia,
12 Onc’ era siro quando fa distrutta
La rabbia fiorentina, che superba
Fu a quel tempo, si com’ora è putta.
115 La vostra nomina» i
Che viene e va, a,
Per cui ell’ esce a. »
118 Ed io a lui: « Lot ora
Buona umilta, e piani:
Ma chi è quei di a? »
121 « Quegli è, » rispo Jalvani;
Ed è qui, perche
A recar Siena t '
124 Ito è così, e va se
Poi che mori: co
A satisfar chi è ¢
127 Ed io: « Se quello spirito cus avende,
Pria che si penta, l'orlo della vita,
6 per tutto il campo portato {lito in su
una lancia. E bono s'adempiò la profezia
e revelazione che gli aveva futta il dia-
volo per via d'incantesimo, mp non la in-
teso; chè avendolo fallo costringere per
sapere come capiterebbe in quella oate,
mendacomente rispuose e disse: Anderai
econmbatterai vincerai no morrai alla bat-
taglia e la tua testa fia la piu alta del
campo; e egli credendo avere la vittoria
per quelle parole, è credendo rimanere
signore sopra tutti non fece il punto alla
fallacia, ove «disse; winerrai no, mor-
rai, eco, » Vill. VII, I. Riavuto nello
stesso anno il reggimento di Siena, i
Guelfi distrussero le case cd ogni altra
memoria del Salvani, Cir. Aquarone, DI.
in Siena, 112 è sog.
109. COLUI: caso obliquo; tutta la To-
scana lo celebrava. - LIGLIA: va tanto
lento.
110, soxò: «fu grande uomo in Siena
al suo tempo dopo la vittoria eh'eblo a
Montaperti, e guidava tutta la città, è
tutta parte ghibellina di Toscana fucea
capo di lui, e era molto presuntuoso di
sua volontà; » Vil. VII, 31.
112. sink: signore. « Provenzano Sal-
vani era il maggiore del popolo di Sie-
na;s Vill, VI, 77.- DISTRUTTA : efr. Vill.
VI, 78.
lid. rurtra: vile, venale è fiacca,
115, Kia; « Omola caro foenum, ot
omnis gloria eius quasi flos agri; » eas.
XL, 6. «Wmbis caro sicut fisnonm vetora-
bcot; » Kecles. XIV,18. Vedi puro Isaia
LI, 12. Salm. XC, 6. CIIT, 15 occ,
116, QUEI; il Sole che col 400 calore fa
uscire dalla terra l'erba tenera cd imma-
tura, la dissecca poi e discolora. Così il
tempo fa nascere la fama e la distrugge.
- WISCOLOKA: « Decoloravit me sol; »
Cant. I, &.
118. M'INCUORA: m'imprime nel onore,
119, Mw’ APIIANIT: n'abbassi grande gon-
flezza d'animo, cloè superbia.
124. così: pigliando del cammin al
poco, v. 109, a motivo del grave peso
che gli convien portare,
125. COTAL: cotal noneta paga per sod-
disfazione, cloò con questa penitenza dove
soliliafare alla divina giustizia, chi nella
prima vita fu troppo ardito, temerario,
superbo.
127. ATTKNDE: differisce la penitenza
sino agli ostremi della sua vita.
[GIRONE PRIMO]
Puro, x1. 129-142 [PRoy.SALVANI] 459
Laggiù dimora e quassù non ascende,
130 Se buona orazion lui non aita,
Prima che passi tempo quanto visse,
Come fu la venuta a lui largita? »
133 « Quando viveva più glorioso, » disse,
« Liberamente nel Campo di Siena,
Ogni vergogna deposta, s’affisse :
136 E lì, per trar l’amico suo di pena,
Che sostenea nella prigion di Carlo,
Si condusse a tremar per ogni vena,
139 Più non dirò, e scuro so che parlo;
Ma poco tempo andrà che i tuoi vicini
Faranno sì che tu potrai chiosarlo.
142 Quest'opera gli tolse quei confini. »
120, LAGGnI * nell'Antipurgatorio ; cfr.
Purg. 1V, 127 © sog.
130. nuonA : cfr. urg. 111, 145; 1V,134,
132. VENUTA: quassi. — LARGITA : con-
cessa subito dopo la sun morte, v. 125,
133, cLomoso: quando era |l più ono-
rato come signore di Siena ed il suo nome
risnonava glorioso in tutta la Toscana.
134. LIBFRAMENTR: spontancamente,
ofr. Par. XXXIII, 18.- Camro: la pinz-
za maggiore della città di Siena, dove si
corrova il palio.
135. s'AFFISSE: Bi formò.
136. n LÌ: Al. nant. - AMICO: Vinea (o
forse Mino dei Mini; cfr. G. Rondoni,
Tradiz. popolari, Firenze, 1886, p. 197), il
quale nella battagliadi T'aglincorzonreva
combattuto per Corradino contro Carlo I
d'Angiò. Lan.: «Lo re Carlo avea in pri-
gione uno sno amico, 6 puosegli lo detto
re una taglia di X mila fiorini d'oro, cho
N dovesse pagnre infra uno mese, altri-
menti elliintendea di farlo morire, Venno
la novella al detto messer Provenzano,
et avendo temenza dell'amico sno, fece
panere ono banco con nno tappeto sulla
piazza di Slena, e puosevisi a seder miso,
a ddomandava ni senesi vergognosamente,
ch'elli lo dovessino niutare in questa sna
bisogna di alcuna moneta, non aforzando
persona, ma umilemente domandando
aiuto; e veggendo li Senesi il signore
loro, che solea osser superbo, dimandare
così grariosamente, si commossono a pie-
tale 6 ciascuno secondo suo podere gli
dava ninto; lo re Carlo ebbe li X mila fio-
rini 0'] prigioniero fuor di carcere, libe-
rato dalla iniquità del re predetto. » Lo
stesso ripetono Ott., An, Fior., e gli altri
antichi vanno essenzialmente d'accordo,
138. A TRRMAR: a provare quel brivido,
quel penoso commovimento cho sente
ogni nnimo nobile ed altiero, costretto
ad invocare l'altrui soccorso.
179. scuro : per chinnque non ha espe-
rimentato quanto costi il mendicare ad
un'anima gentile, quel tremar per ogni
vena 6 di difficile intelligenza.
140. vicini: Fiorentini tuoi concitta-
dini; cfr. Inf. XVII, 68.
141, FARANNO: esiliandoti e confisenn-
doti | beni ridurranno te stesso a tremar
per ogni rena, onde intenderai per pro-
pria esperienza quanto costi il mendicare,
come fece Provenzan Salvani; efr. Par.
XVII, 68 è seg, Cone, I,3,- CHIOBANLO:
commontarlo, spiegarlo; confr, Inferno
XV, 80.
142, Orena: quest' atto di amore e di
nmiltà gli fruttò la remissione dell’ Antip.
460 [GIROWE PRIMO]
Pure. xu. 1-11
[PASSO ACCELERATO]
CANTO DECIMOSECONDO
GIRONE PRIMO:
SUPERBIA
ao
ESEMPI DI
Di par
M’ 6:
Fin
4 Ma qu
Jhé
Qua. sac
ANGELO DELL UMILTÀ
an BECONDO
‘ ‘0a giogo,
lima carca,
pedagogo.
n, e varca,
la vela e coi remi,
..8CUD, pinger sua barca; »
7 Dritto, si come andar vuolsi, rifémi
Con la persona, avvegna che i pensieri
Mi rimanessero e chinati e scemi.
10 Io m’ era mosso, e seguia volentieri
Del mio maestro i passi, ed ambedue
V. 1-9. Il passo accelerato. Sin qui
Dante camminava chino accanto ad Ode-
risi, onde { due procedevano insieme a
passo lento od eguale, come due buoi
sotto il giogo. Ora Virgilio gli dico di la-
sciaro Odorisi, amimonondolu che nella
regione della ponitenza 6 bene cho cla-
scuno si adoperi a camininare quanto
mai può; onde Dante si rialza e cammina
come è naturale a chi non è oppresso dal
peso che portano quelle anime.
1. KUOI: il paragone è indizio di umiltà;
cfr. Hom. Il. XIII, 904 0 sey. In senso
opposto Stazio (Theb. I, 1310 seg.): « Sic,
ubi delectos per torva armenta juvencos
Agricola impositu sociare affuctat aratro;
Illi indignantes.... In diversa trabunt. »
2.M ANDAVA: Al. N'ANDAVA.- QUELLA:
Al. QUKSTA. - CARCA: caricata. « Anima
qu tristis est super magnitudine mali,
et incedit curva, et infirma, et oculi de-
ticlontes, et anima esurions dat tibi glo-
riam et iustitiam Domino; » Zaruch
II, 18.
3. PEDAGOGO: maestro; nuova espres-
sione di nmiltà. « Lex pedagogas noster
fuit; » Gal. III, 24.
4. YaRCA: va oltre, procedi avanti.
5. VELA: con ogni sforzo dell'anima 6
del corpo. Velis remiaque contendere.
7. VUOLSI: come 6 più naturale che
l’uomo vada.
8. AVVKGNA: quantunque i miei pen-
sieri rimanessero depressi ed umiliati.
Perchè? A vendomi (Xerisi predetto che
presto avrei provato il peso di pregare
altrui, rispondono gliuni (Lan., Ott., An.
Fior., Falso Bocc., Benv., Buti, Dan., ecc.).
Ma non era nuova agli orecchi suoi tale
arra (Inf. XV, 94). Altri: pei veduti ef-
fetti della superbia (Land., Vent., Lomb.
ed il pid dei moderni). Al.: per la compas-
sione che io aveva di Oiderisi ( Vell., ecc.).
Ma le anime del Purgatorio, essendo in
luogo di salvazione, nun suono da com-
piangere.
V. 10-24. Intagli sul pavimento.
Nella ripa intorna sono ratligurati osompi
[GIRONE PRIMO]
Pure. x11, 12-26 [INTAGLI SUL PAVIM.] 461
Già mostravam come eravam leggieri,
13 Quando mi disse: « Volgi gli occhi in giue:
Buon ti sarà, per tranquillar la via,
Veder lo letto delle piante tue. »
10 Come, perché di lor memoria sia,
Sopra i sepolti le tombe terragne
Portan segnato quel ch’ elli eran pria,
19 Onde li molte volte se ne piagne
Per la puntura della rimembranza,
Che solo ai pii dà delle calcagne;
22 Si vid’ io li, ma di miglior sembianza,
Secondo l’artificio, figurato
Quanto per via di fuor dal monte avanza.
25 Vedea colui, che fu nobil creato
Più d'altra creatura, giù dal cielo
di umiltà (Purg. X, 31 e seg.), nel piano
marmoreo ili questo cerchio sono invece
rappresentati esempi di superbia pnni-
ta, ni quali Virgilio ronde attento il suo
Alonno, affinchè ne tragga argomento
di umiliarsi e di esercitarsi nella virtù
dell’ amilta.
12. MOSTRAVAM: non andando corvi e
lenti come quelle anime sotto i gravi loro
pesi, ma diritti e frettolosi.
13. quanDOo : Al. QUAND' ET. — VOLGI:
il peso cho le curva, costringe quelle ani-
me a guardare continnamente gli esempi
di superbia punita intagliati nel piano
marmoreo sul quale camminano; Dante
lo fa invece dietro l'ammouizione di Vir-
gilio.
14. TRANQUILLAR: Al. PER ALLEGGLAR.
15. Lo LETTO: ll plano sul quale po-
sano | tuoi piedi.
17. rrnnaGNE: e tombe sotterranee (o
piuttosto al pari col terreno) coperte con
semplice pietra o scritta o figurata «nl
parimento, l'opposto dei monumenti che
ni clerano sol anolo; » Bl. Le senlture
della superbia, quasi in Inogo di poni-
zione © di vitupero, si veggono nel duro
pavimento, che dove caser pesto Ani tardi
pnasi do’ pontiti cho al nggirnno intorno
al monte. Cir. Perez, Sette cerchi, 119.
18. xLLI: | sepolti. Al. QUEL cn' EGLI
Era, cioè il sepolto,
19, ONDE: parenti, congiunti ed amici
piangono dove sono tali tombe che ro-
cano loro vivamente alla memoria il de-
funto, di cui mostrano l'imagine, o il
nome, o gli emblemi, - 8m NE PIAGNE:
Al, 41 RMPIAGKE.
20, PUNTURA: « per In ricordanga che
dà dolore a chi li amava; » Buti.
21. che SOLO: la quale ricordanza ad-
dolora soltanto gli animi pietosi, non i
duri che per i loro morti non sentono
nulla, Il termine dar delle calcagne è tolto
dal envaliero che collo caleagna suole sti-
molaro il destrioro.
22. DI MIGLIOR: con più perfetta rap-
presentazione; ofr. Purg. X, 31 © seg.
23, L'ARTIFICIO: © quia subtilius et ar-
tificinlins videbantur figurare, quia non
arte hmmana sed divina; » Bene.
24. QUANTO: tutto Il primo balzo del
Purgatorio che sporge dalla costa del
monte per servire di via ni penitenti.
V. 26-27, Lucifere, primo esempio
di superbia punita, Tre esempi di
umiltà esaltata (Purg. X, 28-06), 6 in-
vece tredici (10 + 3) esempi di superbia
nppressa. Il primo è di Locifero, creato
più nobile degli altri Angeli (ofr. Thom,
Aq. Sum. theol. I, 63, 7) cho cade dal
cielo come folgore, essendosi insuperbito
contro il amo oreatora; cfr. &. Ine. X,
18, Inf. XXXIV, 121 o sog, Si noti l'ar-
tifizio di questo passo, dal v. 26 al 63:
le quattro prime terzine cominciano da
Vedea; le quattro seguenti da 0, 6 le
altre quattro da Mostrava; l'ultima pol
riassnine od nccoglio insieme tutte tre le
voci,
462 [GIRONE PRIMO]
eS
Pura. xu. 27-40
(es. DI SUPERBIA]
Folgoreggiando scendere da un lato,
28 Vedea Briaréo, fitto dal télo
Celostial, giacer dall’altra parte,
Grave alla terra per lo mortal golo.
81 Vedea Timbréo, vedea Pallade e Marte,
Armati ancora, intorno al padre loro,
Mimi eee
a4 Vedea Nem]
Quasi gina)
Che in Sal
87 O Niobe, cor
Vedeva io
Tra sette ¢
40 O Saul, come
27. DA UN LATO: cos Ve
lato, cloud da una parte di qu
V. 28-30. Briarde, sconti
di superbia punita. La seo. i
gine tolta dalla mitologia classica è quella
di Briardo, il gigante contimane che pro-
se parte alla guerra dei ‘l'itani contro gli
Doi, cadde tratitto dalla saetta di Giove
e fu sepolto sotto il monte Etna; cfr.
Inf. XXXI, 98.
29. alTRa: vedea giacer Briaròo dal
lato oppusto a quello duve si vedeva Lu-
cifero.
80. GRAVE: pesante, perchè già morto;
Vell. eco. Doloroso alla terra sua madre;
Dan., Vent., Lomb., ecc. Cir. Inf. XXXI,
98; « ismisurato Kriaréo, » dunque assui
grave, cioò pesunto.
V. 81-33. I giganti vinti da Pal-
laude, terzo esempio di superbia pu-
vita. Apollo, Minerva e Marte, tutti tre
ancora in armi, sono raftigurati intorno a
Giove, in atto di mirare le sparse mem-
bra dei giganti vinti nella pugna di Fle-
gra; cfr. Ovid. Met. X, 160 © seg. Stat.
Theb. II, 597 © neg.
81. Timbro: A pollo, così chiamato da
Timbra, città della ‘Troade, dove aveva
un tempio; confr. Virg. Georg. 1V, 323.
Aen. III, 85. - PALLADE: Minerva.
82. PADKR: Giove.
83. BPAKTE: « Cecini plectro graviore
Gigantas Sparsaque Phlegrivia victricia
fulmina campis; » Ovid. Afetam. X, 150
© seg.
V. 34-36. Nembrot, quarto esempio
di superbia punita, Questo esempio è
Oro,
genti
i foro,
strada,
spenti!
ida
- mitologia biblica. Il gignnto
fr. Jnf. XXXI, 77), avlore
il gran lavoro, cioè della torre
__ Mifiguratonl piò di essa torre
Nowe piannra di Sennaar (ofr. Gen. X, 10;
XI, 2) in atto di uomo smarrito, per la
confusione delle lingue onde oli ed i suoi
compagni von s'intendono più.
86. surrrBI: edificavano la torre per
acquistarsi fama, cfr. Gen. XI, 4. Al.:
CON LUI INSIKME FORO. Cfr. Oom. Lips.
II, 201. Betti 1I, 48 e seg.
V. 37-39. Niobe, quinto esempio di
superbia punita. Niobe, gr. N:6By, fi-
glia di Tuntalo e di Dione, moglie di An-
fione re di ‘l'ebe, insuperbita della sua
ricchezza, bellezza, potenza, discendenza
dagli déi, e numerosa prole (7 figli o 7 fi-
glio), pretendova che i ‘Tebani sacrificas-
sero a lei piuttosto che a Latona; la qua-
le si vendicò facendo uccidere da Apollo
e Diana tutta la famiglia di Niobe a colpi
di frecce, onde Niobe, resa stupida dal
dolore, fu tramutata in una statua; cfr.
Ovid. Met. VI, 148-312. Hom. Il. XXIV,
602 © seg.
38. BKGNATA: eftigiata, intagliata.
39. SETTK: secondo Euripide ed Ovidio
Niobe aveva sette figli e sette figlie.
V.40-42. Saul, primo re d’Israele,
sesto esempio di superbia punita. La
sesta rappresentazione è quella della
morte di Saul che, vinto in battaglia dai
Filistei, per non cadere vivo nelle wani
dei nemici, si lasciò cadero sulla propria
spadae morì insieme co’ snoi tre tigliuoli ;
cfr. I Reg. XXXI. II Cron. X.
[GIRONE PRIMO]
Pure. x11. 41-52
[ES. DI SUPERBIA] 468
Quivi parevi morto in Gelboò,
Che poi non sentì pioggia né rugiada!
43 O folle Aragne, si vedea io te
Già mezza aragna, trista in su gli stracci
Dell’opera che mal per te si fe’.
46 O Roboam, già non par che minacci
Quivi il tuo segno; ma pien di spavento
Nel porta un carro prima che altri il cacci.
49 Mostrava ancor lo duro pavimento
Come Almeone a sua madre fe’ caro
Parer lo sventurato adornamento.
52 Mostrava come i figli si gittàro
a1. Grisos: p'aba p-33 4a
sorgente gorgogliante), Gilbéa, monta-
gna della Palestina al ponente di Scito-
poli. Cfr. Robinson, Paldstina, 111, 288
e seg., 400 e seg., Ritter, Paldstina und
Syrien, II, 1, 408 © seg.
42. NON SENT}: secondo l'imprecazione
di Davide, II Reg. I, 21 (« Montes Gel-
bas, nec roe, neo pluvia veniant auper
vos, neque sint agri primitiaram »), che
Dante suppone avverata.
V. 43-45. Aragne, settimo esempio
disuperbia punita. Aragne, la superba
tessitrico di Lidia (cfr. Inf. XVII, 18) fa
tramutata in ragno per aver osato di afi-
dare Minerva a chi tessense meglio; cfr.
Ovid. Met. V1, 5-145. Danto vede scolpita
Aragne nel momento in cui la trasforma-
zione non era ancora compiuta, restando
della donna ancor tanto da potersene ve-
dere il dolore.
44. ARAGNA: ragno; Al. RAGNA, lez.
che distrugge il premeditato giuoco di
parole. - STRACCI: pezzi della tela che
Pallade le straociò in faccia.
45. MAL: che tu facesti per lo tuo male.
V. 46-48. Roboam, ottavo esempio
di superbia punita. Morto Salomone
re d’ leracle, gl’ Israeliti chiesero a Ro-
boamo alleggiamento dalle gravezze; ma
egli, per consiglio de' giovani, rispose al
popolo con parole di superba minaccia,
onde dieci tribù si ribellarono da lui, <6
il re Roboamo salì prestamente sopra un
carro per faggirsene a Gerusalemme; »
ofr. III Reg. XII, 1-18. ZI Cron. X,
1-19.
46. MINACCI: aveva minacciato : « Pa-
ter meus posnit super vos iugum grave,
ego autem addam super jugum vestram ;
pater meus cecidit vos fiagellis, ego au-
tem cmdam vos scorpionibus; » II! Reg.
XII, 11.
47, stano: lat. signum ; la tua imagine
intagliata nel marmo.
48. CARRO: « Porro rex Roboam festi-
nus ascendit currum, et fugit in Iera-
salem; » JIT Reg. XII, 18.
V. 49-51. Erifile, nono esempio di
auperbia punita. Abfiarao (cfr. Inf.
XX, 34) sapeva come indovino che ea-
rebbe morto alla guerra contro Tebe, on-
de si nascose in un luogo noto alla sola
sna moglie Erifile. Regalandole una col-
lana, Polinice indusse Erifile a tradire
il marito, scoprendone il nascondiglio.
Almeone, figlio di Anflarao e di Erifile,
vendicò il padre accidendo la madre; cfr.
Apollod. III, 6, 2. Diod. Sie. IV, 67. Hy-
gin. Fab., 80. Virg. Aen. VI, 445 © seg.
51. SVRXTURATO: la collana regalata
da Polinice ad Erifile, aveva la virtù di
rendere infelice chi la possedesse; cfr.
Iutat. ad Stat. Thed. II, 273. Parthen.
Erot., 25. Ovid. Met. IX. 407 © seg.
V. 52-54. Sennacherid re d’Asst-
rta, decimo esempio di superbia pu-
nita. Sennacherib re degli Assiri, sfidò
superbamente Ezecchia re di Giuda, fa-
cendosi beffe della cdi «Ini fidacia in Dio.
Un angelo atermind il suo osercito e Sen-
nacherib ritornò svergognato a Ninive,
dove fu ucciso da’ suoi figliaoli mentre
adorava nel tempio; confronta 7V Reg.
XVIII,13; XIX, 87. Zeaia XXXVI, 1;
XXXVII, 38.
82. MOSTRAVA: loduro pavimento, v. 49.
464 [GIRONE PRIMO]
E I ——_
Puro. XII. 58-64
[ES. DI BUPERBIA]
Sopra Sennacherib dentro dal tempio,
E come, morto lui, quivi il lasciàro.
55 Mostrava la ruina e il crudo scempio
Che fe’ Tamiri, quando disse a Ciro:
« Sangue sitisti, ed io di sangue t’ empio. »
68 Mostrava come in rotta si fuggîro
Gli ,*—=* ——*-*- * — sto Oloferne,
Ed a
GI Vedevs
OL
Mosure:
64 Qual di
64. Lascliko: lug
di Ararat, « Fugeru
meniorom ; > IV Jey
VI LABCLARO,
V. 55-57, Ciro, un
di superbia punita,
sog.) è Giustino il, 8) Tica wee a ee
miri, rogina degli Sciti, edognata contro
Ciro che le avova ucciso il figliavlo di-
sprezzando superbamente lo di lei rimo-
stranze, fece ricercare il corpo inorto di
Ciro, © ritrovatolo, gli fece tagliare il
capo e quelio gettare in un otre pieno di
sangue umano, dicendo: Saziati ormai
di sangue, del quale avesti in vita tanta
sete! ll racconto è favoloso, ma ai tempi
di Dante lo si credeva storico. Del resto
sulla morte di Ciro non si hanno certe
ed indiscutibili notizio; cfr. Yen. Anab.
I, 10.
55. LA RUINA: «stragoin et cwdem ma-
gnam exorcitus, ¢’l crudo scempio, idest,
et exemplum crudele non imitabile; »
Benv.
57. SITISTI: avesti sete di sangue. Si-
tire per aver sete dissero pure altri scrit-
tori antichi.
V.58-60. Oloferne, duodecimo escm-
pio di superbia punita. Oloferne, ge-
norale del re d'Assiria, spedito a soggio-
gare i popoli d' occidente, strinse d'asse-
dio una città della Giudea detta Botulia,
che, priva d'acqua, era l) per arrendersi,
quando la bella vedova Giuditta si risolee
di liberarla. Andò al campo nemico, fece
innamorare Oloferne di sè, lo uccise di
notte e ritornò a Betulia portandone seco
il capo troncato. Gli Assirii si misero
quindi in fuga e farono pionainonte di-
sfatti; cfr. Lib. Judith XI e seg.
semi Martiro,
| caverne:
vile
ri discerne !
) di stile,
ntLiguin: il corpo di Oloferne privo
apo; cfr, Judith XIV, 4, 16. I più
2 dono invece degli Assirii morti aul
o(Lan., Benv., Vell., Dan., Vent.,
hk» 00,); altri del capo di Oloferne,
peevel dai Giudei sovra un'asta (An,
Fior., Petr. Dant., Buti, 600.). Ofr. Com.
Lips. IT, 205.
V. 61-63. Troia, decimoterzo ed ul-
timo esempio di superbia punita.
Alla superbia dei Trojani Dante allude
più volte; Inf. I, 75; XXX, 14, eco. Qui
la distruzione e l'incendio di Troia e di
Ilione è I’ ultimo esempio di superbia de-
pressa. l’er Troia intende la città, per
Ilion la fortezza, o rocca di Troia. Così
Lan., Ott., An. Fior., Buti, ecc. Al. Troia
la provincia, Zlion la città (Vell., Vent.,
Biag., ecc.); ma la provincia non fa ri-
dotta in cenere e in caverne. Al. Troia ed
Ilion la città, chiamata con due nomi
(Benv., Vol., Lomb., Frat., Bl., ecc.); a
che i due nomi per la stessa città?
61. CAVEKNK: ainmassi di rovine for-
manti delle grotte.
63. IL 8KGNO: la scaltura, il bassori-
liovo che si vode colà.
V. 64-72. Eccellenza artistica delle
sculture. Come gli esempi di umiltà
(Purg. X, 31 è seg.), così anche quelli di
superbia depressa sono rappresentati con
suvrumana maestria artistica. Kilevato
il fatto, Danto apostrofa con amara iro-
nia i mortali che insuperbiscono sopra
gli altri.
64. O DI: Al. E DI. - STILE: verghetta
sotule, che si fa di due terzi di piombo
e un terzo di stagno, o serve per tirar
le prime lince a chi vuol disegnare con
penna.
[GIRONE PRIMO]
Puro. Xit. 65-81
[ANGELO] 465
Che ritraesse l'ombre e i tratti, ch'ivi
Mirar farieno ogn’ingegno sottile?
07 Morti li morti, e i vivi parean vivi:
Non vide me’ di me chi vide il vero,
Quant’ io calcai fin che chinato givi.
70 Or superbite, e via col viso altiero,
Figliuoli d’ Eva, e non chinate il volto,
Si che veggiate il vostro mal sentiero,
73 Più era già per noi del monte volto,
E del cammin del sole assai più speso,
Che non stimava l’animo non sciolto;
70 Quando colui, che sempre innanzi atteso
Andava, cominciò: « Drizza la testa;
Non è più tempo da gir sì sospeso.
70 Vedi cola un angel che s’appresta
Per venir verso noi; vedi che torna
Dal servigio del di l'ancella sesta.
65. owner ri tRATTI: l'aspotto com- _
plessivo della figura od | contorni, Al.
L'OMURE E GLI ATTI. CM'IVI: Al. quivi.
68. minan: maravigliare, - 0GN'INOR-
ono: Al. UN Inararo.
67. moRTI: quello figure erano di tale
essenziono, che nei morti apparivano i
caratteri della morte, nei vivi quelli
della vita; cfr. Purg. X, 0 è seg.
68. wow Vink: chi fo presente ai fatti
non vide meglio di me,
#9. quant'I0: per tutto quello spazio
che lo andai a capo chino per guardare
quelle figure porgenti esempi di super-
bla punita, dello quali sei sono tolte dalla
mitologia biblica, sette dalla mitologin
classica.
70. on: ofr. Purg. X, 121 e seg.
Ti. p' Eva: o chiama gli nomini figliuoti
d'Eva perchè Eva fa la prima superba
che volle «essere come dii; » ten. ILI, 5, 6;
oppure per ricordar loro che, figli tntti
della stessa madre, non hanno motivo
d'insuperbire sopra gli altri. - Non cm-
NATR: non abbassate gli occhi alla terra,
por vedero dove la suporbia vi mena.
V. 78-00, L'Angelo dell woilta, 1
Tipian! del l'urgntorio sono divisl l'uno
dall'altro per la riva scoscesa, e con-
giunti insieme per una difficile e angusta
scala, che dall'uno conduce all'altro.
Presso al primo grado sta sempre nun
Angelo che toglie l'nltimo resticciuolo
20. — Div. Comm., 3% edis.
degli offotti dol pocento a chi sale ad
altro corchio, Sotto Angeli che non hanno
nomi differenti, ma por si distinguono
l'nno dall'altro. Ognuno canta nna delle
setto bentitodini evangeliche (8, Matt.
V, 3 6 sog.), ognnno quella che loda In
virth opposta al peccato che si purga
nel cerchio che le anime sono in procinto
di lasciare. Il primo, l'Angelodell'omiltà,
canta quindi le lordi dell'umiltà, o povertà
di spirito, che è il contrario della super-
bia, ed invita i due viandanti a salire,
mostrando loro la via. Cfr. Perez, Sette
Cerchi, 05 o seg.
73.10: avevamo già percorso di quella
via circolare © speso di quella giornata
più che l'animo mio, non libero, perchd
tutto assorto nella contemplazione degli
esempi di snperbia punita, avesse cre-
duto. Con altro parole: ora già più tardi
che io non credessi; ofr. Purg. IV, 1-16.
76, ATTESO: attento alle cose dinanzi,
a ciò che appariva; efr. Inf. XIII, 109,
77, ANDAVA: Al, M'ANDAVA, INCOMIN-
CIÒ. - [RIZZA : « Respicite et levato capita
vostra, quoniam appropinquat redemtio
vostri; » S&S. Lie. XXI, 2R,
TR. WA dilit: Al, D'ANDAR = Bosra:
assorto nella considerazione di queste
imagini ; « Non hoc ista sibi tempus spec-
tacnola poscit; » Virg. Aen, VI, 37.
81, L'ANCELLA: l'ora sesta di sole; è
mezzogiorno. Chiama le ore ancelle, come
466 [GIRONE PRIMO]
Pura. XIT. 82-98
[ANGELO]
82 Di iverenza gli atti e il viso adorna,
S| che i diletti lo inviarci in suso:
Pensa che questo di mai non raggiorna. »
85 Io era ben del suo ammonir uso,
Pur di non perder tempo, sì che in quella
Materia non potea parlarmi chiuso.
88 A nni vania la srnantnra halla
Bi
iccia quale
P ia stella,
91 Le | aperse l’ale;
D presso i gradi,
E i sale.
94 A qi molto radi:
O * su nata,
Pe | cadi? »
97 Men agliata ;:
Qu ite, * la fronte
ministre del giorno ché nasce è muore
col sole; cfr. Ovid. Met. II, 118 © seg.
Purg. XXII, 118. I Poeti si sono trat-
tenuti circa tre ore in questo cerchio.
82. AUORNA: « Fa tu di adornare di
riverenza gli atti e il viso, sì che al-
l'angiol piaccia; » Betti. Cfr. Purg. I, 49
e seg.; II, 28 e seg.; 1X, 107 © sog.
83. st cug 1: Al. sl ch'KI. - LO IN-
VIARCI: Al. LO MKNAKCI.
84. NON KAGGIORNA: non ritorna più.
«Tutto lo nostro brighe, no bene vegna-
mo u corcaro li loro principi, procedono
quasi dal uon conoscero l'uso del tetu-
po; » Conv. 1V, 2. Cfr. II Cor. VI, 2.
85. uso: avvezzato. Il suo ammoni-
mento di non perdor tempo mi era già
sì famigliare, cho in tal 1uaniora e' non
poteva più parlarmi sì oscuro ch'io non
l'intendessi. Cfr. Purg. III, 78. Viry.
Aen. VI, 538 e seg.
87. clii1Uuso: oscuramente; confr. Par.
XI, 73.
88. A NOI: Al. VER NOI. - CREATURA:
Angelo.
89. BIANCO: vostita di bianco; confr.
Purg. Il, 23. Anche nella Scrittura sa-
cra gli angeli appariscono sempre vestiti
di bianco; confr. S. Matt. XXVIII, 3.
S. Marco XVI, 5. 8S. Luc. XXIV, 4.
S. Giov. XX, 12.
90. TRKMOLANDO: scintillando; «sidere
pulcrior; » Horat. Od, 111, 9, 21. « Ful-
gebunt quasi splendor irmamenti, et....
quasi stello;» Daniel. XII, 8.
92. GRADI: per cui si salo nel secondo
cerchio.
93. AGKVOLKMKNTE: domata la super-
bia è facile l'ascesa. 1 passi de’ superbi
sono ritrosi, Purg. X, 123; soltanto I’ u-
miltà asconde in alto. Confr. S. Bernà.,
Ep., 893.
V4. ANNUNZIO: Al. INVITO; cfr. Matt.
XXII, 14. Le parole di questa terzina
ponno essere dell'Angelo (Ott., Dan.,
Lomb., Ces., Tom., Fil., vee.), 0 un'oncla-
mazione di Dante (Buti, Bl, ecu.). È ap
pena possibile di decidere la questione;
cfr. Com. Lips. 11, 205 o seg. Bene Land.:
«Lo parole di questo ternario possono es-
sore et doll’ Angelo et del Poeta. »
05. VOLAR: andare in Paradiso; « Om-
nes homines conveniubt in appetondo ul-
timum finem, qui est beatitudo ;» S. Aug.
De Trin. IV in prino.
96. VKNTO: tentazione alla superbia,
per conseguiro quella fama mondana, la
quale non è altro che un fiato di vento,
Purg. X1, 100 © seg.- cavi: « La su-
perbia che in sembianza inalza, in realtà
atterra, laddove l'umiltà leva in vera
grandezza; » Gioberti.
97. LA ROCCIA: la costa laterale del
monte tagliata a modo di scala per sa-
lire; cfr. Purg. IV, 31.
08. MI BATTKO: mi percosse la fronte
[GIRONE PRIMO]
Puro. xi. 99-105
[scALA] 467.
Poi mi promise sicura ]’andata.
100 Come a man destra per salire al monte,
Dove siede la chiesa che soggioga
La ben guidata sopra Rubaconte,
103 Si rompe del montar l’ardita foga,
Per le scalee, che si fèro ad etade
Ch'era sicuro il quaderno e la doga;
colle ali, cancellandone in tal modo il
primo de'sette P segnativi dall'Angelo
portiere; Purg. IX, 112.
90. MI rMoMmiBRI: Al. CT PROMISE. — BI-
cuna: «Dens humilibus dat gratiam; »
I Petr. V, 6.
V. 100-108, La scala per cui si ante
al secondo cerchio. Dante paragona
quella via per cui salivano, alla scala di
macigno per oni si ascende al Monte alle
Croci presso Firenze. « Andando alla
Chiesa di Santo Miniato a Monte, ch'è
sopra il ponte Rubaconte, ila Firenze
dalla mano destra all' andare su alla
Chiesa, perchè la via è molto erta, si
fece senglioni di pietra per rompere la
superba salita del monte ;» An. Fior.
«A man destra uscondo dalla porta per
andare a snnto Miniato si anle alquanto
per una sola via. Dapoi si divide in due
vie. Et quella cho rimane a man destra
a chi sale, ha le acaleo; » Land,
101. cunesa: San Miniato n Monte, il
più antico tempio di Firenze, che domina
specialmente quella parte della città po-
sta nl disopra del ponte di Rubaconte,
oggi ponte alle Grazie.
102. LA nun: la ben governata FI-
renzo; amara ironia! Cfr. Purg. VI, 127
nota. = RUnACONTE : oggi Ponte alle (ira-
zie, così chiamato da Rubaconte di Man-
della podestà di Firenze, che nel 1237 vi
posò la prima pietra e gittà la prima
cesta di caloina; cfr. Vill, VI, 26.
103, romrr: si modera l'eocessiva rapi-
ditt per mezzo degli scaloni fatti quando
Firenze era ancora semplice, nè vi ai nan-
rano tanti inganni o frodi, - L'ARDITA
FOOA: In costa superba.
106. 1, QUADERNO: «| pessimi cittadini
per loro sicortà chiamarono per loro po-
dostà messer Monflorito da Padova, po-
Tere gentiluomo, acciòà che come tiranno
punizse, e facesse della ragione torto è
del torto ragione come a loro paresse,
Il quale prestamenta intese la volontà
loro, @ quella segu); che assolvea e con-
dannava senza ragione, como A loro pa-
rea; © tanta baldanza prese, che pale-
semente Ini e la sua famiglia vendevano
la giustizia, e non ne schifavano prezzo,
por piociolo o grande che fusse : è venno
in tanto abbominio, cho i cittadini nol
poterono sostenere, 6 feciono pigliare Ini
e due suoi famigli, è fecionlo collare, è
per sua confessione seppono delle cose,
che a molti cittadini ne seguì vergogoa
assai e assai pericolo: o vennono in di-
scordia, che l'uno volea fusse più collato
e l'altro no, Uno di loro, che avea nome
Pietro Manzuoli, il fe' un'altra volta ti-
rar sn, il perchè confessò aver ricevnto
nna testimonianza falsa per messer Nic-
cola Acciajoli, il perchè nol condannò ; è
fanne fatto nota. Sentendolo messer Nic-
cola ebbe panra non si palesaase più ; db-
bene consiglio con messer Baldo Agn-
glioni, giudice sagncissimo © suo avvo-
cato, il quale did modo di aver gli atti
dal notaio per vederli, e rasene quella
parte venia contro a messer Niocola, E
dubitandoilnotaio degli atti avea prestati
sa erono tocchi, trovò il raso fatto è no-
cosàgli. Fu preso mosser Nicoola e con-
ilannato in lire tremila; e messer Baldo
ai fuggi, ma fu condannato in lireduemila
e confinato per uno nnno;» Dino Comp.
I, 10. Il fatto avvenne nel 1209, ed è rao-
contato dai comm. ant. con poche diver-
sità. Cfr, Del Lungo IT, 89 0 seg. Eneicl.,
1507 © sog.
LA DOGA: « era usanza di mensurare il
sale ot altre cose con stara fatte n doghe
ili legname, come bigoncinoli; on citta-
dino della famiglia de’ Chiaramontesi fu
camerlingo a dare il sale, appresso questi,
quando il ricevea dal Comune, il rice-
vova collo atnjo diritto, qnando il dava
nl popolo ne trasse una doga piccola dello
stajo, onde grossamente ne venia a gua-
dagnare. Scopersesi il fatto; et saputa la
verità, questo cittadino fu condannato et
gravemente ot vitnpererolmente, onde
poi i discendenti saci che sono antichi
ay Mernali; ché quivi per cant;
S’ entra, e laggiù per lamenti feroc
115 Già montavam su per gli scaglion’ sai
Ed esser mi parea troppo più lieve
nomini, essendo loro ricordato arrossono 111. sì: con tan
t vergognonal ; ot fessi in ciò in lor yor. tersi esprimere &
Eogna una canzonella che dices: Egli è arcana
tutti salviati, boo; » An. Fior, Così pure » FOCI: aperti
ni n Cfr. Par. XVI, 105, Com. Lipa. Ls ina. cx -
' » den. |
100, così: per mezzo di almili gradini Passaggio da un ce
Ai rendo men ardun la salita ul seconda ar marne
serchlo, il è Cir.
108. QuiNct: ma da ambodue le parti lo V, 25; VI, 16 VI,
alto pareti Fa strofinano chi sale, V, 115-186. Salita
Virg. Aen. V, 109 è s0g., parlando della
Virg. au
nave di Cloante: « Ne inter navemque —sentenssni più
Gy scopulosqne sonantis Radit iter Iq. camminando sul pia
vam interior subitoqne priorem Priete- ng fa lo meraviglio 6
| segi
corchio nl odo cantare la prima dello bea- eid quasi spenti, av
Utmndini ovangoliché; « Menti i poveri im l'umiltà coll'ala sia e
luplrito, » 8, Matt, V, 3, lu quale « potest superbia, radico d'
referti
vel ad contemptam divitiaram, 15; ofr. 4% È
vol ad contem + quod fit 2. 11%, 117,2; seen
Por inmilitatem ; » Thom. Ag. Sum. theot, tutto, non ao
1°, 69, 8. Il canto non procede dalle con tuo gran diletto {e
animo (Ort, Vell., Br. B., ecc.), nè da ja] © seg.). All’ udire |
quelle dei Land., Frat.), che ignora l'uno dei |
saperbi (Lu f
nd da quello dogl’ invidioal (An. Fior., cancellato dalla sua |
Bennass,); nemmeno da Angeli(Lomb. mano, posa le dita co
Tom, Oem), ma ini rig tt ni nn
uh +
[GIRONE PRIMO]
Pura, xm. 117-196
(sALUrA] 469
Che per lo pian non mi parea davanti.
118 Ond’ io: « Maestro, di’, qual cosa greve
Levata s' è da me, che nulla quasi
Per me fatica andando si riceve? »
121 Rispose: « Quando i P, che son rimasi
Ancor nel volto tuo presso ch’ estinti,
Saranno, come |’ un, del tutto rasi,
124 Fien li tuoi piè dal buon voler si vinti,
Che non pur non fatica sentiranno,
Ma fia diletto loro esser su pinti. »
127 Allor fec' io, come color che vanno
Con cosa in capo non da lor saputa,
Se non che 1 cenni altrui sospicar fanno,
130 Per che la mano ad accertar s’aiuta,
E cerca e trova, e quell’ officio adempie
Che non si può fornir per la veduta;
133 E con le dita della destra scempie
Trovai pur sei le lettere, che incise
Quel dalle chiavi a me sopra le tempie:
136 A che guardando il mio duca sorrise.
tendantur, ne in nrmonin fiat dissonan-
tia;» Bonavent,, Comp. theol. verit, V, 7.
117. CHE FER LO PIAN: « che non mi pa-
reva esser camminato già innanzi nel
piano; » Betti.
118. COSA GREVE: qual peso mi è tolto,
da rendermi così agile 6 franco!
123. RAST: snranno cancellati del tutto,
come è cancellato il primo.
126, rinti: spinti. Al. ESSER BOSPINTI :
ofr. Purg. IV, 88 © seg.
128, CON CORSA: « alcuna volta l'uomo
porta una penna o altra cosa in capo, per
la quale gli astanti ridono, o dicono qual-
che parola per la qualo egli rimette In
mano in capo 6 cerca tastando, e trova
quello perchè altri si movea, che prima
non vedea; » Muti; confr. L. Vent., Si-
muil., 2885.
129, sosrican: sospettare; cfr. Inf,
X, 657. Al. BUBSFICCIAR. |
130. LA MANO: « Viditenim, falsamque
in imagine credens Esse fidem, digitis
ad frontem smpe relatis, Qum vidit, te-
tigit; =» Ovid. Met. XV, 566 è sog.
191. ADEMFIR: fa col tatto ciò che con
la vista non può.
133. sckMrit: diaginnte, allargato.
136. sonnist: non già facendosi beffa
dell'ignoranza di Dante (Buti, Land,,
Vell.), ma « gratolando quia placuit sibi
factum ;» Nene. Cir. Inf. IV, 09.
ESEMPI DI CARITÀ, 8SAPIA DA £
Noi eravamo al sommo della scala,
Ove secondamente si risega
Lo monte, che salendo altrui dismala:
4 Ivi così una cornice lega
Dintorno il poggio, come la primaia,
Se non che l'arco suo più tosto pioga.
=]
Ombra non gli è, né segno che si paia;
Par si la ripa, e par sì la via schietta
Col livido color della petraia.
6. rinaa: 1 cerchi del
[errore szconpo)
' Pure. x11. 10-24 [APOSTR. AL SOLE]
471
10 « Se qui per dimandar gente s’aspetta, »
Ragionava il poeta, « io temo forse
Che troppo avrà d’indugio nostra eletta. »
13 Poi fisamente al sole gli occhi porse;
Fece del destro lato al muover centro,
E la sinistra parte di sé torse.
16 « O dolce lume, a cui fidanza i’ entro
Per lo nuovo cammin, tu ne conduci, »
Dicea, « come condur si vuol quince’ entro.
19 Tu scaldi il mondo, tu sopr’ esso luci;
8’altra ragione in contrario non pronta,
Esser den sempre li tuoi raggi duci. »
22 Quanto di qua per un migliaio si conta,
Tanto di là eravam noi già iti,
Con poco tempo, per la voglia pronta;
Met. 11, 760 e seg. « Pallor in ore sedet,
macies in corpore toto, Nusquam recta
acies, livent rubigine dentes, Pectora
felle virent, lingua est suffusa veneno; »
tbid., 775 © seg.
V. 10-21. Apostrofe al Sole. « Con la
ragione, Virgilio prevede che gl'invidi
non devono, come i superbi, girare; per-
chè l'invidia ha astio dell’ andare al-
trui, ma non va;» Tom., onde dice: Se
aspettiamo gente per dimandare qual
via dobbiamo prendere, temo che tar-
deremo un po'troppo la nostra scelta.
Si volge dunque a destra, e, memore
delle parole di Catone, Purg. I, 107 ©
eog., apostrofa il Sole (non Dio. Lan.,
Ott., An. Fior., eco.; né la divina giuati-
zia, Falso Boce.; né la Grazia cooperan-
te, Benv., Buti, Land., Vell., Dan., e00.;
ma il vero Sole, la luce naturale), che
esso mostri la via da tenere.
12. ELETTA; elezione scelta; confr.
Arios., Orl. XIX, 92.
14. FECE: essendo passato mezzodì,
Purg. XII, 81, i Poeti, fermi al sommo
della scala, hanno il sole a destra; Vir-
gilio si volge danque a destra, © per vol-
gersi tien fermo il pid destro, di che egli
fa centro, e muove in giro il sinistro, co-
me farebbe un compasso. - AL MUOVER:
Al. A MUOVER.
15. TORSR: « girò lo lato manco, fer-
mato lo ritto; » Butt.
16. FIDANZA : fidandomi di te, secondo
le parole di Catone, Purg. I, 107, 108.
18. picEA: Virgilio, parlando al Sole.
- 81 VUOL: bisogna. - QUINC'ENTRO: in
questo girone.
20. RAGIONK: Al. CAGIONE. — NON PRON-
TA: non eccita, non ispigne. Se altra ra-
gione non c'induce a tenere altra via,
noi dobbiamo seguire la direzione de’ tuoi
raggi, movendoci cioè sempre a destra;
cfr. Purg. XXII, 128.
V. 22-80. Marta, primo esempio di
bella carità. Fatto un miglio (migliafo,
lat. milliarium) odono voci per |’ acre
che gridano belli esempi di carità cri-
stiana. Gli occhi degli invidiosi nel mon-
do stavano aperti ed obliquamente fissi a
bassi beni, mentre l' orecchio era chiuso
a quolle voci di gemito che incominciano
col nostro nascimento, e son proprie ad
eccitar ben altro che invidia di questa
labile vita; ora gli occhi stanno chiusi
in tenebre e lagrime, mentre l'orecchio
bee la salutifera verità in suoni or dolci
or severi (cfr. Perez, Sette Cerchi, 187 e
seg.). Il primo esempio di carità che si
ode risuonar per l'aere è quello di Maria
presente alle nozze di Cana, che, solle-
cita dei bene altrui, ef rivolge al divin
Figlio colle parole: Non hanno vino,
onde Egli fece il suo primo miracolo;
cfr. S. Giov. II, 1-10.
22. DI QUA: ijn questo mondo. - MI-
GLIAIO: Al. MIGLIO.
28. pi LA: sa per lo secondo balzo del
Purgatorio.
24. CON roco: in breve, perchè vo-
gliosi di andare; confr. Purg. XII, 118
© seg.
87 E’! buon maestro:
- = ewe
La colpa dell’invidia, 6 però sono
Tratte da amor Je corde della ferzs
i
i
e
a
;
Oreste nddita fin di
l'amore la ben dis
Amate da i
li
£32
i
Hi
È
i
fl.
i
ii
dall'invidia, In oppe
che ai tesoro in vita,
frateronmente l'uno
coperti palo o li
lore dell'in è © slim
lo palpebre cucite da £
do tenuto gli occhi tr
condizione altra. Gan
[GIRONE SECONDO]
Puro. xm. 40-60 [rENA DEGL'INvID.) 473
40 Lo fren vuol esser del contrario suono;
Credo che l’udirai, per mio avviso,
Prima che giunghi al passo del perdono:
an Ma ficca gli occhi per l’aer ben fiso,
E vedrai gente innanzi a noi sedersi,
E ciascun è lungo la grotta assiso. »
46 Allora più che prima gli occhi apersi;
Guarda’ mi innanzi, e vidi ombre con manti
Al color della pietra non diversi.
49 E poi che fummo un poco più avanti,
Udi’ gridar: « Maria, dra per noi, »
Gridar Michele, e Pietro, e tutti i Santi.
52 Non credo che per terra vada ancoi
Uomo si duro che non fosse punto
Per compassion di quel ch'io vidi poi:
55 Ché, quando fui sì presso di lor giunto
Che gli atti loro a me venivan certi,
®
Per gli occhi fui di grave dolor munto.
58 Di vil cilicio mi parean coperti,
E l'un sofferia l’altro con Ja spalla,
E tutti dalla ripa eran sofferti.
40, LO FRRX: gli esempi d'invidia puni-
ta (cfr. Purg. XIV,1800seg.) suoneranno
minaccia, non amore, Cfr. Conv. IV, 26.
42, passo: il luogo appié della scala
che conduce ai cerchi saperiori, dove sta
l'Angelo che cancella dalla fronte del
Poeta un FP; ctr. Purg. XII, 98.
43. GLI OCCHI: Al. IL viso, Guarda at-
tentamente per |' aria.
45. GROTTA: roccia, rope; cfr. Inf.
XXI, 110, = assiso: appoggiato.
48. coLor: lividi come In pietra di
quel ripiano; cfr. v. 9. « Neo lapis al-
los erat, sna mens infecerat illam; »
Ovid. Met. 1I, 832.
61, Guipar: = il l'oeta attribuisce la ca-
gione dell'invidia nell'appuntarsi de' no-
stri desiderii in boni angustissimi, che
non si possono godere dall'uno senza
sssor tolti, almeno in parte, all’ altro;
Imloveo, so 8 appontassoro in que’ beni
eterni, che quanto più han posseditori,
tanto più fanno ricohi, non sarebbe in-
vidia in terra (cfr. Purg. XV, 49-51).
Perciò le anime che qui piangono |' in-
vidia, banno in dispregio i miseri spar-
timenti delle eredità terrene, pensando
alla celeste eredità partecipata, e non
diminuita, da' figlinoli di Dio, o a tutti
i posseditori di quella eredità si racco-
mandano amorosamente colle Litanie
de' Santi, Larga è generale preghiera,
che lancia i loro pensieri quando a qne-
sto, quando a quel cittadino del regno
a coi sospirano; 6 li rallegra in quella
beata comunione di anime e di beni ce-
lesti, che nocrosce senza termine le giola
della carità, mentre l'invidia, pur col
sospetto di nn solo partecipo a’ propri
beni terreni, ogni gioia avvelena ed uc-
cide; » Perez, Cerchi, 140 © seg.
52. VADA: non credo che viva adesso
in terra nomo sì duro di onore, da non
sentir compassione alla vista dolorosa
degli invidiosi. - ANcOI: Int. hane hodie,
anche oggi.
53. PUNTO: compunto,
65. quagxno vuoi: Al, QUAND’ IO FUT,
Quando fui giunto a vieino a quelle om-
bre da poter ben distinguere | loro atti,
il dolore mi fece piangere.
50. sSOFFERÌA: sosteneva; reggeva;
« Alter alterius onera portate, ot sic
adimpletis legem Christi; » Gal. VI, 2,
SECONDO] Pure. xu. 61-76
[PENA DEGLI INVIDIOS1}
61
Così li ciechi, a cui la roba falla,
Stanno a’ Perdoni a chieder lor bisogna,
E l'uno il capo sopra l’altro avvalla,
64 Perché in altrui pietà tosto si pogna,
Non pur per lo sonar delle parole,
Ma per la vista che non meno agogna:
67 E come agli nrhi nan annrada il sole,
Così all lava ora,
Luce dei. ion vuole;
70 Ché a tutte i tiglio fora,
E cuce si, | selvaggio
Si fa, però, ri limora,
73 A me pareva itraggio
Vedendo al do veduto:
Per ch'io tu
78 Ben sapev’ ei, | ua!
61. PALLA: Manca; sono sì pover
non hanno di che vivere; confr. ..,.
XXIV, 7.
62. a’ PRRDONI: innanzi alle Chiese nei
giorni di festa e d'indulgenza solenne.
63. AVVALLA: china, abbassa; confr.
Purg. VI, 37. « Li orbi, che sono in stato
di povertà, stanno alle chiese e alle per-
donanze, e dimandano elimosine, e molte
fiate stanno travolti e appoggiati l’ uno
all'altro, perchè di sua disconcia vita o
tenebrosa vegna agli uomini compas-
sione, e faccianli bene; » Lan.
04. PERCHE: aflinchè. - 81 LOONA: si
ponga, si eccili.
G5. NON ruk: non solo per le loro la-
mentevoli parule cun che chiedono l'ele-
mosina, ma anche per l'aspetto che desta
pietà non meno delle parole.
66. AGOGNA: esprime desiderio vivo ed
angoscioso. « Pro iustitia agonizare pro
anima tua; » Zcecles. IV, 33.
67. NON AVPRODA: non giova; cfr. Inf.
XXI, 78. Così Lan., Ou., Benv., Tal.,
Vent., Andr., Filal., Wilte, ecc. Al.: non
arriva, non perviene, non giunge a farsi
vedere; così Buti, Serrav., Vol., Lomb.,
Biag., Ces., eco.
68. pov'Io: Al. LÀ'v'I10; LÀ Dov'I10;
QUI DOV'IO; Ov'I0; DI CR’ IO.
69. LaRGin: esser larga di sò, farsi ve-
dere. « Invidia facit, quod non videatur
quod expedit videre, et ideo dicitur invi-
dia, quasi non visio ; » Petr. Dant. « Luce
;‘onsiglio saggio.
‘0 muto;
lo non fn copia di sé a cotesti cie-
vui, purchè i loro occhi furono anneb-
biati dallo caligini dell' invidia; » L.
Vent.
70. A TUTTK: Al. A TUTTI; a tutti le
ombre?! Agli invidiosi sono chiusi gli oc-
chi per mezzo di una cucitura di fil di
ferro, como si usava fare agli sparvieri
selvaggi per addomesticarli; cfr. Fede-
rico II, De arte venandi cum avibus,
II, 63.
71. 8RLVAGGIO: grifagno; confr. Inf.
XXII, 189.
72. NON DIMORA: se non è accigliato,
cho così chiaumavasi l'oporazione di cu-
cir gli occhi agli sparvieri di fresco presi.
V. 73-99. Colloquio colle anime pur-
ganti. Dante, cul sembra quasi un ol-
traggio verso quelle unime l'andare per
il loro cerchio non veduto e senza dir loro
una parola, si volge a Virgilio con quel-
l'aspetto che chiede senza profferir pa-
rola. Virgilio, che legge i suoi pensieri,
lo conforta a parlare. Dante dimanda se
qualcuno è latino e gli ei risponde, che
tutte quelle anime sono ormai fatte cit-
tadine dell'una vera patria, che 4 la ce-
leste Gerusalemme; cfr. Ebrei XI, l4
© seg.
74. NON ESSENDO: Al. K NON ESSER.
75. CONSIGLIO: consigliere sapiente.
76. CHE vOLRA: ciò che io voleva dir-
gli, sebbene non parlassi; ctr. Inf. XVI,
119 e seg.
[GIRONE SECONDO]
Pure. XI. 77-96
[coLLoquio] 475
E però non attese mia domanda,
Ma disse: « Parla, e sii breve ed arguto. »
79 Virgilio mi venia da quella banda
Della cornice, onde cader si puote,
Perché da nulla sponda s’ inghirlanda :
82 Dall’altra parte m’ eran le devote
Ombre, che per l’orribile costura
Premevan sì che bagnavan le gote.
85 Volsimi a loro, ed: « O gente sicura, »
Incominciai, « di veder |’ alto lume,
Che il disio vostro solo ha in sua cura;
88 Se tosto grazia risolva le schiume
Di vostra coscienza, sì che chiaro
Per essa scenda della mente il fiume,
91 Ditemi, ché mi fia grazioso e caro,
S’anima è qui tra voi che sia latina;
E forse a lei sarà buon, s’io |’ apparo. »
d « O frate mio, ciascuna 8 cittadina
D'una vers città; ma tu vuoi dire,
Che vivesse in Italia peregrina. »
78. BREVR: poche e buone parole; cfr.
Inf. X, 89.
79. DA QURLLA : dalla parte di fuori, alla
mia destra.
81. B'INGHIRLANDA:: 8i cinge, è circon-
data; cfr. Inf. XIV, 10.
82. PARTR: sinistra, - DEVOTE: prega-
vano le litanie dei Santi, v. 50 e seg.
83. COSTURA : cucitura di fil di ferro.
84. PRRMEVAN: spingevano le lagrime
con tanta forza, che ad onta dell' orribile
cucitura dello palpebre, le facevano uscir
fuori a bfignar loro le gote.
86. LUMR: Dio (cfr. Purg. VII, 26),
unico oggetto del vostro desiderio.
87. s0LO: di cai solo si cura ed a cul
solo aspira il vostro desiderio. « Sitivit
anima mea ad Deum fortem vivam: quan-
do veniam et apparebo ante faciem Dei;»
Peal. XLI, 8.
88. an: così la grazia divina lavi pre-
ato In vostra concionza dallo maochio del
peocata, sì che la momoria vostra non ne
serbi più veruna ricordanza. - LE scItiu-
MR: «come la schinma significa la im-
purità dell'acqua, così la pone qui per la
impurità della coscienza; » Buti. Al. LE
SPUME.
00. "KR KSSA : coscienza. - MRNTR: me-
moria (Inf. II, 8; III, 132; IV, 44, 89;
X, 127, ecc.) dalla quale le acque di Lete
rimuovono ogni ricordanza dei peccati
commessi; cfr. Purg. XXXIII, 91 e seg.
Sulle svariate interpretazioni di questo
verso, che non sembra veramente di dif-
ficile intelligenza, ofr. Com. Lipe. II, 226
e seg. Il Pol. per fiume della mente in-
tende (col Giul., Br. B., ecc.) la luce in-
tellettuale, da cui sono illustrate leanimo
degli eletti nella intuizione di Dio.
92. LATINA: italiana; ofr. Inf. XXII,
65; XXVII, 83; XXIX, 88, 91.
98. BUON: potendo procurarle saffragi
de’ viventi. - L’APPARO: vengo a ea-
perlo.
94. CITTADINA: « Jam non estie hospi-
tea et advenm, sed estis clves sanctorum
et domestici Dei; » K/es. II, 19. Vite
Nuova, 35. Nel Purgatorio e nol Para-
dian non vi è più diatinzione di patrin,
05. citrA: fl cielo; confr. Ebrei XI,
10-16; XIII, 14. Apocal. XXI, 10, 11;
XXII, 14.
96. PRREGRINA : fuori della sua vera pa-
tria, che è il cielo; ofr. I Pietr. II, 11.
Purg. lI, 63.
2 wausuitt CONTO 0 per loco o per nc
106 « I’ fui sanese, » rispose, « e con qui
Altri rimondo qui la vita ria,
Lagrimando a colui, che sé ne pre.
109 Savia non fui, avvegna che Sapia
Fossi chiamata, e fui degli altrui d
Più lieta assai, che di ventura mia.
112 E perché tu non credi ch'io t’ ingann.
98. PIÙ INNANZI: Al. PIÙ LÀ ALQUANTO.
90. MI FECI: alzai la voce per essere
udito a maggior distanza.
V. 100-129. Sapia du Mena. Una di
quelle ombre leva in su il mento a guisa
d'orbo, e, interrogata da Dante, gli ri-
sponde che fu Sapia e racconta della fe-
roce sua invidia. Fu esea una gentildon-
na di Siena di fawiglia incerta, moglie,
come si crede, di Ghinibaldo Saracini
siguore di Castiglioncello presso Monte-
reggioni (Inf. XXXI, 41); Repetti 1. 691.
Bass. 185 è seg. « Audivi, quod ista ma-
ledicta mulier erat ita infuriata mente,
quod conceperat et prwdixerat so pre-
cipitaturam desperanter de fenestra si
senenses fuissent illa vice victorea; »
Benv. Invece Aquarone, D. in Siena,
127 e seg.: « Meno fureo che negli astii
partigiani pare fosse una buona donna,
e unitamente al marito Ghinibaldo Sa-
racini aveva fatto costruire un aspizio
pe’ passeggieri, a Castiglioncello di Mon-
ni, ch’ era di sua dominazione,
del quale nel 1265 poneva ia prima pie-
tra il Vescovo di Volterra a ah- --* *
essa cedeva quel ci
(1269), che v’ inv:
sotto la dipendenz:
na, e riuniva all'
grande Ospedale de
zio fondato da Sapi
101. IN Vista: all'
BE: ed a chi mi dor
guo mi accorsi che |
gli occhi chiusi, ria;
vato il mento in sa
gliono fare i ciechi .
103. TI DOME: ti
doti, per salire al ol
105. CONTO: Al. n
dicendomi il nome |
il tuo.
107. RIMONDO : mi
colpe, pregando con
ne conceda la sua vi
ma beatitudine. Al.
108. sÉ: < visio Di
tota essentia beatitu
Sum. theol. I, 1, 4.
109. AVVEGNA: an
[GIRONE SECONDO]
Pore. xt. 113-126 [SAPIA DA SIENA] 477
Odi se fui, com’ io ti dico, folle:
Già discendendo |’ arco de’ miei anni,
115 Eran li cittadin’ miei presso a Colle
In campo giunti coi loro avversari,
Ed io pregava Dio di quel ch' ei volle.
118 Rotti fir quivi, e volti negli amari
Passi di fuga, e veggendo la caccia,
Letizia presi ad ogni altra dispari;
121 Tanto ch'io volsi in su l’ardita faccia,
Gridando a Dio: “ Omai più non ti temo, ,,
Come fa il merlo per poca bonaccia.
124 Pace volli con Dio in sullo stremo
Della mia vita; ed ancor non sarebbe
Lo mio dover per penitenza scemo,
eangerando In cosa col dirti che fo fui
invidiosa a sogno da rallegrarmi più del
male altrol che del mio bene.
114. DISCENDENDO: avendo io già oltro-
passato l'età di trentacinque anni; cfr.
Inf. I, 1. Conp. IV, 23.
115. ERAN Lr: Al, ERANO 1, - COLLR:
horgo della Tosenna, sitnato sn di ina
collina prosso Volterra in Valdolen. Ivi |
Fiorentini disfecero nel 1209 i Sanesi ©
gli altri Ghibellini guidati da Provenzan
Salvani (cfr. Purg. XI, 100 © seg.) è da
Guido Novello, « E furo morti in questa
battaglia più di mille Sonosi, e presi
1500; » Murat. Seript. XV, 36, + Onde
Ia città di Siona, n comparnziono «del
mo popolo, ricevotto maggiore danno
do’ anvi cittadini in questa sconfitta, che
non fece Firenzo a quella di Montaperti,
6 laaciàrvi tutto il loro arnese. Per la
qual cosa, poco tempo nppresso, i Fio-
rentini rimisono in Siena i guelfi nsciti
e cacciàrne i ghibellini; » Vill. VII, 31.
Ufr, Bass, 134 è sog.
116. GIUNTI : alle prese, venuti insieme
n battaglia. — avvensani: Fiorentini.
117. rargAvA Dro: Al, raroar Ipmo.
Sapia dimorava a Colle, 0 perchè so-
mpotta (Muti), o perchè bandita da Siena
(Land., Vell., Dan., oco.), «Quando | Sa-
nes! erano sopra Colle, è li Fiorentini
loro nimici erano loro a petto, e le no-
velle si continunvano che le dette parti
combattorebbono: ella per vodore salì
in una torre, e dice che pregò lddio che
1 Sanesi fossero sconfitti; la qual cosa
Tadio volle, pol ch'egli la permise; » Ott.
Ets
119, LA caccia: l'inseguimento dei
fnggenti.
120, AD OGNI ALTRA: Al. A TUTTE Al-
TRE. - DISPARI: maggiore ; ne provai una
gioia di coi non ebbi mai l'aguale,
121, vonst: Al. LEvAI. Nella gioja di
vedere sconfitti e distrutti i miei concit-
tadini, goardal arditamente verso il cielo
gridamlo: Fa’ ora, o Dio, di me quanto
vuni, non temo più la tua ira; i miei
voti sono pieni e muoio contenta |
123. COMB FA : Al. coun Fr’; efr. BLANC,
Versuch IT, 40. - IL MERLO: « dice favo-
leggiando che il merlo al tempo della
nore sta molto stretto; come redo panto
di buon tempo dice: Non ti temo, Do-
mino, ch' nscito son dal verno; » Lan,
Così poro Ott., An. Fior,, Jenw,, Jtuti,
Land., coo.; cfr, Sacchetti, Nov, 140.
Tutti sino n iori intesero del merlo uc-
cello; cfr. Com. Lips. II, 230. Invece
Caverni: « merlo in Toscana valo nomo
poco accorto, doles e minchione; ed è
veramente poco provvido a’ fatti auoi,
benchè possa parero altrimenti, chi nella
calamità si umilia 6 poi nelle prosperità
insulta n Dio e agli uomini, come narra
di sà questa poco accorta Sapia » (7). Cfr.
Enciel., 1236 è sog.
124. LO sTuRMO: Al. L' kaTREMO.
125. NON BARKMbE: non avroi ancora
scontato una parte del mio debito Sn
condo penitenza in questo cerchio del
Purgatorio, ma, per nvere indugiato il
pentirmi sino allo stremo di mia vita,
mi ritroverei tnttora nell’ Antipurgato-
rio insiome cogli altri negligenti.
476 [GIRONE SECONDO) Pura. xm. 97-112
[SAPIA DA SIENA]
97 Questo mi parve per risposta udire
Più innanzi alquanto, che là dov’ io stava;
Ond’io mi feci ancor più JA sentire.
100 Tra l’altro vidi un'ombra cho aspettava
In vista; e se volesse alcun dir; « Come? »
Lo mento, a guisa d’ orbo, in su levava.
108 « Spirto, » diss’io, « che per salir ti dome,
Se tu se’ quegli che mi rispondesti,
Fammiti conto o per loco o per nome, »
100 « I’ fui sanese, » rispose, « e con questi
Altri rimondo qui la vita ria,
Lagrimando a colui, che aé ne presti.
100 Savia non fui, avvegna che Sapia
Fossi chiamata, e fui degli altrui danni
Più lieta assai, che di ventura mia;
112 E perché tu non credi ch'io t’ inganni,
08. PIÙ INNANZI: AI. PIÙ LÀ ALQUANTO.
00. Mi rici: alzai la voce per essere
udito a maggior distanza.
V. 100-129. Sapta du Siena. Una di
quelle ombre leva in su il mento a guisa
d'orbo, e, interrogata da Dante, gli ri-
sponde che fu Sapia e racconta della fe-
roce sua invidia. Fu essa una gentildon-
na di Siena di famiglia incerta, moglie,
come si crede, di Ghinibaldo Saracini
siguore di Castiglioncello presso Monte-
reggioni (Inf. XXXI, 41); Repetti1. 691.
Bass. 185 e seg. « Audivi, quod istu ma-
ledicta mulier erat ita infariata monte,
quod conceperat et pricdixerat se pre-
cipitaturam desperanter de fenestra si
senenses fuissent illa vice victorea; »
Benv. Invece Aquarone, D. in Siena,
127 e seg.: « Meno furse che negli astii
partigiani pare fosse una buona donna,
e unitamente al marito Ghinibaldo Sa-
racini aveva fatto costruire un ospizio
pe’ passeggieri, a Castiglioncello di Mon-
tereggioni, ch’ era di sua dominazione,
del qualo nel 1266 poneva la prima pie-
tra il Vescovo di Volterra, e che poi fu
privilegiato dal puntetice Clemente IV.
Morto il marito Ghinibaldo, i fratelli di
lui, Niccolò, Nuccio e Cino, nel 1269 ri-
nunciavano le loro ragioni su Castiglion
Ghinibaldi, e dopo la vittoria di Colle e
morto Provenzano, quasi fosse per esul-
tanza, d'accordo con donna Diambra,
Raniera e Baldena, eredi di Ghinibaldo,
casa cedeva quel castello alla repubblica
(1269), che v'inviava un giusdicente
sotto la dipendenza del podestà di Sie-
na, e riuniva all'amministrazione del
grande Ospedale della Scala anche l'ospi-
zio fondato da Sapia per i passeggieri. »
101. IN VISTA: all’ atto della faccia. - E
BE: ed a chi mi domandasse, a qual se-
gno mi accorsi cho aspettava, se aveva
gli occhi chiusi, rispondo che teneva le-
vato il mento in su, appunto come so-
gliono fare i ciechi che attendono.
103. TI voME: ti purghi, mortifican-
doti, per salire al ciclo.
105. CONTO: Al. NOTO; palesati a me,
dicendomi il nome della tua patria, o
il tuo.
107. riMoNDO : mi purifico dalle mie
colpe, pregando con lagrime’Iddio che
ne conceda la sua visione; che 6 la som-
ma beatitudine. Al. RIMENDO.
108. sÉ: « visio Dei per essentiam est
tota essentia beatitudinis: » Thom. Ag.
Sum. theol. I, 1, 4.
109. AVVEGNA: quautungne il mio no-
me (dal lat. sapere) suonasse Savia. « Al-
lude al nome, come a quel di Cane nel
primo doll’ inferno (1); e di Giovanna è
Felice nel XII del Paradiso. Tra i nomi
e le cose sentivano gli antichi armonia.
Così nel libro di Rath (I, 20) Noemi vuol
che la chiamino Mara perchè amareg-
giata; » Tom.
112. ChEDI: Al. CREDA. - T'INGANNI:
[GIRONE SECONDO]
Puro. xu. 140-152 [SAPIA DA SIENA] 479
Quassù tra noi, se giù ritornar credi? »
Ed io: « Costui ch'è meco, e non fa motto:
142 E vivo sono; e però mi richiedi,
Spirito eletto, se tu vuoi ch'io muova
Di là per te ancor li mortai piedi, »
145 « Oh, questa è ad udir sì cosa nuova, »
Rispose, « che gran segno è che Dio t'ami;
Però col prego tuo talor mi giova.
148 E chieggioti per quel che tu più brami,
Se mai calchi la terra di Toscana,
Che a’ miei propinqui tu ben mi rinfami,
151 Tu li vedrai tra quella gente vana
Che spera in Talamone, e perderàgli
abbia perduto nel cercare l'acqua della
Dinna
140. crt’: o nell'Antipurgatorio, o nel
primo balzo, avendo il Poeta detto di to-
mero la pena dei superbi. Bene. ed altri
intendono: al mondo dei viventi. Ma sin
qui Dante del sno ritorno al mondo di
qua non ha fatto un sol cenno, ed i vorsi
142 è seg. suppongono che Sapin non
anpesso ancora che Dante fosse in prima
rita.
lil. costui: Virgilio che è qui meco,
ma tace,
143, rLRTTO: a saliro quando che sia
alle beato genti; ofr. Inf. I, 118 è seg.
Purg. 1, 6. - MUOVA: ti procuri suffragi
dai viventi.
144. ren TR ANCOR: « Anche per tuo
servizio; » Betti.
145. on: Al. on. - QUESTA : che un vivo
vada per li regni delin morta gente è cosa
tanto insolita ad ndire, che dimostra una
grazia tutta speciale a te concednta da
Dio
147. rend: essendo tu così caro a Dio,
ti prego non solo di proonrarmi suffragi
dei viventi, ma di pregare tu stesso qual-
che volta per me.
148, ree QUEL: perlatuasaluto eterna.
149, caLCHI: 86 mai passi per la terra
toscana. Sapin sa soltanto che Dante è
ancor vivo è di terra latina, v. 92 6 sog.;
che è Fiorentino non sa,
150. MI KRINVAMI: mi ronda in buona
fama. « Sciebat ista domina infamiam
remansisse de se in patria de odio ma-
gno quod gesserat contra cives suos; »
152, TALAMONE: castello e porto sulla
costa moridionale della Toscana presso
Orbetello. I Senesi locomprarono nel 1303
« dall'Abate di San Salvatore, e costò
fiorini otto mila d'oro, e possedevinlo |
Conti di Santa Fiore, e per loro lo tene-
vano ;» Murat, Script. XV, 44; ofr, Cron.
Senesied. Maconi I, 60, « Nel quale porto
li Senesi hanno grande sporanen, cre-
dendo per quello divenire grandi nomini
di mare, forse come i Goenovosi è li Ve-
neziani; ma quello porto è poco nsato,
perchè non è in buono sito di mare, ed è
in fermo, sd è molto lungi da Siena, sic-
ché mercanzio non v'hanno corso ;» Buti,
11 fatto è, che in questi versi abbiamo
poco più che motti e frixzi fiorentini.
« Lo Stato che in quella età non voleva
essere nssorbito, bisognava ampliasse i
propri confini e ai astendesse; e Siena ri-
cinta n settentrione dal dominio fioren-
tino, e nlevante, sotto Montalcino, tro-
vandosi sempre a dover lottare con i Fio-
rentini medesimi, non aveva davanti a sò
ove si potesse ampliare se non lo Marem-
me, Viavera, è vero, a combattere con |
conti Aldobrandeschi, co' quali a lungo
ha combattuto; ma le ora pur venuto
fatto di potervisi allargare malgrado la
loro ostinata resistenza; e ne' mesi della
dimora di Dante in Siena(!), essa aveva
acquistato il porto di Talamone dal mo-
naci dell’Abbadia di San Salwatoro in
Montnminta.... E so dico il T'oeta la gente
vo Che spera in Talamone, gli è perchè il
sno viaggio ne’ tre Regni compiesi nel
1300, nel qual tempo i Sanesi tuttavia
speravano in quel possedimento; ma né
allora nà poi non si montaron mai la te-
sta da volervi costruite navi da guerra,
478 [arrone SECONDO] Pura. xis. 127-189
(CONFESS. DI DANTE
127 Se ciò non fosse che a memoria m’ebbe
Pier Pettinagno in sue sante orazioni,
A cui di me por enritate inerebhe.
130 Ma tu chi se’, ché nostre condizioni
Vai dimandando, e porti gli occhi sciolti,
Si come io credo, e spirando ragioni? »
133 « Gli occhi, » diss'io, « mi fieno ancor qui tolti;
Ma picciol tempo, ché poca è l’ offesa
Fatta per esser con invidia volti.
130 Troppa è più la paura, ond’ è sospesa
L’anima mia, dal tormento di sotto,
Che già lo incarco di laggiù mi pesa. »
139 Ed ella a me: « Chi t'ha dunque condotto
127. sa cid: se non mi avessero gio-
vato le preghiere di un sant'uomo; ofr.
Purg. IV, 133.
128, Pigk I'erTINAGNO ; da Campi, ca-
atello del Chianti, venne sin da fanciullo
a Siena o vi miso su bottega di pettini,
onde il suo soprannome. Murì it 6 dicem-
bro 1289 in odoro di santità. I Senesi lo
fecero tumulare iu un sepolcro eretto a
pubbliche spese e nel 1328 istituirono
un’ annua festa in onor suo; cfr. Tom-
masi, Stor. di Siena, II, 238. L'An. Fior.
racconta: « Pietro Pettinagno fece in Ca-
mollia di Siena una bottega di pettini,
ed egli fu cittadino sanese, e dicesi
ch’ egli andava a Pisa a comperare pet-
tini e coinperavagli a dozzina; poi che
gli avea comperati, egli se ne venia con
questi pettini in sul ponte vecchio di
Pisa, e sceglieva i pettini, e se niuno
n’avea che fosse fesso vu non buono egli
il gettava in Arno. Fugli detto più volte
perchè il pettine sia fesso e non così
buono, egli pur vale qualche denaro,
vendilo pur fosso; Piero rispondea: Io
non voglio che niuna persona abbia da
me mala mercatanzia. Quando vedeva
andare veruno colla famiglia dei Ret-
tori alla giustizia s'inginocchiava e di-
ceva: Iddio, landato sia tu, che m' hai
guardato da questo pericolo. E per que-
ati così fatti modi e simigliauti, i Sanesi,
che sono gente molto maravigliosa, di-
ceano ch' egli fu santo, e per santo il ri-
putarono ed adorarono. »
V. 180-138. Confessione di Dante.
Alla domanda di Sapia chi egli sia, che
chiede degli altri, Daute risponde con
un'umile confessione delle sue colpe. Ho
peccato anch'io d'invidia è dovrò a ano
tempo purgarmi qui; ma non a lungo,
non avendo io peccato molto in questo
riguanlo, Temo assai più la pena del pri-
mé cerchio, avendo peccato molto di su-
perbia, onde sono spaventato in modo,
che già parmi avoro sul dorso quoi gravi
pesi che laggiù si vanno portando.
131.scioLri: non cuciti. Lo argomenta
dalle parole di Dante, v. 85-93, 103-105,
che nun poteva supporre dette da-un
compagno di supplizio.
182. 8PIRANDO: « degli occhi se sciolti
sieno ne parla in dubbio, perchè non ve-
de; del ragionare spirando con asseve-
ranza certa l’afferima, perchè ci sente; »
Vent. ;
133. TOLTI: mi saranno cuciti come
a voi.
135. FATTA: l'offesa da me fatta a Dio
volgendo occhi invidiosi.
136. TROPYA: « Dante per lo suo sa-
pere fu alquanto presuntuoso e schifo 6
isdegnoeo, e quasi a guisa di filosofo inal
grazioso non sapea conversare co’ laici; »
Vill. IX, 136. Di euperbia accasano il
Poeta anche Zocc., Fil. Vill., Manetto, ecc.
La sua propria confessione rende super-
ilna ogni altra prova del fatto.
V.139-154. Ultime parole di Sapia.
Accertata che Dante è tuttora vivo, Sa-
pia lo prega di rimetterla in buona fama
presso i suoi propinqui, dicendo loro di
averla trovata in luogo di salvazione;
cfr. Purg. III, 117. Conchiude che i suoi
propinqui appartengono alla vana cit-
tadinanza senese (cfr. Inf. XXIX, 121
e seg.) che spera nel possesso di Tala-
mone e vi porderà più speranza che non
[GIRONE SECONDO]
Puro. xu. 140-152 [SAPIA DA SIENA] 479
Quassù tra noi, se giù ritornar credi? »
Ed io: « Costui ch'è meco, e non fa motto:
142 E vivo sono; e perd mi richiedi,
Spirito eletto, se tu vuoi ch’ io muova
Di la per te ancor li mortai piedi, »
145 « Oh, questa è ad udir sì cosa nuova, »
Rispose, « che gran segno è che Dio t'ami;
Però col prego tuo talor mi giova.
148 E chieggioti per quel che tu più brami,
Se mai calchi la terra di Toscana,
Che a’ miei propinqui tu ben mi rinfami.
161 Tu li vedrai tra quella gente vana
Che spera in Talamone, e perdoràgli
abbia perduto nel cercare l'acqua della
Diana,
140. ciù: o nell’ Antipurgatorio, o nel
primo balzo, avendo il Poeta detto di te-
mere la pena dei superbi. Rene. sd altri
intendono: al mondo dei viventi. Ma sin
qui Dante del suo ritorno al mondo di
qua non ha fatto nn sol cenno, ed i versi
142 e seg. suppongono che Sapia non
Rapesso ancora che Dante fosse in prima
vita,
141. costut: Virgilio che è qui meco,
ma tace,
143, RLETTO: a salire quando che ria
alle beate genti; ofr. Inf. I, 118 è sog.
Purg. I, 6. - Muova: ti procuri suffragi
dai viventi.
144, PER TH ANCOR: « Anche per tuo
servizio; » Betti.
145. om: Al, on, - QUESTA: che un vivo
vada per li rogni della morta gente è cosa
tanto insolita ad udire, che dimostra una
grazia tutta speciale a te concednta da
Dio,
147. rend: easondo tu così caro a Dio,
ti prego non solo di procorarmi suffragi
dei viventi, ma di pregare to stesso qual-
che volta per me.
148, Pee QUEL: perla tuasaloto eterna.
149, cALCM : se mai passi per la terra
toscana. Sapia sa soltanto che Dante 4
ancor vivo è di terra latina, v. 92 6 aeg.;
che è Fiorentino non sa.
160. MI RINFAMI: mi ronda in buona
fama. « Sciebat ista domina infamiam
remansisse de se in patria de odin ma-
sign gesserat contra cives suos; »
152, TALAMONE: castello e porto sulla
costa meridionale della Toscana presso
Orbetello, I Senesi lo comprarono nel 1303
« dall'Abate di San Salvatore, e costò
fiorini otto mila d'oro, e possedevanio |
Conti di Santa Fiore, e per loro lo tene-
vano;> Murat, Seript, XV, 44; ofr, Oron.
Senesied, Maconi I, 60, « Nel quale porto
li Senesi hanno grande speranza, ero-
dendo per quello divenire grandi vomini
ll mare, forso come | Genovesi è li Ve-
neziani; ma quello porto è poco usato,
porohè non è in buono sito di mare, ed è
in fermo, ed è molto longi da Siena, sio-
chè mercanzio non v'hanno corso ;» Buti.
11 fatto è, cho in questi versi abbiamo
poco più che motti e frizzi fiorentini.
« Lo Stato che in quella età non voleva
essere assorbito, bisognava ompliasse i
propri confini e ai estendesse; e Siena ri-
cinta n settentrione dal dominio fioren-
tino, e a levante, sotto Montalcino, tro-
vandosi sempre ndover lottare con ji Fio-
rentini medesimi, non avova davanti a sò
ove si potesse nmpliare sé non le Marem-
me, Viavera, è vero, a combattere con i
conti Aldobrandeschi, co' quali n longo
ha combattuto; ma le ora pur vennto
fatto di potervisi allargare malgrado la
loro ostinata resistenza ; 0 ne' mesi della
dimora di Dante in Siena(!), essa aveva
acquistato il porto di Talamone dai mo-
naci dell'Abbadin di San Salvatoro in
Montamiata..,. K se dico il Toota la gente
eves Che spera in Talamone, gli è perchè il
sno viaggio ne' tre Regni compleal nel
1300, nel qual tempo i Sanesi tuttavia
speravano in quel possedimento; ma né
allora né poi non si montaron mai la te-
sta da volerri costruite navi da guerra,
NE SECONDO] Pura, x1. 153-154
[BAPIA DA SIENA]
P ù di speranza che a trovar la Diana;
154 Ma iit vi metteranno gli ammiragli. »
onrmarvi flute, o nominarvi ammiragli.
Quel porto essi Mlestinavano al commer-
cio; è nell'anno iedesimo dell’ aequiato
vi furono navie è da Sicilia ventimila
moggia di sr conto della Signoria.
E gli stessi dai
grammi, rt al
(1366), trovandosi i ar
chiedevano a 5'=« i
di stabilire in ‘ =
commercio di 1°
Siena, 70 è avg 1
deri; elr. Inf. Praia Fd
153, Diana: fiume 6
credeva scorresso sotto
torio di Siena, a cercaro I que--
ant, dicono che al fecero apese
granili che inutili. Tn realtà :
che qui on frizzo fiorentino,
vora d'acqua, corcava di rima
regolare quante più sorgenti
vano, E l'ironia dei vicini 86 né 1ravora
beffe, come se i Senesi avessoro sperato
di trovare cosa impossibile; cfr. Aqua-
rone, |. c., 686seg. Itondoni, Tradiz. po-
pol., 49 e seg. Com. Lips. II, 234. Il Betti
vuol leggere Disperanza in luogo di Di
speranza, intendendo: « E questa cosa,
più disperata che già fosso quella di tro-
varo la Diana, li perdorà. »
154. VI MKTTERANNO: del loro, vi sca-
piteranno. Al. VI PERDERAKNO. Cfr. M00-
kE, Orit., 389. - AMMIRAGLI: < isti, quos
vocat hic admiralios, ut audivi a quodam
senensi viro magno autorista ot Dauti-
sta, erant quidam, qui volentes lucrari
conducebant a communi tot cannas vel
perticas ad cavandum pro certo pretio;
quorum aliqui consuntisunt ;» Benv. Che
per ammiragli Dante intonda appalta-
tori o impresari è pure opinione del Lan,,
Ott., Falso Boce., eco. I più prendono in-
vece ammiragli nel sonso proprio di co-
mandanti dell'armata navale, intenden-
romini che speravano di diventare
gli(Petr.Dant., Buti, Land., Vell.,
Fol., Vent., Lomb., ecc.), o di capi-
irettori del Invori del porto, che
io a Talamone per il cattivo aere
Cas.. Cost. Tom., Br. B., Frat.,
Vilal., Witte, Ozan., eco,), L'A qua-
2, 08:« Dando inquietudine n'Fio-
la persistenza con cui miravano i
illo maremmo, @ il loro disegno di
n porto di mare in Talamone: se
tini avean fatto quanto per casi
i ad impedirneli - è con le armi
, 8 per mezzo de'Conti Aldobran-
pure, oltre le nemi, avevano po-
roce presso il popolo anche l'epil-
Bien; © in tuono di scherno, in Fi-
reuze discorrevasi degli ammiragli che
uvrebboro comandate le fiotte Sanesi
nelle acque di ‘l'alamone: e il nuovo
scherno rincalzavano con altro antichis-
simo - che diceva di uomini perduti, e
di spesi danari per trovare l'acqua Dia-
na. Pare l'epigramma avesse attecchito
© fosse ripetuto quasi modo proverbiale
dal popolo fiorentino, chè Dante qui lo
riproduce appunto in quel modo. » Sarà;
ma quando i Senesi acquistarono Tala-
mone, quando i fatti avvenivano, Dante
non era da un pezzo più a Firenze, ud
faceva certo più conto dei frizzi fioreu-
tini. Avrebbe egli per avventura avuto
motivi personali di mettere Siena in de-
rislone f
n e ee _—
[GIRONE SECONDO]
Puro. xiv. 1-11
(pve sririti) 481
CANTO DECIMOQUARTO
————
GIRONE SECONDO:
INVIDIA
e —
GUIDO DEL DUCA E RINIER DA CALBOLI
LA ROMAGNA NEL MCCC, ESEMPI D'INVIDIA PUNITA
« Chi è costui che il nostro monte cerchia,
Prima che morte gli abbia dato il volo,
Ed apre gli occhi a sua voglia e coperchia? »
4 « Non so chi sia; ma so ch'ei non è solo:
Domandal tu che più gli t’avvicini,
E dolcemente, si che parli, accdlo. »
7 Cosi due spirti, l'uno all’altro chini,
Ragionavan di me ivi a man dritta,
Poi fér li visi, per dirmi, supini;
10 E disse l'uno: « O anima, che fitta
Nel corpo ancora, in vér lo ciel ten vai,
V. 1-9, Colloquio di due spirità di
Romagna. Due spiriti che in segnito di-
ranno chi sono, avendo udito le parole:
Etvivo sono, dette da Dante a Sapia (Purg.
XIII, 142), dimandano meravigliati l'ono
all'altro chi quel vivo sia, e si socitano
ricendevolmento a chiederne Ini stesso.
1. cerchia: gira intorno; cfr. Purg.
II, 4; XXII, 93.
2.DATO IL VOLO: sciogliendo l'anima sua
dai legami del corpo; cfr. Conv. IV, 28.
8. corercnia: chinde; non ha gli oo-
chi cuciti come le anime di questo cor-
chio. Lo hanno udito dire da Dante stes-
80; ofr. Purg. XIII, 133.
4, soLo : eft, Purg. XIIT, 141.
6. GLI T'AVVICINI: gli sel più vicino.
6. accOLO: ncooglilo ; ofr. Inf. XVIII,
18, Fagli cortese accoglienza, sì ch'egli
s'indnca a parlare, Così i più (Ott., An.
Fior., Benv., Dan., Vent., Lomb., ecc.).
Al. leggono A 0010, spiegando : sì ch'egli
parli a perfezione (Postill., Cass., Petr.
31. — Div. Comm., 3% ediz.
Dant., Buti, Land., eco.); oppure: paril
amorevolmente (Vell., s00.); od anche:
parli con riverenza (Dol., eco.). Ma non
ai trovano esempi di a colo usato in que-
sti sensi. Cfr, Nannuo. Verbi, 44 © sog.
789 o sog. Perticari, Dif. di Dante, II, 27.
La forma acedlo deriva forse dall' antico
accollere, oquesto dal prov. acuelhir = ao-
cogliere, Cfr. Voc. Orus, Gross., 14 n.
9. rin: alzarono i visi per parlarmi;
ofr. Purg. XITI, 102.
V. 10-24, Domanda e risposta,L'uno
dei dne, Guido del Duca (v. 81), rivolgo
In parola a Dante, pregandolo di dir loro
d'onde venga e chi egli sia. Dante non
risponde che alla prima domanda, dicen-
do che viene dalla valle dell'Arno che egli
circoscrive. Inquanto alla seconda do-
manda risponde umilmente, essere su-
perfluo il nominarsi, il suo nome essendo
ancorh Oscuro,
10. FiTrA: rinchiusa, confinata; cfr.
Purg. II, 80.
(GIRONE SECONDO] Pura. xy. 12-26
: [DUE SPIRITI]
Per carità ne consola e ne ditta
13 Onde vieni, e chi sei; ché tu ne fai
Tanto maravigliar della tua grazia,
Quanto vuol cosa che non fu più mai. »
10 Ed io: « Per mezza Toscana si spazia
Un fiumicel che nasce in Falterona,
È cento miglia di corso nol sazia.
10 Di sovr'esso rech'io questa persona;
Dirvi ch'io sia, saria parlare indarno,
Ché il nome mio ancor molto non suona. »
23 « Se ben lo intendimento tuo accarno
Con lo intelletto, » allora mi rispose
Quei che diceva pria, « tu parli d'Arno, »
25 E l’altro disse a lui: « Perché nascose
Questi il vocabol di quella riviera,
12. Nk prrra: no di', Dittare per dire
usò pure Petrar., Cunz. XII (28), 0.
15. VUOL: richiede. La grazia a te con-
cessa da Dio, di andar vivo per lo regno
de' morti, ci fa maravigliare come l' uom
si waraviglia di cosa non mai udita; cfr.
Purg. VIII, 66 o sog.; XIII, 145 © seg.
10. VK MKZZA: Al. l'kk MKZZO, - SI
BLAZIA: corro, si distondo o dilata, « po-
rocchò non va a dritta linea; » Olt. -
« Questa provincia di Toscana ha più fu-
mi: intra gli altri reale o maggiore si è
il nostro fiume d'Arno il quale nasce di
quella medosima montagna di Fulterona
cho nasco il tlumo dol 'l'overo cho vu a
Jtoina; © questo fiume d'Arno corre quasi
per lo mezzo di ‘l'oscana, scendondo per
le montagne della Vernia, ove il beato
santo Francesco fece sua penitenzia e ro-
mitaggio, e poi passa por la contrada di
Casentino presso a Bibbicna © a pid di
Poppi, © poi si rivolge verso levante ve-
guendo presso alla città «d'Arezzo a tre
miglia, è poi corre per lo nostro Valdarno
di sopra, scondendo per lo nostro piano,
6 quasi passa per lo mezzo della nostra
città di Fironzo. E poi uscito por corso
dol nostro piano, passa tra Montelupo e
Capraia presso a Empoli por la contrada
di Greti e di Valdarno di sotto a pid di
Facecchio, e poi per la contrada di Lucca
e di Pisa, raccogliendo in sè molti fiumi,
passando poi quasi per mezzo la città di
Pisa ove assai è grosso, sicchè porta ga-
lee e grossi legni; e presso di Pisa a cin-
i
que miglia mette in mare, è "1 auo corso
è di spazio di miglia conto venti; » Vill,
I, 43.
17. FIUMICKL: chiama cos) I’ Arno o
perchè non è navigabile (Benv.), o perchè
mira al suo principio, dove è un fiumicello
(Dan., Vent., Lomb., 600.).- FALTERONA:
uno dei più alti gioghi dell’ A ppennino to-
acano, tra la Toscana ela Romagna, allo
cui falde ha la sua fonte l'Arno; cfr. Lo-
ria, L'Italia nella D. O. 1°, 229. Conv.
IV, 11. Beni, Quida illustrata del Ca-
sentino, Fir., 1889, p. 180 e seg. Bass.,
29 e seg.
18. NOL SAZIA: non gli bastano ; Îl sing.
sazia concorda col corso.
10. DI sOVK’ Kk880 : di un luogo sovra ad
esso fiumo.
21. NON SUONA: nel 1800, epoca fittizia
della visione, Dante nun era noto che co-
mo pocta lirico. Quell'ancor nasconde la
sua fama posteriore. « Nam neque adhuc
vario videor nec dicere Cinna Digna, sed
argutos inter strepere anser olores; >
Virg. Eclog. 1X, 35 © sog.
V. 25-57. Il Valdarno. Rinier da
Calboli si maraviglia che Dante abbia
indicato l'Arno con una perifrasi taceu-
done il nome, quasi fosse cosa infame, e
ne chiode ragione al compagno. Guido
risponde, che ii nome di quella valle è
veramente degno di perire, essendo essa
popolata di gente trista, aliena da ogui
virtù.
26.IL VOCABOL: il nome del fiume Arno.
[GIRONE SECONDO]
Puro. xiv. 27-39
[VALDARNO] 483
Pur com’uom fa dell’ orribili cose? »
28 E l’ombra, che di ciò dimandata era,
Si sdebitò così: « Non so, ma degno
Ben è che il nome di tal valle pèra:
31 Ché dal principio suo, dov’ è sì pregno
L'alpestro monte, ond’é tronco Peloro,
Che in pochi lochi passa oltra quel segno,
34 Infin JA’ve si rende per ristoro
Di quel che il ciel della marina asciuga,
Ond’ hanno i fiumi cid che va con loro,
37 Virtù così per nimica si fuga
Da tutti, come biscia, o per sventura
Del loco o per mal uso che li fruga;
27. ORRIBILI: « poichè la mala condizio-
ne di questa popolare opinione è narrata,
aubitamente, quasi come cosa orribile,
quella peronote fuori di tutto l'ordine
della reprovazione; » Conv. IV, 7.
29. ar SDRBITÒ: pagò il debito della ri-
sposta. « Qui edebitarsi snona amaro;
come se le inginrie che seguono fossero
debite n Toscana tutta; » Tom.
20, rEnA: porisen; « Memoria illina po-
reat de terra, et non colebretur nomen
eius in plateia; » Giobbe XVIII, 17. « Pe-
riit memoria eornm cum sonitu; » Sal.
1X, 7; « Vultus Domini super farientes
mala: ut perdat de terra memoriam eo-
rum; » ibid. XX XIII, 17. «Questa forte
espressione non si dee git prendere quasi
che desideri Dante la rninn della patria ;
ma bensì come nn lampo di eloquenza
demostenica diretto n far nscire la ne-
Ehittosa del fango; » Gioberti.
31. DAL PRINCITIO : dalla sorgente del-
l'Arno alla sun foce, - PRRONO : grosso,
pancinto, la Falterona essendo uno dei
principali centri orografici dell'Appen-
nino, dalla quale si diramano molte ca-
tene recondarie. Così Cnss., Antonelli,
Uam., sce, Al.: alto, elevato ; cfr. Lucan.
Phare, 11, 304 0 seg. (Petr. Dant., Benv.,
Buti, Land., Vell., e00.). Ma moltissimi
monti dell'Appennino sono più alti della
Falterona. Al.: ricco di neque ; cfr. Purg.
V, 118. Par. X, 68 (Land., Dan., Lomb.,
Filal., Bl., Witte, ece.). Ma la Falteronn
non è ricca di acque.
32. MONTE: l'Appennino, dal quale è
tronco, cioò staccato Peloro, oggi capo
del Faro, nell'estromità della Sicilia di
fronte alla Calabria. Geologienmente |
monti della Sicilin sono una continna-
zione dell'Appennino, Dante si esprime
conforme la tradizione che anticamente
la Sicilia fosso congiunta coll'Italia, «Tee
loca vi quoniddam ot vasta convulsa ruina
(Tantum mvilonginqua valet mutare ve-
tnstns) Dissiltisse fernnt, com protinns
ntraque tellua Una foret; venit medio vi
pontns ot nndis Hesperinm Siculo latus
abacidit arvaque et urbes Litorediductas
angusto interlnit mata; » Virg. Aen. III,
414 6 seg. « Et postquam gemino tellus
elian profindo est Extremi colles Sienlo
cessero Peloto; » Lucan, Phars. II, 437
® seg.
33. Passa: in pochi Inoghi l'Appen-
nino è più grosso, ha una dilatazione
maggiore.
34. BI RENDE: «per dire somplicemente
infino al mare, il Poota espone in questa
terzina la magnifica teoria, o moglio lo
atnpendo fatto, che il cielo, mediante il
calore che ci comparte specialmente col
sole, fa evaporare le acque dei mari; i
vapori acqnei ricadono in pioggia, le
pioggie mimentano | fiumi, o porgono
loro l'acqua, la quale è ciò che va con
ossi; e questi infine la rendono al mare
per ristoro delle perdite fatte da loi con
la evaporazione; » Antonelli.
87. 81 FUGA: si disonocia, motte in fuga
come nemica, « Virtutem incolomem odi-
mns;* Morat, Od, TIT, 24, Al,
a8. ren BVEXTURA: 0 porehd fl luogo
stesso dispono gli nomini al mal operare,
o forse porchò gli vomini hanno con-
tratto l'abito del male.
a0. FRUGA : sprona, ecoita; ofr, Purg.
XV, 137; XVIII, 4.
484 [GIRONE SECONDO] Puro. xiv. 40-54
[VALDARNO]
40 Ond' hanno sì mutata lor natura
Gli abitator’ della misera valle,
Che par che Circe gli avosse in pastura.
43 Tra brutti porci, più degni di galle,
Che d’altro cibo fatto in uman nso,
Dirizza prima il suo povero calle.
40 Botoli trova poi, venendo giuso,
Ringhiosi più che non chiede lor possa,
Ed a lor, disdegnosa, torce il muso,
49 Vaasi cadendo, e, quanto ella più ingrossa,
Tanto più trova di can farsi lupi
La maladetta e sventurata fossa.
62 Discesa poi per più pelaghi cupi,
Trova le volpi, sì piene di froda
Che non temono ingegno che le occùpi.
40. 0xD': o per l' una o per l'altra delle
due dette cagioni.
42, Cincr: la famosa maga che tramu-
tava gli uomini in bruti; cfr. Inf. XXVI,
01. Hom. Odys. X, 466 e seg. « Quos
hominum ex facie dea smva potentibus
herbis Induerat Circe in vultus ac terga
ferarom; » Virg. Aen. VII, 19 © seg.
43. TRA BRUTTI: l'Arno volge dapprima
il suo corso tra gli abitanti dell’ alto Ca-
sentino, finchè tra Porciano o Romena la
sua vallo va dilatandosi in un dulce pon-
dio. - PORCI : o intende degli abitatori del
Casentino in genere, oppure dei conti
Guidi da Romena, denominati di Por-
ciano (cfr. Inf. XXX, 76 e sog.), feuda-
tari del Casentino; cfr. Com. Lips. II,
241. - GALLE: ghiande.
45. POVERO: scarso di acque. Così tut-
ti, tranne il Gioberti il quale crede « che
Dante chiami povero il calle di questo tiu-
ine con bel traslato morale, rispetto alla
misera valle per cui trascorre.
46. BOTOLI: « Botoli sono caui piccoli da
abbaiare più che da altro; » Buti. Dante
dà questo nome sprogevole agli A retini
« perchè hanno maggiore l'animo che
non si richiodse alle forzo loro; ot ancora
porchd è scolpito nel sogno loro: A cano
non magno swpe tenetur Aper;» An.
Fior. « Aretini possunt appellari canes
alio respectu, scilicet proptor eloquon-
tiam et sagacitatem, sicut Mercurius pin-
gebatur olim in specie canis; » Benv. (1).
47. RINGUIOSI: rissosi più clio le luro
forzo non consiglierobbero loro.
48. DISDEGNOSA : la detta riviera, v. 24,
cioè l'Arno, che «juxta Aretium doflectit
nd orientem, et recedit ab Aretio fotre
per tria milliaria, ita quod videtur ad
modum indiguantis dicere: nolo ad te
venire; » Benv.
40. VASSI CADENDO: così quasi tutti i
com. ed edit. Ma il Betti: « Scommetterei
un occhio che qui Dante ha scritto va
si caggendo. » ~ INGROSSA : per i fiumi che
man mano va in sè ricevendo.
50. TANTO: quanto più l'Arno ingrossa
e tanto più trova matata la natura degli
abitanti, che di caui diventano lupi. I
lupi sono i Fiorentini « li quali come
lupi affamati intendono a l'avarizia et
all acqaiato per ogni modo di violonzia,
rubando o sottomettendo l' uno l'altro li
loro vicini; » Buti. « Eleggi omai, se la
fraterna pace Fa più per te, o'! star Japa
rapace; » Canz. O patria, degna, ecc. IV,
14 e sog.
51. FOSSA: il letto dell'Arno; qui per
disprezzo il fiume stesso.
52. L'KLAGHI Curt: gorghi profondi.
53. VOLVI: i Pisani «li quali sono uo-
mini viziosi e fraudolenti e ingannatori; »
Lan. « Assimiglia li Pisant a lo volpi per
lu malizia; imperò cho li Pisani sono
astuti, e con l'astuzia più che con la
forza si rimodiano dui loro vicini; » Buti.
Cfr. Sforza, D. e i Pisani, 37 © seg.
64. NON TKMONO: maestri d’ inganni e
di frodi, non temono quanti mezzi ed ar-
gomenti dolla mento possano adoperarsi
da altri a pigliarli nella trappola. « In-
[GIRONE SECONDO]
Pura. xiv. 55-64 [FULCIERI DA CALA.) 485
55 Né lascerò di dir, perch’ altri m’oda;
E buon sarà a costui, se ancor s’ammenta
Di ciò, che vero spirto mi disnoda.
58 Io veggio tuo nipote, che diventa
Cacciator di quei lupi, in su la riva
Del fiero fiume, e tutti gli sgomenta.
61 Vende la carne loro, essendo viva;
Poscia gli ancide come antica belva:
Molti di vita, e sé di pregio priva.
64 Sanguinoso esce della trista selva;
gegno sta qui per ordigno... Danqno
Danto dico coal: Trova le volpi (clod |
Pirani) sì plone di froda, cho non tomo-
no di essore preso n nessuna tagliuola.
Così occupi sta nol suo vero significa-
to; > Betti.
55, ALTRI: Dante (Lan., Benv., Buti,
Dan., Vent., Filal., eco.); Rinier da Cal-
boli (An. Fior., Pogg., occ.); Dante è Vir-
gilio (Lomb,, Br. B., Andr., ecc.). Fa-
cendo delle tre interpretazioni una sola,
al avrà por avventora la vera.
56. A COSTUI: n Dante. - B'AMMENTA:
si rammenta, si ricorda; Int. ad mens. Il
ricordarsi di quanto lo Spirito della ve-
rità mi dienoda, cioè mi rivela, gioverà a
costni n diminnire la nun sorpresa ed il
suo dolore quando le coso avverranno,
come puro a guardarsi da tno nipote.
V.58-72. Fulcieri da Calroli o Cal-
bolt, Gnido predice le enormità che sta
per commettere il nipote del suo compa-
gno, onde questi resta Assai addolorato.
Di Fulcieri, podestà di Modena nel 1306
(efr. Murat. Soript. XV, 668), il Vill. VIII,
69, racconta: « Nel dotto anno 1302, es-
sendo fatto podestà di Firenze Folcieri da
Calvoli di Romagna, uomo feroce 6 cru-
dele, n posta de' caporali di parte nera, i
quali vivoano in grande gelosia, perchè
sentivano molto possente in Firenze la
parte bianca e ghibellina, e gli naciti scri-
veano tatto di, o trattavano con quelli
ch'erano loro amici rimaati in Firenze, il
detto Folcieri foco subitamente pigliare
certi cittadini di parte bianca e ghibel-
Tina; of furono mossor Motto Ghornrilini,
© Masino de' Cavalcanti, e Donato 6 Teg-
ghia suo fratello de' Finignerra da Sam-
martino, e Noccio Coderini de' Galigai, il
era quasi uno mentecatto, e Ti-
fle’ Mncci, e a petizione di messer
Moselatto Franzest, ch’ ora de’ signori
della terra, vollero osser presi corti ca-
porali «di cnan gli Abati snoi nimicl, |
quali sontondo cid, al Inggiro o partiro di
Firenze, e inal poi non né furono citta-
dini: è ono massaio delle Calze fu de' pre-
si, opponendo loro che trattavano tradi-
mento nellacittà co' bianchi usciti, o colpa
o non colpa, per martorio gli fece con-
fossaro che doveano tradire la terra, e
dare certe porte a’ bianchi e ghibellini ;
ma il detto Tignoso de' Macci per gra-
verza di carni morì in su la colla, Tutti
gli altri sopradetti presi gli gindicd, e
fece loro tagliare le teste, e tutti quelli di
casa gli Abati condannare per ribelli, e di-
afare i loro beni, onde grande turbazione
n' obbe In città, e poi ne segni molti mali
o scandali.» Vedi pore De. Luxeo, Dino
Comp. 1, 821 0 nog.
58. mrork: secondo gli uni figlio d' on
figlinolo (Lan., Ott., ecc.), secondo altri
d'un fratello di Ranieri (An. Fior., Bal-
bo, sc0.).
50. CACCIATOR: persecutor de" Fioren-
tini, detti di sopra lupi, vw. 50.
60. FIUMR: Arno, - SGOMENTA: atter-
risco, spaventa,
61. venDE: docile strumento alle von-
flette della parto Nera, Fulcieri ebbe dn
loro, in compenso delle gravi condanne,
la riconferma nell'ufficio per altri sei mesi.
62. ANCIDE: nocide, « Come fa l'antica
bestia, che entra no la mandra, strozzn
or l'nno or l'altro dei castroni, così fece
questo messer Fulcleri dei Fiorentini, es-
sondo già antico; » Muti, Così pure Ott.,
Petr. Dant., nen, Al: gli tecido nomo al
neelle vecchin beatin da macollo (An.
Fior., Post., Casa., Rene., Land., Vent.,
Lomb., Biag., ecc.), « Quasi bos ductus
ad victimam;» Prov. VII, 22.
63. rniva: rondo sò stesso infame,
64. RANOUINOSO: como antica belva do-
486 [GIRONE SECONDO] Pura. xiv. 65-85 [GUIDO DEL DUCA]
Lasciala tal, che di qui a mill'anni
Nello stato primaio non si rinselva. »
07 Come all'annunzio de’ dogliosi danni
Si turba il viso di colni che ascolta,
Da qualche parte il periglio lo assanni;
70 Così vid’ io l'altr’ anima, che volta
Stava ad udir, turbarsi e farsi trista,
Poi ch’ ebbe la parola a sé raccolta.
73 Lo dir dell’ una, e dell’ altra la vista
Mi fe’ voglioso di saper lor nomi,
E domanda ne fei con preghi mista;
76 Per che lo spirto, che di pria parlémi,
Ricominciò: « Tu vuoi ch’ io mi deduca
Nel fare a te ciò che tu far non vuòmi;
79 Ma da che Dio in te vuol che traluca
Tanta sua grazia, non ti sarò scarso;
Però sappi ch'io son Guido del Duca,
82 Fu il sangue mio d'invidia sì riarso,
Che, se veduto avessi uom farsi lieto,
Visto m' avresti di livore sparso.
85 Di mia semenza cotal paglia mieto:
po il pasto. - sgLVa: Firenze. Fulcieri
lascia il suo uflicio e Firenze colle mani
ancora tinte nel sangue cittadino.
65. TAL: sì disfatta e gnasta. Le orri-
bili persecuzioni di Fulcieri resero quasi
impossibile la riconciliazione doi Bianchi
coi Neri.
66. RINSELVA : non torna nol floridu suo
stato primiero.
67. DOGLIOSI: avvenimenti per lui do-
loroai. Al. pk’ FUTURI DANNI.
69. DA QUALCHE: da qualunque parte
il pericolo gli sovrasti. - LO ASSANNI: lo
addenti.
70. L'ALTR'ANIMA: M. Rinieri.
72. RACCOLTA : compresa la profezia di
Guido e riflettutovi sopra. « Accipe nuno
Danaum insidias; » Virg. Aen. II, 65.
V. 73-87. Guido del Duca. All'udire
l'infausto vaticinio dell'uno, al vedere
il profondo rattristamento dell'altro,
Dante desidera di sapere chi siano quei
due spiriti e ne fa loro domanda con pre-
ghiera. Colui che ha parlato sin qui, ri-
sponde che è Guido del Duca, aggiun-
gendo la confessione della sua eccessiva
invidia. Di Guido del Duca si hanno
> ___
scarse notizie, ed anche i comm. ant.
non ne sanno nulla. È ricordato in un do-
cumento del 12 giugno 1202 per un giu-
ramento fatto in castro Brettenorii. Fi-
glio di Giovanni degli Onesti da Ravenna,
lasciò nol 1218 Brettinoro, dovo era an-
dato a star col padre, e ritornò col figlio
6 colla famiglia a Ravonnu. Nel 1229 vi-
veva di nuovo a Brettinoro. Cfr. Metro
Amaducci, Quido del Duca, Forlì, 1890.
77. DELUCA : condiscenda. Confr. In.
XXXII, 6. Lomb., Belli, eco. ai avvisano
che dedurst valga in questo luogo ab-
bassarsi, umiliarsi o simili. Senso: Tu
non vuoi manifestarci il tuo nome e de-
sideri che m’indaca a rivelarti il mio!
Ma avendoti Dio concesso tanta grazia,
sì che vivo percorri le regioni dell'eter-
nità, non vo' esserti avaro di risposta.
82. RIAKSO: « Putredo ossium, invi-
dia;» Prov. XIV, 30. Secondo S. Ba-
silio (Opp. I, 882) l'invidia corrode l'ani-
ma come la ruggiue il ferro. Horat. Ap.
I, 2, 57 e scg.: « Invidus alterius ma-
crescit rebus opimis: Invidia Siculi non
invenere tyranni Maius tormentum. »
85. SKMKNZA: mieto ciò che ho semi-
[GIRONE SECONDO]
Pure, xiv. 86-97
[ROMAGNA] 487
O gente umana, perché poni il core
Là v'è mestier di consorto divieto?
CE Questi è Rinier, quest’ è il pregio e l'onore
Della casa da Calboli, ove nullo
Fatto s’ è rada poi del suo valore.
91 E non pur lo suo sangue è fatto brullo,
Tra il Po e il monte e la marina e il Reno,
Del ben richiesto al vero ed al trastullo;
D Ché dentro a questi termini è ripieno
Di venenosi sterpi, si che tardi
Per coltivare omai verrebber meno,
97 Ov’ è il buon Lizio ed Arrigo Manardi,
nato, « Qum enim seminaverit homo,
ho et melet; a Galnt. VI, 8.
BT. LÀ: nei beni terrestri, - DIVIKTO :
esclusione di compagno ; cfr. Purg. XV,
di o nog. BLanc, Versuch II, 51 © seg.
BanLow, Contrib., 232. Com. Lips. II,
240 © sog.
V. 88-90. Itinier da Calboll. Rive
lato 11 proprio, Gnido rivela pure il nome
del compagno. È Rinieri dei Paolucci da
Calboll di Forlì, di nobilo famiglia gnolfa,
nomo di costumi gontili e valoroso, pro-
gio ed onore della sun casa, le oni virtit
nessuno de' suoi discendenti ha ereditate.
Rinieri fo podestà di Parma nel 1252 (ofr.
Murat, Script. IX, 770). Mori nel 1295,
« interfectos a Iohanne fratre sins cum
intrasset Forlivinm cum multis raven-
natibua et nriminensibua; » Bene, Cfr.
Viti., Cron, VIII, 69,
DO. neDA : Al. eREDR:; ofr, Inf. XXXI,
116, — Por: dopo la sua morte; cfr. Purg.
VII, 121 è seg.
V. O1-126. La Romagna nel 1300.
Continnando, Guido deplora che tutta In
, e non solo la casa dei signori
di Calboll, siasi apogliata dello virti ci-
viliecavalleresche e sia ripiena di uomini
viziosi. La memoria dei tempi, degli uo-
mini e dol costumi antichi lo Intenorisce
sino alle lagrime.
ND. BANGUR: discondonti. - IRULTO:
apogiiain, nodo; ofe. Inf. XVI, 30;
XXXIV, N0,
02. monte: l'Appennino. Ai templ di
Dante la Romagna era confinata a set-
tentrione dal Po, n mezzodì dall'Appen-
nino, n levante dal Mare Adriatico ed a
ponente dal fiume Reno.
03. pet. wen : delle virtù civili e cavalle-
resche, Al, Del bene dell'anima e dei beni
del corpo + (Benv., eco.). AI. Dell'onestà
6 del diletto (Buti, so0.). Al. Di scienza 6
di costumatezza (Dan., Lomb., ece.). Al.
Della scienza è dolla letteratura (Biag.,
Cost., Giob., ecc.). Al. Dello studio e della
gentilezza do’ costumi (Pol.). - TRASTUL-
LO: cfr. v, 100-111; questa voce antica-
mento non significava soltanto vano dl-
lotto; ofr. Par, 1X, 76.
Di. TRRMINI: confini della Romagna. -
fi urrigno: sobtintendi il pnoso,
05, stERrI: gente di pessimi costumi ;
efr. Inf. XIII, 7.
06. FER COLTIVARE: per quanto vi si
lavorasse sarebbe difficile tl poterti estir-
pare.
07. Lizio: da Valbona, largo e onriale
nomo o di grande cortesia (Lan.), signore
di Ravenna (An. Fior.) 6 « cavaliere cor-
tese, che per fare on «desinare in Forlì,
mezza la coltre del zendado vondé ses-
santa fiorini; » Ott, « Semel respondit
certis nuntiantibns ei cum timore, quod
quidam sous filina non ita probas, nt
debabat, erat mortous: Non est mihi
nevom hoc, ex qual nomquam vixit,
sed dicatis pro novo quod sepultua sit; »
Petr. Dant, - Artico MANARDI; o Mal-
nardi, della famiglia dei signori di Bret-
tinoro, « savio, largo e prudentissima
persona; Lan, « Cavaliere pieno di cor-
taria 0 d'onoro, volentieri miso tavola,
dent rebo 0 cavalli, progiò li valontuo-
mini, o ann vita fi date n larghoszn cd
n bello vivero; » Ott. Fu intimo amico
di Guido del Daca, morto il quale « sic-
cari fecit lignum ubi eum dicto Guidone
consuevorat sedere, allegando ibi simi-
lem non habero;» Petr. Dant. o Bene.
488 [GIRONE SECONDO) Puro. Xiv. 98-107
[ROMAGNA]
Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
O romagnoli tornati in bastardi !
100 Quando in Bologna un Fabbro si rallegra?
(Quando in Faonza nn Bornardin di losco,
Verga gentil di picciola gramigna?
108 Non ti maravigliar, s’io piango, tòsco,
Quando rimembro con Guido da Prata
Ugolin d’ Azzo che vivette nosco,
106 Federigo Tignoso e sua brigata,
La casa Traversara e gli Anastagi
08. Pien Travkrsano: signor di Ra-
vonna, florì ai tempi di Foderigo II im-
peratore, fu superato dai Polentani e ri-
parò in Toscana, dove visse triste ed
esule. Cfr. Com. Lips, 11, 248.8 seg. Iicci,
Tuifugio, 4, 9, 118, 121, 138. - Guipo DI
Carriana : figlio di Ranieri de’ conti del
Miratolo di Carpègna, fiorì nella prima
metà del sec. XIII, Lodato dai commen-
tatori antichi per liberalità ed altezza
d'animo.
00. TORNATI: tralignati dallo antiche
virtù © fatti malvagi e codardi. « Tor-
nati è qui per mutati, caugiati, voltati,
dal tourner francese. Così il Boccaccio
nella canzone in fine della nov. 10, giorn.
VIII, dice: Che se ’l fosse sentito - Tor-
neria un tormento. Vedi Bocc., Teseide
IV, 15; » Betti.
100. UN Faburo: quando mai rina-
scerà in Bologna un Fabbro? Probabil-
mente intendedi Fabio Lambertacci, che
nella spedizione fatta dai Bulognesi con-
tro i Modenesi nol 1228 avova cura del
Carroccio, e che fu forse quello stesso
« Fabro da Bologna » che fu podestà di
Pisa nol 1254 e 1257; cfr. Murat. Script.
XXIV, 644 e seg. Coin. Lips. II, 249 ©
seg. <« Iste fait nobilis miles de Lamber-
tacciis de Bononia, vir sapiens et magui
consilii; et est hic Faber nomen pro-
prium; » Benv. Morì nol 1209; cfr. Goz-
zadini, Torri gentil., 328 o seg.
101. QUANDO: quando mai risurgerà in
Faenza un cittadino come Bernardin di
Fosco, uomo valente, benchè d' ignobile
lignaggio? Probabilmente questi ò < mes-
sere Bernardo da Faonza, » podostà di
Pisa nel 1249 (ofr. Murat. Script. XXIV,
644). Icomm. ant. lo dicono nato di bassa
condizione, e, divenuto ricchissimo, assai
gentile e liberale.
104. Guipo va Prata: della terra di
Prata o Prada, nol Faentino, amicissimo
di Ugolino d'Azzo, «il quale assieme con
Ugolino di basso luogo nato si trasse n
grande orrevolezza di vivero, ed abban-
donato Il luogo di sua nativitade, con-
versò continuo con li predetti nobili; »
Ott. Cfr, Ferraz. V, 397 e sog.
105. Deon D'Azzo : della famiglia to-
scana degli Ubaldini, morto nel 1293;
ofr, Ferraz. V, 306 è sog. - NOSCO: con
noi. Ugolino visso per lo più ne’ anol ca-
stolli in Romagna. Al. vosco, Ma Guido
non parla cho della sua Romagna.
106. FkbkrkiGo Tianoso: da Rimini
(Lan., Ott., An. Fior., Benv., Buti,
Land., Vell., Dan., ecc.), o di Longino
(cfr. Adamo Brigidi. Fed. Tignoso e la
sua brigata, Rimini, 1854). « Fu da RI-
mino, valente uomo; ma sua vita fu in
Brettinoro; il più fuggì la città quanto
potette, siccome nemica dei gentili uo-
mini: e quando in lei stette, la sua ta-
vola fu come bandita; » Ott. La sua casa
« orat domicilium liberalitatis, nulli hono-
sto clausa; conversabatur honeste cum
omnibus bonis.... Habebat pulcerrimum
caput capillorum flavorum; ideo per an-
tiphrasim sio dictus ost; » Benv.
107. LA CASA: i Traversari e gli Ana-
stagi furono delle principalissime fami-
glie di Ravenna. « Molti cronisti parlano
dei Traversari che pretendevano risalire
alsecolo V, famiglia principesca che sposò
sue donne a sovruni; molte storie e no-
vellieri ricordano Pietro, o diversi poeti
provenzali cantano lo lodi d’ Imilia sua
moglie; molte storie e novellieri ricor-
dano infino gli Anastagi che appaiono
nel sec. XII. Quando Dante andò a Ra-
venna, la famiglia Anastagi era spenta
da buon tempo e di quella dei Traver-
sari non rimanevano più che alcune fem-
mine ;» Zicci, Lifugio, 121 e seg. Cfr.
[GIRONE SECONDO]
Puro, x1v. 108-124
[ROMAGNA] 489
(E l'una gente e l'altra è diredata),
109 Le donne e i cavalier’, gli affanni e gli agi,
Che ne invogliava amore e cortesia,
Là dove i cor’ son fatti sì malvagi.
112 O Brettinoro, ché non fuggi via,
Poiché gita se n'è la tua famiglia,
E molta gente per non esser ria?
115 Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia,
E mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
Che di figliar tai conti più s’impiglia.
118 Ben faranno i Pagan’, dacché il demonio
Lor sen girà; ma non però che puro
Giammai rimanga d’ essi testimonio.
121 O Ugolin de’ Fantolin, sicuro
È il nome tuo, da che più non s’aspetta
Chi far lo possa, tralignando, oscuro.
124 Ma va’ via, tosco, omai, ch’ or mi diletta
Boce., Decam. V,8, Manni, Ist, del Dec.,
355 6 seg.
108, DIREDATA: estinta, senza eredi
(Port. Coss,, Benv., ccc.). Al: rimasa
priva ilel valoro, dollo liberalità o d'al-
tre virth do’ suoi antichi (Lan., Buti,
Dan., ece.). Cfr. Com. Lips. II, 262.
109. LE DONNE: « questo verso col due
che lo seguono ritraggono tutto |' Evo
poetico della cavalleria; » Gioberti. — AF-
MAKKI: militari, o di gnorra.
lil. LÀ: in quella stessa Romagna,
dove al presente signoreggia In cupi-
digia è l'ambizione; cfr. Inf. XXVII,
a7 © sog.
112. BrerTIKNORO : oggi Bertinoro, l'an-
tico forum Trutarinorum, piccola città
‘di Romagna tra Forlì è Cesena; cfr. Vill.
VIII, 99. - rueGr: ti annienti; cfr. Inf.
XXV, 10 oacg.
113. FAMIGLIA : «i tool buoni nbitanti ; »
Lan., Ott., Benv., occ. «I Mainardi che
furono cost) signori, e quella famiglia
de' Mainardi cho tennono Bertinoro 4
spenta 6 venuta meno ;» An. Fior. Dante
allude allo sbandimento dei ghibellini da
Bertinoro nel 1295.
115. BAGNACAVAL: Tiheriacum Ga-
beum, 0, come si legge negli antichi mo-
nnmenti di Ravenna, ad Caballos, borgo
e castello, oggi piccola città, della Ro-
Daga tra Lugo e Ravenna, sulla riva
del Senio. Ai tempi di Dante
era signoreggiata dai conti Malavieini.
Quando Dante acriveva questi versi, non
ernno ancora estinti. - NON RIFIGLIA : non
ricrea più figli.
110, Castrocaro : forte castello di Ro-
magna, nolla valle del Montone, posse-
finto dai conti Ordelaffi di Forlì. - Co-
NIO: Canio, castello della Romagna pros-
#0 Imola, oggi distrutto, che ai tempi di
Dante aveva i suoi propri Conti, detti |
conti da Barbiano,
117. F'IMMOLIA : si pronde briga di con-
tinnare la successions di conti tanto acel-
lerati.
118, PAGAN: nobile famiglia di Paonza,
- DACCHNÉ : AI. QUANDO. = DRMONTO: Ma-
ghinardo Pagano da Susinana, capo della
famiglia dei Pagani (cfr. Inf. XXVII, 60
e Beg.).
119, 8kN GInÀ: morrà. Maghinardo morì
nol 1302, - 1 discendenti di Maghinardo,
morto che egli sia, faranno del bene, ma
non tanto da lasciare di sè fama del tutto
buona.
121. UnoLIN ox’ FANTOLIN : da Faenza,
nomo distinto per bontà e prudenza, va-
loroso, virtnoso e nobile; morì nel 1282,
combattendo nelle schiero di Giovanni
d'Appia (cfr. Murat. Script. XIV 1106;
XXII, 152, Ferraz, V, 908 © sog.), senza
lasciare figlinoli.
124, Mr MILETTA : ho maggior voglia di
pinngere che non di parlare,
490 [GIRONE sECOKDO) Pura. xrv. 125-140
[ES. D'INVIDIA]
l'roppo di pianger più che di parlare,
Si m’ ha nostra ragion la mente stretta. »
127 Noi sapevam che quell’anime care
Ci sentivano andar; però tacendo
Facevan noi del cammin confidare.
130 Poi fummo fatti soli procedendo,
Folgore parve, quando l’aer fende,
Voce che giunse di contra, dicendo:
193 « Anciderammi qualunque m' apprende; »
E fuggio, come tuon che si dilegua,
Se subito la nuvola scoscende.
120 Come da lei l’udir nostro ebbe tregna,
Ed ecco l'altra con sì gran fracasso,
Che somigliò tuonar che tosto segua:
139 « Io sono Aglauro che divenni sasso; »
Ed allor per istringermi al poeta,
120, NOSTRA RAGTON: il nostro ragio-
namento; cfr. Inf. XI, 33, 08. Al. vo-
STRA RAGION: cfr. Com. Lips. 11, 255.
Moors, Crit., 390 © seg. - STRETTA: di
dolore, angustiata. < Atque animum pa-
trim strinxit pietatis imago; » Virg. Aen.
IX, 292.
V. 127-151. Esempi d’invidia pu-
nita. Licenziati da'due romagnoli, Dante
e Virgilio continuano taciti il luro cam-
mino. Così andando odono ad un tratto
esempi d'invidia punita, citati da spiriti
invisibili. 11 primo è l'esempio di Caino
che, mosso da invidia (cfr. I Ep. di S. Giov.
III, 12), ucciso il fratello Abolo, onde è
torturato dal terrore. L'altro è l'esempio
di Aglauro, invidiosa della sorella Erae,
e perciò da Mercurio convertita in sasso.
Compreso di spavento all'udir quelle
vuci, Dante retrocede por istringersi a
Virgilio il quale lo istruisce circa Jo scopo
delle voci.
127. CARE: caritatevoli (Benv.,Ces.,ecc.).
129. CONFIDARK: dal silenzio delle ani-
me argomentano di essere sulla buona
via, certi che, se così non fosse stato,
quello anime cortesi gli avrebbero av-
vertiti.
180. ror: poichè, allontanatici da quelle
rimanemmo soli.
181. PARVK: risonò di contro a noi una
voce il cui taono fu come della folgore.
« Qualiter expressum ventis per nubila
fulmen ZEthoris impulsi souitu, mundi-
que fragore Emicuit, ropitque diem; »
Lucan, Phars. I, 151 6 sog.
133. ANCIDEKQAMBMI: «ii ucciderà chiun-
que mi troverà; » parole di Caino a Dio,
Genesi IV, 14. - M'AVPRENDE : mi trova.
134. 81 DILKGUA : « Magno indignantur
murmure clausi Nubibus, in caveisque
ferarum more minantur, Nuno hinc nuno
illiuo fremitus per nubila mittant, Qusa-
rentesque viam circum versantur, et ignis
Semina convolvunt e nubibus atque ita
cogunt Malta, rotantque cavis fammam
fornacibus intus, Donec divolsa fulse-
runt nube corusci;» Zucret. de rer. nat.
VI, 196 © neg.
135. SCOBCKNDE: squarcia, fende.
136. TREGUA : come non s'udì più il to-
nar di quella voce.
138. skaua: succeda al tuono prece- ’
dente « come tuono cui tuono rincalza; »
Rosset.
139. AGLAURO: figlia di Cecrope, re
d'Atene; invidiando la sorella Erse che
ora amata da Mercurio, ai oppose ai pia-
ceri del Nume, il quale la pan) con-
vertendola in sasso; cfr. Ovid. Met. II,
708-832. « E così cra esomplo questa voco
a Danto di fuggire la invidia ponsando
lo danno che ne riceve chi è invidioso,
che diventa sasso; cioè freddo e duro,
privato d’ ogni carità; » Buti.
140. ISTRINGRRMI: Al. RISTRINGRRMT,
Non aveva aucor udito nel Purgatorio sì
terribili voci.
[GIRONE SECONDO]
Pura. xiv. 141-151
(ES. D'INVIDIA] 491
Indietro feci e non innanzi il passo.
142 Già era l'aura d'ogni parte queta,
Ed ei mi disse: « Quel fu il duro camo,
Che dovria l’uom tener dentro a sua meta,
145 Ma voi prendete |’ esca si che l’amo
Dell’antico avversaro a sé vi tira;
E però poco val freno o richiamo.
148 Chiamavi il cielo, e intorno vi si gira,
Mostrandovi le sue bellezze eterne,
E l'occhio vostro pure a terra mira;
151 Onde vi batte chi tutto discerne, »
141. inpmirtro: Al IN DESTRO (N).
142. quieta: non si ndivano più voci.
143, qui: le voci ndite. — camo: dal
Int. comus, gr. xMpég © Yaxpòc, pro-
priamente Murernola, Capestro; qui vale
Freno; efr. Purg. XIII, 40. «In camo et
freno maxillns sorum constringe; » Sal.
XXXI, 0.
144. novnla: gli esempi delle fnnesto
consegnenze dell'invidia dovrebbero ri-
tenore l' momo dentro i termini del do-
vere, al cho non mirasse goloso al bone
altri.
145. vor: viventi. « Parla l'nutoro ao-
condo figura, dimostrando cioò che gli
omini sono ingannati dal dimonio, como
lo pescio dal pescatore ; lo pescatore pone
l'esca nell’ amo è così inganna lo pescio,
sicchè '1 piglia; e così fa lo dimonio al-
l'omo; l'amo con che lo dimonio piglia
l'omo si è lo peccato; l'esca sono li beni
renti mondani e non esistenti, coi
quali ci tira nd ogni male; » Buti, « Ne-
acit homo finem snom: sed siout pisces
capiuntur hamo, et sicut aves Inqueo
comprebendontur, sio capiuntor homi-
nes in tempore malo, cum sia extemplo
supervenorit; » Kecles.
140, avvensano: cfr. Purg. VIII, 95;
XI, 20. I Petr. V, 8.
147, FRENO 0 RICHIAMO: esompi di vizi
puniti, o di virtù premiate,
148. JL cIRLO: «ad premium paratus
vohia; » Men.
149. neLLrzzr: astri; ofr, Inf. I, 40;
XXXIV, 147. Conv. III, 5. Taseo, Ger.,
XVIII, 13. « Omnis naturm species et
motua quasi quadam variotate lingnarum
clamnt nlpuo inerepat nenvacendinn css
Creatorem ; » S. Aug. de lib. arb, 111, 23.
150. e L'occmo: nondimeno la vostra
mente è rivolta solo alle coso terrene.
« ()oam surenm sunt sapite, non qum su-
per terram ; » Coloss. III, 2. « Pronaqne
cum spectent animalia cetera terram, Os
homini sublime dedit, celamque tneri
Juasit et erectoa ad sidora tolloro vol
tus; » Ovid. Met, I, B4 è sog.
151, onwK: perciò Iddio, che tutto co-
noses, vi punisce,
:ECONDO]
Pure. rv. 1-8
[L'ORA DEL TEMPO]
CANTO DECIMOQUINTO
GIRONE SECONDO:
L'ANGELO I
(Aggirarsi |
VISI
INVIDIA
LITA AL TERZO BALZO
IRA
lonslsaimo, dillicile a respirmrzi)
A DEGL'IRACONDI
Quanto tra l’ultimai doll’ ora torza
E il principio del dì par della spera,
Che sempre a guisa di fanciullo scherza,
4 Tanto pareva già in vèr la sera
Essere al sol del suo corso rimaso:
Vespero là, o qui mezza notte cra,
7 E i raggi ne ferian per mezzo il naso,
Perché per noi girato era sì il monte,
V. 1-9. Lora del temspo. Sono circa
le 2 pomeridiane. « Il Poeta vuole indi-
carci l'ora corrente a questo punto del
suo viaggio per mezzo d'un arco di eclit-
tica, la quale è nolla spera del solo, sta
per la spera medesima, e nel movimento
uniforine diurno della sfera stellare muta
posizione, rispetto all'orizzonte o al me-
ridiano di un dato luogo, così variamente
e continuamente da risvegliare |’ idea di
un fanciullo che stia vivamente scher-
zando e non trovi mai posa. I primi versi
dicono dunque: quanto è l'arco d'eclit-
tica, che si rende parvente tra il prin-
cipio del di o l'ultimare dell'ora terza,
tanto omai appariva esser rimasto al
sole del suo corso verso la sera; » Anto-
nelli. Confr. Ponta, Orolog., 210 © seg.
Della Valle, Senso, 46 e soguenti. Noci-
ti, Orar., 10.
2. PAR: apparisco, si vede; cfr. Inf.
XXXIII, 134. - svrua: il cielo del solo,
o la sfera contenento l'Eclittica, in an
Inogo della quale trovasi ad ogni mo-
mento il grande astro diurno. Così Buti,
Vell. e tutti i moderni.
3. SCHERZA: non cossa un istante di
muoversi, come il fanciullo che scher-
gando è in continuo moto; « matatur in
horas; » Horat. Ars. poet., 160.
4. TANTO: Bpazio; 45 gradi. - PARRVA:
appariva.
6. LA: al Pargatorio. - QUI: in Italia;
cfr. Della Valle, Senso, 63.
7. KIRAGGI: eavendo noi girato circa
la quarta parto del monto da levanto a
ponente (cfr. Purg. I, 107; TIT, 16), an-
duvamo direttamente verso occidento,
onde i raggi del sole cadente ci forivano
procisamente per mozzo la faccia.
[GIRONE SECONDO]
Puro. xv. 9-21
[ANGELO] 493
Che già dritti andavamo in vér l’occaso,
10 Quand’io sentii a me gravar la fronte
Allo splendore assai più che di prima,
E stupor m’ eran le cose non conte;
13 Ond’ io levai le mani in vér la cima
Delle mie ciglia, e fecemi il solecchio,
Che del soverchio visibile lima.
16 Come quando dall'acqua o dallo specchio
Salta lo raggio all’ opposita parte,
Salendo su per lo modo parecchio
19 A quel che scende, e tanto si diparte
Dal cader della pietra in egual tratta,
i Si come mostra esperienza ed arte;
V. 10-39. L'Angelo dell’ amor fra-
terno, Lo splenilore di un'altra luce che
s'aggiunge allo splendor del sole, abbar-
baglia n Dante gli occhi. È lo splendore
dell'Angelo che sta lì sull'ingresso della
salita dal secondo al terzo girone; invita
i due Toeti n salire e canta ona delle
beatitodini.
10. cravar: abbarbagliaro la vista;
effetto dello splendore angelico efr. Purg.
XVII, 62; XXX, 78. Par. XI, 88, coc.
11. ao: dallo splendore assni mag-
giore di quello del sole, = DI PRIMA : pe'
soli raggi del sole.
12. NON CONTE: ignote. Non avondo an-
cor veduto l'Angelo, ignorava il motivo
di quell'accrescimento di luce e quindi se
ne meravigliava.
13. LEVAL; «Opposuitqne mannm fron-
tl; » Ovid. Met. II, 276. « Ante oculoa op-
posuit manum;» Ovid. Fast. 1V, 178.
15, LIMA : diminuisco l'eccessivo splen-
dore, come la lima il ferro.
16. come: « a bene intendere questa si-
militudine si noti primioramento che In
legge della riflessione della Ince fu stabi-
lita ab antico © dimostrata negli specchi
piani, concavi s convessi nella Prop. I
della Catottrica di Enclide; secondo, che
la perpendicolare fn chiamata il cader
della pietra da Alborto Magno; cho ri-
fratta nta qui in sono di rifessa, porché
i dovimwente de’ raggi dolla Ineo fu dn
gli antichi espressa sena'nltra distinzione
col vorbo greco Tvax).dw, che significa
apezzarsi. Onde il senso è : Come quando
un raggio di luce dall'acqua o dallo apoc-
chio salta all'opposta parte, torcendosi
dal ano cammino, e risalendo con la stes-
salegge con cul discese, facendo cioè l'an-
golo di riflessione eguale a quello d' inci-
donza; e tanto dalla perpendicolare si
acosta scendendo, altrettanto se ne s00-
sta salendo, scorso ch'egli abbia un tratto
eguale; vale a dire, che se il raggio si
snppongn discendere dall'altezza, p. è. di
un miglio e saliro altrettanto, lesno estre-
mità snranno da una parte e dall'altra
egnalmonte distanti dalla perpendicolare,
siccome dimostra artificiosa esperienza;
così mi parve d'essere percosso in volto
da Ince riflessa. E questa Ince veniva im-
mediatamente da Dio all'Angolo, o da
questo riverberava sulla faccia del Poe-
ta; » Torelli. Confr. Com. Lipa. II, 261
© BOg.
17. SALTA: « Sicut aqua tromnlam la-
bris nbi lumen mnis Sole reporcossum
aut radiantis imagine lonm Omnia per-
volitat late loca iamque sub auras Eri-
gitur summique ferit laquaria tecti; »
Virg. Aen, VIII, 22-25,
18, rakeccnio: pari, eguale a quello
con cni discende, formando ciod |' angolo
di riflessione uguale a quello d' inciden-
na. Parecchio per pari, uguale si usò an-
ticamente anche in prosa.
20, DAL caper: dalla linea perpendi-
colare tanto, quanto da ossa linca si di-
parto IN KOUAL TRATTA, per eguale spa-
sin, dl raggio incidonto, « Do rpoenti qua
parto roowlas, Continno mogrsnt Mine
simulacra reverti, Omnia quandoquidem
cogit natura reforri Ac resilire ab rebus
ad mquoa reddita flexos; » Luer., Fer.
nat. 1V, 318-21.
21. ARTE: ln catottrica, che spiega gli
effetti della refrazione della Ince,
SECONDO] Pura. xy. 22-39
[ANGELO]
29 O
mi parve da luce, rifratta
1 i dinanzi a me, esser percosso,
] sr che a fuggir la mia vista fu ratta.
25 « Ge è quel, dolce padre, a che non posso
S ihermar lo viso tanto che mi vaglia, »
I iss’ io, « è parin vér noi esser mosso? »
aa « Non ti ma
La famic
« Mess
81 Tosto si ».
No -
Qi
a4 Pol», wit
Con lieta
A | gc
37 Noi
E « sicu we
r t’ abbaglia
ne rispose:
itar ch' uom saglia.
B cose
iletto,
ispose, »
»enedetto,
wate quinci
gli altri eretto, »
nei,
16
Cantato retro, e: « Goa tu che vinci, »
22. RIFKATTA: riflessa dall'Angelo al
suolo, dal suolo al Poeta. A)., meno pro-
babile: riflessa da Dio all’ Angelo, e dal-
l Angelo a Dante. Ma il Poeta distingue
il momento ia cui fu abbagliato dalla lu-
co diretta dell’ Angelo (v. 10-16) dall'al-
tro momento in cui fu colpito dalle luce
riflessa (v. 16-24).
24. FU RATTA: por sottrarmi a quel-
l'abbagliante splendore mi volsi presta-
mente dal lato dal qualo mi stava Vir-
gilio. Al.: Chiusi subito gli occhi (1).
25. clik È: che luce 6 questa, innanzi
a cui non posso fare alla mia vista scher-
mo bastante, tanto da puter sorvirmone ?
- A CHE: contra, verso del quale.
27. RSSER MOSSO: venire alla nostra
volta. Vedendole venire, gli Angeli guar-
diani de' sette cerchi si volgono verso le
anime, confortandole a saliro; cfr. Purg.
XII, 88; X VII, 67; XIX, 46useg.; XXII,
1 o sog.; XXIV, 136 o seg.; XXVII, 55
© Seg.
29. FAMIGLIA: angeli.
30, MK540: questo splondore 6 dell'A n-
gelo che viene ad invitarci a salire.
81. TOSTO: subito che tu sarai puriti-
cato, l'aspetto di questi splendori celesti
non ti sarà più gravoso, anzi ti rechorà
il maggior diletto di cui la tua natura
è capace.
85. LIETA: « Gaudiam erit coram an-
gelis Del super uno peccatore paniten-
tiam agente; » S. Luc. XV, 10.-QUINCI:
di qui, da questa parte, dove è una scala
meno ripida delle due già da voi salite.
36. AD UN: non 6 un’ osservazione del
Poota (7'om.), ma doll’ Angelo, come inte-
sero rettamente tutti i comm. ant. 6 mo-
derni. - 8CALRO: scala. - ERKTTO : erto.
37. LINCI: lat. tlline = di lì, cioè dal
luogo dove l'Angelo ci apparve. Al.: DA
LINCI. Si dico forse da di lf
38. BRATI: è la quinta beatitudine
ovangelica : « Beati | misericordiosi ; per-
chò questi troveranno misericordia; »
S. Matt. V,7. « Invidia opponitur mise-
ricurdiw directe, secundum contrarieta-
tem principali objecti; invidus enim tri-
statur de bono proximi; misericors au-
tem tristatur de malo proximi; unde
invidi non sunt misericonles nec o cun-
vorso;>» Thom. Aq. Sum. theol. 11°, 26, 3.
39. CANTATO: dull Angelo rimasto in-
dietro al suo posto. - GODI: «al vincente
darò a mangiare doll'albero della vita,
che è in mezzo al Paradiso del mio Dio; »
Apocal. II, 7. Altri rammentano Rom.
XII, 21; altri S. Matt. V, 12. Cfr. Coni.
Lips. II, 264.
V. 40-81. Il consorzio dol bene.
Mentre salgono dul secondo al terzo gi-
[GIRONE SECONDO]
Pura. xv. 40-55 [CONSORZIOD. BENE] 495
40 Lo mio maestro ed io soli ambedue
Suso andavamo, ed io pensai, andando,
Prode acquistar nelle parole sue;
43 E drizza' mi a lui si domandando:
« Che volle dir lo spirto di Romagna,
E divieto e consorto menzionando ? »
‘6 Per ch'egli a me: « Di sua maggior magagna
Conosce il danno; e però non s’ ammiri,
Se ne riprende perché men sen piagna.
49 Perché s’appuntan li vostri disiri
Dove per compagnia parte sì scema,
Invidia muove il mantaco ai sospiri,
52 Ma se |’amor della spera suprema
Torcesse in suso il desiderio vostro,
Non vi sarebbe al petto quella tema;
55 Ché per quanti si dice più li nostro,
rone, Dante ripensa alle parole di Guido
del Daca, Purg. XIV, 87, è ne chiedo il
senso a Virgilio. Rispondendo, Virgilio
espone In differenza tra i boni materiali
e spiritunli, I primi si armano della ne-
cessità del divieto 6 si fanno mantice al
gelido soffio dell'invidia; invece quanti
più sono i posseditori de' beni spiritunli,
6 tanto più ricco è ognuno di essi.
4l. PENBAT: Al. PRNBAVA.
42. rrobE : dal Int. prodesse,pro, utile;
ofr. Purg. XXI, 75, Par, VII, 26. Ponsai
di trarre vantaggio dalle parole di Vir-
gilio.
43. prrzza"'M1: Al. puzza, m' indi-
riszai.
44, arinto: Guido del Duca.
40. MaGAONA: vizio, «difetto; cfr. Inf.
XXXIII, 152. Purg. VI, 110. L' invidia
fa il maggior vizio di Guido del Duca;
cfr. Purg. XIV, 82 6 neg. « E por questo
dà ad intendere ch'egli arca anco altri
peccati; ma più quello de la invidia che
gli altri; >» Buti.
47, IL DANNO: conosce per prova le
conseguenzo funeste dell’ invidia, onde
non è marariglia se ne fa rimprovoro agli
uomini, afinchò si gnnrdino da nasa. « Lo
anime purganti, essendo giuste, bramano
the | viventi non cadano nella colpa in
che ease vivendo omldero:» Martini. Se-
condo il Vangelo bramano lo stesso an-
che lo anime dei dannati; cfr. &. Lue.
XVI, 27 © sog.
40, pencnk: pel motivo che i vostri de-
siderii tendono alle cose terrene, delle
quali l'altrui partecipazione scema Il go-
dimento, l'invidia vi tormenta e fa so-
apirare. — S'AVPUNTAN: lemdono, si val-
gono; ofr. Par. VI, 28.
50, st scemA: «in questi beni di cho
nasce invidia, cotanti quanti elli sono più
alla parte, cotanto 4 minore la parte, sì
come se dieci persone hanno a partire
mille lire, egli ne tocen minor parte che
s'egli foasono tre; » Lan., Ott., eco.
51. muove: l'invidia v'infiamma ed
il suo ardore vi fa sospirare accendemlo
In vostra enpidlità n voler il tutto,
2. arena: l'Empiroo, ultima delle sfo-
re, vera noie del beni spirituali. Se l'amo-
ro delle coso Incorruttibill o celesti driz-
ensso i vostri desiderii al cielo, voi non
avreste nel coore la panra che l' altroi
partecipare « godere potesse menoma-
mente scemare il godimento vostro pro-
prio; efr. Colors, IN, 1.
53. TORCESSR: Rivolgeaso,
65. CHÉ PRR QUANTI: Al. rercuî QUAN-
TO. Quanto maggiore è il namero di co-
loro che Inssi godono dello stesso bene,
tanto più no gode cinsonno in particolaro,
« Nullo onim modo fit minor, necedente
sen permanente consorte, possessio bo-
nitatia; imo possessio bonitatia tanto fit
latior quanto concordior eam individua
sociorum possidet claritas. Non habebit
denique istam possessionem qui eam no-
496 [GIRONE SECONDO] Pura. Xv. 56-71
[CONSORZIO DEL BENE]
Tanto possiede più di ben ciascuno,
E più di caritate arde in quel chiostro, »
58 « To son d’esser contento più digiuno, »
Diss'io, « che so mi fossi pria taciuto,
E più di dubbio nella mente aduno.
61 Com'esser puote che un ben distributo
I più posseditor’ faccia più ricchi
Di sé, che se da pochi è posseduto? »
64 Ed egli a me: « Però che tu rificchi
La mente pure alle cose terrene,
Di vera luce tenebre dispicchi.
67 Quello infinito ed ineffabil bene
Che lassù è, così corre ad amore,
Come a lucido corpo raggio viene;
70 Tanto si dà, quanto trova d’ardore,
Sì che quantunque carità si estende,
luerit habore comunem, ot tantam cam
reperit ampliorom, quanto amplius ibi
poterit amare consortom; » S. Aug. Civ.
Dei XV, 15. « Qui ergo livoris peste ca-
rere desiderat, illam hwreditatem diligat,
quam coherendum numerus non angn-
stat, que et omnibus una est, et sin-
gulis tota; que tanto largior esse osten-
ditur, quanto ad hanc percipiendam
moltitudo dilatatur; » S. Greg. Moral.
IV, 81. - LÌ: nella spera suprema.
57. CHIOSTRO: cfr. Purg. XXVI, 128.
Par. XXV, 127.
58. DIGIUNO: sono meno soddisfatto di
prima, essendo ora, dopo aver udito la
tua risposta, inviluppato in un dubbio
ancor più forte.
50. SK MI rossi: Al. 8'10 MI FOSSE.
60. apuNO: cfr. Inf. VII, 52.
61. COM'ESSER: come è possibile che un
bene distribuito tra un maggior numero
di posseditori li faccia più ricchi di sè, che
non se distribuito tra pochi? « Res per
partitionem suscipit diminutionem ; »
Benv. Il Tasso: « Che si trovi una tal
bellezza che compartita, invece di sce-
mare, moltiplichi e che possa tutti gli
uomini render felici, non se ne dee nè
se ne può dubitare. Tale è la bellezza
delle scienze, che perchè interamente sia
da alcuno goduta, non per questo gli al-
tri ne restano privi. Tale è più propria-
mente Dio, che non è bello ma |’ istessa
bellezza. » Cfr. Conv. III, 11; IV, 18.
(4. RIrriocHi ; torni a tener fiasa la
monte soltanto alle coso terreno.
66. LUCK: dal mio verace parlare. - DI-
BPICCHI: traggi, raccogli.
67. BENE: Dio « il quale è nostra bea-
titudine somma; » Conv. IV, 22.
68. CHE LASSÙ È: Al. CHE È LABSÙ. -
CORRE: comunica sò stesso all'anima che
lo ama, come i raggi del sole si comuni-
cano ai corpi che riflettono Ja luce.
69. RAGGIO: « Zraque falgent Sole la-
cessita et lucom sub nnubila lactant; »
Virg. Aen. VII, 526 © seg. «Arma rubent
una, clypeoquo incenditur ignis; » Stat.
Theb. X, 844. < Il Sole, discendendo lo
raggio suo quaggiù, riduce le cose a sua
similitudine di lume, quanto esse per di-
sposizione della loro virtù possono lume
ricevere. Così dico che Dio questo Amore
a sua similitudine riduce, quanto esso è
possibile somigliarsi a Dio; » Conv.III,14.
70. TANTO: cfr. Par. XIV, 40 © seg.
Conv. IV, 20. Com. Lips. II, 267 e seg. -
8I DA: si comunica all’ anima. - ARDORE:
di carità.
71. at CHE: di modo che Iddio l' ing-
nito ed ineffabil bene dell'anima, le si co-
munica tanto più, quanto più arde in essa
il fuoco di carità. « La disuguaglianza
della gloria nel cielo è qui con filosofica
teolugia fatta derivare dalla disugua-
glianza di carità de’ beati, in propor-
zione della quale si comparte ioro lume
di gloria; » Gioberti.
[GIRONE SECONDO]
Pura. xv. 72-84 [CONSORZ1I0 D. BENE] 497
Cresce sopr’essa l'eterno valore:
73 E quanta gente più lassù s'intende,
Più v'è da bene amare, e più vi s'ama,
E come specchio l'uno all’altro rende.
70 E se la mia ragion non ti disfama,
Vedrai Beatrice, ed ella pienamente
Ti torrà questa e ciascun’altra brama:
70 Procaccia pur che tosto sieno spente,
Come son già le due, le cinque piaghe,
Che si richiudon per esser dolente. »
82 Com'io voleva dicer: « Tu m’appaghe, »
Vidimi giunto in su l’altro girone,
Sì che tacer mi fèr le Inci vaghe.
73. 8'INTENDR: si ama; Tom., Fan/.,
Andr., ecc. Altri: nspira a quel bene
di lassù (Vell., eco.); si uniace insieme
(Vent., ecc.); sl conosce per mntna rifles-
sione «d'uno in altro del Inme di Dio cho
gl’ investo (Lomb., Br. H., ooc.); d intenta
alla visione di Dio (Biag., Frat., ecc.) ; si
volge desiosa a Dio (Costa, oco.). Il Buti
legge S'ATTREDE, 6 spiega : al vedo. Cesa-
ri: «quanti più beati tn immagini o poni
Inssi.» I] Fan. nasorva giustamente cho
«il secondo inciso di questo membretto
Più v'è da bene amare è prova provata
che nell'inciso primo il quanta gente più
lassù s'intende non può altro importare
che quanti più sono coloro che si amano, »
Del resto ofr. Com. Lips. II, 268.
74. PIÙ VIS'AMA: «li Santi non hanno
tra loro invidia; perocchè cinscono ng-
giugne il fine del ano desiderio, il quale
desiderio è colla natura della bontà mi-
snrato; » Conv. JII, 15. Cfr. Ozanam,
Dante et la phil. cath., 155 © seg.
75. x COME: Dio è il sole delle anime
(cfr. Conv, ITT, 12), le quali sono tanti
specchi nei quali la ana luce si riflette.
Quanto maggiore il numero degli spec-
chi, cioè delle anime, tanto maggiore si
fa il lame, e quanto maggiore è il lume,
tanto più chiara è la visione beatifica
delle anime, Dunque quanto più si au-
monta il nomoro dello anime che di quel-
lo infinito ed ineffabil bene dicono: epli
è nostro, tanto più no possiedo ogni sin-
76. RAGION: ragionamento, dimostra-
zione. - DISFAMA: sazia, appaga. Rispon-
de alla metafora dell'esser digiuno usata
da Dante, v. 58.
32. — Div. Comm., 3° ediz.
77. VEDRAI: ofr. Purg. VI, 43 0 seg.;
XVIII, 46 © sog.
78. Tr TORRA: ti chiarirà questo e cia-
senno altro dubbio circa le cose della
fodo.
70. BPENTR: tolto dalla toa fronte.
£0. pum: superbia ed invidia. — ctn-
QUE: ira, accidia, avarizia, gola e Imasn-
rin. — vracne: i P descrittigli dall'An-
gelo nella fronte, Purg. IX, 112 0 sog.
BI. at mcmiunos: si rimarginano mo-
ilinnto In contrizione dol cuore, fonda-
monto della penitenza. « Oportet eum,
qui agit penitentiam, aMiggere animam
anam, et humilem animo se priestare in
omni negotio, et vorationes multas va-
riasque perferre ;» Hermas. Past. III, 7.
V. 82-09. Marla, primo esempio di
mansuetudine, Appena nrrivato sul
terzo girone Dante vedo in visione cata-
tion esempi di dolei mitezze. « Le aalno-
tifere visioni sopragginngono al Poeta
prima che nppain In gente ed il fumo,
forse a significarci cho dobbiam provve-
derci contro l'ira innanzi che ci avvenga
di provar gli effetti di casa; » Perez. Il
primo esempio è anche qui Maria, la
quale, avendo trovato il fanciullo Gest:
nel tempio di Gernsalemmo, dopo averlo
cercato tre giorni essendo in | tra-
vaglio, non ai adira acoolul, nè gli fa rim-
proveri, ma si contenta di dirgli con af-
fatto materno: « Figlin, porché ci hal tn
fatto questo? Ecco che tuo padre ed io
mldolorati andavamo di te in cerca; »
cfr. 8. Luca IT, 41-52.
82, M'arraone: mi appaghi; mi acqueti
e contenti.
84. Luci vacur: gli occhi miei, bra-
498 [GIRONE TERZO]
Pura. xv. 85-105 (ES. DI MANSUETUDINE]
85 Ivi mi parve in una visione
Estatica di subito esser tratto;
E vedere in un tempio più persone,
88 Ed una donna in su l’entrar con atto
Dolco di madre dicer: « Figliuol mio,
Perché hai tu cosi verso noi fatto?
Di Ecco, dolenti, lo tuo padre ed io
Ti cercavamo, » E come qui si tacque,
Ciò che pareva prima dispario.
Da Indi m'apparve un'altra con quelle acque
Giù per le gote, che il dolor distilla
Quando per gran dispetto in altri nacque;
07 E dir: « Se tu se’ sire della villa,
Del cui nome ne’ Dei fu tanta lite,
Ed onde ogni scienza disfavilla,
100 Vendica te di quelle braccia ardite
Che abbracciàr nostra figlia, o Pisistràto; »
E il signor mi parea benigno e mite
103 Risponder lei con viso tomperato :
« Che farem noi a chi mal ne desira,
Se quei che ci ama è per noi condannato? »
mos! di vedere cose nuove, mi fecoro am-
matoliro.
87. PIÙ PERSONK: i dottori giudel, in
mezzo ai quali il dodicenne Gesù sede-
va, ascoltandoli od interrogandoli; cfr.
8. Inca IT, 46.
88. DONNA: Maria. — IN HU L'ENTILAR:
sul limitare della porta dol tempio.
02. & COME: e subito che Maria ebbo
dette questo parole, la prima visione di-
sparvo.
V.94-105. Pisistrato, secondo eseni-
ptodimansuctudine.Appenadileguata
la prima, ecco una soconda visione, il se-
condo esempio di dolce mitezza. È l'esem-
pio di Pisistrato, Ilevofotpatcg, figlio di
Ippocrate, famoso tiranno di Atene (n.
vorso il 605, m. il 528 o 527 a. C.) pa-
rente di Solone. Cfr. Joh. Mussii, Pisi-
stratus, Lugd. Batav., 1623. Racconta
Valerio Massimo (Fact. ed dict. smem.
VI, 1) che un giovine innamoratosi di
una figlia di Pisistrato, la baciò in pab-
blico, e che la moglio o madre chialendo
vendetta di tanto oitraggio, egli rispose
dolcemente: « Si nos, qui nos amant in-
>_<
terficimus, quid his faciemas, quibus odio
sumusf » Il giovino andò quindi impa-
nito ed ebbo in isposa la fanciulla. Dante
racconta qui l'aneddoto traducendo Va-
lorio Massimo quasi alla lottera.
04. un'arntita: donua, ciod la moglio
di Pisistrato, — ACQUK: lagrimo.
05. DISTILLA: Spreme.
00. NACQUE: quaudo il dolore è ca-
gionato da dispetto o da ira; dunquo
lagrime di doloro e nello stesso tempo
di sdegno.
97. Diu: al marito Pisistrato. - Sink:
signoro della città.
08. LITR: tra Nottuno o Minerva, da
chi dei due si dovesse denominare la
città, che da Minerva fu poi denominata
Atene; cfr. Ovid. Met. VI, 70 e seg.
90. ED ONDE: e dalla quale città di Ate-
no si diffondo ogni lume di scienza, di
arte e di civiltà.
102. iL sianon: Pisistrato.
103. TEMPERATO: mansueto, atteggiato
a bella pazionza e benignità.
V.106-114.Santo Stefano,terzo esom-
pio di mansuctudine. Nella terza vi-
(OIRONE TERZO]
Puro. xv. 106-114 [es.DI MANSUETUD.] 499
106 Poi vidi genti accese in foco d’ ira,
Con pietre un giovinetto ancider, forte
Gridando a sé pur: « Martira, martira; »
109 E lui vedea chinarsi per la morte,
Che l’aggravava già, in vér la terra,
Ma degli occhi facea sempre al ciel porte,
112 Orando all’alto Sire in tanta guerra,
Che perdonasse a’ suoi persecutori
Con quell’aspetto che pietà disserra.
sione, Dante vede il protomartire cri-
stinno santo Stefano, lapidato dai furi-
bond! Giudel, il quale, invece di adirarsi
od inrolro contro | suol nssassini, invoca
loro il perilono, morendo colla preghiorn
sulle labbra : «Signore, non impatar loro
questa cosa a pocento ; » cfr, Atti VII,
57-60.
106, oxxti: | Giudei che lapidarono
santo Stefano. S'intende cho essi non
sono in Purgatorio, come non vi è Caino.
Si tratta di visioni e non più. - ACCESE:
dei Giodei nemici di santo Stefano, Atti
VIT, 54, 56: «Si rodevano nei loro cuori,
o digrignaranoident|controdi lui, e tutti
d'accordo gli corsero addosso con furia. »
107. UN GIOVINETTO : santo Stefano,
Voramente non era un giovimetto quando
fu Inpidato; efr.-Atti VI, 4, 8, 10, 13. Paro
che Dante, forse fidandosi della sna mo-
moria, 0 forse per arere sott'orchio un
testo corrotto, confondosse santo Stefano
con Sanlo, che fu poi Paolo, il quale era
presento alla Inpidazione di santo Ste-
fano o «li eni ai legge Atti VII, 57: «06
| testimoni posarono le loro vesti ni piedi
di un giovanetto chiamato Saulo. » 11 Pol.
erede cho 8, Stefano fusso voramento tn
glovinetto. SI leggano i due capitoli VI
e VII degli Atti!
108. GRIDANDO: «ma quegli alzando le
grida, si turaron le orecchie; » Atti VII,
60. - A 8k run: non dicendo l'un l'altro
che queste parole: martira, martira,
cioè : ammazza, ammazza: dagli, dagli!
Di queste parvle il testo biblico non fa
rerun conno, Sono nna deduzione del
Poota. TL Metti: « Questo pur nppartieno
n martira, como dir volesse: dagli pure,
dagli, soguita pore n martoriarlo. Ondo
i doe punti van collocati dopo a sò. Pur
in questo signifiento Purg. XVT, 15,» (1).
110. GIÀ: AI. GIÙ, « È plegate le gi-
noochla, gridò, ecc, » Atti VII, 69.
111, FAUEA : tonova gli occhi sempro
aperti e rivolti al ciclo. « Ma egli pieno
ossendo di Spirito santo, fiso mirando il
cielo, vide la gloria di Dio, e Gesù atanto
alla destra di Dio; » Atti VII, 65.
112. Sint: Dio; efr. Inf. XXIX, 66. -
GUERRA : în tanto orndele martirio es-
rendo incessantemente colpito dalle pie-
tre lonciate contro di Ini.
114, pissenma: apre i cuori alla pietà.
Cos Vent., Cost., Br. B., Frat., Greg.,
Andr., BL, Pol., oce. Altri diveraamente:
«Con quello raggunrdatento che esce di
pietà; » Muti. «Con quella dimostrazione
che in apparenza di fuori dimostra pic-
thy» Vell, Dan., Tom., ooo. « Con qnel-
l'arin di occhi pietosi, che muovono Dio
a misericordia; » Lomb., T'ort.,, Pogg.,
Ces., Camer., Filal,, Witte, sco. Cir, Com.
Lips. 11, 272,
V. 116-138. Ammaestramenta di
Wirgilio. Le visioni di Dante non sono
ignote olla sun guida. Ma per iatroirlo
stillo scopo delle medesime, Virgilio chie-
de cora egli si abbia, e Danto necenna allo
visioni or’ ora avnte, Il Poota distingno
qui argutamonto tra oggettività e ang-
gottività. Ciò che egli avea veduto nelle
ano visioni erano verità, cose vere, ma
verità soggottiro, cose che avo nell'ani-
mn, o non fwor di lei vere. Ma l' momo
nssnofatto a percepire lo cose como oal-
stenti fnori di sò, trasmuta facilmente
le coso soggettivo in cose oggettive, im-
maginandosi di vedore fuori ili ad ciò cho
è soltanto nel suo interno, Onde, duranto
la sna estasi, Dante area croduto cho
quanto agli vedova of ndiva nvronisan
realmente fnorl di sè, fossoro ciod fatti
oggettivamente veri o reali, o questo era
l'erroredi cui si accorge non appenal'ani-
ma sua è ritornata alla percezione dello
cose oggettive. Ma egli caserra che | anvi
errori crano non falei, nvondo la coscion-
500 [GIRONE TERZO]
Pura. xv. 115-134 [AMMAESTRAMENTO]
115 Quando l'anima mia tornò di fuori
Alle cose, che son fuor di lei vere,
Io riconobbi i miei non falsi errori.
118 Lo duca mio, che mi potea vedere
Far si com’uom che dal sonno si slega,
Disse: « Che hai, che non ti puoi tenere,
121 Ma se’ venuto più che mezza lega,
Velando gli occhi e con le gambe avvolte,
A guisa di cui vino o sonno piega? »
124 « 0 dolce padre mio, se tu m'ascolte,
Io ti dirò, » diss'io, « ciò che mi apparve
Quando le gambe mi furon si tolte. »
127 Ed ei: « Se tu avessi cento larve
Sopra la faccia, non mi sarien chiuse
Le tue cogitazion’, quantunque parve.
130 Ciò che vedesti fu, perché non scuse
D’aprir lo core all'acque della pace
Che dall'eterno fonte son diffuse.
133 Non domandai, * Cho hai, ,, por quel cho faco
Chi guarda pur con l'occhio cho non vedo,
za di non essersi ingannato, ma di avero
realmonto voluto ciò cho gii apparve,
quantunque fossoro immagini bens) est-
stenti, ma non sussistenti. L'occhio sno
corporale non avea veduto nulla; cppuro
le cose gli erano veramente stato pre-
senti ed egli le avea realmente vedute,
ma coll’ occhio della monte, dell'anima,
dello spirito.
115. TORNÒ: si risvegliò dall' ostasi,
nella quale l'anima, tutta occupata delle
coso intorno, spirituali, non percepisco
più gli oggetti esterni. - DI FUORI: allo
realtà oggettivo, alla porcezione degli
oggetti esteriori.
116. FUOR: vi sono cose vere nell’ ani-
ma, e queste sono le vorità soggettive;
o vi sono coso vero fuori dell'unima,
il mondo dell'uppariziono, lo vorita og-
gottivo.
117. NON FALSI: realtà soggoltivo.
119. 81 SLKGA: bi scioglie dal sonno, si
sveglia.
120. TRNKRK: reggero in piodi.
122. VELANDO: cogli occhi socchiusi è
le gambe vacillanti a guisa di uomo vinto
dal vino o dal sonno. « Illo mero somno-
que gravis titubare videtur, vixquo se-
P____I
qui; » Ovid. det. IIT, 608 e seg. < Conso-
quitur gravitas mombroram, priepodiun-
tur Crura vacillanti, tardoscit lingua,
madet mens, Nant oculi; » Lucret. Rer.
Nat. 111, 476 © sog.
120. TOLTK: impedite.
127.LARVK: maschere; cf. Par.XXX,91.
128. CHIUSK: nascoste.
129. COGITAZION’: lat. cogilationes, pen-
sieri. - ranvx: minime; clr. Inf. XVI,
118 e seg.
130. VEDKSTI:
scusi.
131. ACQUE: l’ira è fuoco; l'acqua spe-
gne il fuocu. Lo acque della pace sono
i sentimenti e le opere di carità, che
amorzano l'ira, come l'acqua spegne il
fuoco. Cfr. Ebrei X, 22.
132. FONTK: Dio; « Apiul to est fons
vite; » ‘Sal. AXXV, 10. « Mo deroli-
quorunt fontem ncquio vivivj » Gerem.
1I, 13. « Deroliquerunt venam aquaruni
vivontium Dominum; » ibidem XVII,
13, eco.
133. rkk QUEL: indotto da quel mo-
tivo per cui suol dimandaro chi vedo
soltanto coll'occhio materialo 6 corporeo,
che non penetra oltre la superficio.
in visiono. - scusK: ti
[GIRONE TERZO]
Pura. xv. 135-144 [rena peGL'IRAC.]) 501
Quando disanimato il corpo giace ;
136 Ma domandai per darti forza al piede:
Cosi frugar conviensi i pigri, lenti
Ad usar lor vigilia quando riede. »
139 Noi andavamo per lo vespero attenti
Oltre, quanto potean gli occhi allungarsi,
Contra i raggi serotini e lucenti ;
142 Ed ecco a poco a poco un fummo farsi
Verso di noi, come la notte, oscuro,
Né da quello era loco da cansarsi :
135. QUANDO: vedendo alcuno giacere
como morto in terra. Se doe vanno Insie-
mo, © l'uno cade In terra tramortito od
incomincia ad andar barcollando, come
nel nostro caso aveva faito Dante, v. 121
o seg., il compaguo, il cui occhio corpo-
reo non ponetra nell'interno, chiederà
subito spaventato, n maravigliato: Che
hai! volendo dira: Quale è il motivo del
tuo cadere, obarcollare? Qui Virgilio dice
che la sua dimanda non ha tal senso,
sapendo egli già per qual motivo Dante
fosse sì smarrito di mente. Cir. Fanf.
Stud. ed Oss., 103 0 seg. Com. Lips. LI,
274 o sog.
136. ret DARTI: per incoraggiarti a
continuare con sicuro passo il tuo enm-
mino. « Timebat intrare locom ubi pur-
gatur ira, nbi oportet quod homo re-
mittat ininrins et offonsas, et abiiciat
appetitium vindietm;» Benso.
137. PRUGAR: spronare, alimolare; cfr.
Purg. XIV, 89. Così bisogna spronare i
pigri, | quali non sanno rimetterai in
azione, subito che sono risvugliati ed
hanno rionperato le loro fuooltà.
138, mbe: la vigilia = quando i pigri
tornano a svegliarsi.
V. 133-145. La pena degli iraconili,
L'ira ottenebral'intelletto e tarba la no-
biltà del cuore; cfr. Giobbe X VIL, 7. Salm.
XVII, 8. Ondo gl'irosi nel terzo girone
al aggirano avvolti in denso e pungente
fumo, pregando mitezza d'animo da Cri-
ato che fu detto agnello di Dio perchè
mansneto ed nmilo di cuore. « Il fumo
ch'osac0 dal funco è quolla parte che il
fuoco scevora da sò per meglio scaldare
6 schiararo, è cosa che non dà nò forza
di onlore, nè dolcezza di lume, ma solo
contrista ed acceca, Onde giusto è che in
mezzo a densissimo fumo ripensino nl
proprio peccato coloro che un giorno dal
fuoco dell'irn trassero fumo a spegnere
on IManguidiro co' pensieri della ven-
dotta il fuoco dalla carità, o nl nnnob-
binro con fosche immagini |] lume della
verità. Come nel secondo cerchio tnttl
ornno nvvolti in livida voate e sedovano
sopra lividi seggi a ridolersi degli antichi
livori, qui tutti s' aggirano avvolti nel
fitto fimo, è si ridolgono delle cecità o
dello turbolenze dell'ira antica, nd tra il
fumo possono vedere, ma solo parlare «il
ossere uditi; » Perez, Sette cerchi, 161
© sog.
130, rer Lo vesrero: durante il ve-
apro, « Il I'oota viene a dirci, cho il giro
del monte, anco a quell'altozza del terzo
balzo, era molto ampio; perchè la vista
vi si stondea quanto poteva allungarsi,
non quanto le si permetteva dalla cur-
vatura della cornice; e perchè special-
mente procedeva contro i raggi serotini
e locenti il che fa manifesto aversi sem-
pre il sole in faccia dai nostri Poeti. Ma
quando salirono a questo terzo girone,
avevano il sole nol mezzo della fronte,
e ormai oltre ln salita della scala, ave-
vano camminato quasi una legna, cioò
intorno a due miglia: dunque doveva
piegaro ben poco In cornice se mante-
nova i nostri viaggiatori nella direzione
dell'occaso, non ostante quel lungo cam-
mino; e quindi gaan doveva avoro un
gran raggio, e il monte una bella gros-
sozza. In quanto poi dice che andavano
per lo verpero sembra che debba inten-
derel che camminavano dorante l'ora di
vespro;» Antonelli,
140. QUANTO: per quanto ci ora con-
cesso dai vividi raggi del solo morente
che, easendo bassi, erano dirottamento
opposti al nostro sguardo.
148, oscuro : cfr. Purg. XVI, 10 seg.
144, NÉ DA QUELLO : 6 quel fumo oceu-
RZ0]
Pura, xv. 145 - xvi, 1-6
[FUMO]
145 osto ne tolse gli occhi e l’aer puro.
pando tutto i Jzo, non vi era alcuna
parto dove mo potuto evitarlo.
146, NK ' i ci tolse l'uso degli
MARCO LAM!
DELLA CORRUZIONI
GUERARDO DA
occhi e l'aria pura. « Caligavit ab indi
gnatione oculus meus: Job XVII, 7.-
GLI occult: Al. AGLI OCCIN L'AEK PURO,
SESTO
IRA
RRO ARBITRIO
ORRADO DA PALAZZO
A CASTELLO, GAJA
Buio d’ inferno e di notte privata
D'ogni pianeta sotto pover cielo,
Quant’ esser può di nuvol tenebrata,
4 Non fece al viso mio sì grosso volo,
Come quel fummo ch’ ivi ci coperse,
Né a sentir di così aspro pelo;
V. 1-16. Cammino attraverso il
fumo. Volendo descrivere la grande
oscurità che lo avvolse nel terzo girono
dol Purgatorio, Dante raccoglie tutto le
circostanze che sulla terra possono con-
correre ad accrescere agli occhi dell’ uo-
mo l'oscurità della notte: mancanza
d'ogni astro laminoso, densità dello nu-
vole e l'orizzonte limitato di chi si trovi
in una valle profonda ed angusta.
1. buio: l'oscurità dei cerchi infer-
nali, o dolla più oscura notte che possa
darsi in terra, è minore di quello che mi
avvolse qui. - riuivata: sonza stelle.
Vira. Aen. IIT, 204: Totidem sine sidere
noctes.
2. POVRR: in luogo augusto, d>ve ai ve-
de poco cielo; dove piccolo è l'orizzonte.
Così Betti, Pogg., Br. B., Bennas., Pol. eco.
Altri diversamente : Scarso di lumi cele-
sti, tutto coperto di nuvoli; Benv., Buti,
Serrav., Land., Vell., Dan., Vol., occ.
Sotto una posizione di ciolo povera, scarsa
di atello; Lomb., Port., Biag., Cust., Ces.,
Wagn., T'om., Frat., Brun., Andr., An-
ton., Tries., Cam., Franc., Filal., eco. Ma
questo concetto è già espresso nelle pa-
role: privata d'ogni pianeta.-In povero,
rigido clima; Greg. Come c'entra qui il
rigido clima? Dante vuol dare un'idea
della grando oscurità, e tutti sanno che
in una valle profonda e stretta l'oscu-
rità è assai maggiore che non in una
vasta pianura.
4. NON FKCK: non impedì mai la mia
vista como il fumo del terzo cerchio.
6. A SENTIR: al senso. - rKLO: conti-
nuando la similitudine del velo chiama
così le acri e pungenti particelle di quel
fumo, il quale non solo impediva la vista,
ma per giunta mordeva ed offendeva gli
occhi; cfr, Inf. IX, 75.
[GIRONE TERZO]
Puro. xvi. 7-24 [rreon. peaL'IRAO.] 503
7 Ché I’ occhio stare aperto non sofferse:
Onde la scorta mia saputa e fida
Mi s’accostò, e l’omero m’ offerse.
10 Si come cieco va retro a sua guida
Per non smarrirsi, e per non dar di cozzo
In cosa che il molesti o forse ancida;
13 M’ andava io per l’nere amaro e sozzo,
Ascoltando il mio duca che diceva
Pur: « Guarda che da me tu non sie mozzo. »
16 Io sentia voci, e ciascuna pareva
Pregar, per pace e per misericordia,
L’agnel di Dio, che le peccata leva.
19 Puro « Agnus Dei » eran le loro esordia:
Una parola in tutti era ed un modo,
Si che parea tra esse ogni concordia,
22 « Quei sono spirti, maestro, ch'i’ odo? »
Diss'io; ed egli a me: « Tu vero apprendi,
E d’iracondia van solvendo il nodo. »
T.cné: per la quale fastidiosa impres-
sione non potei tenero nperti gli occhi.
R. RAPUTA : anvino nienren. Virgilio gli
si avvicinò di più, perchè Dante, appog-
giandosi alle sne spalle, potesse proce-
dere senza smarrirsi.
11. DAR: per non urtare in cosa che lo
offenda od nccida.
13. AMARO: nero n reapirarsi; « Fumo-
que implevit amaro; » Virg. Aen. XII,
688, - sozzo: nero per lo fumo, - « Così
la densità, l'amarezza e la sorznra son
pena all'ira che offosca la ragione, ama-
reggia il cuore o insozza l'anima; » L.
Vent. Simil., 241,
15. PUR: sempre; non dicera altro che:
Guarda che tu non sia mozzo, ciod so-
parato, diaginnto da me. Al. punteg-
giano: diceva: « Pur guarda » ece., ciod:
Bada solamente a non soparati da me
(Bent., Buti, Betti, aco.).
V. 10-24. La preghiera degl’ ira-
condi. Tlante ode voci di anime pur-
ganti nol fumo. Tutte invocano «d' ne-
cordo of munisono l''Agnollo di Dio, è
Dante, che non può vedere per lo fumo,
v.7e sog., dimanda n Virgilio se quelle
sono voci di spiriti. Virgilio gli risponde
che sono le anime che si purgano dall'ira.
10, PAREVA : «non udja tutte intere le
orazioni loro, ma a brani; » Cera.
19. AGKUS: « Ecce agnns Dei qui tollit
peceatum mondi; » S, Giov. I, 20, 36.
«Cantavano li tro Agnus Dei cho ni
cantano n la messa; clod Agnus Dei,
qui tollis peccata mundi, miserere nobis,
Agnus Dei, qui tollis pescata mundi,
miserere nobis. Agnus Dei, qui tollia pee-
cata mundi, dona nobis pacem; sicchè
Il dae primi dimandano misericordia, e
lo terzo pace; » Buti. - resoRDIA: gli
esordi e incominciamenti delle loro pre-
ghiero,
20. IN TUTTI: Al. In TUTTE; Al. ERA
IN TUTTI. Cantavano tutti la medesima
preghiera © colla medesima intonazione
di voce, Canto uniforme e monotono.
23. APTRENDI : hai colto nel segno, l'hai
indovinata; sono spiriti che si purgano
dell'ira, cho, a guisa di nodo, li lega ed
impedisce loro di volare a Dio,
V. 25-51. Marco Lombardo, Aocor-
tosi dalla sua domanda fatta n Virgilio
che Dante è ancor vivo (chè un'anima
purginto non avrobbe fatto tale do-
manda), uno spirito ehlodo chi egli nin.
Confortato da Virgilio, Dante risponde
cho è infatti ancor vivo e prega lo spi-
rito di manifestarsegli e di dirgli se 4
sulla bmona via per arrivare al passo
delle scalo per le quali si sale il monte.
Lo spirito si nomina, dice che Dante è
ERZO]
Puro. xvi. 25-44
[MARCO LOMBARDO]
i iu chi se’, che il nostro fammo fendi,
i noi parli pur, come se tue
‘tissi ancor lo tempo per calendi? »
2 C er nna voce detto fue;
le il maestro mio disse: « Rispondi,
n ( omanda se quinci si va sue. »
al Ed io: « 0 craatnra sha ti magdi
Per tornar =: ti fece,
Mar: ndi. »
4 « Io ti DUE = v0 8, >
Rispose; «es » non lascia,
L’udir ci terr? lla vece. »
a7 Allora incomi la fascia
Che la mo 0 suso,
E venni qu - ambascia ;
40 E, se Dio m'] chiuso
Tanto, che v la sua corte
Per modo tuuu lern’ uso,
43 Non mi celar chi fosti anzi la morte,
Ma dilmi, e dimmi s’io vo bene al varco;
sulla buona via e lo prega di prugare
per lui. È questi Marco da Venezia, uo-
mo di corte del secolo XIII, sul quale
abbiamo un bel numero di novelle, di
cui al sa però poco o nulla di positivo.
Probabilmente è quello stesso Marco
del quale il Villani (VII, 121) racconta
che predisse al conto Ugolino la sua
sventura, o quel medesimo di cui parla
il Novellino (nov. 46; ed. Biagi, p. 221).
Da quanto ne dicono i comm. antichi
risulta che Marco non fu un cortigiano
volgare, ma un gentiluomo liberale o
magnanimo, « esercitato nella disciplina
militare e nemico dell'ozio, ma prono
all'ira, © massimo a quello sdegno che
suol essere in animo gentile; » Land.
DI lui ofr. Encicl., 1203 e seg.
25. On TU: cfr. Inf. XXXII, 88. Chi
sei tu cho vai insieme con noi per questo
fumo, mentre col tuo modo di esprimerti
mostri di essere ancor vivo?
27. CALENDI: calonde; come se tu divi-
dessi ancora il tenipo per anni, mesi o
giorni, divisione che non ha luogo nei
regni dell'eternità.
30. QUINCI: se da questa parte è la
scala per salire il monto.
31. TI MONDI: ti purifichi per ritor-
nare a Dio; cfr. v. 85 e seg.
33. MARAVIGLIA: che un vivo vada per
li regni della morta gente. - MI SECOND]:
mi accompagni. Sembra che | due Poeti
camminassero iu direzione opposta a quel-
la degli spiriti; cfr. v. 145.
34. MI LECK: alle anime non è lecito di
varcare il tratto involto dal fumo.
35. K SK: 80 i] fumo c’ impedisce di ve-
dere, }’ udire ci terrà unitl.
37. FASCIA: col corpo, fascia o invo-
lucro dell’ anima.
88. 8U8O: non sul monte (Benv., 6c0.),
maalcielo (Buti, Land., Vell.,ec.); cf.v.41.
39. VER LA: Al. PER INFERNALE; attra-
versando l' inferno. - ambascia: cfr. Inf.
XXIV, 52.
40. BK: poichè. - RICIMIUSO: accolto;
cfr. Purg. VIII, 66.
42. MODRIN': non più conceduto ad
alcun uomo da Enea e 8. Paolo in poi;
cfr. Inf. II, 13 o seg.
43. CHt FOSTI: non dice chi sei, ricor-
dandosi di cid che ba udito Purg. XIII,
04 e Beg.
44. DILMI: dimmelo. - VARCO: per aa-
lire al quarto cerchio, cfr. v. 30.
[GIRONE TERZO]
Pura. xvi. 45-60 [MARCO LOMBARDO] 505
E tue parole fien le nostre scorte, »
4“ « Lombardo fui, e fui chiamato Marco;
Del mondo seppi, e quel valore amai
Al quale ha or ciascun disteso l'arco:
49 Per montar su dirittamente vai. »
Così rispose; e soggiunse: « Io ti prego
Che per me preghi quando tu sarai. »
52 Ed io a lui: « Per fede mi ti lego
Di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio
Dentro a un dubbio, s'io non me ne spiego.
55 Prima era scempio, ed ora è fatto doppio
Nella sentenza tua, che mi fa certo,
Qui ed altrove, quello ov’ io l’accoppio.
58 Lo mondo è ben così tutto diserto
D’ ogni virtute, come tu mi suone,
E di malizia gravido e coverto:
45, FIKN: Al. vian, « Andremo come
tu ci dirai; » Buti,
46, LOMMARDO : di nazione (Lan., Ott,
Benv., Dan., cco.), « Denominatus est
Lombardus, quia familinriter conversa-
batar cum dominis Lombardim tempore
suo inter quos tractabat smpe concor-
dias, pacea, affinitates, et confinderatio-
nes; » Benv. Secondo altri questo Marco
fu della famiglia dei Lombardi di Venezia
(An. Fior., Falso Boce., Vell., ecc.). Può
daral; ma il verso non pod avere nltro
sonso che: Fui un Lombardo e mi chia-
mai Marco; il nome di famiglia, o del
casato qui non o' entra.
47. aerri: fui pratico dei nogozi del
mondo ed amni quelle virtù delle qnali
nessuno più si cura. « Tate Marcos fuit
vir prudens, affabilis, expertus agibilium
muandi.... magnam notitiam rerum huma-
narum habait; » Benr.
48. DISTESO: non più toso; « allentato,
non volendo tirar più n quella meta; » Ces.
49. su: al quarto cerchio, Risposta
alia domanda del v, 44.
61. su: innanzi a Dio, nella corte dol
cielo; ofr. v. 40 e seg. Coal Benv., Iuti,
Vell., Piag., ovo. Al.: quando anrai tor-
mato nel nostro mondo (Lomb., Ces.,
Bil, ece.); ma allora doveva dire giù,
mon ste, Al.: quando sarai sn al monte
(Tom.): ma Dante ha detto che sale su
alla corte di Dio, la quale non è sul monte.
V, 62-63, Della corruzione del se-
colo. Dante ha mito diro da Guido del
Duca che tutti foggono la virth. Purg.
XIV, 29 6 seg., © Marco gli ha detto
or'ora che nessuno volge più l' atten-
zione n quel valore già da Ini amato. Il
fatto della corruzione universale gli è
quindi certo; ma quale ne è il motivo!
Guido del Duca avera lasciato indeciso
80 ciò fosse per effetto di celesti infiussi
o della umana malizia, Il dubbio onde
ciò avvenga si fa più forte nella mente
di Dante dopo aver ndito le parole di
Marco, onde gliene chiode la soluzione,
62. M1 TI Likco: ti obbligo la mia fede
di progaro per to.
53. scorrio: sono tanto stimolato o
stretto da un mio dabbio che, se non me
no sviluppo, non mi posso più contenere
o me no muoio.
55. PRIMA: all’ udire Guido del Daca, -
BCEMIIO: semplice.
56. NELLA BENTRNZA : por le tne pa-
role, che non mi lasciano più dubitare
della universale corrozione, « Quanto più
rendesi certa l'esistenza di un effetto ma-
raviglioso, tanto maggiormente a’ acore-
sce nell'nomo la brama di saperne la ca-
giono ; » Lomb,
67. L'ACOrLI0: intorno al qual fatto
della corrozione universale s' aggira il
mio dubbio.
58. niserTO: spogliato, come ta mi
suone, mi dici.
60. MALIZIA: « Mundus totus in mali-
506 [OIRONE TERZO]
Pure. Ivi. 61-71
[CORRUZ. DEL MONDO]
ol Ma progo che m’additi la cagione,
Sì ch'io la vegga, e ch'io la mostri altrui;
Ché nel cielo uno, ed un quaggiù la pone. »
0 Alto sospir, cho duolo strinse in « hui, »
Mise fuor prima, e poi cominciò: « Frate,
Lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui,
67 Voi che vivete ogni cagion recate
Pur suso al cielo, sì come se tutto
Movesse seco di necessitate.
70 Se così fosse, in voi féra distrutto
Libero arbitrio e non fòra giustizia,
gno positus est; » I Ep. Joh, V, 19; off.
Giobbe XV, 85. Salen, VII, 15. Jeaia LIX,
4. - « Oravido dice il semo nascosto del
male; coverto il suo eterno rampollare è
adombrare la terra; » Tom.
03, NEL CIRLO; poichè sleuni preten-
dono che la cagione della corruzione uni-
veraale doi costumi sia l'inflnenza degli
astri, sulle passioni, la volontà e la vita
dell'uomo(determinismo,fataliamo,astro-
logia giudiziaria); altri invoco dicono che
questa cagione sia l'abuso che gli uomini
fauno del libero arbitrio.
V. 64-81. Teorica del libero arbi-
trio. Dopo un sospiro sulla cecità uma-
na, Marco incomincia la sua risposta
esponendo la teorica del libero arbitrio.
Gli uomini procurano di scusare le loro
maleazioniattribuendone la causa agl’in-
fiussi celesti, come se vi fossero spinti
dalla necessità, ln quale opinione di-
strugge il libero arbitrio ed accusa di
ingiustizia quel Dio che premia il bene
© punisce il male. Egli è ben vero che
il cielo infonde nell'uomo lo prime in-
clinazioni, non però tutte, alcune aven-
do loro origine nei mali abiti contratti.
Facendo però uso del lume della Ragio-
ne, della Rivelazione o del libero arbi-
trio, l'uomo lia o la facoltà ed Il dovere
di combattero contro gli intlussi degli
astri, oasia contro le cattive inclinazioni
naturali, combattimento sulle prime duro
o faticoso, ina nel quale l'uomo ottiono la
vittoria, se il libero arbitrio si nutre di
sapienza, amore © virtuto, Inf. I, 104.
L'uomo soggiace a Dio, la cui forza è
maggiore e la cui natura è migliore che
non quella dogli astri, o che non toglie
all'uomo fl libero arbitrio, non costrin-
gendolo nò al bene nò al male.
64. DUOLO: della cecità di Dante, v. 60.
- STUINSE: foce terminare in hui, che è
una esclamazione di lamento e di dolore.
66, cixco: il mondo è involto nell'igno-
ranza della vorità, od il tao dubbio mo-
stra che to vieni da esso, casondo igno-
rante al pari degli altri nomini.
67. Cacion: voi nomini attribuite so-
lamente all'influsso delle stelle ogni ca-
gione del bene e del malo. In Omoro
(Odyss. I, 33 0 weg.) Giove dico: « Oh,
como gli uomini mortali incolpano gli
Dei! Chè da noi dicono venire i mali,
mentr’ egli vanno soggetti ad affanni,
non per destino, ma per le proprio loro
stoltezzo, » Danto potò leggere questa
sentenza omerica in Gell. Noct. Att. VI, 2.
62.81 COMK: Al. PUR COME; COSÌ COME.
Come se tutto ciò che avviene in terra,
anche le azioni morali, fossero necessi-
tate dagl'influssi del cielo.
70.8K così: « si intellectus et voluntas
essent vires corporeis organis alligat®,
ox necessitate soqueretur quod corpora
colestia essent cnusa electionum et ac-
tonm humanorum; et ox hoo sequeretur
quod homo naturali instincta ageretur
ud suas actiones, sicat cetera animalia,
in quibus non sunt nisi vires anlm® cor-
poreis organis alligatre; nam illud quod
fit in istis inforioribus ex impressione
corporum colestiam, naturaliter agitur;
et ita sequeretur quod homo non esset
liberi arbitrii, scd haberet actiones de-
terminatas, sicut ot cwterm res natara-
los; que manifesto sunt false; » Thom.
Aq.Sum.theol. I, 116, 4; ofr. ibid. I, 73,
1 e weg. Boéth. Cons. V, 2.
71. NON FORA: non sarebbe giusto il
remuncrarno il bene coll'eterna beatitu-
dine, e punire il male coll' eterno do-
loro; ofr. Iren. 1V, 87. Tertull., Con.
AMarc., 2.
[GIRONE TERZO]
Pura. xvi. 72-82 [CORRUZ.DEL MONDO] 507
Per ben letizia, e per male aver lutto.
73 Lo cielo i vostri movimenti inizia,
Non dico tutti; ma, posto ch'io il dica,
Lume v'è dato a bene ed a malizia,
76 E libero voler, che, se fatica
Nelle prime battaglie col ciel dura,
Poi vince tutto, se ben si nutrica.
79 A maggior forza ed a miglior natura
Liberi soggiacete, e quella cria
La mente in voi, che il ciel non ha in sua cura.
82 Però, se il mondo presente disvia,
73. Lo cino: Al. 1, creo. Socondo lo
@ottring natrologiche del modio ove tutto
quaggià soggiace all’ influsso delle stollo
(ofr. Par. XI1I, 04). Ogni cielo è nato-
rato di ona propria virtà, Ia quale no-
cende in nol i primi appetiti, Dante non
nega l'azione dei pianeti, ma soltanto
la necessità di obbedirle. L'uomo è do-
tato di libero volere, mediante il quale
egli pnd frenare gli appetiti o dirigerli
al bene. « Corpora colestia non sunt vo-
luntatum nostrarum neque electionum
cansa. Volantas enim in parte intellec-
tiva animm est.... Si igitur corpora ea-
leatia non possunt imprimere directe in
intelloctum nostrum, nt ostensum eat,
neque etiam in volnntatem nostram di-
recte Imprimoro poterunt; » Thom. Aq.
Contr, Gent. ITT, 85, — « Corpora emlo-
atin non possunt caso per so canan npe-
rationom liberi arbitrii; possunt tamen
ad hoo dispositive inclinare, in quantum
imprimmat in corpos humannm, et per
consequens in vires sensitivar, que sunt
actos corporalium organorom, que in-
clinant ad humanos actus; » Thom. Ag.
Sum. theol. IT, 11, 95, 5.
75. LUME: della Ragione o della Rive-
Inzione, a discernere il bene dal male.
76. LAWKRO VOLER: ofr. Justin, Apol. I,
43, Jren, IV, 4, p. 201, Com. Lips.
IT, 285.
77. DURA: « se dura fatiza, cioà so re-
alate, combattendo a le voluttà de'aensi,
n le quali il cielo n principio lo pioga,
vineo pol tutto; » Vell,
78. TUTTO: ogni influsso do’ cieli. « Vo-
lontas non ex necessitate sequitur in-
clinationem appetitus inferioris. Liocot
onim passiones, qum sont in irnscibili
ot concupiscibili, haboant quamdam vim
ad inclivandam volontatem, tamen in
poteatate voluntatia romanet aequi paa-
alonos, vol ona rofutaro. Kt ideo impros-
rio celostinm corporam, secundum quam
immutari possnnt inferiores vires, minna
pertingit ad voluntatem que est proxi-
ma cansa homanaram actoom, quam nd
intelleotum.,.. Plares hominum sequun-
tur passiones, quam sunt motus sensitivi
nppetitus, nd quas cooperari posannt
corpora orelestia; pauci autem sunt sa-
plentes qui hujuamodi passionibus resi-
atant. Et ideo astrologi, ut in ploribus
vera possuni predicere, et maxime in
commoni, non autem in speciali, quia
nihil prohibet aliquem hominem per li-
bernm arbitrinm passionibua resistere ;»
Thom, Aq. Sum. theol, I, 116, 4. « Nihil
prohibet per voluntariam actionom im-
pediri ofectom cmlestinm corporum, non
solum in ipso homino, sed etiam in nlija
rebns, nd quas hominum operatio se
oxtendit;» ibid, 1, 116, 6, — « Contra in-
clinationem ceslestimnm corporam homo
potest per rationem operari;» ibid. JI,
nu, 05, 5, = NUTRICA: natrisoe.
70, MAGoION: divina.
BO. cita: crea l'anima ragionevole ed
intellottiva, la quale non è soggotta ni
movimenti de'cieli. Cfr, Thom. Ag. Sum.
theol. I, 76, 6. &. Aug. Civ. Dei, V, 1.
81, NON MA: « la monte umana che il
Cielo non ha in son cura è l'anima in
quanto è libera e ragionevole; nel qual
napetto olla è superiore a tutta la mate-
rinlo natora; » Gioberti.
V. 82-114. hot confezione del potera
cirile collo spirituale cagione della
corruzione, Continuando il ano discorso
Marco dice: Vol nomini avete la colpa
ae il mondo dei viventi esce dalla diritta
vin, L'anima nmana osce innocente dalle
mani dol creatore o si volge istintiva»
508 [GIRONE TERZO]
Puro. XVI. 88-97
[CORRUZ. DEL MONDO]
In voi è la cagione, in voi si cheggia,
Kid io te ne sarò or vera spia.
86 Esco di mano a Lui, che la vagheggia
Prima cho sia, a guisa di fanciulla,
Che piangendo e ridendo pargoleggia,
88 L’anima semplicetta, che sa nulla,
Salvo che, mossa da lieto fattore,
Volentier torna a ciò che la trastulla,
a1 Di picciol bene in pria sente sapore;
Quivi s’ inganna, e retro ad esso corre,
Se guida o fren non torce suo amore.
dA Onde convenne legge per fren porre;
Convenne rege aver, che discernesse
Della vera cittade almen la torre.
97 Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?
mente a quanto le sembra diluttovale è
beatificante, Appena ha incominciato a
gustare i beni mondani corre loro die-
tro, lusingandosi di trovare in cessi il
sommo bene, sv una guida non la indi-
rizza al Sommo Beno, od un freno non
la trattiene dal correr dietro ai beni
fallaci. Furono pertanto necessario lo
leggi. Ma adesso le loggi sono incflica-
ci, perchd il pastoro va avanti col cut-
tivo esempio e confonde lo cuse spiri-
tuali colle temporali. Questo mal governo
del mondo è la cagione della corruzione,
non l'influenza de’ cieli, nò la perversita
dell’ umana natura.
83. BI CHEGGIA: si corchi.
84. VERA BLIA: verace esploratore, in-
dicatore; te lo dimostrerò chiaramente.
85. ESck: l'anima umana è creata im-
mediatamente da Dio, nella cai idea essa
esisto già ab eterno. « Anima rationalis
non potest produci nisi a Doo iminedia-
to; » Tom. Aq. Sum. theol. 1, 90, 3.
88. CHE SIA: creata. - A GUISA: come
una fanciulletta che « s' allegra od attri-
sta, piange e ride, nella guisa che soglivno
fare le semplici o purgolotto funciullo cho
vogliono 0 disvogliono in un istanto una
Cosa intossa; >» Dan, - « 1 por questo da
ul intondere cho naturalinente siame di-
sposti allo passioni, e con quella disposi-
zione nasciamo e siamo mutevoli, come
si vede ne’ fanciulli; » Buti.
88. SEMLLICETTA: « quia est taniquam
tabula rasa, in qua nihil ost depictum,
a
opta nite recipore omnem impressionem,
formam ot figaram imprimendam sibi ; »
Benv, Cir. Thom. Ag. Sum. theol. I, 84.
89. SALVO: bonchò l'anima di recente
infusa nel corpo nop abbia ancora idee,
tuttavia, perchè procedendo dal Sommo
Bene, essa si volge instintivamente a
tutto ciò che lo sembra doverla dilet-
taro. Cfr. Conv. IV, 12.
Ol. rICCIOL: mondano e puerile, - SKN-
TK: gusta e dosidera.
92. QUIVI: nel picciol bene. ~ 8' INGAN-
NA: credendolo il bene verace.
93. GUIDA: pastori e reggenti. - FREN:
lo leggi. - NON TORCK: « non piega lo suo
amore dal bene imperfetto al beno per-
fotto; » Buti.
94. ONDE: perciò furono necessario le
leggi; cfr. Purg. VI, 88.
95. REGE: < a perfezione della umana
specie cunvieno essere uno quasi noc-
chiere, cho considerando le diverse con-
dizioni del mondo, o li diversi o necos-
sarj uttizj ordinando, abbia del tutto
universale o irrepugnabile ufficio di co-
mandare, E questo ufficio è per eccol-
lonzia imperio chiamato, o chi a questo
uMicio è posto, è chiamato imperadlo-
ro; » Conv. IV, 4. Cir. De Mon. 1, 12,
13; II, 6, ecc.
06. VERA CITTADE: cfr. Purg. XIII,
95. - LA TORRE: la giustizia.
97. LEGGI: divino ed umano, ecclesia-
stiche e politiche; cfr. Purg. VI, 886
seg. - LON MANO: per farlo osservare.
[GTRONE TERZO]
Puro. xvi. 98-112 [corruz. n. Monpo] 509
Nullo, però che il pastor che precede
Ruminar può, ma non ha |’ unghie fesse;
100 Per che la gente, che sua guida vede
Pure a quel ben ferire ond’ ell’ è ghiotta,
Di quel si pasce, e più oltre non chiede.
103 Ben puoi veder che la mala condotta
E la cagion che il mondo ha fatto reo,
E non natura che in voi fia corrotta.
106 Soleva Roma, che il buon mondo feo,
Due Soli aver, che l'una e l’altra strada
Facean vedere, 6 del mondo e di Deo.
109 L’un l’altro ha spento, ed è giunta la spada
Col pastorale; e l'un con l'altro insiomo
Per viva forza mal convien che vada,
112 Però che, giunti, l'un l’altro non teme:
08. KULLO: l'imporo essendo vacante,
Purg. VI, 89, ed il sommo pontefice non
sapendo distinguere le cose temporali
dalle spirituali. - rrECEDE: in dignità.
00, RUMINAR: Al. nUGUMAR. La legge
mosaien proibiva agl' Isrneliti di man-
giare la carne degli animali che non rn-
minano e non hanno il piè forento ; cfr.
Levit. XI, 2 © seg. Dewt. XIV, 7 © seg.
* Fissio ungule significat distinctionem
iluornm testamentorum, vel Patria et Fi-
lil, vel duarum natnraram in Chrieto,
vel discrotionem boni et mali; rumina-
tio antem significat moditationem Scrip-
turarum st annum intellectum eorum; »
Tom. Ag. Sum. theol, 1°, 102, 6. Dante
dice danque che il pontefice può bensì
essoro sapiente nelle Scritture, ma non
na «distinguere le cose temporali dalle
spirituali. Cfr. Com. Lips. 11, 288 6 so-
guenti, ed i versi 107-112, 127-120 del
presente canto.
101. ferme: tondero (Inf. XIX, 104,
112) soltanto n quel bene mondano, del
quale sasa medi sima d ghiotta, ciod avida.
102. DI QUEL: del bene mondano, senza
aspirare ni beni spiritnali ed eterni.
103, nee ruor: da quanto ti ho detto
pool comprondore rho In engione della
corruifiela d mal porvorno del pontetei
6 flegl' impormlori, non già 1 Influenza
dello stelle, o In cattiva natura degli no-
mini, « Ipsi pastores ignoraverunt intel-
ligontinm : omnes in viam sunm declina-
rerint, nousquisque ad avaritiam sunm
n summo usque od novissimum ; » [sata
LVI, 11, « Grox perditus factus est po-
polos meus: pastores sorum sodurerant
sor, fecerontqne vagari; » Gerem. L, 6.
106, sro: fece; diede al mondo l' ot-
tima disposizione, riducendolo a monar-
chine dando ordini di leggi civili, e così
preparò ad accogliere la fede oristiana;
efr. Conv, IV, 5. Inf. IT, 22 è seg.
107. pur Sout: le dne somme autorità,
l'imperiale o la papale, che illuminavano
agli nomini In via della beatitudine eter-
na, ola vin della felicità di questa vita;
ofr, De Mon, III, 16. Conv, IV, 4. Ma-
miani in D. è il ewo secolo, 150 è seg.
100. nus: l'antorità papale ha spento,
n Roma, l'antorità imperiale, - uUNTA:
congiunta, unita. Il potere temporale è
congiunto col potero spirituale, ed es-
somlo queste duc potestà onite nello
etesso mani, non si prendono più sogge-
zione l'una dell'altra, il motivo di ope-
rare cinsconn cautamente cessa, onde tal
confusions delle due podestà deve necos-
sarinmente genorare «disordini.
112. XON Teme: «Quando li cherici nen
avenno se non lo apirituale, temevano di
fallire è di vivere disonestamente se non
per l'amore di Dio, almeno per paura
de’ seeulari chio, vedendo la loro mala
vita, non doneginesrà loro lo loro ole-
morino; o com) li socwlarl tomorano di
falliro 0 vivero male, considerando: ' Lo
prelato dal diritto che non m'assolverà; ,,
ora, redendo lo cherico dato alle cose tem-
pornli, dice: Così posso fare io com’ elli;»
Buti,
L antica età la nuova, e par lor tar
Che Dio a miglior vita li ripogna;
124
Corrado da Palazzo e il buon Gherarc
È Guido da Castel, che me’ si nom:
Francescamente il semplice Lomba
113. ALLA SFIGA : al frutto, Se non vuoi
prestar fede allo mie parole, gaarda ai
ed mero triati effetti di questa
confusione dei dao poteri, che la natura
dell'albero al riconosce da' avoi frutti;
cfr. 8. Matt. VII, 16 © aog.
V. 115-129. La corruzione presente
e la virtù antica nella Lombardia,
A conforma di quanto ha sin qui dimo-
atrato, Skies alan l'osompio dello cou-
dizioni morali della socfetà lombarda, pa-
mgonanido l'attualo corruttelacoll'antica
virtà. Colà dovo un di si trovava valore
o cortesia (cfr, Inf. XVI, 67) non vi è
più chi Mocia arrossire on tristo, tranne
tre vecchi che desidorano di esser tolti da
un mondo sl corrotto © chlamnti da Dio
alla sua paco, Keco | tristi effutti della
confusione delle due autorità, civilo cd
ccclesiastica |
115, ranse: la Lombardia, jntosa nel
modo antico, cho comprendeva tutta
l'Italia anporiore, come la Marca Trovi-
giana o la Komagna,
117. PRIMA: nei tempi anteriori alle lotte
| mp ro rime det coi papi, nel-
le quali lotto si wcere on
118, Seah : fune. Ogni tristo,
al quelo la vorgorna imnoliasn di never
tica famiglia dei co
scia, capitano conti
o podestà di Piace
Rossi, Elogi hint, |
Brescia, 1020, p, 42
vita molto onore, di
glia, ed in vita polit
cittadi, dove acqui:
126, Guivo ba ©,
tre rami del casato.
mo ghibellino ripar
rona; ma #6 ora gii
* Studiò in onorare |
passavano por lo ca
molti no rimise in en
Francia erano passati
vir prudens et reotus
—— — i
[GIRONE TERZO]
Puro. xvi. 127-142
| [GAJA] 511
127 Di’ oggimai che la Chiesa di Roma,
Per confondere in sé due reggimenti,
Cade nel fango, e sé brutta e la soma. »
130 « O Marco mio, » diss’ io, « bene argomenti:
Ed or discerno, perché dal retaggio
Li figli di Levi furono esenti:
133 Ma qual Gherardo 4 quel che tu, per saggio,
Di’ ch'è rimaso, della gente spenta,
In rimprovério del secol selvaggio? »
136 « O tuo parlar m’inganna o e' mi tenta, »
Rispose a me, « ché, parlandomi tdésco,
Par che del buon Gherardo nulla senta:
129 Per altro soprannome io nol conosco,
S' io nol togliessi da sua figlia Gaja;
Dio sia con voi, ché più non vegno vosco,
142 Vedi l’albòr cho per lo fummo raja,
plicità che a'attribuisce a virtù, e non nd
ignoranza; » Vell. Cfr, Purg. VII, 130,
127. pr": concehindi donque che In Chie-
aa romana, per la confnaiono cho fa in sò
dei due potori, temporale e Spirituale,
precipita nel fango ed imbratin sò stessa
ed il eno carico, cioè l'uno e l'altro go-
verno, spirituale è temporale.
129, cave: « Ante omnia ergo dicimns,
nnumquemquo debero materim pondus
propriis humeris excipere mquale, no
forte humeroram nimio gravatam virtu-
tem in crenom cespitaro neccsao sit; »
De Vulg. eloq. II, 4.
V. 130-145, Gaja, figlia det buon
Gherardo, Dante chiede chi sin quel
boon Gherardo nominato da Marco. Que-
sti, maravigliato della domanda, rispondo
di non saperlo chiamare altri monti che il
buon Gherardo, a meno di volerlo chin-
mare il padre di Gaja, Questa Gaja, figlia
di Gherardo da Camino e di Chiara della
Torre da Milano sua soconila moglio spo-
sò nn sno parente Tolberto da Camino è
morì nell'agosto del 1911. Il Lan. el'Ott.
te: « Fo donna di tale roggi-
‘avre circa lo delottazioni amorose, cho
il sno nome por tutta Tta-
Sao E Benv.; « Iain onim erat famosla-
sima in tota Lombardia, ita quod ubique
dicebatar de ea: Mulier quidem ver» gain
et vana; et ut broviter dicam, l'arvisina
tota amorosa; qum dicebat domino Ri-
zardo fratri suo: l'rocora tantum mihi
Me
invenes procos amorosos, et ego procu-
rabo tibi pnellas formoens. Multa jocorn
aclens prieterea de fimmina ista, que di-
cere pudor prohibet, » Altri la dicono In-
vece celebro per bellozza ed onestà (An.
Fior., Buti, Land., Vell., Dan., ece.). Cfr.
Banozzi, in D. e il ewo sec., p. 804. Dom.
Fraxsoni, Difesa dell'onore di Gaja, noi
suoi Studi vari sulla Die. Com., Fir. 1887.
Enciel., 865 © seg.
131. DIEcERNO: comprendo la ragione
perchè i Liviti furono esclusi dall' ore-
dith di beni temporali ; efr, Num. XVIIT,
20, Giosuè XIII, 14; XXI, 10scg.
134. CRNTEK SVENTA: dei buoni nomini
antichi, v. 115-120.
135. Is rRimrrovério: in rampogna
della generaziono odierna, priva di va-
lore o cortesia,
146. 0 TUO: ojo non ho inteso bene lo
tne parole, oppure tu hai parlato così per
indarmi a dire ancora altro cose aul
conto del bnon Gherardo.
187. tosco: tosenno,. Gherardo da Un-
mimo era conoscintissimo In Toscana ; cfr,
Det Lungo, Dino Comp, I, 506 © eeg.;
IT, 477,
18, ran; ombra, n gindlenro dallo tne
parole, cho tu non no sappia nulla
141, mo: non essemlomi lecito di uscire
da questo fumo, non posso più venire ol-
tro con vol.
142. L'atumòn: fl chiarore, non del Sole
(Buti, Vell., Dan., Lomb., coo.), ma dol-
pace; Cir. rurg. XVII, 46 © seg. - PRI-
MA: prima di comparirgli dinanzi, il che
nou mi è lecito sino a tanto cho non sia
compiuto il tempo della mia purifica-
zione. Al. RIMA CH'EGLI PAJA; mal’ An-
prio necessario d
II, 29€. Moork,
POI. - VOLLR UD!
Marco non voll
nemmeno udire.
CANTO DECIMOSETTI
GIRONE TERZO: IRA
_——._
USCITA DAL FUMO, ESEMPI D'IRACOND
L'ANGELO DELLA PACE
SALITA AL QUARTO GIRO!
NOTTE, TEORICA DELL'AMORE
SISTEMA MORALE DELLA PARTIZIONE DEL
Ricorditi, lottor, se mai nell’ a]
Ti colse nebbia, per la qual vedessi
Non altrimenti, che per pelle talpe,
[GIRONE TERZO]
Pura. xvir. 4-13 [UscIiTA DAL FUMO] 518
4 Come, quando i vapori umidi e spessi
A diradar cominciansi, la spera
Del sol debilemente entra per essi;
7 E fia la tua immagine leggiera
In giugnere a veder, com' io rividi
Lo sole in pria, che già nel corcare era.
10 Si, pareggiando i miei co’ passi fidi
Del mio maestro, uscii fuor di tal nube,
Ai raggi, morti già nei bassi lidi.
13 O immaginativa, che ne rube
tica l'oechio della talpa è coperto d' una
sottile pellicola (cfr. Aristot. Hist, ani-
mal. I,9,onde non può vedere, Opinione
erronea,
4. 1 varori: la nebbia che è un am-
imasso di vapori umidi e sapessi. « Velnti
cum flumina natas Exhalant nebulna, nec
sol admittitur infra; » Ovid. Met. XIII,
602 © seg.
5. LA SPERA: Îl disco del sole, i raggi
solari; cfr. Voe, Or. a, v. spera.
7. LReGIRRA : atta, facile. « La ton im-
maginazione aintata da questa similita-
dine sarà pronta n comprendere; » Vent.
). rea: quando incominciai ad uacire
dal fomo del terzo girono.
10. sì: così dunque, a questa scaran
Ince solare, camminando di pari paaso con
Virgilio, nscii fuori di quella novola di
fumo ni raggi del Solo, che nei bassi lit-
torali Inoghi appid della montagna orano
già spenti.
12. Al RAGOT: « Tor prima cosa nol-
l'usciro di quella nube di fumo, il Poeta
rivide il sole presso il tramonto, il quale
per consegubnza pare seguitasso a 0s-
cia in faccia; percioochè procedendo
oscurità, nppoggiato a Vir-
gilio. 4 colpito da quell' imagine torba è
abindita, che in principio ha descritto,
nonostante che presso la ripa a sinistra
stesse l'angelo, già visto biancheggiare
da Marco lombardo o paroggiando i snoi
co' passi fidi del maestro, nota i raggi
del endento solo osser già morti ni bassi
Nidi, clod non endore orinni più cho snlin
parto elovata dol monto. Questa cireo-
atanza del trovarsi i Poeti sempre diretti
verso l'occaso, conferma quanto conclu-
demmo in ordino alla grande estensione
che doveva attribnirsi al raggio di que-
ata cornice, e molto più a quello dello
due procedonti; » Antonelli.
33, — Die, Comim., 33 oiliz.
V. 13-30, Visioni di esempi d'ira-
condia punita, Entrando nel terzo gi-
rone, Dantoobbe visioni di esempi di bella
mansuetndine, Purg. XV, 85 e seg.; nl-
l'nscirno vede in visione esempi d'ira
infausta, « Alle tre visioni di dolci mi-
terze si contrappongono altrettante vi-
sloni di crude irncondie, Progne nocide
il figlio per gustare In dolcezza della ven-
detta e perde la facoltà de' pensieri, In
ragione; Amano vnol nocidere ed è ne-
ciso, volendo perdere altrui perde sò
stesso; Amata si nocide per non perder
Lavinia, 6 la perdo per sempre: sforzi
sompro infelici dell'ira. Di Progne fan
vendotta gli doi; di Amano fan vendetta
gli nomini; di Amata fa vondetta ella
stossa : tre vondetto che sovente s'uni-
srono insieme. Così il volto di doe regio
donne, orribilmente dall'ira trasformato,
motte in orrore al sesso gentile una pas-
alone che cancella dalle sembianze uma-
ne ogni traccia di bellezza; è l'ira di un
regio ministro che cade nei lacci tesi ad
altrui, ira politica è religiosa insieme,
nmmonisce tutti coloro che della patria »
della religione fanno istrumonto d'ire e
di vendette superbe; » Perez, Sette cer-
chi, 164.
13. IMMAGINATIVA: la potenza immn-
ginativa, ossia In fantasia, v. 25, « Ad
harnm autem formarom rotentionem ant
conservationem ordinatur phantasia, si-
vo imaginatio, que idem sunt; est enim
phantasia sive imaginatio quasi thoann-
roa qnidam formarom per sensnm ac-
coptarmn; » Thom, Ag. Sum. theol. I,
78, 4. « Proeul dabio oportet in vi imagi-
nativa ponere non solum potentiam pas-
sivam, aed etiam activam; » ibid., 84, 6.
¢ Imaginatio est quidem altior potentia
quam sensus exterior ; » ibid. ITT, 90, 9. -
nit nue: ci rubi, ci rondi dol tutto in-
514 [GIRONE TERZO] Pura. xvi 14-31
“sati nn
[ESEMPI D'IRACONDIA]
Tal volta si di fuor, ch’ uom non s’accorge,
Perché d'intorno suonin mille tube,
16 Chi muove te, se il senso non ti porge?
Muovoti lume, elio nel ciel 8’ informa
Per sé, o per voler che giù lo scorge.
19 Dell’ empiezza di Jei, che mutò forma
Nell’ nose ee
Nell’im
22 E qui fu li
Dentro ¢
Cosa che
25 Poi piovve
Un croc
Nella si
28 Intorno ad
Ester su.
Che fu a
81 E come qui
sensibili alle impressioni esterne; confr.
Purg. IV,leeseg. Boce., Vita di D., 8.
Papanti, Dante secondo la tradiz., p. 28,
nt. 6. Com. Lips. II, 299.
15. PkuciéÉ: quantunque ci risuonino
d' intorno mille trombe. - TUBE: trombe;
cfr. Voc. Or. 8. v. « Tuba si chiama dal
popolo quel Tamburo grandissimo che si
adopera nelle Bande musicali; » Fanfani.
Lo chiamarono così già gli autichif Cfr.
Par. VI, 72.
16. Ciil MUOVK: che cosa mai ti fa ope-
rare, se i sensi non ti porgono alcun
oggetto da contemplare? Confr. Conv.
III, 9.
17. 8'INFORMA: prende sua forma, de-
riva dal cielo.
18. PER SÉ: per naturale influsso dei
cieli. - VOLKER: divino. Le imagini che
non vengono alla mente dal senso ven-
gono dal cielo, o per influsso degli astri
o per particolar volore di Dio.
19. KMP1KZZa : Ompleta, crudeltà. - LEI:
non gia Filomola(Lan., Ott., Petr. Dant.,
Buti, An. Kior, Vent., Tom., Giober.,
Filal., ecc.), ma Progne trasformata in
usignolo(Cass., Falso Bocc., Land.,Vell.,
Dol., Vol., Lomb., Port., Pogg., Biag.,
Oost., Ces., Br. B., Fraticelli, Greg.,
Andr., ecc.). La favola alla quale Dante
allude qui e Purg. IX, 15 è troppo nota,
’orma:;
ta
| venia
cetta,
sla
iro
ria:
ssuero,
ardocheo,
tero.
1 10
quindi non occorre raccontarla. Cfr. Ovid.
Met. VI, 412-676. Encicl., 1676.
21. NELL'IMMAGINK: nella mia imma-
ginativa, o facoltà d'immaginare. - L’OR-
MA: l'immagine, la rappresentazione.
22. RISTRETTA: raccolta in sò medesima
ed alienata dai sensi esterni, tutta intesa
a questa immaginazione; confr. Purg.
III, 12.
24. RECETTA: ricevuta. La mente mia
fu qui chiusa e raccolta in sè in modo da
non ricevere voruna impressione ester-
na; cfr. v. 13 © seg.
25. VIOVVE: per immaginativa. - ALTA :
staccata dai sensi e dalle cose terrene;
cfr. Par. XXXIII, 142.
26. UN: Aimano, il quale adirato contro
Il giudeo Mardocheo disegnò di distrug-
gere lui e tutti i Giudei, e fu poi impio-
cato a quellu steaso leguo che aveva fatto
apprestare per impiccarvi Mardocheo;
ofr, Ester ITI-VIT.
27. COTAL: dispettoso e fiero.
28. AssukRO: re di Porsia; cfr. Ester
I, 1 © sog.
80. INTERO: integro, giusto in parole
ed in fatti.
81. ROMLPEO 8k: si ruppe, svanì da sò
stessa a guisa di una bolla che si rompa
mancando l’acqua onde è composto il
sottilissimo velo che chiude l'aria in-
[GIRONE TERZO]
Pura. Xvi. 32-44 [ANGELO D. PACE]
515
Sé per sé stessa, a guisa d'una bulla
Cui manca l'acqua sotto qual si feo,
34 Surse in mia visione una fanciulla,
Piangendo forte, e diceva: « O regina,
Perché per ira hai voluto esser nulla?
97 Ancisa t’ hai per non perder Lavina;
Or m’ hai perduta; io son essa che lutto,
Madre, alla tua pria ch’all’altrui ruina, »
40 Come si frange il sonno, ove di butto
Nuova luce percote il viso chiuso,
Che fratto guizza pria che muoia tutto;
43 Così l'immaginar mio cadde giuso,
Tosto ch’un lume il volto mi percosse,
terna, aria rarefatta, più leggiera della
esterna.
82. nutta: bolla, « Crassior offons®
balla tumescit mqum;» Martial. Epigr.
VIII, 33.
34, FANCIULLA: Lavinia (in rima Lavi-
na), unica figlin di Latino re del Lazio
(ef. Taf. 1V, 125, 126), è di Amnta, pro-
messa a Tarno ro dei Rutoli © poi sposa
di Enea; ofr. Virg. Aen. XII. Tit, Liv, 1,
1, 2. Ovid. Met. XIII.
35. neoinA: Amata, madre di Lavinia,
che si impiccò perira disperata, credendo
che Turno fosse già neciso da Enea e che
Lavinia andasse sposa ad Enea invece di
Torno; ofr. Virg. Aen, VIT, 341 © neg.;
XII, 601 e seg. « Nell'irn d'Amata pare
che |' Alighieri voglia ritrarre l'ira di co-
loro, cho fitti in qualche affetto alngolaro
o privato, non ann lovaral ml affetti nni-
versal], o vanissimamente si sdegnano
contro i decreti d'una provvidenza che
scompigtia i loro disegni per edificar coso
ben maggiori; » Perez, 163.
20. PSK NULLA: non casor più, mo-
rire. Il suicida crede di annullarsi.
37. PekoeR: per non vederla andare
sposa all'odiato Enea,
38, on: uecidendoti m'hal perduta dav-
vero, LUTTO: piango la tua morte prima
di piangere la morte di Turno, Luttare,
dal Int. luctus, vale plorare, dolersi pian-
gendo,
BD. ALTRUI: di Turno, il quale fo ne-
ciso da Enea dopo che Amata si era già
impiccata,
V. 40-69, L'Angeto della Pace. Ap-
più della scala per saliredal terzo al quarto
girone sta un altro Angelo, di oui Dante
non può sostenere la vista, cho avvia |
luo viandanti al quarto girone, con un
ventar d'ala rimuove dalla fronte di
Dante nn altro Pe canta Ia bentito-
dine evangolica: Beati i pacifici, -— « A
Dante, che colla rapita immaginazione
sta ancor fiso ne' miserabili fatti dell’ ira,
ferisce gli occhi tna luce improvvisa; è
mentre vinto o amarrito vien chiedendo
n ad atosso dov'egli sia, alla luce s'ng-
giunge una voco, che invitandolo dolco-
mente n salire, gli foga dall'anima ogni
truce visione, È la luce e la voce del-
I Angelo della Pace. Luce, che con sua
vivezza può bon confondere e opprimere
gli occhi di colui che esce appena dal fumo
dell'ira; ma che presto, conginuta con
una voce che pone sicurezza nel profon-
do dell'anima, schiara è afforza l'nomo
nello pacifiche vie ove prosporano | passi
do’ mansneti; » Perez.
40. ni nutTO : (=di botto, Inf. XXII,
130; XXIV, 106), in nn subito, ad un
tratto, repentinamente.
41, 1L viso: gli occhi chinsi,
42, FKATTO: il qual sonno, rotto, si
sforza di rimettersi, prima che svanisca
del tutto, — GUIZZA : « siccomo il peace,
tratto fuer d'acqua, guizza prima di mo-
rire, così per catacresi appella gqitizzare
quello sforzo che l'interrotto sonno fa di
rimettersi, prima che del tutto svani-
aca;» Lomb. Del sonno che incomincia
Virg. Aen., 208 © sog.: « Tempus orat
quo prima quies mortalibns mgria In-
cipit et dono divam gratissima serpit. »
43. L'IMMAGINAR: la mia visione cessò,
44. uN LUMR: Al, IL LUME, Ern lo splon-
dore dell'Angelo ll vicino.
516 [GIRCTE TERZO]
Pura. xvi, 45-62
[ANGELO DELLA PACE]
Maggiore assai che quello ch'è in nostr’ uso.
46 I mi volgea per vedere ov’ io fosse,
Quand’ una voce disse: « Qui si monta, »
Che da ogni altro intento mi rimosse ;
49 E fece la mia voglia tanto pronta
Di riguardar chi era che parlava,
am ZàtTYt”/o
61 O
45. QUELLO: il lume del sole.
47. VOCE: dell'Angelo che invita a sa-
lire.
48. CHE: la qual voce mi rimosse dal
pensare ad altro, facendomi tutto at-
tento a sè.
50 CHI KRA: «quia vox non sonabat
humana; » Benv.
51. BI RAFFRONTA: coll’ oggetto a cui
mira. « Nota qui in generale il carattere
d'una voglia intensa. E il concetto del
ternario è il seguente : Fece la mia voglia
tantopronta, tanto sollecita e impaziente,
di vedore chi era quegli che parlava, che
quando la voglia è a tal segno non posa
mai, non a'acquieta, se non si rafronta,
se non viene a fronte colla cosa o persona
bramata; » Br. B.
52. MA COMK: ma la mia virtù visiva
era tanto inabile ad aftissarsi in quel-
l' oggetto, quanto la nostra vista vien
meno in faccia al solo che, col troppo suo
splendore opprimendola, vela la sua fi-
gura. - Guava: « Sol ctiam civcat, con-
tra si tendere pergas; » Lucret. Iter. nat.
IV, 323.
53. SOVERCHIO: di luce.
54. VIRTÒ: visiva. « La luce di quello
Angiolo era sì) superabbondante che l'oc-
chio nolla potea sostenere; » An. Fior.
a vista grava,
ura vela,
mancava.
che ne la
ia senza prego,
smo cela,
sì fa sego;
0, è Puopo vede,
stte al nego.
ivito il piede :
p-_+ che s'abbui,
55. NE LA: nella; anticam. anche in
prosa; confronta Cinon., Osserv., 179, e
© seg.
56. BENZA PRKGO: senza farsi da noi
pregaro: « Nulla res carius constat,quam
quo precibus empta est; » Senec. De Benef.
II, 1. Cfr. Conv. I, 8. La carità non aspet-
ta preghiero, ma accorre spontaneamente
al soccorso.
57. CELA: ai fa invisibile velandosi del
suo proprio splendore; « Amictus lumine
sicut vestimento ; » Salm. CIII, 2.
58. 8KGO: seco. L'uomo non aspetta
preghiera per far cosa grata a 8d stes-
so. Dante pareggia l'amore dell’ Angelo
verso gli uomini all’ amor proprio del-
l'uomo, alludendo al precetto evangeli-
co: Omnia quwcumque vultis at faciant
vobis hominea, et vos facite eis; » 8. Matt.
VII, 12. S. Marc. XII, 31. 8. Lue. VI,
31, eco.
69. QUALK: l'uomo che, vedendo il bi-
sogno, aspetta di essere pregato del suo
aiuto, si propara già a negare maligna-
mente il soccorso quando ne sia pregato.
« Tarde velle nolentis est; qui distulit
diu, noluit; » Senec, De Benef. II, 1.Cfr.
Conv. I, 8.
61. ACCORDIAMO: andiamo dove l'An-
gelo ci invita sì cortesemente a salire.
[GIRONE QUARTO]
Puro. xvit. 65-79
[SALITA] 517
Ché poi non si poria, se il di non riede. »
a4 Cosi disse il mio duca, ed io con lui
Volgemmo i nostri passi ad una scala;
E tosto ch’io al primo grado fui,
67 Senti’ mi presso quasi un mover d' ala,
E ventarmi nel viso, e dir: « Beati
Pacifici, che son senza ira mala. »
70 Già eran sopra noi tanto levati
Gli ultimi raggi che la notte segue,
Che le stelle apparivan da più lati.
73 « O virtù mia, perché si ti dilegue? »
Fra me stesso dicea, ché mi sentiva
La possa delle gambe posta in tregue.
70 Noi eravam dove più non saliva
La scala su, ed eravamo affissi,
Pur come nave ch’ alla piaggia arriva;
79 Ed io attesi un poco s’ io-udissi
63. rot: dopo il tramonto del sole, cfr.
Purg. VII, 44-60.
67. Beet Mt: mi sentii presso alcun
che simile ad nn muover d' ali.
68, ventARMI: farmi vento, Collo spiro
delle sne ali, l'Angelo gli soffia vin dalla
fronte il terzo dei nette FP, denotante le
vestigia del peccato dell’ ira,-prati: è
il vangelico: « Beati i pacifici; porchò sa-
ranno chiamati figlinoli di Dio; » &. Matt.
V.,9.
60. MALA: peccaminosa. Non ogni ira è
tale; c'è anche un'ira santa; cfr. Salm.
V, 6. Afes. IV, 26. Greg. Magn. Moral.
V, 30. « Potest malum in ira inveniri,
quando scilicet aliquis irascitur pins, vel
minus preter rationem rectam. Si an-
tem aliquis iraacitar secundum rationem
rectam, tune irasci est landabile.... Irn
non semper est mala.... Hoe ira est bo-
na, qui dicitar ira per zelam.... Si ali-
quis appetat quod secundum ordinem fiat
vindicta, est landabilia irm appetitus; »
Thom. Aq. Sum. theol. 11%, 148, 1-3.
V. 70-78, Salita al quarto cerchio.
Bene lo 6 "Jad! aera. 1 dno T'ootl, antitn In
sonia che motto alla quarta cornice, sono
sorpresi dalla notte e, secondo la legge
vigente nel Pargatorio, non ponno più
fare un sol passo avanti,
TI. CHE LA NOTTE: ai quali ultimi raggi
tien dietro la notte.
72. LR STELLE: «quando ci troviamo
sopra notevoli alture, o il sole, occultato
al nostr'occhio nonché ai bassi piani, in-
dora soltanto, e leggermente le più ole-
vate cime delle montagne, ad arialimpida
e pura cominciano a vedersi in più punti
del cielo le stelledi prima grandezza, alle
quali non fa grave ostacolo quel candido
velo, che dalla Ince crepuscolare ancora
rimane;s Antonelli.
73, VIRTÙ: forza di muovermi, Questa
virth si dilegua non perla stanchezza, ma
perchè si fa notte; cfr. Purg. VII, 62
e seg.
75. POSTA IN TRRGUR: sospesa, tempo-
ranenmente cossaln.
76. nove: alla sommità della scala
sull'orlo del quarto girone.
77. AFFI8SI: immobili, fermi in so l' nl-
timo scalino, come nave che, arrivata in
porto, si ferma alla riva. Non ponno fare
un sol passo innanzi, a non vogliono farne
un solo indietro; quindi restano Il im-
mobili.
V. 70-111. La teorica dell’ amore.
Stato alquanto altonto an ndlaso nlevn
cho di nuovo, Danto domanda alla sun
guida: Che poccato si purga quil E Vir-
gilio risponde: Il manco d'amore; chè
da amore nasce ogni virtà ed ogni vizio,
- « Dio, le sue creature ragionevoli, e no,
hanno amore; ché ne' corpi è impulso di
4
518 [GIR
NE QUARTO] Pura. xvi. 80-91
(THOR. DELL'AMORE]
Alcuna cosa nel nuovo girone,
Poi mi volsi al maestro mio e dissi:
Dolce mio padre, di’, quale offensione
Si purga qui nel giro, dove semo?
Se i piè si stanno, non stea tuo sermone, »
85 Flegli a me: « L'amor del bene, scemo
Di suo dover, quiritta si ristora,
88 M
91 N
moto, ne’ brt
negli spiriti «
bera volontà.
zione do’ corp
aristotelico, n
e filosoficae t
di tatti i popi
NOMINI ChE Novcssizzoenzze svanire
fanto, e che conaslilora | corpi come volo
o linguaggio od organo d' enti liberi na-
scosti oltre a quelli. L'amor naturale,
inteso da Dante, comprende tutte le na-
ture degli enti; anco al bruto e alla pie-
tra. In quanto gli enti inferiori tendono
ai superiori, e in quanto l'ente sommo,
amando sè, a sò fa tenidere tutti gli altri,
non può l'amore non essere buuno, ap-
punto perchè da natura. Ma negli uomini
diviene colpa se si vulge ad oggetto men
che buono, o cerca il bone con soverchio
impeto o con poco vigore. L’ amore di-
retto ai beni supremi, cioò a Dio e alle
creature di Dio nell'ordine loro, e verso
queste misurato con le proporzioni de-
bite, non è mai colpa; è colpa quando
si torce al male, o cerca il bene con più
o meno cura di quello che deve. Amore
è dunque sementa d'ogni virtù e d'ugni
vizio. E perchè l'ente non può non volere
l'essere proprio, però gli è impossibile
odiare sò stesso. K porchd ogni ente di-
peudo neocessariamento da Dio causa pri-
ma, è impossibile odiare Dio in quanto
causa dell’ essere ; » Zom.
80. KUOVO: nel quarto girone, dove al
sconta il peccato dell’ accidia.
82. OFFENSIONE: colpa; il peccato è
un'offesa a Dio.
84. STANNO: se non possiamo proseguire
Il cammino, non cessialineno il tuo parlare.
ai ol
rdato remo:
andi ancora,
prenderai
ostra dimora,
al, »
85,8cEM0: mancando dol debito fervore
prontezza, tiepido. Definizione teolo-
ca © filosofica dell'accidia. « Acedia ent
uedam tristitia, qua bomo redditar tar-
18 af spiritualea actus propter corpo-
dem laborem ; » Thom, Ag. Sum. th,
63, 2.
BU, in suo: Al. DEL suo. = QUTRITTA:
por l'appunto in questo cerchio; efr.
Purg. IV, 125. - si nisrora: si ripara,
si compensa mediante la pena.
87. AI KIBATTR: «qui con diligenza si
ristora la negligenza; » Land.; «la tar-
dita si ristora con la celerità; » Vell.; <e
parla per similitudine: come li naviganti
che sono stati influgardi a vogare, sono
fatti dal nucchiere ristorare poi nel luogo
dove può intendere a loro: così quivi si
emenda coll’ardore dolla mente la ne-
gligenza avuta in questa vita nelle buone
opero; » Buti. Così intendono pure Dol.,
Ces., Tom., Andr., Cam., Kilal., Bl,
Wille, eco. Al.: «Qui si punisce fl tardo,
iufingardo rematore ;» così Dan., Vent.,
Lomb., Biag., Br. B., Frat., eco. Cfr.
Com. Lips. 11, 307. Pol. II, 404, il quale
riassume la vera sposizione in queste pa-
role: « Qui si riacquista con diligente sol-
locitudine (cov l' ardore della mente) ciò
che si è perduto per negligente trasca-
rutezza (cfr. Purg. XVII, 105); come il
navigante affrettando il battere del remo
deve riguadagnaro il tempo perduto colla
precedente lentezza - col mal tardato
remo.»
90. DIMORA : indugio. Come Inf. XI ab-
biamo la struttura morale dell’ Inferno,
conì nel presente Canto la struttura mo-
rale di tutto il Purgatorio.
91. curator: « Dio è carità; » I Bp.
[GIRONE QUARTO]
Pure. xvit. 92-107 [TEOR. DELL'AMORE] 519
Cominciò ei, « figliuol, fu senza amore,
O naturale o d'animo; e tu il sai.
a4 Lo natural 6 sempre senza errore,
Ma l’altro puote errar per malo obbietto,
O per poco o per troppo di vigore.
07 Mentre ch’egli è ne’ primi ben diretto
E ne’ secondi sé stesso misura,
Esser non può cagion di mal diletto;
100 Ma, quando al mal si torce, o con più cura
O con men che non dèe corre nel bene,
Contra il Fattore adovra sua fattura.
103 Quinci comprender puoi ch’ esser conviene
Amor sementa in voi d’ogni virtute,
E d'ogni operazion che merta pene.
106 Or, perché mai non può dalla salute
Amor del suo suggetto torcer viso,
S. Gior. IV, 8. Sopra i segmenti veral
efr. Vanrcnr, Lez. sul Dante, I, 117-166,
DI. NATURALE: innato; istinto, natu-
rale tendenga dei corpi. - D'ANIMO : d'ele-
sione; amore morale, oasin affetto, amore
ill Where creature. « Omno agona, quoil-
com@ne alt, agit quamenniue actionom
ex aliquo amore; » Thom. Ag. Sum.
theol. 1°, 28, 6.-1L sat: per istudio e
per esperienza; ofr. Conv. IIT, 8.
04. È seMPRE: Al. FU SEMPRE, L' istin-
to per sò steaso non erra mal; 6 quanton-
que nell'nomo sembri errore, l'errore
non è dell'istinto, ma dell'affetto mo-
rale; l'istinto in tal caso è impedito di
esercitare la sua forza. Cfr. Thom. Aq.
Sum. theot. I, 60, 1.
96 L'ALTRO: l'amore libero, o di ele-
zione, può errare in tre modi: 1° Eleg-
gendo il male: a, cercando di soperchin-
re, conenicando il prossimo (euperbia) ; b,
struggendosi internamente per tema di
casera nbbassato se altri sormonti (in-
vidia); e, recandosi n grave offesa ogni
piccola ingioria e cercandone vendetta
(ira).- 2° Amando il Sommo Bene meno
ilel dovere, mostrandosi così tiepido n
raggiungerlo ed noquistarlo (accidia). -
2° Amando nn bene che non è Il sommo
più del dovere, eccessivamente: a, col
bramare smisnratamente le ricchezze,
ovvero coll'abnsarne (avarizia è prodi-
galita); b, collo aregolato appetito del
palato (gola); ¢, con offrenata concupi-
scenza della carne (lusewria), Cir. Lanci,
Spiritali tre regni, 11, tav. I. Com. Lips.
IT, 209.
07. nant: l'amore di libera elezione.
- PRIMI BEN: | boni colesti, Dio e le
virtiv.
MB. skeonpr: nol boni torrestri « ca-
duchi. — MISURA: modera, non eccede |
giusti limiti.
00. MAL DILETTO : piacere peccaminoso.
100. o con: Al. x con. Quando questo
amore al volge al male, o si mostra sol-
lecito dei beni finiti più che non con-
venga, ovvero ama i beni infiniti meno
del dovere, esso opera contro il Creatore
ed è amor peccaminoso.
101. MRN cnr: cfr. 8. Marco XII, 30.
102. ADOvRA: l'nomo cerentura di Dio,
opera contro il sno creatore.
104, qursci : dal sin qui detto puoi com-
prendere che l'amore è in voi nomini
principio «d'ogni virtà, ed anche d'ogni
opera peccaminosa che merita pena. Que-
sta dottrina è tolta da San Tommaso; cfr.
Sum. theol. I, 20, 1; 60, 1; I°, 27,4; 28,
6; 41, 2; 60, 3; Com. Lips. IT, 810,
106. wow ruò: perchè amore non pnò
faro n mono di mirare al bono ed alla
salute di colni in eni esso risiede, ne
segue che nessun ente è soggetto all'odio
di sà stesso, donque non può amare il
proprio male come tale. Cfr. Thom. Aq.
Sum. theol. 1°, 29, 4.
107. sucaETTO: termine scolastico =
520 [arror ! QUARTO] Pura. xvi. 108-118
[PARTIZ. DEL PURO.]
Jall’ odio proprio son le cose tute:
109 E
Jerché intender non si può diviso,
{ per sé stante, alcuno esser dal primo.
Ja quello odiare ogni affetto è deciso.
112 R
sta, se dividendo bene estimo,
he il mal che s’ama è del prossimo, ed esso
Amor nasca in tra modi in vostro limo.
115 È
118 È
persona; qui le
l'amore risied
occhi altrove,
bene.
108. LE COSE
gli esseri. - TU
mai la propri:
109. E PERO.
ammettere Chu miri: cosi mam rit rino
dall' Essere Primo, cioò da Dio, e snssi-
stente e conservantesi da sé solo, ne se-
gue che ogni suo affetto è naturalmente
lungi dall’ odiare l'Essore primo nel
quale vive ed esiste, e dal quale dipon-
de, giacchè quest'odio sarebbo un odio
di sè stesso. Cfr. Thom. Ay. Sum theol.
II°, 84, 1.
110. PER 8É: Al. NÉ PER BÉ. - STANTE:
esistente, vivente. «In Dio viviamo, e ci
muoviamo, e siamo; » Alti XVII, 28. -
DAL PRIMO: dal Primo Essere, che è Dio;
cfr. Isaia XLI, 4; XLIV, 6.
111. QUKLLO: il Primo Essoro, Dio. -
DKCISO: dal lat. decidere = tagliare; qui
per reciso, allontanato, rimosso.
V. 112-139. Sistema morale della
partizione del Purgatorio. Se nessun
essere può odiare Dio come tale, resta
che l'oggetto dell’ odio dogli uomini non
può essere che il prossimo; «e questo o
per superbia abbassando altrui n fine
d'innalzare sè; o per invidia, attristan-
dosi dell’altrui potore ed onore per tema
di perdore quant’altri ne acquista, o per
ira di male patito o temato. Questi tre
abusi dell'amore purgansi ne’ giri di
sotto, perchè più gravi. Ora resta del-
l'amore inordinato, o per tiepidezza, e
dicesi accidia; o por troppo ardore, 0
può spingersi a volere oro, cibo, piaceri.
A varizia, como più rea, ata sotto a gola;
soppresso
per questo brama
zza in basso messo;
e 6 fama
a sotto a Insanria, che è men lontano
i cima; » Tom.
12, nesta: lat. relingwitur, termine
le scuole. Se l'como non può amare
iroprio nè il male dell' Easere Primo,
iw potendo odiare nè sà medesimo, nè
il sno creatore, reata che il male da lui
amato non può essere che il male dal
prossimo, e questo amore del male altrui
può avere una triplice origine. - DIVI-
DENDO: Al. PROCKDENDO. Se nella mia
dimostrazione non m'inganno. - ESTIMO :
giudico.
113. S'AMA: anche l'odio è amore, ma
snaturato e peccaminoso. Il superbo ama
l'avvilimento, l'invidioso l'abbassamen-
to, l'iracondo il dolore del prossimo.
114. LIMO: nel vostro fango; « quia
primus homo factus est de limo terre et
ab ipso contraxit omnem amorem mali,
quia voluit excollentiam sul: ponitur ta-
men hic materia pro materiato; » Benv.
Cfr. Genes. 1I, 7.
115. È cui: vi sono tali che sperano
andaro iu su se altri va in giù, i au-
perbi, che odiano altri perchè sperano
di erigere il loro trovo sulle rovine del
prossimo. « Saperbia dicitur esse Amor
proprie excellentia, in quantum ex amo-
re causatur ivordinata priesumptio alios
superandi; quod proprie pertinet ad su-
perbiam; » Thom. Aq. Sum. theol. Il?,
162, 3. - sorrresso: calcato.
116. KCCKLLENZA: superiorita; « nam
superbire non est aliad, quam super alios
velle ire; » Benv.
117. KL: egli, il suo vicino. Alcuni
CH’ KI BIA.
118. È cul: vi sono tali che temono
di perdere il potere, la grazia, l'onore e
lu fama, so altri sormontano, conseguono
*
[GIRONE QUARTO]
Puro. xvit. 119-131 [raArtiz.p.rurG.) 521
Teme di perder perch'altri sormonti,
Onde s’attrista si che il contrario ama;
121 Ed è chi per ingiuria par ch’ adonti
Si che si fa della vendetta ghiotto,
E tal convien che il male altrui impronti.
124 Questo triforme amor quaggiù di sotto
Si piange. Or vo’ che tu dell’altro intende,
Che corre al ben con ordine corrotto.
127 Ciascun confusamente un bene apprende,
Nel qual si queti l'animo, e desira:
Perché di giugner lui ciascun contende,
130 Se lento amore in lui veder vi tira,
O a lui acquistar, questa cornice,
potere, grazia, onore o fama; onde si
attristano per modo che desiderano la
flegradazione del prossimo, Questi sono
gl'invidiosi che dall'altrni innalzarsi te-
mono il proprio abbassamento, « Invidia
est tristitia de alionis bonis, Obiectum
tristitim est malom proprium ; et seoun-
dum hoo de bono nlieno potest esse tri-
stitin.... Ronnm alterins mstimatur ut
malom proprium in quantum est dimi-
nutivam proprim glorim vol oxcollontiv ;
et hoc modo de bono alterios triatatar
invidia; et ideo precipue de illia bonis
homines invident in quibus est gloria,
et in quibus homines amant honorari et
in opinione erso.... Aliquia tristatar de
bonia alicnjos, in quantum alter exce-
dit ipsum in boni»; et hoe proprie est
invidia.... Invidia et tristitin de bono
proximi; » Thom. Aq. Sum, theol, I1?,
36, 1-3,
121. ep È: e vi sono finalmente tali
che per ingiuria ricevnta sembrano cruc-
ciaral n sogno da farsi avidi di vendet-
ta, onde non ponno non procacciare l'al-
trul malo.
123. imrronti : Immagini, si dipingn
con piacere il male altrui. Improntare
6 imprentare, dal lat. imprimere, vale
propriamente applicare una Impronta so-
pra nd alonna cosa, Al, diversamente :
« Fnocia o faccia faro male al nimico
amo; > Buti. « Segni il mal amore in al-
tri; » Vell., Dan, « Abbia nel meditare
6 bramare la vendetta il enore e la mente
impronta del male che va disegnando al-
l'offensore, compiacendosi in figurarselo
come presente; » Vent. «Chieda, cerchi »
(dal franc. emprunter?)} Lomb. Sulla que-
stione, oziosa ansi che no, se |] verso al
riferisca al solo vizio dell'ira (come in-
tendono quasi tutti i comm,), oppure a
tutti e tre i vizii: aoperbia, invidia, ira
(come pretende il Fol.), ofr. Mamo Fu-
NAI, Nota dantesca, Castel di Sangro,
1806.
124, TRIFORME: tre formo di amore er-
rante per malo obbietto, v. 95, - DI BOTTO:
nolla prima sozione del core Tnrgatorio,
ossin nel tro primi cerchi,
125. ALTHO: dell'amore che erra per
poco 0 per troppo di migore, v. 96.
126. conroTtTto: amondo poco o nulla
il vero bene, eccessivamente i beni cor-
ruttibili, terrestri; ofr. v. 100 è sog.
127. crascux : ogni nomo ha on' iden
vaga, indistinta di nn sommo beno, nel
quale si acqueti l'animo suo, lo desidera,
6 si sforza di consegnirlo. Cfr. Bieth,
Cons. Phil, III, 2, 3.
128. BI QUETT: « fecisti nos, Domine, ad
te, ot inquietum est cor nostrum donec
requiescat in te; » & Aug. Conf. T, 1.
129. rrrcut : perciò ciascuno si sforza
di consoguiro quel bono confirsnmento
appreso e del quale ha un'idea innata,
ma vaga, indeterminata.
120. LENTO: scemo di suo dover, v. 85
e seg. Se l'amor vostro è lento a cono-
scere il Sommo Bene ed a consognirlo.
* Le parolo vedere è acquistare sognano
ottimamente il doppio termine grandioso
della carità, la contemplazione e l'opora,
© insieme la doppia cagione onde imma:
linconisce o s'attedia l'accidioso;» Perez,
Sette Cerchi, 177.
522 (GIRONE
]
188 Al
di
136 L's
L
XM
189 Tac
182. PENTÈR:
che muore impe
al Purgatorio, n
inferno, Inf. III
osservazioni in ,
(qui sopra p. 104
183. ALTRO: fl
dano, che non b
rendere l'uomo '
134. LA BUON,
Bene che è il so
bonus per suam .
Sum. theol. I, 6,
JUARTO) Puro.Xxvii. 132-139 [PARTIZ. DEI, PURG,)
ipo giusto pentèr, ve ne martira,
> ben è che non fa l’uom felice;
in è felicità, non è la buona
isenzia, d'ogni ben frutto e radice.
ror, ch'ad esso troppo s’abbandona,
sopra noi si piange per tre cerchi;
1 coma trinartito ri raciona,
» ne cerchi, »
‘E, che 4 lazione del più, alcuni codd,
) D'OGNI NUON FRUTTO RADIOCOR.
. AD 880: a quell'altro bene che
nh l'oom falice.
. BI Maxon: ai espia in tre corchi
ono al di sopra di noi, dove al pur-
gli avari, i golosi ed i lasantriosi,
| BI MAGIONA: come si rende ra-
dol perchè questo amore è distinto
> class), Avarizia, gola o Inssuria
poccati carnali; superbia, Invidia,
I accidia poccati spirituali; confr.
| Ag, Suna, theol, 13, 72, 2.
185. D'OGNI Bh... _j ery ee sue. NR CERCHI: ti faccia ad investi-
citur bonum bonitate divina, sicut primo garlo per te stesso. « Omal per quello
principio exemplari effectivo, et fiualis cho detto è puote vedere chi ha nobile
totius bonitatis; » Thom. Aq. Sum.theol. —ingegno, al quale è bello un poco di fa-
I, 6, 4. - Invece di D'OGNI BRN FRUTTO K tica lasciare; » Conv. III, 5.
(GIRONE QUARTO]
Pura. xvi. 1-12
(amore) 528
CANTO DECIMOTTAVO
GIRONE QUARTO: ACCIDIA
(Correre di continuo con ansia od agitazione)
NATURA DELL’ AMORE, AMORE E LIBERO ARBITRIO
ESEMPI DI SOLLECITUDINE, L’ABATE DI SAN ZENO
GLI SCALIGERI, ESEMPI DI ACCIDIA PUNITA, SONNO DI DANTE
Posto avea fine al suo ragionamento
L'alto dottore, ed attento guardava
Nella mia vista s’ io parea contento;
4 Ed io, cui nova sete ancor frugava,
Di fuor tacea e dentro dicea: « Forse
Lo troppo domandar, ch’ io fo, gli grava. »
7 Ma quel padre verace, che s’ accorse
Del timido voler che non s'apriva,
Parlando, di parlare ardir mi porse;
10 Ond'io: « Maestro, il mio veder s’avviva
Si nel tuo lume, ch'io discerno chiaro
Quanto la tua ragion porti o descriva;
V.1-39. La natura dell'amore. Pre-
gato da Dante di insegnargli cosa sia
quell'amore, a cul al riduce ogni buono
ed ogni cattivo operare degli uomini,
Virgilio riprende la ana esposizione e
spiega la natura dell'amore che è mo-
vimento dell'animo a cosa che piace.
1. POSTO: Virgilio aveva terminato jl
suo discorso sopra l'amore come prin-
ciplo d’agni bene o d'ogni male, e mi
guardava altentamente in viso, per ve-
lore no la ann ospoaiziono mi avense and-
disfatto.
A. VISTA: <« l'anima dimostrasi negli
occhi tanto manifesta, che conoscer si
può la sna presonte passione, chi bene
la mira.... Di nulla passione puote l'ani-
ma umana essere passionata, che alla
finestra degli oochi non vegna la sem-
bianza ; » Conv. III, 8.
4. SKTR: desiderio di sapere. - FRU-
GAVA: atimolava; confr. Purg. ILI, 8;
XIV, 39; XV, 137.
6. TACRA: « che era un segno di non
esser contento; » Buti.
6.1.0 TROPPO: Al. IL TROPPO. - GRAVA:
gli è molesto; cfr. Inf. IIl, 80; XILlI,
56, ecc.
8. KON S'APRIVA: non ardiva di ma-
nifcataral,
9. VARLANDO: volgondo la parola a
me, mi fece ardito di parlaro a lui.
10. 11. MIO VRDRR: Îl mio intelletto si
rischiara sì per la sna dottrina, che io
intendo chiaramente tutto ciò che il tuo
ragionamento proponga o dichiari.
524 [GIRONE QUARTO] Puro. xyui. 13-27
[AMORE]
13 Però ti prego, dolce padre caro,
Che mi dimostri amore, a cui riduci
Ogni buono operare è il suo contraro, »
16 « Drizza, » disse, « vér me |’ acute luei
Dello intelletto, e fieti manifesto
L’ error dei ciechi che si fanno duci.
19 L’animo che è creato ad amar presto,
Ad ogni cosa è mobile che piace,
Tosto che dal piacere in atto è desto.
22 Vostra apprensiva da esser verace
Tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,
Si che l'animo ad essa volger face;
26 E se, rivolto, in vér di lei si piega,
Quel piegare è amor, quello è natura
Che per piacer di nuovo in voi si lega.
ld. mvucr: ofr. Purg, XVII,104 6 seg.
15. CONTHAKO: contrario, cioò il mal
operare; clr. Nannue,, Nomi, 687 è seg.
16. Luot: gli occhi della mente; cfr.
Purg. X, 122.
18. CIRCHI: della mente, che insegnano
ogni amore essere in 36 laudabilo cosa,
v. 36; cfr. Conv. J, 11. - DUCI: maestri;
« Caecus autem si cieco ducatom pr-
stet, ambo in foveam cadunt; » S. Afalt.
XV, 14.
19. presto: l’anima umana, creata
colla disposizione ad amaro prestamente
(cfr. Inf. V, 100), è pronta a volgersi ad
ogni cosa che piace (cfr. Purg. XVII,
85 0 nog.), ossia ad ogni apparenza di
beno, subito cho è mossa in movimento
dal placere.
21. IN ATTO È DESTO: « qui dimostra
che questa naturalo potenzia d’ amaro
stassi cheta nell'animo e non si produce
in atto se non provocata dal piacere ; »
Buti e con lui i più (An. Fior., Benv.,
Land., Vell., Dan., Vent., Lomb., ecc.).
Al. accordano in atto con piacere e spio-
gano: dal piacero attualo, il quale desta,
attua l'amore in potenza (Pogg., Tom.,
Br. B., Andr., ecc.). Ma Virgilio vuole
evidentomente dimostrare come Il pia-
cere converta l'amore potenziale in amo-
re attuale.
22. vostRA: la vostra facoltà intellet-
tiva ritrae l'immagine dallo cose reali
osterno, la svolge ed idealizza dentro la
vostra mente, gliela pone davanti, ed
opera che l'animo si rivolga ad essa im-
magineidenlizzata, - DA naskn ; «da quello
cose cho veramento sono buono 0 paiano }
imperò che alle cose rie non può inton-
dore, so non è ingannata apprendendole
per buone; imperò che come apprende
la cosa ria, incontanente la rifiuta; e
como apprende la cosa buona, v'inten-
de; » Buti.
23. TRAGGE: ritrae immagine dall'obiet-
to reale estrinseco. Così i più; cfr. Var-
chi, Ercolano, p. 29: « Nella virtù fan-
tastica si riserbano le immagini, ovvero
similitudini delle cose, le quali i filosofi
chiamano ora spezie, ora intenzioni. »
Sopra alcune altre iuterpetrazioni cfr.
Com. Lipa. IT, 317.
26. kK sit: so l'animo rivolto a quoll'in-
tenzione, a quell’ immagine di bene, ten-
de, si abbandona in lei, si congiange ad
essa, questo abbandonarsi, questo con-
giungersi è l'amor naturale. « Amore
non è altro che unimonto spirituale del-
l'anima e della cosa amata; » Conv. III,
2; IV, 1.
27. PKK PIACKR: per cagione della cosa
che piace. - 81 LEGA: « il piacere muta
in abito l'atto naturale d'amare; » Tom.
Volendo dimostrare come l'un amore
procede naturalmente dall'altro, il Poeta
distingue tre amori: il naturale, o senza
apprensione (cfr. Purg. XVII, 91 eseg.);
il sensitivo © l'intellettivo. 11 natarale è
innato; quando l'auima tende all’ ideale
d'un oggetto reale, no nasce l'amor sen-
sitivo che si lega, si unisce al naturale;
dal desio di unirsi spiritualmente alla
[GIRONE QUARTO] —
Puro. xvi. 28-39
[AMORE] 525
28 Poi, come il foco movesi in altura,
Per la sua forma, ch'è nata a salire
Là dove più in sua materia dura;
a1 Cosi l’animo preso entra in disire,
Ch’ è moto spiritale, e mai non posa
Fin che la cosa amata il fa gioire.
34 Or ti puote apparer quant’ è nascosa
La veritade alla gente, ch’avvera
Ciascun amore in sé laudabil cosa;
87 Però che forse appar la sua matera
Sempr' esser buona, ma non ciascun segno
È buono, ancor che buona sia la cera. »
cosa amata nasce il terzo, l'amore intel.
lettivo.
28. IN ALTURA: in alto, « Alta petunt,
ter atque more purios ignis; » Ovid, Met.
XV, 243.
20. youmMA; por la ana natura cssen-
ziale, Nol lingaaggio scolastico forma è
ciò che dé l'essere a ciascuna cosa, quello
per cni le cose sono per l'appunto ciò
che sono. La forma del fuoco è quindi
la ann essenza, ciò che lo fa essere fuoco.
Ignorando cho la gravità dell’ aria è
maggiore di quella della flamma, gli an-
tichi credettero che fl fuoco tondease
naturalmente alla sua sfera, cioè alla
sfera del fuoco,
30, LÀ: nella afora del fnoco, dove, ea-
sendo nel suo elemento, dura più lungo
tempo che sulla terra, « Ciascuna cosn
ha il ano speciale amore, come le cor-
pora semplici hanno amore naturato in
sà al loro loco proprio.,.. il fooco alla
circonferenza di sopra longo Il Cielo della
Luna, e però sempre sale a quello; » Conv.
III, 3. :
81. FRRSO : dal piacore dell'esser verace.
- TN DISIRE: in desiderio della cosa amata,
32. SPIRITALE: spirituale, non moto
materiale, come quello del fuoco che sale
in alto.
33, Fin che: finchè non possiede la
cosa amata ed è congiunto ad essa.
35. GENTE: epicorei - AvvrrA: affer-
mn come voro od Indiscutibilo che ogni
amore sin per sò stesso cosa lodevole.
37. MATERA: materia; anticamente
anche in prosa; cfr. Nannucei, Nomi,
XXI 6 seg. « La materia d'amore, os-
sia la nataral disposizione nd amaro; »
Br. B. Meglio: l'idealo a cui l'anima
si volge. « Il bene è materia dell'amoro:
sempre donque la materia è buona; per-
chà nnco nel male che s' ami è sempre
aloun bene reale, n cagione dell'amore :
ma il troppo amore che a minor beno
si porta, o il poco che al maggiore,
sono quasi un brntto anggello improsso
in buona cera, Gli Aristotelici chiamn-
no materia il genere delle cose, deter-
minabile da varie differenze come la ma-
teria prima è determinabile da più formo.
La cora appunto è la materia determinn-
bile. E siccome la cera o buona o non cat-
tiva pad essere impressa di mal segno,
così il naturale amore non tristo in sè
pu’ piegare al mal segno; » Tom.
88. sRONO: quantunque la cera sia
buona, il soggello non è sempre buono;
onde anche buona cera può ricevere cat-
tiva impressione. Così anche dato che
l'amore in potenza sin sempre buono,
esso può esser non buono in atto.
V. 40-75, L'amore in relazione col
libero arbitrio. Più sopra, Purg. XVI,
64-61, si discusse la questione, se gli in-
flusai celesti nocciano alla libertà del-
l'uman volore; dall'idea dell'amore, il
cui oggetto vien offerto all'nomo di fuori,
sorgo on nnovo dubbio, se cioè la pre-
potenza degli oggetti esteriori non renda
il libero arbitrio più o meno illusorio,
« Dubinm est istod; vult dicere: tn di-
xiati mihi, quod animus recipit apeciem
roi view intra se, et quod illa reflexio
eat amor: modo ai est verum, quod no-
cossario venint de foris, et dicis quod
amor est causa virtotis et vitii, qum est
cansa, quare debeo habero culpa mei
vitii, vel landem mem virtotiat » Fostill,
Caet, Cir. Thom. Aq. Sum. theol, 1, 83, 1,
526 (GIRONE Quarto] Pura. xytir. 40-51
40 «]
[LIBERO ARBITRIO]
tue parole e il mio seguace ingegno, »
] sposi lui, m'hanno amor discoperto,
I \ciò m'ha fatto di dubbiar più pregno;
43 Ch. s’amore è di fuori a noi offerto
E l’anima non va con altro piede,
S. dritta o torta va, non è suo merto. »
46 Ed e-1°- —-- = 2-4 «--ion qui vede
Di
Pr
49 Ogn
È
SL
Dante muove tal
gomenta: |’ anin
una potenza inait
si dimostra negli
lamente per essi,
dalle prime nozic
ze, de’ quali e del
conosciuta, o non u, ,.... ...
vertita. In queste prime nozioni e ten-
denze, che sono facoltà e moti di natura,
non c'è merito nè demerito; ma il me-
rito o il demerito incomincia nell'uso di
quella facoltà, che non è inen naturale
dell’origino dello primo nozioni è ten-
denzo, dico la facoltà dello vleggore tra
due veri o tra due boni, qual do’ due si
voglia attentamente col ponsiero o col
desiderio soguiro. E questa facoltà di clo-
zione e di consiglio è un assentimento
interno, il quale dove precedere ull’atto
dell'assenso ; e il libero arbitrio è riposto
in essa. Necessario 6, che l'uomo sonta
la tendenza al vero ed al bene; ma li-
bero è, ch'egli un beno o un vero pre-
scelga ad un altro; » Tom.
40. SKGUACK: le tue parole e l’atten-
zione che la mente mia vi ha fatta mi
hanno manifestato cosa è amore; ma,
sciolto fl primo dubbio, ne è sorto in me
un altro, maggioro del primo.
42. PRRONO: ripieno; mi ha cresciuto
i dubbi.
45. DI FUORI: da oggetti estorni. Se
amore nasce da cosa estrinseca posta di-
nanzi all’ animo, e se l'anima non opora
che per impulso d'amore, principio ati-
molante di tutte le sue operazioni, essa
non è libera, nè merita premio o pena
se opera bene o male.
46. QUANTO: fo non ti posso dire jin
prt cena ep IRE
i t'aspetta
a di fede.
ietta
unita,
colletta,
ito che quanto l'umana ragione è
b di conoscere; rispetto a ciò cho
nasa | limiti -«dell'umana ragione,
lo questa ona materia di fodo ri-
a tun speranza solamente in Boa-
che te lo dichiarerà. Confr. Conv.
De Mon. III, 16.
40. FORMA SUSTANZIAL: ogni sostanza
spirituale, clod anima, la quale è setta
(lat. secta), distinta dalla materia, ma è
con essa (col corpo materinle) unita, ha
una virtù specifica chela differenzia dalle
altre forme. « Anima est forma substan-
thalis homiuis ; >» Zhom...q. Suan. theol. I,
76, 4. « Forma substantialis è per i Pe-
ripatetici la sostanza distinta dalla ma-
teria, ordinata di por sò talmente da
costituire colla materia prima il corpo
naturale qual diferentia physica princi-
palissima del corpo; vale a diro, che la
matoria sendo di por sò indifferente a
qualsiasi composto vien determinata dal-
la forma a sè unita, ali'ossere di pietra,
cane, e simili. Lo formo sostanziali per
essi sono altrettante quanti sono Î corpi
diversi. La forma sustanzialo vien riget-
tata da molti moderni, ed anco da alcuni
antichi denominati corpuscolarea, che ri-
tenevano doversi ripetere tutte le di ver-
sità dei corpi dalla diversa modificazione
della materia. Por costoro quella è forma
sostanziale che costituisce wna cosa sola
col subictto cui sopraggiunge, o che do-
termina la materia ad una sostanza da-
ta; » Dini, Diz. Tomist. e scolast., p. 65.
50. UNITA: « Anima intellectiva uni-
tur corpori ut forma substantialis; »
Thom. Aq. Sum. theol. I, 76, 1, 4. L'ani-
ma ha colla materia unions, non identità.
61. VIKTUDK: questa virtù specifica è
[GIRONE QUARTO]
Puro. xvi. 52-66 [LIBERO ARBITRIO] 527
52 La qual senza operar non è sentita,
Né si dimostra ma’ che per effetto,
Come per verdi fronde in pianta vita.
55 Però là onde vegna lo intelletto
Delle prime notizie, uomo non sape,
Né de’ primi appetibili l'affetto,
58 Che sono in voi, sì come studio in ape
Di far lo méle; e questa prima voglia
Merto di lode o di biasmo non cape.
61 Or, perché a questa ogni altra si raccoglia,
Innata v'è la virtù che consiglia,
E dell’assenso dè'tener la soglia.
64 Quest’ è il principio, là onde si piglia
Cagion di meritare in voi, secondo
Che buoni e rei amori accoglie e viglia,
l'appetito d'animo naturale, cioè la diapo-
sizione particolare e naturale dell'anima
nd amare. Di questo appetito d'anima
naturale Dante discorre a lungo Conv.
IV, 22. — COLLETTA: raccolta, ndunata.
52, LA QUAL: non essendo che una di-
aposizione virinnio, questa virtà sporifien
non può conoscersi nd «dimostrarsi che
por l'effetto attuale, come la vita in una
pianta non si conosce nè si manifesta
altrimenti che colla verdezza delle sue
frondi.
53, ma'CnE: magis quam, più che, se
non che, fnorchè ; ofr. Inf. IV, 20; X XI,
20; XXVIII, 66, « Ciò che ha ragion di
principio non si può notifivare per cose
prime, ma per posteriori; » Conv. 1V, 10.
60. sare: sa. Altrove dice che l'in-
telletto è nn dono dello Spirito Santo;
Conv, IV, 21. I metafisici mossero gravi
questioni sulle prime idee, specialmente
se siano innate, molte, o nnn sola. Dante
dice semplicemente che non si sa,
57. NÉ De’ rum: Al & pe’; Buti,
Land , eco. E DEL Primo: ciod il desi-
derio del Sommo Bene. « Noi ignoriamo
donde ne vengano: 1° le prime notizie
dell'infelletto, cioè i principli della nostra
ragione, e le regole fondamentali dell'in-
telligenza; 2° l'affetto de’ primi appeti-
bili, cioè quelle primitive inclinazioni,
quegli appetiti primigenii, da cui nol-
l'nomo va esenta; come l'amor del vero,
della felicità, del bello, del bene, la cu-
riosltà, la simpatin, e tutti i movimenti,
gli affetti estetici e morali che formano
la parte affettiva dell'anima, come le
prime notizie dell'intelletto, gli nasiomi,
le forme logiche, e00., no costituiscono la
parte intellettiva. Donde ne venga tutto
cioè è da nol ignorato ; » Gioberti.
58. stuDbIO : inclinazione, istinto, « Mo-
ron ef atiudin of populoa et prelin di-
cam » Virg. Georg. 1V, 6. « Floriferis ut
apes in saltibos omnia libant; » Liceret.
Rer, nat, III, 11. - «Stodinmque laboris
Florigeri repetunt, et sparsi mellis amo-
rom ; + Lae, Phares. LX, 288,
59. VOGLIA: questa inclinazione natu-
rale non cape, ciod non ammette verun
merito di lode né di biasimo, non es-
senilo libera,
Gi. rercné: affinchd a questa prima
voglia si raccolga, cioè si accordi, corri-
sponda ogni altra voglia, vi è innata In
ragione, facoltà che vi consiglia 6 che
deve vigilare che non assentiate al male.
Salle diverse altre interpretazioni di
questi versi cfr. Com. Lips. II, 223,
63. TENER: governare la volontà, dan-
do oppure negando l'assenso; cfr. Conv.
IV, 26.
64. quest'È: questa ragione, regola-
trico degli atti umani, è la sorgente da
eni si piglia occasione da voi di moritare
o demoritarn, secondo che naan ragione
accoglie e distingue | buoni amori dat
perversi; cfr. Conv, IV, 9. De Mon.1,12,
65. cacios: Al, RAGION.
66. VIGLIA: sceglie, distingue; da ri-
gliare « verbom rosticorum purgantium
framentum in area; » Henv.
528
(OJRONE QUARTO) Pura. xyitl, 67-82
[SONNOLENZA]
67 Color che ragionando andàro al fondo
S'accorser d’ esta innata libertate,
Però moralità lasciàro al mondo.
70 Onde, poguam che di necessitate
Surga ogni amor che dentro a voi s'accende;
Di ritenerlo è in voi la potestate.
73 La nobile virti Beatrice intende
Per lo libero arbitrio, e però guarda
Che l’abbi a mente, s'a parlar ten prende, »
76 La luna, quasi a mezza notte tarda,
Facea le stelle a noi parer più rade,
Fatta com’un secchione che tutto arda;
70 E correa contra il ciel, per quelle strade
Che il sole infiamma allor che quel da Roma
Tra i sardi e i còrsi il vede quando cade:
82 E quell’ombra gentil, per cui si noma
67. COLOR: i filosofi che, investigando,
giunsero a porscrutaro lu vora natura
dello cose, riconobbero la libortà dell'ar-
bitrio, onde dettoro al mondo lo dottrine
morali, secondo le quali gli uomini de-
vono governarsi. Cfr. De Mon. I, 12.
70. ONDE: « pogniamo pure che la vo-
stra apprensiva ricevendo |’ imagine di
un obbietto esterno si senta necessaria-
mente mossa dallo sue naturali inclina-
zioni ad amore o avversiono verso di
esso: sin qui non vi ha corto nulla di
libero o chie pertanto possa essere impu-
tato. Ma siccumo voi avote lume di ru-
gione per disanimare le qualità morali
degli oggetti a cui vi sentite inclinato
od avverso; siccome voi avete libertà di
fare questa disamina, e fattala, di assen-
tire, o di dissentire ai moti primi della
natura: si fa lnogoaimpautazione rispetto
a questo vostro assenso, o dissenso; e ne
nasce perciò una serie di amori buoni o
rei, ma liberi sempre, perchè dall' eser-
cizio accompaguati del vostro libero ar-
bitrio, i quali pertanto sono degni di lode
o di biasimo, e moritovoli di premio o di
castigo; » Gioberti.
78. INTENDK: Beatrice chiama liboro
arbitrio questa nobile facoltà regolatri-
ce degli atti umani; procura dunque di
averlo presente alla memoria, se ella te
ne parla. Veramente Beatrice ne parla
poi nel cielo della luna, Par. V, 10eseg.
V. 76-87. Sonnolenza di Dante. È
P__
mezzanotte ; la luna fa apparire le stelle
più rado, oscurando col suo splendore
lo piccole. Virgilio ha terminato fl suo
ragionamento, Dante non ha per ora più
nulla da chiedere, onde, avendo seco di
quel d'Adamo, si sente preso dal sonno.
76. TARDA: 0 tarda ai riferisce alla
luna, e allora s' intende che la luna tardò
sin quasi a mezzavotte a sorgere ; oppure
tarda si riferisce a mezzanotte, ed il senso
è: quasi alla tarda ora della mezzanotte,
la luna, fatta, eco. Cfr. Com. Lips. II,
325 e seg. GALANTI, Lettere, Ser. II,
lott. 24.
78. FATTA: essendo allora calante, o
solo da una parte presentandosi tonda
ed illuminata, Ja luna rendeva figura di
una secchia ardente. - SKCCHIONE: Al.
SCHEGGION; « ma la luna a me pare che
si somigli più ad un secchio rotondo ar-
dente, che ad uno scheggione, il qualo
sarà certamente bislangoedirregolare ; »
Betti.
79. CORRRA: saliva da ponente a le-
vante, quindi a rovescio dell’ apparente
moto del cielo, che sombra volgersi da
levante a ponente. - STRADK: per quelle
regioni aerce che il sole percorre verso
il solstizio invernale, quaudo gli abitanti
di Roma lo vedono tramontare tra la Sar-
degua e la Corsica.
82. OMBRA: e Virgilio, per cui, essen-
dovi nato, Piotola è più famosa della
stessa città di Mantova, mi aveva tolto
[GIRONE QUARTO]
Piètola più che villa mantovana,
Pura, XViIT. 83-99
[Acciprosi] 529
-
Del mio carcar deposto avea Ja soma;
BS Per ch'io, che Ja ragione aperta e piana
Sopra le mie questioni avea ricolta,
Stava com’ uom che sonnolento vana.
88 Ma questa sonnolenza mi fu tolta
Subitamente da gente, che dopo
Le nostre spalle a noi era già volta:
oi E quale Ismeno già vide ed Asopo
Lungo di sé di notte furia e calca,
Pur che i Teban’ di Bacco avesser uopo ;
DI Tale per quel giron suo passo falca,
Per quel ch'io vidi di color, venendo,
Cui buon volere e giusto amor cavalca.
97 Tosto ffir sopra a noi, perché correndo
Si movea tutta quella turba magna;
E due dinanzi gridavan piangendo:
fl carico del dubbio, rispondendo alle mie
domande.
83, PigtoLa: villaggio sulla riva de-
atra del Mincio vicino n Mantova, se-
condo i più l'Andes degli antichi, patrin
di Virgilio. Cfr. Loria, 138. Bass. 178.
= PIÙ CHR VILLA: Al. PIÙ CI NULLA;
efr. Moore, Crit., 391 © seg.
86. RiCOLTA : nella min mente; aveva
ticevuto chiara e facile risposta allo mie
questioni.
BT. VANA: vanoggia; da vanare, con-
trazione di vanegriare (1).
V. 88-08. Schiera di accidiosi. La
sonnolenza è tolta nl Posta da una schie-
ra incamminata verso il Inogo dove egli
6 Virgilio si trovano. Sono gli spiriti de-
gli accidiosi che, in opposizione alla loro
inerzia, corrono frettolosamente intorno
al girone, piangendo e cantando per
iscontare con gentili entusiasmi la fred-
da indifferenza di che si resero colpe-
voli vita loro durante.
89. poro: dietro le nostre spalle, aven-
do compinto il giro del monte, « Cor-
rono sempre in giro, sempre attorno al
monte; onde il correre non sembra aver
mai per loro un principlo n un termine ;
utile documento agli accidiosi, che non
sanno mai trovar principio all'opera, o
quando pure il trovano, non san mai re-
carla a ano termine; » Perez.
Ol. Ismeno ED Asoro: due finmi della
di. — Div. Cumm., 3% ediz.
Beozio, lungo i quali grandi turbe di Te-
bani correvano di notte con facelle ac-
cease, invocando l'ainto di Bacco, loro
nume è patrono; cfr. Stat, Theb, IX, 434
o seg., dove il finmo Iamono dice: « Ille
ego, clamatos sacris ulolatibos amnia,
Qui molles tyraoa Racchengne cornua
puro Fonte lavare feror.... Frater taci-
tas Asopus eunti Conciliat vires. » Cfr.
ITerodot. VI, 108; IX, 61, Thueyd, IV,
06. Virg. Eclog. VI, 82 © seg.
04, TALK: ona tal furia è calca di
gente, come mi parve di coloro eni bnon
volere e ginsto amore sprona, torce è
piega in modo di falce il suo passo per
quel girone, venendo alla nostra volta,
- FALCA: « gli nai del popolo ci riachia-
rano i dubbi de' commentatori, rammen-
tandoci il faleare del passo de' cavalli, è
le faleate ch'o' danno in snl moversi al-
cuni di qnegli animali o de’ non bene an-
cora docili al freno o «dei più generosi.
L'immagine è tolta dall'inarcare che
fanno la schiena « le gnmbe, a modo di
falce. Così falca In persona 6 le gambe
anche l' nomo, quando si dà la spinta a
una cora veloco; «+ Caverni,
05. rei QUEL: per quanto nell’ oacu-
rità della notte potel vedere.
07. rin: ci raggiunsero presto, perchè
correvano veloci. - MAOKA : grande.
V. 09-105. Esempi di sollecitudine,
Due anime anteriori della schiera degli
530 [GIRONE QUARTO] Pure. xyitt. 100-114
[ABATE DI 8. ZENO]
100 « Maria corse con fretta alla montagna, »
E: « Cesare, per soggiogare Ilerda,
| Punse Marsilia e poi corse in Ispagna. »
103 « Ratto, ratto, che il tempo non si perda
Per poco amor, » gridavan gli altri appresso:
« Ché studio di ben far grazia rinverda. »
106 « O gente, fm ant fammana anna = agg
Ricompie idugio,
Da voi pe r messo,
109 Questi che è i bugio,
Vuole anu ne riluca;
Però ne d ‘tugio. »
112 Parole furon lj
Ed un di Vieni
Di retro a ca,
accidiosi gridano esempi di .
né, Il primo esempio è anche 4 =
dolla Vergine Maria che si afftoue d
andarsene a visitare la sua parente Eli-
sabetta, e della quale si legge, S. Luc.
I, 30: « Maria in quegli stessi giorni
andò frettolosamente nella montagna a
una città di Giuda. » Il secondo 4 l'eseni-
pio di Giulio Cesare che colla velocità del
fulmino represso i tumulti di Marsiglia
e soggiogò le Spagno; cfr. Ces. De Bello
civ. I, IT. Houat. Bptat. I, 20, 13. Lace.
Phars. I, 151 e seg., II, III. Il primo è
esempio di sollecitudine spirituale, il se-
condo di sollocitudino tomporalo.
101. ILkitba : oggi Lorida, città della
Spagna sul fiume Sogre, presso la quale
Cesare sbaragliò Afranio e Petreo luo-
gotenenti di Pompeo.
102. runsr: lasciandovi Bruto all’ as-
sodio.
103. RATTO : presto; presto! « Nolito ne-
gligero, nolite cossare ! » Giud. XVIII,9.
104. rKu LOCO: per amor del beno sce-
mo di suo dovero; Purg. XVII, 85, 86.
105. cuÉ: aftinchd la nostra sollecitu-
dine dol bon faro rinnuovi e rinvigorisca
in noi la grazia di Dio,
V. 106-120. L’ Abate di San Zeno.
Virgilio prega quello animo di dire dove
sia la scala por suliro al quinto girone.
L'una di esse rispondo: Seguiteci e tro-
verete la fenditura del monte dove si
sale. Noi abbiamo fretta © pon possiamo
fermarci. Io fui Abate di San Zeno al
arbarossa. Abato di 8. Zeno
wv sil tempi di Fedorigo Barba-
fuasa waperatore (1152-1190) fa un Ghe-
rarde II, morto nel 1)87 (cfr, BlaNncOLI-
NI, Notizie stor. della Chiesa di Verona,
lib. V, 61), dol quale non si hanno ulte-
riori notizie. I comm. ant. lo dicono as-
sai accidioso, ma probabilmente non at-
tinsoro che a questi versi di Dante. Cfr.
Com. Lips. II, 331. Alcuni lo chiamauo
Alberto; altri lo confondono con Al-
berto della Scala. I} BELVIGLIERI (Aldo
Dant. Veron., p. 156): <1] personaggio
che parla, per quanto n’ abbiano detto,
non si può accertaro chi fosse. »
106. FKRVORK ACUTO: amore fervente.
107. RICOMNLIK: compensa la nogligonza
© la trascuranza del tun faro che usaste
ju vita per amore scemo di suo dovere.
109. NON vi HUGIO: non vi dico bugie,
affermando che questi è ancor vivo. Bu-
gio da bugiare=mentiro, anticamente
anche in prosa; < è ancora in bocca di
alcuni, i quali dicono: ‘' Io non ti ba-
80; ,,> Varchi.
110. PUR CUR: quanto prima il sole torni
ad illuminarci; cfr. Purg. VII, 53 © sog.
111. ov’ È: da qual parte è più vicino
il passo por salire.
118. vIKNI: la fretta di questi spiriti
è tale, cho nessuno si cura di quol vivo
che è lì, e nessuno no fa le meraviglie.
114. DI RETRO: da sinistra a destra. -
LA BUCA: il pertugio, cioè il varco inca-
vato nel sasso; cfr. Purg. XIX, 58.
[GIRONE QUARTO]
Pure. xvirr. 115-127 [GLI scALIGERI]) 531
115 Noi siam di voglia a moverci sì pieni,
Che ristar non potem; però perdona,
Se villania nostra giustizia tieni.
118 Io fui abate in San Zeno a Verona,
Sotto lo imperio del buon Barbarossa,
Di cui dolente ancor Milan ragiona.
121 E tale ha già l’un piè dentro la fossa,
Che tosto piangerà quel monastero,
E tristo fia d'averne avuto possa;
124 Perché suo figlio, mal del corpo intero,
E della mente peggio, e che mal nacque,
Ha posto in luogo di suo pastor vero. »
127 To non so se più disse, o 8’ ei si tacque,
110. cue RISTAR: che non possiamo
117. miENI: 86 la nostra sollecitudine
ili soddisfare alla divina giustizia cor-
rondo senza fermarci a parlaro con voi,
ti sembra un atto di scortesla.
119. BUON : « quia fuit virtnosns, atre-
nuns, largus triunphator et corpore pul-
cer;» Benp. Foco valere vigorosamonte i
iliritti imperiali o mori orocinto, Dal Vent.
in qua i più si nvvisano, contro l'opinione
di totti gli antichi, che quel buon sia det-
to per ironia; opinione inattendibile.
120, Di cur: del quale Milano, distratta
dal Barbarossa nel 1162 (cfr. Vill. V, 1),
serba ancora dolorosi ricordi.
V. 121-126. GU Scaligeri. Pur cor-
rendo, l'Abate di 8. Zono predico che un
talo piangorà preato nell'inforno a mo-
tivo del monastoro di Verona attristan-
dosi d'avere esorcitato sopra osso la sun
autorità, ponendovi abate Ginseppo suo
bastardo. Quel tale è Alberto della Sca-
la, signor di Verona, che morì il 10 set-
tombre 1301. Ebbe tre figli logittimi che
l'uno dopo l'altro gli successero nella si-
goorla: Bnartolommeo, m. 7 marzo 1304;
Alboino, m. 24 ottobre 1311; Can Fran-
tesco o Can Granile, l'ospite di Dante.
Oltre questi ebbe un figlio illegittimo di
nome Ginseppe, che fu Abatodi San Zeno
dal 1201 al 1314.
121, na Già: nel 1200 Alberto della
Seala era vecchio, o quando Dante dot-
tava questi vorsi sapora esser ogli morto
nol 1301.
122. rIARGRRÀ : quell'anima predice il
pianto di Alberto nell'inferno per l'in-
giuria fatta a quel monastero avendo
eletto o fatto eleggere abate il suo figlio
bastardo. « Alberto della Scala aveva
commesso un grande peccato, cioè ch'ello
avon fatto nbbnte di San Zeno da Vorona
un sno figlinolo, indegno di tale prola-
tura: imprima, ch'elliera zoppo del corpo;
secondo ch'elli era così difettoso dell'ani-
ma come del corpo; terzo ch' elli era
figlivolo naturale, nicchò nvoa questi tre
grandi difetti; » Lan., Ott. Confr. Levit,
XXI, 17-21.
124. MAL: essendo sciancato,
125. reGGIO: « vir probus et integer a
principio, sed consiliam medicorum tacin
mnliere, volut inquinatus pice diaboli,
factns est sceleratissimos. Nam com Al-
hoinns, qui anecessorat Bartholommo in
dominio, vellot ox pusillanimitate redu-
coro comites anncti Nonifacil in Veronam,
abbas, conqueronte Cane, tamquam an!-
mosus increpans amnro Alboinum, ar-
mata mann ivit, ot trncidavit moltos ox
dictia comitibus ad villam sorom, qum
inanla Comitum primo, posten vooata
est insula de la Scnla.... Erat pravus
animo, lupus raptor; fuit enim homo
riolenetus, de nocte discurrens per en-
burbia com armatia, rapiens malta, et
replens merctricibns locum illitrm; » Ben.
- MAL NACQUE: fa gonerato illegittima-
monto e nato d'adnltorio.
126. In LUOGO: invece di abate legit-
timo di quel monastero.
V. 127-138, Leempi di aceidia pu-
mite, La schiera va oltre correndo, onde
Dante non sa dire se l' Abate di San Zeno
si tacosse o conlinunsse a parlare. Le dune
532 [GIRONE QUARTO] Pura. xvitr. 128-145
[ESEMPI D'ACCIDIA]
Tant’ era già di là da noi trascorso;
Ma questo intesi, e ritener mi piacque.
130 E quei che m'era ad ogni uopo soccorso
Disse: « Volgiti in qua, vedine due
Venire, dando all’accidia di morso, »
183 Di retro a tutti dicean: « Prima fue
Morta la gente, a cui il mar s’ aperse,
Che vedesse Giordan le rede sue; »
136 E: « Quella, che l'affanno non sofferse
Fino alla fine col figliuol d’Anchise,
Sé stessa a vita senza gloria offerse. »
130 Poi quando fir da noi tanto divise
Quell’ombre, che veder più non potérsi
Nuovo pensier dentro da me si mise,
142 Del qual più altri nacquero e diversi:
E tanto d’uno in altro vaneggiai,
Che gli occhi per vaghezza ricopersi,
145 E il pensamento in sogno trasmutai.
anime posteriori gridano esempi di pigri-
zia. Il primo è degli Ebrei, che lenti e ri-
belli a seguir Moisè perirono nel diserto
e non toccarono la terra promessa; cfr.
Num. XIV, 1-39. Deuter. I, 26-36. Il
secondo esempio è del fiacchi compagni
di Enea, che tediati dalle fatiche del
viaggio si fermarono in Sicilia con Ace-
ste, anteponendo la vita poltrona alle
fatiche ed all’ acquisto di gloria; confr.
Virg. Aen. V, 604 e seg.
129. MI PIACQUK: « per farne memoria
che servisse d'esempio de' violatori di
cose sacre; » Buti. « Perchè testimunio
valevole a mostrarci, che se Iddio non
castiga il peccato in questo mondo, ca-
atigalo nell'altro; » Lomb. « Per notarlo
di qua di perpetua infamia; » Biag.
180. QURI: Virgilio, sempre pronto a
soccorrermi in ogni mio bisogno.
132. DANDO: mordendo, biasimando
l’accidia con esempi di accidia punita.
184. IL MAR 8’ AVPKRSK: confr. Esod.
XIV, 8-31.
135. Giorban: Al. JORDAN, fiume prin-
cipale della Palestina, posto qui a desi-
guare tuttalla Palestina, da Dio promessa
e poi data in eredità ai figli d'Abraamo.
- REDE: confr. Inf. XXXI, 116. Purg.
VII, 118.
136. QUELLA: gente.
V.139-145. Sonno di Dante. La schie-
ra dello animo è passata oltre; non si ve-
de più dai due Poeti, nè si ode più nulla.
Dante, già prima sonnolento, v. 87, si sd-
dormenta. Con verità di osservazione e
con etlicace proprietà di parole dipinge il
Poeta il passaggio della veglia al sonno.
139. DIVISK: allontanate.
141. DENTRO DA: Al. DENTRO A.
142. rid. ALTRI: « Cogitati:nea mom
varim saccedunt sibi, et mens in diversa
rapitur; » Giobbe XX, 2. Cfr. Virg. Aen.
IV, 285 e seg.; VIII, 20 e seg.
144. PKR VAGUEZZA : « per cagion del
vagamento dei pensieri, cioò per non fis-
sarai più la mente in alcun pensiero, ces-
sando agli occhi stimolo di restare aperti,
mi si chiusero ; » Lomb.
145. TRASMUTAI: il mio pensare si con-
vertì in un sogno; Purg. XIX, 7-32.
Agli accidiosi Dante non volge mai la
parola, e dedica loro men versi che a tutti
gli altri spiriti, forse per indicare il suo
«disprezzo per le anime tarde od iuerti. In
questo solo cerchio del Purgatorio lo ani-
me non pronunciuno preghioro, forse per
meglio indicaro la loro fretta, e forse in
pena dell'essere state un dì troppo restie
a pregare. « Fora’ ancho l'acerbo Poeta,
che in questo corchio non nomina altro
personaggio, fuorchè un uomo il quale
[GIRONE QUARTO]
più che altri avrebbo dovuto intendere
ad orazione (l'Abnte di San Zeno), vuole
avvisarel che eziandio il Inngo salmeg-
giaro A acciilia, so il corpo no trae allet-
tamenti al suo ngio, e l'anima è lon-
Pura. xix. 1-4 ({[sogxo S1MBOLICO] 533
tann dai pensieri di Dio: onde poi gli
accenti indivoti e l'aginto sedere è forza
scontare col silenzio della pia medita-
rione o col disagio del correro senza ri-
poso; » Perez.
CANTO DECIMONONO
GIRONE QUARTO: ACCIDIA
=
SOGNO SIMBOLICO DI DANTE, L'ANGELO DELLA SOLLECITUDINE
BALITA AL QUINTO CERCHIO
GIRONE QUINTO: AVARIZIA E PRODIGALITÀ
(Piangere, distesi bocconi, immobili, colle mani e coi piedi legati alla terra)
PAPA ADRIANO V, ALAGIA
Nell’ ora che non può il calor diurno
Intiepidar più il freddo dolla luna,
Vinto da terra o talor da Saturno;
4 Quando i geomanti lor maggior fortuna
V, 1-33. Il sogno simbolico. Sono
circa lo 4 ‘fa li mattina. Dante vedo in
una femmina balba, guercia, coi
più distorti, le mani monche, «li colore
scialba. Come Dante la mira ella si di-
risza, si colora e cantando dice di essere
doles Sirena. Mentre canta ancora np-
pare un'altra donna, santa e presta, che
la prende, le apre la veste e ne mostra il
ventre, che col porro risveglia Îl T'oeta.
1. NELL'ORA : presso del mattino, quan-
do del ver sì sogna; Inf. XXVI, 7. Purg.
IX, 16 seg.
2. 1L FREDDO : « In Inna non è fredda in
ad, ma è effettiva di freddo coi raggi del
sole che percuotono in essa, et ella N ri-
flette giuso ; e la riflessione che viene di
an giù cagiona freddo, come quella che 4
di giù su cagiona caldo, e però la luna la
notte raffredda Vaire e la terra; » Buti,
L'errore dorò sino nl nostro secolo.
8, VINTO: estinto, ciod il calor diurno.
- ha TERRA: dalla naturale frigiderza
della terra, o alle volte (poichè questo
planeta non si trova sempre snll'oriz-
zonte) da Saturno, cho ri eredova appor-
tatore «di freddo ; cfr. Virg. Georg. I, 335
e sog.
4. GROMANTI: indovini che facevano
professione di predire il faturo mediante
certi punti segnati a caso sulla terra o
sulla carta, dai quali punti tratte più
534 [GIRONE QUARTO]
Puna. xx. 5-15
(SOGNO 51MBO11C0)
Veggiono in oriente, innanzi all’ alba,
Surger per via che poco le sta bruna;
7 Mi venne in sogno una femmina balba,
Negli occhi guercia e sovra i piè distorta,
Con le man' monche e di colore scialba.
10 Io la mirava; e, come il sol conforta
Le fredde membra che la notte aggrava,
Così lo sguardo mio le facea scorta
13 La lingua, e poscia tutta la drizzava
In poco d'ora, e lo smarrito volto,
Come amor vuol, così le colorava.
linée formavansi figure simili alle geo-
metriche; cfr. Encicl., 884. - MAGGIOR:
Sortuna major chiamavano i geomanti
quella disposizione di punti che somiglia-
va più o meno alle costellazioni dell'Aqua-
rio e dei Pesci. « La geomantica Maggior
Fortuna consisteva in una punteggiatura
fatta a caso ed alla cieca, 6 rinscente non-
dimeno simigliante alla disposizione dello
stelle della seconda metà dell'Aquario e
della prima metà dei Pesci. Nella busa e
strampalata testa dei geomanti, questa
nuova costellazione da loro ideata parve
la più belia, Ja più graziosa e la più gen-
tile di tutte le altre che in cielo esisto-
no; > Nociti, Orar., 17.
0. POCO: rimane poco tempo oscura,
perchè presto rischiarata dal sole na-
scente.
7. ¥EMMINA: cfr. v. 50; simbolo del-
l'avarizia, della gola e della lussuria.
l'idea di questa femmina sembra tolta
da' Prov. VII, 10-12. Alcuni, ultima-
mente anche il Pol., si avvisano che
Semmina sia detto a bello studio di pro-
prietà, in opposizione alla donna del
v. 26. E dire che della Santa Vergine
Dante dice che fu FEMMINA veramente!
Conv. II, 6, 9. - uaLba: balbuziente;
«hoc respicit avaritiam qui non loqui-
tar clare et aperte, sed implicite et do-
lose: gulam, quia ebrietas facit lingaam
grossam, ita ut non possit articulate lo-
qui: luxuriam, que facit hominem adu-
lari, lingere et inulta fingere falso; NEGLI
OCCHI GUERCIA : hoc facit avaritia, quia
uvarus non videt recte, nimia cupiditate
caucus tam babendi, quam retinendi; hoc
facit gala, quis roddit oculos lippientes et
visum destruit; luxuria molto fortius,
quia offuscat oculos corporales ot Intel-
lectualea, et quid deceat non videt ullus
ANans } E BOVA I PIÈ DISTORTA : talis est
avaritia que numquam recte incedit, nec
judicat recta lance; gula peins, quia
ebrius privustat risam videntibos ipsum
ambulare tortuose; luxuria pessime va-
dit per viam rectam ; 00N LE MAN MON-
cui: istud patet in avaro, qui nihil dat,
nil recte fucit nisi cum moritur; unde
paulo infra audies quod avari stant ma-
nibus et pedibus ligati; gulosus nihil valt
operari, luxuriosus minus, imo luxuria
fuvetur inertia et accidia; E DI COLORE
SCIALBA: hoc verificatur in avaro, guloso
et luxurioso qui habent bona tantum ai-
mulata. Omnes isti communiter habent
faciem pallidam et sine colore; » Benv.
10. E COMK: come i raggi del sole rin-
francano le membra intirizzite dal freddo
notturno, così il mio sguardo faceva spe-
dita a quella femmina la lingua, le driz-
vava tutta la personae le colorava il volto
di color roseo, ch’ è il color proprio del-
l'amore. Aliegoricamente: i beni vagheg-
giati dall'avaro, dal goloso e dal luasa-
rioso sono cose vili e turpi in sè stesse;
ma l'uomo colla sua immaginativa appas-
sionata conferisce loro attrattive e pregi
che in realtà non Danno. - CONFORTA : « I)
sole tutte le cose col suo calore vivitica; »
Conv. 1II, 12. « A summo ciclo egressio
eius; et occursus eiue usque ad sum-
mum eius; nec est qui se abscondat a ca-
lore eius; » Peal, XVIII, 7. « Solque sua
pro parte fovet tribuitque calorem; »
Lucret. Rer. nat. I, 808.
12. 8CONTA : spedita.
14. IN POCO: basta poco tempo ad easer
preso d'umore de’ beni fallaci.
15. COLORAVA: « Avvenne poi che que-
ata donna ovunque elia mi vedca, ui fa-
[GIRONE QUARTO]
Pure. x1x. 16-33 (soono stMBoLico)
535
16 Poi ch’ ell’ avea il parlar cosi disciolto,
Cominciava a cantar si che con pena
Da lei avrei mio intento rivolto.
19 « Io son, » cantava, « io son dolce sirena,
Che i marinari in mezzo mar dismago;
Tanto son di piacere a sentir piena.
22 Jo volsi Ulisse del suo cammin vago
Col canto mio; e qual meco si aisa
Rado sen parte, sì tutto l’appago. »
25 Ancor non era sua bocca richiusa,
Quando una donna apparve santa e presta
Lunghesso me per far colei confusa.
28 « O Virgilio, Virgilio, chi è questa? »
Fieramente dicea; ed ei venia
Con gli occhi fitti pure in quella onesta.
31 L'altra prendeva, e dinanzi |’ apria
Fendendo i drappi, e mostravami il ventre;
Quel mi svegliò col puzzo che n’uscia.
cea d'una vista pistora o d'un color pal-
lido, quasi come d'amore; » Vit. N., 0. 37.
16. 1% rantar: la lingua. - così: per
lo mio sguardo.
18, IntrNTO: nttenzione; efr. Purg.
III, 13.
20. In MEZZO MAR: cfr. Inf. XIV, DA.
= DisMAGO: dissonno, travolgo loro la
monte.
21. TANTO: così grande è il piacoro
che infondo nell'animo di chi ode il mio
canto.
22. voLs:; Al. Traser, Ulisse vinse il
pericolo delle Sirene (cfr. Hom. Odyes.
XII); invece fu proso ne' lacci della maga
Uirce (ofr. Inf. XX.VI,90 e seg.), che non
era veramente una Sirena nel senso mi-
di questa voce, ma che Dante
chiama così, o perchè ln credette tale, o
soltanto per traslato, come Purg. XXXI,
45. Par. XII, 8. Sulle diverso interpre-
tazioni di questo passo cfr. Com, Lips.
Il, 340,
23. cof, CANTO: Al. Al. CANTO. = BI
AURA: si avvozsa; ofr. Inf. XI, 11.
DA. BEN rantre: si allontana da me. -
L'arraco: parlare ambiguo che può si-
guificare: lo contento, e: lo acconcio. Mo-
ralmente vuol diro che chi ai Inacia nl-
lottare dai falsi pinceri torna di rado alla
virtù.
26. ANCOR: montre cantava ancora,
26. DONNA: simbolo della ragione na-
turale che mostra all'uomo la fallacia
dei falsi beni 6 la mendacità delle loro
lusinghe. L'immaginativa addobba di
vezzi attraenti la femmina balba ; la ra-
gione squarcia questi addobbi e ci fa ve-
dere quella sozza femmina quale essa è
in realtà,
27. LUNGHESSO: accanto, presso a me,
« Vidi lungo me uomini; » Vita N., 36.
28, cot k: chi è questa sozza creatura
che Il tuo discepolo vagheggia!
20. FIERAMENTR: sdegnata. - venta:
teneva gli occhi fissi soltanto alla donna
santa. « Et sic vide quod oculas Dantis
in carne positus respiciobat tantum com
doloctationo illam primam Inbricam, sed
ocolus Virgilii sine carno respiciebat
istam secundam com veneratione; illa
enim videbator pulora et amabilia, ista
vero rigida, sed venerabilia; » Ben,
31. PRENDEVA: non Virgilio (Land.,
Vell., Ces., Br. B., Filat., eco.), ma la
annta donna prondera la femmina balba
(Ott., Benw., Buti, Dan., eco.).
32. MOBTRAVAMI: Al. MOSTRANDOMI,
«Nudabo igoominiam tuam coram vis, et
videbunt omnem turpitudinem tuam; »
Ezech, XVI, 37; oft. ibid, XXILI, 10,
26, 29.
596 [OIKONE QUARTO]
Puro, xix. 34-50
[ANGELO]
di Io mossi gli occhi, e il buon Virgilio: « Almen tre
Voci t'ho messe, » dicea; « surgi e vieni,
Troviam la porta per la qual tu entre, »
37 Su mi levai, e tutti eran già pieni
Dell’alto di i giron' del sacro monte,
Ed andavam col sol nuovo alle reni.
40 Seguendo lui, portava la mia fronte
Come colui che l'ha di pensier carca,
Che fa di sé un mezzo arco di ponte,
4 Quand’io udi’: « Venite, qui si varca, »
Parlare in modo soave e benigno,
Qual non si sente in questa mortal marca,
40 Con l’ali aperte che parean di cigno,
Volseci in su colui che sì parlonne,
Tra due pareti del duro macigno,
49 Mosse le penne poi e ventilonne,
Qui lugent affermando esser beati,
V. 34-51. L’Angyelo della sollecitu-
dine. Dante, chiamato tre volto da Vir-
gilio, sl sveglia verso le 6 '/2 di mattina.
Un Angelo con ale di cigno invita i due
Poeti a salire, cancella un altro P dalla
fronte di Dante o canta la torza beatitu-
dine evangelica, Quest’ Angelo « si maui-
festa l'Angelo del buon zolo, doll’ amo-
rosa sollecitudine, dell’ ardente carità
verso Dio, non dando a vodor i sè che
le grandi e bianchissime ale aperte e
dritte in alto verso la scala, ove con
voce benigna ha invitato il Poeta: An-
gelo che direbbesi tutto ale per salire e
far salire; » Perez.
84. ALMEN TRE: cfr. Inf. VII, 28. Molti
leggono nel modo seguente:
Jo volsi gli occhi al buon maestro e mentre
Voci come dicesse: Surgi e vieni.
Cfr. Moore, Crit., 303 e seg.
85. T' HO MKS8R: ti ho chiamato almeno
tre volte.
36. LA LORTA : Al. L’APERTA; L'ALKRTO.
Troviamo il valico; cfr. Pury. IV, 19.
$7. ENI: © tutti i corchi del Purgatorio
erano già illuminati dai raggi del solo.
39. NUOVO: tostò levato. - ALLE RKNI:
dietro alle spalle. Procedendo sempro a
destra i due Poeti guardavano verso oc-
cidente e volgevano le spalle all'oriente.
4l. Carca: piena di gravi pensieri;
cfr. v. 62 © sey. « E sospirando pensoso
venia, Per non veder la gente, a capo
chino; » Vit. N. IX, 37 e seg.
42. FA DI 8È: va curvato, « Questo no-
stro poeta.... poi che alla matura età fu
pervenuto, andò alquanto carvetto, e era
il suo andare grave o mansueto; » Boce.,
Vita di D., § 8.
43. ubl': udil l'Angelo dirci: Venite,
qui si passa per salire all'altro cerchio.
44. sOAVK: «di suono, benigno d' ac-
cento e di senso; » J'um,
45. MARCA: iu questa regione abitata
da’ mortali, in questo mondo.
46. DI CIGNO: bianche, candide. « Qua-
lis, ubi aut leporem, aut candenti corpore
cyenum; » Virg. Aen. IX, 560.
47. VOLSECI: ci avviò su aprendo le ali
e drizzandole dov'era la scala.
48. TRA DUE: Al. TRA I DUO; tra i due
muri che fiancheggiavano la scala eca-
vata nell’erta marmorea sponda. - MA-
CIGNO: roccia.
49. VKNTILONNK: con questo ventilare
l'Angelo cancella dalla fronte del Poeta
il quarto P, ossia il segno del pecoato del-
l'accidia; cfr. Purg. IX, 112 © seg.; XII,
08, occ.
50.QUI LUGKNT: «beati coloro che pian-
guno, perchè questi saranno consolati; »
S. Matt. V, 5. Boatitudine conveniente
agli accidiosi, i quali vanno piangendo
tra il correre ed il meditare; cfr. Purg.
XVIII, 99.
[GIRONE QUARTO]
Puro, xx. 51-67 [INTERP. DEL S0Gx0] 537
Ch'avran di consolar l'anime donne,
52 « Che hai, che pure invér Ja terra guati? »
La guida mia incominciò a dirmi,
Poco ambedue dall’angel sormontati.
55 Ed io: « Con tanta suspizion fa irmi
Novella vision ch'a sé mi piega,
Sì ch’io non posso dal pensar partirmi. »
58 « Vedesti, » disse, « quella antica strega,
Che sola sovra noi omai si piagne;
Vedesti come |’ uom da lei si slega.
61 Bastiti, e batti a terra le calcagne,
Gli occhi rivolgi al logoro, che gira
Lo rege eterno con le ruote magno. »
64 Quale il falcon che prima ai pié si mira,
Indi si volge al grido, e si protende
Per lo desio del pasto che là il tira;
67 Tal mi fec’io, e tal, quanto si fende
61. DONNE: signore, padrone; cheavran-
no le anime posseditrici di consolazione,
cioè saranno beati; cfr. Com. Lips, IT,
DMA è nog.
V. 52-60. Interpretazione del sogno
simbolico, Mentresalgono, Virgilio chie-
de a Dante il motivo del suo andare as-
sorto in pensieri. E Dante: « Vado così
dnbbioso per ona visione di fresco avuta,
che oocupa tutta la mia nttenzione, di
modo che non posso lasciare di pensarvi. »
Quindi Virgilio, che già conosce il sugno
del suo discepolo, gliene dichiara il senso,
62. con wat: cfr. Purg. XV, 120, 193 è
eeg,- INVER: ofr. v. 40 © sog.
54.8ORMONTATI: essendo ambedue mon-
tati pooo più sndelluogodovestaval'An-
gelo. Sormontati è usato qui alla latina a
modo di participio assoluto.
55. SUBPIZION: Al. BOSPENBION ; sospet-
to, dubbio.
50, vision: il sogno già raccontato,
v. 7-22; lo chiama visione « perchè l'uno
vocabulo alle volte si pone per l'altro; »
Buti,
GR, ANTICA: la copidigia do' falsi beni
rosso giù | primi nomini nol parmlino
terrestro, è dunque antica quanto il mon-
do.-sTREGA: maliarda, incantatrico, cioè
ina balba, simbolo dei tre peccati
che si espiano nei tre rimanenti gironi del
. ® Streghe dicono i semplici
che sono vecchie, le quali si tramutano jn
vario forme d'animali, et dapoi succiano
il sangue a’ bambini. Laonde chiama que-
sta falsa felicità atrega, perchè ci succia
gil spiriti ed | sensi; » Land., Vell., ece.
50. ROYRA NOT: no’ gironi dell'avarizia,
della gola e della lussuria.
60. 61 SLEGA: se ne libera, consideran-
dola qual'è in realtà, orrida, fetida, achi-
foan.
61. nAstITI: cld che bal veduto ed ora
da me adito. - RATTI: affretta il passo,
62. Locoro ; cfr. Inf. XVII, 128; qui
per richiamo, invito.
63. ruOTI: le sfere celesti; ofr. Purg.
VIII, 18; XI, 26; XIV, 148-150.
64. QUALE: come il falcone sulla por-
tica o sulla mano del falconiero si guarda
ai piedi, quasi per desiderio di liberarsi,
indi, udito il grido del falconiere, si pro-
tende per volar dietro alla preda: così io,
che prima andava curvo, mi rialzai, udite
le parole di Virgilio, ed affrettai il passo,
La enccia col falcone era molto in voga
nel medio evo, onde Dante ne toglie pa-
recchio aimilitudini; ofr. Inf. XVII, 127
o acg.; XXII, 130 o sog. Par, XIX, 24
© nor.
#6. bit PASTO : il falcone ricevova aom-
pre la sua parte della preda, la quale si
chiamava la parte del falcone. - LÀ: in
alto, dove è la preda,
67.E TAL: © così speilito camminni per
tutto quel tratto di apertura che fala roc-
598 [GIRONE QUINTO]
Pure. Xrx. 68-84
[AVARI E PRODIGHI]
La roccia per dar via a chi va suso,
N'andai infino ove il cerchiar si prende.
70 Com’ io nel quinto giro fui dischiuso,
Vidi gente per esso che piangea,
Giacendo a terra tutta volta in giuso,
78 « Adhesit pavimento anima mea, »
Sen cr
Che la }
76 « O eletti i
E giusti?
Drizzate
79 « Se voi y
E volote
Le vostri
82 Così pregò
Poco dit
Nel parla
cia formando una scala a chi va su; cfr.
Purg. XII, 7 © seg.
60. INFIXO: sino al quinto girone, dove
non si sale più por linea retta, ma si co-
mincia a camminare in cerchio,
V. 70-87. Le anime del quinto gi-
rone. Ecco lussh gli avari ed i prodighi.
Perchè, fissi alle cose terrene, non ader-
sero in alto gli occhi, giacciono bocconi,
colle mani ed i piedi legati, per non averli
mossi ad opere meritorie. Lamentano la
loro prava passione colle parole del Sal-
mista (Salm. CX VIII, 25): «L'anima mia
è attaccata alla polvere.» Ora l' una ora
l'altra anima inframmette ai gemiti, di
giorno, esempi d'amore e di carità; di
notte, esempi d'avarizia. Virgilio do-
manda dove sia la via per salire ed una
di quelle anime risponde di tener sempre
a destra. Dante pon mente a quell' ani-
ma che parla o con uno sguardo chiede
a Virgilio il permesso di fermarsi a par-
Jaro un poco secolei.
70. DISCHIUBO: uscito all’ aporto, fuori
dell'angusta scala; cfr. Purg. 1V, 35.
72.1N aluso: boccone; cfr. v. 118 0 seg.
78. ADILASIT: a queste parole seguono
nel Salino citato le altre: « Vivificami, se-
condo la tua parola. » Così la preghiera
« pone in bel raffronto le ricchezze della
terra e quelle del cielo; la morte e la vita
dell'anima, la ruggine del basso metallo
© la lace del Verbo divino. L'aderire del-
6a.
o duri,
ri. »
F
0,
di furi, »
ch’ io
costo,
anima osprime scoonciamente la sede
del poccato, che è nell'affetto e non già
nella ricchezza; e insieme accenna la
quasi materiale tenacità di quell’affetto.
Pavimento pare ivi parola ancor più bella
che terra, se si riguardi alla sua origine
dal verbo pavire o calpestare; chè vera-
mente cosa degna d'essore calpestata
s'offre adesso a que’ contriti Il tesoro ove
posero il cuore; » Perez.
74. BENTI': Al. SFNTÌA.- ALTI : profondi
sospiri, per l'intenso dolore; ofr. Purg.
XVI, 64.
76. KLETTI: alla beatitudine del Cielo.
- LI CUI: i cui patimenti sono alleviati
dalla coscienza che avete della loro giu-
stizia e della aperanza della loro fine.
Sofriri e saliri sostant. plur. dell'uso
antico. i
77. GIUSTIZIA: divina, amata e voluta
dalle anime del Purgatorio (cfr. Purg.
XXIII, 72), a differenza delle anime
dannate, che ne sentono gli effetti, ma
l'odiano.
78. DUIZZATK: insegnateci dove è la
scala per saliro ul svsto cerchio.
79. skCUKI: liberi dal peccato che qui
si purga e perciò esenti dalla pena di gia-
cere bocconi per terra. Quegli che parla
(Adriano V) crede di parlare ad anime.
81. pi yuri: di fuori, all’esterno; an-
dato sempre a destra.
84. L'ALTRO: la persona del parlante
[GIRONE QUINTO]
Puro. xix. 85-99 [PAPA ADRIANO y] 539
85 E volsi gli occhi allora al signor mio:
Ond’ egli m’assenti con lieto cenno
Ciò che chiedea la vista del disio.
88 Poi ch’ io potei di me fare a mio senno,
Trassimi sopra quella créatura,
Le cui parole pria notar mi fenno,
o1 Dicendo: « Spirto, in cui pianger matura
Quel senza il quale a Dio tornar non puossi,
Sosta un poco per me tua maggior cura.
94 Chi fosti e perché vòlti avete i dossi
Al su, inj di’, e se vuoi ch'io t'impetri
Cosa di là ond’io vivendo mossi. »
07 Ed egli a me: « Perché i nostri diretri
Rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima,
Scias quod ego fui successor Petri,
Sentendo parlare, posi mente al parlante,
che giacendo boccone io non poteva ve-
dere, ma che scopersi tenendo dietro al
anono della voce; cfr. v. 90. Lo diverse
altro interpretazioni sono inattendibill;
efr. Com. Lips. II, 348.
85. voLs:: chiedendo con quello sguar-
do a Virgitio, che m'intendova anche
senza far parole, licenza di fermarmi nn
momento a parlare con quello spirito.
86. cenNO: degli occhi; anche Virgilio
non fa parola,
87. LA VISTA: il desidorio espresso pur
dallo agoardo.
V. 88-114. Papa Adriano V. Prega-
tone da Dante, quello spirito che ha par-
lato gli si manifesta, confessando la ana
avarizia. È questi Ottobone Fieschi dei
conti di Lavagna, genovese, nepote di
papa Innocenzo IV. Fu nel 1264 legato
di Clemente 1V in Inghilterra. Eletto
papa il 12luglio1276si chiamò Adriano V,
ma non tenne la sede che 48 giorni, cs-
sendo morto a Viterbo il 18 ngosto 1276;
efît. Potrmast, Reg. Pontif. Roman.,
Borl,, 1874, p. 1700 e seg. Greconovivs,
Rom,, V, p. 464 © seg. « Costai tutto fl
tompo di sua vita non avea atteso ad al-
tro che n raunaro pecnnia e avere, por
glugnoro n quel punto d'oessoro papa,
posto che poco godesso. E veggendosi
papa e nella maggior signoria cho si pos-
sa avere, si riconobbe e parvegli essere
entrato nel maggior laccieto del mondo,
© così de' essero avere a governare e
avere cara dell’ anime di tatta la cristia-
nità, e riconosciutosi sì medesimo ispre-
giò l'avarizia e tutti gli altri vizi ;» Paleo
Boce,- « Hio Adrianus papa V, dum fuit
cardinalia et in minoribns constitutus,
fuit nvarissimua, avaritia plenus, ot sem-
per congregavit, divitins composuit, neo
poterat satiari. Tandem factus papa, vi-
dens quod plus non poterat ascendere,
nec adhue erat satoratus divitiia, peni-
toit eum tanti sceleria, ot totaliter con-
versus ad Denm, disposnit contempnere
divitins; » Serrav.
89. TRASSIMI: mi accostai a quell'ani-
ma, la quale avora attirata n sè la mia
nttonzione colle ane parole; cfr. v. B4.
92. quer: i frotti della penitenza, « Il
dolore matura il porificarsi dell'anima;»
Tom. - TOoRNAR: ofr. Purg. XVI, 85. -
NON FPUOaSI: « Sine sanctimonia nemo
videbit Dominom; » Ebrei XII, 14.
03. SOSTA: sospendi. - cura: di puri-
ficarti piangendo le tue colpe.
O, cmt: Dante fa a quell'anima due
domande: chi ossa fosse nel mondo, e
per qual ragione gli spiriti di questo gi-
rone giacciono così col volto n terra. Alla
prima Adriano rispondo nei vv. 07-114;
alla soconda v. 115-120,
06, x 8R vuor: dimmi inoltre so dosl-
dori che lo ti ottenga cosa nlenna nel
mondo doi viventi, dal quale io venni
qui non essendo ancora morto.
97, rercné: ti dirò poi percha il cielo
ci faccina stare bocconi a terra.
DO. scias: sappi ch'io fui successore
di Pietro, cioè papa; cfr. Inf. XIX, 69,
540 [{ciror quinto] Puna. xix. 100-112 [PAPA ADRIANO V]
100 I a Siestri e Chiaveri si adima
na fiumana bella, e del suo nome
9 titol del mio sangue fa sna cima.
108 U: nese e poco più prova’ io come
asa il gran manto a chi dal fango il guarda,
' he piuma sembran tutte l'altre some.
106 Le nia conversione. cimè! fu tarda;
1 pastore,
‘ iarda,
109 V il core,
J
112 Fil
Adriano V parl
sa, come fanno {
100. SixsTRI:
cola città mari
vante di Genovi
piocola città delta srvivim we eevee won
territorio di Gonova, colebre por la sua
cattedrale, ove ni ammirano lo pitture
del Carbone, e per la chiesa detta la Afa-
donna dell'orto, ricca di tesori dell'arte.
Cfr. Bass., 164. - 8I ADIMA: 8’ avvalia,
scorre al basso.
101. FIUMANA: fiumo a torrente, cioò
la Lavagna che dall'Appennino scorre
al mare, dalla quale i Fieschi presero il
nomo di Cunti di Lavagna.
102. FA: Al. FE'.- SUA CIMA: il suo
maggior vanto, chiamandosi Conti di La-
vagna. Così i più. AL: il titolo della mia
famiglia prende da questo flume l'origino
sua. Ma l’urigine è la radice, non la
cima.
103. roco 0: sei giorni o sette di più.
104. MANTO: papale; cfr. Inf. XIX,
60. - DAL FANGO: cfr. Purg. XVI, 128.
Provai quanto grave sia il papale am-
manto a chi si gnarda dal lordarlo con
vpero indogne.
105. Cluk r'IUMA: che a petto della di-
gnità pontificulo qualunque più grave
ufticio sembra una piuma leggiora.
106. TAKDA: non essendosi convertito
che dopo essere stato eletto papa, già
vecchio ed infermiccio. Indugiò quindi
la penitenza sino agli estromi, onde du-
vrebbe essero ancora nell'Antipurgato-
rio; cfr. Purg. 1V, 127-185; XI, 1:7-132.
Lo aiutò buona orazione ad uscirne? O fu
ella vita;
8’ accesé amore,
partita
un conversione di tanto valore da
tare gli anni che avrebbe dovuto
are nell'Antipurgatorio?
B. bUGIARIDA : mondana, che pro-
-- è ona felicità che non può dare.
Leud ricchezze Conv. IV, 12: « Promet-
tono le false traditrici, se ben si guar-
da, di térre ogni sete ed ogni mancanza,
e apportar saziamento e bastanza; 6
questo fanno nel principio a ciascuno
uomo, questa promissione In certa quan-
tità di loro accrescimento affermando; ©
poichè quivi sono adunate, in loco di sa-
ziumonto o di refrigerio, dAuno e recano
sete di casso febricante intollerabile; e
in loco di bastanza, recano nuovo ter-
mine cioè maggior quantità a desiderio;
e con questo paura e sollecitudine gran-
de sopra l'acquisto. » Confronta Purg.
XXX, 132.
169. Li: in tanta altezza, come quella
da me conseguita. « Locutus sam in corde
meo, dicens : Ecce magnus effoctus sum,
et pracessi omnes sapientia, qui fuernnt
ante me in Jerusalem ; et mens mea
contemplata est multa sapienter, et di-
dici. Dedique cor meum ut scirem pru-
dontiam, atquo ductrivam, orroresque
et stultitiam ; ot agnovi quod in his quo-
que esset labor ot athictio spiritus; »
Eccl. I, 16, 17.
110. L'OTKABI: Al. rOTIKSI; essendo sa-
lito alla suprema diguità, non potea più
sperar di salire oltre nel mondo.
111. DI QUESTA: della vita eterna.
112. ruNTO: che fatto fui Roman Pa-
store. - MiskiA: infelice, perchè priva
della vera pace. - L'ALTITA : divisa.
[GIRONE QUINTO]
Puro. xix. 113-126 [PENA DEGLI AVARI] 541
Da Dio anima fui, del tutto avara:
Or, come vedi, qui ne son punita.
115 Quel ch’avarizia fa qui si dichiara
In purgazion dell’anime converse,
E nulla pena il monte ha più amara,
118 Si come l'occhio nostro non s' aderse
In alto, fisso alle cose terrene,
Così giustizia qui a terra il morse:
121 Come avarizia spense a ciascun bene
Lo nostro amore, onde operar perdési,
Così giustizia qui stretti ne tiene,
124 Ne’ piedi e nelle man’ legati e presi;
E quanto fia piacer del giusto Sire,
Tanto staremo immobili e distesi. »
V. 115-126. Regione della pena de-
gl avert. Adriano risponde alla se-
conda domanda di Dante, dichiarando la
ragione della pena inflitta alle anime pur-
ganti del quinto cerchio. Qui si manife-
stano nelle pene i tristi effetti dell'ava-
rizia soll'animo dell’ nomo. L'occhio
dell’ avaro non mira che alla torra, di-
adognando di lovarai al cielo, ondo è qui
costrotte di guardare al anolo ed Impe-
dite di mirare in alto, Fammo insensibili
ed immobili nd ogni bene, onde la di-
vinn giustizia ci tiene qui strettamonte
avvinti e legati nelle mani è nei piedi,
6 così immobili staremo finchè a Dio
piace.
116. 1% PURGAZION: nel mondo con che
le anime in questo cerchio ri purgano, -
CONYRRSE: conrertite dall'avarizia e ri
tornate a Dio per penitenza. Così | più.
Al: capovolte, col dosso in an. Ma « ol-
trechà questa idea verrebbe ripetuta
tosto qui sotto, le due parole purgazione
e converse starebbero l'una nell'altra; »
ir. Ri.
117. ENULLA: 6 nossun' altra di tutte
le pene del Pargatorin è più dolorosa 0s-
seniloci porsino negato di vedere il cielo,
intorpretano i più. Ma della viata del
elelo nono privati anche gli Invifliosi ed
irowl, Meglio Peres: « Ogni voro ponl-
tento 4 inclinato a eredoro il proprio
fallo più grave di ogni fallo altrui; è
però se gli fosse imposta tal pena che gli
porgesse viva e continua ricordanta di
quello, egli dovrebbe gindicar siffatta
peva più nmara di ogni altra. La pona
poi del quinto cerchio sembra più delle
altre nccomodata a dar di continno al-
l'anima le atroci pontore della memoria:
poichè mentre nogli altri cerchi il dolo-
roso andare o sedere rappresenta più o
meno gli atti della virth contraria al vi-
zio antico, qui invece in doloroso aderire
alla terra col dorao rivolto al cielo rende
imaging dello atoaso antien vizio nella
suna parto più rea e sconoscente. »
118. KON 8’ ADERSK: non si innalzò
a Tio,
120, minsR: abbnasò, confisso; « Ille
graves ocolos languentiaqgue ora comanti
Mergit homo; » Stat. Theb. V, 602.
121. nkNK: vernce, non inflammandolo
eho per i beni falsi.
122, rernési: si pordd; cessò in noi
ogni bnona opera.
123. q1usTIzIA : divina. - BTRETTI : stret-
tamente avvinti e legati.
124, LEGATI: e to qui potas manum ha-
bere te sanam, cave ne avaritia contra-
hatnr;» &. Ambros, in Luce. 1, IV; cfr.
8, Matt, XXIT, 13. I Tim. VI, 9.
126. x QUANTO: 6 staromo qui immo-
bill e distesi tanto tempo, quanto piacerà
a Dio, che solo conoace il termine della
nostra espinzione, - Siem: off. Inf.
XXTX, 66, Purg. XV, 112. Par. XIII,
hl; XXIX, 2R.
V. 127-141. Umiltà papale, All'udiro
che quogli con cul parla fu socceasore di
S. Piotro (v. 99) Dante si è inginoochiato
per riverenza delle somme chiavi (cfr.
Inf. XTX, 101). Adriano se ne accorge è
glieno chiede il motivo, udito il quale
542 [GIRONE quinto] Pure. xix. 127-142
[UMILTÀ PAPALE]
127 Io m’era inginocchiato, e volea dire,
Ma com’ io cominciai, ed ei s’ accorse,
Solo ascoltando, del mio riverire:
130 « (Qual cagion, » disse, « in giù così ti torse? »
Ed io a lui: « Per vostra dignitate
Mia coscienza dritto mi rimorse. »
138 « Drizza le gambe, e lèvati su, frate, »
Rispose; « non errar, conservo sono
Teco e con gli altri ad una potestate,
120 Se mai quel santo evangelico suono,
Che dice * Neque nubent ,, intendesti,
Ben puoi veder perch’ io cosi ragiono.
139 Vattene omai; non vo'che più t’arresti,
Ché la tua stanza mio pianger disagia,
Col qual maturo ciò che tu dicesti,
142 Nepote ho io di là c' ha nome Alagia,
esorta Dante na levarsi, chiamandosi suo
conservo ed aggiungendo che nel mon-
do di lA non vi sono papi. Ciò dotto lo
licenzia.
127. DIRE: parlare.
129. BOLO ASCOLTANDO: solo per udire
la mia voce più presso di sò sonza po-
termi vodere, si accurso che io mi ora
inginocchiato.
180. TI TORSK: ti piegò; per qual mo-
tivo ti sei inginocchiato?
182. DRITTO : la mia coscienza mi ri-
morse dello star dritto dinanzi a voi, a
motivo della vostradignita. I più loggono
DITTA e spiegano: la mia rotta cusciun-
xa. Bello quel vantare la rettitudine della
propria coscienza dopo aver percorso il
cerchio dove si punisce la superbia! Cfr.
Com. Lips. II, 354. Moons, Crit., 394
© 80g.
133. FRATE: fratello. Nel mondo di là
anche un papa non chiama più figli i fe-
deli, che tutti sono figli del Padre ce-
leste. Le parole che Daute pone in bocca
ad Adriano sono una parafrasi di quol-
le dette dall'Angelo a San Giovanni,
Apocal. XIX, 10: « Vide ne foceris: con-
servus tuum sum et fratrum tuoram
habentium testimonium Jesu: Deum
adora. >»
134. ERRAR: rendendomi onori che qui
non hanno più luogo.
136. suono: quelle sante parole del
Vangelo.
P_i
137. NEQUE NUDEXT: parole dette da
Cristo ai Farisei: <In resurrectione enim
noque nubont noquo nubontur, sed sunt
sicut angeli Del in ciulo ;» S. Afat. XXII,
80 (cfr. 8. Mare. XII, 25. S. Luca XX,
35). Dunque nel mondo di là il papa non
6 più lo sposo della Chiesa, come si chia-
mava in questo mondo; cfr. Inf. XIX,
56 e neg. Purg. XXIV, 22.
140. SPANZA: il tuo star qui impedisce
il mio piangere, col quale compio quella
purificazione che è necessaria per tor-
nare a Dio; cfr. v. 91 e seg.
V. 142-145. Alayia de Fieschi. Su
quanto Dante avova detto, v. 95, 96,
Adriano osserva che nel mondo de' vi-
venti non gli è rimasta se non una ne-
pote virtuosa, Alagia. Fu costei figlia
di Niccolò di Tedisio di Ugone de’ Fie-
schi e sposa di Moroello Malaspina mar-
chese di Giovagallo, al quale partorì tre
figli: Manfredi, Luchino e Fiesca. Cfr.
Encicl., 50. « Ebbe nome la gran donna
di gran valore ot di gran bontà; et l'Aut-
tore, che stette più tempo in Lunigiana
con questo Moroello de’ Malaspini, co-
nobbe questa donna, et vidde che con-
tinnamente faceva gran limosine, et fa-
cea dire messo et orazioni divotamente
per questo suo zio; » An. Fior. « Mul-
tum complacuit Danti; » Benv. « Non
pare lodata se non perchè risalti mag-
giore il vituporio della sua Famiglia ; »
Fosc,
[GIRONE QUINTO]
Pura. x1x. 143-145 - xx. 1-3
[cAMMINO] 548
Buona da sé, pur che la nostra casa
Non faccia lei per esemplo malvagia;
145 E questa sola di là m' è rimasa. »
143. na 8£: por propria indole, - CARA:
dei Meschi.
144, ree RSEMPLO: coll'asempio. - MAL-
VAGIA : « idest, Inbricam, et impudicam.
Fé vide quod iste ancerdos loquitur ho-
neste et cante: dicit enim quod neptis
est bona, nisi imitetur exemplum alia-
rum de domo son. Per hoc enim dat
intelligi caute, quod mulieres illorum de
Flisco fnorunt nobiles meretrices; qua-
lis, si fama non mentitur, fui oxor Petri
do Rnasis do Parma, strennissimi militia,
Quid dicam de Isabella uxore domini Lu-
chini, sco, » Bene,
145. BOLA: «che preghi per me: im-
però che niuno altro mio parente prega
por me; è se por prega non è esaudito ;
imperò che Iddio non esandisco | pre-
ghi de li inginati, et elli sono tutti rel,
in fnor che questa; » Buti. Cfr. Purg.
IV, 185. - pi LÀ: nel mondo; Al. m'E
DI LÀ RIMASA.
CANTO VENTESIMO
GIRONE QUINTO: AVARIZIA E PRODIGALITÀ
ESEMPI DI POVERTÀ E DI LIBERALITÀ, UGO CAPETO
I CAPETINGI, ESEMPI DI TURPE AVARIZIA
Il, MONTE SI SCUOTE PER LA LIBERAZIONE DI UN'ANIMA
Contra miglior voler voler mal pugna;
Onde contra il piacer mio, per piacerli,
Trassi dell’acqua non sazia la spugna.
V. 1-15, Cammino per il quinto
cerchio. Congedato da papa Adriano,
Dante continna con Virgilio ijl cammino
per quel girone. L'aspetto delle animo
parganti lo muove ad imprecare il ma-
Innno all'antica lupa ed a sospirare la
rennta di colni cho « la caccerà per ogni
villa, fin che l'avrà rimessa nell'infor-
no; Inf. I, 100 © seg.
1. MIGLIOR voLER: di Adriano, che non
volevainterrompere ulteriormente la sua
penitenza. - vorra: di Dante, che bra-
mavadi discorrere più a lungo con Adria-
no. Un volere mal combatte contro on
volere migliore; onde io, benchè mal vo-
lentiori, mì tacqui per far piacore ad
Adrinnoche m'avea dettodi amlarmene,
Purg. XIX, 139 6 seg.
2. PIACERLI: ad Adriano; ofr. Purg.
XIX, 159.
3. TASSI: tacquni, oontuttochs non an-
cora pionamente soddisfatto, « Fn qui si-
militndine, ciod che la volontà son ern
como tina apugna e che li desideri, ch'elli
aven di sapere altre cose da quello spi-
rito, rimaseno non sazi, come rimane la
spugna quando si cava dall'acqua, inanti
che sia tutta piena; » Buti,
544 [GIRONE QUINTO]
Pura, Xx, 4-21
[ES. DI POVERTÀ]
4 Mossimi; e il duca mio si mosse per li
Luoghi spediti pur lungo la roccia,
Come si va per muro stretto ai merli;
7 Ché la gente, che fonde a goccia a goccia
Per gli occhi il mal che tutto il mondo occùpa,
Dall'altra parte in fuor troppo s’ approccia.
10 Maledetta sie tu, antica lupa,
Che più di tutte l'altre bestie hai preda,
Per la tua fame senza fine cupa!
18 O ciel, nel cui girar par che si creda
Le condizion’ di quaggiù trasmutarsi,
Quando verrà per cui questa disceda ?
10 Noi andavam co’ passi lenti e scarsi,
Ed io attento all’ombre ch'io sentia
Pietosamente piangere e lagnarsi;
19 E per ventura udì’: « Dolce Maria, »
Dinanzi a noi chiamar così nel pianto,
Come fa donna che in partorir sia;
6. SPEDITI: non impediti dalle anime
purganti disteso a terra.- PUR: solamen-
te, non rimavendovi di vuoto che uno
stretto viuzzo rasente il monte.- ROCCIA:
parete del monte.
6. STRKTTO : rasente; como si va per la
merlatura di un muro. - MERLI: « dal lat.
moerulus, diminut, di moerus (murus) mu-
ricciuolo. E muriccinoli erano infatti i
merli, di mezzo ai quali i difensori sca-
gliavano dardi coutro gli assalitori; »
L. Vent.
7. FONDK: sparge; piange |’ avarizia.
Le anime purganti giacenti al suolo si
avvicinavano troppo all'orlo esterivre,
onde i Poeti non vi potevano camminare.
8. MAL: avarizia che ha accesi tutti i
cuori; cfr. Inf. VI, 74 e Beg.
10. ANTICA: cfr. Inf. I, 111. - Luva:
cfr. Inf. I, 49 © s0g.; 97 e sog.
18. Pau: si credeva che la ragione dei
mutamenti dello cose terrestri fossero i
rivolgimenti dei cieli, opinione non ac-
cettata da Dante che in parte; cfr. Purg.
XVI, 67 e seg. <« Della generazione su-
stanziale tutti li filosoli concordano che
li cieli sono cagione; » Cunv. II, 14.
15. QUANDO VEKRA: confronta In, I,
101-111.
V. 16-83. Esempi di povertà e di li-
beralità, Camminando, Dante ode quello
anime, o piuttosto una di esse, ricordare
osempi delle virtù opposte all'avarizia:
Maria tanto povera; Fabrizio che dispre-
gia le ricchezze; San Niccolò di Mira che
dotò le tre donzelle. « Prostese e chiuse in
sè, queste anime propongono a sè mede-
sime i tipi da meditare, e nella medita-
zione cotanto s’ infiammano, che già veg-
gonueodono i personaggi meditati, e con
essi parlando, benedicono durante il gior-
no in dolci parole a’ buoni e nella notte
maledicono a’ rei. Così coli'aurora si viou
rinfrescando il dolce sentimento della
virtù, e col sorger dell'ombre cresce l’or-
rore al vizio; » Perez.
16. co’ L'A83I: Al. CON PASSI. — SCARSI 1
brevi; cfr. Purg. X, 13. « Per lo luogo
stretto non si potea ampliare nò spes-
segziare lo passo; » Buti.
21. IN PARTORIR: ne’ dolori del parto,
dolori compensati dalla speranza della
gioia ventura; <la donna, allorchè par-
torisce è iu tristizia, perchè è giunto Il
suo tempo; quando poi ha dato alla luce
il bambino, non si ricorda più dell'affan-
noamotivo dell'allegrezza : perchè è nato
al mondo un uomo; » 8. Giov. XVI, 2I.
La stessa similitudine della donna parto-
riente occorre ripetute volte nella Sacra
Scrittara; cfr. [sat XXVI, 17. Apocal.
XII, 2.
[GIRONE QUINTO]
Puro. xx. 22-36
[ES. DI POVERTÀ] 545
22 E seguitar: « Povera fosti tanto,
Quanto veder si può per quell’ ospizio,
Ove sponesti il tuo portato santo. »
25 Seguentemente intesi: « O buon Fabrizio,
Con povertà volesti anzi virtute,
Che gran ricchezza posseder con vizio. »
28 Queste parole m’ eran si piaciute,
Ch’io mi trassi oltre per aver contezza
Di quello spirto, onde parean venute.
TT Esso parlava ancor della larghezza
Che fece Niccolao alle pulcelle,
Per condurre ad onor lor giovinezza.
a4 «O anima che tanto ben favelle,
Dimmi chi fosti, » dissi, « o perché sola
Tu queste degne lode rinnovelle.
23. osrtzio: la stalla di Retleemme,
ofr. S. Lae, II, 7.
24. sPONESTI: deponesti il tuo annto
parto.
25. Fanmzio: Caio Fabrizio Lusci-
nio, generale romano, console l'anno 282
a. C., rifintò i doni dei Sanniti, ni quali
aren fatto accordare la pace. Doo anni
dopo essendo stato invinto a Pirro per
trattare sullo scambio de' prigionieri, ri-
così i presenti di questo re, che non potò
non ammirarne il disinteresse. Eletto
nuovamente console nel 278, Ia sun ge-
nerosità indusse Pirro a dar liberi totti
i prigionieri el abbandonare l' Italin.
Fatto connore nel 275 nencciò dal Senato
I. Cornelio Roflno a motivo del ano
Insso e della ana prodigalità. Morì così
povero, che lo si dovette seppelliro a
pubbliche spese. Le sno figlie ricevot-
tero la loro dote dallo Stato. Dante lo
ricorda ron lode anche altrove, Conv.
IV, 5. De Mon. II, 5, 10. Cfr. Fneiel.,
725 e sog. Polyb. 1,7. Val. Maz. I, 8, 6;
II, 7,15; IV, 4, 10. Plin. XXXIV, 6.
Plut, Pyrrh., 20, 24, 26. Plut, Sull., 1.
Gell, INI, 8; IV, 8.
26. VOLESTI: preferisti povertà con
virtà n gran ricchezza con vizio.
28, MACIUTR: perchè pregiavano la
povertà, mentre nel mondo si pregiano
le ricchezze.
32. Nicconao: vescovo di Mira nella
Licia, santo leggendario delle dune chiese,
greca 6 latina, che si dice vissuto sul fini-
re del terzo e sul principio del quarto
15. — Div, Comm., 3° ediz.
socolo, Dante allnde qui alla seguente
leggenda: « Cum ejus civis egena tres
filias jam nobiles in matrimonio colloca-
re non posset earumqne pudicitiam pro-
atitnore cogitaret, re cognita, Nicolana
nocte per fenesiram tantam pocunim in
rjus domnm injecit, qnantum nnina vir-
ginia doti satin esset; quod cnm itero et
tertio feciaset, trea illm virgines honestia
viris in matrimoninm date annt; » Prev.
Rom. ml 6 Docomb, - « Beatoa Nicolans
anrmm furtim in domom projiciena vitare
volnit humannm favorem; » Thom. Aq.
Sum. theol, 117, 107, 3. Cir. Fabrie., Bibl.
Gr. el. Harl. X, 208; XI, 202. Tillem,
Memoires, VI, 760, 765, 052.
V. 34-60, yo Capeto. Acocostatosi a
quell'anima che propono esempi ili po-
vertà e di larghesza, Dante le domanda
chi essa si fosse. - Sono Ugo Capeto, In
radice degli acellerati Capetingi. Dante
Rembra aver confuso qui Ugo il Grande,
doca di Francia, Borgogna ed Aquitania,
conte di Parigi « di Orleans, capostipite
dei Capotingi, morto nel 956 ed il costui
figlio Ugo Capeto, incoronato re di Fran-
cia a Reima il 3 luglio del 987, morto il
24 ottobre del 990, facendo dei due per-
sonaggi nn solo, come per ignoranza fe-
cero altri prima e dopo di Ini.
M4, nen: sostantivo, ofr. v. 121.
35. SOLA: veramente non era sola, ofr,
v. 118-123.
30. Lope: plar. di loda, Inf. II 102,
Gli esempi riferiti sono detti lodi, clod
atti degni di lode,
546
[GIRONE QUINTO]
Pura. xx. 37-51
[UGO cAPETO]
87 Non fia senza mercé la tua parola,
S’io ritorno a compiér lo cammin corto
Di quella vita che al termine vola. »
40 Ed egli: « Io’l ti dirò, non per conforto
Ch’io attenda di là, ma perché tanta
Grazia in te luce prima che sie morto,
4a Io fui radice della mala pianta,
Che Ja terra cristiana tutta aduggia
Si che buon frutto rado se ne schianta,
46 Ma, se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia
Potesser, tosto ne saria vendetta;
Ed io la cheggio a Lui che tutto giuggia.
49 Chiamato fui di JA Ugo Ciapetta:
Di me son nati i Filippi e i Luigi,
Per cui novellamente è Francia retta.
27. NON FIA: il ino parlar meco non
sarà senza mercedse, se io ritorno nel
mondo a compiere fl breve cammino
della vita terrestre, potendo procurarti
sullragi o proglioro do’ viventi, o pru-
gare to stesso per te.
40. NON PER CONFORTO : non già per-
chè io speri suffragi. Con ciò Dante vuole
probabilmente insinuare che la purifica-
zione di Ugo Capeto è prossochè com-
piuta (dupo oltre 300 anni!) onde non gli
occorrono sullrayi de' viventi, non aven-
done oramai più bisogno. Tutte le altre
interpretazioni non reggono; cfr. Com.
Lips. IT, 302.
41. TANTA: ina perchd vedo concessa a
te tanta grazia divina, quanta 6 quella di
andare ancor vivo per questi regni; cfr.
Purg. XIV, 79 © seg.
43. RADICE: capostipite. « Kt exiit ex
eis radix peccatrix;» J Macabei, I, 11. -
DIANTA: i Capotingi.
44. ADUGGIA: fa uggia, adombra; cfr.
Inf. XV, 2. Qui figurat. por fa ombra
malefica a tutta la terra cristiana. Nel
1300 i Capetingi regnavano in Francia,
a Napoli e nella Spagna, aduggiando
quasi tutta la terra latina.
45. SCHIANTA: di maniera che nella
terra cristiana si coglie di rado qualche
buon frutto, essendo essa adombrata da
cotal mala pianta.
46. Doacio: nomina le quattro princi-
pali città della Fiandra (Doagio = Douai,
Guanto = Gand, Lilla = Lille, Bruggia =
Bruges) per Ja Fiandra tutta, alludendo
alle guerre tra Filippo il Bello ed i Fiam-
minghi, 6 principalmente al modo infame
con che Filippo e Carlo di Valois suo fra-
tullo tradiruno nel 1299 il conte di Fian-
dra od i suoi figli (cfr. Vill. VINI, 32) ed
ulls battaglia di Coltrai (25 marzo 1302),
tanto micidiale e sventurata per i fran-
cesi, ofr. Vill. VIII, 550 aey.
48. cukGGIO: chiedo. Ed io chiedo que-
sta vendetta a Dio che tutto giudica. -
GIUGGIA : da giuygiare, provenz. jutjar,
frane. juger = giudicare; cfr. Nannucci,
Verbi, 148, nt. 2.
49. DI LÀ: nel mondo. - CIALETTA : coal
fu reso in ital. ii franc. Chapet; oggi si
usa Caputo.
50. 1 l‘iLirri: dal 1060 al 1316 regna-
rono in Francia quattro Filippi v cinque
Luigi discendenti di Ugo Capoto, come
si vede dal seguente specchiotto genea-
logico :
Ugo il Grande, duca di Francia, ecc. m. 956
Ugo Capeto, eletto re nel 987 ...... » 996
Roberto 1 (il Devoto, o 11 Savio).... » 1031
AFTIZO Licia » 1060
Filippo: t...... ciaociao » 1108
Luigi VI(Il Grossu)................ » 1137
Ligh Vil... wesscuoxewsay oo. » 1180
Filippo 11 (Augusto) detto il Conqu!-
BLALOFO:. i ces ees ea secces swede » 1223
Luigi VIII (il Leone).............. > 1226
Luigi IX (il Santo)................ » 1270
Filippo lil (l'Ardito).............. > 1285
Filippo IV (il Bello)............... » 1314
Luigi X (il Rissoso) ............... >» 1316
Filippo V (il Lungo)............... » 1322
61. NOVELLAMENTE: dopo spenta la di-
[GIRONE QUINTO]
Pure. xx. 52-61
[UGO CAPRTO] 547
52 Figliuol fui d'un beccaio di Parigi:
Quando li regi antichi venner meno
Tutti, fuor ch’ un renduto in panni bigi.
55 Trova' mi stretto nelle mani il freno
Del governo del regno, e tanta possa
Di nuovo acquisto, e sì d’amici pieno,
58 Ch'alla corona vedova promossa
La testa di mio figlio fu, dal quale
Cominciàr di costor le sacrate ossa.
61 Mentre che la gran dote provenzale
nastia dei Carolingi, Il Betti: « Novella-
mente, a’ nostri giorni » (f).
52. FICLIVOL Ful: Al. FIGLIO FU'IO.
Ugo Capeto discendeva dai potenti conti
di Parigi © duchi di Francia, Ma la leg-
genda lo disse discendente ora di Carlo
Magno, ora di Sant'Arnolfo duca di An-
strasin © poi vescovo di Meta nella Lo-
rena (m. 640) ol ora di un becenio (= mor-
canto di buoi) parigino, Dante si attenne
a quest’ oltima leggenila cho al suoi tempi
era in vogao chesi credeva generalmente
storica; ofr. Com. Lips. II, 305 6 sog.
fa. neo ANTICHI: (Caroling! - vaxmien
MERO): finirono sponti. Non ai dimenticht
che Dante confonde qui in un solo per-
sonaggio Ugo il Grande ed Ugo Capeto,
onde lo sue parole mal si ponno metter
d'accordo colla storin.
54. UN: morto senza prolo, Luigi V
detto il Neghittoso (987) non rimaneva
che an solo rampollo della dinastia Caro-
lingia, Carlo duea di Lorena, secondoge-
mito di Luigi IV, il quale, volendo con-
quistare il trono de’ auoi maggiori, fn
tradito e consegnato nello mani di Ugo
Capeto (080) cho lo gettò nella prigione,
dove morì nel 991, Ottone, figlio di Carlo,
morì nel 1005 senza prole; duo altri figli
di Carlo rifuginrono in Alemazoa dove
morirono nell'oscorità. Dante intende
qui di Carlo di Lorena, ma sbaglia di-
cendolo renduto in panni bigi, cioè fat-
tosi monaco, Probabilmente il Poeta con-
fuse l'nltimo dei Carolingi, Carlo «ll Lo-
rena, col ultine dei Morovingi, Childe-
rico 111, cho Infatti sì fuco monaco o mor)
nel chinstro, Per tutto ciò ofr. Com. Lips.
IL, 367 © nog. Il Metti pol si avvien che ri-
dotto in panni bigi voglia significare Ri-
flotto in povera condizione, in misero
stato.
55. trova'MI: eletto reggente, mi tro-
vai collo redini del governo in mano, ed
In tanta potenza per nuovi acquisti o per
quantità di amici, che al trono vacante
per la morte di Luigi V fu promosso mio
figlio, Ugo Capoto fece coronare re sno
figlio Roberto nel 088, l'anno dopo la
sun propria elezione.
59. DAL QUALE: da Roberto I, figlio
dit Ugo Capeto, incominciò la serie doi
ro Capetingi, le cul persone sono detto
sacrate ossa perchè | re di Francia si con-
sacravano con santa unzione ammini-
atrata dall'arcivescovo nella cattedrale
ili Itoima, Così i più (Beno., Muti, An,
Fior., Vent., l'ogo., Riag., Costa, Tom,,
ir, BR, Frat., Andr., Cam, Hennaa,,
Corn., Campi, Pol., Filal,, Witte, Bl, eco.).
Secondo altri sacrate vale in questo lno-
go caecrande (così Oft., Lomb., ooc.). Ma
i #ocrate per esecrande non si hanno
esompi, nè Dante volle certo dire che le
ossa di tutti i snecessori di Ugo Capeto,
compreso San Luigi, fossero escerande,
ciod maledotte, Cfr. Purg. IX, 130, Par.
XXIIT, 62.
V. 61-60. I Copetingi sino al 1300,
Continua Ugo Capeto parlando de' suni
discendenti, Sino alla morto di Luigi IX
ernno nomini «di poco valore, ma almeno
non facevano del male, Da Carlo d'Angiò
e Filippo l'Ardilo incominciò poi In serie
Hei tradimenti e delle rapine, avendo la
gran dute l'rovenzale tolto ai Capetingi
ogni rossore di mal fare e fattigli andaci
e afrontati.
AI, MENTRE: | infol discondonti non si
ilistinsero nd per buono nò por malvagio
nzioni per tutto il tempo che scorso da
Roberto I a Luigi 1X (m. 1270), prima
che Carlo d' Angid ottenesse la gran dote
Provenzale, cioè le ricchezzo 6 gli Stati
dt Raimondo Herlinghieri, conte di Pro-
venza suo suocero,
548 [GIRONE QUINTO]
Puro. xx. 62-71
[i CAPETINGI]
Al sangue mio non tolse la vergogna,
Poco valea, ma pur non facea male.
04 Li cominciò con forza e con menzogna
lan sun rapina; e posciù por ammenda
Ponti e Normandia prese e Guascogna.
67 Carlo venne in Italia; e per ammenda
Vittima fe’ di Corradino; 6 poi
Ripinse al ciel Tommaso, per ammenda.
70 Tempo vegg’ io, non molto dopo ancoi,
Che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
02, NON TOLSE: non lo rese avergoguato
nel mal operare.
Gi, LI: da questa dote. Con forza e con
menzogna Filippo ITT, l'Ardito, a' impa-
droni delle contee di Valois, Poitou, Al-
vernia 6 (nel 1284) del regno di Navarra;
con forza e con menzogna, rompendo la
data fede, Filippo IV, il Bello, tolse ad
Edoardo I re d'Inghilterra le sue posses-
sloni francosi 0 s'impadroni delle Fian-
dre meridionali; con forza e con menzogna
Carlo d'Angiò rap) il regno di Nupoli,cco.
65. VER AMMENDA: amarissima ironia:
per penitenza delle malvagità commesse,
commise malvagità ognor più malvagie.
Il ripetere che fa tre volte per ammenda
da all'ironia maggior furza e più fiera
eloquenza.
66. PoNTI: la contea del Ponthieu, ra-
pita con forza e con menzogna du Filippo
il Bello al re d’ Inghilterra. - Nonman-
pla: conquistata dla Filippo Augusto re
di Francia nel 1204; restituita all’ In-
ghilterra e ripresa più volte, fu annessa
definitivamente alla Francia nel 1450. -
GUASCOGNA: rapita più con menzogna
che con forza da Filippo il Bello ad
Edoardo I re d'Inghilterra.
67. Caro: d'Angiò, l'assassino di Cor-
radiao, venuto in Italia nel 1265 a ru-
barsi il regno di Napoli, ciò che gli venne
fatto grazie al tradimonto del conte di
Caserta e dei Pugliesi. Cfr. Jaf. XXVIII,
16. Purg. VII, 113. Murat. Script. VIII,
815 e seg.
68. CURRADINO: l'ultimo rampollo della
casa sveva, sconfitto a Tagliacozzo, cir.
Inf.XXVITII,17e8seg., tradito dai Fran-
gipani ed assassinato da Carlo d'Angiò
il 23 agosto 1258 a Napoli, giovanetto di
16 anni; cfr. Vill. VII, 23-29.
69. Tomxaso: S. Tommaso d'Aquino,
n. 1224, m. 1274. Fu creduto cho Carlo
ip.
d'Angiò lo facesse avvelenare; cfr. Vill.
IX, 218. Com. Lips, II, 372 è seg. Tolom-
meo, discepolo di §. Tommaso, racconta
(Murat. Seript. XI, 1168 è seg.): « Voca-
tus ad Concilium per Dominum Grego-
rium, ac recedena de Neapoli, ubi rege-
bat, et veniena in Campaniam, ibidem
graviter infirmatur, Et quia propo locum
illum nullus Conventus Ordinia Prmdi-
catorum babobatur, declinavit nd nunam
solonuem Abbatiam, quo dicitor Fussa-
nova, ot quio Ordinis orat Cisterciensia,
in qua sui consanguinei Domini de Ceo-
cano erant patroni; ibique sua gravata
est wgritudo. Unde cum multa devotione,
et mentis puritate, et corporis, qua sem-
per florait, et in Ordine viguit, quemque
og» probavi inter homines, quos umquam
novi, qui suam rcpeconfessionem audivi,
et cum ipso multo tempore conversatus
sum familiari ministerio, ao ipsius audi-
tor sul; ex bac luce translit ad Christum. »
V. 70-96. I Capetingi dopo il 1300.
Iu forma di vaticinio, Ugo Capeto con-
tinua a parlare de'suoi discendenti e
delle loro malvagità : di Carlo di Valois,
lo spergiuro infame, che tradisce Fi-
runze e poi va a guadaguarsi vergogna
in Sicilia, del Ciotto di Gerusalemme
(Par. XIX, 127), che vende per denari
la propria figlia; di Filippo il Bello, che
fa catturare Bonifazio VIII e dannare al
fuoco i Templari per rapirne le rio-
chezze. Invoca poi vendetta di tante scel-
leraggini.
70. ANCOI: oggl, oggidì; cfr. Purg.
XIII, 52; XXIII, 06. Mi si affaccia alla
mente un tempo, ven molto lontano da
quest'oggi, nel quale un altro Carlo si
muove fuori della Francia, per far me-
glio conoscere la sua maligna e perversa
natura, come pure quella dei suoi.
71. Carto: i) miserabile e diffamato
[GIRONE QUINTO]
Pure. xx. 72-86
[1 CAPETING!] 549
Per far conoscer meglio e sé e i suoi.
73 Senz’ arme n’ esce solo e con la lancia
Con la qual giostrò Giuda; e quella ponta
Si ch'a Fiorenza fa scoppiar la pancia.
70 Quindi non terra, ma peccato ed onta
Guadagnerà, per sé tanto più grave,
Quanto più lieve simil danno conta.
70 L'altro, che già uscì preso di nave,
Veggio vender sua figlia e patteggiarne,
Come fanno i corsar’ dell’altre schiave.
82 O avarizia, che puoi tu più farne,
Poi c'hai il sangue mio a te si tratto,
Che non si cura della propria carne?
85 Perché men paia il mal futuro e il fatto,
Veggio in Alagna entrar lo fiordaliso,
Senzaterra, fratello di Filippo il Dello,
n. 1274, vennto sotto il titolo di pacinro
nel 1901 n Firenze, dove al manifestò
solenno sporgiuro o fu antore dolla ro-
rina del Bianchi o di Dante; efr. Vill.
VIII, 43, 40, Andò quindi in Sicilia per
conquistarla, ma nel novembre del 1302
dovette ritornare in Francia onde « si
diase per motto: messer Carlo venno in
Toscana per paciaro, e lasciò il paese in
guerra; s andò In Cicilia per far guerra,
ereconpe vorgognosa pace; » Vill. VIII,
50, Morì a Nogent nel 1325. Suo figlio
Filippo VI fa incoronato re di Francia
nel 1828, e con lui incominciò il ramo
della dinastia dei Capetingi detto dei
Valois,
73. ALME: senza esercito, cioè «con più
conti e baroni, e da cinquecento cavalieri
franceschi in sua compagnia ; » Vill. VIII,
49. — LANCIA: l'arma dol tradimento è
della menzogna, aloperata laGinda Isca-
riot per tradire Cristo.
74. PONTA: nppunta in modo tale, che
fa scoppiare la pancia a Firenze, traen-
dono denari e sangne è cittailini, « Eo
tempore Florentia erat valde corpulenta,
plena civibus, inflata superbia. Et iste
Carolina acidit onm por ventrom, ita quod
fecit inde exiro Inteatina vitalia, acilicet
precipnos cives, de quoram numero fuit
iste princlarns poeta; » Benv.
76. Quinn: da questa sna spedizione in
Italia non si guadagnerà signoria di terre
edi paesi, ma soltanto peccato ed infamia
di spergiuro e traditore, gnadagno tanto
più dannoso per Ini, inqnanto egli, non
contandolo per nulla, non pensa a farne
mal ponitonzn.
70. L'ALTRO: Carlo LL re di Taglia
(Par. VI, 106; XIX, 127), figlio di Carlo
d'Anjon, n, 1243, m. 1309; tratto prigio-
niero dalla sua nave, combattendo nel
golfo di Napoli contro Ruggeri di Lanria,
nmmiraglio di Pietro ro d'Aragonn (gin-
gno 1281), rimase prigioniero in Sicilia
sino al 1288, Cfr, Vill. VII, 03, 190; VINI,
108, Purg. VII, 127. Vigo D.e la Sicil,, 39,
80. vENDER: «liode nel 1305 sua figlia
Beatrice ancor giovanissima in moglie ad
Azzo VIII marchese d'Este (Purg. V,
77), già vecchio, per denari che n' ebbe.
= TATTEGOIARNE: « dlod farne patto: fo
ne vollio tante miglinia di fiorini, a’ elli
la vuole; » Buti.
BL. DELL’ ALTRE: delle schiave non figlie
proprie ma altrni, mentre invece Carlo
Novello vende per denari la propria figlia.
82. CHE PUOo!: qual peggior governo
puoi tu ormai fare de' miei discendenti,
dopo averli persino trascinati a vendere
la propria prole? La risposta sta nei vv.
85 © sog.
83. ror c' Ai: Al. POSCIA C'HAI LO
MIO BANOUR,
BS, Pata: apparison ; alinchd men laide
appariscano tutte le mali azioni de' miei
dliscendenti, tanto le già fatte quanto
quelle da fare, essi ne faranno delle molto
più infami,
aa Areaya: oggi Anagni, città della
‘adi Bonifacio VIII; cfr.
DOO [GIRONE QUINTO]
Pure. xx, 87-96
(i CAPETIKG1]
E nel vicario suo Cristo esser catto.
88 Veggiolo un’altra volta esser deriso ;
Veggio rinnovellar l'aceto e il fele,
E tra vivi ladroni essere anciso.
91 Veggio il nuovo Pilato si crudele,
Che ciò nol sazia, ma, senza decreto,
Porta nel tempio le cupide vele.
dA O Signor mio, quando sarò io lieto
A veder la vendetta, che, nascosa,
Fa dolce l'ira tua nel tuo segreto?
Par. XXX, 148.- roRDALI8O: dal franc.
Jour de lia, il giglio, le insogne della Casa
di Francia; cfr. Purg. VII,106. Par. VI,
100, 111. Salle contese tra Filippo il Bello
e Bonifacio VIII alle quali il Poeta qui
allude cfr. Com. Lipa. 11, 376 è seg. Sal
notiasimo fatto di Anagni, dove Bonifa-
cio VIII fu imprigionato a di 7 settem-
bre 1803 da Nogareto e Sciarra Colonna
per ordine di Filippo il Bello, efr, Vill.
VIII, 03.
87. NEL VICARIO: nella persona di Bo-
nifacio VIIT, tutt'altro che santo (cfr.
Inf. XIX, 653 © seg.; XXVII, 70-111),
ma pure papa; cfr. S. Lue. X, 16. - CAT-
TO: catturato, fatto prigione.
88. VKGGIOLO: vedo Cristo nuovamente
deriso nel suo Vicario. « È giunto a lui
(Bonifacio VIII) Sciarra o gli altri suoi
nimici, con villane parole lo scherniro, e
arrostaron lui e la sua famiglia, che con
Jul orano rimasi; intra gli altri lo schernì
mossorGugliclno di Lunghoruto, che per
lo rodi Francia avova monato il trattato,
donde era preso o minacciullo, dicundo di
menarlo legato a Lione sopra Rodano, e
quivi in generale concilio il farebbe de-
porre e condannaro; » Vill. VIIT, 63.
00. vivi: Al. NUOVI; cfr. Moonk, Orit.,
895 e seg. - LADRONI: Gugliolmo di No-
gareto o Sciarra Colonna, i due capi del-
l'attentato contro Bonifacio VIII; vivi
perchè non morirono come i due ladroni
tra’ quali Cristo fu crocifisso. - AXCISO:
ucciso. < Per la ingiuria ricevuta gli sur-
so, giunt> in Roma, diversa malattia,
cho tutto si rodea come rabbioso, e in
questo stato passò di questa vita » (12 ot-
tobre 1303); Vill. VIII, 63.
91. NUOVO PILATO: Filippo il Bello,
che, como Pilato, dette Bunifacio VIII
nelle mani dei Colonna, suoi nomici mor-
tali; ofr. S. Luc. XXIII, 26.
i.
02, ciò: la persecuzione 6 morie di Bo-
nifacio VIII, - BKNZA DRCKWTO: sonen
aver prima chiarito giuridicamente se i
‘Templari fossero colpovoli o innocenti.
03, vorTa: sfoga la sua insaziabile ava-
rizia contro l'ordino dei Templari, sop-
presso por opera di Filippo il Bello nel
1312; cfr. Com. Lipe. II, 379 è seg. « E
per molti «i disse che (i Templari) farono
morti è distrutti a torto è a peccato, e por
ocenpare i loro beni.... lore di Francia
o' suoi figlinoli ebbono poi molte vergo-
gne e avversitadi, e per questo poccato,
© per quello della presura di papa Boni-
facio; » Vill. VIII, 92.
04. LIETO: « Letabitur iustas cum vi-
derit vindictani; » Salm. LVII, 11. «San-
cli do penis imploram gaudebunt, con-
sidorando in eis divinw justilix ordinem
et suam liberationem de qua gandebant
.... In viatore est laudabile si delectetar
do alioram penis in quantum habent
aliquid boni annexum;» Thom. Aq. Sun.
theol. 118, Suppl., 04, 3. Invoco il etti
vedo in questo parole un’ « orrenda be-
stemmia contro Dio. »
05. VENDETTA: punizione; la vendetta
di Dio è giustizia, sanziono dolla logge. -
NASCOSA: preordinata nel segreto dulla
tua volontà; « Vindicta sicut leo insidia-
bitur illi; » Becles. XXVII, 81.
96. FA DOLCK: la tua ira si addolcisce
per la vendetta che sai nel tuo segreta
doverne seguire. L'uomo desideroso di
vendetta, non-essendo certo di vederla,
sfoga molte volteintempestivamente l'ira
sua; Dio invece, sapendo che il peccatore
non può sfuggire alla sua vendetta, è li-
bero dalle umano passioni ed aspetta
tranquillamente il suo tempo. —
V. 97-123. Msempi di avarizia pu-
sita. Tn questo cerchio le anime gridano
di giorno esempi d'amore e di carità; di
{GIRONE Quinto]
Puro. xx. 97-113 (Es. DI AVARIZIA] 551
07 Ciò ch'io dicea di quell’ unica sposa
Dello Spirito Santo, e che ti fece
Verso me volger per alcuna chiosa,
100 Tanto è risposta a tutte nostre prece,
Quanto il di dura; ma, quand’ e’ s’ annotta,
Contrario suon prendemo in quella vece.
103 Noi ripetiam Pigmalione allotta,
Cui traditore e ladro e patricida
Fece la voglia sua dell’oro ghiotta;
106 E la miseria dell’avaro Mida,
Che seguì alla sua domanda ingorda,
Per la qual sempre convien che si rida.
109 Del folle Acam ciascun poi si ricorda,
Come furò le spoglie, si che l’ira
Di Giosuè qui par ch’ ancor lo morda.
112 Indi accusiam col marito Safira,
Lodiamo i calci ch' ebbe Eliodoro,
notte csompi d'avarizia. Arrivativi la
mattina edovendo continnare il loro viag-
gio, i doe Poeti non ponno fermarvisi
tanto da ndire anche gli nitimi. Onde
Ugo Capeto racconta loro che nella notte
si ricordano esempi d'avarizia punita:
Mida, Acam, Anania e Saflra, Eliodoro,
Polinnestore e Crasso, agginngenilo che
gli spiriti parlano n voce alta o bassa n
seconda dell'intensità del sentimento che
gli scita n ricordare i diversi esempi, Gli
esempi sono sette, tante essenilo le figlie
fell'avarizia (cir. Thom. Ag. Sum. theol.
IP, 118, 8. Com. Lips. II, 885), cioè: tra-
ilimonto (Pigmaliono); frode(Acam);sper-
ginro(Annnin e Safirn); falsità (Kliodoro);
inquietudine (Mida); invmanità (Polinne
atore); violenza (Crasso).
97. picka: v. 19 eseg.-srosa: Maria,
Le lodi degli esempi di povertà o di esem-
plare larghezza non si gridano dalle ani-
me che durante il giorno.
00. PER ALCUNA: per averne qualche
egazione,
100, TANTO È: quei tali esempi virtuosi
negnitano quasi naturale risposta a tatto
le nostre preghiere finchè dura il giorno;
ma quando viene la notte gridiamo in-
rece esempi di avarizia punita, — nraro-
BTA: Al. nisrosTO.
102. CONTRAKIO SUON: confr. Purg.
XIII, 40.
103, Pinmatione: ro di Tiro il quale
necise Sicheo suo zio è marito della pro-
pria sorella Didone per appropriarsene
| tesori; eft. Justin. XVIII, 4-6. Virg.
len, 1, 240 0 nog. App., De Bel, pun, J.
- ALLOTTA : allora, vale a dire durante
la notte,
104, TRADITORE: tradi la sorella, tentò
di rubare i tesori del di lei marito ed no-
cise lo rio,
106. Mina: re di Frigia, la oni pro-
ghiera di trasformare in oro tntto ciò
cho toconsse fu esnandita, onde non aveva
più di che cibarsi ; cfr. Ovid. Metam, XI,
85-145, Hyygin. fab., 191, Servo, ad Aen.
XM, 142.
109. Acam: giudeo, rubò alonal oggetti
preziosi delle spoglie di Gerico, onde, s00-
perto il farto, fn lapidato con tutta la sua
famiglia nella valle di Acor; cfr. Giornè
VI, 17-19; VII, 1-26,- CIASCUN rot: Al
ANCORA BI RICORDA.
112, MARITO: Anania è Safira sua mo-
glie, che, per avarizia vollero ingannare
gli apostoli e caddero morti alle parole di
8. Pietro collo quali rimproverava loro
l'inganno ; cfr. Atti V, 1-11.
113, ELionoRO : invitato da Selenco re
di Siria a Gernsalemmo, volle derubarne
il tempio e ne fu impedito da nn cavallo
mistico che ne lo discaceld a furia di
calci; ofr. II Maccabei 111, 7-40,
552
[cironE QUINTO] = Pura. xx. 114-129
[mREMOTO]
Ed in infamia tutto il monte gira
116 Polinestor ch’ ancise Polidoro:
Ultimamente ci si grida: “ Crasso,
Dicci, ché il sai, di che sapore è |’ oro, ,,
118 Talor parla I’ an alto e l'altro basso,
Secondo l’affezion ch'a dir ci sprona,
Ora a maggiore, ed ora a minor passo;
121 Però al ben che il di ci si ragiona,
Dianzi non er’ io sol; ma qui da presso
Non alzava la voce altra persona, »
124 Noi eravam partiti già da esso,
E brigavam di soperchiar la strada
Tanto, quanto al poter n’ era permesso;
127 Quand'io senti’, come cosa che cada,
Tremar lo monte: onde mi prese un gelo,
Qual prender suol colui ch'a morte vada.
114. Gina: 4ricordato con infaminovnn=
que attorno il monte, cioò in tutto il gi-
rone.
115. POLINESTOR: re di Tracia e ge-
nero di Priamo, uccise proditoriamente
il giovinetto Polidoro suo cognato per
rubargliene le ricchezze, onde Ecuba,
moglie di Priamo e madre di Polidoro,
vendicò la morte dol figlio strappando
gli occhi a Polinnestore e poi ucciden-
dolo; cfr. Virg. Aen. ILI, 19-08. Ovid. Me-
tam. XIII, 429-575. Inf. XXX, 16 soy.
116. Crasso: Marco Licinio Crusso (n.
114, m. 63 a. C.), famoso per le sue rio-
chezze e per la sua avarizia, ucciso per
ordine di Surena, generalo di Orode re
dei Parti. Dicesi che il capo troncato di
Crasso fosse portato al re Orode, il quale
gli fece versare in bocca dell'oro lique-
fatto, dicendo: « l’osti assetato d’oro, be-
vine dunque; » cfr. Plut. Crass., 2, 10,
21, 25-31. Cic. De of. 130; 15, 18, 07. Ju-
stin. XLII, 4. Ces. Bel. civ. III, 31. Vel-
lej. II, 82. Plin. VI, 16, 18.
118. LALA : Al. PARLIAM. — ALTO: ad
alta voce. - bA8SU: a voce bassa; confr.
Purg. XXV, 128 e 6o0g.
119. cu' a pit: Al. cH’ ab In; cfr. Com.
Lips. 1I, 385 e seg. Non ai tratta qui per
altro di andare, chè quelle anime non si
muovono, cfr. Purg. XIX, 124, ma del
parlare, v. 118, onde il CADIR 0 CHADIRK
dei codd. dovrà leggersi cul’ aA DIR, cioò:
che a parlare.
P_
120. mavGIORE : ad alta voce. - MINOR:
a voce bassa.
121. AL BEN: a dire quel bene, a pro-
porre { buoni asempi di oneste povertà
e belle larghezze, dei quali qui si fa mon-
zione durante il giorno, non era io poco
fa solo, ma qui vicino nessuno degli altri
lo faceva ad alta voce.
V. 124-151. Il tremoto nel Purga-
torio. Mentre i due Poeti continuano il
loro viaggio, tutta quanta la montagna
trema fortemento, quindi risuona ovan
que il canto dell'inno angelico. I Poeti si
fermano un momento, pui vanno avanti
e Danty arido di cumosità di conoscere
la ragione di quel tremoto e di quel can-
to; cfr. Purg. XXI, 40 © seg.
124. NOI KRAVAM: un versututto simile
Inf. XXXII, 124.
126. HKIGAVAM: ci davamo briga, ci af-
faticavamo ii avanzarci nel cammino con
quanta più volocità ci era possibile pur
giuugoro tosto al varco.
126. AL rotku; la via rasente la roc-
cia essendo assui stretta ; cfr. v. 4 e seg.
127. SKNTÌ': quando seutii tremare è
scuotersi il inonte, come se rovinasse.
128. rreMAR: cfr. Purg. XXI, 40-72. Si
paragoni questo tremoto con quollo rao-
contato Inf. III, 130 e seg. Vedi pure
Virg. Aen. IV, 493; VI, 245 © seg. - MI
PRK6K: per lo spavento; confr. Purg.
IX, 42.
129. QUAL: simile a quel gelo dal quale
(Girone QUINTO]
Puro. xx. 130-147
[tnemoro] 558
130 Certo non si scotea sì forte Delo,
Pria che Latona in lei facesse il nido
A partorir li due occhi del cielo.
133 Poi cominciò da tutte parti un grido
Tal che il maestro invèr di mo si feo,
Dicendo : « Non dubbiar, mentr’ io ti guido. »
136 « Gloria in excelsis, tutti, Deo, »
Dicean, per quel ch’ io da’ vicin’ compresi,
Onde intender lo grido si potéo.
139 Noi ci stavamo immobili e sospesi,
i Come i pastor’ che prima udîr quel canto,
Fin che il tremar cessò, ed ei compiési ;
142 Noi ripigliammo nostro cammin santo,
Guardando l’ombre che giacean per terra,
Tornate già in su l'usato pianto.
145 Nulla ignoranza mai con tanta guerra
Mi fe’ disideroso di sapere,
Se la memoria mia in ciò non erra,
è colto chi è trascinato al supplizio, « Il-
lam Inter cmdes pallentem morte futu-
ma:» Virg. Aen. VITT, 700.
130. Devo: ona delle Isole Cielali, an-
ticamente celebre pel sno culto ad A pollo
e Diana. Secondola mitologia, Nettuno la
fece uscire dalle ncque affinchè Latona,
persegnitata da Giunone per gelosia, tro-
vasse finalmente un asilo dove poter met-
tere al mondo i anol due figli; è l'isola,
da prima galleggiante, fu resa atabilo è
permanentein ricompensa del ricetto dato
ai due numi ; cfr. Virg. Georg. 111,9. Aen,
III, 00 e seg. Ovid. Metam. VI, 189 © seg.
182. occut: Apollo e Diana; il Sole è ln
Luna; ofr. Par. X, 67; XXIX,1.
133. por: subito dopo il tremoto. - DA
TUTTR: per tutta la montagna del Pur-
gatorio.
134. TAL: così forte ed improvviso che
mi spaventò, onde Virgilio dovette rin-
corarmi.
136. GLonta: le anime cantano l'inno
eantato dagli angeli alla nascita di Cri-
sto: « Glorin n Dio nel più alto de’ cloli,
è pace in terra agli uomini di buon vo-
lero; » S. Lumen II, 14.
1837.bA' vicin' : dallennime vicino a mo,
Al. na vicix = dal vicin Inogo.
138, oxpe: dei quali si potò capire che
cosa gridassero.
139, BTAVAMO: Al, Cl RISTAMMO, - 80-
8r#si: dobbiosi, incerti, non conoscendo
il motivo di quel tremoto è di qnel can-
to. Al.: sorpresi della soavith di quel
canto,
140.1 rastor' : di Betleemmo, che ndi-
rono la prima volta quel canto e no rima-
sero spaventati; « timuerunt timore ma-
guo;» &. Luca IT, 0.
141. rb EI: AI, kb EL: ed il canto, es-
sendo terminato l'inno, cessò.
142. CAMMIN SANTO: la nostra via del
Pargatorio ch'è santa, secondo la let-
tera, e secondo l'allegoria, la nostra via
de la penitenza ch'è santa; » Buti.
144. TORNATE: ritornate nl pianto (cfr.
Purg, XIX, 7); XX, 18), interrotto un
istante per cantare il Gloria in ercelris.
- 1s BU: all’ naato pianto.
145, CON TANTA: se in ciò la memoria
min non erra, nessuna ignoranza mi face
mai deasileroso di sapere oon tanta guer-
ra(=nnsietà), quanta mi pareva di avere
nilora, pensando quale mai si fosse la ra-
giono del canto 6 dol tremoto. Alcuni
leggono COTANTA è spiegnno: Nessuna
ignoranza fece mal cotanta guerra n ina,
desideroso di anpore.
146. DISIDEROBO : Al. DESINERANDO.- DI
BAPERR: ll perchè di quel tremoto e di
quel grido universale delle anime.
dp i)
554 [aim. Quinto) Puro, xx. 148-151 - xxr. 1-7
[sTAZIO]
148 Quanta pare’ mi allor pensando avere;
Né per la fretta domandarn’ er’ oso,
Né per me li potea cosa vedere:
151 Così m'andava timido e pensoso.
148, QUANTA: quanta guerra mi pareva
di avere allora, nel ripensare al tremoto
ed al canto, A), leggono quasto.
149. FRKTTA : dell'andare, voluta da
Virgilio. « Risponde ad una tacita obie-
zione ch'altri potrebbe fare; cioè per-
chè non ne dimandava Virgillo! A che
risponde che per non impedire la solle-
citudine dell'andare, non ne dimanda-
va; » Buti - eR’ 060: osavo; lat. ausus
eram.
150. pee ME: da me stesso, senza essere
istruito da chi ne sapeva più di me.
151, TIMLDO; timoroso di domamilare è
travagliato da pensieri intorno alle coso
veduto sd udite, ed alla ragiono di case.
CANTO VENTESIMOPRIMO
GIRONE QUINTO: AVARIZIA E PRODIGALITA
——P PT
STAZIO, RAGIONE DEL TREMOTO, STAZIO E VIRGILIO
La sete natural che mai non sazia,
Se non con l’acqua onde la femminetta
Samaritana domandò la grazia,
4 Mi travagliava, e pungeami la fretta
Per la impacciata via retro al mio duca,
E condoleami alla giusta vendetta.
7 Ed ecco, si come ne scrive Luca
V. 1-21. Apparizione dell’onbra di
Stazio. Meutro i due Poeti procedono,
Dante ardento del desiderio di conoscere
la ragiono del tremoto e del giubilo
universale delle anime purganti, appare
un'ombru che li saluta cortosemento od
alla quale Virgilio rende il saluto confes-
sando di essere escluso dalla beatitudine
eterna, di che l'ombra si maraviglia for-
temunte.
1. 8ETK: il desidorio naturale di sape-
re; cfr. Conv. I, 1. Aristot. Met. I,1.-
NON SAZIA: ¢ noll'acquisto dolla scienza
cresce sempre lo desiderio di quella; »
Conv. 1V, 12.
2. ACQUA: la verità. ~ FLKMMINKTTA:
cfr. S. Giov. 1V, 7-26.
4. ML TRAVAGLIAVA: coll'ardore di es-
sa sete; confr. Zhom. Aq. Suan. theol.
15, 3, 8. - PUNGKAMI: Al. PUNGÉMI; mi
Rpronava. — LA FRKITA: confr. Purg.
XX, 149.
5. IMPACCIATA : ingombrata dalle molte
anime che giacevano per terra.
6. CONDOLKAMI: Al. CONDOLE' MI. -
VENDKTTA: punizione, pena; io compas-
sionava quelle anime per la pena, del
resto giusta, che esse soffrivano.
7. Luca: confronta S. Luc. XXIV, 13
© seg.
[GIRONE QUINTO]
Puro, xx. 8-24
[STAZIO] 555
Che Cristo apparve ai duo ch’ erano in via,
Già surto fuor della sepolcral buca,
10 Ci apparve un'ombra, e retro a noi venia
Dappié guardando la turba che giace;
Né ci addemmo di lei, si parlò pria,
13 Dicendo: « Frati miei, Dio vi dea pace. »
Noi ci volgemmo subito, e Virgilio
Rende’ gli il cenno ch'a ciò si conface.
16 Poi cominciò: « Nel beato concilio
Ti ponga in pace la verace corte,
Che me rilega nell’ eterno esilio. »
19 « Come! » diss’ egli, e parte andavam forte,
« Se voi siete ombre che Dio su non degni,
Chi v'ha per la sua scala tanto scòrte? »
22 E il dottor mio: « Se tu riguardi i segni
Che questi porta e che l’angel profila,
Ben vedrai che coi buon’ convien chi’ ei regni.
8. nuo: discepoli avvinti verso fl ca-
stello di Emmaus.
9. sunto: già lovato su dal sopoloro,
dopo la sua risurrezione.
10. omma: del poeta Stazio, v. DI.
11, DATrIÈ: ni suoi piedi, al suolo. — LA
TURBA: la moltitadine di anime di avari
e di prodighi distese por terra.
12, NÉ CI ADDEMMO: è non ci accor-
gemmo di lei, sicchè saan fu prima n
parlare a noi, mentre invece, nccorgen-
flocene, saremmo stati nol primi a par-
lare a lei. Al.: Non ci nocorgemmo di lei
sicchè cessa incominciò a parlare.
13, DRA: Dio vi dia pace; rammenta il
saluto di Cristo risuscitato: « ax vo-
bis; » 8. Giov, XX, 19, 26, ed il procetto
di Cristo ni suoi discepoli: « Intrantes in
domum salutato eam; ot si quidem fue-
rit domus digna, voniat pax vestra an-
per cam ;» S. Matt. X, 12, 19.
15, nexbi' ont: Al. temp Lut. — 1.
crxwo: il salito: E colla spirito tuo che
rispondo al: Pace con voi; così Lan., An,
Fior., Vell., Biag., Ces., Tom., oro. Al,:
gli rendetto nn gesto di rivoranza colla
persona. Ma nl Iho vi dea pace non si
conface un semplice inchino o sogno di
riverenzn.
16. rot: resogli il salnto, Virgilio ri-
cominciò n parlare, Voleva domandare
quale si fosse il motivo del terremoto o
del canto, ma non appena ebbe incomin-
ciato, fu interrotto da Stazio, sorpreso di
ciò cho ode, - neaTO: nel concilio dei
benti, cioè nel Paradiso; « In concilio
justoram; » Salm. I, 5. Confr. Parad,
XXVI, 120.
17. LA VERACR: la corto coleste, di
Dio, giudice infallibile.
18. kILRGA: confina nel limbo. = rsr
L10: dal cielo, patria dell'anima; confr.
Inf. XXIII, 120.
19. Ratt: Stazio interrompendo Virgi-
lio.- PARTE: intanto; cfr. Inf. XXIX,
10. = ANDAVAM: AL AKDAVA; cfr, Moo-
RR, Crit., 897 © seg.
20, NON DRGNI: non reputi degne di os-
sere ammesse lassù nolla verace corte.
21. scorTR: chi vi ha guidate sì gran
tratto an per lo monte dol Purgatorio
che è In scala della penitenza por salire
n Div! Cfr. Purg. I, 43; IX, 80.
V. 22-33. La missione di Virgilio.
Alla domanda di Stazio, Virgilio rispon-
de essere il suo compagno ancor vivo 6
del picciol numero degli eletti, e che va
a purificarsi sotto la scorta di esso Vir-
gilio, e ciò per volere divino.
22. 1 8KoNI: | 2° dosecritti dall'Angeolo
nella fronto di Dante, ofr. Murg. IX, 112,
dei quali orano già cancellati quattro è
non gliene rimanevano più che tre,
23, rrorina: disegna sulla fronte di
chi è ammesso nel voro Purgatorio,
24. urox1: cogli eletti nol Paradiso,
556 [GIRONE QUINTO) PURO. XX1. 25-37 [MISSIONE DI VIRGILIO)
25 Ma perchè lei che di e notte fila
Non gli avea tratta ancora la conocchia,
Che Cloto impone a ciascuno e compila,
28 L'anima sua, ch'è tua e min sirocchia,
Venendo su, non potea venir sola;
Però ch'al nostro modo non adocchia:
si Ond'io fui tratto fuor dell'ampia gola
D’ inferno, per mostrargli, e mostrerolli
Oltre, quanto il potrà menar mia scuola,
a4 Ma dinne, se tu sai, perché tai crolli
Dié dianzi il monte, e perché tutti ad una
Parver gridare infino ai suoi piè' molli? »
87 Si mi dié domandando per la cruna
« Posaldete paratum vobis regnam ; »
S. Matt, XXV, 34. « Si sustinemus, et
conregnavimus; » Jf Timot. IT, 12.
26. Lid: la Parca Lachesl, che fila lo
siamo della vita umana. Vuol dire: Per-
chè costal non nuvea ancor finito il corso
della sua vita, non essendo ancor morto.
Salle diverse lezioni di questo verso cfr.
WITTK, Proleg., p. xLI, MOOLKR, Orit., 309
© sog.
20. TRATTA : finito di filare, o trarre giù
il lino avvolto nella rocca. - CONOCCHIA :
dal lat. barb. colucula, forma diminutiva
di colus, Rocca, e vale qui la quantità
del lino, della canapa, o simili, che si
mette una volta sulla rocca per filare.
27.CLOTO: la più giovane delle tre Par-
che, quella che al nascere di ciascun uo-
no impune su la rocca di Luchosi quella
porzione di stame durante la filatura del
quale conviene che duri la vita dell'uo-
mo; cfr. Hesiod. theog., 217, 905. Ovid.
Met. VIII, 452 © seg. - COMLILA: «due
atti si fanno nel metter sopra della rocca
il pennacchio: il primo è di soprappor-
velo largamente, fucendolo dall'agyirata
rocca 8 poco a poco lambire, e questo ap-
pella Dante imporre; l’altro è di aggi-
rare intorno al pennacchio medesimo la
mano per unirlo e restringorlo, e questo
appella compilare; » Lomb.
28. BIROCCHIA: sorella (cfr. Purg. IV,
111), perchè uscita di muno allo stesso
creatore, figlinola del medesimo Dio;
cfr. Purg. XVI, 85 e seg.
20. 8U: per questo monte. - BOLA: sen-
za guida; confr. De Mon. 1II, 16. Conv.
IV, 4.
40. AL NOSTRO: non vede come vedono
le anime sciolte dal corpo, le quali cono-
acono il vero immediatamente, non easen-
do ancora liberata dal vincolo corporeo.
31. GOLA: del Limbo, il primo 6 perciò
il più ampio dei cerchi dell'inferno.
32. MOSTRERKOLLI: gli mostrerò il cam-
mino.
83. MIA SCUOLA: gli ammaestramenti
filosofici; cfr. De Mon. III, 16. Inf. I,
112-129. Purg. XVIII, 46 e seg.
V. 34-75. Ragione del tremoto e
del canto. Virgilio domanda per qual
motivo il monte teaté si scuotesse e le
anime cantassoro. Stazio risponde che
il tremoto non è per cagioni naturali;
ma cho quando un’anima purgante ha
scontata la sua pona o sale in Puradiso,
tutto il monte si commuove è tutte lo
altre anime parganti iutuonano I’ inno
angelico. Aggiunge di essere per l' ap-
punto quell’anima che or’ ora ha termi-
nata la sua penitenza e ai sentì oramai
disposta a salire in cielo.
34. DINNE: 80 lo sai, dimostraci il mo-
tivo perchò la montagna ai scosse furte-
mente e perchè tutte le anime sin giuso
ai molli piedi del monte parvero cantare
ad una voce ii Gloria tn exceleis Deo.
86. PAKVER: i due Poeti non aveano
naturalmente potuto distinguere se gri-
dussero tutte le anime, anche quelle dei
cerchi inferiori e superiori, ma così era
loro sembrato. - AI 3U01: sino ai piedi del
monte, baguati dalle onde dell’ Oceano.
87. MI DIE: facendo tale domanda, Vir-
gilio colse per l'appunto nel mio deside-
rio, di modo che la sola sporanza di es-
[GIRONE QUINTO]
Puro, xx. 38-51
[TREMOTO] 557
Del mio disio, che pur con la speranza
Si fece la mia sete men digiuna.
40 Quei cominciò: « Cosa non è che sanza
Ordine senta la religione
Della montagna, o che sia fuor d’ usanza.
43 Libero 6 qui da ogni alterazione;
Di quel che il ciel da sé in sé riceve
Esserci puote, e non d’altro, cagione.
46 Perché non pioggia, non grando, non neve,
Non rugiada, non brina più su cade,
Che la scaletta dei tre gradi breve.
49 Nuvole spesse non paion, né rade,
Né corruscar, né figlia di Taumante,
Che di là cangia sovente contrade,
sere istruito intorno a ciò ch'io bramava
ardentemente di sapere, incominciò ad
appagaro la mia brama.
40, cosa: rispondendo alla domanda di
Virgilio circa la cansa del tremoto e del
canto nniversale, Stazio incomincia col
dire che il tromoto non è straordinario,
nò fnori del snero regolamento del mon-
te, o ad oman contrario, v, 40-42. Qasor-
ta quindi che dalln porta in sn la mon-
tagna del Purgatorio è libera da tatte
quelle alterazioni nile quali va soggetta
la terra abitata dagli nomini, 6 che per-
tanto la cagione delle novità che vi acca-
dono non può essere cho di quel che il
ciel da sà in #2 riceve, v. 43-45. Questi
due concetti sono poi più ampiamente
sriloppati. Stazio espone perché il monte
è libero da ogni alterazione, v. 46-57, è
spiegn quindi quale sin la ragione delle
novità obe vi accendono, v. 58-60, Dopo
aver dichiarato quando tale ragione ab-
bla Inogo in generale, v. 61-66, 6 perchè
abbia arate luogo in questo momento,
v. 67-60, conchiade che appunto per que-
sto Dante © Virgilio udirono il tremoto
ed il canto.
41, LA RELIGIONE: il sacro regolnmento
del monte; «Iam tam relligio pavidos
terrebat agrestis Dira loci. inm tum sil-
tam saxzmmino tremebant;» Virg. Aen.,
VIII, 349 6 s0g.;» Rtheris alti relligio ;»
ibid, XII, 181. Nel Porgatorio non vi è
nulla di straordinario e fuori delle leggi
che lo governnno, .
43. Qui: questo Inogo è libero da ogni
pertarbazione degli elementi,
44. Dt QUEL: di cosa aleona che qui ac-
cala non pot mai essere la cansa ciò
che il cielo ricove d'altronde (como av-
viene più giù, dove il cielo riceve i vapori
che esalano dalla terra 6 cagionano tutte
le ane alterazioni), ma soltanto cosa che
sasso ciclo da sò medesimo in ad riceva,
quale è l'anima che ritorna al cielo dove
fu erenta ed ondo sì parti; confr. Purg.
XVI, 85. Conv, IV, 28. Com. Lips. II,
398 e ang.
45. D'ALTRO: così | più; Al. D'ALTRA;
cfr. Moone, Orit., 400 6 seg.
46, rerchné: essendo il luogo libero da
ogni alterazione, non vi può essere nè
pioggia nè grandine (grando, latinismo
dell'uso antico), nè neve, nè rugiada, nd
brina più in sn che sino alla porta del
Purgatorio; cfr. Purg. IX, 76 6 seg.
49. srease: dense, — NON PAION: non
appariscono, non si vedono,
50, conruscanr: lampeggiare, lampo. -
FIGT.IA : arcobaleno, Iride, figlia di Tan-
mante e di Elettra (Mesiod. theog., 265),
personificazione dell’ arcobaleno, era se-
condo la mitologia la messaggora degli
Dei, che sale e discende per l'arcobaleno ;
ofr. Ovid. Met, I, 270; XT, 685,632; XIV,
B5, 870, 838, Virg. Aen. IV, 603; V, 606;
1X, 2. Stat. Silo, 111,43, 81, eco, In seguito
Iride fn identifienta coll'arcobalono.
bl. pt LÀ: nel mondo. - CANGIA: per-
ché l'arcobaleno è sempre opposto al
sole, e si vedo pertanto ora di qua, ora
di JA: in ponente se il sole è in oriente;
in settentrione, se il sole è in mozzodì;
in levanto, se il solu è in ponente, eco,
558 [GIRONE QUINTO]
PURO. XXI, 52-64
[TREMOTO]
62 Secco vapor non surge più avante
Ch'al sommo dei tre gradi ch’ io parlai,
Ov'ha il vicario di Pietro le piante.
66 Troma forse più giù poco od assai;
Ma, per vento che in terra si nasconda,
Non so come, quassù non tremò mai.
58 Tremaci quando alcuna anima monda
Sentesi, sì che surga o che si mova
Per salir su, e tal grido seconda,
61 Della mondizia il sol voler fa prova,
Che, tutta libera a mutar convento,
L’alma sorprende, e di voler le giova.
Ga Prima vuol ben; ma non lascia il talento
62. varor: secondo Aristotolo(Metaph.
IT) il vapore sorgente dalla terra è ca-
gione di tutte le alterazioni del nostro
momnilo, è si diatingue in umido o secco:
dal primo è gonorata In pioggia, la weve,
la grandine, la rugiadia o la brina; dal
vupore secco 6 sottilo 6 gonvrato il vento,
dul secco o furto il tremoto, Quusti va-
pori non possono però sorgere oltro la
terza dolle regioni dell'aria, lo quali dal
cielo della luna al centro della terra sono
quattro: la regione calda, la fredda, la
fredda o calda, ed il contro della terra.
Osservando che | vapori non salgono più
in su che sino ai tre gradi della porta
del vero Purgatorio, il Poeta viene dun-
que a dire che la detta porta 6 sita por
l'appunto al confine superiure della tor-
za rogione dell'aria, ossia dolla regione
fredda. Lo stesso si ripete Purg.XXVIII,
97-102.
53. CH'IO LARLAI: dei quali io parlai;
Al. OND'IO l'ARLAI; Cfr. v. 48.
54.11 Vicanio: l'Angelo portiere; ofr.
Purg. IX, 103, 127.
55. vi GIÙ : nell’ Antipurgatorio, dove
può piovere, grandinare, ecc.
56. LKk VKNTO: si credeva che il tre-
moto derivasse da vapori sotterranei.
57. COMK: non so in qual modo vento
si nasconda in terra.
68. TREMACI: al disopra della porta del
vero Purgatorio il monte trema quaudo
un'anima, compiuta la sua purificazione,
sente libera volontà di miglior soglia.
59. SENTESI: Al. SI SENTK. - SULGA : Bi
levi in piò; «e questo rispetto alle anime
di quel girone le quali giaceno volte in giù,
P__
perchè il primo lor movimento, quando
si sentono purgate, si .è di levarsi su dal
giacere, O che m mora per salir ru, è
questo rispetto alle anime degli altri gi-
roni che non giaceno, quando similmente
sl sontun purggato; » Vell. Così puro Bene.,
Dan., ceco. Al.: Surya por saliro iu ciclo,
vo si mova por saliro da un cerchio infe-
riore ad un suporiore (Buti, Land., ecc.).
Ma allora il monte avrebbe dovuto tre-
mare ad ogni salita di Dante in un cer-
chio più alto. Al.: surga, se vicina alla
scala por cui si sale; si mova, se lontana
dalla scala (Lomb., Z'ogg., Costa, ecc.).
Ma surgere significa alzarsi su e non tro-
varsi vicino ad un dato luogo.
60. Kk TAL: ed il canto del Gloria in
excelsis accompagua il tremoto od il sur-
gore o muoversi dell’ ania purgata.
61. VOLKER: la volontà che di subito
invade l’anima di levarsi e muoversi per
salire al cielo è la sola prova della com-
piuta purificazione. Molti cold. hanno
If. 8OLVKRSI (0 SOLVER SI) FA PROVA: cfr.
Moonrk, Ori, 401 e sug.
62. cHE: il qual volere sorprende quel-
l'anima cho è libera di mutare stanza. -
TUTTA LIBERA : Al, TUTTO LIBKKO, cioò il
volero. Ma chi è che muta conoento, il
volere, o l'animaf- CONVENTO: consor-
zio «l’ anime.
63. GIOVA: il volere giova all'anima,
non essendo un volere sterile, ma con ef-
fetto. Al. DI VOLAK LK GIOVA; è il volere
che giova all'anima a volaref
64. PRIMA: chela sua puriticazione sia
compiuta. - vuol.: salire. - ]JL TALENTO:
la volontà relativa, o condizionata. « Ali-
[GIRONE QUINTO]
Puro. xxt. 65-75
(TREMOTO] 559
Che divina giustizia contra voglia,
Come fu al peccar, pone al tormento,
67 Ed io che son giaciuto a questa doglia
Cinquocento anni e più, pur mo’ sentii
Libera volontà di miglior soglia.
70 Però sentisti il tremoto, e li pii
Spiriti per lo monte render lode
A quel Signor, che tosto su gl’ invii. »
73 Così ne disse; e però ch’ ei si gode
Tanto del ber quant’ è grande la sete,
Non saprei dir quant’ ei mi fece prode.
quid dicitur voluntariom dupliciter, Uno
molo volontate absolota; et sio nulla
pinna est voluntaria, quia ex hoo est
ratio peom quod volontati contrariator.
Alio modo dicitur aliquid voluntarium
voluntate conditionata; sicut ustio eat
volontaria propter sanitatem consequen-
dam. Et sic aliqua piena potost ease vo-
luntaria dopliciter. Uno modo qnia per
pienam aliquod bonnm acqnirimus; et
sio ipsa voluntas assnmit pienam ali
quam, nt patet in satisfactione ; vol etiam
quia ille libonter eam accipit, et non vel-
“Jet eam non case, siont accidit in marty-
tio. Alio modo quia quamvis per pienam
mullam bonom nobis acerescat, tamen
sine piena nd bonam pervenire non pos-
sumuns, sient patet de morte naturali;
et tune volantas non nassnmit pa:nam,
et vellet ab ea Iiberari; sed cam sup-
portat, et quantum nd hoo volontaria
dicitor. Et sio piena Purgatorii est vo-
lontaria; » Thom. Aq. Sum. theol, III,
Suppl. Append. Il, 2. In questi versi sì
descrive voglia ili beatitudine combnat-
tuta da voglia di penn finchè non ri-
manga un dramma di debito n solrere.
Posta nella regione della verità, l'anima
rede che la beatitudine non pod neqni-
starsi se non col patire. Perciò ella ha
il talento dol patire, ella vole il patire
con quell'ardore con cui vuole bentito-
dine; solo quando sentesi perfettamente
rimonda non può più volerlo, non può
pur sentirlo, perchè è già beata in Co-
loi al quale si è perfettamente congiunta.
Cfr. Perez, Cerchi, 60.
65. cnr: il qual talento, la volontà con-
dizionata. — CONTRA VOGLIA: contro la
tolontà assolata, Al. CON TAI, VOOTJA:
«Come la divina giustizia, quando la vo-
lontà somplico vuole il vizio, gli pone
all'incontro la volontà respettiva, così
quando vuole innanzi al tempo uscir dal
Purgatorio, gli oppone la medesima vo-
lontà ; » Land.
67. nocuia : degli avari nel quinto
cerchio,
6g. cinquecerto: Stazio, morto verso
l'anno 90 dell'èra volgare, passò dodici
socoli nel Purgatorio, cinque e più nel
cerchio degli avari, quattro e più in quello
degli accidiosi, Purg. XX11, 92 eseg , il
rimanente nell’Antiporgatorio o nei tre
primi cerchi.
69. pi Morton: di salire nl cielo,
71. rer LO MONTE: donque non solo in
questo girone, cfr. Purg. XX, 193,
72. CHE TOSTO: i quali il Signore voglia
presto invinre al cielo.
73. NR DISSK: Al. GLI Maen. — BI GODE:
6 perchè del sapere acquistato l'uomo si
rallegra tanto maggiormente, qnanto più
intenso era il sno desiderio di sapore, non
saprei esprimere quanta soddisfazione
egli mi diede; cfr. Purg. XV, 42.
V. 76-102. Vita di Stazio, Dopo avero
ringraziato Stazio de' suoi insegnamenti,
Virgilio lo prega di manifestarsegli. E
Stazio risponde: Vissi nl tempo di Tito
imperatore romano (79-81 4.C.); fai poeta,
ma non cristiano. Per la mia fama di poe-
ta fui chiamato da Tolosa a Roma, dove
mi ebbi il lauro. Mi chiamai Stazio. Can-
tai di Tebe e di Achille, ma mordi prima
di aver terminato l'Achilleide. Le mie
ispirazioni pooticho le devo esclosiva-
mente all' Eneide, Sarei contento di stare
nel Porgatorio nn anno più che non deg-
gio per essere vissnto nel mondo quando
vi visse Virgilio.
Publio Papinio Stazio (n. circa 40, m.
560 [G@IRONE QUINTO]
Puro. xxr. 70-90
[VITA DI STAZIO]
76 E il savio duca; « Omai veggio la rete
Che qui vi piglia, e come si scalappia,
Per che ci trema e di che congaudete.
79 Ora chi fosti piacciati ch'io sappia,
E, perché tanti secoli giaciuto
Qui sei, nelle parole tue mi cappia. »
82 « Nel tempo che il buon Tito con |’ aiuto
Del sommo Rege vendicò le fora,
Ond’ usci il sangue per Giuda venduto,
85 Col nome che più dura e più onora
Era io di là, » rispose quello spirto,
« Famoso assai, ma non con fede ancora.
88 Tanto fu dolce mio vocale spirto,
Che, tolosano, a sè mi trasse Roma,
Dove mertai le tempie ornar di mirto.
circa 96 d. C.) figlio di un grammatico è
poeta omonimo, fu napoletano, come ri-
sulta da parecchi pussi delle sue Selve, Col
suvi contemporanei, in un secolo in cui
le Selve erano sconosciute, Dante lo con-
fase col retoro tolosano Lucio Stazio Ur-
nolo. ]l nostro Stazio fu uno dei principali
poeti «dell'età argentea della lingua la-
tina, nel medio evo tenuto in gran conto.
Detto le Selve, raccolta di 32 poesie divise
in cinque libri; la Tebatde, poema epico
jo dodici canti, el’ Achilleide, poema epico
rimasto incompiuto. Clr. Faunic., Bibl.
lat. ed. Ernest. 11, 329 e seg. BAEHR,
Roem. Litt. I‘, 419 429. Curcio, Studio
su P. Papinio Stazio, Catania, 1893.
76. LE RETE: la volontà relativa, 0 con-
dizionata.
71. VI FIGLIA: vi trattiene nel Purga-
torio. - SI SCALAPPIA: si apre il calappio,
si snoda; « Expandit retem pedibus weis,
convertit me retrorsum;» Lament. di
. Gerem. I, 13. « Extendam retem meam
super eum, et capietur in sagona mea; »
Ezech. X11, 13; cfr. ibid. XXXII, 8. Osea
VII, 12.
78. RR CHK: per qual motivo il monte
tromi, e di che voi vi congratulate can-
tando il Gloria in excelsis Deo.
81. MI CAPPIA : mi sia contenuto. Piac-
ciati che io sappia chi tu fosti nel mondo,
e che dalle tue parole io rilevi pure per
qual motivo sei giaciuto qui tanto tempo.
83. VENDICO: distruggendo Gorusalem-
me, l'anno 70 dell'èra volgare. - LK FORA :
i fori delle mani, dei piedi o del costato
di Cristo, per i quali uscì il sanguno ven-
finta da Gioda il traditore; cir. 8. Matt,
XXVI, 14, 15.
85. NOMK: di poeta, che più dura e
più onora nel mondo. «QO sacer, et ma-
gnus vatum labor, omnia fato Eripia, et
populis donas mortalibus mvam!» ZLu-
can. Phars. IX, 980.
87. FKDK: cristiana; io era ancora pa-
gano; cfr. Purg. XXII, 73.
88. VOCALE BI’IRTO: canto; « Curritar
ad vocem jucundam et carmen amice
Thebaidos, Istam fecit cam Statius ur-
bem Promisitqne diem: tanta dalcedine
captos A fficit ille anlmos; » Juvenal. Sat.
VII, 82 e seg. « Mibi.... Spiritum Graiw
tenuem Camonr Parca non mendax de-
dit; » Horat. Od. II, 16.
89. TOL.OSANO: il mio canto fu così dol-
ce ed il mio nome Ai poeta così famoso
che, essendo jo di Tolosa, fui chiamato a
Rama. Veramente Stazio fa Napolitano,
non Tolosano. Ma ai tempi di Dante,
lo Selve non essondo conosciute, si con-
fondeva goneralmente il poeta Publio
Papinio Stazio da Napoli col retore To-
losano Lucio Stazio Ursolo, errore che
anche Dante nou seppe evitaro. Cir. Maz-
zoni, Difesa I, 667. Ozanam, Purg.,
p. 351. Com. Lips. 11, 405 e seg.
90. MERTAI: meritai. La storia non co-
noxce l'incoronazione di Stazio come poe-
ta; nè qui si dice che fu incoronato, ma
soltanto che meritò di esserlo.
[GIRONE QUINTO]
PURO. XXI. 91-105
[IMBARAZZO] 561
ol Stazio la gente ancor di là mi noma:
Cantai di Tebe, e poi del grande Achille,
Ma caddi in via con la seconda soma.
DU Al mio ardor ffir seme le faville,
Che mi scaldar, della divina fiamma,
Onde sono allumati più di mille;
97 Dell’ Eneida dico, la qual mamma
Fummi, e fummi nutrice poetando:
Senz' essa non fermai peso di dramma,
100 E, per esser vivuto di là quando
Visse Virgilio, assentirei un sole
Più che non deggio al mio uscir di bando. »
103 Volser Virgilio a me queste parole
Con viso che, tacendo, dicea: « Taci, »
Ma non può tutto la virtù che vuole;
93. caApDI: morii mentre era occupato
dell'Achilicide.
DM. ARDOR: poetico. - see: principio
ed incitamento. Costr. Al mio ardore fu-
rono seme che mi scaldarono le faville
della divina finmma, lalla quale sono no-
cosi alla poesia più di mille; cfr. Stat,
Theb. XII, 810 0 sog.
96. PIÙ DI MILLER: ofr. Inf. I, 82 è seg.
07. MAMMA: madre; la quale suscitò
in mo l'amore della poesia e mi educò alla
bnona maniera del poetare.
00. NON FERMAI: senza |' Eneide di Vir-
gilio non foci cosa di peso aleuno, « Est
enim drachma parvulum pondoa, quo
utuntor modici: ot bone, qnoniam Sta-
tins in suo Thebaidos semper nititar imi-
tari Eneida Virgilii, non solum in numero
librornm, sed etiam in omnibus, ut non
immerito sit appellatos simia Virgili; »
Benv.,
100, quanno: Virgilio mor) nell'anno
19 a. C., circa 60 anni avanti la narcita
di Stazio.
101. UN SOLE: on giro di sole, un anno.
« Legimos, nonnullos «x Electia et San-
otis viris optasse se potius ernaos e libro
vito, quam nt salns ad fratres suoa non
perveniret, ocatasi quadam charitatia et
impotenti desiderio boni communis inci-
tatoa; > Frane. Bacon, De dignit, et augm.
Seient, VII, 1. Cfr. Com. Lipa. II, 407 è
seg. Le obbiezioni del BARTOLI (Lett. ital.
VI, II, 161) sono inattendibili, non po-
tendosi dall'iperbole contenuta in questi
36, — Div. Comm., 33 ediz.
versi in verun modo argomentare che
Dante non fosse ortodosso.
102. BANDO: dal Paradiso.
V. 108-129, Imborasso di Dante,
To ultime parole di Stazio indussero Vir-
gilio a rivolgersi a Dante con uno sguar-
ilo che, senza for parola, gli inginngeva
dj tacere è ili non faro il menomo cenno
per eni Stazio potesse indovinare che quel
Virgilio, da Ini tanto encomiato, fosse
appunto presente. Dante, che lo ha
compreso nssni bene, non può tuttavia
reprimere un sorriso, onde Stazio tace,
lo gnarda in viso è gli chiede il motivo
di quel sorriso, Dante è Imbarazzato, non
sapendo che rispondere, chè i sotterfugi
e le bogie non hanno luogo nel Porga-
torio, Ma Virgilio lo toglie d' imbarazzo,
permettendogli di dire il vero, Onde il
Poeta dice a Stazio che quel Virgilio è
per l'appunto la ann guida e che cansa
del suo sorriso furono le parole entusia-
stiche di Stazio,
103. vosgr: fecero volgere.
104, viso: ntto del volto. - Tac: per
modestin Virgilio non vnole essert ri-
conosciuto da Stazio nel momento in cul
questi ne parla con tanto encomio.
105. LA Vint: la volontà. « Appetitua,
alioa est intellectivns, alins senaitivus:
et sensitivna, alius est irascibilis, alina
concupiscibilis; et sic gandiom, quod
ostenditur per risum procedit ab appe-
titn concnpiscibili ; et planctus qui move-
tur per iniuriam procedit ab irascibili ;
quinto] Pura. xxr 106-124
[IMBARAZZO]
106 riso e pianto son tanto seguaci
mila passion da che ciascun si spicca,
C 16 men seguon voler nei più veraci.
109 To | ar sorrisi, come l’uom ch'ammicca;
Perché l'ombra si tacque, e riguardommi
Negli occhi, ove il sembiante più si ficca.
113 E: « Se tam
Disse, « pe:
Un lamp
116 Or son io ¢
L'una mi *
Ch'io dic
118 Dal mio maer
Mi disse, «
Quel ch' ei \
131 Ond' io: « Forse |
Antico spirto, |
assommi, »
la testeso
»strommi ? »
TA preso;
congiura
e sono inteso
ver paura, »
arla e digli
\tanta cura. »
ravigli,
io fei;
Ma più d’ammirazion vo’ che ti pigli.
124 Questi, che guida in alto gli occhi miei,
et ambo isti appetitus sunt de potentia
sensitiva, et alter sequitur alterum. Et
appetitus intellectivus qui est volantas,
et per quem regulatur appetitus sensi-
tivus, non semper est potons supra een-
sitivum, quia non semper irascibile ot
concupiscibile obedit ratiuni, sive ratio-
nali voluntati, qua est suum fundamen-
tum in intellectu; » Benv.
106. sKkGUAaCcI: il riso ed il pianto non
ubbidiscono alla volontà, ma tengon die-
tro prontamente a quella moditicazione
dell'animo, dalla quale ciascun d’essi pro-
cede: il riso alla letizia, il pianto al dolo-
re; cfr. Thom. Aq. Sum, theol. I1?, 17, 9.
107. 81 8ricca: deriva; il riso dall'alle-
gria, il pianto dalla tristezza.
108. MKN: riso c piauto palesano gli af-
fetti interni. Più l'uomo è verace, e meno
egli sa nascoudere e dissimulare i suoi
affetti, ondo tanto più difticilo gli riesco
il fare che riso e pianto ubbidiscaro
alla sua volontà. I meno veraci, nassime
se hanno già fatto l'abito di simulare,
ponno con più facilità reprimere l'uno
e l’altro.
109. Pur: ad onta del divieto di Vir-
gilio. - AMMICCA : fa cenno ad altri mo-
vendo gli occhi, fa l'occhiolino; lat.
nictare; cir. Diez, Wort. II?, 5.
110. PERCHÉ : a motivo del qual sorri-
dere, Stazio, entrato in sospetto di qual-
che mistero nascostovi sotto, tacque e
tissò gli sguardi suoi ne' miei occhi, ove
s'inipronta principalmente l'aspetto del-
l'animo; cfr. Conv. III, 8.
112. &: ek: Al. DKH, 8k; così possa tu
finir bene tanta fatica, quanta è la tua,
di porcorrero col mortal corpo i regni
degli spiriti. - ASSOMMI: compisca.
113. TEKsTK50: testd, or’ ora; cfr. Par.
XIX, 7. Anticamente auche in prosa.
114. UN LAMPEGGIAR: un sorriso si
breve come il corruscar del lampo.
115. OK SON: eccomi ora posto tra
l'uscio o il muro! D'una parte Virgilio
m'impone silenzio, dall'altra Stazio mi
scongiura di parlare.
117. S08PIRO: non sapendo a che risol-
vermi: parlare? tacoro? dire una bugia!
offondere Virgilio? offendero Stazio!
120. QUEL: il motivo del tuo sorridere.
- CON COTANTA: come appare dal suo
modo di scongiurarti, v. 112.
122. ANTICO : ritrovandosi già da dodici
secoli nel Purgatorio.
123. MA PIÙ: ma resterai ben più ma-
ravigliato che tu non sia, quando avrai
intesa la vera cagione del mio sorridere.
124. IN ALTO: su verso la cima del
[GIRONE QUINTO]
Puro. xxr. 125-136 [STAZIO E VIRG.] 563
È quel Virgilio, dal qual tu togliesti
Forza a cantar degli uomini e de’ Dei.
127 Se cagione altra al mio rider credesti,
Lasciala per non vera esser, e credi
Quelle parole che di lui dicesti. »
130 Già si chinava ad abbracciar li piedi
Al mio dottor; ma e’ gli disse: « Frate,
Non far, ché tu se’ ombra, ed ombra vedi. »
133 Ed ei surgendo: « Or puoi la quantitate
Comprender dell’amor ch’a te mi scalda,
Quando dismento nostra vanitate,
136 Trattando l'ombre come cosa salda. »
Pargatorio, Al.: al cielo; ma Dante sa-
peva che Virgilio non lo avrebbe gni-
dato che sino alla cima del Monte Sacro.
126. FORZA: Al. FORZE; FORTE; FORSI.
Cir. Com. Lipa. 11, 410 6 acg.
127. ALTRA: diversa da quella che
or’ ora ti ho detto, Se attribuisti diversa
cagione al mio ridere, lasciala come non
vera, © credimi che la vera cagione di
esso furono quelle parole che di Virgilio
dicesti, parlando a lui modesimo senza
snporlo.
128. PER NON VERA ESSER, RK CREDI:
Al. TER NON VERA, ED K8SKR CREDI, le-
zione più facile, ma troppo sprovvista di
autorità di codd, - x chen; sottintendi :
e eredi che la vera cagione del mio ridere
furono quelle parole, ecc.
V. 130-196, Stazio e Virgilio. Al-
l' ndire che Virgilio gli sta dinanzi, Sta-
zio compreso da grandissimo e riverente
affetto, a'inchina per abbracciarlo ove
il minor r'appiglia (cfr. Purg. VII, 15),
amando in lui non solo il maestro in
poesia, ma eziandio il suo convertitore
alla fede; cfr. Purg. XXII, 06 © seg.
Virgilio lo esorta di lasciare tali dimo-
atrazion! di affetto, ricordandogli che
ambedae son ombre, 6 perciò intangi-
bili; confr. Purg. II, 80 e seg. (invece
Sordello e Virgilio si abbracciano, Purg.
VI, 75; VII, 15). Stazio si alza, dicendo
a Virgilio: Vedi quanto grande è l'amo-
re che per te m'infiamma, chè io dimen-
tico peraino che siamo ombre vane ed
impalpabili, volendo trattare ombre co-
me corpi solidi,
131. MA R'OoLI pissR: Al. MA HOLT
1BBR.
132. NON FAR: « vide no foceris; » Apo-
cal, XIX, 10. - OMURA: « quasi dicat:
nterque nostrum est anima separata in-
tangibilis, insensibilia;» Bene.
133. RD ET: 6 Stazio, levandosi in piedi,
disse. - LA QUANTITATE: termine scola
stico =la grandezza, l'intensità.
134. MISCALDA : mi accende verso di te.
135. DISMENTO : dimentico, mi scordo,
Del verbo dirmentare (contrario di am-
mentare, cfr. Purg, XIV, 56) non si ha
altro osempio da quest'unico in fuori. -
VANITATE: cfr. Inf, VI, 86. Purg. II, 79.
—— rr
PECCATO E CONVERSIONE DI STAZ
PERSONAGGI ILLUSTRI NEL LIMBO
GIRONE SESTO: GOLA
(Patire fume e sete, avendo innanzi agli occhi cibo è
—..
ALBERO MISTICO, ESEMPI DI TEMPERA
Già era l'Angel retro a noi rimaso,
L'Angel che n'avea volti al sesto giro
Avendomi dal viso un colpo raso; —
E quei o’ hanno a giustizia lor disiro,
Detto n’avea beati, e le sue voci,
Con sitiunt, senz'altro, ciò fornîro;
V. 1-0, Angele dotta grivestizia. I 4. COLPO: uno del ae)
0 già valicato fl passo del per- porchè impressioni fatte
| i
(ofr, Purg. XIII, 42), dovo l'An-
Gstizia gli ha indirizzati al 4. & QUEI: è l'Angek
pr od ha cancellato {l quinto = « Beati quelli che hang
del sotto J dalla fronte di Dante, L'Am. giustizia. » Alla seta de
Kolo canta la Quarta delle beatitudini ba In cote della ginahiots
Pure. Xx11. 7-24 [PECCATO DI STAZIO) 565
(SALITA)
7 Ed io, più lieve che per l’altre foci,
M’ andava sì che senza alcun labore
Seguiva in su gli spiriti veloci.
10 Quando Virgilio comincid: « Amore,
Acceso da virtù, sempre altro accese,
Pur che la fiamma sua paresse fuore.
13 Onde dall’ ora che tra noi discese
Nel limbo dell’ inferno Giovenale,
Che la tua affezion mi fe’ palese,
16 Mia benvoglienza inverso te fu quale
Più strinse mai di non vista persona,
Si ch’or mi parran corte queste scale.
19 Ma dimmi, e come amico mi perdona
Se troppa sicurtà m’allarga il freno,
E come amico omai meco ragiona;
22 Come poté trovar dentro al tuo seno
Loco avarizia, tra cotanto senno
‘ Dì quanto, per tua cura, fosti pieno? »
voluto accennare che quest'angelo cantò
Beati qui sitiunt justitiam, omettendo
l'esuriunt.
7. Foci: seni del Purgatorio; confr.
Purg. XII, 112.
8. LABORR: lat. labor, lavoro, fatica;
voce dell’ aso antico.
V. 10-86. It peccato di Stazio. Da
Adriano V, Dante e Virgilio avevano
udito che nel quinto cerchio si purga
l' avarizia, Purg. XIX, 115; ma non
sanno ancora che vi si purga pure il
eno contrario, ciod la prodigalita, onde
Virgilio, considerando l’avarizia casere
visio di animi bassi e volgari (cfr. Conv.
I, 9), dimanda maravigliato a Stazio:
Come mai avarizia potò trovar luogo in
tet E Stazio sorridendo risponde: Ho
pianto pel vizio contrario; non fui ava-
ro, ma troppo prodigo.
11. DA VIRTÙ: Al. DI VIRTÙ; « Quello
amore ch'è impresso da virth ha tanto
potero, n' olli apparo di Ini nicun segno,
che gli conviene accondore nollo amato
amore Inverno quello che così prima
ama; » An. Fior. Confr. Inf. V, 103.
Conv. I, 12.
14. LIMBO DRLL'INFRRNO: pare cho lo
distingua qui dal limbo dei Padri, se-
guendo 8. Tommaso (Sum. theol. III, 52,
4. III Suppl., 69, 5); ma nell’ Inf. IV,
44-63 questa distinzione non al fa. - Gro-
VRNALR: Decimo Giunio Giovenale, il
celebre posta satiricn latino. nato verso
il 47, morto verso il 130 dell'èra volgare,
contemporanco di Stazio e suo ammira-
tore. Cfr. FrRANCKK, Examen erilicum
Dec. Junii Juvenalis vitae, Dorpat, 1827.
Boronkar, Intorno all'età di Giovenale,
Roma, 1847. Winat., Juvenal et see sa-
tires, Par. 1869. Dante lo ricorda pure
Conv. IV, 12 e 29. Mon. II, 8.
16 BRKVOGLIRNZA: benevolenza. Il mio
affetto per te fa dei maggiori che mai ei
sentissero per persona non veduta e non
conosciuta che per fama.
17. 8TRINSR: ofr. Inf. V, 128.
18. coRTE: per il p'acere di salire nella
tna compagnia.
20. M'ALLARGA: se la domanda che ti
faccio è soverchiamente libera e franca.
21. R COMKR: © rispondimi da amico,
non da ammiratore.
23. TRA COTANTO: ofr. Inf. IV, 103.
L'avarizia è troppo sorlida da potersi
accompagnaro colla napienza. Un uomo
ll gran senno ed avaro, come erronea-
mente Virgilio suppone che fosse Stazio,
sarebbo una contraddizione; quindi la
domanda.
24. cuRA: per lo studio tuo lungo e
virtuoso.
566 [SALITA]
Pure. rxu. 25-40
[PECCATO DI STAZIO]
25 Queste parole Stazio mover fenno
Un poco a riso pria; poscia rispose:
« Ogni tuo dir d'amor m’é caro cenno,
28 Veramente più volte appaion cose,
Che dànno a dubitar falsa matera,
Per le vere ragion’ che sono ascose.
al La tua domanda tuo creder m’avvera
Esser ch’ io fossi avaro in altra vita,
Forse per quella cerchia dov’ io era:
a Or sappi ch’ avarizia fu partita
Troppo da me, 6 questa dismisura
Migliaia di lunari hanuo punita.
97 E, se non fosse ch'io drizzai mia cura,
Quand’ io intesi 14 dove tu esclame,
Crucciato quasi all’ umana natura:
40 “ Per che non reggi tu, o sacra fame
26. uN roco: nel modo che si conviene
al savio. « Vir saplons vix tacito ride-
bit; » Eccles. XXI, 23. « Si convione al-
l'uomo, a dimostrar la sua anima nel-
I’ allegrezza moderata, moderatamento
ridere con un'oneata severità e con poco
movimento delle sue membra; » Conv.
III, 8.
27. CENNO: ogni tua parola mi è caro
segno dell'amore che mi porti.
28. VKRAMKNTR: spesse volte appari-
scono cose che ci fanuu senza ragione du-
bitare, perchè non ne conusciamole cause
ed il vero collegamento.
29. MATERA: materia, motivo. Matera,
come Purg. XVII, 37, anticamento an-
che in prosa; cfr. Nannucci, Nomi, p. 21
e Beg.
81. M'AVVERA: mi prova essere tuo
credere, tua opinione, che nel mondo io
fossi avaro.
83. FOKSE: la tua opinione che jo fossi
avaro deriva forse dall'avermi trovato
nel cerchio degli avari e dall'avere udito
che vi fui più di cinquo secoli ; cfr. Purg.
X XI, 67 © weg.
34. varrira: divisa, lontana da mo.
85. TROPLO : sino all'altro estremo, ciod
alla prodigalità. - DISMISURA : eccesso;
cfe. Inf. VII, 42. « Virtua est medium
vitiorum et utrinque reductam; » Horat.
Epist. I, 18, 9.
86. MIGLIAIA: più di 500 anni, Purg.
XXI, 67 eseg., dunque oltro sei mila mesi.
P__
V. 37-i. La conversione di Stasto,
Dypo aver dotto che poccò non per nva-
rizia, ma por lo suo contrario, civò per
prodigalità, Stazio racconta del suo pen-
timento, del quale si confessa debitore a
Virgilio. Ciò che lo fece rientrare in sò e
ravvedersi fu la sentenza: « Quid non
mortalia pectora cogis, auri sacra fa-
mes!» Virg. Aen. IIT, 56 oseg. Ciod: « A
che non spingi tu il cuore umauo, ese-
cranda fame dell'oro? » Leggendo queste
parole Stazio si accorse la prodigalità es-
sere un vizio e si pentì di questo come
dogli altri suoi peccati. Conchiude di-
cendo che nel quinto girone assieme col-
l'avarizia si purga eziandio la prodi-
galità.
37. DRIZZAI : feci dritta, di torta che
era, cioè: so non mi fossi convertito.
38. INTESI: posi mente a quel luogo,
dove tu, quasi sdegnato contro la cor-
ruzione dell’umana natura, esclami. —
KSCLAMK: esclami; desinenza antica. Al.
CHIAME.
40. rKR CHR: Al. A CIIR. Passo assai
controvorso, del quale si ponno distin-
gnero quattro divorze interpretazioni ;
14 «QO umana natura, porchè non osservi
tu la sacra fame dell'oro cioè il virtuoso
appetito delle ricchezze? Quasi a dire:
Non hai fame sacra d'oro e di ricchezze,
e però le gotti via. E nota ch'egli dice
sacra, ciò è che, sella s' abbandonasse
troppo in quella, egli non sarebbe altro
[SALITA]
Puro. xxi. 41-54 (CONVERS. DI B8TAZIO] 567
Dell’ oro, l'appetito de' mortali? ,,
Voltando sentirei le giostre grame.
43 Allor m’accorsi che troppo aprir l’ali
Potean le mani a spendere, e pentémi
Cosi di quel come degli altri mali.
40 Quanti risurgeran coi crini scemi,
Per ignoranza, che di questa pecca
Toglie il penter vivendo e negli estremi!
49 E sappi che la colpa, che rimbecca
Per dritta opposizione alcun peccato,
Con esso insieme qui suo verde secca,
52 Però, s’io son tra quella gente stato
Che piange l’avarizia per purgarmi,
Per lo contrario suo m' è incontrato. »
che avarizia; » Lan., An, Fior., ecc. Ma
sacra nel passo virgilinno vale erecranda,
non santa, 6 l'appetito delle riochezze non
è mai virtuoso, - 2% « Perchè non reggi,
o santo desiderio (sinchè non passi ne gli
estremi, chè altramente non è santo, anzi
4 maladetto è vizioso) dell'oro la volontà
degli nominit» Ituti. Secondo questa in-
terpretaziono Dante avrebbe dato alle
parole di Virgilio un senso che esse non
hanno. — 3% Dante non intese Virgilio,
ma e forse ingannato da quell'epiteto sa-
era, intess n travorso Lutte la anntenza,
prondendo il eaera fame per ana virtà,
di cui fosse offizio il regolare l'appetito
delle ricchezze; » Bulgarini, Ampère,
Vent., Torelli, ove. Dante non era certo
talmente ignorante. - 4% « Perchedistorte
vie, perche malvagità non rondncei o guidi
tu, o essoranda fame dell'oro, l' appetito
degli nominit » Rosa Morando, Biag.,
Cea., Tom., ecc. Questa interpretazione
marobbe tanto più acceltabile, inquanto
asconidlo Aristot. Fth,IV,1, tanto l'avaro
che il prodigo hanno esecranda fame del-
l'oro. Ma dove c'è np altro esempio della
voce italiana sacra usata nel senso di
esecranda, maledetta? Cfr. Com. Lips.
TI, 418 è nog.
42. VOLTANDO: pesi per forza di poppa,
nel qnarto cerchio infernnle; ofr. Inf.
VII, 27. - oiostne: nrti de' prodighi co-
gli nvari; ofr. Inf, VII, 35. - GRAMRL:
triste, doloroso,
43. avnin war: allargarsi; altrove
dà le all agli occhi, Purg. X, 25; qui
alle mani.
45. ni quit: della prodigalità, come
delle altre mie colpe,
46, sceMi: ofr. Inf. VIT, 66, 67.
47. VER IGNORANZA; perchè, stimando
In prodigalità non essere peccato, non
funno penitenza. Secondo gli scolastici
quell'ignoranza che si potrebbe vincere
mediantel'esercizinedil perfezionamento
della ragione, è colporole. « Quicumque
negligit habere vel facere id quod tenetur
haboro vel facere, peceat poccato omis-
sionia, Unde propter nezligentinm igno-
rantin corum qum alignia seiro tenetur
ost peccatum ; non autem impulatar ho-
mini ad negligontinm si nescint ca que
selro non potest. Unde hornm ignorantia
invincibilia dicitor, quia studio superari
non potost. Et proptor hoe talia ignoran-
tin, com non sit voluntaria, co quad non
est in potestato nostra enm repellere, non
eat pucentom. Ex quo patet qnod nulla
ignovantin invineibilia est peccntum ;
ignorantia autom vincibilia est poccatnm
mi alt sornm quin aliqnia aciro tenotur,
non antem ai «it onrom que quia acire non
tenotnr;» Thom. Ag. Sum. theol, 13, 70, 2.
49. kIMnECCA : è direttamente opposta.
bl. cow raso : nello sfesso luogo e mo-
do, dove è come è punito il peccato di-
rettamente opposto. - BUO VRRDR BROCCA :
al conanmi il troppo sno rigoglio; ala
osplata con la penitenza,
64. ree LO CONTRARIO: per la prodi
galità, vizio direttamente opposto al-
l'avarizia.
V. 65-01, Stazio cristiano occulto,
Uidito il racconto della conversione di
—- —-- — va wa was Way wesu LU ULIZLAUSLI
Poscia di retro al pescator le vele? »
64 Ed egli a lui: « Tu prima m’ inviasti
Verso Parnaso a ber nelle sue grotte
E poi, appresso Dio, m’alluminasti.
67 Facosti come quei che va di notte,
Stazio, Virgilio chiede: Come fosti goi- —baide I, dl.- TASTA;
dato alla fede cristiana? im lè dalla A giudicare dal tao
tua Tebaide risulta che, d stueri dettasti tu non erl ori
ancor pagano. E Stazio: Tu primo mi vi 60. Fé: a -
inviasti ino temento colle parole Inf. IV, 34 è sog. «St
tue. Visitai pol } cristiani, mi accertai L placore i» Bi
della loro santa vita, gli compassionai o Ul. sE così: a veri
sovvenni quaudo Domiziano li ui: Pehle bu uri aucora
tava, e prima di avere terminata la Te. sop (#0la),
baide ebbi battesimu. Ma per paura fui menti umani (candela
erlationo occulto e mi finsi pagano, la le tenebre del
qual tiepidezza dovetti scontare correndo ti facesti segu to della
per oltre quattrocento anni laggià nelgi- San Pietro!
roné degli accidiosi. Il battesimo cd il
cristianesimo di Stazio sono ignoti alla
storia e sembrano essere una son plive
finzione poetica di Dante,
56. cantASTI : nella Tebaide, - Lk cru-
DE ARMI: la goorra fratricida,
56. DOPPIA TUISTIZIA: do'dne figli di
Giocasta, Eteocle o Polluléo; ofr. Inf.
Sinaia di Oreste re i (orse;
I di te di Tobo, lie
di Lato, madre 6 poi moglio di Edina,
al quale partori Kteocle v Volinies, An-
tigono ol Ismeno.
57, CANTOR : Yingiite autore dolla Bu-
= dia [
denari dea stan © contrasto, cogli
[SALITA]
Puro. Xx. 68-84 [STAZIO CRISTIANO] 569
Che porta il lume retro e sé non giova,
Ma dopo sé fa le persone dotte,
70 Quando dicesti: ‘‘ Secol si rinnova;
Torna giustizia e primo tempo umano,
E progenie discende dal ciel nuova, ,,
73 Per te poeta fui, per te cristiano;
Ma perché veggi me’ ciò ch’ io disegno,
A colorare stenderò la mano.
76 Già era il mondo tutto quanto pregno
Della vera credenza, seminata
Per li messaggi dell’ eterno regno;
70 E la parola tua sopra toccata
Si consonava ai nuovi predicanti,
Ond’ io a visitarli presi nsata.
Vennermi poi parendo tanto santi,
Che, quando Domizian li perseguette,
Senza mio lagrimar non fir lor pianti;
più presso l'antico rimatore Paolo Zoppo
da Castello; « Sì come quel che porta la
lumiera La notte quando passa per la
via, Alluma assai più gente della spera
Che sà medesmo, che l'ha in balla; »
Rime ant. Pal., 1817,I, 129.
GR. x sf: Al, LF a 88.
69. poro sf: dietro sè, Usa qui dopo
a bella posta, perchè Virgilio illamind
i posteri. — DOTTR: scorte, istruite del
cammino.
70, piogsTI: nella quarta Egloga, v. 5-7:
Magnus ab integro arculorum nascitur ordo.
Jam rodit ot virgo, redeunt Saturnia regna ;
Jam nova progenies clo demiititur alto.
Con tutto Il medio evo Dante vide in que-
sta Egloga una profezia insciente di Uri-
sto e del cristianesimo, intelligenza cni
parecchie leggende servivano d'appog-
gio; cfr. Comparetti, Virg. nel medio evo
I, 128 è seg. Com, Lips. II, 422-423.
72. rrogreNnIR: Virgilio intende del fi-
glio di Asinio Pollione; Dante, segnendo
l'enngosi cristiana, del Vorbo divino in-
carnaln,
73, ren Te: a to vado debitore e della
mia arte poetica e della mia fede in Cristo.
74. DISEGNO: accenno, dico In gene-
rale, abbozzo in iscorcio,
75. A COLORARE: il disegno abbozzato
= parlerò più chiaramente.
76. rnroxo: ripieno; già la fede cri-
atiana era diffusa per tutto il mondo,
78. MessAGGI: gli Apostoli di Cristo,
messiggeri del rogno dei cieli,
70. LA PAROLA : il passo riferito dolla
quarta Egloga era conforme alle predi-
cazioni degli Apostoli ed Evangelisti e
degli altri discepoli di Cristo.
Bl. USATA: NRADEA.
82. vEXKKERMI: quanto più li praticai,
etanto più santa mi parea la vita dei nuo-
vi predicanti. Già i 88, Padri, come Gin-
atino Martire, Atenagora, Origene, ecc.,
addussero la santità di vita dei cristiani
in prova della divinità del cristianesimo.
Cfr. Just, Mart. Apol, I, 14. Athenag. leg.,
11. Minwe. Fel., o, 31, 37, 38. Orig. contr.
Cela, I, 26,
&%. Domizian: Tito Flavio Domiziano,
secondogenito di Vespasiano, succedette
nl fratello Tito nell'impero e regnò dal-
l'anno 81 sino al 06. Fa acensato dagli
antichi sorittori ecclesiastici di aver per-
seguitato fieramente | cristiani (confr.
EFuseb. Chron, 11, ad Olymp., 218. Fjuad.
Jliet. ecel. III, 18, 2. Tertull, Apot., 0, 6),
ileho storicamento è nssai esagernto ; cfr.
Avnet, Mist. des persécutiona, ooc., 1875,
Baun, Kirchengeschichte 1°, 436 6 seg.
84. won FOR: non rimasi indifferente
alle loro pene, ma secondai colle mio la-
grime i loro pianti, conforme il precetto
TT PRSGUONLIO 5
E questa tiepidezza il quarto cerchio
Cerchiar mi fe’ più ch'al quarto cente
94 Tu dunque, che levato hai il coperchio
Che m’ ascondeva quanto bene io dicc
Mentre che del salire avém soverchio
97 Dimmi doy’ è Terenzio nostro antico;
Cecilio, Plauto e Varro, se lo sai,
100
spostolico: « Flote com flentibug; » Rom.
XII, 15,
85. MENTE: tutto il rimanente del
tempo che io vissi ne! mondo.
87. TUTTE ALTRR: diaprozzai tatto le
Petra ntact opinioni religiose e filo-
sò ,
88. FIUMI: di Tebe, Iamono od Anopo,
Tebaide 1X.Vuol dire; Prima cho io com.
Pinsi la Tebaide, nolla quale dlescrivo l'ar-
ivo del Greci a Tebo,
00. PAURA : della persecuzione, - Chiu.
BO: occulto, e wOmy: mi fui.
03. CRRONIAN: ofr, Purg. XVIII, DI è
4 XXI, 08,
O4-114, Porsonaggi iMustri net
limbo. Dopo aver parlato di sò è della
sua converalone, Stazio chiode dove siano
alcuni Poot! latini, L Virgilio ri-
greci e coi per-
nazio nelle ane opero.
Dimmi se son dannati, ed in qual vico
« Costoro, e Persio, ed io, e altri assai, »
DT. TRRENZIO; Pabl
pesa comico latino (
a: a morto 4
più ampio notizie dal pe,
morali ofr. Com. Lips, |
TICO: così i più; AL aM
Crit,, 410 è Bog.
OH. Ckeiio: Stazio Coe
| latino, oa, l'ann
Ciomr., De opt. gen, a
VII, 4, 10. Houar,, a
rT Bl oneg, ~ Pha
cine
; poota dra
n. 234, m. 184 a, O, so
vanno oggid) venti coma
GEN, Plautinische Studie,
Vanno: o intende parla;
renzio Varrono Reatino
dito latino, n. 116, m. 270
oppure di Publio ‘Teronz).
flim naate Toate.
[SALITA]
Pura. xx1I. 101-113 [PERSONE iLLusT.]) 571
Rispose il duca mio, « siam con quel greco
Che le muse lattàr più ch’ altro mai,
103 Nel primo cinghio del carcere cieco.
Spesse fiate ragioniam del monte,
Che sempre ha le nutrici nostre seco.
106 Euripide v’ è nosco ed Antifonte,
Simonide, Agatone ed altri piùe
Greci, che già di lauro ornàr la fronte.
109 Quivi si veggion delle genti tue
Antigone, Deifile ed Argia,
Ed Ismene sì trista come fue.
112 Vedesi quella che mostrò Langia:
Evvi la figlia di Tiresia e Toti,
101. QUEL: Omero, l'allievo prediletto
delle Muse; cfr. Inf. IV, 80 a sog.
103, cinamio : cerchio ; ofr. Inf. XVITT,
7; XXIV, 73. - caRcEKE cieco: ofr. Inf.
X, 58 e seg. Anche fl limbo è detto car-
cere, I Pietro III, 19, como l'inferno,
Apocal. XX, 7.
104. monTK: Parnaso, v. 66.
105. cur sEMPRE MA: Al. c' mA 8sRM-
rar; Al. C'HA LE NUTRICI NOSTRE SEMIRK
BECO. - NUTRICI : le Mose, nutrici dei poe-
ti, che hanno loro dimora sal Parnaso.
106. Eumiripe: celebre poeta tragico
da Salamina, n. 480, m. 406 a. C.,
del quale si hanno diciannove tragedie. -
ANTIFOSTE: tracico greco, ucciso da Dio-
nisio il tiranno. Altri leggono Aracrroxn-
TE, celebre poeta lirico greco, m. verso il
478 a. C. in età di 85 anni.
107. Simonipe : celebre poetalirion gre-
oo, n.550, m. 469. C., del quale si hanno
diversi epigrammi è poesio liriche. - AGA-
TONE: poeta tragico greco da Atene, n.
448, m. ciren 401 a, C., delle cui opere
nulla è giunto a noi.
108. onwAu: furono poeti.
100, quivi: nel primo cinghio! o nel
carcere cieco? TUR: da te cantate nello
tne opere, quindi quasi tue creazioni, Si
osservi che nei versi cho seguono Virgi-
lio non intende menzionare cho perse-
naggi cantati da Stazio.
110. Axticonk: figlia di Edipo e di
Giocasta, accompagnò l'infelice padre
nell’ Attica, rimase prosso di lui sino alla
soa morte, quindi ritornò a Tobe, dove
Creonte la fece chindere e morire in una
caverna sotterranea, per aver olla dato
sepoltura al corpo del fratello Polinice. -
Deritr: figlia di Adrasto re degli Ar-
givi, moglie di Tideo (cfr. Inf. XXXII,
130) e madre di Diomede. - Ancla: so-
rella di Deifile e sposa di Polinice. Ad
essn apparteneva «lo sventurato ador-
namento, » Purg. XII, 61.
111. IsmrxR: figlia di Kdipo e di Gio-
casta, sorella di Antigone. - TRISTA: per
le gravi sventure che colsero lei e la ana
famiglin. Vide morire tntti i snoi con-
giunti ed il fidanzato Cirreo, è fu da
Creonte condannata a morte insieme con
Antigone.
112. QUELLA: Isifile, ofr. Inf. XVIII,
02, che mostrò ai sette eroi che guerreg-
giarono contro Tebe il fonte Langia pros-
so Nemea; ofr. Purg. XXVI, 04. è seg.
118. rvvi: nel carcere cieco, v. 103, +
LA FIGLIA: Manto, Inf. XX, 65. Altri,
riferendo evvi al primo cinghio, vogliono
che si parli qui di Dafne o di Istoriade,
altre figlio di Tiresia; ma di queste altre
figlio i Tiresia, Dante non sapeva certo
nulla, altrimenti non nvrebbo detto la
figlia senza più, e la sola Manto è men-
zionata ripetute volte da Stazio ne' suoi
poemi. Altri pol si avvisano che Dante si
dlimenticnsse di aver posto Manto non nel
limbo, ma nella bolgia degl' indovini. Di-
menticanza troppo strana | Cfr. per tutto
ciò Com, Lipa. II, 431 è seg. Dicono che
euvi non possa riferirsi che nl Limbo,
poichè Stazio doveva sapere che quei
perannaggi, morti pagani, non potevano
essoro altrove che nell'Inferno, senza
che glielo dicesse Virgilio. Ma Stazio ha
chiesto: Dimmi E SON DANNATI, 7. 00.
Girando il monte come far solemo
124 Così l’ usanza fu li nostra insegna,
E prendemmo la via con men sosp
Per l’ assentir di quell’anima degn
127 Elli givan dinanzi, ed io soletto
Diretro, ed ascoltava i lor sermoni
Ch’ a poetar mi davano intelletto,
Dunque?- Teri: dea marina, moglie di
Peleo 0 madre di Achille; ofr. Purg.1X,
DA è sog.
116. suore: sorelle. - Deinamla : figlia
di Licomede re di Sciro, amante di Achil-
le; cfr. Inf. XXVI, 62, Teti, Deidamla è
le sue sorelle sono personaggi cantati da
Stazio nell'Achilleide,
V.115-129. Arrivo al sesto girone.
Sono circa le ore 11 antimeridians. I tre
Poetl sono arrivati al sommo della scala
ssi trovano nel cerchio sesto. L'eape-
rienza ha insegnato a Virgilio che sa-
lendo su por la montagna del Purgatoriv
convien tenore sempre a dostra, o polchò
Blazio acconsente Lacendo, vanno tutti è
tro in tale direzione; Stazio e Virgilio
discorrendo Insieme, Dante va
otro a loro, ascoltando silenziono | love
u,
17, DAL SALIRK: ossondo giunti anlia
mith della scala. -ba'ranwrt: dalle
sponde del macigno nel quale la soala ora
incavatà.
118, ANCELLW: ore, ofr. Purg. XIT, 81,
Te quattro primo ore dol giorno (0-9 an-
128. BOLIMO : so
fatto sin qui.
124, INakONA: gu
125, k PRENDEMS
via con minor esi
porchè Stazio, il «
veva mostrare la x
non manca però il
prio valore. Dante
aor soletto Lra' suoi
goltaro le orme gl
Starla, - SEUMONI ;
che wil inspiravano
in vita attente ans
dicta Virgilii et St
pootare ab utroque
gratna reddit ela <
Benw, |
V. 180-141, L'al
tre Virgilio o Stasi
[GIRONE SESTO]
Pore. xx11. 130-143 [ALBERO MISTICO] 578
130 Ma tosto ruppe le dolci ragioni
Un arbor che trovammo in mezza strada,
Con pomi ad odorar soavi e buoni;
133 E come abete in alto si digrada
Di ramo in ramo, così quello in giuso,
Cred' io perché persona su non vada.
136 Dal lato, onde il cammin nostro era chinso,
Cadea dall’alta roccia un liquor chiaro,
E si spandeva per le foglie suso.
139 Li due poeti all’arbor s’ appressàro :
Ed una voce per entro le fronde
Gridò: « Di questo cibo avrete caro. »
142 Poi disse: « Più pensava Maria, onde
Fosser le nozze orrevoli ed intere,
Btazio sì nvvicinano, si ode per entro le
frandi una voce che grida: DI questo
cibo avrete pennria. Altrove troveranno
mnaltroalbero consimile, dal quale si dice
che deriva da quello della conoscenza del
bene e del male che Iddio fece germoglia-
re nel Paradiso terrestre, Purg. XXIV,
116 e sog. ofr. Gen. JI, 0. Yor conseguenza
quest'albero qui derivorà dall'altro al-
bero del terrestre Paradiso, cioè da quello
della vita, i cui frutti riceve solamente
chi vince; cfr. Apocal, II, 7,
130. RAGIONI: ragionamenti di Virgilio
e Stazio,
183. E COME: «come l'abete mette i
suol rami sempre più sottili all'alto che
al basso, così quell'albera li metteva più
sottili presso il tronco e li veniva ingros-
sando a mano a mano verso In cima, ac-
clocchè persona non vi potesso salire; »
Onsta, Così pure Ott., Benv., Br. B., eco.
Sulle diverse altre interpretazioni cfr.
Com. Lips, II, 434 è sog.
136. LATO: sinistro, dalla parte del
monte, — cHmuso: « cloè che non vede-
vamo ancora scala o aperta, onde potes-
simo montare: imperò che quella era la
ripa del monte, e dall'altro Into era
l'aperto del monte che non ha riparo; »
Buti,
138, BI BPANDEVA: si spargova sn por
le foglio cho l' assorbivano tutto, onde
non uma goccia ne cadeva in terra; cfr.
Com. Lips, IT, 435 è sog.
141. CARO: carestia, penuria, difetto.
Sarete privati di questo cibo finchè non
siate mondi del peccato della gola che qui
al purga. L'albero non è N per i tre
Pooti, ma per lo anime purganti, alle
quali è pur diretta ln voce,
V. 142-154. Esempi di bella tompo-
ranza ed astinenza. La voce continua,
proponenilo esempi che invitano a medi-
tare | beni dell'astinenza, Essa ricorda
Maria, che non pensava alla propria
bocca, ma soltanto che lo nozzo foasero
orrevoli ed intere; lo antiche donne ro-
mane, che bevevano solo acqua; il pro-
futa Daniele, che spregiò cibo ed acqui-
stò sapienza; il primo secolo, che fe' sa-
vorose le ghiande e néttare ogni ruscel-
lo; 8. Giovanni Battista, che si nodriva
di méle selvatico e di locuste, e fu sì gran-
ile, Chi parla non si vede, confr. Purg.
XXIII, 1 6 sog.; forso è nn Angelo posto
a guardia dell'albero, conforme la dottri-
nache « omnia corporalia reguntur per
Angelos; » Thom. Ag. Sum, theol. I,
110, 1,
143. Nozze: di Cana in Galilea; cfr.
8S. Giov, IL, 1-11. « Maria che siedo alla
mensa di Cana vien proposta siccome
osempio di due virtù che sono stretta-
mente legate insieme: nel secondo cer-
chio, siccome esempio di carità, Purg,
XIII, 28-30; in questo siccome esempio
di temperanza. E invero quella caritate-
volo o delicata attenzione che alla mensa
accorgersi di minima cosa cho manchi al-
tru), non è se non d'nomo temperante;
chè il ghiottone, tutto occhi ¢ anima nel
proprio cibo, non pnd avere In mente
a' piccoli bisogni altrui, nè attendere a
satisfarli; » Perez.
101 lele e locuste furon le vivande,
Che nudriro il Batista nel diserto;
Perché egli è glorioso e tanto grande
164 Quanto per l’evangelio v'è aperto. »
144. RISPONDE: intercedendo per voi;
ofr. Oapri in Omaggio a Dante, 458.
145. ANTICHE: nei tempi della repub-
blica ai astenovano dal vino; ofr. Val.
Max. II, 1, 3. « Malieres apud Rowa-
nos antiquitas non bibebant vinurm ; »
Thom. Ag. Sum. theol. 112, 149, 4.
147. ciso; le vivande della tavola del
re di Babilonia, contentandosi di legami
è d'acqua; efr, Dan. 1, 3-20.
148, aRcoL PIRIMO: l'età dell'oro; ofr.
Ovid. Met, I, 89-112. Virg. Aen. VIII,
324. Inf. XIV, 96, Tasso, Aminta, A, I,
Sc. 2. Guarini, Pastor fido, A, 1V, So. 0.
149, BAVONOSE è saporite; clr. Ovid.
150. wéerranun: la bevanda i Del;
confr, Ovid,, |. 0., 111, 113. Botth, Cons.
II, 6.
151. MRLE © LOCUSTR: di 8, Giovanni
Battista 8. Matt. III, 4: «Suv cibo erano
locusts è miolo wolvatico;» elr. S. Mare.
I, 6. Levit. XI, 22.
XI, 29.
163. PERCHÉ : perciò,
A. Matt, XI, 11, 8. Lu
154. v'è APERTO: vi
«I somplici frutti è
diletta il secolo d'ora
locuste onde nel deseri
tiata, ravvicinano e ra
tanjasime : l'età della
cenza, A obi anco non
pesa writen.
primitive riconquista «
che umana signoria so
lace.... E degno tipo |
della verità è il patrono
vanni, il quale con par
proparasi a immolaro È
un'orgia convivale, pay
n un re tiranno, è a uo
più tirauna; » Peres,
[OIRONE SESTO]
Puro, xx11i, 1-10 [PENA DEI GoL081] 575
CANTO VENTESIMOTERZO
GIRONE
SESTO: GOLA
L'ABPETTO DEI GOLOSI, FORESE DONATI, NELLA
RIMPROVERO ALLE DONNE FIORENTINE
Mentre che gli occhi per la fronda verde
Ficcava io così, come far suole
Chi retro all’uccellin sua vita perde,
4 Lo più che padre mi dicea: « Figlinole,
Vienne oramai, ché il tempo che c'è imposto
Più utilmente compartir si vuole. »
7 To volsi il viso e il passo non men tosto
Appresso ni savi, che parlavan sie
Che l’andar mi facean di nullo costo,
10 Ed ecco piangere e cantar s’udie:
V. 1-36. La pena dei golosi. An-
dando avanti, | Poeti incontrano una
achiera di goloai, Il eni aspotto è apaven-
tevole a motivo della loro terribile ma-
Essi vanno contemplando bramo-
snmente alberi carichi di frutta e spruz-
zati da fresche acque, senza poter gostaro
o4 quelle nd queste. Soffrono In pena di
Tantalo, perchè intemporanti nel man-
giare e nel bere. Cantano piangendo: «Si-
gnore, aprimi le labbra; e la mia bocca
racconterà la tua lode » (Salm. L, 17),
chiedendo la grazia di volgere a Dio ed
alla sua lode quelle labbra che in vita
rolsero avide a ghiottonerie,
1. FRONDA: dell'albero mistico.
2. FICCAVA: per iscopriro chi griAnaso
gil saompl ili tomporanzn.
È, ALL'UCCRLLIN: Al, AGLI UCCRLLIN',
- PERDE: la voce involve un rimprovero
n sò stesso, « La vita doll' necellatoro
non è utile a nulla, ss non n la gola; e
però meritevolmente la riprende qui; »
Buti.
4.00 cme rapine: altrovo chiama Vir-
gilio sovente padre è dolce padre; qui,
per maggior affetto, a proposito dell'am-
monizione di non perder tempo, più che
padre, -¥IGLIVOLE: figlinolo; forma an-
tica, usata specialmente nel vocativo, è
n volte anche negli altri casi. Cfr. Nan-
mite,, Nomi, 152.
5. IMvosTo: aasegnato per visitaro il
Purgatorio,
8. BAVI: Virgilio e Stazio. - alm: «al
bene è di così belle cose; » Dan.
9. CHE L'ANDAR: il loro parlare faceva
sì che io non sentiva la graverza della
vin, « Comes facundus in via pro vehi-
culo oat, » dice Publio Siro. « lo vi por-
ter’, gran parto dolla via che nd andare
abbiamo, n envallo, con non dello hello
novello dol mondo; » Jtoee., Dee. VI, 1.
10. s'unle: s'udì. « l'inngovano per
contriziono et vero pentimento del pec-
‘cato commesso, et cantavano per la spe-
ranza di poterlo purgare, et purgatolo
andare alla salute; » Land. Nel mondo |
ESTO]
Pure. xxin. 11-25
[PENA DEI GOLOSI]
« Labia mea Domine, » per modo
Tal che diletto e doglia parturie.
13 « O dolce padre, che è quel ch’i’ odo? »
Co\nincia’ io; od ogli: « Ombre che vanno
Forse di lor dover solvendo il nodo, »
16 Si come i peregrin’ pensosi fanno,
Giugnendo ; ‘e non nota,
Che si ‘volge 1 ristanno;
19 Cosi diretro a ota,
Venendo e t mmirava
D'anime tur. ta,
22 Negli « a 6 Cava,
|| RO scema
Che dall’o= Maya.
95 Non credo cl trema
golosi non bramarono cle cibo cor, itto di sopra, che s' ud) piangor
qui desiderano soltanto il cibo apiri ; ma il Poeta vuol esprimer ciò
nel mondo le loro labbra furono rr
agli abbietti piaceri del gusto ed all'oll'esa
di Dio, qui stanno chiuse a cibo ed a be-
vanda, nè si aprono che alle lodi di Dio.
11. LABIA: « Domine, labia mea ape-
ries: et 08 meum annunciabit laudem
tuam ; » Peal. I, 17.
12. rARTURÌK: partorì, produsse. Il
canto e la divozione goneravano diletto,
il pianto doglia, eccitando a profonda
compassione.
18. CHR È: non vedova ancora nessuno,
nè sapeva ancora che fussero le anime
purganti che piangevano e cantavano.
16. FORSK: anche Virgilio non è ancor
certo del fatto. - SOLVENDO: pagando la
pena debita e sodiisfacendo alla divina
giustizia; cfr. Purg. XVI, 22-24.
16. PENSOSI: pensando al termine del
loro viaggio. « Non a caso in questi pel-
legrini il Poeta nota il divoto portamento
quando s'incontrano in uomo vivo; chè
slienzio e gravità d'atti è bella soddisfa-
zione a un vizio, onde procede tanta ab-
bondanza di parole e d'atti vani, e tanto
scemasi il decoro al passo e a tutta la per-
sona ;>» Perez.
17. GIUGNENDO : quando per via rag-
giungono gente sconosciuta. Le anime
andavano dunque nella medesima dire-
zione, cioè a destra, come i tre Poeti.
19. MOTA : mossa più velocemente, cam-
minando con passo più celere del nostro.
21. TACITa: « par che contradica a quel
cov ov olf Chisopragingne altri nel cam-
mino, che lascia ogni altra cura, 6 sola-
mente attende a trar da quelli la inten-
zione, o buona o rea; » Vell., Dan., Biag.,
Tom., ecc. Le anime cantavano e piange-
vano « solamente quando nell'aggirarai
pel balzo pervenivano ai misteriosi al-
beri. Essendo adunque i tre Poeti passati
oltre il divisato albero, ma non di molto,
poterono perciò sentire ciò che ivi le re-
trovegnenti anime si dicessero; » Lomb.,
Pogg., Costa, Ed. Pad., Ces., Br. B.,
Frat., Andr., eco. Questa seconda inter-
pretazione è confortata dai passi Purg.
XXIII, 67 e seg ; XXIV, 106 e seg., nd
Purg. XXIII, 64 contradice menoma-
mente alla medesima.
22. OSCURA K CAVA: aveva gli occhi
affossati e senza splendore; cfr. Ovid.
Met. VIII, 803 © seg.
23. SCKMA: di carne, dimagrata.
24. S'INFORMAVA: prendeva la forma
delle ossa che copriva. « Pelli mew, con-
sumptis carnibus, adbreesit os meum; »
Job. XIX,20.< A vocegemitus mei adlim-
sit og meum carni mem; » Pel., 101, 6.
« Adbaosit cutis eorum ossil us; » Lament.
IV, 8. «Pollis nustra, quasi clibanus exu-
sta est a fucie tempestatum famis; » Oral.
Jerem., 10.
2). A BUCCIA ESTREMA: a non aver più
altro indosso che la sola pelle risecchita
per fame. Un proverbio: « Chi non la-
vora si gratta la Luccia. »
[GIRONE SESTO]
Puro. xx. 26-37 [PENA DEI GOLOSI] 577
Eresitone fosse fatto secco,
Per digiunar, quando più n’ebbe tema.
28 Io dicea fra me stesso pensando: « Ecco
La gente che perdé Gerusalemme,
Quando Maria nel figlio dié di becco. »
31 Parean |’ occhiaje anella senza gemme:
Chi nel viso degli uomini legge “ omo ,,
Ben avria quivi conosciuto l'emme.
a4 Chi crederebbe che l’odor «d'un pomo
Si governasse, generando brama,
E quel d’un’acqua, non sappiendo como?
37 Già era in ammirar che si gli affama,
26. Entsitone rosse: Al, Erisiton at
rossr. Erisitone, "Epvoly®twy, figlio di
Triopa re di Tessaglia o di Mirmidone
(cfr. Callim. Hymn. in Cer., 24. Aelian.
H. V, 1, 27), avendo voluto distruggere
una selva encra a Cerere, fu punito con
una fame insaziabile, onde consumò pri-
ma ogni sna sostanza, poi vendetto In
propria figlin e finalmente incominciò a
mangiarsi le proprie membra; ofr, Ovid.
Met. VIII, 726-880. Lactant. Place. Narr.
VIII, f. 11. Tzetz. ad Lycoph., v. 1300
e seg. Craruzzr, Symbolik und Mythol.
IV", 135 e sog.
27. N'EBBR TRMA: quando la fame gli
fece più panra, cioè quando non gli re-
stava più altro a mangiare che il proprio
corpo, « Vie tamen illa mali postquam
consumserat omnem Materiam, dede-
ratque gravi nova pabula morbo, Ipse
suos artus Jacero divellere moran Copit,
et infelix minnendo corpus alebat; » Ovid.
Met, VIII, 877 © seg.
20. LA GENTE: i Giodei che durante
l' nasedio di Gerosalemme (70 d. C.) sof-
fersero tutti gli orrori della fame, talmen-
te che una nobil donna, di nome Maria,
necise s cosse il proprio figlinoletto perci-
barsi ; ofr. Joseph. Flav., Bell, Jud. VI, 3.
81. L'occnias: le cavità degli occhi
sembravano dne anelli dal cui castone
foasero state levate le gemme, le pupille
essendo tanto affondate da non potersi
vedere,
22, cm: teologi e predicatori mistici
del medio evo pretendevano che Dio
avesse scritto di proprio pugno le parole
Homo Dei anl viso dell'uomo, « Dice al-
cuno che nel viso dell'uomo si pnd leg-
gore Homo Dei In questo modo: uno degli
37. ci Dio, Comm., 3a odiz,
orecchi 41°, è l'altro orecchio per l' al-
(ro verso rivolto è ono D, l'oochio è uno
0, il naso colle ciglia è uno M, la booca è
nno J. Or dice l'Autore che per la ma-
grezza gli cechi erano sì fitti nella testa,
che l'A chinramento si scorgea;» An.
Fior. Vedi l'esposizione relativa di un
contomporanco di Dante, Com. Lips. 1I,
443. Dante non ricorda l'opinione come
sua propria, ma come d'altri,
35.8 GOVERNASSR: facesae tal governo,
conciasse quello nnime in modo sì spa-
rentevole. É
20. quit: odor, -Barrinepo: forma
dell'uso antion; cfr. Nannwe., Verbi, 417
o sog. Al. BARNDO. - COMO: come, in
qual modo, dal lat. quomedo; freqnento
negli nntichi anche in prosa; Dante non
l'osa che in rima, ofr. Inf. XXIV, 112.
V. 87-57. Forgse Donati, Un'anima
rolge n Dante gli occhi profondamento
affossati, lo riconosce ed alza un grido di
gioin. E Dante lo riconosce alla voce: è il
già sno amico è parente è concittadino
Forese Donati, soprannominato Biocl No-
vello, figlio di Simone © fratello del fa-
moso Corso (cfr. Purg. XXIV, 82 e seg.)
e di Piccarda (cfr, Purg, XXIV, 106 seg.
Par. 111, 34 eaeg.) morto il 28 luglio 1296,
Faceva tra altre cose il rimatore, come
si ha dalla nota tenzone di sei sonetti,
cattivelli o scapestrati ansi che no, scam-
binti tra’ doe amici (ofr, Del Lungo, Dino
Comp. 11, 610 6 sog. Dante net tempi di
Dante, 435 0 nog.). Già in questi sonetti
Dante rinfaccia all'amico la sun goloso-
tà, della quale aconsano Forese anche |
comm. nnt, ad unanimità di voti.
87. OJA RRA: non conoscendo la cagione
della magrezza di quelle anime, io stava
Ciò che l’aspetto in sé avea conquiso
46 Questa favilla tutta mi raccese
Mia conoscenza alla cambiata labbia,
E ravvisai la faccia di Forese.
49 « Deh, non contendere all’asciutta scal
Che mi scolora, » pregava, « la pelle,
Né a difetto di carne ch'io abbia:
52 Ma dimmi il ver di te, e chi son quelle
Due anime che là ti fanno scorta:
Non rimaner che tu non mi favelle. »
65 « La faccia tua, ch'io lagrimai già mort
Mi dà di pianger mo' non minor dogli
già in ammirazione che cosa le smagrasse
tanto; efr, Purg. XXV, 20 0 seg.
30, squama:; pelle inaridita.
40, DEL rroroxpo: elr. v. 22, Dipin-
ge con terribile evidenza gli cechi affos-
sati, co’ quali quell'avima lo sta riguar-
dando,
43, questa; di vedorti qui.
45. CONQUIBO : chil apioga guaato, 6 chi
conquistato, osservando cho la conquista
treo acco ilistenzione o rulna; ofr, Com,
pa Il, da (i) Hog. Il senno è ilel reato
ubbio: Por la terribile nua magrezza
non l'avrei mai riconosciuto all'aspetto,
ina lo ricsonobbi nl suono dolla voce.
40. FAVILLA : la vooe) Al, ravenna. Tl
suono della voce di quell'ombra fu come
una furilia che riacoose la cononcenza di
quel viso cambiato dalla magrezza.
WO ibra 5 anmaamnnntas la. alia la. de
tare, spiegando: Non
te per motivo della mi
- BCAMNUIA : Foreso «fu
bioso, e pieno ili gre
Fior, « Ecco che fing
golosi erano
[GIRONE SESTO]
Pura, xxii. 57-71
[FORESE DONATI] 579
Rispos’ io lui, « veggendola si torta:
58 Però mi di’, per Dio, che sì vi sfoglia;
Non mi far dir mentr’io mi maraviglio,
Ché mal può dir chi è pien d'altra voglia. »
61 Ed egli a me: « Dall’ eterno consiglio
Cade virtù nell’acqua e nella pianta
, Rimasa a dietro, ond’ io sì m'assottiglio.
04 Tutta esta gente, che piangendo canta,
Per seguitar la gola oltra misura
In fame e in sete qui si rifà santa.
67 Di bere e di mangiar n'accende cura
L'odor ch’ esce del pomo e dello sprazzo
Che si distende su per la verdura.
70 E non pure una volta, questo spazzo
Girando, si rinfresca nostra pena
forenza; cfr. Com. Lips. IT, 448 è seg.
Ma il veggendola «i torta del v. seguente
parla troppo fortemente in favore della
comune.
V. 68-75, Ragione del dimagrare
delle anime, Tormentato dalla corio-
sità, Dante non è ancora enpace ili pars
Inro di sò, onda invece di risponidero allan
domanda dell'amico, chiede a Ini la ca-
gione dello spaventevole dimagramento
delle anime di questo cerchio, e Forese
gli dà pronta risposta. Le anime che
vanno in giro per questo cinghio si fer-
mano desiosamente ogni volta che giun-
gono dinansi a' bei frutti ed alla fresca
vena, che non possono arrivare nò con
labbra né con mano: 6 dalla vista o dalla
fragranza delle poma e delle acque spira
una segreta virth che sempre più accen-
de il lor desiderio di cibo è di liquore,
è così dolorosamente le scema o le strog-
ge. Cir. Oo. Met. IV, 458 © aeg.: « Tibi,
Tantale, nulle deprehenduntar aqam,
queque imminet, offugit arbos, »
58. BFOGLIA: dimagra; presa l'immn-
gine o dall'albero che perdendo le foglie
si dissecca, oppure dagli strati mnsco-
lari 6 aliposi che, come fogli in libro,
si soprappongono a comporre || volome
del corpo dell'uomo o dell'animale.
60. pin: parlare; non farmi parlare cos)
ripieno come sono di meraviglia, chè mal
pod ragionare chi ha l' anlmo preocen-
pato.
61. DALL'ETERKO: Al, DELL' ETERKO.
Dal divino volere, che così dispone, s'In-
fonde nell'acqua e nell'albero la virth
che mi dimagra a tal segno,
63. nimasa: erano già passati oltre,
v. d 0 seg. - M'ARSOTTIOLIO: dimagro ;
Al, MI soTTIOLIO.
64, ESTA: questa, — PIANGENDO CANTA:
o quando arriva presso l'uno degli alberi
mistoriosi, oppore incessnntomente. Ma
almeno Forose, che non è più presso al-
l'albero ed all'acqua che cade dall'alta
roccia, non piange o non canta, nè di un
piangere e cantare altrove che presso gli
alberi Dante fa un sol cenno.
65. re BROUITAR: por aver seguitato
vivendo. - OLTRA MIBURA: « Hic solum
pertinet ad gulam, quod aliquis propter
concupiscentiam cibi delectabilia oxcedat
mensuram in edendo;» Thom, Aq. Sum,
theol, T1*, 148, 1. Al. OLTRE MISURA.
66. st nivA: soffrendo fame è sete si
purga dal peccato della gola.
67. cura: desiderio. La fama è in noi
anacitata dal sonve odore dei fratti del-
l'albero, la sete dall'acqua che ensca giù
dalla roccia e si sparge in spruzzi su per
le foglie dell'albero.
68, romo: efr. Inf. XVI, 61, Purg.
XXVI1, 115 6 sog.; XXXII, 72 e seg. -
MELLO srrazzo: dell'aspersione; confr.
Diez, Wirt. 11", 70.
69. SI DISTEND®R: si sparge su per le
verdi foglie dell'albero; confr. Fury.
XXII, 198.
70. srazzo : suolo; efr. Inf. XIV, 13.
Borghini, Studi, ed, Gigli, 248,
71.81 RINFRESCA : si rinnova, Le anime
79 Se prima fu la possa in te finita
girano senza requie, e quante volte esse
arrivano preaso all'albero, altrettante si
rinnova il supplizio. Da questo verso al-
cuni (Buti, Br. B., Frat., Andr., eco.)
inferirono, esservi In questo girone non
pur due, ma più alberi consimili. Può
darai; ma di due soli Dante fa menzione,
72. S0LLAZZO: lo anime porganti aop-
portano Jo loro pene nou solo con calma
6 con decoro, ma le rane © 84 Da
essendo il loro volere già conforme al vo-
lere di Dio; «Gloriamur in tribulationi-
bus; a Jom. V, 3-5, « Uli, qui sunt in
1 lo, sciupt se non posse pervo-
nire ad gloriam, nisi prins puniantur:
ergo volunt puniri; » T'Aom. Ay. Sum.
tAeot, III, Suppl., 2, 2. « Non credo che
bi possa trovare coutentezza da compa-
rare a quella d'an'anima del Porgatorio,
socetto quella de' santi nel Paradiso; »
8. Ont, di Gen., Tratt. del Purg., ©. 2.
VoGLiA: di conformare la nostra
| tà di Dio, Sela voglia mona le
no all'albero, il loro giraro è soffrire
‘olontario è nocessario in uno: vofon-
io, perché volato ed amato dallo ani
mo) necessario, volute da Dio,
74. A DINK Ec): & soffrire la morte del-
la croce è sentirsi abbandonato da Dio;
ofr. 8. Matt, XXVII, 40. 8. Marco XVI,
4. Sat. XXIT, 1.20 è l'ebr. “SP, che
PET a Tifa ands Ti Thanda na_à- ii
ile
ne aveva fiagellato, o pi
to la moglie con questo
H
di
i
28
art
di
li
ghiere « sorgendo su di
sia vive, = Purg. 1V,39
in cielo ed accorel
el anche | comm. ant.
ampliare è parafrasaro |
oft, Eneiel., 1417 è wag.
[GIRONE SESTO]
Pore. xx111. 80-94
(NELLA DONATI] 581
Di peccar più, che sorvenisse l’ora
Del buon dolor ch’ a Dio ne rimarita,
82 Come se’ tu quassù venuto? Ancora
Io ti credea trovar laggiù di sotto,
Dove tempo per tempo si ristora. »
85 Ond’ egli a me: « Sì tosto m’ha condotto
A ber lo dolce assenzio de’ martiri
La Nella mia col suo pianger dirotto.
88 Con suoi preghi devoti e con sospiri
Tratto m’ ha della costa ove s' aspetta,
E liberato m’ ha degli altri giri.
91 Tant'è a Dio, più cara e più diletta
La vedovella mia, che tanto amai,
Quanto in bene operare è più soletta;
04 Ché la Barbagia di Sardigna assai
ch'egli aveva col detto Forese; ed ceno
autore fu quegli che, per amore che
aveva in lui © famigliaritade, lo indasse
alla confessione; e'confessossi a Div in-
nanzi l'ultimo fine; » Ott.
81. BUON DOLOR: il dolore del penti-
mento che ci ricongiunge con Dio.
82. ANCORA: fo credeva di trovarti an-
cora laggiù nell’Antipargatorio, dove
chi indugiò la penitenza sino agli estre-
mi deve attendere tanto tempo quanto
visse; cfr. Purg. IV, 180 © seg.; XI,
127 © seg. Sulle diverse lezioni ed in-
terpunzioni di questo verso cfr. Com.
Lipe. Il, 453 e seg.
85. OND' EGLI: Al. ED KGLI.
86. A BER: a gustare quei patimenti
che ci sono dolci perchè salutiferi.
89. costa: dell’ Antipurgatorio. Al.
DELLA VALLE.
90. GIRI: dei primi cinque gironi del
Pargatorio. Oltre quello della gola, Dante
rinfaccia a Forese nei sonetti menzionati
anche | vizi della superbia e della prodi-
galità.
91. TANT'È: la vedova mia che amai
tanto, è tanto più cara e diletta a Dio,
quanto più ella è solitaria a Firenze nel-
l'essere casta e vereconda.
02. TANTO AMAT: Al. MOLTO AMAL, Pad
atare l'una e l'altra lezione. Dice qui por
l'appunto il contrrrio di qnanto aveva
detto nel sonetto testd riferito; nuova
prova che abbiamo qui una meditata so-
Jenne ritrattazione dei sonetti contro
Forese.
V. 9-111. 22 rorescio della meda-
glia: le donne fiorentine. Alle deli-
cate lodi attribuite a Nella, segue una
tremenda invettiva contro le sfacolate
donne fiorentine, più impnudiche delle
donne delle Barbagia, sfacciate a
da indurre le autorità ad interdir loro
le mole lascive e da attirare sopra loro
tremende le punizioni del cielo. Senza
dubbio Dante ebbe le sue buone ragioni
di inveire così terribilmente contro le
sue concittadine; ma indubbio è pure,
che ogli generalizza un po' ttoppo e che
le donne fiorentine dul 1800 non erano
poi tutte quante corrotte ad eccezione
della sola vedova di Forese. Inattendi-
bile è l'opinione che questi versi vadano
all'indirizzo di Gemma Donati, moglie
di Dante, la cui età, per tacer d'altro,
nel tempo che Dante dettava questi
versi, aveva già provvedute che non
incorresse più nel biasimo qui espres-
80; cfr. Proleg., 48 © seg. Giova tuttavia
prendore ricordo, che recentemente si
affermò senza complimenti e, naturale,
senza prove, cho la moglie di Dante fu
cuna donnaccia fredda di cnore, avara,
gelosa e lassuriosa » (Noviti, Orar., 17).
Scusate ne è poco!
94. Bannanta: roglone alpoatrn della
Sardegna, dei cni abitanti 8. Gregorio
(Eu. 111, 26, 27) ebbe a dire che vivevano
tatti come animali insensati. « Montanea
est.... in qua habitat gene allvestrie sine
lege, sine religione vera: qu dicitar
remaneisse ibi, quando insula fuit recu-
582
esto) Puro. xx. 95-108
[DONNE FIORENTINE]
Ne le femmine sue è più pudica
Che la Barbagia doy’ io la lasciai.
07 O dolce frate, che vuoi tu ch’ io dica?
'l'empo futuro m’ è già nel cospetto,
© non sarà quest’ ora molto antica,
100 Nel nal sarà in pergamo interdetto
Ale ti. enni a |
L'a ppe il petto.
103 Que \cine,
( My \operte,
O 8, !
106 Ma se rte
Di e- o ammanna,
Gia he aperte;
perata de manibus barbaroram «
ca, quormo mulieres sunt nimla
et impadicm, permettentibua vir
pro calore ot prava consuetudine , ........
judutw panno lineo albo, excollatie ita,
ut ostendant pectus et ubera; » Benv.
Ufr. Bass. 60.
96. LA Barbagia: Firenze, novella
Barbagia in quanto alle sue donne, dove
io morendo lasciai la Nella mia. Così quasi
tutti. L'An. Fior. intende invece della
casa dei Donati; ma i versi 100-102 sono
prova provata che Dante parla di Fironze.
97. CHE VUOI: che cosa posso mai dire
di piùf
08. M'È GIÀ: vedo sin d'ora nella mia
mente; lo prevedo già.
99. CUI NON SARA: poco lontano; cfr.
Purg. XX, 70. Par. XVII, 118-120.
100. INTERDETTO: proibito in pubblico
dal pulpito. Dalla terzina seguente ri-
sulta che non accenna qui a prediche
contro lo scandaloso vestir delle femmine
(Lan., Ott., An. Fior., Buti, Vell., ecc.),
ma o a decreti vescovili e pene canoniche
bandite dal pulpito contro le sfacciate
usanze, oppure a provvisioni della Si-
gnoria simili agli ordini fatti nel 1824;
ofr. Vill. IX, 245. Il fatto speciale al
quale Dante allude è ignoto.
103. QUAI BAKBARR: « questo dice in
infamia e vituperio delle dette donne;
dicendo che il primo atto e più popolesco
e volgare della onestade della femmiuva
è il tenere coperte quelle membra che la
natura richiede che sieno chiuse; e però
quello che è naturalo in ogni luogo è uno
|, Onde dice: le Barbare, lequall
rtito da' nostri costumi, e le Sa-
ie sono così date alla lussuria,
lu la volontà giunge, quivi
per l'Aleorano di Maometto si dee sod-
disfare alla lussuria, si vanno coperte le
mammello e 'l petto; e voi, che dovete
vivere per legge romana, avete bisogno
d'essere scomunicate e pubblicate in
piazza; » Ott.
107. DI QURL: delle sventure che il cielo
prepara loro nei prossimi tempi. Dopo il
1300 Firenze fu colpita da una lunga se-
rie di sciagare: le ruberie, gli incendi ed
omicidii che tennero dietro alla venuta
di Carlo di Valois, Vill. VIII, 49; le uo-
cisioni por opera di Folciori da Calvoli,
Vill. VIII, 59; l'infausta guerra citta-
dina del 1303, Vill. VIII, 68, accompa-
gnata da grave carestia; la caduta del
ponte alla Carraia con morte di molta
‘gente e con gran pianto e dolore di tutta
la città, Vill. VIII, 70; il terribile in-
cendio del 1304 per cui furono distratti
tra palazzi e torri e case più di milleset-
tecento, Vill. VIII, 71; la sconfitta a
Montecatini, agosto 1315, nella quale « di
Firenze vi rimasero quasi di tutte le
grandi case e di grandi popolari, » Vill.
IX, 72. Non si può indovinare a quali
fatti speciali alluda qui il Poeta. Del
tutto inattendibile è l'opinione che ai
alluda qui alla venuta di Arrigo VII
contro Firenze nel 1312, chè in quel
tempo le donne fiorentine non ebbero
gran motivo di urlare, - piuttosto di ral-
legrarsi ed insuperbire.
[GIRONE SESTO]
109
112
115
118
| Pura. xx. 109-122
Ché, se l’antiveder qui non m’ inganna,
Prima fien triste che le guance impeli
Colui che mo’ si consola con nanna.
Deh, frate, or fa’ che più non mi ti celi,
Vedi che non pur io, ma questa gente
Tutta rimira là dove il sol veli. »
Perch’ io a lui: « Se ti riduci a mente
Qual fosti meco e quale io teco fui,
Ancor fia grave il memorar presente.
Di quella vita mi volse costui
Che mi va innanzi, |’ altr’ ier, quando tonda
Vi si mostrò la suora di colui
[conFrxss:ione] 588
121 (E il sol mostrai). Costui per la profonda
Notte menato m’ha da’ veri morti,
109. L'ANTIVEDKR: la previsione degli
eventi futuri; cfr. Inf. XXVIII, 78.
110. FIRN: saranno dolenti prima che
i fanciullini adenso lattanti incomincino
a mettere la barba. Par quindi che si
alloda a fatti posteriori al 1804. Del re-
sto la data è troppo indeterminata per
dedurne conclusioni.
111. NANNA: voce trata dallo donne
cullando per addormentare i bambini.
V. 112-188. Peccato confessato. Ri-
pregato da Forese di dirgli oramai il
vero di sè (cfr. v. 52), Dante rammenta
l'antico e poco edificante modo di pro-
cedere dei due amici I’ nno verso l’altro,
indizio infallibile di una vita tutt'altro
chesanta, quindi raccontasuccintamente
come Virgilio lo trasse da tale vita, lo
guidò attraverso i' inferno sin qui e pro-
mette di guidarlo oltre sinchè Beatrice
gli verrà incontro.
112. oR Fa’: aflesso che ti ho soddi-
sfatto non indogiar più a dichiararmi
per quale nuova dispensazione tu, ancor
vivo, sei venuto qui nol regno della
morta gente; cfr. v. 52 © seg.
118. NON rur: non io solamente, ma
anche gli altri spiriti, i quali sembra
avessero allentato il passo, stupefatti di
vedere colà un nomo vivente.
114. veli: fai ombra.
115. TT RIDUCI A MENTE: ti ricordi, ri-
penal.
116. QUAL FOSTI: quali si furono le no-
stre vicendevoli relazioni, chè non d' al-
tro che di queste relazioni si parla iu
questo Inogo e di nna vita mal discipli-
nata e scorretta non si fa il menomo
cenno. Quali queste relazioni foesero lo
si vele pur troppo dai menzionati sonetti,
che forse non farono i soll di questo ge-
nere che i due amici si scambiarono. In
uno di essi Dante ni lasciò andare asegno
da oltraggiare la madre di Forese; nella
ana riaposta questi oltraggiava il padre
di Manto, ecco. Si comprende di leggieri
cho il memorare queato contegno vicen-
devole dei due amici e parenti, doveva
esser loro tanto più grave, inquanto la
poco edificante loro tenzone era dival-
gata e conosciuta fors' anche troppo.
117. ANCOR FIA GRAVR: Il Betti vnol in-
tendere: « Se ti rammenti quanto cara
fosse la nostra amicizia, puoi ben credere
quanto mi pest il doversi dire che rima-
nenilo tu in questo pene, io tra
n’andrò a vedere le boatitudini del Pa-
railino. » Ma il Betti non conosceva la
tenzono di Dante con Forese.
118. vita: leggiera e spensierata, come
dovette infatti essere quella dei due amici
nel tempo che si scambiavano quel so-
netti. Danto Identifica qui tal vita colla
selva oscura dalla quale Virgilio lo trasse
volgendolo al viaggio per i regni del-
l'eternità.
119. L'ALTR'IRR: cinque giorni fa. -
TONDA : cfr. Inf. XX, 127.
120. LA RUORA: la luna (Diana) sorella
dol sole(A pollo): cfr. Purg. XX, 130 e seg.
121. PROFONDA NOTTE: l'inferno; ofr.
Purg. I, 44.
122. pa’ vert: Al. pe’ veri. Chiama i
dannati veri morti perchè privi non solo
584 [GIRONE SESTO] Pura. xxii. 123-188
[CONFESSIONE]
Con questa vera carne che il seconda.
124 Indi m’ han tratto su li suoi conforti,
Salendo e rigirando la montagna,
Che drizza voi cho il mondo fece torti,
127 Tanto dice di farmi sua compagna,
Ch'io sarò là dove fia Beatrice;
Quivi convien che senza lui rimagna.
130 Virgilio è questi che così mi dice
(E addita’ lo); e quest'altro è quell’ombra
Per cui scosse dianzi ogni pendice
193 Lo vostro regno che da sé lo sgombra. »
della vita corporea, ma eziandio della di-
vina grazia © divenuti preda della « so-
conda morte, » Inf. I, 117. Cir. Salm.
XLVIII, 15.
123. VERA CARNE: con questo corpo
renale che fa ombra e tion dietro a Vir-
gilio. — 1 sicoxbA : cfr, Inf. IV, 15.
124. inpr: dalla profonda notte, con-
fortato da Ini, sono venuto quassù, #a-
lendo lo scalo della montagna cho sono
dall'uno all'altro balzo o rigirando in-
torno i balzi.
126. Drizza: vi fa diritti puriticandovi
dalle colpe dellu vita terrena. O forse
drizzare vale anche qui, come altrove,
indirizzare, dirigere, ed il senso è: che
vi dirige a Dio, da cui il mondo vi fece
deviare.
127. DICK: cfr. Inf. I, 112-123. Purg.
VI, 46-48. - COMPAGNA: compagnia, cir.
Inf. XXVI, 101. Purg. III, 4. Potrebbe
qui anche essere il femminile di com-
pagno, essendo l'anima di Dante che
parla e distingue da sè la vera carne,
il corpo.
129. quivi: giunto che sarò dove è
Beatrice, Virgilio mi lascerà (cfr. In.
T, 1253), onde mi converrà rimanere senza
lui; clr. Prerg. XXX, 43-64.
130, Vino:Lio : risponde all'altra do-
manda di Forese: « Chi son quelle dna
animo che 1A ti fanno scorta ] » v. 52, 53.
131. Apvira’ LO; lo additai, lo mostrai
col dito. - QUKLL'ALTRO: non nomina
Stazio, ma dice soltanto che l’altro suo
compagno è quegli, la cui liberazione fu
unnunziata testò dal tremoto. È diffi-
cile indovinare per qual motivo Dante
ne abbia taciuto il nome; cfr. Com. Lips.
II, 461 o sog.
133. REGNO: il Pargatorio; cfr. Purg.
I, 4.- LO sGOmuna: lo licenzia per sa-
lire al clelo, la sua purificazione essendo
compiuta.
— -— + _———————.—_—+———_—_—_— ———_—»—» P _———6@@6—
[GIRONE SESTO]
Prro. xx1Vv. 1-8
[piccArRna] 585
CANTO VENTESIMOQUARTO
GIRONE SESTO: GOLA
FORESE DONATI, TICCARDA, BONAGIUNTA DA LUCCA, PAPA MARTINO IV
UBALDIN DALLA PILA, BONIFAZIO, MESSER MARCHESE
LA GENTUCCA, CORSO DONATI, SECONDO ALBERO MISTICO
ESEMPI DI GOLOSITA, L'ANGELO DELL'ASTINENZA
Né il dir l’andar, né l’andar lui più lento
Facea, ma ragionando andavam forte,
Sì come nave pinta da buon vento.
4 E l’ombre, che parean cose rimorte,
Per le fosse degli occhi ammirazione
Traenn di me, di mio vivere accorte.
7 Ed io continuando il mio sermone,
Dissi: « Ella sen va su forse più tarda
V. 1-15. Picecarda Donati, Conti-
noando insieme il cammino per il girone,
Dante domanda dove sia Piccarda e pre-
ga l'amico di dirgli se tra quella gento vi
sia persona notevole. Forese risponde che
ana sorella è già in Paradiso, Piccarda fa
figlia di Simone e sorella di Forese e di
Corso Donati. Fattasi monaca di Santa
Chiara fa tratta violentemente dal mo-
mastero e data in moglie n Rosellino della
Tosa; ofr. Par. IMI, 34-51, 103-108. To-
DESCHINI, Seritti su D. I, 336 6 seg. Fnu-
BCRLLA, Piccarda Donati, nel Propugna-
tore di Bologna, IX, 2, p. 105-127,
1, sR DIR: il parlare non faceva più
lento l'andare, e l'andare non faceva più
lento Il parlare = andavamo in fretta con-
versando animatamente; ofr. Arios. Orl.,
XXXI, 34.
2. FORTE: per Dante vivo; per le anime
troppo lentamente, cfr. v. 8, 0, 91 è seg.
8. Presta: Spinta. « Adduce similitu-
dine che andavano fortemente come la
nave quand'ella è spinta dal buon vento,
e così noi ch'eravamo condotti sn dal
buon volere, guidati dalla grazia di Dio;»
Buti. « Acconcia similitndine, in quanto
l'idea del buon vento che spinge In nave
conanona metaforicamento al buon desi-
derio che è nel Poeta di ginnger presto
al termine del misterioso viaggio; e in Fo-
rese, di compiere l'espiazione; » L. Vent.
4, RIMORTE: morte per Inseconda volta,
tanto erano pallide e squallide, È il bi-
hlico: «nlhori..., morti due volte; » 8. Giu-
da, 12. Cfr. Com, Lips, I, 463 è sog.
5. PRR LR FOSSE: col loro occhi pro-
fondamente incavati (cfr. Purg. XXIII,
22, 31) estupefatte di vedere chi aveva
ancor seco di quel d' Adamo.
7. akumont: Îl discorso incominciato
nel v. 115 del canto nntocedonte.
B. rLLA: l'anima di Stazio (della quale
aveva appunto incominciato a parlaro,
canto antecedente 131-123) per godere
della compagnia di Virgilio (cfr. Purg.
XXII, 90) sale forse in cielo più lenta-
mente che non farebbe se fosse sola.
586 [GIRONE SESTO]
Pura, Xxiv. 9-22
[ALOUNI GOLOSI]
Che non farebbe, per l'altrui cagione.
10 Ma dimmi, se tu’! sai, dov’ è Piccarda;
Dimmi s'io veggio da notar persona
Tra questa gente che sì mi riguarda. »
18 « La mia sorella, che tra bella e buona
Non so qual fosse più, trionfa lieta
Nell’ alto Olimpo sià
di sua corona, »
16 Si disse prima, e poi: « Qui non si vieta
Di nominar ciascun, da ch'è sì munta
Nostra sembianza via per la dieta.
19 Questi, » e mostrò col dito, « è Bonagiunta,
Bonagiunta da Lucca; e < lella faccia
Di là da lui, più che l’alti
trapunta,
22 Ebbe la santa chiesa in le sue braccia:
D. PRE L'ALTRUI: per amor di Virgilio,
«per trovarsi con lui e star più von lai ; »
Buti,
ll. Da xoTAR: degna di nota; cfr. Inf.
XX, 104.
13. TRA BELLA: calla domanda aatisfa-
condo, dice l'orese cho Piccarda, la quale
fu molto bella del corpo e molto intera
dell’ anima, e sì che non sa se la bontade
avanzò la bellezza, o la bellezza la bon-
tade, già della sua vittoria ch’ ebbe con-
tro il mondo trionfa nel Cielo; » Ott.
V. 16-33. Persone notevoli nel gi-
rone dei golosi. Rispondendo all'altra
domanda di Dante, Forese gli mostra
© nomina cinque personaggi da notare:
un poeta, un papa, un fratello di cardi-
nale o padre di arcivescovo, un arcive-
scovo ed un nobile cavaliere. Due per-
sone di Chiesa e tre secolari.
16. QuI: in Purgatorio, dove nessuna
delle anime si vergogna di essere noini-
nata, come fanno inveco molte anime
nell’ Inferno.
17. pa CH'E: poichè la nostra sem-
bianza è così munta via (= attenuata ©
quasi svanita) per lo digiuno, che al volto
non poasiaino essere riconosciuti; confr.
Purg. XXIII, 43 e seg. Altri intendono:
Polché la nostra sembianza è molto mun-
ta; cfr. Betti 11, 78.
19. BONAGIUNTA: figlio di Riccomo di
Bonagiunta Orbicciani degli Overardi da
Lucca, morto poco dopo il 1296, nel de-
cembre del qual anno si trova menzio-
nato come operaio della Chiesa di San Mi-
chele. Si hanno di lui molte poesie che lo
mostrano servile imitatore dei proven-
cali, assolntamente privo di originalità
6 rozzo nella lingna e nello stilo, Dante
lo menziona con biasimo anche altrove,
De Vulg. El. 1,13. Cfr. MinuroLi in D.
e il suo sec., 222 0 Beg. LUCCHESINI, Sfens.
e Docum. per servire alla storia del ducato
di Lucca 1X, 82 © sog. Encicl., 272 © seg.
« Fuit vir honorabilis, luculentus orator
in lingua materna, et facilie inventor
rhythmorum, sed facilior vinorum, qui
noverat autorem in vita, et aliquando
scripserat sibi.... Fuit maximus magister
gulositatum; » Benv.
20. FACCIA: « non dice Quegli di là da
lui, ma pur quella faccia, per tener chi
legge più aftissato all'idea della emacia-
zione: la quale troppo più che altrove
nella faccia apparisce; ed anche, per-
chè le fattezze che contraddistinguono
uno dall’ altro, dimorano in ispezieltà
nella faccia; » Ces.
21. PIÙ CUR L’ALTRE: quelle ombre
erano dunque qual più qual meno di-
magrate, secondo che avevano più o
meno peccato di golosità. Costui più
magro di tutti, dunque più goloso, -
TRAVUNTA: estenuata.
22. KBBR: fu sposo della chiesa; cfr.
Inf. XIX, 57. L questi Martino IV,
papa dal 22 febbraio 1281 al 29 marzo
1285, che lasciò di sé fama di pontefice
maguauimo (cfr. Vill. VII, 58, 106), anzi
di sant’ uomo (cfr. Murat. Script. INI, 1),
benché fosse cssenzialmente schiavo di
Carlo re di Napoli, « Fu molto vizioso
nel vizio della gola, e fra l'altre ghiot-
(GIRONE SESTO)
Pore. xxiv. 28-81
(ALCUNI GOLOs}) 587
Dal Torso fu, e purga per digiuno
L’anguille di Bolsena e la vernaccia. »
25 Molti altri mi nomò ad uno ad uno;
E del nomar parean tutti contenti,
Si ch’io però non vidi un atto bruno.
28 Vidi
per fame a véto usar li denti
Ubaldin dalla Pila, e Bonifazio
Che pasturò col ròcco molte genti.
31 Vidi messer Marchese, ch’ ebbe spazio
tornie nel mangiare ch' elli usava, fa-
ceva torre l'anguille del lago di Bolsena,
© quelle facea annegare e morire nel
vino della vernaccia, poi fatte arrosto lo
mangiava; ed era tanto nollocito a quel
boccone, che continuo ne volea, e faceale
curare © annegare nella sua camera. E
circa lo fatto dei ventre non ebbe nè uso
nè misura alcuna, e quando elli era bene
incorato dicea : ‘‘ O sanclus Deus, quanta
mala patimur pro ecclesia sancta Del; ,, »
Lan. <Faciebat coqui angaillas lacus Bol-
sens in vernaccia.... Unde super ejus se-
pulcro fertur quod sunt isti duo versus:
Gaudent anguille, quia mortuus hic ja-
cot {lif Qui quas! morte reas excoriabat
eas; » Postill. Case. Altre notizie Com.
Lips. II, 466 © seg. Cfr. Murat. Script.
III, 1, 608 e seg.; XI, 1185 e seg. Ray-
nald. Annal. eccl. nd a. 1281-85. Pot-
thast, Regest. Pontif. Rom., 1756 e seg.
Duchesne, Cardinaux franc. I, 288 e neg.
Ejued. Chancelliers de France, 234 e seg.
28. DAL Torso: Martino lV fudi Mont-
pincé nella Brie, ma è detto dal Torso
(cioè di Tonrs in Francia) per essere
stato tesoriere di quella città.
26. CONTENTI : non disgustati ; nessuno
se la prese in mala parte, onde nessuno
fece un segno di dispiacere, o un atto
scortese sentendosi nominare. Il contra-
rio Inf. XXX, 100 e seg.; XXXII, 112
© seg.
28. USAR: vidi muovere invano i denti,
come se volessero mangiare. < Petit illo
dapes sub imagine somni: Oraque vana
movet, dentemqnein donte fatigat; Exer-
cotquo ciho doloaum gnttor inani: Pro-
qne epulis tennes nequioquam devorat
anres; » Ovid. Met. VIII, 826-829.
29. UBALDIN : del ramo della nobile fa-
miglia degli Ubaldini che si donominò
dal castello dolla Pila nel Mugello, fra-
tello del cardinale Ottaviano (Inf. X,
120) e di Ugolino d'Azzo (Purg. XIV,
105), padre dell’ arcivescovo Ruggieri
(Inf. XXXIII, 14). « Fu molto goloso
© poocò molto in volerne in quantità ol-
tro misura; » Lan. « Peood nella elezione
do’ più diletti cibi; » Ot. Valente uomo
lo dicono altri comm. antichi. Vedi pure
Franco Sacchetti, nov. 205. - BONIFAZIO :
dei Fieschi, conti di Lavagna, genovese,
nepoto di Papa Innocenzo IV, arcive-
scovo di Ravenna dal 1274 sino alla sua
morte avvennta il 1° febbraio 1296. Fu
piuttosto agitatore politico che pastore
d'anime, eccessivamente amante del lus-
so, mentre invece la taccia di goloso fn
procurata alla sua memoria soltanto da
Dante; cfr. Com. Lips. II, 468. Ricci:
Ultimo rifugio, 120.
80. Ròcco: pastorale o bastone con in
cima una picoola torre simile al rdcco
degli scaochi. Cfr. Encici., 1692 e seg. -
MOLTK GRNTI: che nella sua posizione di
arcivescovo mantenne intorno a sè, vi-
vendo lantamente. Finissimo sarcasmo;
cfr. Ricci, |. cit., 121: <il verbo pastu-
rare presenta in questo caso due tagli
e con l'ambiguità determina l' epigram-
ma fra il pasturare il gregge cristiano
con la parola evangelica e la pietà, e il
pasturare o sfamare il gregge dei corti-
giani che gli si addensavano intorno. »
31. MARCHRSE: « Iste fuit nobilis mi-
les de Argugliosis de Forlivio, pater
doming Lets, que fuit mater domini
Bernardini de Polenta, qui fuit dominus
ravennatum. Fuit iste vir curialis et
placidas multum. Unde cum semel adiu-
rarot pincornam sunm, nt nibi diceret,
quid diceretur de on; et illo reapondente
trepide: ‘* Domine, dicitur, quod num-
quam facitis nisi bibere; ,, dixit riden-
ter: ‘‘ Et quare numquam dicunt, quod
semper sitio? ,,» Benv. - KBBE SrAzio:
ebbe, vivendo, agio di bere a Forlì con
588 [ciro | SESTO]
Puro, xxiv. 82-48
. [GENTUCCA]
trà di bere a Forlì con men secchezza,
i sì fo tal che non si senti sazio,
come fa chi guarda e poi fa prozza
iù dun cho d'altro, fe’ io a quel da Lucca,
he più parea di me aver contezza.
normorava, e non so che « Gentucca »
antiva io là ov’ ei santia la piaga
84 ]
87 E
40 «
48 <
46 T
minor sete chemu..-......ijli..... ..iugu,
e nondimeno fu tal bevitore cho con tutto
il sao bevere non gli riuscì di estinguere
l’ insaziabile sua sete.
V.34-48. La Gentucca lucchese. Più
che non agli altri, Dante fa naturalmento
attenzione al poeta Buonagiunta, il quale
mormora Gentucca e, chiesto che cosa si
voglia dire, predice a Dante che una gio-
vine donna gli farà piacere la città di
Lucca, sebbene per molti se no dica
male. Questa donna fu Gentucca Morla,
maritata a Cosciorino Fondora, la quale
nel 1317 era nel fiore dolla giovinozza;
cfr. Minutloli in D. e tl suo sec., 228 0
seg. Com. Lips. IT, 470 e seg. Il Buti
afferma che Dante essendo a Lucca amò
questa donna « per la virtà grande ed
onestà che era in lei, non per altro amo-
re;» Altri credono che si accenni qui ad
un amore sensuale. Ma se Dauto fu a
Lucca nel 1314, come si crede, egli uvova
49 anni, età ben poco favorevole agli
amoruzzi, nè è probabile che egli modi-
ficasse il suo gludizio sui Lucchesi per
amore di una bagascia, piuttosto che di
una donna casta e virtuosa.
34. FA PREZZA: fa stima di uno più che
di altri. Prezza è lo stesso che Prezzo,
stima, conto.
36. CONTEZZA: cognizione; sembrava
conoscermi più degli altri. Al. LI MK
VOLER CONTEZZA: che più degli altri sein-
ollucea.
| par si vaga
"10 t’ intenda,
B appaga. »
iorta ancor benda, »
À piacere
om la riprenda.
antivedere;
endesti errore,
98 vere.
brava voler sapere di me, o volere di me
alcuno schiarimento; cfr. v. 49.
38. LÀ: in bocca a lal, fra i denti,
ov’ ogli più forte sentiva il tormento
della fame.
39. LI PILUCCA : li dimagra, consuma a
poco a poco. Un traslato simile Purg.
XXIII, 58.
42. TE k MK: Bonagiunta desiderava di
aver contezza di Dante, e questi di sapere
cosa Bonagiunta volesse dire con quel
nome di Gentucca mormorato tra i denti.
43. FIOBIINA: così chiama Dante la
mudro Eva, Purg. XXIX, 20, lo dunne
virtuose antiche, Inf. IV, 30, ed anche
Maria, Conv. II, 6: « Maria Vergino
femmina veramente. » - NON PORTA : 6
ancora zitella. Soltanto lo donne mari-
tate e le vedove portavano bende.
45. CITTÀ: Lucca, - uomM: Dante avea
chiamato Lucca un nido di barattieri,
Inf. XXI, 4l o seg. « Questo dice, im-
però che li Lucchesi sono ripresi di lo10
costumi e del loro parlare; » Buti.
46. CON QUESTO: con questa mia pro-
fezia che una donna ti farà piacere la
mia città.
47. 6K NEL: so traesti il mio mormo-
rare ad altro senso i fatti che certamente
avverranno to ne daranno poi la spiega-
zione.
V. 49-63. Il dolce stil nuovo. Bona-
giunta chiede so colui che egli vede sia
[GIRONE SESTO]
Puro, xxtv. 49-63 [DOLCE STIL NUOVO] 589
49 Ma di’ s’io veggio qui colui che fuore
Trasse le nuove rime cominciando:
‘ Donne, ch’ avete intelletto d'Amore. ,, »
52 Ed io a lui: « Io mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, ed a quel modo
Che detta dentro, vo significando. »
55 « O frate, issa veggio, » disse, « il nodo
Che il Notaro e Guittone e me ritenne
Di qua dal dolce stil nuovo ch’ i’ odo.
58 Io veggio ben come le vostre penne
Diretro al dittator sen vanno strette,
Che delle nostre certo non avvenne;
i E qual più a riguardar oltre si mette,
Non vede più dall’ uno all’altro stilo: »
E quasi contentato si tacette.
reramente quel Dante Alighieri che ini-
ziò una nuova maniera di poetare. Nella
sua risposta Dante espone il principio
fondamentale della poesia, per cui lo stile
è l'intima rispondenza della parola al
pensiero, e Bonagionta confessa di non
aver conoscinto e soguitato con altri que-
sto prinelpio che è l'unico fondamento di
qualsiasi vera poosia.
49. FUORE: fnori dall'animo, dal cuore.
50. xvuovk: diverse da quelle della
sonola siciliana provenzaleggiante, como
pure da quello della souola dottrinale
teorlzzante sopra un amore estraneo nl
cuore.
51. vowNK: principio di una canzone
di Dante; ofr. Vita Nuova, $ 19.
53. AMOR MI SPIRA: Al. AMORR BLIRA :
- NOTO: oaservo la natura del senti-
mento d' amore.
4. peTTa: esterno gli intimi senti-
menti inspiratimi da amore. « La mia
lingun parlò quasi per sà stessa mossa; »
Vita Nuova, § 9, « Parole che il core mi
diase con la lingua d'amore.... Parvemi
che Amore mi parlasse nel core, e mi di-
cesse, sco, » idid., § 24,
65. 1884: messo; efr. Inf. XXIIT, 7;
XXVIL GI. In, HOO: l'Impelimeonte.
66. ii. Norato: Incopo dn Lentini,
poota provonzaleggiante che flori nella
prima metà del secolo decimoterzo e mori
verso il 1250; ofr. Vulg. FI. I, 12. Mon-
GITORE, Bibl, Sicul. I, 209. - GurtTONE:
d'Arezzo, capo della senola poetica dot-
trinalo, fiorì dopo il 1250 © morì a Vi-
renze nel 1204; cfr, Purp. XXVI, 124.
Vulg. Et. I, 13; II, 6. Quapnto, IT, 161.
MazzuccHELLI, I, 2 p. 1026 è sog. Pen-
TICAnI, Seritt, del Trecento, 8 © sog. Bah-
TOLI, Lett, ital. IT, 279 6 seg. CARDUCCI,
Studi lett., 85, eoe.
67. pi Qua: nddietro, lontani. — stIL
NUOVO: della acuola fiorentina,
58, vostre: Dante, Guido Cavalcanti,
Lapo Gianni, Dino Frescobaldi, Gianni
Alfani e tutti gli altri poeti della sonola
fiorentina del dolce stil nnovo,
59. AL DITTATOR: ad amore che vi detta
dentro e che voi seguitate strottamente.
Ol, A RIGUARDAR: Al. A GUARDARE ; A
GUATARE; A GNADING. « E qual più oltre
n riguardar si mette, cloA lo tno dire et
lo nostro, non vede più di differenzia dal
tno modo di dire nl nostro, che quel che
ditto è: che tu vai stretto al movimento
dell'animo e noi larghi; » Buti. Sulle va-
rie interpretazioni di questo verso cfr.
Com, Lips. II, 476. Della Giovanna, Note
lett. Pal. 1888, 1-26. Moors, Orit., 413 è
seg. I] Betti legge GUARDARE, ed inter-
preta: « E chiunque oggi si mette più
a guardar oltre (ciod ba occhi acati in
quoste coso della lingua) non trova più
parmgeoo tea l'nno o l'altro atilo, clod
fra lo all nioatro rogo, o | vostro al
bello © gontilo;» 11, 1.
63. CONTRNTATO : del suo colloquio con
Dante.
V. G4-81. Dante e Forese, Bona-
gianta è gli altri spiriti purganti vanno
frettolosi avanti; soltanto Forese a) trat-
590 [GIRO SESTO]
64 (
Pura, xxv. 64-76
[DANTE E FORESE]
10 gli augei che vernan lungo il Nilo
lcuna volta di lor fanno schiera,
oi volan più in fretta e vanno in filo;
67 C
| tutta la gente che li era,
olgendo il viso, raffrettò suo passo,
per magrezza e per voler leggiera.
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tiene ancora 4
lentamente, €
dandogli quan.
risponde Dant
sto, perchè Fi.
più, e par disp__ 35
aspetta di rivede... wate: v (Utom 200
osserva nulla in contrario, il nostro Poeta
aspettava anche lui di dovere venire
un'altra volta in questo cerchio. Con al-
tre parole: in questi versi Dante si con-
fessa colpevole del peccato della gola.
64. GLI AUGKI: lo gru, che passano I’ in-
verno lungo il Nilo. « Aves, ubi frigidus
annus ‘Trans pontum fugat et terris in-
mittit aprices; » Virg. Aen. VI, 311 e seg.
e Strymona sic gelidum, bruma pellente,
relinquunt Poture te, Nile, grues, pri-
moque volata Efingant varias, casu
monstrante, figuras; » Lucan. Phars V,
711 © seg. - LUNGO: Al. vikuso.
65. DI LOR: Al. IN aku; Al. DI BB
FANNO SCHIKKA.
66. IN FILO: l'uno dopo l'altro, iu ri-
ga; cfr. Inf. V, 47. Par. XVIII, 73-75.
68. VOLGKNDO: verso man destra, nella
direzione del loro cammino; tin qui ave-
vano tenuto gli occhi rivolti a Dante,
v. 4-6. - RAFFRETTO: « per ristorare lo
stallo che aveano fatto; » Buti.
69. VOLK: desiderio di continuare la
penitonza e la puriticazione.
70. TROTTARR: correre; lo dice tuttora
il popolo anche dell'uomo; cfr. Bocc.,
Dec. II, 2. Davanzati, Annali I, 19:
« Il figliuolo del legato trottato a difen-
derli. »
71. sì rassKaaia: solo 0 quietamente.
72.318FOGHI: cessi la fuga, I impeto
i dd
ire è lasso
i, © sì passeggia
ar del casso;
greggia
| veniva,
h’ io ti riveggia? »
quant’ io mi viva;
ansante petto, — AFFOLLAR: da follia,
gare, - CA8SO; petto, inquanto è la
i del polmoni; efr. Purg. XV, 61.
‘idus e lasso veniebat anlolitas ore; »
i. Met. X, 663. « Qui è da notare che
ne ice di questo verbo contiene in gor-
ine nna delle più bolle acoperte della Fi-
siologia, 1) macchiniamo del respiro nel-
l'animale è in tutto simile a quello del
mantice. Gli anelli son tenuti insieme
nel mantice dal cuojo, e da’ muscoli in-
tercostali son tenute insieme le costole
dell'animale. Il mantico prende l'aria per
l'unimella, come dicevano i nostri buoni
vecchi, o per la valvola, come dicono i
moderni; e l'animale per la bocca. E
come l’aria scende, per la gravità sna,
dentro il mantice divenuto noll’ aprirsi
più capuce: così, pur la gravità, scundo
l'aria, aprondosi il torace, giù nol pol-
mone. E como, stringendo, il mantice sof-
fin: cos) stringendosi il torace, l'animale
respira. Ma benchè Dante e il popolo to-
scano chiamassero, gran tempo innanzi,
mantice il petto; nonostante la somi-
glianza perfetta dell'oprar dell’ uno e
dell'altro sull’aria, non fu dimostrata
che nel secolo XVII da uno scolare di
Galileo, Fu il Borelli il primo a dimo-
strure che non entra l'aria nel polmone
per succiamento, come in una tromba,
ciò che crodevasi comunemente da tutti;
ma per effutto del peso dell’ aria, giusto
come nel mantico; » Oaverni. - Casso:
torace; confr. Inf. XII, 122; XX, 13;
XXV, 74.
73. sì: così Forese lasciò passare avanti
la sanfa greggia dello anime purganti.
75. QUANDO FIA: quando ti rivedrò qui.
[GIRONE SESTO]
Pure, xxiv. 77-90
[CORSO DONATI] 591
Ma già non fia il tornar mio tanto tosto,
Ch'io non sia col voler prima alla riva:
70 Però che il loco, u’ fui a viver posto,
Di giorno in giorno più di ben si spolpa,
Ed a trista ruina par disposto. »
82 « Or va’, » diss’ei, « ché quei che più n' ha colpa
Vegg'io a coda d'una bestia tratto
In vér la valle, ove mai non si scolpa.
85 La bestia ad ogni passo va più ratto,
Crescendo sempre, fin ch’ ella il percuote,
E lascia il corpo vilmente disfatto.
88 Non hanno molto a volger quelle rnote, »
E drizzò gli occhi al ciel, « che ti fia chiaro
Ciò che il mio dir più dichiarar non puote.
77.IL TORNAR: qui; desideroso di morir
presto, per non veder più lungo tempo i
mali della mia patria.
BO. 8I BPOLLA : si priva. « Spolpare è le-
vare la polpa, è però si piglia spolpare
per privare; » Buti,
V. 82-93. Corso Donati. Per conso-
lar Dante, Forese predice, in modo un
po'oscuro, la tragica fine del proprio
fratello Corso, capo dei Neri e principal
causa dei mali di Firenze; cfr. Vill, VIII,
8, n0, 42, 40, GR, Sulla morte di Corso
Donati, Giovanni Villani, che dovea pur
essere assai bene informato, racconta
(VIII, 96) che nel 1908 Corso fu ncoon-
sato di tradimento e senz'altro condan-
nato come ribelle è traditore della patria.
Corso si difese valentemente, fidandosi
di aver aiuto da Ugnocione della Fag-
giuola. Deluso in questa speranza, si
vide finalmente costretto di darsi alla
fuga. E « tutto solo andandosene, fu
giunto e preso sopra a Rovezzano da
certi Catalani a cavallo, e menandolne
presso a Firenze, come fa di Costa a San
Salvi, pregando quegli che '1 menavano,
è promettendo loro molta moneta se lo
scampassono, i detti volendolo pure mo-
nare n Firenze, siccom' era loro imposto
da’ signori, messer Corso per panra di
venire alle mani de' suni nemici è d'os-
sere ginstiziato dal popolo, essondo com-
preso forte di gotte nelle mani e ne' piedi,
al Insciò cadere da cavallo. I detti Cata-
Jani veggendolo In terra, l'uno di loro gli
diede d' nna lancia per In gola d'un colpo
mortale, e lasciaronlo per morto: | mo-
naci del detto monistero il ne portaro
nella badia, e chi disse che innanzi che
morisse si rimise nolle mani di loro in
luogo di ponitenzia, è chi disse che il tro-
var morto, è l'altra mattina fu seppellito
in San Salvi con piccolo onore e poca
gente, per tema del comune, » Così pure
Ott., An, Fior,, Benn,, eco. Altri raccon-
tano il fatto on po' diversamente ; cfr.
Com. Lipa. 1], 4786 seg. Dante si atten-
ne ad una di quelle tradizioni che nel
l'esiglio erano venute a sna notizia.
82. va': consolato. - quer: Corso.
83. TRATTO: trascinato a coda di ca-
vallo.
84. IN vit: Al. VERSO LA VALLE, nel-
l'inferno, cfr. Inf. IV, 8. Par. XVII,
187, dove le colpe non si rimettono in
eterno, Invece il Betti: « Non credo che
Dante abbia voluto dire che M. Corso
fosse tratto a coda di cavallo all'inferno.
La cosa snrebbe assai poerile. Stimo dun-
que che Ja valle ove mai non si scolpa, sia
appunto Firenze, rassomigliata all'infer-
no, E la seguente terzina lo indica chia-
ramente, - Ove non si scolpa, cioè dove
niuno può mai pnrgarsi delle colpe che
gli sono apposte, E Dante il sapeva!»
85, LA NESTIA: il cavallo va ad ogni
paseo più veloce, ncereacenilo rompre più
nuova lona nl procipitoso ano corso, fin-
chè lo percuoto è lo lascia ignominiosa-
mente nociso,
RR. RUOTR: le sfere celesti. Vuol dire:
non passeranno molti anni.
90, co: quello che lo non posso di-
chiararti più npertamento.
092 [GIRONE SESTO]
Puro. xxrv. 91-110
[ALBERO MISTICO]
DI Tu ti rimani omai, ché il tempo è caro
In questo regno sì ch’ io perdo troppo,
i Venendo teco sì a paro a paro. »
da Qual esce alcuna volta di galoppo
Lo cavalier di schiera che cavalchi,
E va per farsi onor del primo intoppo,
97 Tal sì parti da 1
Ed io rimasi *=
Che far del
100 E quando inn
Che gli ocem
Come la n
103 Parvermi i r
D’ un altro ,
Per esser pr
106 Vidi gente «
E gridar L..
or valchi;
» i due,
maliscalchi.
rato fue, ©
lui seguaci,
Bue,
aci
Ito lontani,
in Jaci.
nani,
o fronde,
Quasi bramosi tantolini e vani,
109 Che pregano, e il pregato non risponde,
Ma per fare esser ben la voglia acuta,
91.TI RIMANI : indietro coi tuoi due com-
pagni, chè qui nel Purgatorio il tempo è
sì prezioso, che continuando a venir teco
a pari passo ne perderei troppo.
V. 04-120. Il secondo albero mi-
stico. Forese si parte frettoloso per rag-
giungere i suoi compagni ; cfr. Inf. XV,
121-124. I tre Poeti arrivano presso un
altro albero e vodono sotto esso gente
alzar le mani, e gridare come fantolini,
e poi partirsi. Fra le frasche si ode una
voce che esorta i viandanti a trapassar
oltre, ricordando che l'albero trae saa
origine da quello della conoscenza nel
giardino di Eden, il cui fratto proibito
fu gustato da Eva.
94. QUAL KSCE: come interviene alcuna
volta che, cavalcando schiera di soldati
per incontrare il nemico, ulcuno do’ più
arditi esco dulla schiera di galoppo in-
contro al uemico per aver vgli l'onore di
essero il primo a combattere, tal si parti
Forese da noi con passi maggiori dei
nostri. .
96. INTOPPO: dal primo scontro col
nemico.
97. VALCHI: passi, valichi; cfr. Diez,
Wort. II°, 78.
98. CON KSSO I DUE: Al. CON ESS} DUE;
Virgilio e Stazio, senz' altra compagnia;
ofr. Purg. IV, 27.
99. MALISCALCHI: marescalchi o mare-
scialli = sommi maestri.
100. E QUANDO: ed allorchè Forese si fa
tanto dilungato da noi che io non lo ve-
deva più se non confusamente, come la
mia mente non aveva inteso che confa-
samente le sue parole colle quali mi aveva
predetto la morte di Corso Donati.
103. PARVERMI: mi apparvero, vidi. -
GRAVIDI: carichi di frutta e verdeggianti.
104. ALTRO: diverso dal primo, confr.
Purg. XXII, 130 © seg. - LONTANI: dal
luogo ove eravamo.
105. PRR K8SKR: perchè rimaneva die-
tro il sommo dell'arco del monte, al di
là del quale solamente allora, avendo gi-
rato, potova cominciare a vederlo. - LÀCI :
è il lat. illac, là.
1060. GENTE: anime purganti. - ALZAR:
por prendere, se fusso stato possibile, di
quelle frutta.
108. Quasi: come piccoli fanciulli im-
potenti ad ottenere la cosa che deside-
rano. - FANTOLINI: dice la vanità del
vizio e la minore gravità;» Tom. - VANI:
alzanti invano le braccia.
110. LA VOGLIA: Al. LOB VOGLIA,
[GIRONE SESTO]
Pora. xxtv. 111-123 (AaLRERO MisTICO] 593
Tien alto lor disio e nol nasconde.
112 Poi si parti si come ricreduta ;
. E noi venimmo al grande arbore adesso,
Che tanti preghi e lacrime rifiuta.
115 « Trapassate oltre senza farvi presso;
Legno è più su che fu morso da Eva,
E questa pianta si levò da esso. »
118 Sì tra le frasche non so chi diceva;
Per che Virgilio e Stazio ed io, ristretti,
Oltre andavam dal lato che si leva.
12k « Ricordivi, » dicea, « dei maledetti
Nei nuvoli formati, che satolli
Teséo combattér coi doppi petti;
111. Lor pislo: l'oggetto del loro de-
siderio.- NOL NASCONDE: per istuzzicare
tanto più la loro voglia.
112. rot: quindi quella gente ai pari)
come disingannata, caséndosi persunan
vani essere tutti gli sforzi di cogliere
delle frutta di quell'albero.
113. ADESSO : subito; cfr. Vor. Or. a. v.
114. RIFIVUTA: non esandisce.
115, TRAPABSATE: come dal primo, asce
anche dn questo secondo alboro una voce
che esorta chiunque la ode alla tempe-
ranza. Li la voce incominciava dal gri-
dare: « Di questo cibo avrote caro, » Purg.
XXII, 141; qni la voce esordisce coll'am-
monizione; « Trapassate oltre e non av-
vicinatevi !» Idue gridiconsnonanol'uno
coll'altro ed il secondo ricorda pure il
precetto dato da Dioni progenitori : «Non
mangiar dell'albero della conoscenza del
bene o del male; » Gen. 11, 17.
116, LEONO: albero. - Pid at): sulla cima
del monte nel paradiso terrestre. - MORSO:
gustato, Il primo albero annonziara anzi
tutto la temperanza di Maria, Purgat.
XXII, 142 e sog.; il secondo ricorda la
golosità di Eva. Come i SS. Padri ama-
rono opporre in diversi modi Maria ad
Era, così anche il Poeta: « Doe menso
son poste innanzi all'immaginazione e al
pensiero de' penitenti: l'ana in Eden, tra
l'erbe o | flori che poco stante doveano
cangiarsi in triboli o spine; l'altra in Ca.
na, fra l'idrie dell'acqua infeconda ch'era
per tramutarsi nel vino vivifico. Vedesi
Era o Adamo all'una, Maria 6 Gesù nl-
l'altra, là Eva che dall'albero vietato
trae 6 versa ne" petti umani il succo onde
s'avvolenn ogni bell'affetto; qui Maria,
38, — Div, Comm., 3% ediz.
che da Colui il quale ha detto To sono la
vite trae il vino che restaura e santifica
l'amore; là cominciata l'ora della caduta,
qui accelerata l'ora del risorgimento del
gonere nmano; » Perez, Cerchi, 220,
117, st LEVÒ: questa pianta è nn pollo-
ne dell'albero della aclenza del bone o del
male, che è nel paradiso terrestre, dove
la prima legge dell'astinenza fu data e
trasgrodita; ofr. Purg. XXII, 131 e seg.
118. cnt: forso un Angelo; cfr. Purg.
XXII, 140.
119, ren can: per nbbidire al precetto
di non accostarci all'albero. - RISTRETTI :
atretti l'uno all'altro, l'albero easendo
nel mezzo è la vin angusta.
120. DAL LATO: a sinistra dell'albero,
dalla parte della costa,
V. 121-129. Esempi di golosità. Ol-
tre la menzione di Eva che mangiò del
frutto vietato, In voce nell'albero mistico
ricorda altri esempi di golosità ponita:
i Centauri che, invitati dai Lapiti loro
vicini alle noaze di Piritoo e d' Ippoda-
min, a'insbriarono, tentarono rapiro la
novella sposa con le altre donne, e furono
vinti e la più parte nocisi da Tosco è
da'snoi; cfr. Ovid. Met. XII, 210-535.
Virg. Georg. II, 455 6 seg. Horat. Od.
I, 18, 7 caog. Tl secondo è l'esempio do-
gli Ebrei che a' inchinarono sopra le gi-
nocchia per bere, onde furono rimandati
n casa loro è non ebbero vernna parte
alla vittoria riportata da Gedeone sopra
i Madianiti; cfr, Giwdiei VI,11-VII, 25.
122. NEI NUVOLI: secondo la mitologia
i Centanri orano figli di Isslone o della
Nnvola.
128, porri: d'uomo o di cavallo.
594 [GIRON iESTO]
Pure. xxtvy. 124-140
[ESEMPI DI GOLOSITA]
gli ebrei, ch'al ber si mostrar molli,
r che non gli ebbe Gedeon compagni,
iando invér Madiàn discese i colli, »
scostati all’ un de’ due vivagni,
ssammo, udendo colpe della gola,
guite già da miseri guadagni.
134 E
127 SÌ,
180 Po.
182 « C
{
(
136 Dr
139 Ce
126. NON GLI KUbR: Al. NO’ I VOLLE;
loziono bugiarda. Gedeone li voleva sì,
ma Dio non volle, onde Gedeone non gli
ebbe; cfr. Com. Lips. IT, 485.
120. bIisckSK: « i] campo du’ Madinniti
ora disotto di lui nella Vallo; » Qiudici,
VII, 8.
127. ALL’ UN: all'orlo interiore del cor-
chio.
128. coLrk: esempi «i colpevoli golo-
sità seguite da gastighi, danni e pene.
V. 130-154. /.fagclo dell’austinon-
za. I Poeti vanuo avanti silonziosi © me-
ditando sullo cose vedute od udite. Fatti
oltre mille passi arrivano al varco, dove
un Angelo di coloro acceso li fa montaro
su, toglie dalla fronte di Dante veuti-
lando il sesto Po canta una delle beati-
tudini evangeliche, adattandola alle ani-
me di questo girone.
130. RALLARGATI: non più ristretti; v.
119. « Erano vonuti fra la costa o l'albero
ristrotti lnsleme; passuto l'albero si spar-
tirono al largo dolla via; » Ces. - sola:
solitaria, lo anime purganti cssendo già
undate tanto avanti che più non si vedo-
vano. Al.: sola, perchè non più occupata
dall'albero che prima la divideva in due.
Secondo altri sola vale qui unica, non
essendovi da questa infuori verun'altra
strada.
13]. Cl PORTÀu: cfr. Purg. XXVIII,
iortàr oltre,
nza parola.
Di sol tre? »
} mi scossi,
ite e poltre.
hi fossi;
in fornace
8 rossì,
© S'a voi piace
vien dar volta;
22. Al. CI rORTAMMO; ma Il francesismo
portarsi per andare, recarsi non fa mal
usato nè da Dante nè da altri scrittori
del Trecento.
132. CONTKMPLANDO: avendo ciascuno
di noi tro il ponsiero flsso sulle cose ve-
dute ed udite.
133. VOl SOL TRE: voi tre soli; cfr. Inf.
VII, 28. Purg. XX, 4.
134. SUBITA : improvvisa. - VOCE: del-
l'Angelo.
135. voLTRR: pigre, sonnacchiose ; ofr.
Inf. XXIV, 46. Al.: polledre, gioven-
chelle. Al.: spaventate, ombrose. Confr.
Antos., Orl. fur. XXIII, 90. Cano, Enei-
de I, 6. Encicl., 1539.
186. FO8s1: fosso; cfr. Inf. IV, 64; de-
sinenza antica regolare, ora fuor d’ uso.
138. KO8s1 : i quattro sacri animali visti
dal profeta Ezecchiolo I, 7, orano «sfavil-
lanti quale è il coloro dol rame forbito ; »
l'Angelo nolla visione di Daniolo X, 6, la
lo braccia ed i piadi simili al rave for
bito; i piedi di Cristo nella visione di
S. Giovanni, Apocal. I, 15, orano « gi-
mili all’ oricalco, qual egli è nella ardente
fornace. »
139. un: l'Angelo dell'astinenza.- ria-
Ck: «questo finge, perchè il ben fare
do’ essere da la propria volontà; » Buti.
140. DAR voLta: volgersi a sinistra
dove è la scala per saliro.
|GIRONE SESTO]
Puro. xxiv. 141-154
[ANGELO] 595
Quinci si va, chi vuole andar per pace. »
142 L'aspetto suo m’avea la vista tolta:
Per ch'io mi volsi retro a’ miei dottori,
Com’ uom che va secondo ch'egli ascolta.
145 E quale, annunziatrice degli albéri,
L’aura di maggio muovesi ed olezza,
Tutta impregnata dall’ erba e da’ fiori;
148 Tal mi senti’ un vento dar per mezza
La fronte, e ben senti’ mover la piuma,
Che fe’ sentire d’ambrosia l’orezza.
151 E senti’ dir: « Beati cui alluma
Tanto di grazia, che l'amor del gusto
Nel petto lor troppo disir non fuma,
154 Esuriendo sempre quanto è giusto. »
141. Quinct: da questa parte si va, chi
voglia andare alla beatitudine,
142. ron,ra: nbbarbagliata, per lo so-
verchio splendore; cfr. Purg.II, 30; IX,
Bl; XV, 25 6 seg., 600,
143. neTRO: Al, INDIETRO |; « Vuol qui
Dante significare che non potendo egli
soffrire, pel troppo lume dell'Angelo, di
camminare di paro co' due compagni, si
rivolse è si mise loro dietro, dirigendosi
nel cammino, non colla vista, cho orn ab-
barbagliata, ma coll' udito, coll’ udire n
parlare i compagni, ai quali s'era messo
retro; » Lomb. Che Virgilio e Stazio an-
dassero parlando, Dante non dice,
144. 8ECONDO : dietro Il snono, delle pa-
role, o delle pedate. « Sensit ot ad sonnm
vocis vestigiatoralt;» Virg. Aen. III,669.
145, DeoLt ALBORI : dell'alba; cfr. Tas-
so, Ger. IIT, 1, « Vuol dire che, innanzi
che si liovi l'alba, comincia a trarre uno
venticello, che si chiama aura, et questa
aura, cioè questo venticello, che al liova
da' fiori et dalle erbeodorifere, rende odo-
re et sonvità; » An, Fior.
146. MUOVESI ED OLREZA : spira sonvo
ed odorifera,
148. un vento: il ventilare dell'ala
angelica, col quale l'Angelo gli cancella
dalla fronte il ponnitimo 1° significante
il pecento della gola.
140. LA PIUMA: l'ala dell'Angelo.
160. L'onezza: l'effluvio dell'ambro-
sia; « Hee ait et liquidum ambrosie dif-
fandit odorem: Quo totum nati corpus
perdoxit, at illi Dalcis compositis apira-
vit crinibus aura; » Virg. Georg. 1V, 415
6 seg. « Avortens roaca cervice refulsit
Ambrosimqoe come divinum vertice odo-
rem Spiravore;» Virg. Aen. I, 402 0 seg.
Orezza, forse da dra = aura (cfr. Diez,
Wart. 1”, 39 eseg.), softio leggiero, ven-
ticello, seffiro, è forse qui nsato per Ef-
fluvio, fragranza, eco., cfr. Monti, Prop.
III, 1, 204.- «Quis none non videat
quantum similitado sit propria; quia an-
golas nune ventilando propinat omle-
stem oscam autori, qua pasceretur aliter
quam iati gulosi odore pomi et aqum, quo
ita cruolantor amare; » Meno.
151. pin: dall'Angelo. - ALLUMA ; illn-
mina; ofr, Purg. XXI, 96, Par. XV, 76;
XX, 1; XXVIII, 6.
152. L'AMOR DEL GUSTO: l' appetito
della gola,
153. NON FUMA : non ispira, non suscita,
154. ESURIENDO : appetendo, sentendo
fame 6 sete non più di quanto è ginsto,
cioè di quanto basta al sostentamento
della vita. Dante, nelle parole che pono
in bocea all'Angelo, traduce ed inter-
pretale parole del Vangelo : « Beati quelli
che hanno fame della giustizia ;» S. Matt.
V, 6. Confr. Purg. XXII, 4-6, trasfor-
mando Je parole della Volgata: qui esu-
riunt justitiam in: qui esuriunt secun-
chrom juatitiam, o ricavandone in tal modo
il sonso: Ienti coloro che sorvano glusta
misura nel cibo, conservanidosi mondi
dal peccato della gola. La fame della
giustizia essendo nella beatitudine evan-
gelica l'antitesi della fame senanale, car-
nale, la parafrasi danteaca si allontana
ben poco dalla sontonza del sacro tosto.
—-— =
596 [SALI]
Puro. xxv. 1-8
coma]
ANTO VENTESIMOQUINTO
SALITA AL
TEORICA D
SETTIMO GIRONE
NE DELL'ANIMA NEL CORPO
A MORTE
LUSSURIA
sndo, cantando inni
jevol mente)
STITA
Ora era onde il salir non volea storpio,
Ché il sole aveva il cerchio di merigge
Lasciato al Tauro e la notte allo Scorpio:
4 Por che, come fa l’ uom che non s’affiggo,
Ma vassi alla via sua, checché gli appaja,
Se di bisogno stimolo il trafigge;
7 Così entrammo noi per la callaja,
Uno innanzi altro, prendendo Ja scala
V. 1-9. L'ora della salita. Sono le
due pomeridiane, onde i viandanti non
hanno tempo da perdere. Si avviano
quindi eu per la scala che mette al sot-
timo od ultimo girono, dei Lussuriosi.
1. ONDE: nolla quale; ora tal ora, per
la qual cagione bisoguava far presto a
saliro. Al. CHK 1L SALI, lozione troppo
sprovvista di autorità. - Bsronvio: impe-
dimento, indugio, ritardo; cfr. Petr. 1V,
Son. VII, 1. Diez, Wort. 13, 403.
2. IL CERCHIO: il moridiano, - MKIKIGUK :
meridies, il cerchio massimo della sfera
celeste, che passa per i poli e per lo ze-
nit; cfr. Purg. XXXITI, 104.
3. SCORVIO: scorpiono. Come altrove,
il Poeta personifica anche qui la notte,
rappresentandola come un ente reale
pari al sole, talché se questo tiene un
dato punto di un emisfero, quella tiene
il punto diametralmente opposto del-
l'altro; cfr. Della Valle, Senso, 53.
4. NON 5’ AFFIGGE: nou ai ferma; cfr.
Inf. XII, 115. Purg. XIII, 33; XXX, 7;
XXXIII, 106.
5. CHKCCHÉ: qualunque cosa gli si pre-
sonti dinanzi gli occhi.
G. TRAVFIGGK: punge. « Trafiggere è
Passare da parto a parte. Nel senso pro-
prio non è sempro Dar morte; nel mo-
taforico von è quasi mai; » ZL. Vent.
7. CALLAJA: probabilmente dal lat. cal-
lis; adito, apertura che si fa nolle siepi
por poter entrare nei campi. Chiawa
così lo stretto passaggio dal sesto al
settimo cerchio. Altrovo calla, confr.
Purg. IV, 22; IX, 122.
8. INNANZI: «primo Virgi ius, secundo
(SALITA]
Puro. xxv. 9-22
(GENERAZIONE) 597
Che per artezza i salitor’ dispaja.
10 E quale il cicognin che leva l’ala
Per voglia di volare, e non s’attenta
D’abbandonar lo nido, e giù la cala;
13 Tal era io con voglia accesa e spenta
Di domandar, venendo infino all’atto
Che fa colui ch’ a dicer 8’ argomenta.
16 Non lasciò, per l’andar che fosse ratto,
Lo dolce padre mio, ma disse: « Scocca
L'arco del dir che insino al ferro hai tratto. »
19 Allor sicuramente aprii la bocca,
E cominciai: « Come si può far magro
Là dove l’uopo di nutrir non tocca? »
22 « Se t’ammentassi come Meleagro
Statius, tertio Dantes; » Benv. Cfr. Purg.
XXVI, 1.
9. ARTEZZA: strettezza; ofr. S. Matt.
VII, 14. Al. ERTRZZA; ALTEZZA ; ma nd
l'ertezza nd l'altezza di una scala co-
stringe i salitori ad andare |’ uno dopo
l'altro. Cfr. MOORE, Crit., 416 e seg.
V. 10-60. Teoria della generazione.
Ardente del dosiderto di sapere come mai
corpi aerei, cho non abbisognano di nu-
trimento, possano patire di magrezza,
Dante, incoraggiato da Virgilio, espone
il suo dubbio. Virgilio procura di dargli
una certa idea del fatto con un esempio
tolto dalla mitologia e con una similita-
dine natarale e matematica. Quindi pre-
gs Stazio di svolgere più ampiamente il
problema. Onde Stazio, dopo una gentile
scnsa a Virgilio ed alcune parole amore-
voli a Dante, sviluppa la teoria della go-
nerazione e formazione del corpo coll’ani-
ma vegetativa e sensitiva, attenendoei
strettamente alle dottrine di 8. Tommaso.
10. LEVA: « non dibatte nè scuote; ma
leva, cioè appena l'alza per provarsi; »
Oes.« Volucrum sic turba recentum, Cam
reducem longo prosperit in mthere ma-
trem, Ire cnpit contra, snmmoque e mar-
gine nidi Exstat hians; jam jamqne ca-
dat, ni pectore toto Obstet aperta pa-
rons, et amantibus inorepot alia; » Stat.
Theb. X, 458 © seg.
11. NON S'ATTRNTA: non si azzarda,
non ardisce.
12. CALA: I’ ala, già alzata per volar
via dal nido.
18. AccESA: dal dosiderio di sapere e
dalla voglia di domandare. - SPENTA : dal
timore di importunar troppo i due com-
pagni colle mie domande.
14. ALL'ATTO: al movimento delle lab-
bra, come fa chi si dispone a parlare.
16. PRR L'ANDAR: quantunque andas-
simo in fretta, Virgilio non tacque.
17. scocca: di’ pure liberamente ciò
cho hai già sullo labbra.
18. AL FERRO: sino alla punta dello
strale. Quando l'arco è teso del tatto,
la punta ferrata dello strale ne tocca già
il sommo. « Quasi dicat: audacter solve
linguam et emitte verbum, quod jam
traxisti usque ad dentes;» Benv.
20. si rvò: come può dimagrarsi chi,
come le anime, non abbisogna più di ve-
run nutrimento materialo, corporeo?
22. T'AMMENTASSI: ti ricordassi ; ofr.
Purg. XIV, 56. - MerLRAGRO: figlio di
Oenco, re di Caledonia, e di Altea, alla
cni nascita le Fate stabilirono che egli
vivrebbe quanto tempo un tizzone get-
tato nel fuoco al momento della sua na-
scita impiegherebbe a bruciare. Altea
si affrettò di estinguere il tizzgone fatale,
e lo conservò accnratamente. Insorta più
tardi una contesa tra Meleagro od i suoi
ali, questi furono da lui ucciai, ed Altea,
adeguate, gettò ii (izsone nel fuoco, onde
Moloagro morì quasi nel medesimo istan-
to; cfr. Ovid. Met. VILI, 260-546. Con
questo osempio Virgilio vuol mostrare
come l'uomo possa non solo dimagrare,
ma anche consumarsi del tutto, e ciò
por tutt'altra cagione che il non soddi-
sfatto bisogno del nutrimento. Una po-
Pura. rxv. 23-37
[GENERAZIONE]
Si consumò al consumar d’un stizzo,
Non fra, » disse, « questo a te si agro;
25 E se pensassi come al vostro guizzo
Guizza dentro allo specchio vostra imago,
Ciò che par duro ti parrebbe vizzo.
28 Ma perché dentro a tuo voler t’ adage,
Ecco qui Stazio, ed io lui chiamo e prego,
Che sia or a
al « Se la veduta
Rispose Stax
Discolpi me
Ba Poi cominciò:
Figlio, la m
Lume ti fieno
37 Sangue perfetto,
tenza invisibile ed a Ini ignota com 4
Moeleagro e così nna forza arcana i.....-
gra 1 corpi nerci doi golosi. Cfr. Varchi,
Lezioni sul Dante, Firenze, 1841, 1, 36.
Com. Lips. 11, 494.
23. AL CONSUMAR: « Crescant ignis-
qae dolorque, Languescuntque iterum;
simul est extinctus uterque; » Ovid. Met.
VIII, 522 © seg. - 3rIZzo: tizzune, lat.
titio; cfr. Diez, Wort. 13, 416. Al. 11220.
24. AGRO: duro, difficile a compren-
dere.
25. GUIZZO: oscillazione; qui per Ra-
pido movimento; cfr. Canz.: « Così nel
mio parlar voglio esser aspro; » v. 43.
Il corpo aereo delle anime purganti è
lo specchio di esse anime. Or come lo
specchio rappresenta fedelmente ogni
moto di chi vi si specchia, così i] corpo
aereo ritrae al di fuori i moti e le sof-
ferenze dell'anima.
26. GUIZZA : si muove; cfr. Diez, Wort.
115, 89. - imaGk: imagine. « Et quamvis
subito, quovis in tempore, quainque Rem
contra speculum ponas, apparet imago;»
Lucret. Rer. nat. IV, 153 e seg.
27. v1zzo: molle; cfr. Diez, Wort. LI,
80. Qui=facilo ad intendersi.
28. A TUO VOLER: a tua posta. A ffin-
chè tu possa intendere pienamente il
fatto, - T'ADAGK: ti adagi.
29. ECCO: non poteva Dante mettere
in bocca a Virgilio pagano l'esposizione
della dottrina della generazione doi corpi
© della formazione dell’ anima, che è la
| piage. »
zo, »
| sie,
ar niego, »
nie,
e riceve,
u die,
1 8ì beve
dottrina (iS. Tommaso, Onde a Virgilio
suttentra Stazio, secondo Dante poota
cristiano, nolla cui booca fl linguaggio
dell'Aquinato non la nulla di serpron-
donte.
30. PIAGK: piaghe, lat. plage. 11 dab-
bio è piaga dolla mente, la quale non è
sana che quando sì trova in possesso
del vero.
31. veDUTA : ciò che si vede in quosti
luoghi eterni, cioè il maraviglioso feno-
meno del dimagrarsi delle anime pur-
ganti. Al. LA VENDETTA ETERNA, cioè la
pena inflitta dall'Eterno a quelle anime.
Cfr. Com. Lips. II, 496 o seg. Moors,
Orit., 418 0 seg. - DISLKGO: dichiaro, ma-
nifesto. Dislegare corrisponde al latino
explicare.
82. LA DOVE: te presente, cui l’espli-
cazione starebbe meglio che a me.
33. FAR NIKGO: dirti di no; non parlo
che per ubbidirti, e ciò mi serva di scusa.
35. GUARDA K RICEVE: le ascolta atten-
tamente ele intende; « Si sasceperis ser-
mones meos,.... tanc intelliges; » Prov.
II, 1, 5.
36. AL COME: ti chiariranno del dubbio
da te mosso, come le anime possano es-
sere consunte per magrezza. - DIE: dici;
cfr. Nannuc., Verbi, 570 © seg.
87. SANGUK PERFETTO : lo sperma: «San-
guis, qui digestione quadam est prapara-
tus ad conceptum, est parior et perfectior
alio sanguino; » Thom. Ag. Sum. theol.
IIT, 31, 5.
[BALITA]
Pure. xxv. 38-51 [GENERAZIONE]
599
Dall’ assetate vene, e si rimane
Quasi alimento che di mensa leve,
40 Prende nel cuore a tutte membra umane
Virtute informativa, come quello
Ch’ a farsi quelle per le vene vane.
43 Ancor digesto scende oy’é più bello
Tacer che dire; e quindi poscia geme
Sovr' altrui sangue in natural vasello.
46 Ivi s’accoglie l'uno e l’altro insieme,
L’ un disposto a patire e l'altro a fare,
Per lo perfetto luogo onde si preme;
49 E, giunto lui, comincia ad operare,
Coagulando prima, e poi avviva
Ciò che per sua materia fe’ constare.
38, 51 RIMANE: « quando le vene hanno
aucciato tanto di sangue, che basta per
nutrimento e a ristorare le parti per-
dute, elleno non ne succiano più, non
altrimenti che un modesto nomo e tem-
perato, preso il bisogno suo del cibo, ln-
scia il rimanente, e però disso e si rima-
ne, cioè resta e avanza, quasi alimento,
non altramente che il cibo; » Varchi.
30. LEVE: si levi; cfr. Purg. XV, 82.
41. INFORMATIVA : che dA l'essenza e la
natorna tutto lo mombra umane. - CoMR:
non altrimenti che quello che va per le
vene a diventare esse membra.
42. VANE: va, come fane per fa (Par.
XXVIT, 33), eco, Cfr. Nannue,, Verbi,
529. « Alimentum convertitor in verita-
tem humani corporis.... in quantum vere
nocipit speciom carnia st ossia, et hujus-
mod! partium;» Thom. Ag. Sum. theol.
I, 110, 1.
43. ANCOR: nuovamente digerito, lo
sperma scende nei vasi seminarii, o te-
sticoli.
44. quinpr: dai vasi spermaticl. - or-
ME: stilla, goociola; cfr. Inf. XITI, 41.
45. ALTRUI: della femmina. — VABELLO:
matrice. Cir. Conv. IV, 21. « Femina ad
conceptionem prolis matoriam ministrat
(que est sangois menstruns), ex qua na-
turaliter corpus prolis formatar:> Thom.
Ag. Sum. theol. ITT, 32,4; « Ad formatio-
nem corporia.... requirebatur motus loca-
lis quo sangnines.... sl locum generationi
congruum pervenirent; » ibid. III, 33,1.
40. 1v1: nella matrice lo sperma ed il
sangue della donna si riuniscono.
47. L'UN: « questo è il mestrno della
donna, il quale è materia propinqua del
parto, è però non ha bisogno d'altro mo-
toro ovvero agente che lo disponga e che
gli dia forma, se non il semo del ma-
schio; » Varchi, - L'ALTRO: lo sperma
del maschjo, il quale è attivo o dà la
forma, « In genoratione distingnitor ope-
ratio agentis et patlentis. Unde reli-
quintnr quod tota virtua activa sil ex
parte maris, passio autem ex parte fa-
min; » Thom. Ag., 1. e., INT, 82, 4.
48. ,U060: il cuore (cfr, v, 40), dal quale
il sangno dell'uomo wi preme, distilla,
esce quasi spremuto, Al.: por la perfe-
zione dell'nomo, da cui viene lo saper-
ma. Al.: per la perfezione dell' utero
materno, dal quale è stretto e serrato; »
cfr, Com. Lips. II, 409 è seg.
40. GluNTO: congiunto, riunito; efr.
Inf. XXVIII, 130. Purg. XVI, 36, = Lut:
a ini. E lo sperma, congiunto al sangue
fommineo, comincia ad operare, a formar
l'embrione.
50. COAGULANDO: « favendo diventare
carne lo sangne ; » Buti. «Non poteva tro-
vare più segnalato vocabolo nè che me-
glio caprimesse la mente sua; perchè tale
è proprio il seme dell’ como al mestruo,
quale è il coagulo, che noi chiamiamo ga-
glio ovvero presamo, al latte; » Varchi.
è Nonne sicut Ino mulsisti me, et sicut
caseum mo congulasti? » Giobbe X, 10.
« Decem mensium tempore coagulatus
sum in sanguine, ex semine hominis ; »
Sapien. VII, 2.-AvviIva: inspira la vita.
61. rkn BUA: come materia necessaria
G00 Pura. xXv. 52-60
[GENERAZIONE]
52 Anima fatta la virtute attiva,
Qual d'una pianta, in tanto differente,
Che questa è in via e quella è già a riva,
55 Tanto ovra poi che già si muove e sente,
Come fungo marino; ed indi imprende
Ad organar le posse ond’4 semente.
ba Or si spiega, figliuolo, or si distende
La virtà ch'6 u
Ove natura a ti
al suo operare. — Fe’ CONBTAKE: €
diede consistenza. « Formatio ci
per potentiam genorativam, no;
generator, sed ipsins generant
mine, in quo operator vis form __
anima patria derivata; » Thom. Ag.
theol, LIT, 85, 1; ofr. 32, 4. Ariatot. . ope.
II, 26,
62. ANIMA; vogetativa. - vuerutk: del
seme paterno; cfr. Thom. Ag., |. o., I,
118, 1,
53, QUAL: come l'anima d'una pianta,
cioò vegetativa, con questa differonza
però, che l’anima della pianta è già a
riva, giunta cioò alla sua ultima perfo-
zione colla vita vegetativa, mentro nel-
l’uman feto la vita vegetativa non è cho
un avviamonto, dovondo passaro alla
vita sensitiva, o quindi alla razivualo;
Thom. Aq. Sum. teol. I, 118, 2.
64. QUESTA: l'anima vegetativa del
feto umano è al principio, l'anima della
pianta al termine del suo sviluppo. « Se
bene pare che Dante in queste parole
non voglia, che tra l’anima vegetativa
dolle piante e quella degli uomini sia al-
tra difforenza, so non che quella delle
piante è compita e formata, non aspet-
tando altra anima, nò sensitiva, come i
bruti, nd razionalo, come gli uomini;
non devemo però credere, che egli vo-
losse dire questo solo, e che non sapesse
che l'anima vegetativa delle piante e
delle fiere e degli uomini sono di diverse
spezie,» Varchi. Infutti Dante lo sapeva
assai bone, cfr. Conv. IV, 7.
65. Ovira: opera. La virtua altiva, fatta
anima vegetativa, continua ad operare,
tanto che quella materia animata si muo-
ve e sente. Il moto proprio ed il senti-
mento sono caratteri essenziali della vita
animale, alla quale dice qui che il foto
perviene.
66. FUNGO MARINO: zoofito. Si credeva
ntende:
" ighi marini fossero dotati di
più che semplicemente voge-
r. Plin. Hist. nat, VIT, 46. -
questo stato la virtà attiva del
somincia a formare gli organi
ie potenze, visiva, uditiva, e00.,
| essa virtù è produttrice.
i! SVIKGA: la virtù informante
irga, spiga, ed ora si allunga,
econdo il bisogno che la muove
nazione delle membra.
ci oa & DAL CUOR: che deriva dal
cuore del generante, nel qualo la virtù
naturale da Dio posta nell'uomo è in-
tenta a furmaro tatto le membra.
V. 61-78. Infusione dell'anima ra-
zionale nel corpo. L'origine dell'anima
umana 6 problema ei arduo, che, por
tacc re dei filosofi antichi, anche i SS. Pa-
dri tentarono tre diverse vie per iscio-
glierlo. Origene ed i suoi seguaci, accet-
tando la dottrina platonica della preesi-
stenza, insegnarono che tutte quante le
anime furono create da Dio sin dal princi-
cipio del moudo, e vengono confinate nei
corpi in punizione di peccati commessi
prima dell’infusicne nei medesimi, dot-
tiina condaunata dalla Chiesa come ere-
tica. Tertulliano ed i suoi seguaci pro-
pugnarono il traductanismo, secondo il
quale nel momento stesso che il corpo
del generanto genera un nuovo corpo,
l'anima sua genera una nuova anima;
ofr. Tertull. De anima, 19-27. Con Lat-
tanzio e S. Agostino gli Scolastici inso-
gnarono invece il creazianisimo, ciod la
dottrina cho ogni anima è crouta imme-
diatamento da Dio ed infusa nel corpo al
momento della generaziono o qualche
tempo dopo; cfr. Ugo da S. Vittore, De
Sacram. VII, 1, 3. Petr. Lomb. Sent. II,
17.<« Anime nou sunt create ante cor-
pora; sed simul cieantur, cum corpo-
ribus infanduntur.... Hwroticuin est di-
Ma
[BALITA]
Puro. xxv, 61-71 [1nFus. DELL'ANIMA] 601
61 Ma come d’animal divenga fante,
Non vedi tu ancor: quest’é tal punto
Ché più savio di te fe’ già errante;
64 Si che, per sua dottrina, fe’ disgiunto
Dall’anima il possibile intelletto,
Perché da lui non vide organo assunto.
67 Apri alla verità che viene il petto,
E sappi che si tosto come al feto
L’articolar del cerebro è perfetto,
70 Lo Motor primo a lui si volge lieto,
Sovra tanta arte di natura, e spira
core, quod anima Intellectiva tradi atur
enm somino;» Thom, Ag. Sum. theot, I,
118, 2, 3, Ufr. Com. Jipe, IT, 602 © sog.
Anche in questo punto sì difficile è con-
troverso, Dante si mostra fedelissimo di-
acepolo di 8. Tommaso.
61. ANIMAL: chiama così il feto umano,
prima che il Creatore gli abbia infuso
l'anima razionale ; cfr. Conv. IV, 7. Ari-
atot. De an. 1I, 8.- FANTK: fancinllo,
ente ragionevolo; dafari=parlare, clio è
propriodell’nomo solo; cfr. Vulg, elog. 1,2.
62. TAL: 00sa talmente ardua è difficile
ad intendersi.
63. PIÙ BAVIO: allude alle dottrine di
Averroo (cfr. Inf. IV, 144), il quale nel
ano commento sopra Aristotele (De An.
l, 111) insegna esservi due principii in-
tellettaali, l'mno passivo, l'altro attivo,
L' intelletto attito è impersonale, eterno,
disgiunto dagli individui, che tatta ia né
diventano partecipi. L'intelletto passivo è
transitorio è dipendo dall'attivo, il quale
per consoguenza non è unito coll' indivi-
duo che quanto alla forma, qnanto all'es-
senza disgiunto da osso, od è un solo per
tutti gli uomini. Distrutta per tal modo
la diversità dell'intelletto possibile, che
solo è immortale, ne segue che dopo la
morte non rimano delle anime che l'nnità
dell'intelletto, onde le pene e le 1 icom-
pense della vita oterna non ponno più
aver luogo; cfr, Com. Lips. 11, 503 6 sog.
Contro questa dottrina Thom, Ag. Suir.
contra Gent, 11, 73. Sum, theol. I, 76, 2;
70, Hy 107, Ly 118, 2; 1*, 60, 4, coco,
65. rosamiie: l'intelletto possibile è,
secondo gli Soolastici, una Intelligenza
universale che si comunica all'anima
senza farne parte e senza essore addetta
a verun organo particolare del curpo;
ofr, Thom, Ag. Sum, theol. I, 76, 1; 79,
10; 87, 1; 88, 1; 1°, 50, 4, 5, eco. Cagli
Scolastici poripatotici Danto distingue
nolla potenza Intoliettunio dell'anima
l'intelletto agente dal possibile, il primo
dei quali non fa che ricevere dalle por-
cezioni degli oggetti sensibili le astratte
ides, cho dicevano poi intelletto del pos-
sibile, « Nullus intelloctus intelligit, nisi
intelleetus possibilia, quin ngens non in-
telligit;» Dune. Scot. LV, 45, 1.
66. DA LUI: dall'intelletto possibile. -
ASSUNTO: alla sua operazione, « Non vide
che nel corpo umano fosse nessuno or-
gano deputato propriamente a lo intel-
letto, come è l'orecchia ad ndire, gli
occhi n vodere, 6 così gli altii senti-
monti; » Muti,
67. arnt: disponi In toa mento a rice»
vere la verità che an questo argomento
sto per comunicarti, Al. Guarini (citato
dal Betti II, 86): « Perciocchè la verità,
che viene nei seguenti versi, non è filo-
aofica, sl cho nmano intelletto possa,
ragionando co' anol corti è deboli fonda-
menti, conoscerin; ma cristiana; o que-
ata principalmento non aj discorre, ma
ai crede: ed il cuore è fonte della fede,
la credenza dello intelletto dallo imperio
della volontà derivando. »
69. L'ARTICOLAR: l'organizzazione del
cervello,
70, Moror rrIMO : Dio; cfr. Thom. Aq.
Sum. theol. 1, 105, 2.-a Lut: al feto, —
LETO: « Listabitur Dominus in operibua
auta;» Pel, CILI, 31; cfr. Purg. XVI, 80.
71. ARTE: il corpo nmano, capo d'opora
Hola natura che 4 lo steumonto dol Crea-
toro, « Natura est quoddam instrumen-
tum Dei moventia;» Thom, Ag, Sum,
theol. I, tt, 6, 1, - Brimat « Inspiravit in
factem qjns aplraculom vite; » Genes,
II, 7; cfr. Sap. XV, 11.
60!
Puro. xxv. 72-83 [ANIMA DOPO LA MORTE]
Spirito nuovo di virtù repleto,
73 Che ciò che trova attivo quivi tira
In sua sustanzia, e fassi un'alma sola,
Che vive e sente, e sé in sé rigira,
76 E perché meno ammiri la parola,
Guarda il calor del sol che si fa vino,
Giunto all’umor che dalla vite cola,
- 79 E quando Lachesi
Solvesi dalla cai
Ne porta seco e 1 um
82 L’ altre potenze ,
Memoria, in
72. BFIRITO NUOVO: la nnova anima ra-
zionale, — REPLETO: repletua, ripieno.
78. CIÒ CHE TLOVA : l'anima vegetativa
e la sensitiva. - QUIVI: nel foto, L'anima
intellettiva novellamente ercata tira,
identifica nella propria sostanza l'ani-
ma vegetativa e sensitiva è forma di sè
o di casse un'anima sola con tre potenze:
vegetativa, sensitiva ed intellettiva.
74. BOLA: cfr. Purg. IV, 1-6. « Dicen-
dum est quod eadem numero est anima
in homine, sensitiva, ot intellectiva, et
nutritiva.... Prius embrio habet aviman,
que est sensitiva tantum, qua ablata,
advenit perfectior anima, quiv est simul
sensitiva et intellectiva; » Thom. Aq.
Sum. theol. I, 76, 3; ctr. ibid., 118, 2.
75. RrIGIRA: riflettendo in sè stessa
acquista lo coscienza della propria esi-
stenza. «Qui (anima) cum secta duos
motum glomeravit in orbes, In semet
reditura moat mentemquo profundam
Circuit et simili convertit imagine ca:-
lum; » Boet. Phil. Cons. 111, Poes. IX,
15 © seg.
76. LA PAROLA: ciò che or’ ora ti ho
detto; cfr. Inf. II, 43.
77. GUARDA: come il calore del sole
giunto, ciod unito all'umore acqueo della
vite, lo converte in vino, così lo spirito
novellamente da Dio creato e spirato,
unito all'anima vegetativa e sensitiva
no fa un’ anima solu, che vivo, sonto e
pensa. Dell'uvu Cicer. De Senect. XV,
53: < Quw et succo terrw et calore solis
augescens, prima est peracerba gustatu,
deinde maturata dulcescit. »
78. GIUNTO: congiunto, unito.
V. 79-87. L’esistenza dell anima
dopo la morte, Continuando il suo ra-
lino,
rtute
| divino:
im gute;
mtade,
am nto, Stazio espone il modo del-
‘te za dell'anima dopo la morte del
jaando per la morte del corpo
si svesto dell'invoglia corporea,
re organiche rolative all’ amano
», quelle cioè della vita e del
sstano in lui spente in quanto
all'avv, 8 solo sussistono nella loro ra-
dice; accadendo il contrario della sua
parte divina, cioè delle facoltà intellet-
tuali; le quali non risiedendo negli or-
gani ma in lei sola, non pure sono at-
tualmente superstiti, ma acquistano mag-
gior energia, per la sua separazione dal
corpo. Cfr. Liberatoreiu Omaggio a Dan-
te, 311 © seg.
79. Lacuxsis: quella delle tre Parche
che fila lo stame della vita; cfr. Purg.
XXI, 25. Vuol dire: quando l'uomo è
pervenuto al termine della sua vita,
l'anima intellettiva si scioglio dal corpo,
portando seco virtualmente le potenze
corporali e spirituali. Cfr. Virg. Aen.
IV, 694 e seg.
82. L'ALTRE: le facoltà sensitive, aven-
do la morte distrutti i loro organi, riman-
gono tutte mute, cioè inoperose, inattive.
- TUTTK QUANTK: così i più; Al. TUTTE
QUASI; clr. Com. Lips. 1I, 504.
83. MEMORIA: lo facoltà spirituali, non
più offuscate da alcuna allegazione cor-
porale, sono più acute che quando l' ani-
ma ora congiunta col corpo, <imperd cho
hanno momoria senza dimenticazione, in-
telligenzia senza difetto, e volontà ferma
ed invariabile; » Buti. - «Iwo igitur tria,
memoria, intelligeutia. voluntas, quo-
niam non sunt tres vite, sed una vita,
non tres meutos, sed una mens, consu
quentar utique nec tres substantiw sunt
Leica
(eauerA]
Pure. xxv. 84-98
[CORPI AEREI]
In atto molto più che prima acute.
85 Senz'arrestarsi, per sé stessa cade
Mirabilmente all’ una delle rive;
Quivi conosce prima le sue strade.
88 Tosto che luogo li la circonscrive,
La virtù formativa raggia intorno,
Cosi e quanto nelle membra vive;
DI E come l’aere, quando ben piorno,
Per l’altrui raggio che in sé si riflette
Di diversi color’ diventa adorno,
04 Cosi I’ aér vicin quivi si mette
In quella forma che in lui suggella,
Virtualmente, l’alma che ristette;
07 E simigliante poi alla fiammella
Che segue il fuoco là 'vunque si muta,
sel ona substantia;» 8. Aug. Trinit. X,
11; cfr. Thom. Aq. Sum. theol, I, 77, 8.
85, BRNZA ARRRSTARSI: appena sciolta
dal corpo, l'anima non si ferma in veron
Inogo, ma cade por sè stessa, cfr. Inf.
III, 124 è sog., mirabilmente, cio’ per
interno divino impulso, o alla riva del-
l'Acheronto, ofr. Inf, III, 122 o seg.,
o alla foce del Tevere, cfr. Purg. LI,
100-105.
87. quivi: all'una delle due rive. -
BTRADR: l'eterno sno destino, se vada
nell'inferno o nel purgatorio.
V. 88-108. I corpi acret, Stazlo con-
chinde il suo ragionamento caponendo la
genesi 6 la condizione delle ombre. Ap-
pona arrivata all'una dello due rive, la
potenza inerente dell'anima disgiunta,
il'organarsi wu corpo ilell'aria vicina,
raggia in essa l'attività sun 6 forma on
corpo, pari nelle fattezze e nella gran-
dezza a quello che essa animava nel
mondo, Ed avendo essa anima da que-
ato corpo nerco la sna apparenza, facen-
dosi ciod per esso visibile, è chiamata
ombra. Di questo nuovo corpo l'anima
al forma tutti | sensi sino alla vista, è
con caso piange è ride parla e sospira,
amido il sorpo noreo rivela gli affetti in-
til dell'anima.
88. rosTO : l'anima si riveste d'un corpo
aereo, non Appena all'una delle dune rive
essa è circoscritta da Inogo; cfr. Thom.
Aq. Sum. theol. III, Suppl., 60, 1.
89. viRtÙ: che è nell'anima, confr.
v. 40-42, - nAGGIA : esercita la sua at-
tività nel vicino nore,
90. così KR QUANTO: nella stessa forma
e nella medesima misura del corpo ma-
terials.
Ol. FIORKO: piovorno, che è voce po-
polare dell'nso, = piovoso, pregno di
vapori. « Volut nspeetum arcus com fue-
rit in nube in die pluvim;» Ezech. I, 28.
02. L'ALTRUI: del sole. Il corpo nereo
Bi forma nello stesso modo che si forma
l'arcobaleno,
DI. DIVENTA: Al. SI MOSTRA.
M4. così: in egual modo l'aero cireo-
stante al luogo in cui l'anima si è for-
mata, s'atteggia, quasi materia, in quella
forma di corpo umano che in esso im-
prime la virtit informativa dell'anima.
06, VIRTUALMENTE: per effetto della
conservata virtà informativa: cfr. v. 40
e sog. MUSTRITE: si fermò. Dando un
corpo alle anlme, Dante contraddice a
5. Tommaso (« Anima separata n corpore
non habet aliquod corpus» Sum, theol,
111, Suppl., 69,1; efr. ibid., 70,163), è
Bi accosta alla dottrina di Clemente Ales-
sandrino, Origene, e de' loro seguaci, in-
dottovi probabilmente dalle regole del-
l'arto; ofr. Com. Jipe. IT, GOD.
07. mimmaniantio: ln forma smovella,
cioà il nnovo corpo nerco, segue lo spi-
rito, come la fiammella segue il fuoco;
efr. L. Vent., Simil., 70.
98, LA'vuNQUE: JA dovnnque si tra-
sporta. 1] moto è mutazione di luogo,
604 [SALITA]
Puro. xxy. 99-114
[CORPI AEREI]
Segue allo spirto sua forma novella.
100 Però che quindi ha poscia sua paruta,
È chiamat’ ombra; e quindi organa poi
Ciascun sentire infino alla veduta.
103 Quindi parliamo, e quindi ridiam noi,
Quindi facciam le lagrime e i sospiri
Che per lo monte aver sentiti puoi.
106 Secondo che ci affiggon li disiri
E gli altri affetti, l'ombra si figura,
E questa è la cagion di che tu miri, »
109 E già venuto all'ultima tortura
S'era per noi, e vòlto alla man destra,
Ed eravamo attenti ad altra cura.
112 Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
E la cornice spira fiato in suso,
Che la riflette, e via da lei sequestra.
100. QUINDI: per mezzo ili questo corpo
aoreo. - PARUTA : visibilità. L'anima al fa
visibile mediante il corpo aerco il qualo
è pertanto quasi l'ombra di essa anima.
101. E QUINDI: © dalla nuova materia
del corpo aereo l'anima organizza gli or-
gani di ciascun senso, sino a quello dolla
vista, che è il più complicato di tutti.
108. QUINDI: per mezzo di questo corpo
aereo; « Hinc metuunt cupiuntque, do-
lent gaudentque; » Virg. Aen. VI, 733.
106. CI AFFIGGON: ci toccano, ci fanno
impressione; dal lat. aficere. Al. AF-
FLIGGONO.
107. ALTRI AFFKTTI: di sporanza o di ti-
more, di gioia o di tristezza. - L'OMBRA:
il corpo aereo. - 81 FiGUILA : prendo forma
lieta o dolente, ordinaria o spaventevol-
mente dimagrata.
108. DI CuK: e questa è la cagione dl
quel dimagramento delle ombre, del quale
tu ti maravigli; cfr. v. 20 e seg. - TU
MIRI: Al. TU AMMIRI.
V. 109-126. I lussiuriosi nelle flana-
me. Sono giunti nel settimo ed ultimo
girone, dove Dante, come Virgilio gli
avea promesso, vede coloro che son con-
tenti del fuoco, Inf. I, 118 e seg. Qui i
lussuriosi vanno attorno in doppia ed op-
posta schiera (lussuria naturale e lusau-
rla contro natura), avvolti da cocentis-
sime fiamme, perchè arsero nel fuoco
della libidine; nell'incontro si festog-
giano abbracciandosi, Cantano un inno
della Chiesa che contiene una preglilera
di mondezza. I Poeti vanno per uno
stretto sontiero tra la fiamma e l'orlo.
109. GIA: duranto il ragionamento di
Stazio i tre Pocti sono pervenuti al som-
mo della scala, sul ripiano dell’ ultimo
girone. - TORTURA : torcimento della via’;
cfr. Conv. IV, 7.- « Intraturi ipsum cir-
culum incipiebant torquere et flectere
viam; ideo talew deflexionem appellat
tortaram ; » Benv. Secondo i più tortura
ha qui il senso moderno di tormento ; ma
ci vorrebbe un esempio che nei tempi di
Tanto si usasse mai tortura nel signifi-
ficato di tormento.
111. cura: di scansare le fiamme.
112. LA RIPA: la costa del monte getta
con impeto fiamme che riempiono tutto
il settimo cerchio, lasciando sgombro
soltanto un sentieruzzo sul lembo del
ripiano.
113. LA CORNICE: l'orlo manda vento
in su. - « Fingo per convenienza, che co-
me li beni torroni hanno a muovere la
lussuria ed incitano la carne, e la carne
muove lo incendio onde vione la concu-
piscienza o l'atto carnale: così la ripa
gitti la fiamma cho tale peccato purghi;
ed allegoricamente, da l'astinenzia e da
la emacorazione della carne risurga in
quelli del mondo uno fervore di carità
che purghi ogni carnalita; » Buti.
114. via: molto. - RIFLETTE: respinge
ed allontana la fiamma dalla cornice.
[GIRONE SETTIMO]
Puro. xxv. 115-130
[LUSSsURIO81] 605
115 Onde ir ne convenia dal lato schiuso
Ad uno ad uno, ed io temeva il foco
Quinci, e quindi temea cadere in giuso.
118 Lo duca mio dicea: « Per questo loco
Si vuol tenere agli occhi stretto il freno,
Pord ch’errar potrebbesi per poco, »
121 « Summa Deus clementie » nel seno
Al grande ardore allor udi' cantando,
Che di volger mi fe’ caler non meno:
124 E vidi spirti per la fiamma andando;
Per ch'io guardava a’ lor ed a’ miei passi,
Compartendo la vista a quando a quando.
127 Appresso il fine ch’ a quell’ inno fassi
Gridavano alto: « Virum non cognosco; »
Indi ricominciavan l'inno bassi.
130 Finitolo, «anche gridavano: « Al bosco,
115, scmuso: ove confinava il vano,
per l'orlo.
116. AD UNO AD UNO: uno dopo l'altro,
tanto stretto essendo il sentiero tra l'orlo
ela famma, onde dalla sinistra io temova
di abbrociarmi, dalla destra di preoipi-
tare al basso.
119. 61 VUOL: qui bisogna non vagare
cogli occhi, ma badare da un Into al fuo-
oo, dall'altro al presipizio, « Ocali sunt
in amore dnces; » Propert.
120. ren Poco: facilmonte.
121. Summa: principio dell'inno che
In Chiesa recità nol mattatino del sabato,
nol quale occorrono lo parole: « Lumbos,
Jecurqne morbidum Flammis adure con-
gruia, Accincti ut artus excobent Luxn
remoto pessimo, » parole cho ben si con-
vengono al Inssuriosi purganti. Il prin-
cipio dell'inno è « Summm parene cle-
mentim,» mentro «Somme Deus clomen-
tim » è il principio dell'inno che sì canta
dalla Chiesa alla festa dei sotto dolori di
Marin Vergine, il quale non ha che ve-
dere coi lussnriosi è col loro poccato,
Sembra però, da quanto si pod rilevare
dai comm. ant., che ni tempi di Dante
anche l'altro incomincinase colle parole
« Summm Deus clemontim, » Putrobbe
anche darai che, citamlo a memoria, |l
Poeta scambinsse i cominciamenti dei
dne diversi inni.
122. AL GRAKXDR: Al. DEL GRANDR.
123. mi Fé’: quell'inuo che io udira ‘
cantare nel mezzo delle fiamme mi feco
premuroso di volgermi o guardar colà,
non meno che di nttendore a non de-
vinre dallo stretto sentiero.
124, ANDANDO: che andavano per la
finmma; cfr. Inf. VII, 25.
125, A’Lono: al passi degli spiriti ed
ni miei propri. Al. GUANDAVA LORO.
126. A QUANDO: ora fo guardava agli
spiriti, ora a’ miei passi.
V. 127-139, Esempi di castità, Al-
l'inno la schiera dei Inssnriosi intro-
mette esempi di bella castità, anzi tatto
di Maria che all'annunzio dell'angolo
Unbriole rispondo: « in non ennosco no-
mo; » 8. Luea 1,34; poi di Diana che non
vuol più vedere presso di ad Elico, tosto
che si accorge ch'ella ha perduto I in-
nocenza. Quindi tornano al canto, Onito
il quale ricordano altri esempi di ca-
atità, o così di continuo, purgandosi
con questi esercizi del peccato della Ins-
sorta.
127. Arrnesso: quando ebbero finito
di cantare l'ultima atrofa dell'inno in-
cominciato,
128, vinum: « Maria castissima fuit
per viginitatem; ipsa enim est Maria,
de qua dicitar: '* dixit autem Maria ad
Angelam: Viram non cognosco; ,, » 8. Bo-
navent., Spee, B. Virg., loz. IV,
129. BASSI: a voos hassa e sommessa,
essendo umile preghiera.
130. ANCHE: di nuovo,
606 [among SETTIMO] Pura. xxv. 181-139
[ESEMPI DI CASTITÀ]
Si tenne Diana, ed Elice caccionne
Che di Venere avea sentito il tòsco. »
193 Indi al cantar tornavano; indi donne
Gridavano e mariti, che far casti,
Come virtute e matrimonio imponne,
136 E questo modo credo che lor basti
Per tutto il tempo che il foco gli abbrucia;
Con tal cura conviene e con tai pasti
139 Che la piaga dassezzo si ricucia.
181. SI TRNNK: Al. CORSE; ma quando
seppe il fallo di Elice, Diana eran per
l'appunto nel bosco, onde non le occor-
reva di corrervi. I) Poeta vuol dire che
Diana, per conservarsi pura è casta, si
tenne al bosco, dilettandosi de' faticosi
esercizi della caccia. Clr. Moore, Orit.,
420,- ELICE: Ualiato, ninfa del seguito di
Diana, sedotta da Giove, discacciata da
Diana, da Giunone trasformata in orso è
da Giove collocata poi in cielo come Orsa
Maygioro; cfr. Ovid. Met.T, 401-530. Par.
XXXI, 32. Diana, discaccinudo Klico,
mostrò di volere che incontaminato fosse
non solo il proprio cuore, ma e il cuore
delle compagne ed il busco nel qualo
dimorava.
182. iL TOSCO: I’ infeziono della lus-
suria.
133. TORNAVANO: cantavano di nuovo
l'inno, 6 poi ricominciavuno a gridare,
ricordando esempi di donne e di uomini
che vissero castamonte,
135, MATRIMONIO; « anco nel matri-
monio legittimo e fedele può non essere
castità; » Tom, - IMPONNE: ne impone,
prescrive a nol nomini.
136, mono: di alternare il canto colle
grida, - basTI: dari, continui invaria-
bile per tutto il tempo della loro pur-
gazione,
138. CON TAL: « con così fatto stimolo
e sollucitudine, cantando tal inno, e con
tai pasti, e ricordando tali esempi, quali
son quelli che veduti abbiamo; » Dan.
139. LA PIAGA: del tosco di Vonere. -
DASSRZZO: da ultimo, alla fine; cfr. Inf.
VII, 130. - si RICUCIA : « sicut medicue
suit plagam magnam, et aliquando urit
illam igne ne putrescat, ita wternus me-
dicus peccatum luxuri® hio purgat per
ignem ne pariat saniem; » Benv.
[GIRONE SETTIMO]
Pura. xxvr. 1-12
[LuUssuRi0si) 607
CANTO VENTESIMOSESTO
rt
GIRONE SETTIMO: LUSSURIA
DUE SCHIERE OPPOSTE DI LUSSURIOBI
ESEMPI DI LUSSURIA, GUIDO GUINIZELLI, ARNALDO DANIELLO
Mentre che si per l'orlo, uno innanzi altro,
Ce n’andavamo, e spesso il buon maestro
Diceva: « Guarda; giovi, ch’ io ti scaltro, »
4 Feriami il solo in su l'omero destro,
Che già, raggiando, tutto |’ occidente
Mutava in bianco aspetto di cilestro;
7 Ed io facea con l'ombra più rovente
Parer la fiamma; e pure a tanto indizio
Vidi molt’ombre, andando, poner mente.
10 Questa fu la cagion che diede inizio
Loro a parlar di me; e cominciàrsi
A dir: « Colui non par corpo fittizio. »
V. 1-24. Maraviglia delle anime
purganti. I pooti procedono |' nn dopo
l'altro per fl sontiero stretto che le flam-
me lasciavano verso il vano. Essendo
tra il sole che gli splendeva a destra e In
fiamma alla sinistra, Dante coll‘ ombra
del corpo sno fa parere più rovente In
fiamma. Le anime fanno attenzione a sì
insolita cosa, sogno certo di corpo mate-
riale, si maravigliano ed alcune si avan-
zano verso il Poeta, chiedendogli per
qual mai motivo col corpo sno egli faccia
ostacolo alla luce del sole, come se fosso
ancor vivo.
1, al: como dotto, Purg. XXV, 11f o
Bog. = UNO INNANZI ALTHO: Al, UNO AKZI
L'ALTRO,
3. GUARDA : bada dove metti i piodi è
ti giovi che io ti rendo avvertito.
4. FrRIAMI: il solo che, raggiando, mu-
tava già tutto l'occidente di cilestro in
bianco nspetto, mi feriva in su l'omero
destro. Sono circa le quattro pomeri-
diane; il sole, già molto nbbassato, fe-
risce Dante alla spalla.
6. MUTAVA: « imperò che di suo coloro
è l'aereo cilestro; quando il sole è senza
nuvole, sì lo biancheggin por la luce
de’ suoi raggi; » An. Fior, - ASPETTO:
colore,
7. con L'ommna: che il mio corpo get-
tara a sinistra. - ROVENTE: viva, rossa.
8, EFURK: 6 solamente a così piccolo
indizio, quale era quello del giallume del
fuoco che tornava in rosso all'ombra min.
Altri intendono: Ed anche qui, come al-
trove; ofr. Com, Lipe, TT, 610.
0. ANDANDO: camminando por mozzo
la fiamma.
10, INIZIO: occasione, argomonto,
11. comincrànsi : sì cominciarono a diro
tra loro,
12. FITTIZIO: aereo, come quello delle
ombre che non impedisce Il libero pas-
608 [GIRONE SETTIMO) Puro. xxvi. 13-29
[LUSSURIOS))
13 Poi verso me, quanto potevan farsi,
Certi si feron, sempre con riguardo
Di non uscir dove non fossero arsi.
10 « O tu che vai, non per essor più tardo,
Ma forse reverente, agli altri dopo,
Rispondi a me che in sete ed in fuoco ardo:
19 Né solo a me latt. wpe | uopo;
Ché tutti questi . hanno aggior sete
Che d’acqua fredda indo etiòpo,
22 Dinne com’ è che fai di te parete
Al sol, come se tu non fossi ancora
Di morte entrato dentro dalla rete. »
25 Si mi parlava un d'essi, el mi fòra
Già manifesto, a’ io 1 ii atteso
Ad altra novità ch’ «_, allora;
28 Ché per lo mezzo del ca _Ù acceso
Venne gente col viso ___ntro a questa,
saggio ai raggi solari; cfc. Purg. III,
26; V, 84.
13. FARSI: avanzarsi sanza uscire dalla
fiamma per non interrompere un mo-
mento solo la loro ponitenza e purifi-
cazione.
14. CERTI: alcuni di quegli spiriti.
16. val; cammini dopo i tuoi compagni,
non per lentezza o pigrizia, ma forse per
reverenza, riconoscendo in essi i mag-
giori, in te il minore.
18. N 8BKTK: nel dosidorio di sapere se
tu sei voramento vivo, como sembri, -
IN FUOCO: in quosta fiamma nella qualo
io mi purifico. « Mitte Lazaram ut intin-
guat extremum digiti sui in aquam ut
refrigeret linguam meam, quia crucior
in hac flamma; » S. Luca XVI, 24.
20. QUESTI: miei compagni. - SETR:
brama ardente (« Sitivit in te anima
mea; » Peal. LXII, 1) di sapere ciò di
che ti richiedo; « aviditatem bibendi
verba tua; » Benv.
21. CHR D'ACQUA: «che non bramino
l'acqua fresca i popoli dell’ludia e del-
l'Etiopia, regioni dal sole riarso; » Lomb.
« Aqua frigida animiv sitienti, et nun-
cius bonus de terra longinqua; » Prov.
XXV, 25.
22. PARRTE: opaca. Com' è che tu fui
col tuo corpo ostacolo ai raggi del sole,
fai ombra, come se tu fossi aucor vivo?
cfr. Purg. 111, 88 0 sog.
24. RETE: « mors enim piscatar in ma-
| gno mari mortalium, et omnia genera
animantium capit; » Benv.
V. 25-36. Incontro delle due schiere
di lussuriosi. Mentre Dante è lì per ri-
sapondere e manifestarsi, ecco un'altra
schiera di anime (lussuriosi contro na-
tura) venice in direzione opposta. Iucon-
trandosi, le anime delle due schiere si ab-
bracciano e baciano scambievolmente,
secoudo l’ammonizione apostolica: < Sa-
lutatevi scambiovolmente col bacio san-
to; » Rom. XVI, 16. I Cor. XVI, 20. ZL
Cor. XIII, 12. I Tessal. V, 20. I Pietro
V, 14. Ma questo bacio delle anime ri-
corda loro nello stosso tempo i baci libi-
diuosi de' quali un dì furono tanto ghiot-
te; onde esse espiano con baci santi i
baci peccaminosi.
25 UN: 6 quosti, come dirà in seguito,
Guido Guinizolli; cfr. v. 91-135. - MI
FORA: mi sarei manifestato aubito, se
non avessi fatto attenzione ad un'altra
novità che apparve in quel momento.
26. MANIFKSTO: manifestato; cfr. Nan-
nuc., Verbi, 403.- NON FOSSI ATTESO : non
avessi badato. Gli antichi accompagna-
rono attendere coll'ausiliare essere, invo-
co di avere; cfr. Com. Lips. II, 521.
28. DEL CAMMINO: della via occapata
dalla fiamma.
29. VANNE: Al. VENIA:-A QUESTA: alla
gonte che andava nella stessa direzione
[GIRONE SETTIMO]
Pura, xxvi, 30-43 [ES. DI LUSSURIA]
609
La qual mi fece a rimirar sospeso.
al Li veggio d’ ogni parte farsi presta
Ciascun’ ombra, e baciarsi una con una,
Senza restar, contente a breve festa:
34 Cosi per entro loro schiera bruna
8’ ammusa |’ una con l’altra formica,
Forse a espiar lor via e lor fortuna,
37 Tosto che parton |’ accoglienza amica,
Prima che il primo passo li trascorra,
Sopragridar ciascuna s’ affatica,
40 La nuova gente: « Soddoma e Gomorra, »
E l’altra: « Nella vacca entra Pasife,
Perché il torello a sua lussuria corra. »
43 Poi come gru, ch’alle montagne Rife
dei Poeti e che al era loro avvicinata,
v. 13, Cfr. Inf. XVIII, 20 o sog.
20. m1rece: attirando a sè tutta quanta
la mla attenzione, questa nuova gente
fece sì, che io indugiai a rispondere alla
domanda fnttami,
81. Lì: al punto dello scontro delle due
schiere, — FARSI PRESTA : aflrottarsi.
82. CIABCUN'OMUNRA : delle dno schiere.
- UNA CON UNA: ad nna nd nna; « jn im-
properinm nefarim coniunctionis, quam
in seculo poregerunt; » Benv. Cfr. Com.
Lips. II, 622.
33. nestAR: senza fermarsi un istante
dopo il bacio, contente di tanto. « Liete
erano queste anime del vedersi in quel
luogo di salvazione, malgrado del pec-
cato che rendevalo così somiglianti nella
colpa; » Betti.
34. BCHIRRA BRUNA: linea bruna for-
mata dalle formiche.
36.8’ AMMUSA : si scontra muso a muso;
ofr, Virg. Aen. IV, 404 6 seg. Ovid. Met.
VII, 624 e seg.
36. A ESPIAR: a spiar le condizioni
dolla via che percorrono, 6 la loro fortuna
nel trovar cibo. Al. A sPrar. «Qu tune
earum conversatio! Quam diligens com
obviis quedam collocatio atque perconta-
tiol» Plin. Piet. nat. IT. Cfr. L. Venturi,
Simil., 453,
V. 37-47 Esompi di brutta Iusswu-
ria, Subito che quelle anime Insciano
i baci e gli amichevoli abbraeciamenti,
e prima di separarsi, esso gridano a chi
più può ricordando esempi di nansoanto
lussuria. L'una schiera rammenta Sod-
39. — Div. Comm., 3% odiz.
floma o Gomorra, le città sulle quali il
Signoro foco piovere fuoco e zolfo in pena
de'loro peccati, tra' quali non ultimo il
peccato di lussuria contro natora; l'al-
tra rammenta Pasife, la madre dell' « in-
famia di Creti, » Inf. XII, 12 e seg., tipo
della donna che, calpestata la coniugale
interezza, imbrntisco in suo appetito e
avinsi diotro n talo cho ha meritamonte
il nome di Tauro; ofr. Horat., Od. II, 5,
1 o sog. Ovid. Ieroid. V, 17 e seg. Dopo
tali grida le due schiere si separano.
87. rantox: compiono; subito che si
sepnrano e prima che facciano il primo
passo. Oppure, come intendono altri: To-
stochecessanno (al farsi lieta accoglienza.
88. Lì: dal Inogo dello scontro=nel-
l'atto steaso di scostarsi.
19, soPRAGRIDAR: gridare al disopra,
l'ona più forte dell'altra. Al. sornac-
GRIDAR.
40, NUOVA GENTE: la schiera dei lns-
snriosi contro natura arrivata mentre
Dante stava osservando l'altra schiera.
- SOnDoMma EGOMORRA : cfr. Gen. XVIII,
20; XIX, 25.
41. L'ALTRA: la schiera dol lnssnriosi
secondo natura, della quale era il Gui-
nizelli.- entra: Al. RNTRÒ ; efr. Moone,
Crit., 420 0 sog. -Tasivr: figlia di Apollo *
6 dolla ninfa Perseide, moglie di Minosse,
Inf. V, 4, che ontrò nella vacca di legno
e dal sno commercio col toro di Possidone
concepì e partorì il Minotanro ; efr, Inf.
XIT, 126 seg. Apollod. III, 1, 2, e seg.
Ovid. Ars, Am, I, 2, 205 o sog.
43. cru: una similitudine simile Inf.
610 [GONE SETTIMO] Puro. xxvi. 44-56
[RISPOSTA RITARDATA]
Volasser parte e parte invèr le arene,
Queste del gel, quelle del sole schife;
40 L'una gente sen va, l’altra sen viene,
E tornan lagrimando a’ primi canti,
Ed al gridar che più lor si conviene.
49 E raccostàrsi a me, come davanti,
Essi medesmi che m’avean pregato,
Attenti ad ascoltar ne’ lor sembianti.
52 Io, che due volte avea visto lor grato,
Incominciai: « O anime sicure
D’aver quando che sia di pace stato,
65 Non son rimase acerbe nè mature
Le membra mie di là, ma son qui meco
V, 46. La similitodine è qui ipotetica;
cha veramente le gru non volano mai nel
modo qui descritto, — Iurk: Rifee, come
Ufo per Tifeo, Inf. XXXI, 124. I Greci
collocavano vagamonte i monti Rifbéi,
detti anche Tporborei, nelle regioni sot-
toutrionali dell'Europa, ruspingendoli
sernpro più vorso il nord, a misura che
acquistavano cugnizivni geografiche più
| estese. Sombra che Dante li nomini qui
per una diramazione di monti nel Set-
tentrione in genero. Cfr. Virg. Georg. I,
240 e seg.; IV, 518 © seg.
44. LE ARKNK: gli arenosi doserti dol-
l'Africa; cfr. Inf. XXIV, 85. Virg. Aen.
X, 264 o seg.
45. QuEsTK: lo gru schifo del gelo vo-
lassero verso le arene, le gru schife del
sole verso i monti Rifei. « Pone per ipo-
tesi ciò che manca alla piena rassomi-
glianza della comparazione; ciod che lu
gru volassero parte alle montague Rifee,
e parte verso le arene libicho; questo
schife del gielo, fuggendo il freddo; quelle
del sole, faggendo il caldo; » L. Vent.
40. L'UNA :la nuova gente, v. 40, cioò
la schiera dei sodomiti, se ne va a sini-
stra in direzione coutraria a quella dei
Poeti, l’altra procedo a destra nella me-
desima direzione.
47. A'vkiMI: a ricantar piangendo
l'inno <Summiw 1)vus olumontiv, » Purg.
XXV, 121 © seg.
48. AL GRIDAR: a gridare gli esempi di
castità più convenienti alla condizione ed
alla colpa di ciascuno; cfr. Purg. XXV,
128 è seg.
V.49-60. Kisposta ritardata. Dopo
che le due schiere si sono separate, Dante
risponde alla domanda fattagli prima del-
lo scontro, v. 100 seg. Quei medesimi che
lo avevan progato gli si raccustano come
avean fatto innanzi, composti a grande
attenzione per ascoltarlo. Ed egli ri-
sponde: Sono ancor vivo; salgo in alto
por illuminar la monte mia, sì cho ia
non abbia più a errare. Una donna del
ciclo acquista grazia a noi mortali, e por
essa grazia reco qui dal mondo il mio
corpo mortale.
49. DAVANTI: prima dello scontro delle
due schiere, v. 13 e seg.
51. SEMBIANTI: mostrundo ne'loro at-
teggiamenti di stare attenti per ascol-
tarmi.
52. DUK VOLTR: adesso e prima dello
scontro. - GRATO: il loro gradimento, ciò
che desideravano.
64. QUANDO CHE 8IA: presto o tardi;
cfr. Purg. XXI, 67 e sog.
55. KIMASE; non sono ancora morto,
nè giovine nè vecchio. Acerbe sono le
membra di chi muore in gioventà, ma-
ture quelle di chi muore nella vecchiaia.
56. DI LÀ: nel mondo. - MKCO: « Ad
naturam speciei pertinet id quod signi-
ficat definitio. Definitio autem in rebus
naturalibus non significat formam tan-
tum, sed formam et imateriam. Unde
materia cst pars speciei in rebus natu-
ralibus, non quidoin materia signata,
quo est priuciplum individuationis, sed
materia communis. Sicut enim de ratio-
ne hujus hominis est quod sit ex hac-
anima et his carnibus, et his ossibus: ita
de ratione hominis est quod sit ex anima
et carnibus, et ossibus; oportet enim de
substantia speciei esse quidquid est com-
[GIRONE SETTIMO]
Pura. xxvi. 57-71
[LUSSURIOSI] 611
Col sangue suo e con le sue giunture,
58 Quinci su vo per non esser più cieco:
Donna è di sopra che n’ acquista grazia,
Per che il mortal pel vostro mondo reco,
61 Ma se la vostra maggior voglia sazia
Tosto divegna, si che il ciel v’ alberghi,
Ch’ è pien d'amore e più ampio si spazia,
64 Ditemi, acciò che ancor carte ne verghi,
Chi siete voi, e chi è quella turba
Che se ne va diretro ai vostri terghi? »
67 Non altrimenti stupido si turba
Lo montanaro, e rimirando ammuta,
Quando rozzo e salvatico s'inurba,
70 Che ciascun’ ombra fece in sua paruta;
Ma poi che furon di stupore scarche,
muniter de substantia omnium indivi-
duorum subspecie contentorum ;» Thom.
Aq. Sum, theol. I, 75, 4.
67. suo: loro; ofr. Inf. X, 13. Voro mom-
bra, non nerse, come quelle delle anime.
68. QUINCI: 80 questo monte. - au vo:
AI. vo su. = cieco: della monte; cfr. IT
Pietro I, 5-0,
50, DomnxA: la Vergine Maria, confr,
Inf. II, 04-90. Com. Lips, II, 627.
60. ree cHe: in virtà della quale gra-
zia impetratami dalla celeate Donna. -
IL MORTAL: la parte mortale, il corpo;
efr. Purg. V, 106. - vosrio: por lo « se-
colo immortale; » Inf. IT, 15 è seg.
V. 61-66. Preghiera alle anime,
Avendo appagato il loro desiderio, Dante
prega quelle anime di manifestarsegli è
di dirgli nello stesso tempo chi sono quelle
altre che corrono nella fiamma in dire-
zione opposta, promettendo di seriverno
a memoria degli uomini.
61. ar: così sia presto soddisfatto il
maggior vostro desiderio della boatitu-
dine celeste, « Nota, che Dante augura
a queste anime, già ree di colpe amorose
d'andare appunto a quella parte del cielo
ch'è tutta amore, come si dice Par.
XXX, 40, 62; » Betti.
63. TIEN D'AMORK:; per cssero ln sode
dei beati, cfr. Par. XXX, 40 e sog. - mil)
AMPIO: essendo sopra tutti gli altri cieli
e contenendoli tutti in ad; cfr. Conv. IT,
4. Thom. Aq. Sum, theol, I, 66, 3; I, 102,
2; I, 112, 1, Inf. II, 84.
64. NE VEROHT: ne scriva, ricordan-
dovi affinchè otteniate snffragi de' vi-
venti.
00. sE NE VA: Al. BÌ NK vA.- DIRETRO :
in direzione contraria alla vostra.
V. 67-90. Le due schiere ed il loro
peccato. Dopo un momento di aniver-
sale stupore, per vedoro colà chi è an-
cora nella prima vita, quell’ anima che
aveva già rivolto la parola a Dante ri-
sponde alle sus domande, Coloro che
vanno in direzione opposta furono sodo-
miti; noi peccammo di lussoria con-
forme a natura, ma non avemlo oaser-
vato le leggi del matrimonio ed altre,
si grida in nostro obbrobrio il nome di
67. sruripo: pieno di stupore; confr.
Conv, IV, 25, - BI TURBA : si confonde,
68. AMMUTA : ammutolisce, sta I) guar-
dando a bocca .
69. nozz0:« rozzo, quanto alle parole
e agli atti; Selvatico, per quel modo om-
broso e quasi selvaggio, onde pare ch'egli
eviti il consorzio degli nomini civili; »
L. Vent. - s'INURBA ; entra in città rozzo
e selvatico, cioè In prima volta. « Specia-
liter poeta intelligit de montano habi-
tante in nlpibns Florentim, qui prima
vico qua vonit Florontinm: videna oex-
colan palatia, homlnos civilos, mirabiloa
sirenes, non satiatar visti, et videns tot
numquam visa obstupescit: huno actom
vidorat poeta oliqnando in ipsa patria
sun; »s Penv.
70. FARUTA: apparenza, sembianza.
Tl. scAncHE: scaricho, libore.
612 [GIRONE SETTIMO) Pura. xxv. 72-84
[LUSSURIOSI]
Lo qual negli alti cuor' tosto s’attuta,
73 « Beato te, che delle nostre marche, »
Ricominciò colei che pria m’ inchiese,
« Per viver meglio esperienza imbarche!
76 La gente che non vien con noi, offese
Di ciò per che già Cesar, trionfando,
“ Regina ,, con
79 Però si parton “ |
Rimproveranda.
Ed aiutan l’ar:
82 Nostro peccato fu viu
Ma perché non serv
Seguendo como be
72, NEGLI ALTI cUON' : a dill'erenza dello
stupore dell'ignoranza dol villano. - B'AT-
‘TUTA : al spegno, si diminuisce e cessa;
cfr. Diez, Wort. 19, 434 sog. Al. B1 MUTA;
cfr. Moore, Crit., 421 è seg.
73. MANCHK: contrade, regioni; cfr.
Purg. XIX, 45.
74. coLkI: l'ombra del Gainizelli, cfr.
v. 16-25. — M'INCHIK8K: Al. NE CHIKSE.
75. PRR VIVKUK: Al. PKR Mori. Dante
va su < per non esssr più cieco, » v. 58,
dunque per viver meglio. Dol resto chi
ben vivo ben muore. Cfr. Moonk, Orit.,
422 © seg.- IMBARCHE: metti nella tua
barca, nolla « navicella del tuo ingegno ; »
Purg. I, 2: guadagni.
77. DI CIÒ: sodomia. - CESAR: a motivo
dol nefaudo suo commercio con Nicomede
re di Bitinia, un certo Ottavio salutò Ce-
sare in una grande raduuanza col nome
di regina e fu chiamato regina bilinica
dal suo collega M. Bibulo. Nol trionfo
gallico i soldati romani cautarono, tra
altre, la laida canzono:
Gallias Cvsar subegit, Nicomedes Cicsarem;
Ecce Ceesar nunc triumphat, qui subegit Gallias;
Nicomedes noo triumphat, qui sube;it Ceesarem.
Così racconta Svetonio, Vit. Jul Ces., 49.
Dante, o confuse in uno i due fatti diver-
si, oppure trasportò a bella posta il mot-
teggio di Ottavio e di Bibulo al canto nel
trionfo gallico.
79. retò: perchè peccarono di sodo-
mia. - 81 PARTON: da noi, andando in di-
rezione opposta.
81. AIUTAN: facilitano, promuovono.
La vergogua volontaria di quelle anime
n s'intese;
ridando,
xi udito,
ndo,
È)
, unana legge,
vi Btito,
sce a compire l'opera della loro
lone, afuta quasi le fiamme a
i
farnoniro: bisessuale, termine
tou —-.'Ermafrodito della favola che si
unì colla Najado Salmace in un corpo solo
avente i duo sessi; cfr. Ovid. Met. IV,
288-388. Sono i lussariosi che non pecca-
rono contro natura. « Peccatum luxuria
consistit in hoc quod aliquis non secun-
dum rectam rationem delectatione vene-
rea utitur. Quoi quidem contingit du-
pliciter: uno modo secundam materiam
in gna hujusmodi delectationem quicrit;
alio modo secundum quod materia dobita
existente, non observantur aliw debita»
conditiones; » Thom. Aq. Sum. theol. 112,
154, 1. Alouni si avvisano cho la schiera
del Guinizolli sia di coloro cho poccarono
di bestialità, come se i colpevoli di be-
stialità fossero tutti nel Purgatorio ed
i colpevoli di lussuvia naturale tutti nel-
l'inferno; cfr. Com. Lips. II, 531-534.
83. BKIRVAMMO: osservamino. «< Usus
Vonorourum potest osso abaquo peccato,
si fiat debito modo et ordine, scoundum
quod est convonions ad finem genera-
tionis humanw.... Hoo portinet ad ratio-
nem luxuriv ut ordinem et modum ra-
tionis oxcedat circa vcnerea; » Thom. Aq.
Sun. theol. 118,158, 2.- UMANA : non pec-
carono dunque contro lo loggi di natura.
84. COME BESTIE: « Che non osservano
nè matrimonio nè parentado ; » Buti. «Si-
ne ratione humana; » Benv. Cfr. Salm.
XLUVIII, 21. « Chi dalla ragione si parte,
e usa pur la parte sensitiva, non vive
uomo, ma vive bestia; » Conv. II, 8.
[GIRONE SETTIMO]
Puro. xxvi. 85-97
[GUINIZELLI] 618
85 In obbrobrio di noi, per noi si legge,
Quando partiamci, il nome di colei
Che s’imbestiò nell’ imbestiate schegge.
88 Or sai nostri atti, e di che fummo rei:
Se forse a nome vuoi saper chi semo,
Tempo non è da dire, e non saprei.
91 Farotti ben di me volere scemo:
Son Guido Guinizelli, e già mi purgo
Per ben dolermi prima ch’allo stremo. »
Da Quali nella tristizia di Licurgo
Si fèr due figli a riveder la madre,
Tal mi fec'io, ma non a tanto insurgo,
97 Quand’i’ odo nomar sé stesso il padre
86. SI LEGGE: si dice, si grida; cfr. Inf.
X, 85.
80. rantTiaAMc!: ci dividiamo dall'altra
schiera. - coLe1: Pasife. Por gli uomini
del medio evo la favola di Pasife era una
allegoria, Pasife il tipo della donna rotta
al vizio di Inssnria, Cfr. Serg. ad Virg.
Aen, VI, 24, Horat. Od, 111, 5, 1 è seg.
Ovid. Heroid. V, 17, 18.
87. 8'IMBESTIÒ: nsò da bestia. - sciuma-
GE: la « falsa vacca, » Inf. XII, 13, fatta
da Dedalo.
90. Tero: sasendo già sern, — NON BA-
FREI: tanto grande il numero dei Inssu-
riosi, che Il tempo non basta a nominarli,
nè io li conosco tutti,
V. 901-135. Guido Gutnizelli, Quel
l'anima continua manifestando a Dante
Il ano nome, all'udire il quale Dante vor-
rebbe correro ad nbbracciaria, a0 la pan-
ra della flamma non lo tratteneass, onde
va riguardando quell'anima e quindi
le offre con amor figliale i snoi servigi.
- « Perchè mi mostri tanto affetto? » -
« A motivo dei dolci ed immortali vo-
stri versi. » - « Fratello, questi oh’ jo ti
addito fu miglior poeta di me, Egli su-
però tutti, cheechè ne dicano gli stolti
che gli antepongono il Lemosino, como
altri predicarono già sommo poota Guit-
tone d'Arezzo, finchè la verità fu rico-
nosciuta da molti. Ginechè la grazia ii-
vinn tl concede di andare in Paraiso,
prega lassi per me.» Ciò detto il Gul-
nizelli diapare nel fuoco, forse per dar
Inogo n quell'altro da Ini additato.
DI. FAROTTI: ti soddisfarò bensì in
quanto n mo, dicendoti Il mio nome.
92. Guino GurnizetLi: bolognese, ce-
lebro poeta volgare della seconda metà
dol secolo XIII, precursoro della nuova
sonola del « dolce stil nnovo, » morto
eanle nel 1276. DI lol cfr. Enciel., 974
ele storie letterarie; Conv, IV, 20. Vulg,
Elog. I, 15. Bartow, Lett. ital. TT, 284
e Beg, - MI PURGO: qui, invece di aspet-
tara ancora laggiù nell'Antipurgatorio.
03. ren DEN: per aver fatto penitenza
prima di giungere allo stremodi mia vita,
04. ‘rristIziA : dolore per la morte del
figlio Ofelte, dato in custodian ad Isifile
che lo depose sull'erba per mostrare ni
sette contro Tebe il fonte Langia (Pwrg.
XXII, 112), onde il figlioletto perì morso
da serpenti. - Licurco: re di Nemea.
05. riGLI: Tonante ed Euneo, arrivati
n tempo per salvare Insiflle dalle mani
dei carnefici cul era stata consegnata
da Euridice, moglie di Licurgo, per ven-
dicar la morte di Ofelte. Appena i dne
figli ebbero riconoscinto la madre, cor-
sero ad abbracciaria. « Per tela manns-
que Irruerunt, matremque avidia com-
plexibos ambo Diripiunt flentes, alter-
naque pectora mutant; » Stat. Theb, V,
721 è seg.
96. TAL: così anch'io mi sentii preso da
nn vivissimo desiderio di correre nd nb-
bracciare il Guinizelli (cfr. Inf. XV, 43
o seg.; XVI, 40 0 acg.), mn mi astonni
Jal farlo, temonilo il fnoco, v, 102. Così
i più. Sopra altre interpretazioni confr.
Com. Lips. IT, 537. - A TANTO: n correre
nd abbracciare il Gminizelli, come i figli
d'Isifile corsero ad abbracciare la madre.
07. ono: AI. wn’. - rannr: maestro
ETTIMO] Pura. xxvi. 98-117
[GUINIZELLI]
Mio e degli altri miei miglior’, che mai
Rime d'amore usar dolci e leggiadre:
100 E senza udire e dir pensoso andai
Li nga fiata rimirando lui,
N« per lo foco in là più m’appressai.
103 Poi che di riguardar pasciuto fui,
cai 10 servigio,
Ce e re altrui,
106 Ed ie estigio,
1 Ale ‘anto chiaro,
Che 1: ar bigio.
109 Ma, sc Aro,
Dimmi | 8 dimostri
Nel dire e n rmi caro, >
113 Ed io a stri
Che, ..-~ pderno,
Faranno cari
ichiostri. »
115 « O frate, » disse, « questi cn'io ti scerno
Col dito, » ed additò uno spirto innanzi,
« Fu miglior fabbro del parlar materno.
nel poetaro. Dante dà questo titolo di
solito a Virgilio; soltanto in quosto lnogo
lo dà pure ad un altro poeta.
98. Miki: degli altri poeti migliori di
me; Benv., Buti, Land., ecc. Degli al-
tri migliori poeti a me cari; Costa, Ed.
Pad., ecc. Degli altri migliori italiani
miei connazionali; T'om., Br. B., Frat.,
Oam., ecc. La prima interpretazione me-
riterebbe la preferenza ae si potesse cre-
dere aver Dante considerato per migliori
di lui altri poeti contemporanei.
99. usÀR: dettarono versi d'amore di
dolce ispirazione e forma leggiadra. « Non
satis est pulchra esse poiimata: dulcia
sunto; » IZorat. Ars poet., 99.
100. B BRNZA : ed andai un pozzo a nul-
l’altro badando cho u guardarlo; confr.
Giobbe II, 13.
102. IN LÀ: verso di lui; non mi acco-
atai di più a lui per cagione del fuoco.
105. CON L'AFFKRMAR: con giuramen-
to, v. 109.
106. VESTIGIO: memoria.
107. Ovo: della grazia a te concessa,
v. 55-60; cfr. v. 73, 76.
108. LETK: le acque del fiume della
dimonticanza, cfr. Purg. XXVIIT, 180;
XXXI, 91 © seg.; XXXIII, 91 © seg. -
TÒRKK NÉ FAR BIGIO : cancellare nd oscu-
rare. Al. NOL rud TOR, NÉ FAKLO HIGIO.
109. rauoLK: le ultime, v. 105. Con-
cetto: Ciò che dicesti circa la grazia a
te concessa ha fatto tale impressione su
me, che non me ne scorderò mai più.
Ma se le ultimo tue parole sono veraci,
dimmi quale aia la cagione dell’ amore
che mi porti.
112. DETTI: componimenti poetici; le
vostre dolci rime. L'ammirazione di Dan-
te è tutta letteraria.
113. QUANTO: cfr. Inf. IT, 60.- L'uso:
di poetare in lingua volgare. - MODERNO:
cfr. Vita Nuova, 25: « Anticamente non
erano dicitori d'Amore in lingua vol-
garo, mwa orauo dicitori d'Amore corti
poeti In lingua latina.... K non è molto
numero d'anni passato, che apparirono
prima questi poeti volgari. »
114. FARANNO: saranno sempre letti
con diletto; cfr. Purg. XI, 97-99, dove
Dante sembra dire il contrario.
115. O FRATR: cfr. Purg. XI, 82 e seg.
- QUESTI: Arnaldo Daniello, v. 142. -
SCERNO : mostro.
117. FAHBRO: poetò meglio nella sua
[GIRONE SETTIMO]
Pura. xxvi. 118-128
(GUINIZELLI) 615
118 Versi d'amore e prose di romanzi
Soverchiò tutti, e lascia dir gli stolti
Che quel di Lemosi credon ch’ avanei.
121 A voce più ch'al ver drizzan li volti,
E così ferman sua opinione
Prima ch’arte o ragion per lor s’ ascolti.
124 Così fèr molti antichi di Guittone,
Di grido in grido pur lui dando pregio,
Fin che l'ha vinto il ver con più persone.
127 Or, se tu hai sì ampio privilegio,
Che licito ti sia l'andare al chiostro,
lingua provonzale cho lo non facocssi nolln
nostra. « Materno ata qui in opposizione
al latino In cui molti componevano a
quel tempo, ma che non era più lingna
popolare o materna; » Dr. B.
118. versi D'AMORE: canzoni erotiche
in lingua provenzale. - PROSE DI ROMAN-
ZI: romanzi in prosn francese antica, Il
senso è indubbio: Superd tutti gli altri
trovatori provenzali e romanzieri fran-
cesì, Si può costruire: Soverchiò tutti i
versi d'amore e tutte le prose di ro-
manzi (Lomb., Br. B., ecc.), oppure,
forse meglio, ammettendo una elissi :
Superò tutti gli altri fabbri del parlar
materno nel dettar versi d'amore 6 pro-
eo di romanzi (Benn., Andr., eco.).
120. queL: Girault de Bornelh (« Go-
rardus de Bornello, » Vulg. FI. II, 2, 6),
celebre poeta provenzale, nativo di Ea-
sidueil nel Limosino; fiorì dal 1175 sin
verso i) 1220. Fu chiamato da'suoi con-
temporanei il maestro dei trovatori, da
Dante il cantore della rettitndine. Qui
Dante lo pospone ad Arnaldo Daniello,
forse perchè le ane poesie erano agli oc-
chi suoi troppo chiare e semplici. Cfr.
Diez, Leben und Werle, od. I, 120-148;
ed. IT, 110-124. Com. Lips. IT, 541, Ca-
nello, Vita ed opp. del trov. Arn. Da-
miello, Halle, 1883, 38 © seg. - LemoSÌ:
lat. Lemovices, si pod intendere della
città di Lemoges, oppure del Lemogino
o Limusino, provincia di Francia.
121. A voce: « Non sequeria torbam
nil faclendom malum; neo in indicio,
plurimorum noqniescons sontentim, ut
a vero devies ; » Brod. XXIII, 2. - puz-
ZAN: gli atolti, v. 119, attendono più al
romore di vana fama che alia verità del
fatti.
122. ava: loro, Badando soltanto al-
l' opinions comune, costoro fermano In
loro opinione senza interrogare le leggi
dell'arte e della ragione, « Plures enim
magnum acpe nomen falsia vulgi opi-
nionibus abstolerant; » Boet. Cons. phil.
III, pr. 6.
124, Gurrrone: d'Arezzo; ofr. Purg.
XXIV, 56. Vulg. El. II, 6, « Frate Gult-
tono d'Arezzo fu antico et valente di-
citore in rima, ct feco molte canzone
morali, et sonetti et ballate, et al suo
tempo avanzò ogni altro trovatore; et
durò tanto la fama antica, che, ben che
poi ne fossono di quelli che dicessono
meglio di lal, come fa notaro Incopo da
Lentino, Ser Bnonaginnta Orbiciani da
Lucca, messer Guido Goinizelli da Bo-
lngna, por In fama di frate Guittone
tenea il campo, infino n tanto che il vero
fa conosciuto di quelli che dissono me-
glio di lui: » An, Fior.
125. pr arInO: gridando alla cieca ciò
che altri gridavano, - rur LUI: soltanto
a lul. «Quelli ch’ 4 cisco del Jame della
discrezione sempre va nol sno giudico
secondo |l grido, 0 diritto 0 falso che
sin. » Conv, I, 11,
126. con PIÙ: con nn numero di per-
sone maggiore di qnei molti antichi che
dettero il pregio al solo Guittone, Al.:
Col merito maggiore di parecchi pooti
anecceasivi cho serissero meglio di Ini.
Ma le più persone stanno in opposizione
coi molti antichi, e so Guittone non fu
anperato che dai posteri i molti antichi
avevano ragione se davano o lui solo il
pregio.
127, raivitecio: ofr. Purg. XVI, 37
o seg.
128. AL cmostro: al Paradiso, dove
Cristo 4 capo della società dei benti. « Il
Paradiso è chiusura de' beati, come lo
GIG [airone SKTTIMO) Puro. xxvi. 129-140
[ARNALDO DANIELLO)
Nel quale è Cristo abate del collegio,
130 Fagli per me un dir di paternostro,
Quanto bisogna a noi di questo mondo,
Dove poter peccar non è più nostro. »
133 Poi, forse per dar loco altrui, secondo
Che presso nven, disparve per lo fuoco,
Come per l’acqua pesce andando al fondo.
126 Io mi feci al mostrato innanzi un poco,
E dissi ch'al suo nome il mio disire
Apparecchiava grazioso loco.
139 Ei cominciò liberamente a dire:
« Tan m' abelis vostre cortes deman,
chiostro è de’ religiosi chiusura consola-
toria 6 refrigeratoria; » Buti,
129, AMATE: padre, capo, doce, « Tm-
però che come l'abbato è pedre è signore
del monaci, così Cristo vin maggiormen-
te è padro e signore do’ beati ; » Jfuti,
130. FAGLI;: recita per me dinanzi al
trono di Cristo tanto del Padre nostro
quanto bisogna « noi anime del Purga-
torio cho, non potendo più peccare, non
abbiamo più bisogno di pregare l'ultima
delle preghiere del Padre nostro; confr.
Purg. XI, 72 e sog.
182. xostuUO: in nostro petero.
133. FOoRSK: per dare forse posto ad al-
tri, secondo che via via gli venivano ap-
presso. Al.: Forse per dare il secondo
luogo all'altro che avea presso di sè,
cioò ad Alnaldo(!). Cfr. Fanf. Stud. ed
Osserv., 112 0 wey.
135. ANDANDO; como il posco cho al
caccia verso il fondo scompare dalla su-
perficie dell'acqua. « Ecco che adduco
propria similitudine: l'acqua è traspa-
rente sicchè si vedo In esen quel che
v'è, e cont la fiamma del fuoco è tra-
sparente cho si vede in essa quel che
v'è; © come lo poscio non si vele per
lo profondarsi no l’acqua, così quel-
l'anima per lo profondarti no la fiaw-
ma;> Buti.
V.136-148. Arnaldo Danicllo. Dante
si avvicina, quanto la fiamma glielo
permetto, a colui cho il Guinizolli gli
avea mostrato, pregaudolo di rivelargli
il suo nome. F l’interragato risponde
in provenzale, sua lingua materna, di-
cendo che egli è Arnault Daniel e pre-
gando egli pare che Dante lo aiuti con
sue orazioni. Fa costui un trovatore
provenzale reso più celebre da questi
versi di Dante che non da’ snol lavori
giunti a noi. Fiori nella seconda metà
del secolo XII è pare vivesse sin verso
od oltre il 1200. Sulla soa vita, della
quale sappiamo ben poco, o le ane ope-
re, delle quali ben poche sono giunte a
nei, cfr. Diez, Leben und Werke, ediz.
I, 344-360; cdl. II, 279-202, Com. Lipa.
1I, 539 e seg. Canello, op. cit.
136. MI FECI: mi accostai un poco a
colni che il Guinizelli m’ avea additato,
v. 116 e seg.
137. pksing: desiderio di conoscerlo,
dopo quel tanto uditone dal Guinizelli.
«Gli dissi, ch'era aì vivo il mio deside-
rio di sapere chi si fosse, che avrei
accolto con ispeciale amore il suo no-
me; Pol.
138. unazioso Loco: « scilicet, ecri-
bendi aliquid do co cum rediasem ad
mundum vivontium; » Zenv.
139. LIBERAMENTK: senza farai pre-
gare più oltre, nella sua lingua mater-
na, con pronta cortesia. Liberamente
per liberalmente, spontaneamente, come
Inf. XIII, 86. Purg. XI, 134. Parad.
XXXIII, 18.
140. ‘ran M' ABKLIS: tradotti letteral-
mente questi vorai provenzali suonano:
« Tanto m'abbolla (= mi è bella, mi pia-
ce, cfr. Par. XXVI, 132) la vostra cor-
tese domanda, che io nou mi posso nè mi
voglio a voi copriro (= nascondere). Io
sono Arnaldo, che piango e vado cantan-
do; perchè così tosto (che) io veggo la
passata follia, io veggo (eziandio) giubi-
lando il giorno che spero dinanzi (a me).
Ora vi prego, per quel valore che vi
guida al sommo della scala (del Purga-
[Gin, SETTIMO]
Puro. xxvi. 141-148 - xxvil. 1-2 [AnaELO] 617
Qu'ieu no-m puesc, ni-m vueil a vos cobrire.
143 Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan,
Car, sitot vei la passada folor,
Eu vei jausen lo jorn, qu'esper, denan.
145 Ara vos prec, per aquella valor
Que us guida al som de l'escalina,
Sovegna vos a temps de ma dolor. »
148 Poi s’ascose nel fuoco che gli affina.
torio), sovvengavi a tempo del mio do-
lore. » Per le diverso lezioni di questi
versi, che veramente non offrono verona
difficoltà, ma cho farono guasti da ama-
nuensi ed editori ignari della lingna pro-
venzalo, confr. Com. Lipe. 11, 544-548.
Abbiamo seguito anche questa volta la
lezione del Diez. (ombinandoli colle rime
del testo, i versi si ponno tradurre:
Tanto m'è bel vostro gentil dimando,
Ch'io orn mi posso o voglio a vol coprire.
Arnaldo lo son, che piango e vo cantando;
Ché, nel vedere il mio passato irrore,.
Por vedo il di sperato ceultando.
Or faccio prego a vol, per quel valore
Ch'al sommo della scala v'incammina,
A tempo ripensato al mio dolore.
142. PLOR: piango lagrime di penitenza,
per i peccati commessi e canto pensando
alla beatitudine eterna che mi attende,
144, DEWAN: dinanzi, usato anticamente
per tosto, presto,
147. BOVEGNA: vi sovvenga; pregate
per me.
148, AFFINA: purifica delle loro colpo ;
ofr. Purg. VIII, 120,
CANTO VENTESIMOSETTIMO
GIRONE SETTIMO: LUSSURIA
L'ANGELO DELLA PURITÀ, PASSO ATTRAVERSO LE FIAMME
SALITA AL PARADISO TERRESTRE
ULTIME PAROLE DI VIRGILIO
Sì come quando i primi raggi vibra
Là dove il suo fattore il sangue sparse,
V.1-15, L’ Angelo della castità, Sono
lo oro 5'/a di sora, I T'oeti scorgono nn
Angelo che sull'orlo esterno della cornice
li Invita nd entrare nella fiamma. Negli
altri cerchi del Purgatorio non si fa men-
zione che di nn solo Angelo guardiano;
in questo qui sono invece due: l' uno al
di qua, l'altro al di là delle fiamme. I!
primo è l'Angelo della castità, il secondo
eombra essere l'Angelo guardiano del-
l'entrata nol Paradiso terrostre,
1. sl come: il solo si stava nol monto
del Purgatorio in quella medesima posi-
zione come quando manda | anol primi
raggi sopra Gerusalemme, ern clod vi-
cino nl tramonto, al quale non manca-
vano più che venti minnti.
2. FATTORE: Cristo per col tutte la
15a al cantar di là non siate sorde; »
13 Sì disse come noi gli fummo presso:
Perch’io divenni tal quando lo intes
Quale è colui che nella fossa è mess
cose furono create. « Omnia per ipsum
facta annt, et sine ipso factum est nibil
quod faotum est; » S. Giov, I, 3, « Crearo
convenit Deo secundum sun esse, quod
cet e)us sssentia, que ost commania tri-
bos personis. Undo creare non est pro-
prium alicul persons, sed commune toti
Trinitati; » Thom, Ag. Sum, theol. I, 46,6.
È. CADENDO: mezzanotte sul-
I Ebro, all'estremo confino occidentale
a 00 gradi da Gerusalemme, nel qual
tempo la costellazione della Libra si trova
al moridiano insiome con la notte; cfr.
Com, Lips. 11, 560, -Iukno: lat. Ibernma
Lam "l . l'Ebro, fiume della Spa-
quale nasce dal Pirenei, percorre
diaco to cul il sole ontra Il 21 settembre
RI Par.
XXIX, 2. Conv, 111, 5,
4. x L' ONDER: è cadendo le acque del
Gonge, sstromo confine orientale a 00
gradi da Gerusalemme, nel mare Cr
gli ardooti raggi del marzgodì. Al. x
1, ONDE. -NOwA: la quinta delle netta
parti nelle quall al divide l' afzio divino,
reciinta n mazzadi: off fhna TV 99
dove i Poeti andavi
[GIRONE SETTIMO]
Puro. xxv. 16-34 [ESITAZIONE] 619
16 In su le man commesse mi protesi,
Guardando il fuoco, e imaginando forte
Umani corpi già veduti accesi,
19 Volsersi verso me le buone scorte,
E Virgilio mi disse: « Figliuol mio,
Qui può esser tormento, ma non morte,
22 Ricordati, ricordati... e, se io
Sovr’esso Gerion ti guidai salvo,
Che farò ora presso più a Dio?
25 Credi per certo che, se dentro all’alvo
Di questa fiamma stessi ben mill’ anni,
Non ti potrebbe far d'un capel calvo;
28 E se tu credi forse ch’ io t'inganni,
Fatti vér lei e fatti far credenza
Con le tue mani al lembo de’ tuoi panni.
BI Pon giù omai, pon giù ogni temenza;
Volgiti in qua, e vieni oltre sicuro. »
Ed io pur fermo e contra coscienza.
a4 Quando mi vide star pur fermo e duro,
16. commessr: conginnte. - MI PROTEST:
aporsi il corpo avanti. « Inerocicchin le
dita delle mani, e distosele, sopra vi si
incorva, in ntto di spaventato; » Ces,
17. QUARDANDO : come nom guarda co-
an che lo riempie di terrore, - rontE :
al viro.
18, VEDUTI: era dunque stato presente
ed nven voduto ardere qualche condan-
nato.
19, scoORTR: Virgilio e Stazio,
21. NON MORTE: questo fuoco del Pur-
gatorio pnd bensì tormentare, ma non
necidere,
22. RICORDATI : « maeatrevolo reticenza,
che dico dieci tanti più, che a ricordargli
ad on per uno i tanti pericoli da’ quali
l'aven cavato, è lo ragioni cho egli avea
di fidarsi di Ini;» Ces.
23, sovr'Esso : persino sul dorso di Ge-
rione; cfr. Inf. XVII, O1 è seg.
24. rezsso PIÙ A Dio: Al. ok cnr SON
mi riresso A Dio. « Quasi dicat, longe
molins, idest: si traxi te de inferno, per
omnia genera fravudiom, qnanto magia
none te purgatum per omnia genera
vitiorum eroam de igne purgatorii? »
Benv.
25, DENTRO ALL'ALVO: nel bel mezzo,
nella parte più intensa di questa fiamma.
27. FAR: non ti potrebbe ardere un sol
capello; cfr. S. Matt, X, 10, 8. Luca XXI,
18. Atti XXVII, 34.
20. FATTI: appressati alla famma.-R
FATTI FAR CREDENZA: « kiont timentes
venonum facere solent, sine prieindicio
tuo; » Bene. Assionrati che la famma
non consuma toccandola col lembo della
toa veato, « Fa cho il lembo de’ tuoi pan-
ni ne fnocia credenza, ponendolo tu al
fuoco colle stesso mani; > Betti,
31, row ant: deponi ogni timoro è vol-
giti da questa parte, senza temere questo
fiamme che ponno bensì tormentare ma
non uccidere.
83, run FERMO: ed jo seguitava nondi-
meno n starmene | immobile, senza osare
d'entrar nella fiamma, disubbidendo non
solo a Virgilio ma e alla min coscienza
che m'imponova di faro quanto mi pre-
scriveva la « verace guida, » Vuol forse
farci intendere che la propria ana co-
scienza lo ammoniva di purgarsi dal pec-
cato della lussuria?
Bi. rekMO E puro: immobile ed oati-
nato. Fermo si riferisce al corpo, duro
all'animo. « Tile qui in suo sensu perse-
verat, rigidus et durus per similitndi-
nem vocator; » Thom. Aq. Sum. theol.
Ill, Suppl. I. 1,
vremcl Star di qua? » Indi gorri:
Come al fanciul si fa ch’ è vinto al
46 Poi dentro al fuoco innanzi mi si mi
35. TURBATO: a motivo della mia oati-
nazione. - UN POCO: « more sapientis; »
v.
86, TRA Beatnicn: null’ altro che que-
sta amma ti separa omai da Beatrice,
Virgilio conosceva già l'effotto di queste
Parole an] cuore di Dante, cfr. Purg. VI,
46 © sog,
37. AL NOME: « Ad nomen Thisbes ocy-
Prima, ma un leone la costrinse 4 faggiro
© né insanguinò il velo cadutole, fug-
dal capo, Arrivato Piramo 0 von
Sone lo tracce della bolva @ l'insangui-
nato velo, credendo lacoruta ò dlivorata
l'amante, si fori mortaluento. Ritoruata
al luogo del convegno, Tisbe trovò Pi
Lomo, pregandolo |
Tube, ed cl to di Tia il moribondo
riaperse gli occhi, è un momento
41. IL KXOMR: di
presente al mio |
42, MI nAMPOL
nuovi rampolli di
sieri. « Sempre ny
nova; perd che
dare, tanto mi
qua, se Beatrice tia
sta flamma]
45. comK: nel n
un fanciullo il qual
ti Pome si lascla in
prima far non volevi
che faor di rima, 7.1
voli !
bidire, Virgilio entri
prega Stazio at venin
[GIRONE SETTIMO]
Puro. xxvir, 47-63 [NELLA FIAMMA] 621
Pregando Stazio che venisse retro,
Che pria per lunga strada ci divise.
49 Come fui dentro, in un bogliente vetro
Gittato mi sarei per rinfrescarmi,
Tant’ era ivi lo incendio senza metro,
52 Lo dolce padre mio per confortarmi,
Pur di Beatrice ragionando andava,
Dicendo: « Gli occhi suoi gid veder parmi. »
55 Guidavaci una voce che cantava
Di là; e noi attenti pure a lei,
Venimmo fuor, là dove si montava.
58 « Venite, benedicti patris mei, »
Suonò dentro ad un lume che li era,
Tal che mi vinse e guardar nol potei.
61 « Lo sol sen va, » soggiunse, « e vien la sera:
Non y'arrestate, ma studiate il passo,
Mentre che l'occidente non s'annera, »
47. STAZIO: «il quale per lungo tratto
di strada aveva diviso mo da Virgilio. E
Dante vnol dire che in quella stretta via
Virgilio andava avanti, poi segnitava
Stazio, indi procedeva Dante, Allora però
Dante si pose tra VirgilioeStazio;» Betti,
- RETRO: forso per sospingere Dante, ae
mai avesse voluto formarsi v tornare in-
dietro.
48. cl prvisr: camminando dietro a
Virgilio ed innanzi a Dante; cfr. Purg.
XXII, 127; XXIII, 7 © sog.; XXIV,
119; XXV, Beseg.
40, peNTRO: nella fiamma. - vetRO:
«quod est summe calidum ;» Senv, Il più
terribile ardore che nom possa immagi-
narsi in questo mondo è come acqua fre-
sca in paragone all'ardoro di quella finm-
ma purifcante, Cfr. Arios.,OrL, VIII, 20.
Sl. BRNZA METRO: senza misura, indi-
cibilmente intenso.
62. rur: di contiuno.
54. aut occmt: « Gli occhi di questa
donna sono le sno dimostrazioni, le quali
dritto negli occhi dollo Intolletto, inna-
moro l'antma;» Conn, 11, 10. «Gli occhi
A Nonkrigo sono lo ragioni sottiliaalmo ot
allcnciasime, o l'intolletti sottilissimi,
che hanno avnto li Teologi in conside-
rare o contemplare Iddio et insegnare n
considerarlo e contemplarlo; » Buti.
55, auinavaci: dentro all' alvo della
fiamma i Poeti non potevano bene ac-
certare dove rinscirebbero; seguendo il
suono della voce ed alla di lei scorta
ponno tenero la via diritta, È la, voce
dell'Angelo, il quale però non si dice
che cancellasse dalla fronte di Dante
l'ultimo dei sette P, che forse fn tolto
via per l'appunto dalla fiammn.
50. ATTENTI: badando soltanto alla
voce 6 non ad altri indizii per conoscere
la via diritta.
57. vexiMMmo: uscimmo dalle finmme là
dove per una scala intagliata nel sasso
al saliva al Paradiso terrestre.
58, vexiTR: parole che Cristo dirà ngli
eletti il di del giudizio finale: « Venite
benedicti patris mei, possidete paratum
vobis regnum n constitutione mundi ; »
8. Matt. XXV, 34.
59, LUME: lo splendore dell'Angelo, più
lucente degli altri veduti sin qni, perchè
più presso a Dio. - 1.1: nel Inogo stesso
dove i Pooti uscirono dalle fiamme è dove
incominciava la scala.
60, TAL: tanto splendente che m'abba-
glià; ofr. erg. 11,30; 1X, Al; XV, 10-00.
GI. srieseritie: prima cho traniontl 11 nolo,
vigomdo anche Inast In loggo Purg. VII,
44 0 Rog.
V. 64-93. Principio della salita è
riposo, Sono dieci minuti meno delle
sei ore di sera; il sole 4 i per tramon-
tare anche Inssi alla settima cornice. So-
condo il consiglio dell'Angelo, i T'oeti si
Fosse orizzonte fatto d’un aspetto,
E notte avesse tutte sue dispense,
78 Ciascun di noi d’un grado fece letto;
Ché la natura del monte ci affranse
La possa del salir più che il diletto
76 Quali si fanno ruminando manse
Le capre, state rapide e proterve
Sopra le cime, avanti che sien pran
79 Tacite all'ombra, mentre che il sol fe:
Guardate dal pastor, che in su la ve
affrettano a salire l'ultima scala, ma dopo
pochi.scalini il sole tramonta, il ciclo si
oscura e la legge del Purgatorio costrin-
ge | Pooti a formarai, onde cinscano di
casi fu suo lotto d'un grado. 11 modo con
che si adagiarono aspettando jl nuovo
vole è descritto von duo ulemilitudini -
Dante come capra custodita dal pastore,
Virgilio e Stazio como mandriani che at.
tendono al gregge. Dall' angusta scala
dov'egli riposa, sì mostrano a Danto le
stollo più lucenti 0 più graudi del solito,
Od. inerrrA: « dice che quest'ultima
via, seovata essa pure nol masso vivo,
lendo por casa il Posta aveva dinanzi
l'ambra del proprio corpo, Era dunque
lu dell'occidente questa ostre-
Portato © dirigeva a levante; » Anto-
» I e PT
GO, BRNTIMMO : cl i
Virgilio è Stazio.
TO. mmensr: lam
TI, VROK LETTO ; al
dino dolla scala,
Td, LA NATURA? ol
non si può salire; e
BOE. — Ul AVFRANBR:
75, iL DbiLiertO: la
70. nUMINANDO: È
manglato, = WANSE |
sticato,
77. RAMDE: veloci
[SALITA]
Puro. xxvii. 81-93
[RIPOs0] 623
Poggiato s'è, e lor poggiato serve;
82 E quale il mandrian che fuori alberga,
‘Lungo il peculio suo queto pernotta,
Guardando perché fiera non lo sperga;
85 Tali eravamo tutti e tre allotta,
Io come capra ed ei come pastori,
Fasciati quinci e quindi d'alta grotta.
88 Poco poten parer lì del di fuori;
Ma per quel poco vedev’ io le stelle,
Di lor solere 6 più chiare e maggiori,
ol Sì ruminando e sì mirando in quelle,
Mi prese il sonno; il sonno che sovente,
Anzi che il fatto sia, sa le novelle.
81. senvr: custodendole. Mentre che
le capre si riposano, il pastore appog-
giato sul suo bastone le onstodisce ed in
tal modo serve loro di guardia. La le-
zione: K LOR DI rosa serve è inatton-
dibile, ogni pastorello sapendo che, ri-
posando egli, non fa con ciò riposare le
ane capre, 6 l'interpretazione: « e questo
lor rominare all'ombra serve alle capre
ili riposo, » essenilo altrettanto matorial-
mente falsa, quanto contro la sintassi.
Cie. Com. Lips. 11,500, Moone, Orit., 425
e seg. Il discutere ulteriormente sulla le-
zione di questo verso è fatica gettata.
Basta farselo spiogare dai pastorelli.
£2. MANDRIAN: castodo di una mandra,
a differenza del pastore, che può anche
essere il custode di poche bestie, - ruOWRI :
di casa sua, in campagna. « Ipse velnt
atabuli onatos in montibus olim, Vesper
mbi è pasto vitulos ad teota reducit Au-
ditisqne lupos nonont balatibus agni,
Considit scopolo medina numeramque
recenset;» Virg. Georg. TV, 433 © seg.
83, LUNGO: preaso la sun gregge passa
riposnto la notte vegliando.
84. NON LO BPERGA: non disperga, di-
strugga il suo pecolio.
BS, ALLOTTA : allora; cfr. Inf. V, 63;
XXXI, 112; XXXIV, 7. Purg. ILL, 80;
XX, 103,
60. mi: Virgilio e Stazio, paragonati
al mandriani, mentre Dante si paragona
al pecnlio.
B7. FASCIATI: circondati da ambo i Inti
dalle pareti di quella fenditara della mon-
tagna dove era la scala. - D'ALTA: Al,
DALLA. Che In grotta fosse alta risulta
chiaramente dal verso seguente.
88. rood: le pareti essendo alte e la vin
stretta. - PARKER: apparire. A motivo
della strettozza e profondità della fen-
ditura non si poteva vedere che una
striscia di cielo,
90. nr Lon soLRRE: del loro solito. -
MAGGIORI: « L' accresciuta chiarezza si
spiegn coll'nnmentata porith e finezza
dell'aria in quell' alta regione; e quanto
alla parvenza di più grande volume, bi-
sogna dire che il Pootn credesse di aver
salito tanto, da essersi avvicinato in mo-
do apprezzabile alla sforna stellata, sì che
le stelle dovessero comparire più grandi ;
concetto cho per In dottrina di quel tem-
po anila distanza di questi nstri niente
ha di nssurdo;» Antonelli,
01. sì: così, volgendo e rivolgendo nolla
mia mente lo cose trascorse, como le ca-
pre ruminano l'erba pasciuta, e mirando
così nelle stelle, fai preso dal sonno, il
quale rivela sovente i fatti prima che av-
vengano ; ofr. Inf. XXVI, 7. Purg. IX,
16 6 seg. - «Il sogno, che ai sogna dalla
nona ora della notte infino al principio
doll'anrora. dicono che si dee compiere
infra a uno anno, o sel mesi, o tre, o in-
fra "1 termine di dieci di. E questi sogni,
che si fanno intorno all' alba del dì, se-
condo ch' e' dicono, sono i più veri sogni
cho si facciano, e che meglio si possano
interpretare lo loro significazioni ;» Pas-
savanti, Specchio di pen. (Fir., 1843), 407.
V. 04-108. Sogno mistico di Dante.
Verso l'alba, quando del ver sai sogna,
Dante vede in sogno una bella giovane
donna andar por un prato cogliendo fiori
per inghirlandarsene il capo. Essa canta,
enel suo canto dice che è Lia, la quale si
Pura. xxvit. 94-106
[SOGNO MISTICO]
DA . Vora credo, che dell’ oriente
rrima raggiò nel monte Citerea,
Che di fuoco d’amor par sempre ardente;
07 Giovano o bolla in sogno mi parea
Donna vedere andar per una landa
Cogliendo fiori; e cantando dicea:
100 « Sappia, quale “*
Ch'io mi sc
Le belle m
103 Per piacermi
Ma mia suor
Dal suo mi
106 Ell'è de’ suoi ,
diletta dell' operosità, mentre
sua sorolla si diletta di coni
continuo nello specchio, Coi
di quell'altro sogno (Purg. IL
gli annunziava Lucia, così la Loria 1.11.0
gli annontia Matelila che egli vedrà nel
Paradiso terrestre. E per i SS, Padri, 6
per gli Scolastici (cfr. Com. Lips. II, 561
o seg.) Lia e Rachele, figlie di Laban e
mogli del patriarca Giacobbe, figurano la
prima la vita attiva, la seconda la vita
contomplativa. Como Lia è la precorri-
trice di Matelda, così Rachelo di Bon-
trice. Ma come S. Giovanni Battista, il
precursore di Cristo, non è Cristo, come
l'aquila dell'altro sogno non è Lucia, così
nè Lia è Matelda, nè Rachele è Beatrice.
04. NELL'ORA: Dante suppono cho il
planeta Venere sorgesse al Purgatorio
poco prima dell’ alba solaro ; ofr. Purg.
I, 19 eseg. Vuol dire cho sognò presso al
mattino ; cfr. Inf. XXVI, 7.
Q5. MONTE: del Purgatorio. - CITERRA :
Venere, così chiamata dall'isola di Cite-
ra, ogg! Cerigo, presso la quale, secundo
la mitologia, la Doa nacque dalle spume
del mare, e duve ella era particolarmente
venerata.
98. LANDA: pianura, prato, cfr. Inf.
XIV, 8. Diez, Wort. 13, 242.
101. Lia: mb (= affaticata, stanca),
T ee
figlia maggioro di Laban e prima moglie
di Giacobbe; cfr. Gen. XXIX, 16 © seg.;
XXX, 17 © seg.; XLIX, 31. « Per Liam,
quo fuit lippa, sod focunda, significatur
vita activa, quiv dum occupatur inopere,
—*- —— ne domanda,
indo intorno
hirlanda.
m’adorno;
n si smaga
to giorno.
r vaga,
let; sed dom modo per verbum,
exemplum ad imitationem snam
accendit, multoa in opere bono
srat; » Greg. Magn. Hom, la in
a. Quid per Liam nisi activa vita
signitur? Quid per Rachelem nisi con-
templatival In contemplatione princi-
pium, quod Deusest, queritur; in opera-
tione autem sub gravi necessitatem fasce
laboratur; » Id. Moral. VII, 28. Confr.
Thom. Aq. Sum. theol. II*, 179, 2.
102. MANI: « significano gli atti vir-
tuosi, li quali, come fiori vari, fanno co-
rona di lode e di gloria a chi li coglie e
ponseli a capo, cioè in su lo suo intellet-
to; » Buti. Cfr. Conv. IV, 23. De Mon.I,4.
103. PER PIACERMI: io mi adorno qui
colle opero (fiori) per piacere a me stessa
quando mi spocchiorò in Dio, che è lo
specchio della coscienza, come questa del-
l'uomo.
104. RACHEL: uns (== pecorella), se-
e 7
condogenita di Laban o seconda moglio
di Giacobbe; ofr. Gen. XXIX, 10 © seg.;
XXX,22eseg.;XXXI,19eseg.; XXXV,
16 e seg.; simbolo della vita contempla-
tiva; cfr. Inf. II, 102. - 81 8MAGA: ai al-
lontana; cfr. Purg. X, 106.
105. MIRAGLIO : dal suo specchio, che è
Iddio. Di miraglio, prov. mtralh, usato
dagli antichi nel senso di specchio, confr.
Diez, Wort. 113, 878. Nannuc., Verbi,
749. - sIKDE: « Sedens secus pedes Do-
mini audiebat verbum illius; » £. Luca
X, 39.
106. bk'8UOI: ella è vaga di vodore i
suoi begli occhi nello specchio, come io
Fo
[SALITA]
Pura. xxvii. 107-115
(KISVEGLIO] 625
Com’ io dell’ adornarmi con le mani;
| Lei lo vedere, e me l’ovrare appaga. »
109
E già, per gli splendori antelucani,
Che tanto ai peregrin’ surgon più grati
Quanto tornando albergan men lontani,
112
Le tenebre fuggian da tutti i lati,
E il sonno mio con esse; ond’ io levàmi,
Veggendo i gran’ maestri già levati.
115
dell'adornarmi co' fiori trascelti colle mie
mani; ella si bea nella contemplazione,
come io nell'oporare.
108, LO vEDENR: « vita hominis conve-
nionter dividitor per activam et con-
vam (Thom. Ag. Sum, theol, I1?,
170, 1). Iste dum vite significantur per
duas nrores Incob: activa quidem per
Liam, contemplativam vero per Rache-
lem.... Dirisio ista datur do vita huma-
na, quo quidem altenditur sconndum
Intellectam. Intellectus autem dividitur
per activom et contemplativam, quia
finis intellectivm cognitionia vel ost ipan
cognitio veritatia, quod pertinet ad in-
tollectam contemplativum; vol eat ali-
qua exterior actio, quod portinet nd in-
tellestom practicum sive aclivam (ibid.
A 179, 2). Deum diligore secunduin se
is meritorinm quam diligere
tici Vita autem contemplativa
directs ot immediate pertinet nd dilec-
tlonem Dei; vita autem activa directina
ordinatar ad dilectionom proximi. Et
ldeo ex sno genere contemplativa vita
est majoria meriti quam activa; » (ibid.
119, 182, 2). Cfr. Conv, II, 6; IV, 17. De
Mon, ILI, 10. Com. Lips. 11, 561 © sog.
V. 100-123. Salita al Paradiso ter-
restre.Sonole ore 0 '/: di mattina, Dante
al aveglia è vode Virgilio e Stazio già le-
vati. Virgilio gli dice: « Quella felicità
the gli nomini vanno cercando per tante
© sì diverse vie, appagherA oggi nel tor-
rostro Paradiso le tue brame, » Oltre mo-
do lieto di ai fausta promessa gli si rad-
doppia il volere di giongere sn la som-
mità del Sacro Monte, così che agli sale
il rimanente della scala quasi n volo.
109, ANTRLUCANI: precodenti la luce.
Chiama antelucani quel chin-
rore che precede l'anrora. « Tamquam
gotta roris antelucani, qiuv descendit In
terram; » Sapien. XI, 23.
40. — Div. Commn., 3° cdiz.
« Quel dolce pome, che per tanti rami
110.11Ù onatI: por la speranza di ri-
vedere più presto la patria.
111. MEN LONTANI: Al, PIÙ LONTANI,
che il Lan. spiega: « Quanto lo pelle-
grino è pitt lontano dalla sna casa, tor-
nando dal sno v inggio, tanto gli è più
n grado lo die © l'anrora; quindi fe-
stina e viaggia. » Veramente PIÙ LON-
TANI è lezione del più dei cold.; ma
l'altra contieno nn concetto famigliare
a Dante. « Quanto la cow disiderata
più #'appropinqua al desiderante, tanto
il desiderio è maggiore; » Conv, IIT, 10,
«Omno diligibile tanto magis diligitur,
quanto propinquina est diligenti; » De
Mon. I, 11. In secondo Inogo si può du-
bitare se l'aurora sia tanto più grata
al pollegrino quanto più lontano egli è
Ja casa sua; il contrario è per ayron-
tura il vero. In terzo luogo Dante non
era pù, ma mrx lontano 6 dal Paradiso
terrestre,fleatinato già per patria all'uman
genoro, e dal Paradiso celeste, vera patrin
flell'nomo. Vedi pure Moore, Crit., 426
e Reg.
113. urvAMi: mi lovai.
114. anan' MARSTRI: Virgilio e Stazio
« chè fir del mondo sì gran maliscalchi, »
Purg. XXIV, 90.
115. rome: pomo, ofr. v. 45, Cone, IV,
12. Il pomo che la cora dei mortali va
cercando per tanti rami è il vero Bene,
ciò che rende l'uomo veramente felice.
«Omnis mortalium cura quam multipli-
cinm studiorum labor exercet, divorso
quidem calle procedit, aed ad unum ta-
men boatitndinis finem nilitor perveni-
re. Td antem est bonum quo quis ndepio
nibil ulterina desiderare queant; » Bort.
Cons. phil. LIT, pr. 2; cfr. Com. Lips.
II, 505 6 seg. - TRR TANTI RAMI: per
sì diverse vie. « Tune diverso tramito
mortalos omnes conantar adipisci, Est
enim mentibas hominum veri boni na-
u |
Pura. xxvir. 116-182 [CONGEDO DI VIRGILIO)
Cercando va la cura de’ mortali,
( gi porrà in pace le tue fami. »
118 Vi
1
lio inverso me queste cotali
role usò, è mai non firo strenne
e fosser di piacere a queste eguali.
121 Tanto voler sopra voler mi venne
Dell’ esse
Al volo m. -
1% Come la scali
Fu corsa, €
Tn ma fiasA
127
VboUuUuUD
Ov’ io |
130 Tratto t' he u
Lo
1
i ira au
turaliter inserta cupiditas, sed ad falsa
devius error abduacit; » Boet., 1. c.
116. La CURA: primo caso; i mortali
con tanta cura.
117. LE TUK FAMI: i tuoi desiderii, che
saranno oggi appagati.
119. E MAI: e nessuno dono fu mai rice-
vuto con tauto piacere, quanto fu quello
che io provai all'udire queste parole di
Virgilio. -STRENNK: « munera quio man-
cia appellantur; unde olim romani im-
peratoros dabant strennas militibus ; »
Benv.
124. LK PENNK: la forza a camminaro.
Si è oramai avverata la profezia di Vir-
gilio, Purg. 1V, 91 e seg.; XII, 121 © seg.
Cfr. Par. XVIII, 68 e seg.
V. 124-142. Ultima parole di Vir-
gilio. Arrivati al sommo della scala, al-
l'ingresso dol Paradiso terrestre, Virgilio
guarda fiso il suo alunno © si congeda da
lui, dicendogli: Tu hai or veduto le pene
dell'Inferno e quelle del Purgatorio e sei
giunto in Inogu, dove io nun so più es-
serti guida. Il tuo proprio volere ti sia
pertanto guida sino all'apparizione di
Beatrice. Da me non aspettar più parole
o cenni; omai sci il tuo proprio signore.
125. IN BU IL GRADO BUPKRNO: suli’ul-
timo scaglione, all’ entrata del Paradiso
terrestre.
126. riccò: mi guardò fisamente; cfr.
Inf.XII,46; XV, 26. Purg.XIII,43, ecc.
;8s0 poi
penne.
grado superno,
ll suoi,
| l'eterno
uto in parte
discerno.
con arte;
per duce:
sei dell’arte.
127. TKMPORAL: del Purgatorio. - ETKR-
NO: dell’ Inferno. « Pona damnatorum
est aterna, ut dicitar Matt. XXV, 46:
Ibunt in ignem aternum. Sed purgato-
rius ignis est temporalis.... sternus
quantum ad substantiam, sed tempora-
lis quantum ad effectura purgationis ; »
Thom. Aq. Sum. theol. III, Suppl. de
Purg. art. 2,
128. IN PARTE: nel Paradiso terrestre,
figura della beatitudine di questa vita,
alla quale l'uomo perviene per gli am-
maostramonti filosofici, oporando sevon-
do lo virtù morali ed intellettuali, e sotto
la guida dell'autorità imperiale; cfr. De
Mon. III, 15.
129. PKR MK: senza il lume della Ri-
velazione; cfr. Purg. XVIII, 46 e ae-
guenti. « Ove la mia scienza puramente
umana niente altro conosce; trattandosi
omai di cose teologiche; » Betti.
130. CON INGEGNO: trovando quanto
era mestieri al tuo campare, cfr. Inf. II,
67 e seg. - CON ARTE: studiando quanto
ti fosse di soccorso ad ogni bisogna; cfr.
Purg. XVIII, 150. « Rationibus et per-
suasionibus, que possunt haberi per ar-
tem acquisitam ingenio humano; » Benv.
131. PKENDI: or va a tuo senno. « Deus
reliquit hominem in manu consilii sui; »
Eccles. XV, 14.
182. RRTE: ripide. - ARTR: strette; cfr.
Inf XIX, 42. Par. XXVIII, 33.
[BALITA]
Pura. xxvir. 133-142 [congeno DI vira.) 627
133 Vedi là il sol che in fronte ti riluce;
Vedi |’ erbetta, 1 fiori e gli arbuscelli,
Che qui la terra sol da sé produce.
130 Mentre che vegnan lieti gli occhi belli,
Che lagrimando a te venir mi fonno,
Seder ti puoi e puoi andar tra elli.
139 Non aspettar mio dir più, né mio cenno:
Libero, sano e dritto è tuo arbitrio,
E fallo féra non fare a suo senno;
142 Perch’ io te sopra te corono e mitrio. »
133. IN FRONTR: « 80 1 Poeti avovano il
sole alle spalle quando la sera procedente
cominciarono a salire In scala, giunti in
cima ad essa poco dopo il sorgere di quel-
l'astro, doveva questo esser loro in pro-
spetto, sebbene on poco a sinistra; » An-
tonelli, - Dio è il sole spirituale e intelli-
gibile (Conv, ITI, 12); dalla fronte di
Dante sono cancellati i sotte P, onde ogli
4 omai disposto a ricevere la divina luce,
« Poichè In somma Deità, cioè Iddio,
vede apparecchiata la sua creatura a
ricevere del sno beneficio, tanto largn-
mente In quella no mette, quanto np-
Parocehiata è a ricoverne; » Conv, IV, 21.
145, 80L DA BÉ: senza seme; cfr, Purg.
XXVIII,69; e seozanmanlavoro, « Ipaa
quoque Immuonis rastroque intacta nec
nllis Sancia vomeribns per se dabat om-
nia tellus; » Ovid. Met. I, 101 © seg. So-
condo ln Genesi (II, 15) Dio « posnit ho-
minem in paradiso voluptatis, ut opera-
retur et custodirot illum. » Ma, secondo
gli scolastici, quel lavoro non era fatica,
era anzi diletto, « Neo tamen illa operatio
saset laboriosa, sicut poat peccatum ; sod
fuisse Jnenndam propter experientiam
rirtutla natorm. Custodin etinm Ila non
esset contra invasorem ; sed caset ad hoc
quod homo sibi paradisam eustodiret, ne
ipsum peceando amitteret. Et hoo totum
in bonam hominis cedebat; » Thom. Aq.
Sum. theol. I, 102, 3. Com. Lips. 11, 669.
136, MENTRE: finchè, - LIETI : della ton
salvaziono, mentre già lagrimarono ve-
dondoti smarrito, - occm: di Beatrice,
efr. v. 54,
137. LAGRIMANDO : ofr. Inf. IT, 116.
138. sepER: vita contemplativa, v. 105,
- ANDAR: vita attiva, v. 101. - TRA EL-
ut: tra l'erbetta, i fiori e gli arbuscelli,
v. 1M.
139. mio pre: Virgilio non abbandona
Dante cho all'apparire di Beatrico, ofr.
Purg. XXVIII, 145 è sog.; XXLX, 66
e sog.; XXX, 48 © sog.; mn non parla
più, od fa verun cenno; è d'or innanzi
un compagno tutto passivo,
140, LibRRO: da qualsiasi influenza di
appetiti peccaminosi; cfr. Conv. IV, 2,
17. De Mon, I, 12, - BANO: non più im-
pedito nello suo operazioni. — DRITTO :
conformantesi a quella giustizia «la qua-
le ordina noi nd amare ed operare di-
rittura in tutte le cose; » Conv. IV, 15.
142, conono R MITRIO: ti metto la co-
rona mitrata degl'imperatori; » facio te
anper te regem et dominum ; » Benv. In-
tende qui della mitra imperiale, cho il
papa poneva anticamente in capo all'im-
peratore, e sulla mitra la corona, La mi-
tra ecolesiastica non ha qui che vedere,
non potendo Virgilio conferirla, nd Dante
casendo da quindi innanzi il sno proprio
vescovo e pastore, ma sotto In direzione
della guida spirituale, che 4 Beatrice.
L' invocare in favore dell’ intorpreta-
zione: « Ti naftido la direzione politica
ed jl governo spirituale di te stesso» i
passi seritturnli Apocal. I, 6; V, 10, ecc.,
é un sacrilegio. Cristo ne fa re e ancer-
doti; ma Virgilio non è Cristo, Sopra
questo verso confronta Com. Lips. II,
670.672.
628 (PAR. TERRESTRE) Puro. xxviii. 1-8
[ENTRATA]
CANTO VENTESIMOTTAVO
PARADISO
TERRESTRE
IL FIUME LETE, LA DONNA SOLETTA
ORIGINE DELL'ACQUA E DEL VENTO NELLA DIVINA SELVA
CONDIZIONE DEL LUOGO
—
Vago già di cercar dentro e dintorno :
La divina foresta spessa e viva,
Ch’ agli occhi temperava il nuovo giorno,
4 Senza pil aspettar lasciai la riva,
Prondendo la campagna lento lonto
Su per lo suol che d’ogni parto oliva.
7 Un’ aura dolce, senza mutamento
Avere in sé, mi feria per la fronte
V. 1-21. Entrata nella dicina fo-
resta. È la mattina del settimo ed ul-
timo giorno del viaggio dantesco. I Poeti
ontrano nel Paradiso terrestre, selva in-
cantevole, dovo il suolo oliva d'ogni
parte ed un'aura dolce ferisce per la
fronte. - Cone in tante altre cose, Dante
si mostra fedelissimo discepolo di S. Tom-
maso anche nella topografia del Paradiso
terrestre, il quale, secondo l'Aquinate,
ò situato in luogo altissimo nelle parti
orientali dolla terra. «Cum autem oriens
rit dextera cali, dextera autem est nobi-
lior quam sinistra : conveniens fuit ut in
orientali parte paradisus terrenus insti-
tuoretur a Deo.... Pertingit usque ad lu-
narem circulum.... Seclusus a nostra
habitationo aliquibus impodimentis vel
montium vel marium, vel alicujus wetuo-
sic regionis, qnie pertransiri non potest; »
Sum. theol. I, 102, 1-4; cfr. Txidor. Etyin.
XIV, 3. Petr. Lomb. Sent. JI, 17, ecc.
Ioh. Damasc. De orthod. Fid. If, 11.
8S. Aug. in Genes. VIII, 7.
1. VAGO: desideroso, a causa delle pa-
role di Virgilio Purg. XXVII, 115 e
seg. - DENTRO: per lo mezzo. - DINTOR-
NO: in giro.
2. DIVINA: piantata da Dio; cfr. Gen.
Tl, 8. - srkssa: folta (v. 108) di erbe,
fiori ed arboscelli. - viva: sempre ver-
deggiante e fiorento.
8. TKMPERAVA: la qual foresta, folta
e verdeggiante, temperava, rendova me-
no vivi agli occhi miei (a motivo de' suoi
frondosi rami) i raggi del sole recente
mente nato.
4. ABPETTAR: consiglio o cenno di Vir-
gilio; ofr. Purg. XXVII, 139. - La RIVA:
I’ ostremità di quel piano, l'ingrosso del
Paradiso terrestre.
5. RENDENDO: avviaudomi lentamente
pov quella pianura. « Fra quelle delizie
non potevu avor voglia di correro; » Ces.
0. OLIVA: vlezzava, mandava graditi
odori, ossendo smaltato di fiori, di er-
betta e di arboscelli; cfr. Purg. XXVII,
134. Bocc., Dec. II, 5.
7. DOLCE: perchd olozzante. - BENZA
MUTAMENTO: sempre d'un modo, non
soggetta ad alterazioni e perturbazioni,
come l'aria sulla nostra terra.
(PAR, TERRESTRE] —
Pura. xxviii. 9-21
[ENTRATA] 629
Non di più colpo che soave vento;
10 Per cui le fronde, tremolando pronte,
Tutte quante piegavano alla parte
U’ la prim’ ombra gitta il santo monte;
13 Non però dal lor esser dritto sparte
Tanto, che gli augelletti per le cime
Lasciasser d’operare ogni lor arte:
16 Ma con piena letizia |’ ére prime,
Cantando, ricevièno intra le foglie,
Che tenevan bordone alle sue rime ;
19 Tal, qual di ramo in ramo si raccoglie
Per la pineta in sul lito di Chiassi,
Quand’ Eolo Scirocco fuor discioglie.
D. NON DI PIÙ: quell'anra mi feriva per
la fronte come un soffio leggiero di vento
BORVO,
10, PER cut: pel soffiare di quell'anra
dolce, le fronde degli arboscelli si piega-
vano tutte obbedienti verso occidente,
da quella medesima parte dove il santo
monte in quell'ora mattinale gettava la
ana ombra.
13, NOx rRRÒ: quelle fronde non si sco-
stavano porò tanto dalla loro posizinne
naturale che gli uccelletti lassiassero di
volare «di ramo in ramo cantando è sol-
lazzandosi. 1) movimento dei rami non
era donque forte.
1f, L'Ork: lo prime anre, lo aurette
mattutine; cfr. Petrarca, Son. I, 124:
Parm! d'udlla, ud»: do | rami è l'dre.
17. MICIEVIENO: ricevevano, respira-
vano.
18. TENEVAN DORDONE: facevano il con-
trabbasso, necompagnavano, stormendo,
il loro canto. - ALLE SUR RIME: al loro
canto; al canto degli nugelletti.
10, TAL: come risnona lo stormire nella
pineta di Ravenna quando spira il vento
ill Sciroceo. « Qualia snocinetia, vbi trux
inaibilat earns, Murmura pinetia finnt,
ant qualia flaoctus Aquorei faciunt; »
Ovid. Met. XV, 603 6 seg.
20. Cirassi: oggi Olasse, casiello o
città cho si atondeva sul celebre porto
di Ravenna, coi era unito da una via
detta Cesarea. Nun rimane oggi che la
eplondida basilica di S. Apollinare detta
appunto in Classe, presso la quale sorse
anticamente un'abazia abitata dai Cas-
sinesi, al quali nel 1138 anccedettoro i
Camaldolesi; efr. Ricci, Ultimo rifugio
di D., 114-117,
21, Eoto: il dio e signore dei venti,
che li tiene chiusi in una grotta e li
sprigiona a suo beneplacito, « Molinm
venit., Hic vasto rex Zolns antro Luno-
tantes ventos tempestatesque sonoras
Imperio premit ac vinella et carcere fre-
nat; » Virg. Aen. I, 52080g.- Scrmoceo:
routo meridionale, « Quando lo scirooco
spira, di tra levante e mezzogiorno, tutte
le fronde del pineto ravennate, posto sul-
l'orlo dell'Adriatico, ai piegano ad occl-
dente mormoranio con dolcezza o con una
specio di ritmo o di fromito nguale e co-
stauto che è proprio de’ pini, per Ja loro
forma quasi piana al di sopra è per la
qualità della chioma a steli rigidi ed
nenti, Così gli ncoelli non Impanriti da
stormiro improvviso nè da troppo on-
degginmento del tronchi achietti e forti,
cantano per le cima senza interruzione
come raccolll in dilettoso convegno o
in viva gara di voci e di canti; + Ricci,
I, e. 116,
V, 22.337, 12 flume Lete, Addentra-
tosi nella divina foresta, Dante ginnge
alle sponde di un flume dalle neque chia-
Tissime o Il si ferma. Il Poota tolse dalla
Genesi 1I, 10 e seg., l'idea dei fiumi del
Paradiso terrestre che nascono da nua
soln sorgente o scorrono in direzione op-
posta; i nomi di essi li tolao dalla mi-
tologia classica. Ma soltanto i nomi, è
nulla più. Il Lete dantesco non è il Leto
degli antichi, che nmmortando la me-
moria di tuite le cose trascorse, fa ve-
ramente morte le anime de’ trapnssati,
immemori al tutto di sè e d'altrui, spo-
81 Avvegna che si muova bruna bruna
Sotto l’ombra perpetua, che mai
Raggiar non lascia sole ivi, né luna.
glie d'ogni coscienza ecioche d'ogni lume
di cognizione distinta. I) Lete dantesco,
libato dall'anima, cagiona in lei beni-
gnissimo effetto: le fa dimenticare tutto
ciò che il peccato ha di profondamente
piono ospiato o si teme che espiato non
a almono a'igoora il gran bene che
Id moderatore dell'universo, no ha
tratto, permettendolo prima nella crea-
tura, che sola il commette, è poi, egli
colla creatara, cancellandolo e
è Îl giuato alta quel non
iù varcabile eee è tra cielo ed
+ Cir. apra trp
PAligh. profuma il Purg. e il Par,, 25
6 seg.
22, GtA: mi ero già midontrato tanto
nella selva, ch'io non vedova più il luogo
onde Jo era entrato. Un concetto Lutto si-
mile Inf. XV, 186 seg.
25, i ANDAR: Al IL mii ANDAR. -
Mi ‘rose: m'impedì.- n10: Lete, v. 190.
27. FIKGAVA : « Tenuls fuglens per gra-
minarivos;» Virg. Georg. 1V,10.-vaclo:
nach, nacque sulle sue sponde.
28. DI QUA: nel nostro mondo. - MOK-
ni: limpide; « più chiare © più bello; «
è Lia
Ha
ii cut Mi i ui
V. 81-84. La bella
de del Lete. Fermat
di là del fiume è vii
di bellezza celeste chi
sogno mattutino (Ps
seg.), va cantando 6
proga di avvicinarsi,
alla ripa, onde il Moot
che dal fume. Chi è
lica! Dante convorsi
derle: chi sel tut il ol
la riconobbe subito ; |
12, E quando più tai
non chiede: chi è qc
stra anzi di sapere ns
il nome della donna
Dante la riconobbe 1
lei wd nd altri chi fo
masse, egli l'avea o
una pet. donzella |
a Firenze, per avvent
ricordate da Dante no
[PAR. TERRESTRE]
Puro. xxviti. 34-53 [LA BELLA DONNA] 681
a4 Coi pié ristetti e con gli occhi passai
Di là dal fiumicello, per mirare
La gran variazion dei freschi mai ;
37 E là m’ apparve, si com’ egli appare
Subitamente cosa che disvia
Per meraviglia tutt'altro pensare,
40 Una donna soletta che si gia
Cantando ed iscegliendo fior da fiore,
Ond’ era pinta tutta la sua vin.
43 « Deh, bella donna, ch’ ai raggi d'amore
Ti scaldi, s'io vo'credere ai sembianti
Che soglion esser testimon’ del core,
46 Vegnati voglia di trarreti avanti, »
Diss' io a lei, « verso questa riviera,
Tanto ch’ io possa intender che tu canti.
49 Tu mi fai rimembrar dove e qual era
Proserpina nel tempo che perdette
La madre lei, ed ella primavera. »
52 Come si volge, con le piante strette
A terra ed intra sé, donna che balli,
atione ofr, Com. Lips, 1], 505-017. Jahr-
buch der deutechen Dante Gesellschaft
IV, 411-480. 4, Borgognoni, Matelda,
Città di Castello, 1887. GALASSINI, I cieli
danteschi, Fir., 1894, p. 22 è seg. Fnecicl.,
1216 è seg. E. Dat Bò, Matelda: studio
dantesco, Catania, 1804.
34. nistETTI: mi formai alla sinistra ri-
vadel finmicelloe drizzal gli occhialdi la.
36. VARIAZION: la gran varietà degli
alberi fioriti. Maio, voce dell'uso, sta qui
por albero bello in genero ; cfr. Diez, Wort.
1”, 250, Caverni, Voci e Modi, 786 seg.
87.RLA: of di là del fiumicello.- 011 :
riompitivo.
88. piavla: distoglie, «Ogni subito mn-
tamento di cose non avviene senza al-
cuno discorrimento d'animo; » Conv, II,
11. « Omnis subita mutatio rerum non
sine quodam quasi floctn contingit ani-
morom | » Poet, Cons. phil. II, pr. 1. Cir.
Petrar. I, Son. 117 (136).
42, rixra: dipinta, amaltnta.
44. 8'10 vo': se voglio oredere al tuo
aspotto.
45. TRSTIMON': «lo viso mostra lo 00-
lor del core; » Vita N., 15. Confr, Conv.
1II, a.
40. vooLnia: Al. IN voania ; complaciti
di trarti avanti, di accostarti.
48. cur: ciò che tu canti, Udiva il
canto, ma non ne intendeva le parole.
49. TU MI FAI: to mi rechi alla mente.
- DOVKR: l'ameno e fiorito prato. — QUAL:
raggiante di bellezza; cfr. Ovid. Met. V.
385.408,
50, Proeenrmxa: moglie di Pluto che
la trap); cir. Inf IX, 44.- Temro: del
ratto.
Gi, MADRE, Cerere, — PRIMAVERA: |
fiori raccolti che ella Insciò cadere; » Ut
somma vestem Inninrent nb ora, Collecti
florea tnnicis cecidere remissia; » Ovid.,
l. 0., 308 è sog. Così | più (Lan., An.
Fior., Post., Cas., Benv., Land., Vell.,
Dan., eoo.). AI.: la verdeggiante 6 fio-
rita valle dell’ Etna (Buti, Lomb., Riag.,
Ces., Frat.,eco.). Al.: la verginità (Stroc-
chi). Primavera per fiori usa Dante an-
cho Par. XXX, 63, ed il passo di Ovidio
cacio ogni dublino cho primavera sia da
prendersi anche qui nel medesimo senso.
62. STRETTE: senza quasi levar piò da
terra.
53. INTRA BÉ: atrette tra loro; l'una
all'altra giunto.
632 [[PAR. TERRESTRE] Puro. xxvii. 54-70
[LA BELLA DOWNA]
E piede innanzi piede appena mette,
65 Volsesi in sui vermigli ed in sui gialli
Fioretti verso me, non altrimenti
Che vergine, che gli occhi onesti avvalli :
69 E foce i prieghi mici esser contenti,
Si appressando sé, che il dolce suono
Veniva a me co’ suoi intendimenti.
al Tosto che fu là dove l’erbe sono
Bagnate già dall'onde del bel finme,
Di levar gli ocohi suoi mi fece dono;
04 Non credo che splendesse tanto lume
Sotto le ciglia a Venere trafitta
Dal figlio, fuor di tutto suo costume.
67 Ella ridea dall'altra riva dritta,
Traendo più color’ con le sue mani,
Che l'alta terra senza seme gitta.
70 Tre passi ci facea il fiume lontani;
64. KR viepk: cfr. Purg. XXIX, 9.
65. VkRMIGLI: coloro dolla carità. -
GIALLI: come l'oro; colore della purità.
57. AVVALLI: chini, abbassi ; cfr. 2’urg.
XIII, 63. « Ibant insignes vultuque ha-
bituque verendo, Candida purpureum
fuse super ora ruborem, Dejectwque
gonas; » Stat. Theb. II, 230 © sog. Cfr.
Conv. IV, 25.
59. suono: del di lei canto.
60. INTENDIMENTI: con le parole del
canto chiaro e distiute, onde io non udiva
soltanto il dolce suono, ma ne intendeva
anche le purole.
61. LÀ: sul margino orboso del fiume.
62. GIÀ: nou è particella riempitiva
(Lomb.), ma serve a «dinotare uu dotor-
minato spazio di luogo (Giul.). Matelda
si avvicinò al Poeta fin là, dove le onde
già piegavano lo orbo.
68. OCCiiT: tenuti sin qui bassi per ve-
recondia, v. 67. - DONO: grazia; cfr. Inf.
VI, 78.
64. NON CREDO: per descriver la sovru-
mana bellezza degli occhi di Matelda, il
Poetu trao l'immagine da Venero, i cui
occhi dovettero risplendere d' insolito lu-
me allorchè, ferita a cuso da Cupido suo
figlio, si sent) presa d'amore per Adono.
« Pharetratus dum dat puer oscula ma-
tri, Inscius extanti distrinxit arundine
pectus, eto.; » Ovid. Met. X, 525 0 scg.
GG. ruon: inavvedutamonte, a caso,
ciò che Cupido non soleva mai fare.
67. RIVA DRITTA: riva destra di Lete.
Al. riferiscono dritta a Matelda: ella
rideva staudo ritta in su l'opposta riva.
Si colgon tiori stando ritti?!
68. TRAENDO: cogliendo altri fiori oltre
quelli già colti. Al TRATTANDO, cioè:
mentre andava intrecciando e volgendo
tra lo suo mani diversi fiori che già
avova colti. - riù coLon': più fiori di
vatii colori.
69. ALTA: per essere al sommo della
montagna elevatissima del Purgatorio. -
SENZA 8SKMR: cfr. Purg. XXVII, 135.
« Ver erat icternum, placidique tepenti-
bus aurie Mulcebant Zephyri patos sine
semino flores; » Quid. Met. T, 107 © seg.
« Questa clovatissima regione terrestre
conserva giusta l'opiniono del Poeta, la
proprietà cho il Signore dette alla terra
primitiva, di produrre da sè erba ver-
deggiante che facesse il some a seconda
dolla sua specie o piante fruttifere; »
Antonelli.
70. tre ASSI: cfr, Purg.IX, 106. Com.
Lips. 11, 685 6 seg. I tro passi figurano
i tre graili dolla penitenza: contrizione,
confussione e soddisfazione, che riman-
gono da farsi prima che Dante possa
passare al vero Paradiso terrestre; cfr.
Purg. XXX, 76 73; XXXI, 34-36, 85 87.
[PAR. TERRESTRE]
Puro. xxvii. 71-85 [LA BELLA DONNA] 633
Ma Ellesponto, là ’va passò Serse,
Ancora freno a tutti orgogli umani,
73 Più odio da Leandro non sofferse,
Per mareggiare intra Sesto ed Abido,
Che quel da me, perché allor non s’aperse.
76 « Voi siete nuovi, o forse perch’ io rido, »
Cominciò ella, « in questo loco eletto
All’umana natura per suo nido,
79 Maravigliando tienvi alcun sospetto:
Ma luce rende il salmo Delectasti,
Che puote disnebbiar vostro intelletto.
82 E tu, che se’ dinanzi e mi pregasti,
Di’ s’altro vuoi udir; ch’ io venni presta
Ad ogni tua question, tanto che basti. »
85 « L'acqua, » diss’io, « e il suon della foresta,
TI. ErLeseontO: lo stretto dei Dar-
ilanelli. - LA "YR: AI, pove: AL LA ovr'L
pass. Serse, figlio di Dario re di Persia,
cui successe nel regno l'anno 485 a. U.,
passò nel 480 con un grande esercito so-
pra dno ponti di navi I’ Ellesponto, oggi
stretto do’ Dardanelli, por portar guerra
alla Grecia, Sconfitto nella battaglia prea-
60 Salamina, Serse ripassò foggendo l' El-
lesponto, lasciando colla sna fnga ni pc-
steri un severo esempio dello fumeate
conseguenze (dell'orgoglio umano; cfr.
De Mon, IT, 9.
73. Leaxpro: giovine greco di Abido,
sullo stretto dell’ Ellesponto, il qualo per
visitare la sua amante Fro, che nbitava
a Sesto soll'altra riva dello stretto, tra-
vorsava ogni notte a nuoto |’ Ellesponto,
finchè vi si annegò; cfr. Ovid. Ep. XIX.
Heroid, XVII. - NON sorrrnan: non fu
più odiato da Leandro che Leto da me.
74. ren MARROGIARK: por l'ondegginro
impotuoso dello ano acque.
75. quer: il inme Lote, - R'ArERSE : co-
me il mar rosso ed il Giordano agl'Israe-
liti; ofr, Purg. XVIIT, 134.
76. xuovi: in questo luogo, nrrivati di
fresco ; ofr. Inf. IV, 62.
Tà, xIDO: dimorn, abitazione,
70. MARAVIGLIANDO : « quia oroditia
quod sim philocapta, ut ta dicebns paulo
anto mihi; » Bene.
80. DeLkeTASTI: Sal. XCI, 6 è sog.:
«To mi hai rallegrato, o Signore, collo
tuo opero; io giubbilo no’ fatti dello tue
mani,» Questo parole dichiarano il mo-
tivo del sorriso e della gioin di Matelda,
la quale esnita nel vedersi circondata da
tanto mernviglie della creazione.
81. pissenmiar: sch'ariro, facendovi
conoscere la cagione della mia gioia.
82, innanzi: agli altri due, Virgilio è
Stazio.
83. s'aLtrro: di’ liberamente se vuoi
sapere od udire altra cosa da me, chè lo
sono venuta nl tno invito, pronta a ri-
spondere ad ogni toa domanda in modo
che ne sarai soddisfatto.
84. TANTO CHE BASTI: finchè tn non
sii porsonso; cfr. v. 134 è seg.
V.85-108. Causa del rento nel Para-
diso terrestre. Da Stazio, Dante aveva
nilito, non esservi più dalla porta del Par-
gatorio In an nd venti, nd pioggio, nd
brine, nè rugiade, nd nevi, nè nuvole,
nd Inmpi, od nlcon'altra cosa di qrnesto
genore; cir, Lurg. XXT, 43 è seg. Que-
alo insognamento sembra or contrad-
detto dal fatto, essendovi lassù nelle nl-
ture del terrestre Paradiso acqua ed
udendovisi risnonar In foresta per lo sof-
flar doi venti, Risponlendo a questo dab-
bio dal Poeta esternato, Matelda espone
la enuina idol vento, cho Inssi non sono lo
allorazion! dello quali caso trae quaggià
suna origine, ma il movimento del cieli, In
onl sottile sostanza, giranilo, peronote la
selva è no muove, qual vento, le frondi,
85. L'ACQUA : del Lete, - IL SUOR: dello
foglie percosse dall'anra dolce; ofr. v. 18,
6 ESTRE) Puro. xxvii. 86-101
—
[11 vENTO]
Impugna dentro a me novella fede
Di cosa, ch’ io udi' contraria a questa. »
88 Ond' ella: « Io dicerd come procede
Per sua cagion ciò ch’ammirar ti face,
E purgherò la nebbia che ti fiede.
dI Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace,
Fece l’uom buono a a hana. e questo loco
Diede na.
94 Per sua d
Per sua
Cambiò om
97 Perché il tar
L’ esalazion
Che, quante
100 All'uomo non
(Questo monte
EO. IMPUGNA : Al. IMPUGNAN: cou
tono la rocente credenza in me feria
per le parole di Stazio, vedendo qui gli
effetti di alterazioni atinosferiche e net-
tuniche.
88. COME PROCRDE: di quale causa
siano effetto quest'acqua e questo vento
di che tu ti maravigli.
90. K PURGHKRO: 6 sgombrerò l'igno-
ranza che ti abbuia la mento; « ignoran-
tie nebula eluctur; » De Mon. II, 1, Cfr.
Inf. VII, 71.
91. sommMO BRN: Dio, che solo piace a
sè, non potendogli piacere nulla di non
puro o non perfotto, come sono tutti
quanti gli altri esseri. « In angelis suls
reperit pravitatem ;» Giobbe IV, 18. «Culi
non sunt mundi in cospectu oius: » tdid.
XV, 15. « Luna etiam non splendot, et
stellio non sunt mund:iv in conspectu
eius ; » ibid. XXV, 5. - CIIK S0I1.0 ESSO:
AI CHK SOLO A BIL LIACK.
02. bUONO: « È Iddiv vide tutto quello
ch'egli avoa fatto: ed ecco era molto
buono; » Genes. I, 31.- A DENK: ntto n
bene operare ed a consoguire il sommo
Bene. Cfr. Com. Lips. II, 558 e seg.
93. ARRA: pegno della celeste beatitu-
dine. Arra = caparra; cfr. Inf. XV, 04.
94. DIFFALTA: falio, peccato, colpa (da
Sallire).- roco: cfr. Par. XX VI,139 6 seg.
96. ONKSTO RISO: « qualia erat risus
Mathildis paulo ante; » Benv. - aivoco:
gioja, dilctto; cfr. Genes. III, 16-19.
a pace.
co;
| in affanno
gioco.
sé fanno
lla terra,
| calor vanno,
Merra,
el tanto;
TURBAR: « il turbamento cho
nelle basse regioni della terra avviene
per le meteore acquose e ventose, attri-
buiscesi ottimamente dal Poeta all'esa-
lazione dell'acqua e della terra, cioè al-
l’evaporazione ; la quale ben dice che,
quanto può, va dietro al calore, cioè dal
calore dipende, giusta leggi opportune.
Acciocchè, poi, quel turbamento non mo-
lestasse |’ uom:0, che doveva, innocente,
esser folice anche su questa terra, sup-
pone il Poeta che l'abitazione ai nostri
progenitori destinata salisse così grande-
mente verso il cielo, tanto da non vi es-
ser possibili quei turbamenti ; » Antonelli.
Colle duttrine di Dante circa il sito e le
condizioni meteorologiche e climatiche
dol Paradiso terrestre cfr. Thom. Aq.
Sum. theol. I, 102 e seg. - SOTTO: nelle
parti più basse della porta del Purgato-
rio in giù.
99. cu: lo quali esalazioni, tendondo
naturalmonte verso il sole, salgouo in
alto più che ponno, cioè sino all' altezza
della porta del Pargatorio. Secondo Ari-
stotele il caldo osercita sui corpi una
forza attrattiva: natura calidi est at-
trahere.
101. vfr LO CIKL: Al. VRR30'L CIKL, -
TANTO: quanto hai potuto vedere salen-
dolo. Dell' Olimpo S. Agostino, Civ. Dei
XV,27: «Supra quem perhibentur nubea
non posse conscendere, quod tam subli-
mis quam crolum sit, ut non ibi sit aor
(PAR: TERRESTRE]
Puro. xxvii. 102-113 [ym sEMINALI] 685
E libero n’ è d’indi ove si serra.
103 Or, perché in circuito tutto quanto
L'aer si volge con la prima volta,
Se non gli è rotto il cerchio d’alcun canto;
106 In questa altezza, che tutta è disciolta
Nell'aer vivo, tal moto percuote,
E fa sonar la selva perch’ è folta;
109 E la percossa pianta tanto puote,
Che della sua virtute |’ aura impregna,
E quella poi girando intorno scuote;
112 E l’altra terra, secondo ch’ è degna
Per sé e per suo ciel, concepe e figlia
lato crassior, obi venti nebulm, imbroaque
gignontur, nec attendant omnium ele-
mentorum crassissimam terram ibi esso
potulsse, » Cf. Tom. Ag. Sum. theol.T,102,2.
102, 81 senna: la porta del Pargato-
rio; oft. Purg. 1X, 76, 120 o sog.
103, on: sin qui Matelda ha confer-
mato ciò che Dante avea ndito dire a Sta-
rio, Purg. XXI, 43 © seg.; ora procede
dichiarando la causa dell’ anra che mnore
le foglie, e dell’acqua. Secondo leopinioni
del tempo la terra gince immobile nel con-
tro dell'nniverso. L'aria ri volge in giro,
ai gira con la prima vélta, cioè col T'rimo
Mobile e con tutti i cieli a quollo sotto-
posti da oriente a ponento, poichè giran-
do il Primo Mobile fa girare anche l'aereo
sottoposto. I vapori che fanno il vento,
danno quaggiù molte volte all'aria altro
moto che non quello da oriente ad occi-
dente. Lassò i vapori non salgono : dnn-
que l'aria vi gira sempre col I'rimo Mo-
bile, se non è in qualche parte interrotta
da impeto estraneo. Movendosi dunque
da oriente nd occidente l'aria trova Insab
qualcho resistenza nella spesserza dolla
selva, il che produce quel suono udito da
Dante wo di oul egli ha chiesto In causa.
104. LA Paiaa VOLTA: il Primo Mobile.
Così tatti; i) solo Antonelli intende In-
vooe della sfera del fuoco, « la quale anc-
cedeva immediatamente all'oceano nerco
0 flaidto » (I).
106. roTTO : interrotto. - crRRCHIO: mo-
rimento rotatorio, il suo girare.
106. cme TUTTA: Al. CHR IN TUTTO:
che si slancia libera nel puro acre.
107. vivo: perfettamente libero dalle
esalazioni di laggih.- moto: dell' nere,
7. 103 è seg.
108. sonan: «la ragione cho il Poota
assegna al suonar della selva dimostra
che egli conosceva la riflessione o la con-
contrazione del suono per mezzo delle
piante; effetti che si producono dagli al-
ber! quanto più sono fitti, o quanto per
questa loro apossezza così forman quasi
delle pareti riflettenti; » Antonelli.
V. 100-120. Virtù seminali delle
piante. Le fronde di quegli albori lassù
sono piene di ogni virtà seminale, e, per-
cnotondo gli alberi della selva antica,
l'aria s'impregna di queste virtà e, ar-
rivando col suo moto circolare intorno
alle parti del globo da noi abitato, le
depone sulla nostra terra, la quale poi,
secondo i vari climi, produce varie spe-
cie di pianto, delle quali l'uomo non
gettò In essa i semi. Conoscendo questo
fatto, gli nomini non farebbero le mara-
viglie vedendo nascere nuove piante, il
cui seme non è stato riconosciuto. Tutta
la eampagna lassi è piena di ogni se-
menza, o dà frutti così buoni, che nel-
l'emisfero abitato dagli uomini non ci
sono pari.
110. vintuTR: vegetativa.
111, x QUELLA: 6 l'aura impregnata,
rotando intorno alla terra, scuote intorno
quella virth vegetativa, diffondendola per
le region! terrestri.
112. L'ALTRA: quella abitata dagli no-
mini, n differenza di quella del Paradiso
terrestre, Al. con pochissimi codd, o sen-
za autorità di com. ant.: L'ALTA TERMA:
efr. Com. Lips. IT, 501 © sog. - DiGNA :
atta a ricevere ciò che l'aria scuote in-
torno.
113. ren sé: per il terreno, qua più, e
là men buono, - reR avo civ: pori! clima.
636 (PAR, TERRESTRE] Puro, xxvii. 114-180
[L'ACQUA]
Di diversa virtù diverse legna.
116 Non parrebbe di là poi maraviglia,
Udito questo, quando alcuna pianta
Senza seme palese vi s'appiglia.
118 E saper dèi che la campagna santa
Ove tu sei, d'ogni semenza è piena,
E frutto ha in sé che di là non si schianta.
121 L'acqua che vedi non surge di vena,
Che ristori vapor’ che gel converta
Come fiume ch’acquista e perde lena;
124 Ma esce di fontana salda e certa,
Che tanto dal voler di Dio riprende,
Quant’ ella versa da due parti aperta.
127 Da questa parte con virtù discende,
Che toglie altrui memoria del peccato;
Dall'altra, d’ogni ben fatto la rende.
130 Quinci Letè, così dall'altro lato
114. Divensa: secondo la qualità della
pianta dalla quale muovo. - LEGNA: al-
ber.
115. DI LÀ: nel vostro mondo.
116. UDITO: se alcuno avesse uilito ciò
cho or ti ho detto.
117. BS APLIGLIA: germoglia, senza cho
alcuno sappia d'onde sia venuto il semo.
119. D'OGNI SEMENZA: d'ogni apecie di
alberi e di piante; così Vell., Lomb., Co-
sta, Br. B., Frat., Andr , ecc. Alcuni: di
quella qualità e virtù, di cui s’ è l’ aria
imbevuta dal toccare quei ficri, quel-
l'erbe e quelle piaute (Vent., Port.,
Biag., eco.).- PIENA: « pregna d'ogni se-
menza in sò stossa, senza bisogno cho vi
si gitti, como succede qui in terra; » Betti.
120. vi LÀ: nel vostro moudo. - 8I
SCHIANTA: 8i coglie. Allude forse (come
si avvisano Butt, Land., Vell, occ.) al
fratto dell’albero della vita; cfr. Genes.
IT, 9; III, 22. Apocal. 11,7; XXII, 2, 14.
V. 121-138. Causa dell’ acqua nel
Paradiso terrestre. Spiegata l'appa-
rente vontilaziono, Matelda passa alla
soluziono del secondo dubbio di Dante:
come lassù vi possa essere acqua senza
pioggia. Quest'acqua non è generata dai
varii vapori acquei condensati, come sono
le acque della terra dove i fiumi ora gon-
fiano ed ora si assottigliano, ma è pro-
dotta perennemcute da Dio; cfr. Genes.
11,5,6,106 seg. Da una sola fonte scatu-
> §£é~=N
riscono due rivi cho scorrono in direzione
opposta; l’ucqua dell'uno, Lete, fa di-
menticare lo colpe, l'ucqua dell'altro,
Eunoà, reca a memoria tutto le buone
opere futte, a patto però che si beva
prima di quella e poi di questa.
122. cONVERTA: allude alla dottrina
esposta altrove, Purg. V, 109 e seg., che
il fredilo sia generativo dell’acqua; cfr.
Cono.IV,18. Aristot. Generat. et Corrupt.
Ti, 4. Senec. Queest. nat. ITT, 9.
123. cil’ ACQUISTA: Al. CH’ ASPETTA. -
K l'KKDR. Al. O PRRDR. I fiumi terrostri
acquistan lena, cioè si gonfiano, e perdon
lena, ciod si disseccano, secondo che le
loro sorgenti ricovono o non ricevono ali-
mento dalla pioggia; invece nel Paradiso
terrestretalialterazioni non hannoluogo;
sempre la medesima quantità di acqua.
124. BALDA K CERTA: invariabile ed
inesauribilo, che conserva sompre lo stes-
so suo esscre 0 la medesima sua conili-
zione.
125. RIPRENDR: riacquista per volontà
e disposizione di Dio, senza mezzi natu-
rali, altrettanta acqua, quant’essa ne ri-
versa per due canali, o rivi.
130. QUINCI: da questa parte scorre il
fiume Letè, cioè dell'oblio, fiume del-
l'A verno della mitolog'a classica, il quale
secondo Dante nasce sulla vetta della
montagna del Purgatorio, attraversa il
Paradiso terrestro, culo quindi appiò del
[PAR. TERRESTRE]
Puro. xxvii. 131-143 [ETÀ DELL’ ORO] 637
Eunoè si chiama, e non adopra,
Se quinci e quindi pria non è gustato.
133 A tutt’altri sapori esto è di sopra;
Ed avvegna ch’assai possa esser sazia
La sete tua, perch’io più non ti scopra,
136 Darotti un corollario ancor per grazia;
Né credo che il mio dir ti sia men caro,
Se oltre promission teco si spazia.
139 Quelli, che anticamente poetàro
L’ eta dell'oro e suo stato felice,
Forse in Parnaso esto loco sognàro,
112 Qui fu innocente l'umana radice;
Qui primavera sempre, ed ogni frutto;
monte o di ll va giù per lo foro d'un
snsso fino al contro della terra; confr.
Inf. XXXIV, 140 © sog. Purg. I, 40,
131. EuxoÈ: como Letà roco di deri-
razione greca, che significa Buona me-
moria, oppure Ricordanza del bene, -
NON ADORA : l'acqua non fa il suo of-
fetto, cioè di rendere l'uomo degno di
aalire al ciclo, se non gnastata da nmbo-
due i rivi. Fuori di allegoria: per diven-
tar degno di salire nl cielo è necessario
di lasciare il malo (gustare Let) o di oser-
citarsi nel bene (gustare Funot).
182, quisci: da questa parte, dove
l’acqua scorre nol rivo chiamato Leto.
- quixpt: dall'altro lato, dove scorre
Il’ Eunoè,
133, ksrto: questo saporo quindi, di
Eonod; ofr. Purg. XXXIII, 198.
135, srtk: desiderio di sapere; confr.
Purg. XXI, 1, - rercn'10; anche so io
non ti riveli altra cosa,
136. COROLLARIO: ona giunta al pra-
occidente ragionamento; cfr. Par. VIII,
138. « Tgitar veluti geometrie solent de-
monatratia propositis aliquid inferre que
porismata ipai vocant, ita ego qnoqne
tibi veluti corollarinm dabo ; » Boet. Cone.
phil. 1II, pr. 10. « Memento corollarii
line quot paulo ante precipunm dedi ; »
ibid. IV, pr. 3. « Corollarium appellator
ultima conclusio, qum dator post alias
quasi conclusio conclosionam, sic dictum
a corolla, idest, parva corona, quasi co-
ronarium, qui datur disputantibus in
promiam; » Bene. - PER GRAZIA : libora-
monte, senza esserne richiesta o senza
avertelo promesso,
138. 61 srAZIA: si allonga e distende
oltre la mia promessa,
V. 130-148, L'età dell'oro nel Pa-
vadiso terrostro. 1 l'oeti che descria-
sero l'età dell'oro videro forse nolla loro
fantasia poetica, como in sogno, questo
luogo qui, nel quale veramente fn l'età
dell'oro degli nomini, che qui furono in-
nocenti, in Inago delizioso, dove si hanno
sompre fiori ofrotti, olacul nequa dil vero
nettare, di che tanto si parla. All' udire
tali parole, Dante volge uno sguardo a
Virgilio o Stazio, li vede sorridere, quin-
di rivolge di nnovo gli ocohi a Matelda,
189, queLLI: principalmente Ovidio,
Met. I, 89 © sog.- rORTÀRO: poetarono,
finsero postando,
140, rELICE : «felix nimium priormtas»
Poet, Cons. phil. II, poos. 6.
141. Fonsi: « forse travidero por so-
guo questo luogo nelle loro pootiche aspi-
razioni; » Metti, - PAnNASO: monte della
Focide, sacro ad Apollo cd alle Muse;
eît. Purg. XXII, 65 è seg.; sognar in
Parnaso vuol dire veder poetando, quasi
in sogno. Dice dunque, che quando gli
antichi Poeti cantarono dell'età dell'oro,
essi videro forse come in sogno lo stato
felice dell'uomo durante la sua brove
dimora nol Parmliso terroatro.
142. nanicr: | primi vomini, Adamo
ed Kva, progonitori del genoro umano;
lr. Puro. XX, 42.
143, rima viona BRM: Al, rima vr-
na È semrue. Qui è sempre nello stesso
tempo stagione dei fiori è dei frutti, pri-
mavera cd antonno. « Ver oral mtor-
num; « Ovid. Met. 1, 107,
688 [PAR. TERR.] Pore. xxviii. 144-148 - xxix, 1-4
[MATELDA]
Nèttare è questo di che ciascun dice. »
145 Io mi rivolsi addietro allora tutto
A’ miei poeti, e vidi che con riso
Udito avevan l'ultimo costrutto:
148 Poi alla bella donna tornai il viso.
lid. weTTARE: off, Purg. XXII, 150. -
CIASCUN : di quelli che anticamente poe-
tiro.
145. MI RIVOLSI ADDAETRO: così i più,
Al. MI RIVOLSI A nETRO: il Witte loggo
col cod, di 5, Croce; M1 VOLsI DI RETRO,
Vnol vedere quale impressione le ultime
parole di Matelda abbiano fatto aul suoi
due compagni, ambedue di « quelli cho
anticamente poetàro, »
140, 180 : di compiacenza clic approva
tacitamente lo coso udite,
147. L'ULTIMO cOsTUuUTTO: l'ultima
conclusione, le altime parole di Matelda.
148. TORMA!: mi rivolsi nuovamente a
Matelda.
CANTO VENTESIMONONO
PARADISO TERRESTRE
LUNGO LE RIVE DEL LETE
PROCESSIONE MISTICA, OSSIA IL TRIONFO DELLA CHIESA
Cantando come donna innamorata,
Continud col fin di sue parole:
« Beati, quorum tecta sunt peccata. »
4 E come ninfe che si givan sole
V. 1-12. Dante e Matelda lungo le
rive del Lete. Finito il suo discorso, la
bella donna ritorna al canto, o così can-
tando so no va a passi lonti su per la
riva contro il flume, e lungo l'altra riva
di pari passo con lei se no va il Poeta,
seguìto da Virgilio o da Stazio. Fatti ap-
pena cinquanta passi, il corso dul tinme,
li costringe a volgersi verso oriente, da
dove apparirà la mistica processione alla
quale Dante va incontro sotto la guida
di Matelda.
1. CANTANDO: verso tolto da Gaido Ca-
P__
valcanti, Ball. IX: «Cantando core fosse
innamorata. »
2. COL FIN: appena finito le parole a me
diretto.
8. nKkATI: parole dol Salano XXXII, 1:
« Beato colui, la cui trasgressione è ri-
mossa, è il cul peccato è coporto. » - « E
viene questo Salmo a proposito de la ma-
teria: imperò che l'autore era per pas-
sare lo flumo che toglie Ja memoria del
peccato ; » Buti.
4. COME NINFE: con tal vereconda leg-
giadrìa ne’ suoi movimenti; « Nymphas-
[PAR. TERRESTRE]
Pure. XXix, 5-22 [LUCE E MELODIA] 639
Per le selvatiche ombre, disiando
Qual di veder, qual di fuggir lo sole,
7 Allor si mosse contra il fiume, andando
Su per la riva, ed io pari di lei,
Picciol passo con picciol seguitando.
10 Non eran cento tra i suo’ passi e i miei,
Quando le ripe igualmente diér volta,
Per modo ch'a levante mi rendei.
13 Né anco fu così nostra via molta,
Quando la donna tutta a me si torse,
Dicendo: « Frate mio, guarda ed ascolta. »
16 Ed ecco un lustro subito trascorse
Da tutte parti per la gran foresta,
Tal che di balenar mi mise in forse;
19 Ma perché il balenar, come vien, resta,
E quel, durando, più e più splendeva,
Nel mio pensar dicea: « Che cosa è questa? »
22 Ed una melodia dolce correva
que sorores, Centam qum silyvna, centum
qu finmina sorvant;» Virg. Georg. IV,
882 © seg.
5. BELVATICHE OMBRE: ombre dello sel-
te; «Ibant obscuri sola sob nocte por
umbram;» Virg. Aen. VI, 268.
6. QUAL: le une in cerca di più aprico
luogo per vedere il sole, le altre in cerca
di più spesse ombre per ftiggirlo.
7. CONTRA It FIUME: nella direzione
verso merzodì. I
9, riccro.: ofr. Purg. XX VIIT, 64, «Se-
quiturque patrem non passibns mati ; »
Virg. Aen, II, 724.
10. TRA T 8U0': sommati insieme, dun-
que cinquanta per uno.
11. IGUALMRSTR: rimanendo equidi-
stanti. - DiùR VOLTA: piegarono a si-
nistra.
V. 13-36. Luce o melodia annun-
ziatrici della gran processione. Fatti
pochi passi nella nuora direzione verso
levanto, Mntelda, alla quale nulla è qui
nnovo od inaspettato, esorta Dante n far
attonzione alle cose che anbito si mostre-
ranno. Ed ecco ona luce pari ad on lam-
po ma che non isvanisce come il Inmpo,
anzi va ognor crescendo! E si ode una
melodia per la selva, sì dolce e soave che
Dante non può astenersi dal riprendere
entro sè la madre Eva, pel cul ardimento
l'umanità è privata di tanta doloezza. Il
lustro intanto diviene fuoco e la melodia
ennto, Sulla visione finale del Purgatorio
efr., oltre ln letteratura registrata Com.
Lips. II, 018 © seg., principalmente G.
Ghirardini, Visione di D. nel Par. terre-
atre nel Prepugnatore di Bologna, X, II,
199-227 ; XI, I, 27-76.
13, NE ANCO: e non eravamo ancora an-
dati altrettanto dopo esserci vòlti a le-
vanto,
14. DONNA: Matelda. - st TORSKR: si
volao tutta n me. La les.: QUANDO LA
DONNA MIA A MESI TORSK 4 inattendibile.
Donna mia Dante non chiama mai che
la soln Beatrice.
16, LUSTRO BUBITO: un lame subitaneo,
proveniente dai sette candelabri, v, 50.
18, MI MISE: mi fece dubitare che bale-
nasse, « Hio primum nova lox ocalis of-
fulsit et ingens Visns ab Aurora celum
transcurrere nimbus;» Virg. Aen. IX,
100 è seg.
19. RESTA: cessa, sparisce colla mede-
sima velocità colla qualo nasco,
20. QUEL: quel lustro darava e ai avvi-
vava sempre più.
21. NEL MIO PENSAR: fra mo stesso, Il
pensare è un parlaro interno.
22, MELODIA : il canto dei ventiquattro
seniori, v, B6 è seg.
RESTRE] Pune, xxix, 23-2
[LUCE E MELODIA]
Per l’aér luminoso ; onde buon zelo
M' fo’ riprender l’ardimento d’ Eva,
25 Che, là dove ubbidia la terra e il cielo,
Femmina sola, e pur testé formata,
Non sofferse di star sotto alcun velo;
28 Sotto il qual, se divota fosse stata,
Avi e
Ser ata.
81 Man! primizie
speso,
io,
a Dinanzi a no oco ACCESO,
Ci si fe’ |’: rami,
E il dolce ra già inteso.
23. ION ZELO: giusto gel
AL: l'amore del prossimo:
ni v. 20 6 30 ai direbbe meglio. _...-. ---
prio! L'amor del prossimo non ha qui
che vedere.
24. RIVRKNDKR: agridaro, rimprove-
rare. - D'Eva: più colpevole d'Adamo;
«Et Adam non cat sedactns: mulier au-
tem seducta in pra varicatione fait; » I
Timot. IT, 14. « Peccatum mulieris fuit
gravius quam peccatum viri;» Thom. Ag.
Sum. theol. 118, 163, 4 Cfr. Petr. Lomb.
Sent. II, 22. Bonav. Brevil. III, 3 e seg.
25. LA: è qui avv. di tempo, non di luo-
go= Mentre tutto quanto ii creato, terra
o cielo, era ubbidiento al creatore. Se-
condo altri LÀ è avv. di luogo = Nol Pa-
radiso twrrostro, dove tutto ubbidiva a
Dio. Ma.... cra tuttalatorra, o di giunta
anche il Cielo, nel Paradiso terrostre 1!
26. FRMMINA : onde avrebbe dovuto e3-
sere meno audace. - SOLA : dirimpotto a
tatto l'immenso creato. Al.: sicchè non
poteano averla stimolata nè emulazione,
nd desiderio di soverchiare le sue pari. -
TKSTÉ FORMATA : priva di esperionze e di
cognizioni.
27. VKLO: dell'ignoranza. Eva cedette
infatti alla lusinga: «Gli occhi vostri si
apriranno, onde sarete come dii, avendo
conoscenza dol bene e del male; » Genes.
IIT, 5. Taluno intendo inveco del velo
dell'ubbidienza; ina Eva disobbedì por-
chè non volle star sotto il velo deli’ igno-
ranza del bene e del male. « In statu pri-
we conditionis hominis non erat obsca-
ritas culpw vel pwnw; inerat tamen
mi hominia quedam obscurilas
#} è Thom, Ag. Sum. theol. 11",
_,- , Bata obsouritas naturalia è il velo
di cho parla Dante.
28. DIVOTA : ubbidiente a Dio. In sen-
tenza: Senza la colpa di Eva avrei ga-
stato tali delizie sin dalla mia nascita e
poi per tutta la mia vita, chd il Paradiso
torrestre sarebbe tuttora il luogo di di-
mora doll’ umanità.
30. E PIÙ LUNGA: Al. E POI LUNGA; si-
no al wio passaggio dal Paradiso terre-
stre al celeste.
81, PRIMIZIE: primi saggi delle ineffa-
bili delizie del Paradiso.
32. 808Pk830: incerto e pieno di stupo-
ro. « Lo stuporo è uno stordimento d'ani-
mo, per grandi e meraviglioso cose vu-
dere, o udire, o per alcuu modo seutiro ;
che inquanto paiono grandi fanno reve-
rente a sò quello che le sente; in quanto
paiono mirabili, fanno voglioso di sape-
ro di quelle quello che le sente; » Conv.
IV, 25.
33. LKTIZIE: anzi tutto quella di rive-
der Beatrice; confr. Purg. VI, 46 e seg.;
XXVII, 80 e seg., 52 e seg.
35. ct 81 Fk’: Al. così FR'.- RAMI: dolle
piante della divina foresta.
86. ERA GIÀ INTESO: si intendeva già
che quel suono era un canto.
V. 37-42. Invocazione delle Muse.
« Avendo a trattar di cose altissime, co-
me sono le celesti e divine, e molto difti-
cili solamente a pensare, non che a scri-
vorle, conveniente cosa è ch'egli invochi
l'aiuto di tutte le Muse in gonoro, o di
(PAR. TERRESTRE]
Puro. xxix, 37-49
[INVOCAZIONE] 641]
37 O sacrosante Vergini, se fami,
Freddi o vigilie mai per voi soffersi,
Cagion mi sprona, ch'io mercé ne chiami.
‘0 Or convien ch’ Elicona per me versi,
Fd Urania m'aiuti col suo coro,
Forti cose a pensar mettere in versi.
43 Poco più oltre sette alberi d’oro
Falsava nel parere il lungo tratto
Del mezzo, ch’ era ancor tra noi e loro;
46 Ma quando fui si presso di lor fatto,
Che l’obbietto comun, che il senso inganna,
Non perdea per distanza alcun suo atto,
49 La virtù, ch'a ragion discorso nmmanna,
Urania in particolare, perchè questa ce-
leste significa; » Vell.
87. Venaini: Mnae, già invocato più
volte; Inf, 11.7; XXXII, 10. Purg. I,8.
38. rar vor: per amor vostro; confr.
Par. X XV, 3. Conv. 11], 1, 9. Com. Lipe.
II, 625.
30. cAGION: necessitA mi sprona ora a
chiederne in gnidordone il vostro ninto.
40, Fuicoxa: monte della Bonzin, acdo
dolla Muro, detto porciò Kliconidi, n don-
zelle Eliconie. Nomina il monte inreco
dei fonti di Aganippe e d'Ippocrene che
di là sgorgano, volendo dire: Ora con-
viene che Elicona mi sia largo dello acque
che da lui scaturiscono; « Pandite nanc
Melicona, dem, cantusque movete;» Virg.
Aen, VIT, 641. Cfr. ibid. X, 163.
41. UraKIA: quella delle nove Muse
che presiede alle cose astronomiche è
colesti,
42. conti: diMeili; m'aiuti a mettere
in versi cose difficili por a pensarla ; ofr.
Conv, ITI, 4.
V. 43-60, I sette candelabri, La mi-
stica processione ra avvicinandosi. Si
apre con sette candelabri, che a prima
vista sembrano a Dante sette alberi
d'oro. Stupefatto Dante si volge con
nno ces interrogativo a Virgilio,
il quale dal canto suo non fa che ron-
dergli lo agunrdo, - I sette candelabri
sono toli dalla Scrittura Sacra (confr.
Eeod, XXV, 47. Num. VIII, 2. Apoe,
T, 12, 20; 1V, 6) è figurano «| sette
spiriti di Dio » (Apocal. IV, 5), cioè lo
Spirito di Dio settemplice (confr, Isaia
XI, 2), fonte dei sette doni dello Spi-
rito Santo, onde i ventiquattro seniori
4l. — Div. Comm., 3% ediz.
tengono dietro ni candelabri, cioè mio
Spirito, come a lor duci, v. 64. Sopra altre
interpretazioni cfr. Com. Lips, II, 627-
629, Enciel., 302 6 sog.
43. rit) oLtR—R : al di là di quello splen-
dore qual di fuoco acceso, v. 34 6 sog.
44. FALBAVA: il lungo tratto del mezzo,
cioè lo spazio intermedio tra il Inogo do-
vo jo mi ritrovava è In lominosa appari-
zione, fncevn falsnmonto nppariro quegli
vggotti como sotto nberi d' ore, montro
in realtà nov erano alberi ma candelabri,
47. L'OMIRITTO COMUN: ciò che diversi
oggetti hanno di comune tra loro, come
In forma, In grandezza, il colore, ecc.,
ossia il sensibile commune degli scola-
stioi (cfr. Aristot. De An. II, 6; confr.
Conv. IV, 8), cioè quel che si percepi-
sce da più sensi esteriori per le specio
modificate del sensibili proprii, come la
quantità o la distanza.
48. ATTO: particolare qualità,
49. vintd: la facoltà di discernero,
fondamento di ogni cognizione e snporo
umano, « la quale npparcochia alla ra-
gione discorrimento dall'uno individuo
all'altro; » Muti. In sentenza: Da lon-
tano mi pareva di vedere sette alberi
d'oro; quando fui più presso vidi che
non erano alberi, ma candelabri, ed in-
tesi cho si cantava Osanna (= 0h salva!);
al cantavano ciod le parole colle quali fa
salutato Cristo In domenica delle Palme:
«Qannna nl Figlinolo di Davide! Done-
detto colui cho viene nel nome del Si-
gnoro! Osanna no']noghi altissimi! »
8, Matt, XX, 9; ofr, Salm. CXVII, 26,
23. S. Marco XI, 0. S. Luca XIX, 38.
E. Giov, XII, 13.
642 [PAR. TERRESTRE] Puro. xxix. 50-67
[CANDELARRI]
Sì com'elli eran candelabri apprese,
E nelle voci del cantare: « Osanna. »
ba Di sopra fiammeggiava il bello arnese
Più chiaro assai che Jona per sereno
Di mezza notte nel suo mezzo mese,
55 Io mi rivolsi d’ammirazion pieno
Al buon Virgilio, ed esso mi rispose
Con vista carca di stupor non meno,
58 Indi rendei l'aspetto all’ alte cose,
Che si moveano incontro a noi si tardi,
Che féran vinte da novelle spose.
61 La donna mi sgridé; « Perché pur ardi
Si nell’ affetto delle vive luci,
E ciò che vien di retro a lor non guardi? »
04 Genti vid’ io allor, com’a lor duci,
Venire appresso, vestite di bianco;
E tal candor di qua giammai non fuci.
07 L'acqua splendeva dal sinistro fianco,
62. DI SOPRA: nolla sua parte supo-
riore. - ARNKSK: il bell’ordino dei sette
candelabri. Parlando dei sette candola-
bri nel siogolare Dante accenna all'unità
loro; cfr. Esod. XXV, 31 e seg.
63. CHIAKO: « in duo versi raccoglie le
circostanze gonerali del massimo lune
di luna. Persereno, cioé limpidezza d’aria,
senza nuvoli, nemmeno sottili e traspa-
renti; di mezza notte, quando sono più
remoti gli albòri mattutini o serali del
sole, © quindi la notte più cupa dà più
risalto al chiaror della luna; nel sto mez-
zomese....mentre la luna 6 perfettamente
nella fase che piena appelliamo ; » Ant.
57. CON VisTA: con uno sguardo non
meno stupefutto del mio. Virgilio non sa
e non può rispondere alla domanda con-
tenuta in quello sguardo, essendo ve-
nuto in parte dove egli per sé più ol-
tre non discorne; confr. Purg. XXVII,
129, 139.
58. RKNDKI: tornai a mirare quello cose
sublimi o maravigliose lo quali venivano
verso noi più Jlontunonto che nun va-
dano spose novelle.
V. 61-81. Lo sette liste. Matelda esor-
ta Dante di non guardare soltanto ai can-
delabri, ma oziandio a ciò che vien loro
dictro. Dante, guardando più in là, vede
venir dietro ai candelabri una gente ve-
stita di bianco, mentre l’acqua di Lete
gli riflette la propria immagine. I can-
dolabri vanno innanzi e lasciano dietro
di sò sette striscie o liste doi colori del-
l'arcobaleno, lunghe tanto che I’ occhio
non arriva a vederno la fine, le duo
ostremo distanti l'una dall'altra circa
dieci passi. Le scotte liste tigarano i sette
doni dello Spirito Santo: « sapienza, in-
telletto, consiglio, fortezza, scienza, pie-
tà e thnor di Dio » (Conv. IV, 21), le
quali virtà sono per avventura indicate
anche dai colori dell’ arcobaleno e del-
l'alone. Cir. Com. Lipa. II, 633 e seg.
61. DONNA: Matelda. - PUR ARDI: per-
ché ti mostri talmente acceso dal solo
desiderio di rimirare le vive luci, i sette
candelabri? Un rimprovero simile Par.
XXIII, 70 © seg.
62. NELL'AFFETTO; Al. NELL'ASPETTO.
64.GENTI: i ventiquattro seniori, v. 83.
- vin'10: guardando più in là.
65. AVPRFSSO : dietro ai candelabri, co-
me dictro alle loro guido. - BIANCO: co-
mo i ventiquattro seniori nella visione di
S. Giovanni, Apocal. 1V, 4.
66. DI QUA: nel nostro mondo; « et ve-
rum dicit, quia nunquam in vita appa-
roit tanta claritas in eis, sicat post bea-
tificationem; » Benv.
67. L'ACQUA: del fiume Lete. - BI-
(PAR. TERRESTRE]
Pura. xxix. 68-80
[SETTE LISTE] 648
E rendea a me la mia sinistra costa,
S'io riguardava in lei, come specchio anco.
70 Quand’ io dalla mia riva ebbi tal posta,
Che solo il fiume mi facea distante,
Per veder meglio ai passi diedi sosta,
73 E vidi le fiammelle andar davante,
Lasciando retro a sé l’aer dipinto,
E di tratti pennelli avean sembiante;
76 Si che li sopra rimanea distinto
Di sette liste, tutte in quei colori,
Onde fa l'arco il sole e Delia il cinto,
70 Questi ostendali dietro eran maggiori
Che la mia vista; e, quanto al mio avviso,
BPILRNDRA: per il fiammeggiar de’ can-
delabri, - DAL simstro: dalla sinistra
riva Inngo la quale andava.
GR. E RENDEA: 6 mi rappresentava il
mio fianco sinistro, nd essa rivolto, como
uno specchio.
70. niva: dalla riva sinistra sulla quale
lo mi ritrovava, - POSTA: posizione.
71. ISTANTE: dalla processione.
72. mew BOSTA : mi formai, cfr. Purg.
XIX, 92.
73. LU VIAMMELLE: | candolabri, dotti
toestà wive luci, v, 02. — DAVANTE : Alcuni
AVANTE.
75. E bt TRATTI : 6 quelle fiammelle
sembravano a tratti di pennello, « come
frega lo pittore quamlo vuol fare una
lista; » Buti. Così i più (Ott., Benv., Buti,
Land., Vell., Vent., Lomb., Biag., Ces.,
Andr., ece.). Al. prendono pennelli nol
senso di bandiera, stendardo (cfr. v. 79),
0, come si esprime il Dan., « portati sten-
dardi et gonfaloni. » Così oltre il Dan.,
Monti, L. Biondi, Tom., Br, D., Frat.,
Witte, coco. Al. lossero rANKLLI, che sono
rilappi di conci intrisi d'olio e di sego
por far luminare; così An. Fior., Mauro
Ferr., G. Ferrari, Fanf., ecc. Ma rAxRI-
LI è lezione priva di antorità; cfr, Com.
Lips. II, 631-633, « Noctisque per um-
bram Flammarom longos a tergo albe-
score traotna;» Virg. Georg. I,300 6 ang.
70. sl cng: AI. ni cum. - LÌ BOPRA :
in quell'aere 1) al di sopra dei candelabri.
77. Liste: « Noctornasque facos coli
anblime volantis Nonne vides longos
flammarom ducere tractus; » Lweret. Rer.
nat. 17, 207 e seg. - coLont: dell'arcoba-
leno e dell'alone,
78. DELIA: soprannome di Diana, nata
in Delo; qui Delia sta per la Luna.
79. OSTENDALI: Al: @TEXDALI; sten-
dardi, cioè i tratti pennelli dol v. 76.
« Ostonialia enim appollantur in mon-
do signa imperntoris, qum oatenduntar
quando vadit in expeditionom, ot ista
sunt signa sommi imperatoria qui ve-
niebat cum suo exercitu; » Beng, - DIK-
TRO: ni candelabri, - MAGGIONI : più lun-
ghi. La sottomplico virtà Mlaminante è
snntificante dello Spirito Santo si caton-
de co’ suoi doni sulla Chiesa sin ni più
remoti tempi ventari, i quali non è dato
a nessuno di conoscere; confr. S. Matt.
XXIV, 36.
80. E, QUANTO: è, secondo la mia esti-
mazione, le due estreme liste, o codo In-
minose delle fiammelle, distavano tra loro
un dieci passi. Dieci è Il numero com-
pinto, perfetto, « conciussiacosachè dal
dieci in sn non si vada se non caso
dieci alternando cogli altri nove, e con
ai stesso, » Conv, II, 15. I dieci passi
fignreranno qrindi In compiutezza è per-
fozione della illuminnzione è santifien-
ziono accordata alla Chiesa dallo Spirito
Santo, Inveco secondo i più i dieci passi
figurano i dieci comandamenti, l' osser-
vazione dei quali è necessaria per otte-
nero i doni dello Spirito Santo. Così An,
Fior., Rudi, Land., Vell., Dan., Vent.,
Lomb., Biag., Tom., Br t., Frat., Andr.,
Bennas., Franc., eco. Meglio si direbbe:
I doni dello Spirito Santo non si esten-
dono oltre l'osservanza dei dieci coman-
damenti; oppure viceversa: Chi non os-
serra i comandamenti di Dio non è par-
tecipe dei doni dello Spirito Santo, Ma
644 [PAR. TERRESTRE) PuRG. xxix. 81-94
[SENIOR]
Dieci passi distavan quei di fuori.
82 Sotto così bel ciel, com'io diviso,
Ventiquattro seniori, a due a due,
Coronati venian di fiordaliso.
85 Tutti cantavan: « Benedetta the
Nelle figlie d’Adamo, e benedetto
Sieno in eterno le bellezze tue! »
88 Poscia che i fiori e l'altre fresche erbette,
A rimpetto di me dall'altra sponda,
Liberi ffir da quelle genti elette,
DI Si come luce luce in ciel seconda,
Vennero appresso lor quattro animali,
Coronati ciascun di verde fronda.
DI Ognuno era pennuto di sei ali,
come può una distanza figurare i dieci
comandamenti] E porchè dice Dante
quanto al mio avviso) Ignorava egli
forse il numero preciso dei dieci coman-
damenti !
V. 82-87. I ventiquattro scniori.
Sotto le sette listo di luco più lunghe
dolla vista vengouo ventiquattro seniori
a due a due, coronati di fior.laliso e can-
tando le parole di lode colle quali fu sa-
lutata la madre del S.lvadore. « E in-
torno al trono ventiquattro sedio; e
sopra le sedie ventiquattro seniori se-
devano, vestiti di bianche vesti, o sulle
loro teste corone d’oro; » Apocal. IV, 4.
Questi seniori figurano nell’ A pocaliase i
dodici patriarchi ed i dodici npostoli.
Per Dante ossi figurano i libri dol Vec-
chio Testamento che secondo la divisio-
ne di S. Geronimo nel Prologus Galcatus
sono per l' appunto ventiquattro, « quos
sub numero vigintiquatuor senioram
Apocalypsis Joannis inducit adorantes
Agnum, ecc, » Cfr. Com. Lips. II, 636.
82. piviso: descrivo, racconto; dal
lat. dividere = distinguere; confr. Diez,
Wort. 13, 154 e seg. Secondo il Blanc
dal franc. deviser = parlare, raccontare.
84. FIORDALIBO; gigli»; franc. fleur de
lis. La corona di gigli figura la purità
dolla dottrina contenuta nei libri del Veo-
chio Testamento, e furs' anche la fede
nel Messia venturo.
85. BKNEDETTA : parole colle quali Ma-
ria fu salutata dall’angelo Gabriele e da
Elisabetta (ofr. S. Luca I, 28, 42), ag-
giuntevi le lodi della divina bellozza.
ai.
V. 68-105. I quattro animali, Ap-
presso ai ventiquattro senlori vengono
quattro animali coronati di fronde verdi,
con sci ali cinscuno, e le penne occhiute,
quali li doscerive il profeta Ezechiele I,
4-14 (0 X, 1-2?), salvo che non avevano
pur quattro, ma soi ali, conforme la de-
acriziono di S. Giovanni, Apocal. IV, 6-8.
Questi quattro animali sono personifica-
zioni dei quattro Vangeli: non dei Van-
gelisti, chè S. Luca e S. Giovanni sa-
rebbero in tal caso raddoppiati, anzi
S. Giovanni triplicato. Anche i venti-
quattro soniorl non figurano gli autori
(cinquo Moisè? !), sono anzi personifica-
zioni dei libri del Vecchio Testamento.
Cfr. Com. Lips. II, 638 © seg.
90. GKNTI: i ventiquattro seniori, i
quali passaruno oltre lasciando un istan-
to libero lo spazio fiorito ed erboso sulla
dostra sponda del fiume sacro.
91. SECONDA: come nel cielo una stolla
succede ad un'altra e ne occupa il luo-
go. « A dipingere l'ordine, la maestà
del movimento, la bellezza e la giocon-
dità dei personaggi che passavano din-
nanzi al Pueta, in piccola distanza sul-
l'altra riva, non si potova sccg‘icre
imagine più conveniente di quella del
passaggio degli astri ad un cerchio ce-
leste, cui sia rivolto lo sguardo d'esperto
osservatoro; » Antonelli.
93. CORONATI: Al. CORONATO. - VERDE
FKONDA : lauro, sempre verdeggiante co-
me il Vangelo.
94. A1.1: nelle visioni di Ezechiele e del-
l'A pocalisse le ali degli animali figurano
[PAR. TERRESTRE]
Pure. xx1x. 95-109 [QUATTRO ANIMALI) 645
Le penne piened’ occhi; e gli occhi d’Argo,
Se fosser vivi, sarebber cotali.
07 A descriver lor forme più non spargo
Rime, lettor; ch'altra spesa mi strigne
Tanto, che a questa non posso esser largo.
100 Ma leggi Ezechiel, che li dipigne
Come li vide dalla fredda parte
Venir con vento, con nube e con igne;
108 E quai li troverai nelle sue carte,
Tali eran quivi, salvo ch’ alle penne
Giovanni è meco, e da lui si diparte.
106 Lo spazio dentro a lor quattro contenne
Un carro, in su due ruote, trionfale,
Ch’ al collo d’un grifon tirato venne.
109 Ed esso tendea in su l'una e l’altr'ale
come la provvidenza divina opera nel mo-
desimo istante tn tutto le parti. Nella vi-
sione dantesca le ali del quattro animali
figuranola velocità colla quale il Vangelo
si diffuse per tutte le parti del mondo
(Cost, Hr. B., Frat., Andr., Frane,
Giul., ecc.). Secondo altri lo all figurano
le leggi natorale, morale, profetica, evan-
gelica, apostolica 6 canonica (An, Fior.,
Petr. Dant., Tom., cco,); oppure |’ allez-
za, Inrghezza e profondità della Serittarn
(Lan., Buti, Land., oce.), oi tre tempi:
passato, presente o futuro (Vell., Ben-
nas., ecc.); 0 l'altezza del volo (Renv.), 0
la prontezza el ubbidienza alla voce di
Dio (Biag., Tries., eco.). Cfr. Com. Lipa.
IT, 630 e seg.
05, ocont: «..., stantibus coram qun-
toor animalibus, ocalatia et retro et ante,
id est in proteritum et in faturum respi-
cientibus; » S. Hieron. Prol.gal.- Arno:
il custode di Jo, pieno d'occhi, ingannato
od nociso da Satorno; efr. Ovid. Met. I,
668-747,
06. sr FossER: erano come gli occhi di
Argo vivo.- coraLt: in atto di continua
vigilanza.
07, FONMR: Al. FORMA. = NON BLARGO :
non dedico altri vorsi,
DE, srtsa : nocossità, dovere; mi veggo
costretto a parlare di altre cose,
09. A QUESTA: Al. IN QUESTA.
100. Ezncuie.: capitolo I, v. 4-14.
103, EK QUAI LI TROVERAT: Al, E QUALI
I TROVRIRAI:
105, Grovansi: nell'Apocalisre IV, 8.
V. 106-120. Ifcarro ed il Grifone.
In mezzo ni quattro animali avanza, più
bello non purdel più magnifico che Roma
mal vedesse, ma e di quello del Sole, un
carro trionfale an due rnote, tirato da nn
Grifone che tendo su lo ali, lo quali pas-
sando tra quelle liste lominose salgono
tanto da non potersi vedere, Il carro, figlio
legittimo delle quattro rnote di Ezechiolo
(I, 15-21), fratello germano del « Currns
Dei decom millibus muoltiplex » (Salm.
LXVII, 18) edel carro di fnoco di Elin
(IV Reg. LI, 11, 12), è il simbolo della
Chiesa nniversalo (coal tutti quanti sino
al Lomb. che nel carro vede figurata In
sola Cattedra Pontificia). Nelle doe rnote
i più vedono fignrati i doe Teatamenti, Il
Vecchio of il Nnovo (Petr. Dant., Falso
Roee., Buti, Land., Vell., Lomb., eco.),
altri la vitanttiva 6 contemplativa(Lan,,
An. Fior., Benv., eoc.), altri i doe ordini
di 8. Domenico e di R. Francesco (Ott.,
Ponta, Giul., Witte, eco.), altri la Sa-
era Sorittura o la Tradizione (Filal.,
Blane, oce.), altri la Chiesa groca o In
Chiesa latina (Barelli), altri i due ordini
del chioricato, | clanstrali ed i socolari
Leop. Witte), sco, I Grifono (Leone-aqui-
la, cfr. Jeid. Hiep. Orig. XAT, 2) è Il sim-
bolo di Cristo, ! Uomo-Dio, nel quale vi
sono doe natore, la divina e l' umana,
congiunte nella unità della divina per-
sona del Verbo, Confr. Com. Lips. II,
641-045,
646 (PAR. TERRESTRE] Puro. xxix. 110-125
[GRIFONE]
Tra la mezzana e le tre 8 tre liste,
Si ch'a nulla fendendo facea male,
112 Tanto salivan, che non eran viste;
Le membra d’oro avea, quanto era uccello,
E bianche l'altre di vermiglio miste.
115 Non che Roma di carro così bello
Rallegrasse Affricano o vero Augusto,
Ma quel del sol saria pover con ello;
118 Quel del sol, che sviando fu combusto,
Per l'orazion della Terra devota,
Quando fu Giove arcanamente giusto.
121 Tre donne in giro, dalla destra ruota,
Venian danzando: l'una tanto rossa
Ch'a pena fora dentro al fuoco nota;
124 L’altr’ era come se le carni 6 l'ossa
Fossero state di smeraldo fatte,
110. TRA LA MEZZANA: ¢ il grifone, mo-
vendo dietro i candelabri e nel mezzo di
essi per uno stesso sentiero, era per con-
seguente in quella lista che ne aveva tre
da ciascun lato; o tenendo egli l'una e
l'altra dell’ ale all'insù, occnpava con
ease i duo spazj laterali alla detta linea
mezzana, di manlera che fendendo quegli
spazi, a nulla facea male, ciod non in-
tersecava nessuna delle colurate liste; »
Br. B.
112. VISTE: essendo in terra, Cristo è
in pari tempo anche in cielo (« Nemo
ascendit in calum nisi qui duscendit de
cselo, filius hominis qui est in celo; »
8. Giov. III, 13), dove l'occhio mortale
non arriva.
113. D'ORO: « Caput eius anagram opti-
munm; » Cant. Cantic. V, 11. - QUANTO:
nella sua parte anteriore di aquila.
114. L'ALTRE: lo membra inferiori di
leone; cfr. Cant. Cantic. V, 10.
116. AFFRICANO: Publio Cornelio Sci-
plone, il vincitore di Annibale. - Auau-
STO: « Curules triumphos tres egit, Dal-
maticum, Actiucum, Alexandrinum ; con-
tinno triduo omnos; » Svet. Vit. Aug., 22.
«At Ciosar triplici invoctus Romana
triumpbo mania; » Virg. Aen. VIII, 714.
117. QUEL: carro; cfr. Inf. XVII, 106
e seg. Purg. IV, 72.- CON ELLO: a ri-
spetto di quel carro tirato dal grifone il
carro del sole sembrorebbe povero.
118. SVIANDO: per opera di Fetonte;
P___
cfr. Inf. XVIT, 107. Ovid Metam. I, 751;
IT, 328. - FU COMMUBTO: « Ferventeaque
aures velute fornace profunda Ore trahit,
currusque suos candescere sentit; » Ovid.
Met. II, 229 © seg.
119. L'ORAZION: per l' orazione della
devota Terra; confronta Ovid. Met. II,
278-300.
120. ARCANAMKNTK: in moilo imperscru-
tabile, avendo punito nel figlio la colpa
del padre (Lan., An. Fior., Tom., ecc.);
oppure misteriosamente, volendo inse-
gnare agli nomini quanto la presun-
zione torni finalmente in danno de' pre-
suntuosi (Benv., Lomb., Ces., Br. B.,
Frat., Andr., Triss., Franc., eco.).
V. 121-129. Le tre Virtù Teologali.
Dalla destra ruota del bellissimo Carro
vengono danzando in giro, facendo ballo
tondo, tre donne, porsonificazioni delle
tre Virtà Teologali. L'una, la Carità è
tanto rossa che, come ferro rovente, a
fatica si distinguerebbe in mezzo a car-
boni accesi : la Speranza è sì verde, come
se avesse carne ed ossa di smeraldo (Purg.
VII, 75); la Fede è bianca come neve
recentemente caduta. Guidate ora dalia
Fedo od ora dalla Carità (chò la Sporanza
non può mai andare innanzi ad esse duo),
le tro donne muovono a tempo la danza
loro, ora tarde ed ora celeri, secondo il
canto della Carità, radice, madre e for-
ma di tutte le altre virtù. Cfr. YZ Cor.
‘XIII, 2. Tom. Ay. Sum. theol. 13, 62,4;
[PAR. TERRESTRE]
Puro. xxix. 126-188
[vintÙù] 647
La terza parea neve testé mossa;
127 Ed or parevan dalla bianca tratte,
Or dalla rossa, e dal canto di questa
L’altre togliean l'andare e tarde e ratte.
130 Dalla sinistra quattro facean festa,
In porpora vestite, dietro al modo
D' una di lor, ch’ aveva tre occhi in testa.
133 Appresso tutto il pertrattato nodo,
Vidi due vecchi in abito dispàri,
Ma pari in atto, ed onesto e sodo :
136 L’un si mostrava alcun de’ famigliari
Di quel sommo Ippocràte, che natura
Agli animali fe’ ch’ ell’ ha più cari;
65, 5; 71, 4. IL", 23, 6,8; 104, 8; 117, 6;
141, 5, III, 186, 7.
126, mossa: caduta d'alto; ofr. Inf.
XVIII, 114. « Albo rara fides velnta
panno; » Horat.0d,I,35,21080g.«Quippo
color nivis est, quam nec vestigia duri
Caleavere pedis, nec solvit aqnaticua an-
ster; » Ovid, Met, IT, 852 0 sog.
Vv. 140-1872. Le quattro Firth Car-
dinali, Dalla Sinistra ruota del Carro
fanno festa quattro altre donne vestite
di porpora, seguendo il modo del danzare
dell’ nna di esse che ha tre occhi. Queste
quattro donne sono le personificazioni
delle quattro virth cardinali: Giustizia,
Fortezza, Temperanza e Prudenza. La
porpora di color rosso di che sono vestite
è l'emblema della carità senza la quale
non ponno essere (cfr. Thom, Aq. Sum.
theol, I*, 65, 2). Son guidate dalla Pru-
denza, fondamento e regola delle altre
tre, In quale ha tre occhi, essendo suo
ufficio di ricordarsi delle coso pasante,
ordinare le presenti e prevedere le fu-
ture; cfr, Thom. Aq. Sum. theol. 1°, 60,
1; 64, 8; 66, 2. III, 85, 8. Conv. 1V,
17, 27.
V. 138-164. La retroguardia. Chiu-
dono la processione otto personaggi ve-
atitidi bianco come i ventiquattro seniori,
noltanto che non sono coronati di gigli,
ma di roso 6 d'altri fiori vermigli. Prima
vengono due vecchi, personificazioni dei
Fatti degli Apostoli è delle Epiatole di
San Paolo. Seguono qnattro d'nmile
aspetto: le personificazioni delle Epi-
stole cattoliche di S. Piotro, 8. Giacomo,
8. Giovanni e 8. Ginda. Ultimo vien dor-
è
mendo, ma colla faccia vivaco, un vecchio
solo: personificazione dell'Apocalisse di
8. Giovanni (le altre interpretazioni di
questi personaggi sono innttondibili), on-
do si vede in questa proccssione tutta la
dottrina della Chiesa inspirata dallo Spi-
rito Santo, dalla Genesi sino all'Apoca-
lisse. Ginnto il carro dirimpetto a Dante,
s'ode un tuono 6 tutti si fermano.
183. xopo: dopo tutto quel grappo
Intorno al carro, del quale si è fin qui
trattato. Cir. Inf. XI, 80. « Primus Aban-
tem Uppositum interimit, pagnm nodom-
que moramque;» Virg. Aen. V, 428 e so-
guenti.
134, nisrAni: inquanto alla foggia del-
l'abito di color bianco.
186. rant: « consimili nell'atto, o reg-
gimento della persona, composta ad one-
stà e dignitosa, specialmente nell'andare
6 nol tardo mnovere degli oochi, Inf. IV,
112. Purg. VI, 08;» Giul,- sono: fer-
mo. Altre lezioni: kD ONRSTATO E BODO;
OGNUNO ONESTO E BODO; E CON ISTATO
BONO,
136.1." uN: quelli che personifica i Fatti
degli Apostoli, dettati, come si crede, da
San Luca, il fedel compagno di 8. Paolo;
ofr. IT Tim, IV, 11, Filem., 24. Si mo-
stra famigliare di Ippocrate, il famoso
medico groco o padro della sclonza me-
dicinale (470-156 n. C.), ossendo cogli il
«emedico cnrissimo, » come lo chiama
8, Paolo, Coloss, IV, 14. Cfr. Com. Lipa,
Ll, 650 è sog.
138. ANIMALI: enti dotati di anima, no-
mini; ofr, Inf. V, 88. Conv, 11,0; ILI, 2;
IV, 27.
G48 (Pan. TERKESTRE) Puro. xxix. 139-153
[RETROGUARDIA]
130 Mostrava l’altro la contraria cura
Con una spada lucida ed acuta,
Tal che di qua dal rio mi fe’ paura.
112 Poi vidi quattro in umile paruta,
E di retro da tutti un veglio solo
Venir, dormendo, con la faccia arguta.
145 E questi sette col primaio stuolo
Erano abituati; ma di gigli
Dintorno al capo non facevan brolo,
148 Anzi di rose e d'altri fior’ vermigli:
Giurato avria poco lontano aspetto,
Che tutti ardesser di sopra da' cigli.
151 E quando il carro a me fu a rimpetto,
Un tuon s'udi; e quelle genti degne .
Parvero aver |’ andar più interdetto,
139. CONTRARIA : il medico risana le pia-
ghe, chi porta la spada le fa. Questi è
8. Paolo come aotore delle quattordici
pistole del Nuovo 'lestamento a lui at-
tribuite. La spada è per avventura quella
dello spirito, Kfes. VI, 17; cfr. Ebra
IV, 12.
141. DI Qua: del fiume Lote. - MI FE'
PAURA: perchè ? Cfr. Purg. IX, 112 e
seg.; XXX, 57.
142. UMILE: come autori di libri sacri
di piccola mole. - paruta: cfr. Purg.
XXV, 100; XXVI, 70.
143. VEGLIO: secondo la tradizione l’uu-
toro dell'Apocalisse morì decrepito. - 50-
LO: l' Apocalisse essendo non soltanto
l’ ultimo, ma anche l'unico libro profe-
tico dol Nuovo Testamento.
144. DORMKNDO: assorto nelle visioni
dell’ Apoculisse. - ancuta: l'Apocalisse
essendo scritta « per far conoscere le cuse
che debbon tostoaccadero;» Apocal. I, 1.
146. IPRIMAIO STUOLO: dei voutiquattro
seniovri.
146. ABITUATI: vestiti nello stesso mo-
do dei 24 vecchi; cfr. Par. XXXI, 59-60.
147. bno.o: ghirlanda; contr. 7oliz.,
Stanz., I, 68. Diez, Wort. 13, 88. Enci-
ol., 264. « Di questa voce è rimusto vi-
vente nell’aretino il v. sbrollare. Da
brolo poi, che vale o ghirlanda di fiori,
e siepe fiorita che chiuda un orto, son
venuti i nomi a molte ville della Tosca-
na, come Brollo, Brolio e simili; » Ca-
verni.
148. verMiGLI : il color di rosa e vermi-
glio dinota l'ardore della carità onde sono
informati i libri del Nnovo Testamento,
destinati a spargere ovunque il fuoco
d'amore che Cristo venne a mettere in
terra; cfr. S. Luc. XII, 49.
149. GIURATO : un aspetto poco lontano,
cioè chi non fosse stato così vicino come
era io, in modo da nou poter distinguere i
fiori, ma vedere soltanto i colori, avrebbe
giurato che quei sette ultimi ardessero
tutti di sopra da' cigli.
150. ARDES3KL: « Ardet aper capiti
cristisque a vertice fiamma Funditur; »
Virg. Aen. X, 270 © sog.
152. UN TUON: che dà alla mistica pro-
cessione il segnalo di fermarsi. Si dovrà
intendere che questo tuono venga dal
cielo. « Il Poota ha descritto la chiesa
ju forma di croce, e volta a occidente,
come tutte s' usano da costruere, perchè
ha posto prima i sette candelabri, che
fanno il piede di quolla; pol ventiquattro
seniori a due a due, che fanno il resto del
primo loguo sino all’altro che s'incrocia;
e qui ha posto iu luogo di essa incrocia-
tura il nodo, ciod il carro tirato dal Gri-
fone in mezzo a’ quattro animali, et in
luogo dolla parte destra del legno ha
posto lu tre, e in luogo della sinistra le
quattro donne In giro. Poi in luogo della
parte di sopra ha posto i sotte abituati
col primaio stuolo; » Vell.
153. riù: più oltre. « Parvero avere in-
terdetto andar più; » Betti.
(PAR. TERRESTRE]
Puro. Xxix. 154 - xxx. 1-7
[PRELUDIO] 649
154 Fermandos’ ivi con le prime insegne.
154, iInseone: i candelabri cogli osten-
dali. Primi a formarsi nelle processioni
sono i gonfaloni, - In questa parto della
gran visione la Chiesa si mostra a Danto
qual buon Pastore cho va in cerca della
pecorella smarrita; cfr. S. Luca XV, 4 10,
CANTO TRENTESIMO
PARADISO TERRESTRE
APPARIZIONE DI BEATRICE, SCOMPARSA DI VIRGILIO
RIMPROVERI DI BEATRICE A DANTE
Quando il settentrion del primo cielo,
Che né occaso mai seppe, né orto,
Né d'altra nebbia che di colpa velo,
1 E che faceva li ciascuno accorto
Di suo dover, come il più basso face
Qual timon gira per venire a porto,
7 Fermo 5'affisse, Ja gente verace,
V.1.21, Preludio dell'apparizione
di Beatrice. Fermatasi la processione,
i ventiquattro seniori si volgono al Carro
© l'uno di essi, quasi fosse deputato a tale
ufficio dal cielo, grida tre volte, socon-
dato da' suol compagni, invitando Bea-
trice n venire, Udito l'invito una gran
moltitudine di persone si leva sul carro,
festeggia colel che è in procinto di appa-
rire e sparge a man piene fiori di sopra
e d'intorno.
1. BETTRSTRION: | setto candelabri,
letti settentrione dal nome dello setto
stello dell'Orsa minore che illominano
la parte settentrionale del nostro ciolo.
- PRIMO CIELO: l'empireo (An, Fior,, Post,
Cau., Petr. Dant., Benv., Buti, Land.,
Vell,, Dan., eco.). Alcuni: Iddio (Ott.,
Franc., ecc.); al.: il cielo del Paradiso ter-
restro, che fn il primo cielo de' nostri pro-
gonitori (Falso Boce., ir. B., Greg., eco.).
2. cur: il qual settentrione non andò
mai soggetto allo vicende del sorgoro 6
del tramontare, nò fa celato agli sgoandi
dell'umnno intelletto da altro velo che
da quello della colpa. « Vuol dire l'an-
tore che quello Settentrione, ciod i setti
doni dello Spirito Santo, stanno lucidi è
chiari ed appariacenti n quelle persone
che sono senza colpa, cioè senza peconto,
el a quelli che sono in peccato sta ascoso,
velato, e nol discerne, imperò che la col-
pa gli è nuvolo e velo; » Lan., An, Fior,
4.rAacEYA: guidava totti i membri della
processions, come il settentrione del no-
atro emisfero fa accorto del suo dovero
chinnque gira timone per venire a porto
(che è scopo d'ogni navigazione).
5, bAS80: nell'ottava sfera, n difforenza
del settentrion del primo cielo che è più
alto.
6. QUAL: chinnque.
7. B'AFFISSR: si fermò; cfr. Inf, XII,
115. - Genre: i ventiquattro seniori,
ESTRE]
Pura. xxx. 8-22
[PRELUDIO]
Venuta prima tra il grifone ed esso,
Al carro volse sé, come a sua pace,
10 Ed un di loro, quasi da ciel messo,
Veni, sponsa, de Libano cantando,
Gridé tre volte, e tutti gli altri appresso.
13 Quali i beati al novissimo bando
Surgeran pre-** -——— ** a caverna,
La rivestiti 0;
16 Cotali in su | ly
Si levir ce iti senis,
Ministri. ta eterna.
19 Tatti di venis ;
E fior’ gitt Intorno:
Manibus.o
22 Io vidi già nel riorno
BR, sso: settentrione; confr.
XXIX, 82 e seg.
0. VOUSE ah; sl volse indietro, - PACK:
«come a suo fino. CIÒ cho si foco nol Voc-
chio Testamento, si foco a fine di costi-
tuire la s. Chiesa, e Cristo a quel fine
venne; » Buti.
10. UN: dei ventiqnattro senlori, quegli
che rappresentava il Cantico dei Cantici
di Salomono. - DA CIKI.: Al. DAL CIKL.
11. VENI: « Vieni dal Libano, o sposa!»
Oant. Cantic. IV, 8. Altrove Dante iden-
tifica la sposa dei Cantici colla scienza di-
vina; cfr. Conv. II, 15.
12. TRE VOLTE: coine nel Cantico (se-
condo la Volgata: « Veni de Libano,
sponsa mea; veni de Libano, veni »). -
ALTRI: seniori.
18. NOVISSIMO: ultimo; all'invito del
di del giudizio finale.
14. CAVRKNA: tomba, sepolcro.
165. ALLKLUIANDO: cantando alleluia
colin voce doi corpi rivestiti. « Kt sic
vido quantum comparatio sil propria ex
omni parte, de beatis ad angelos, de ba-
sterna ad cavernain, de voce angeli ad
vocem Salomonis; » Benv. - Al. LA RIVR-
BTITA CARNK ALLKVIANDO, lezione priva
di autorità, poichè l'alleutarndo di molti
codd. non è da leggere alleviando ma al-
leuiando, cioè cantando alleuia o alle-
luia ; confr. Cm. Lips. TI, 659 e seg.
Moonrk, Orit., 429 © seg.
16. BABTERNA : voce lat. Sorta di carro
coperto o lettiga, che presso i Romani
serviva specialmento allo matrone. Qui
il, il Carro mistico, « Basterna 4
dorno di preziosi drappi è dell-
wavs, = alt. MOT.
17. CKNTO: un gran numero di angeli;
cfr. v. 29, 82. Suppone il mistico carro
popolato di angeli rimasti sin qui invi-
sibili, non avendone ancor fatto il mini-
mo cenno. - AD VOCEM: alla voce di tanto
seniore, quale era colui che avea gridato:
Vent, sponsa, de Libano.
18. MINISTRI: denominazione scritta-
rale degli angeli; cfr. Salm. CIT, 20, 21.
Ebrei I, 7, 14.
19. HENEDICTUS : benedetto tu che vient.
Sono le parole colle quali Cristo, entran-
do in Gerusalemme, fu salutato dai gia-
del; confr. S. Matt. XXI, 9. S. Marco
XI, 9. S. Luca XIX, 38. S. Giov. XII,
13. Le parole non sono dirette a Dante
(Lomb., Biag., Costa, Ces., Br. B., Greg.,
Andr., ecc.), nd al Grifone (An. Fior.,
Buti, Land., Tom., Benn., Oorn., ecc.),
mo a Boatrice, invitata a veniro, v. 11,
0 cho infatti viene or'ora, mentro Dante
ed il Grifune non vengono, ma sono già lì.
21, MANIBUS: 0 spargele gigli a man
picne! Parole tolte da Virg. den. VI, 883.
V. 22-33. Apparizione di Beatrice,
Dentro quella nuvola di fiori che gli an-
geli spargono al disopra e all’ intorno del
carro, coronata di fronde d' ulivo sopra il
candido velo che ha in testa, appare Bea-
trice, vestita degli stessi colori di che
sono vestite le tre Virtù Teologali; cfr.
Purg. XX1X, 122 © seg. « Dalla circo-
stanza metoorologica, per la quale ve-
"
iene |
Puro, xxx. 23-41
[REATRICE) 651
La parte oriental tutta rosata
E l'altro ciel di bel sereno adorno;
25 E la faccia del sol nascere ombrata,
Sì che per temperanza di vapori,
L’ occhio la sostenea lunga fiata:
28 Così dentro una nuvola di fiori,
Che dalle mani angeliche saliva
E ricadeva in giù dentro e di fuori,
31 Sopra candido vel cinta d'oliva
Donna m’apparve, sotto verde manto,
Vestita di color di fiamma viva.
34 E lo spirito mio, che già cotanto
Tempo era stato che alla sua presenza
Non era di stupor, tremando, affranto,
37 Senza degli occhi aver più conoscenza,
Per occulta virtù che da lei mosse,
D’antico amor senti la gran potenza.
40 Tosto che nella vista mi percosse
L'alta virtù, che già m’avea trafitto
diamo non di rado esser rereno tutto il
cielo, fuor cho n ponente o a levanto, ove
nno strato poco denso di vapori s' infiam-
ma ai raggi solari, prende una tinta ro-
santa, è fa velo al grand’ astro dinrno per
modo, da permetterci di rimirarlo senza
offesa; leva il Poeta l'imagine di una
delle più soavi e felici pittore, ch'egli
nbbin saputo ideare è che noi possiamo
ammirare; Antonelli. Confr. L. Vent.,
Simil., 5.
23. ROBSATA: del colore della rosa;
«Ut solet ner Purpurous fieri, com pri-
mom aurora movetor; » Ovid. Met. VI,
47, 48.
24. L'ALTRO creL: le altro parti del
20. PER TRMIENANZA: por essere la
Faccia, la luce, del sole temperata dai
28. NUVOLA: consnona all'immagine
del sole ombrato ; « Falcite me floribus ; »
Cant, Cantic. IT, 6.
#0. pentHo: dentro è intorno alia di-
tina basterna, ciod al carro.
31. CANM DO: tre colori: blanco, verde
© rosso; | colori della Fede, della Sporan-
ra e della Carità. L'olivo è simbolo e di
sapienza è di pace. Cfr. Vita Nuova, 2,
8, 23, 40,
V. 34-54. I segni dell'antica fiam-
me, La vista non pod discernore chi ria
questa donna così velata; ma per arcana
virth che muove da lei, Dante sente la
gran potonza che da lei viene. Si volge
per dire a Virgilio dello stato dell'animo
sno, Ma all'apparire di Beatrice, Virgilio
è disparito, di che Dante piange ad onta
di tutte le delizie del Paradiso terrestre.
Sull'effetto che Beatrice vivente prodn-
ceva sul Poeta cfr. Vita Nuova, 2, 11,
14, 24, eco,
34. coTANTO: dieci anni; cfr, Purg,
XXXII, 2.
35. CHR ALLA SUA: Al. CON LA BUA,
Cfr. Com. Lips. II, 666.
30. AFFRANTO; abbattuto, vinto, tre-
mando in presenza di Beatrice.
37. BENZA : sonza conoscerla alla vista,
essendo velata. — FIÙ: altra, maggior co-
noscenza,
38. vIRTÙ: meravigliosa, già speri-
montata in vita di Beatrice,
40. NELLA Viera: nogli nechi = tosto
che la ridi (benchè non la conoscessi
ancora),
41, TRAFITTO : « Vnlnerasti cor meum
soror men sponen, vulnerasti cor menm
in nno ocolorum tuornm, et in nno crine
colli tui; » Cant. Cantie, IV, 9,
652 [PAR. TERRESTRE] Pra. xxx, 42-57 [SCOMPARSA DI VIRGILIO]
Prima ch'io fuor di puerizia fosse,
43 Volsimi alla sinistra col rispitto
Col quale il fantolin corre alla mamma,
Quando ha paura o quando egli è afflitto,
40 Per dicere a Virgilio: « Men che dramma
Di sangue m'è rimaso, che non tremi;
Conosco i segni dell'antica fiamma. »
49 Ma Virgilio n’avea lasciati scemi
Di sé, Virgilio dolcissimo padre,
Virgilio a cui per mia salute dièmi:
62 Né quantunque perdeo |’ antica madre,
Valse alle guance nette di rugiada,
Che lagrimando non tornasser adre,
65 « Dante, perché Virgilio se ne vada,
Non pianger anco, non piangere ancora;
Ché pianger ti convien per altra spada, »
42, PRIMA: in etd di nove anni; cfr.
Vila Nuova, 2. —- FOBSKR: fuaal.
43. RISPITTO : dal prov, respieit, = fidu-
cia, speranza. Al.: rispetto, venerazione;
il fantolino corre alla mamina con fidu-
cia; di rispetto e venerazione non ne 4a
nulla. Cfr. Nannue., Voci e locuz. ital. de-
rivate dalla lingua prov. Fir., 1840, 1210
seg. Par. XXII, 2, 3.
48. CONOSCO: « Adgnosco veteris ve-
stigia fiamma; » Viry. den. IV, 23.
49. SCRMI: privi, mancanti; cfr. Inf.
IV, 148.
61. DIRMI: ml diedi, mi aftidai. Il ripe-
tere il nome di Virgilio per tre versi con-
secutivi è caprossione di affutto; « Eu-
rydicon vox ipsa ot frigida lingua. A
iniserain Eurydicon anima fugiente vo-
cabat, Eurydicen toto reftrebant tlumi-
ne ripw;» Virg. Georg. IV, 626-527.
62. QUANTUNQUE: quanto; cfr. Inf. V,
12. Purg. XV, 71.-MaDRK: Eva. Tutte lo
bellezze o le gioie del Puradiso teir. stre,
perdute già per sua colpa da Eva, non
mi trattounero dal commuovermi sino
alle lagrimo per il dolore della scoinparsa
di Virgilio.
63. NKTTK: nottate da Virgilio con ru-
giada; cfr. Purg. I, 95 e seg., 124 © sog.
64. ADRK: atre, oscure, fosche per le
lagrime.
V. 55-81. Accoglienza inaspettata.
Ti Pceta sorprendo il lottore col racconto
del sovoro benvenuto datogli dalla sua
Beatrice. Dal prinoipo del mistico sno
viaggio sino a questo momento la spe-
ranza di riveder lei, amata già tanto,
lo fortificò a sostenere le fatiche ed i do-
lori del cammino; cfr. Inf. JI, 33 e seg.
Purg. VI, 46 e seg.; XXVII, 35 © seg. I
setto P essondo cancellati dalla sua fron-
te, no segue che egli è purificato da tutti
quel peccati che si pargano via via su
per i gironi del sacro monte. E Virgilio
ha dichiarato il suo arbitrio oramai li-
bero, diritto e sano; Purg. XXVII, 140.
Ciò nonostante Beatrice lo accoglie con
parole aspro, annunziandogli un dolore
più profondo che non quello dolla perdita
di Virgilio. ld ogli la vedo aulla sivistra
sponda dol carro, ancor sempre velata ed
in apparonza altera e disdegnosa, e le se-
conde parolo sono, porché ironiche, più
amare dello prime, onde egli, che tanto
avea sospirato il momento del rivederla,
sta lì tutto confirso, gli occhi abbassati
per vergogna, non osaudo mirarla. Fra
Dante e Beatrice c'è ancora un altro mu-
ro, oltre quello di fuoco (Purg. XXVII,
26) che Dante La oramai divtro sò.
55. DANTE: « quest’ uscita ex abrupto
è un tratto di sublimissiina poesia. Con-
veniva ricondur tosto a Beatrice il let-
tore; ed ecco, fa ella stessa l’'uftizio ; » Ces.
67. PER ALTRA SPADA : per ben altro do-
lore che non quello di vederti abbando-
nato da Virgilio. Quell'altra spada sono
le parolo di rimprovero che Dante udirà
[PAR. TERRESTRE]
PURO. xxx. 58-73
(RIMPROVER!] 653
58 Quasi ammiraglio che in poppa ed in prora
Viene a veder la gente che ministra
Per gli altri legni, ed a ben far l’incuora:
oi In su la sponda del carro sinistra,
Quando mi volsi al suon del nome mio,
Che di necessità qui si registra,
Gi Vidi la donna, che pria m’appario
Velata sotto l'angelica festa,
Drizzar gli occhi vèr me di qua dal rio.
67 Tutto che il vel che le scendea di testa,
Cerchiato dalla fronde di Minerva,
Non la lasciasse parer manifesta;
70 Regalmente nell’ atto ancor proterva
Continud, come colui che dice
E il più caldo parlar dietro si serva:
73 « Guardaci ben: ben sem, ben som Beatrice!
tra breve per bocon di Beatrice; confr.
Ebrei IV, 12.
58. QUAST AMMIRAGLIO: « similitodine
che, con la dignità dell’ officio è dol per-
sonaggio, accenna alla dignitosa nobiltà
di Beatrice; è toccenndo le cure 6 lo pa-
role benigne volte da un ammiraglio alla
gento degli altri legni, cioò delle altre
navi minori, por incornggiaria a far fl
dover sno, mostra che dagli atti e dallo
aguardo di Beatrice traspariva altezza
d'affetto (1). Anche il Carro misterioso, su
cal ella si posa, ha qualche analogia con
la nave maggiore, ove l'ammiraglio ri-
siode;» L. Vent., Simil., 350, Cfr, Conv,
IV, 4.
60. mixistRA: fa il serviz'o; « Ipao ra-
tem conto subigit veliaque miniatrat; »
Virg. Aen. VI, 203,
60, ALTRI: « imperò che nel sno non fa
bisogno, ma negli altri al; » Buti. Al.
ALTI, 2 =
6], ePoxDA: « parola che conviene sì
all'idea di Carro, sì a quella di nave; »
L. Vent., |. 0,- sinistRA: alla sinistra
del mistico Carro era Danto; cfr. Purg.
XXIX, 67 n ang.
61. mt ngorsartà: confr. Conv, II, 2.
«Dice che di nocessitado qui si serivo il
ano nome, poroochè convenne che ladon-
na il chiamasse per nome, per due cagio-
ni: l'nna, perchè certa fusso la persona,
intra tante, alla quale dirizzara il sno
Bermona; l'altra porocchè como p.i ad-
dolciace nello mmano parlaro il nomare
la persona por lo proprio nome, in cld
che più d'atfozione si mostra: così più
pngne il reprensiro, quando la persona
ripresa dalla riprendente è nomata ;» Ott.
Gi. NONNA : Beatrice, - PRIA : cfr. v. 82.
- M'arranio: mi apparve; confe, Purg.
IT, 22.
65. resta: nuvola di fiori; cfr. v. 28
© Beg.
66. DAL RIO: di qua del fiume Leto,
63, rroxpr: dal rami dell'ulivo (cfr.
v. 91), siero a Minerva,
70. XFLL'ATTO: non cho nelle parole.
= IROTRRVA : altiora e rigida. « Dal prin-
cipio essa filosofin pareva a mo, quanto
dalla parte del avo corpo, clod sapienzia,
fiera, chè non mi ridea, inquanto le sno
persuas'oni ancora non Intendea; è di-
silegnosn, che non mi volgea l'occhio,
cioà ch'io non potea vedere le sue dimo-
atrazioni, » Conv, IIT, 15.
72. pietro: Bi riserva per più tardi il
parlare più ncerbo e più animato, « Sem-
pre quello che massimamente dire inten-
de lo dicitore, si dee riservare di dietro;
porocchè quello che nitimamente si dice,
più rimano nell'animo dell'uditoro; »
Conv. JI, 0.
73, srM : siamo, Boatrice parla nel plu-
rale della maestà. Al. GUARDAMI HEN:
NEN SON, HEN BON; cfr. Com. Lips, IT,
670 e seg. Moonr, Crit., 431 e sog. Boet,
Cons, phil. I, pr. 2.
654 (PAR. TERRESTRE) Puro. xxx. 74-84
[ANGELI]
Come degnasti d’accedere al monte?
Non sapei tu che qui è l'nom felice? »
76 Gli occhi mi cadder giù nel chiaro fonte;
Ma veggondomi in esso, 1 trassi all’ erba,
Tanta vergogna mi gravò la fronte.
79 Così la madre al figlio par superba,
Com’ ella parve a me; per che d’ amaro,
Sente il sapor della pietade acerba.
82 Ella si tacque, e gli angeli cantàro
Di subito: In te, Domine, sperati,
Ma oltre pedes meos non passàro.
74. coMmk DEGNASTI: « Chi salirà ul
Monte del Signore! e chi starà nel luogo
sno santo! L'nomo innocente di mani, è
puro di cuore, il quale non eleva l'animo
a vanità; » Salm. X.XIV(Vulg. XXILT), 3,
4. Dante aveva elevato l'animo sno a va-
nità (Purg. XXX, 131 eaeg.; XXXI, 34,
35, 60) è non era puro di cuore (Purg.
XXXI, 58 è seg.). Degnare si usò antica-
mente nel senso di potere (= provenz.
dehnar).
75. NON BAVKI: non sapevi; cfr. Nan-
nuc., Verbi, 139 e seg. 671. < (Quasi dicat,
scire dobobas, nec huo accedere pote-
ras nisi ego tibi gratiam procurassem ; »
Benv.
77. 1 TRABSI: li trassi; cfr. Inf. V, 78.
Non sostenendo di vedere la sua stessa
immagine nelle acquo del Lete, piegò gli
occhi all'erba.
79. MADRK: la Chiosa è la madro dul fe-
deli e l'autorità ecclosiastica è la rappre-
sentatrice della Chiesa. Quindi Beatrice
è paragonata più volte ad una madre;
ofr. Par. I, 102; XXII, 4. La pietà del-
l'amor materno è qui severa; ma è pur
sempre pietà. La madre pare superba,
inentre invece è amorevole. Beatrice pa-
reva, ina non era nd proterva (v. 70), nd
superba.
81. SENTR: Al.: 8KNTÌ. Trattandosi qui
evidentemente di una massima generale
© non di una esperienza isolata, il sentil
dei codd. va lotto sent’ il (= sente il) ©
non sentì ‘8 ( = sentì il). La piotà che ca-
stiga sa seinpre di umaro al castigato.
4cerba sl riferisce qui alla cosa, ciod alla
pietà raffigarata come cibo; amaro si
riforisce alla sensazione. Fra acerba ed
amaro vi ha la differenza che pasya tra
sapore e gusto,
V. 82-99. Compassione angelica,
Beatrice tace; gli Angeli salla divina
basterna cantano, quasi in nome di Dan-
te, un salmo della speranza in Dio. E
Dante, prima gelato od impietrito per
lo dolore, tocco da quell'amore degli An-
geli, che lo compatiscono è par che di-
mandino a Beatrice perchè tanto lo
atrngga cogli acerbi rimproveri, sfoga
il suo doloro con lagrime o singhiozzi,
onde l'interno suo golo si liquefà.
82. GLI ANGKLI: « gli angioli, ch’erono
in sul Carro in persona di Dante rispon-
dono a Beatrice: Egli ardì di salire al
monto sperando in Div; » An. Fior. Cfr.
Ebrei XIT, 22.
83. IN TK: cantavo i primi nove voral
del Salmo XXXI (Vulg. XXX): « Si-
guore, io mi sen confidato in te; fa' che
io non sia giammai coufuso; liberami por
la tua giustizia. Inchina a mo il tuo orec-
chio, affrettati di liberarmi; siimi una
rocca forte, od un luogo di fortezza, por
salvarini. Porciocché tu soi la mia rocca
e la mia fortezza; o, per amor del tuo
Nome, guidami o conducimi. Trammi
fuor della rete che mi è stata tesa di
nascosto; poichè tu sei la mia fortezza.
To rimetto il 1uio spirito nelle tuo mani;
tu mi hai riscattato, o Siguore Iddio di
vorità. Io odio quelli cho attendono alle
vanità di menzogna; ma io mi confido
nel Signore. Iv fosteggierò e mi ralle-
grorò della tua benignità; perciocchò tu
avrai veduta la mia afitiziono, cd avrai
proso conoscenza delle tribolazioni del-
l'anima mia; e non mi avrai messo in
mano del nemico ; vd avrai fatto star ritti
al largo i miei piodi. » E qui gli Angeli
si fermano, il concetto dei versi seguenti
von 038endo più a propasito,
(PAR. TERRESTRE]
Pura. xxx. 85-99
[ANGELI] 655
85 Sì come neve tra le vive travi
Per lo dosso d’Italia si congela,
Soffiata e stretta dalli venti Schiavi,
88 Poi liquefatta in sé stessa trapela,
Pur che la terra, che perde ombra, spiri,
Si che par fuoco fonder la candela:
DI Così fui senza lagrime e sospiri
Anzi il cantar di que’ che notan sempre
Dietro alle note degli eterni giri,
Oo Ma poi che intesi nelle dolci tempre
Lor compatire a me, più che se detto
Avesser: « Donna, perché si lo stempre? »
97 Lo gel che m’era intorno al cor ristretto,
Spirito ed acqua féssi, e con angoscia
Per la bocca e per gli occhi uscì dal petto.
85. COMK NEVE: «sì come talor vedemo
cadere l'acqua mischiata di bella neve,
così mi parea vedere le loro parole nacire
miarhiate di sospiri; » Vita Nuova, 18. -
VIVR TRAVI: alberi verdeggianti; confr,
Virg. Aen. VI,181. Ovid. Met, VITI, 329;
X, 372 onog.; XI, 100; XIV, 2360.
86. rant LO bosso: anll'Appenoino cho
è quasi spina dorsale dell'Italia.
BT. BOFFIATA: percossa od inilurata
dal venti boreali che vengono di Schia-
ronia.
BR. TRAPELA: gocciola, quella disopra,
prima a liquefarsi, penetrando in quella
di sotto.
89. LA TRRRA: porchéò apiri vento dal-
l'Affrica, ove talvolta i corpi non man-
dano ombra, perché |] sole ata perpen-
dicolare sopra di ossi. « Utve anb ad venta
spirantis lene favoni Sole remollescit qam
rigore constitit onda; Sic lacrimis con-
anmta sola Phieboin Ryblia ; » Ovid. Met,
1X,061 e sog. - PERDE OMBRA : « proprie-
tà delle region! tropicali, o della zona tor-
rida, ove due volte all'anno a mezzogior-
no il sole tocca lo repit di cinsenn punto;
e quindi l'ombra di on corpo opaco, in
situnzione verticale, cade sulla ana base,
onde non comparisce da alcun lato; »
Antonelli.
DO. TAR FUOCO: « Sicut fluit cera a
facie ignis; » Peal, LXVII, 2. « Valles
scindentor sicut cera a facie ign'a; »
Michee 1, 4. « Ut intabercere flavio Igni
leri corm, matutine:que prolnm Sole te-
pente solent ; » Ovid. Met, III, 487 © sog.
DI, così: prima che gli Angeli cantas-
sero era congelato come neve, ndito il
canto si liquefece. Paragena sò stesso
alla novo, lo parole di Beatrice al venti
settentrionali, le parole del canto ange-
lico al venti meridionali.
02. quer’: Angeli. - NOTAN: cantano in
nota. « Loontione qua Angeli loquantur
Deo, laudantes ipsum, et oadmirantes,
semper Angeli Deo loquantur; » Thom.
Aq. Sum, theol. I, 107, 3.
03, DIRTRO: in conformità dell'armonia
delle afere celesti.
D4. TRMVKe: nelle parole degli Angeli
sì dolcemente temprato, o armonizzate,
«In quelle note dolcemente temprate a
compassione ; » Petti,
06, COMrATING: « Poccatores.,.. quam-
din sunt in hoc mundo, in tali statu
sunt, quod sine priejadicio divins joati-
tim possnnt in beatitadinem tranaferri
de statu miserim ot peccati. Et ideo com-
passio ad eos locum habot et secundum
electionem voloutatia (proot Deus, an-
geli et bonti cia compati dienntor, sorum
salute volendo), et secondom passionem,
sicut compatinntar cis homines boni; »
Thom. Aq. Sum, theol, ITT, Suppl., 94, 2.
90. STRMPRE: stempri, mortifichi, av-
viliscl.
08. réssi: si risolao in sospiri od in
lagrime.
DO. ret LA NOCCA : in sospiri. — PER GLI
occm : in lagrime. - Uscì: Il gelo disciolto.
V. 160-145. Traciamenti di Dante,
Beatrice volge la parola agli Angeli, in
656 (PAR, TERRESTRE] Pun, xxx. 100-109
[TRAVIAMENTI]
100 Ella, pur ferma in su la detta coscia
Del carro stando, alle sustanzie pie
Volse le sue parole così poscia:
103 « Voi vigilate nell’ eterno die,
Si che notte né sonno a voi non fura
Passo, che faccia il secol per sue vie;
106 Onde la mia risposta è con più cura
Che m’intenda colui che di là piagne,
Perché sia colpa 6 duol d'una misura.
109 Non pur per ovra-delle ruote magne,
modo però da casore nidita ed intesa dal
l'oota cai ella rimprovera de’ passati tra-
viamenti. La Natoara è la Grazia gli fu-
rono larghe di loro doni, del quali egli
non fece l'uso dovnto, Vivendo, Bea-
trice gli fu guida al Sommo Bene, ma lei
morta egli si tolas a lel per correr dietro
a boni fallaci, nd giovarono i tentativi di
richiamarlo sulla buona via per mezzo
di sogni e di visioni. Cadde a segno che
per salvarlo non c' era più che un sol
mezzo, quello cinò di mostrargli i dan-
nati e le loro pene. Prima di passare il
Lete e dimenticare il male commesso, la
divina giustizia osige che ogli ne senta
pentimento e versi lazrime di penitenza.
I rimprovori di Beatrico non ponno rife-
rirsi a veruno di quoi peccati che si pur-
gano nei gironi del Purgatorio, chè i
sette P sono cancellati dalla fronte del
Poeta od il suo arbitrio è libero, dirltto
e sano (Purg. XXVII, 140). Ma Beatrice
gli rimprovera di essersi dato quasi esclu-
sivamente alla scienza umana trascuran-
do quasi del tutto la divina; cfr. Dante-
Handbuch, 211-238. « Ritrovandosi Dante
fuori de’ primi anni della sua puovrizia,
ne' quali egli era stato instruito e am-
maestrato.... de’ principii della fede, e
delle altre cose appartenenti a la roli-
gion cristiana.... e dandosi a gli studii
di filosofia e delle scienze umane, dove
si truovono molte opinioni contrarie di-
rittameute al lume della fede, cominciò
a poco a poco a lasciarsi svolgere o ti-
rare al tutto nella lor soutenza da quel-
le.... Per Il cho egli entrò.... nel laberinto
delle varie o diverso opinioni de' savi del
mondo, por il quale egli camminò insino
alla metà della vita sua; » Gelli, I, 72
© seg.
100. IN RU La DETTA: sulla sponda ri-
nistra del Carro, como fu detto nel v. 01.
Al. IN 4U LA DKSTRA coscia. Ma Bea-
trico stava pur ferma, dunque non ai era
volta a destra; cfr. Com. Ldps. 11, 076.
101. BUSTANZIE FIR: agli Angeli pie
tosi 0 compassioneroli; cfr. Thom, Ag.
Sum. theol, I, 60, 6; 66,1, 2. Pie perchè
sante e perchè hanno pietà di Dante.
102, roscra: quando gli Angeli ebbero
terminato il loro canto.
108, pix; giorno; «in die sternita-
tia; » JI Petr, IJI, 18. « La sentenza è
cho le creature angeliche a niuna guisa
ed in nessun tempo ponno essere di-
sciolte dalla continua contemplazione di
Dio.... Dice adunque Beatrice agli An-
geli, che essi stanno sompre vigilanti
od attenti a contemplar Il creator loro,
al fattamente, che notte né sonno fura
o toglie loro pas3o0, che per sue vie ca-
minando faccia il secolo, ponendo il se-
colu per il tempo, fl quale altro non è che
ombra dell'eternità; © perchè le cose
mondano soggiacciono al tempo, pren-
desi ancora il secolo per il mondo, od il
mondo per gli uomini in esso conte-
nutl;» Dan.
105. Passo: cosa alcuna che nel mondo
succeda. « Sicut Deus per suam essen-
tiam materialia coguoscit, ita Angeli ca
cognoscunt per hoc quod sunt in cis
per suas intelligibiles species; » Thom.
Ag. Sum. theol. I, 57, 1. « Angelus per
unam intellectivam virtutem utraque
coguoscit; » ibid., art. 2.
106. ONDE: conoscendo voi già ogni
cosa che nel mondo succede, lo scopo
della mia risposta non può essere di
istruire voi, ma di essere intesa da co-
Jai che piange al di là dol fiume Leto, af-
finchè il suo dolore sia proporzionato alla
sua colpa.
109. PKR OVRA: per naturale influenza
doi cieli; cfr. Inf. XV, 65 o seg. Purg.
[PAR. TERRESTRE]
Pura. xxx. 110-124
[TRAVIAMENTI] 657
Che drizzan ciascun seme ad alcun fine,
Secondo che le stelle son compagne;
112 Ma per larghezza di grazie divine,
Che si alti vapori hanno a lor piova
Che nostre viste là non van vicine,
115 Questi fu tal nella sua vita nuova
Virtualmente, ch’ogni abito destro
Fatto averebbe in lui mirabil prova.
118 Ma tanto più maligno e più silvestro
Si fa il terren col mal seme e non célto
Quant’ egli ha più del buon vigor terrestro.
121 Alcun tempo il sostenni col mio volto;
Mostrando gli occhi giovinetti a Ini,
Meco il menava in dritta parte volto,
124 Si tosto come in su la soglia fui
XVI, 73 oseg. - RUOTK MAGNE: le sfero
celesti che danno a ciasenn essero che
nasce, Inclinazione ad nn qualehe fine,
bnono o cattivo, secondo la virth di qnel
pinnota antto |] qualo è generato.
113, riova: pioggia, della quale i va-
pori sono la cagione. Dice donque che
la cagione che mnove Iddio a infondere
la sna grazia negli caseri, è al di là di
ogni vedere, impenetrabile non pure al-
l'umano, ma e all'intelletto nngolico è
flella stessa Bontrice (nostre viste !); efr,
Par, XX, 118 © seg. « Secundom natn-
ralem cognitionem Angeli cognoscunt
res tum per essentiam suam, tum etiam
per species innatas: et hac cognitione
mysteria gratim Angell cognoscere non
possunt..., Licet Angeli beati divinam
saplentiam contemplentnr, non tamen
eam comprebhendunt; et ideo non opor-
tet quod cognoscant quidqnid in en la-
tet;» Thom, Ag. Sum. theol. I, 57, 6.
114, VICINE. « nonchè raggiungere, nep-
pore’ avvicinano; » Tom.
115. NELLA SUA VITA NUOVA: nel tempo
in cni e' fo rigenerato per virth d'amore ;
ofr, Com, Lips. TI, 678 è seg. Al.: nella
sun età giovanile (Lan., Post., Cass.,
Renv,, Buti, Land., Dan., Volpi, Vent.,
Lamb. nd il più del moderni). AL: quando
scrisse il ano libro intitolato Vita Nuova
(Ott., An. Fior., Port., c00.).
114. VIRTUALMENTE: In potenza, ossia
in poter essere, per virtù ricevute dai
cioll è per nbbondanza di grazio divine.
« L'effetto dicesi contenuto nella cansa,
42, — Div. Comm., 23 ediz.
formatiter, quando in essa sé ne trova
la natura, come il calore nel fitoco ; vir-
tualiter quando nolla causa non si trova
la natura dell'effetto; In statua per es.
* contonnta virfualiter nelln monte del-
l'artelco; » Dini, - ADITO DESTRO: « ta-
lento felice, buona disposizione; » BI,
« Scientin vel virtus: nam scientin est
habitas conelnsionia demonstrate, ot
virtns eat hnbitns eloctivos; » Benp.
117. FATTO AVPRRUNE : aarobbe riuscito
n qualsiasi più mirabile prova.
118. MA TANTO: «quanto una terra ha
più di naturale vigorin tanto più ossa
diventa maligna, se vi si butta in essa
cattiva semenza 6 la si lascia incolta. Una
terra priva di vigore è inenpaco di dare
buone piante o enttive.... Unmini di alto
ingegno non diretti al bone 6 viziati
hanno fatto danni stragranii n sè stessi
cd alla società. Gli stupidi sono inonpaci
di far gran male è gran bene; » Corn.
120. pe. nuON: Al, DT BUON,
121. ALCUN TEMPO: circa sedici anni. -
I ROSTENNI: sugli effetti di Beatrice sul-
l'animo di Dante cfr. Vita Nuova, 11, 19,
21, 27, eco, Com, Lipa. IT, 680. - « Alown
tempo cioè in puorizia, dove l'antore non
cercava circa lo ene cognizioni ragione
nlonna, n n lol anddisfacon quia ric est.
Pol volle ragionare, è in tutte coso do-
mandare dimostrazione n senso ; diventò
di teologo filosofo, abbandonando teolo-
gia od ogni nrgomento ab artetoritate ; »
Lan., An. Fior.
124.8) TosTo: circa due anni dopo; efr.
658 [PAR, TERRESTRE] Pura. xxx. 125-196
[TRAVIAMENTI]
Di mia seconda etade, e mutai vita,
Questi si tolse a me, 6 diessi altrui.
127 Quando di carne a spirto era salita,
E bellezza e virtù cresciuta m' éra,
Fo’ io a lui men cara e men gradita;
140 E volse i passi suoi per via non vera,
Imagini di ben seguendo false,
Che nulla promission rendono intera.
133 Né l’impetrare spirazion’ mi valse,
Con le quali ed in sogno ed altrimenti
Lo rivocai; si poco a lui ne calse.
136 Tanto giù cadde, che tutti argomenti
Vita N., 36, 80. Cono. II, 2, 14. - 80GLIA :
in principio della mia gioventù. « La
umana vita si parte per quattro stadi,
La prima si chiama ndolescenza, cioè ac-
crescimento di vita ; la seconda si chiama
gioventà.... Della prima nullo dabita, ma
ciascuno savio s'accorda, ch'ella dura in-
fino al vonticinquosimo anno; » Conv. IV,
24. Beatrice morì il 9 (19%) giugno 1290
in età di venticinque anni e circa quat-
tro mesi.
125. MUTAI VITA: passando dalla ter-
restro alla coloste per la mia morto.
120. ALTRUI: ad altra < donna gentile; »
cfr. Vita N., 36-39. Allegoricamente: si
tolse alla scienza divina per darsi tutto
alla scienza umana. Oppure, come vuole
il Gelli (II, 9), seguito da molti, comin-
ciò « ad aver qualche dubbio de gli ar-
ticoli della religion cristiana. »
127. sativa: di donna mortalo fatta
donna immortale.
128. CRESCIUTA: « quia anima boata
separata a corpore est liberior in volun-
tate, ratione et memoria; » Benv.
129. MEN CARA: nou cessò dunque di
amarla, ina il suo amore intiepidì. Alle-
goricamente: la sua trascuranza della
sacra dottrina fu relativa, non assoluta.
130. VIA NON VKRA: la via delle spe-
culazioni Blosofiche ; cfr. Par. XXIX,
85 o seg.; la « via cho non 6 buona, dio-
tro ni propr) ponsiori; » Zsgia LXV, 2.
181. IMAGINI: cfr. Purg. X V1, 91 e seg.
132. KENDONO: non attengono mai bene
le loro promesse. « Non igitur dubium
est, quin hw ad beatitudinem vim devia
quwedam sint, nec perducere quemquam
eo valeunt, ad quod se perducturas esse
promittunt; » Boet. Phil. Cons. III, pr. 8.
P—_
« Hic igitur vel imaginie veri boni vel
imperfecta quadam bona dare mortali-
bua videntur; verum autem atque per-
fectum bonum conferre non possunt ; »
ibid, IIT, pr, 9, Cfr. Com. Lipa, IT, 063,
133, srmazion': allude senza dubbio
alle visioni raccontate nella Vita Nuova,
40 o 43, lo quali non rimasero senza ef-
fetto, come si comprendo dal racconto
della Vita Nuova, ima nou produssero,
però, come risulta da questi versi, che
un pentimento passeggero il quale agli
occhi di Beatrice non poteva avere il
menomo valore.
134. ALTRIMENTI: in visione.
135. LO RIVOCAI: « lo richiamai dalla
torta strada del vizio alla dritta via
della virtù; » Dan. - 81 POCO: tanto poco
egli si curò di quelle ispirazioni.
136. CADDE: non tanto moralmente,
quanto intellettualmente. Ripetiamo che
nei rimprovori di Beatrice e nelle con-
fessioni di Dante sulla riva sinistra di
Lete non c'entrano nò i peccati che si
purgano nel Purgatorio, né difetti che
Virgilio avesse potuto riconoscere, nel
qual caso egli non lo avrebbe licenziato
colle parolo Purg. XXVII, 140-142. Ar-
rivato in luogo dove Virgilio più oltre
non discerne (Purg. XXVII, 129), e da
dove in là Dante dove attenersi alla sola
Beatrice, è naturale che e i rimproveri
dell'una o lo confessioni dell'altro do-
vono stare in roluziono nou colla mo-
rale, ma colla fede cristiana (cfr. Purg.
XVIII, 46 e seg.), onde gli amori veri o
supposti di Dante, le debolezze rinfaccia-
tegli sal serio od in ischerzo, a ragione
od a torto da Guido Cavalcanti e da Fo-
rese Donati, non hanno qui assoluta-
(PAR. TERRESTRE]
Pura. xxx. 137-145
[TRAVIAMENTI] 659
Alla salute sua eran già corti,
Fuorché mostrargli le perdute genti.
139 Per questo visitai |’ uscio dei morti,
Ed a colui che l’ha quassù condotto
Li preghi miei, piangendo, furon porti,
142 Alto fato di Dio sarebbe rotto,
Se Leté si passasse, e tal vivanda
Fosse gustata senza alcuno scotto
145 Di pentimento che lagrime spanda. »
mente che vedere; ofr. Com. Dips. II,
716-723, -ARQOMENTI: meszi, espedienti.
197. corti: inesuflicienti, inefficaci.
138. LE PERDUTE GENTI: il poccato
nella sun vera natura è nelle sue niti-
me conseguenze, « Quasi dicat: salvo
quam inclinare animum eius ad consi-
derandam miseriam et infelicitatem mi-
serorum ; » Benv,
129. Pek QUESTO: porchà tutti gli al-
tri mezzi erano insufficienti alla sua sn-
lute ed io voleva pur salvarlo. — VIBITAI :
ofr. Inf. 11, 52 6 seg. - L'UBCIO: cfr. Inf.
III, seg. - MORTI: dannati, « Morte
dice privazione; » Conv, IV, 8; idannati
sono privati por sempre del Sommo Bone
che è Iddio.
140, coLut: Virgilio,
141, PIANGENDO: ofr. Inf. IT, 115 6 seg.
142, PATO: ginatizin. « Fatum eat ordi-
natio secundarom cansarum ad effectus
divinitus provisos, Quecumque igitur
cansis secunilis anbdantur, ea sobdun-
tor et fato.... Fatnm refertor ad volun-
tatem et potestatem Dei siont ad pri-
mum prinelpinm ; » Thom. Ag. Sum.
theol,, I, 116, 4. « Ipsa Dei volontas, vel
potestas fati nomine appellatur; » Aug.
Civ. Dei I, 8, 9. « Providentia cet ipsa
illa divina ratio in summo omninm prin-
cipe constilnta quo cuncta disponit :
fatum vero inberens rebus mobilibus
dispositio per quam providentia suis
quasque nectit ordinibus. Providentia
namque cuncta paritor quamvis diversa
quamvia infinita complectitur, fatum
vero singnla digerit in motnm locis for-
mis ao temporibns distributa; et hmo
temporalia ordinis explicatio in divine
mentis ndunnta prosprecta providentia
sit, endem vero adunntis digesta atque
oexplicata temporibos fntom vocotor ; »
Itoet. Cons. phil. IV, pr. 6. — rorto:
violato.
148. VIVANDA: le noque del Lete che
fanno dimenticare il male commesso.
144, SCOTTO: compenso, « Prima di
bere I’ acqua che porta l'obblio delle
colpo, è mestieri pinngorle con profondo
dolore: questo è lo scotto, cioè il prozzo
da pagarsi da chi vuol bore tale aoqua; »
Corn. « Vive la frase: Pagare lo scotto
di alcuna cosa, per soffrirne la pena me-
ritata ed il danno; » Caverni.
660 (PAR. TERRESTRE] Puro, xxx1. 1-10
|CONPESSIONE]
CANTO TRENTESIMOPRIMO
PARADISO TERRESTRE
CONFESSIONI DI DANTE, IMMERSIONE NEL FIUME LETE
LE ANCELLE DI BEATRICE, BEATRICE SVELATA
« O tu, che sei di là dal fiume sacro, »
Volgendo suo parlare a me per punta
Che pur per taglio m’ era parut’acro,
4 Ricominciò, seguendo senza cunta,
« Di’, di’, se questo è vero: a tanta accusn
‘Tua confession conviene esser congiunta. »
7 Era la mia virtù tanto confusa,
Che In voce si mosse e pria si spense,
Cho dagli organi suoi fosso dischinsa.
10 Poco sollorse, poi disso: « Che pense?
V.1-21. La prima confessione, Ben
trice rivolge direttamente la parola a
Dante, invitandolo a confermare la ve-
rità di ciò, di che ella lo ha accusato, di-
scorrono agli Angeli. Dante è sagomon-
tato no segno da nin poter proilorir
parola, è, esortato la seconda volta a
rispondere, mormora un sì nppena in-
telligibile, più visibile al moto della
labbra che non percettibile all’ ndito,
poichè, sotto il grave carco che gli pesa
sul cuore, la voce è iutievolita e la pa-
rola gil muore sulle labbra.
1, FIUME: Loto.
2. PKR PUNTA: dirottamento, volgendo
la parola al l'osla alone, meutro fin qui
aveva parlato di lui nella terza porsona ;
metafora della spada; confronta Purg.
XXX, 57.
3. PER TAGLIO : indirettamente, par-
lando agli Angeli; cfr. Purg, XXX, 103
6 beg. — ACILO: noerbo,
4. CUNTA: indugio, dal lat. cunelari =
indugiare, Il Betti punteggia: Hicomin-
ciò seguendo: « Senza cunta Di’, di’, #0
questo è vero, » ed intende: « Di', di', su-
bito, senza esitanza (« nbiecta omni con-
ctatione, » Cie, De off. I, 21) se questo è
vero. ® Mala fraso: Senza cunta di’, di'
è tutt'altro che dantesca,
5. vl’, bl: «conduplicazione esprimen-
te veomenza di parlare; » Lomb, - yur-
sTO: di che ti accuso; ciò che io dissi di
te; ofr. Purg. XXX, 109-138. - TANTA:
6) gravo 0 Ravera,
7. CONFUSA: per gli uditi rimproveri
che gli riavegliarono la coscienza.
4, 81 MOS8SK: volle dire, ina non pote ar-
ticolar parola; tanto era confuso ed inti-
miilito, — #1 seeNsk: In parola gli mori
sulle labbra,
0. ondant: la gola 6 la bocca, organi
della voce. « Vor fnucibna hwalt; Virg.
Aen, II, 774; III, 48; IV, 280; XII,
808, secc,
10, SOFFERSR: Beatrice non aspettò
che alcuni istanti. - rKNxsR: pensi; cfr.
Inf. V,111, « Quasi dicat: hic non eat
(PAR. TERRESTRE]
Puro. xxxI. 11-25
[CONFESSIONE] 661
Rispondi a me; ché le memorie triste
In te non sono ancor dall’ acqua offense. »
13 Confusione e paura insieme miste
Mi pinsero un tal « sì » fuor della bocca,
Al quale intender fir mestier le viste.
10 Come balestro frange, quando scocca
Da troppa tesa, la sua corda e l'arco,
E con men foga |’ asta il segno tocca:
19 Si scoppia’ io sott’esso grave carco, .
Fuori sgorgando lagrime e sospiri,
E la voce allentò per lo suo varco.
22 Ond’ella a me: « Per entro i miei disiri,
Che ti menavano ad amar lo bene
Di là dal qual non è a che s' aspiri,
25 Quai fosse attraversate o quai catene
opus cogitatione, quia non babes nisi di-
cere sic; » Ben.
11, mMemonte: de’ tuoi travinamenti.
12. ACQUA: di Lete, - OFFRSSK: of-
feno, spente, cancellate; cfr. Inf. V, 109.
« E che te ne sei dimenticato?! Ma tu non
bevesti ancora l' acque dell'oblio, che
‘ricordare tn non debba In passata tun
vita; » Betti.
13. coxrusionnc: « della mente, che
venia da vergogna, e paura cho procedo
dalla pena che merita la colpa del pec-
cato; » Buti.
14. rixsero: esprimo la violenza che
gli convenne fare a sò stesso. - TAL: così
debole, detto con voce tanto fioca, che
a ben intenderlo fo necossario il vedere
e notar gli atti che egli fece nel profe-
rirlo.
16, COME DALRSTRO: « come il baleatro
quando egli è troppo teso, scoccan do rom-
po et spezza l'arco e la corda, onde lo
stralo vola più lento a toccare il déati-
nato segno: così scoppiò egli sotto il so-
verchio carico della confusione; » Dan.
Così pare Bene., Buti, Land., Vell., cco.;
ofr. Com. Lips. II, 688 è seg. «Il bale-
stro seoccando da corda troppo tesa,
rampe in quell'atto e la corda medesima
® l'arco, siechò poi I'nsta gionge mono
impetuosa al segno; » Ietti,
17. TESA: tensione; da tendere.
18. L'ABTA: della freccia.
19. carco : carico di confasione e di
ra.
21. varco: le labbra, che sono || varco
della voce; efr. Virg. Aen. XI,150 6s0g.:
* hieret Incrimanaque gemensque et via
vix tandem voci laxata dolor est, »
V. 22-36. La seconda confeasione.
Con nn sì mormorato, Dante confessò
esser vero tutto ciò di che Bentrice lo
ha rimproverato. Chiesto ora della sor-
gonto do' suoi travinmenti, egli rispondo
lagrimando «di ossersi Insciato sedurre
dal falso piacero dello coso presenti, cioè
terrene a differenza delle celosti, vere,
stabili o ferme.
22, Ptu ENTRO: nel seguire i buoni de-
aldorti da me inapirati.
23. MENAVANO: « vita del mio cuore
easer soleva nn pensiero sonve; questo
pensiero ae ne gin spesso volte a’ più
d' Iddio, cid è a dire, ch'io pensando
contomplava lo regno de' benti; » Conv.
If, 8.- « Dio è nostra beatitudine som-
mais Conv, IV, 22.
24. A CHE: cosn alla quale. Quando
l'nomo ha conseguito il Sommo Bene
che è Dio, nolla più pot desiderare.
«Chi è per me in cielo fnor che te? jo
non voglio altri che te in terra; » Salm.
LXXITI (Vulg. LXXII), 25. « Veram
beatitudinem in sommo Deo sitam esse
necosse est; » Jloet, Cons, phil. 111, pr. 10.
25. rosar: Al. FORSI, - CATRNI: sbarro
all'entrata delle forterzo, dei ponti, dei
porti ed anche delle vie. Quali impedi-
menti e forti ostacoli attraversarono la
via sulla quale ti eri messo, che tu la-
sciasti In speranza di progredire sulla
modlesima ?
( :E8TRE] Pura. xxx1. 26-41
on’ a
[CONFESSIONE]
Trovasti, per che del passare innanzi
Dovessiti così spogliar la spene?
28 E quali agevolezze o quali avanzi
Nella fronto degli altri si mostriro,
Per che dovessi lor passeggiare anzi? »
sì Dopo la tratta d’un sospiro amaro,
A pena ebbi ]a
E le labbra a
si Piangendo di
Col falso l
Tosto che il
87 Ed ella: « Se |
Ciò che cont
La colna tna
40 Ma qua
L'accusa dv.
20, DEL Passank: del continuare come
avevi cominciato.
27. SUKNE: speranza. «Io pordyi la spo-
ranza dell’ altezza; » Jif. I, 54.
28. AVANZI: guadagni, vantaggi. «Quali
stati, quai meriti, quali avanzi avrebbon
fatto Gisippo non curar di perdere i suoi
parenti e quei di Sofronia ; » Bocc. Decam.
Xx, 8.
29. ALTRI: beni, cioè dei beni mondani.
« Qual verità trovasti più in altra scien-
zia che in Teologia, perché lasciasti essa,
e tenestiti alle altre, o quelle volusti stu-
diare o ‘l'oologia abbundonare?» Lan. ©
An. Fior. La lezione DELLE ALTHK 6
troppo sprovvista di autovita; cfr. Moo-
RK, Orit., 483. Alcuni riferiscono altri a
disiri, v. 22, intendendo dei desiderii di
beni temporali. L' nomo corre dietro al-
l'aspetto dei beni mondani, e Daute con-
fessa subito di ossere corso dietro ai bent,
non ai disiri; v. 34 © seg.
80. PASSEGGIAKK ANZI: « vagheggiarli,
o far con ossi l’amore; come si suol dire
degli innamorati, i quali hanno in costu-
me di passeggiare dinanzi la casa delle
amate loro; » Dan. e con lui il più dei
comm. posteriori. Benv. spiega seguire,
sequi cas; ma seguire sembra il contrario
di passeggiare anzi. Al. diversamente:
« Passeggiando farti loro incontra; » Buti.
« Proceder avanti e non ti partire daloro;»
Land., Vell.- O la frase 4 tolta dall'uso
dei servi di precedere i loro padroni, e al-
~ (OBB,
ro.
| cose
iei passi,
180080, »
ssi
pn nota
sàssi,
ia gota
ira corte
lora Vow dire: Che tu dovessi port! al
loro servizio. Oppure la frase è presa dai
costumi degli amanti, ed allora vuol dire:
Cho tu dovessi vaghoggiarli. Cfr. Encicl.
1443-45.
33. LA FORMARO: formarono la rispo-
ata. « Suspirans imoqne trahens a pecto-
re vocem; > Virg. Aen. I, 371.
34. PRESKNTI: le cose di questo mondo,
ricchezze, onori, gloria, diletto, scienza
mondana, ecc.; iv una parola: le « false
imagini di bene; » cfr. Purg. XXX, 131.
35. FALSO: «che nulla promission ren-
dono intera; » Purg. XXX, 132.
36. TOSTO: oltre un anno dopo la morte
di Beatrice; cfr. Vit. N. c. 35 è 36, Purg.
XXX, 124 e seg. - BI NASCOSK: si tolse
per la morte vostra agli occhi miei; cfr.
Com. Lips. II, 691 e seg.
V. 87-63. Nuovi rimproveri di Bea-
trice. Coutinua Beatrice a rimproverare
il Poeta per indurlo a compiere la sua
penitenza. Ella gli mostra la vanità e la
stoltezza de’ suoi traviamenti, scusabili
in giovanetti inesperti, ma non in uomini
di età matura.
39. sAgsi: si sa da Dio, il quale è tal
giudice che non abbisogna della tua con-
fessione e davanti al quale nulla ti gio-
verebbe il negare la tua colpa.
40. sCOrrla : esce con dolore; « esprime
lo sforzo ; » Tom. - vioruia: del pecca
tore. - Gora: bocca.
41. CORTE: celeste.
[PAR. TERRESTRE]
Pura. xxx1. 42-58 [NUOVI RIMPROVERI] 668
Rivolge sé contra il taglio la ruota.
43 Tuttavia, perché me’ vergogna porte
Del tuo errore, e perché altra volta
Udendo le sirene sie più forte,
46 Pon’ giù il seme del piangere, ed ascolta;
Si udirai come in contraria parte
Mover doveati mia carne sepolta.
40 Mai non t’appresentd natura od arte
Piacer, quanto le belle membra in ch'io
Rinchiusa fui, e sono in terra sparte;
52 E se il sommo piacer si ti fallio
Per la mia morte, qual cosa mortale
Dovea poi trarre te nel suo disio?
55 Ben ti dovevi, per lo primo strale
Delle cose fallaci, levar suso
Di retro a me che non era più tale.
58 Non ti dovea gravar le penne in giuso,
42. RIVOLOR: motafora tolta dalla rnota
o cole dell'arrotino, la quale, voltata
contro il taglio della spada, lo rintuzza
invece di afilarlo. La confessione fa che
In ruota si volge indietro contro il taglio
della spada della divina giustizia, e la
ottunde in modo che non taglia più.
43. mr’: meglio, più. Al. Mo=orn,
ndesso, Se Dante era tanto confuso (v, 13
e seg.) egli portava già vergogna è Bea-
trice voleva che ne portasse nn po' di più.
Infatti, nditi i nnovi rimproveri di Bea-
trice, la vergogna del Poeta si aumenta
@ non poco; cfr. v, 85 6 seg. - PORTE:
porti; desinenza regolaro anticn.
45. amene: ofr. Purg. XIX, 10 6 aeg.
Per le Sirene intende qui tutti i falsi
beni che nllettano a perdizione, « Artes
liberales, ot poetica precipuo, qum dulci-
ter cantant et ana delectatione abducunt
bomines a Sacra Scriptara; » Bene, (1).
46 it, SEME: il grave carco della con-
fusione e della paura che non ti permette
di seguiro attentamente il mio discorso,
Cir. Com. Lipe. IT, 008 0 sog.
47, Bl: così, - CONTRARIA: distoglien-
doti sempre di più dal falsi beni.
48. CARNE: corpo morto o sepolto.
40. T'APPRESENTÒ: ti mostrò. Distin-
gus duo bellezze: della natura o dell'arte,
come Conv, I, 8: « Pare |' nomo esser
bello, quando Je ane mombra debitamen-
te si rispondono (natura); e dicemo bello
il canto, qnando le voci di quello, secondo
il debito dell'arte, sono intra sò rispou-
denti. »
50, PIACER: cosa tanto piacente, per-
chè tanto bella.
61. rincmusa: alla morte corporale
pare all'anima di « uscire dall'Albergo è
ritornare alla propria magione ; » Conv.
1V, 28, - SPARTE: sono ora disciolte e ri-
flotte in terra; cfr. Genes. III, 19. Par.
XX V, 124. Al. ER BON TERRA SPARTR= 0,
disciolte, sono terra. Cfr, Com. Lipe. II,
605. Moore, Oril., 433 © seg.
52. TIFALLIO: ti venne n mancare, ti
andò perduto.
64. NEL SUO Malo: a desideraria, a vo-
lerln possedero, « E se nna cosa così som-
mamente bella, com'io era, andò tutta-
vin, nel modo che tu vedeati, a mancare
per la morte; è qual altro mortale og-
getto poteva più prendere i tuoi desi-
deriil» Betti.
65, sTRALR: dopo la prima ferita ri-
covuta dalle cose fallaci e perituro del
mondo.
66. suso: nl cielo od alle cose coloati,
oterno.
57. TALE: fallace è peritura.
58. DOVRA: Al. DOVRAN. = GRAVAR:
farti tendore a terra, per pol csperi-
mentare altri colpi di strale o altri di-
singnanni. In sentenza : Per ln mia morte
tu fosti ferito como da stralo nonto (il
664 [PAR.TERRESTRE) Puro. XXXI. 59-71
[PENTIMENTO]
Ad aspettar più colpi, o pargoletta
O altra vanità con sì breve uso.
61 Nuovo augelletto due o tre aspetta;
Ma dinanzi dagli occhi dei pennuti
Rete si spiega indarno o si saetta, »
G4 Quali 1 fanciulli vergognando muti
Con gli occhi a terra, stannosi ascoltando,
E sé riconoscendo, e ripentuti,
67 Tal mi stav’io; ed ella disse: « Quando
Per udir se’ dolente, alza la barba,
E prenderai più doglia riguardando. »
70 Con men di resistenza si dibarba
Robusto cerro, o vero al nostral vento,
primo strale è naturalmente la morte di
Beatrice), perdendo il sommo piacere,
l'aspetto delle mie belle membra; onde
avresti dovuto comprendere clie le cose
terrenesono fallaci, non correre più dietro
ed] esse per non essere nuovamente ferito,
ma aspirare soltanto ulle cose eterno, in-
corruttibili, celesti.
69. PARGOLKTTA : « ipse Dantes se de-
dit pargolettv, idest poosi, ot aliis mun-
danis scientiia; » Petr. Dant.
60. SÌ BREVE: « come fu l'uso del sun-
mo piacere che tu avesti dime; » Jeti.
« Parum durat omuis gloria humana
etiam que videtur durabilior;» Benv.
61. NUOVO: tenero, piccino. - DUK O
TRE: volte. - asrkrra : le insidie del cac-
ciatore.
63. INVAKNO: perchè gli uccelli pen-
nuti sanno sfuggire la reto e gli strali.
Similitadine biblica: « Frustra jacitur
rete ante oculos pennaturum; » Prov. I,
17. Cfr. Eccl. VII, 27.
V. 64-90. Vergogna e pentimento.
All’ udire quelle parolo acerbe, Dante so
ne sta lì muto, gli occhi abbassati al
suolo, qual fanciullo che si vergogna di
fallo rinfacciatogli. Invitato da Beatrice
a levaro il viso e' la vede tanto bolla,
sebbene tuttor velata, che quella vista
accresce il suo pontimento in modo, da
odiare tutte le altre coso tanto più,
quanto più esse contribuirono ad estra-
niarlo dalla sua Beatrice. Non potendo
più reggere al peso dello colpe, della vor-
gogna o del pentimento, il Poeta cade
tramortito.
O4. I FANCIULLI: « buono è otlimo se-
guo è nelli pargoli e imperfetti d'etade,
quando, dopo il fallo, nel viso loro ver-
gogna ai dipingo; » Conv. IV, 19.
66. RICONOSCKNDO : riconoscendosi col-
pevoli dei falli loro rimproverati e pen-
tendosene. « A questa età è necessario
d’essero ponitento del fallo, sicchè non
s'aasi a fallare; » Conv. IV, 25.
67. QUANDO: poichè, giacchè; lat. quan-
doquiden.
68. LA BARBA: i] viso, v. 74. Dante si è
paragonato al fanciullo vergognoso e pen-
tito. Dicendo alza la barba, per alza il
viso, Beatrice gli fa intendere che egli
non ha più la scusa dell'età imberbe e
che certe leggerezze non sono scusabili
in un uomo di età matura.
69. PRKNDKRAL: il mio aspetto ti re-
cherà maggior doglia che non le mio
parole, vedendo qual bellezza celestiale
fu da te neglotta per amore delle terre-
stri vanità.
70. CON MEN: durai tanta fatica a le-
vare il mento, che meno ne dura una
quercia rubusta a diradicarsi al vento di
tramontana o all’ australe. « Fino ad ora
era sompre stato ud occhi bassi ; ed uden-
do le trafitture di Beatrice, ne avea avuto
buona derrata; ora dee anche sguardar
iu viso il suo giudice: che vorrà essere f
© quanta pena a dover levare il viso
verso di lei!» Ces. - 51 DIBARDA : 8i ebar-
bica, si diradica. La similitudine esprime
la grandezza e profondità della sua ver-
gogna.
71. NOSTRAL: al vento detto Borea
«che vien da tramontana, verso la qual
parte è l'Europa, ove noi siamo; » Vell.
[PAR. TERRESTRE ]
Puro. xxxI. 72-86
[PENTIMENTO] 665
O vero a quel della terra di Jarba,
73 Ch'io non levai al suo comando il mento;
E quando per la barba il viso chiese,
Ben conobbi il velen dell'argomento.
76 E come la mia faccia si distese,
Posarsi quelle prime creature
Da loro aspersion l'occhio comprese:
79 E le mie luci, ancor poco sicure,
Vider Beatrice vélta in su la fiera,
Ch’é sola una persona in duo nature.
82 Sotto suo velo ed oltre la riviera
Vincer pareami più sé stessa antica,
Vincer, che l'altre qui quand’ ella c’ era.
85 Di pentér si mi punse ivi l’ortica,
Che di tutt’altre cose, qual mi torse
72. A QURL: al vento anstrale che spira
dall' Affrien, dotta qui terra di Jarba dal
re di Libia di questo nome, il protettore
èl'amantedi Didone; ofr. Virg. Aen.IV,
106 e seg. Justin. XVIII, 6.
74. cmesg: cho io alzassi la barba,
vy. 08.
75. veLgs: «ben m'avvidi ch'ella nr-
gomentava sottilmente « Intentamente,
come corre lo veleno al cuore: tu non
se' fanciullo che tu ti possi scusare per
non conoscere per poco tempo; imperd
che tn se' barbuto; » Buti. « Chiedere
il mento per la barba era un dirgli:
Con tanto di barba tu se’ un fanciullac-
cio; » Ces.
76. 81 DISTESR: in alto, si rifoce diritta.
77, CREATURE: Angeli; cfr. Inf. VII,
05. Purg. XI, 8, «Quidam dicant quod
ante omnem creationem geniti sunt An-
geli; » Joh. Damase. De orthod. Fid. 11,
3; cfr, Thom. Aq. Sum. theol. T, G1, 8.
78, DA LORO : come alzai il viso vidi che
gli Angeli avevano cessato di spargere
Nori; cir. Purg. XXX, 20 esog., 28 © seg.
~ ABPERSION: dal loro aspergere Beatrice
ili fiori. Altre lezioni: AlKRSION, ormra-
ZION; APPARSION; APPRENSION, eco.
79, LUCI: è gli occhi miei, che per vor-
gogna, timore 6 riverenza non si assicu-
ravano ancora di fissarai in Beatrice.
80, FIERA: sul mistico grifone; confr.
Purg. XXIX, 108; XXXI, 126.
81, DUO NATURE: di leone e di aqnila
= umana 6 divina (di Cristo).
82, sotto: benchè ancor sempre velata
sl alquanto lontana da mo porehòd al di
là del flume, Dentrico mi pareva che an-
porasso in bellezza più sè stessa antica
(quando viveva nel mondo), che non
avesso superato quaggiù tutte le altre.
La Boatrice colesto più bella assai della
terrestre, che non la Beatrico terrostro
più bella delle altre donne.
88. vINCERE: Al. verb, lezione che
rende il costrutto più facile e dà un otti-
mo senso, ma alla quale manca l' appog-
gio di antorità ; cfr. Com. Tips. II, 700 6
Bèg.- ANTICA: anteriore, di prima, vi-
rente nel mondo.
B4, L'ALTRK: donne. - QUI: in terra. -
C' RRA: montre viveva.
85, reNtTkh: pentire, pentimento; cfr.
Purg. XVII, 132. — vi: in quel luogo
(Buti); in quel termine di cose (Cer.);
allora, in quel momento (Torelli, Lomb.,
Port. oce.). - L'ORTICA : i dolori del pen-
timonto., Paragona il pungolo del penti-
mento alla puntura dell'ortion, e dice
che questa puntura fu così forte, che
di tutti gli oggetti diveral da Beatrice
quello gli venne in maggior odio che più
lo avova allettato è distolto dal di lel
amore.
80. TORSE: «la cosa che lo torse nel suo
amore, cioè il bene minore che attrae
Dante a sò, è qui modo ambiguo; ma il
torcersi nell'amore non degno, ha pure
potenza, e dice in ano perversione 6 sfor-
zo ;» Tom
60 RESTRE) Pune. xxx1. 87-100 [LETE]
Più nel suo amor, più mi si fe’ nimica.
88 Tanta riconoscenza il cuor mi morse,
Ch’ io caddi vinto, e quale allora femmi,
Sàlsi colei che la cagion mi porse.
91 Poi, quando il cuor di fuor virtù rendemmi,
La donna ch’ io avea trovata sola,
Sopra me —*** — 3°--- — "ammi, tiemmi. »
4 Tratto m’ave » a gola,
L ti iS iva
esso | ne spola.
97 ana pr iva,
ca” Di udissi,
DI ch'io lo scriva.
100 La bella don prissi,
10 alla gola, Matelda andava aul-
n levo come spola; dunque era #o-
lu ppi te; confr. Com. Lips. 11, 703. -
mancano esempi negli antichi; cfr. Voc.
Or. 8. v.
89. CADDI: cfr. Inf. V, 142; andai fuor
dei sensi. - FEMMI: mi feci, divenni.
90. SÀLS1: cfr. Purg. V, 135. - COLRI:
Beatrice che cui suoi rimproveri mi ri-
dusse a tale atato e che vede ogni cosa in
Dio; «quia ipsa me videbat non ego; »
Benv.
V. 91-102. Immersione nel Lete.
Riacquistati i sensi, Dante si vede in-
nanzi Matelda che lo invita ad appigliarsi
a lei che già lo aveva tuffato nell'acqua
sino alla gola e, camminando leggiera co-
me spolasovral'acqua, selo trae addietro.
Arrivati presso la riva destra del tiume si
ode cantare un verso, Matelda allarga lo
braccia, prende Dante per il capo, lo im-
merge tutto nelle onde, costringendolo
per tal modo ad inghiottiro di quell'acqua
della dimenticanza.
91.1L CUOR: caso retto. - VIRTÙ : quarto
caso. Nel deliquio il cuore avea concen-
trato in sò tutta l'attività, di maniera che
i sensi esteriori ne erano rimasti privi.
« Al tornar dolla mento che si chiuse »
(Inf. VI, 1) dinanzi al pungolo dol ponti-
mento, il cuore restituì di fuori, cioè ai
sensi esterni, essa virtù prima in sè tutta
concentrata.
02. La DONNA: Matelda. - SOLA: cfr.
Purg. XXVIII, 40.
93. sorka MK: Dante era immerso nel
TIRMw.. attienti a me.
94. TRATTO: per togliergli, facendogli
bere di quell’ acqua, la memoria delle
colpe confessate. « L'autore intese che,
poi ch'elli ebbe la debita contrizione del-
l'errore suo, Matolda, che significa l' au-
torità sacerdotale.... l'assolvesse; im-
però che al sacerdote s'appartiene di
predicare e lodare la scienza divina, e
con la sua dottrina menare lo peccatore
per l'acqua della mundazione, e con la
sua autorità sacerdotale assolverlo; »
Buti.
96. COMB SPOLA: « scorrendo sopra
l'acqua con quella leggerezza con cui
la spola delle tessitrici corre da una ban-
da all'altra dell’ordita tela; » Br. B.
« Ferret iter celeris nec tingueret mquo-
re plantas; » Virg. Aen. VII, 811. « Sum-
maque decurrit pedibus super mquora
siccis; » Ovid. Met. XIV, 50.
98. aASPKRAKS: parole del Salm. LI, 8
(Vulg. L, 9): « Purgami con isopo, e sarò
netto; lavami e sarò più bianco che ne-
ve. » - « Questo Asperges ai dice quando
per lo prete si gitta l'acqua benedetta
sopra il confusso peccatore, il qualo ogli
assolve; » Ol. - DOLCEMENTE: clr. Purg.
II, 113 e seg.
99. NOL 80: non che descrivere la
dolcezza di quel canto non so nemmeno
rammentarla, essendo cosa soprannatu-
rale.
(PAR. TERRESTRE] Pura. xxx1. 101-117 [ANCELLE DI B.] 667
Abbracciommi la testa, e mi sommerse
Ove convenne ch'io |’ acqua inghiottissi.
103 Indi mi tolse, e bagnato m’ offerse
Dentro alla danza delle quattro belle,
E ciascuna del braccio mi coperse,
100 « Noi sem qui ninfe, e nel ciel semo stelle;
Pria che Beatrice discendesse al mondo,
Fummo ordinate a lei per sne ancelle.
109 Merrenti agli occhi suoi; ma nel giocondo
Lume ch’ é dentro aguzzeranno i tuoi
Le tre di là, che miran più profondo. »
112 Cosi cantando comincifro; e poi
Al petto del grifon seco menàrmi,
Ove Beatrice vélta stava a noi.
115 Disser: « Fa' che le viste non risparmi;
Posto t'avem dinanzi agli smeraldi,
Onde Amor già ti trasse le sue armi. »
101. nA TRSTA: Dante era nell'acqua
sino alla gola; adesso Matelda ve lo im-
merge sino sopra fl capo, sede della mo-
moria, por fargli inghiottire l' noqna del-
l'oblio. L'immersione signifien il lavacro
esterno, I’ inghiottir l' nequa l'interno,
V, 103-117, Le ancelle di Beatrice.
Trattolo fuori dal finme, Matelda offre
Dante dentro la danza delle quattro
Virtù Cardinali, Purg. XX1X, 1306 seg.,
che lo abbracciano e lo menano innanzi
al petto del Grifone, ove sta Bentrice.
« Poi obe la dottrina et nntorità sacer-
flotale hae mundificato e lavato l' nomo
da l'atto e dal fomite del peocato sì, che
l'ha rendnto innocente, così Invato lo
mette dentro da In danza delle quattro
Virtù Cardinali, accid ch'egli veggn lo
tripndio e l'allegrezza loro, e come elle
serveno n la santa Teologia; » Buti.
103, wt TOLSE: mi trasse dall'acqua.
106, DEL BRACCIO : « con la sua possanza
e col sno alnto; porciocchd il braccio della
giustizia difende dall' ingiastizia, la pru-
denza dalla stoltizia, la fortezza dalla ti-
midità, la temperanza dalla libidine; »
Tand,
100, sRM ; Al, ATAM.... BIAMO, — STRLLR :
efr. Purg. I, 23, 37 0 sog.; VIIT, 91. Le
Virtà Cardinali splendono in cielo quali
luci che illuminano il mondo, e sono nel
medesimo tempo in terra quali fide con-
sigliatrici degli uomini.
107. niscenDESsSE: Beatrice pareva n
Dante « cosn venuta Di Cielo in terra n
miracol mostrare, Vita N., 26; donque:
Prima che Beatrice nnscosse. Allegorica-
mente: Lo Virth Cardinali prepararono
già nol gentilesimo Ia via al Cristianest-
mo, furono dunque ordinate per ancelle
all'autorità ecclesiastica già prima della
fondazione della Chiesa.
109. MERRRENTI : ti meneremo, Al, MEN-
REMTI,
110. nexTRO: agli occhi di Beatrice, -
I tuor: occhi,
111, LE TRR: le Virtà Teologali (cfr.
Purg, XXIX, 121 © seg.) « per le quali si
sale a filosofare a quella celeste Atone,
dove gli Stolei e Peripatetici ed Epicn-
rel, per l'Arte della Verità oterna, in on
volere concordevolmente concorrono »
Conv. III, 14. Cfr. Cone, III, 15.
114. VOLTA: stando sul Carro, Beatrice
erasi volta a goardare il Grifone che lo
tirava, v. 80 © seg., onde Dante, vilto
al petto del Grifone, avova Beatrice ri-
volta n sè.
116. ra': non risparmiare gli sguardi.
114. amrratni: vechi di Poatrice, detti
smeraldi por il loro splendore, Cfr, Murg.
VIT, 75. « Nullins coloris adapectua jnenn-
dior est; » Plin. Hist. nat, XXXVII, 6.
117. oxbK: da’ quali occhi Amore un
tempo vibrò gli strali onde rimanesti fe-
rito, Un sonetto di Dante incomincia :
liti k. RESTRE) Puro. xxx1. 118-182 [ocCHI DI BEATRICE]
118 Mille disiri più che fiamma caldi
Strinsermi gli occhi agli occhi rilucenti,
Che pur sopra il grifone stavan saldi.
121 Como in lo specchio il sol, non altrimenti
La doppia fiera dentro vi raggiava,
Or con uni, or con altri reggimenti.
124 Pensa, lettor, -*‘-—*—--<—liava
Quando ved. star queta,
E nell’ idole iva.
127 Mentre che, p o lieta,
L'anima mi al cibo,
Che, sazianu. seta;
130 Sé dimostrani ‘ibo
Negli atti, | } avanti,
Danzando ai | aribo.
« Negliocchi porta la mia do
un altro
Dagli occhi della mia donna si muove
Un lume sì gentil, che dove appare,
Si vedon cose ch' uom non può ritrare
Per loro altezza e per loro esser nuove.
E da‘ suoi raggi sopra il mio cuor piove
Tanta paura che mi fa tremare.
V. 118-126. Uli occhi di Beatrice,
specchi del Grifone. Dante guarda
Beatrice i cui occhi rilacenti sono aucor
sempre immobilmente fissi al Grifone e
vede che questi dentro vi si specchia o
dentro vi raggia ora cogli atti propri del
jeone, ciod della natura umana, ed ora
con quolli dell'aquila, cioò dolla natura
divina, di che ogli furtemente si mara-
viglia.
119. SFRINSKRAII: m' indussero a fissare
i miei occhi nogli occhi splendenti di Bea-
trice.
120. rur: continuamente. <I miel oc-
chi son del continuo verso il Signore; »
Salin. XXV, 15.
121. COMK: l’immagine par tolta da
Ovid. Met. IV, 348 © seg.: « Non aliter,
quam cum puro nitidissimus orbe Oppo-
sita speculi referitar imagine Phoebus. »
Cfr. Conv. LIT, 15.
123. REGGIMENTI : atti, gesti; ofr. Conv.
III, 7; IV, 25. Il celeste Grifone, Cristo,
l’Uomo-Dio, si specchia in terra nell'au-
torità ecclesiastica, che lo rappresenta
visibilmente, ora secondo la divina ed ora
secondo l’ umana sua natura.
125. LA COSA: il Grifone. Cosa è qui
| senso filosofico di rea = il reale,
dell'idolo, che è il soggetto. -
sei ._KTa: star forma ed immobile
nella reale sua figara.
126. NkLL'IDOLO: e nell'imagine sua,
riflessa dagli occhi di Beatrice, variava
le sue forme. Cfr. Thom. Aq. Sum. theol.
III, 16, 4, 5.
V.127-145. Beatrice svelata. Pregata
dalle tre Virtà Tevlogali di mostrare al
suo fedele la di lei seconda bellezza, Bea-
trice si svela agli occhi di Dante, il quale
si confessa incapace di descriverne le ce-
lestiali bellezzo.
127. STUPORE: vedendo Ja trasmata-
giono dol Grifono nogli occhi di Boatrico.
- LIETA: di sentirsi sgravata da ogni
colpa e di trovarsi dinanzi a Beatrice.
128. ciuo: « dol mirar Beatrice ed il
Grifone; » Dan.
129. ASSETA: « Qui edunt me adhuo
esurient; et qui bibunt mo adhuc si-
tient; » Kccles. XXIV, 29; confr. Greg.
Afagn. Homil., 16. Conv. 1V, 13.
130. riso: dal lat. tribus = ordine,
grado; qui forse per Gerarchia.
131. L'ALTRE: le tre donne dalia destra
del mistico Carro (Purg. XXIX, 121),
cioè le tre Virtù Toologali.
132. DANZANDO: Al. CANTANDO : - CA-
RIBO : (da charivarium? cfr. Diez, Wort.
113, 251 e seg.) probabilmente Canzone a
ballo, come sembra risaltare dal v. 134 e
Purg. XXIX, 128, 129. Coal Parenti,
Biag., Oost., Ed. Pad., Borg., Br. B.,
Frat., Qreg.,Andr.,Corn., Filal., Bl., ecc.
(PAR. TERRESTRE].
Pura. xxxr. 183-145 [BEATR. SVELATA] 669
133 « Volgi, Beatrice, volgi gli occhi santi, »
Era la sua canzone, « al tuo fedele
Che, per vederti, ba mossi passi tanti.
136 Per grazia fa’ noi grazia che disvele
A lui la bocca tua, sì che discorna
La seconda bellezza che tu cele. »
139 O isplendor di viva luce eterna,
Chi pallido si fece sotto l'ombra
Sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna,
142 Che non paresse aver la mente ingombra,
Tentando a render te qual tu paresti
Là dove armonizzando il ciel t'adombra,
146 Quando nell'aere aperto ti solvesti?
Coal sembra fiver inteso anche Benv,
Salle diverse altre interpretazioni confr.
Com. Lips. 1T,710-712, Nol senso di Can-
zone a ballo sembra usasao la voce caribo
già prima di Dante, Giacomo Puglioso ;
cfr. D'Ancona e Comparetti, Antiche rime
volg. I, 388; V, 851. La voce doveva ce-
sere conosciutissima nel Trecento non es-
sendosi vernn commentatore sino n Benv.
enrato di darne nna spiegazione qualnn-
que. Secondo il Betti la voce caribo o car-
ribo vale carro, e In costrnzione anrebbe :
« L'altre tre cantando, si foro innanzi al
loro angelico carribo, » Cfr, Eneiel., 320.
134. suA: Al. LA LOR. - FEDRLE: così
chinmano Dante ad onta dei rimproveri
fattigli da Beatrice; cfr. Inf. IT, 61. « Fe-
dele d'amore 6 di desiderio se non d'ope-
ra; » Tom.
135. TANTI: per l'inferno è an per i
gironi del Purgatorio,
136. FA’ NOT: Al.: FANNER,
187, LA BOCCA: il dolce riso, L'anima
« dimostrasi nella bocca, quasi siccome
colore dopo vetro.... Ahi mirabile viso
della mia Donna, di cui fo parlo, che
mai non sì sentia se non dall'occhio; »
Conv. IIT, 8,
138. SRCONDA MeLI.RZZA : la bocca; In
prima bellezza di Beatrice sono gli no-
chi anol, ai quali Dante fn menato dalle
quattro Virtù Cardinali, v. 100; omfr.
Cont, III, 8. Le altro interpretazioni
sono inattomilibili; ofr. Com. Lips. IT,
712 è sog.
189, 0 rriennon: Beatrice si toglie
il velo. Dante nè desorive l'atto nè la se-
conda bellezza della ann Donna, ma pro-
rompe invece in un'esclamazione che è
più anblime ed efficace di qualsiasi de-
serizione. « Candor est enim lucis mter-
ne, et spocnium sine macula Dei maie-
statia, ot imago bonitatia Ming; » Sap.
VII, 26. Cfr. Vita N., 2, 26, 80, ecc,
140, PALLIDO: chi mal si affaticò tanto
nello studio della poesia?
141. 0prvvE: il farei pallido all'ombra
di Parnaso si riferisce agli stadi, il bevere
alla sna fonte si riferisce al dono natarale
dell'immaginazione. Il senso è dunqne :
Chi si affatios mai tanto negli stadi, o
chi fa mai dotato di tanta eloquenza e
forza d'immaginazione, che non sembras-
as avero la mente offuscata tentando di
deacriverti quale ti mostrasti svelata!
144, T'ADOMBRA : ti simboleggia, ti rap-
presenta; «là dove il clelo, armonizzando
con la terra dell'innocenza, appena con
la soa bellezza rende imagine di sue bel-
lezzo divino!» Antonelli, Altri diversa-
mente. « Là dove le sfere, risuonando
colle loro usate armonie, ti fncevano oo-
perchio, ti circondavano; » così Buti,
Land., Vell., Dan., Vot., Vent., Biag.,
Cost., Ces,, Br. B., Greg., Cam., Filal.,
Bt, Witte, eco. - « LA dove gli angeli,
cantando, ti coprono di fiori; » così Ser-
rav., Torel., Lomb., Port., Pogg., Tom.,
Frat., Bennas., Corn., eco. = « LA dove
il cielo, col volgere armonioso delle ane
ruote, offigia o rappresenta tutto il corpo
della scienza, della quale to sel il sim-
bolo; » così Dion., Fd. Anc., Fd. Pad.,
Borg., Triss., eco.
145. TT BOLVESTI: quando ti svelasti è
mostrasti le toe bellezze nell'aere aperto.
671 ni
iRstRE) Puro, xxxir, 1-12
[TROPPO PISO]
CANTO TRENTESIMOSECONDO
PARADISO TERRESTRE
VICENDE ! nre ITMBOLICO, L'AQUILA
LA VOLPE E MOBTRUOSA DEL CARRO
LA GANTE
Tanto ar: i ed attenti
; te,
do itti spenti;
4 Fd e881 quince. 8 ya & parete
Di non caler, così lo santo riso
A sé traéli con l’antica rete;
7 Quando per forza mi fu vélto il viso
Vér la sinistra mia da quelle Dee,
Perch’ io udia da lor un: « Troppo fiso. »
10 E la disposizion, ch’a veder èe
Negli occhi pur testé dal sol percossi,
Senza la vista alquanto esser mi fée;
V. 1-12. Troppo fiso. Tutto quanto
assorto nellu contomplazione dello cole-
stiali bellezze di Beatrice, Dante non pon
mente a cosa alcuna cho attorno a lui
avvenga. Onde le tro Virtù Teologali con
un Troppo fiso! lo invitano a considerare
eziandio quolle altre cose, poicliò anche
la coutemplazione della bellozza oterna
non deve indurro l' uomo a mettere in
non cale le cose inferiori. Volgendosi, il
Poeta si trova alquanto tempo abbagliato
come se avesse guardato nel solo.
2. DECENNE: dal 1290 al 1300. - 8ErE :
di veder Beatrice.
8. SPENT! : sopiti; cfr. Purg. IV, 1 eseg.
4. KSSI: © gli occhl miei trovavano
d'una parte e d'altra ostacolo al loro
divagamento nella noncuranza di tutte
le altre cose circostanti.
5. NONCALKK: noncuranza, distrazione,
sbadataggino. - niso: la seconda bellezza
di Bostrice tostò svolatasi; cfr. Purg.
XXXI, 138.
6. TRAGLI: li traova. - RETE: d'amore.
8. Dkk: lo tredonneraftigurantile Virtù
Teologali, lo quali erano alla destra del
Carro, Purg. XXIX, 121, quindi alla si-
nistra di Dante volto verso la parte ante-
riore del Carro, Purg. XXXI, 113 e seg.
9. TROPPO FISO: tu guardi Beatrice
troppo fisamente.
10. Bu: è; ofr. Inf. XXIV, 90. E quel-
l’abbagliamento che 6 negli occhi di
fresco percossi dai raggi solari mi feco
essere alquanto senza la vista, cioè ab-
bagliato. Beatrico è paragonata al solo;
cfr. Par. III, 1, XXX, 75.
V. 18-33. Il ritorno della proces-
sione. Riacquistate lo forze visivo, Dante
vede il Carro e tutta lu processione vélta
(PAR, TERRESTRE]
Puro, XXXII. 13-30
[PROCESSIONE] 671
18 Ma poi che al poco il viso riformossi
(Io dico al poco, per rispetto al molto
Sensibile, onde a forza mi rimossi),
16 Vidi in sul braccio destro esser rivolto
Lo glorioso esercito, e tornarsi
Col sole e con le sette fiamme al volto,
19 Come sotto gli scudi per salvarsi
Volgesi schiera, e sé gira col segno
Prima che possa tutta in sé mutarsi;
22 Quella milizia del celeste regno,
Che precedeva, tutta trapassonne
Pria che piegasse il carro il primo legno.
25 Indi alle ruote si tornàr le donne,
E il grifon mosse il benedetto carco;
Si che però nulla penna crollonne,
28 La bella donna che mi trasse al varco
E Stazio ed io seguitavam la ruota,
Che fe’ l'orbita sua con minor arco.
n destra e ritornare indietro verso orien-
te. Matelda, Dante « Stazio seguono alla
ruota destra del Carro,
13. AL POCO : tanto grande lo splendore
di Beatrice cho al paragone quello della
altre celestiall cose era poco, - RIFOR-
Mmossr: si abitad di nuovo.
14. AL MOLTO: allo « splendor di viva
Ipce eterna; » Purg. XX XT, 139. Tl molto
sensibile valo qui la soverchia luce.
15, A FORZA : v. 7. — MI RIMOSSI: por le
parole delle tre Virtà Teologali.
17. EAERCITO : la processione descritta
Purg. XXIX, 64-150 era vonata verso po-
nente incontro a Dante che camminava
verso levante; adosso il Carro sì volge,
6 la processione ritorna indietro verso
oriente da dove era prima venuta.
18, FIAMME: dei sette candelabri che
precedevano la processione, Purgatorio
XXIX, 40.54,
19. SOTTO: riparata sotto gli sondi per
salvarsi dalle nemiche offeso.
20. vOLGESI: gira sè stessa colla ban-
diera Innanzi.
21, MuTARSI: cangiar direzione di mar-
cia. « Una schiera lunga deve fare più
rivolte innanzi che tutta sin mutata di
direzione. Primainfatti simuovela fronte
col regno, clod colla bandiera ; poi a grado
a grado il corpo, e da ultimo la retroguar-
dia. Così qui: prima i candelabri che pre-
cedono, poi la schiera de' santi, e ultimo
il Carro ; » IL, Vent., Simil., 354,
22, MILIZIA: i ventiquattro seniori,
Purg. X.X1X, 83, che precedono al Car-
ro, como la legge ed i profeti precedet-
tero alla Chiesa.
23. PRECKDRVA: Al.: PROCEDEVA.
24. IL PRIMO LEGNO: il timone, Prima
che il timone piegnase a destra il Carro.
25. LR DONNE: le tro dalla destra e lo
quattro dalla sinistra rnota del Carro
(Purg. XX1X, 121-132) ripresero Il posto
di prima, abbandonato dalle quattro per
menare il Poeta agli occhi di Beatrice
(Purg. XXXI, 109) © dalle tre per farsi
avanti danzando a progare Beatrice di
svelarsi (Purg. XXXI, 130 6 seg.).
26, canco; il Carro.
27. rerò: benchè egli tirasse il Carro,
non per questo si mosse pur una delle sue
penne d'aquila. « Quia nihil de divinitate
mutatum est, quamvia motaretar forma
ecclesim; » Benv. Cristo non gnida la sun
Chiesa con mezzi esterni, ma colla sua
parola o col suo spirito, nè, reggondola,
egli si affatica o turba.
28.DONNA: Matelda, che mi fece varcare
il fume Lote; ofr, Purg. XXCXT, 01 © aog.
29. RUOTA : destra, che nel volgersi del
Carro avon descritto nn arco minore.
era
~* vis © U witra Ironda in ciagcy;
40 La coma sua, che tanto si dilata
Più quanto più è su, fora dagl’ Ind
Nei boschi lor per altezza ammirai
81. sl: nell'ordine descritto. - VOTA:
di abitatori.
nanzi alla civile,
atolico: « Omnia a
32. COLPA: per colpa di Eva che ore- blimioribus subdit
lette alle falso promessa del serpente; a7. MOLMORARE;
ofr. Genes. 1IT, 5, Purg, XXIX, 230 disabbidi por supe:
Per colpa dol mal governo non v'ha nel torità.
chi operi virtà è la boa- 38, MANTA: ofr,
titudine di questa vita: cfr, Com. Lips. Damiele IV, 10 è 8
IT, 728 è sog. - conse: credette; forma questa pianta figo:
dell’ nao snai efr. Nann., Verbi, 5446 Stare in quanto l'in
; za); altri erode; a
» TEMPRAVA; un canto angelico re- altri ta Morale; altr
Rolava i passi di tutta la processione. — tro. Qui non è il fy
UN'ANGELICA: Al rw ANGELICA. — NOTA: quest] punti tanto ,
canto, parole che ai cantano; cfr. Inf. 39, FIORI; foglie |
XVI, 127; XIX, 118, mento dell'albero;
forno om tre tr dat te: mento dell ped,
nati. un tre tiri di saetta uogo Stato, Vnol du
onde la processione era partita, Beatrice della fondazione del
noendo dal Carro, Sono giunti all'albero pero era ovnnque |}
della canoaconza del bone e dol male; tutti cfr. Hom, I, 18-32,
gridano lina o Adamo, tutti accer- 40. COMA: Al. cur
chiano l'albero; pol lodano il Grifone che quest'albero, alinila
non nde di quel ed ro del sesto girone, 4
ft timono del Carro all'albero. il fale figura l'intangibilità
aequiuta nuovo vigore. L' albero è il dl, DAGL'INDI: ch
simbolo tell’ impero, come il Carro è il hanno alberi sì alti e)
simbolo della Chiesa. Cfr. Com. Lips, II,
(PAR. TERRESTRE]
Puro. xxxn. 43-58 [ALBERO MISTICO] 678
43 « Beato sei, grifon, che non discindi
Col becco d’ esto legno dolce al gusto,
Poscia che mal si torce il ventre quindi. »
46 Cosi d’intorno all'arbore robusto
Gridaron gli altri; e |’ animal binato:
« Si si conserva il seme d’ ogni giusto. »
49 E vélto al temo ch'egli avea tirato,
Trasselo al piè della vedova frasca
E quel di lei a lei lasciò legato.
52 Come le nostre piante, quando casca
Giù la gran luce mischiata con quella
Che raggia retro alla celeste lasca,
55 Turgide fansi, e poi si rinnovella
Di suo color ciascuna, pria che il sole
Giunga li suoi corsier’ sott’ altra stella;
58 Men che di rose e più che di viole
43, piscixpt: laceri, strappi ; è lo « soin-
dere Imperinm » del De Mon, IIT, 10.
Cristo non solo inculed l'ubbidienza al-
l'impero (cfr. S. Matt. X X11, 21), ma gli
fn egli stesso soggetto cd ubbidiente ;
cfr, De Mon, II, 12, 13.
45. MAL at TORCR: è Îl Int. male tor-
queri; si dibatte in atroci dolori. Alenni
MAL SI TORSK. « Agli avidi di potere è
di ricchezze piaceva prendore nn po' per
sè di codesto imperio, dalla quale usur-
pazione incontrarono grave male ;» Corn,
46. ARBORR ROBUSTO: l'impero roma-
no; ofr. Daniele IV, 17: « arbor robusta. »
47. ott ALTRI: la milizia del celeste re-
gno, v. 22. - MNATO: partecipante di doe
natore, di leone ed aquila (umana è di-
vina); cfr. Purg. XXXI, BI,
48. sl: parafrasi della parola di Cristo
al Battista, S. Matt. 111,15 Così operan-
do si mantiene il fondamento di ogni gin-
stizia. Cfr. De Mon. I, 18.
49. AL TRMO: nl timone del Carro, fign-
ra o simbolo della Sede papale.
50, venova: dispogliata di foglio e di
Nori, v. 88 e sez. Confr. Purg. VI, 113;
XX, 59.
61. r Quit: è Insciò legato all'albero
quel timone formato dal legno di esso
albero, Cristo lega lan Sede apostolica,
«l'origine romana, al romano impero.
Cfr. Com. Lips, 11, 738 è sog.
52. NOSTRR: di qneato nostro mondo. -
QUANDO CASCA: nella primavera,
43. —_— Div, Comm., 38 ediz,
53. LUCK: del sole, mescolata con
quella del segno dell’ Ariete,
Si, LASCA : la costellazione dei Pesci,
che precede quella dell’ Ariete.
65. TURGIDE FANSI: rigonfiano Je loro
gemmo. Della verga d'Aronne: « Tor-
gentibosgemmisernperant florea;» Nim.
XVII, 8. « Tam Imto torgent in palmite
gemme; » Virg. Felog. VII, 48. « Fro-
menta in viridi stipnin lactontia tor-
gent; » Georg. J, 315,
57, GIUNGA: conginnga, attacchi i anol
cavalli=intraprenda il sno quotidiano
viaggio sott'altra stella, ciod sotto il se-
gno del Toro. « Neo tam aversna equos
Tyria Sol inngit ab nrbe;» Virg. Aen.
I, 568. « Inngoro equos Titan velocibua
impernt Horis; » Ovid. Met. II, 118.
58. MEN CIE DI rose: colore misto,
« Aureus ipse, sed in foliis, qam plorima
cireom Fonduntor, viole subluost pur-
pura nigrm; » Virg. Georg. IV, 274 è seg.
Tare che intenda del color porpureo,
che è quello delle qnattro Virtà Cardi-
nali, Purg. XXIX, 131. Onde l'allego-
ria sarebbe, che coll'innostarsi la Chiesa
nell'impero, questo verdeggiò e flori per
le virtà cardinali. I più intendono del
colore del sangue, con allusione al san-
gue sparso di Cristo (Muti, Land., Vell.,
Vent., Lomb., Port., Pog.. Biag., Cost.,
Cea., Tom., Frat., Andr., Bennas., Franc.,
ecc.), oppure al sangue dei martiri ( Witte,
Corn., oce.). Ofr. Com. Lips. 11, 740,
Gli occhi a cui più vegghiar costi
67 Come pittor che con esemplo pinga
Disegnerei com’ io m’addormenta
Ma qual vuol sia che l’assonnar b
70 Però trascorro a quando mi svegliai
E dica ch’ un spleudor mi squarci
Del sonno, ed un chiamar: « Surg
78 Quale a veder dei fioretti del melo,
Che del suo pomo gli angeli fa gl
60. LE RAMORA: i rami; forma di neu-
tro plurale dell'uso autico, oggi dismes-
aa; confr. Nannuo., Nomi, 860 e seg. -
BOLE; spogliate di fronde, vedove, v. 50.
61. QUI: in terra. - NON 81 CANTA: 68-
sendo sovrumano come il cantico del-
l'Agnello, Apocal. XV, 3, e le parole
udite da 8. Paolo nel terzo cielo, ZI Cor.
XII, 4.
62. CANTÀRO: cantarono; «accorda gente
con cantdro per esser gente nome collet-
tivo; » Torelli.
68. NOTA: canto, come v. 33. - sor
FKusi: vinto dalla dolcezza del canto mi
addormentai.
V.64-84. Sonno e risveglio. Non reg-
gendo sveglio sino alla fine del celeste
canto, il Poeta si addormenta, - sonno il
quale figura la pace e la felicità perfetta
che regna nel mondo là dove le due au-
torita, imperiale ed apostolica, sono d'ac-
cordo e corrispondono ambedue all’ ideale
vagheggiato da Daulo. Risvegliatoni a
one. remora hf_-_---_- -
fone. Come Gesù
li tocca © dice 4
7), così Dante o
discepoli aveglia
tutto solo (8. Mi
IX, 8. 8. Luca
avegliatosi vede
64. rRITRAR: de
ai chiusero al se
68. OCCHI: d'A
05. Ovid. Met. I,
vigilante custod:
Giove, cai Argo |
all’ amata lo, Mi
averlo addormen
amori di Siringa,
66. PIÙ VRGGHI.
la natura. - CARO
67. KBKMPLO: I
69. MA QUAL: 8
tarsi chi vuole ed
dal canto mio, se
passo a parlare ¢
[PAR. TERRESTRE]
PURO, XXXII. 75-91
[BEATRICE] 675
E perpetue nozze fa nel cielo,
76 Pietro e Giovanni e Iacopo condotti,
E vinti ritornàro alla parola,
Dalla qual furon maggior’ sonni rotti,
70 E videro scemata loro scuola,
Così di Moisè come d’ Elia,
Ed al maestro suo cangiata stola;
82 Tal tornai io, e vidi quella pia
Sovra me starsi, che conducitrice
Fu de’ miei passi lungo il fiume pria.
BS E tutto in dubbio dissi: « Ov’ è Beatrice? »
Ond’ ella: « Vedi lei sotto la fronda
Nuova sedersi in su la sua radice.
os Vedi la compagnia che la circonda;
Gli altri dopo il grifon sen vanno suso,
Con più dolce canzone e più profonda. »
DI E se più fu lo suo parlar diffuso
della quale ln trasfigurazione non fu
che un saggio. - Gutortt: bramosi di
vedere; « gli Angeli desiderano riguar-
dare addentro; » I Petr. I, 12.
76. sozze: cfr. S. Matt. X.XII, 2. Apo-
cal, XIX, 0. :
77. vinti: dallo splondore di Cristo
trasfigurato e dalle parole udite, come
Dante dal canto; cfr. S. Matt. XVII, 6.
- PAROLA: di Cristo che « si nocostò ad
essi, e toccogli, e disse loro: Alzatevi,
6 non temoto; » S. Matt. XVII, 7.
78. sonni: di morte, nello persone ri-
suacitate da Cristo colla parola sua; cfr.
8. Inca VII, 14. S. Giov. XT, 11, 41.
T9. scUOLA: compagnia, detta senola
a motivo del divin maestro ; cfr. S. Matt.
XVII, 8,
BI. svo: loro. - BTOLA: veste; non più
trasfignrato.
£2. TAL; così io mi riaveglini allo pa-
role: Surgi, che fai? - QUELLA: Matelda.
83, SOVRA MK: levata in piedi prosso
di mo.
Bi, in riumr: Loto; efr. Purg. XXIX,
7 © Beg.
V. 85-00. Beatrice seduta in terra,
Dov'è Beatrice? chiede Dante non ap-
pena desto. E Matelda: Eccola che sledo
sulla radice dell'albero, circondata dalle
sotte ninfe, mentro gli altri ae ne ritor-
nano col Grifone al cielo, Beatrico siede
sotto la fronda od in su la radice dell'nl-
bero, figura dell'impero, la cul radice è
Roma, dove risiede l' antorità ecclesia-
stica all'ombra 6 sotto la protezione del-
l'impero. Intorno ad altre interpreta-
rioni dell allegoria di questi versi confr.
Com, Lips, II, 743 è ang.
FS. IN Dunno: temendo di essere nuo-
vamento abbandonato da Beatrice,
86, OND'KLLA: Al, ED ELLA,
87. NUOVA: nuovamente prodotta, -
SUA: la radice dell'albero è pure la ra-
dice della fronda.
88. COMPAGNIA: delle sotto ninfo, cio’
dello sotto Virti, cho tongono in mano
clascona nno doi setto candelabri, v. 08
0 Bog.
89. ALTRI: i seniori, i sette formanti la
retroguardia e gli Angeli. - Doro : « Chri-
atus .... primitim dormentium ; » I Cor,
XV, 23, « Unusquisque antem in suo or-
dine: primitim Christas, deinde hi qui
sunt Christi in adventa eins; » ibid. v. 29,
- RURO : al cielo, donde erano vennti.
00. rit nove: cho non fn l'inno cho
tu odisti o la eni dolcerta ti vinse. Dolce
si riferisco al suono, profenda ni con-
cetti del canto. Nel risalire del Grifone
al cielo sembra che il Poota abbia vo-
luto figurare l'ascensione di Cristo.
DL. ax rit: se disse altro non so, per-
chè io era già di bel nuovo tutto quanto
100 « Qui sarai tu poco tempo silvano,
- —— com:
E sarai meco, senza fine, cive
Di quella Roma, onde Cristo è rom
103 Però, in pro del mondo che mal vive,
assorto nella contemplazione di Beatri-
ce, al che non ponevo mente ad altro.
98. comuso : distolto ed impedito d'at-
tendere ad altro, v, 1 è Reg.
94. VERA: nuda; non aveva altro seg-
gio che la nuda terra (così Henv., Dan.,
Vent., Torei., Ed.Pad., Betti, Frat.,Triss..
Carm., eoc.). I primitivi vescovi di Roma,
rappresentanti e depositarj dell'autorità
gio di cardinali, corti fash a siti
ardinali, o
(sola), ma erano circondati da tutte le
virtà e dallo Spirito Santo co' suoi duni;
erauo poveri, né avevano altro aog-
gio cho la nuda terra, Secondi altri vera
valo qui verace, 0 Dante chiama così la
terra dél Paradiso terrestre; cfr. Com,
Lipa. 11, 744 © weg.
96. DEL FLAVETRO ; del carro della Chie-
mu * Adtondite vobis et universo Î ,
quo vos Spiritus Sanctos posuit epi-
s©opos regere ecclesiam Lei, quam adqui-
wivil sanguine suo; + Atti XX, 28.
DO. LROAR: all'albero, v. 5l.- BIFORME:
avente due forme, di leone è d'aquila.
DT, CLausrno; cirenito, corona.
08. LUMI: | setto candelabri, i quali
pare che durante la nianasinea i — —
diso terrestre. Ag,
d'ora del numero
ad essere dopo la
cittadino del cielo,
straro j viventi, r
mondo. Pertanto |
vere, quando sarà
ciò che avrà vedut
lità degli nomini cl
l'ordine voluto di
vita morale è socini
Udito ciò, Dante i
mente al Carre, 4
100, QUI : dove.
terrestre. Al: nel
col di
chiaramente dal gu
IF, 746 © seg. = ay
quosta selva; ele. ,
XXXII, 81, 168,
101, cive: cittadi
(PAR. TERRESTRE]
Pure. xxx. 104-118
[L'AQUILA] 677
Al carro tieni or gli occhi, e quel che vedi,
Ritornato di là, fa’ che tu scrive. »
106 Cosi Beatrice; ed io, che tutto ai piedi
De’ suoi comandamenti era devoto,
La monte e gli occhi, ov’ olla volle, diedi.
109 Non scese mai con sì veloce moto
Fuoco di spessa nube, quando piove
Da quel confine che più va remoto,
112 Com’io vidi calar l’uccel di Giove
Per l’arbor giù, rompendo della scorza,
Non che dei fiori e delle foglie nuove;
115 E feri il carro di tutta sua forza,
Ond’ei piegò come nave in fortuna,
Vinta dall’ onde, or da poggia or da orza.
118 Poscia vidi avventarsi nella cuna
105. scRIVE: scriva; efr, Purg. XV, 82.
Apoeal, T, 11, 10; XXI, 5.
106. cnE TUTTO: che era pienamente
disposto ad ubbidire a' suol comanda-
menti.
108, migbI: rivolsi i pensieri e gli
sguardi al carro; cfr. Purg. III, 14.
V. 100-117. L'aquila nemica del
Carro, Più veloce del fnimine scende
l'aquila git dall' albero, rompendo della
scorza non che de' fiori è delle nuove
foglie, e ferisce il Carro di tutta forza,
onde esso si piega barcollando. La vi-
sione dell'aquila è tolta da Ezechiele
XVII, 3 è seg., dove l'aquila Ogura il re
di Babilonia, persecntore della Chiesa
dell’ antico Patto. Qui l'aquila figura
el'imperatori romani, persecatori della
Chiesa di Cristo, da Nerone a Diocle-
riano, e il ferire il Carro simbologgin le
così dette dieci persecuzioni; cfr, Aug.
Civ. Dei XVIII, 52. Sulpic, Sev, Hist.
saer, II, 83. Com. Lipa. IT, 748-750.
110, Fuoco: fulmine; efr. Purg. IX,
28 © neg.- SPESSA: condensata, « Fertur
ut excossia elisns nubibus ignis;> Ovid.
Met. VIII, 380. « Ocyor et patrio venit
igne, suisque sagittis; » Stat. Theb. VI,
386.
111. nemMoTo: « quando piove dalle piit
remote regioni pluviali, e però vengono
ivi n formarsi novole, queste si trovano
nel massimo avvicinamento allasupposta
sfera del fuoco, la quale credevasi potesse
influire sn quelle, nel far loro concepire
e concentrare maggior copia di calore; il
perché il divampare di questo in Ince o
fuoco, è quindi il precipitare del fulmine,
fosse in tal caso 6 più fragoroso © più
violento, in ragione appunto di quel più
grande concentramento per cui doveva
prodursi quella che oggi diremmo straor-
dinaria tensione; > Antonelli, Cfr. Par.
XXIII, 40 © seg.
112. L'UcceL: l'aquila, detta « Jovia
nlea;» Virg, Aen, I, 304, Cfr. Par. VI, 4,
113. nomrenpo: l'aquila fa più danno
all'albero che non al Carro. Le perse-
cozioni soscitate dagl' imperatori dan-
neggiarono più l'impero romano stesso
che non In giovane Chiesa cristiana che
essi persegultavano.
116. IN FORTUNA: in tempesta.
117. vinta: spinta. « Tam validam
Ilionei navem, iam fortis Achati, Et qua
rectns Abas et qua grandevus Aletes,
Vicit biema;» Virg., Aen. I, 120 © seg.
- OR DA POGGIA: ora su questo, ora sul-
l'altro fianco. Foggia chiamasi quella
corda che lega l'antenna dal lato destro
della nave, orza quella che la legna dal
lato sinistro; cfr. Frezzi, Quadr. IV, 3.
V. 118-123, La rolpe. Una volpe af-
famata s'nvventa alla enna del carro,
mn Beatrice In volge in fuga. In questa
volpe 4 figurnta l'eresia che fece guerra
alla Chiesa primitiva, come l' Ebionittamo
6 principalmente il Gnosticismo, com-
battuto vittorinsamente dai Padri della
Chiesa, Cir. Com. Lips. II, 750 © seg,
118. NELLA CUXA: contro la cuna, o8-
aia contro il fondo del carro,
TTT vuva vue DI rammarca,
Tal voce usci del cielo, e cotal diss
« O navicella mia, com’ mal se’ carc
130 Poi parve a me che la terra 8’ aprisse
Tr'ambo le ruote, e vidi uscirne un
Che per lo carro su la coda fisse:
133 . —E, come vespa che ritragge l'ago,
A sé traendo la coda mal igna
Trasse del fondo e gissen vago vage
120. rasTO nVON: sana ilottrina; cfr,
T Cor, UI, 2. &brei Vi, 14,
121, COLPK: | Padri della Chiesa ebbero
n rinfacciare i gnostici di morale indiffe-
renga, lussuria, stregonerie ed altre colpe;
ofr. Iren. ado, Howrea, I, 13-21, 26, Buseb.
Hint, ecel. IV, 7. Epipha ved
p. bile seg.
122, FUTA : fuga; forma dell'uso antico
non ancora spenta,
123. sOFrinsoN: quanto a quella ina-
griashma bestia permetteva la sua estre-
ma debolezza
_V. 124-129. ZL regalo dell''anuita,
L'aquila scende la seconda volta dall'al-
venonum in |
Dante traduce libera
la(=Chiesa) mia, con
v. 130-141, It dra
del carro si apre la
drago che ficon la o
Copre tutto lestament
tegli dall' agalla, La
tolta dall'A} |
drago è detto essere
pente, che diavolo a
il quale sednos
XII, Di XX, 2), Anci
tosca il drago è Sata)
ruba la Chiesa dello |
di povertà ed accendi
iligia di beni terreni, (
Tih è weg.
(PAR. TERRESTRE]
Pura, xxx. 186-147 [cARRO-mMosTRO] 679
136 Quel che rimase, come di gramigna
Vivace terra, della piuma offerta
Forse con intenzion sana e benigna,
130 Si ricoperse, e funne ricoperta
E l’una e l’altra ruota e il temo, in tanto
Che più tiene un sospir la bocca aperta.
142 Trasformato così il dificio santo
Mise fuor teste per le parti sue,
Tre sopra il temo, ed una in ciascun canto,
146 Le prime eran cornute come bue;
Ma le quattro un sol corno avean per fronte:
Simile mostro visto ancor non fue.
deroso di fargliene ben altri; appunto
come la lupa, Inf. I, 98, 90. « Andos-
sene d'una falsa openione in un'altra
vagando, et dalla legge della ,
peggiore
virth diacose a quella delle voluttà et
vani piaceri terreni > Dan. « Et rocossit
vagus, idest avidos ad male faciendum ; »
Serra,
136, nimase: del carro, dopo che il
drago ebbe rapita una parte del fondo.
« Pars vero que remanait, fuit venenata,
qaia pastores Ecclesie et viri occlesia-
stici, qui remanserunt, veaticrunt se
illas pennas, quas dimisit aquila, idest
pompas dominandi, et divitias, et dede-
runt se vitils mondanis, unde facti sunt
pravi et mali; » Serrav,
137. vivack: feconda, fertilo; confr.
L. Vent., Simil., 199, - riuma: beni ter-
Tonl.- OFFERTA : non accettata ; gl' impe-
ratori sono forse da scusare, i papi no.
138. BANA: buona, intendendo di far
bone. Al. CASTA,
141. cnr Più: in meno tempo che ata
nperta la bocca quand'nomo sospira.
«L'immagine del sospiro bene sta in
luogo, ove narra il Poeta cosa simboleg-
giante i guai della Chiesa; » L. Vent.
V. 142-147. Le sotto teste e le dieci
corna, Così trasformato, il carro caccia
tre teste dal timone ed una in clascun
canto; le tre hanno due corna è le quat-
tro nno. Sono quindi sette teste è dieci
corna; ofr. Inf. XIX, 100 è seg. Il carro
si trasforma dnnque sino a prendere In
fignra della beatin dell’ Apocalisse(X VII,
1-18), « Le membra che vide organarsi
in lo ditto animale hanno a significare li
sette vizil capitali, li quali visii entronno
nella Chiesa sì tosto com' ella possedeo
ricchezze tempornli, li quali sono: Su-
perbia, Ira, Avarizia, Invidia, Lussuria,
Accidia e Gola, E perchè li primi tre
peccati offendono doppio, cioè n Dio e al
prossimo, sì li fignra per quelle tre teste
del timone che avevano ciascuna due
corna, E perchè li altri quattro sono pure
diretti contra lo prossimo, si pone a cin-
seuno pure ono corno ;» Lan. Così, con
lievi modificazioni, Ott., An. Fior., Post.
Cass., Falso Boce., Henv., Vell., ecc. So-
pra altre interpretazioni cfr. Com, Lips.
lI, 759-763,
142, If piricro: il carro; confr. Inf.
EXZIY, 1.
145, LE rrimr: lo tre teste del ti-
mona.
146, LR QUATTRO : le tosto doi canti
del carro.
147. VISTO ANCOR NON FUE: Al. IN VI-
BTA MAT KON FUR.
V. 148-160, La meretrion ed di gi-
gante, Sopra Il carro trasformato in mo-
stro appare una meretrice con le ciglia
intorno pronte, figura della Chiesa ro-
mana qual era ai tempi di Dante, spe-
cialmente sotto | pontetici Bonifazio VIII
6 Clemente V. A fianco della meretrice
appare on gigante che la bacia, simbolo
dei re di Francia « particolarmente di.
Filippo il Bello. Ma avendo la meretrice
volto uno sguardo a Dante, il gigante
ln fingellò tutta, disciolse il carro mo-
strnoso © trasselo con lei per la selva.
Nello sguardo della meretrice sono adom-
brate le pratiche di Bonifazio VILI con
Carlo re di Napoli, Federigo re di Sicilia
© principalmente con Alberto d'Austria;
nella flagellazione si adombrano le in-
giurie fatte da Filippo il Bello a Boni-
A me rivolse, quel feroce drudo
La flagellò dal capo infin le pian!
157 Poi, di sospetto pieno e d’ira crudc
Disciolse il mostro, e trassel per
Tanto, che sol di lei mi fece scud
160 Alla puttana ed alla nuova belva.
fazio VIII, specie la famosa scena di
Anagni, cfr. Purg. XX, 86 e seg. Il tra-
acinare il carro per la selva figura il tra-
sferimento della Sede papale in Avignone
nell'elezione di Clemente V (1304). Per
tutto ciò cfr. Com. Lips. II, 763-768. La
fonte alla quale Dante attinsc questa sua
fantasia è di nuovo l'Apocalisse XVII,
1-18; XVIII, 2 © seg.
148. sicuna: seguo di graude sfaccia-
taggine. - MONTE: « Non potest civitas
abscondi supra montem posita;» S. Matt.
V, 14. « Fabricasti lapapar tuum in ca-
pite omnis viw, et excelsaum tuum fo-
cisti in omni platea; » Ezech. XVI, 31.
149. SCIOLTA; sfrenata, licenziosa.
150. PRONTE: volgendo lascivamente gli
occhi in qua e in là. « Fornicatio mulie-
ris inextolientia oculoruin ct in palpebris
illias agnoscetur; » Eccles. XXVI, 12.
181. COME: e quasi facendo guandia
che nessuno gliela togliesse.
152. DI Costa: a lato, accanto a lei.
- DRITTO: stando in piedi, in atto di di-
fendere la sua druda se alcuno volesse
rapirgliela.
153. INsIKNMK: < nota la mutua volou-
tade la quale denota colpa da ciascuna
e Filippo il Bel
corilo.
154. VAGANTE
‘ clus nolebat a:
Philtippi;» Bens.
ecel. ad a. 1308,
155. A Mk: <0g
guardato verso .
banno voluto ri
tale avolterio, li
della Casa di Fi
e iufine mortoli
lere; » Lan.
157. DI SOSPE'
fosse tolta, o ch
RA: perchè la «
chio desideroso |
168. DISCIOLSK
Grifone avea la
v. 51. - IL MOSTI
in mostro, v. 18
159. TANTO: si 4
essa mi toleo day
ed il carro che ei
più visto. - SCUU
inter me et imei
sylva;» Bens.
160. Nuova: at
=
[PAR. TERRESTRE]
Puro. xxx. 1-10 [CANTO E SOsPIRO] 681
CANTO TRENTESIMOTERZO
PARADISO TERRESTRE
VATICINIO DI BEATRICE, IL CINQUECENTO DIECI E CINQUE
ULTIMA PURIFICAZIONE DI DANTF, IL FIUME EUNOÈ
« Deus, venerunt gentes » alternando
Or tre or quattro, dolce salmodia
Le donne incominciàro, e lagrimando;
A E Beatrice sospirosa e pia
Quelle ascoltava si fatta, che poco
Più alla croce si cambiò Maria.
7 Ma poi che l’altre vergini diér loco
A lei di dir, levata dritta in piè,
Rispose, colorata come fuoco:
10 Modicum, et non videbitis me,
V. 1-12. Canto e sospiro, Allo atra-
zio del carro, che rappresenta la Chiesa
nelle sne vicende, le sette ninfe figuranti
le aette Virtù cantano alternamente dol-
ce 6 lagrimosa melodia; Beatrice le ascol-
ta sospirosa, il volto atteggiato a pietà;
quindi, divampante di zelo, risponde an-
nunziando vicino il soccorso.
1. Deve: « O Dio, le nazioni sono en-
trate nella toa eredità, hanno contami-
nato il Tempio della tua Santità ; » Salmo
LXXIX, 1. Dante applica questo Salmo,
nel quale si piange la distrazione di Go-
rusalemme e del suo Tempio per opera
dei Caldei, ni guasti della Chiesa de-
seritti alla fine del canto antecedente.
2. on THe: «le tre donne diceano l'uno
verso del Salmo, e le quattro dicenno il
seguente; e così procedevano per lo Sal-
mo; » Ott. = DOLCE BALMODIA : « cantum
psalmi dulcem, licet esset de materia
amara; » BHenv,
4, BOBPIROSA E PIA: gemonte per pietà
della Chiesa straziata.
6.81 CAMMÒ: mutò di colore, vedendo
Cristo, il divin suo figlio, in croce, « Quo-
modo..,, mutatos est color optimns; »
Lament. Jer, IV, 1.
7. L'ALTRE: le tre elo quattro ninfe,
-pbitn Loco: avendo finito di cantare il
Salmo.
9. COLORATA : di fnoco di santo zelo
ci amore, come pure di santa ira per i
guasti della Chiesa della quale ella è
guardiana; cfr. Purg, XXXII, 95, « Chi
plurimus ignem Sabiecit rnbor et cale-
facta per ora cuourrit; » Virg. Aen. XII,
65 © seg.
10. MobICUM: parole di Cristo a' suol
discepoli: « Fra pooo vol non mi vedre-
te; edi nnovro fra poco vol mi vedrete; »
S. Giov. XVI, 16. Come 1 discepoli di
Cristo furono privati della vista del loro
Maestro, così Dante e gli altri della vi-
sta del mistico Carro; come Cristo pro-
mise ai discepoli che lo rivedrebbero tra
poco, così Beatrice nnnunzia con queste
parole che tra poco il Carro sarebbe ri-
22
25
~ yew pauduio aspetto: « Vien’ pi
Mi disse, « tanto che a’ 10 parlo te
Ad ascoltarmi tu sie ben disposto.
Si com’io fui, com’ io doveva, Seco,
Dissemi: « Frate, perché non ti al
A domandarmi omai venendo mec
Come a color, che troppo reverenti,
Dinanzi a’ suoi maggior’ parlando ;
Che non traggon la voce viva ai di
Avvenne a me, che senza intero suon
Tncominciai: « Madonna, mia bi
Voi conoscete, e cid ch’ad essa è }
condotto nella sun sodo stabilità ila Dio 18. QUANDO: allo
(Taf, IT, 22 6 woy.), è ripristinato nell’ an- viso, porcosso (cfr,
coni
fica, primitiva sua forma, (uost) vorsi gli occhi misi coll
gono quindi la aperanza della re- « Modo effi,
atitezione del
Ila Sede papale da Aviguone forza d'uno sguardi
© Koma, © della riforma morale della 19. TRANQUILLO:
Chiesa,
Vv. 13-38
1 i
« Com. Lips. IL, 770 6 Sg. ghoso, come tonya
+ Collaquio tra Dante © traviamenti, Purg,
Si allontanano dall' alboro, più sospirosa è
pia
movendoal nel melesimo ordine della deplorava i mall de
processione: le sette ninfe coi candelabri . accelora il passo, |
procedono, pol viene Beatrice, da ultimo © ben disposto ad a
telda o St |
Dante, Ma
selo più vicino per bene intendere quanto 28. NON TI ATTRN
olla gli dirà.
non le faccia
© Stazio. Fatti Appeva 22. DOVEVA: por.
te ce invita Dante a far financo a Beatrice, |
Quindi gli chiede perchè gli non ardisci intarna
hlarma da a
(PAR. TERRESTRE]
Pura. xxxi, 31-42 [cnresA E IMPERO] 683
31 Ed ella a me: « Da tema e da vergogna
Voglio che tu omai ti disviluppe,
Sì che non parli più com’ uom che sogna.
a4 Sappi che il vaso, che il serpente ruppe,
Fu e non è, ma chi n’ ha colpa creda
Che vendetta di Dio non teme suppe.
a7 Non sara tutto tempo senza reda
L’aquila che lasciò le penne al carro,
Per che divenne mostro e poscia preda;
40 Ch’io veggio certamente, e però il narro,
A darne tempo già stelle propinque,
Sicure d’ogni intoppo e d’ ogni sbarro,
22. DISVILUPPE: disviluppi, liberi, « Te-
ma 6 vergogna (come nel Canto XXXI,
13: Confusione e paura insieme miste)
fanno nn viloppo tra sè, o avviluppano
il sentimento o fl pensiero, e quindi In
parola «di Dante; » Tom.
di, com'vomM: con parolo troneho o
confuso, como fa chi parla dormendo,
«Qualia non totas peragunt insomnia
yoces; » Stat, Theb. V, 543, Confr. Pe-
trarea I, Son, XXXIV, 7 © sog, Tasso,
Gerwa, XTIT, 00,
V. 4-61. Marrontre della Chiesa è
dell'Impero, Beatrice predice che Iddio
farà vendetta dello strazio della Chiesa
e che l'aquila avrà a sua volta on erede,
poichè nn Messo venturo di Dio weel-
flerà ln meretrice insieme con quel gi-
gante che con lel pecca. Ella ha la co-
scienza di parlare osenro, ma i fatti che
avverranno tra breve scioglioranno pic-
namento l'onimma.
a4. 1 vaso: fl mistico Carro. - sER-
PRNTR : i drago, cfr. Purg. XXXII, 130,
© seg.- « Quel gran dragone, quell'an-
tico serpente, che diavolo appellasi è
Satana; » Apocal, XII, 0- nurre: fic-
cando la sua coda per lo carro sn e con
essa traendone parte del fondo.
25, FUR NON fi: parole dell'Apocalisse
XVII, 8: « La bestia che hai veduta fu
© non è, » Secondo la mente di Dante la
sodin papale in Avignone non era la cat-
tedra di S. Pietro, ma wna brutta cari-
catora di essa; i papi Bonifazio VIII e
Clemente V non erano snocessori legit-
timi di 8. Pietro, ma usurpatori; confr.
Par, XXVII, 22 è seg. - cui: il gigante
che trascinò via il carro trasformato jn
mostro, - CREDA: resti peraunso,
———
a6. surrk: « qui fl Poeta intromette
nn'nsanza, ch'era anticamente nelle parti
di Grecla che se uno nocidea un altro, ed
egli poteva andare novo di continui a
mangiare nna suppa anso la sepoltura
del definto nel comune, i parenti del
morto non faccano più nossa vendotta.
Vl usasi a Firenve di guirdaro por nove
i) la sepoltura d'uno che fosse ucciso, no-
ciò non vi sia suso mangiatosappa;» Lan.
A questo uso soperstizioao riferiscono il
presente verro tatti gli nntiohi od i più
Jol moderni, Altri por In mappa Inten-
dono il Sacrificio della Messa (Dan.,
Arour, Dennas., ccc.). Altri Interpre-
tano in modo diverso; cfr. Com. Lips.
II, 774-770.
27. REDA : orede; cir. Inf. XXXT, 116.
Purg. VII, 118. Al. erkDA, L'impero
non sarà sempre vacante. Dante lo con-
siderava come tale; cfr. Conv, IV, 3.
D8. L'AQUILA: Al, L'AGUOLIA.—LK LEX
KE: cfr. erg. XXXII, 124 © sog.
39. FER CHE: per avere accettata la
piuma offerta(= beni temporali) il Carro
della Chiesa sì trasformò mostroosa-
mento o poi divenne preda del gigante;
cfr. Purg. XXXII, 142 6 sog.
40. cn' 10 VEGGIO: perciocchè jo vedo
in Dio con certezza, © perciò me ne fac-
cioannunziatrice, sorgere tra breve stelle
sicure da ogni contrasto è da ogni osta-
colo, che col benefico loro inflnsso ci ap-
porteranno un tempo migliore nel quale
un Mosso di Din neciderà In meretrice
ed il gigante.
4l. STELLE: una costellazione già vi-
cina,
42, SICURB: Al. SICURO, - BBARRO : osta-
colo; cfr. Diez, Wirt. 1°, 66 © seg.
Tmo wuuv ul pecore 0 di biadi
43. CINQUKCENTO : Dante imita anche
qui il linguaggio dell'Apocalisse (X III,
18), dove col numero 666 è designato il
nome Neron Cesar. Il numero DXV da
a DVX, duce, capitano, Il Poeta
terminato, POE
eS50 ULA speranza Vaga, generale, in-
rminata. I più identificano il DXV
col Veltro (ofr, Inf. T, 100-111). Sulle ili-
verse interpretazioni dell" ofr,
Com. Lips, TI, 801-817, Alla letteratura
colà at sono da aggiungere: Rug-
pero delta » Poeta- Veltro, 2 vol. Ci-
vidale, 1887-90, 0. Poletto, Aleuni studi
su D, Al, Siena, 1892, p. 85-119. Dal Feit,
pol i più si avvisano che il DX sla
Cangrande della Scala, della
Torre dettò un Krosso volume per ilimo-
atraro che Dante intende di sè stesso!
ro Dante Kristi
ristie Vietor, o Fltor (ultor),
© Finder, ed intendere dolla seconda vo-
Dondi Crlsto; come pure a chi |
Xriati Y » intendendo di
un papa; cfr, Eneiel,, 878 0 ang.
4. i Dio: AL fa Tin _ war.
47. Tau: lat
sonaggio mitok
Urano e della T
rità de' suoi or:
347-415. Hom, ©
1181 è seg. - spl
mitologia greca,
glia di Tifone è
#iod. theog., 226)
di natora feroce,
Fino presso Teb
che non sa rs
ma, il quale fa.
Sphingos iniqaw
T
: î
Seva Naiaulea, Bei
torproti della cosa
dei molti er
50, ENIGMA: del
cile el oscuro; efr
[PAR. TERRESTRE]
Pore. XXXIIT. 52-66 [PIANTA SACRA] 685
52 Tu nota; e, sì come da me son porte,
Così queste parole segna ai vivi
Del viver ch’ è un correre alla morte;
55 Ed aggi a mente, quando tu le scrivi,
Di non celar qual hai vista la pianta,
Ch’ è or due volte dirubata quivi.
58 Qualunque ruba quella o quella schianta,
Con bestemmia di fatto offende a Dio,
Che solo all'uso suo la creò santa.
61 Per morder quella, in pena ed in disio
Cinquemil’anni e più l’anima prima
Bramò Colui che il morso in sé punio,
Gi Dorme lo ingegno tuo, se non istima
Per singular cagione essere eccelsa
Lei tanto, e sì travolta nella cima.
due volte derubata. Cfr. Poletto, Studi,
Siena, 1802, p. 201-210,
52. rortE: cfr. Inf, II, 195,
63. sEGNA: Al, INSEGNA.
54. pat viver: della prima vita, che
è un passaggio alla morte; cfr. Cone,
IV, 28.
65. acer: nbbi off, Nannwe,, Verbi,
486. Diez, Roman. Gram. 11%, 511.
56. QUAL: «la di lei altezza, Il modo
di spandere i rami, il dispogliamento In
cui si trovava di fiori e di frondi prima
che ad essa fosse legato il trionfale car-
ro;» Lomb. Cir. Purg. XXXII, 38.
57, PUR voLtE: la prima da Adamo, la
seconda dal gigante. Così Lan., Ott., An.
Fior., Post. Caas., Petr. Dant., Andr.,
Wilts, eco. La prima volta da Adamo, la
secondadall'aquila; Bene, La prima volta
flall'aquila,la seconda dal gigante; uti,
Land., Vell., Dan., Vent., Lomb., ecc,
La prima volta dall'aquila, la seconda dal
flrago: Torelli, Ed. Pad., Borg., Triss.,occ.
La prima interpretazione è la vera; ofr.
Com. Lips. If, 723 6 sog.
V.58-78. L'inviolabilità sacrosanta
dell Albero dell'Impero, Beatrice con-
tines fl suo ragionamento. Chiunqne de-
riba o achianta l'Albero fignrante l'Im-
poro offende eni fatti l'onore di Dio che
lo santificà alla Soa gloria, l'or aver gu-
stato di quell'albero l'anima di Adamo
stette oltre cinquemila anni nel Limbo,
aspettando colui che, morendo sulla cro-
ca, orpiò il morso che Adamo dette al
fratto vietato. Per particolare ragione
l'albero è tanto alto e travolto nella
cima, dilatandosi cioè quanto più s'in-
nulza. Solamente per tali e sì gravi cir-
costanze sl può conoscere la giustizia di
Dio e gli alti suoi fini nell'interdetto
fatto in riguardo dell'albero, appostan-
done il senso morale,
GR, nina: ruba In planta chi lo toglio
il Carro, come foce il gigante ; chinnque
al usurpa cose e diritti che appartengono
all'impero, come fa la gente che do-
vrebbe esser divota o Insciar seder Ce-
sare nella sella, Purg, VI, 01 è sog.
Schianta l'albero chi attonta nll'antorità
imperiale.
59. pi FATTO: bestemmia più grave
nssai che una bestemmia di parole.
60. ALL'USO SUO: per rappresentarlo
in terra; cfr. Rom, XIII, 4, 6.
61. FER MORDRR: per aver mangiato
del frntto della pianta. - rena: di pri-
vazione, - nislo: di salvazione ; confr.
Inf. IV, 42.
62, CINQUEMIL' ANNI: 5282, ciod 020
sulla terra e 4302 nel Limbo; efr. Par.
XXVI, 118 © sog. Dante si attione alla
cronologia di Eusebio, secondo il quale
Cristo nacque l'anno 6200 dopo la crea-
zione dol mondo, Cfr. Com, Lipe, II, 785.
-— L'ANIMA: di Adamo.
61. cour: Cristo, morlo por capiaro
il peccato di Adamo. i
64. DORME: non è in azione. — ISTIMA:
argomenta.
65, RCCELSA: alta; cfr, Purg. XXXII,
40 © seg.
SÌ che t’abbaglia il
76 Voglio anche, e se nor
Che il te ne porti di
Che si reca il bordo
67. SE STATI: e se i vani pensieri non
avessero indurato la tua mente. - ACQUA
D'ELSA: che, essendo satura di acido
carbonico e di sotto-carbonato di calce,
ha la proprietà d'incrostare i corpi che
vi s'immergono. L' Elsa è un fiumicollo
della Toscana che esce dal fianco ocoi-
dentale della montagna di Siena, bagna
parte del territorio Sanese e parte del
Fiorentino, costeggia la strada volter-
rana © si scarica nell'Arno a pochi chi-
lometri da Empoli o da Ponte d' Elsa.
« Nisi mens tua labilis osset saxificata
eo modo quo aqua Elew; » Benv.
68. INTORNO : pone i pensieri vani non
nella mente, ma intorno ad essa, avendo
forse rispetto agli oggetti sai quali la
mente a’ aftissa.
69. 11. FIACER: © se il diletto che pren-
desti de’ vani pensieri nun avesse maoc-
chiato il candore della tua mente come
Piramo col suo sangue macchiò il can-
dore dei frutti del gelso, che di bianchi
divennero rossi; cfr. Ovid. Metam. IV,
65-1646. Purg. XX VII, 376 80g. - GELSA:
il fratto del gelso, la mora.
70. PER TANTK: per tatto ciò che ti è
mostrato in tante figure ed allegorie,
avresti potuto conoscere moralmente la
colirabiata Bt net. .
(PAR. TERRESTRE]
Puro. xXx. 79-95 [ULTIMO RIMPROV.] 687
79 Ed io: « Si come cera da suggello,
Che la figura impressa non trasmuta,
Segnato è or da voi lo mio cervello,
82 Ma perché tanto sopra mia veduta
Vostra parola disiata vola,
Che più la perde quanto più s’aiuta? »
85 « Perché.conoschi, » disse, « quella scuola
Ch'ài seguitata, e veggi sua dottrina
Come può seguitar la mia parola;
83 E veggi vostra via dalla divina
Distar cotanto, quanto si discorda
Da terra il ciel che più alto festina. »
91 Ond’ io risposi-lei: « Non mi ricorda
Ch’ io straniassi me giammai da voi
Né honne coscienza che rimorda. »
D « E se tu ricordar non te ne puoi, »
Sorridendo rispose, « or ti rammenta
in poi le mie parole saranno chiare quan-
to sarà necessario per esser comprese
dalla ottnsa e corta vedota del tuo in-
telletto, »
79, COME CRRA: ofr. Purg. X, 45, Conv.
I, 8; IT, 10, De Mon. II, 2. Come la cera
serba inalterata la figura impressavi dal
anggello, così la mia mente serba lo vo-
stro parole,
82. vaDUTA: intelligenza.
83. DISIATA: desiderata da mo; confr.
Vita N., 3. Inf. V, 133.
84, Peeper: che riesce tanto più osonra
ed inintelligibile al mio intelletto quanto
più esso si ndopera ed affatica nd Inten-
derla.
85, scuoLA: della scienza umana alla
quale Dante, in quel periodo della sua
vita che incominciò dopo la morte di Bea-
trico e dnrò sino al sno risveglio nolln
eclva oscura, fu dato quasi esclusiva-
. mente, trascurando la sacra dottrina
rappresentata da Beatrice.
86, MAI BEGUITATA: quando ti toglie-
sti a mo è volgesti | pnasi tuoi per via
non vera; confr. Purg. XXX, 124-132. -
DOTTRINA : gli insegnamenti della scienza
omana,
#8. come: quanto essa è incapnce ed
inatta a sollevarsi alla contemplazione
dei misteri della dottrina sacra è rive-
lata. « Non cognovit mundus per sapien-
tiam Denm;» I Cor. I, 21; confr. ibid.
II, 14.
88. VORSTRA: timana 6 mondana, — VIA:
«in gonorale dice vostra via, non dice
vostra dottrina assolutamente, cioò ha
riguardo alla pratica, che non è quella
volota da Dio; » Conv,
80. 81 prsconna: è distante. « Non enim
cogitationes mem, cogitationes vestre ;
neque vim vestrie, vim mew, dicit Do-
minna. Quin sicot exaltantor cali a ter-
ra, sic eraltatmo snot vie mem a vils ve-
atris, et cogitationes mem a cogitationi-
bua vestrin; » Isaia LV, 8, 0, « Sidora
terra Ut distant, et fiamma mari, sio
ntile rocto; » Lucan, Phars. VIII, 487.
90. FESTINA: si affretta, « Il clelo che
più velocemente ruota è il Primo Mo-
bile, secondo il sistema di Tolomeo. Per
impulso di questo tutti i clell Inferiori
movendosi insieme uniformemente, è
chiaro che |) più alto o più remoto dal
centro comune sarà il più veloce; » An-
tonelli.
Ol. OWD' 10: per nvermi ella rimpro-
vernto d'aver segnitato una scuola di-
versa dalla sua, e d'esser camminato per
una via diversa dalla divina. - LEI: a lei.
02. stTRANIA8SI: mi allontanassi mai
da voi per seguitare un'altra sonola.
93. RIMORDA : che mi rimproveri d'aver-
vi lasciata.
avavra 42 5U10 Il CE
Che qua e là, come
106 Quando s’ affisser, sì c
Chi va dinanzi a ge
Se trova novitate ir
109 Le sette donne al fin
Qual sotto foglie ve
96. ANCOI: ancor oggi, quest'oggi; ofr.
Purg. XIII, 62; XX, 70.
97. B 8E: « qui esemplifica a simile
Beatrice che, sì come quando si vede
fummo egli è notorio che quivi è fuoco,
così quando l’uomo per la detta acqua
è in oblivione, egli è notorio che prima
vi fa vizio; » An. Fior.
98. CONCHIUDE: prova che l'aver tu
rivolta la tua voglia altrove che a me
fu atto colpevole, percha delle sole colpe
toglie Lete la memoria.
100. ORAMAI: da ora in poi. - xuDR:
chiare quapto è necessario per esser
comprese da te.
102. scovuiRK: uprire, manifestaro. -
RUDK: rozza, incapace di comprendere.
V. 103-145. La dolce bevanda del-
l’acqua dell’Eunoè. È imminente il
mezzogiorno. Beatrice, Dante, Matelda,
Stazio e le sette ninfe arrivano sl fiume
Eunoè. Gnidato da Matelda, Dante vi
ai accosta, no beve e ne sente dolcezza
che non può descrivere, e si sente rifatto
e dispoato a salire dal terrestre al Para-
diso celeste.
102. canunitanoa, Ramwannit._a_ . 2
td
[PAR. TERRESTRE]
Puro, xxx. 111-126
[EUNOÈ] | 689
Sopra suoi freddi rivi l’Alpe porta.
112 Dinanzi ad esse Eufrates e Tigri
Veder mi parve uscir d’una fontana,
E quasi amici dipartirsi pigri.
116 « O lace, o gloria della gente umana,
Che acqua è questa che qui si dispiega
Da un principio, e sé da sé lontana? »
118 Per cotal prego detto mi fn: « Prega
Matelda che il ti dica; » e qui rispose,
Come fa chi da colpa si dislega,
121 La bella donna: « Questo, ed altre cose
Dette gli son per me; e son sicura
Che l’acqua di Leté non gliel nascose. »
124 E Beatrice: « Forse maggior cura,
Che spesse volte la memoria priva,
Fatto ha la mente sua negli occhi oscura,
Od, IV, 4, 58, « Obsenrum cingens con-
nexis mra ramis, Et golidas alto summo-
tis solibns ombras; » Ltiean. Phars, III,
400 © seg.
112. RurraTks & Trant: i dno fiami del
Tarndiao torrostro, cfr. Genes, 11, 10 ©
sog. Voramonto In Gonoal parla di quat-
tro finmi derivanti dalla medesima sor-
gente. Dante segni forse quegl' inter-
preti che fanno derivare il Pison od il
Ghihon dell' Enfrate e dal Tigri; oppure
egli mirò qui ad on passo di Boezio, Cons.
phi. V, met. 1: « Tigris ed Eophrates
nno se fonte resolvant Et mox abiunctis
diasociantur aqnis. » Cfr. Com. Lips.
II, 796.
114. QUASI AMICI: que’ dne fumi acor-
revano lenti, come sogliono andare amici
dolenti della separazione. Cfr. I, Vent.,
Simil., 182.
115. Luce; ofr, Inf. IJ, 76 è sog. « Lu-
corna pedibus mela vorbom tunm, ot In-
men semitia mela; » Salm. CX VIII, 105.
«Ego sum lux mundi; » 4. Giov. VIII,
12. « Ego lux in mondo veni, nt omnis
qui credit in me in tenebris non ma-
neat; » ibid. XII, 40. Pontrico è Ince
lella gonto umana como dopositaria dolla
parola di Dio 6 como rappresentante di
Cristo,
116. #1 DISPIROA : senturisce da una
sola fontana e, diramandosi poscia in
due rivi, allontana una sua porzione dal-
l'altra.
44. — Div. Comm., 3% ediz.
118, rgK COTAL: per aver fatto jo tale
preghiera, mi fn risposto da Beatrice, la
quale mi rimandò n Matelda. Anche in
cielo Beatrice manda ripetute volte Dan-
te ni dottori cho vanno man mano inoon-
trando, por nvoro risposta allo ane do-
mamlo L'antorità ccclosiastica (Monatrice)
rimanda j fedeli al sacerdote (Matelda) ed
ni Dottori della Chiesa.
120. s1 DISLROA : si difende da colpa
impnotatagli. « La colpa è nodo che av-
vince l'animo; e, como tale, lo slegar-
reno è più di sciogliersene ; » L. Vent.
121, ALTRE COSR : Matelda avea istrolto
il Poeta non solo intorno alle neque del
Paradiso terrestre, ma esiandio intorno
al vento di lassh, alle condizioni del sito
ed ai suoi primi abitatori, confr. Purg.
XXVIII, 88-144.
123, wascose: non gliene tolse la ri-
cordanza, poichè quell'acqua toglie ro-
lamento la memoria del male commesso,
ma non quella di cose boone oppure in-
differenti.
124. cura: di contemplare Beatrice,
di riflettere an tutto ciò che ella gli avova
letto, spocialmonto ani rimproveri da lel
fattigli, o di fare nttonzione alin procos-
siono, alle vicende del Carro ed alle pro-
ferie di Mentrico.
126. rniva: della ena virtii.
126, FATTA: ha offuscato gli oochi della
sun mente in modo che non vi vedo più
l'impressione Insciatavi dai tuoi ammne-
6 ! ESTRE] Pure, xrx11. 127-141
== =
[EUNOÈ]
137 Ma vedi Eunoè che là deriva:
Menalo ad esso, e come tu se’ usa,
La tramortita sua virtù ravviva. »
190 Com'anima gentil che non fa scusa,
Ma fa sua voglia della voglia altrui,
Tosto ch’ ell’ é per segno fuor dischiusa;
188 Logi: porone "= °° °° °° °°»
La bella du a Stazio
Donnesca) in' con lui. »
136 S’io avessi, pazio
Da grrivar in parte
Lo d Vavria sazio;
189 Ma per arte
Ordite a. mda,
Non imi las dell’ arte.
stramenti. Per leggoro ciò cl 1%
te scrisse (Inf. II, 8) è necdooar.. —.. “
gli occhi di essa mente non siano offu-
ucati.
128. USA: o come tu sei abituata a
riacceudere la sua virtù illanguidita, ,
riaccendigliela di nnovo, facendogli bere
dell'acqua di Eunod. Accenna a relazioni
tra Danto o Matolda nel mondo di qua
od all'uverlo ella tuttato nell'acqua di
Lete.
130. GENTIL: « l’anima gentile è piena
di virtù o così è piena di carità, o però
imbasciata o richiesta a bisogno altrui
non si scusa, ma ilopera quello che sa
e può; > Buls.
181 ra sua: conforma il suo volero
al volere altrui, quanto prima l'altrui
volere le è fatto manifesto per un qua-
lunque segno, o di voce, o di cenni, 0
di altri atti.
183. PRESO : per mano da Matelda.
184. Stazio: ricordato qui per l'ultima
volta.
135. DONNESCAMENTE: con quella grazia
e gentilezza che sono il pregio e la qua-
lità distintiva dello donne. Così Benv.,
Vell., Dan., Biag., eco. Al.:conattosigno-
rile (Lan., Vent., Lomb., Ces., Tom., ecc.).
È donnesco un atto signorile? Il Buti leg-
ge con qualche codice ONKSTAMENTE.
136. AvkSSI: « Atque oquidem, extre-
mo ni iam sub fine laborum Vela traham
et terris festinem advertere proram For-
sitan et pinguis hortos que cura colendi
canorom ; » Virg. Georg. 1V, 116
137. IN PARTE: per quanto fosse pos-
sibilo ad ingegno e liugua mortale, chè
in tutto sarebbe difticilissimo e forse im-
possibile. Così Dan., Biag., Br. B., Frat.,
Triss., Franc., eco. Al.: in disparte, in
un altro canto (Lomb., eco.). Ma è evi-
donto che il pur contraddice a questa
interpretazione,
138. BER: dell’acqua di Eunoè. I più
suppongono che vi fosse attuffato, come
nel Lete. Ma di una immersione nell’ Eu-
noò il Poeta non fa un sol cenno.
139. PIKNK: compiuti i trentatrò canti
destinati a questa seconda cantica. Nolla
divisione del suo Poema, Dante osserva
rigorosamente le leggi della simmetria.
Ogni cantica ha 33 canti (il 1° dell’ In/.
essendo il proemio generale a tutto il
Poema), il Poema ha 14,233 versi, cioè
l'Inf. 4720, il Purg. 4755, il Par. 4758.
Le parole sono 99,542, cioè 33,444 nel-
l'Inf., 33,379 nel Purg., 82,719 nel Par.
Da questo passo pare che il Poeta aves-
se fissato anticipatamente persino il nu-
mero approssimativo dei versi di ogni
Cantica.
140. ORDITR: predisposte, come l' or-
dito alla tela.
141. LO FREN: Ja norma dell’arte, la
quale richiede la proporzione, vuole che
io ponga qui fine a questa seconda Can-
tica. «Sed nos immensum spatiis confe-
cimus aquor, Et jam tempus equom fa-
de
(PAR. TERRESTRE]
Pure. xxxitr. 142-145
[sumo] 691
143 Io ritornai dalla santissim’ onda
Rifatto si, come piante novelle
Rinnovellate di novella fronda,
145 Puro e disposto a salire alle stelle.
mantia solvere colla; » Virg. Georg. II,
541 © seg.
142. RITORNAI: là dove Beatrice era
rimasta ad aspettarmi, v. 128.
148. RIFATTO: « Post ubi collectam ro-
bur vireeque refects ; » Virg. Georg. III,
285. « Armia animisque refeoti; » Virg.
Aen. XII, 788.
144. RINNOVELLATE : rinverdite alla pri-
mavera. «Renovamini antem spiritu men-
tie vestrro; » N/es. IV, 23. « Kt prolapei
sunt; rnraus renovnti ad pronitentiam ; »
Hebr. VI, 6. Virgilio, del ramo d'oro
svelto da Enea e ripullulante: « Quale
solet silvis brumali frigore visoum Fron-
de virere nova; » Aen. VI, 205 e seg.
Cfr. Purg. XXXII, 52 © seg.
145. STRLI.R: con questa parola fini-
scono tutte e tre le Cantiche del Poe-
ma, forse ad accennare dove |’ occhio
dell’ uomo deve mirare, cfr. Purg. XIV,
148 e seg., © dove egli trova l' ultima
pace e la vera beatitudine. È come l’esor-
tazione del Segneri, Pred. X: « Al cie-
lo! al cielo! » Del resto Dante si confor-
ma all'uso doi poeti dol tempo cho ama-
vano terminare colla stessa parola più
Canzoni formanti un ciclo.
LA
DIVINA COMMEDIA
CANTICA TERZA
PARADISO
CANTO PRIMO
PROEMIO DEL PARADISO
INTROITO ED INVOCAZIONE, SALITA ALLA SFERA DEL FUOCO
MODO DEL SALIRE, ORDINE DELI,'UNIVERSO
La gloria di Colui che tutto move
Per l'universo penetra, e risplende
In una parte più, e meno altrove,
‘ Nel ciel che più della sua luce prende
Fu'io; e vidi cose che ridire
Né sa né può qual di lassù discende;
V. 1-12. Introito, o proposizione
dell'argomento, La gloria di Dio, pri-
ma cansa e primo motoro, ponotra è ri-
splende per tutto quanto l'universo, oa-
sondo Egli sostanzialmente presento n
tutte le coso, Ma ossa risplonde neleronto
più o meno, secondo la maggiore o mi-
nore perfezione delle creature. Nell'Em-
pireo, Dio si manifesta immediatamente
alle creature intelligenti, onde saso è più
di qualsiasi altro cielo o regione dell'uni-
verso illustrato della loce di Dio. Lassù
fui io è vidi cose che non so ridire, perchè
appressandosi al fine di tutti | suoi desi-
derii il nostro intelletto si profonda tanto
che non può essere segnito dalla memorin.
Dirò tuttavia quanto del celeste regno ho
potuto far tesoro nella mia memorin.
1. CoLut: Dio, il quale è « movens non
motom;» Thom. Aq. Sum theol. T, 105,
2. © 0 qui porpotun manum rationo gn-
bernns T'errarum emlique sator qui tem-
pus ab mvo Ire jubos stabilisque ma-
nens dans cuncta moveri; » Poet. Cons.
phil. II, motr. 9. « Con la Sapienza Id-
dio cominciò il mondo e spezialmente il
movimento del cielo, il quale tutte le
cose gonern e dal quale ogni movimento
è principlato © mosso; » Conv. III, 15.
2. PENATRA: « penetrati quantom nd cs-
sentiam, resplendet quantum ml esse; »
Ep. Kani, 23. Confr. Salm. XVIIT, 2;
CXXXVIII, 7-12. Eceles, XIII, 16.
Tsaîia VI, 3; LXVI, 1. Gerem. XXIII,
24. Rom. XI, 80,
2. più R MENO : secondo che In cosa
è abile a riceverla. « La divina bontà in
tutte le cose discende; ma avvegnaché
questa bontà si muova da semplicissimo
principio, diversamente si riceve, secon-
do più o meno, dalle cose riceventi; »
Conv. IMI, 7. Cfr. Vulg. Bl. I, 16. Inaia
LXVI, 1. Thom. Aq. Sum, theol. T, 8, 1.
Bonav.Comp.theol, Mogumt.,1600, p. 695.
S. Bernh. Medit.,1: « Deus in creatoris
mirabilia, in hominibas amabilis, in an-
golia dosidorabilia In ao ipso incompre-
honaibitin, in roprobia intolormbilia, itom
in dammnalla ni torror ob horror, +
4. cib: empires, sede della Divinità ;
cfr. Conv. IL, 4. Ep, Kani, 2.
6. wR 8A: non ricordandosene. - xt
PUÒ: quelle cose essendo tanto eccelse
e sublimi, che il linguaggio umano non
i a
Par. I. 7-18
[INVOCAZIONE]
7 Perché, appressando sé al suo disire,
Nostro intelletto si profonda tanto,
Che retro la memoria non può ire.
10 Veramente quant’ io del regno santo
Nella mia mente potei far tesoro,
Sarà ora materia del mio canto.
18 O buono Apollo all’nitima lavoro
Fammi del ti
Come dimar
16 Infino a qui l’ua
]
è capace di esprimerle; clr. JI Cu
1-4. Bp. Kani, 20. Thom, Ag. Sue
1I9, 175, 8. — QuUaL: Al. cui,
dal clelo ritorna in questa ™
è tattora mortale (chè i bo
scendono più) ed è quindi an
alleumane debolazzo, come dines. «
ed inefticacia di linguaggio.
7. DIBIRK: Dio, il Sommo Bene e fino
nitimo dei desiderj dell'uomo. Cfr. Pury.
XXXI, 24. Par. XXXIII, 460 seg. Conv.
II, 16; IV, 12, 22. Ep. Kant, 28. Thom.
Ag. Sum. theol. I, 44,4; I, 45, 2.
8. BI PROFONDA : ponotra sì a fondo
mirando in Dio, che la momoria nol può
seguire. « La lingua non è di quello che
lo 'ntelletto vodo compiutamente segua-
ce; » Conv. III, 3. Cfr. Conv. III, 4. Ep.
Kani, 28. « Non può il sonso toner die-
tro all’ intelletto, nd l'unima, sinchò è
nello stato in cui debbe valersi do’ sensi
del corpo, può giungere a veder chiara-
mente il vero; » Gioberti. .
10. VERAMENTE: ma, contuttociò, non-
dimeno; lat. vertemtamen; cfr. Purg.
VI, 43. Par. VII, 61; XXXII, 145. -
REGNO : Paradiso.
11. MENTE: momoria; cfr. Inf. IT, 6,
8, eco. Conv, III, 2. « Mens pro memoria
accipitur, quia mons a meiminisse descen-
dit; » S. Aug. de T'rin. 1X, 2. Cfr. Thom.
Aq. Sum. theol. I, 79, 9. - FAR TESORO :
adunaro © conservare como cosa prezio-
sa; clr. Ep. Kani, 19.
V. 13-36. Zuvocazione. Nello altro
due Cantiche invocò le Muse, qui in-
voca Apollo, il Dio della poesia, padre
e duce delle Muse; cfr. Boccacc. Gen.
Deor. I, 2,6 c. 3. « Et dividitur ista
pars in partes duas: in prima invocando
o vaso,
o alloro.
naso
edue
) rimaso,
secunda sundet A pollini potitio-
tam, remunerationem quamilam
dans; » Ep. Kani, 31.
‘OLLO: « idest virtos intelleotiva
lestia; » Petr. Dant. Apollo fo
ate col Sole (cfr, Serv, ad Aen.
Maer. Sat. I, 19); è per Dante
il Sole u lo stesso Iddio (Purg. VIT, 26.
Par. X, 53; XIV, 00. Conv. TIT, 12).
Dunque il nostro Poeta invoca il divino
aiuto. - LAVORO: dolla torza Cantica.
« Extremum hune, Arethusa, mihi con-
codo laborom; » Virg. Ecl. X, 1.
14. FAMMI: infondimi tanto del valor
tuo, quanto tu ne esigi per concedere
l'alloro.
15. AMATO : da te, perchè in lauro fu
trasformata Dafne; cfr. Ovid. Metam. I,
452-567.
16. LUN: sin qui mi bastò l’aiuto dello
Muse; da quindi innanzi mi 6 necessa-
rio eziandio l’aiuto tuo. Il Parnaso ha
due giogbi, Elicona e Cirra, l'uno sacro
alle Muse, l’altro ad Apollo; cfr. Ovid.
Afet. I, 316 o seg.; II, 221. Fast. IV,
03. Lucan. Phare. V, 73. Isid. Orig.
XIV, 16. Allegoricamento: Fin qui mi
bastò la scienza umana, da ora innanzi
mi è necessaria oltro alla umana anche
la scienza divina. « Si ergo luo est sa-
pienti et scientiiv recta distinotio, ut
ad sapientium pertineat ivtornarum re-
rum coguitio intellectualis, ad scientiam
vero tomporalium rerum cognitio ratio-
nalis, quid cui privponendum sive post-
ponendum sit non eat difticile judicare;
« S. Aug. De Trinit. II, 16, 25.
18. NRL.L'ARINGO: nell'impresa difficile
che mi rimane, di descrivere la gloria
dei beati.
[PROEMI0]
PAR. 1. 19-85
[1NnvocazionE] 697
19 Entra nel petto mio, e spira tue
Sì come quando Marsia traesti
Della vagina delle membra sue.
22 O divina virtù, se mi ti presti
Tanto che l'ombra del beato regno
Segnata nel mio capo io manifesti,
25 Venir vedra’ mi al tuo diletto legno
E coronarmi allor di quelle foglie
Che la materia e tu mi farai degno.
28 Si rade volte, padre, se ne coglie,
Per trionfare o Cesare o poeta,
Colpa e vergogna dell’ umane voglie,
31 Che partorir letizia in su la lieta
Delfica deità dovria la fronda
Peneia, quando alcun di sé asseta.
34 Poca favilla gran fiamma seconda:
Forse dietro a me con miglior’ voci
19, TUE: ta. Inspirami in modo, che io
sia abile a cantare con quella potente
doleozza che tu spiognati allorché, provo-
cato da Marsin n chi meglio sonnaso, tn
Il rincesti e lo scortienati. Sulla favola di
Marsia cfr. Herodot, VII, 26, Xen. Anab.
I, 2, 8. Ovid. Met, VI, 382-400,
21, VAGINA: la pelle che veste le mem-
bra come il fodero la spada. Anche nel-
l' invocazione del Purg. I, 10-12 è ri-
cordato il castigo inflitto all’ audace
ignoranza.
22, BR MI TI PRESTI: se ti doni a me, mi
concedi la tua forza, Al. al MI TI PRESTI.
23. r'ompra: quella debole immagine
che del beato regno è rimasta nella mia
memoria.
24, BKONATA : Impressa nella mia men-
te; ofr. Purg, XXXIII,81, Ep. Kani, 10.
25. vrpra'MI: mi vedrai, - LEGNO: al-
loro; cfr. Par. XXV, 0.
27. cnr: delle quali sarò fatto degno è
per l'intrinseca eccellenza della materia,
© per l'aiuto che ta mi presterni a trat-
tarla degnamente secondo le esigenze
dell'arte.
28. PADRE: Apollo era vonerato qual
padre degli eroi, doi veggenti e dei pooti.
20, Cesare: dell'Mloro s'incoronavano
imperatori e poeti; « Vatum decumque
deous lanena ; » Stat. Theb. VI, 73. Cfr.
Petr, II, son. 206,
80. conra: per colpa ed a vergogna:
confr. Purg. VI, 07 e seg. Conv. IV, 12.
Eglog. I, 36 è seg.
RI. CHR PARTORIK: quasi tatti spiega-
no: La fronila ponela dovrebbe accreacer
lotizia al già lieto Apollo, quand' esea
mette in nlenno desiderio di sè, Invoce
Fanf.: A Delfo dovrebbe nascere alle-
grezza e farsi festa, quando l'alloro ac-
cende in chicchessia voglia di sè. Ma
queste interpretazioni non appagano pie-
namente; cfr. Com. Lips. III, 8 6 sog.
Anche il Pol, n questo Inogo non fa cho
rimandare ad un sunto del Com, Lips.
dato da altri.
32, DELFICA : « Mihi Delphica tellus.,.,
servit; » Ovid. Met. I, 515 6 sog. « Apol-
line Delphos Insignes;» Morat. Od. I,
7,8. Cir. A.Gmiononi, Mlwetrazione a tre
pase della Div. Comm. Fir., 1889, C.Cnr-
BTOFOLINI, Delfica Deitd? Trieste, 1800.
83, PENEIA: chiama l'alloro fronda Pe
neia perchè Dafne, figlia del fiume Pe-
neo, fu traamntata in lauro ; efr. Ovid.
Met. I, 452-507,
$4. SECONDA : segue, si accende di lei.
È l'antico adagio: « Parva ampe scintilla
magnnm oxcitavit incondinm. » Cfr. Par.
XXIV, 1450 sog. Conv. LIT, 1.
36. DIKTRO A MK: Al. RETRO DA ME.
Al. DI DIETRO A ME, - MIGLIOR' voci: più
degnamente; meglio di me. « Forse dopo
mo,avvivatidallamia piccola favilla, ver-
ranno altri poeti, che seguitando il mio
69 1 j
Par. 1. 36-44
Si pregherà perché Cirra risponda.
37 Surge a’ mortali per diverse foci
La lucerna del mondo; ma da quella,
Che quattro cerchi giunge con tre croci,.
40 Con miglior corso e con migliore stella
Esce congiunta, e la mondana cera
Più a suo ma4- +-—=--= = 4uppella.
43 Fatto avea di
Tal foce qur
esempio, canteranno cose pi
quelle che si cantano a quest
Quali cose da cantarsi sono
quelle cantate da Dante!
86. Cina: il giogo del Parn=
ad Apollo, preso qui por lo ate:
«Tante era modestiasimo: ap
altri venissero dietro di sè y
più degnamente il Paradiso, |
furono e fieno invano. E chi p
più alto?» Mart.
V.37-81. Salita alla sfera del fuoco.
Ritornato il Poeta dal fiume Ennoéd al
sito lì vicino dove si trovava la sua Bea-
trice, ella si volge verso settentrione 6
fissa gli occhi nel sole. Dante si accinge
a fare lo stesso, ma non potendo l’occhio
suo soffrire tanta luce, egli fissa gli occhi
suoi in quelli di Beatrice. Quindi salgono
colla velocità del lampo alla sfera del fuo-
co. Di Stazio, di Matelda e delie sette
ninfo non si fa più menzione. Tutto as-
sorto nella contemplazione di Beatrico
e del Sommo Bene, Dante non si cura
d'altro. Concernente il tempo della sa-
lita i più si avvisano che fusso il mat-
tino dol giorno seguente a quello, nel cui
moriggio Dante bevette dell'acqua dol-
l' Eunoè, ma non sanno poi render conto
del come fossero spesequelle diciotto ore.
Meglio s’'intenda che Dante e Beatrice
salirono appena egli fu tornato dalla
santissim’ onda, dunque a mezzodì di
quello stesso giorno. Ma non potendo
qui entrare nell’ardua discussione, ri-
mandiamo lo studioso al Com. Lipe. III,
10 e seg. ed ai lavori che qui si registra-
no: Della Valle, Senso, 101-108; Suppl.,
10-19; Nuove illustrazioni, 93-97. Anto-
nelli, Studi particolari, 21-25. Vaccheri e
Bertacchi, Visione di D. Al., 203 e sog.
Schiaparelli, Nuova Antolog. VI (1867),
792 e seg. Agnelli, Topo-Cronografia,122-
129, 139-159.
(BALITA]
i sera
\ bianco
rai: il sole nasce agli uomini da
ti dell'orizzonte, secondo le ata-
URINA : « Phebew lampadis in-
"irg. den, III, 637; ofr. ibid, IV,
148. Luoret. De rer. nat. V, 403,
1105,- QUELLA: da quella foce
punto dell'orizzonte, ove lo zo-
equatore e il coluro equinoziale
indosi coll'orizzonte medesimo
AU ~ tre croci. Intende dell’ equino-
zio di primavera.
39. QUATTRO CRRCHI: allude forse alle
quattro virtù cardinali ed alle tre teolo-
giche (Lan., Ott., Post., Cas., Benv., eco.),
onde il senso allegorico sarebbe che Iddio,
il Sole spirituale, splende più propizio do-
vo le sette virtù sitrovano armonicamen-
te congiunte. - GIUNGK: congiunge.
40. MIGLIOR COKSO: perchè giunto in
Ariete il Sole incomincia a portar giorni
sempre più lieti e più belli (Cost., Br.
33., Andr., Frat., Frane., ecc.).- 8TRLLA:
colla costellazione d'Ariete, che esercita
sulla terra bonigui influssi; cfr. Inf. I,
38 o seg. Conv. II, 4.
41. CERA: materia. Paragona l'infiuen-
za del cielo sulla terra all’ impressione
che fa il suggello nella cora. La cera è la
materia, la forma è l'attività della terra,
procedente dal Sole.
43. DI LÀ: nell’ emisfero del Purgato-
rio. - DI QUA: nel nostro emisfero. « Per
mane si intendo lo spazio che corre dalla
levata del sole fino a mezzogiorno, e per
sera quello compreso tra il mezzodì e
l’ occaso; » Agnelli, 127.
44. TAL FOCK QUASI, kE TUTTO: Al. TAL
FOCE, K QUASI TUTTO. Confr. BARLOW,
Contrib., 319 e seg. « Un emisfero per es-
sere tutto bianco, ciod, secondo |’ inten-
zione del Poeta, tutto illuminato, è ne-
cessario assolutamente che il sole batta
i suoi raggi direttamente sul meridiano
[PROEMI0]
PAR. 1. 45-64
[SALITA] 699
Quello emisperio, e l'altra parte nera,
46 Quando Beatrice in sul sinistro fianco
Vidi rivolta, a riguardar nel sole:
Aquila si non gli s’ affisse unquanco.
49 E sì come secondo raggio suole
Uscir del primo, e risalire in suso,
Pur come peregrin che tornar vuole;
52 Così dell'atto suo, per gli occhi infuso
Nell’ imagine mia, il mio si fece,
E fissi gli occhi al sole oltre a nostr’ uso.
[do Molto è licito là, che qui non lece
Alle nostre virtù, mercé del loco
Fatto per proprio dell’umana spece.
58 Io nol soffersi molto, né sì poco
Ch'io nol vedessi sfavillar dintorno,
Qual ferro che bogliente esce del fuoco;
61 E di subito parve giorno a giorno
Essere aggiunto, come quei che puote
Avesse il ciel d'un altro sole adorno.
64 Beatrice tutta nell’ eterne ruote
che divide in doe parti eguali quell'omi-
afero stesso; valo a dire: 4 nasolutamento
necessario cho sia mezzogiorno, o quanto
meno imminentissimo ;» Agnelli, 128, Cfr.
ANTONELLI, Studj, 22 e seg.
46. AINISTRO: prima guardava verso le-
vante, ora ai volge verso settentrione;
ofr. Agnelli, 151 © seg.
48. aquita: il eni occhio può patire il
sole; ofr, Par. XX, 81 e sog. Aristot. De
animal., 34.5. Aug. in Joan. tr. 36. Brun.
Lat. Tes., III, 8. Lucan. Phare. 1X, 902
© sog. - UNQUANCO: giammai ; cfr. Purg.
IV, 76.
49. COMR BROONDO : Al. COME 'L BRCON-
po. Come raggio riflesso segue al diretto
e risale, a guisa di pellegrino che, giunto
alla meta del sno viaggio vuol tornare
indietro: così Dante, vedendo Beatrice
volgere gli occhi in alto e guardare nel
sole, fa lo stesso; confr. Purg. XV, 16.
Frezzi, Quadr. IV, 2.- suon: non In-
dion qui frequenza di alto, ma costanza,
Ogni volta che un raggio di luce cade
sopra mn corpo opaco, torna indietro, e
si ha così un altro raggio che Dante
chinma secondo ed i fisici riflesso.
51, rounan: in patria,cfr, Conv, IV, 12.
52. ATTO: di rignardare il sole, - 1N-
FUSO : vennto por gli occhi nella mia im-
maginativa; clod vonuto nel senso 6 nel
pensiero.
5. OLTIUK: sopra l'uso umano, sasendo
una proprietà del sole « che l'occhio nol
può mirare; » Conv. II, 14.
55. LA: nel Paradiso terrestre, creato
da principio n posta per abitazione del-
l'nomo, anche la costui natura corporea
4 più forte, così che egli può mirar nel
role, - Qui: in questo mondo.
68. NOL SOFFERSI: non sostenni molto
tempo la vista del sole, ma nemmono sì
breve tempo che io non potessi diacer-
nero che sfavillava d'intorno como ferro
rovente,
60. QUAL FERRO: cfr. Inf. IX, 118 ©
seg. Purg. XXIV, 138. Par, XIV, 76 è
seg.; XX VITI, 80 6 seg.
fl, m subito: tanto veloce fl anlire, -
NIORNO ANIORKO: parvo cho lo aplondore
del fl si fosse raddopplato; ofr. Arior.,
Orl., X, 100. Tasso, Ger. lib,, XIV, 6.
62. COME quit: come se Dio, che lo può,
avesse ornato il clelo di un altro sole,
64. RUOTR: i cieli, detti altrove « eterni
giri; » Purg, XXX, 03,
700 [PROEMIO]
Par. I, 65-78
[BALITÀ]
Fissa con gli occhi stava: ed io in lei
Le luci fissi, di lassù remote.
67 Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
Qual si fe’ Glauco nel gustar dell’ erba,
Che il fe’ consorto in mar degli altri dei,
70 Trasumanar significar per verba
Non si por*-- ——-* ®*---—-ijo basti
A cui espe ba.
73 5’ io era sol a reasti
Novellame ciel governi,
Tu il sai, en mi levasti.
76 Qua “a: iterni
Du 1080,
Con 1 armoi e discerni,
60. rissi: fiasai gli occhi ne
lei, rimovendoli dal sole.
07, NRL suo: guardando led 1
mann ; cfr, Par. XXXI, 87.
68. GLAUCO: l'Axdxog poscatore di
Antedone nella Beozia, il quale, vedendo
che i pesci da lui presi nel mangiare di
certa erba rivivevano e saltavano nel
mare, assaggiò di quell'erba o diventò
Dio marino. Cfr. Ovid. Met. XIII, 898-
968. GAKDKCHENS, Glaukos der Meergott,
Gitting., 1860. « Siccome Glauco di pe-
scatore diventò Iddio marino gustando
l'erba che avea quella virtù, così l’ani-
ma umana gustando le coso divine di-
venta divina; » Bult.
70. TRASUMANAR: Al. TRANSUMANAL;
il diventare più che umano, il passare
dall’umanità alla divinità. « Facultas vi-
dendi Deum non competit intellectai
creato secundum saain naturam, sed per
lumen glorite, quod intellectum in qua-
dam deiformitate constituit; » Thom. Aq.
Sum. theol. I, 12, 6.- PER VKERBA: Con
parole. Confr. Nannucci, Nomi, 331 e
seg., 761.
71. L'ESRIPIO: di Glauco, Il linguag-
gio umano non è sutticiente a descrivere
l'atto della transumanazione, poichè « la
linguu non è di quello cho lo ’ntolletto
vele compiutamento soguaco; » Cono.
III, 3. Basti pertanto l'esempio alle-
gato a colui, al quale la divina grazia
riserba a sperimentarlo ed avverarlo in
86 stesso.
73. QUEL: spirito, creato novellamente,
cioè da ultimo, dopo il corpo; cfr. Purg.
37-75. Parafrasa le parole di
): « Non so, se nel corpo, non
aori del corpo, Dio lo sa; » IT
x I, 2, 3. Cie. Par. IT, 37. Com.
Lips. III, 16. < Dante qui mostra di du-
bitare se questa ascensione al cielo sia
stata fatta o colla sola anima che fu (no-
vellamente) da Dio creata nell'ultimo tem-
po della generazione di ciascun uomo, il
qual tempo dicesi animazione; od anche
col corpo, il quale sebbene aia stato nel
seno materno orgunato, tuttavia la ma-
teria, ond’ è composto, fu al principio
delle cose terrene creata; » Corn.
74. AMOR: Dio «colo imperitans amor; »
Boet. Cons. phil. II, metr. 8, 15.
75. LUMEK: riflesso dagli occhi di Bea-
trice, v. 64 6 seg. - LEVASTI: al cielo.
76. LA kUOTA: il movimento doi cieli.
- SRMPITERNI: rendi eterno.
77. DRBIDERATO: « Lo Cielo Empireo....
6 cagione al Primo Mobile per avere ve-
locissimo movimento; chè per lo ferven-
tissimo appetito che ha ciascuna sua parte
d'esser congiunta con ciascuna parte di
quello divinissimo cielo quieto, in quello
si rivolve con tanto desiderio, che la sua
velocità è quasi incomprensibile ; » Conv.
II, 4. Cfr. Ep. Kani, 26. I) desiderio di
Dio è il principio motoro delle sforo co-
losti. - at FECE ATTKSO: richiamò la mia
attenzione.
78. L'ARMONIA : delle afore; cfr. Purg.
XXX, 93. Par. VI, 126. Secondo Pita-
gora le sfere celesti fanno ne’ loro giri
un armonioso concento, di che si diletta
In stessa divinità. Tale dottrina, com-
[PROEMI0]
PAR. 1. 79-98
[DURBIO SCIOLTO) 701
79 Parvemi tanto allor del cielo acceso
Dalla fiamma del sol, che pioggia o fiume
Lago non fece mai tanto disteso.
82 La novità del suono e il grande lume
Di lor cagion m’accesero un disio
Mai non sentito di cotanto acume,
85 Ond’ ella, che vedea me, si com’ io,
A quietarmi |’ animo commosso,
Pria ch’ io a dimandar, la bocca aprio;
88 E cominciò: « Tu stesso ti fai grosso
Col falso immaginar, si che non vedi
Ciò che vedresti, se l'avessi scosso,
91 Tu non se’ in terra, si come tu credi;
Ma folgore, fuggendo il proprio sito,
Non corse, come tu che ad esso riedi. »
battuta da Aristotile, fu ripristinata da
Tlatone o da Cicerone (nel Somn. Scip.),
dal quale Dante sembra averla presa ;
cfr, Com. Lipa. 111, 17. - TRMPERI E DI-
SCERNI: accordi e distribuisci, « Hio dul-
cis sonns est, qui intervallis coniunctus
imparibos, sed tamen pro rata partiom
rationo distinetis, impulso et motn ipso-
rim orbiam conficitur; qui acuta cum
gravibus tempornns, varios mquabiliter
concentus officit; » Cie. Somn. Scip.
70. PARVEMI: mi apparve così gran
parte di cielo acceso dalla fiamma del
sole, che pioggia caduta o fiumo non
fecero mai lago sì ampio. Sin qui il Poeta
aveva tonnto lo sguardo fisso in Beatri-
ce; tratto dall'' armonia dello sfere si
guarda ora intorno; od essendo già nr-
rivato alla afern dol fnoco, ciò cho egli
ignora, gli pare di essero in un gran
Ingo di fnoco. -
V. 82-03. Un dubbio sciolto, Non es-
sendosi accorto del velocissimo suo salire
in alto e credendo di essere tuttora sulla
sommità del Monte Sacro, il Foeta non
sa indovinare la cagione della dolce ar-
monia ch'egli ode, e di quel grandissi-
mo aumento di luce. E Beatrico, che gli
legge nel cuore, gli dice che non è più
in terra ma, veloce più del lampo, è sa-
lito in alto.
82. suono: delle sfere; suono tutto
muovo perchè in terra non si odo.
83. M LOR caGioN: di conoscerne la
cagione, Le cose grandi e maraviglioso
«in quanto paiono mirabili, fanno vo-
glioro di sapero di quelle quello che le
sento; » Conv, IV, 26, « Ad faciom causo
non portingentes, novum effoctum com-
muniter admiramur; » De Mon. II, 1.
84, DI COTANTO: di si forte stimolo,
sì acuto, che io non aveva mai sentito
l'ugualo,
85. Mik: l'animo mio el | miel più in-
timi ponsieri,
86. commosso: dallo stupore che « è
uno stordimento d'animo, per grandi è
maravigliose cose vedere, o udire, o por
aleun modo sentire; » Conv. IV, 25.
48. 0nosso : grossolano, ignorante ; cfr.
Inf. XXXIV, 02. Purg. XV, 64 o sog.
89, IMMAGINAR: d'essere ancor sempre
in terra.
N0. SCORSO: se tn nvossi rimosso da te
quel tuo falso immaginare.
02. arro: la sfera del fuoco ; ofr. Par.
XXIII, 40 è sog. « Folminis ocior alia; »
Virg. Aen. V, 319. « Non ocina alti In
torras caditira lovis;» Stat.Theb.IIT,817.
03. AD ESSO: al tuo proprio sito, clos
al cielo, —nimor: ritorni. L'anima umana
esce dalle mani di Dio e sospira sempre
il ritorno a Dio; cfr. Purg. XVI, 86 è
seg. Conv, IV, 12, « La nobile anima ri-
torna a Dio, siccome a quello porto, on-
d'ella si partio quando venne a entrare
nel mare di questa vita;» Conv. IV, 28.
V. 04-142. L'ordine dell'universo.
AN'udire che non è più in terra, fl Poeta
resta sorpreso, non sapendo compron-
dere come nn corpo materialo possa vo-
lare in alto, E Beatrice scioglie il suo
702 [PROEn |
Par. I, 94-105 [ORDINE DELL'UNIVERSO]
o4 S’io fui del primo dubbio disvestito
Per le sorrise parolette brevi,
Dentro ad un nuovo più fui irretito ;
07 E dissi: « Già contento requievi
Di grande ammirazion; ma ora ammiro
Com’ io trascenda questi corpi lievi. »
100 Ond’ ella, apprecss d’an nin sospiro,
Gli occhi d quel sembiante
Che madre deliro;
108 E cominciò; nante
Hann lia isto è forma
Che ! igliante.
nuovo dubbio ¢ - a o: per la compassione che sente
guto 6 profonda wranza di Dante.
aj sanone ancein à uzzò: AL VOLSE, - BEMBIANTE : di
vi mi letto; cfr. Petrar. II, aon. 17 (244),
] ia ILIRO : delirante; ofr. Par. XXII,
i sii e N, si maggior parte degli nomini
dui ceri ul DEMO di wus .. —. scondo senso 6 non secondo ra-
A questo grande ordine tendono le va-
rie nature degli enti per varii gradi e
per varie vie. L'istinto dell'ordine è un
moto di quell’ amore che opera sui corpi
inanimati e sugli spiriti che intendono
ed amano liberamente. Dal cielo supre-
mo sono governati tutti | moti inferiori
e ad esso tendono tutti, specialmente gli
umani, se l'abuso dolla libertà, o altra
forza nel corpo, non ne li storni. Ecco
la ragione del tuo salire in alto, il quale
è altrettanto naturale, come lo scorrere
del ruscello alla china. Ed il nun salire,
purificato qual sei, sarebbe non meno
contro |’ ordine naturale, che il vedere
la punta della fiamma piegarsi a terra.
. 94. PRIMO DUBBIO: circa la cagione del
suono e dell'accrescimento di Ince. - DIS-
VESTITO: liberato.
06. soRKIsK: proferite sorridendo.
06. Innikrito: avviluppato. « Ivretivit
eum multis sormonibus; » Prov. VII, 21.
07. RKQUIEVI: ebbi quiete; mi trovai
soddisfatto; cessai d'essere in ammira-
zione.
99. contri Likvi: la regione dell’ aria,
dell’ etere e del fuoco. Dall’ aria 6 dal
fuoco « resta intorniata la terra, che es-
sendo il più grave elemento e la più sal-
da sostanza, conviene che la si tragga
nel mezzo o nel fondo dell'altro che in-
torno di lei sono; » Brun. Lat., Tes. II,
25; ofr. Conv. III, 8.
Kivav, « guisa di pargoli; e questi cotali
non conoscono le cose se non semplico-
mente di fuori, e la loro bontade, la
quale a debito fine è ordinata, non veg-
giono però che hanno chiusi gli occhi
della ragione; » Conv. I, 4.
103. LE cosk: « Beatrice fa un discorso
tanto dotto e tanto sottile, che a me pare
Impossibile che tante cose e al grandi si
potessero ristringere in tanto pochi versi
e così leggiadre parole; » Varchi.
104. ORDINK: le une rispettivamente
alle altre e al Tutto di cui sono parte.
Cfr. De Mon. I, 6. « Este autem duplex
ordo considerandus in rebus. Unus quo
aliquid creatum ordinatur ad aliud crea-
tum, sicut partes ordinantur ad totum,
et accidentia ad substantias, et unaqua-
que res ad suum finem. Alius ordo, quo
omnia creata ordinantur in Deum; »
Thom. Aq. Sum. theol. I, 21,1; « Man-
dos iste unus dicitur unitate ordinis, se-
cunduni quod quaedam ad alia ordi-
nantur. Quiecumque autom sunt a Deo,
ordinem habont ad invincom, ot ad ip-
sum Doum; » ibid. I, 47, 3; « Finks uni-
versi est aliquod bonum, in ipso exi-
atens, scilicet ordoipsius universi; » idid.
J, 103, 2. - QUESTO: quest'ordine. « Co-
testo ordine è come la forma onde il
mondo ritrae l' imagine delle divine per-
fezioni; » Corn.
105. SIMIGLIANTE: « quia mundos non
[PROEMIO]
Par. 1. 106-117 [oRDINE DELL’ UNIV.] 708
106 Qui veggion |’ alte creature |’ orma
Dell’ eterno valore, il quale è fine,
Al quale è fatta la toccata norma.
109 Nell’ordine ch’ io dico sono accline
Tutte nature, per diverse sorti,
Più al principio loro 6 men vicine;
112 Onde si mfovono a diversi porti
Per lo gran mar dell’ essere, e ciascuna
Con istinto a lei dato che la porti.
115 Questi ne porta il fuoco in vér la luna,
Questi nei cuor’ mortali 6 permotore,
Questi la terra in sé stringe ed aduna.
est casu factus a Deo per Intellectum
agente, necesse est quod in mente divina
sit forma ad similitadinem cojus mondus
est factus; » Thom. Ag. Sum. theol.1,15,1.
100. qui: nel siffatto ordine dell'nni-
verso gli easeri intellettuali è razionali
(angell, spiriti beati ed uomini) conosco-
no l'impronta della divina sapienza e
potenza, Cfr. De Mon, I, 8, 8. Aug. De
Trin. VI, 10. Thom. Ag. Sum. theot, I,
45, 7. Boet. Cons. phil, III, metr, 8.
107. FINE: « omnia appetnot Deum nt
finom ; » Thom. Ag. Sum. theol, I, 44, 4.
Prov. XVI, 4.
108. norma: l'ordine sopraccennato
che hanno tra loro le cose tutte quante.
100. ACCLINE: inclinate, propense.
« Quum omnia procedant ex voluntate
divina, omnia sno modo per appetitum
inclinantor in bonum, sed diversimode.
Quisdam enim inclinantar in bonum per
solam naturalem habitudinem absque co-
gnitione, sicut piante et corpora Inani-
mata; et talia inclinatio ad bonum vo-
cator appetitus naturalis. Qamdam vero
ad bonum inolinantor aliqua cognitione ;
non quidem sic quod cognoscant ipsam
rationem boni, sed cognoscunt aliquod
bonum particolare, sicut sensus, qui co-
guoscit dulce et album et aliquid hnjus-
modi. Inclinatio antem hano cognitio-
nom sequensdiciturappetitua sensitiva.
Qomdam vero inelinantor ad bonnm com
cognitions qna cognosennt ipsam boni ra-
tionem, qnod ost proprium intellectus ;
et hme perfectiasime inclinantur in bo-
pum; non quidem quasi ab alio solam-
modo directa in bonum, sicut ea que
cognitione carent; neque in bonum par-
ticulariter tantum, sicut ea quibns eat
sola sensitiva cognilio; sed quasi Inell-
nata in ipsum universale bonum. Et hwo
inolinatio dicitur volnntas,.,. Inclinatio
ad aliquid extrinsécum est per aliquid
eassentia anperadditam, sient inclinatio
ad locum est por gravitntem vel levita-
tem; » Thom. Aq. Sum. theol. I, 69, 1, 2.
110. TUTTE NATURE: totti gli enti di
qualsivoglia natura hanno istinto natu-
rale di cercare Iddio come loro fine. -
PER DIveRsR: secondo le diverse loro
condizioni. « Nell' ordine intellettuale
dell'universo si sale 6 discende per gradi
quasi continni dall'infima forma all’ al-
tissima, e dall'altissima all’ infima, sio-
come vedemo nell'ordine sensibilo; »
Conv. III, 7. Confr. Thom. Ag. Sum.
theol. I, 19, 1; I, 59, 1. Boet, Cons. phil.
IV, pr. 6.
112, rortt: fini. « Appetitua mninsen-
jusque rei naturaliter movetur et tendit
in finem sibi connatoralem ; » Thom. Ag.
Sum. theol, 13, 62, 3; confr. TI?, 102, 2.
Conv. IV, 28. Salm. CVI, 90.
113. MAR: « por magnitndinem et pro-
funditatem essentim naturm rerom; »
Benv.
114. rorTI: spinga, v. 182, e conduca
al sno fine,
115, qurstI: questo istinto ; «il fuoco
stendesi infino entro la Inna, e aggira
questo nere dove noi siamo. Disopra al
quarto elemento che è il fuoco sta assisa
In luna;> Hrun. Let., Tee. III, BR. Ufr.
Purg. XVII, 01 e seg.; XVIII, 28 © sog.
110. cuor' MORTALI: nelle ereature che
son fuore d'intelligenzia, cioè nel bruti.
- PERMOTORE: Al. PROMOTORE; confr.
Com. Lipa. III, 23,
117. ADUNA: « tiene in sò unita è sor-
TI FEU |
Par. 1. 118-128 [ORDINE DELL'UNIVERSO]
118 Né pur le creature, che son fuore
D'intelligenzia, quest’ arco saetta,
Ma quelle c’ hanno intelletto ed amore.
121 La provvidenza, che cotanto assetta,
Del suo lume fa il ciel sempre quieto,
Nel qual si volge quel c’ ha maggior fretta,
124 Ed ora li, com’ e “**- *=-=-*~
Cen porta le
Che cid che
127 Vero è che co!
Molte fiate a
rata la terra por lo forze di
di coesione, ecc.;> Br. B. +
cosa ha il suo speciale amo.
corpora semplici hanno amor.
in sè al loro luogo proprio; .
terra disoende al centro; il fi
circonferenza di sopra lungo "l 0,
lona; 6 però sompre sale a Quo... , -
Conv. IIT, 3. Cfr. De Mon. I, 15.
118. yuork: privo d' intendimento ;
gli animali irrazionali. Questo naturale
istinto spinge al fine loro proprio non
solo le creaturo irragionevoli, ma anche
quelle dotate d'intelletto o di volontà,
ciod gli angoli è gli uomini.
110. ARCO: questo istinto naturale. -
BAKTTA: dirige, domina.
120. AMORR: « gli uomini hanno loro
proprio amore allo porfette e oneste co-
se.... Per Ja natura vera numana, e, me-
glio dicendo, angelica, cioè razionale, ba
l'uomo amore alla verità e alla virtù; »
Conv. III, 3. « Omnia, appetendo pro-
prias perfectiones, appetuntipsumDeum,
in quantum perfectiones omnium rerum
sunt qusaedam similitudines divini esse.
Et sic corum que Deum appetunt que-
dam cognoscunt ipsum secundum se Ip-
sum, quod est proprium creaturiv ratio-
nalis; quedam vero cognoscunt aliquas
participationes suio bonitatis, quod etiam
extenditur ad cognitionem sensibilem ;
qusdam voro appetitum naturalem ha-
bent absque coguitione, utpote iuclinata
ad suos fines ab alio suporiori cogno-
scente; » Thom. Aq. Sum. theol. I, 6, 1.
121. ASSETTA : ordina e predispone;
« ordinat et disponit universitatem crea-
turarum; » Benv.
122. 11. CIKL: 1’ Empireo, che è immo-
bile « per avere in sò, secondo ciascuna
corda,
segno lieto,
accorda
\ll’arte,
i che la sua materia vuole. Que-
o 6 pacifico cielo è lo Inogo di
mina Deità che sè sola compiu-
vede; » Conv, II, 4. Cir. Bost.
il. 111, metr. 8,
BL: ll Primo Mobile; cfr.v. 77 nt.
: al cielo Empireo, - DECRETO :
wine! determinato, « Al cielo Empi-
reo ci porta la virth della diviua poten-
vw che indirizza sompro a buon fine
VY ento cui muove; » Corn.
125. CORDA : di quella virtà che drizza
la creatura a fine sempre lieto, perchè
destinato da Dio. « Ad illum autom ad
quod non potest aliquid virtute suo na-
ture porvoniro, opurtet quod ab alio
transmittatur, sicut sagitta a sagittante
mittitur ad signam;» Thom. Ag. Sum.
theol. I, 23, 1.
126. DRIZZA: « che in ciò che fa non
8' inganna mai; ossia che tutte le cose
che fa, le fa per nostro bene; essendoci
a ciò dato l'istinto; » Betti.
127. VERO È : siccome avviene che Il di-
segno di un’opera concepito dall'artista
molte volte fallisce, perchè la materia
per eseguirlo è mal disposta a ricevere
la forma da lui immaginata; coal l'uomo
può per la libertà dell’ arbitrio dipartirsi
dalla via del bene, a cui naturalmente è
inclinato, ad essor piegato al male. «Con
sottile concetto paragona l’amore del
beno, spirato da Dio nel cuore dell’uomo,
ull'intondimento cho ha l'artista di far
buona |’ opera sua; e il mal uso della
volontà, la quale deve tradurre in atto
quella inclinazione, alla forma, per cui
l' intendimento dell'artista si fa opera
d'arte; » L. Vent., Simil., 339. Cfr. Conv.
II, 1. De Mon.II,2. Thom. Aq. Sum. th.
I, 15,1; I, 17,1; 13,4, 4; I*, 6, 7.
['ROEMIO)
PAR. 1. 129-142 [ORDINE DELL’ UNIV.) 705
Perch' a risponder la materia è sorda;
130 Così da questo corso si diparte
Talor la creatura, c’ ha potere
Di piogar, così pinta, in altra parte
133 (E sì come veder si può cadere
Fuoco di nube), se l’impeto primo
A terra è torto da falso piacere.
138 Non dèi più ammirar, se bene stimo
Lo tuo salir, se non come d’ un rivo
Se d'alto monte scende giuso ad imo.
139 . Maraviglia sarebbe in te, se privo
D'impedimento giù ti fossi assiso,
Come a terra quieto fuoco vivo. »
142 Quinci rivolse invér lo cielo il viso.
129. BORDA: non arrendevole. Fa bel
riscontro col verbo rispondere.
130, corso: della via segnata dal na-
turale istinto, « Siccome ln materia non
ricove sempre la forma per la sua indi-
sposizione, così gli nomini per lo avero
il libero arbitrio non seguitano la loro
inclinazione: anzi, ingannati dal falso
piacore, al volgono altrove; » Varchi.
181. CRRATURA:: l'uomo dotato di libero
arbitrio, del quale abusando si lascia
trarre al piacere falso 6 piega n torra
contro l'istinto della propria natura.
134. ruoco: fulmine, - L'IMPETO PRI-
mo: la tendenza primitiva verso il clelo.
Se ]' inclinazione naturale 4 vélta alla
terra dal falso piacere, la creatura do-
tata di libera volontà si diparte dal corso
al quale essa inclinazione la spinge, « Est
mentibua hominum veri boni naturall-
ter Inserta copiditas, sed ad falsa devius
error abdacit; » Boet. Cone. phil. IIT,
pr. 2.
135, A TERRA È TORTO: Al. L'ATTERRA,
torto, lezione di molti codd., mn dalla
quale non si ricava costrutto che regga;
efr. Com. Lips. III, 25 6 sog, MOORE,
Orit., 436 è seg.
45. — Div, Comm., 2% cdis.
136. se RkxE sTtIMO: so la min argo-
montazione è giusta, il tuo salire al cielo,
dopo essere purgato d'ogni colpa, è cosn
altrettanto naturale, quanto lo scendere
d'on ruscello dal monte giù nella valle.
Cir. Thom. Aq. Sum. theol, II", 176, 1.
130, 1n TE: di te, rispetto a te.
140. IMPEDIMENTO: morale, ciod dei
peccati e dei torti appetiti. - assiso:
rimnsto attaccato alla terra. Cfr. Conv.
iT, 2.
141. COME A TERRA: como se la viva
fiamma, che per la sna natora tende a
salire, si giacease forma a terra. Al. COMR
IN TERRA QUIETER IN FOCO VIVO; il senso
sarebbe lo stesso, Cfr. Moone, Crit., 439
6 seg, « Perfectio ignis est, secondom
quod in loco sno quiescit; » Thom. Ag.
Sum, theol, I, 0,3. « Ignis non semper
movotur suraum, sed quando est extra
looum suom; » ibid. I*, 10, 1.
142. quinci: compiuto questo ragiona-
mento, Beatrice, che aveva volto nmore-
volmente lo sguardo al Posta, v, 101, lo
volge di noove verso il cielo, Se durante
il discorso Beatrice e Dante rimasero
fermi, o continnarono il loro volo verso
il cielo, non è detto.
IMO]
Par. It. 1-8
[AMMONIMENTO]
CANTO SECONDO
CIELO PRIMO DELLA
MANCA.
AMMONIMENTO ,
LE MACCHIE DEL,
O vo
Deosiuvros,
Dietro al rou. _
Cli =
LUNA
CASTITÀ
A AL PRIMO CIELO
LUENZE DEI CIELI
barca,
ti
tando varca,
4 Tornate a riveder h vostri liti:
Non vi mettete in pelago; ché forse,
Perdendo me, rimarreste smarriti.
7 L’acqua che io prendo giammai non si corse:
Minerva spira, e conducemi Apollo,
V. 1-18. immonimento al lettori.
Entrando a duscrivero le bellezze e le
gioie del regno dei cieli, il Poeta sente
crescere le ali al proprio ingeguo e dà
però una intunazione quasi lirica al pre-
sente canto. La navicella del suo inge-
goo, Purg. I, 2, è divonuta un legno che
cantando varca maestoso le onde. Voi
che non vi siete dati allo studio della
vera sapienza filosofica è teologica, e,
leggendo ini avete seguito fin qui nel
puvtico mio viaggio, cessate dal seguir-
mi, chè non intendereste più cid che io
canto. Soguitemi invece voi pochi che vi
dodicaste di buon'ora allo stadio dol vero,
o vi maraviglioreto di ciò che io andrò
cuntundo. I concotti di questo proonio al
riscontruno col proemio del Conv. 1, 1,
dove il linguaggio è però assai meno
pomposo. Cfr. Lucret. Rer. nat. I, 1
seg. Paganino, Navigatione di Dante
nel suo libro Accademia disunita. Pisa,
1635, p. 197 e sog.
1.BAKCA :con picciol corredo discienza.
3. DIKTRO: Al. RKTRO.-VARCA: «s’apre
un varco, trapassa ad altre acque ; > Giul.
4. TORNATE: contentatevi della lettara
delle due prime Cantiche. « Procul o pro-
cul este, profani; » Virg. Aen. VI, 258.
5. NON VI METTRTK: non accingetevi
alla lettura di questa terza Cantica, per-
chè, non intendendo le dottrine profonde
che io proporrò, rimarreste smarriti ; cfr.
Virg. Aen. V, 8 © seg.
6. 'RRDKNDO: non avendo forze suffi-
cienti a seguitare la mia traccia.
7. L'ACQUA: la niateria che ora im-
prendo a cantare nou fu ancor mai per-
truttata pooticamento. Non mancano de-
scrizioni puoticho dol Paradiso e dolle
suo gioio untoriori a Danto; ma o ogli
non le conoscuva, oppure non uvovano
agli occhi suoi nessun valore.
8. MINERVA: la scienza divina è il
vento che mi spinge, Apollo è il mio ti-
moniere, le Muse, cioè le Arti, sono ia
mia bussola. - suina: confr. Ovid. Met.
I, 2.
[CIELO PRIMO]
PAR, 1. 9-20
[AMMONIMENTO] 707
E nove Muse mi dimostran |’ Orse.
10 Voi altri pochi, che drizzaste il collo
Per tempo al pan degli angeli, del quale
Vivesi qui, ma non sen vien satollo,
13 Metter potete ben per l’alto sale
Vostro navigio, servando mio solco
Dinanzi all'acqua che ritorna eguale.
16 Quei gloriosi che passàro a Colco
Non s’ammiraron, come voi farete,
Quando Jason vider fatto bifolco,
19 La concreata e perpetua sete
Del deiforme regno cen portava
8. NOVE: tante essendo le Muse. Nore
per il numero delle Muse intendono Lan.,
Ott., An. Fior., Postil, Cass., Petr, Dant.,
Falso Bocc., Benv., Buti, Land,, Vell.,
Varchi, Vent., Lomb., Pol., sce. Secondo
altri nove è qui il plur. di nova (innova)
ed il Posta parla di Muse novelle, ciod
oristiane; così Serrav., Dan., Dol., Vol.,
Pog., Biag., Tom., Br. B., Giul., ecc. 11
Betti: « Dante vnol dire che ciò ch'egli è
per cantare è sì sublime, che mai non fn
cantata altra simile cosa. Imporocché
Apollo non fa che guidarlo con le leggi
della poesia; ma chi lo spira è Minerva,
cioè la snpienza. Talchè non le usate
muse, ma muse nuove gli sono allato per
insegnargli il canto, « Quali sono queste
nuove muse che dimostran l'Orseal Porta
spinto da Minerva e condotto da A pollo?
= L'ORSR: il polo.
10. pocm: ofr. S. Matt. XX, 16. Cone,
I, 1, Thom. Aq. Sum. cont. Gent, I, 4. -
DRIZZASTE: alzaste di boon’ ora In mento
alla scienza delle cose divine; cfr. Prov.
VIII, 17.
11, AL PAw: alla scienza sacra; cfr. Salm.
LXXVII, 25. Sapien, XVI, 20. Conv.1, 1.
12. vivesi: del qual pane spirituale il
savio vive in terra, ma non può saziar-
seno a voglia sua, non conoscendo che
ben poco; cfr. Conv, IV, 22. Salm. XVI,
16, JI Cor, V, 7.
13, SALE: lat, solum, il profondo mare;
ofr. Horat. Epod. XVII, 54 6 sog.
14. BAVIGIO: « non disse barchetta,
ma navigio, per dimostrare che casendo
in gran legno e saldo, cioè usati a spe-
colare, non portano pericolo di rimanere
indietro e smarrirsi come quei primi; »
Varchi, Cfr, Virg. Aen, II, 711, 763, =
SERVANDO: tenendo dietro al solco della
min nave. Accenna alla forte e conti-
nuata attenzione necessaria ai lettori di
questa Cantica,
15. DINANZI: prima che la superficie
delle acque siasi rinppianata ; cfr, Sapien,
V, 10,
16, GLORIOSI : gli Argonauti, che anda-
rono a Colo, o Colchide, n rapirne il
Vello d'oro; ofr. Hom. Od. XII, 06,
Hesiod, theog., 092. Pind. pyth., 4. Apol-
lod. I, 0,10 6 sog.
17, S'AMMIRARON: si meravigliarono ;
cfr, Ovid, Met. VII, 100 e seg,
18, JASON: dnce degli Argonanti, cfr.
Inf. XVIII, 86. - BIFOLCO : aratore. Per
conquistare il Vello d'oro, Ginsone do-
vette arare nn campo con dne bool da
lui domati, i quali spiravano fiamme dalle
nari; cfr. Ovid. Met, VII, 104 6 sog.
V. 19-45, Salita al cielo della Luna,
Beatrice gnarda nel sole, Dante in Bea-
trice, In nn attimo arrivano al primo
cielo, quello dov'è In lana (Conv. II, 4).
Ringrazia Iddio, gli dice Beatrice, che
sinmo nella prima stella. A Dante pare
di essere coperto da ona nube lucida,
spessa, solida, pulita, quasi diamante.
La Iona li riceve come l' acqua riceve il
raggio di lace.
19, CoNcHEATA: innata all’ umana na-
tura; ofr, Purg. XXI, 1; XXXI, 128
e sog. Conv. IV, 12. Feolea. XXIV, 29,
Thom. Aq. Sum. theol. I", 33, 2; 1", 67, d.
= rERrerua: non potendo la natura mai
spogliarsene.
20. DEFORME: formato ad immagine di
Dio; ofr. Par. I, 105. Chiama così l' Em-
pireo, che «non è in lnogo, ma formato
fu solo nella prima Mente; » Conv. II, 4.
Li E [MO]
PAR. IT, 21-83
[SALITA]
Veloci quasi come il ciel vedete.
22 Beatrice in suso, ed io in lei guardava;
E forse in tanto, in quanto un quadrel posa
E vola e dalla noce si dischiava,
26 Giunto mi vidi ove mirabil cosa
Mi torse il viso a sé; 6 | però quella,
| idee
28 Volta ver me
« Drizza |
« Che n' h
81 Pareva a ma è
Lucida, 8
Quasi adam
e] pa. ld nat Tian ol
Ai: i
€
lew, Spur u 4. i lara Lm DEE RO dit ARE AREE RR
secondo. Alcuni erediano che Dautéo nl-
luda qui al suo salire in moto ciroolaro
(Vell., Varchi, Vent., Dion., ecc.); ma di
un moto di circuizione Dante non dice
nulla. Cfr. Della Valle, Senso, 147 e seg.
Ejued., Nuove illustrazioni, 98 e seg.
« Assidua rapitar vertigine cwlum, Si-
deraque alta trabit coleriquo volumino
torquet; » Ovid. Met. II, 70 e seg.
22. IN 8USO: cfr. Par. I, 142.
23. IN TANTO: © forse in tanto tempo
in quanto uno strale di balestra si di-
afrena, e vola, e toccata la meta, si ferma.
Cfr. Inf. VIII, 13 e seg.; XVII, 133 0
neg. Par. V, 91 © seg. Virg. Aen. XII,
855 e seg. Pulci, Morg. XX VI,75. rios.,
Orl. IX, 79. L. Vent., Simil., 487. II Bet-
ti: «Qui Dante indicar vuole un atto re-
pentissimo: e dice che così avvenne con
tanta celerità, come è a vedersi un qua-
drello nell'atto che si posa e già prende
il volo, e già dischiavasi dalla noce. Que-
ate cose vanno considerate insieme; 6 ve-
ramente non puossi immagiuar prestez-
za maggiore di un quadrollo, che il vedi
ad un tempo posarsi o uscir dolla noce, »
- QUADRKL: stralo.
34. NOCK: osso della balestra, ove si
pone lo strale. - DIscHIAVA: si libra, e
quasi schioda, dall'arco.
25. cosa: il globo della luna, la cui
luce mite era maravigliosa al paragone
di quella della sfera del fuoco.
“re ascosa,
la:
ata, » mi disse,
prima stella. »
isse
ta,
prisse.
ELLA: Boatrice, alla quale non
asere nascosto verun atto della
te.
\ OvRA: Al, MIA CURA: « Mia
è opera, presa in questo luogo
per lu ussiderio o pensiero, il quale è
operazione della cogitativa; » Varchi.
28. VOLTa: dopo aver sin qui guar-
dato in alto, v. 22. - LIETA : cfr. Daniel.
XII, 13. S. Matt. XIII, 43. 8. Luca XV,
7,10 Thom. Ag. Sum. theol. I1*, 180, 2;
11?, 145, 2. « Do sua natura pnicerrima
orat, et gratulabatur supor felicitato au-
toris, qui incipiebat intrare regnuin de-
sideratum ; » Benv.
30. STELLA : la luna, rispetto alla terra
il primo dei pianeti (secondo il sistema di
Tolomeo).
Sl. PAREVA A ME: Al. LPARKVANI. ~
cornissk: essendo entrati nel corpo della
luna.
32. LUCIDA: « il Poeta, mancando di
telescopi per esplorare la superficie dei
pianeti, s'attiene alle opinioni del eno
tempo sa ciò. I tre primi attributi sono
convenienti ; il quarto è improprio, ea-
sendo scabrosissima la faccia della luna
che sempre sta volta alla terra: contiene
grandi catene di montl, disposte circo-
larmente; e vi ei osservano det picchi
elovati sul fondo, ancho più di settemila
inotri; che è quanto dire straordinaria-
mente più alti delle più alte cime delle
nostre montagne, avuto il riguardo alla
tanto maggiore piccolezza della luna ri-
spetto alla terra; » Antonelli.
33. FKRISSK: cfr. Virg. Aen. VIIT, 25.
Ovid. Met. II, 109 e sog.
eer ey
[CIELO PRIMO)
Par. 11. 84-46
[SALITA] 709
34 Per entro sé |’ eterna margherita
Ne recepette, com’ acqua recepe
Raggio di luce, permanendo unita.
37 S'io era corpo, 6 qui non sì concepe
Com' una dimension altra patio,
Ch’ esser convien se corpo in corpo repe,
40 Accender ne dovria più il disio
Di veder quella essenzia, in che si vede
Come nostra natura a Dio s'unio.
43 Li si vedrà ciò che tenem per fede,
Non dimostrato, ma fia per sé noto,
A guisa del ver primo che l'uom crede,
46 To risposi: « Madonna, si devoto,
34. ETERNA: secondo gli scolastici Il
sole, la luna e le stelle sono incorrutti-
bill; efr. Thom. Aq. Sum. theol, III, Sup-
pl, 74, 4; 91, 2, 5, - MARGHRRITA : porla ;
cfr, Par. VI, 127; XXII, 29.
86. nKCErS: riceve, « L'immagine del
raggio di luce che penetra una massa
rl'acqua senza disuniria, è felicissima, e
l'unica che la Fisica ci somministri por
vollero como sonsibilmento possa venire
nn eccerione ad una delle leggi della na-
tura, In impenetrabilità de' corpi. Con
quella immagine viene a ritrarci, meglio
che con Iunga dissertazione filosofica, la
fulice trasformazione avvenuta nel corpo
suo, E da questa specie di miracolo, del
penetrare la sostanza di quel piancta
senza disunirla, si fa strada a contem-
plazione di più alti misteri, e al desi-
derio di conoscere quel che concerne
l'ineffnbile incarnazione del Verbo di-
vino;» Antonelli,
87. corro: cfr. Par. I, 73. - Qui: non
in questo mondo (Benv., Buti, Land.,
Vell., Varchi, Dan., Vent., Lomb., Biag.,
Cea., Br. B., Andr., eco.) ma: in questo
caso (Torel., Frat., Greg., ecc.). Se io era
corpo, 6 se, essendolo, non si comprende
come due dimensioni possano compenc-
trarsi in una, il che è inevitabile se nn
corpo penetra in un altro. « Virtute di-
vina fieri potest, et ea sola, quod corpori
remanent esse distinctum ab allo cor-
pore, quamvis ejus materin non sit di-
atincta in sito ab alterins corporia ma-
teria; ot sio miracnlose fieri potest quod
doo corpora sint simul in eodem loco: »
Thom, Aq. Sum, theol. IL]. Suppl,, 83, 3.
Cfr. ibid. I, 67, 2; IIL, 64, 2; II, 57, 4.
Suppl., 83, 2-4. Com. Lips. 111, 35 e seg.
#10, nvr: entra, penetra; dal Int. repere,
41. rssenziAa: di Cristo, l' Vomo-Dio.
42, k Dio: AL in Dio, Al. A pio, Cfr.
Par.XXXIII,127 esog. Thom. Ag. Sum,
theol. ILI, 1-6. Alb, Magn. Comp. th.1V,
14. Com. Lips. III, 36. Moore, Crit., 442
© Seg.
43. 1.4: nol elelo voilremo cli cho in
terra credinmo. Ufr. J Cor. MILT, 12.
II Cor. V,7. Thom. Aq. Sum, theol, III.
Suppl., 02, 1, Greg. Magn. Moral, XVIII,
18. Conv. II, 0.
44. NON DIMOSTRATO: non per via di
ruziocinio, ma per evidenza intoitiva.
45. VER PRIMO : le ideo innate, Al: Dio,
Cfr. Aristot. Analyt. post. I, 1, 2,9, 14,
27,38; II, 3, Thom, Ag. Sum. theol. I,
2,1; 11, 2,1.- CREDE: consenta, prosta
nssenso coll’ intelletto.
V. 46-105, Le meacehie Imnari, Nel
Conv, 1I, 14, Dante aveva attribuito,
seguendo Averroe, In diversità di aplen-
dore che si scorge nella superficie della
Ilona a varia distribnzione nelle varie
parti della superficie medesima : cioè che
alcuno fossero più, altre meno dense,
onde dn questa maggiore o minore den-
sità procedesse la diversa capacità riflet-
tente, (Jui confuta per bocca di Beatrice
tale opinione, insegnando la cagione delle
macchie lunari ssasore la virtir che dal
Trimo Mobilo si diffonde sullo stelle sot-
toposte, la quale, rimanendo sempre una,
si differenzia secondo i differenti corpi,
come l'anima nelle membra del corpo
umano, Cfr, Bottagirio, Osservaz. sopra
710 ([creLo timo]
PAR. 11. 47-67
[MACCHIE LUNARI]
Quant’ esser posso più, ringrazio lui
Lo qual dal mortal mondo m'ha remoto.
49 Ma ditemi, che son li segni bui
Di questo corpo, che laggiuso in terra
Fan di Cain favoleggiare altrui? »
52 Ella sorrise alquanto, e poi: « S' egli erra
L’ opinion, ea mortali,
Dove chiave isserra,
55 Certo non ti ¢ gli strali
D'ammiraz stro ai sensi
Vedi che e l’ali.
58 Ma dimmi que 6 pensi, »
Ed io: « Ci
Credo che iu
1assì diverso, ‘
ari e densi. »
al Ed ella: « Car sommerso
Nel ene ascolti
(i E ) avverso.
64 La spera ottava vi dimostra molti
Lumi, li quali nel quale e nel quanto
Notar si posson di diversi volti.
67 Se raro e denso ciò facesser tanto,
la fisica del Poema di D. Verona, 1807.
Nuova ediz. curata da G. L. Passerini,
Città di Castello, 1894, p. 51 » seg. Jac.
Mancini, Poliziano, Tre lez. sopra al-
cuni versi di D. intorno alle Macchie
della Luna. Genova, 1590. Varchi, Lez.
sul Dante I, 471-503.
47. LUI: Dio, che mi ha allontanato dal
mondo dei mortali.
49. SEGNI BUI: le macchie oscure di
questo corpo lunare.
“51. Cain: cfr. Inf. XX, 126. Prato,
Caino, e le spine secondo D., ecc. An-
cona, 1881.
52. BORRISE: o della favola di Caiuo, o
dell'ignoranza di Daute, o d'ambedue.
« Quasi volens dicero tacite, non solum
vulgares errant fabulando de eo quod
nunc petis, sed etiam magni sapientes
philosophando de hoc erraut; > Lenv.
54. DOVE: in quelle cose nelle quali il
senso non basta. - CHIAVE DI SENSO: le
cognizioni che riceviamo per mezzo dei
sensi. « Dalsenso cominciala nostra cono-
scenza; » Conv.II,6.- <Sec'inganniamo
in quelle cose medesime nelle quali ab-
biamo per guida i sensi, quanto più in
quelle dovremo che i sensi trascendono ; »
Gioberti.
55. BTRALI: « ogni impressione profon-
da è con questo tropo dipinta; » Tom.
56. vol: poichè tu vedi che anche dio-
tro ai sensi la ragione si alza poco nelle
sue investigazioni.
59. ciò: le macchie lunari.
60. RARI: la maggiore o minore den-
sità dei corpi. Secondo A vertoe la cagio-
ne delle macchie della luna è la disformita
e diversità delle sue parti, alcune essendo
più rare, altre più dense, alcune più buie,
altro più chiaro. A’ tempi di Dante si cre-
deva esser questala dottrina d' Aristotele.
Cfr. Conv. II, 14. Par. X XII, 187 e seg.
61. BOMMERSO: vedrai senza dubbio
quanta fulsa sia la tua opinione, se fai
attenzione agli argomenti coi quali io la
combatterò. Cfr. Conv. IV, 2.
64. La svRia: il cielo delle stelle tiase,
dette qui lumi. Cfr. Conv. II, 8, 4.
65. NEL QUALE K NEL QUANTO: nella
qualità e nella quantità della luce. - « Di-
stingue la intensità ela qualità della luce,
la brillantezza ed il colore ;» Ronchetti(M.
67. TANTO: solamente; lat. tanta. -
(CIELO PRIMO]
Par. 11. 68-80
[MACCHIE LUNARI] 711
Una sola virtù sarebbe in tutti,
Più e men distribuita, ed altrettanto,
70 Virtù diverse esser convengon frutti
Di principî formali, e quei, fuor ch’ uno,
Seguiterieno a tua ragion distrutti.
73 Ancor, se raro fosse di quel bruno
Cagion che tu domandi, od oltre in parte
Fòra di sua materia si digiuno
76 Esto pianeta, o, sì come comparte
Lo grasso e il magro un corpo, così questo
Nel suo volume cangerebbe carte.
70 Se il primo fosse, fora manifesto
Nell’eclissi del sol, per trasparere
« Prima di tutto non può essere in astrat-
to, che In diversità di cul trattasi, come
quella che si vede nel colore e splendore
delle stelle, derivi soltanto da parti più
rare e più dense, dovendo virtà diverse
esser frutto di principli formali. Nè può
stare in concreto la toa supposizione :
perciocohé, o la rarità delle parti, a cui
attriboisci la minore love, si estende per
tutta la grossezza del corpo lnnare, o nel-
l'interno del medesimo ha nn limite, Se
fosse il primo supposto, si dovrebbe ve-
dere diafana la luna negli eclissi del sole,
restando essa tra questo o la terra; se il
secondo, la riflessione della luce solare
proverrebbe da parti più remote che non
sono le superficiali, ma dovrebbe acon-
dere ; | raggi verrebbero un po' più di lon-
tano, ma non potrebbero mancare, equin-
di non potrebbe nascere la parvenza di
macchia verona; » Antonelli,
68. virtù: d'infinire sopra la terra. -
IN TUTTI: i lumi, o corpi celesti.
60. ALTRETTANTO: egualmente, «Or è
l'argomento così fatto, che, se raro e
denso fosson cagione di tale apparenzia,
ello si seguirebbe tutte le Incide esser
d'una natura, tutte le nebilose d' wn’ al-
tra, tutte le tenebrose d'una terza; la
qual conseguenza è assurda; » Lan., Ott.,
An, Fior.
71, FOUMALT: lascolnatina distinguoduo
principii di tutti | corpi: il materiale,
cioà la prima materia, in tutti i corpi
lo stesso, ed il formale, cioè la forma so-
stanziale che costitnisce le varie specie e
virti doi corpi. « Objectum movet deter-
minando actum ml modurm principii for-
malis, a quo in rebos naturalibus actio
apecificator,sicut calefactio a calore, Pri-
mum antem principinm formale est ens,
et vorum nniversale, quod est ohjeotom
intellectus;» Thom. Ag. Stem. theol, 1%,9,1,
72. akourrerizxo: sarebbero conse-
guentemente, — Virtù diverse conviene
che siano prodotte da diversi principii
formali, non da un solo, Ma a tua ragion,
al tuo modo di vedere, che la diversità
di lacenza non sia prodotta che da più o
meno della sostanza di un tal principio,
esso si rimarrebbe un solo,
73. ANCOR: «inoltre, se dal raro venis-
sero lo macchie, o la Inna sarebbe bu-
cata da banda a banda, o avrebbe strati
densi e strati radi; como grasso e ma-
gro;* Tom.-nnuxo: macchie,
75. moruxo: non privo affatto, ma tanto
da costituirlo raro,
TR. CANGERKBNIK: « ammucchierebbe
strati densi e rari; metafora presa dai
libri, de' quali le ammuochiato carte, a
guisa di strati, ne formano il corpo; »
Lomb, Un traslato simile Par. XII, 121
e Reg.
70. it, rriMo: nel primo caso, sé cioè il
corpo della luna fosse qua e là bucato da
parte n parte, oppure privo di materia
così da essere costituito raro, di modo
che il raro nttraversasse per diritto tutta
In sun molo, ciò apparirobbo chiaramente
quando la luna sta tra noi è {l sole, cioè
quando c'8 ecelissi, perchè attraverso quei
bochi o quelle parti rare si vedrebbe la
Ince del sole, come la si vede quando
a'intromette in altro rimile raro, p. os.
nol orivello.
mo)
Pas. 11. 81-95
(MACCHIE LUNARI]
Lo lume, come in altro raro ingesto.
82 Questo non è; però è da vedere
Dell’ altro, e s’ egli avvien ch'io l'altro cassi,
Falsificato fia lo tuo parere.
85 S'egli è che questo raro non trapassi,
Esser conviene un terniine, da onde
Lo suo con*--—- —** —----- non lassi;
88 Ed indi l’altru de
Cosi, come è retro,
Lo qual dir) nasconde.
91 Or dirai tu ch tro
Quivi lo r ltre parti,
Per esser tro.
dI Da questa inst rarti
Esperienza, rovi,
81. Ixurksto: introdotto, i
lat. tayewtus.
82. NON È: «che lo lume dei rag_
lari passi per lo corpo lunare, dunquo se
uuita cho sia falso l'untecodonte, civò cho
il corpo della luna abbia rarità penotranti
dell'una superficie all'altra; » Buti,
83. DELL'ALTO: della seconda parte
del dilemma, cioè che il raro sia a strati
col denso, cosicchd ii corpo lunare am-
mucchierebbe strati densi o strati rari, n
quel modo che un corpo sovrappone il
grasso al magro, o a simiglianza du’ libri
composti di carte, Je une sovrapposte al-
l'altro. — Cassi: annulli, confuti.
84. FALSIFICATO : dimostrato fulso.
85. NEGLI È: «86 questo raro non tra-
passa da una parte all'altra, ci conviene
essere un termine, dal quale il denso non
lo lassi passar più oltre, ma che rifletti i
raggi nella guisu che fa il piombo dopo
il vetro dello specchio; » Dan. Così pure
Buti, Filal., Ronchetti, ecc. I più riferi-
scono invece il non lassi dul v. 87 al
raggio del v. 88 e spiegano: «Se la rarità
da te supposta non è da banda a banda,
bisogna che vi sia un tormiuo oltre il
quale lo suo contrario, cioò il dense, non
lasci passare il raggio luminoso; o di la
il raggio d' altro corpo lucido si riflottorà
come da specchio. Così OW., Benv., Land.,
Vell., Vent., Lomb., vec. Cfr. Con. Lips.
III, 43 e veg.
88. L'ALTRUI: del sole. ~ SI RIFONDK:
« reflectitur ibi, et por consequens lucerct
in ipso raro in superficio; » Leno.
Ur COLOR: come | raggi colorati
ano l'immagine di alonn oggetto
al dallo specchio, che « è vetro
tu. csssstis0 con piombo ; » Conv. III, 9.
Civ. Inf. XXLILI, 25.
VI. on DIRAL: secondo le dottrine di
Aviconna (De Cal. II, 4, 61) tu potresti
opporre che dove il raro è più fundo, e il
denso più lontano, quivi il lume riflesso
ò più languido e pare macchia. - cH' KI
SI: Al. CHK BI. — TETRO : oscurato.
92. quivi: nelle macchie della luna.
93. RITRATTO: riflesso. La fisica antica
non distingueva tra rijlessione è rifra-
zione della luce. - A RETRO: da più in-
dietro, cioò non dalla superticie dolla
luua, ma dal denso cho dentro al suo
corpo è al di là del raro.
04. INSTANZIA: obbiezione, dabbio. Nel
linguaggio scolastico chiamavasiinetanza
il replicare alla risposta. Secondo A riato-
tele l'instanza è propasizione contraria
ud altra proposizione. C(r. Conv. IV, 13
e 22; De Mon. IT, 6,10, 11. Encici. 1049.
05. ESPERIKNZA: un esperimento. < Se,
ad imitazione del fatto su cui si ragiona,
si ponga un lume in alto dietro lo spalle,
v tro specchi dinanzi, per modo che i due
laterali siano ad una eguale distanza, è
il terzo nel mezzo un po’ più remoto; ve-
drai che tutti e tre risplendono in egual
maniera, sebbene dal più lontano la tua
vista non ricova la quantità stessa di
luce; ma certo non discovrirai parvenza
di macchie: e così dovrebbe avvenire nel
secondo supposto; » Anton.
[CIELO PRIMO]
Ch’ esser suol fonte ai rivi di vostr' arti.
97 Tre specchi prenderai; e due rimovi
Da te d'un modo, e l’altro più rimosso
Tr'ambo li primi gli occhi tuoi ritrovi.
100 Rivolto ad essi fa’ che dopo il dosso
Ti stoa un lume che i tre specchi accenda,
E torni a te da tutti ripercosso.
103 Benché, nel quanto, tanto non si stenda
La vista più lontana, li vedrai
Come convien ch’ egualmente risplenda.
106 Or, come ai colpi delli caldi rai
Della neve riman nudo il suggetto
06. FORTE: fondamento delle Arti edelle
Sclenze, Cfr. Conti, Stor.della flow. 11,164.
DT. TRE 8FECCHI: ofr. Mossotti, Lettera
a RB, Boncompagni intorno ad un passo
della D, 0, Roma, 1806, Ejied. TUWuatr.
astronom., cd. Passerini, Città di Ca-
stello, 1894, p. 33 è sog. G. Bottagisio, Fi-
rica del Poema di Dante, od. Passerini,
ivi, 1804, p. 51 e seg. Della Valle, Nuove
Itlustr,, 120 è seg. Com. Lips. III, 45 è
aeg.- A me pare che Dante coll' esem-
pio dei tre specchi ha voluto segnalare
il principio che le superfici piane Inmi-
nose, od illuminate in egunl grado ap-
paiono della stessa chiarezza a qualunque
distanza siano poste, perchè la grandezza
dell'immagine e la quantità di luce che
riceve la pupilla da ciasenn punto dimi-
nuendo l'una è l'altra nella ragione in-
versa del qundrato della distanan, vi 4
un compenso, sl ogni elemento «d’ egual
estensione dell'immagine apparento è
sempre rappresentato da una stessa quan-
tità di Ince nell'occhio a qualunque di-
stanza si osservi la superficie; » Mos-
sotti, |. c., p. 3.
08. D'us MODO: mettili ad egual di-
stanza da te, e poni il terzo più distante,
e in maniera che si offra agli ocohi tuoi
medio tra' due primi.
100, poro rt. posso : dietro le tue spalle.
101. ACcENDA : illumini; confr. Virg.
Georg. I, 25).
102. nirencosso: riflettuto da tutti è
tre gil speochi ; ofr. Virg. Aen. VIII,
22 è seg. Ovid. Met. II, 110.
103. NEL QUANTO: nella quantità della
luce. La luce dello specchio più lontano
Amen viva, ma non è macchia, - STKXDA :
non sì estenda tanto nelln grandezza.
104. LA vista: Tl lume veduto nello
specchio medio che è il più lontano, -
VEDRAI: «in cotale esperimento vedrai
come lo splendore sia ne' tre specchi
uguale; quindi conclimierai che, seblene
la Ine dol solo si ribattease «dn nicune
parti più remote dalla superficie della
Inna, ciò non basterebbe a prodarre in
casa luna quelle macchie che vi si veg-
gono; » Br. KR.
V. 106-148. Le inffuenze dei cieli,
Confutato l'errore circa lo macchie della
Inna, Beatrice procede alla dimostrazione
del vero. « Ciascuna spera è governata
da una beata intelligenza, In quale mani-
festa la molteplice sua virtà nell’ astro al
qual ella presiede, come fa l'anima uma-
na per le varie membra del corpo che in-
forma, Queste diverse virtù de'cieli fanno
diversn lega, formano cioè diverse compo-
sizioni, producono diversi effetti, co’ pre-
ziosi corpi che avvivano, e nei quali si
legano, come la vita in noi. Da questa
unione nasce una virtà mista, la quale,
per la natora lista da cni procede, ri-
splende pel corpo, come letizia nell'ani-
ma nostra si fa manifesta per vira pu-
pilla. Da questa virtù pertanto, e non da
denso e raro, deriva ciò che par differente
ila luce a luce: a la stessa mista virtà è
formale principio,che, a norma di sua bon-
tà, produce il chiaro è il torbo nei diversi
volti dei varii lomi celesti; » Antonelli.
106. al couri: ofr. Purg. XXX, 85 è
seg. Ovid. Metam, 11, 808. Arios., Ort. II,
XIX, 29, « Ecco la costruzione gel ter-
zetto: Or come ni colpi de’ caldi rai il sog-
getto della neve riman nudo e del colore
e del freddo che avova prima; » Petti.
107. IL 8UGGE1TO: il terreno sottostan-
~~ +s “souuue è da Il contenu
118
Gli altri giron' per varie differenz,
Le distinzion’, che dentro da sé
Dispongono a lor fini e lor seme
121
Questi organi del mondo così vann
Come tu vedi omai, di grado in
Che di su prendono, e di sotto fi
124
Riguarda bene a me sì com’io vadi
Per questo loco al ver che tu dis
sd Blane., Witte, Pol., dec, Al: la
sostanza della neve; Lomb., Port., Pog.,
Coat., Tom., Br., B., Frat,, Andr., L.
Vent., ecc. Cfr. Com. Lips, III, 47.
109. così: libero dall’errore, come il
suolo dalla neve, Cfr, Hoet. Cona. phil. I,
r. 0, «© Volondo la malizia d'alquanti
la luce della verità ; » Conv, IV, 8.
110, incFORMAR: voglio illaminarti di
verità si Incente è lampante che ti sein.
A nel presentarsi davanti a te. Cfr,
Li Vent., Simil,, 115,
112. cies; Empireo, eft, Conv, IT, 4,
16. Ap. Kani, 24,
118, un CORPO: il Primo Mobile, dal
qualo viene virtù a quanto contengona
vista (Beno., 5
tanti punti che
cielo (Dan., se
multa, cum tac
nom vident am
116. PARTE: i
quella virtà obe
nella diverse st
LIT. LIATINGTR :
Ina distlute da ey
DA LUI DISTRATI
118, GLI ALTRI:
(CIELO PRIMO]
Par. 11. 126-140
[INFL, DEI CIELI) 715
Si che poi sappi sol tener lo guado.
127 Lo moto e la virtù dei santi giri,
Come dal fabbro l’arte del martello,
Dai beati motor’ convien che spiri;
130 E il ciel, cui tanti lumi fanno bello,
Dalla mente profonda che lui volve
Prende l'image, e fassene suggello,
133 E come l’alma dentro a vostra polve
Per differenti membra e conformate
A diverse potenze sì risolve;
136 Cosi l'intelligenza sua bontate
Multiplicata per le stelle spiega,
Girando sé sopra sua unitate.
139 Virtù diversa fa diversa lega
Col prezioso corpo ch’ ell’ avviva,
126. soL: per te stesso, senza bisogno
di scorta. - TENER: arrivare alla cono-
scenza del vero, - GUADO: confr. Purg.
VIII, 69.
127. virtù: influenza. - omi: cieli;
confr. Purg. XXX, 03. Por. INI, 76.
XXVIII, 139.
128. rannro: come il martello non
opera da sè, ma riceve dal fabbro la
rirtà di operare: così i cieli non si muo-
vono nè esercitano le loro Influenze da
a4, ma ricevono dai beati motori, cioò da-
gli Angeli (intelligenze), ogni moto e virtù
d'influire. Cfr. Aristot. De anima, 2. De
Mon, II, 6. Conv. I, 13; IV, 4. Brun.
Lat., Tes. 11, 30. Com. Lipa. IIT, 51.
129. motor’: le Intelligenze motrici ;
cfr. Inf. VIT, 74. Conv. IT, 6, 0. Thom.
Aq. Sum. theol, I, 110, 3; I, 70,8; 1°, 6,
5. Alb. Magn. De Corl. II, 8,5, 16, Tasso,
Ger. IX, 01.
180. cre: stellato ; cfr. Boet. Cons. phil.
III, metr. 9.
131, MENTE: divina, dalla quale il cielo
stellato riceve la sua forza e la imprime
nei cieli inforiori. Così Ott., Postil. Cass,,
Rent., Buti, Land., Vell., Tom.,Cam. ecc.
Meglio forse: quella Intelligenza, od An-
gelo, la eni il cielo stellate è mosso. Com
Varchi, Dol., Dan,, Vent., Lomb., Riag.,
Ces, Br. B., Frat., Greg., Andr., Filal.;
Blane, Witte, eco, Questa interpretazio.
ne è confermata dal v. 136, Coofr. Par,
XXVIII, 90 © seg. Conv, II, 6. Com.
Lips, INT, 62.
122, PRENDE : ricove l'impronta che poi
imprime nellestelle ; ofr, Thom, Ag. Sum,
theol. I, 106, 1-3.
133, L'ALMA: «siccome l'anima razio-
nale, fino ch'è congiunta col corpo (detto
qui poles, secondo Genes, III, 19, Salm.
CIII, 29. Keel, X 11,7), per diversi organi
adopera sua virtà, per l'occhio la vista,
e per l'orecchio l' udire: così la intelli-
genza ndopera sua bontade per snoi or-
gani, li quali sono le spero e le stelle; »
Lan., Ott., An. Fior, Cfr. Virg. Aen. VI,
720 © seg.
134. CONFORMATE: ordinate 6 disposte,
185, rortgNzR: ai diversi sensi, del tat-
to, della vista, dell'udito, del gusto, ecc.
- 8I RISOLVE: si spiega. « Come l'anima
umana spiega (#i risolve) la propria virti
nelledifferenti membra corporee per mez-
zo di varie potenze o facoltà, così la in-
telligenza separata (angelo) sebbene sia
una, spiega nelle innumerabili stelle, co-
me in tante varie potenze, la sua virtà ;»
Corn.
138. Gimnanpo: ofr. Par. XITI, 60,
130. mvritsA: « adopera essa motrice
Intelligenza in ciasonno di que' preziosi
corpi, in ciascuna stella, a cni quasi a
‘Inrlo vita si logn, varia virti, dando a
chi un' influenza, od a chi un'altra ; »
Lomb.
140. conro: celeste, detto prezioso per-
chè incorrattibile.- cH’ RLL'AVYIVA ; Al.
cur t'avviva; ma l' Intelligensa avviva
la stella, non la stolla l'intelligenza.
7] imo]
Par. 11, 141-148
[INPL. DEI CIELI]
Nel qual, sì come vita in voi, si lega.
142 Per la natara lieta onde deriva
La virtù mista per lo corpo luce,
Come letizia per pupilla viva.
145 Da essa vien ciò che da luce a luce
Par differente, non da denso e raro:
148 Conforme a st
141. IN vor:
congiunge co
colla stella, (
Benv. è quasi .
= nel qual cory
unisce come m------ | __.,_
Vell., ecc, Cfr. =
142, NATURA dl |
VII, dd e Bag. 1 ———— |
I, 4. Al: per'
genza motric » Von
Pog., Biag., =, BOU
143. MIBTA 7 = seve coer cool potoi
l'angelico, 6 delle proprietà di crascuu
corpo e di quelle che ad esso vengono
da tutti 1 corpi superiori e da ciasche-
duno; » Tom. Forse meglio Benv.: « vir
tus motoris juncta cum planeta suo. »
144. viva: cone brilla la letizia in viva
pupilla. « La virth, mista por lo corpo,
luce per la lieta natura da cui deriva,
como lu letizia luce pur la vivacità della
pupilla. Perchè è lu vivacità della pupilla
cho fa apparir la letizia ; > Betti.
Ul dea
i è il chiaro. »
Eas: virtù diversa, v. 139, ciod
i diversamente inflaita dall' In-
i motrice nasce la difforenza di
pianeta è pianeta, ed anche tra
parti dello atesso pianeta, come
nella luna.
iA: questa virti, o Intelligenza,
principio, cioè principio attivo,
utrinseca è sostanziale che pro-
Turenza dell'oscuro e del chiaro,
I diverso suo congiungimento
« IN principio formale è l'attivo,
ile è il passivo.
sao, i viibo : lat. furbidus; il torbo,
l'oscuro. Cfr. Varchi, Lez. sul Dante, I,
502 e seg. Com. Lips.IlI,54eseg.- «Et
hic ultimo nota quod Dantes non videtur
concludere nisi quod macula in luna pro-
cedit a primaria causa universali, tamen
non assiguat aliquam causam particula-
rem quie vst a raro ot denso. Aliqul ta-
mon dicunt quod ost a forma specifica,
sicut videmus aliquando quod in aliquo
lapide apparet certa umbra; » Benv.
[CIELO PRIMO]
Par. ttt. 1-7
[visione] 717
CANTO TERZO
—@—@—@"@—r
CIELO PRIMO
DELLA LUNA
MANCANTI AI VOTI DI CASTITÀ
—_____
VISIONE DI ANIME BEATE, PICCARDA DONATI
GRADI DI BEATITUDINE, COSTANZA IMPERATRICE
Quel sol, che pria d'amor mi scaldò il petto,
Di bella verità m'avea scoverto,
Provando e riprovando, il dolce aspetto;
4 Ed io, per confessar corretto e certo
Me stesso, tanto quanto si convenne
Levai lo capo a profferer più erto.
7 Ma visione apparve, che ritenne
V.1-52. Vistone di spiriti, Levando
la fronte per confessarsi a Beatrice, con-
vinto del sno errore e persuaso della
nuova verità dimostratagli, una visione
attrae l'attenzione del Posta in modo,
che egli dimentica la confessione. Gli spi-
riti di coloro che neglessero, o non osser-
varono interamente i voti appariscnno
come immagini riflesse in vetri traapa-
renti o in acque nitide. Credendo di ve-
dere infatti immagini riflesse, Danto si
volge indietro per guardare dove fossero
gli spiriti, e non vedendo nulla guarda
inbbioso Beatrice, la quale, dopo nn sor-
riso, lo trae dal suo inganno, insegnan-
dogli che quelle che vede non sono im-
magini riflesse ma sono invece vere so-
stanze ed ssortandolo n parlare a quelle
anime. Cir. Thom. Ag. Sum, theol. III,
Suppl., 85, 2.
1. 80L: Beatrice; cfr. Par. XXX, 75. -
PRIA: sin dalla mia puerizia; cfr. Purg.
XXX, 42,
2, veRTtÀ : intorno alle macchie lomari
od alle inflnenze dei cieli. Cfr. Cone. IV,
2, 8. Thom. Aq. Sum. theol, TI”, 15, 1.
3. PrOVANDO: Ia vera ana sentenza. -
mrrovanno: confotando In falsa mia
opinione; cfr. Conv. II, 2.
4. RD 10: «ed io più erto leval il capo
n parlare, a fine di confessare me stesso
tanto corrotto « certo, qnanto era dice-
volo ch'io fossi dopo lo ragioni addotto
da tal maestra; » Betti. - CORRATTO : del
mio orrore.- certo: della verità di quan-
to Beatrice mi avon dimostrato.
6. CONVENNE: lovai il capo quanto era
necessario per parlare, «sì ch'io non
passai lo modo; » Buti. AI. riferiscono il
tanto quanto si convenna al confessare;
ma allora dovrebbe stare conveniva.
0. A PROFFERER: per esprimere la min
confessione. Proferere, dal lat. proferre,
lo stesso che Proferire, Articolare le let-
toro, le sillabe, le voci, mandandone fuori
isooni.-rrro: per pol chinarlo con con-
no d'assenso,
7. VISIONE ATTARVE: Al. VISION M'AP-
rARVR; ma qui ai tratta di una vista di
cose renli, oggettive, non di una visione
soggettiva del Posta. Una soena affine
Purg. XV, 82 6 sog.
| J]
MO]
PAR. ITI. 8-26
[visrone]
A sé me tanto stretto per vedersi,
Che di mia confession non mi sovvenne.
10 Quali per vetri trasparenti e tersi,
O ver per acque nitide e tranquille,
Non sì profonde che i fondi sien persi,
18 Tornan dei nostri visi le postille
Debili si ch- ~-~*- *- **---~ fronte
Non vien m re pupille;
16 Ta! «jo più ‘onte,
‘io € itrario corsì
4 , uomo e il fonte.
19 5 rsi,
WU6lio sulus embianti,
Per veder di schi tòrsi;
22 E nulla vidi, e |
Dritti nel lu mida,
Che sorridenu. \echi santi.
25 « Non ti maravigliar perc.. .. sorrida, »
Mi dixso, «approsso il tuo pucril coto,
8. TANTO BTRETTO: tanto applicato. -
PER VEDERSI: per essere da me veduta;
cfr. Purg. XIV, 126; XVII, 22 © seg.
Virg. den. I, 495: « Dum stupot optu-
tuque luvret delixus in uno. »
10. vER vETRI: cfr. Virg. Aen. VIII,
759. Conv. III, 9.
11. PKR ACQUE: cfr. Prov. XXVII, 19.
- NITIDR: cfr. Ovid. Met., 407. Horat. Od.
I1I,18. Stat. Theb.IV,817.- TRANQUILLE:
cfr. Lucan. Phars. IX, 352.
12. rKusi: i più spiogano perduti di vi-
sta ed intendono : Non peraltro tanto pro-
fonde che i fondi non si veggauo; poichè
in questo caso |’ imagine resa dalle acque
non sarebbe tanto languida. Così Petr.
Dant., Benv., Buti, Vell., Dan., Vent.,
Lomb., ecc. Secondo altri persi ha anche
qui il senso di oscuri, neri (cfr. Inf. V, 89;
VII,103. Purg. IX, 97. Conv.IV, 20). Co-
sì Lan., An. Fior., Land., Vol., Bennas.,
Blanc, Caverni, ecc.
13. LK POSTILLE: i lineamenti. « Z’ostil-
la è quella immagine nostra, che ci rap-
presenta in acqua o in ispecchio, o altro
corpo trapassante, o vuoli l'immagine
della cosa specchiata della materia ;» Ott.
- « Probabilinente vuol dire che quelle
deboli immagini sono all’ immagine per-
fetta riflessa in uno specchio ciò che le
note succinte sono al testo d'un libro; »
Blane.
14. PERLA: bianca perla è difficilo a di-
scornore in fronto biancu. Cfr. Arivsto,
Orl., XXIV, 66.
15. MEN TOSTO: Al. MEN FORTE; cfr.
Com. Lips. IIl, 59 e seg. Moonk, Crit.,
447 © seg.
16. TALI: così indistinte, poco lucenti.
- PRONTK: la voglia di parlare col Poeta
si leggeva loro in viso, ardente di cele-
ste carità ed amore.
18. A QUEL: all'errore di Narciso, che
credettel’immaginespecchiata dall'acqua
vero viso(cfr. Ovid. Met.III,407-510. Inf.
XXX,128), mentre invece Dante crede
immagini i veri visi.
19. DI LOR: delle dette facce.
20. BPECCHIATI BEMBIANTI : immagini
riflesse di visi che mi stessero dietro.
23. GUIDA: Reatrice.
24. anpka: cfr. Vary. Aen.lI, 405; V,
277, 647.
26. Ari‘KKs80: in seguito al tuo pen-
siero fanciullesco. - COTO: Al. QUOTO.
Cfr. Inf. XXXI, 77. ASQUINI, Intorno
al vero significato della parola Coto usata
da Dante, nol Giorn. Arcad., 1834, LXI,
152-62. NANNUCC., Sopra la parola Coto,
Fir., 1839. Com. Lips. LI, 61.
[creLo PRIMO]
PAR. 111. 27-38 [PICCARDA DONATI] 719
Poi sopra il ver ancor lo piè non fida,
28 Ma ti rivolve, come suole, a vòto.
Vere sustanzie son ciò che tu vedi,
Qui rilegate per manco di véto,
31 Però parla con esse, ed odi, e credi;
Ché la verace luce che le appaga,
Da sé non lascia lor torcer li piedi, »
34 Ed io all’ombra, che parea più vaga
Di ragionar, drizza' mi, e cominciai,
Quasi com’uom cui troppa voglia smaga:
37 « O ben creato spirito, che a' rai
Di vita eterna la dolcezza senti,
27. rol: poichè il tuo ponsiero non si
fonda ancora sopra la verità, ma ti fa por
vaneggiare dietro i sensi. « Tu sei nsato
di ricorrere alla fisica per le cagioni delle
cose naturali, e così vi ricorri ora per
cagione delle cose sopra natora, ed a que-
sto non è sufficiente la fisica, ma la teo-
logia; » Buti,
28. svoLE: ogni pensiero fanciullesco,
- A vòro: in vano.
20. susTANZIEe: spiriti reall, 6 non im-
magini riflesse.
20. NILEGATK: confinato, Appariscono
qui, ma hanno, come tutti i beati, la loro
sede nell''Empireo; cfr. Par. IV, 28 e
seg. Pone le anime di coloro che man-
carono de' voti nella Luna, pianeta in-
costante; cfr. Ecclas. XXVII, 12. - von
MANCO: per mancamento ni voti fatti.
82. Luce: Dio, in coi trovano l'appa-
gamento di ogni loro desiderio,
83. rorcer: non Inscia dir loro che
il vero,
V. 34-57, Piccarda Donati. Dante si
volge ad una di quelle anime e la prega
di manifestargli il evo nome e di latruirlo
anlla condizione dei beati di questo elelo,
E l'anima beata risponde: Sono Piccar-
da; siamo In questo infimo cielo per man-
camento di voti,
Piccarda fu figlia di Simone (cfr. Inf.
XXX,82esog.) e sorella di Forose (Purg.
XXIII, 48) e del famoso Corso Donnti
(Purg. XXIV, 82 © seg.). « Entrò nel
monastero di santa Chiara, dell'ordine
de’ Minori; fue bellissima donna; stata
questa donna nel detto Monisterio, oc-
corse a messer Corso di fare un paren-
tado in Fiorenza ; non avea nè chi dare
nèchi torre, sì che fne consigliato di trarre
la Picearda del munistero, e fare tal pa-
rentado. Credette costui a tal consiglio,
e sforzatamente la trasse del monistero
© maritolla;» Lan., An, Fior, - « I suoi
fratelli l'aveano promessa di dare per
moglie ad un gentile nomo di Firenze,
nome Rossellino della Tosa, la qual cosa
pervenuta a notizia del detto messer
Corso, ch'era al reggimento della città di
Bologna, ogni cosa abbandonata ne venne
al detto monisterio, e quindi per forza,
contro al volero dolla Piccarda e delle
suore e badessa del monisterio la trasse, e
contro al suo grado In diede al detto ma-
rito; la qualo immantanente infermò, e
finì li suoi di, e passò allo sposo del Cie-
lo, al quale spontaneamente s'era ginra-
ta;» Ott. Così pure Petr, Dant., Cars.,
Benv.,Serrav,,ecc, Cfr. Todeschint, Seritti
su D.,I,23060s0g. Fruscella, Piccarda Do-
nati, nel Propugnatore, IX, 2, p. 105-127.
Com. Lips. III, 64. Del Lungo, Dino 0,
II, 115. Vernon, Inf. vol. IT, p. 461 6 seg.
84. VAGA: avendo conosciuto il Poe-
ta nella prima vita ed avuto relazioni
con lui.
36. com' VOM: quasi confuso e turbato
per lo soverchio desiderio di conversare
con quell'anima; ofr. Petrar., Rall,,1,86
aeg.- SMAGA: fa smarrire o sviar |' anl-
mo, turba.
BT. BEN CREATO: 0 spirito oroato per
l'eterna felicità, che a noi mortali non è
dato di comprendere, perchè, INosi dai
piaceri terreni, non la possiamo gustare.
- A’ RAI: riguardando in Dio, sole degli
angeli, luoe eterna e nostro sommo be-
ne; ofr. Par. X, 53; XI, 20; XIV, 47.
38, senti: godi l'ineffabile gioia del
Parndiso,
=
ELO 1 tIMO]
—_—_—
PAR. TIT. 99-52
[PICCARDA DONATI]
Che non gustata non s'intende mai,
40 Grazioso mi fia, se mi contenti
Del nome tuo e della vostra sorte, »
Ond’ olla pronta o con occhi ridenti :
43 « La nostra carità non serra porte
A giusta voglia, se non come quella
Che vuol si “~*~ ** na corte,
40 Io fui nel mom lla;
E se la mer marda,
Non mi ti c bella,
49 Ma riconoscer» sarda,
Che, posta gq tri beati,
Beata sono i arda.
62 Li nostri ; mmati
39. NON 8'INTENDR: «A pi
mn dolcezza al core, Che int
la può chi non la prova; + Vuws., ,
son. 16: «Quando non abblamo esperi-
mentato in nessun modo una specie di
sapore, è impossibile che ce ne formiamo
l'immaginazione; » Corn.
40. GRAZIOSO: mi sarà grato so appaghi
il mio desiderio di sapere chi sei e perchè
siete qui. « Questa dimanda semplice,
senza alcuna promossa di fama nel mondo
e d'aiuto d’orazioni, è conveniente al Pa-
radiso dove la carità non serra porte; »
Settembrini.
42. RIDENTI: di quella gioia che nasce
da coloste amore.
43. NON SERNA: non nega soddisfuziono
ad un giusto desiderio. « La nostra carità
qui è simile alla carità di Dio che vuole
che tatti di sua corte (tutti i beati) sieno
a lui simili; » Corn.
44. 8K NON: non altrimenti che la ca-
rità di Dio, il quale vuole che tutto il
regno dei beati gli sia simile, ardente
della stessa carità che Egli è in essenza;
ofr. Ep. S. Giov. LV, 16.
46. VERGINI SORKLLA: suora vergine,
cioè religiosa di S. Chiara, ossia Fran-
cescana. « Sorella per suora, titolo delle
sacre Vergini velato; » Vent.
47, BI RIGUARDA : ritorna sopra sè me-
desima. « Il riguardare della mento a sè
stessa dimostra per convenevol modo
l'atto del ricordarsi, o richiamare alla
memoria alcuna immagine di cosa altre
volte caduta sotto i sensi o pensieri; »
|. BEN MI RIGUARDA: ma Dante
i tutto driezato a quell'ombra è
Uwe +«gilà maggiore, v. 88; quindi non
nveramestieri d'altro socitamento n bene
© più fissamente riguardarla. - « Nel Para-
diso dantesco le sembianze umane, fatte
celesti, son divenute così spirituali in loro
purissimo splendore, che in sul primo il
Poeta pena a raftigurar le persone; ma
tornando a loro lo sguardo, e aiutandosi
dell'associazione dello idee che si ride-
stano nel parlare con loro, viene poi a
riconoscere anco di mezzo alla nuova bel-
lezza i tratti individuali che le distingue-
vano una volta; » Perez. Confr. Thom.
Aq. Sum. theol. ITI, 64, 1. J71 Suppt., 79
© seg.
48. CELERÀ: «l'esser io divenuta più
bella non farà sì che tu non mi ricono-
sca. E s'accorda con ciò che Dante ri-
sponde co’ versi 58 e seg.;> Betti.
51. IN LA SPERA: Al. NELLA SPERA. -
PIÙ TARDA : secondo il sistema Tolemaico
la sfsra lunare è più piccola delle altre,
quindi, girando con quelle intorno la
terra si muove più tarda. « Hio spera
lane appellatur tarda, idest parva, quia
describit minorom circulum; vel dicitur
tarda quia ost remotior a primo mobili
et vioinior terr®, qua est immobilis et
gravis, vel quia facit tardos; » Benv.
52. AFFETTI: desiderii. Rispondo alla
domanda: della vostra sorte, v.41. « Vuol
diro: Noi godiamo di avere quella beati-
tudine che a Dio piace che noi abbiamo,
perchè amiamo il solo piacere di lui; » Ces.
[CIELO PRIMO]
PAR. HI. 53-66 [GRADI DI BEATIT.] 721
Son nel piacer dello Spirito Santo,
Letizian del su’ ordine formati.
55 E questa sorte, che par giù cotanto,
Però n’é data, perché fir negletti
Li nostri véti, e vòti in alcun canto. »
58 Ond'io a lei: « Nei mirabili aspetti
Vostri risplende non so che divino,
Che vi trasmuta dai primi concetti.
61 Perd non fui a rimembrar festino;
Ma or m’aiuta cid che tu mi dici,
Sì che raffigurar m' è più latino.
04 Ma dimmi: voi, che siete qui felici,
Desiderate voi più alto loco
Per più vedere, o per più farvi amici? »
53. NEL PLACER: nell'amore, nella dilet-
tazione; cfr. Inf. V, 104.
54. LETIZIAN: ai rallegrano, prendono
diletto. - FORMATI: prendono la forma di
beatitudine da Ini ordinata; oppure:
«hanno forma dall'ordine in che lo Spi-
rito Santo Ii pose; » Tom. FORMATI è lez.
ili quasi tutti i codd. e comm. ant. ; al-
cuni pochi hanno INFORMATI.
65. BORTR: questo ordine di beatitn-
dine, che pare tanto basso, ci è dato da
Dio perchè i nostri voti fnrono da nol
negletti e non osservati pienamente.
V.58-00,Gradi di beatitudine. Dante
si scusa di non avere riconoscinto Piocar-
da, causa In sovrumana di lei bellezza. Poi
chiede se la beatitudine di queste anime
non sia velnta d'alonna mestizia, per lo
desiderio che pnò rimaner loro di salire a
vedere altre anime bente, colle quali in
terra furono stretto da logami di paren-
tela o di amicizia. Piccarda risponde che |
beati non hanno altro volere che il volere
di Dioe che questo divin volere gli appaga
nppieno è li rende perfottamente beati.
Dante si conforma anche qui pienamente
alle dottrine dei SS. Padri; efr. Aug. De
civ. Dei XXII,90,2. Greg. Nazianz. Orat.
XXVIL,8; XIV,5; XIX,7; XXXII, 33.
Rari, Magn. in Funom., 3. Hieron, adv.
Tov., 2. Ilugo da S. Vitt., Frud. th., II,
18, 20. Ejuad,, Instit. mon. De an, IV,
15, soc, ~
58. ASPETTI: nelle vostro meravigliose
sembianze.
GO. VI TRASMUTA: altera lo primitive
vostre sembianze cho avoste in terra.
40. — Div. Comim., 3% ediz.
61. FERSTINO: presto, sollecito ; lat. fe
atintee.
63. LATINO: facile. « Perchè a’ tempi di
Dante le persone dotte scrivevano e par-
Invano latino, latino nsavasi a significare
iliscorso ornato o sermone (Par, XII,144;
XVII,36). E perchè tutto ciò eh'è ornato
è facile, o anzi è In facilità una condizione
essenziale alla grazin: latino venne a si-
gnificare anche facile, agevole. Di questa
voce in tale significato è vivo latinare,
ch'è detto da' conciatori per togliore con
fneilità In lana alle pelli di pecora, quando
per ln calcina son ben ricotti i bulbi
de' peli; » Caverni. Nol Conv. II, 3, lati
namente per facilmente, E latino per fa-
cile usò G, Vill. Cron, XI, 20.
64. DIMMI: « Dicite, felices anima tu-
que optimo vatea;» Virg. Aen. VI, 669.
La domanda potrebbe sembrare super-
fina, avendo Piccarda già detto che il
volere di quegli spiriti beati è in tutto
conforme al volere di quel Dio che as-
sognò loro tal posto. Ma Dante voleva
svolgere il concetto più chiaramente.
66. PER rit: desiderate voi di essere
in luogo più alto per vedere più amici
già fattivi in terra che Insaù si trovano,
o per farvi un maggior numero di amici
tra’ benti cho in terra non conosccate |
Dante 4 ancora ignaro dol fatto, che tutti
i beati sono nell’ Empireo, Cfr, 8. Inca
XVI, 0. «Creatura spiritualis ad hoo quod
sit beata, nonnisi intrinsecus ndjuvatur
mternitate, veritate, charitate Creatoris:
oxtrinscons voro si adjuvari dicenda eat,
fortasse hoc solo adjuvatur quod se in-
722 (CIELO PFiMO]
PAR, 1L 67-80 [GRADI DI BEATITUDINE]
67 Con uell'altr'ombre pria sorrise un poco;
D. indi mi rispose tanto lieta,
Ch'arder parea d’amor nel primo fuoco:
70 « Frate, la nostra volontà quieta
Virtù di carità, che fa volerne
Sol quel ch'avemo, e d'altro non ci asseta.
73 Se di ‘
Por.
Dal
76 Che vi
S'os
E se
79 Anzi é
Ten
vicem vident, et dc
dent;» Aug. in (den
quod amici sint neo
nem.... Ad bene es.
societas amicoruii.... Croma umana Leti»
tor so habet amicitia ad perfectam bea-
titudinem;» Thom. Ag. Sum. theol. 19,
IV, 8. 1 più spiegano invece: Desiderate
voi di essere in luogo più alto per miraro
più da presso la Divinità, o per farvi più
famigliari a Dio ; interpretazione contrad-
detta dai vv. 52-54.
67. ALTR' OMBEE: «quia non solum Con-
stantia, sed etiam multa alim virgines
eraut ibi in pari gradu: >» Benv. - son-
RISK: «desimplicitate qua:rentis;» Benv.
68. DA INDI: è qui il lat. deinde = quindi,
appresso.
69. NEL PRIMO FUOCO: nel più veemente
fuoco di un primo amore. Così Vell., Tom.,
Frat., Greg., L. Vent., ecc. Al.: nella
Luna, che è primo splendore e primo pia-
neta a noi; Benv., Buti, Land., occ. Al.:
nol fuoco dell’ amor divino, ossia in Dio
che dil primoamoroe; Vent., Lomb., Port.,
Pog., Biag., Ces., Br. B., Andr., Bennas.,
Camn., Franc., Giu!., ecc. Nell’ amor divi-
no, Piccarda non pareva soltanto ardere,
ma ardeva veramente; cd appunto que-
sto ardore nell’ amor divino vuol Dante
farci conoscere, paragonandolo ad altro
ardore che anche in terra si conosce.
70. VOLONTÀ: quarto caso. - QUIETA :
appagata, sazia.
71. VIKTÙ: caso rotto. - FA VOLERNE:
ci fa volere, desiderare soltanto ciò che
abbiamo.
18,
rl
16 cerne,
sti giri,
:0ess8e,
ri.
esse
roglia,
isitta: non c'invoglia, non ci
‘amosi di altro=di maggior bea-
rus «ef SUPRENE: in luogo più alto.
75, Cennk: velo; Inf. VIII, 71. Par.
XXI, 76; XXVI, 85. Se desiderassimo di
essere in luogo più alto, i nostri desiderii
non andrebbero d’accordo col volere di
Dio che qui ci vede, perchè qui ci ha ag-
giudicati e qui veder ci vuole. Sulle di-
verse altre interpretazioni confr. Com.
Lips. III, 68.
76. CAPERE: aver luogo. Il non confor-
marsi alla volontà di Dio non può aver
luogo in Cielo, dove dimora e domina la
carità, la cui essenza è per |’ appunto
l’acquetarsi nol divin volere. Cfr. Thom.
Ag. Sum. theol. 19, 17, 6; 1°, 65, 6; I?,
109, 3; II*, 23, 2.
77. NECESSE: necessario, necessità. « Ne-
cesse era parola comunissima nelle scuole,
di senso logico e libero, diverso dal ma-
terialo 0 servo senso pagano; » Tom.
78. NATURA: non la natura di questo
luogo (Buti), nd la natura di Dio, nolla
quale non può essere discordia o discre-
panza alcuna ( Vell.): ma la natura e l'in-
dole della carità, che in cielo ne rende
perfettamente conformi al volere di Dio.
(Benv., Dan., Vent., ecc.).
79. FORMALK: proprio della forma;
oggi si direbbe essenziale. - AD ESTO BRA-
TO: a questo vivere beato; alla natura
particolare di questa beata esistenza. Al.
A QUESTO; AD RSS0. - K85R: essere; forma
latina, anticamente dell' uso.
80. TRNELSI: volere ciò che Dio vuole,
[CIELO PRIMO]
PAR. 111, 81-93 [GRADI DI BEATIT.] 723
Per ch’una fansi nostre voglie stesse.
82 Sì che, come noi sem di soglia in soglia
Per questo regno, a tutto il regno piace,
Come allo re ch’a suo voler ne invoglia;
85 E la sua volontate è nostra pace:
Ella è quel mare, al qual tutto si move
Ciò ch’ ella crea e che natura face. »
n Chiaro mi fu allor com’ ogni dove
In cielo è paradiso, e si la grazia
Del sommo ben d’un modo non vi piove,
ol Ma si com’ egli avvien, se un cibo sazia,
E d'un altro rimane ancor la gola,
Che quel si chiere, e di quel si ringrazia;
nè mai oltrepassare i limiti del divin vo-
lere.
81. UNA: lo nostro voglie, del tutto
conformi al volero di Dio, formano con
orso una noln voglin. «Sola divina vo
Inntas, que semper est roota, ost regula
human actionia.... Divina volontas est
prima regula qua regulantur omnes ra-
tionales voluntates;» Thom. Aq. Sum.
theol. 113, 104,1. *
B2. II SOGLIA IN SOGLIA : di ciclo in cic-
lo; efr. Par. XXXII, 13.
83. A TUTTO IL neeNO: n tutti | beati
abitatori del celeste regno,
B4. ne: Dio. - A8SUO voLer: Al. IN 8UO
vot.itit. Piace a noi di esser dove siamo,
come piace a Dio, il quale fa che il suo
volere sia pure il nostro.
85. rack: il principio della nostra hea-
titndine, «Cum beatitudo nihil alind sit
quam adeptio summi Boni, non potest
ease beatitodo sine delectatione concomi-
tante.... et voluntas time quicacit, quoil
ost delectari; » Thom. Ag. Sum. theol.
1°, 4, 1.
86. MARR: « quel fine in che consiste In
nostra felicità, ed n che è diretto ogni ra-
gionevole atto delle creature; » Lan. è
An. Fior, - 81 move: como al ano prin-
cipio; ofr. Conv, IV, 12.
87. crea: direttamente, — r cnr: Al.
O CK. = FACE: crea pel ministoro della
natura. «Tutte le creature che sono im-
mediatamente da Dio oreate, o quelle che
sono mediatamente da Dio ed immedin-
tamento prodotte dalla natura, in modi
diversi, secondo la diversità di loro na-
tura, tutte sono dirette ad ultimo fine, e
tutte, in modi pure diversi, sono ordi-
nate a faro la volontà di Dio; » Corn.
88. ogni pove: ogni parte dei cieli,
ogni sfera, alta o basan cho sin.
RD, eal: n ciò nonostanto: o quant
que sin così. AI. gTAI.
00. D'UN MODO: dove più, dove meno,
aecondo i meriti ; beati è felici totti, bon-
chè la beatitudine sia con differente grado
e misnra loro dispensata. Cfr. Thom. Aq.
Sum, theol. 111, Suppl., 03, 2, 3. — « Co-
mocha la distribuzione delle divine grazie
non sia eguale per tutti, ciò nonostante
tutti sono in Paradiso, cioè beati. Cia-
scona anima è como nn vaso; ma sono
di diversa capacità: « tutte sono piene e
perciò incapaci di ricevere di più, quindi
gono beate; > Corn.
V. 01-108. Ll cote mancante di Pic-
card. Pienamente soddisfatto inquanto
alla sua domanda, se i beati desiderano
on più alto grado di beatitudine, Dante
vorrebbe sapere da Piccarda qual fosse il
voto da lei negletto, onde Piccarda rac-
conta come entrò nel chiostro di 8. Chia-
ra, o come ne fn tratta violentemente,
02. LA GOLA: fl desiderio, la brama.
93, QUEL: del quale rimane il desiderio.
-arcmene;: Al. sr cHienr. Cherere, dal
lat. quaerere, si disse anticamento per
chiedere; cfr. Diez, Gram. 11°, 622. - 8 DI
QueL: e di quell'altro cibo, del quale già
ai è sazio al ringrazia chi l'offre. «Inveco
di questo © quello, il Posta nsò avverti-
tamente quello 6 quello, perchd sì l' uno
che l'altro cibo sono dol pari indetermi-
nati nel caso genoralo ivi nocennato; »
Giul.
724 [CIELO PRIMO] —
PAR, 11, 94-104
[VOTO DI PICCARDA]
D Così fec'io con atto e con parola,
Pour apprender da lei qual fu la tela,
Onde non trasse insino al co’ la spola.
97 « Porfetta vita ed alto merto inciela
Donna più su, » mi disse, « alla cui norma
Nel vostro mondo giù si veste e vela,
100 Perché in fino al morir si vegghi e dorma
Con 'éto accetta,
Che onforma.
103 Dal m rinetta
Fu
D4. così: con att
grazial Ticearda de
quesito, e la pregal
altro, per sapere d
voto che ella non cor
cfr. v. 66 è seg. La
era naturalmente i-
fingo di non èsserni
motivo di parlarn
06. LA TELA; «(queste saw
del quale volea esser chiarito, or. » in-
tendere qual fu la vita sua che essa co-
mincid nella religione ma non la finì; e
parla per traslazione, chiamando la vita
tela, della quale essa non trasse la spola
inzino al co’, cioò insino al capo, clod in-
siuo al tino, perciocchò ln spola è quella
che conduce il filo della trama di qua in
là tanto, che la tela s’ empie; » Land.
96. co’: capo; cfr. Inf. XX,76; XXI,
64. Purg. III, 128.
97. vira: contomplativa. « Perfoctio
hominis est, at contemptis tomporalibus,
spiritualibusinhicreat; » Thom, Ay. Sum.
theol. 13, 99, 6. Cfr. ibid. 11%, 184, 5; I1?,
186, 7.-MkkTO: «ineritum virtuosi actus
consistit in hoc quod homo, contomptis
bonis creatis, Deo inlueret sicut fini; »
Thom. Aq. Sum. theol. 119, 104. 3. - 1N-
CIELA : colloca in più alto cielo.
98. DONNA: Santa Chiara d'Assisi, na-
ta nel 1194; si chiamò nel secolo Chiara
Scifti e fa donna riccae bellissima. A man-
te sino dalla sua fanciullezza del ritiro è
della penitenza, o presa in ammiraziono
per le virtà dol suo concittadino S. Fran-
cesco, Chiara si pose sotto lu direzione di
lui, od incoraggiata da suvi consigli fondò
nel 1212 un monastoro per le vergini ed
una regola che in breve si diffuse por
tutta l'Italia. Cossò di vivore l' undici
ni chiusi,
del 1253. Confr. J, von Orabach,
der heil, Clara, Aachen, 1844,
i, Leben der Al. Clara von Ass
fensburg, 1857. Com, Lipa. IL,
LLA CU! NOUMA: secondo la cul
I VESTR E VELA: si prende l' abito
o cd il velo monacale.
il Vvkooni DbOrma : al stia giorno
vewes in compagnia dj Cristo, Allmlo
forse alla parabola evangelica delle dicci
vergini, S. Matt. XXV, 1 6 seg.
101. sroso: così è chiamato Cristo nel
Nuovo ‘l'estamento, cfr. S. Matt.IX,15;
XXV, 1, 5. S. Marco II, 19. 8S. Luca V,
34. S. Giov. TIT, 29. Z/esi V, 25. - ac-
Cerra: cui è accetto ogui voto offertogli
per libera e pura volontà di piacere a
lui. « Ad votum tria ex necossitate re-
quirantur: primo quidem deliberatio;
secundo propositum voluntatis; tertio
promissio, in qua porficitur ratio voti....
Votum est testiticatio quicdam promis-
sivnis spontaniv, que Deo et de his quo
sunt Doi, fieri debet.... Votum est pro-
missio Deo fucta. l’romissio autem cet
alicujus quod quis pro aliquo voluntarie
facit.... Cum omne peccatum sit contra
Deum, nec aliquod opus sit Deo acce-
ptum, nisi sit virtuosum, conseqaens est,
quod de nullo illicito, nec de aliquo indif-
turenti debeat fiori votum, sed solum de
aliquo acta virtutis.... Vota quw sunt de
rebus vanis et inutilibus, sunt magis
doridonda quan servanda; >» Thom. Ag.
Sum. th. 113, 88, 1, 2.
103. GIOVINETTA : «idest, puella adulte
iwtatis; » Benv. Cfr. Thom. Ag. Sum. th.
II?, 88, 9.
104. FUGGI' MI: mi fuggii e presi l'abito
di Santa Chiara, mi foci monaca.
[CIELO PRIMO)
Par. 111. 105-111 [COSTANZA IMPER.] 725
E promisi la via della sua setta.
106 Uomini poi, a mal più ch’a ben usi,
Fuor mi rapiron della dolce chiostra;
E Dio si sa qual poi mia vita fusi.
100 E quest’ altro splendor, che ti si mostra
Dalla mia destra parte, e che s'accende
Di tutto il lume della spera nostra,
105. rromsi: feci voto di vivere nella
regola di 8, Chiara. - via: il modo di vi-
vere, la rogola ; cfr. Atti IX, 2. - BETTA:
séguito, compagnin, ordine (lat, sesta a
scetando). Setta nanvasi anticamente an-
cho in bnona parto; ofr. Purg. XXII,
87. « Ifa quosta voce il significato Inno-
cento, che lo viene dalla origine, ancho
nel proverbio toscano: Una pecora in-
fetta ne ammorba ona setta; » Caverni.
106, vomini: i Donati, « Della casa
de' Donati era capo messer Corso Do-
nati, e egli e quegli di suna casa erano
gentili uomini e guerrieri, e di non so-
perchia ricchezza, ma per motto erano
chiamati Malefami;» Vill. VIII, 39. Cfr.
Oionacci, Storia della B.Umiliata,1V,4.
107, RAPIRON : «Cursus frater ad versos
sororem virginem ira percitus, nssumpto
secum Farinata sicario famoso, et aliis
dAnodocim perditissimis sycophantis, ad-
motisque parietibus schalia, ingressus ost
sopta monnsterii : captamque per vim so-
rorem ad paternam domum aecum nbdn-
xit, et ancris discissis vestibua, mundanis
indotam, ad nuptina coegit. Antequam
sponsa Christi cum viro conveniret, ante
imaginom Crucifixi virginitatem suam
sponso Christo commendavit. Mox to-
tum corpus ejos lepra percussom fuit,
ut cernentibus dolorem incuteret, et hor-
rorem ; itaque, Deo disponente, post all-
quot dies cum palma virginitatis migra-
vit ad Dominum ;» Red. da Tossignano,
Hist. Seraph. Relig. I, 138, Racconto leg-
gendario.
108. FÙSr: al fu. « Vuol dire che per-
dette la verginità, e dovette far tutte le
volontà del marito; » Betti. — «Chi legge
attontamento il terzo od il quarto canto
dol l'arnidiso scorge manifesto, cssore ata-
ta forma porsunsione di Dante, che T'ic-
carda non mai si acconciasse con animo
volenteroso alla condizione violentemen-
te impostale dal fratello, ma pure non
osarse di sciogliersene per timore di
nuovi danni; ch'elln conservasse l'amore
dolla sun professione religiosa, ma pure
non avesse il coraggio di rompere riso-
lutamente gli ostacoli, che il mondo
avern frapposti all’ ossorvanza de' suoi
voti. Lo parole di Dante ci lasciano
campo a crodore cho fosso abbreviata
In vita di Piocarda dal vivo contrasto
sorto nell'animo di loi: ma ch’ ella, ap-
pena data a marito, ardentemente pre-
gasso e prodigiosamente ottenesse di es-
sere immantinente sottratta agli effetti
della violenza nsatale da messer Corso,
ciò dee mettersi senza fallo per una di
quelle narrazioni raccolte, non so s'io
ilica dalla bonarietà o dalla imprudenza,
che s'aoquistarono il titolo di leggende
fratescho.... Dante considerava bensì Pic-
carda como vittima dell'altroi violenza,
ma pure non iscema affatto di colpa, nò
certamente di virtà straordinarie dotata,
o per grazie sognalato distinta; » Tode-
schini I, 337 è seg. Cfr. Com. Lips. IIT,
75 © seg.
V. 109-120. Costanza lmperatrier.
l'iccarda racconta di un altro spirito
bentonliadi lei destra, ragginnto di tutto
il lume di quella sfera. È Costanza, figlia
postuma di Roggoro I, ultima erede dei
Normanni o regina dello Duo Sicilio, mo-
glie di Arrigo VI imperatore o madre di
Federigo II, nata nel 1154, sposata nel
1185, morta nel 1198. Dante segue qui
una favola, ai suoi tempi universalmente
creduta nn fatto storico, che Costanza si
fosso monacata e dall'arcivescovo di T'a-
lermo, Gnaltieri Offamilio, tolta dal chio-
stro. Sn questa ed altre favole concer-
nenti l'imperatrice Costanza cfr, Com.
Tapa. III, 77-70, Vill. IV, 20; V, 16. Vi-
po, Dante a la Sicilia, p., 14 o sog. Rarlow
Contrib., 997-00, Giannone, lat, XV, 2.
109, sriexbor: confr. Conv. JIT, 14.
Thom, Aq. Sum. theol. ILI, Suppl. 86, 1-3.
111. TUTTO: «secundom quod anima
erit majoris claritatia secundum majns
meritum, ita etiam orit diffwrentin clari-
tatis in corpore; + Thom, Ag. ibid., 85, 1.
-- = e << voy w
Generò il terzo, e l’ultima possa
121 Così parlommi, e poi cominciò Ave
Maria, cantando; e cantando vai
Come per acqua Cupa cosa grave
124 La vista mia, che tanto la Seguio
Quanto possibil fu, poi che la pe
112. INTEXDE: lo intendo detto anche
di nò; la mia storia è pure la sua,
115, SORKLLA ; monaca. - cos}: a forza,
como a me,
114, L'OMImA: la copertura dol velo
115, run: essa pure, come fal io.
116. contra: violentements, e contro
Il buon uso di non wai tornare al se-
colo monache professe,
117, KON FU: rimaso sempre monaca
col onore, serbando ognora affetto allo
stato monacalo. « Avvegna che fosse in
azione dell’ abito estrinseco, sempre
lo ano cuore foe chiuso v velato dalle
prodotto sacre bendo, quasi a dire che
Banpro ebbe l'animo e la voglia alla vita
permea per tonne voto; » Lan. 6 An,
110. seCONDO; Arrigo VI imperatore,
figlio di Federigo I, n, 1165, m, 1107. -
VINTO: gloria umana; Post. One, Petr,
Pant., Ituti, Land., Vell., ecc.; onore, la-
me della Casa di Svevia; Zenv., Parenti,
Frane. Glimt asa i anaaabi, —-_
timo Imperator
tima possanza |
di ultimo ripe
V. 121-130, i
alla fine del su
tuona un' Avon
risce colle altre
aeree
non le può più w
alla sua Boatric
possibile s0ppari
vede costretto a,
il parlaro,
122. vanlo: di
contr. Virg. da
658,
[CIELO PRIMO]
PAR. 111. 126-180 - 1v. 1-4
[punn] 727
Volsesi al segno di maggior dislo,
127 Ed a Beatrice tutta si converse;
Ma quella folgorò nello mio sguardo
Sì che da prima il viso non sofferse,
130 E ciò mi fece a domandar più tardo.
126. sRoNO: Beatrice, oggotto del più
intenso mio desiderio.
128. ro.agond: « necenna fl divario
grande, che suppone, tra lo splendore
folle anime della Luna e quello di Bea-
trico; » Lomb.
129. NON SOFFRRAR: non pot) in sol
principio sostonero tanto splendoro,
CANTO QUARTO
CIELO
PRIMO DELLA LUNA
MANCANTI AI VOTI DI CASTITÀ
[=
LA SEDE DEI BEATI, IL RITORNO DELLE ANIME ALLE STELLE
IL LIBERO ARMTRIO, VOTI INFRANTI E LORO RIPARAZIONE
Intra due cibi, distanti e moventi
D'un modo, prima si morria di fame,
Che liber uomo l'un recasse ai denti:
4 Si si starebbe un agno intra due brame
V. 1-9, Dubbi di Dante, Udito il ra-
gionamento di Piccarda, Dante è combat-
tuto tra due dubbi d'ognal poso che lo
premono con egual violenza. Dipinge la
sua situazione con due similitudini ri-
aguardanti una poco felice questione filo-
sofica del tempo. Cfr. L. Vent., Simil.,
408. Ferroni, negli Atti della Orusca I,
1-11. Zanchi, Alcune armonie, occ. Ve-
ronn, 1863, p. 154-181,
L. DUE: «sì allqua dao sunt ponitus
mqualia, non magis movetur homo ad
unum quam nd aliad; sicut famelicus si
habet cibum mqnaliter appetibilem in di-
vorsis partibus, et secundum mqualem
distantiam, non magis movetur ad unum
quam ad alteram;» Thom. Ag. Sum.
theol, 1°, 13, 6. - moventt: l'appetito,
«che non ci fosse motivo più per |’ uno
che per l'altro; » Tom.
8, LIBER : dotato di libero arbitrio, - nr-
CASSR: Al. 51 RECASSE.
4. AGNO: lat. agnus, agnello; ofr. Par.
IX, 131; X, 94. - DUR HhRAMR: tra duo
famelici Inpi, non sapendo da quale del
due più tosto fuggire, « Tigria ut anditia
divoraa vallo duorum Extimulata fame
mugitibus armentorum Noscit, ntro po-
tius runt, ot ruere ardet utroque: Sic
dubius Porseus ; Ovid, Met., V, 164 6 sog.
po fvvaeuug a ira,
Che l’avea fatto ingiustamente fèl
16 E disse: « Io veggio ben come tj tira
Uno ed altro disio, sì che tua cura
Sé stessa lega si che fuor non spira
19 Tu argomenti: “ Se il buon voler dur,
La violenza altrui per qual ragione
Di meritar mi scema la misura ha
22 Ancor di dubitar ti dà cagione,
Parer tornarsi anime alle stelle,
mai» Virg. Melog. VITI, 28. e Tn
cervique a Nune interquo
canes et m tecta Vagantur; » Virg.
Georg, III, 539 a so ,
7. URE CHE: in virtà di questa legge di
non meritava né
nò lodo, p : lo io egual.
mente spluto da' miei duo dubbi, il mio
© era necessario, Soltanto ciò che
liberamen
l'uomo fa te può meritar lode
i biasimo, i
V. 10-27. x dubbi indovinati ed
esposti. Dante tace, ma sul suo volto
è espressa la che lo labbra
non proferlacono, Beatrice che, valendo
Ogui cosa in Dio è nel cuore,
i IL
Sépone i soni ina Aki: ©
[CIELO PRIMO]
PAR. tv. 24-84
[SEDE DEI REATI) 729
Secondo la sentenza di Platone.
25 Queste son le question’ che nel tuo velle
Pontano egualemente; e però pria
Tratterd quella che più ha di felle.
28 Dei serafin’ colui che più s’ india,
Moisè, Samuel, e quel Giovanni,
Qual prender vuoli, io dico, non Maria,
31 Non hanno in altro cielo i loro scanni,
Che quegli spirti che mo’ t’ appariro,
’ Nè hanno all’ esser lor più o meno anni.
a4 Ma tutti fanno bello il primo giro,
ma di trovarsi lo anime nei corpi umani
git esistessero nello stelle, 6 che alla
morte dell'nomo tornassero alle stelle
medesime ; cfr. Plat. Tim. rec. Hermann,
p. 41 A; Aug. Civ. Dei XTII, 19. Thom.
Aq. Sum, cont. gent. II, 47, 48; IIT, 73,
84; opinione riprovata da Dante per
bocca di Neatrico, ma cho sembrava con-
fermata dal fatto del ritrovarsi le anime
nella Luna e nelle altre stelle.
25. VELLE: termine acolastioo =I) vo-
lere, la volontà.
26. PONTANO : s'appnutano nel tuo vo-
lere, fanno uguale stimolo, chiedendo
apiegnzione.
27. reLLE: fiele, veleno, pericolo di
male. Si può chiedere, se il Poeta in-
intende che la dottrina platonica sia più
paricolosa in generale, o principalmente
per loi medesimo, nel qual caso egli con-
fesserebbe qui di averdubitato una volta
circa l'anima umana, Veramente i dubbi
che egli va manifestando e facendosi
sciogliere da Beatrice, sono da conside-
rarsi come dubbi reali, non solo como
finzioni poetiche. Più sopra, Par, II, 40
e seg., Dante combatte per bocca di Bea-
trice ona opinione da lui propngnata nel
Conv. Si dovrà inferirne, aver egli ve-
ramente dubitato un tempo della verità
o falsità della dottrina platonica sulle
anime ed aver egli più tardi riconoscinto
tale dottrina essere peribolosa e contra-
ria alla fede cristiana. Cfr. Com. Lips.
III, 85.
V. 28-63. La sede dei heati. Bea-
trice combatte la dottrina platonica sul
ritorno delle anime alle stelle. Tutti
quanti i beati senza eccezione sono nel-
l'Empireo e si mostrano in diverso afe-
ro, non già per aver sortito divorso Ino-
go, ma per significare il loro grado di
boatitudine, Così conviene parlaro al-
l'nmano ingegno, perocchè solo da sen-
sato appronde ciò che poscia fa degno
d'intelletto, onde anche la Scrittura Sa-
ora sì accomoda nel suo linguaggio al-
l'mmana capacità, come fa pure la Chiesa
rappresentando gli angeli con nspetto
mmano. Forso però fl concotto di Pin-
tone è diverso da quello che sembrano
anonare le sno parole ed egli non in-
tende che dell'influenza operata dalle
stelle sulle anime umane, nel qual caso
la sostanza del suo concetto sarebbe tale
da non meritarsi derisione,
28. s'Inpia: si unisce a Dio, gli è più
prossimo. Nomina prima i Serafini, per-
chè sono sopra tutti gli Angeli, Conv.
II, €; poi Moisè, il massimo dei profeti,
Deuter, XXXIV, 10, al quale accoppia
Samuele, secondo Gerem. XV, 1: quindi
i dne Giovanni, |' Evangelista, il disco-
polo che Gesù amava, 8, Giov. XIII, 23;
XIX, 26, ed il Battista, il maggiore tra |
natidi donna, &. Matt. XI,11; finalmente
la Vorgino Madre, alta più che creatura,
Par. XXXIII, 2. Vuol dunque diro: I
sommi Angeli ed i sommi Santi del Pa-
radiso non hanno altrove loro sede che
quegli spiriti che or'ora ti apparvero.
30. NON MARIA: non eccettuata nep-
pure Maria.
31. mm aLTRO: tutti nello stesso cielo,
benchè diversi i gradi di beatitudine;
sulla quale diversità cfr. Thom. Ag. Sum,
theol, I, 12, 6, Vedi pure Conv. II, 4.
83. ANNI: «tutti sono eterni; non nol
luogo 6 nell'eternità loroè differenza, ma
nella beatitndine; » Land, Contro l'opi-
nione di Platone, che le anime separate
dai corpi rimanessero nelle stelle loro più
o meno anni, secondo i meriti riportati.
24, 1, rrimo: l'Empireo, Ivi sono tutti
Attribuisce a Dio, ed altro int
46 K santa Chiesa con aspetto uma
Gabriel e Michel vi rappresen
E l’altro che Tobia rifece san
49 Quel che Timeo dell’ anime argc
Non è simile a ciò che qui si:
i beati, La loro vita ba un diverso grado 47. Gam
di dolcezza, non per essere locati in di- IX, 21. 4
versi cieli, ma perchò soutono diversa- ofr. Daniel
mente lo apirare di Dio, quella beatitu-
dine che Dio intorno a sè diffonde, Cfr.
Thom, Aq. Sum. theol. III, Suppl. 03, 2, 9.
87. SONTITA: asseguata loro in sorte.
38. rik VAR SEGNO: porsignificare son-
albilmeute la loro afura celastialo, clod,
il grado della loro celeste beatitadino,
cho ha men salita, è il meno alto, l'in-
fimo di totti.
89. CHLIGTIAL; della sfora 0 beatitudine
colestiale, Al, SITKITUAL.
40. così: per mezzo materiale e sensibi-
le; ofr. Thom. Ag. Sum, theot. I, B4, 1, 6. IV, 21.
4l. DA SENSATO: «da oggetto sensi- l 4
bile apprende quel che poi diviene intel- III, 78, 84.
ligibile;» Tom, Cfr. Thom, Ag. Stima. 50. SIMILK
theol.I,1,9;1,12,4,11;1,77,7;1,78, quia
4; 1°, 3,8; III, 80, 9, farne inten
43. CONDISCENDE : parlando del braccio
© dei piedi di Dio, ln Sacra Scrittara sac parole.
usa traslati tolti da cose corporee, per
— _Pe ves di
[CIELO PRIMO]
Par. iv. 51-68
[SEDE DEI BEAT] 781
Però che, come dice, par che senta.
52 Dice che l’alma alla sua stella riede,
Credendo quella quindi esser decisa,
Quando natura per forma la diede.
55 E forse sua sentenza è d'altra guisa,
Che la voce non suona; ed esser puote
Con intenzion da non esser derisa,
58 S’ ogl’ intende tornare a queste ruote
L’ onor dell’ influenza e il biasmo, forse
In alcun vero suo arco percuote.
61 Questo principio male inteso tòrse
Già tutto il mondo quasi, sì che Giove,
Morcurio e Marte a nominar trascorse.
61. sRNTA: creda alla lettera.
52. pick: Tim., ed. cit., 41 A; il pas-
so è riforito testualmente Com, Lips,
IIT, 01,
63. QUINDI : da essa sua stella. - Deca:
tolta, separata; cfr. Purg. XVII, 111.
64. LA DIEDE: al corpo, come forma vi-
tale, « Forma hominis est anima rationa-
lia; materia notem homini sat corpus ; »
Thom. Aq. Sum. theol. 11%, 164, 1. « Ani-
ma rationalis est forma ani corporis; »
ibid. I, 76,1, 7, 8; ofr. ibid., 1, 00, 4;
DI, 4, ecc.
55. & Forse: può essere tuttavia che
l'opinione di Platone sia diversa da quella
che sembrano esprimere le sne parole nel
loro senso letterale, e cho sia concepita
con tale intendimento da non doversi
prendere n gabbo.
68. RUOTR: « revolnzioni dei cieli e dei
pianeti; » Buti, Se Platone intende, non
git che le anime discendano dal cielo e
el ritornino, ma che dalle stelle discen-
dano gl'infinasi buoni o cattivi, onde le
anime addivengono virtuose o prave, ci
anrebbe on po'di vero nella sna sen-
tenza, sssendochè dai cieli 0 dagli nastri
discende veramente qualche influsso in-
diretto, che però non è nocivo alla li-
bertà; ofr. Purg. XVI, 73. Par. II, 67.
69. owon; degl' influssi buoni, - na-
smo: degl'infinssi cattivi.
60. PERCUOTE: forse egli si appono in
61. rrivcirio ; « dictum Platonia, quod
ponebatur a philosophis antiquis tam-
quam principinm por se notum, mal in-
teso, juxta litornm tantum, forse, acili-
cet, in errorem magnum; » Benv. La
sentenza di Platone, presa nel senso che
le anime discendano dallo stolle e vi ri-
tornino, traviò già quasi tutto Il mondo
antico, diffondendo la porvorsn opinione
che le anime di nomini illustri, quali
Giove, Mercurio e Marte, andassero ad
abitare certe stelle o fossero pertanto
degne di attribuir loro quegli onori do-
voti alla sola divina Kssenra.
62. quast: il solo popolo giudnico fece
un'eccezione.
63. A NOMINAR: n dare ni pianeti i nomi
degli nomini illustri, lo cui anime cre-
deva che fossero in essi ritornate. « Deos
onim veto esse dicit Xenocratea: quin-
que cos qui in stellis vagis nominantur ; »
Cie. De nat. Deor. I, 18. Cfr. Com. Lips.
III, 92.
V. 64-117, I voti infranti. L'altro
dubblo che ocenpava la mente di Dante
era: So il voto manca per altrui violenza,
non già por proprio volere, perchè scema
il merito? Beatrico argomenta: Quelle
anime, di Picearda, di Costanza, ece.,
non consentirono nl malo; ma non vi si
opposero colla dovuta energia, né lo ri-
modiarono, ritornando, quando potevano,
al chiostro. Volontà non s'ammorza, se
non vuole, Fssenon ebbero la volontà che
tenne S. Lorenzo sn la grata è fe' Muzio
severo alla sun mano; però il loro mo-
rito non è pieno, — La teoria dei voti
religiosi in questo canto e nel segnente
mira a far risaltare In dottrina dell'uma-
na libertà ed n mostrare che nessuna
cosa esteriore può far piegare un'anima
che vnol consoguire con energia lo scopo
Come disiri, ti far
73 Se violenza è quand:
Niente conferisce
profieso. Cfr. Thom. Aq. Sum. theol. I,
81 e 83; I°, 6-21; Il?, 88.
64. DUBITAZION: termine scolastico =
dubbio concernente i voti infranti.
66. DA ME ALTROVE: la dottrina plato-
nica, professata da Origene, Nemesio,
Prudenzio e da altri teologi cristiani,
era stata condannata dall'autorità ec-
clesinstica nel concilio di Costantinopoli
dell’anuo 540; in merito ai voti iufranti
l'autorità ecclesiastica non si era ancor
esternata in modo preciso ed indubbio.
67. NOSTRA: celeste; cfr. Thom. 19.
Sum. theol. IIT. Suppl., 89, 1. So la di-
vina glustizia pare ingiusta negli ucchi
dol mortali, talo apparonza dovrobbo
guidarli alla fede è nou all’ incredulità,
sapendo essi che i giudizi di Dio sono
incomprensibili (ofr. Rom. XI, 33 e se-
guenti). Pensando a tale incomprensibi-
lità ta già dovresti appagarti e non vo-
ler comprendere I’ incomprensibile. Ma
trattandosi in questo caso speciale di
cosa, alla quale l'umano intendimento
può penetrare, io soddisfarò al tuo de-
siderio. Confr. Ansel. Oant. Prosl., 1.
Ejusd. De inoarn. Verbi, 2. Ejusd. De
sacram. alt. II, 2. Ejusd. Our Deus homo
I, 2. Ejued. Epp. lI, 41. Thom. Ag. Sum.
cont. gent. Proem., 9. Sulle diverse inter-
pretazioni di anasti vo-1-2 = -
(CIELO PRIMO]
76
79
Par. IV. 75-91
Non far quest’alme per essa scusate;
Ché volontà, se non vuol, non s'ammorza,
Ma fa come natura face in foco,
Se mille volte violenza il torza:
Perché, s'ella si piega assai o poco,
Segue'la forza; e così queste féro,
Potendo ritornare al santo loco.
Se fosse stato lor volere intero,
Come tenne Lorenzo in su la grada
E fece Muzio alla sua man severo,
Così le avria ripinte per la strada
Ond’ eran tratte, come fùro sciolte;
Ma così salda voglia è troppo rada.
E per queste parole, se ricolte
L'hai come devi, è l'argomento casso,
Che t’avria fatto noia ancor più volte.
[voti INFRANTI] 733
ol Ma or ti s’attraversa un altro passo
76, VUOL: « volantas non potest cogi ; »
Thom. Ag. Sum. theol, I, 82, 1; 1”, 6,
4, 5. — NON B'AMMORZA : non cessa, detto
traslativamente del cessare che fa il fuoco
ammorzandosi.
77. 1x Foco: che ad onta di ogni vio-
lenza torna pur sempre al sno naturale
tendere in an; cfr. Purg. XVIII, 28 è
seg. Par. I, 141. Conv, ILI, 3. De Mon.
I, 15. Ovid, Met. XV, 242 © seg.
78. ToRZA: torce violentemente; da
torzare, frequentat. di torcere ; ofr. Diez,
Wért. I”, 417 è seg. Caverni, Voci e Modi,
134 © sog.
79, si rime: 86 In volontà cedo assni o
poco, ean ncecondiscende e s' accomoda
alla violenza, nel qua) caso non è più as-
soluta e forma, ma difettosa, concorrenido
con nn suo atto a sognire l' altrui vio-
lenza ed adattandosi in qualche modo
all' altrui forza.
Bl. AL BANTO LOCO : al loro monnatoro
dal quale erano state tratto con violen-
za, Costanza, rimasta vedova nel 1107 vi
avrebbe potuto rientrare; ma Piccarda!
B2, INTERO: costante nol suo proposi-
to, come il volere di Lorenzo e di Muzio,
83. Lonenzo: martire, diacono di Ro-
ma, soffr il martirio ai tempi di Vale-
rinno (258). Impostogli dal prefetto di
Roma di consegnare il tesoro della Chie-
sa, gli menò i poveri od infelici, dicendo
questi ossere tal tesoro. Fu straziato a
colpi di frusta e di bastone per mano del
carnefice, quindi posto sopra nna grati-
cola (grada) sotto la quale erano carboni
accesi, Soffri questo supplizio con ammi-
rabilo costanza, deridendo i carnefici e
pregandoli di rivoltarlo sulla gratella,
perch’ tutto le parti del sno corpo fos-
soro ogualmonto arrostite; ofr. Pruden-
linus mepl otegàvwy Hymn., 2. Dre-
viar. Rom, ad 10 Augusti.
84. Muzio : C. Mucins CordnsSemvola,
giovine romano, che si arse quella mano
che err) a ferire quando volle necidere
Porsenna, Cfr, Tit, Liv, LT, 12 6 seg. Fal.
Max. Memorab., 12. Seneca, Epiat., 66,
Conv. IV, 6. De Mon. IT, 6.
85. così: come In volontà costante ten-
no S, Lorenzo in au la graticola e indusse
Muzio a punire nl fuoco la sun destra del
colpo fallitogli; così una volontà simile
avrebbe ricondotte quelle donne al chio-
atro subitocho furon sciolte dalla violenza
lor fatta o libore di tornare alla loro cella,
88, ricOLTR: ae lo hai ben comprese,
facendovi In debita attenzione,
89. L'ARGOMENTO : il dubbio enunciato
v. 19 6 seg. —- CASSO: cancellato, distrut-
to; efr. Par. 1I, 83.
DO. NOIA: questo dubbio, non isciolto,
ti avrebbe tormentato in più altre occa-
sioni, tornandoti in mente ancor poscia.
DI. TI B'ATTRAVERSA : sÎ prosenta alla
tun mente un'altra difficoltà, così grande
734 [CIELO PRIMO]
Par. 1v. 92-107
[VOTI INFRANTI]
Dinanzi agli occhi tal, che per te stesso
Non usciresti, pria saresti lasso.
dA Io t'ho per certo nella mente messo,
Ch’ alma beata non poria mentire,
Però che sempre al primo Vero è presso:
97 E poi potesti da Piccarda udire
Che l’affezion del vel Costanza tenne,
SÌ €
“100 Molte
Che
Si fu
103 Come J
Dal }
Per!
106 A que:
Che
che non la potrosti s
candoti prima. Bo qu
tante o poco a chi le
ro, come poteva Piccarda affermare che
Costanza « non fu dal vel del cor giam-
mai disciolta » (Par. III, 117)? La solu-
ziono soguo v. 100-114.
Di. KIKS60: Li ho dutto como cosa certa ;
Par. M11, 31 0 sog. Cir. Thom. Ay. cont.
gent. IV.
96. È PRESSO: è sompro vicina a Dio,
fonte del vero. Al. PELKÒ CH'È SEMPRE AL
PRIMO VERO API'RR880, che è loziuono di
parecchi ottimi codd.
97. UDIRK: Par. III, 115-117.
98. TENNK: conservò, desiderando sem-
pre di ritornaro al chiostro.
99. KLLA: Piccarda. - CONTRADIRE:
avendoti io detto che queste donne ade-
rirono in parte al volero de’ loro rapitori,
onde, so la contradizione fusse reale, e
non solo apparente, l'una o l’altra di noi
due si scostorebbe dal vero.
101. CONTRO A GRATO: a mal grado, di
mala voglia. Spesso per paura d'un male
si fa ciò che non si convivno. « Qui tocca
dolla voglia rispettiva, ch'è mozzo tra lo
appetito volontario assoluto, e lo invo-
lontario semplicemente; » Ott.
103. ALMKONE: che per ubbidiro al pa-
dre uccise la madre Krifile; cfr. Purg.
XII, 49 e seg.
104. vabuk: Anfiarao, ofr. Inf. XX,
31 o sog.
IE ZERO ALE O NOIE RIEN E LE LI
tradire.
ine
itro a grato
convenne;
‘egato
adre spense,
spietato.
pense
chia, e fanno ,
nerà - verso il padre,-srifraTo:
madro. « Ultnsquo parento Na-
Li. 1» facto pins ot scoloratus eodem , »
Ovid, Met. 1X, 407 o seg. Clr. Com. Lipe.
IIT, 100. .
106. A QUKSTO PUNTO: in merito alla
questiono in discorso, - 1'KNsk: ponsi, ri-
fletta. « Dobbiamo sapore cho sono due
volontà: l'una assoluta, la qualo non
può volere lo male: e l'altra rospettiva,
la quale vuol minor male por cessare lo
maggiore. E così può l'uomo volere con
volontà respettiva quelche non vorrebbe
secondo la volontà assoluta. Ma può cs-
sere che l'uomo s'inganni uel discernere
qual sia maggior male e qualo minore, e
allora si fa quello che non si deve, come
foce Gostanza, che elesse lo minor beno
parendole fuggir maggior male che non
fuggì eche non avrebbe fuggito, seavesse
seguitato lo maggior bene. E però è vero
che Gostanza colla volontà assoluta sem-
pre tenne la roligione; ma colla respet-
tiva no; e però vero dico io Beatrice che
intendo della volontà reapettiva, e vero
disse Piccarda che inteso della volontà
assoluta. E cusì è soluto lo dubbio; »
Buti.Cfr. Aristot. Eth. INI, 1. Thom. Aq.
Sum. theol. 1°, 6, 4-6.
107. 81 MIscitiA: alla violenza dell'uno
si unisce in parte la volontà dell'altro.
« Quolle cose cho per timore si fanno s0-
no misto, od anzi volontarie che involon-
tario; » Aristot., l. c.
[CIELO PRIMO]
Par. Iv. 108-123 [Nuovo DUBBIO] 785
Si che scusar non si posson |’ offense
109 Voglia assoluta non consente al danno,
Ma consentevi in tanto in quanto teme,
Se si ritrae, cadere in più affanno.
112 Però, quando Piccarda quello espreme,
Della voglia assoluta intende, ed io
Dell’ altra, sì che ver diciamo insieme. »
115 Cotal fu l'ondeggiar del santo rio,
Ch’ uscì del fonte ond’ ogni ver deriva;
Tal pose in pace uno ed altro disio.
118 « O amanza del primo amante, o diva, »
Diss’ io appresso, « il cui parlar m' inonda,
E scalda si, che più e più m’ avviva,
121 Non è l’affezion mia tanto profonda,
Che basti a render voi grazia per grazia;
Ma quei che vede e puote a ciò risponda.
108. OFFENSE: le offese a Dio, i peccnti
non si ponno scusare, « quia ad id quod
agitar per motam, voluntas timentia ali-
quid confort; » Thom. Aq. Sum. theol.
1°, 6, 6.
109. voontA: la volontà, quando ad
casa si mischia la forza, non acconsente
al malo assolutamente, ma vi acconsente
in quanto teme mali che stima maggiori.
« ind quod por metum agitur, abaque
conditions eat volontarinm, id est, se-
cundom quod actu agitnr; sed involon-
tarium est sub conditione, id est, si talis
motns non immineret;» Thom. Ag. ibid.
112. RSPREME: esprime; cfr. Nannue.,
Verbi, 207 nt. 4. Quando Picenrda dico
di Costanza, ch'olla non consenti mai
alla sofferta violenza, ella intende della
volontà assoluta, lo invoce intendo della
volontà mista, o condizionata, onde am-
bedne diciamo il vero.
115. COTAL: in tal modo ragionò Bea-
trice, attingendo a Dio, fonte di ogni vo-
rità, « Felix qui potuit boni Fontem vi-
sere lucidum; » Boet. Cone. phil. III,
metr. 12.
116. roxtR: da Dio, fonte di ogni ve-
rità. « Dens est veritas, et equidem sum-
ma, maxima et prima veritas, ot ab eo
est omnis veritas; » Thom. Ag. Sum. th,
I, 16, 6; I°, 3, 7.
117. TAL: questo ondeggiare, questo
ragionamenty di Beatrice sciolso i miei
dubbi circa la incolpabilità dei violen-
tati, e circa l'apparente ritorno dello
anime alle stalle.
V. 118-142, Mn nono dubbio, Dante
ringrazia Beatrice degli insegnamenti ri-
ecovnti, confessando che, siccome dalla
cognizione del vero nascono altri dubbi,
così dopo questa dichiarazione sorge por
lui un'altra difficoltà, cioè, se l'uomo pos-
sa soddisfare con altre opere buone ai
roti da lui non adempiuti. La risposta
nel canto seguente.
118. AMANZA: donna amata da Dio,
donna celeste, divina.
119, M'IxonbA: « applica al parlar di
Beatrice, riguardo n sh medesimo, l'ef-
ficacia dell'acque è del Sole ad avvivare
piante ed erbe: dell'acqua coll' innon-
dare, coll'innaffiare, e del Sole col ri-
scaldare; » Lomb.
121. NON È: non sono abile a rendervi
le dovuto grazie; cfr. Virg. Aen. I, 600
© seg. — FROFOXDA: « sulliciens et di-
gua; » Benv,
123, vol: a vol. - GRAZIA PER GRAZIA:
ringraziamento adeguato al favore.
123. quer: ma Dio ve lo dica o re no
rimeriti. Questo verso è prova provata
che la Beatrice di Dante non è mero
simbolo, ma in pari tempo donna reale.
O forse che Dio farà le veci di Dante rin-
graziando la teologia, la Chiesa, l'ideale
della donna, 000,1!
Che al sommo pin,
133 Questo m’ invita, que
124. 81 SAZIA: l'intelletto umano non
si sazia mai, se non è illuminato dalla
verità divina, fuor della quale non vi è
vero alcuno. Cfr. Aug. Conf. I, 1. Thom.
Aq. Sum. theol. 19, 2, 1; 19, 5,8. Franciosi,
Scritti danteschi, Fir., 1876, p. 101 e seg.
125. IL VER: Dio, il sommo Vero. - IL-
LUSTRA : rischiara. « Deas ipse est qui il-
lustrat. »
126. BI SPAZIA : si spande, si diffonde.
« Voritas iuvenitur iu intollectu, secun-
dum quod apprehenditrem ut est; et in re,
secundum quod habet ease conformabile
intellectual. Hoc autem maxime invenitur
in Deo. Nam ease ejus non solum est con-
forme suo Intellectui, sud etiam est ipsum
suum intelligere ; ot suum intelligere cat
mensura ct causa omnis alterius case, et
omnis alterius intellectas; et ipse est
suum esse ot intelligore. Unde sequitur
quod non solum in ipso sit veritas, sed
quod ipse sit ipsa summa et prima ve-
ritas; » Thom. Aq. Sum. theol. 1, 10, 5;
ofr. ibid. 12, 3, 7.
127. LUBTRA : tana, covile; lat. lustrum.
Come la belva si riposa nella sua tana,
raggiunta che l'abbia, così l'intelletto
umano si riposa in Dio. « La divina
scienza, che pieua è di tutta pace, perfet-
tamento ne fa il Vero vedere, nol qualo
si chota l'anima nostra; » Conv. II, 15.
Cfr. Par. XXVIIT, 108, Thom. Aq. Sum.
theol. I, 19. 1.- « Tiintairse *
[CIELO PRIMO]
PAR. 1v. 184-142
[Nuovo pusnio]) 787
Con riverenza, donna, a domandarvi,
D’ un’ altra verità che m' è oscura,
136 Io vo’ saper se l’uom può satisfarvi
Ai véti manchi si con altri beni,
Cl’ alla vostra statera non sien parvi. »
139 Beatrice mi guardò con gli occhi pieni
Di faville d'amor, con si divini,
Che, vinta, mia virtù diede le reni,
142 E quasi mi perdei con gli occhi chini.
bio nato dontro di me, - tutto ciò m'in-
vita o m'incoraggia a fare una nuova
domanda.
135. OSCURA: nascosta.
136. 10 vo': desidero di sapore, se si
ammette in cielo commutazione di voti ;
problema ampiamente disonaso da San
Tommaso, Sum. theol. 11%, 68, 10 © se-
Kuente.
138. ALLA VOSTRA BTATERA: alla bilan-
cin (stafera = stadera) di voi altri membri
della Corte celeste; confr. v. 67. — sIEN
VARVI: così che quegli altri beni, quelle
47. — Div. Comm., ™ edis.
opere boone, non sieno trovate troppo
leggiere, pesate sulla celeste bilancia.
« Si possono commutare i voti così che
tale commutazione sin accotta alla di-
vina giustizia!» Corn.
140, con sl pivisi: Al. così privat.
141. pirDE: non ebbi più la forza di
mirarla in viso, tanto ella risplendera.
« Easendo rimasa vinta la mia virtà visi-
va, diodi lo reni (mi rivolsi indietro) cogli
cochi chini, o quasi mi perdei; » Betti,
142, MI PERDEI: perdetti quasi l'uso
dei sensi,
788 [CIELO PRIMO]
PAR. Vv. 1-7
[AMOR DIVINO]
CANTO QUINTO
CIELO PRIMO DELLA LUNA
MA CASTITÀ
SANTITÀ D DI PERMUTAZIONE
CIELO
ERCURIO
8 3ENEFICI
IMPATTO
« S’ io ti fiammeggio nel caldo d’amore
Di là dal modo che in torra si vede
Si che degli occhi tuoi vinco il valore,
4 Non ti maravigliar; ché cid procede
Da perfetto veder, che come apprende,
Cosi nel bene appreso move il piede.
7 Io veggio ben si come già risplende
V. 1-15. Le fiamma dell’ amor di-
vino. Beatrice spiega a Dante perchò
ella si mostri più sfavillanto del solito.
È uno splondoro di celeste letizia e ca-
rità; la gioia di chi vede ogni cosa in
Dio ed esulta accorgendosi che la divina
luce penctra eziandio nolle altrui menti.
1. FIAMMRGGIO: 80 io mi mostro a te
risplondente noi raggi doll’ amor divino
oltre l'uso o la condiziono umana. Cfr.
Vita N., 21, son. 11 © 26, son. 15. Conv.
III, 15.
3. IL VALORE: la forza del tuo sguardo
che non può resistere a tanto splendore;
cfr. Par. IV, 139 e sog.
5. DA PERFKTTO: dalla perfezione degli
occhi miei, cho quauto più percopiscono
delladivina luce, tanto più progrediscono
nel farsene sfulgoranti. Così Lan., Ote.,
An. Fior., Benv., Vell., Vent., Lomb.,
Biag., Ces., Br. D., Frat., Greg., Andr.,
Filal., Pol., ecc. Questa interpretazione
è conformata dai passi biblici concernenti
lo splendore della faccia di Moisè; cfr.
Esod. XXXIV, 28 e sog. Deut. XXXIV,
10. ZI Cor. III, 7. Thom. Aq. Sum. theol.
11I, Suppl., 85, 1. Kjusd. Comp. th., 165.
Altri riferiscono il perfetto vedere a Dante
o spiegano:Questd accrescimento di splen-
dere provieno in me dal tuo perfetto ve-
dere, ossia dalla perfetta conoscenza che
tu acquisti di una verità, ecc. Così Buti,
Iand., Dan., Tom., Bennas., Frane.,
Witle, ecc. Cfr. Com. Lips. 11I, 109.
[CIELO PRIMO]
PAR. v.8-23 [SANTITÀ DEL voro] 739
Nello intelletto tuo |’ eterna luce,
Che, vista sola, sempre amore accende;
10 E s’altra cosa vostro amor seduce,
Non è se non di quella alcun vestigio
Mal conosciuto, che quivi traluce,
13 Tu vuoi saper, se con altro servigio,
Per manco voto, si può render tanto,
Che l’anima sicuri di litigio. »
16 Sì cominciò Beatrice questo canto;
E si com’ uom che suo parlar non spezza,
Continuò così il processo santo:
19 « Lo maggior don, che Dio per sua larghezza
Fésso creando, ed alla sua bontate
Più conformato, e quel ch'ei più apprezza,
22 Fu della volontà la libertate,
Di che le creature intelligenti,
8. Lucri «lo lume dol sommo bono è
lo seme del vero, lo quale cresce quando
lo intellotto s' esercita in considerare, in-
vestigare la verità e lo sommo bone, lo
quale a accendo a comprendere, e fiamma
cresco di carità d'amore quanto più lo in-
telletto ne cognosce e comprende; » Buti,
9, VISTA BOLA: solamente a vederla, -
BEMPRE: « siccome il divino amore è tutto
eterno, così conviene che sia etorno lo
sno oggetto di necessità, al che eterne
cose siano quelle ch'egli nma;» Conv.
III, 14.
11. pt QuELLA: dell'eterna Ince, « Tutto
ciò che qui amiamo è appreso quale bene,
o quindi quale partecipazione (vestigio)
del sommo bene; il quale è tale, cioè som-
mo bene alla volontà, ed 4 eterna luce al-
l'intelletto. Ma in torra per errore si
crede tal finta essere bene quello che
tale non 4; o però è mal conoscinto; »
Corn. Cfr. Conv. IV, 12,
12. quivi: nell'altra cora, cioè nei beni
della terra. L'anima dell' nomo desidera
natoralmente il buono ed il vero; se dan-
que l'uomo corre dietro al male ed al
falso, lo fa perché si Inscin sedorre dal-
I'apparonza del buono e del vero. Cfr.
Thom, Aq. Sum. theot. I, 60, 2: 19, 78, 1.
Aristot. De an., 3. Purg. XVI, 86-92.
14. MANCO: mancante, non adempinto,
Tu desideri di sapere se l'uomo può
compensaro altrimonti il voto non adem-
pinto, sì cho l'anima no sin assolta,
15, sicuri: renda sienra, liberi dn ogni
contrasto colln divina giustizia.
V. 10-33, La santità del roto. Il mas-
simo dono fatto da Dio all’ nomo è la li-
bertà del volere, il libero arbitrio. Fa-
condo il voto, l'uomo sacrifica pertanto
a Dio il massimo sno bene: qual compen-
saziono potrebbe egli dunque dare!
17. NON EFRZZA : non tronca, non in-
terrompe, In senso inverso Virg. Aen.
IV, 388: « His medium dictis sermonem
abrumpit. »
18. PROCESSO : del discorso; continuò
senza interrnzione il sno santo ragiona-
mento.
19, MAGGIOR DON: « Primum prinei-
piom nostre libertatis est libertas nr-
bitri.... Hme libertas, sive principinm
hoe totins libertatia mostre, est maxi-
mom donom homanm nature n Deo col-
latum; quia per ipanm hic folicitamur
ut homines, per ipsum alibi felicitamor,
ut Dii;» De Mon. I, 12.
21. CONFORMATO: conforme, « Dice che
questo è il dono più conforme alla divina
bontà, perchè veramente |] poter peccare
è Insieme la facoltà di ben meritare, la
possibilità del dolore è In possibilità della
gioia; » Tom. Cir, Thom. Aq. Sum. theol.
T, 83. Cont. gent. IT, 2. Bartow, Con-
trib., 106 © seg.
23. CREATURE INTELLIGENTI: angoli o
nomini; ofr, Just. Mart, Apol,. II, 7. Dial.
cum Tryp., 88, 102, 141, « Noque enim
È = e -...
777 eve Yuu. UV LIU VLLOIU
Di maltolletto vuoi far buon lavoro.
84 Tu se’ omai del maggior punto certo;
Ma, perché santa Chiesa in ciò disp
Che par contra lo ver ch'io t'ho sco
87 Convienti ancor sedere un poco a men
fnerit ulla rationalia creatura, quin ei-
dom libertas adsitarbitrium;» Boet. Cons.
phil. V, pr. 2. ‘ |
24. TUTTE È BOLE: tutte quante le crea-
tare intelligenti, ma soltanto caso, lo al-
tre no.- vOno RON: furono dotate quando
Dio le cred è sono dotate ancho dopo la
colpa del primo padre; cfr. Thom. Aq.
Sum, theol, I, GO, 3:1, 83, 2; I*, 1, 1.
Com, Tépe. IT, 111 è seg.
26. TI AWA: ti si manifesterà. = QUIN-
Ct: da quello che ti ho detto circa la li-
Lbertà del volere, che wasn è il maggior
dono da Dio fatto all'uomo.
20. 4) FATTO: valido, cioò talo, a alla
promessa dell'uomo ol aggiunga il con-
sonso di Dio; ofr, Thom, Ag. Sum, theol,
11, 88, 1 owe. In vous il Metti; «Sa è fatto
alla età debita; com'è chiaro dall'avvor-
bio Quando, » Forse cho Jefte, v. (Ce seg.,
eh ir fatto quel suo voto in otà nou de-
tal!
28, vRKMAR: mediante Il voto, |
20, THHORO: della libera volontà. « Pnos-
si argomentare così: lo libero arbitrio è
lo maggiore © lo migliore dona cha l'nama
in qua perficitar ¢
dantur vero quand.
quamdam voti conf
prouuntiatio oris, ei
i 1 if Thom. 4
88, 1,
81. RISTORO; comp
be l'uomo
cosa che lo uguagli
uguagli la libera vol
32, Chk: se va
tu vuoi fare buon law
i malamente tolta
» MALTOLLETTO:
mal acquisto; ofr, Tn
V. 34-63. Dispons
tazione, All'ossonza
guno duo coso; 1% Ig
venzione che sì fa om
di faro un sacrificio;
la materia si può car
ilulla autorità tin
la Pap n @ A diam
[CIELO PRIMO]
PAR. Vv. 88-55
[PERMUTAZIONE] 741
Però che il cibo rigido c’ hai preso
Richiede ancora aiuto a tua dispensa.
40 Apri la mente a quel ch'io ti paleso,
E fermalvi entro; ché non fa scienza,
Senza lo ritenere, avere inteso.
42 Due cose si convengono all’ essenza
Di questo sacrificio : l'una è quella
Di cho si fa, l'altra è In convonenza,
46 Quest’ ultima giammai non si cancella,
Se non servata, ed intorno di lei
Sì preciso di sopra si favella.
49 Però necessità fu agli ebrei
Pur l’offerère, ancor che alcuna offerta
Si permutasse, como saper dèi.
52 L'altra, che per materia t’é aperta,
Puote bene esser tal, che non si falla,
Se con altra materia si converta,
55 Ma non trasmuti carco alla sua spalla
dove il pane degli angeli si mangin; »
Conv, I, 1
18. mono : doro, difficile n digerirsi.
«Questo è on duro sermone; » 8. Giov.
VI, 61.
20. DISPENSA: digestione, la quale di-
spensa i cibi per vari canali; affinchd
tu possa pienamente intendere. « Quasi
dicat: indiget adhnc doclaratione circa
dispensationom voti;» Benv.
41. FERMALVI: tienlo bone a mente, -
KON FA: sentenza platonica: sapere non
è altro che ritenere le notizie ricevate di
cosa alcuna, « Più suol far prode se tn
ritieni in memoria pochi comandamenti
di sapere, ed averli in pronto e in neo,
che se tu impari molto e non tenessi a
mente niente; » Albertano T, 50,
44, sacniricio: del libero arbitrio,
45. DI CHE BI FA; il soggetto, la ma-
teria del voto, come ln verginità, |l di-
giuno, eco. -LA CONVKNENZA : la conven-
zione, il patto che si fa con Dio, l'abdica-
zione della propria volontà.
40, CANCILIA : rimane sempre. 3] patto
bisogna mlompirlo ; la materia si può mu-
tare, offerendo una cosa per l'altra; ma
sempre più del promesso e colla licenza
della Chiesa.
49, NECESSITÀ FU: Al, NECESSITATO FI.
Appo il popolo Ebreo l'offerta era neces-
sarin, perch’ prescritta dalla logge in
molo nssolnto: lecita In commutazione ;
ofr, Levit, XXVII 1-33,
50. ALCUNA: non tutte. Proibita era In
permutazione di animali mondi, votati al
Signore, di ogni cosa consacrata per in-
terdetto, delle decime del bestiame, ecc.,
efr. Levit, XXVII, 0, 10, 28-33.
52. L'ALTRA: dello Ann coso che si con-
vengono all'essenza del roto, quella di
che si fa, ossia ln materia del voto; cfr.
Thom. Aq. Sum, th, I1*, 78, 10-12, Dante
si mostra più severo di S. Tommaso, il
quale ammette che incerti casi si possa di-
spensare dal voto, mentre Dante che non
ne fn parola, sembra non credere lecito il
dispensare, - APERTA: chiara, manifesta.
63. FALLA: congiuntivo da /fallare,
oggi: falli; oft. Nannue., Verbi, 201,
55, NON TRABMUTI: la permutazione è
lecita in certi casi, ma non pod mal es-
sere arbitrarin. È assolutamente necessa-
ria la licenza delle potestà ecclesiastiche,
Il legname del voto è considerato come
un onrico che ume al è imposto, « Mo-
atrato che il voto non si può dimettere,
ma che In cosa di che si fa il voto si può
permutare; ora mostra ciò che è neces-
sario n fare la permutazione. E dice che
sono dme cose; l'una è l'antoritade del
pastore che abbia n ciò podestato ; e però
r- = Pe o peg eee
Per suo valor, che tragga ogni bilancie
Satisfar non si può con altra spesa.
64 Non prendan li mortali il vòto a ciancia:
Siate fedeli, ed a ciò far non bieci;
Come fu Jepte alla sua prima mancia,
dice ch'elli dee essere tale, che possa pro-
sciogliere è legare, sì che ogni pastore
non ha questa balla; e dice che nessuno
ardisca por suo arbitrio permutarsi il
voto, L'altra è che la cosa, nella quale
tu permuti la cosa votata, sin
quella, # cho contenga in sò quella, e
metà di quella: si come il numero del
contiene il numoro del quattro, e la
metà più; 0 almeno sia maggiore di
quella; » Ott,
60, Bkx%A LA VOLTA: sonza la girata
dallo Chiavi, cioé senza il consenso del-
l'autorità ecclesiastica.
57. Mmaxca: cfr. Purg. IX, 117 o seg.
Thom, Aq. Sum. theol. IIT. Suppl., 17, 3.
58, chip: è ritieni essere vana e di
nessun valore qualunque commutazione
di voto nélla cosa sostituita, se la cosa
di cho conata il voto ed in che si pormuta
non d contenuta in quella scelta in ap-
presso con iIndoterminata proporzione
Levit, XXVII, 13, 16, 10, 31,
00, RAUCOLTA : contenuta. Sacrificando
ciò cho ha presso minore si porle il mo-
rito che si acquisterobbe coll'oflerta di
V. 64-84. Serietà d
rata la gravità o l'indiss
si esortano i cristiani ;
rio tatto quanto lo cc
peccato che commette
il voto una volta fwtt
merito
sine voto;» Thom. dg. 4
04.4 rca In
[CIELO PRIMO]
PAR. v. 67-81
[SERIETÀ DEI voti] 743
67 Cui più si convenia dicer: “ Mal feci, ,,
Che, servando, far peggio ; e così stolto
Ritrovar puoi lo gran duca dei greci,
70 Onde pianse Ifigénia il suo bel volto,
E fe’ pianger di sé li folli e i savi,
“Ch'udîr parlar di così fatto colto.
73 Siate, cristiani, a muovervi più gravi,
Non siate come penna ad ogni vento,
E non crediate ch’ ogn’ acqua vi lavi.
76 Avete il vecchio e il nuovo testamento,
E il pastor della Chiesa che vi guida:
Questi vi basti a vostro salvamento.
70 Se mala cupidigia altro vi grida,
Uomini siate, e non pecore matte,
Si che il Giudeo di voi fra voi non rida.
ciao. « Ipso filiam innoventem ooccidit pro-
ptor votum; » Thom. Ag. Sum. theol.
11°, 88, 2.- MANCIA: dono, offerta fatta
a Dio. La dice prima con allusione alle
parole del testo snoro: « Quioumque pri-
mus fuerit egressos de foribus domus
mem, mihique ocenrrorit revertenti onm
paco n filila Ammon, sum holocansto of-
foram Domino; » Giudici XI, 31. Snlle
diverse interpretazioni di questa loco-
zione dantesca cfr, Com, Lips. INI, 118
6 sog.
67. MAL Feet: votando così inconside-
ratamento,
68. BERVANDO: Îl voto fatto immolando
la figlia; cfr. Thom, Aq. Sum, th, 11*, 88, 2.
- precio: «In vovendo fait stultna, quia
diseretionem non habnit, et in reddendo
impius; » Hieronym, in cap. VI et VII
Michee, cit. dall'Aquinate.
60. DUCA: Agamennone, che sacrificò
sua figlia Ifigenia per ottenere dagli Dei
favorevole il vento. Cfr. Hom. Il. ed
Odys, passim; Apollod. III, 2, 1, 2.
Aesch, Agam. Lucret. De rer. nat. I, 85 0
seg. Pind, pyth. XI,:23. Ovid. Met. XII,
27 a seg. Virg. Aen. II, 116 è seg.
70. ONDE: per un voto sconsiderato ;
efr, Euripid. Iphig. Tawr, I, 1. Boet.
Cons. phil. IV, metr. 7.
71. LI FOLLI EIBAVI: tattl; modo pro-
rerbiale vivonte nel dialetto milanese :
«Gho vorun i savii e i matt a fighela
capì. Armunti, 189.
afr. Par.
73, A MUOVERYI: @ fare i voti.-GRAYVI:
cauti, ritenuti,
74, COME PENNA : sì loggieri. « Non ven-
tiles to in omnem ventum ;» Feel. V, 11.
«Utjam non simus parvoli fluctuantes
et circomferamor omni vento; » Aferi
IV, 14.
76. LAVI: como l'acqua del 8. Jntto-
simo. Senso: « Non credinto inconsalta-
mente che per qualunque motivo, e da
quale si sia, possa osser tolta l'obbliga-
zione per voto contratta; » Corn.
77. GUIDA: « opus fuit homini Anplici
liroctivo, secundum Anplicom finem ; sci-
licet sommo Pontifice, qui secundum re-
velata humanum genus perduceret ad
vitam mternam, etc.; » De Mon. IIT, 16,
79. cuPibIiarA: «© sient cupiditas vin-
dicts compulit Agamenvomen, et cupi-
ditas victorim Jephthe, ad tam ceca vo-
ta; > Benv. Il solo Postil. Cass. vede qui
un'allusione ni Frati diS. Antonio: «Idest
procter avaritiam volletis vos facere ab-
solvi ab istis fratribus a campanellis, qui
pro modica pecunia abaolvant quem nb
omni delicto et ercessu, et ab omni voto
quocumque modo facto; » cfr. Com. Lips.
III, 120 e seg. Beccaria, Luoghi difficili
e contr, della D. C. Savona, 1889, 193-198.
80, PRCORK MATTE: nomini privi di di-
scernimento; ofr. Cono. II, 11. JI Petr.
II, 12.
81. 1. Giupro: qui nominato per aver
più sopra (v. 49 è seg.) ricordato quanto
intorno ni voti la legge mosaica preacri-
veva ai Giudei, Cfr, II Reg. I, 20.
(ONDO]
PAR. y. 82-95
[SALITA]
82 Non fate come agnel che lascia il latte
Della sua madre, e semplice e lascivo
Seco medesmo a suo piacer combatto, »
85 Cosi Beatrice a me, com’io scrivo;
Poi si rivolse tutta disiante
A quella parte ove il mondo è più vivo.
83 Lo su: te4ara a 11 tramntan cambjante
Po = 0 ingegno,
Ch UVE davante.
91 Es it
J ~ “Ti queta,
Cosi BM a ‘egno.
M Quivi la donna Ma,
Come nel lu
82. AGNEL: lasciando la guida ¢
sacri e della Chiesa l'uomo si fi
all'aguello che abbandona la m
imbizzarrito qua è là saltellando, uw.
a sè stesso.
83. LASCIVO : petulanto, lat. lascivu».
Cfr. Prov. VII, 22. Osea IV, 16. Lucret.
Rer. nat. II, 320. Ovid. Met. VII, 320 ©
seg.; XIII, 791. Secondo il Monti, Prop.
Til, 1, p. 18 © sog. lascivo vale in questo
luogo Allegro, gato, vivace © simili. Cos)
pure Br. B., Frat., Qreg., Andr., ecc.
84. SECO: a proprio suo danno. « Et sic
cadit in os lapi; et ita vos ignorantes ca-
ditis in os diaboli; » Benv.
V. 85-99. Salita ul secondo cielo.
Beatrice tace ed il suo splendore si au-
menta; onde Dante sopprime altro sue
quistioni che aveva in pronto. In un
istante salgono al cielo di Mercurio. Ar-
rivativi, Beatrice si fa più Incente ed
accresce lo splendore della stolla di Mur-
curio, nonchè la gioja celeste del Pocta.
85. com'IO SCRIVO. Al. cox'IO LO
SCRIVO. Al. COM’ 10 VI SCRIVO.
87. PARTE: gli uni dicono verso l'orien-
to (Ott., Buti, Land., Vell., Dol., Vol.,
Vent., Pogg., Costa, Witte, ecc.); altri al-
l'insù, verso l'Empireo(Zust. Cas., Benv.,
Tal., Lomb., Port., Ces., Greg., Andr.,
Triss., Bennas., Corn., ece.); altri alla
parte equinoziale (Dan., Biag., Monti,
Filal., ecc.) ed altri all' Equatore, dove
allora trovavasi il sole (Ur. B., Anton.,
Franc., ecc.). Nou facondosi il menomo
cenno di una qualsiasi differenza tra il
modo di saliro al secondo, è quello di
i mise,
rimo cielo, ragion vuole che ai
essere intendimento del Poeta
o di salire alla afera di Merca-
a tutto simile a quello in eni era
salito ..... sfera della Luna. Danqne Bea-
trice riguardava nel sole (cfr. Par. I, 47)
il quale era allora sull' Equatore, onde
per guardare nel sole ella doveva vol-
gersi verso |’ Equatore. Ed essendo il
sole in alto, Beatrico doveva pure guar-
dare all'insù verso |’ Empirco, appunto
come aveva fatto salendo nel cielo della
Luna, nella qual salita il suo riguardar
nel sole (Par. I, 47) era pure un guardare
in suso (Par. 1I, 22). Cfr. Com. Lipe.III,
121-123,
88. TACERE: Al. PIACERE; ma il pia-
cere qui non c’ entra. Cfr. Moor, Crit.,
449. - TRAMUTAK: facendosi più lieta,
più bella e più lucente.
89. curitbo: di nuovi ammaestramenti.
90. NUOVE QUISTIONI: Dante non dice
quali queste nuove questioni si fossero,
ed il volerlo indovinare, come fece il
Buti, è fatica gettata.
91. SAETTA : la celerità dell'ascensione
è espressa colla stessa similitudine della
freccia como Par. II, 22 0 seg., ma con
varietà d'immagine. La saetta ha già
calto nel sogno, e la corda dell'arco tre-
mola aucora. Cfr. Virg. Georg. IV, 313
e seg. L. Vent., Simil., 448.
92. QURTA: cessata la vibrazione della
corda. Cfr. Inf. VIII, 13 © seg.
93. REGNO: nel cielo di Mercario, da
Dante comparato alla dialettica; confr.
Uonv. IT, 4.
[CIELO SECONDO] Par. v. 96-107 [SPIRITI OPERANTI) 745
Che più lucente se ne fe' il pianeta;
07 E se la stella si cambiò e rise,
Qual mi fec’io, che pur di mia natura
Trasmutabile son per tutte guise!
100 Come in peschiera, ch’ è tranquilla e pura,
Traggonsi i pesci a ciò che vien di fuori,
Per modo che lo stimin lor pastura;
108 Si vid’ io ben pit di mille splendori
Trarsi vér noi, ed in ciascun s’ udia:
« Ecco chi crescerà li nostri amori. »
106 E sì come ciascuno a noi venia,
Vedeasi l'ombra piena di letizia
06. PIÙ LUCENTR: per cssersi nvvici-
nata, salendo, al trono di Dio.
OT. a1 CAMMÒ: per la benefica influen-
za di Beatrice. - nian: « è che è ridero,
so non una corruscazione della diletta-
zione dell'anima, cioè un Inme appa-
rente di fuori secondo che sta dentro...,
Ahi mirabile riso della mia Donna, eco.; »
Conv. III, 8.
00. TRASMUTABILE: « quia sum mor-
talis receptibilis omnis inflnentim, ubi
stella eat impermutabilia; » Bene. Cir.
Italdacchini, Prose II, 120 è seg. Fer-
razzi IV, 4ld.
V. 100-130. Spiriti operanti. Nel
cielo di Mercurio trovano gli spiriti di
coloro che furono in vita operosi per de-
idorio di onore e di gloria, Appariacono
come splendori fiammeggianti che «lan-
zano cantando e fanno gran festa al-
l'aspetto doi duo mistici viandanti. Dante
desidera di sapere chi quelle anime si fos-
sero. Parlandogli, una di esse lo incorag-
gia e gli promette risposta alle sue do-
mande; onde egli la interroga chi ella
sia e come abbia sortito quel lnogo di
gloria. L'anima, che è quella di Ginsti-
niano imperatore, sfavilla di Ince e tutta
nascosa in essa comincia n parlare.
100. TRANQUILLA K PURA: quieta è lim-
pida; cfr. Horat Od. I1T, 10,20, «I dne
opiteti tranquilla e pura rispondono alla
qnioto somma ed alla serenità dolla spera
neloato; 0 l'Immagino doi poscei, cho si
volgono a oli che atimano cosa di lor
pastora, concorda col desiderio cho han-
no quelle anime di pascersi di carità.
Di più: come | pesci, i quali visti In
fondo alla peschiera si distingnon» np-
pena, saliti al sommo si veggono chia-
rnmente : così qnei beati vin via si fanno
più risplendenti per la carità che gli in-
fiamma, e che nell’ avvicinarsi a Dante
va crescendo; » L. Vent., Simil., 410. Cfr.
Schlosser, Studien, 201.
101, TRAGGONSI: nooorrono. Al, TRAG-
GONO,
103. sruexpori: anime risplendenti ;
cfr. Salm. CLX, 3.
105. cut: « ecco Dante, il quale an-
menterà Ja virtù della carits in noi, per-
chè di quella nel solvore i snoi dubbj
potremo nsare ;» Vell, « L'amore dei beati
cresce oggettivamente preso, perchè cre-
ace il numero degli amati; » Corn. Cfr.
Virg. Bucol, X, 53 © sog. Sullo svariato
interpretazioni di qnesto verso ofr. Com,
Lips, 111, 125 è seg. Il Betti: « Io credo
che amori stieno qui per dolcezze, son-
vita, sco.; è il verso si riferisco agli al-
tri 06 è 07: ovvero che per amori deb-
basi intendere il fuoco de' nostri santi
amori, »
106. rsì: e quanto più clascuno di que-
gli splendori a noi si avvicinava,
107. L'ombrA: l'anima. « Veda qui il
lettore di spiegare nel senso che ai ve-
desse la figura dell'ombra distinta den-
tro del fulgore che in segno della sua
letizia essa emanava, © allora potrà ca-
pire il anccessivo contrapposto: Per più
letizia sì mi si nascose, v. 136. È poi
ben natorale che in sogno di nn minor
grmulo di gloria così questo anima come
le già visto del primo ololo sinno mono
rischinrato dello altre, in cui ln fignra
sarà tott'affatto celata dalla luce che
le circonda; e si noti infatti come qne-
sta differenza sin da Dante avvertita
anche con similitudine per gli spiriti del
[ciel ECONDO]
Par. v. 108-124
[SPIRITI OPERANTI |
Nel folgér chiaro che di lei uscia.
109 Pensa, lettor, se quel che qui s’ inizia
Non procedesse, come tu avresti
Di più sapere angosciosa carizia;
113 E per te vederai, come da questi
M’ era in disio d’udir lor condizioni,
ni A è
Si come £
115 « O bene na
Del trioni
Prima che
118 Del lame c
Noi semi
Tha naj ah
a db pean =
1% € nu TuUugprr *
ciolo soguento, che fin dal primo loro
mostrarsi gli appariscono tutto celati
nel lume ‘‘ Quasi animal di sua seta
fasciato, ,, Par. VIII, 54; » Ronchetti,
Appunti, 140.
108. bt LEI: Al. DA LET.
109. PENSA: so, dopo avorti dato que-
sto cenno, fo tacossi, tu saresti tormen-
tato dal desiderio di più sapere concer-
nonto quei più di mille splendori.
111. CAKIZIA: carostia, penuria; dal
lat. carere; cfr. Purg. XXII, 141. Così
tutti, tranno Buti o Land. che uttribui-
scono alla voce il senso di « angoscioso
desiderio. »
112. DA QUESTI : da questi splendori che
ci venivano incontro con tanta letizia.
113. dbl'EKA IN DISÌO : desideravo: « Hoc
erat in votis; » Hourat. Sat. II, 6, 1.
115. BENE NATO : cfr. Purg. V, 60; Par.
III, 87. - TRONI: cfr. Par. XXVIII, 103
© seg.
117. MILIZIA : la vita terrestre, detta
una milizia anche nel linguaggio scrit-
turalo; cfr. Qiobbe VII, 1. « Nota che
il vivere qui è uno militare; e però di-
cesi militanti Ecclesia questa quaggiù,
e trianfante quella del Cielo; » Ot.
118. DEL LUME: della lace della divina
sapienza e carità, diffusa per tutto le re-
gioni celesti. - BI SPAZIA: confr. Purg.
XXVI, 63.
* Da
nanifesti.
troni
6 grazia,
andoni;
| sì spazia
| disii
er ti sazia, »
i; « Di' di’,
a dil. »
‘annidi
119. PRRÒ: perché vediamo ogni cosa
in Dio e siamo accesi dall' ardente carità
divina.
120. DA NOI: Al. DI NOI. Come si vede
dal canto seguente, il Poeta fu chiarito
non solo dolla condizione di quelle aui-
mo, ma eziuudio di molte altre cose; dun-
quo DA NOI, - TI BAZIA: parla a tuo pia-
cere, domanda liberamente, chè nol sia-
mo pronti ad appagare ogni tuo desiderio.
121. uN: Giustiniano, Par. VI, 10.
122. vi’ p}’: parla puro e chiedi libera-
mente. Cfr. Inf. VIT, 28.
123. crepi: cfr. Par. III, 31 © sog. -
pil: cfr. Eeod. VII, 1. Salm. LXKXXI, 1,
6. 8. Giov. X, 34, 35. Boet. Cone. phil.
III, pr. 10. Thom. Ag. Sum. theol. I, 13,
0 eseg. <I beati non possono né errare
nè mentire: però sono fatti partecipi di
due rilevantissime proprietà della divi-
nità; » Corn.
124. vEGGIO: vedo dai tuoi occhi sor-
ridenti che tu trai dal riso di questi il
tuo splendore, perchd questi ridono così
come tu risplendi. Ksprime con grazioso
scambio dei vorbi il concetto ripotutis-
simo (cfr. Par. IX, 70; X, 103, 118 ecc.)
del ridere per il godere e del risplendere
pel risu. Cfr. Konchetti, l. c. - T' ANNIDI:
ti circondi e rinchindi nol tuo proprio
splendore. « Amictus lumine sicut vesti-
mento; » Salina. CII, 2.
[CIELO SECONDO]
PAR. v. 125-139 [SPIRITI OPERANTI] 747
Nel proprio lume, e che dagli occhi il traggi,
Perch’ ei corruscan, sì come tu ridi;
127 Ma non so chi tu sei, né perché àggi,
Anima degna, il grado della spera
Che si vela ai mortal’ con gli altrui raggi. »
130 Questo diss’ io diritto alla lumiera
Che pria m’avea parlato, ond’ ella féssi
Lucente più assai di quel ch' ell’ era.
133 Si come il sol, che si cela egli stessi
Per troppa luce, come il caldo ha ròse
Le temperanze dei vapori spessi;
136 Per più letizia si mi si nascose
Dentro al suo raggio la figura santa,
E così chiusa chiusa mi rispose
139 Nel modo che il seguente canto canta.
126. rrAanGI: «il Inme ch'è in te de-
duel o fai quasi sgorgaro dagli occhi ; »
Tom.
126. rerch' nt cornuscan: Al. PeR-
cen'r'cormrusca. Pare che siano gli occhi
che corruscano (= scintillano, brillano),
non il Jame. — « Io veggo bene, che tn tl
riposi (t'annidi), como nella tua picchia,
nel lume di carità cho hai detto tostò, è
che è ora tno proprio. Ora, segue Dante,
di ciò m'accorgo io bene, al segno che
me ne danno i tuoi oechi, per li quali tu
trai dal cuore il fuoco dell'amor tuo den-
tro; ond'essi corruscano è brillano se-
condo Ja tua letizia, ovvero i) ridere
della tua bocca. Leggo corruscan e non
corrusca; conciossinchè per gli occhi so-
pra tutto si afogano i movimenti del cuo-
ro, e meglio l'allegreaza chie altro; » Ces.
127. Acat: abbia; confr. Diez, Gram,
11*, 611.
129. cow oti: Al. cox.- ALTRUI: del
sole, poichè Mercurio + più va velato
de' raggi del sole, che null'altra stella; »
Conv. IT, 14.
130. muito: Indirizzandomi a quel-
l'anima risplendente.
132, pri ARSAT: per la gioin di poter
osnreitaro la sun enrità, rispondendo nl
Poeta,
133. CELA : * quando i vapori, fatti par-
venti per abbassamento di temperatura
s' interpongono tra l'occhio nostro e il
sole, ci volano quest’ astro, e talrolta ci
pormettono di guardarlo; ma so nvvonga
che il caloro promosso per la presenza del
sole jstesso, rarefaccia questi vapori a
poco a poco, quasi li roda e li consumi 6
li renda quanto più si può trasparenti,
allora il sole si cela egli stesso con la
sovrabbondanza di ana luce, che dalle
nostre pupille non può sostenersi ; » An-
tonelli. — EGLI STESSI: sè stesso, Stessi
per stesso si disse anticamente anche in
prosa. Cfr. Inf. IX, 58.
134, COME IL CALDO: Al, QUANDO IL
CALDO.
136. wascosn: colla ena luce, « Certi
corpi diventano sì raggianti, che vinco-
no l'armonia dell'occhio, e non si lascla-
no vedere senza fatica del viso; » Conv.
III, 7.
188, CHIUSA CHIUSA; intieramente na-
scosta e volata nel suo splendore.
748 [CIELO SECONDO]
= os ers ee
PAR. vi. 1-4
[GIUSTINIANO]
CANTO SESTO
CIELO sreanwnnan nr MERCURIO
SPIRIT
VITA DI
GLI SPIRITI ‘I
« Poscia che
Contra il tus
BENEFICI
RIA DELL'AQUILA ROMANA
HIBELLINI
D, ROMEO DA VILLANOVA
ila volse
‘alla seguio
Dietro all’ antico, che Lavinia tolse,
‘ Cento e cent'anni e più l’uccel di Dio
V. 1-27. Vita di Giustiniano. Nelle
parole dette dal Poeta a quell'anima
beata, Par. V, 127 © seg., ernno conte-
nute due domande: Chi sei? e: Perchò
sei qui? Alla prima si risponde in questi
versi, alla seconda nei vv. 112-126. Quel-
l'anima incomincia narrando come lo
scettro pervenne nelle sue mani, quindi
si nomina e ragiona della sana conversio-
ne e delle sno opore. Cfr. Invernizzi, De
rebue yestis Justiniant AM. Roma, 1738.
Ludewig, VitaJustiniani AL. Malle, 1731.
Isambert, Hist. de Justinien, 2 vol., Pa-
rigi, 1856. Nel c. VI dell’ Inf. cantò le vi-
cende di Firenze; nel VI del Purg. pianse
le condizioni d' Italia; nel VI del Par. fa
la storia dell'Impero romano. Firenze,
l'Italia, l'Impero!
1. COSTANTIN: Costantino I detto il
Grande, n. 274, m. 337, che nel 330 tra-
sferì la sede dell'impero da Roma a Bi-
sanzio.- L'AQUILA: l'insegna dol romano
impero.
2. CONTRA : da occidente in orlente. Le
parole involvono biasimo. Ai tempi di
Dante si credeva che Costantino trasfe-
risse la sedo dell'impero a Bisanzio per
donare al papa « tutto lo 'mperio di Ro-
ma,» Vill. I, 59, la qual donazione se-
condo Danto fa illegale e funesta; ctr. De
Mon. III, 10. Inf. XIX, 115 eseg. Purg.
XXXII, 124 e seg. - CH’ RLLA BEGUIO:
« idest, quem cursum ipsa aquila sequn-
ta est. Aquila portata ab Enea ab Asia
in Italiam venit cum cursu c@li, quia
scilicet ab oriente in occidentem ; quando
vero fuit reportata per Costantinum de
Italia in Greeciam ivit contra cursum
cieli, quia scilicet ab occidente in orien-
tom; » Benv. Al. cur La skaulo: confr.
Com. Lips. 111, 130 © seg. Touondo dio-
tro ad Enon l’'uquila soguì il corso del
cielo, non il civlo j] corso dell'aquila. « Il
cielo si fece obbediente a seguire il volo
delle aquile romane, dovunque elle an-
davano;» Betti. Ma allora l'aquila non
sarebbe mai andata contra il corso dol
ciolo.
3. ANTICO: Enea, vissuto circa 1200
anni avanti Cristo. - LAVINIA; l’unica
figlia di Latino, re del Lazio; ofr. Inf.
IV, 126. Purg. XVII, 85 e seg. Vill. I,
23. - TOLSE: in moglie, sposò.
4. KE PIÙ: dal trasferimento della sede
imperiale a Bisanzio, 330, all’ incorona-
zione di Giustinianu, 527, scorsero 197,
ma sino alle conquiste di Giustiniano nel-
l'occidente (nel 536) scorsero 206 anni. -
L'UCCRL: l'aquila; cfr. Purg. XXXII,
112. Conv. IV, 5. De Mon. II.
[CIELO SECONDO]
Par. VI, 5-20
[GIUSTINIANO] 749
Nello stremo d’ Europa si ritenne,
Vicino ai monti de’ quai prima uscio;
7 E sotto l’ombra delle sacre penne
Governò il mondo li di mano in mano,
E si cangiando in su la mia pervenne.
10 Cesare fui, e son Giustiniano,
Che, per voler del primo Amor ch'io sento,
D’entro le leggi trassi il troppo e il vano,
13 E prima ch'io all’opra fossi attento,
Una natura in Cristo esser, non piùe,
Credeva, e di tal fede era contento;
16 Ma il benedetto Agapito, che fue
Sommo pastore, alla fede sincera
Mi dirizzò con le parole sue,
19 Io gli credetti, e ciò che in sua fede era
Veggio ora chiaro, sì come tu vedi
5. NELLO STREMO: a Bisanzio o Costan-
tinopoli, città posta all'estremità del-
l'Europa,
6. MONTI: della Troade, donde l'aquila
mosse dietro ad Enea,
7.L'omnna: « Sub nmbra alarum tnn-
rom protege me; » Salm. XVI, 8. L'aqui-
la governò il mondo, il quale era sotto
l'ombra delle di lei all, 0 nacre penne.
8. LÌ: a Costantinopoli, — DI MANO IN
MANO: successivamente, d'uno in altro
imperatore,
0. CANGIANDO : passando dalle mani del-
l'uno in quelle dell'altro, pervenne nolle
mie mani,
10. Ful: nel mondo: in Paradiso non vi
sono Cesari. — 80N: il nome ricevnto al
sacro fonte rosta, - GIUSTINIANO: primo
di questo nome, n. 482, m. 565, celebre
per le sue guerre felici contro i Vandali
in Africa e gli Ostrogoti in Italia, più ce-
lebre ancora per la raccolta e l'ordina-
mento di tutti gli elementi del Diritto
romano fatto per suo incarico da Tribo-
niano dal 528 al 534. « Dante pone qui in
clelo Giustiniano, principe acelleratissi-
mo, ch'Ernpio nol lib. V, pone a tormen-
to nell'inforno, So Dantenvosso più cono-
eciuta la storia bizantina, e non si fosso
Insciato illudere da ciance curiali, avrob-
be riputato rettitudine il cacclar questo
tiranno in una delle bolge; » Betti (ft).
li. rer voLkR: per ispirazione dello
Spirito Santo; v. 23; ofr. Inf. II, 6.
12, b' ENTRO: dal corpo delle leggi le-
vai il superflo (il troppo) e l'inntile (il
vano), Parafrasi, e quasi traduzione delle
parole: « omni supervacua similitndine
et iniquissima discordia absolutm, » nol
§ I del primo decreto di Ginstiniano. Cfr.
Com. Lips. III, 182.
13. ALL’ orra: di riformaro e compilare
le leggi.
14. una NATURA: conforme la dottrina
entichiana, o monofisitica, che in Cristo
fosse soltanto una natura, l' umana, C'è
qui an errore storico, È vero che Giusti-
niano soggiaceva all'influenza di Teodora
ana moglie, relantissima della dottrina
monoflsitica, ma ogli stesso non ln pro-
fess) mai, Del resto l'erroro era comune
nel medio evo; cfr. Com. Lipa. III, 133.
Brun, Lat., Tes, II, 25.
16. AGAPITO: Agapeto I, romano, papa
dal 535 al 536, m. a Costantinopoli dove
era andato per trattar pace tra Giusti-
niano 6 Teodato re degli Ostrogoti, Cfr.
Mansi, Collect. Cone. XVILI, 873. Acta
Sanet. Sept. VI, 168 è sog. Anelli, Stor.
della Chiesa I, 456 o seg.
18. Mr pirizzò: Al. mr rInRIZZÒ,
19. 1N BUA FED: clà cho Agapito oro-
dova od afformava, cioò che in Cristo vi
sono doe nature, l'umana e la divina,
la oul unione fo fatta in quanto in cessa
sussiste la persona del Verbo. Al. & cid
CHE SUO (CUR "x SUO) DIR ERA.
20, sì comm: con quella stessa evidenza
ull ECONDO]
PAR. vi. 21-84
[AQUILA ROMANA]
Ogni contraddizion e falsa e vera.
22 Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,
A Dio per grazia piacque di spirarmi
L’ alto lavoro, e tutto in lui mi diedi;
25 Ed al mio Bellisar commendai l’armi,
Cui Ja destra del ciel fu sì congiunta,
Che segno fe «h'ia dawace] posarmi.
28 Or qui alla,
La mia ri
Mi strine-
81 Perché
Sim.
E: ts
34 Vedi quanta
che nel tuo ums
principio di cont
due termini Con... .
cessariaments vero, l'altro fi.
22. MOSSI: camminai di pari passo con
la Chiesa, avendo abbracciato la sua
dottrina.
23. DI SPIRARMI: Al. Db’ INSPIRARMI.
Dante usò spirare Purg. XXIV, 53, od
altrove; cfr. Fay, Concord. of the D. O.,
680 o soy.; inspirare egli non usò mai.
24. LAVORO: dol riordinamento delle
leggi. - IN LUI: Al. A LUI.
25. BELLISAR : Bellisario (n.505, m.565),
il notissimo e celebre grau generale di
Giustiniano che ritolse l’Italia ai Goti, e
che nel 562 Giustiniano fece incarcerare;
cfr. Vill. II, 6. Mahon, Life of Belisar,
Lond., 1829. L'ingratitudine di Giusti-
niano verso Belisario sembra fosse ignota
a Dante come al Villani, non conoscendo
essi le opere di Procopio. Sembra inoltre
che Danto non sapesse che il vero rifor-
matore delle leggi fu Triboniano. - com-
MENDAI: affidal.
27. rOsARMI: sotto il comando di Bel-
lisario le arini ebbero tal favore del cielo,
che io l'ebbi per seguo esser volere di
Dio che io non mi occupassi che dollo arti
dolla paco, lasciando le curo della guorra
ni nivi gonorali.
V. 28-36. Lntroduzione alla storia
del? aquila romana, Prima di rispon-
dere alla seconda domanda di Daute:
Perchè sei qui? Giustiniano parla della
origino ed importanza del romano im-
pero, figurato per l'aquila. E lo fa per
\ppunta
Indizione
na giunta,
‘agione
ito segno,
x lui s’ oppone.
degno
ia severa lexione alle due parti, dei
s dei Ghibellini, mostrando ai pri-
ro torto nel combattere, ni secon-
-- ss Appropriaral fl sacrosanto regno.
28. QUESTION PRIMA: non 80 chi tu se’;
Par. V, 127.-8'avruNnTA: fa punto, ha
suo termine. Con ciò lu risposto alla taa
prima dimanda; ma la qualità della mia
risposta mi costringe a continuare il di-
scorso, aggiungendovi alcune altre cose.
29. SUA CONDIZIONE: la qualità o na-
tura della mia risposta. Al. LA CONDI- .
ZIONK, intendondo: La mia condiziono
d' imperatore.
31. CON QUANTA: con quanto poca ra-
gione; con quanto torto.
32. CONTRA: dunquo, secondo Dante,
i Ghibellini nomici dell'impero, come i
Guelfi. - SACROSANTO: essondo l'aquila
il simbolo dell'aatorità Imperiale istituita
e voluta da Dio.
33. CHI’. 8'APPROPRIA : i Ghibellini,
v. 101 e seg. - CIII A LUI 8’ OPPONR: Î
Guelfi, v. 106 e seg. « Nessuno signore e
nessuno comune dovrebbe appropriarsi
lo sogno dell'aquila per riverenzia de lo
imperio, se non l'avesse già di grazia
dallo imperatore; ognuno la dovrebbe
obbediro nelle cose temporali, secondo
lu sontenzia di Cristo: Keddite ergo que
sunt Cicsaris Cesari, eb que sunt Dei
Deo; dunque contra ragione fa chi sel pi-
glia di sua autorità e chi lo disobbedi-
sce; > Butt.
34. vinTU: degli eroi romani; cfr. De
Mon. II. Vico, Uno jur., 126. Com. Lips.
III, 136.
[CIELO SECONDO]
PAR. VI. 35-46 [AQUILA ROMANA]
751
Di riverenza! » E cominciò dall'ora
Che Pallante morì per dargli regno.
37 « Tu sai ch'e' fece in Alba sua dimora
Per trecent’ anni ed oltre, infino al fine
Che i tre ai tre pugn4r per lui ancora;
40 E sai ch’ ei fe’ dal mal delle Sabine
Al dolor di Lucrezia in sette regi,
Vincendo intorno le genti vicine.
4 Sai quel ch’ ei fe’, portato dagli egregi
Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,
E contra gli altri principi e collegi :
46 Onde Torquato, e Quinzio che dal cirro
85. E COMINCIÒ: « scilicet narrationem
suam ;» Benv, I più invece intendono:
E questa virtà dell'aquila cominciò, sco.
Mala virtà dell'aquila non cominciò colla
morte di Pallante, anzi per lo meno quan-
do ella segni il corso del cielo dietro ad
Enea, v. 2 © sog.
26. PALLANTE: figlio di Evandro re del
Lazio. Mandato da suo padre in soccorso
di Enea, morì nella battaglia contro Tur-
no; conf. Virg. Aen. VIII-X. Secondo
Dante, Enen oreditò | diritti di Pallante
al regno,
V. 37-06. Storia dell'aquila roma-
na da Enea sino a Carlo Magno, Por
tre secoli fiorì all'ombra dell'aquila la
potenza degli «Albani. Si rese poi più ri-
apettabile nei dintorni della pugna degli
Orazii e dal ratto dello Sabine, sino alla
morte di Lnerezin ed alla cacciata dei ro.
Si rese gloriosa nelle guerre contro i Galli
o gli Epiroti, nolla inesorabile ginatizia di
Torquato, nella rigida povertà di Quin-
zio, nel nobile sacrificio dei Deccii, nello
militari grandezze dei Fabij, nelle vitto-
rie di Scipione, di Pompeo è di Cesare,
nella morte di Cristo e nella distrorione
di Gerusalemme, Da Tito il Toeta salta
a Carlo Magno, quindi un nuovo salto
ai suoi tempi. Conv. IV è De Mon, IIT
si enumerarono press’ a poco | medesimi
esempi della storin romana.
87. r': il eacrosanto segno, l'aquila. -
Atuna: Alba Longa nel Lazio, città fon-
data da Ascanio, figlio di Enea, conside-
rata come la madre di Roma. Secondo la
tradizione i discendenti di Enea vi regna-
rono per oltre tre secoli; ofr. Liv. I, 3,
30-33. Vill. I, 24 è seg. -
38. INFINO AL FINK: sino al termino
della dimora dell'aquila in Alba, che fa
quando i tre Curiasi combatterono per
essa col tre Orazi romani e per la vittoria
degli ultimi l'impero tramutossi in Ro-
ma; cfr, Liv, I, 24-27. Dion. Hal. III,
11, 22. Oros, Hist. II, 4. Conv, IV, 6.
De Mon. II, 10, 11.
30. 1 TRE Al TRE: così i più ; altre ler.:
TRE A TRE; TRE ETRE; I TRE E 1 TRE.
40, sat cH' EI Fe’: Al, SAI QUEL CHE
FR’. - MAL: ratto; ofr, Virg. Aen. VITI,
165. Tu nai quali furono | trionfi del #a-
croranto segno sotto i sotto Io di Roma,
dal tempo che furono rapite le donne Sa-
bine, sino al tempo che, morta Lucrezia,
furono cacciati i Tarquinii. Confr. Vill.
I, 26.
41. Lucrezia: la virtuosa moglie di
Collatino, violata da Sesto Tarquinio;
efr. Liv, I, 57, 68, Inf. IV, 128. Conv.
IV, 6. Vill. I, 28.
43. ronror: « Hnie progeniom virtute
fnturam Egregiam et totum qum viribas
oconpet orbem;» Virg. Aen. VII, 257 6
seg. Tu sai pure come il snerosanto se-
gno dell'aquila vinse Brenno coi suoi
Galli, 6 Pirro col suoi confederati.
di, Bresso: capitano doi Galli Senoni,
vinto da Camillo; ofr. Liv. V, 33-49. Po-
Iyb. I, 6. Just. VI, 6. Horat. Od, III, 6,
35, Cone. IV, 6. De Mon. II, 4. - Pinno:
efr. Inf. XII, 1365. Plut. Pyrr. 13 0 seg.
Liv. XX.XV, 14. Just. XVIII, lesog.
De Mon, IT, 10.
45. COLLEGI : collegati, confoderati. Col-
legi per colleghi, come piage per piaghe,
Purg. XXV, 30; biece per bieche; Inf.
XXV, 91. Par. V, 65: confr. Nannue.,
Verbi, 289.
46, 'TonquaTo: Tito Manlio Torquato,
752 [CIELO SECONDO]
PAR. VI. 47-54
[AQUILA ROMANA]
Negletto fu nomato, i Deci, e’ Fabi
Ebber la fama che volontier mirro.
4) Esso atterrò l'orgoglio degli Aràbi,
Che di retro ad Annibale passàro
L’alpestre rocce, di che, Po, tu labi.
52 Sott’ esso giovanetti trionfàro
Scipione e Pompeo, ed a quel colle,
Sotto il qual tu nascesti, parve amaro.
ii vincitore dei Galli e dei Latini; ofr.
Lio, VIII, 3-12, Cie. De Of. 111, 31. Sal
tue. Cat., 31, Virg. Aen. VI, 824 è seg.
Conv. LV, 5.- Quixzio: il colebre ditta-
toro romano tolto dall'aratro, detto Cin-
cinuato dall'aver agli sempre arruffati |
capegli (cirro, lat. cirrus, le chiome) ; cfr.
Liv. III, 25 è seg. Conv. 1V, 5. De Mon.
II, 5. Par. XV, 120.
47, Dici: cittadini romani, Dante In-
tende doi tre soguonti : 1° FP. Decius Mus
tribuno militare è consolo, morto nella
guerra contro i Latini; cfr. Liv. VIII,
10 0 sog. Cic. Div. 1, 24, DI. Tac. 1, 37,
89; - 2° il di lul figlio 7°. Decius Mus,
console, morto nolla battaglia di Santi-
num; cfr. Liv. X, 27 oseg. ; - 3° il costui
figlio P. Decius Afus, che guerreggiò con-
tro Pirro e coutro gli schiavi; cfr. Flor.
T, 18, 21. Conv. IV, 5. De Mon. IT, 5. -
Fabi: patrizii romani; intendo dei tre-
cento, e di Fabio Massimo Rullano, il
vincitore dei Sanniti (cfr. Liv. VIII, 30;
IX, 35 e seg.; X, 15, 27-29. Polyb. II, 19.
Diod. Sie. XX, 27, 85), di Ceso Fabio Vi-
bulano o de’ suoi fratolli Quinto e Marco,
come pure de' suoi nepoti Quinto Fabio
Vibulano, Marco, Numerio, ecc. (Liv. II,
43 e seg. Sil. VI, 637. Dion. Hal. IV, 15)
e sopra tutto di Quinto Fabio Massimo
Verucoso, che colla sua prudenza pose
fine ai trionfi di Annibale; cfr. Liv. XXI,
18; XXIII, 82, 39; XXVII,11; XXVIII,
40 eseg.; XXIX, 37. Cic. Oat. maj. 1V, 10.
Brut. XIV, 57.
48. VOLONTIER: in cielo non avendo
luogo veruna invidia. - MIKKO: « qui è
da sapere che gli antichi usavano di un-
gere di mirra gli corpi morti ch'egli vo-
levono che si conservassero, sì come gli
moderni usono di balsimare; onde l'A u-
tore, volendo conservare tal fama di ro-
manoimpero, sì la descrive nello presento
capitolo, e dico la fama ch'io volontier
sréirro, ciò è: ungo di tal mirra, che la
hp.
conserva per lo tempo futuro; » Lan.,
An. Mior. Nello stesso senso di conser-
vare presero pure la voce Minto Post.
Coss., Petr. Dant., Benv., Vell., Dol.,
Vol., Vent., 6cc, Altri intendono: incenso
con mirra, rendo omaggio ; così Ott., Pon-
ta, Torelli, Monti, Ces., Tom., Br. B.,
Frat., Andr., Dlane., occ, Altri col Buti;
«mirro, cioè miro, lodo, ma è soritto per
due r per la consonanzia della rima; »
così Dan., Varchi, Lomb., Port., Pog.,
Biag . Costa, Greg., eco. Cfr. Com. Lipa.
ILI, 139 è seg.
49. AuAni: Cartaginosi. «Il pome Arabi
s’adopera dul Poeta, com’ era in uso an-
tico, ed 6 pur oggi, qual nome generico
a significare qualsivoglia abitatore del-
l'Affrica settentrionale; » Biag. « Chia-
mati così gli africani, perchè erano no-
madi; » Betti. Altrove chiamò lombardi
i parenti di Virgilio, Inf. I, 68. Cfr. Inf.
XXVIII, 10 e seg. Conv. IV, 5. De Mon.
II, 11.
61. ROCCE: plur. di roccia; le Alpi,
dallo quali discende il Po. - Lani: da la-
bere, lut. labi= caddero, scorrere, discen-
dero. Cfr. Ovid. Met. V, 350 e seg.
652. K880: sacrosanto segno. - GIOVA-
NETTI: P. Cornelio Scipione Africano
maggiore combatté a diciassette anni
contro Annibale al Ticino (Liv. XXI,
46. Flor. 11, 6) ed a diciannove anni ip
Canne (Liv. XXII, 58); a venti anni con-
quistò la Spagna, a trentatrò anni ri-
portò la vittoria decisiva sopra Anni-
bale (Liv. XXIX, 16 e seg. Polyb., 14).-
Gn. Pompeo Magno combatté da giovine
per Silla contro Mario ed ottenne il trion-
fo a venticinque anni. 1! Villani, I, 36, lo
nomina tra i duci romani che assedia-
rono e distrussero Fiesole.
53. COLLK: di Fiesole, sotto il quale è
situata Firenze.
64. LARVE AMARO: il sacrosanto segno
dell'aquila; ofr. Vil. I, 37.
[CIELO SECONDO]
PAR. VI. 55-68
[AQUILA ROMANA] 753
55 Poi, presso al tempo che tutto il ciel volle
Ridur lo mondo a suo modo sereno,
Cesare, per voler di Roma, il tolle:
68 E quel che fe’ dal Varo infino al Reno,
Isara vide ed Era e vide Senna,
Ed ogni valle onde Rodano è pieno,
61 Quel che fe’ poi ch'egli uscì di Ravenna,
E saltò Rubicon, fu di tal volo
Che nol seguiteria lingua né penna.
64 Invér la Spagna rivolse lo stuolo;
Poi vér Durazzo, e Farsaglia percosse
Sì ch'al Nil caldo si senti del duolo.
07 Antandro e Simoenta, onde si mosse,
Rivide, e là doy’ Ettore si cuba,
565. TUTTO: ai riforiaco a lo mondo, Vi-
cino a quel tempo (avanti la venuta di
Cristo) in cui il cielo volle che tutto il
mondo fosse sereno e pacifico come ogli
steaso è, Cesare per volere del senato è
del popolo romano impngnò il sacrosanto
segno contro la Gallia, Cfr. Conv, IV, 6.
De Mon. I, 10.
56. a suo MODO: i più intendono: In
pace, a similitudine del cielo. Altri: alla
natura di esso cielo, alla monarchica.
Cfr. Betti, Seritti L'ant., 42-46,
57.1t TOLLE: lo toglie; cfr, Inf. XXIII,
57. Par. XVII, 33.
58. e QUEL: Isara, Era, Senna ed ogni
valle dalla quale il Rodano riceve i fiumi
che lo ingrossnno, videro ciò che il segno
dell'aquila fece dal Varo insino al Reno,
cioè nella Gallia transalpina. Descrive in
questa terzina il teatro delle guerre com-
battute da Giulio Cesare nella Gallia, se-
guendo Lucan Phare. I, 39 è seg. -
DAL Varo: Al. DA Vano, Il fiume Varo
formava il confine tra la Gallia transal-
pina è la Gallia cisalpina. Clr. Petr. Lett.
Fam. Il, 7; V, 3.
69. IsARA: oggi Jsère, fiume di Francia
che sbocca nel Rodano, - ERA : lat. Arar,
In Snona, altro fiume di Francin cho sboo-
ca nel Rodano, -SrxNA : Int, Sequana, il
fiume di Francia che passa por Parigi.
Cfr. Forbiger, Alte Geographie, I11?,90-02.
60. oxpe ROpANo: Al. oxpe IL Ropano,
61. Fe’: ciò che il sacrosanto segno
dell'aquila foce dacchè esso uscì di Ra-
venna con Giulio Cesare, che, di ritorno
48. cri Dip, Comm., gr odiz.
dalle Gallio, vi si ora fermato qualche
tempo; cfr. Sueton,, Cors., 20.
62. SALTO: passò. - Rumcon: Al. i
Rupicox, piccolo flume tra Ravenna 6
Rimini, anticamente confine tra ln Gallia
cisalpina e l'Italia; ofr, Plin. III, 115.
Forbiger, 1. 0., 372 6 sog. = DI TAL VOLO:
di tanta rapidità; confr. Purg. XVIII,
101 o seg.
64. inven LA SPAGNA : contro Petreio,
Afranio e Varrone, logati di Pompeo. -
RIVOLsE: guidò l'esercito di Cesare, Del
resto sotto fl segno dell'aquila romana
combattevano anche | segnaci di Pom-
peo. - 8TUOLO: schiera, nel qual senso
l'asò puro il Vill. VI, 17.
65. Durazzo: l'antico Epidamua, poi
Dyrrhachium, città marittima dell’ III
ria, dove Cesare fn assediato dallo genti
di Pompeo; ofr. Cos, Bell. civ. III, 13 6
neg.- FansAGLia: Pharsalua, città della
Tessaglia, pressola quale Cesaresconfisse
Pompeo; ofr. Cos. Bell. Civ. 111, 90-09.
66. sì cn' at Nic: Al. sl on'm Nin. +
81 seNTÌ: Al. sKNTISSI. Così che sino al
caldo Nilo si senti parte del dolore di
quella scontitta, essendovi Pompeo uc-
ciso proditoriamente.
67. AntARDIRO : città marittima della
Frigia minoro dondo Enon foco vela per
venire in Italia; ofr. Virg. Aen. IIT, 6,
- SIMORNTA : Simots, ora Mendes, piccolo
finme della Troade. Cin Lucan Phare.
1X, 950 © sog.
68. LÀ: a Troia. - 81 CUBA: riposa, è
sepolto; cfr. Virg. Aen. I, 00; V, 971.
754 [CIELO SECONDO]
PAR. VI. 69-84
[AQUILA ROMANA]
E mal per Tolommeo poi si riscosse:
70 Da indi scese folgorando a Iuba;
Poi si rivolse nel vostro occidente,
Dove sentia la pompeiana tuba.
73 Di quel ch’ ei fe’ col baiulo seguente,
Bruto con Cassio nello inferno latra,
E Modena e Perugia fe’ dolente.
76 Piangene ancor la trista Cleopatra,
Che, fuggendogli innanzi, dal colubro
La morte prese subitana ed atra.
79 Con costui corse infino al lito rubro;
Con costui pose il mondo in tanta pace,
Che fu serrato a Iano il suo delubro.
82 Ma ciò che il segno che parlar mi face
Fatto avea prima, e poi era fatturo,
Per lo regno mortal, ch'a lui soggiace,
69. k MAL: è l'aquila si riscosso poi,
ripigliando il suo volo, con danno di To-
lomeo, al quale Cesare tolse il regno
d'Egitto, dandolo alla di lui sorella Cleo-
patra; cfr. Sueton. Iul. Cus., 35.
70. DA INDI SCKSK: Al. DA ONDK VENNE;
DA ONDK SCKSK; INDEK DISCKSK. Dall' Egitto
l'aquila piombò como folgore sopra Juba
o Giuba, re della Mauritania; cfr. Dio
Cas. XLIII, 3, 9. Auect. bel. Afr., 25, 55,
57, 93 e seg.
71. VOI SI KIVOLSK: Al. POSCIA BI VOL-
BK. - OCCIDENTR: alla Spagna, dove i figli
o soguuci di Pumpoo, cho vi si orano af-
forzati, furono sconfitti nella battaglia
di Munda, il 17 marzo dell’anno 45 a. C.
72.rusa: tromba; cfr. Purg. XVII, 15.
73. DAIULO: lat. bajulus =il portatore.
Chiama così Ottaviano Augusto < perchè
portò la dotta insegna, e ball e governò
lo impero di Roma; » Buti. Nel Conv.
1V, 6, i primi sotto ro di Roma sonu
detti « quasi balj e tutori della sua pue-
rizia.» Cfr. Diez, Wort. 1°, 46. Com. Lips.
IIT, 145 o seg. Alcuni leggono BAILO; ma
« Augusto non fu il dailo, cioè |’ aio, di
quell’ aqaila, di quell’ insegna; ma sì il
baiulo, il portatore, colui che la condusse
a Filippi, a Modena, a Perugia, ad
Azio, 0c0.;» Betti.
74. LaTRA: annunziano col loro rab-
bioso divincolarsi in bucca di Lucifero;
cfr. Inf. XXXIV, 64 © seg.
76. Mopkna: Al.Mobvona Presso Mode-
7
na Ottaviano Augusto disfece Maro' A n-
tonio, ed in Perugia assediò e prese il fra-
tollo Lucio Antonio e Falvia sua moglie
(41 a. C.), e dopo la vittoria vi commise
molte stragi e barbarie, di che la città
si risontì per lungo tempo. Cfr. Lucan.
Phars. I, 41.
76. PIANGKNE: di ciò che il segno del-
l'aquila fe’ con Augusto. - CLEOPATRA :
cfr. Inf. V, 63. Dopo la battaglia di Azio,
non essendole riuscito di sedurre il vin-
citore, si ucciso col veleno di un aspido.
Cfr. Suet. Aug. 17. Plut. Ant. 78-86. Veil.
Pat. 11, 87.
77. INNANZI: all'aquila. -COLUBKO: lat.
coluber, serpe; cfr. Virg. Aen. VIII, 695
e seg. Horat. Od. I, 37, 25 e seg.
78. ATRA: atroce; cfr. Nic. Perotti,
Oornucop. Epigr., 2.
79. COSTUI: con Augusto, che conqui-
stò l'Egitto, l'aquila corse sino al Mar
Rosso; cfr. Virg. Aen. VIII, 686.
80. race: cfr. De Mon. I, 4; IV, 16.
Thom. Aq. Sun. theol. IIT, 35, 8.
81. DELUBRO : tompio; lat. delubrum.
Il tempio di Giano si serrava soltanto
quaudo i Romani non avevano guerra
con nessuno; cfr. Liv. I, 19.
82. MI FACK: cfr. v. 29 © seg.
83. PRIMA R POI: rapporto al terzo Ce-
Baro. - KtA FATUKO: ora per fare; lat.
Sacturum erat.
84. RKGNO: della terra, da Dio asse-
guato all'aquila, ciod al popolo romano.
[CIELO SECONDO]
PAR. Vi. 85-97
[AQUILA ROMANA] 755
85 Diventa in apparenza poco e scuro,
Se in mano al terzo Cesare si mira
Con occhio chiaro e con affetto puro;
88 Ché la viva giustizia che mi spira
Gli concedette, in mano a quel ch’ io dico,
Gloria di far vendetta alla sua ira.
ol Or qui t’ammira in ciò ch’ io ti replico;
Poscia con Tito a far vendetta corse
Della vendetta del peccato antico,
m4 E quando il dente longobardo morse
La santa Chiesa, sotto alle sue ali
Carlo Magno, vincendo, la soccorse.
07 Omai puoi giudicar di quei cotali
85. scuro: di poca o di nessuna im-
portanza.
86, Tenzo Cesare: Tiberio, sotto il
cul impero Cristo morì; fatto, al quale
Dante nttribnisce la somma |mportanza;
ofr. De Mon, IT, 12,
87. curano : illuminato dalla fede, - ru-
no; «che non lo vines più affezione d'uno
che d'un altro; » Muti, - « Hoo dicit quia
multi nognnt istam rationom quam an-
tor hic fneit, sed ipso nbique habet istam
opinionem quicquid sit; » Benv. - « La
chiarezza del vedere dipende in gran
parto dalla parità dell'animo; » Mart.
88, LA VIVA: la giustizia divina che
m'ispira e mi muove a parlare.
89. GLI: al segno dell'aquila, — quit:
Tiberio, ‘
00. DI FAR VENDETTA: di placare la gin-
sta ira di Dio, Avendo Cristo, I' Uomo-
Dio, scelto spontanemento di moriro
sotto Tiberio, Egli contribu) con ciò alla
gloria dell'aquila, insegna del romano
impero, riconoscendone col fatto non la
giustizia, ma l'antorità; cfr. De Mon,
TI, 12. Le altre interpretazioni sono
inattendibili, ofr. Com, Lips, IMI, 148
6 seg.
OL. r'AaMMIna: maravigliati. La morto
di Cristo fu giusta, necessarin e voluta
da Dio per ln redenzione del genere
umano; e quella steasa morte fo in pari
tempo il più gran poocato commesso
dagli nomini. La massima gloria del-
l'aquila romana fu di essere ministra
ed istromento della divina giustizia ns-
sistondo al gran sacrificio di Cristo che
placava l'ira divina contro il gonere
umano; 6 nello stesso tempo fu gran
e OS Eee
gloria dell’ aquila vendicare la crocifis-
sione di Cristo, alla quale essa aveva as-
sistito, Dante procura di l'ar-
duo problema Par. VIT, 106 seg. L'aquila
è chinmata a sua gloria n puniro in altri
ciò che esan medesima avova operato alla
sun massima gloria!
03. ANTICO: del primo nomo. La morte
di Cristo vendetta del peccato di Adamo ;
la distrazione di Geruanlomme vendetta
della crocifissione di Cristo,
DM. nextg: termino biblico, cfr. Salm.
III, 8; LVI, 6; CXXIII, 6. Quando |
Longobardi perseguitarono la Chiesa ro-
mana, Carlo Magno lo venne in soccorso
sotto le ali dell'aquila e vinse i nomici
dolla Chiesa. « Come Stefano II aveva
invocato il soocorso di Pipino contro
Astolfo, così Adriano I nel 778 l'aiuto
di Carlo Magno contro Desiderio. Non
fn a dir vero che 27 anni più tardi cho
Leone III conforì la dignità imperiale al
re dei Franchi. Ciò nonostante il Poeta
poteva ben dire che sin d'allora l'aquila
prese sotto ln protezione dolle sue ali
un’ impresa che doveva condurre al ri-
sorgimento dell'Impero Occidentale; »
Witte. Secondo la mente di Dante, l'im-
pero romano non cessò mai di esistere
de jure, benchè cossasse tomporanen-
mente di esistere de facto,
V. 007-111. Invettira contro i Guelfi
ed i Ghibellini, Dal sin qui detto, Dante
deduce per bocca di Ginstiniano ana sen-
tonza giusta ed imparziale contro le parti
de'Guelfi è dei Ghibellini, I primi peo-
cano contro il Sacro Romano Impero vo-
lendone Infennciosaro ln plenipotenza; i
secondi facendo servire il sacrosanto se-
756 [CIBLO SECONDO]
[AQUILA ROMANA]
Ch'io accusai di sopra, e di lor falli,
Che son cagion di tutti vostri mali.
100 L’ uno al pubblico segno i gigli gialli
Oppono, e l’altro appropria quello a parte,
Sì che forte a veder è chi più falli,
103 Faccian li ghibellin', faccian lor arte
Sott’altro segno; ché mal segue quello
Sempre chi la giustizia e lui diparte:
100 E non l’abbatta esto Carlo novello
Coi guelfi suoi, ma tema degli artigli
Ch'a più alto leon trasser lo vello.
109 Molte fiate già pianser li figli
Per colpa del padre; e non si creda
Che Dio trasmuti l’arme per suoi gigli.
gno ai loro interessi di parte, Cir. Ma-
miani, in D. e il meo see., 1526 sog. Itarel-
li, Allegoria, 113 6 seg. Sorio, in Omaggio
a D., 80 è seg. Hongiovanni, Prolego-
meni, 154 © seg. Arndt, De D. Al. scrip-
tore ghibellino, 69 e seg.
08. DI BOrma: v. 31 © sog.
100. L'UNO: il guelfo oppone all’aquila,
insegna dell'impero universale, i gigli
d'oro, insegna della Casa di Francia,
quindi di Carlo II ro di Puglia, allora capo
dei Guelfi. - L'UBSBLICO SEGNO: « l'espres-
sioue è del latino barbaro ; leggendosi nel-
l'iscrizione sepolcrale dol Droctulfo, duca
longobardo del secolo vi, la quale è a S.
Vitulo di Ravonna: Ilio of amans sempor
romana ot publica signa, Vastutor gentis
adfuit ipso suv; » Jsetti.
101. L'ALTRO: il ghibellino vuol far ser-
vire il pubblico segno ai soli interessi dolla
sua parte.
102. FORTE: difficile; cfr. Purg. XXIX,
42; XXXII, 60. Al. sl cu’ È FORTK A VE-
DER CII PIÙ 61 FALLI; 8Ì CH'È FORTE A VK-
DER QUAL PIÙ FALLI, - «Il Guolfo oppono
all'aquila i gigli d'oro di Francia. ll
Ghibellino vaolo averla per sò a seguale
di fazione: cotalchd è difficile deterini-
nare chi sia peggiore. l’rendano i Ghi-
bellini non l'aquila, ma altro segno; sono
indegni di aver l'aquila, perchè sono in-
quieti. Carlo II Re di Paglia non si ado-
peri per abbatterla aiutato dai Guell, o
si rammenti che I aquila co’ suoi artigli
atrappò il pelo a leone più valorosu di lui.
Come avvenno in passato, rispetto ad al-
tri padri, i figliuoli potranno piangoro
sopra la sua colpa; nè si dia a credere
che Dio cessi di avere per sua arma
l'aquila 6 voglia tramutarla nei gigli di
Francia, cangiando l'Impero Romano in
Impero Franco;» Corn.
103. ARTR: cfr. Inf. XV, 78 e seg. Par.
XVII, 61 e seg.
104. QUKLI.O : il pubblico segno dell'aqui-
la imperiale.
105. DIPARTE: Al. DISPARTE: chi fa
l'aquila seguo di guerra ingiusta.
106. ksto: questo. - CARLO : re di Pa-
glia, socondo di questo nome, figlio di
Carlo I d'Angiò. - NOVELLO : per rispetto
al padre.
107. antici: potonza imperiale.
108. LKON: a chi ora assui più forto di
Carlo.
109. PIANSKR: cfr. Esod. XX, 5. È una
soutenza generale; ma forse allude in
pari tempo allo sventure di Carlo Mar-
tollo, figlio di Carlo Il; ofr. Par. VIII,
31 e seg.
111. L’ARMK: l'aquila, uceel di Dio,
v. 4, che anche in avveniro rimarrà
sempre l'insegna di quella autorità im-
periale universalo voluta da Dio.
V.112-126. Qualità e condizione de-
gui spiriti beati nel ciclo di Mercurio,
Dopo la lunga digressione sull'aquila ro-
mana, Giustiniano rispondo alla seconda
domanda di Dante, cfr. Par. V, 127 o
seg. Nel cielo di Mercurio sono coloro
che operarono il bene, ma indottivi prin-
cipalmente dall’umore di fama mondana,
onde sono più bassi od i più prossimi a
coloro che non adompirono perfettamente
[CIELO SECONDO]
PAR. vi, 112-126 [SPIRITI BEATI] 767
112 Questa picciola stella si correda
Dei buoni spirti, che son stati attivi
Perché onore e fama gli succeda;
115 E quando li disiri poggian quivi
Sì disviando, pur convien che i raggi
Del vero amore in su poggin men vivi.
118 Ma, nel commensurar dei nostri gaggi
Col merto, è parte di nostra letizia,
Perché non li vedem minor’ né maggi.
121 Quindi addolcisce la viva giustizia
In noi l'affetto si, che non si puote
Torcer giammai ad alcuna nequizia.
124 Diverse voci fan giù dolci note;
Così diversi scanni in nostra vita,
Rendon dolce armonia tra queste ruote.
| voti fatti. Furono ambiziosi, l'ambizione
consistendo per l'appunto nella cupidigia
di mondani onori. « Importat enim am-
bitio eupiditatem honoris.... Ill qui so-
lom propter honorem vel bona faciunt,
vol mala vitant,non sunt virtuosi; » Thom.
Aq. Sum. theol, IL", 131, 1.
112, riocioLa : « Mercurio è la più pic-
cola stella del clelo; » Conv, II, 14, - sI
CORREDA: si adorna.
114. GLI BUCCRDA : succeda loro; efr.
Nannue., Verbi, 129. Caverni, Voci e
Modi, 46 © sog.
115. roggcian: mirano a qnesto scopo,
di consegnire fama ed onore in terra; cfr.
Thom. Ag. Sum. theol, 11°, 132, 1, 3, 4.
116. DISVIANDO : deviando così da Dio,
cho devo ossero l'unico nostro acopo.
117. AMORE: divino. - roggis : s'innal-
zino più deboli verso Dio,
118, NEL COMMENSURAR: ona parto del-
la nostra beatitudine 6 gioia consiste ap-
punto nel vedere nguagliato il premio al
merito. - GAGGI: premi ; ofr, Diez, Wirt.
1”, 194. « Sono rimasti al popolo i gaggi
militari, d'onde a' è fatto il verbo ingag-
giarsi; » Caverni.
120. MAGOI: maggiori ; cfr. Inf. VI, 48;
XXXI, 84. Par. X1V, 97; XXVI, 20, oer.
121. QUINDI: mostrandoci come i] pre-
mio 4 pari al merito, Dio, viva giustizin,
addolcisce così la tendonza della nostra
volontà, che non pod torcersi ad invi-
dia, eco. Cfr. Par. III, 70-87.
124. FAN GIÙ: Al. FANNO DOLCI NOTE.
Come diverse voci fanno in terra dolce
armonia, così diversi gradi di gloria ren-
dono qui un'armonia celeste.
125, SCANNI : gradi di beatitudine; ofr.
8, Gio, XIV, 2. « Domus est una, quia
unum et sommum Bonnm, id est Deus
ipse ; sed diveraitas mansionum ibi erit ; »
Petr. Lomb. Sent. IV.
126. RUOTE: allude forse anche qui al-
l'armonia delle sfere; ofr. Par. I, 79.
V. 127-142. Episodio di Romeo. Gin-
atiniano pon fine al suo discorso, dicendo
che nel cielo di Mercurio trovasi pure
l'anima di Romeo, del quale narra suo-
cintamente la storia. Romeo (Romdée, Ro-
miet) di Villanova, nato verso il 1170, fu
primo ministro, connestabile e gran sini-
senleo di Raimondo Berengario IV conte
di Trovonza, Morto il conto nol 1245, Ro-
mée rimaso amministratore della I'ro-
venza 6 tutore di Beatrice, quarta figlia
di Raimondo, la quale Romée maritò n
Carlo d'Angiò. Morì in Provenza nel
1250. Secondo la leggenda, seguita da
Dante, perchè n' suoi tempi si credeva
storia, questo Romeo fu un pellegrino
che tornando da 8. Giacomo di Galizia
capitò in Provenza, al acconciò in casn
del conte Raimondo, ne amministrò ed
accrebbe i beni « no mmità le figlie a
quattro re; quindi, reso dagl' invidiosi
baroni 6 cortigiani sospetto a Raimondo,
al part) da Ini ed andò mendicando la
sun vita, Cfr. Vill. VI, 90. Fontanini,
Elog. ital. I, 16, Raynouard, Journal des
savants, 1825, p. 2040 seg. Bouche, Hist,
de Provence II, 242-264. Vaiesctic, Diet.
ILO SECONDO]
Par. vi. 127-142
(ROMEO)
127 E dentro alla presente margherita
Luce la luce di Romeo, di cui
Fu I’ opra bella e grande mal gradita.
130 Ma i provenzali che fèr contra lui
Non hanno riso; 6 però mal cammina
Qual si fa danno del ben fare altrui.
139 Quattro —
Ramounuu
Romeo pi
136 E poi il moss
A domani
Che glia
139 Indi partiss.
E se il me
Mendicanu
142 Assai lo loda,
de Languedoc XXV, 91 e seg. Com. Lips.
IIT, 154 e seg.
127. MARGUTTA : Morcurio; cfr. Par.
IT, 34.
128. LUCE: risplende l'anima chiara di
Romeo.
120. L'orra: del riordinamento degli
affari del conto Raimondo e dell'ingran-
dimonto dolla famiglia con quattro ma-
ritaggi roali. - MAL Grapira: avendogli
il conte reso la solita ricompensa degli
ingrati.
130. Fir: lo accusarono e calunnia.
rono prosso il conte.
131. NON HANNO RISO: « immo amaro
floverunt, et spo suspiraverunt Ro-
meum; nam ofliciales regis Iranci: et
Caroli non fuerunt postea ita benigni et
gratiosi orga eos, sicut fuerat Raymun-
dus comes et Romeus vicecomes; » Jéenv.
132. QUAL: chiunque volge a suo danno
le altrui buone opero facendosi reo d’ in-
vidia e di calunnia. Al.: chiunque reputa
suo danno, si prende como proprio male
l'altrui ben fare.
133. QUATTRO FIGLIR: Margherita (1221-
1295), maritata nel 1234 a Luigi IX redi
Francia; Eleonora (m. 1291), maritata
nel 1236 ad Arrigo LIT re d'Inghilterra;
a regina,
b gli fece
egrina;
3
ito giusto,
que per diece.
;
or ch'egli ebbe
;0 a frusto,
be. »
Sancia (m. 1261), maritata nel 1243 a
Riccardo di Cornovaglia fratello del detto
Arrigo, olotto nol 1267 ro di Gormania ;
Beatrice, orode della l’rovonza o moglio
di Carlo I d'Angiò; cfr. Vell. VI, 89.
135. UMILK E PRKKORINA: ¢ ignobilia et
ignota virtute sua; quod non fecisset
Raymundus simplicitate sua, nec aulici
mualignitato sun; >» Benv.
136. wikcK: bieche, prave, ingiuste
(cfr. Inf. XXV, 31. Par. V, 65), civd le
calunniose parole dogl'invidiosi.
137. RAGIONK: dell'amministrazione.
138. ABSKGNÒ : « qui assegnare, crudo
stia per rassegnare, cioò daro in nota; »
Betti. - serve K CINQUE: dodici por dicci,
cioò grun guadagno.
139. VkTUSTO: vecchio. Onde tanto più
amwmirabile il suo disinteresse.
14l. A FRUSTO: a tozzo a tozzo; « Pars
in frusta secant; » Viry. Aen. I, 212. Cfr.
Oonv. I, 3. Par. XVII, 58 e seg.
142. mu: il mondo lo loderebbe assai
più che non fa, quando sapesse formarsi
un’ idea dolla magnanimità e fortezza di
cuore che indusse Romoo già vecchio ad
andar mendicando il suo pane a tozzo
a tozzo per non rendersi infedele od av-
vilirai.
[CIELO SECONDO]
PAR. vu, 1-9
[canto] 759
—-_ —— —————
CANTO SETTIMO
CIELO SECONDO DI MERCURIO
SPIRITI ATTIVI
E BENEFICI
LA MORTE DI CRISTO, LA REDENZIONE E L'IMMORTALITÀ DELL'ANIMA
« Osanna sanctus Deus Sabaoth,
Superillustrans claritate tua
Felices ignes horum malachoth! »
4 Cosi, volgendosi alla nota sua,
Fu viso a me cantare essa sustanza,
Sopra la qual doppio lume s’ addua:
7 Ed essa e l'altre mossero a sua danza,
E, quasi velocissime faville,
Mi si velar di subita distanza.
V. 1-0. Il canto d'addio. Terminato
il sno ragionamento, Giustiniano intuona
mn canto all’ Iddio degli eserciti, quindi
egli e gli altri beati partono come velo-
cissime faville. L'inno è in latino, il
linguaggio della Chiesa e dei beati (efr.
Par. XV, 28 eaog.), frammescolatovi voci
ebraiche, onde l' inno è nelle doe lingue
della Chiesa, dell'antica, o giudaica, e
della cristiana.
1, Osanna: salvo, santo Dio degli esor-
citi, che dall'alto illumini col tuo splen-
dore i beati fuochi di questi regni. Osanna
è voce ebraica che significa: Oh salva!
invocasione superfina in bocca ai beati.
Ma essendo questa voce il solito saluto
Negli Ebrei, od essendo così stato saln-
tato il Redentore (ofr. 8. Matt.X XT, 9, 15.
8. Mare. XI, 9. 8. Giov. XII, 12), Dante,
che probabilmente ignorava il valore
della voce, pone questo saluto in bocca
al beati. - Sanaoru: degli eseroiti.
8, MaLacnotn: avrebbe dovnto dire
MAMLACHOTH =regnorum; ma non sa-
pendo di ebraico copiò la voce dal Prolo-
gue galeatus di S. Geronimo, dove logge-
va: «malachoth, ideat regnorum, » L' or-
rore è oggigiorno corretto; al tempi di
Dante era comune a tutti | codd. della
Volgata,
4. ALLA NOTA: al tenore del ano canto.
Al, ALLA ROTA BUA.
5. FU viso: fi visto, parve a mo; cfr.
Virg. Aen. I, 326; IL 779, cc0. = su-
BTANZA: Ginstiniano,
6. porrio: delle loggi e dell'impero,
accondo In sentenza di Giustiniano nel
proemio delle Instituzioni: « Imperato-
riam maiestatem non solum armis deco-
ratam, sed etiam legibus oportet esse
armatam. > -8' ADDUA: si fa due, sì rad-
doppia. Al. s'IRbUA.
7.MOSSERO: ripresero il loro moto cir-
colare, e, come faville, mi uacirono in un
batter d'occhio di vista.
8. FAVILLE: « Tosti folgebant, et tam-
quam scintille in arondineto diacur-
rent; » Sap. III, 7.
V. 10-24. Un dubbio. La mente di
Dante è occupata del dubbio, come giu-
(CONDO ] PAR, vis. 10-25
[DUBBIO]
10 Io dubitava, e dicea: « Dille, dille,
Fra me, « dille, » diceva, « alla mia donna
Che mi disseta con le dolci stille; »
13 Ma quella riverenza che s'indonna
Di tutto me, pur per BE e per IO,
Mi richinava, come |’ uom ch’assonna.
16 Poco sofferse me cotal Beatrice,
| un riso
' a m felice:
19 4 SO,
amente
\ sier miso;
22 Ma 10 0:
E tu ....501 ole
Di gran se resente.
25 Per non soffri vuole
sta vendetta fosse giustamente ,-.
ofr. Par, VI, 91 os0g., ma por rivi...
non osa interrogarne Beatrice. Onde ella,
che legge nel suo cuore, con un sorriso
beatificante, si offre non richiesta a scio-
gliorgli il dubbio.
10. DUBITAVA: jo era agitato da un dub-
bio, e fra me diceva a me stesso: Di’ di’ a
Beatrice, che colle soavi sue parole sazia
la mia natural soto di suporo.
12. BTILLE: gocciole di verità.
13. 8'INDONNA: 8'impadronisce, si fa
donna o signora di me.
14. PER BE krku ICE: all’ udire pure
una parte dol caro nome di Beatrice.
« Pare intenda che pure una parte del
suono di quel nome, pure gli clementi
del suono lo commuovono e raccolgono
in 86; como il tocco d’ uno strumento ri-
sveglia nella memoria e nell'animo una
lunga melodia tutt'intera; » 2'oma.
15. MI RICHINAVA: tornava a farini te-
nere il capo chiuo, come chi è preso dal
sonno.
16. roco : Beatrice mi lasciò pochi istan-
ti così ansioso; cfr. Purg. XXXI, 10.
18. NEL FUOCO: coufr. Purg. XXVII,
52 e seg.
19. INFALLIBILE: in Paradiso non vi è
errore. « Secondo che la santa Chiesa
vuole che non può dire menzogna, » è
dunque infallibile; Conv. II, 4.
20. COME: clr. Par. VI, 88-92. « Se Cri-
ato patendo morte sul legno dolla croce
ustameote vendicato in sò stesso
Laue poccato de' primi parenti: como
poteva ‘Tito giustamente avor vondicato
la morte di Cristo negli Ebrei che lo cro-
cifisseroî» Vell.
21. VENGIATA: Al. PUNITA; cfr. Moo-
RK, Orit., 449 e seg. Par. VI, 92 e seg.;
VII, 61.-7' HAIN PENSIER: Al. T’ HAI
IN PENSIKK. - MISO; lat. missus, antico
Part. pass. di mettere, Mosso; confr. Inf.
XXVI, 54.
22. TI SOLVERO: dal nodo del dubbio.
24. DI GRAN: ti faranno dono di pro-
fonda dottrina.
V. 25-51. La morte di Cristo. Scio-
gliendo il dubbio di Dante, Beatrice di-
mostra che fu giusta la morte di Cristo e
che giustamente fu vendicata negli auto-
ri di ossa. Giusta la morte, porchò avendo
Cristo assunto l'umana natura dannata
nel padre comune, questa umana natura
fu giustamente punita sulla croce. Ma
avendo Cristo conservata la sua divina
natura accanto all’ umana, la divina na-
tura fu sacrilegamento perseguitata ed
offesa. In altri termini: La morte di Cri-
sto fu giusta inquanto egli era uomo,
sucrilega inquanto egli ora Dio. Arguzia
scolastica cho dimentica l'unità della
persona. Sulla croce non morirono un
Dio ed un uomo, ma una sola persona,
Cristo, l' Uomo-Dio.
26. ALLA VIRTÙ : alla volontà ; cfr. Purg.
XXI, 105; XXIX, 27.
[CIELO SECONDO]
Par, vir. 26-43 [MORTE DI cRISTO) 761
Freno a suo prode, quell’ uom che non nacque,
Dannando sé, dannò tutta sua prole;
28 Onde |’ umana specie inferma giacque
Giù per secoli molti in grande errore,
Fin ch'al Verbo di Dio discender piacque,
al U’ la natura, che dal suo Fattore
S’ era allungata, unio a sé in persona
Con l’atto sol del suo eterno amore.
34 Or drizza il viso a quel ch’ or si ragiona:
Questa natura al suo Fattore unita,
Qual fu creata, fu sincera e buona;
97 Ma per sé stessa fu ella sbandita
Di Paradiso, però che si tòrse
Da via di verità e da sua vita.
40 La pena dunque che la croce pòrse,
S’alla natura assunta si misura,
Nulla giammai sì giustamente morse;
43 E così nulla fu di tanta ingiura,
26, FRENO: «frenum concupiscentir ; »
efr. Aug. Op. imp. cont, Jul., 70. Thom.
Aq. Sum. th. I, 105, 1.- PRODE: all'ntile
ano.- UOM: Adamo, creato immediata-
mente da Dio, « Vir sine matre, Vir sine
Incto, qui neque pupillarum @tatem, neo
vidit adultam; » Vulg. elog, I, 6.
27. PROLE: tutti i enol discendenti ; cfr.
Rom. V, 12. I Cor. XV, 22. Aug. cont,
Tul. VI, 28. Civ. Dei XIV, 1. Thom. Aq.
Sum, th. I°, 81, 1. Comp. th., 105 © seg.
Com. Lips. III, 163 6 seg.
28, IiNFENMA: in istato di peccato; cfr.
Jsaia, I, 5 esog.
20. ciù: laggiù nel vostro mondo. -
ERKORE: « Omnes nos quasi oves erra-
vimua; » Isaia LILI, 6. «Semper errant
corde; » Ebrei III, 10, «Eratis sicut oves
errantea;» I Petr. II, 25.
30. Verbo: Cristo; ofr. S. Gion. I, le
seg. Thom. Ag. Sum. theol, I, 34, 2.
31. u’: in terra, dove la natura nmana
erasi allontanata da Dio per il peccato,
* Volendo la amisnrabile bontà divina l'u-
mana natura n sè riconfermare, che per
lo peccato della prevaricazione del primo
nomo da Dio era partita è disformata,
eletto fo in quell'altissimo e congiontis-
simo concistoro divino della Trinità che
il Figliuolo di Dio in terra discendesse a
fare questa concordia; » Jone. IV, 5.
32, IN PRUSONA: in nnità di persona.
« Unio est facta in Vorbi persona, non
antem in natura; » Thom, Ag. Sum, th.
IIT, 2,2.
22, CON L'ATTO: per sola virtù ed opera
dello Spirito Santo; cfr. Thom. Aq. Sum.
theol, IIT, 22, 1, 2,
#4. A QUEL Cu'oR: Al. A QUEL CHR BI
NAGIONA.
35. NATURA: omana, assunta dal Vor-
bo; cfc. Thom. Aq. Sum. theol, TII, 15, 1.
37. PER BÈ STRSSA: per sun propria col-
pa. « Qual fa creata in Adamo l'umana
natura era pur sincera da colpa è buona
per virtù infuse. Ma per sd stessa, ciod
in quanto natura umana (quindi tutti
gli nomini che l'avevano o avrebbero
avuta) (1), fa sbandita dal Paradiso, per-
chè Adamo in cni era come in radice
tutta contenuta, poccò e peccando per-
detto la vita della grazia per sò è per la
soa progenie; » Corn.
89. DA VIA DI VERITÀ: da Dio, che è
via, verità e vita; cfr. S, Giov. XIV, 6.
Al. DA VIA, DA VRRITÀ,
41. NATURA: umana, nasonta da Cri-
ato, In quale per sò stessa ora dogna di
pena.
42, NULLA: nessuna pena, - MORSE: col-
pi, affiiase.
43. IinciuRA : inginrin, ingiustizia; co-
| :C0NDO]
PAR. VII. 44-52
[MORTE DI CRISTO]
Guardando alla persona che sofferse,
In che era contratta tal natura.
46 Però d’un atto uscîr cose diverse;
Ché a Dio ed ai giudei piacque una morte:
Per loi tremò la terra e il ciel s'aperse.
49 Non ti dèe oramai parer più forte,
Quando si dice che giusta vendetta
Poscia veng
52 Ma io y ov
me sorco per
per panie, In
Inf. IX, 115; Mi.
AVIII, 37; XXII,M
fu tanto inginata so 4. gu.
persona con cul la natura «
unita,
45, CONTRATTA : congiunta.
umana, « La soddisfazione da
Cristo in croce alla divina
lo peccato d' Adamo è di
prole peccatrice, era secon...
giustizia. Infatti la gravità dell un al
misura dalla viltà dell’ offensore compa-
rata allu dignità dell’ offeso. Quindi I’ of-
fesa fatta da uomo vile a Dio di dignità
infinità, ha, da questo lato, dell'infinito,
nè può essere a tutto rigore riparata
senza una soddisfazione d'infinito valore.
E tale fu la soddisfazione data da Gesù
Cristo, nel quale alla persona divina era
congiunta la natura umana, e per la di-
gnità infinita della stessa persona, la sua
soddisfazione aveva valore infinito. Ma
appunto nell’ uccidere Gosù Cristo, a ca-
gione della dignità iufinita di sua porso-
na, si fe'ingiuria a Dio sommo; » Corn.
Tutto ciò, naturalmente, secondo il dom-
ma del medio evo.
46. D'UN ATTO: dalla morte di Cristo
nacquero diverzi offetti: essa piacque a
Dio, essendo per essa soddisfatta la di-
vina giustizia, e piacque ai Giudei, che
per essa sfogarono la loro invidia. Cfr.
Thom. Aq. Sum. theol. ITI, 47, 5 e seg.
48. trKMò: cfr. S. Matt. XXVII, 51,
Thom. Aq. Sum. th.1}I,44,4;1II, 49, 5.
« La terra tremò per orrore dol deicidio,
e il cielo per allegrezza della redenzione,
che ne fu |’ effetto, si aperse; » Betti.
49. FORTE: diflicilo a comprendere.
60. 61 DICK: ofr. Par. VI, 91 © seg.;
VII, 20 © seg.
51. VKNGIATA: vendicata; cfr. Inf. 1X,
64; XXVI, 34. - corre: da Tito Impera-
a corte,
ristretta
me da gindice competente. Cosi
tt., dn. Pior., Post., Cass. Benv.,
ell., Dan., Vent., Triss., 600.; off.
[, 02. Al: dal giusto tribunale di
%., Br.B., Frat.,Andr.,Corn.e00.).
-120. La redenzione. Continuan-
itrice svolge la questione, della
cccuparono 1 SS, Padri, se l'uman
non si sarebbe potuto redimere
a via, che por la morte di Cristo.
la Dio immediatamente, l'anima
4 incorruttibile, eterna. Per di-
- «« Origine essa possiede le qualità
più spociali ondo sovra lo sostanze tutto
ul Creatore somiglia, e più vivo raggia
su lei l'amor divino. Ma per il peccato
l'uomo perdette le celesti sue preroga-
tive, rimase vuoto d' ogni sorta di bene,
privo dell'amicizia di Dio e dannato a
certa perdiziono. Per ritornare alla con-
dizione primiera bisognava riempire quel
vuoto con proporzionate soddisfuzioni. Or
a riacquistare la divina grazia e la pro-
pria dignita era necessario : o che l'uomo
riparasso il suo reato da sò, oppure che
Dio stesso ponsasse al riparo. Ma all'uo-
mo ora impossibile ricomprarsi col pro-
prio valore. Rimaneva dunque che Dio lo
ricomprasse. Ed egli potova farlo per due
vie: o della misericordia, o della giustizia.
A Dio piacque procedere per ambedue.
La misericordia spinse il divin Verbo ad
incarnarsi; la giustizia lo inchiodò sulla
croce. Ogni altro mezzo sarebbe stato in-
sufficiente a soddisfare alla divina giusti-
zia, tranne l'umiliazione del Figliuol di
Dio. Questa dottrina dantesca s' incontra
principalmente con quella di Anselmo di
Canterbury, svolta nel celebre trattato
Cur Deus homo? Inoltre cfr. Thom. Aq.
Sum. theol. LI1, 46-49. Aug. De ag.Christ.,
11. Greg. Magn. Mor. XX, 36. Petr. Lomb.
Sent. III, 19 0 seg. Alb. Magn. Sent. III,
20, 7. Alex. ab Hal Sum. III, 1, 4 © seg.
52. KISTRKTTA: inviluppata, passando
[CIELO SECONDO]
[REDENZIONE] 768
PAR. VII. 58-72
Di pensier in pensier dentro ad un nodo,
Del qual con gran disio solver s’ aspetta.
55 Tu dieci: “ Ben discerno ciò ch'i odo;
Ma, perché Dio volesso, m' è occulto,
A nostra redenzion pur questo modo. ,,
58 Questo decreto, frate, sta sepulto
Agli occhi di ciascuno, il cui ingegno
Nella fiamma d’amor non è adulto,
61 Veramente, però ch’ a questo segno
Molto si mira e poco si discerne,
Dirò perché tal modo fa più degno.
64 La divina bontà, che da sé sperne
Ogni livore, ardendo in sé sfavilla
Sì che dispiega le bellezze eterne.
67 Ciò che da lei senza mezzo distilla
Non ha poi fine, perché non si move
La sua imprenta, quand' ella sigilla.
70 Ciò che da essa senza mozzo piove
Libero è tutto, perché non soggiace
Alla virtute delle cose nuove,
da nno ad altro pensiero, dentro ad una
difficoltà, dalla quale aspetta con gran
desidorio di essere liberata; cfr. Inf. X,
D5 è sog.
57. run: questo solo modo, la morte di
Cristo, ingiusta inquanto alla soa natara
divina.
58, DRCRETO: Al. BRCRIUTO, — BRIULTO :
sepolto, occalto, nascosto.
00. ADULTO: maturo; non conosce por
saporionzala forza della carità ; cfr. I Cor.
XIV, 20, Rfes IT, 4; IV, 14; Hbrei V, 18,
14.«Ildeoretodolla redenzione, tale quale
fu, non è capito da veruno, per sapiente
che sia, senon ha in sè vera carità; » Corn.
61. VERAMENTR: « ma perchè molti in -
ciò studiano e pochi intendono, e si può
puro intendere e devesi; » T'om.-sEGNO :
al dogma cristiano dell'incarnazione di
Criato o della redenzione del genere uma-
no por la sna morte in croce,
04. arvenne: lat. spernit, rimove, ri-
gotta; cfr. Joet. Cons. phil. III, metr. 9.
65. LIVORE: ogni affetto contrario alla
carith.— BFAVILLA: Al, SCINTILLA. Ar-
dondo in #4 dell'infinito sno fuoco di ca-
rità, afavilla sì, che dispiega all'occhio
delle sue creature lo etorne ane bellezze.
Così | più. Meglio forse: La divina bontà,
che rimnoveda sò tutti gli affetti contrari
alla carità, ardendo in sè, risplende per
modo che esplica anche al di fuori lo sne
eterno bellezze, Cfr. Aug. De vera rel.,
15. Petr. Lomb. Sent. II, 1.
67. SENZA MEZZO: immediatamente,
senza il concorso di cause secordo, - DI-
BTILLA: è crento.
60, 1menkntAa: impronta; off. Purp.
XXXIII, 70 © seg. Cid che è orcato da
Dio immedintamonto non ha poi fine,
dara in eterno, perchè l'impronta della
propria soa mano non si può giammai
cancellare, « Signatum est supor nos In-
mon vultus tui, Domine; » Salm. IV, 7.
« Omnia opera, qui fecit Dous, persove-
rant in perpetno; » Heel, III, 14. Cfr.
Thom. Ag. Sum, th, I, 65, 1; I, 104, 4.
71. nImrro: « Ubi spiritns Domini, ibi
libertas; » JI Cor. 11I, 17,
72. cosk NUOVE: allo influonze del cieli,
che sono nuovi inquanto sono cercati;
Lan., Ott., An. Fior., Post. Cass., Benv.,
Buti, Land., Vell., Dan., ooo. A nuovi
conginngimenti di canse seconde, acci-
dentali, però mmutabili 6 rinnovantisi ;
Lomb., Riag.,Tom., Br.J., Frat., Andr.,
(cle = ECONDO])
PAR. vit. 78-89
[REDENZIONE]
78 Più l’è conforme, e però più le piace:
Ché l’ardor santo, ch’ ogni cosa raggia,
Nella più simigliante è più vivace.
76 Di tutte queste cose s'avvantaggia
L’umana creatura e, s’ una manca,
Di sua nobilità convien che caggia.
70 Solo il pe---*— * ~~-*-*~™ disfranca,
E falla | bene,
Perc s'imbianca;
s Ed in sua riene,
vota,
% : iuste pene.
85 Vaorra | tota
sl gnitadi,
| i fin ta ;
88 Né idi
ben sot a Via,
Greg., ecc. Alle mutazioni delle cose con-
tingenti : Corn.
73. CONFORME: ciò che provivne imme-
diatamente dalla divina bontà è più so-
migliante a Dio o più a Dio piace; confr.
Conv. III, 8. Acconna a tre prerogative
dell’uomo, creato innnediatamento da
Dio: immortalità, v. 68; libero arbitrio,
v. 71; simiglianza a Dio, v. 73-75. Quin-
di l'uomo è oggetto speciale del divin
compiacimento.
74. L'ARUOR: |’ amor divino, - RAGGIA:
illumina. « La divina bontà (cho è l'og-
gotto primariodell’amoro divino) la quale
risplende in ogni cosa, in quelle cose, che
sono a Dio più somiglianti, più risplen-
de; » Corn. Cfr. Conv. III, 7. Vuly. El.
I, 16, Alb. Magno De Intellectu et Intel-
lig. III, 2.
76. cosk: immortalità, libertà, divina
somiglianza più risplendono nell'anima
umana, la quale, perdendone alcuna, per-
de l'alta sua nobiltà. Al. TUTTE QUESTE
DOTE. - B'AVVANTAGGIA: 6 privilegiata.
79. DIBFRANCA: toglie la libertà. «Omnis
qui facit poccatum servus est peccati; »
S. Giov. VIII, 34. Il peccato solo toglie
alla creatura umana la libertà dalla colpa
e la fa dissomigliante da Dio.
81. 8’ IMBIANCA: s'avviva, si rischiara;
cfr. Inf. II, 128. Purg. IX, 2. « Percioo-
chè poco s'illumina del lume del som-
mo bene, ciod della ragiono, cho è lumo
di Dio, ed è ciò per cui ad osso rasso-
migliamo; » Betti.
83. KIKMI'IR: 86 non ristora con propor-
zionata ponitenza la perdita della grazia,
cugionata dal poccato. La solu pena può
rostauraro i rapporti di equilibrio tra
l'ordino morale è l'nomo; o la pena deve
ossere proporzionata al mal diletto della
colpa; confr. Anselm. Our Deus homo I,
11-14. Lomonaco, D. giureconsulto, 27
e seg.
84. MAT, DILETTAR: « mala gaudia men-
tis; » Virg. Aen. VI, 279.
85. TOTA: tutta; confr. Par. XX, 132.
Toto e tota, per tutto, tutta usarono pure
altri poeti antichi, ma però soltanto in
rima; confr. Faz. Dittam. I, 23. Frezzi,
Quadr. II, 3.
£6. NEL BEMR: in Adamo; cfr. v. 25 e
seg. - DIGNITADI: incorrattibilità, libertà,
somiglianza a Dio, amor divino in lei;
cfr. Thom. Aq. Sum. theol. 13, 85, 2-5.
87. REMOTA : rimossa, allontanata. Per-
detto le sue dignità come perdotto il Pa-
radiso terrestre.
88. POTEANS!: e le perdute dignità del-
l’omana natura nou si potevano recupe-
rare per altra via. Al. rOTEASI (POTIES-
si), cioè: la natura umana non poteasi
ricuperare, non potea tornare ad essere
quello che in origine fu.
[CIELO SECONDO]
Par. vir. 90-108
[REDENZIONE] 765
Senza passar per |’ un di questi guadi:
o1 O che Dio, solo per sua cortesia,
Dimesso avesse; o che l’uom per sé isso
Avesse satisfatto a sua follia.
da Ficca mo’ l'occhio per entro l’abisso
Dell’ eterno consiglio, quanto puoi
Al mio parlar distrettamente fisso.
97 Non potea l'uomo ne’ termini suoi
Mai satisfar, per non poter ir giuso
Con umiltate, obbediendo poi,
100 Quanto disobbediendo intese ir suso;
E questa è la ragion per che |’ uom fue
Da poter satisfar per sé dischiuso.
108 Dunque a Dio convenia con le vie sue
00. GUADI: passi dal peccato alla gra-
tin; o cho Dio avosse semplicemente
perdonato, o che l'uomo avosso soddi.
sfatto per sò stesso. Al. Guapt. Confr.
Com. Lips. IIT, 172 6 seg.
91. 80L0: por sua sola liberalità. AL:
Dio per sé solo, - CorTRSLIA : cfr. Vita N.,
42; « è pol piaccia n Colui, ch'è Sire della
cortesia; » Con. 1V, 20. Inf. XVI, 67.
Purg. XVI, 116.
92. PER BÈ 1880: por sò stesso, Isso,
lat. ipse, si usd anticamente anche in
prosa; cfr. Nannue., Verbi, 227.
03. FOLLIA: alla sun colpa. Nel lin-
guaggio del Vecchio Testamento il peo-
cato 4 detto pazzia e sciocchezza: confr.
Com. Lips. IT], 178.
Di, mo’: ori adesso; cfr. Inf. X, 21;
XXII1, 7,28; XXVII, 20, 25, 109, ooo. -
L'OCCRIO: « lidest, spoculationem intel-
lectnalem; » Ben. - awisso: profondità
del divino consiglio.
90, DISTRETTAMENTI : nitentamente,
segnendo colla maggior possibile atten-
zione Îl mio ragionamento, « Quantum
possibile est intellectui in corpore ho-
minis viventia;» Ben.
07. we’ TERMINI: nella sna condizione
di ente finito, Al.: Perfettamente ne'ter-
mini dovuti alla sna colpa. « La ragione
perchè egli non poten satiafaro in quanto
uomo 4, che egli avendo peccato per sn-
perbia, per voler appareggiarsi a Dio
(perciocchè volendo sapere il bene ed il
male, era agguagliarsi a Dio), egli non
potea ubbidiendo discendere In tanta bas-
sezza, cho fosso pari aoll' wltezza di Dio,
alla quale disubbidiendo era voluto sa-
lire. Perciocchè l'altezza di Dio d infinita;
ma nossuna bnasezza ni trova, che non
sia finita; » Land., seguendo il Buti. Cir,
Hug. a St, Viet., Erud. theol. de sacram.
I, 7, 15; I, 8, 4. Thom. Ag. Sum. theot.
11*, 163, 2; IT, 1, 2.
100, in 8U80: salire in alto, volendo os-
sore come Dio; cfr. Genes. III, 5, 6. «La
soddisfazione dell'uomo è finita; la col-
pa, considerata quale ingiuria fatta a Dio,
ch'è l'offeso, ha unn gravità infinita; »
Corn.
101. HAGION: Al. CAGION.
102, bISCIIUSO : escluso. « Ad hano ple-
nitudinem oportuit, ut tanta esset humi-
liatio in expiatione, quanta fuerit prme-
sumptio in privaricatione, Rationalis
autem substantim Dens tenet sommum,
homo vero imum gradum, Quando ergo
homo presumpsit contra Deum, facta
est elatio de imo ad sammum. Oportuit
ergo, ut ad expiationis remedinm fieret
humiliatio de sommo ad imum; » Rich.
a St. Viet, De Verb, incarn,, 8, Confr.
Thom. Aq. Sum. theol. INI, 1, 2.
103, DUNQUE: « s6 dunque l'uomo non
poteva per sè stesso satisfare al fallo,
convenno che Iddio satisfacesse è ricu-
porasse l'uomo nella sua intera vita con
l'una delle due vie, o piuttosto con amen-
due, cioè con la sua misericordia 6 con Ja
giustizia. Percioocchè se Iddio havesse
ersato un nomo sì cccellente, ch'avesse
potuto satisfare, anrebbo stata sola gin-
stizin. E so ci nvosso liberati dal peo-
cato por potenza nssoluta, era sola mise:
a
|
Non lusso ua
ricordiu. Ma nell'incarnaziono del Vorbo
quanto alla divinità usò misericordia,
quanto all'umanità giustizia; » Land.
Cfr. Hugo a 8. Vict. Erud. th. de Sacr.
I, 3, 4. Thom. Aq. Sum. theol. III, 46, 1.
Comp. theol. I, 198-200.
105. con L'UNA: 0 con una solu dello
vie sue: lu misericordia; oppure cop am-
bedue: la misericordia e la giustizia.
106. L'ovia: dell’operante.
107. APPRKSRNTA: presenta, dimostra.
« È tanto più da progiaro quanto più per-
fettamonte e cortesemente è elargita; »
Lan.
109. IMPRENTA : Impronta, gli imprime
il proprio suggello. « Informat tamquam
‘formale principium; » Benv. « Imprime
la sua immagine nel mondo e nelle suo
creature; » Vent.
110. DI PROCKDER: « elesse per redi-
mervi e rialzarvi su, precipitati e caduti
in quel profondo abisso, di procedore per
tutte insiemo le due detto suo vie, ciod
per la misericordia iusiciue e per la giu-
stizia; » Lomb.
112. TRA L'ULTIMA: nò giammai, dal
primo mattino della creazione all’ ultima
sera del giudizio finale, la giustizia o la
misericordia di Dio, fece o farà più alta
© magnifica opera.
113. rROCKsSO: atto, procedimento. « Il
processo include colpa, sentenza e pena
della colpa dell'uomo. E fu così magui-
econnpo] Par. vit. 104-120 [REDENZIONE]
Riparar l'uomo a sua intera vita,
Dico con l'una o ver con ambedue.
106 Ma perchè |’ ovra è tanto più gradita
Dell’operante, quanto più appresenta
Della bontà del cuore ond' è uscita,
109 La divina bontà, che il mondo imprenta,
Di procede 18 vie
A rile” ta;
112 Né tra |’ mo die
SÌ alto v paso,
O per | 10 fie.
115 Ché più la § stesso
A far lu ilevarsi,
Che s’eg: i dimesso;
118 E carsi
l di Dio
we nea a rnarsi.
fico che tale altro nou fu o sarà dal prin-
cipio alla fino del mondo; » Corn.
114. L'UNA: delle due vie, quella della
misericordia.- L'ALTRA : la via della giu-
stizia. La redenzione, operata dalla di-
vina misericordia o giustizia, 6 l'opera
più vccolsa di umbeduo, dal principio
alla fino del mondo. Al. 0 l'EK L'UNO O
PER L'ALTRO, cioè: o per Iddio o per l'uo-
mo. Se la crocifissione di Cristo fu il più
gran peccato commesso dagli uomini,
v. 43, essa non fu l'opera più magnifica
dall'uomo operata. Cfr. Com. Lips. III,
175 e seg. Bakl.ow, Contrib. 388. MOORK,
Orit. 451 © seg.- FIE: sarà; forma del-
l' uso antico; cfr. Corticelli I, 32. Nan-
nuc., Verbi, 464 e seg.
115. pil} LARGO: quanto alla miseri-
cordia, Dio fu più liberale a dar sò stes-
80, unendosi personalmente all'uomo per
farlo atto a rialzarsi, che non se Egli
avosse per sola sua cortesia perdonato
il peccato. E quanto poi alla giustizia,
nessun altro modo sarebbe stato bastante
a soddisfurla, so lo stesso Figliuol di Dio
non si fosse umiliato. - SÉ srksso: « Tra-
didit semet ipsum pro me; » Gal. II, 20.
110. A Fan: Al. PKR FAR; IN FAR.- BUFFI-
CIKNTR: atto a rialzarsi dalla sua caduta.
117. pIxk850: perdonato.
118. scansi: inadeguati per ciò che ri-
guarda la divina giustizia.
120. UMILIATO: < Lumiliavit semet
[CIELO SECONDO])
PAR, vi. 121-136
[rMMORTALITÀ] 767
121 Or, per empierti bene ogni disio,
Ritorno a dichiarare in alcun loco,
Perchè tu veggi li così com’ io.
124 Tu dici: “ Io veggio l’acqua, io veggio il foco,
L’aer e la terra, e tutte lor misturo
Venire a corruzione, e durar poco ;
127 E queste cose pur fùr creature: ,,
Perché se ciò c'ho detto è stato vero,
Esser dovrien da corruzion sicure,
130 Gli angeli, frate, e il paese sincero
Nel qual tu sei, dir si posson creati,
Si come sono, in loro essere intero ;
133 Ma gli elementi che tu hai nomati
E quelle cose che di lor si fanno,
Da crenta virtù sono informati.
136 Creata fu la materia ch'egli hanno,
ipsum; » Philipp, II, 8. Ufr. Thom. Aq.
Sum, theol, 117, 49, 6.
V. 121-148. Creature corrwttibili e
creature incorruttibili. Beatrice avo-
va detto (v. 67 0 sog.) che tutto ciò che
è da Dio immedintamente creato non ha
fine, poichè l'impronta posta da Dio non
si muove,la qual sentenza esige una spie-
gazione. Anche gli elementi uscirono dal-
la mano di Dio, 6 ciò nondimeno sono
corruttibili. Ma gli elementi non furono
creati da Dio immediatamente, sono anzi
effetto di create virtù e quindi si corrom-
pono, Invece l'anima umana deriva im-
medlintamento da Dio, non colla coopera-
sione di canse seconde, ed è quindi di
necessità eterna. Ed anche la forma del
corpo umano procede immediatamente
da Dio, avendo il Creatore di propria
mano formato il corpo del progenitori.
Dunque conviene di necessità ammet-
tere la risurrezione del corpo.
121, PER EMPIERTI: per soddisfare nl
tuo desiderio di conoscere il vero, « Il
desiderio sì pod risguardare come nn
vnoto ; empilo e rimane soddisfatto } »
Biag
122. A DICHIARARE: ciò che ho detto al-
trove, v. 67 © seg.
123. Lì: in tal materia. - così: con
quella stessa chiarezza.
124, TU DICI: « potes dicere et oblicero
mihi; » Benv, « Accenna Dante a cose
che sono sotto l'uomo, e dice: questo
cose, perchd crente da Dio, dovettero
essore immutabili: come dunque vanno
a corruzione? » Corn.
125, MISTURK: ogni composizione dei
detti quattro clementi; » Muti,
127. CHKATURE: create da Dio, onde do-
vrebbero esse pure essere incorruttibili.
130, rags: i cleli, che sono di porn
materia; cfr. Ep. Kani, 23. Secondo le
dottrine degli scolastici i cieli sono incor-
ruttibili; cfr. Thom. Ag. Sum, theol. I,
10, 5; I, 690, 2;1, 97,1; 1°, 49, 4. Com.
Lipe. III, 177 6 seg.
1831, cnnatTi: « non antom dicimua quod
materia ot emlum produceta sunt in casso
por crentionem ; » Thom. Ag. Sum. theol,
I, 46, 1, 5; I, 06, 2; I, 76, 6.
132, rerero: « perfecto, sine corrup-
tione vel fine, quin sunt immediate a Deo
sine opera naturm ; » Ken. « In quello
casero intero che ora sono; imperò che
Iddio cred insiome la materia loro è la
forma.... E però si pod conchiudere che
debbono essere perpetui è liberi; » Buti.
134, cur DI LOR: che si compongono dei
detti elementi.
135. DA CHEATA: hanno la loro forma
da virtà creata da Dio, da nna causa se-
conda, dunque non sono create immedia-
tamente da Dio, comela materiae la virtù
informativa dei cieli. -1NFORMATI: deter-
minati ad avere queste o quelle formo s0-
stanziali.
136. creaTA: immediatamente da Dio.
ECONDO]
Par. vil. 187-145
[1MMORTALITÀ]
Creata fu la virtù informante
In queste stelle, che intorno a lor vanno.
139 L’anima d’ogni bruto e delle piante
Di complession potenziata tira
Lo raggio e il moto delle luci sante.
142 Ma vostra vita senza mezzo spira
La somm-r innamora
Ti al disira.
145 \a3u cora
«La materia prin
modiatamente cr
Dio ed ossa perd
ceasive e varie fu
187. vintTu INFiomena e a ni
dà i principii specifici agl
188. VaNNO; 8’ aggiranc
elementi.
139. L'ANIMA : fl conoett
passo, del resto nasali oscuro, d it ____..
l'anima, cioè il principio vitale, dei bruti
o delle piuute, non è immediatamente
creata da Dio, quindi non è incorrutti-
bile ed immortale; ma l'anima umana è
creata immediatamente da Dio, ed è per-
ciò immortale. Sulle diverse interpreta-
zioni cfr. Com. Lips. III, 178-180. Se-
condo | più l'agente del verbo tira è lo
raggio ed il snoto, onde il senso: Dalla
materia elementare, che nella sua com-
pleasione è potenziata a cid, le stelle
splendendo e giraudo tirano e riducono
in atto l'anima sensitiva de’ bruti, e la
vegetativa dello pianto. Così, astrazion
facondo da alcune differenze secondarie,
Lan., Ott., An. Fior., Benv., Buti, Land.,
Vent., Biag., Ces., Tom., Br. B., Frat.,
Greg., Andr., Kennas., Cam., Franc.,
Fual., Blanc, Witte, Pol., ecc. Questo
modo d'intendere è confortato dalle dot-
trine scolastiche; cfr. Thom. Aq. Sum.
theol. I, 75, 8, 6; I, 118, 1, 2. Secondo
altri l'agente del verbo tira è l’anima,
onde il senso: L’ anima sensitiva de’ bruti
e la vegetativa delle piante trae dalle
luci sante, ciod dalle stulle, lo raggio e
il moto, )’ essere e l'azione, di comples-
sione potenziata, cioò da struttura di esse
stello dotata di potenza. Così sembra
aver inteso Vell. edintendono Betti, Cost.,
Bory., Triss., ecc. La prima costrazione
è da preferirsi.
142. MA VOSTItA : ma l'amor divino crea
immediatamento, senza cause seconde,
i umana è la invamora sempre di
Thom. Ag. Sum. theol, I, 00, 2, 3.
i «animam homanam creando in-
et infundendo creat sine opera-
eli; » Bene.
UKNINAKZA: Al, BENIGNANEZA, be-
; oir. Par. XX, 09. Nannue., Ver-
6 seg.- LA INNAMORA: « Tu fe-
i ad Te, et inquietum est cor no-
w____y, donee roquiescat in Te. Quies
apud Te eat valde et vita impertorba-
bilia; » Aug. Conf. I, 1.
144. DISIKA : desidera la somma beni-
nanza. « L'anima umana, ch'è forma no-
bilissima di queste che sotto il cielo sono
generate, più riceve della natura divina
che alcun'altra. E perocchè naturalis-
simo è in Dio volere essere, l'anima
umana esser vuole naturalmente con
tutto desiderio. E perocchè il suo essere
dipende da Dio o per quello si conserva,
naturalmente diala e vuole a Dio essere
unita per lo suo essere fortificare; »
Conv. ITT, 2. Cfr. Purg. XVI,90; XXV,
70 e seg.
145. QUINCI: dal principio stabilito (v. 67
e seg.) che ciò che proviene immediata-
mente da Dio non ha fine, è di necessità
eterno. Dal fatto che i corpi di Adamo
ed Eva furono creati immodiatamente da
Dio, senza il concorso di cause secon-
darie, si deduce la necessità della rieur-
rezione dei corpi. Anche qui, come ovun-
que, Dante segue fedelmente San Tom-
maso; cfr. Sum. theol. I, 91, 2; I, 92, 4;
I, 97,1; III, 49, 3, ecc. Com. Lips. III,
181. Inquanto ai corpi dei discendenti di
Adamo, che non sono creati immediata-
mente da Dio, il Land. osserva: « Iddio
fece il corpo del primo uomo senza mezzo,
© per questo sarà perpetuo; e di quello
fece la prima fommina: adunque deve
esser perpetuo, e così i nostri che sono
da quelli. »
(ClELO TERZO]
Par. vit. 146-148 — vini, 1-2
(VENERE] 769
Vostra resurrezion, se tu ripensi
Come |’umana carne féssi allora
148 Che li primi parenti intrambo fénsi. » .
147, rÉss1: fu fatta quando fensi, si fe-
cero, furono creati ambedue | primi pa-
renti, Adamo ed Eva. « Se riflettiamo
alla massima che ciò che è fatto imme-
diatamente da Dio è incorruttibile, pos-
siamo aver fondamento per argomentare
alla risorreziono dei morti. Toichè la ge-
nesi dell'nomo non fu eguale a quolla dei
corpi inorganici e degli altri viventi, Dio
immediatamente foce il corpo di Adamo
e di Eva, immediatamente cred le loro
anime, immediatamente, da principio,
face Il composto umano. Quindi 4 da cre-
dere che sebbene ora l'nomo muoia in
pena della sua colpa, poscia abbia a ri-
sorgere; » Corn. È inutile dire che tutto
ciò & detto secondo la teologia e filosofia
del medio evo, che ora puro quella di
Dante. Fersino il Corn. confessa che
«n questo argomento non si appoggia
la risurrezione della carne como a solida
base, »
148. INTRAMNO: ambeduo, totti e duo;
efr. Inf. XIX, 25,
CANTO OTTAVO
CIELO TERZO DI VENERE: SPIRITI AMANTI
IL NOME DEL PIANETA, GLI SPIRITI AMANTI
CARLO MARTELLO, ROBERTO RE DI NAPOLI
CAGIONE DELLE VARIE INDOLI NEGLI INDIVIDUI
Solea creder lo mondo in suo periclo
Che la bella Ciprigna il folle amore
V. 1-12, Origine del nome di Vo-
mere pianeta. In procinto di entrare
nel terzo cielo, il Poeta esordisce svol-
gondo nn concetto già espresso Far. IV,
61 © seg. Credevano i pagani cho la bella
Venere, volgendosi nell'epiciclo del terzo
cerchio, Inflalase co' suol raggi lo stolto
amore che nasco dall'appetito senanale.
Onde non pure n lei facevano onore di
sacrifici è di preghiere con voti, ma ono-
ravano pure 6 Dione e Cupido, l'una oo-
meo madre, l’altro come figlio di Venore,
eredendo che anch'essi inflaissero l'amor
sensunle. E favologgiavano che Cupido si
19. — Div. Comm., 3% edis.
posò nel grembo di Didone e, cancellan-
dole dal onore l'antico, vi accendesso
nnovo amore, E da costei tolsero il nome
del « bel pianeta che ad amar conforta, »
o lo chiamarono Venere.
1, In suo rERICLO: con pericolo del-
l'eterna dannazione; Off., Benv., Buti,
Land., Vent., Lomb., Greg., Andr., eoc.;
nel sno consueto errore doll'idolatria, nel
quale era periolitato è perduto; Lan., An.
Fior., Vell., Tom., Br. B., Frat., eco. -
renic.o: sincope di pericolo, lat. periclum.
2. Cirriona: Venere, nata in Cipro;
cfr. Ovid. Met. X, 270.- FOLLE: sensuale.
Che il sol vagheggia or da copp
13 Io non m’accorsi del salire in ella
Ma d’ esservi entro mi fece assa
La donna mia, ch’io vidi far più
16 E come in fiamma favilla si vede,
E come in voce voce si discerne
Quando una è ferma e l’altra ve
19 Vid’ io in essa luce altre lucerne
9, nrograssi: infondesse co' suoi raggi.
« Dico anche, cho questo spirito vieno per
Wraggi dellastella: perchè sapere si vuole
obe li raggi di ciascuno cielo sono la via
per la quale discende la loro virtà in que-
ato cose di quaggit; » Conv. II, 7.- voL-
TÀ: girando, — kricicLo : «seconilo Tulo-
moo i pianeti facevano i loro movimenti
in direzione opposta al moto diurno della
respettiva spera, in un circolo partico-
laro, che appellavane epicielo, o perchè
suvrappusto al circolo chiamato eccentri-
ov, sulla circonfurenza dol quale sempre
doveva trovarsi il centro dell’ epiciclo ;
o perchè circolo principale, come quello
che doveva rappresentare le apparenze
più singolari, dipendenti dal moto pro-
prio dei pianeti. Ciasonno di questi aveva
l'epiciclo suo, tranne il Sole: quindi, co-
minciando la numerazione dalla luna, il
terso epiciclo apparteneva alla stella di
10. CO#TKI:
mincio il pros
TV, 316. den,
12, ba COP
(Inf. XXV, 2
Guo: dalla p
(Diana o Lu
V. 13-30. 3
al accorgo del
nore, ma la er
no lo rendo sm
molla inne
voce, egi
luci muovere
simo incontri
nanzi apparie
Sono gli apir
cielo d' amor
v. 2, ma anzi
divino,
di dî cc io
[CIELO TERZO]
PAR. VITI. 20-85 [CARITÀ CELESTE]
771
Moversi in giro più e men correnti,
Al modo, credo, di lor viste eterne.
22 Di fredda nube non disceser venti,
O visibili o no, tanto festini,
Che non paressero impediti e lenti
25 A chi avesse quei lumi divini
Veduti a noi venir, lasciando il giro
Pria cominciato in gli alti serafini.
28 E dentro a quei che più innanzi apparîro,
Sonava « Osanna » sì che unque poi
Di riudir non fui senza disiro.
al Indi si fece l’un più presso a noi,
E solo incominciò: « Tutti sem presti
Al tuo piacer, perché di noi ti gioi.
dA Noi ci volgiam coi Principi celesti
D'un giro, e d'un girare, è d'una sete,
21. errRNE: socondo il loro più o meno
vedere in Dio, il qual vodere durerà in
avvenire per sempre, a differenza dello
visioni terrestri, le qnali non durano che
pochi istanti. Al. INTERNE, clod: a secon-
da delle loro interno visioni, Qui in terra
al hanno visioni interne, In cielo eterne.
22. NUDE: secondo Aristotele | vapori
caldi e secchi, montando all'estremo della
terza regione dell'aria, commuovono l' a-
ria, essendo percossi da fredde nuvole;
quindi il vento.
23. visinint: al cacciar che fanno in-
nanzi a sè la polvere o le nuvole. - Fr-
estinti: rapidi: ofr. Par. II, 61. Virg.
Aen. V, 310; VII, 806 6 sog.; VITT, 223;
XIT, 733. Horat. Od. II, 16, 24.
26. YEDUTI: Al. VEDUTO.- LABCIANDO:
« interrompendo la danza, che ha il suo
principio insieme coll'altiasimo cielo, dot-
to i! Primo Mobile, preseduto dal coro
dei Serafini, ji] quale cielo sggira seco tutti
gli altri cieli sottoposti. Que' santi adun-
que che nel cielo Empireo danzavano in-
siome coi Serafini (i più sublimi degli api-
riti boati) discesiin Venere, per scontrare
Dante e fargli oneate è lieto nocoglienze,
continnavano ancora ]a loro danza, 6 non
la lascinrono so non quando egli vi fu
giunto; » Al. Mariotti. Al.: Lasciando di
aggirarsi con Venere (‘).
28, penwTro: AI, metro, Il suono non
era dietro, ma dentro, in mezzo è quelle
anime,
20, OBANNA : ofr. Par, VII, 1.-UNxQUE:
mai; ofr. Purg. IIT, 105; V, 49, D'allora
in poi non foi mai senza il desiderio di
riudire quel canto in cielo,
V. 81-39, Carita celeste. Uno di que-
gli spiriti (Carlo Martello) si fn avanti,
dicendo a Dante che tutti sono pronti
ad appagare i suoi desiderj, affinchè egli
prenda gioia di loro. La gioia altrui è la
giola delle anime beate; cfr. Thom. Ag.
Sum. theol. III, Suppl., 72, 2.
32, nior: gioisca, prenda gioia. Gioi per
gioia, da gioiare, usarono gli antirhi in
rima ed in prosa; cfr. Nannwe., Verbi, 19.
24. cor Prixciri: col coro angelico dei
Principati, motori del cielo di Venere.
Secondo Dante, a ciascuno dei nove cieli
materiali è preposto nno dei nove cori
angelici, che sono i motori, ciasenno del
suo cielo; cfr. Par. XXVIIT, 40-120,
Com. Lips. TIT, 188, 763, è sog.
35. D'UN GIRO: circolare, rispetto allo
spazio; d'un girare eterno, rispetto al
tempo, e d'una sete dell'amor divino, con-
cernente l'affetto, « Noi anime beate ci
volginmo e moviamo a quello modo che
sì muovono gli angeli di questo cielo,
moss! da amore eterno, il quale ci è re-
gola d'una modesima misura, d'uno me-
desimo desiderio, d'uno medesimo affetto,
sì come è nello intendimento degli pre-
letti, cho posseggono questa regione; è
però siamo simili ad essì; » Lan. od An.
Fior.
772 [CIELO TERZO]
PAR. VITI. 86-51
[CARLO MARTELLO]
Ai quali tu del mondo già dicesti:
87 “Voi che intendendo il terzo ciel movete; ,,
E sem sì pien’ d'amor che per piacerti
Non fia men dolce un poco di quiete. »
do Poscia che gli occhi miei si fùro offerti
Alla mia donna riverenti, ed essa
Fatti gli avea di sè contenti e certi,
43 Rivolsersi alla luce, che promessa
Tanto s'avea, e: « Di’ chi siete? » fue
La voce mia di grande affetto impressa.
40 E quanta e quale vid'io lei far piùe
Per allegrezza nuova che s’accrebbe,
Quand’io parlai, all’allegrezze sue!
49 Così fatta mi disse: « Il mondo m’ ebbe
Giù poco tempo; e, sé più fosse stato,
Molto sarà di mal, che non sarebbe.
86. AI QUALI: al Principi celesti; cfr.
Ounv. II, 2, 0. - pitt. MONDO: Al. NKL
MONDO. Del mondo valo Cittadino del
snondo ; cfr. Purg. V, 105.
37. Vol: priucipio della prima Canzono
commentata da Dante nel Convivio; cfr.
Conv. II, 4-6.
39. MKN DOLCI: dol canto e dolla danza.
« L'amor di Dio e l’amore del prossimo
non ponno mai essero in contesa tra loro;
l'uno non può mai escludere l'altro. Am-
bedue sono essenzialmente uno, e si au-
mentano vicendevolmente; » Filal.
V.40-84. Carlo Martello. Collo sguar-
do Dante dimanda a Beatrice licenza di
parlare, collo sguardo Beatrice acconsen-
te. Chiede a quello spirito chi egli sia, e
brillante di gioia lo spirito gli si manife-
ata. È Carlo Martello, figlio di Carlo II
d'Angiò, n.1271, coronato re d'Ungheria
nel 1290, m. 1295. Da questi versi risulta
che Dante lo conobbe nella prima vita,
ed ebbe forse con lui relazioni amiche-
voli. Probabilmente Dantelo vide quando
nei primi mesi del 1294 Carlo fu a Firen-
ze, andatovi da Napoli per incontrare il
padre o la madre che tornavano dalla
Francia. Cfr. Todeschini, Scritti su D.
I, 171-210. Del Lungo, Dino Comp. II,
498 © seg. Schipa nell’ Arch. stor. napol.
XIV, 17 e seg., 204 e seg. Kjusd. Carlo
Martello Angivino, Napoli, 1890. Rivi-
sta storica italiana, a. VII, fasc. 3°, pa-
gina 552 e seg. Com. Lips. 111, 102 © wog.
40. OPFERTI : rivolti, a chiedere licen-
za di parlaro.
42. DI sé: della sua approvazione. Oon-
tenti riguarda il cuore, certi la mente.
44. pl’ CHI SIETE: dimmi chi tu sei e
chi sono le altre anime teco. Una do-
manda simile Par. III, 40 e seg. Al. in-
tondono: Di’ chi tu sei, rammentando
Par. XVI, 16. Al. leggono senza auto-
rità di codd. Di’ cui sk' TU; Den. cHI
SIKTK, eco. Cfr. Com. Lips. III, 190-191.
Tutti gli antichi, senza eccezione, lesse-
ro: Di’ cut SIETE. Il Dan. fu il primo a
scostarsi da questa leziono. Benv. ha:
DKU, CHI SIETE, lezione propugnata da
Dion., Fosc., Betti, E'm.-Giud., Greg.,
Br. B., Frat., ecc.
46. K QUANTA E QUALE: « si mostrò
per gioia più grande rispetto alla quan-
tità, più luminosa rispetto alla qualità ; »
Oorn. Cfr. Virg. Aen. II, 274, 591 e seg.
- FAR PIÙR; crescere in grandezza ed in
lucidità per la letizia di poter appagare
il desiderio espresso dal Poeta.
49. COSÌ FATTA: così mirabilmente cre-
scinta in grandezza ed in isplondore. Se-
condo altri così fatta sarebbero parole
dell’ anima = così bella qaal mi vedi. Fu
Carlo Martello in terra qualo Dante lo
vide nel pinnota di Venerof!
50. POCO TEMPO: venticinque anni.-1'1U:
se avessi avuto più lunga vita in terra.
61. MAL: molti mali avverranno che si
warebbero evitati. « Quasi dica: io avrei
[CIELO TERZO]
PAR. Vill. 52-63
[CARLO MARTELLO] 778
52 La mia letizia mi ti tien celato,
Che mi raggia dintorno, e mi nasconde
Quasi animal di sua seta fasciato.
55 Assai m’amasti, ed avesti bene onde; ©
Ché, s’io fossi giù stato, io ti mostrava
Di mio amor più oltre che le fronde.
58 Quella sinistra riva che si lava
Di Rodano, poi ch'è misto con Sorga,
Per suo signore a tempo m’aspettava;
61 E quel corno d’Ausonia, che s' imborga
Di Bari, di Gaeta e di Crotona,
Da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
composte le cose di Sicilla con quelle
d'Aragona per modo, che sarebbe tolta
la guerra: la quale continuo l'affliggo; »
Ott, « Quia melios gubernassem regna
mea liberalitate, quam Robertus sua cu-
piditate, com tota gaplentin sua; » Benv.
52, cxLaTo: ofr. Par. ILI, 48. « Il cielo
di Venere è l'ultimo, in oul gli spiriti
beat! hanno conservato i lineamenti del
loro corpo terrestre, Nelle sfere inferiori
tlel Paradiso gli spiriti beati mostrano
ancora fattezze umane. Più in su essi
non appariscono che come fiamme, finchè
nell'Empireo tntti rincqnistano la pro-
pria loro forma, ma trasfigurata ; » Witte.
54, ANIMAL: come baco da sota nel sno
bozzolo: - FAScIA10: cfr. Par. XXVI,126.
65. Mm'AMASTI: Carlo Martello «in Fi-
renze stette più di venti di, attendendo
il ro Carlo suo padre o' fratelli, e da’ Fio-
rentini gli fu fatto grande onore, ed egli
mostrò grande amore a' Fiorentini, on-
d'ebbe molto la grazia di tatti; » Vill,
VIII, 13. Accanto a queste parole del
cronista, il senso dei versi di Danto po-
trebbe essere semplicemente; « Mi ama-
sti assai come Fiorentino; » nd involve-
rebbero nn accenno ad amicizia porso-
nale. Potrebbe essere insomma una pro-
testa di Dante, di aver posto un dì è
grande affetto è grandi speranze nel gio-
vine re titolare d' Ungheria. Del resto
ofr. Com, Lips. INT, 193 © sog.
60. ait: in terra, Se io feast viasnto più
Inngo tempo, non mi sarti contentato dl
offrirti speranze, ma ti avrei dato più
sodi pegni del mio amore. Le fronde po-
trebbero alludere n speranze vaghe, ©
l'amore potrebbe essere in genorale
quello che Carlo pose a' Fiorentini.
68. riva: Ia Provenza moridionale che
erade'redi Napolie nel coi governo Carlo
Martello come primogenito del Ciotto do-
vevasuccellere,— 81 LAVA: cfr. Horat, Od,
II, 3, 18. Virg. Aen. ILI, 396 è sog., 419.
50, Sonna: la Sorgue, piccolo flume
che nasco «dalla fontana di Valchiusa è
mette foce nel Rodano tre o quattro mi-
glia al disopra di Avignone.
60. A TEMPO: dopo la morte di Carlo 1I,
avvenuta nel 1309.
61. x QUEL: è m'aspettava per ano si-
gnore il regno di Napoli. - conxo: efr.
Virg. Aen. III, 649. - AUSONIA; Italia.
- s'IMuonoA : si emple di borghi. « Non
si poteva con maggiore sobrietà nè con
più precisione circoscrivere il renmo di
Nnpoll. Bari nccenva alla costa Adriati-
ca, Gaeta, al Mediterraneo, Crotone (1) n
quella del Marinfero, o inferiore; il Tronto
e il Verde ai confini con gli Stati della
Chiesa tra l'uno e l'altro mare; » An-
tonelli.
62, Ckoroxa: ora Cotrone, città della
provincia di Catanzaro, a'piedi del monte
Cervaro, presso la foce del finme Esaro
nel mar Jonio. I più leggono CATOKA,
che è un paesello all'estrema punta della
Calabria. Ma « se Dante avesse scritto
Catona, egli nvrebbe indicato due volte
il Tirreno (con Gneta l'una, 6 l'altra
con Catonn) e nessuna volta il mar Ionio;
edi consognento non sarobhe più in
questa Lorsinn con procisiono circoseritto
il Reame di Napoli, e la descrizione di-
venterobbe viziosa e imperfetta; » 8, De
Curana, Dante e la Calabria, Cosenza,
1804, p. 40. EFjusd, Catona, Noterella
dantesca, Tor., 1897. Bass. 117 a seg.
63. DA OVE: Al. LÀ Ove. = Venni: fl
774 [CIELO TERZO]
Par, VITI. 64-77
[CARLO MARTELLO]
64 Fulgeami già in fronte la corona
Di quella terra che il Danubio riga
Poi che le ripe tedesche abbandona;
07 E la bella Trinacria, che caliga
Tra Pachino e Peloro, sopra il golfo
Che riceve da Euro maggior briga,
70 Non per Tifeo, ma per nascente solfo,
Attesi avrebbe li suoi regi ancora,
Nati per me di Carlo e di Ridolto,
78 Se mala signoria, che sempre accuora
Li popoli suggetti, non avesse
Mosso Palermo a gridar: « Muora, muora. »
70 E se mio frate questo antivedesse,
L’ avara povertà di Catalogna
Liri, oggi Garigliano ; confr. Purg. 111,
131. Altri intendono del Custellano ; ofr.
Com. Lips, III, 106 e seg. Bass. 116 è
seguenti,
65.montA: l'Ungheria, della quale Carlo
Martello (tiglio di Maria, sorella di Ladi-
slao IV re d'Ungheria, morto nel 1290
senza successione) fu incoronato re. Ma
il trono fu occupato da Andrea III, il
Veneziano, onde Carlo Martello non fu
che ro titolaro. Suo figlio Carlo Ruborto
ottenne poi nel 1310 col titolo anche il
trono. Cfr. Todeachini, Scritti su D., I,
173 e seg. Giannone, X XI, 3. Itohrbacher,
Stor. della Chiesa, XIX, 252. - tica: ba-
goa; cfr. Virg. Aen., VII, 738.
07. ‘Puixacnia: Sicilia. - CALIGA: si
copre di caligine; cfr. Virg. Aen. 1I,
570 © seg.
68. Pacnino: Capo Passaro, - PELO-
RO: Capo Faro.
69. MAGGIOR: che d'altro vento; cfr.
Loria, L'Italia nella D. O. I1?, 629.
70. TIFEO: gigante fulminato da Giove
e sepoltu sotto l'Etna, dove sbuffa fumo
e caligino; cfr. Inf. XXXI, 124. Ovid.
Met. V,340660g.Virg. Acn. III, 560-587.
- S0LFO: cfr. Plin. Hist. nat. XXXV, 5.
« Vuole il Poeta additurei l’origino e la
cagione prossima dol fumoso vulenno del-
l'Etna, supponendola uccortamunte nella
natura sulfurea di quel terreno, e met-
tendo da parte le favole di ‘Vifeo e di En-
celado; » Antonelli.
71. ATTKSI: aspottati.- Kal: legittimi,
discendendy per linoa matornada Ridollo
imperatore.
V_msi
72. NATI: | quali per me sarebbero di-
scesi da Carlo d'Angiò e dall'imperatore
Ridolfo d'Absburgo padre di Clemenza
mia moglio.
73. MALA sioxogia; di Carlo I d'Au-
giò; cfr. Vigo, Dante e la Sic., 24 © seg.,
87. - accUORA: inasprisce; cfr. Monti,
Prop. 1, 2, 82 e seg.
76. PALKRNO: dove ebbero principio i
Vespri Siciliani. - MUORA: «incontanente
tutta la gonte si ritrassono nella città, o
gliuominiad armarsi, gridando: muoiano
t Franceschi!» Vill. VII, 61. Cfr. Amari,
Vespr. Sicil. ippend., 638.
76. FATE: 80 prima di essere re, mio
fratello Roberto (salito sul trono nel 1809)
prevedesse che un governo oppressivo e
tiranuico asproggia sermpro i popoli sug-
getti, egli fuggirebbe sin d'ora l'avara
povertà dei Catalani, aftinchò non gli
avesse a nuocere.
57. CATALOGNA: Lodovico, Roberto e
Giovanni, fratelli minori di Carlo Mar-
tello, dati dal padre loro Carlo II in
ostaggio pel riscatto della sua persona,
dovettero rimanore in Catalogna nolla
Spagna dal 1288 al 1295 (cfr. Jtayn. Ann.
Eccel. ad. a. 1295, n. 22). Duranto questo
tompo Koberto « acquisivit amicitias et
familiaritates multorum, quos postes in
ltalia promovebat ad oficia, qui nove-
rant bone accumulare. Ad quod duo im-
pellebant eos, scilicet, paupertas, quis
suadet homini furtum et rapinam; et
avaritia, quiv reddit bominom ingenio-
sum ad omnia illicita lucra ; » Beno. Ma
W Betti: < 1 noliati mercenari in Italia
[CIELO TERZO]
Pan. viti. 78-93 ([FIGLI DEGENERI) 775
Già fauggiria, perché non gli offendesse;
79 Ché veramente provveder bisogna
Per lui, o per altrui, si ch’a sua barca
Carcata più di carco non si pogna.
82 La sua natura, che di larga parca
Discese, avria mestier di tal milizia
Che non curasse di mettere in arca. »
85 « Però ch'io credo che l’alta letizia
Che il tuo parlar m’infonde, signor mio,
Là ove ogni ben si termina e 8’ inizia
88 Per te si veggia, come la vegg' io,
Grata m'è più, e anco questo ho caro,
Perché il discerni rimirando in Dio.
Di Fatto m’ hai lieto, e così mi fa’ chiaro,
Poiché, parlando, a dubitar m’ hai mosso,
Come uscir può di dolce seme amaro. »
si chinmavano allora Catalani, quantun-
que non fossero tutti di quella provincia
di Spagna; ma avventurieri spagnuoli,
francesi, eco, »
79. CH VERAMENTE: perciocchè biso-
gna voramonte cho si provveda, o por
opera di loi medesimo, o per opera d'al-
tri, cioè parenti ed amici, affinchè l'ava-
rizia sun non s' aggravi con l'altrui, e le
suo colpe con altre nnove colpe. Al.: per
Ja barca intendono il Regno e apiegano :
aMnchò il Regno, già gravato assai per
l'avarizia sun propria, non sia gravato
ancor più per l'avarizia de' suoi mini-
atri. Ma il colloquio nel pianota di Ve-
nere si finge avvenuto nel 1800, mentre
Roberto non sal) nl trono che nel 1309.
82. PARCA: avara. Egli, che di padre li-
berale nacque avaro, avrebbe bisogno di
officiali che non badassero soltanto a far
denari. Sull'avarizia di Roberto cfr. Vill.
XII, 10. - LARGA: in confronto colla na-
tura di Roberto; del resto nvaro anche
il Ciotto; ofr. Purg. XX, 79 © sog.
83, MILIZIA : lat. milites, l'inaieme de-
gli officiall od impiegati del Regno.
BA. IN ARCA : « Tpso domi, simnl no nim-
mon contomplor in aren; » Horat. Sat. 1,
1, 07.
V. 86-03, Figli @ dai gent-
tori. Qual albero tal fratto; efr. S. Matt.
VII, 16, 17; XII, 38. S. Luca VI, 43, dd.
8. Giae. III, 11, 12. Ma Carlo Martello
ha detto che Roberto suo fratello nacque
avaro da padre liberale. Quindi il dubbio
che Dante prega di sciogliergli: Come
ponno nascere cattivi figlinoli da buoni
genitori ?
B7. LA OVE: in Dio, principio e fine
fd’ ogni bene. Altri intendono inveco dol
Taradiao o spiegano: Poichd io credo cho
qui nel Paradiso, dov'è il principio ed il
fine d'ogni bene, si veggia da te, como
la veggio e sento jo, l'alta letizia che Il
too parinro m' infondo, questa lotizia mi
è più grata. Così Henv., Lomb., Port.,
T'og., Br. B., Frat., Greg., eco. Moglio:
Però che io credo che l'alta letizia, cho
il tuo parlare mi ha infusa, si voggn da
te in Dio, principio è fine d'ogni bene,
essa mi è più grata; ed ho pur caro che
tu la discerni rimirando in Dio, anzichè
leggendomi direttamente nel onore, Cfr.
però Com. Lips. III, 202.
03. pi voter: da buon padre cattivo
figlio,
V. 94-135, Cagione delle vario in-
doti negli indiriditi. Carlo Martello
scioglie il quesito propostogli argomen-
tando; Veramente, ogni simile dovrebbe
sempro generare |) sno simile, onde la
natura de’ figlinoli snrobbo sompro son-
forme n quella dol gonitori, no la divina
Provvidenza non disponesse altrimenti.
Ma nella generazione dell'uomo non è
da considerare soltanto In natura del ge-
nerante, ma anche la virtù influente dei
cieli, la quale opera indipendentemente
=]
RZ0]
Par. viii, 94-108
- [VARIE INDOL.1]
94 Questo io a lui; ed egli a me: « S'io posso
M. strarti un vero, a quel che tu domandi
Terrai il viso come tieni il dosso.
97 Lo Ben che tutto il regno che tu scandi
Volge e contenta, fa esser virtute
Sua provvidenza in questi corpi grandi;
100 E non nur la natnra nravvadnte
San a m perfetta,
salute.
103 ] co saetta
: | fine,
Si \iretta,
106 Se cu nai cammine
Pri sare tti,
Che non si ruine;
dalla natora del generante, Li» l'essere insieme, alla vita sociale
la sua provvidenza nel corpi «
municando quelle virti che tenduuu uaa
attuarla, onde essi influiscono sulla terra
in modo conveniente a' suoi fini. Avendo
egli creato l'uomo sociale e la società
non potendo sussistere senza un ripar-
timento di professioni e di uftici, bisognd
provvedere che gli nomini nascessoro di-
versi d'indole, di tendonze, di capacità.
Pertanto egli diede alle stelle la virtù
d' influire diversamente sui diversi indi-
vidui generati, senza alcuna dipendenza
dalla natura dei loro generanti non solo,
ma eziandio senza veruna distinzione tra
i diversi ceti dell’ umana società. Cfr.
Giambullari, Deyli inslussi celesti, nello
sae Lezioni. Fir., 1551, p. 85-125.
95. UN VERO: una verità fondamentale.
Se mi riosce di farti chiara una verità
che è baso dolla soluzione del tuo dub-
bio, ti si farà evidente ciò che ora ti è
oscuro.
96. TERRAI: vedrai quello che ora non
vedi; cfr. v. 136. Aug. Conf. IV, 16.
97. Ben: Dio; cfr. Purg. XXVITI, 91.
Par. ViI, 80; XIV, 47. - unGno: celeste.
- SCANDE: nascondi.
08. VOLGE: cfe. L’urg. XXV, 70. Par.
I, 1.- CONTENTA: fa lieto, appaga. - FA
KS8KR: fa che la sua provvidenza sia
virtà influente in questi corpi celesti;
cfr. Deuter.IV, 19.
100. x NON: ela Mente divina perfet-
tissima provvede non solo all'essere, ma
lute delle nature. Cir, Thom.
Ay: our. theol, I, 22, 1-4; I, 23, 1, « Me-
diante la virth dei cieli, dalla mente di
Dio la natura delle cose vieve a costi-
tuirsi non solo nell’ essere, ma eziandio
nel ben essere. Per lo che tutto cid che
cagionano lo predette virtù, va ad uno
scopo inteso dalla divina mente, come va
a bersaglio inteso il dardo scoccato dal-
l'arclere ; » Corn. Sulle diverse altre in-
terpretazioni di questa terzina cfr. Com.
Lips. 111, 203 e seg.
101, ba BE: a differenza di tatte lo al-
tre creature, cho da lui hanno la loro
perfezione.
102. SALUTE: benessere.
103. QUANTUNQUE: neutro alla lat. =
tutto ciò che. Tutte lo inflaenze dei cieli
sono disposte a fino già provveduto da
Dio, mirano a questo tinue come dardo al
segno. - ARCO: influenza di operazioni
celesti. « Tatto le operazioni di quassù
sono disposte a fine infallibile; » Tom.
105. COSA: come la cosa lanciata riesce
al segno al quale è stata diretta. Cosa
hanno quasi tutti i codd.; la loz. cocca
ò priva di autorità.
106. sk CIÒ: se non fosso questa regola
© quosto ordine, i cieli produrrebbero |
loro effetti non somiglianti al divino ar-
chetipo, ma dovrubbonai dire fatti a caso,
onde nou sarebbero offetti dell'arte di-
vina, ma confusione, ruine, un fascio
scompaginato. - CAMMINE: cammini,
[CIELO TERZO]
Par. vii. 109-125 [VARIE INDOL1]
777
109 E ciò esser non può, se gl’ intelletti
Che muovon queste stelle non son manchi,
E manco il Primo che non gli ha perfetti.
112 Vuoi tu che questo ver più ti s'imbianchi? »
Ed io: « Non già, perché impossibil veggio
Che la natura, in quel ch'è nopo stanchi. »
115 Ond’ egli ancora: « Or di’. sarebbe il peggio
Per l’uomo in terra s’ e' non fosse cive? »
« Si, » rispos’ io, « e qui ragion non cheggio. »
118 « E può egli esser, se giù non si vive
Diversamente per diversi offict ?
No, se il maestro vostro ben vi scrive. »
121 Sì venne deducendo insino a quici;
Poscia conchiuse: « Dunque esser diverse
Convien dei vostri effetti le radici:
124 Per che un nasce Solone, ed altro Serse,
Altro Melchisedech, ed altro quello
109. INTELLETTI: intelligenze motrici.
Se il cielo producesse disordine invece di
produrre ordine, le intelligenze che mno-
vono i cieli sarebbero imperfette, ed im-
perfetta pure si dovrebbe dire l'Intelli-
gonza prima, Dio, il creatoro dello intel-
ligenze motrici, non avendole create atte
a governare |' universo.
111, 11 Primo: Dio; cfr. Ep. Kani, 20.
- PERFETTI: perfezionati ; cfr. Virg. Aen.
III, 178.
112. ven: verità fondamentale, - s8'rm-
bramcni: ti si faccia più chiaro.
113. Non GIA: non occorre dichiarare
la cosa ulteriormente, perchè comprendo
che è impossibile che la natura venga
meno nelle cose necessarie,
115. IL PROGIO: sarebbe un male ae
l'uomo non fosse in società!
116, cive: cittadino; Purg. XX XIT, 101.
Ofr. Ariatot. Polit.1I, 1,2; 111,9; VII, 9.
117. NON cHEGGIO: non chiedo altra
prova, questa sssendo cosa chiara,
118. KGLI: e può l'nomo essere citta-
dino, può esservi società senza diversi
ufMeit? i
120. 1. MAESTRO: Aristotele, « il mne-
strodella numana ragione » (Conv. IV, 2),
« degnissimo di fede e d'obbedienzia »
(Conv, IV, 6), il quale è nella Politica e
nell'Etica dimostra la necessità dei di-
versi officil da esercitarsi da nomini che.
vivono in società.
121. DEDUCENDO : argomentando sino a
questo punto, indi trasse ln seguente con-
clusione. -quict: qui ; ofr, Purg. VII, 66.
Par. XJI, 130.
122. RESKR DIVERSR: è donqneo necessa-
rio che gli uomini nbbinno diverso attitn-
dini, le quali sono le radici delle umane
operazioni. « A ben vivere in società oc-
corrono ufficli diversi, per i quali si ri-
chieggonodiverse attitudini ; alle diverse
attitudini occorrono, come all'albero le
radici, indoli diverse che le producano; »
De Gub.
124. SOLONE : con le qualità proprie del
legislatore, come Solone, il legislatore di
Atene, nato a Salamina nel VII secolo
n. O, - La lezione AbsALox è inattendi-
bile. - Sense: bellicoso e colle qualità
proprie di chi deve guidare eserciti, come
Serse, il bellicoso re dei Forsiani; ofr.
Purg. XXVIII, 71.
125. MeLcRISEDRCH: un altro nasce
con le qualità proprie del sacerdote, come
Melchisedech, il sacerdote di Saleme, ti-
po è figura di Cristo; ofr. Genes. XIV,
18-20. Salm. CIX, 4, Ebrei, V, 6; VII,
2. Thom, Aq. Sum. theol. 117, 22, 0, —
QUELLO: ed nn altro nasce per creare
congegni meccanici, atto alle arti ed in-
dustrie, come Dedalo, che per uno di quei
congegni volò ed insegnò a volare al figlio
6 lo perdette; ofr. Inf. XVII,109 © seg.;
XXIX, 116.
778 [CIELO TERZO]
Par. vini. 126-196
[VARIE INDOLI]
Che volando per !’ aere il figlio pèrse.
127 La circular natura, ch’ è suggello
Alla cera mortal, fa ben sua arte;
Ma non distingue l'un dall’altro ostello,
180 Quinci addivien ch’ Esaù si diparte
Per seme da Iacob, e vien Quirino
Da sì vil padre che si rende a Marte.
133 Natura generata il suo cammino
Simil farebbe sempre ai generanti,
Se non vincesse il provveder divino.
130 Or quel che t’ era retro t' è davanti;
127. CIRCULAN NATURA : la virtà attiva
dei cieli che vanno sempre in giro, la
quale imprime ai mortali le varie attitu-
dini, dotermina beng l'indole degli no-
mini, ma senza distinzione di achiatte,
non badando punto all'origine dell'indi-
vidoo, alle case è famiglie.
129. OSTELLO: alborgo, dimora; confr.
Purg. VI, 76. Par. XV,132, ecc. Lu voce
è qui forse usata in senso più esteso per
Stato, Condizione e simili.
130. QUINCI: non avondo i corpi celesti
nelle loro influenze riguardi por chicches-
sia, l'uno nasce di indole tutto diversa
da quella dell'altro, como fu visto in
Esut o Giucobbo, gomolli che ebbero in-
dole diversa fluo dalla loro genorazione,
di modo che contrastavano nel seno ma-
terno; cfr. Genes. XXV, 21-27. Rom. IX,
10-13. « Esai: o Tacob nacquero d'uno
padro, e d'una madre, e d' uno parto et
ad una ora; o niente di meno l'uno, cioò
Esaù, fu bollicoso ; è l'altro, Jacob, fu
pacifico. Ecco che, benché fussono d'uno
seme, |’ nno si partì dall'altro por condi-
ziono e disposizione; eo benchò li cieli
maudassero le loro intluenzie, all'uno
8'applicò l'una et all’altro l'altra se-
condo la Provvidenzia Divina; » Buti.
131. PER SKMK: « radicalmente, non per
educazione. E ciò avvenne perchè la na-
tura fu diversa affatto da quella che la
virtà do’ cieli infuse in Giacobbe suo fra-
tello; » Betti. - vikn: nasce. - QUIRINO:
Itomolo ; clr. Virg. Aen. 1, 274, 202.
132. 81 kKNDic: si dà a Marte la gloria
di essergli stato padre, il suo vero padre
essendo tanto vile; così Buti, Land., Vell.,
Dant., Vent., ecc. Invece Benv.: « ex sa-
cerdote vili, otioso, ubi Romulus fuit bol-
licosua, inquietus, che si rende a Marte,
sed vere potult dici filius Martis, quia
bellator victoriosus et autor populi belli-
cosi romani,» Itoncehetti, 149; «s'intenda,
che Quirino stesso si rendo a Marte, si fa
cioò attribuire la paternità divina.» Que-
sto poteva farlo anche quando il vero suo
padre fosse stato della più nobile stirpe.
Cfr. Lav, I, 4.
133. GENKRATA: la natura de’ tigli sa-
rebbe sempre couforme a quella dei ge-
nitori, se la Provvidenza non dispones-
se diversamente per il buon ordine del-
l'umana società. Cfr. Thom. Aq. Sum.
theol. II*, 1, 3: «in ageutibus naturalibus
forma generati est conformis forma ge-
norantia, »
135. VINCK88k: 46 per opera della Prov-
videnza le varie influenze dei cieli non
togliossero tanta monotona uniformità.
V. 136-148. Natura e Fortuna. Come
Matelda, Purg. XXVIII, 134 o seg., an-
che Carlo Martollo aggiunge un corolla-
rio della posta dottrina. Se nella scelta
dello stato la fortuna non le si opponga,
la natura, ministra dolla Provvidenza, fa
sempre buona riuscita. Ogni volta invece
che il naturale sortito dall'uomo non si
riscontri con una condizione, un eserci-
zio a sè conforme, fa mala riuscita, come
ogni semenza fuor del clima a lei conve-
niente. Se gli uomini in questo mondo
ponessero mente all'indole naturata nel-
l'uomo dalla virtù de' cieli, ed avviassero
la gioventù a quell'officio a cui la dispone
lu natura, si avrobbero ottimi filosoli,
guerriori, sacerdoti, artisti, eco. Ma per-
chè gli uomini non considerano la incli-
nazione naturale, essi vanno fuori di
strada, facendo prete chi ha l'indole ad
essere soldato, e viceversa.
136. OU: posta questa dottrina, tu in-
(CIELO TERZO]
PAR. viti. 137-148
(NATURA E FORT.) 779
Ma perché sappi che di te mi giova,
Un corollario voglio che t’ ammanti.
139 Sempre natura, se fortuna trova
Discorde a sé, come ogni altra semente
Fuor di sua region, fa mala prova.
142 E se il mondo laggiù ponesse mente
Al fondamento che natura pone,
Seguendo lui, avria buona la gente.
145 Ma voi torcete alla religione
Tal che fia nato a cingersi la spada,
E fate re di tal ch' è da sermone;
148 Onde la traccia vostra è fuor di strada. »
tendi oramai ciò che tu non comprende
vi; efr. v. 06,
137, Mt GIOVA: ho piacere d'intratte-
normi teco e guidarti alla conoscenza
della verità.
138. conouramo cfr. Purg. XXVIII,
130, JPoeth, Cons, phil, 111, pr. 10.- r'AM-
MANTI: ricovn, prenilancompimento della
erudizione della mento tna, come il manto
finisce di vestire In persona,
139. VORTUNA : confr. Inf. VII, 67-96,
* Provvida no’ snol ordinamenti è la na-
tora, male facoltà natorali, ss combattute
la condizioni di stato o di fortuna, intri-
atiacono come ssmenza in clima non con-
venorole;» L. Vent., Sim., 138.
140. sRMENTR: ofr. Hoet, Cons. phil.
III, pr. 11. Conv. INT, 3. Petr, Son. I, 41,
Arior., Ort. XIII, 69.
143. AL FONDAMENTO : alle natorali in-
clinazioni dei singoli individni.
144. 6RGUENDO: regolandosi 6 nell'edu-
cazione e nella scelta dello stato o delin
vocazione a norma di quest'indole natu-
rata nell'nomo dalla virtà dei cieli. Cfr.
Cie. De off. 1, 81.
145. TORCRTE ALLA RELIGIONE: fate
monnco, preto, ecclesiastico chi natura
diapoao invece n fare il soldate, Alinde
forso a Lodovico, figlio di Carlo IT è fra-
tello di Jtoberto, che entrò noll'ordine del
frati minori, fu nsannto nl sacerdozio e da
Bonifazio VIII consacrato vescovo di T'o-
loan; ofr. Raynald, ad a, 1296, n.° 16.
147. bA BERMONE: nato pinttosto per
predicare che per governar popoli. Al-
lode senza dubbio a Roberto re di Napoli,
il quale si dilettava di comporre sermoni
sacri; cfr. Vill, XII,10, Roce. Gen. deor.
XIV, 9. Faraglia, nell’ Arch. stor. ital.,
ser. V, vol. LIT, 315 è seg. « Videtur hoc
dicere pro rege Roberto qui bene facie-
bat sermonem et multam delectabatar ;
Itenv. Cfr. Com. Lips. III, 210 © seg.
148, mt atRADA: della diritta via, cho
4 quella sognata dalla natura.
VATICINIO SOPPRESSO, CUNIZZA D,
LA MARCA TRIVIGIANA, FOLCO DA
LA MERETRICE RAAB, L’AVARIZIA DEGL
Da poi che Carlo tno, bella Clemen
M’ ebbe chiarito, mi narrò gl’ingi
Che ricever dovea la sua semenzi
‘ Ma disse: « Taci, e lascia volger gl.
Sì ch'io non posso dir, se non che
Giusto verrà di retro aj vostri da)
ES
, Un watielnio soppresso, J]
parola a Clemenza, non
Dant., Falso Hoee.,
LI Tal, Frat., Greg., 6cc.), ma alla
| (Lan., An. Mior,,
vasi., Buti, Land., Vell., Dan.,
Lomb,, Biay.,eo¢.), dicendole
| Martello continnasse a par-
de’ torti che si farobbero a’ suoi dj-
udenti, è come y © | castighi
Hon berebbero DEE ai defrauda-
“mogenito, ingiungendo-
| tacere 6 non rivelare la so-
vaticinio.
1, CLUMENZA: nata verso il 1290, nel
1315 menata in moglie da Luigi X rodi
Franela. vivanta --- sE
Zs
ù
È
MU
la
di
Pie
|
if
;nre
i
si
3. SKMENZA + fl
Carlo Rehertare
di Napoli a di 8
berto sno zio,
[CIELO TERZO]
PAR. 1x. 7-25
[cumnizza] 781
7 E già la vita di quel lume santo
Rivolta s'era al Sol che la riempie,
Come quel ben ch’ad ogni cosa è tanto.
10 Ahi, anime ingannate, e fatture empie,
Che da sì fatto ben torcete i cuori,
Drizzando in vanità le vostre tempie!
13 Ed ecco un altro di quelli splendori
Vér me si fece, e il suo voler piacermi
Significava nel chiarir di fuori.
16 Gli occhi di Beatrice, ch’ eran fermi
Sopra me, come pria, di caro assenso
Al mio disio certificato férmi.
19 « Deh metti al mio voler tosto compenso,
Beato spirto, » dissi, « e fammi prova
Ch’ io possa in te rifletter quel ch'io penso. »
22 Onde la luce che m’era ancor nuova,
Del suo profondo, ond’ ella pria cantava,
Seguette, come a cui di ben far giova:
25 « In quella parte della terra prava
Paradiso è difficile indovinnre. Forse per
nver restituito nel 1205 la libertà agli no-
mini di masnada del padre o dei fratelli,
forse perchè si converti in età provetta,
come affermano alcuni antichi, e forse
per altri motivi a noi ignoti, Cfr, Rolan-
dino, Chron. in Murat. Script. VIII, 173.
Verci, Storia degli Eoelini, I, 114 6 sog.
Salvagnini in D. e Padova, 407-449. Zam-
boni, Gli Ezzelini, D. e gli achiavi, Vien-
na, 1870, nuova odisz., Fir., 1897. Barto-
lint, Studi danteschi, I, 152 6 nog. Bar-
toli, Lett. ital, VI", li4 o seg. Com. Lips,
III, 218 6 seg.
7. vita: anima beata di Carlo Martel-
lo; ofr. Par, XII, 127; XIV, 6; XX, 100;
XXI, 55; XXV, 20.
8. AL Son: «a Dio che la riempie di fe-
licità, perchè egli fa la felicità di tutte le
cose proporzionatamente all'indole lo-
ro; » Corn.
8. come qQurL: Al. COME A QUEL. -
TANTO: Rofliciente ; confronta Gerem.
XXIII, 24.
10, FATTURR RMPIR: Al, FATUR ED KM-
rik. « Fmpia fattura è quella che non
seguita lo suo fattore, et empia creatura
è quella che non seguita lo auo creato-
ro;» Buti.
12, THMIVE: i vostri occhi, | vostri do-
siderii,
18. srLENDORI: anime risplendenti,
14, voir: il suo desiderio di compla-
cermi,
15. NEL CHIARIR: nel suo esterno splen-
dore; cfr. Par. V, 106 0 seg., 181 © sog.;
VIII, 46 è sog.
17. COME PRIA: come quando le chlesi
il permesso di parlare a Carlo Martello,
Par. VIIT, 40 e seg. -— DI CARO: mi fecero
certo che Beatrice dava il desiderato con-
senso al mio desiderio di volgere la parola
a quell'anima beata,
10. mettr: dé’ soddisfazione alla mia
voglin, mostrandomi che ta vedi per ri-
flesso ciò che io desidero,
22. NUOVA: non conosciuta, Quell'ani-
ma, il cni nome io non conosceva ancora,
dal ano interno, d'ond'ella prima can-
tava (cfr. Par. VIII, 28 © seg.), continnò
n parlare come fa chi gode di compiacore
altrui, Al.: dal contro dolla stella di Vo-
nere, in col prima cantava.
24, pen ran: «lo parole sono quaal
seme d'operazione; » Conv, IV, 2. Cfr.
Par. If, 27.
25. rARTR: nella Marca Trivigiana, che
hala l'invo alle spalle, la Brenta dinanzi,
2460 VW iVvia UA MIO OVE VO) O LIULI
Che parria forse forte al vost:
37 Di questa luculenta e cara gioia
Del nostro cielo, che più m’é
Grande fama rimase, e, pria «
© asinistra Venezia, in origine ristretta —meroduodi
alla sola isola di Rialto, - teRRA; Italia; —consumpsi
efr., Inf. XVI, 9. Purg. VI, 76 è seg. gions, pedi
26. RiaLTO: col nome della principale —Eccolinus
isola il Poeta indica il Ducato di Venezia. —1pepercit; »
27. VONTANK: sorgenti, — ava: lat. sl. D'un
Plawis, ora Piave. ri, clod da |
mor ba ag rp ne Re pa da Al
sorgeva il castello degli Kzzelini. gona, |
20, LA ONDE: Al. uo ONDE.-PACKL- Purg. XX
LA: il fumoso tiranno Ezzelino III da 2, Kru)
Romano, «mater enjns, dum partul ejns di Venoro,
daset vicina, somniabat quod parturiebat senauall,
unam facem igneam, quo comburebat to- a4. INDUI
tam Marchiam Trevisanam ; et ita fecit stn ,
sua horribili tyrannido. Kt tangit hoo te; efr. As
auctor, dum dicit lo facella ; » Petr, Dant. Mago a &
DI Kerolino oft, /nf. XII, 110, Vill. VI, seldar.,
72. Rambaldi, Dante è Trevigi, Treviso, dd, COMI
1868, Brentari, Ecelino da Romano, Pa- duro ill com
dova, 1889. monia del |
30. ALLA CONTRADA : «alla Marca Tri- womoria ne
vigiana ed alle parti di Lombardia; » Ott. della colpa,
- UN ORANDE: AI, GnaNnDR: « Murtuo Fri- che fece co
dorico II, cul fuerat confderatas, Eoco- aalute,
linus cwpit oxercere omnem aw vitiam in V. 87-45,
tota Marchia Trivisana, Qui Comes do
[CIELO TERZO]
PAR, 1x. 40-51
[PROFEZIA] 783
40 Questo centesim'anno ancor 8’ incinqua,
Vedi se far si dèe l'uomo eccellente,
Si ch’ altra vita la prima relinqua !
43 A ciò non pensa la turba presente,
Che Tagliamento ed Adice richiude,
Né per esser battuta ancor sì pente;
40 Ma tosto fia che Padova al Palude
Cangerà l’acqua che Vicenza bagna,
Per esser al dover le genti crude.
49 E dove Sile e Cagnan s’ accompagna,
Tal signoreggia e va con la testa alta,
Che già per lui carpir si fa la ragna.
40. 8'INCINQUA: si quintuplica = passo-
ranno ancora cinque secoli. Usa il nu-
mero determinato per l'indeterminato,
volendo dire: la fama di Folco durerà
per molti socoli. Così Lan., An. Fior.,
Port. Onss., Petr. Dant., Beno., Ituti,
Land., Dan., Vent., Lomb., Biag., fes.,
Tom., Br. B., Frat., Andr., Filal., Wit-
te, eco, Al.: ai fa il quinto contesimo ; du-
rerà cioè ancora duecento anni (dal 1300
al 1500); così Vell., Bennas., Caverni, ecc.
Invece l' Antonelli intende: Prima che
finisca l'anno che corre, la fama di Folco
sarà quintuplicata.
41, ECCELLENTR: con opere virtuose e
magnanime; cfr. Virg. Aen. VI, B06.
42, RELINQUA: sì cho la vita del corpo
Insci dopo sò la vita dol nome.
43, A cid: all’ ncquistarsi fama, fncen-
dosi eccellente.
44, TAGLIAMENTO : confine della Marca
Trivigiana all'oriente, - Apion: confine
della detta Marca all'oocidente.
45. PER ESSER: quantunque affitta da
guerra; ofr. Isaia, I, 6; IX, 12, 13. Ge-
rem. II, 30.
V.46-63. Profezia di Cunizza. Come
Carlo Martello, anche Conizza termina
il suo ragionamento con una profezia di
sciagure venture delle native contrade,
alludendo alle stragi sofferto dai Pado-
vani, alla morto violenta di Riccardo da
Camino, allan perfidia e orndeltà del ve-
scovo di Feltre, Cir. Mercuri, Nuovissima
spiegazione del Terzetto del O. 1X del Par.
« Ma tosto fia, seco, Roma, 1853, Toderchi-
ni, Seritti ma D., I, 160 0 sog. Zanella, di
Ferreto de’ Ferreti, Vicenza, 1801. Ejuad.
in Dante e Padova, 252 è seg. Lampertico
in Dante e Vicenza, dl o sog. Fjusd. Della
interpret. della terz. 16 nel O. 1X del lar,
Venezia, 1670. Gloria, Intorno al passo
della D. 0.«.Ma tosto fia,» eco. Pad., 1909,
Fijusd. Ulteriori consideraz., ecc., ibid.,
1870, Kined, Un errore nella ediz, della
D, C,, Ibid., 1885, Tommaseo noll' Archiv.
stor, ital, XII (1870), 174 0 sog. Ferreto
Vicent. in Murat, Script. X, 1065 e seg.
Alb, Mussato in Murat, Seript. X, 365 6
aeg.; 411 è seg. Vill, IX, 14, 03, #9.
46, MA TOSTO: | più interpretano: Ma
presto accadrà che i Padovani, per esser
erwdi al dovere, cloè ostinati contro la
giustizia, cangeranno in rosso, faranno
sangnigne le neque del palude che il Bac-
chiglione forma presso Viconrn. Mercuri:
«I Padovani devieranno le acque del Bac-
chiglione rompendo le dighe come fecero
per innondare Vicenza a motivo che la
genti, clod i guelfi paldovani, sono crudi è
restii al dovere, clod alla soggezione ad
Arrigo VII ed al ano Vicario Cane della
Scala, » Gloria: «Presto nocadrà che i Pa-
dovani cangino al Palude di Brusognna,
con la sostituzione dell'acqua del Brenta,
l'acqua del Racchiglione, per continnare
la guerra, cioò per non essere costretti
dalla mancanza dell'acquaa veniren pace
co' Vicentini.» Cf. Com, Lips. 117,223 e seg.
49. DOVE: a Treviso, dove si congiun-
gono insieme | due finmi Sile è Cagnano.
50, TAL: Rizzardo da Camino, figlio del
buon Gherardo (Purg. X VT, 124), oni suo-
cosso nel Capitanato di Trevigi, avendo
eziandio il enrico di Vicario imperiale. Fu
neciso proditoriamente il 6 aprile 1312,
mentre ginocava agliscacchi. Cfr. Ferret.
Vicent. In Murat, Script. XII, 783 e seg.
G. BH. Rambaldi, Dante e Trevigi, 24 e seg.
GI, CARIN: prendere, - RAGNA : rete da
VULLIUFILI HOLY Ul VIVUr UGI puuso.
61 Su sono specchi, voi dicete Troni,
Onde rifulge a noi Dio giudicante
Si che questi parlar’ ne paion buo:
64 Qui si tacetto, e fecemi sembiante
Che fosse ad altro volta, per la ro
uccellare. Già si sta facendo la rete per
N
acoTO di Feltre dal 1298 al 1320, il quale
nel luglio del 1314 fece prendore e conse
| fuornaciti ferrareal
guare alcuni ripara-
Usi preaso di ini, che furono decapitati.
Cir. Barozzi in D, e il suo sec., B08 0 weg.
Bagatta, Interpr. di un docum. o di un
passo di D. Venozia, 1873, Com. Lips.
a sarà tanto enor-
altri, di Cittadella, ada
Rzzellno III. Confr. Murat, Antig. IV,
1180, Orioli, La prigione Malta
D. ln Spighe è Paglia, Corfù, 1844; I, 32
è sog. Ciampi in Arti a Let'ere, 62. Com.
Lipa, 11I, 227, V. Cian, La Malta dante
nea, Torino, 1894. Bull. II, 1, pag. 159.
58. cum: ll qual sanguo. — COMRTASE:
62. ONDR: cfr.
GIUDICANT®: off.
[CIELO TERZO]
PAR. 1x. 66-86 [FOLCO DA MARSIGL.] 785
In che si mise, com’ era davante.
67 L'altra letizia, che m’era già nota
Preclara cosa, mi si fece in vista
Qual fin balascio in che lo sol percota.
70 Per letiziar lassù fulgor s’ acquista,
Si come riso qui; ma giù 5’ abbuia
L'ombra di fuor, come la mente è trista.
73 « Dio vede tutto, e tuo voler s'inluia, »
Diss'io, « beato spirto, si che nulla
Voglia di sé a te puote esser fuia.
76 Dunque la voce tua, che il ciel trastulla
Sempre col canto di quei fuochi pii
Che di sei ali fannosi cuculla,
79 Perché non satisface ai miei disii?
Già non attenderei io tua domanda,
S'io m’intuassi, come tu t’immli. »
82 « La maggior valle in che l'acqua si spanda, »
Incominciàro allor le sue parole,
« Fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
85 Tra discordanti liti, contra il sole
Tanto sen va che fa meridiano
66. DAVANTE: ofr. Par, VIII, 16 e seg.
67. LETIZIA : anima liota, perchò Lenta.
- NOTA: della quale io sapova già, por le
parole di Cunizza v. 37 © seg., che era
porsona di preclara fama, quantunque
io non sapersi ancora chi fosse.
69. HALABCIO: specie di rubino; cfr.
Ovid. Met. II, 109 è seg. Pulci, Morg.
XIV, 45.
71. qui: in questo mondo, Nel Paradiso
la letizia si manifesta col crescere dello
splendore, come in terra col riso; cfr.
Par, V,126; XXVII, 4; XXX, 40, Conv.
II, 8.- 010: nell'inferno, dove le anime
dei dannati si fanno più oscure a mi-
sura che sono triste e dolenti.
70, s'INLUTA: si profonda colla medi-
tazione in lui.
75. pl 8: così che nossnn volere pud
casorti colato. — ruta: ofr. Inf. XIT, 90.
l'urg. XXXIII, 44, Non può oasor Indra
di sà, clod non ti si pod ocenltare. Cir.
Com. Lipa, 111, 220 è sog.
76. TRASTULLA: diletta, cantando sem-
pre Osanna insieme coi Serafini; confr.
Par. VIII, 25 0 sog.
77. Fuocut: Serafini ; ofr. Par, XVIII,
50. — Div. Comm., 3% ediz.
108; XX, 34; XXII, 46; XXIV,81; XXV,
87, 121. Salm. CIII, 4. Virg. Aen, IT, 154.
78. art ALI: « Seraphim stabant enpor
illud: sex alm uni et sex ale alteri: dun-
bus velnbant faciem cius, ot danbus ve-
labant pedes efus, et dnabus volabant; +
Isaia VI, 2. - FANNOS8I CUCULLA : al am-
mantano di sei ali, Quewlla, dal lat. cu-
cullus, lo atoaso che corolla, Par. XXII,
77, sopravveate, o toga monacale,
79. pislt: di sapere chi tn sei.
RI, M'INTUASSI: se jo vedessi i tuoi
pensieri come tu vedi i miei; s'io po-
tessi trnsfondere in te e penetrar la tua
monte, como tu trasfondi in me e pe-
netri la mente mia,
82. VALLE: il Mediterraneo, il mag-
gioro dei mari interni in oui si versa
I’ noqua dell'Oceano,
Ad. MAR: Oceano, — INGITIRILANNA : cir-
onndn ; ofr, Inf. XIV,10, Purg, XIII, BI,
85.1111: dell'Enropaedell'Affrica; ofr.
Virg. Aen. IV, 623. - comTna: da occi-
dente ad oriente ; cfr. Per, VI, 2.
86. FA MERIDIANO: al eatonde tanto da
occidente ad oriente che quel corchio, il
quale da principio gli fa da oriszonte,
Fu noto il nome mio, e questo c
Di me s’imprenta, com’ io fei di
97 Ché più non arse la figlia di Belo,
Noiando ed a Sicheo ed a Creus
Di me, in fin che si convenne al
100 Né quella Rodopea, che delusa
Fu da Demofoonte, né Alcide
diviene poi il sno meridiano. « Con tutto
che il Mediterraneo al estenda dall'ovost
all'ost per soli 42 di longitadine,
nondimeno al tompo del Poota dall'una
all'altra ostremità di questo mare sl am-
metteva circa un quadrante (che sarebbe
il quadrante di Gerusalemme), o circa 90
gradi.... Dante sbagliò, e con Ini abaglia-
rono gli astronomi ed i geografi del suo
tempo: » Della Valle. Secondo altri, Danto
non è caduto in errore, ma vuol dire che
in corte circostanze all'estremo orien-
tale è inezzodì quando spunta il sole per
l'estremo occidentale del Mediterraneo.
Cfr. Della Valle, Senso, 108-110. Mjusd,
Suppl., 46 48, Ponta, Opp. su D., 225 è
sog. Antonelli, Studi particolari, 29-35.
Oaverni, La Scuola, I, 176 e seg. Ma-
riani, ae D. 0. esposta al giovinetto,
270 è
88. LertoiANo : riverasoo; nacqui è
vissi sul lido di quel mare,
89. Macua: la Magra, piccolo finme che
in antico serviva di confine tra l'Etru-
dine di Cesar
III, 572 è se;
li Volchelto
seg.); egli pa
la ov
persona
gosti limiti ei
ceLo: di Ve
DO. 8’ IMPHE
luce, come io
sentii il suo în
tai l'infinenzi
amoroso: ora
vere alla vir
pianeta; » Bi
07. AnR8R: of
- mania: Did
DE, NOLANDI
Inf. XXIII,
ora vedova d
Creusa; ofr V
662. Inf. Vi
99. AL PEL
[CIELO TERZO]
PAR. 1X. 102-111 [FOLCO DA MARSIGL.] 787
Quando Iole nel cor ebbe richiusa.
103 Non però qui si pente, ma si ride,
Non della colpa, ch'a mente non torna,
. Ma del valor ch’ ordinò e provide.
106 Qui si rimira nell'arte che adorna
I Con tanto affetto, e discernesi il bene
Per che al mondo di su quel di giù torna.
109 Ma perché le tue voglie tutte piene
Ten porti, che son nate in questa spera,
Procedere ancor oltre mi conviene.
Fedra, re di Atene; ofr. Hom. It. III,
144 e sog. - ALCME: Ercole, il quale ar-
dendo di amore por Iole, figlia di Furito
re di Tessaglia. e volendo sposarla, ec-
citò la gelosia di Deianira ean moglie,
che gli diede la camicia di Nesso, onda
egli morì; cfr. Inf. XII, 67 e seg. Ovid,
Met. IX, 134 238, Heroid. IX, 5 è sog.
108. son PERÒ: in Paradiso non hanno
luogo i doloridel pentimento, anzi i beati
si rallegrano della divina virtà, ln quale
dispose che fossero soggetti agl'influssi
de' cieli è provvide alla joro salute; cfr.
v.Bioseg.-s1i nine: cfr. Salm. CKXKXV,2.
104. NON TORNA: essendone spenta la
memoria in Lete; ofr. Purg. XXVIII,
127 oseg.; XXXIII, 91 6 seg. Al.: « Non
vi si pensa più. » Ma nò l'una nò l'altra
interprotaziono basta a sciogliere anfli-
clontemente la difficoltà, che Folchetto
ri ricorda della sun colpa 6 vi pensa,
poichè la menziona, Moglio adunqune :
Non torna a mente come colpa, essendo
da Dio pordonata.
105. VaLon: divino. - orninò: 1' in-
finenza su noi esercitata da questo ciclo.
- PROVIDE: all'eterna nostra salute, « Or-
dinavitin me charitatem; » Cant. Cantie,
II, 4.
107, CON TANTO AFFETTO: Al. COTANTO
KFFETTO. — E DISCERNESI: « 8 conoscesi
chiaramente il beneficio cho la stella di
Venere (il mondo di su) fa infloendo sulîn
terra (sul mondo di giù); » Betti,
108, AL Moxpo: Al. i moxpo. Qui nel
Paradiso si considera e vede addentro
nell'arto dol erentoro che con tanto amo-
re orni cosa mlorna; 0 qui si riconosce
il fino ultimo dell'amore, cioò il sommo
Bene, che riconduce le anime della terra
al cielo, loro vera patria. Così Dan.,
Filal., eco. L' interpretazione più comn-
ne è riassunta dall'Andr. colle parole:
«Qui si contempla il divin magistero
che abbella quosta grand'opera della
sun crenziono, 0 al conosce il bnon fine,
la anpionte provvidenza per cui il mondo
di eu (cioò i cieli) infloendo sne virtà nel
mondo di giù, viene in certo modo a ri-
solversi in questo, riducendolo a sua si-
militndine. » Il Corn.: Il valore divino
6 la divina provvidenza ordinò, come in
fine ottimnmente inteso da Dio, gl’ in-
fluasi amorosi di questa stella alla pro-
pagnzione ordinata del genere umano,
quantunque prevedesse, che per proprin
rea volontà, molti avrebboro trascorsi |
limiti delle divine leggi che nella società
coningalo restringevano sapientemente
le nnimali tendenze, Dalle anime qui
bente si rimira l'arte divina che prov-
vide in tal modo alla moltiplicazione
degli nomini, 6 il bene che deriva dal
anpremo movimento dei cioli alle coso
inferiori. » Cfr. Com. Lips. INI, 296-238.
V. 100-126. Raab, la prima salrata
tra lo anime del terzo cielo. Folchetto,
oche conosce | pensieri di Dante, conti-
nua: Voglio appagare tutte le bramo
che dentro di questa stella sonosi in te
eccitate. Tu desideri sapere qual anima
è dentro di questo splendore cho qui n
mo vicino fiammoggia como raggio in
acqua limpida. È Raab, la meretrice di
Gerico che nascose e salvò gli esplora-
tori della terra promessa mandati da
Gioand (cfr. Gioruè, IT, 1-24; VI, 17-25,
Rut, IV, 21. 8, Matt, I,5. Ebrei, XI, 31,
Giae. LI, 25). Fu accolta in questo cielo
prima di ogni altr'anima salvata da Cri-
ato, in premio di aver favorito la prima
impresa di Giosnd în quella terra promes-
sa, della quale il papa poco si ricorda.
109, rercut : affinchò siano soddisfatti
tutti i tuoi desiderii, nati in questo cielo
di Venere,
41761 ULFIULLIU UL ULISUU 1U GSSULLU
121 Ben si convenne lei lasciar per p
In alcun cielo dell’ alta vittori:
Che s’acquistò con l’una e l’al
124 Perch’ ella favorò la prima gloria
Di Iosuè in su la Terra Santa,
Che poco tocca al papa la men
127 La tua città, che di colui è pianti
Che pria volse le spalle al suo
119, SCINTILLA : efr. Virg. Aen. VI1,9.
114. wena: limpida; cfr, Ovid, Ars am,
JI, 721. Luoret. Iter. nat. IV, 212 è seg.
115. 8I TRANQUILLA: gode la beatitu=
dine della pace eterna. Cir. Aug. Oiv. Dei,
XIX, 19, Thom. Aq. Sum. theol, 11*, 20, 2,
110, ORbINK: © congiunta al nostro
coro, sso s'impronta dello splentore di
lei che è nel più eminente grado di bea-
titudino. Cir. Thom. Ag. Sum. theot. I,
108, 8.
118. s'arrunta: finisce a punta. 5e-
condo l'astronminia del Lompo nel cielo ili
Venere termina con la sua punta il cono
ombroso che fa la terra, quando il sole
la illumina nella sna parte inforiore.
120. muoxro: cfr. Inf, IV, 40-03. Par.
XXITI, 10 è seg. Thom, Ag. Sum. theol.
LIT, 52, 5.
121, PALMA: segnale.
_ 122. vrrronta: riportata da Giosuò con
acquistata +
124. YAVO
stata coll'e
Giosuà, VI
d'arme di (
126. cue
poco sta nu
Honifacii, a
guerram cu
cenis (ofr. n
men debuisa
nis, quia hal
V. 127-14:
sia chercui
Santa, alla q
de il Poeta
l'alto clero
fat
Firenze, |
e diffonde il
tutto il mon
[CIELO TERZO]
PAR, 1X. 129-142
[AVARIZIA] 789
E di cui 6 Ja invidia tanto pianta,
130 Produce e spande il maledetto fiore
C’ ha disviate le pecore e gli agni,
Però che fatto ha lupo del pastore.
133 Por questo |’ Evangelio e i dottor” magni
Son derelitti, e solo ai Decretali
Si studia sì che pare ai lor vivagni.
136 A questo intende il papa e i cardinali:
Non vanno i lor pensier’ a Nazzaretto,
Là dove Gabriello aperse l’ali.
139 Ma Vaticano e l'altre parti elette
Di Roma, che son state cimitero
Alla milizia che Pietro seguette,
142 Tosto libere fien dell’adultéro. »
120. e pi cur: 6 la cui invidia fu cagione
di tutte le miserie o conseguentemente di
tutti i pianti del genere-umano. - TANTO
PIANTA: Al, TUTTA QUANTA, Gran von-
tura so il diavolo avesse tutta quanta l'in-
vidia! Sventoratamente né hanno anche
gli nomini la lor bnona parte. Cfr, Inf. I,
111; VI, 74. Moone, Crif., 453 è sog.
130. MALADRTTO: per gli effetti tristi
che produce. - riorr: florino d'oro, così
chiamato dal giglio che vi è Improntato.
Cfr. Vill. V1, 63, 62; IX, 171, 278.
131. agri: agnelli; confr. Par, IV, 4.
8. Giov. XXI, 16, 17. «Gli grandi e li
piocoli ; » Buti.
133. PER QUESTO: per amor del fiorino
d'oro, - DoTTOR' MAGNI : | Santi Padri.
134, DecreTALI: le costituzioni dei papi
ed il Diritto canonico in genere; efr. De
Mon. III, 3. Ep. Cardin. Ital., 7.
135, vivaosi: margini, unti e consn-
mati(Benv., Corn., ece.),o pinttosto pieni
zeppi di chiose e di nnnotazioni. « Gro-
gorio IX fece compilare i primi cinque
libri dello Deeretali da Raimondo di Pen-
nafort nel 1234, Honifazio VITI ve ne ag-
gianse nn sesto libro, Le Deeretali intro-
duasero nuovo sistema di disciplina, unite
all'ignoranza o miseria dei tempi; » La-
mi, Clr, Henricus Card, Ostiensia, Sum-
ina sup. tit. Peeretal., 4 0 seg.
1310. a Quiesto : nilo studio Ineroso dello
Decretali, oppure al maladetto fiore.
137, A NAZZARETTR: dove Cristo nac-
que povero ed umile, Pone qui la parte
per il tatto, volendo dire: Non pevsano
al rincquisto di Terra Santa,
188, GAanmELLO : off. 8. Luca, I, 260
sog. Purg. X, 84, Par. IV, 47.- APERSR
L'ALI: drizzò Il volo per recare alla Ver-
gine Maria il grande annunzio.
130. rLIEETR: da Dio; ef. Inf. 11,22 0 seg.
141. miLizia: ai martiri ed ai santi cho
seguirono l'esempio di S. Pietro; oppa-
re, ni papi ancceasori di 5. Pietro.
142, ADULTERO: adulterio; dal mal go-
verno del papi; ofr. Inf. XIX, 1 sog.
Adultéro por adullerio si nad anticamente
anche in prosa. Secondo alouni, il Poota
allude in questo passo alla morte di Boni-
fazio VIII, avvenuta nol 1308 (Ott., Case.,
Renv., Serrav., Land., Greg,, Corn. ece.);
socondo altri al trasferimento della Sede
pontificia in Avignone per Clemente V
(Buti, Lomb., I'ennass., Witte, 000,); se-
condo altri alla discesa di Arrigo VII
imperatore, che venne a dar sesto allo
cose d'Italia ( Vell., Vent., Frane,, eco.).
Probabilmente Dante esterna ancho qui,
como tante volte nel suo poema (ofr. Inf.
I, lOeseg. Purg.-XX,13eseg.; XXXIIT,
43 e seg., occ.), la speranza indeterminata
in un foturo liboratoro d'Italia e riforma-
toro del mondo, Cod Tom., Jr. It, Frat.,
Andr., Cam,, coc. Voli pore Busc.-Cam.,
Studii Dant., ediz. del 1804, p, 233 è seg.
DIO SUPREMO ARTEFICE, ORDINE DI
SALITA AL QUARTO CIELO, SPIR
TFOLOGI F FILOSOFI SCOLASTICI
Guardando nel suo figlio con l'a
Che l’uno e l’altro eternalmer
Lo primo od ineffabile Valore
Quanto per mente o per loco si |
Con tanto ordine fe', ch'esser
Senza gustar di Lui chi ciò ri
V. 1-6, La creazione. Opera della di- 6. QUETA
vina Intalligonza ¢ doll'etorno amore, Tans di qu
l'universo fu creato dal Padre per il Fi- cho feoo og
glio nello Spirito Santo. Lo primo edingf- —glioso.
fabile Valore, cioè Dio Padre, che ha la Vv. 7-97,
virth creatrice da sò, guardando nel di- =U" tuvila
vin Figlinolo, cho è la Sapienza, il Ven- allo sfere è
sioro, 1) Vorbo del Madre, 0 prondonde da parto davo
lui ln norma del eroare insieme coll'Amo- opposti, il
ro, cioè collo Spirito Santo, Il quale con —vante a pu
eterna spirazione procede dall'uno e dal. cale da pot
l'altro, fece il visibile è l'invisibile con do fiusa la
tanto ordine, che chiunque lo consideri i
non può nou assaggiare alcun che della sizione do"
| di Dio, Cfr, (Nambullari, Or- vuole che.
dine dell'unto. in Prose forent. 11, 34-54. — siderazioné
[CIELO QUARTO]
PAR, x. 7-22
[CREAZIONE] 791
7 Leva dunque, lettor, all’alte ruote
Meco la vista dritto a quella parte
Dove l'un moto e l’altro si percuote;
10 E li comincia a vagheggiar nell’ arte
Di quel Maestro, che dentro a sé lama
Tanto che mai da lei l’occhio non parte.
13 Vedi come da indi si dirama
L’ obliquo cerchio che i pianeti porta,
Per satisfare al mondo che li chiama;
16 E se la strada lor non fosse torta,
Molta virti nel ciel sarebbe in vano,
E quasi ogni potenza quaggiù morta:
19 E se dal dritto più o men lontano
Fosse il partire, assai sarebbe manco
E giù e su dell'ordine mondano.
22 Or ti riman, lettor, sopra il tuo banco,
se più o meno di quel ch'ell'è; » Anto-
nelli, Cfr. Com. Lips. ITI, 247.
7. RUOTE: afore celesti; ofr. Purg. VIII,
18; X1, 30; XIX, 03; XXIV, BR; XXX,
109. Par. 1, 64, 76; IV, 58; VI, 126, eco.
Poet. Cons, phil. 111, pr. 8.
D, pove: a quel punto del cialo, dove
l'equatore e lo rodiaco a' incrocicchiano,
nel qual punto il sole arriva negli equi-
nozii, - E L'ALTRO: Al. ALL'ALTRO, « Ac-
cenna al diverso muoversi dell'equatore
e del zodiaco, voglio dire al moto del cielo
stellato da oriente in occidente ; il quale
è massimo all'equatore; ed all'altro moto
dei pinneti an) zodinco vorso |' nno è l'al-
tro polo andando obliquamente sempro
verso all'oriente;» Ponta,
11, Magstro: Dio; cfr. De Mon. II, 2.
- L'AMA: Dio ama tanto il proprio magi-
stero, serbato da Lui nella ana idea, che
sempre lo mira con compiacenza, e mai
non leva da esso lo sguardo. Sotto questo
simbolo è significata la provvidenza con-
servatrico, necessaria quanto l'arte mo-
trice dell'universo; cfr. Par. XXXIII,
124 © seg.
13, pA INDI: dal circolo dell'equatore.
-— BI DIRAMA: esco da esso e il ramo
dell'albero, « Con altezza di concetto,
ginsta lo stato dell'astronomia di quel
tempo, manifesta il sno pensiero circa
la ragione per la quale da questa obil-
qua zona sono portati i pinneti, suppo-
nendola nella convenienza di soddisfare
a mondo che li chiama, cioé alla terra,
o a ciò che vive sulla superficie di lel,
erednto nbbisognare delle influenze vario
che a quel corpi celesti, in quella inversa
direzione recenti in giro, si attribuivano; »
Antonelli, Cfr. Com. Lips. 111, 247,
10. STRADA: lo zodiaco, - TORTA : obli-
qua, clr. Ovid. Met. 11, 130. « So il Zo-
diaco non fosse obliquo, cioè se il sole è
i pianeti (nell'antico sistema) tonessero
sempre la stessa strada, non ci sareb-
bero le vario stagioni, o gli influssi dei
varj pianeti non ai diffonderebbero in
tempi diversi egnalmente di qua e di là
dell' Equatore; » Corn.
18. MORTA: « non sarebbe quaggiù ge-
nerazione, nè vita d'animale e di piante;
notte non sarebbe, nà di, nd settimana,
nè mese, nd anno; ma tutto l'universo
sarebbo disordinato; » Conv, II, 15, #
19. DAL prITTO: Al, DA DMITTO} #6 lo
Zodiaco si allontanasse più, o meno, dal-
I’ equatore,
20, IL ranting: cfr, Conv, IT, 3.-Man-
co: mancante, imperfetto,
21. a1 RSU: nei doe emisferi terrestri,
tra i quali il sole continnamente sale è
discendo ; così Dan., Caverni, Mariot-
ti, eco. I più: in terra e în cielo (Lan.,
Ott., An. Fior., Penv., uti, Land., Vell.,
Vent., Lomb., Biag., Br. B., Tom., Frat.,
@reg., Andr., Bennas., Ponta,’ Ant,,oce.).
22, TI mmaN: raccogliti in silenzio, e
pensa.
Uongiunto, 81 girava per le spire
In che più tosto ognora s’ appreset
84 Ed io era con lui; ma del salire
Non m'’accors' io, se non com’ uom
Anzi il primo pensier, del suo ven:
37 I. Beatrice quella che si scorge
23. 81 PRELIDA : si dà qui solamente
un piccolo saggio, un antipasto.
24, Lieto : «quasi dicat: quamvia labor
huiusia alt maximus, aon
tanta est , quod non pormittit
anima tatinel, nam continuo magia et
magis acconditur appetitas; nam admi-
rabilea delectationes affert inquiaitio ve-
ritatia pera causas rerum cogno-
BOOTO | »
20. TORGM: AI, mronce. Mi couvien
parlare di ciò che è mio proprio so;
V. 28-08, Salita al Cielo d Sole,
Senza che Danto sl nocorgosse del salire,
entrano nel Sole, Confessa di non saper
on’ idea mloguata dell' Interiore
Hel Sole, dove le cose al discernevano non
aplendevano
ma por la maggiore o minore intensità
del loro lame. Esortatone da Beatrice,
Dante ringrazia Idilio con tanto fervore
di = cho per poco avrebbe dimon-
Hento la sua donna, di che ella si com-
lc See lc ed Lal
zione di Ariete, -
sto canto,
BE. Brink: « nel
to; n guisa del IU
l'uomo, del cal ve
ll pe a
stra potostado »
mil,, 475, Ronchet
[CIELO QUARTO]
PAR. x. 38-58
[BALITA] 793
Di bene in meglio, sì subitamente
Che l’atto suo per tempo non si sporge.
40 Quant’ esser convenia da sé lucente
Quel ch’ era dentro al sol dov’ io entra’ mi,
Non per color’, ma per lume parvente!
42 Per ch’ io l'ingegno, l’arte e l'uso chiami,
Sì nol direi che mai s'imaginasse,
Ma creder puossi e di veder si brami.
46 E se le fantasie nostre son basse
A tanta altezza, non è maraviglia,
Ché sopra il sol non fu occhio ch’ andasse.
49 Tal era quivi la quarta famiglia
Dell’ alto Padre che sempre la sazia,
Mostrando come spira e come figlia.
52 E Beatrice cominciò: « Ringrazia,
Ringrazia il Sol degli angeli, ch’ a questo
Sensibil t’ ha levato per sua grazia. »
65 Cuor di mortal non fu mai si digesto
A divozione ed a rendersi a Dio
Con tutto il suo gradir cotanto presto,
58 Come a quelle parole mi fec’ io;
39. BrORGE: non si stende, non occupa
un certo tompo, essondo istantaneo.
40, DA sf: senza bisogno del sole.
41, quet: le anime beato. - ENTRA'MI:
mi entrai.
42, coLor': quelle anime erano visibili,
non perchè colorate dal sole, ma perchè
luminose entro il sole, dunque più Incenti
del sole, Cfr. Daniele, XII, 3.
43. PER: per quanto. Invano mi salor-
serei di descrivere lo splendore di quelle
anime; ma se non lo si può descri vere
in modo da poterselo figurare, si può
oredere, e si desideri di vederlo in Pa-
radiso.
46, e SK: non è maraviglia se l' im-
maginar nostro non può concepire una
Ince maggiore di quella del sole, poichè
nessuno vide mai tale Ince, La fantasia
è la potenza immaginntiva dell'anima
che non può formare Immagino sé non
di ciò che cade sotto | sensi; mn nesann
oochio vide mai Inme maggiore del sole;
danque all'uomo non è possibile imma-
ginarai Ince più viva di quella del sole.
Cfr. Aristot. De an. ITT, 2, 11, 19.
49. TAL: tanto Incenti di proprio lumo,
che vincevano il lame del sole. - FAMI-
GLIA: le animo bonto del quarto cielo.
50, sAZIA: « Santiabor cum apparnerit
gloria tna; >» Salm. XVI, 15.
51. COME srira: come ab eterno Egli
generi il Figlio, e come da ambedue pro-
ceda nb eterno lo Spirito Santo; il mi-
stero della Trinità, nell' intelligenza del
quale gli scolastioi facevano consistere
parte della beatitudine; cfr. Joh. Scot.
Erig. V, 31 0 seg. Petr. Lomb, IV, 49 A,
Elucidar., 70. Thom. Ag. Sum, theol.
III, Suppl,, 92, 1, Ejusd. Comp. theol,
163 a seg.
63. 1. Sor: Dio, sole spirituale e intel-
ligibile; ofr. Conv. III, 12. -— A QUESTO:
a questo sole sensibile.
55. DiGRsTO: disposto. Cir. L. Vent.,
Sim., 200,
66, nienbieRsi : confer, Inf. XXVII, R9.
Conv. IV, 28, Cuore nmato non fa mal
così disposto a divozione, nd così pronto
a darsi a Dio con tntto il piacere ano,
come mi feci io nlite le parole di Bea-
trice.
-- ow cegas UA LBLUDS
Vedem talvolta, quando l’aero è
Sì che ritenga il fil che fa la zons
70 Nella corte del ciel, dond’ io rivegn(
Si trovan molte gioie care e belle
Tanto che non si posson trar del 1
73 E il canto di quei lumi era di quelle
Chi non s'impenna si che lassù vo
59, sw LUI: fn Dio.
60. reLissò: fo eclissata = mi dimen-
tioal un momento di Ibeatrice,
G1. bisrracQue : di vedermi assorto nel
pensiero di gratitudine verso Dio a segno
da non pensare più n lei. — uisk: se ne
complacque © sorriso di santa lotizia.
02, LO BrLENDOK: Ul sorriso di Beatrice
fu n) colosto, che lo «plondore degli occhi
anol ridonti disunì la mia monto, prima
imita, clod tutt'intiera raccolta in Dio,
facendo che lo ponsassi anche ad altre
coso, ¢lod anzi tutto a loi, un istante di-
monticata.
V.GI-bL, Le smime del quarto Nelo,
A piper iraniano gli mpolirità del dudti ia albvi-
bill, tatti vestiti di ardontiasimo aplon-
dore, secondo la sontenza seritturale,
Daniele, XII, 3; off. Thom. Ag. Stan.
theol, INI, Suppl. 00,7, Cantano invi, la
oul doloogza supera |l loro splendore,
Danzano circolarmente tre volto intorno
a Dante è Beatrice: anindi ansnand-— -
quale i due viam
ta una cbenewsl |
Vent., Simi, UB, A
al giow., 272.
68. PREGNO:
60. FIL: di luce,
clod i colori che |
ZONA : l'alone,
70. D'OND'I0: Al
[CIELO QUARTO]
PAR. x. 75-91
[portoni] 795
Dal muto aspetti quindi le novelle.
76 Poi, sì cantando, quegli ardenti soli
Si far girati intorno a noi tre volte,
Come stelle vicine ai fermi poli;
79 Donne mi parver, non da ballo sciolte,
Ma che s’arrestin tacite, ascoltando
Fin che le nuove note hanno ricolte.
82 E dentro all’ un sentì’ cominciar: « Quando
Lo raggio della grazia, onde s'accende
Verace amore, e che poi cresce amando
85 Multiplicato, in te tanto risplende,
Che ti conduce su per quella scala,
U' senza risalir nessun discende;
88 Qual ti negasse il vin della sua fiala
Per la tua sete, in libertà non féra,
Se non com’acqua ch'al mar non si cala.
DI Tu vuoi saper di quai piante s’ infiora
sperant in Domino, assomont pennas si-
cut aquile; » Iscia, XL, 91, Cfr. Thom.
Ag. Sum. theol. TL, Suppl., 84, 2. Chi
non si dispone a salire un di in Paradiso
non potrà mai formarsi un' idea di qne-
sto canto e snrà come chi napottasse no-
tizie da un muto.
76. roi: polchd; cfr. Purg. X, 1, - SOLI:
anime splendenti più del sole,
78, roLt: intorno a noi che eravamo
fermi, come lestello intorno ni poli, «Sum-
mis.... que fixa tenontur Astra polis; »
Imcan. Phars. V, 563, «+ Nella coi gira-
sione (del cielo) conviene di nocossità es-
sere duo poli fermi; » Conv, III, 6.
79, SCIOLTR: non ancor del tutto for-
me, non essendo per anco torminato il
ballo, « Qui esemplifica che, sì) come le
donne che sono in ballo s' astallano per
riprendere la ripresa di sua ballata, vel
canzone, così fecero quelle anime beate,
mettendo in posa sno movimento circo-
lare; » Lan. e An. Fior.
B1. RICOLTR: « finchè hanno conoscinto
quali siano le note del nnovo snono, onde
all'armonia di quello possano francamon-
te riprondore il ballo; » Petti.
V. 82-198. La prima corona dei
Dottori, Un' anima, è San Tommaso,
dice a Dante che tutti i beati sono pronti
nd appagare i suoi desiderj, vedendolo
così privilegiato da Dio. Non è noces-
sario cho i suoi dosiderj siano sapressi
in parole, poichd | beati, che vedono
ogni cosa in Dio, conoscono puro le vo-
glie ed i ponsieri tacinti. Onde San Tom-
maso sapendo già che Dante desidera di
conoscere Imi od i suoi compagni, gli si
manifesta e nomina ad une nd uno gli
altri undici teologi e filosofi, che, quasi
fiori di Paradiso, compongono nasieme
con lui la prima ghirlanda di spiriti beati
nel cielo del sole,
B2. ALL’ UN: dentro all'uno dei detti
splendori. - Quaspo: lat, quandoqui-
dem; poichè,
AT. u': dove; cfr. Purg. II, DI, « Chi
già è stato in Paradiso, se torna in terra,
non rarà mai vinto dallo lusinghe terrone
n meritar dannazione, tanto la memoria
delle cose vedute sarah officace ; » Corn.
88, NEGASSR: ricusasso di chiarirti di
ciò che tn desideri di sapere. = 11, vin:
« Sapientin.... misenit vinnm; » Prov,
1X, 1, 50. Cfr. Teaia, LV, 1. FIALA : am-
polla, caraffa per dissetarti.
89. wow FORA: farebbe forza alla pro-
prin natura, come acqua che da ostacolo
contrario è necessitata di non andare al-
l'ingiit verso il mare.
01. rianTR: anime, Tn vuoi saporo chi
sinno i beati che compongono questa viva
corona la quale all’ intorno vagheggin la
bella donna che t'avvalora, ti dA forza e
rende abile a salire al ciolo. — S'INFIORA :
efr. Par. XIV, 13; XXIII, 72 © sog.
v1 retro a! Mio pariar ten vien co
Girando su per lo beato serto.
103 Quell’ altro fiammeggiar esce del ri:
Di Grazian, che |’ uno e l’ altro fd
93. T’AVVALORA: è forse la teologia, la
scienza che rende l’uomo capace di sa-
lire in cielo î Secondo Dante la guida alla
beatitudine di vita eterna, dunque al
cielo, è l'antorità ecclesiastica; cfr. De
Mon, III, 10.
Di. AGNI: agnelli. In sontonza: Fui
frate dei Predicatori, fondato da San Do-
menico con una regola clo, rettamen-
te osservata, dirige alla perfezione cri-
stiana.
05. DomrKICO : ofr. Par. XII, 46 e seg.
- MENA; guida colla regola da lui data.
06. s'iMvinGua: si avanza nella per-
fezione cristiana chiunque non corre die-
tro alle cose vane del mondo. « Anima,
quo benedicit, impinguabitur; » Prov.
XI, 25, Cir. Par. XI, 22 è seg.
07. questi: prima di nominar sò ates-
so mostra e nomina il suo maoatro,
0A. ALMEKTO : Alberto Magno, dei conti
ili Bolletaedt, n. 1103 a Lavingen nella
Svevia, m. a Cologua 25 nov. 1280, Si
inonacò nel 1222 o 1223; verso il 1244
lnseguava a Cologna, dove Tommaso di
Aquino gli fu prediletto, a lo
accom pagnd nel 1245 a Parigi, Nel 1254 fu
tletto Provinciale dell'Ordine a Wurina,
= ==! 348A — 2. AE th skbac- BE
sino nel 1227; r
carsi al concilio
(cfr. Purg. XX,
logia a Cologna
scrisse un gran
quali Dante attin
Sanctorum, Ma
Thouron, Vie de
1747. Quétif. et Ki
I, 271 è seg. Bi
4% ed. Lovan,, /
op. di &. Tom, V
11, 872 è seg.; Il
mer, Die Philow
Lipsia, 1880,
100, sx sl: Al
i) gare da la
[CIELO QUARTO]
Par. x. 105-119
[DOTTORI] 797
Aiutò si che piace in paradiso.
106 L'altro, ch’ appresso adorna il nostro coro,
Quel Pietro fu, che con la poverella
Offerse a santa Chiesa suo tesoro.
109 La quinta luce, ch'è tra noi più bella,
Spira di tale amor, che tutto il mondo
Laggiù ne gola di saper novella:
112 Entro v'è l'alta mente w’ sì profondo
Saper fu messo, che, se il vero è vero,
A veder tanto non surse il secondo.
115 Appresso vedi il lume di quel cero
Che, giuso in carne, più addentro vide
L’ angelica natura e il ministero.
118 Nell’ altra piccioletta luce ride
Quell’avvocato dei tempi cristiani,
107, Pierro: Pietro Lombardo, il ce-
lebre Magister rententiarum, n. aul No-
varese da parenti poveri ed oscuri nei
primi anni del sec. XII, m. a Parigi,
dove era maestro di teologia e vescovo
nel 1160, La sua opera Sententiarum li-
bri IV fa il modello di tutte lo succos-
sive Somme teologiche e filosofiche. È
qui nominato necanto a Graziano, por
aror fatto per ln dommatica ciò cho Gra-
ziano fece per il Diritto canonico. Cfr.
Dubois, Hist. ecol. Paris. Par., 1699, I,
119 è seg. Mist, littér, de la France, XII,
585 o seg. F. Protois, Pierre Lomb. Par.,
1881. Negroni, Bibbia volg. V, p. 7 0
Reg. — POVERELLA : ofr. 8, Luca, XXI, 1,
o seg. Allode alle parole del Lombardo
nol prologo alla sua opera: « Cupiontes
nliquid de penuria ac tonnitate nostra
cum paupercula in gazophylacinm Do-
mini mittere ardua scandere et opus sn-
pra vires nostras agere prosumpsimus, »
109. quinta: Salomone re d' Iaracle.
110. Amor: come autore del cantico,
che pol medio evo era l'inno nuziale
della Chieaa.
111. se Goa: Al. N'HA GOLA; desidera
ardentemente, perché | teologi disputa-
vanose fosso anlvo o dannato, a motivo di
eld cle di Ini si racconta ITT Reg, X1, 19.
112, exTRO v'&: Al. NRLIL'ALTA MERTR
uN sì, sce. Cir. Moonr, Crit., 455 e seg.
113, sE IL vero: se la Sacra Scrittn-
ra, che è lo stessa verità, dice il vero.
Allade alle parole scritturali ITT Reg.
IIT, 12: « Ecco io ti do un cuor savio è
intendente, talohè nè davanti a te è sta-
to, nà dopo te sorgerà alenno pari a te, »
114. NON BURAK: come re; come tomo
è inferiore ad Adamo ed a Cristo; ofr.
Par. XIII, 34 © seg.
115. cero: luminare dolla Chiesa, In-
tende di Dionigi l'Arcopagita, converti-
to da S. Paolo al Cristianesimo, cfr. Atti
XVII, 34, creduto erroncamente antore
della celobre opera De corlesti hierarchia.
Cfr. Euseb., Hist. evel. III, 0; IV, 29,
Const. Apost. VII, 46. Baumgarten- Cru-
sius, De Dion. Areopag. Jena, 1823. Dar-
boy, (Suvres de S. Denys l'Ardop. Par.,
1845. Niemeyer, Dion. Aréop. doctr, phi-
los. et theol, Halle, 1869,
116. vibe: conobbe e spiegò meglio di
tutti gli altri la natura 6 l'ufficio degli
angoli.
119. avvocato: Paolo Orosio, preto
spagnolo del quinto secolo, la cui opern
principale: « Historiarom libri VII ad-
versus Paganos » fu scritta dietro | con-
forti di Sant’ Agostino, Confr, Baehr,
Christi, rim. Theol., 260 e seg.; 318 è seg.
Teugel, Rim. Lat., 3% ed., 1072 è seg.
Ebert, Christl, lat. Lat. I, 323 o sog. Di
Orosio intendono i più: alonni antichi
(Port. Cnss., Petr. Dant., Falso Boce.,
Vell., sec.) intendono invece di S. Am-
brogio, pochi moderni di Lattanzio; efr.
Com. Lips. III, 204 e seg. Eb. ZAMA,
Orosio e Dante, Roma, 18092. Moons,
Orit., 457 0 sog. A. MaxcINI, Chi è l'av-
vocato de'tempi cristiani ? nol Giornale
Dant, IT, 3398-42, - Temi: Al. TRMPLI.
798 [CIELO QUARTO]
Par. x. 120-184
Del cui latino Augustin si provvide.
121 Or, se tu l'occhio della mente trani
Di luce in Ince, retro alle mie lode,
Già dell'ottava con sete rimani:
124 Per vedere ogni ben dentro vi gode
L'anima santa, che il mondo fallace
Fa manifesto a chi di lei ben ode;
127 Lo corpo ond’ ella fu cacciata giace
Giuso in Cieldauro, ed essa da martiro
E da esilio venne a questa pace.
130 Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro
D’Isidoro, di Beda e di Riccardo
Che a considerar fu più che viro.
183 Questi, onde a me ritorna il tuo riguardo,
È il lume d’uno spirto, che in pensieri
120, Augustin: Sant'Agostino; off.
Par, XXXIT, 86. - 81 PROVVIDE: « facen-
dolo fare innanti, per avere poi mono fa-
tica a ritrovare le storio; » Buti.
121. TRANI: muovi oltro. 7'ranare =
trainare, franc. trainer, prov. trahinar,;
cfr. Diez, Wort. 15, 421. Caverni, Voci e
Modi, 135.
122. LODE: plur. di loda, confr. Inf.
IT, 103.
123. OTTAVA: luco. - SKtK: desidorio
di conoscero |’ anima beata che in 0830
Bi nascoudo.
124. PER VEDERE: per la visione di Dio,
nella qualo consisto la bestitudino.
126. ANIMA: Anicio Manlio Sevorino
Boezio, la cui vita è documento della
fallacia del mondo, chi ben la consideri.
Boezio, n. a Roma verso il 470, m. pri-
gione a Pavia nel 524 o 525, fu nel 610
console di Ruma, si reso sospetto di tra-
mare la liberazione di Roma dai Goti,
onde Teodorico lo feco incarcerare e dopo
sei mesi uccidere. Prigioniero scrisso il
suo celebre libro De Cunsolatione philo-
sophia, al qualo Danto attinso non poco.
Cfr. Bakr, Rom. Liter. INI*, 157 o sog.
© lo opero ivi citato p. 158, nt. 3, Com.
Lips. 111, 266. Vill. 11, 6.
126. BKN ODE: non basta udire, bisogna
ben udire; cfr. Conv. IT, 18. Baur, Boet.
und D., 11.
128. CikipauRo: Ciel d'oro, chiesa di
San Pietro in Pavia; cfr. Boccac, Dec.
X, 9. - MARTIRO: confr. Par. XV, 148,
Thom. Aq. Sum. theol. \*, 10, 3.
141, Istpono: Jeidorus [ispalensiz da
Siviglia, n. verso Il 560; in. 4 aprile 630,
Fu vescovo di Siviglia (eletto probabil-
monte l’anno 600) ed uno dei più dotti
uomini dol tompo, vonerato come l'ora-
colo della Spagna. Scrisse più opere, che
si ebbero in sommo pregio. Cfr. Bachr,
Christl. Rom. Theol., 455 e seg.; le mo-
nografie di Cajetano (Roma, 1616), Du-
ancenil (1843), © Collombet (1846); Ebert,
Christ. lat. Lit. I, 655 o seg. - Bxba:
Beda Venerabilis, n. 674 a Veremuth in
Inghilterra, m. a Jarrow 26 maggio 735.
Si rese celebre per pietà e dottrina, ed
ordinato proto a trent'anni, dedicò tutta
la sua vita alla preghiera ed agli studi.
T.e principalisue opere sono: Hist. Eccles.
gentis Britonum, compiuta nel 731; De
ratione temporum; De nat. rerum, ecc.
Cfr. Baehr, |. c., 475 e sog. Werner, Beda
der Ehrw., Vionna, 1875. - Riccarvo:
Riccardo da San Vittore, il Magnus Cun-
templator, teologo misticu del sec. XII,
dal 1162 in pui priore del Chiostro di Sun
Vittore presso Parigi, m. verso il 1173,
autorodi parocchio opore teologiche. Cfr.
Engelhard, Richard vo. S. Victor., Erlan-
gon, 1838. Liebner, Rich. a S. Victore.
Gottinga, 1837-39. Ou. Lips., 267.
132. vino: uomo; efr. Jaf. 1V,30. Par.
XXIV, 34. La sua dottrina fu più che
da uomo, sovrumana.
133. ONDK: che mi è a sinistra più vi-
cino, v. 97, dal quale pertanto il tuo ri-
guardo (-- riguardaro, vista, sguardo) ri-
WTR ama,
[CIELO QUARTO]
Par. x. 135-148
[NUOVA DANZA] 799
Gravi a morir gli parve venir tardo:
136 Essa è ln luce eterna di Sigieri,
Che, leggendo nel vico degli strami,
Sillogizzò invidiosi veri. »
130 Indi come orologio, che ne chiami
Nell’ ora che la sposa di Dio surge
A mattinar lo sposo perché I’ ami,
142 Che I’ una parte |’ ultra tira ed urge,
Tin tin sonando con si dolce nota,
135. TARDO: desiderava la morte, co-
noscendo per meditazioni la vanità del
mondo, « Qui si dichiara la morte del
filosofo, non la morte dell'uomo che po-
na;» Cipolla.
136. Sroreri: Sigieri di Brabante (da
non confondersi con Sigieri di Courtray,
che fu uno dei confondatori della Sor-
bona), celebro filosofo del secolo XIII,
n, verso il 1226, m. verso il 1283, pro-
cessato per eresia nel 1277-78, il qual
processo sembra finisse In nulla, Dettò
tra altro opere: Questiones naturales ed
Impossibilia. Cfr. Hist. litt. de la France
XXI, 06-127. Com, Lips, 111, 267 © seg.
Cipolla, nel Giorn, stor. della lett. ital.,
fasc, 22-23 (vol. VIII, 1880), 53-130. G. Pa-
ris, nella Romania, XVI, 611.
137. vico DEGLI BTRAMT: la rue de
Feurre, o du Fowarre n Parigi, vicina
alla piazza Maubert, dove erano le di-
verse scuole di flosofia-aperte dalle quat-
tro nazioni della Facoltà delle arti. Vool
dire in sentenza: insegnando nell' uni-
versità di Parigi.
138. srLL001zzò : argomentò, dimostrò
col snoi sillogiami (Par. XXIV, 77) in-
vidiosi veri, cioò verità degne d'invidia
© che infatti gli partorirono invidia ed
odio.
V, 130-148, Nuora danza e nuoro
canto, Dopo aver dato contezza degli
spiriti magni componenti quella cele-
stiale ghirlanda, quelle anime beate,
quasi richiamato da segreto invito al-
l'eterno loro tripudio, si rimettono alla
ilanza of al canto con won dolooxen cho
non sì conosco nd può gustare se nun
in Taradiso. « L' istantaneo torneare
del coro celestiale, e fermarsi sui com-
piuti giri, suggerisce al Foeta il giuoco
del terrestre orologio; e dice che vide
que' beati muoversi cireolarmente ac-
cordando lor voci, come si vede muo-
versi orologio che ne desti ed Inviti al
Mattutino, l'una parte del quale tira e
spinge l'altra producendo tintinno di
sonvissima nota: con che rischinra por
immagine due cose, l'atto e la circular
figura delle beate danze, e l'armonioso
ritmo del canto onde quelle avean tenore
e misora: Ja prima colla sola menzione
dell’ orelogio, la secondn con tutto quel
che sogno; » Aguilhon, Delle ore innan-
zi l'orologio, 52 è seg. Cfr. Par, XXIV,
13 © aog.
199. OROLOGIO: « sveglia con cariglione,
la quale rimontata a tempo faceva ndire
ad ora previnmente determinata an dilet-
tevolo concorto di campanelle; tornava ,
acconcio a segnar con ossa l'ora della
matintinale salmodia, di più non ern ca-
pace; » Aguilhon.
140. NELL' ORA: nel principio del mat-
lino. - srosa: la Chiosa; cfr. Par. XI,
82; XII, 43; XXVII, 40; XXXI, 3;
XXXII, 120, S. Giov, III, 20, Apocal.
XXI, 2, 9; XXIT, 17.
ldl. A MATTINAR: 4a dire il Mattutino,
spiegano i più. Mattinare è propriamente
far mattinata, cioò il cantare o sonare
che fanno gli amanti in sul mattino da-
vanti la casa della donna amata. Per
Dante la musica sacra è un'armoniosa
serenata della Chiesa al suo sposo Cristo
perchè l'ami, ciod por meritarsi 6 conser-
varsi il sno amore,
142, TIRA: ina molla tira la posteriore
od urge (Int, urget), spingo contro la cam-
pana l'anteriore. « Il tirare e l'argere,
cio’ apingero d'nnn è d'altra parto, dovo
riferirsi nell'orologio min codotta del
battaglio, fatto bicipite nell'interno della
campana, or tirata ed ora spinta dal
semplice ordigno messo in moto di va è
vieni dal movimento della ruota n ciò
destinata; » Antonelli.
143, TIN Tin: « Tinnilusque cle et Ma-
i
L( ARTO] Pan.x, 144-148 - x1, 1-4
[CURE TERRESTRI]
16 il ben disposto spirto d'amor turge;
146 Cosi vid’ io la gloriosa ruota
Muoversi, e render voce a voce in tempra
Ed in dolcezza ch’esser non può nota,
148. MUOVERSI: in giro, - IN TEMPERA ;
nperanza, rispondendo l'una voce
a;2 Buti, «. | liter con-
3 vocos sorum in cantu; » Bene.
3'INSKRMPRA : si eternizza, dura in
148 Se non colà dove gioir s' insempra.
tris quate cymbala cirenm + è Vira. fanra.
IV, G4.
144. TURGE sompa 7
qui traal. pei
spirito del ci
145. RUOTA _ si
cfr. v. 65 0 02,
CAN’
io; cioè nel Paradiso, dove il
lura in eterno.
PRIMO
CIELO QUARTO DEL SOLE
DOTTORI IN FILOSOFIA E
TEOLOGIA
VANITÀ DELLE CURE TERRESTRI, DUE DUBBI
VITA DI SAN FRANCESCO, RIMPROVERO AI DOMENICANI
O insensata cura dei mortali,
Quanto son difettivi sillogismi
Quei che ti fanno in basso batter |’ ali!
4 Chi dietro a iura, e chi ad aforismi
V. 1-12. Cure terrestri e giola ce-
leste. Circondato dal coro dei beati che
si muovono in giro cantando a verso a
verso con inuffabile simmotria e dolcezza,
il Poota volge uno sguardo di pietoso di-
sdogno alla torra, doplorando gli nomini
che corrono dietro a cose vane e fugaci,
invece di cercare le gioie reali cd eterne.
Cfr. Pers. Sat. I, 1. Lucret. Rer. nat. II,
14 e seg. Boet. Cons. phil. I, pr. 3. Com.
Lips. III, 272.
2. SILLOGISMI: 1 discorsi, lo ragioni.
« Syllogismus ost oratio, in qua consen-
sis quibusdam et concessis aliud quid
quam qui concessa sint per ea que con-
cossa sunt necessario conficitur;» Gel-
liua, XV, 20. Cfr. Aristot. Anal. pr. I, 1.
Thom, Aq. Sum. theol. 18, 86, 1; I*, 90, 1.
(I)INI), Diz. tomiistico e scolastico, 173-208.
3. HATTER L'ALI: volger l' animo alle
cose terrene. « Come argomentate male
ad attaccarvi alle cose mondane; » Betti.
4. A IURA: alle scienze giuridiche. -
AD AFORISMI: di Ippocrate; qui per lo
studio della medicina, designata per gli
Aforizmi di Lygocrate.
[CIELO QUARTO]
Par. Xt. 5-19
[DUE DUBBI] 801
Sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
E chi regnar per forza o per sofismi,
7 E chi rubare, e chi civil negozio,
Chi nel diletto della carne involto
S'affaticava, e chi si dava all’ ozio;
10 Quando, da tutte queste cose sciolto,
Con Beatrice m’ era suso in cielo
Cotanto gloriosamente accolto.
12 Poi che ciascuno fu tornato ne lo
Punto del cerchio, in che avanti s’ era,
Fermossi come a candelier candelo.
16 Ed io senti’ dentro a quella lumiera,
Che pria m’avea parlato, sorridendo
Incominciar, facendosi più mera:
19° « Così com'io del suo raggio risplendo,
5. BACERDOZIO : lucroso, « siont preaby-
teri et prelati qui sequantur jara cano-
nica; et isti quisrunt magna benoficia
et prebendas ut vivant expensis Cruci-
fixi; » Bene.
6. x chi: è chi s'affaticn di regnare
per forza o per inganno.
7. civi.: « In cura famiglinro o civilo
convenevolmente a sò tiene degli nomini
il maggior numero, sicchè in ozio di ape-
enlazione esser non possono ; » Conv. 1,1.
D. B'AFFATICAVA: per soddisfare le ane
libidini. Così i più. Ma il Betti: « Se co-
storo erano già involti nel diletto dolla
carne, donque erano ginnti già ni pravi
- loro desideri. Afaticoarsi qui sta por tra-
vagliarsi; o nonserrenaltra spiegazione, »
- ® Ecco che ha contato lo nostro antore
nove cure 6 sollecitodini che gli nomini
mondani piglinno ingannati dall' amore
mondano, cioè dei beni mondani, cioò li
indici delle leggi canoniche è civili, li
medici della Asica e della cirugia, li che-
rici degli ordini ecclesiastici e de'bene-
fici, li signori di signoria, li robatori in
rubare, li artefici nei loro artifici, li car-
nali e Iussuriosi nei diletti carnali e Ins-
surie, e li pigri ne l'ozio; onde ha toccato
quasi tutte le diversità degli esercizj de-
gli nomini mondani ; » Buti,
10. QUANDO: Al. QUAND' 10. - BCIOLTO:
ofr. Virg. Aen, IV, 652. Horat, Sat, I, 6,
128 © seg.
V. 13-27. Due dubbi. Dopo aver dan-
zato e cantato un momento, la corona
di spiriti beati si ferma nuovamente, e In
51. — Dio. Comm., 3° odix.
luce di 8. Tommaso, facendosi più chiara,
continna n ragionare con Dante, dicendo :
Conosco i tnoi pensieri e la loro origine.
Due dubbi t'ingombrano la mente. Tu
non intendi cosa io volossi significare,
quando dissi che nell'ordine di san Do-
monico ben s'impingua se non ri vaneg-
gia; n tn non comprenmili como possa os-
ser vora quoll' altra mia parola, che la
aapionza di Salomone fn tale, che a veder
tanto non suree il secondo,
13. crascuso: dei dodici spiriti beati
nominati nel canto anteo. - TORNATO:
danzando.
ld. AVANTI: quando San Tommaso ra-
gionnva con Dante; ofr. Par. X, 640
seg., 76 0 sog.
15. Fenmosar: Al. renmo st. Tornato
ciascuno nel punto in che stava dap-
prima, si fermò e restò immobile come
candela fissa nel candeliere. - CANDELO:
forma antica e poetica di candela; cfr.
Par. XXX, fd.
16. LUMIERA : l'anima risplendente di
S. Tommaso; cfr. Par. V, 190; IX, 112,
« Finge che l'anima benta stia dentro
nello splendore vestita e fasciata da cs-
ao; » Buti.
18. PIÙ MERA: più Incento per novello
impulso di coloste carità.
19. così: n quel modo che io risplendo
del raggio delle luce eterna, così puro, ri-
guardando in essa, apprendo da che ta
traggi cagione di pensare, da qual cagio-
ne i tnoi pensieri procedono. « Vedendo
Dio conosco la causa de' tuoi pensieri.
VARTO]
PAR. XI, 20-35 [CAMPIONI DELLA CHIESA]
© ,riguardando nella luce eterna,
L. tuoi pensieri, onde cagioni, apprendo.
22 Tu dubbi, ed hai voler che si ricerna
In si aperta e in si distesa lingua
Lo dicer mio, ch'al tuo sentir sì sterna,
25 Ove dinanzi dissi: ‘“ u’ ben s’impingua, ,,
Elau" ~*~” ™ secondo; ,,
E qui e tingua.
28 La il mondo
e ogni aspetto
wie a al fondo,
gl Però che Diletto
La sp e grida
Disposo 1 detto,
34 In sé sicura fida,
Due prin favore,
Cioè, non solo veggo i tuoi pensi. __, ___
veggo il perchò sono tali; » Corn. - RI-
BPLENDO : Al. M'ACCENDO; cfr. 00m. Lips.
III, 275 e seg.
21. CAGIONI: onde traggi cagione ai
tuoi pensieri. In sentenza: Conosco i
tuoi pousieri e ne conosco pure l'origine,
il fonte. Alcuni leggono: OND'È caaro-
NK, lezione accettata da Perazz., Ed.
Pad., Betti, eco.
22. RICKRNA: ridistingua, dichiari me-
glio. Al. DISCERNA.
24 BI STKRNA: si appiani, adatti al tuo
intendimento ; cfr. Par. XX VI, 37,40, 43.
25. DISSI: Par. X, 96.
26. LA: Par. X, 114. - NON BURSK: Al.
NON NACQUE. Questa seconda leziono ha
per sò la gran maggioranza dei codici;
cfr. MOOKK, Orit., 460 e seg. Ma Il BULSK
dei due luoghi Par. X, 114; XIII, 106
parla in favore della prima.
27. QUI: e sopra questi due dubbi è
mestieri che si faccia buona distinzione
a volerti ben dichiarare. Così Lan., Olt,
An. Fior., Benv., Buti, Land., Vell.,
Dan., eco. Al.: quanto appartiene a que-
ato secondo dubblo ( Zoinbd., Port., Pog.,
Biag., Costa, l'om., Br. B., Frat., Greg.,
Andr., eco.); del secondo dubbio non si
paria che assai più tardi, Par. XIII, 81
© S0g.
V. 28-42. I due campioni della
Chiesa. A soccorrere la Chiesa la di-
viua Provvidenza mandò duo campioni:
wn — - M06800 6 San Domenico che por-
sero modello della perfozione evangelica
ai loro coetanei. Parlerò dell'uno, poiché
avendo ambedue operato ad un fine me-
desimo, quello di ben guidar la Chiesa,
lodando l' uno si lodauo entrambi. Dante
pone le lodi di S. Francesco in bocca al
Domenicano Tommaso d'Aquino, e le
lodi di S. Domenico in bocca al France-
scano Bonaventura, forse, come alcuni si
avvisano, in argomento di amicizia dei
due ordini religiosi; ed invece Tommaso
biasiina i suoi Domenicani, e Bonaven-
tura i suoi Francescani della loro deca-
denza.
20. asvKTTO: occhio, vista, sguardo,
come Purg. XV,114; XXIX, 58, 149 ecc.
80. VINTO: ogni occhio di creatura s’ab-
baglia e si confonde prima che arrivi a
penetrare i profondi secreti della divina
Provvidenza; cfr. Rom. XI, 33 © aeg.
Thom. Aq. Sum. theol. I, 12, 7. Conv.
IV, 5.
81. vend CHK: affiochè. - DILETTO:
Cristo.
82. svoga: la Chiesa; cfr. Par. X, 140.
- Gkiva: allude alle parole dette da Cri-
sto in croce; cfr. S. Matt. XXVII, 46, 50.
S. Marco XV, 34, 37. S. Luc. XXIII, 46.
8. Giov. XIX, 26-30. Atti XX, 28. Ebrei
V, 7.
34. IN SÉ: sicura in sò stessa e più fe-
dele allo sposo suo, Cristo.
BS. valuciti: capi, couduttori ;S. Fran-
[CIELO QUARTO]
PAR. xt. 86-47
[S. FRANCESCO] 803
Che quinci e quindi le fosser per guida.
37 L’un fu tutto serafico in ardore,
L'altro per sapienza in terra fue
Di cherubica luce uno splendore,
40 Dell’un dirò, però che d'ambedue
Si dice |’ un pregiando, qual ch’ nom prende,
Perché ad un fine fir l’opere sue.
"43 Intra Tupino e l’acqua che discende
Del colle eletto del beato Ubaldo,
Fertile costa d'alto monte pende,
4G Onde Perugia sente freddo e caldo
Da porta Sole, e dirietro le piange
ceaco e S. Domenico, - IN 8U0 FAVORE: a
prò della Chiesa.
20, QUINCI E QUINDI : « quinei, cioè in
rendergliela più fila; o questo 48, Fran-
ceaco mediante il ano sorafico amore, per-
ché allora 4 fedele la sposa allo sposo,
quando al vede osser nccosa nel sno amo-
re. F quindi, clod in rondergliela sicura;
o questo è S. Domenico mediante la ann
grandissima sapienza e profondissima
dottrina, che Ja difendo da ogni eretica
© falsa opinione; » Vell.
87. L'Un: San Francesco. - BKRAFICO:
ardente ; ofr. Thom, Ag. Stem. theol, I, 63,
7;I, 108, 5. Thom. Celanwa, Vita Frane,
I, 4, 23, —] ARDORE: Al. AMORE.
88, n'antro: San Domenico.
39, cnerumta: « Cherubin interpro-
tatur plenitudo scientie.... ot ale patet
quod Cherobin denominetar a sclentia; »
Thom. Aq. Sum. theol. I, 63, 7; confr. I,
108, 6.
40, pen.’ us: di San Francesco. Lo-
dando l' uno, qualnnque dei due si pron-
da, si lodano entrambi, amendue avendo
operato nl fine medesimo di sostenere o
ben guidare la Chiesa.
V. 43-117, Vita di San Francesco
d'Assisi. In modo commoventemonte
affettuosn San Tommaso narra la vita
di Francesco d'Assisi e conclade: Pensa
adesso qnal fu colni che gli fn collega a
reggere la barca di San Pietro, Dome-
nice, il nostro l'atriaren. Sulla vita di
8. Francesco cfr. Jordani de Jane, De
primitivorum fratrum, coo. e, IT, Lo Vi-
te, di Tommaso Celano collo appendici dei
Tre Soci, e del Ronaventura negli Acta
Sanet. Oct. IT, 645-1004. Chavin de Ma-
lan, Mist, de St. Frane.,Par., 1841 01801,
Morin. St. Frane. d'Ass., Par., 1853. E.
Renan, Nouvelles dudes d'Iist. relig., 2%
ediz., Par., 1884, p. 823-351. Bonghi, San
Frane, d'Ass., Cittàdi Cast., 1882. Di Gio-
vanni, 5S. Frane. d'Ass., Girgenti, 1883.
Karl Hase, Franz v. Assisi, Lipsin, 1856,
2" odiz., 1892. Com. Lipa. INT, 279 è seg.
43, Turixo: o Topino, fliumicello che
acorre vicino ad Assisi a voran lo sno
acque nel Tevere, — L'ACQUA: il Chiascio
che versa le ane neque nel Tupino, Assisi
‘alta tra i duo finmicelli; il Tupino al-
l'oriente, ed il Chinscio all' occidente.
Cir. Bass., 100 è sog.
44. Unarvo: Sant’ Ubaldo Baldassinî,
n. 1084, m, 1160, prima eremita, dal 1129
nl 1160 vascovo di Gubbio; ofr. Teod. da
Gublrio, Vita di 8. Ubaldo, Loreto, 1700.
45, CORTA: « questa è la costa del monte
detto Snbaso, nella quale costa è Ancesi ;
lo qual monte è situato in questo modo,
che da ponente li viene Tupino, e da lo-
vante Agobio, da tramontana Nocon o
Gnaldo, da mezzo di In Paglia. E lodetto
monte ha una costa molto fenttifera che
ponde in verso Perugia, et in su questa
costaininogobnsso ginso è Ascosi; » Buti.
49. sente: il Sabiaao (o Subago) a le-
vante di Perngin, è sorgente di freddo è
di caldo a questa città, d'estate riflet-
tendo da quel lato le vampe e d'inverno
coprendosi di neve.
47. ORTA 801: porta ll Perugia verso
Assia, - interno: distro da ossa costa
Nocera e Gualdo al dolgono, essendo sud-
dite a Roberto di Napoli ed oppresse di
imposte. Così i più. Invece Benv.: « quia
recepit rentam, frigns et incommoda a
dicto monte. » Altri dicono che Nocera è
Gualdo mal volentiori stavano sotto Po-
ELU UARTO)
PAR, XI. 48-64
[S. FRANCESCO]
Per greve giogo Nocera con Gualdo.
49 Di questa costa, là dov’ ella frange
Più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
Come fa questo talvolta di Gange.
53 Però chi d’esso loco fa parole
Non dica Ascesi, ché direbbe corto,
Ma Orienti
65 Non era an:
Ch’ ei co
Della sui
58 Ché per tal
Del padri
I ria
dl =
]
64 Questa, Pil yew
rugia (Vol., Biag., Corn., occ.). Ma il
greve giugo potrebbo ossere inteso in sen-
so geografico anzichè politico.
49. FRANGE: diminuisce la sua ripidez-
za. Assini è situata sul pendio.
50. NACQUK: nel 1182. - s0LK: S. Fran-
oosco, la cui Vita, scritta da ‘Tommaso
Celano, incomincia collo parole: « Quasi
sol orieus in mundo Beatus Franciscus
vita, doctrina et miraculis claruit; » Acta
Sanct. Oct. II, 552. Bonaventura (ibid.,
742) approprin a S. Francesco lo parolo
Apocal. VII, 2: « Vidi altorum Angeluto
ascendentem ab ortu solia. »
51. QURSTO: questo vero sole nel quale
ci troviamo. - TALVOLTA: nel solstizio
estivo quando il solo nasce dulla parte
delle foci del Gange, e a noi suol essere
più caldo e più risplendente. Così i più
(Petr. Dant., Benv., Buti, Lomb., Biag.,
Ces., Tom., Ant., Br. B., Frat., Greg.,
Andr., Filal., Corn., ecc.). Intorno ad
altre poco attendibili interpretazioni cfr.
Com. Lips. 1II, 282.
53. ASCKSI: così chiamavasi comune-
monte Assisi ai tompi di Dante. - CONTO:
troppo poco; cfr. Par. XXXIII, 106.
54. ORIENTE: secondoil vangelico : « Vi-
sitavit nos oriens ex ulto;» S. Luca II,
78, cfr. Zacar. III, 8. - 8k PROPRIO: 80
vuol parlare propriamente.
65. DALL'ORTO: dall'orionte, dal suo
nascimento. Continua la similitudino del
vuole.
lall’ orto, ’
la terra
n conforto;
in guerra
1’ ella morte,
disserra ;
porte,
inito ;
forte.
rito,
sole. A ventiquattro anni S. Francesca,
che sino a quell'età erasi dato alla mer-
catura, fu futto prigioniero in uno scon-
tro dei cittadini di Assisi coi Perugini.
Liberato e rimpatriato cambiò tenore di
vita, rinunziando intieramente al beni
della terra o dedicandosi tutto ad opore
di pietà.
56. COMINCIÒ: « il mondo preso alcuno
conforto che ritornerebbe la virtù negli
uomiui, che pareva già abbandonata,
velendo uno così tanto giovanetto con
tanta virlù; >» Buti. - LA TERRA: quarto
caso, qui por alla terra.
58. DONNA: la povertà; cfr. Celanus I,
8, 22. Hase, 2* ediz., p. 26 © seg.
59. COR8K: per amore della povertà ai
attirò addosso l'ira del proprio padre. -
A CUI: alla povertà, alla quale, come alla
morte, nessuno apre con piacere le sue
porte, cioè nessuno fa buona accoglienza.
61. CORTK: curia; la curia episcopale di
Assisi sua patria.
62. KT COKAM PATRE: ed al cospetto,
in presenza del padre suo si unì in ma-
trimonio alla povertà. Il concetto del
matrimonio è tolto dall’ inno di S. lF'ran-
cesco alla povertà.
63. l’IÙ FORTE: a differenza del matri-
moni carnali, nei quali non di rado l'amu-
re va intiepidando col tempo, ed alle
volte si spegue anche del tutto.
Qk. Questa: la povertà. - PRIMO Ma-
[CIELO QUARTO]
Par, xt. 65-80
[S. FRANCESCO) 805
Mille cent’ anni e più dispetta e scura
Fino a costui si stette senza invito;
67 Né valse udir che la trovò sicura
Con Amiclate, al suon della sua voce,
Colui ch’ a tutto il mondo fe’ paura;
70 Né valse esser costante né feroce,
Sì che, dove Maria rimase giuso,
Ella con Cristo pianse in su la croce.
73 Ma perch’ io non proceda troppo chiuso,
Francesco e Povertà per questi amanti
Prendi oramai nel mio parlar diffuso.
76 La lor concordia e i lor lieti sembianti
Amoro e maraviglia e dolce sguardo
Faceano esser cagion de’ pensier’ santi;
79 Tanto che il venerabile Bernardo
Si scalzò prima, e dietro a tanta pace
niro: Cristo; ofr. S. Luca IX, 68, IT
Cor. VIII, 9.
85, x pri: dalla morte di Cristo a San
Francesco. - DISPETTA E BCURA: « autor
videtur dicere falsom, quia multi snneti
patres at heremite diloxernnt pauperta-
tom et deapoxernnt mondam propter
Christum, et antiquitus et moderniter....
Dicendum breviter, qui nullns tantum et
in totam amavit panpertam tam perfecte,
tam generaliter, tam volenter; » Benv.
68. AMICIATE: povero pescatore che
anche durante le scorrerie dei soldati di
Cesaro 6 ili Pompeo dormiva ad uscio
aperto e rimase imperturbato dinanzi a
Cesaro, cho fece paura a tatto il mondo;
efr. Litean. Phares. V, 521 © seg. Conv.
IV, 18.
70. xÉÈ VALSE: alla povertà, per ren-
derla nccetta e gradita agli nomini. - FK-
rock: alteramente forma nell'amore di
Cristo. Feroce per altero, coraggioso, non
cedevole è simili usarono altri Trecenti-
ati. Cfr. Horat. Od. IT, 5, 13, 14.
71. ciuso : sotto la croce; cfr. S, Giov,
XIX, 25.
72. mutA: Cristo morì ignodo, dunque
la povertà era con lui sulla croce. - rian-
BR: «preces pupplicationesqoe.... cum
clamore valido et lacrimis offerens; »
Ebrei V, 7. Al, SALSE, lezione priva di
autorità; cfr. Com. Lips, IIT, 286 è seg.
74. CHIUSO : oscuro, coperto ; ofr. Purg.
XII, 87.
75. rueNDI: intendi, - pirrUsOo : longo,
esteso. Intendi oramai che i due amanti
dei quali ti honlungo parlato sono Fran-
cesco è In Povertà.
76. Lor: dei doe amanti e sposi, « La
concorilin ch'era tra loro due, è l'alle-
grezza o In benivolenza e li miracoli e
le contemplazioni, era materia ch'elll
fusse creduto Santo da chi "1 vedea; » Ott.
Così in sostanza anche Benv, «Con tanta
pace a, 'rancesco stava nella povertà e
con sì lieta faccia vivova con esse, ch'egli
faceva ogni nno innamorare e meravi-
gliare di Ini e guardare con dolcezza la
sua santa vita, e per questo venire in
pensieri di fare lo simile e seguitarlo; »
Buti. Altri intendono: L'aspetto della
loro felicità e concordia chinmando su di
essi l'attenzione della gente faceva al
che la maraviglia da ciò eccitata, e la
viata di quell'amore e di que’ dolci agnar-
di cagionassero anche ad altri santi pen-
sieri. Veramente il costrutto è oscoro ; il
senso per altro è chiaro, cioè cho l' esem-
pio dato dn San Francesco fu edificante
esalabre, ed indusse altri ad imitarlo.
79. Bravanno: di Quintavalle, ricco
cittadino «li Assisi, primo discepolo di
S, Francesco, cul egli segni sin dal 16
maggio 1200; ofr. Hase, 23 ed., 31.
80. s1 SCALZÒ: ad esempio di S. Fran-
ceaco; confr. Celan. I, 8, 22. — PRIMA:
« idest primus induit habitum Franci-
sci; » Benv,
ARTO]
PAR. x1. 81-94
SS «GE
[S. FRANCESCO]
Corse, e correndo gli parv' esser tardo,
83 O ignota ricchezza, o ben ferace!
Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro,
Dietro allo sposo, sì la sposa piace.
85 Indi sen va quel padre o quel maestro
Con la sua donna, 6 con quella famiglia
Ohe gia 10 O
88 Né gli grav: glia,
Per ess ardone,
N raviglia.
ol Mar zione
Ada lui ebbe
5 & 8,
o4 Poi »bbe
81. TARDO: «gli parve d'a
indugiato a pigliare tal vita,
vente fatto; » Huti. Cir. Par. a,
82. IGNOTA: cfr. Lucan. Phare. ., +--
e seg. Conv. IV, 18. - FRRACK: fecondo,
fruttifero. Al. VERACE; cfr, MOOKK, Oril.,
462 e seg.
83. EGIDIO: terzo discopolo e seguace
di S. Francesco, autore del libro Verba
aurea, m. nel 1272 a Perugia. Pietro, il
secondo discepolo, non è menzionato,
forso perchò premor) al fondatore, e forse
perchò Dante non ne conosceva il nome,
taciuto dal Celano e da Bonaventura. -
SILVK8TRO: altro seguace di S. France-
sco, già prete di Assisi, « qui expulit ci-
vile bellum de Assisio, et viditin somuio
crucom oxire ex oro Francisci; » Benv.
84. 81'0SO: S. Francesco. - 8}: così, co-
tanto. - SPOSA: la povertà.
85. va: a Roma per ottenere da Inno-
cenzo III l'approvazione e conferma del-
la nuova regola (nel 1209 o 1210); cfr.
Mat. Paris. Hist. maj., Loud.,1640, p. 340.
Hase, 33-37.
86. FAMIGLIA: compagnia di undici di-
scepoli.
87. CAPESTRO: il cordone doi France-
scani; cfr. Inf. XXVII, 92. Par. XII,
132 «Capestro ora voce propria di quel
rozzo cordone, oude non solo i frati mi-
nori, ma i poveri uomini del secolo XIII
o XIV, si cingovano lo vesti; » Betti.
88. GRAVÒ: di vorgogua; nun arross);
ofr. Purg. XXX, 78. « Nou obstante quod
os3et filius ditissimi, propter quod vide-
batur dobere ire ex verecundia cum baa-
6, secure ivit ad Innocentiom
ut approbaret ejus regulam ; »
—. +": figlio; anticamente voce del-
l’uso; vive ancora in qualche dialetto.
Cie. Nannuc., Nomi, 180. - Piktno Brr-
NARDONK: ricco mercante di Assisi, cui
Picasuamoglie rese padre di S. Francesco.
90. DISPKTTO: spregevole a segno da
fur imeravigliare i riguardanti, e ciò non
solo per lo suo abito vile, ma perchè
aveva « vultum desplicabilem; » Ifatt.
Paris, |. o.
91. KKGALMENTE: « magnanimiter; »
Benv. « Con animo regio ed invitto; »
Land. - DURA INTENZIONE: il suo arduo
proposito di ubbidienza, puvertà e ca-
stità. O veramente por la dura intenzione
iutendo la regola di S. Francesco, la qua-
le parve sullo prime troppo dura a papa
Innocenzo III, onde ne sospese la for-
male approvazione.
93. PRIMO SIGILLO: la prima approva-
zione papale, data nel 1210, ma soltanto
a voce, provvisoriamente e con tutte le
riserve. - RKLIGIONK: ordiue monastico.
94. CREDLE: un contemporaneo, Jac. de
Vitriaco (Hist. occid., c. 32), racconta:
« Non solum autom pricdicatione, sed
et exemplo vitiv sanctity et conversatio-
nis perfvetie, multos, non solum inferio-
ris ordinis homines, sed generosos et no-
biles, ad mundi contemptam invitant;
qui, rolictis oppidis et casalibus et am-
plissimis possessionibus temporales di-
vitias ot spirituales felici commercio com-
wutantes, habitam fratrum Minorum,
[CIELO QUARTO]
PAR. x1. 95-107
(8. FRANCESCO) 807
Dietro a costui, la cui mirabil vita
Meglio in gloria del ciel si canterebbe,
07 Di seconda corona redimita
Fu per Onorio dall’ eterno spiro
La santa voglia d’esto archimandrita.
100 E poi che, per la sete del martiro,
Nella presenza del Soldan superba
Predicò Cristo e gli altri che il seguiro,
103 E per trovare a conversione acerba
Troppo la gente, per non stare indarno,
Reddissi al frutto dell’italica erba;
106 Nel crudo sasso, intra Tevere ed Arno,
Da Cristo prese l’ultimo sigillo,
i, è, tonicam vili pretii, qua induontnr,
et fonem, qno accinguntnr, assumpae-
runt. Tempore enim modico adeo mul-
tiplicati sunt, quof non est aliqua Chri-
atinnoram provincia, In qua aliquos de
fratribus anis non habeant. »
96, 1x GLORIA: alla gloria del cielo,
clos di Dio, pinttosto che alla gloria
della persona del santo. « Non nobis, Do-
mine, non nobis; sed nomini tuo da glo-
rinin ; + Salm, CXIIT,1, « Cantanin erat
ot colobranda por orbom ad gloriam Dei,
qui dedit sibi tantam gratiam, ut canta-
retur et celebraretur in gloria del ciel,
quia eius vita piusquam humana cederet
ad gloriam gratim divine et infnsionis
emlestis; » Benv. Sulle diverse altro in-
terpretazioni di questa terrina ofr. Com.
Tips, INI, 200 è seg. Patti: « A cantare
flegnamente le cul mirabiliazion| sarebbe
necessario un angiolo, » Ma non canta
S. Tommaso nella gloria celeste! 11 Betti
invoca Parad. X1I,7; main qnestoIno- ©
go si parla del canto di spiriti beati, non
di angioli.
07, DI BECONDA: l'ordine francescano
fu solennemente approvato da papa Ono-
rio III nel 1223. - REDIMITA: decorata,
coronata.
08. DALL'ETRRNO sPIRO: dallo Spirito
Santo per mezzo di papa Onorio.
90. ARCHIMANDRITA : pastore, capo del
gregge, cioà dell'Ordine dei Minoriti.
100. E rot: allode alla missione di San
Francesco tra' Saraceni nel 1219.
101. SoLpan: Malek al Kamel, cui
5. Francesco tentò invano di convertire
al cristianesimo, « Videns eum bestin
crudolis in aspecta viri Dei in mansno-
tadinem conversa per dies aliquot ipsum
sibi et suis Christi idem predicantem
andivit; » Jac. de Vitriaco, Hist. Occid.,
0.32; cfr. Ejusd. Bpist.nd Famil., inGesta
Dei per Francor, p. 1149, - surenpa: nl-
lude forse all’ epiteto bestia crudelia, del
quale il vescoro di Acco onora il Sul-
tano.
102, GL1 ALTRI: la « milizia che Pietro
seguette;» Par. IX, 141; dunque; Cri-
sto ed i suoi seguaci, AI: San France-
neo prodicà Uristo, e predienrono pure
Cristo i Frati suol che l' accompagna-
rono. Ma di questi Frati suoi il Poeta
non fa mn sol cenno.
103, AcEnDA : non disposta, Vini
a convertirsi. Cfr. Fioretti di S. Frane.,
24: «Gli disse il Soldano: Frate Fran-
cesco, io volentieri mi convertirel alla
fede di Cristo, ma io temo di farlo ora, »
105, rEDDISSI: Al, TonNOSSI. « Videns
se non proficere in conversione gentis
Mius, nec sinm assequi posse proposi-
tum, ad partes fidelinm remeavit; » Bo-
nav., I, c., 708,
106, sAssO: nell'aspro monte Pernice
o Alvernia del Casentino, posto precisn-
mente tra le fonti del Sieve e quelle del
Sette; ofr. Loria, L'Ital, nella D. 0.119,
350. Sulla vetta di questo monte i disce-
poli di S. Francesco avevano edificato
(nel 1215) on Oratorio, nel quale dicesi
che nel 1224 il Santo ricevesse le Sti-
mate.
107. L'ULTIMO: dopo quelli ricevnti da
Innocenzo INI e da Onorio TIT.-s1G1LLO:
le Stimate, I biografi più antichi del San-
to, Celano, Tre Soeti a Ronaventura, rac-
contano che trovandosi Francesco nel
808 [CIELO QUARTO]
Par. x1. 108-117
[S. FRANCESCO]
CI 3 le sue membra due anni portàrno.
109 Qua; lo a Colui ch'a tanto ben sortillo
Pi: cque di trarlo suso alla mercede,
Ch ei meritò nel suo farsi pusillo,
112 Ai freti suoi, sì com’a giuste erede,
Raccomandò la sua donna più cara,
E comandò che l'amassero a fede;
115 E del
Mui
Ed
1224 sul monto Aly
parvo o gli impre
piedi i sogni dell’ ime
atato il segno della fi
quali cinque piagl
lieto, benchè ease fi
Gregorio III confe.
verità di questo mir
v'ha chi ci crede;
105-143, Chavin de.
108. DUE ANNI? UW.
Francesco morì nella curvdil us ware
Maria degli Angeli (Porziuncola) il 4 ot-
tobre 1226. Era venerato non pur come
santo ma poco meno che come Dio già
durante la sua vita; cfr. Celan. I, 8, 62.
109. a CoLUI: a Dio, che lo aveva de-
atinatoa tanto bono. - SOrtILLO : cfr. Inf.
XIX, 05. Virg. Aen. LIT, 634. Z'etrarca,
Trionfo della Fama, I, 61.
110. MEKCEDK: ctr. S. Matt. V, 12.
111. PUSILLO: povero, picciolo, umile;
cfr. S. Matt. XVIII,6,10,11. S. Marco
IX, 41. S. Luca XII, 32; XVII, 2.
112. KukvK: eredi. Erede è il plur. di
ereda, usato anticamente anche in prosa;
cfr. Inf. XXXI, 116. Purg. VII, 118.
Nannuec., Nomi, 217 © seg.
113. DONNA : la Povertà. Dal testa-
mento di S. Francesco: « Priecipio fir-
miter per obedientiam fratribus univer-
sis, quod, ubicumque supt, non audeant
petere aliquam literam in curia Romana
per se, nec per interpositam personan,
nec pro ecclesia, nec pro alio loco, neque
sub specie privdicationis, neque pro per-
secutione suorumn corporum : sed ubi-
cuinque non fuerunt recepti, fagiant ad
aliam terram, ad faciendum pu:niten-
tiam, cum benedictiune Dei.... Kt om-
nibus fratribns meis, clericia et laicis,
precipio drmiter per obedientiam, ut
non mittaut glossas in regula, nec in
lara
suo regno,
tra bara.
ria (i. e. in testainento) dicendo:
t intolligi. Sed siout dedit mihi
pure et siimpliciter dicore, ot
regulam et ista verba, ita slm
t pore sine gloasa intelligatis, et
ta operations usque in finem ol
» Waddingadan, 1226,n, 90;
vet. Oct. II, 063,
FEDE: fedelmente, che le fos
ili.
«SEMO : della Povertà. Così Buti,
Lomb., Port., Costa, Ces., Tom., Br. B.,
Frat. , Greg. a Andr., Pilal., ecc. Al.: ; dal
corpo nel quale dimorava; così Post.,
Cass., Benv., Vell., Dan., Biag., coo.
Volle forse Dante scrivere: L'anima pre-
clara volle muoversi dal suo corpo e non
volle ul suo corpo altra bara?! Il suo del
v. 116 si riferisco alli donna più cara,
v. 113; il suo dei vv. 116 e 117 si riferi-
ace invece all'anima preclara.
116. TORNANDO: «ot spiritus redeat ad
Deum, qui dedit ium; » Beel. XII, 7.
Cfr. Ounv. 1V, 28.
117. ALTRA: che il grembo della povertà.
Seutendosi presso alla morte, S. France-
‘sco si fece trasportare dal palazzo vesco-
vile, dove abitava, nella sua diletta chiesa
di Santa Maria degli Angoli, e quivi si
spogliò tutto ignudy in terra, in segno
di amore invariabile alla povertà; così
raccontano Celan., T're Soc. e Bonav. Al-
tri intendono: non volle nessuna bara,
nessuna funerea pompa; altri diversa-
mente; cfr. Com. Lips. III, 296.
V. 118-139. Lu degenerazione del
Domenicant, Dalla vita di S. Frau-
cesco, ‘l'ommaso d'Aquino prende coca-
sione di aggiungere nna parola di lode del
proprio patriarca, per censurar quindi
fieramente i Domenicani del tempo, che
nun sonv più animati dallo spirito del
fondatore. Sullu decadenza degli ordini
[CIELO QUARTO]
118
Pan. Xt. 118-136
[DOMENICANI] 809
Pensa oramai qual fu colui, che degno
Collega fu a mantener la barca
] Di Pietro in alto mar per dritto segno!
121 E questi fu il nostro patriarca;
Per che qual segue lui, com’ ei comanda,
Discerner puoi che buona merce carca.
124 Ma il suo peculio di nuova vivanda
È fatto ghiotto si ch’ esser non puote
Che per diversi salti non si spanda;
127 E quanto le sue pecore remote
E vagabonde più da esso vanno,
Più tornano all’ ovil di latte vòte.
130 Ben son di quelle che temono il danno,
E stringonsi al pastor; ma son sì poche,
Che le cappe fornisce poco panno.
138 Or, se le mie parole non son fioche,
Se la tua audienza è stata attenta,
Se ciò c'ho detto alla mente rivoche,
136 In parte fia la tua voglia contenta,
monnatici efr. Rzow. Annal. ad nn. 1416.
Matt. Paris nd nn, 1243, 1246, 1247, Com.
Lips. III, 297.
118, coLvi: San Domenico.
119, LA BARCA: la chiesa, raffigurata
nella navicella di S. Pietro; cfr. Purg.
XXXII, 129.
120. IX ALTO MAR: « in mundo isto pro-
celloso; » Benr. - sxaxo: «la nave della
Chiesa ha per suo segno dritto il porto
del cielo, al quale tende continunmonte
la sun prora;» Buti,
121. PATRIARCA : il fondatore del no-
stro Ordine. È jl Domenicano S. Tom-
maso che parla.
123. carca: rimanondo nell’ allegoria
della barca, dice che chinnque segue
5S. Domenico osservando rigorosamente
la regola del suo ordine, è simile a quel
marinaio che carica la sua nave di boo-
na morce, facendosi tesori per la vita
eterna.
124. PRCULIO: gregge; i frati domeni-
cani, = VIVANDA: onori 6 dignità socle-
siastiche.
120, sarti: pascoli nei monil e nelle
selre; Int. salta. « Deve sbandarsi fuori
dall'ovile o dal chiostro in lnoghi peri-
colosi; » Corn.
127. rrconr: i frati domenicani, cos)
chiamnti con ona similitudine ovvia nol
Vangelil; cfr. Matth. IX, 36; X, 6, 16;
XV. 24. Marc. VI, 34. Johan. X, 3, 4,
15, 16, 27, eco.
123. pa sso: dal pastore, o patriarca.
« Quanto più si dilongano dalla regola
dell'Ordine più sono vòte del nntrimento
della regola; » Ott,
120. LATTR: alimento spiritnale ; cfr.
I Cor. 111, 2. « dest, dulci dootrina, qua
deborent alere et cibare alios ;» Jenv.
180, bi QUELLE: pecore di San Dome-
nico, Sonvi bens) Domenicani non trali-
gnati, che si nttengono fedelmente alla
regola del fondatore dell'Ordine, ma sono
così pochi, che non occorre molto panno
per fornirli tatti di cappe. I più sono
guasti e corrotti.
133. Frocun: deboli e quindi non bene
intelligibili, come è difficile intender bene
chi parla con roce foca. Se ho parlato
chiaramente.
134. AUDIEXZA: l'ascoltare, l'atto del-
l' udire. Se bai ascoltato attentamente, |
135. mvocnk: rivochi ; se richiami alla
mente quanto son vennto dicendo.
ti 136.18 PARTE: in ciò che concerne l'uno
dei dubbi enunciati più sopra, v. 25 0 seg.
anTO] PAR. X1. 187-189 - xi1.1-3 (SECONDA CORONA]
Perché vedrai la pianta onde si scheggia,
E vedrai il coreggièr che argomenta,
139 4 U'ben s'impingua, se non si vaneggia. ,, »
187. sr songogra : vedrai da qual pianta
io levo le schej , cloé intenderai che la
corruzione dei atl domenicani porse
argomento alle ie parole che ti erano
tanto oscnre. C
Buti, Lomb., B ~
Altri; Vedrai;
domenicana al map
dendo della atti. gru _Jfx
Torel., Tom., Prot., Prane
138, iL COuMmUGicn 1 1! *
detto così dalla correg
CA
me il Francescano dalla corda è detto
cordigliero, cfr. Inf. XXVII, 67. Il senso
édunyue: E vedrai cosa vuol dire il frate
domenicano quando si me come feci
Vedrai qual'è la cansa del decadi-
lell'ordine dei Domenicani, ed an-
illa fatta correzione argomente-
sigulticazione della mia frase; +
1) Salle altre svariate interpre-
come pure sullo diverse lesion!
ito verso ofr, Mneiel. 474.
uU' wes: efr. Par. X, 06.
ECONDO
CIELO QUARTO DEL SOLE
DOTTORI IN FILOSOFIA E TEOLOGIA
SECONDA CORONA DI VIVI SPLENDORI
VITA DI SAN DOMENICO, RIMPROVERO AI FRANCESCANI
BONAVENTURA ED I SUOI COMPAGNI
Si tosto come l’ultima parola
La benedetta fiamma per dir tolso,
A rotar cominciò la santa mola;
V. 1-21. La seconda corona di vici
splendori, Non uppenu San Tommuso
ha terminato il suo ragionamento, la co-
rona dei dodici beati ritorna a rotare. Ad
essa si aggiunge di subito un'altra co-
rona di dodici vivi splendori, la quale
gira cantando intorno alla prima. Come
appaiono due arcobaleni paralleli 6 con-
colori, così quelle due ghirlande di sem-
piterne rose si vulyonu con tripudio e fe-
sta intorno a Danto o Boatrice.
2. FIAMMA: cfr. Har. XIV, 66; XXVI,
2. - PKR DIR TOLSE: tolse a dire, profferì.
3. MOLA : la prima ghirlanda di dodici
anime beate, detta altrove « gloriosa
ruota, » Par. X, 145. Mola non dipinge
che il giro, mentre la lentezza qui non
c'entra. Nel Conv. III, 5 dice che il Sole
[CIELO QUARTO]
PAR, xt. 4-20
[SECONDA CORONA] 811
4 E nel suo giro tutta non si volse
Prima ch’ un’altra di cerchio la chiuse,
E moto a moto, e canto a canto colse :
7 Canto che tanto vince nostre Muse,
Nostre Sirene, in quelle dolci tube,
Quanto primo splendor quel ch’ ei refuse.
10 Come si volgon per tenera nube
Due archi paralleli e concolori,
Quando Giunone a sua ancella iube,
13 Nascendo di quel d’ entro quel di fuori,
A guisa del parlar di quella vaga,
Ch'amor consunse come sol vapori;
10 F fanno qui la gente esser presaga,
Per lo patto che Dio con Noè pose,
Del mondo che giammai più non si allaga:
19 Così di quelle sempiterne rose
Volgeansi circa noi le due ghirlande,
gira sopra sò « non a modo di vite, ma
di mola.» Cfr. Monti, Prop. IIT, 1, 140.
4, TUTTA: non ebbe compito un intiero
giro, che un'altra mola, un'altra ghir-
landa di vivi splendori, la circondò, ne-
cordando il moto ed il canto al moto ed
al canto della prima.
6. COLSE: accordò, pose all'unisono.
7. xostrEe Muse: i nostri poeti; cfr.
Par, XV, 26, Al.: le Muse mitologiche.
8. Binrxk: cantatrici: Al: lo Sirene
della mitologia, Aveva Dante udito il
canto delle Muse e Sirene mitologiche?!
Il concetto è: Quel canto vince il canto
umano, quanto la luce diretta del sole
vince la Inco riflessa della Inna o di altro
corpo opaco, - TUBE: in que’ soavi organi
spirituali, celesti.
9. PRIMO SPLENDOR: raggio diretto, -
RRFUBE : riflottà, Rafondere per riflettere
anche Par. II, 88. « Julia qua ponto
longe sonat onda refoso ; » Virg, Georg.
IT, 168. « Saxa fremunt laterique inlisa
refonditor alga; » Virg. Aen. VII, 500.
10. 81 voLGON: « nel Prerg. XXV, Ole
seg., il Posta nccennò in generale alla na-
tura dei fenomeni Incidi degli aloni e del-
l'iride; qui specialmente a quest’ oltima
descrivendola quando ci si presenta più
bella in arco duplice e bene determina-
to; » Ant. Cfr. Della Valle, Memoria s0-
pra due luoghi della D. 0, Faenza, 1874.
- TENERA: « sottile, trasparente; » Ott,
Al. TRNUA; lezione troppo priva di an-
torità. Cfr. Com. Lipe, IIT, 304 6 seg.
11, archi: i doe archi simili 0 concen-
trici dell'iride,
12. AxcELLA: Iride, figlia di Tanman-
te (cfr. Purg. XXI, 50), messaggera de-
gli Dei, specialmente di Gionone ; « Nun-
tia Innonis varios induta colores; + Ovid.
Met. 1, 270. «Inno.,., Trim demisit Olym-
po;» Virg. Aen. IV, 603 è seg. « Irim de
omlo misit Saturnia Iuno ;» ibid., V, 606,
- IURR: voce lat., comanda.
13, NASCENDO: si credeva che l'arco
esterno dell'irifle fosso engionato dall'in-
terno, come per riflessione di voce si for-
ma l'eco.
14. DI QUELLA: della ninfa Eco che si
consumò per amore a Narciso e fn dagli
Dei trasformata in sasso; ofr. Ovid. Afet,
LIT, 299-510, - vaga: vagante.
15. CONSUNST: consumò, come il Sole
consuma i vapori; ofr. Ovid., 1. 0,, 305
6 seg. E
16. FANNO: gli archi dell'iride fanno che
l'omana gente, memore del patto ferma-
to da Dio con Noè, sicuramente presagi-
aca che la terra non sarà mai più allagata
da dilnvio; ofr. Genesi XIX, 8 è seg.
19, rose: anime bente dei due giri con-
centrici, dette rose perchè i giri ghir-
lande.
20. VOLGEANSI: Al. VOLOENSI; VOL-
GENDO, — CIRCA: attorno.
812 [CIELO QUARTO]
Par. x11. 21-35
[S. BONAVENTURA]
F sì l'estrema all'ultima rispose.
22 Poi she il tripudio 6 l’alta festa grande,
Si del cantare e si del fiammeggiarsi
Luce con luce gaudiose e blando,
25 Insieme a punto ed a voler quetàrsi,
Pur come gli occhi ch'al piacer che i muove
Conviana insiama chindara g levarsi,
28 Del c
Si
Pai
al E cor
Mi
Per
84 Degno
Si ci
21. L'ESTREMA: qt
riore.- ALL’ ULTIMA
al, ALL’ INTIMA. - RI
moto e nol canto.
V. 22-80. I? panegirista di sun Do-
menico. Cessato a un punto il tripudio
ed il canto, una delle anime della seconda
ghirlanda, San Bonaventura francescano
(cfr. v. 127), alza la voce per cantare le
lodi di San Domenico. All'udire quella
voce, Dante si rivolge subito verso il
luogo dove lo spirito si trova, come l'ago
della calamita si volge alla stella polare.
22. TRIPUDIO: del cantare. - FESTA :
del fiammeggiarsi, cioè del mostrarsi
liete coll'appariro più luminose. - L'AL-
TA: Al. L'ALTRA.
24. GAUDIOSK K NLANDK: piuno, 0880
luci, di gaudio o di affetto.
25. A PUNTO: si fermarono tutte in-
sieme nello stesso momento per concorde
volere, in quella guisa che gli occhi si
accordano insieme nol chiudersi o ucl-
l'aprirai; cfe. Par. XX, 147.
20. AL PIACKK: secondo chy li muove
la volontà, forza è che entrambi si chiu-
dano e ai aprano ad un tempo.
28. DEL CUOR: dall'interno dell’ una
delle luci della ghirlanda nuovamente so-
pravvenuta.
29. L'agO: della bussola. - STKLLA :
polare.
30. AL SUO DOVE: al Jnogo dov'era quel-
la luce dal cui interno la voce si masse.
« È vuol dire, che mi trasse a sè cuu ir-
resistibile furza, cioè che io non avrei
nove
la stella
il suo dove;
fa bella
ltro duca,
favella.
o s'induca,
Hiro,
non rivolgermi ad essa; tanto era
ento di quella voce; » Betti,
«di, Introduzione alla rita di
ttt a-pdmenico. Prima di cantare le lo-
di di San Domenico, Bonaventura espone
il motivo che lo indace a farlo. È la ca-
rità celeste che lo muove a parlare del
fondatore dell’ Ordine, al quale appar-
tenne colui, che nel cauto antecedente
cantò le lodi di Sau Francesco. Avendo i
due Santi militato al medesimo fine di
sostenere la Chiesa, pericolante per i de-
pruvati costumi del clero e del popolo, è
conveniente che dove si fa menzione del-
l'uno si menzioni anche l'altro. Ambedue
furono suscitati da Dio per soccorrere
ulla sposa di Cristo.
32. pueLL'aLtuo: di San Domenico. -
DUCA: capo e guida di religiosa famiglia.
33. PEK CUI: i più intendono : A dimo-
strare l'eccellenza del quale si è qui ra-
gionato sì bene del patriarca mio Sau
Francesco; cfr. l’ar. XI, 40-42, 118-120.
Così Denv., Dan., Lomb., Port., Pog.,
Biag., Costa, Br. B., Frat., Greg., Cam.,
Franc., ecc. Invece Ces.: «La cui umiltà
e carità insegnò a S. ‘Tommasosao allievo
a parlar sì) bene del mio Patriarca. » Ed
il Buti: « L'amoro dello Spirito Santo
che mi fa beata, tira mo a ragionare di
San Domenico, per lo quale amore ci si
favella sì bene del mio campione. » Cfr.
Com. Lips. III, 307 e seg.
34. 6 INDUCA: 6i introduca, si men-
zioni.
35. ELLI: eglino; cfr. Purg. XXII, 127,
[CIELO QUARTO]
PAR. xu. 36-51
[s. nomenico] 818
Così la gloria loro insieme luca.
37 L'esercito di Cristo, che si caro
Costò a riarmar, retro all'insegna
Si movea tardo, sospeccioso e raro,
40 Quando lo Imperador che sempre regna
Provvide alla milizia ch'era in forse,
Per sola grazia, non per esser degna;
43 E, com'è detto, a sua sposa soccorse
Con due campioni, al cui fare, al cui dire
Lo popol disviato si raccorse.
46 In quella parte, ove surge ad aprire
Zeffiro dolce le novelle fronde,
Di che si vede Luropa rivestire,
49 Non molto lungi al percuoter dell’ onde,
Dietro alle quali, per la lunga foga,
Lo sol talvolta ad ogni uom si nasconde,
- AD UNA: hd on medesimo fine, - MILI-
tiro: combatterono per Ia Chiesa.
26. LUCA : risplenda; cfr. Inf. XVI, 06,
S. Matt, V, 16.
27. 1L'resgrotto: il popolo eriatinno, -
mano: e Kmpti ostia printio magno; » 7
Cor. VI, 20, + Rodlompti natia... precbloso
sanguino Tean Christi ;» I Petr, I, 18,19,
38, RIARMAR: contro i nemici spirituali,
Così i più. Invece il Betti; «Che con tanto
sangue di martiri tornò n rianirsi dopo
essere stato qua o là disperso da tante
porsecozioni » (1). - ALL'ISSEGNA : alla
eroce, insogna dolla redenzione,
M9. st MOVEA: « sogniva la croce suo
vessillo con poca perfezione (tardo), spes-
so qua o JA titubante per gli dobbi sparsi
dagli eretici (sorpeccioro) è In poco nn-
mero (raro): » Corn.
46. imreraDOR: Dio; cfr. Inf. T, 124.
Par. XXV, 4l.- SEMPRE: « Domina re-
genabit in mternum et nitra;» Frod, XV,
18. « Dominos regnabit in mternum, et
in amculom sisonli ; » Salm, IX, 16.
41. miuizia: cristinna; cfr. I Timot. I,
18.-1N yorsr: in dubbio, vacillante nella
fede, è perciò in pericolo. Le doe diverse
intorprotazioni tefr. Com. Lapa, 111, 200)
si ridneono donquo essenzialmente ad
ona sola, poichè chi è in dubbio è puro
in pericolo,
45, sroga: Chiesa; cfr. Par. X, 140.
Aug. Cio, Dei XXII, 17, Miuad. Doctr.
Christ. I, 16.
45. 8I RACCORSE: si ravvide; da raceer-
gerri ; così | piti(Benv., Buti, Vell., Lomb.,
Biag., Rr. B., Frat.,Andr., Filal., Blane,
Witte, ecc.). Al.: si radunò, da raccogliere
(Land., Dan., Vent., ove.).
V. 40-105, Vite di San Domenteo,
Tenaventura discorro a lungo della vita
di San Domenico, descrivendo il Inogo
dove nacque, la sun infanzia e le suo
gosta. Sulla vita di S. Domenico confr.
Acta Sanct. Aug. I, 545-632. Quétif et
Echard, Script. Ord. Pred. I, 26-60. La-
cordaire, Vie de St, Dom. Par., 1840. Caro,
§. Dom, et let Dominicains, Par., 1853,
Danzas, Étude sur lea temps primitife de
l'ordre de St. Dom. 3 vol. Par,, 1874-75.
46. rantr: occidentale dell' Europa,
nella Spagna.
47. zrrriro: vento dell'oceano, che i
posti dicono fecondo; cfr. Ovid. Met. I,
08, 107, 108. Lascret, I, 11.
49.0xDR: dell'Oceano Cantabrico, oggi
golfo di Guascogna. Sopra questa terzina
ofr. Ponta, Opp. su D., p. 252 eseg. Della
Valle, Senso, p. 110 6 seg. Hjuad. Nuove
illuetr., p. 32 è seg. Fjusd, Dante-Jahr-
buch 1V, 363-371. Com. Lips. III, 3)1
© sog.
50. roca: Il Inngo o rapido corso del
sole durante il solstizio d' estate.
51. TALVOLTA: intorno al solstizio di
catate. « Quando siamo verso il colmo
della stato, o perciò non sempre (talvol-
ta), rispetto all'Italia il sole andando per
Par. x11. 52-69
814 [CIELO QUARTO] (8. DOMENICO]
ici me —— _— _— ————_ _——_—+
62 Siede la fortunata Callaroga,
Sotto la protezion del grande scudo,
In che soggiace il leone e soggioga.
bs Dentro vi nacque l’amoroso drudo
Della fede cristiana, il santo atleta,
Benigno ai suoi, ed ai nemici crudo ;
58 E come fu creata, fu repleta
Bi la ute,
Che ‘ofeta.
Gi Poi ch \piute
Al sa fede,
U’ si ;
6 La don 10 diede,
Vide rutto
Ch'i erode;
67 Ii perc sostrutto,
Quit ymarlo
Del itto.
la lunga sua foga o corso, si nasconile al
di là dell’acqae dell'Oceano nolla diro-
zione del lito, non langi dal qualo siede
Callaroga; » Ourn. (1).
52. FORTUNATA: per esservi nato San
Domenico. - CALLAKOGA : l'antica Cala-
gurris, oggi Calaborra, città della Casti-
glia Vecchia, sull'Ebro, non lungi da
Osma.
53. BCUDO: l'arine del ro di Castiglia
è uno scudo dovo s'inquartano due ca-
stelli » duo looni coe) cho da una banda il
leone 6 sotto (soggiace), dall'altra banda
esso leone è sopra (soggioga), il castello.
655. NACQUE: nel 1170. - L'AMOROSO
DRUDO: l'amante fedele della fede, cioò
Sun Domenico. La voce drudo non aveva
anticamente la cattiva significazione cho
ha oggi; cfr. Diez, Wort, I°, 158 e seg.
Cum. Lips. III, 313.
57. AULSUOI: a quelli della sua fede. -
cuubo: crudele, duro, avendo messo a
ferro o fuuco gli Albigesi,
58. RKVLKIA: ripiona; cfr. Inf. XVIII,
24. Purg. XXV, 72. S. Luc. 1,15. « Non
est credendun aliquos alios sauctificatos
6350 in utero do qaibus Scriptura men-
tionem non facit;» Thom. Ag. Sum. theol.
ILI, 27, 0.
GO. cux: la qual menle.- Lki: la madre.
Al. intendono: la virtù fece profuta la
inente. Profota non fu il bambino, ma la
madre: cfr. S. Luo. I, 41. Cum. Lips.
IIL, 314 © seg. Dicono che la madre di
S. Domenico, essendo di lui incinta, so-
gunasse di partorire un cane bianco e nero
(colori dei domenvicani) con una face in
bocca; confr. Act. Sanct. Aug. I, 546,
556, 559. I°ohrbacher, Storia della Chiesa
XVII, 1, 71.
61. 8PONSALIZIK: battesimo. « Poi che
nl sacro fonte del battesimo si foco spuev
della fede; » Dan., «Domenico nol batte-
simo promise ad alla fede; la fede a lui
vita oterna; » Tom.
64. LA DONNA: la madrina cho dié per
lui l'assenso alla fede, vide in sogno che
egli aveva una stella in mozzo alla fronte,
segno ch'egliavrebbe illuminato i popoli;
cfr. Act. Sanct. Aug. I, 566.
65. DRILL'KREDK: Al. DELLE REDE; dei
frati dell'Ordine da lui fondato ; cfr. Par.
XI, 112. Cosìi più. Al.:diSan Tommaso,
erede della sua santità e dottrina (Vell.,
Dennae., ecc.).
67. IN COSTRUTTO : nella costruzione del
nome; affiuchè il suo nome foase l'espres-
sione gonuiva del suo essere.
68. QUINCI: di quassù, dal cielo. - 8ri-
KITO: spiraziono discesa nel padre e nella
madro.
60. l'O8SES8IYO: Dominicus possessivo
[CIELO QUARTO]
Par. XII. 70-84
[S. DOMENICO] 815
70 Domenico fu detto; ed io ne parlo
Si come dell’agricola, che Cristo
Elesse all’orto suo per aiutarlo.
73 Ben parve messo e famigliar di Cristo;
Ché il primo amor che in lui fu manifesto
Fu al primo consiglio che diè Cristo.
76 Spesse fiate fu tacito e desto
‘Trovato in terra dalla sua nutrice
Come dicesse: “ Io son venuto a questo. ,,
79 O padre suo veramente Felice!
O madre sua veramente Giovanna,
Se interpretata val come sì dice!
82 Non per lo mondo, per cui mo’s’affanna
Di retro ad Ostiense ed a Taddeo,
Ma per amor della verace manna,
di Dominus. « Dominicus donominative
dicitur a Domino.... Dominicus non di-
citar do his de quibus Dominus prolica-
tur; non enim consuevit dici quod aliquis
homo qui est dominns ait dominicus ; sed
illad quod qualiteronmque est Domini,
dominicum dicitar; sicut dominica vo-
Innta, vel dominion manna, vel dominion
passio ;» Thom. Ag. Sum. theol. IIT, 16, 3.
71. AGRICOLA: agricoltore.
72. onto: Chiesa; ofr. Par. XXVI, 64
6 80g. — AIUTARLO: «0 per aiutar l' orto,
e varrà ripurgarlo; o per aiutar Cristo,
© varrà cooperare con esso nella coltura
dell'orto; » Lomb.
73. PARVE: apparve, si manifestò nun-
zio e famigliare di Cristo, Dante non ri-
ma il nome di Cristo con altra voce, non
essendovi idea da pareggiarsi n quella
della divinità Cfr. Par, XIV,104 © sog.;
XIX, 104 6 sog.; XXXII, 88 0 sog.
75. CONSIGLIO: alla povertà (cfr, San
Matt. XIX, 21), cioè alla professione del
primo consiglio dato da Cristo, come fon-
damento della vita perfetta; ofr. Thom.
Aq. Sum. theot. 1°, 108, 4. «Illud vero
qua potuit districtione probibuit, ne quis
unquam in soo ordino possessiones in-
dnceret temporales, maledictionem Dei
omnipotentis ot surm terribiliter impre-
cans si, qui Prmdicatoram Ordinem,
quem precipne paupertatis decorat pro-
fessio, terrenm substantim veneno resper-
gore laboraret; » Costantini, Vita Do-
minici, n° 45.
78. A QUESTO: a progare sulla nuda
terra. « Essendo infantulo, che anco sta-
va appresso In nutrico, sposse volto fn
trovato da lei nacito del letto in terra gi-
nocchione, svegliato innanti a ln figura
ml ndorare ; » Buti, Cfr. Act. Sanet. Aug.
I, 566.
79. FrLICK: non pur di nome, ma an-
che di fatto.
R0. GIOVANNA: questo nome significa
in ebraico: Ja donna cul Dio è benigno,
San Geronimo interpreta: Dominus gra-
tia ejus.
81. sk: non snpondo di ebraico, Dante
non vuol decidere so l'intorpretazione
ili San Geronimo sia ginsta.
82, ren LO MONDO: non si fece gran
dottore per ncquistarsi cose mondane. -
mo’: nilesso.
83. Ostiense: Enrico di Susa voscovo
di Sisteron, poi arcivescovo di Embrun,
nel 1261 creato cardinale 0 vescovo di
Ostia, m. 1271, celebre commentatore
delle Decretali; cfr. Murat. Seript. XI,
1153. - TappEo: i più intendono di Tad-
den d'Alderotto fiorentino, medico cele-,
berrimo ed antore di molte opere (cfr. Vill.
VIII, 65. Tiraboschi, Lett. ital. IV, 227 è
Beg.), m. nel 1205 (ofr. Murat. Script. X1V,
1112). Così Ott., Post. Cass., Petr, Dant.,
Falso Hocc., Benv., Land., Vell., ecc.
Altri intendono di Taddeo Pepoli, giure-
consulto bolognese contemporaneo di
Dante. Così Lan,, An. Fior., Buti, Dan.,
Pog., Tom., eco, Cfr, Com. Lips, III,
310 © seg.
84. MANNA: dol cibo spirituale, opposto
816 [CIELO QUARTO]
Par, xi. 85-99
[S. DOMENICO]
85 In picciol tempo gran dottor si feo,
Tal che si mise a circuir la vigna,
Che tosto imbianca, se il vignaio 4 reo;
88 Ed alla sedia, che fu già benigna
Più ai poveri giusti, non per lei,
Ma per colui che siede, che traligna,
01 Non dispensare o due o tre per sei,
Non la fortuna di prima vacante,
Non decimas que sunt pauperum Dei
DA Addomandò; ma contro al mondo errante
Licenzia di combatter per lo some,
Del qual ti fascian ventiquattro piante.
07 Poi con dottrina e con volere insieme
Con l’offizio apostolico si mosse,
Quasi torrente ch’alta vena preme,
ni beni terrestri ai quali gli nomini so-
gliono correre dietro a per amor dei quali
atudiano jura e aforiami ; cfr. Par, XI, 4.
86. CIRCUIR: « girare intorno per guar-
dia e coltura; » Tom.-VIGNA: la Chiesa;
cfr. Isaia, V,1,3,4; XXVII, 2. S. Matt.
XX, 1 © seg.
87. IMBIANCA: perde il suo verde, si
secca. - VIGNAIO: il pasture della Chiesa.
- REO: di pigrizia, negligonza, o d'altro
vizio. Cfr. Gerem. II, 21.
88. SEDIA : pontificia. Domenico andò a
Roma nel 1205.
89. riÙ: che non al presente. - PER
LEI: non per colpa dolla sedia, ma per
colpa di colui cho la occupa attualmente,
cioò de) poutefico, il quale non esercita
il suo ministero di carità ed amor cri-
stiano come sarebbe il sacrosanto suo
dovere.
91. NON: non addomandò, v. 94, cioè
non chiese facoltà di dare due o tre per
guadagnare sei. Oppure: «non domandò
dispensazione di dare due o tre, quando
doveva dare sei, imperò che molti sono
che ciò addomandano; » Lan., An. Fior.
Cfr. Conv. IV, 27.
92. DI PRIMA: Al. DI PRIMO; non do-
mando lo rendito del primo beneficio va-
cante.
93. NON DECIMAS8: non domaudò lo de-
cime che sono dei poveri del Signore.
94. MA CONTRO: « ma dimandò facoltà
di combattere per la fode che 4 il seme
dol quale nacquoro queste ventiquattro
piaute che in due concentriche ghirlande
ti circondano; » Corn. Bino dal 1215 Do-
menico chiese l'approvazione del suo
ordine. Ma il Concilio Laterano proibi
la fuudazione di nuovi Ordini religiosi.
Si dice che su ripetute istanze e pre-
ghiere di Domenico e di altri per lui, In-
nocenzo III confermasse ciò non ostante
l'Ordine, ma soltanto a viva voce. Fu
poi confermato solennemente da Ono-
rio IIT, nel 1216. Cfr. Com. Lips. III, 321.
95. SKME: la fede; cfr. S. Matt. XIII,
24, 27. S. Luca, VIII, 11.
96. TI FASCIAN: Al. 81 FASCIAN.- PIANTE:
per queste ventiquattro piante gli antichi
intendono unanimemente I libri del Vec-
chio ‘l'estamonto ; cfr. Z'urg. XXIX, 82
0 sog. Così Zan., Ott., An. Fior., Poet.
Cass., Petr. Dant., Fram. Pal., Buti,
Land., Vell., ecc. Meglio Benv.: «idest,
cuius seminis fidei, vigenti quatuor fio-
ridi doctores cingunt te. » Cfr. Par. X,
91 e seg. Così tutti i moderni.
97. vor: piccolo anacronismo. Sino dal
1205 Domenico erasi adoperato per con-
vertire gli Albigosi, prima colla dottrina
e coll’ eloquenza, quindi colla violenza,
col fuoco e culla spada. Ma forse quel
poi si riferisce all'andata di Domenico a
Roma nol 1205.
98. CON L'OFFIZIO: con l'autorità con-
feritagli dal pontefice Innocenzo III.
09. PRKEME: < quasi flume che scende di
monte, che vena d'acqua, che vegna
d'alto, spinga; quando la vena dell’acqua
del fiumo vieno d'alto, allora corro più
rapiàdamente v più fortemente; » Buti.
[CIELO QUARTO]
PAR. xt. 100-114
[FRANCESCANI] 817
100 E negli sterpi eretici percosse
L'impeto suo, più vivamente quivi
Dove le resistenze eran più grosse.
103 Di lui si fecer poi diversi rivi,
Onde l’orto cattolico si riga,
Sì che i suoi arboscelli stan più vivi.
106 Se tal fu l’una ruota della biga,
In che la santa Chiesa si difese,
E vinse in campo la sua civil briga,
109 Ben ti dovrebbe assai esser palese
L'eccellenza dell'altra, di cui Tomma
Dinanzi al mio venir fu sì cortese.
112 Ma l’orbita, che fe'la parte somma
Di sua circonferenza, è derelitta,
Sì ch'è la muffa dov’ era la gromma.
Cfr, Teaia, T.1X,19, Mom. JL. V, 110080g.
Virp. Aon. 17, 306 © sog. Lueret. I, 282,
100, sTRRPI: cfr. Inf. XII, 37. Purg.
XIV, 05. «Nota che gli fedeli sono le-
gittimi arbuscelli, e gl'infedeli aono ster-
pi; * Lan., Ott., An. Fior., Cfr, 8, Giov,
XVI, 2.
101, quivi: nelln l'rovenza, anzi tutto
nel diatretto di Tolosa, nel qualo più che
altrove florivano gli Albigesi, Salle guor-
re orribili contro gli Albigesi, alle quali
Dante qui allude, cfr. Petr. Vall. Cernaji
Hist, Albig. in Rer. Gall. et Frane. Script.
XIX,1. Giul. de Podio Laurentii, Super.
Hiat. negot. Frane, cont. Albig. ibid., 103
e seg. Hist. de la croisade contre les Albi-
geots, publ, par E. Fawriel, Par., 1837.
.Barraw et Darragon, Jlist, der croinades
cont. lew Alb., 2 vol., Par., 1840, Anelli,
Stor. della Chiesa, I, 883 © sog.
103, nivi: avendo detto torrente 8. Do-
menico, chinma rivi i suoi seguaci. Do-
menico morì il 6 agosto del 1221, I rivi
potrebbero anche essere i tre Ordini do-
menicani.
104. L'orto: la Chiesa; ofr. Cant. Cantie.
IV, 12; V, 1. & Luca, XIII, 19.
105. ARBUSCELLI: i membri della Chiesa.
= iù vivi: più ferventi nella fede.
V, 106-126, La razione dei
Francescani. Fatto il panegirico di
§. Domenico, Bonaventura ne Inferisce
l'eccellenza di San Francesco. Domenico
e Francesco furono le dne ruote del
carro, sopra il quale la Chiesa combattà
la civil briga, In guerra contro gli Al-
52. — Div, Comm., 3" edis.
bigosi, So una ruota è di tanta eccel-
lonza, l' altra anrà ogunlo. L'argomonta-
ziono è simile n quella di S. Tommaso,
Par. XI,118 © seg. E come S. Tommaso
continunva lagnandosi de' suoi correli-
gionari depravati, così 5, Bonaventura
passa n doplorare il tralignare de’ suoi
corroligionari Francescani. Pochi sono
ancor fedeli alla regola, e questi pochi
non vengono nè da Casnle nè d' Acqua-
sparta. Cfr, la lettera circolare di 8. Bo-
naventura del 6 aprile 1257 in Wadding
ad nn. 1357, n.10, dove si leggono press'a
poco le stesse lagnanze.
106. 1'UmA: 8, Domonico, - u1GA : carro
ndne ruote; ofr, Purg. XXIX,107, «Gli
antichi Anci gnorreggiavan sui carri; ed
anche la S, Chiesa doveva alla maniera
de' onpitani scendere a combattere sopra
nn mistico carro, di cui formavano le
ruote 5. Domenico e S. Francesco. Dice
biga, perchè altro che sulle bighe, per
non aver imbarazzo di molti cavalli, guer-
reggiavasi anticamente ; » Betti.
108. nriGA: questione; confr. Purg.
XVI, 117.
110, DELL'ALTRA : dell'altra ruota, cioè
di San Francesco. - TomMa: Tommaso
d'Aquino.
111. vexin: apparirti, - contrar: di
elogi.
112. L'orsrra: l'orma che segnò la
parte somma della circonferenza della
rmota, cioè l'orma di S, Francesco, non
è più gradita.
114, LA MUrrA: è Il malo dove prima
IELO )UARTO]
po — “|
PAR. XII. 115-127
[FRANCESCANI]
115 La sua famiglia, che si mosse dritta
Coi piedi alle sue orme, è tanto volta,
Che quel dinanzi a quel di retro gitta;
118 E tosto si vedrà della ricolta
Della mala coltura, quando il loglio
Si lagnerà che l'arca gli sia tolta.
121 Ben dico, ch’
N petro i
U’legge
1% Ma non fia
Là onde
Che lm
127 To son la v
era il bene, - |
vino fanno la
vuutato fanno 7
ventura afferm |
suoi frati non a d
Come andavano ra pulci prau pF Lean ome
115. FAMIGLIA; i Francescani; confr.
Par. XI, 86.
117. Griva: va a ritroso, ponendo lo
calcagna dove Francesco o i suoi primi-
tivi seguaci ponevano la punta de’ piedi,
tanto 6 la sua famiglia svolta dal dritto
cammino. Cfr. Filomust Quelfi, Il verso
«che quel dinanzi a quel dt retro gitta, »
Verona, 1893. Pellegrint nel Bull. IT, 1,
OT © seg.
118. Bt VkDRA: Al. 8’ AVVEDRA; 8Î ve-
dra presto quale sia il frutto della mala
coltivazione. Il Poeta alludo qui alle di-
scorilio insurto nell’ Ordine dei Krance-
scavi ed all'abolizione degli Spirituali,
che si separarono poi dai Francescani ©
dalla Chiesa, o si costituirono in setta.
Cfr. Raynald.adan.129461818. Wadding
ad an. 1249, n. 9, ad an. 1301, n. 1. Ex-
travag. Joh. XXII, tit. VII. Com. Lips.
1II, 320.
119. IL LOGLIO: gli Spirituali, o Ere-
miti Celostini, discacciati dall'arca della
Chiesa. Inveco Corn.: « pagherà il fio,
perchè all'ordine tralignato che mal col-
tiva la vigna del Signore il popolo cri-
stiano non gli farà quelle elemosine, onde
egli trao il suo mautenimento » (î).
121. FOGLIO A FOGLIO: a frate a frate.
Il volume è l'Ordine, i fogli i frati. Cfr.
Par. XI, 130-132.
122. CARTA: frate.
123. QUEL: sono quale esser debbo,
No a foglio
rerla carta
1 quel ch'io soglio; ,,
squasparta,
lcrittura,
) la coarta,
a
al principli della regola come sole-
esser i primitivi seguaci di San
aC.
. DA CASAL: da Casale nel Monfer-
onde venne fra Ubertino da Casale,
vino dll cenpitolo generale del 1310 si foce
capo doi zelanti per istringore soverchia-
mento la regola; cfr. Com. Lips. III, 327.
- D'ACQUASLFARTAÀ: nol contado di ‘Todi,
d'onde venne Matteo d'Acquasparta che
rilassò la regola e fu Ministro generale
e poi cardinale. Sulla sua missione a Fi-
renze nel 1300 cfr. Vill. VITI, 40, 49.
125. ALLA SCRILTULA: alla regola scrit-
ta di San Francesco,
126. 5.’ UN: quol d'Acquasparta fugge
la rogola, sembrandogli troppa rigida;
quel da Casale invece la coarta (lat. coar-
celal), la ristringe, limita.
V. 127-146. UU spiriti beati della
seconda yhirlanda. Senza aspettare di
essernerichiesto, Bonaventuranominasò
od i suoi compagui del cerchio esteriore.
127. La VITA: l’anima; cfr. Par. IX,
7.- BONAVENTURA: il Doctor seraphicus
Giovanni Fidanza, n. 1221 a Bagnoregio,
oggi Bagnaron prosso il lago di Bolsena,
entrò nell'Ordine doi Francescani nel
1243, elotto nel 1256 Ministro Genoralo
dell'Ordine, nel 1272 cardinalo e vescovo
di Albano, m. 15 luglio 1274 a Lione, au-
toro di molte opero teologiche, il Platone
degli scolastici. Cfr. Hollenberg, Studien
zu Bon., Berl., 1862. Richard, Etude sur
le mysticisme spéculatif de St. Bon., Par.,
1873. Borgognoni, Dottrine filos. di Bon.,
Roma, 1874. Da Vicenza, Vita di San
Bon, 2° ed., Monza, 1879. Com. Lips.
III, 328.
[CIELO QUARTO]
Par. x11. 128-189
[SPIRITI REATI] 819
Da Bagnoregio, che nei grandi offici
Sempre posposi la sinistra cura.
130 Illuminato ed Agostin son quici,
Che fùr dei primi scalzi poverelli,
Che nel capestro a Dio si fèro amici.
133 Ugo da San Vittore è qui con elli,
E Pietro Mangiadore, e Pietro Ispano
Lo qual giù luce in dodici libelli;
136 Natan profeta, e il metropolitano
Crisostomo, ed Anselmo, e quel Donato
Ch'alla prim’arte degnò por la mano;
139 Rabàno è qui, e lucomi da lato
129. sinistra: temporalo, « Sapientia
pertinet ad dextram, aicat et cetern spi-
ritunlin bona; temporale autem nutri-
mentam ad sinistram ; » Thom, Aq. Sum.
theol. 1°, 102, 4.
130, ILLUMINATO: da Rieti, uno dei pri-
mi segunci di S. Francesco o suo compa-
gno in Oriente; cfr. Wadding ad an.1200.
- AGOSTIN: anche costui nno dei primi
sogunci di S, Francesco, elotto Ministro
dell'Ordine in Terra di Lavoro nel 1216.
- quiei: qui.
132. NEL CAPESTRO: cingendosi del cor-
done francescano.
133. Uoo pa SAN VirtonR: celebre
teologo mistico, n, verso il 1097 presso
Ipres in Finndra, visse sino al 1115 nel
convento di Hamersleben presso Magdo-
borgo, entrò quindi nell'abbazia di San
Vittore presso Parigi e vi morì l'il feb-
braio 1141, Cfr, Liebner, Hugo v. St. Vie-
tor, Lipe., 1832, Thom. Ag. Sum. theol.
113, 5, 1. Com. Lips. III, 820 è seg.
134, Pirrro MancianonE: Petrus Co-
mestor, teologo francese n. in Troyes anl
principio del sec. XII, fu Decano della
Cattedrale di Troyes, dal 1164 in poi
cancelliere dell'università di Parigi, si
ritirò pol nell'abazia di 8. Vittore e vi
morì nel 1179, La sua opera principalo è
la Historia seholastica.- PieTRO laraxo:
Pietro di Giuliano da Lisbona, n. verso
il 1226, fu prima medico, poi teologo, car-
dinnio cd arcivescovo di Bragn, eletto
papa nel 1276 (Giovanni XX), m. 20
maggio 1277 a Viterbo sotto le rovine di
una casa, Dettò, tra altre opere, le colebri
Summa logicales alle quali ai allode nel
verso seg. Cir. Vill. VII, 60. Potthast,
Regesta Pontif. Itom., vol. II.
135, od: nel mondo, - LUCE : risplende
per fama. — LinktLI : libri.
136. NATAXN: il profota ebreo che ebbo
il coraggio di rampognare il re Davide
per lo sno peccato; cfr. II Reg. XII, 1
e seg. III Reg. 1, 34. È qui nominato ac-
canto n Crisostomo perchè ambedue dis-
sero nmare verità ai Grandi della terra.
147. Crisosromo: Giovanni d'Antio-
chia, detto Crisostomo (= bocca d'oro) a
motivo della soa eloquenza, n. da no-
bile famiglia verso il 347 in Antiochia
fu presbitero nel 886, patriarca (—me-
tropolitano) di Antiochian nol 398, m,
nol 407 in esilio nella chiesa di Basi-
llsco presso Comano nel Ponto. Fu nno
doi più eloquenti Padri della Chiesa gre-
ca è de' campioni più animosi del oristia-
nesimo; cfr. Neander, Der. hl. Chrysosto-
mus, 3° ed., Gotha, 1858, Soer. hist. eccl.
VI, 2-21. Sozom, VIII, 2-23. Hieron, De
vir. illustr., 129. Rividre, J, Chrisost.
comme prédicateur, Straasb,, 1845, -— An-
BELMO: arcivescovo di Cantorbery, fl ce-
lobre antore del Cur Deus homo? è di
altre opere teologiche, n. in Aosta verso
il 1033, monaco di Deo nel 1060, abate
nel 1078, arcivescovo nel 1093, m. 21 apri-
le 1109, Cfr. XK. Hasse, Ans. von Can-
terbury, 2 vol., Lips., 1849-52, - DoNmATO:
Elio Donato, vissuto verso la metà del
soc. IV, insegnò a Roma, fa maestro di
San Geronimo o grammatico coleberri-
mo. Dettà nn libro di clomenti gramma-
ticali cho fu più nocoli in uso nello scuole,
o commentò Terenzio 6 Virgilio; ofr.
Baehr, Rim, Lit, 1114, 388 © sog.
138. rium'ARTR: grammatica; ofr. Conv.
II, 14.
139, RanAno; Rabano Mauro, n. 776
820 [CIELO QUARTO]
Par. xu. 140-145
[SPIRITI BEATI]
Il calavrose abate Gioacchino,
Di spirito profetico dotato.
149 Ad inveggiar cotanto paladino
Mi mosse la infiammata cortesia
Di fra Tommaso, e il discreto latino;
145 E mosse meco questa compagnia. »
n Magonza, allievo del monastero di Ful-
da del qualo fu eletto abate nell' 822, ar-
civescovo di Magonza nell’ 847, m. B56.
Scrisse parecchie opere teologiche, tra le
quali commenti a più libri della Bibbia,
Confr. Act. Sanct. IV, 2, p. 20 è seg.
Dronke, Cod. aipl. Puld., 181 0 sog. Mist.
litt, de la MPrance, V, 151 0 sog. Baehr,
tim, Litt. im Karoling, Zeitalter, 415-
ddT. Ebert, Litt. dea Mittelaltere, II, 120
6 sog. Schmitz, Busshiicher und Buss-
disziplin, 1883, p. 733 e seg. Com. Lips.
ITT, 382 o sog. - LUCORMI: Al, FULORKMI, +
LATO: sinistro.
140, caLavnese: gli antichi dicevano
Calacra per Calabria; cfr. Vill. III, 4.
Gioacchino da Celico in Calabria, n.
verso il 1150, abuto del monastero di
Flora presso Cosenza, m. 1202, fu forse
profeta, e forse impostore, Cfr. E. Re-
nan, Joachim de Flore et l' Evangile éter-
nel nella Ievue dea deux inondes, 1866,
94-142. Neuler, Gesch. des Afklirung,
Il, 191-218. Janauschel, Orig. Oteterc.
I. p. LxxI. Com. Lips. IIT, 333 © seg.
S. De Chiara, Dante e Calabria, Co-
senza, 1894, p. 59-66.
142. AD INVKGGIAK: «ad invidendun,
acilicet in bona parte; » Lal. Nol Purg.
_ VI, 20, tnveggia per invidia. INVKGUIAR
leggono quasi tutti, intendendo chi invi-
diare in buona parte, cioò emulare in be-
ne, quindi encomiare(0tt., Benv., Land.,
Vell., Dan., Vol., Vent., Lomb. e quasi
tutti i moderni), chi rinnovare la memo»
ria (Lan., An. Fior.,ece.), chi manifestare
e lodare (Buti, Andr., eco.). Nel codd. è
nélle edd. ant. sta inuweggiar che è forse
un semplicissimo sbaglio per inmegyiar,
lezione che renderebbe fl testo chiara
simo; ma la quasi unanimità dei comm.
antichi decide in favore della les. inveg-
giar; cfr. Encicl. 1066 è seg. - PALADINO:
titolo che i romanzi cavalle dunno
ni dodici campioni di Carlo Magno. Dan-
te lo attribuisce a San Domenico, cam-
piono della Chicsa,
143, INVIAMMATA: ardente di carità -
CORTESIA : nel fare l'elogio di San Fran-
cesco,
144. Fra: Tommaso d'Aquino non fu
canonizzato cho nel 1323, due anni dupo
la morte di Dante. - viscrKro: retto e
modesto; cfr. Conv. I, 11. Monti, Prop.
I, 2, 231.- LATINO: « perchè a’ tempi di
Dante le porsono dotte scrivevano e par-
lavuno latino, latino usavasi a significare
discorso ornato o sermone; » Caverni,
Chiama discreto latino il discorso di Sau
Tommaso in lode di San Francesco, Par.
XI, 43-117.
145. MOSSK: al tripudio descritto nel
principio di questo onnto. - COMPAGNIA :
gli altri miei undici compagni. < $. Bona-
ventura afferina che tutte le anime che
erano seco, furono pure da S. l'ommaso
100880 a fare segni di laude (1) e di festa; »
Corn.
[CIELO QUARTO]
PAR, xi. 1-9
[DANZE E CANTI) 821
CANTO DECIMOTERZO
CIELO QUARTO DEL SOLE
DOTTORI IN FILOSOFIA E TEOLOGIA
NUOVA DANZA E NUOVO CANTO
IL SAPERE DI SALOMONE, DI ADAMO E DI CRISTO
VANITÀ UMANE NEGLI STUDI, NELL'INTENDERE LA SORITTURA SACRA
E NEL GIUDICARE DELL'ALTRUI BALVAZIONE
Immagini chi bone intender cupe
Quel ch'io or vidi (e ritenga l’imago,
Mentre ch'io dico, come ferma rupe)
4 Quindici stelle che in diverse plage
Lo cielo avvivan di tanto sereno,
Che soperchia dell’aere ogni compage;
7 Immagini quel Carro, a cui il seno
Basta del nostro cielo e notte e giorno,
Sì ch'al volger del temo non vien meno;
V. 1-80. Danzo e canti in nuora
maniera, Come di solito nol T'aradiso
rlantesco, dovo i colloquil si alternano col
canti e con le danze dei beati, subito che
Bonaventura ha finito il sno discorso i
ventiquattro spiriti formanti le due ghir-
lande di viventi loci ritornano alla danza
sd al canto, Per darci un' idea dell'amena
bellezza dei doe celesti Arnppelli formati
dai ventiquattro santi Dottori, il Poeta
ricorre alle stelle. Chi voglia formarsi
un'idea di ciò che egli vide immagini
colle setto atelle dell'Orsa maggiore le
doe più grandi dell'Orsa minore e quin-
dici altre delle più splendenti stelle del
cielo, - immagini che queste ventiquat-
tro stallo formino in cielo due costella-
zioni a gnisn della corona d'Arianna, le
quali siano concentriche 6 girino insie-
me, ed allora avrà una debole idea della
cosa veduta. Cir. Perez, Sette Cerchi, 60.
Caverni, La Scuola, 1872, I, 180 0 sog.
1, curr: desidera, brama; lat. cupit.
2, imaor: imngino; cfr. Purg. XX V 20.
4, RTRILR: dello più splendenti, che col
loro raggi passnno l'nere ancora adden-
sato, - PLAGE: lat. plage, plaghe, regioni
del cielo.
5. SERENO: chiarezza; ofr. Luorez, IT,
1651: «At vapor in quem sol mittit lu-
menque serenum. »
6. comragr: lat. compages; densità.
«In nubom cogitur nor; » Virg. Aen.
V, 20, Cfr. Nannueci, Nomi, 76 e seg.
7. Cagno: le sette stelle del Carro di
Boote, ossia dell’ Oren maggiore, che non
tramonta mai, compiendo fl loro giro nel
nostro emisfero intorno alla stella polare.
L'Arturo Dante non lo compreso nel Car-
ro, cfr, Canz.: «Io son venuto, sco,» str.
3. Boet, Cons. phil. IV, metr. 6.
9. TEMO: timone; cfr. Purg. XXII,119;
XXXII, 40,140. Par. XXXI, 124. - won
vin: non ci taglio alla vista nossuna
822 [CIELO QUARTO] Par. xitt. 10-26 [DANZE E CANTI]
10 Immagini la bocca di quel corno,
Che si comincia in punta dello stelo,
A cui la prima ruota va dintorno,
13 Aver fatto di sé due segni in cielo,
Qual fece la figlinola di Minoi
Allora che sentì di morte il gelo;
16 E l'un nell’altro aver li raggi suoi,
Ed ambedue girarsi per maniera,
Che l'uno andasse al prima e l'altro al poi:
19 Ed avrà quasi |’ ombra della vera
Costellazion e della doppia danza,
Che circulava il punto doy’io era;
22 Poi ch'è tanto di là da nostra usanza,
Quanto di JA dal muover della Chiana
Si muove il ciel che tutti gli altri avanza.
25 Li si cantò non Bacco, non Peana,
Ma tre persone in divina natura,
dello suo stollo, cho st aggirano Intorno
alla stella polare così che stiono notte ©
giorno sopra l'orizzonte.
10. LA BOCCA: lo duo ultime stelle del-
l'Orsa minore, il cui Carro rendo figura
di un corno ricurvo.
11. IN PUNTA: nell'Orsa minore le stelle
hanno forma di corno cho incomincia
presso In punta dell'asse terrestre (in
punta dello stelo), intorno alla quale si
aggira la prima ruota, ciod il cielo delle
stolie fisse.
13. Avki: immagini che questo 24 atolle
formino in cielo duo costellazioni, cia-
scuna di dodici stello disposto a cerchio.
- BKGNI: costellazioni; cfr. Viry. Georg.
I, 354.
14. FIGLIUOLA : Arianna (cfr. Inf. XIT,
20), la cui ghirlauda di Gori fa da Bacco
cangiata in una costellazione ; cfr. Ovid.
Met. VIII, 174 © seg. Fast. V, 345. -
Minor: Minosse (cfr. Inf. V, 4 © seg.;
XIII, 96). Afinoi antic. anche in prosa;
cfr. Nannuc., Noms, 208.
16. x L'UN: © chele detto due costel-
lazioni si caugino in due ghirlande con-
centriche le quali si aggirino in senso
coutrario.- LUN NELL'ALTO: Al. L'UNO
K L'ALTRO; © L'UNO AVKR A L'ALTRO; ©
L'UN VER L’ALTRO; cfr. Com. Lips. III,
838.
18. AL PRIMA: Al. AL PRIMO | AL PRIA.
« Espressione oscura di signif. dubbio,
P—__
comunque si legga. Danto vuol diro che
due corone concentriche formate di stol-
le, girano oppositamente, l'una innanzi,
l'altra dietro; » Blanc. Al. intendono di-
versamente; cfr. dom. Lips. III, 339.
19. QUASI: questa immagine non è che
una debole ombra, la bellezza doi beati
essendo di gran lunga maggiore di quella
delle più lucide stelle. - DELLA VKRA : «di
quello cho era veramente la costellazione
cho quei Beati formavano; » Lomb.
20. porria: dello due ghirlande di vi-
venti lumi.
21. CINCULAVA: giravaintorno al punto
nel qualo io mi trovava.
22. DI LÀ : suporiore ad ogni uso umano.
23. Cutana: tiumo di ‘Toscana il cui
corso ai tempi di Danto era lentissimo;
cfr. Loria, L'Italia nella D. O., 13, 376
e seg.
24. ui. CIRL: il Primo Mobile; cfr. Purg.
XXXIII, 90. Conv. II, 4.
25. PKANA: inno in onore di Apollo.
Cfr. Virg. Georg. 11, 2, 243. Aen. VI, 657.
« Non si cantavano canzoni a Bacco o ad
Apollo, ma si cantava come le tre divine
persone sussistono nell'unica divina na-
tura, e come la natura divina ed umana
in Cristo sono nell'unica persona del
Verbo; » Cora.
26. TRE 'KKSONK: il mistero delle Tri-
nità e dell'Incarnazione, nella conoscen-
ma Aci quale Dunto, seguendo gli scola-
[CIELO QUARTO]
PAR, xu. 27-41
[SALOMONE] 823
es
Ed in una persona essa e |’ umana,
28 Compié il cantare e il volger sua misura,
Ed attesersi a noi quei santi lumi,
Felicitando sé di cura in cura.
a1 Ruppe il silenzio nei concordi numi
Poscia la luce, in che mirabil vita
Del poverel di Dio narrata fiumi,
34 E disse: « Quando l’una paglia è trita,
Quando la sua semenza è già riposta,
A batter l’altra dolce amor m’ invita.
37 Tu credi che nel petto, onde la costa
Si trasse per formar la bella guancia,
Il cui palato a tutto il mondo costa,
40 Ed in quel che, forato dalla lancia,
E poscia e prima tanto soddisfece,
alicl, fa consistero In somma bentitu-
dine,
27. PERSONA : Al. BUSTANZIA : Jer. erro-
nea, la Chiesa non avendo mai insegnato
che le due nature, divina ed umana, fos-
aoro unito in Cristo in nna sostanza, ma
in una persona, Cir. Purg. XXXI, Al.
Moone, Orit., 463 © sog.
28, comrmé: terminaronsi i canti e le
ilanze,- sua MISURA: giusto loro tempo.
20. ATTESERSI : si formarono a guardare
me © Beatrice; cfr. Inf. XVI, 13.
20, DI CURA IN CURA: della danza e del
canto nil'attendero a noi. « Quia feliciter
fecerant motom ct cantum, et ita felici-
tor ccasnvernnt ab ulroque, sient jam
Allis vicibua focorant, quasi dicat, dando
sibi tempus In diversia actibus;» Bene.
Cfr. Galvani, Poes. dei trovat., 477.
V. 1-111. IT sapere di Salomone, di
Adamo e di Cristo, « A veder tanto non
aurse il secondo,» nveva detto S. Tom-
maso di Salomone, Par, X, 114. Questa
parola aveva fatto nascere nn dnobbio
nella monte di Dante (efr. Par. XI, 26),
al quale pareva che fl sapere di Adamo
e di Cristo dovesse cssere più profondo
che non quello dell'antico re d'Israele.
8. Tommaso scioglie il dubblo. Pih sa-
vii di Salomone furono veramente Ada-
mo e Cristo; ma Ja mia sentenza non
dice che Salomone fosse il più savio di
tutti gli nomini, ma il più savio dei ro.
Cfr, F. K. H. Haselfoot, Chiosa Dante-
aca, Fir., 1898 (Giorn. Dant, VI, 27-35).
M1. NUMI: dii; chiama così | Beati, por-
ché sono come Dii; cfr, Par. V, 124.
32. Luce: §. Tommaso che aveva narra-
to la maravigliosa vita del povere! di Dio,
cioè di S, Francesco, - tr cme: Al, me OUT.
M4. quanno; dopo nvero sciolto 1' uno
foi tuoi dublii (Par, XI, 230 nog., 133
o seg.) l'amor colesto m'invita n sclo-
glierti l'altro. «Come non si trae il semo
della paglia, clot della spign, so non si
trita bene: così non si trae il bene naonao
tren molti falai, so con somma diligonza
non si batte e sonolo; » Land.
37. NEL PeTTO: in Adamo, della cni
costa fu formata Kiva; ofr. Gen. IT, 21,
22. Par. XXXII, È.
IR, OUANCIA: di Ken, cho mangià dol
frntto proibito o no diede ancora nd Ada-
mo; cfr. Gen. INI, 6.
20. COSTA : essendo cagione dei mali
dell'umanità; cfr. Purg. XXIX, 24 eseg.
40. IN QUEL: © nol petto di Cristo, -
roraTo: « Unns militum lancon latua
eins aperuit; » S. Giov. XIX, 34.
41, POSCIA E PRIMA: dopo essere stato
forato e prima. « Poiche fu forato, discen-
dendo il limbo a trarne i santi Padri; e
prima che forato fosse per li gravi incom-
modi sofferti al mondo trentatre anni che
viase; » Fell, Così Benv., Buti, Land.,
Dan., Vent., Lomb., Port., Pog., Biag.,
Br, B., Frat., Greg., Andr., Corn., ecc.
Al: soddisfece alle colpo passate ed allo
ventnre; così Petr. Dant., Vol., Tom.,
Bennas., occ.
824 [CIELO QUARTO]
Par. xii. 42-57
[SALOMONE]
Che d’ ogni colpa vince la bilancia,
43 Quantunque alla natura umana lece
Aver di lume, tutto fosse infuso
Da quel valor che l’uno 6 l’altro face:
40 E però ammiri ciò ch'io dissi suso,
Quando narrai che non ebbe il secondo
Lo ben che nella quinta luce è chiuso,
49 Ora apri gli occhi a quel ch'io ti rispondo,
E vedrai il tuo credere e il mio dire
Nel vero farsi come centro in tondo,
62 Ciò che non muore e ciò che può morire
Non è se non splendor di quella idea
Che partorisce, amando, il nostro Sire;
55 Ché quella viva luce che sì mea
Dal suo lucente, che non si disuna
Da lui, né dall’amor che a lor s'intrea,
42. VINCK: Al. VINSE; Cristo soddigfece
ina volta per sempre; ina la sua soddi-
sfazione vince continuamente, fa col suo
maggior peso alzare la bilancia d'ogni
colpa in eterno.
43. QUANTUNQUE: quanto lume di scien-
za cape nell’ umana natura.
45. VALOR: potenza divina che creò im-
mediatamente Adamo e Cristo.
46. AMMIRI CIÒ: Al. MIRI A CIÒ. - 8U8O:
di sopra, Par. X, 112 e seg.
48. LO BEN: il beato spirito di Salomone,
quinto nella mia ghirlanda; cf. Par.X,109.
49. GLI OCCHI: « della ragione e dello
intelletto ; » Buti. Così i più. Invece Betti:
« Non gli occhi della mente, ma quelli del
corpo, cone succede quand’uno attenta-
mente sta ascoltanio, che fissa più aperto
l'occhio in chi parla. »
51. NEL VKRO: «attonili e vedrai cho
ciò che tu credi e ciò che io dissi s'iden-
titica come nello stesso centro s'ideutifi-
cano i raggi di un circolo; » Corn.- «E
vedrai ciò cho tu credi è ciò cho io dissi
farsi uno nol vero, come uno ò ii coutro
nel cerchio ; » Betti. Sul sapere di Adumo
cfr. Thom. Aq. Sum. theol. 1, 94, 3; sul
sapere di Cristo cfr. ibid. ITT, 9-12.
52. CIÒ CHE NON MUORE: le creature
incorruttibili: gli Angeli, anima uma-
na, il cielo o gli elementi. - CIÒ CHK PUd
MORIRE: le creature corruttibili, le forme
singolari delle cose temporali.
53. SPLENDOR: un raggio di quell'idea
cho il nostro Sire, Dio, genera nell'amor
suo. «Ad productionem creaturarum ni-
hil aliud inovet Deum, nisi sua bonitas,
quam rebus aliis communicare voluit se-
candum modum assimilationis ad ipsum;»
Thom. Aq. Contr. Gent. IT, 46. Il Crea-
tore mira il prototipo della creazione nel
Verbo suo, che è l’espressione ipostatica
della sua intelligenza; confr. Thor. Ag.
Sum. theol. I, 15, 1-3; I, 34, 3. Boet. Cons.
phi. ILI, metr. 9. Par. X, 1 e seg.
54. Sike: signoro. <I} Padre, gene-
rando il Verbo ed amando, partorisce
creando le immagini finite di sè mede-
simo, quali sono tutte le crvature incor-
ruttibili ed immortali, 6 tutte le crea-
turecorruttibili e mortali. Queste, perchd
immagini di Dio, possonsi dire splendori
dell'idea che è il Verbo; » Corn.
55. viVA: Al. vena. - LUCK: il divin
Verbo, Cristo. - MRA: lat. meat, prucede,
deriva; cfr. Par. XV, 55; XXIII, 79.
56. LUCKNTR: dal Padre.- DIBUNA: se-
para, distacca; «non si diparte dall'unità
dolla sustanzia del Padre; » Buti.
57. A LOK: Al. IN LOW - 8’ INTRKA:
forma un'unità di tre. Dante forinò la
voce intrearsi per esprimere l'indivisi-
bilità della SS. Trinità. Il Lucente è il
Padre, la viva luce il Figlio, l’amore lo
Spirito Santo, detto anche altrove il pri-
ano amore,
[CIELO QUARTO]
PAR, XIII. 58-70
[SALOMONE] 825
58 Per sua bontate il suo raggiare aduna,
Quasi specchiato, in nove sussistenze,
Eternalmente rimanendosi una.
61 Quindi discende all’ ultime potenze
Giù d’atto in atto tanto divenendo,
Che più non fa che brevi contingenze;
64 E queste contingenze essere intendo
Le cose generate, che produce
Con seme e senza seme il ciel movendo.
67 La cera di costoro, e chi la duce,
Non sta d'un modo, e però sotto il segno
Ideale poi più e men traluce:
70 Ond'egli avvien ch'un medesimo legno,
58. MONTATE: non costretto da neces-
sità. « Il Verbo è Ince interna increnta,
che pare rimanendosi ona, viene alle
ereature a manifestarsi come In altret-
tanti specchi, Come lo splendore del sole
si ravvisn negli specchi nei quali impri-
me la sun immagine, così lo splendore
dol Verbo si ravvisa nello creature che
sono sun immagine. Il Verbo rimane
oternalmente una sola persona o sussi-
stenza, quantunque le speochiate Imma-
gini sieno moltissime ;» Corn.
50. IN NOVE BUSSISTENZE: nei nove cori
o gerarchie angeliche, Così Ott., Land.,
Vell., Dan., Bennas., Witte, ecc. Confr.
Thom. Aq. Sum. thsol. I, 29, 2. Conv. IT,
5, 6; III, 14. Ep. Kani, 21. Par. XXIX,
142-145, AL: nei nove cleli (Fenv., Buti,
Lomb., Biag., Ces., Br. B., Frat., Greg.,
Andr., ecc). Al. leggono nuove, inten»
dendo chi dei nnovi cleli (Lan., An.
Fior., ece.), è chi dell'universalità delle
cose create ( Vol., Vent., Fog., T'om., e00.),
61. QUINDI: per mezzo di queste nove
sussistenza il raggiare della viva luce,
agendo dalla superiore alla inferiore, di-
scende infino alle creatore inferiori, così
decrescendo sempre in attività, che final-
mente croa soltanto cose corruttibili. Cfr.
Thom. Aq. in Aristot, Metaph. IX, 1 è
sog. Sum. theol, I, 41, 5.- rorrnER: nel
linguaggio filosofico potenza significa ciò
che non è ma può essere, atto ciò che è.
62. MIVENENDO : Al. MvIDENDO ; rida-
cendosi a tanto, da non produrre final-
mente che creatare corruttibili, « Nota
ch'elli è nella nona spera una virtà infor-
mativa universalo; poi, per le immagini
della ottava, si vienesingnlarizzando; an-
cor per li movimenti, aspetti e congiun-
zioni di pinneti si vieno tanto singulariz-
zando, ch'è virtà singulare a prodncore
singular forma qual corpo adatto ad ani-
ma vegetativa, quale sensitiva, e quale
razionale, E nota che tale virtudo si è
sopra quelle cose, ciò è la materia ch'è
suddita al cielo, 6 in potenzia d'acqui-
atare tali forme; » Lan. e An. Fior.
63. CONTINGENZE: creature corruttibili
edi breve durata, « Contingens est quod
potest esse ot non esse ; » T'hom.Ag.Fum.
theol. I, 80, 3.
66. con seme: cfr. Purg. XXVIII,
103-117,
67. LA CORRA: la materia o fl soggetto
onde nello mutazioni o generazioni sono
fatte le cose, e la virti del cieli che le dà
la forma, non sono sempre ad un modo,
variano. E perciò sotto il sigillo dell'idea,
cioè sotto l'impronta della divina luco,
la materia risplende ove più, ove meno;
ofr. Conv, III, 7. Par. 1, 3.-e2 cmt: ola
forza, l'influenza dei cieli che duce, tew-
pera, informa la materia. « Vivos docent
de marmore vultoa;» Virg. den. VI, 848,
68, sEGNO: jl segno ideale è l'ilen ar-
chetipa. «Ogni cosa è splendore d' idea
divina;» Tom.
60. TRALUCK: in ogni cosa croata ri-
splendo l'idea divina, nell'una più, nel-'
l'altra meno.
70. mrebesimo: non individualmente,
ma inquanto alla specie. Due alberi della
stessa specie hanno fratto diverso, - 1,x-
GNO: pianta, albero ; cfr, Inf. XIII, 73.
Purg. XXIV, 116, eee.
826 [CIELO QUARTO]
Par. xm. 71-88
[SALOMONE]
Secondo specie, meglio e peggio frutta;
E voi nascete con diverso ingegno.
73 Se fosse a punto la cera dedutta,
E fosse il cielo in sua virtù suprema;
La luce del suggel parrebbe tutta;
76 Ma la natura la dà sempre scema,
Similemente operando all’ artista,
Ch’ ha l'abito dell'arte e man che trema.
70 Però se il caldo Amor la chiara Vista
Della prima Virtù dispone e segna,
Tutta la perfezion quivi s’ acquista.
82 Così fu fatta già la terra degna
Di tutta |’ animal perfezione;
72, vor: nomini; cfr. Par. VITI, 124 è
seg. Conv. III, 7.-pivenso: nella forza
6 nello attitudini,
73, A PUNTO: se la materia fosse ti-
rata a tatto punto, nella maggior perfe-
zione, ec sò le infloenze celesti fossero
nella loro inaasima attività, lecose create
risplenderebbero di tutta la luco del sug-
gello, sarebbero cioò perfetto. «Sv lu di-
sposizione del ciclo fosse a producere un
agricula, e la materia fosse a ciò dispo-
sta, allora nella detta cera, ciò è matoria,
apparerebbe tutta la forma del suggollo,
ciò è quella virtit colosto, 0 surobbo per-
fotto agricula;» Lan, An. Fior.- DKDUT-
TA: « menata e fatta molle, acciò che rice-
vesse la impressione del suggello; » Dui.
74. SUPRKMA : © non discesa d'atto in
atto, v. Gl © sog., e porò infievolita. « Si
spor civlestes essont in carum maiori
virtute ; verbi gratia, si planota Iovis qui
est optimus esset in piscibus, quod si-
gnum est domus eius; vel si esset in sua
eraltatione, gaudio vel termino, vel es-
set in bono aspectu bonorum planetarum,
et liber a coniunctione maloruni: tunc
res quo generaretur respondens illi pla-
neta esset optima, et apparerot in ea
virtus Iovis porfecte quio dat sibi for-
mam;» Benv.
75. PARRKUBK: apparirebbe, si mostre-
robbo perfettumonto, in tutta lu sua vi-
Vezza.
76. NATURA: quale istrumento della
creazione; confr. Par. VIII, 127 e seg.
Thom. Ag. Sum. theol. 13, 1,2; 1°, 6, 1;
1°, 26,1; 1?, 67, 1.- DÀ: essa luce del sug-
gello. - 8CEMA : imperfetta.
78. L'AMTO: possedimento intioro del
l'arte in tutti i suoi elementi ; efr. Thom.
Aq. Sum, theol. I°, 49, 1-4, Ariatot. Me
taph, V, 25; VII, 42 e sog.
79. retrò; dopo aver dimostrato che
quando Dio opera mediante canse secon-
darie, cioè per mezzo della Natura, sua
ancella, l'effutto che ne viene non è mai
nella pionezza della sua perfezione, passa
ora a dimostrare che quando Dio opera
immediatamente e souza valersi di cause
secondo, l'effetto cho ne riesce è perfet-
tissimo. E volondo esprimere l'atto crea-
tivo unico operato da tutte e tro le di-
vino porsono (cfr. Lif. III, 4-0. J’ar. X,
1 eseg.), ogli ci dà in un giro di frase lo
tre distinte operazioni creative dicendo:
Perd se lo Spirito Santo (il caldo Amore)
dispone e segna l’idea, 1] Verbo (la chia-
ra Vista), coll’ impronta del Padre onai-
potente (della prima Virtù, cfr. Par.
XXVI, 84), in allora si consegue tatta
la perfezione possibile. V. 52 e seg. la
creazione è detta opera del Padre; v.65 e
seg. è spiegata come atto del Figlio; qui
è attribuita in ispecie allo Spirito Santo,
mostrando così in questi tre modi la per-
fotta equivalenza di ciascuna persona di-
vina, nel mentre sono eziandio indicate
nel loro ordine gerarchico. Cfr. Ronchet-
ti, Appunti, 150 © seg.
82. così: per tale immediata opera-
zione divina. - LA TERRA: dalla qualo fu
formato il corpo di Adamo. Al. inten-
dono di tutti gli animali; ma qni non si
tratta che dell'uomo, e gli animali furono
prodotti non immediatamento da Dio,
ma per mezzo della Natura; ofr. Genes.
I, 24, 27; 1I, 7.
Y}. ANIMAL: conveniente alla natura
[CIELO QUARTO]
Par. xi. 84-101
[SALOMONE] 827
Così fu fatta la Vergine pregna.
85 Sì ch'io commendo tua opinione,
Che l’umana natura mai non fue,
Né fia, qual fu in quelle due persone,
88 Or s’io non procedessi avanti piùe,
“ Dunque, come costui fu senza pare? ,,
Comincerebber le parole tne;
91 Ma, perché paia ben quel che non pare,
Pensa chi era, e la cagion che il mosse,
Quando fu detto: ‘ Chiedi, ,, a domandare,
DM Non ho parlato sì che tu non posse
Ben veder ch’ ei fu re, che chiese senno,
Acciò che re sufficiente fosse;
07 Non per saper lo numero in che ènno
Li motor’ di quassù, 0 se necesse
Con contingente mai necesse fenno;
100 Non, si est dare primum motum esse,
O se del mezzo cerchio far si puote
animale. « Snppone nella terra stessa, è
aaplentemente, In disposizione n fornire
più o men docili gli organi della vita; »
Tom.
B4. così: por l'immedinta operazione
di Dio. - rrRoNA: incinta, ofr. S, Luca,
I, A, 36.
85. OVINIONE: che il aapero di Adamo
6 di Cristo superasse quello di Salomo-
né; cfr. v. 37 e seg. « Hai ragione di dire
che |) primo momo, inquanto nomo, fu
perfettiasimo, © così doll'nmanità di Cri-
sto bene al afferma; » Corn,
B7. nur: Adamo è Cristo,
88. on: se io, dopo aver confermato
che Adamo è Cristo forono perfottissi-
mi, non aggiungesai altro, to mi faresti
questa obbiezione: Come dunque hai tu
detto che Salomone fu senza pari?
89. cosTur: Salomone, - PARR: pari,
eguale; cfr. Par. X, 112 è seg.
Ol. rata: apparisca ben chiaro ciò che
pare oscuro.
02, rENBA: considera che Salomone
era ro, a che anpientissimo fo come tale,
non assolutamente. — LA CAGION: fl deal-
derio di ben governare il sno popolo ; efr.
ITT Reg. U1, 4 6 sog.
03. petro: da Dio a Salomone; cfr.
IIT Reg. III, 5. Conv. IV, 27.
Di. Bl: al oscuro, — POBBK: por possa,
antic. anche in prosn. Cfr. Nannueci,
Verbi, 054.
06. BUFFICIRSTE: abile. « Sufficiente
aveva senso quasi di pienamente effi-
ciente; » Tom.
97. LO numrro: Salomone non chiese
anplenza per snpero quante sieno lo an-
geliche intelligenzo che presiodono ai
celesti movimenti. Nel racconto bibli-
co (III Reg. IIT, 11 © seg.) è detto che
Dio Jodò Salomone di aver chiesto in-
telletto per buon governare il popolo, in-
vece di chiedere Innga vita, o ricchezza,
o vittoria sui nemici. Dante lo loda per
non aver badato a quesiti di metafisica,
di dialettica è di geometria, che a’ suoi
tempi erano il paradiso degli scolastici,
08. SR NEORASE: so da doe premosse,
wna delle quali necessaria, l'altra contin-
gente, possa dedursìi conseguenza neces-
sarin; cfr. Aristot. Analit. pr. I, 16.
100. st maT: se convione ammettere
che esista un primo moto che non sia
l'effotto d'un altro moto, onsia noi mo-
tori © nol mossi si posan andaro all'in-
finito, oppnro so bisogna formarsi In nn
motore che non è punto mosso; confr.
Thom. Aq. Contr. Gent. I, 13: «in mo-
ventibus et motia non est procedere in
infinitum, »
101. DRL. MEZZO : 86 in un semicerchio,
828 [CIELO QUARTO]
PAR. xt. 102-114
[SALOMONE]
Triangol si ch’ un retto non avesse.
108 Ond’ è, se ciò ch’ io dissi e questo note,
Regal prudenza quel vedere impari,
In che lo stral di mia ’ntenzion percuoto.
106 E se al “ surse ,, drizzi gli occhi chiari,
Vedrai aver solamente rispetto
Ai rei eho can malti a i hon’ gon rari,
109 Con qu
E cos
Del p
112 E queste
Per fi
Ed ali
prendendo come base *
sa jscrivere un triang
un angolo retto; così
108, oxb'È: onde si
a quello che io dissi (
quello cho ti esposi or.
che quol vedero senza press; viva -,--—- sr
intesi parlare, 6 sapionza roule. In sostan-
za: Salomone fu il più savio dei ro, non
fl più savio degli uomini. Quasi tatti leg-
gono questa torzina nel modo seguente:
Onde, se ciò ch'io dissi e questo note
Regal prudenza e quel veder impari
In che lo stral di inia Intenzion percuote;
lesione dalla quale è difticile cavare co-
strutto che regga; cfr. Com. Lips. IlI,
355 e seg.
104. impart: che non ha pari.
106. AL BURSE: © se rifletti attentamen-
te salla proprietà del verbo sorgere, da
me usato parlando di Salomone, vedrai
che esso accenna pure ai re che sovra
i sudditi sorgono. Altri diversamente;
Ott.: « E dice surse, il quale è di caduto
lovarsi. Adam non era; danque non si
potea levare. Cristo non cadde mai, o
sempre fu eretto, ed egli è sapienza non
infusa altronde. » Così puro Buti, eco. -
Benv.: « Si dirigis oculos intelloctualoa
ad illud verbum surse, quod est aliquid
aurgore in suo esse, ita quod non habet
respectum ad Adam qui fuit formatus a
Deo, nec ad Christum qui fuit incarna-
tus sine opera humana. » — CHIARI: cfr.
Par. VI, 87.
109. DISTINZION: tra l'uomo ed il re. -
DETTO : che « A veder tanto non surse il
secondo. »
mio detto,
e credi
Diletto.
\i piedi,
uom lasso,
vedi:
dt: accordarsi. - CREDI: cfr.
E.
mr: Adamo, - DiLetTo : Cri-
iflcavit nos in dilecto; » Efe-
42. Contro i giudizj preci-
gremanta ell ll | dabbi di Dante, San
‘l'ommaso conchiulo, cho bisogna inton-
dor bene e giudicure lentamente chiun-
que non voglia incorrere in gravi errori,
come fecero gli eretici. Al savio è pro-
prio l'andare a rilento e nell'affermare
e nol nogare cose, lo quali possono esser
vere nell’ uno, false nell'altro sonso.
Scendendo nel campo pratico rimprovera
coloro che ardiscono giudicare dell'altrai
salvazione o dannazione. Dei secreti di-
vini l'uomo non può, quindi non deve
soutenziare. Chi è croduto santo può ca-
dere e perdersi; chi è creduto empio può
surgere e salvarsi.
112. TI sta; Al. TI FIA. Ciò ti serva a
renderti cauto in avvenire. « Che mai tu
non sia subito a giudicare l'altrui detto
per libero sì, o per libero no; ma sem-
pre procedi con distinzione, considerando
che si possono ad una medesima cosa
avere diversi rispetti; » Olt.
118. LENTO: nei giudizj, ed esser rite-
nuto ad afformare o negare ciò che chia-
ramento non discerni. - Lasso: cfr. Inf.
XXXIV, 83. In sostanza: Questo mio
ragionamento ti faccia in avvenire an-
dar cauto nol dire di sì o di no, ogni
volta che tu non vedi bene a quali deter-
minate proposizioni la cosa si riferisce.
Cfr. Ronchetti, Appunti, 160 e seg.
114. NON VEDI: non discerni chiara-
mente se si debba nfformaro o nogare.
[CIELO QUARTO]
Par. xi. 115-127
[GIUDIZI UMANI] 829
115 Ché quegli è tra gli stolti bene abbasso,
Che senza distinzion afferma o niega,
Così nell’ un come nell'altro passo;
118 Perch’ egl’ incontra che più volte piega
L’ opinion corrente in falsa parte,
E poi l'affetto lo intelletto lega.
121 Vie più che indarno da riva si parte,
Perché non torna tal qual ei si muove,
Chi pesca per lo vero e non ha l'arte:
124 E di ciò sono al mondo aperte prove
Parmenide, Melisso, Brisso e molti
I quali andavano, e non sapean dove.
127 Sì fe’ Sabellio ed Arrio, e quegli stolti
115. ADBA8SO : collocato tra gli stolti in
bassissimo luogo. « È nasai stolto chi senza
fare alcuna distinzione afferma o nega,
sia che si dicn una cosa, sin che se ne
dica un'altra, anco contraria; » Corn,
117. così NELL' UN: tanto nel censo di
affermare, come in quello di negare.
119, coureNtTe: corriva, precipitosn.
« L'opinione corrente, cho non si forma
n distinguoro, più volto ploga n falan
parte cho a la vera parto; 6 la cagione
si 4, che de le cose non corte è opinione ;
imperò che de le corte è scienzia, 6 quan-
do l'opinione si dirizza n la verità non è
più opinione: imperò cho diventa scien-
zia, sicchè, stante l'opinione che è cre-
dere che così sia senza certezza, piega
lo "ntelletto a la falsità, per cho a la ve-
rità non adiunge e però piegarsi a quel
che crede ssser vero ; » Buti, Così inten-
dono i più (Benv., Land., Lomb., Port.,
Cea., Tom., Br. B., Frat., Andr., Bennas.,
Corn., Filal., eco.). Al.: l'opinione vol-
gare che corse per il mondo ( Vell., Dan,,
Vent., Biag., ecc.). L'opinione comnne
non ha qui che vedero, e Dante non usò
mai corrente per comune 0 volgare,
120, LEGA: fl giudizio affrettato cade
spesso nel falso, e poi l' amore alla pro-
pria opinione impedisce l'intelletto di
spogliarsi dei suoi pregindizi. « Nihil est
tarpius quam cognitioni et perceptioni
affectionom approbationemqne precar-
rero;» Cicer, Acad, IV. « (nando al è
formata in noi l'opinione n noi stessi
cara, Allora la volontà lega l'intelletto in
essa, impedendo che esamini da ogni lato
la questione, e così riposa col suo giu-
dizio nol falso; » Corn.
121, vir più: poggio che inutilmente,
cioè con danno sno, si mette a cercare il
vero, chiunque è privo d'arte, poichè
non movendosi resterebbe nell'ignoran-
za, ricorcandolo abbraccia facilmente l'er-
rore, che è peggiore dell'ignoranza, Cfr.
Galenus, De cognoscendis curandisque
animi morbis, c. 10 f. vers.; ed. Kuehn, 5.
De Mon, I, 13.
125, l'ammeninie: filosofo greco dolla
acnola Elentien che fiorì verso Îl 500 n.
C. « Scrisse che la generazione degli no-
mini ebbe principio dal Sole, e il Sole ea-
rere caldo e freddo, e da quello essere
ogni cosa; » Land. Cir, Diog. Laert, TX,
21-23. Theophr. de Sens., 3 © sog. Fr.
Riaur, Kesaisur Parmenide d' Elée, Par.,
1841, Vatke, Parm. Veliensis doctrina,
Berl., 1864. - MrL1880 : altro filosofo elea-
tico, nativo di Samo o discepolo di Par-
menide, fiori verso il 450 a. C, « Ebbe
opinione che questo universo fosse infi-
nito, immutabile ed immobile, « che il
moto non fosse, ma paresse, Diceva che
non dobbiamo diffinir alcuna cosa d'Id-
dio, perchè di lui non abbiamo certa co-
gnizione ; » Land. Cir. Diog. Laert. IX,
24. De Mon. ITI, 4. - Brisso: Bryson o
Dryson da Mogara, figlio è discepolo di
Stilpone, secondo altri discepolo di Euoli-
do, Si occupava a cercare la quadratura
del rircolo, Cfr. Aristot. Soph, El. XI.
126. ANDAVANO: camminavano nel pen-
anr loro alla cieca. « Qui ambulat in te-
nebris, nescit quo vadat;» 8. Giovanni,
XI}, 36.
127, SaueLLIO: dai filosofi passa agli
eretici. Sabellio, fumoso eretico nel III
secolo, nato a Pentapoli nell'Affrion, m.
830 [CIELO QUARTO]
PAR. xt. 128-141
[GIUDIZI UMANI]
Che furon come spade alle scritture
In render torti li diritti volti.
130 Non sien le genti ancor troppo sicure
A giudicar, sì come quei che stima
Le biade in campo pria che sian mature:
133 Ch’ io ho veduto tutto il verno prima
Il prun mostrarsi rigido e feroce,
Poscia portar la rosa in su la cima;
136 E legno vidi già dritto e veloce
Jorrer lo mar per tutto suo cammino,
Perire al fine all’ entrar della foce.
130 Non creda donna Berta o Ser Martino
Per vedere un furare, altro offerère,
Vederli dentro al consiglio divino;
verso i] 205, negava il dogma della SS, Tri-
nità nel senso ammesso a stabilito dalla
Chiosn, Cir. Gieseler, Kierchengesch., 4
ed. I, 2, 2000802. - AURIO: il famoso au-
toro dellu sotta degli Ariani, proto di
Alessandria, m. 336, il quale insegnava
il Verbo divino non essere eterno e con-
sostanziale nl Pudro, perchè spiritual-
mente dal Padre generato. Cfr. @. M.
Travasa, Storia della vita di Ario, Ven.,
1746. -sroLri: e tutti coloro che mutila-
rono la Scrittura e ne tramutarvuo in
falsi i giusti e retti sonsi.
128. spaDk: i quali furono come quelle
spade che rendono torti e deformi i volti
di coloro cho vi si specchiano. Così Post.
Cass., Ott., Beno., Buti, Land., Vell.,
Dan., Vol., Vent., Cra., l'ranc., ece. In-
vece Lomb. (soguito da Port.,Pog., Biag.,
Costa, Tom., Br. B., Frat., Greg., Andr.,
Bennas, ecc.): i quali mutilarono la
Scrittura como una spada mutila un bel
viso.
130. NON SIEN: rimprovera nel campo
pratico la inconsideratezza di coloro che
giudicano temorariamente dell'altrui sa-
lute o dannazione, rimprovero che è qui
molto a proposito, trattandosi di quel Sa-
lomone, della cui salvazione alcuni dubi-
tavano. « Nolite anto tempus iudicare,
quoad usque veniat Dominus, qui et in-
luminabit abscondita tenebrarum et ma-
nifestavit consilia cordium; » I Cor. IV,
6. Cfr. S. Giacomo, IV, 13 © seg. Conv.
IV, 15.
131. STIMA: apprezza, fa il prezzo alle
biade prima che sieno mature,
134. FROCK: selvaggio; confr. Virg.
Georg. 11, 30.
136. x LiGNO: 6 vidi già nave che dopo
aver voleggiato felivemonte e velocemen-
to durante tutto il viaggio allondò on-
trando in porto.
137. COKKKR : « Di quibus imperium pe-
lagi est, quorum wquora curro; » Virg.
Aen. V, 235.- TUTTO: per tutto il viag-
gio che doveva fare.
138. FOCK: porto.
139. DONNA: Al. MONNA. - BRKTA: ogni
vil feinminella ed ogni uomicciolo da poco.
Conv. I, 8: « Onde suole dire Martino. »
Passav., Specchio dipen. 11, 400: « De' so-
gni, che sono dal cielo, cioò dalla influcn-
zia dello stollo o delle piante, o dalla di-
sposizione o improssione dogli clumonti,
o' sono buoni fllosofi o buvni astrologhi,
che possono far buona intorpretazione,
ina o' son ben pochi que'cotali. E quelli
tanti, che bene sanno, più dubiterebbono
che gli altri di giudicare, temendo di non
errare, che non furebbonocoloro che poco
sanno. Onde ser Martino dell'aja e donna
Berta del mulino più arditamente si met-
tono ad interpretare i sogni, che non fa-
rebbe Socrate e Aristotile maestri so-
vrani della naturale filosofia. » Cfr. Com.
Dips. III, 362.
140. FURARE: rubare. - OFFKRERE: of-
ferire, far pio offerte.
141. VEDERLI: « veder quello che la di-
vina sapienza ha determinato di ciascun
di loro; » Vell. Il Dan. leggo vEDKK si},
e spiega: < Quali li vede quaggiù, ve-
derà tali dentra al consiglio di Dio. » Il
[CIELO QUARTO]
Par. xii. 142 — xry. 1-2
[pusBio] 831
142 Ché quel può surgere, e quel può cadere, »
Betti: « Penetraro intorno a loro i con-
sigli di Dio. » - « De hoc, quem tu justis-
simum et wqui serventissimum putas,
omnia scienti providentim diversum vi-
detar; » Boet. Cons. phil, IV, pr. 6. «Oh
istoltissimo o vilissime bestinolo che a
guisa d'uomini pascote, che presumeto
contro a nostra Fede parlare; 6 volete
anpere filando e rappando, ciò che Iddio
con tanta provvidenza ha originato! Ma-
ledetti siate voi e la vostra presunzio-
ne!» Conv. IV, 85.
142. que: il ladro può surgere, cioè
pentirsi e salvarsi, come l'uno dei due
Indroni crocifissi insieme con Cristo,
« San Brandano fu sommo ladrone, e
poi per lo finali opero piacque a Dio; »
Ott.- RQUIL: è colui che tu vedi far pio
offerte può cadere in grave peccato, co-
me Salomone che, già vecchio, sedotto
dalle sno donne e concubine pagane, di-
venne idolatra; cfr, IJ] Reg. XI, 40.
«Qui se existimat atare, videat no ca-
dat; » I Cor. X, 12.
CANTO DECIMOQUARTO
|
CIELO QUARTO DEL SOLE
DOTTORI IN FILOSOFIA E TEOLOGIA
rr
LO SPLENDORE DEI BEATI DOPO LA RISURREZIONE DEI CORI
TERZA GHIRLANDA DI VIVENTI LUCI, SALITA AL CIELO DI MARTE
CIELO QUINTO DI MARTE: MARTIRI DELLA RELIGIONE
LA CROCE DI MARTE, ARMONIA DI CONCENTI, ESTASI DI DANTE
Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro,
Movesi l’acqua in un rotondo vaso,
V. 1-18. Dubbio nascente, Dante o
Beatrice stanno in mezzo a done corone di
spiriti beati, come centro di dae cerchi
concentrici, ofr. Par. XII, 1 sog, Dopo
che 8. Tommaso ha parlato, parla Ben-
trice al Beati, La voce di 8. Tommnao,
mossa dalla circonferenza al centro, 0
la voce di Beatrice, mossa dal contro
alla circonferenza, offrono al Poota una
similitudine nnovn, che risponde a ca-
pello, Come acqua in rotondo vaso mo-
veal dal centro al cerchio è dal cerchio al
contro, così gli parve accadore là dove
aveva parlato S. Tommaso, E nel contro
Beatrico incomincia a parlare: Questi
brama di sapore se la Inve che Infiora la
vostra sostanza rimarrà sempre con voi,
anche quando rinvrete | vostri corpi è ri-
tornereto ad essere visibili; e se, rima-
nendovi cotanto splendore dopo che nella
ELU JUARTO]
Par. xiv. 3-18
[DUBBIO}
Secondo ch’ 4 percossa fuori o dentro.
4 Nella mia mente fe’ subito caso
Questo ch’ io dico, si come si tacque
La gloriosa vita di Tommaso,
7 Per la similitudine che nacque
el suo parlare 6 di quel di Beatrice,
xe,
10 a
LU uu nu
13 Ditegli se |
Vostra sì
Eternalme
16 E, se rimara
Che sare
Esser po
gonerale risurrezione avrete ripreso n
corpo, lo vostro viste non surauno troppo
abbugliate. 11 dubbio non era per anco
insorto nella mente di Dante; Beatrice
lo vede nascere.
3. O DENTRO: Al. k DENTRO. So il vaso
che contienel'acqua è percosso al difuori,
l'ucqua si muovo dalcerchio alcentro, an-
dando in circoli di maggiori in minori;
80 l’acqua è percossa nel centro, essa si
muove iu circoli di minori in maggiori
dal centro al cerchio.
4. casO: caduta=mi cadde subito in
monte. 1)i caso usnto latinamento por ca-
duta ai hanno altri esempi; clr. Monti,
Prop. I, 2, 144 e sog. Così quasi tutti da
Benv. in poi. Gli antichi diversamente.
Ott.: « Come in un bacino d'acqua, il
quale l'uomo dall’ uno lato percuota,
l'acqua per la percossa si parte dalla
circonferenza o va vorso il centro, e poi
ò ripinta e ritorua dal contro alla circon-
ferenza: così facea l'animo suo sì tosto
come ai tacque l'anima gloriosa di S. Tom-
maso. E questo accidonte gli avvenne per
la similitudine del parlare suo e di quello
di Beatrice. O vero, secondo che il vaso
è percosso di fuori, l'acqua tende verso
il centro, o percosso dentro, l'acqua ten-
de verso la circonferenza: così nella
mente dell'Autore fece subito caso, cioè
diduase in volere sapere quello che se-
guirà delle precedenti parole di S. Tom-
maso. » Cîr. Oom. Lips. 111, 385.
i piacque:
vi dice
o ancora,
a radice.
ora
On vol
} ora};
n vi nòi. »
1, « MILITUDINE: la voce di S. Tom-
maso venendo dal cerchio al contro, dove
erano Danto e Beatrice; la voce di Bea-
trice movendosi dal centro al cerchio,
dove erano i lieati.
9. A CUI: a Beatrice. - DONO LUI: Al.
DOPO A LUI; DIETRO A LUI.
10. costui: Dante.
11. PENSANDO: ciò che i Beati avreb-
bero veduto. Il dubbio era nascente, ma
non ancora nato.
12. ANDARE: sapero a fondo un'altra
verità; cfr. Par. IV, 130 oe seg.
13. BE LA LUCK: se Î corpi dei Boatl
dopo la risurrezione saranno raggianti
di luce, questione svolta ampiamente da
S. Tommaso, Sum. theol. P. III. Suppl.,
85, 1 seg., il quale risponde affermati-
vamente. I passi relativi si leggono Com.
Lips. III, 365 © seg.
14. BUSTANZIA: la sostanza non è la
luce, ma questa una qualità di quella. -
SK RIMANE: se questo splendore vi resta
dopo risorti i vostri corpl, come potrete
vedervi scambievolmente? Confr. Thom.
Aq. Sum. theol. P. III. Suppl., 82, 4.
18. vi NOL: vi apporti noia agli occhi,
abbagliandovi.
V. 10-33. Il tripudio dell’ amor ce-
leste. Udita la domanda di Beatrice, i
Beati mostrano la gioia che sentono a ri-
spondere col muoversi tripudianti in giro
e col dolcissimo canto di un triplico inno
tn lode della SS. Triuità. Paragonando
[CIELO QUARTO]
Pak. xtv. 19-33
[TRIPUDIO] 833
19 Come da più letizia pinti e tratti
Alla fiata quei che vanno a ruota
Levan la voce e rallegrano gli atti,
22 Cosi all'orazion pronta e devota
Li santi cerchi mostràr nuova gioia
Nel torneare e nella mira nota.
25 Qual si lamenta perché qui si moia,
Per viver colassù, non vide quive
Lo refrigerio dell'eterna ploia.
28 Quell’ Uno e Due e Tre che sempre vive,
E regna sempre in Tre e Due e Uno,
Non circonscritto, e tutto circonscrive,
a Tro volte era cantato da ciascuno
Di quegli spirti con tal melodia,
Ch’ ad ogni merto saria giusto muno.
danza e canto colesto con danza e canto
omano, la similitudine coglie l'atto cate-
riore della letizia di quelle viventi Inci.
19. FIST: « quelli che danzano in cir-
colo, nella danza ai riscaldano o mo-
atrano maggiore lotizia nogli atti più
cho ni nggirano, Coal lo anime mostra
vano gioia maggiore coll' andare più ve-
loci e col più risplenderé, poscia che ndi-
rono la subita è umile dimanda di Boa-
trice; » Corn.
20. ALLA FIATA: ad una fiata, tutti in-
sieme. - A RUOTA: ballando in tondo;
ofr. Par. X, 145.
21. LEVAN: Al. MUOVON,
22. ORAZION: preghiera o dimanda, -
PRONTA: fatta anbito che 5. Tommaso
ebbe finito di parlare. Così | più. Ma il
Betti: «PRONTA, cioò prima che io la pen-
sassi e la dicessi colla voce, » L'aveva
detta prontamonte Beatrice. - DEVOTA:
riverento, umile.
24. TORNEARE: mooversi danzando in
giro. - Mira NOTA: nel mirabile canto.
25. QUAL: «chi quaggiù piange quando
di questa misera vita si parte alcuno, li
cul atti ragionevolmente siono gindicati
giusti, non ha veduta In gloria del cielo; »
Ott. Meglio Corn.: « Chi si lagna della
logge che ognuno debba morire per ire
al Cielo, non mai pensò o conobbe la
pioggia dell'eterna felicità onde godono
i Beati. » Del resto confr, Com, Lips.
mu, 368.
26. vini: colla mente; non considerò, -
quive: quivi, in Cielo. « Non vide quivi,
63, _ Div. Commn., 3» ediz,
come ho vellnto io, qual refrigorio roca
a’ beati l'eterna Ince. E perciò è sousa-
bilo ae si Inmenta, ecc.; » Betti.
27, rLOIA: pioggia, lat. pluvia, franc.
pluie, prov. ploja; cfr. Par, XXIV, 91.
28. uno: I'Tddio Trinno; Uno = ll Pa-
dro; Dee il Padro o il figlio: Tre =
il P'adro, il Miglio o lo Spirito Santo; efr.
Par. XXVII, 1 oseg. Nel due alouni ve-
dono m' allosione alle doe natare in Cri-
ato, che qui non c'entrano nò tanto nd
poco,
30. xon cincoscuiTTO: cfr. Purg. XI,
2. Cono. IV, 0.
22. TAL: con sì ineffabile dolcezza che
l'ndirla sarebbe premio non inferiore a
qualongque merito.
23. muro: lat. munus, premio, ricom-
pensa, « Munus è quello dono che viene
nella offerta, o quello dono che si fa per
via d'oblazione dalli principî; » Ott. (I).
V. 31-60, I corpi glorificati. Un
Reato della ghirlanda interiore rispondo
alla domanda fatta da Beatrice in nome
del Poeta: Quanto fin Innga l'eternal fe-
ata del Paradiso, tanto avremo intorno
quosta vesta raggiante. E quando rive-
stiremo nostra carne, anch'essa sarà ad-
dobbata di lace, come carbone che rende
fiamma, o por vivo candoro la sovorchia.
Allora avremo intera la nostra porsona,
intera ln grazia di Dio. Nè lo splondors
anrà molesto agli occhi dei corpi riausci-
tati. Che a motivo della riunione della
carne collo spirito, crescendo in porfe-
zione, | Beati cresceranno eziandio nel-
»
43 Come la carne gloriosa e sant
Fia rivestita, la nostra pers
Più grata fia per esser tutt:
46 Per cho s’accrescerà ciò che 1
Di gratuito lume il sommo :
Lume ch’ a lui veder ne cor
l'abito e nel lume di gloria. Ed essendo
ln loro dall'altro canto disposti a forti-
ficati per questa ragione gli organi del
corpo allo sovrumano «lilettazioni, go-
ilranno perpotuamento di quelle, invece
d'ossorne affaticati, Cfr, L'Aom, Ag. Sum.
theol, IL, Suppl, B2, 4) 85, 1,
84. bl’; Al, UDI. = bra: lat, diva, di-
vina, quindi più risplondente, & proba-
Lilmonto Salomone; ofr. Par, X, 100.
Con artitizio pootico il Pouta fa parlare
in cielo in modo s) sublime dei misteril
della risarrezione quel Salomone che in
lorra no avera parlato da scettico e da
materialinta ; efe. Heel. ITI, 18-22, Di Sa-
lomone intendono tutti, tranne il Land,
oho intendo dol Magister Sententiarum
THetro Lombardo,
36. MINOMI interno, — MODRSTA : soave
© plana; cfr. /n/, IT, 66 © sog,
10, DALL' ANGELO: Gabrielle, well’ An-
uunziazione; off. Purg. X, 84 sog. Al,
DILL'ANORLO.
37. QUANTO: finchè dara la giofa del
l'urndiso, dunquo in sterno, - vista;
==
l'anima
dalla gra
dal meri)
carità, o
[CIELO QUARTO]
PAR, xiv, 49-60 [CORPI GLORIFICATI] 885
40 Onde la vision crescer conviene,
Crescer l’ardor che di quella s’accende,
Crescer lo raggio che da esso viene.
52 Ma sì como carbon che fiamma rende,
E per vivo candor quella soverchia
Sì che la sua parvenza si difende,
55 Così questo fulgor, che già ne cerchia,
Fia vinto in apparenza dalla carne
Che tuttodì la terra ricoperchia;
58 Né potrà tanta luce affaticarne,
Ché gli organi del corpo saran forti
A tuttociò che potrà dilettarne. »
atti. Parla del lume visivo, non della luce
raggiante delle anime, ch'è conseguenza
di quello.
61. Lo rAngIO: lo splendoro esterno
visibileche procede dalla visione interna,
In sostanza: La ohinrezza del Ponti non
solo rimano, ma si nomenta dopo la ri-
surrezione, essendo essa effetto della gra-
zia divina che si comunica 6 ricevo tanto
più, quanto più lente accipiente è per-
fotto, Or la perfozione dell'anima omana
salgo cho sssn sin conginnta ad nn corpo.
Ricongionta al corpo suo l'anima sarà
quindi più perfotta, e perciò più atta a
ricevere ed a riflettere nello splendore
di fuori il lume della grazia. Cfr. Thom.
Aq. Sum. theot. I, 90, 4; 1°, 4, 6. De An,
I, 2. Com. Lips. III, 372 è sog.
52. CANDON: « Aspectas corum quasi
carbonum ignis ardentium;» Ezech, I,
13,-RKNbE: di. « Come il carbone acceso
dà la fiamma intorno a sò, ma più di que-
ata risplende, ed è perciò visibile entro la
finmma stessa, così la carne (che ora la
terra ricoperchia) quando sarà risorta è
sarà qui unita all'anima, sarà cinta di
Inoce, ma di questa smà più luminosa è
la si vedrà entro osan; » Corn,
52. caxbon: colla vivacità della sua In-
candescenza.
Bd. PARVENZA: apparenza. « La visi-
bilità del carbone acceso si mantiene di-
atinta dalla fiamma che nol pnd sover-
chiare; » DE, Vent, - «Tl fenomeno qui
descritto si rende manifsatissimo nelle
fucine, ove l'incandesconza del carbone
è portata ad alto grado per mezzo di mac-
chine soManti; » Antonelli.
65, FULGOR: qnesto splendore, che sin
il'ora ci fascia, sarà soverchinto In appa-
renza, cioè in visibilità, dalla nostra carno
ora sepolta,
67. rurtobni: tuttavia, ancora.
58, xÉ roTrÀ: tanta luce non potrà ab-
bagliarci ; cfr. v. 16-18. Se la facoltà sen-
sitiva del corpo risorto o rinnito alla aun
anima fosse qual fu nella vita endnen,
essa non potrebbe veramente sopportare
cotanta luce; ma Iddio condiziona il sen-
ao, slattandolo al più forte stimolo. Que-
ato è il dono dell'impnasibilità, sul quale
cfr. Thom, Aq. Sem, theol, LIT, Suppl., 82,
1, 4, 4.
V. 61-06. Desiderio dei Beati, Tatti
gli altri spiriti delle due ghirlande rispon-
dono alle ultime parole ili Salomone con
un Amme (amen = così sia |), con che mo-
strano di desiderare la resurrezione, il
qual desiderio si estende a tutti coloro
che furono lor cari in terra, e che deside-
rano di rivedere in cielo. « Creatura spi-
ritunlis ad hoc quod sit beata, nonnisi
intrinsecus adjuvatur mternitate, verita-
te, charitate Creatoris; extrinsecus vero
si wl juvari dicenda est, fortasse hoo solo
adjuvatur quod se invicem vident, et de
sua socistate gandent; » Aug. Sup. Gen.
VIII, 25. « Siloquamur de perfecta bea-
titudine, qum erit in patria, non requiri-
fur societas amicorum de neceasitate ad
beatitudinem; quia homo habet totam
plenitadinem sum perfectionis in Deo.
Sed ml bene ease beatitudinis facit so-
ciotna nmicormm.... Perfectio charitatia
est essontinlis bentitadini quantam md
dilectionem Dei, non quantom ad dile-
ctionem proximi. Unde si esset una sola
anima froens Deo, beata esset, non ha-
bens proximum quem diligeret, Sed sup-
posito proximo, sequitur dilectio ejus
70 È si come al salir di prima sera
Comincian per lo ciel nuove ps
Si che la vista pare o non par
73 Parvomi lì novelle sussistenze
ex perfecta dilections Dei. Unde quasi a poco a poc
concomitanter se habet amicitia ad per- —preceduti di
feotam beatitodinem ; » Thom. Aq. Sum, sa d'orizzon
theol, 13, 4, 8. su de' venti
Ol. SUMITI kb AcCMMII: pronti od av. = nia terza cu
| l'altro duo, J
6%. L'Umo K L'ALTRO: nmboduo le co- sta gradunt
rono di vivi splendori. — AMM: amen, ovvio e moll
cioò Così sia; efr. Inf. XVI, 88, « Amme cho 4 Il prb
dico lo vulgare; ma la Grammatica dice —comineiare i
Amen; » Muti, del oropuso
63, me Court; di ricongiungersi alloro va notabile
corpi, allora mort. caminetto
G4. Nos rum non solo per la propria non sì cho si
6 gloria, — mami; madri; confr. tamente il |
XXI, 07. rendendoci
05, ALTRI: figli, fratelli 6 sorelle, con- —_ gio, l'inter
Jagi. paren parenti, amici, sco. Monziona no- getto per bh
mento i cari che tutti hanno: la 4 +8
madre ed il padre; non menziona nowi- Com, Lipa.
natamente altri, perchè molti non hanno 67. PARI: |
figli, molti non banno fratellanza, molti sua parte.
muolono celibi, ecc. 68. UN LL
00, anzi: nella vita terrestre, prima pia ghirland
che diveniasero sompiterno boate luc. di là, al dif
V.87-78. Terza corona di vivisplen- circondava
dorli, Ecco aldilà della seconda ghirlanda 60. A GUI
[CIELO QUINTO]
Par. xiv. 74-90
[SALITA] 837
Cominciar a vedere, e fare un giro
Di fuor dall’ altre due circonferenze.
76 O vero isfavillar del Santo Spiro,
Come si fece subito e candente
Agli occhi miei che, vinti, non soffriro!
79 Ma Beatrice sì bella e ridente
Mi si mostrò, che tra quelle vedute
Si vuol lasciar, che non seguîr la mente.
82 Quindi ripreser gli occhi miei virtute
A rilevarsi, e vidimi traslato
Sol con mia donna in più alta salute.
85 Ben m’accors’ io ch’ era più levato,
Per l’affocato riso della stella,
Che mi parea più roggio che l'usato.
88 Con tutto il cuore, e con quella favella
Ch’é una in tutti, a Dio feci olocausto,
Qual conveniasi alla grazia novella;
74. FARE UN Giro: formare una terza
ghirlanda, circondando le altre due.
76. sriro : Spirito, La Ince delle anime
beate è come fiamma solliata dallo Spi-
rito Santo,
77. CANDENTE: acceso, infuocato.
78. vINTI: da tanto splendore, « Et bene
fingit, quod Intellectus eius non erat anf-
ficiens intueri et speculari lacem et cla-
ritatem tot et tantorum autorum; nec
etiam suffecisset maximus codex ad de-
soriptionem ipsorom ; » Benp,
V. 70-00. Salita al cielo di Marte.
Abbagliato dal grande splendore degli
spiriti benti ultimamente apparsi nella
afera del Sole, Dante volgo lo sguardo
alla sun Beatrice, la quale gli ai manifesta
con tanta bellezza e luce, che egli nol
può ridire, come non può ripensare colla
mente alle altre bellozze e Inci di quelle
corone concentriche di vivi splendori. In
questo momento salgono a sito di mag-
gior gloria, cioè al quinto clelo. Anche
qui il salire si fa in on attimo, sì che il
Posta non si accorge del rapidissimo suo
volo. Soltanto dopo essere arrivato nella
sfera di Marte egli ai accorge del ano an-
lire e ne ringrazia Iddio. Ufr. Sante Ha-
stiani, D, Al. nel pianeta di Marte e l'apo-
teosi della Croce bianca, ecc. Nap., 1873.
80. TRA QUELLE: Al. TRA L'ALTRE. -
VEDUTE: spiriti risplendenti, « Ed ac-
erebbe la bolloxza ed il gaudio tanto in
Beatrice, che il Poeta non lo può espri-
mere, e per questo lo lascia tra quelle
vedute cose, che non seguono, anzi ab-
bandonano la mente, quando le vuole de-
scrivere ; » Land.
82, QUINDI: « a Beatrice eraltata; »
Benv. « Dal gnardare in Beatrice, la
scienza divina, gli oochi abbaglianti rian-
no virti;» Tom.
B4, 1N PIÙ: Al. A PIÙ, -— SALUTE : in più
alto grado di beatitudine.
BG. AFFOCATO: ardente, - nso: confr,
Par. V,97.- sTkLLA: Marte; cfr. Conv.
II, 14, «Quanto ala lettera è vero che
lo splendore di Marto viene più affocato
che quello del Sole; imperò che rosseg-
gia, e ln Sole gialleggia: ma quanto al-
l'allegoria, si de' intendere cho maggiore
ardore di carità, cloè più ardente, è in co-
loro che combatteno e vinceno il mondo,
il dimonio e la carne, che in coloro che sè
esercitano ne le Scrittnre;» Buti,
8&7. noogIO: rosso, incandescente ; cfr.
Inf. XI, 73. Purg. ILI, 16.
88, FAVELLA : coll'orazione mentale che
A la stessa in tutti i preganti, quanton-
que d'idioma diversi. Dante non aspetta
omai più che Beatrice lo esorti a ringra-
giare Iddio, come aveva fatto arrivando
al quarto cielo; cfr. Par. X, 62 è seg.
89. OLOCAUSTO : sacrifizio di ringrazia-
mento; cfr. Thom. Ag. Sum. theol, I",
102, 3.
"n ni ~~
100 DI CONLbUILIRUI IMUURLI OL pri VAVILIU
Marte quei rai il venerabil s
Che fan giunture di quadran
V. 91-126. La croce di Marte. Ap-
pena terminata la tacita sua preghiera
di ringraziamento, al Poeta si porge ar-
gomento di credere, essere essn stata ac-
cotta al Signore e gradita. Ad un tratto
vede infiniti lumi accesi e rossi e distinti
lu doe raggi. E come ln via lattea è di-
muinta in mm ri o minori lumi, così
nel profondo di Marte ai vedono costel-
lati quegli splendori in doe raggi for-
manti una croce, nel mezzo della quale
lampe; Cristo. Gli aplendori si mno-
vono tra la cima ed il basso, e di corno
in sorno, scintillando forte nell'incon-
trarsi e nel tra . E come anono lon-
tano d'arpa e di giga, s'accoglie per la
croce una melodia che rapisce il Poeta,
Il quale, pur non intendendo ben le pa-
role, si accorge che l'inno è: Iisorgi «
vinci, inno cantato in lode di Cristo dal
martiri nel pianeta di Marte,
dl. rsausto: esaurito ; io non aveva
ancor terminato |] mio tacito è fervido
ringraziamento.
93, TARE: saorificare; In mia pre-
ghiera; cfr. Virg. den. II, 118; IV, 60.
= FAUSTO: grato a Dio. « Più che accetto,
seguito da effetto felico; » Tom,
04. LUCORE: splendore, luce diffusa, -
nre. rasi incandeasantl: olor. di rob-
che signi
che altro
Cfr. Com
97. MA
XXXI, é
nel cielo
qual mer
sia 0 Vis
tratti dà
l'altro d
colare, li
di varia
con i lum
dubbiar
nella qua
dotti soll
roma; > 4
09. FA
Conv, IT
100, 60
costellazi
101, RA
102. CI
una rod
pr
circolo, |
raggio, 4
eonfaran
LI
[CIELO QUINTO
Par. xiv. 108-118 [CROCE DI MARTE] 889
108 Qui vince la memoria mia lo ingegno:
Ché quella croce lampeggiava Cristo,
Sì ch'io non so trovare esemplo degno,
106 Ma chi prende sua croce e segue Cristo,
Ancor mi scuserà di quel ch'io lasso,
Vedendo in quell’albér balenar Cristo.
109 Di corno in corno, e tra la cima e il basso,
Si movean lumi, scintillando forte
Nel congiungersi insieme e nel trapasso.
112 Così si veggion qui diritte e torte,
Veloci e tarde, rinnovando vista,
Le minuzie dei corpi, lunghe e corte,
115 Muoversi per lo raggio, onde si lista
Talvolta l'ombra, che per sua difesa
La gente con ingegno ed arte acquista.
118 E come giga ed arpa, in tempra tesa
croco avevano dunque la lunghezza del
diametro di Marte. Dice giunture e non
le giunture cioè alcune e non tutte, altri-
menti non ne splecherebbe la figura della
croce, ma vi sarebbe congiunto il qua-
ilrnto;» Antonelli.
108, vince: «ui la memoria supera l'in-
gegno, cioè non so descrivere ciò che mi
ricordo di aver veduto, « La memoria mi
dice che vidi Inmpeggiar Cristo in quel
segno; ma l'ingegno non sa trovare esem-
pio da esprimere il come; » Ces. Il caso
vicoversa Par. I, 7-0.
105, proxo: a raffigurarlo, L'arte s'in-
gognò di ponnelleggiare anche questa vi-
sione; Dante invece si confessa inenpaco
di descriverla.
106, em: chi andrà sn a vodere In cosa
mi senserà s'io ne taccio, non trovando
esompio degno od atto ad esprimere quel
lampeggiare; cfr. Par. I, 70-72. - rnen-
pm: ofr. S. Matt, X, 88; XVI, 24. 8. Marco,
VIII, 34. 8, Luca, IX, 23; XIV, 27.
107. LABSO: passo sotto silenzio.
109. DI coRKO: da un'estremitàall'altra
di quella eroce formata di spiriti beati.
110, LUMI: anime beate.
111. xEL ConcIuNcERar: all’ incrocin-
tora dei duo raggi, dove gli spiriti s'in-
contravano è trapassavano, « Cotesti In-
mi eran l'anime beate cho o scorrendo
vicine le nne alle altro o unendosi eaul-
tavano; e il segno dell'esultazione era il
brillare con maggior Ince; » Corn.
1193. vistA: napparonza. « Dai più sn-
blimi fatti dell'universo passa il T'oeta ai
più umili; ma sempre mirabili o sempre
felicemente. Il calore, la gravità, gli at-
triti, i venti e altre cause meccaniche
distacenno continnamonte dai corpi chin
ci stanno il'intorno delle minimo parti-
colle; lo quali per la loro tonnità o leg-
gerezza, soorrono per l'aria in tutte Jo
direzioni, e per la resistenza di essa vi si
trattengono assai prima di obbedire alle
leggi del peso e fermarsi sn gli oggetti
circostanti per rimettersi in giro n nn
nuovo impulso. Questo rimoscolamento
ili tali mintzie coll'aria non ci è par-
vento in piena luce; ma sé tengasi difesa
dal chinrore del di una atanza, © por ac-
cidento o per arte vi ponetri nn raggio
di sole: questo fa contrasto con la 0800-
rità dol rimanente del Inogo, vi genera
una lista Inminosa, detta anche spettro
solare, investe i corpuscoli vaganti, e
rende visibile il fenomeno qui descritto; »
Ant. Cfr. Literet. De rer. nat. II, 115 è
seg. Caverni, La Scuola, 1873, I, 29 6
seg., 632 è seg.
116, rAGGIO: che entra da qualche per-
togio, — ST LISTA: «onde è tagliata, li-
stata, l'ombra che si ottiene per mozzo
de' ripari, come sono le Imposte, la stolo,
e simili altri ingegni, che l'uomo con
arte oppone al sole, » Hr. R.
118. aroA: violino; dal ted. ant, pige ;
oggi Geige; cfr. Diez, Wort. 1°, 212, -
840 [CIELO QUINTO]
Par. xtv. 119-130
[CROCE DI MARTE)
Di molte corde, fa dolce tintinno
A ‘al da cui la nota non è intesa,
121 Così dai lumi che lì m’ apparinno
S’ accogliea per la croce una melode,
Che mi rapiva senza intender l’ inno.
124 Ben m’accors'io ch'ell’era d’ alte lode,
Però che a me venia: « Risurgi e vinci, »
Com
127 lo m’i
Che.
Che 1
130 Forse |
TESA : con le molte ¢
nizzate. « Tendere la |
ma vale le corde ten
che di loro esce più
Tom.
110. PA: Al. FAN.-
X, 143. Virg. Georg.
VII, 19.
120. La NOTA: la melodia studiata. Co-
me un ignorante di musica ode il dolce
suono della giga e dell’ arpa, ma non co-
nosce che noto vengono sonate: così io
udiva il dolce cauto cho i Beati diffon-
devano da tutta la Croce, ma, non inten-
dendono le parole, non comprendeva nep-
pure il senso dell’ inno.
121. M'APPARINNO: mi apparirono; cfr.
Nannuo., Verbi, 197 © seg.
122. B'ACCOGLIKA : si spandeva; ma il
verbo dantesco spiega l’unità della mo-
lodia risonanto nella immensità della
Croce. Così nella mento del Poeta I’ im-
mensa varietà dei minimi versi si racco-
glie nell'unità di un verso supremo. Cfr.
L. Vent., Simil., 57.- MELODK: melodia ;
cfr. Par. XXVIII, 119. « Come si disse
ode © oda, strofe © strofa, ecc., così me-
lode e meloda; » Nanntc.
123. MI RAPIVA: mi faceva andare in
estasi; cfr. Tomin., Diz. dei Sin., n. 2208.
- L'INxO: intendeva alcuno parole stac-
cate, ma non l'inno intioro; cfr. Purg.
IX, 145.
124. ch'eLL'ERA : che la melodia cra di
altelodia Dio(Benv., Land., Lomb., ecc.);
oppure: ch' elli era, cioè l'inno (Buti,
Vell., eoc.).- LODK: plur. di loda, Inf. IT,
103. Par. X, 122. Cfr. Thom. Aq. Stan.
theol. I, 101, 2; 1?, 103, 3.
3 ed ode.
cosa
vinci.
osa,
Nila: fo intendeva, distingueva.
: forse le parole Isaia, LI, 9:
70, consurge, induere fortitadi-
thium Domini.» Gli antichi ai
che queste parole siano dirette
(Lan., Ott., An. Mior., Benw.,
). Meglio Buti: « Questa è pa-
2. a «i Santa Scrittura cho al dice di
Cristo; imperò che egli risurresse da
morte e vinse lo dimonio che aveva vinto
l'uomo. e questo bene 4 intelligibile a lo
intelletto umano; mal’ altre cose divine,
cho furono fatte da Cristo e che in lui
sono, et uppreadeno e dicono li beati che
sono comprensori, non si possono inten-
dero da noi che siamo viatori. E però de-
bitamente finge lo nostro autore ch' elli
non apprendeva se non Risurgi e vinci;
ma l'altre cose no, perchè egli era ancora
viatoro. » Così i più (Post. Cass., Land.,
Vell., Dan., Vent., Lomb.,eco.). Cfr. Com.
Lips. 111, 386 e seg.
V. 127-139. L’estusi beata. Il canto
di quegli spiriti lo rapisce talmente, che
il Poeta giura di non avere mai gustato
sinora più intenso diletto. Ma forse, ag-
giunge, sembrerà a taluno che io dica
troppo, posponendo la gioja che m'in-
fondevano gli occhi di Beatrice a quella
dolco armonia. Mi scuserà tuttavia chi
si ricorda che, giunto in Marte, io non
aveva ancora volto a lei lo sguardo.
127. quinci: di quella dolco melodia.
120. vinci: vincoli di piacere. « Vinci
sono quelli legumi onde comunemente si
lega le botti, ovvero gli cerchi d' esse; »
Lan., An. Fior.
130. 081: ardita, temeraria; cfr. Purg.
XI, 126; XX, 140.
[CIELO QUINTO]
Par. xiv, 181-189
[ESTASI BEATA) 841
Posponendo il piacer degli occhi belli,
Nei quai mirando mio desio ha posa.
138 Ma chi s'avvede che i vivi suggelli
D'ogni bellezza più fanno più suso,
E ch’io non m' era li rivolto a quelli,
136 Escusar puommi di quel ch'io m'accuso
Per escusarmi, e vedermi dir vero:
Ché il piacer santo non è qui dischiuso,
139 Perché si fa, montando, più sincero.
181. occ: di Beatrice. « Più che si
monta in su, diventa più puro, più spi-
ritonle. Perciò sempre più 4 astratto
l'animo dalle bellezze spirituali che dalle
bollezze delle parti corporee, come sono
gli occhi; » Corn. Non è spirituale la bel-
lezza degli occhi di Beatrice!
133. vivi SUGGELLI: i cieli, così chia-
mati per cagione dell’ influsso che attri-
buivasi loro sull'anima nmana, Così i più
(Ott., Post.Cass., Buti, Lomb., Biag.,Ces.,
Tom., Br, B., Frat., Greg., Blane, eco.).
Altri: gli oochi di Beatrice ( Vell., Dun.,
Vol., Vent., Andr,, Filal., Witte, eco.).
134. rt) FANNO: si manifestano in bel-
lozzn sompre maggioro, quanto più si
nacondo,
135. A QUELIA: agli ovchi belli di Dea-
trice, v. 131.
130, escusanr: lat. ercusare, sonsaro,
Al. ESCUSAR:-M'ACCUSO : di non essermi
ancor rivolto a guardare la mia donna.
137. KSCUSARMI : Al. ISCUBARMI; a mia
sensa, per aver detto di non aver mai
gustato tanto diletto, quanto all' udire
quel dolcissimo canto nel cielo di Marte.
L'accusa di non avere ancora mirato gli
oochi belli di Beatrice è la scura di es-
serail còsì esternato. - E VEDERMI: 6 può
vedere me che dico il vero,
138. PACER SANTO : degli occhi di DBea-
trice, - DiscHIUSO: escluso; cfr. Par.
VII, 102.
130, al FA: anche il piacer santo degli
ncechi di Montrico cresce, vin via che al
unlo, col ernacor delin bollovan de elell, -
BINCENO: puro, perfotto, Cir. Par. XV,
32 e seg.
842 [CIELO QUINTO]
Par. xv. 1-12
[SILENZIO DEI BEATI]
CANTO DECIMOQUINTO
CIELO QUINTO DI MARTE: MARTIRI DELLA RELIGIONE
CACCIAGUIDA, L'ANTICA FIRENZE E GLI ANTENATI DI DANTE
Benigna volontade, in cui si liqua
Sempre l'amor che drittamente spira,
Come cupidità fa nell’ iniqua,
‘ Silenzio pose a quella dolce lira,
E fece quietar le sante corde,
Che la destra del cielo allenta e tira.
=)
Come saranno a’ giusti prieghi sorde
Quelle sustanzie, che, per darmi voglia
4h’ io le pregassi, a tacer far concorde?
10 Ben è che senza termine si doglia
Chi, per amor di cosa che non duri,
Eternalmente quell’ amor si spoglia.
V.1-12. Il silenzio dei beati. Tace
l'armonia dvi Beati per dare spazio al
Poeta di manifostare i suoi desiderii. La
cortosia della carità nel regno dei cieli
gli è buon augurio per chi in terra invoca
l'intercossione dei santi, o lo induce ad
osclamaro, essere ben giusto che sia dan-
nato in eterno chi a quell'amore più alto
non si disciplina e perfeziona, per inten-
dere in quella vece a cose corrattibili,
trovandosi tra via sulla nou lunga strada
verso la patria celeste.
1.1N CUI: Al. IN CliK.- SI LIQUA: 0 è Îl
lat. liquet = si inanifesta (Zan., Olt., An.
Fior., Benv., Buti, Land., Vell., Dan.,
Vol., Vent., Lomb., ecc.), oppure dal lat.
liquare = si liqueface, si risolvo e torna
in buona volontà (Ces., Bennas., Cam.,
Blanc, ecc.).
3. CUPIDITÀ : cupidigia, la quale non
cerca che il bene proprio. - INIQUA: vo-
lontade. i
4. LitA; canto dei Beati; confr. Par.
XXIII, 100.
P___si
5. COKDE: le anime beato che si gqreie-
tarono, cioè lasciarono il moto, si for-
ma: vuo.
6. ALLKNTA KTIRA: <«remittit et movet,
secundum quod sibi placet, tamquam op-
timus citharista, qui semper bene tem-
perat chordas, nec unquam oberrat; »
Benv.
8. BUSTANZIK: anime beate; cfr. Par.
VII, 5; XXIX, 82.
9. CORCORDK; concordi (cfr. Salviati,
Avvert. II, 10. Nannuc., Nomi, 249 e
seg.) a finire Il loro canto e fermarsi,
per provocarmi ad esternare i miei do-
siderii.
10. BEN È: sta bene, è giusto. Confr.
Thom. Aq. Sum. theol. III, Suppl., 09, 1.
« Chi si lascia condurre alla concupiscen-
za e non all'amore meritamente è dan-
nato in etorno; » Corn.
V. 13-30. Il saluto dell’ antenato.
Pari a quel guizzo di luce che suol dirsi
stella cadente, discende dal destro corno
“della croce luminosa uno dei lumi più sfa-
[CIELO QUINTO]
Par. xv. 18-80
[CACOIAGUIDA] 843
18 Quale per li seren’ tranquilli e puri
Discorre ad ora ad or stibito fuoco,
Movendo gli occhi che stavan sicuri,
16 E pare stella che tramuti loco,
Se non che dalla parte ond’ ei s’acconde
Nulla sen perde, ed esso dura poco;
19 Tale, dal corno che in destro sì stende,
Al piè di quella croce corse un astro
Della costellazion che lì risplende:
Né si parti la gemma dal suo nastro,
Ma per la lista radial trascorse,
Che parve fuoco dietro ad alabastro.
25 Sì pia l'ombra d’Anchise si porse,
Se fede merta nostra maggior Musa,
Quando in Elisio del figliuol s’ accorse.
28 « O sanguis meus, o super infusa
Gratia Dei! sicut tibi, cui
Bis unquam cieli ianua reclusa ? »
villanti, 6 saluta il Poeta con dolcissime
parole, come sno discendente. Questo ln-
me si manifesterà essere l'nnima benta
di Cnociaguida, il milite della fede cri-
stiana e trisavolo di Dante.
13. sKREN': per | sereni nottarni; cfr.
Ovid. Met, IT, 319 è sog. Virg. Aen. IT,
093 è seg.
14, DISCORRE: + Aspectus sorum quasi
fnlgura discurrentia;» Nahum, IT,4. Cfr.
Iuean Phare, V, 661; X, 502,-AD ORA:
efr. Inf. XV, 84.
15. MOvENDO: e quin acilicot sobita-
neo motn et splondore terrefacit viden-
tes: Benv. — BICURI: « sine cura, che
s'oppone allo acotimento che porta al-
l'animo quel subito guizzar di luce; »
Ces. Cfr. L. Vent., Simil., 48, Ronchetti,
Appunti, 142 è seg.
16. tTrAaMUTI: cfr. Frezzi, Quadrir. I,
13. Poliziano, II, 17.
17. onn'ri: AI.ONDE S'ACCRNDE, «Stel-
la non è, perchè la stella non cade, o per-
chè quel fuoco è fuggevola; » Tom.
18. rerbE: la stella, onde quel fuoco
muove, rimane al suo lnogo, Cir. Purg.
V, 37 © seg.
19. DAt. corro: dal braccio destro della
croce; ofr. Par. XIV, 100.
20, UN ASTRO: uno dei risplendenti spi-
riti della Croce di Marte.
21, COSTELLAZION: «© di quella congre-
gazione di beati spiriti, che a modo delle
costellazioni che risplendono in cielo, ri-
splendevano in quella croce. Costellazione
è congregazione di molte stelle; » Buti.
22. NE strantì: per discendere appiò
della croce, quell’ anima non si dipartì
da essa, qual gemma che si epiccasso
da un nastro, ma trascorse por entro il
raggio di quella a guisa di Jame che si
mnova dietro trasparente alabastro. -
LA GRMMA : l'nnima raggiante. - NASTRO :
dalln Inconto striscia. « Score senza aco-
starai mal dalla croce; » Corn.
23, MADIAL: dal lat. radius, raggiante,
« Per la traccia di luce da sò segnata; »
Tom. (').
25. st rta: con tanta tenerezza d'affet-
to.- 481 FORSK: al prestò; ofr. Virgo. Aen.
VI, G84 è arg.
26. Musa: Virgilio, nostro massimo
poeta; cfr. Purg. VII, 16 6 seg.
27. DRL FIGLIVOL: Al. pet. FIGLIO; Enea.
28. 0 SANGUIS: O sangue mio, o grazia
di Dio in te dall'alto infusa, a chi come
a te fu mai dischivea due volte la porta
del cielo? Parla latino, o por indicare il
tempo in che Cacciagnida visse, oppuro
perindizio di dignità; efr. Purg. XIX,00.
20, ps: doe volte, al prosente è dopo
morte; cfr. Purg. 11,0); X,F87, La porta
ee
M44 [CIELO QUINTO]
Par, XV. 31-45
[CACCIAGUIDA]
31 Così quel lume; ond’io m'attesi a lui,
Po.icia rivolsi alla mia donna il viso,
E quinci e quindi stupefatto fui:
DA Ché dentro agli occhi suoi ardeva un riso
Tal, ch'io pensai co’ miei toccar lo fondo
Della mia grazia e del mio paradiso.
87 Indi, a udire ed a veder giocondo,
uu — j — plo cose
Ch'i fondo;
40 Né per
Ma p concetto
Als \ppose.
43 E qua iffetto
Fu s scese ‘
In \ itelletto,
del cielo fa dischioas
San Paolo, il vaso |
II, 28 6 seg. O che v
in corpo, mentre Pi
in vialono (Vell., Ve... -__,, -— _.
Par. I, 78 e seg.; oppure s' ba da inten-
dere: a chi mai tranne a Paolo (Lomb.);
o forse si esprime così perchè S. Paolo fu
rapito « sino al terzo cielo, » e qui siamo
nel quinto. Inattendibile è l'opinione,
che Dante parli così per la disformità del
caso. Cfr. Com. Lips. III, 395.
V. 31-36. Lo sguardo beutificunte.
All’ udire il saluto di Cacciaguida, Dante
guarda prima attentamente quella viva
luce, quindi volge gli occhi a Beatrice e
la vede fatta sì bella, che gli pare di avere
oramai raggiuuto il colmo dolla beati-
tudine.
31. M'ATTESI: posi la mia attenzione a
lui, lo fissai attentamente.
33. QUINCI R QUINDI: dalla parte del
lume e dalla parte di Beatrice, il lume
avendolo chiamuto suo sangue, e Bea-
trice risplendendo d' insolita gioia v bel-
lezza.
35. TOCCAR: « mi parve allora vedere
tatti i termini della beatitudine; » Vita
N., 2.
36. Pakabiso: cfr. Par. XVIII, 21.
V. 87-69. L'invito dell’ amor cele-
ste. Dopo il primo saluto, Cacciaguida
aggiunge cose che superano l'intendi-
mento umano e che il Poeta non potò
quindi intendere. Ciò che egli incomin-
cia ad intendere è una preghiera di rin-
mto per la grazia concessagli.
) poi di nuovo la parola a Dante,
ida continua: Salendo quassù
ila Beatrice hai soddisfatto al
__ «nog dolo desiderio di vederti, con-
copito per aver letto nel gran volume dei
divini decreti, ove nulla mai si cancella
nè si aggiunge, che ci saresti venuto un
giorno. Persuaso che io vedo e leggo |
tuoi desiderii in Dio, tu stimi superfiuo
il dimandarmi dell’ esser mio e dolla ra-
gione di tanta mia gioia in vederti. E
veramente tutti i Beati, qualunque sia
il grado della loro beatitudine, mirano
in Dio, che quale specchio riflette anche
il minimo degli umani pensieri. Tutta-
via, aftiuché si compia meglio quell'amo-
re ond'io sono eternamente acceso, ma-
nifestami francamente il tuo desiderio, al
quale è già prestabilita la risposta.
37. GIOCONDO: grato, piacevole ad udir-
lo ed a vederlo.
38. GIUNSK: aggiunse. - PRINCIMO ; alle
suo primo parolo, v. 28-30.
40. kLEKZION: la profondità del suo par-
lare, che io non potei intendere, non fu
per sua libera volontà, ma perchè diceva
cose che oltrepassano i limiti dell' umana
capacità.
42. DEI MORTAL': Al. DI MORTALI; DI
MORTAL; DKL MORTAL, - BI SOVRAPPOSK:
volò più alto.
43. L'ARCO: l'ardore della infiammata
carità.
44. SFOCATO: Al. SFOGATO. - DISCRSR:
si abbassò al grado dell'umano intelletto.
[CIELO QUINTO]
PAR. xv. 46-62
[cACCIAGUIDA] 845
46 La prima cosa che per me s'intese:
« Benedetto sie tu, » fu, « Trino ed Uno
Che nel mio seme sei tanto cortese, »
49 E seguitò: « Grato e lontan digiuno,
Tratto leggendo nel magno volume
U’ non si muta mai bianco né bruno,
52 Soluto hai, figlio, dentro a questo lume
In ch'io ti parlo, mercé di colei
Ch’all’alto volo ti vesti le piume.
55 Tu credi che a me tuo pensier mei
Da quel ch'è primo, così come raia
Dall’ un, se si conosce, il cinque e il sei;
58 E però chi io mi sia, e perch’ io paia
Più gaudioso a te, non mi domandi,
Che alcun altro in questa turba gaia.
61 Tu credi il vero; ché minori e grandi
Di questa vita miran nello speglio,
46. PER ME: da mo,
48. conTese: cfr. Par. VII, DI.
49. toxtaw: longo; cfr, Inf. II, 60. -
marmNo;: deriderin.
50. TRATTO: vennto in me dal leggore
nel gran libro della divina prescienza.
* Dice per similitudine, cioè, che come
l'nomo leggendo cava del libro ch'egli
legge: così li beati ragguardando, come
si vede nel libro acritto la scrittura ch'è,
in Dio vedono ogni cosa, e quindi cavano
ogni cosa ch’ elli sanno ; » Buti, Cfr. Inf.
XIX, 54.- NEL MAGNO: Al. NEL MAGGIOR.
5L. NON BI MUTA: nel quale non si l'anno
mal mutazioni ed alterazioni come nei
libri umani (ofr. Purg. XII, 106. Par.
XVIII, 130), ma quello che vi è soritto
4 immotabile in eterno. «In cotesto vo-
lume totto, 0 ain prospero o sia avvorso,
di bene o di malo, ab eterno è soritto è
non si mnta; » Corn. Confr. Com. Lips.
LIT, 897.
52, BOLUTO: aciolto, nppagato In me;
confer. Inf. X, 114. - DENTRO : in me,
che ti parlo dentro a questo splendore.
Al.: dentro al lume di questo pianota di
Marte,
54. ti vestì: ti diede le ali por fare sì
alto volo; ti foce abile a salire quassi
nello sfere colosti,- rime: cfr. Boet.
Cona. phil. IV, metr. 1.
55. MET: trapassi, dal Int. meare ; cfr.
Par. XIII, 56; XXIII, 79, Tu oredi che
il tno ponsioro venga n me chiaro da Dio,
che è l'Essere primo, come dall'unità
vengono | numeri tutti.
56. QUEL: da Dio, prima Mente (Conv.
II, 4) © prima Bontà (Conv, IV, 0); cfr.
Ep. Kani, 20,- mata: raggia, deriva, pro-
cede; cfr. Purg. XVI,142. Par. XXIX,
136, Conv. III, 2.
57, DALL'UN: dal conoscere l' unità, la
conoscenza degli altri numeri. «Qui trac
dall'aritmetica una opportuna dichiara-
zione a anblime concetto, dicendo che
dalla perfotta cognizione della aasoluta
unità si ha contezza delle cose, comedalla
idea chiara dell'unità matematica pro-
cede In visione intellettuale di ogni nu-
mero, indicato colla determinazione del
cinque e del sei. Questa veduta sempli-
cissima è il fondamento della scienza dei
numeri; » Antonelli,
58, e rend: quindi non domandi chi io
sia, nd perché io ti faccia maggior festa
che non tutti questi altri spiriti beati,
avvisandoti cioè, cho lo sappia ciò che tu
pensi.
60. GAIA: lieta, allegra; cfr. Diez, Wirt.
I*, 196.
61. minori: gli spiriti beati, tanto di
minore quanto di maggior grado e gloria,
mirano tutti in quel Dio cho vede | pen-
sieri già prima che sieno concepiti.
62. VITA: celoste, - BFROLIO : specchio,
(ofr. Inf. XIV, 106, Par. XXX, 85), nel
846 [CIELO QUINTO]
Pan. xv. 63-76
[CACCIAGUIDA]
In che, prima che pensi, il pensier pandi.
da Ma perché il sacro amore, in che io veglio
Con perpetua vista e che m’asseta
Di dolce disiar, s'adempia meglio,
67 La voce tua sicura, balda e lieta
Suoni la volontà, suoni il disio,
A che la mia risposta è già decreta. »
70 Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
Pria ch'io parlassi, ed arrisemi un cenno
Che fece crescer l'ali al voler mio.
7 Poi cominciai così: « L’affetto e il senno,
Come la prima Egualità v’ apparse,
D'un peso per ciascun di voi si fenno;
76 Però che il Sol, che v'allumò ed arse
quale i Beati vedono tutte le coso; cfr.
Par. XXVI, 106.
63. rnima: « Intellexisti cogitationes
mona ide longe; » Salm. CX A XVITTI, A. -
PANDE: manifesti, dal latino pandere ed
usato nel medesimo senso anche in prosa;
cfr. Par. XXV, 20.
64. PKKCHR: aflinchè. - VEGLIO: confr.
Purg. XXX, 103.
66. xkGLI0 : intendendo il tuo desiderio
per bocca tua propria.
67. BALDA : franca, coraggiosa. « Tre
cose toccò che debbe avere lo parlatore
nella sua voce: ciod che debbe esser fer-
ma e non tremante, che signitica timore;
o debbe essere ardita, cioè alta e nun bas-
su, che significa diNidenzia; o debbo es-
sore livta o non piangulosa, che sigunilica
tristizia; e veduto in lui queste tre cose,
crescerà l'ardore de la carità; » Buls.
68. SUONI: si manifesti con parole.
69. DECRKTA: determinata, decrelata,
pronta; cfr. Par. I, 124. Ho già fissa la
risposta a darti.
V. 70-87. Scusa e preghiera. Con
uno sguardo Dante chiede, con un sor-
riso ottiene liconza di parlare dalla sua
Beatrico, quindi e' si scusa di nun poter
esprimere l'affetto che sente, © prega
Cacciaguida di manifestarsegli per nome.
La scusa 6 espressa iu questo giro di pa-
role: Dacché Dio, prima e perfetta Ugua-
glianza, apparve in Cieloa voi, padre mio,
il sentire ed il pensare vi si fecero di pari
vigore, perché a quel Sole che v'illumina
di verità e vi accendo di amore, lu conce-
zione della verità o dell'amore ri fanno
tra loro eguali, onde nessona idoa di pa-
rità omana può esprimere tale ugua-
glianza in modo adequato. Ma nei mor-
tali volere «l intendere non vanno di
volo sì pari; cd io, mortale, non trovando
concetti corrispondenti all'affetto, molto
meno ho parole da tanto; e però uon rin-
grazio che col cuore.
70. ubìo: m'inteso, comprese il mio
desiderio senza che io aprissi bocca.
71. ARRISEMI: mi feco sorridendo un
cenno. Al. AKKOSKMI =o mi aggiunse un
cenno. Cfr. Par. I, 95. Com. Lips. III,
399 o seg. La gran maggioranza dei codd.
sta per la lezione arrisemi.
72. FRCR CRESCKK: ni fece più lesto a
parlare; cfr- Purg. XXVII, 123.
73. POL COMINCIAL: Al. K COMINCIAI. -
L'AFFRITO K IL SKNNO: il sentimento e
l'intelligenza. « L'intendere ne’ beati è
uguale al volere, perchè sono in Dio dove
tutte le facoltà umane, come in fermo e
uguale fondamento riposano saldamen-
to; » Tom.
74. EGUALITÀ: Dio. «Ogni perfezione
od attributo divino è eguale all'altro per-
chè tutti si identificano nella divina es-
senza. Quindi si può dire: Dio è sapienza,
Dio è amore, ecc. Col suo manifestarsi al
beato lo rende a sò simile; » Corn. Cfr.
IS. Giov. III, 2.- v'AVrPARSK: vi ai foce
visibilo; tosto che voi ontraste nel regno
dei cieli; cfr. Salm. XVI, 15.
75. D'UN PKSO: si fecero in ciascuno di
voi d'un peso= pari, eguali.
76. SOL: Dio. l’erciocchè Dio, che vi il-
Numind col lume della sua sapienza, e vi
[CIELO QUINTO]
[CACCIAGUIDA] 847
Col caldo e con la luce, è si iguali,
Che tutte simiglianze sono scarse.
79 Ma voglia ed argomento nei mortali,
Per la cagion ch’a voi è manifesta,
Diversamente son pennuti in ali.
82 Ond’io che son mortal, mi sento in questa
Disagguaglianza, e però non ringrazio
Se non col cuore alla paterna festa.
85 Ben supplico io a te, vivo topazio,
Che questa gioia preziosa ingemmi,
Perché mi facci del tuo nome sazio, »
mR « O fronda mia, in che io compiacemmi
Pure aspettando, io fui la tua radice: »
Cotal principio, rispondendo, femmi.
ol Poscia mi disse: « Quel da cui si dice
riscaldò col caldo del suo amore, è tal-
mento eguale rispetto a qnesti snoi at-
tributi, che nessuna comparazione sa-
rebbe adequata a rendero l'idea di tale
egualità, La comune: AL 80L; lezione
priva di antorità di codd, e che involve
nna superfina tantologia. Cir. Com. Lips.
IIT, 401 © acg.
77. 1GUALI: eguale, Iguali por eguale
al sing. è dell’ nao antico; confr. Giord.,
Pred., 38: «il demonio desiderò d' essere
iguali a Dio; » Ejuad., Pred, ined., 195,
Nannue., Nomi, 175-215.
79. VOGLIA ED ARGOMENTO: affetto è
senno (v, 73), il primo, atto del sentimen-
to, il secondo, dell’ intelligenza. 1) Posta
vool qui esprimere quella disuguaglianza
onde col senno, col ragionare (argomento)
non può spiegare l'affetto (la voglia) suo,
nè rispondere alla paterna festa che col-
l'intenzione del cuore.
B0. MANIFESTA: per la vostra enpienza
cho tutto conosce.
81, BON PENNUTI: non volano l'una
pari dell'altro, ma la voglia (Il sentimen-
to) vola sempre innanzi all'argomento
(all'intelligenza).
83. DIBAGGUAGLIANZA: tra Voglin o ar-
gomonto, il sentimento e l'intelligenza.
Ri. cor, cuore: ofr. Par, XIV, 88 6
seg. = PATERNA: avendolo Cacciaguida
chiamato suo sangue, v. 28; suo seme,
vy. 48; #uo figlio, v. 62.
85. A TR: Dante costruisce alla latina
il verbo supplicare colla prep. a e col
terzo caso; cfr. Par. XXVI,64; XXXIII,
25, - ToPrAZIO: pietra preziosa di color
giallo; cfr. Par. XXX, 70, « Topazio è
una gemma intra l'altre maggiore; è
sonne di due ragioni: l'ona ha colore
d'aoro purissimo, l'altra ha colore di
purissimo nere; et è sì perspicacissimo,
che riceve in sò In chiarezza di tutte
l'altro gemino. Dicesi cho n colni cho "|
porta non può nuocere nomico; » Ott.
86. GIOIA: questa croce lbminosa. Al,:
questo pianeta di Marte; ofr, Par. II,
84; VI, 127.
V. 88-06, La rivelazione. Udita la
preghiera di Dante, Cacciaguida si af-
fretta a soddisfarlo. Ma non incomincia
dal dirgli il suo nome, dicendogli invece:
Tu sei un mio discendente, io sono il tao
progenitore. 11 tuo bisavolo fo mio figlio;
è tottora in Purgatorio, prega per lui.
88. IN che: Al. 1x cur, lezione troppo
sprovvista di autorità e meno eleganto. -
COMPIACEMMI: mi complacqui ; ofr. Prov.
Ill, 12. 8. Matt. 1II, 17. &. Marco I, 11.
S. Luea INI, 22,
89. rune: il solo aspeltarti mi fu di-
letto; cfr. v. 49 © seg. - RADICE: caposti-
pite; di antenati più antichi di Caccia-
guida sembra che Dante stesso non ne
anpesse nulla. Cfr. Jsaia XI, 1. Thom.
Aq. Sum. theot, 1°, 81, 1, Conv, IV, 5:
«Fa contemporaneo alla ratico della pro-
genio di Marin. »
91. quien: colui dal quale la tua pro-
aapia ha preso il cognome degli Alighieri.
Parla di Aldighiero figlio di Cacciaguida,
menzionato insieme con suo fratello Prei-
848 [CIELO QUINTO]
Par. xv. 92-104
[FIRENZE ANTICA]
Tua cognazion, e che cent'anni e piùe
Girato ha il monte in la prima cornice,
a4 Mio figlio fu, e tuo bisavo fue:
Ben si convien che la lunga fatica
Tu gli raccorci con l’opere tue.
07 Fiorenza, dentro dalla cerchia antica,
Ond' ella toglie ancora 6 terza e nona,
Si stawa in pace, sobria e pudica.
100 Non avea catenella, non corona,
Non donne contigiate, non cintura
Che fosse a veder più che la persona.
103 Non faceva, nascendo, ancor paura
La figlia al padre, ché il tempo e la dote
tenilto in un documento del 1189. Ulte-
riori notizie di questo Aldighiero non si
havno, Fu padre di Bellincione, che ge-
nord Aldighiero II padre di Dante, Lo
dicono ancor vivente pel 1201; ma sé-
condo questi versi dovrebbe esser morto
prima del 1200. Del rosto Dante poteva
ignorare l'anno preciso della morte del
suo bisavolo.
93. MONTE: del Purgatorio. - CORNICE :
nel primo cerchio del Purgatorio, che è
dei superbi; cfr. Purg. XI, 29; XIII, 4.
Alcani (Lan®, Ott., An. Fior.), intendono
invece del primo balzo dell'Antipurga-
torio. Ma Dante non chiama mai cornici
i balzi dell’ Antipurgatorio.
95. FATICA: di portare il grave peso
sotto il qualo vanno curvati nol Purga-
torio i superbi.
96. OPKRK: pio, fatte in suffragio di lui.
V. 97-129. L'antica Firenze. Dopo
che Cacciaguida gli ebbe detto: Aldi-
ghiero I tuo bisavo fu mio figlio, Dante
doveva già sapere chi si fosse lo spirito
che gli parlava. Onde prima di parlare
più particolarmente di sè, Cacciaguida
descrive lo stato tranquillo o felice di
Firenze nel tempo della sua nascita. Con
questa descrizione si confronti quella del
cronista Giovanni Villani, contempora-
neo di Dante (lib. VI, cap, 69), il quale
dice su per giù le stesse cose. Cfr. Com.
Lipa. 111, 404 o seg.
07. CERCHIA: dentro dal circuito delle
antiche mura cominciate nel 1078; cfr.
Vill. IV, 8.- ANTICA: essendosene inco-
minciata una nuova sin dal 1284. Cfr.
Carbone in D. e il suo secolo, 418-801.
Witte, Dante-Forechungen, IL, 1-2.
98. TOGLIE: « sulle dette mura vecchio
aj è ona ecclesia chiamato la Badia, la
quale ecclesia snona terza e nona e altro
ore, alle quali li lavoranti delle arti en-
trano ed escono di lavorìo; » Lan., An.
Fior. Così tatti gli antichi, mentre in-
vecu l'Aguilhon (Delle ore innanzi l'oro-
logio, Mil., 1858), intende del be? San Gio-
vanni. Ma i suoi argomenti non per-
suadono,
99. IN PACK: le dissensioni e lotte civili
incominciarono a Firenze nel 1177, « per
troppa grassezza e riposo mischiato colla
superbia e ingratitudine; » Vill. V, 9. -
SOLRIa: < temperata in mangiare e in
bere, e pudica, cioè in abito ed in atto
onesta; » Ott.
100. NON AVKA: «nonammetteva la va-
nità di auree catene, di diademi, non dou-
ne con lecalzette ornate, non cintura pre-
ziosa e grando più appariscente che la
persona; » Corn. - CATRNKLLA : braocia-
letto. - CORONA : ghirlanda d'oro e d'ar-
gonto; cfr. Vill. X, 163.
101. CONTIGIATE: adornate (cfr. Diez,
Wort. II”, 22. 4% ed., 738). « Contigie si
chismano calze solate col cuoio stam-
pato intorno al piè; » Buti.
102. A VEDKR: che fosse più vistosa
ed attirasse gli sguardi più che non la
persona stessa che se ne adorna; cfr.
Ovid., Remed. amor., 848 © seg. Conv.
I, 10. È
104. 1. TEMPO: perchè le figlie non si
maritavano anzi tempo, ela dote non era
smisurata. « Nou si usavano così sfolgo-
rate dote; chè, se uno florentino hae due
figliuole, sì sipuò teneredistrutto; » Lan.,
An, Fior. - «Muxitanai oggi di dieci anni
Ta
[CIELO QUINTO]
Par. xv, 105-116 [FIRENZE ANTICA]
849
Non fuggian quinci e quindi la misura.
106 Non avea case di famiglia vite;
Non v'era giunto ancor Sardanapalo
A mostrar ciò che in camera si puote.
109 Non era vinto ancora Montemalo —
Dal vostro Uccellatojo, che, com’ è vinto
Nel montar su, così sarà nel calo.
112 Bellincion Berti vid'io andar cinto
Di cuojo e d’osso, e venir dallo specchio
La donna sua senza il volto dipinto;
115 E vidi quel de’ Nerli e quel del Vecchio
Esser contenti alla pelle scoverta,
ed anco di meno.... e dannosi ll 400 fiorini
ed oltre per dote, come se fossono fave ; »
Buti, Cfr. Vill. VI, 70. Del Lungo, Dino
Comp. I, 1101 Zdekauer, Miscell, fior, di
erudiz. e storia, 1886, 1, 25, 97 © sog.
100. vOrr: non grandi palazzi con ca-
mere vuote por lusso. Così Lan., Ott.,
An, Pior.,Post,, Cass, Petr. Dant., Benw.,
Port., Ces., Tom., Br. B., Greg., Andr.,
Filal., eco. Al.: non erano vuote le case
per gli esigli cagionati dal parteggiare
(Buti, Land., Veil., Dan., Vent., Lomb.,
Biag., Frat., ecc.). Al.: non erano lo case
vote di figlinolanza a motivo de’ grandi
vizi de' padri (Salvagnoli, Giorn. arald.,
1824, p. 109. Balbo, Vita di D., 18. Borg.,
Cam., Frane., ccc.).
107. SARDANATALO: re d'Assiria dal
607 al 620 n. C., il cui Insso è In cui mol-
lezza erano proverbiali proaso i Greci;
cfr, Aristoph, Aves, 1022. Diod. Sie. II,
23-34. Paolo Oros, I, 10, Juven, Sat, X,
862, Secondo i più Sardanapalo è qui fl
tipo della studiata libidine e dell'impadi-
clzia (Lan., Ott., An. Fior., Petr. Dant.,
Falso Boee., Iuti, Land, Vell., Dan.,
Vent., Lomb., eoo.). Sembra però che non
alluda qui che allnsso ed alla morbidezza,
come intesero Post, Cass., Renv., sco.
108. PUOTR: ofr. Virg. Aen. V, 46
seg. Petrar., Son., P.IV,son. XIV(CV),
D è ang.
109. MoxTtRMALO: oggi Montemario
presso Roma, d'onde al prospetta Incittà
di Roma.
110. UccrLLATOJO: monte distante cin-
que miglia da Firenze, d'onde si prospet-
tava questa città. L'aspetto di Roma non
era ancora superato dall'aspetto di Fi-
renze e de'snoi palazzi.
Bi. — Div. Comm., 3° ediz.
111. NEL CALO: mol calare, nella deca-
denza, Firenze, che vince adesso Roma
in magnificenza, la vincerà anche in ro-
vine; ofr. Purg. XXIV, 79 e seg.
112. BeLLINcion Benti: padre della
buona Unnldrada (cfr. Inf. XVI, 87),
della nobile famiglia det Ravignani, ono-
revole cittadino di Firenze (cfr. Vill.
IV, 1), il quale visso nella seconda metà
del sec. XII, e nel 1176 fo deputato a ri-
cevere il castello di Poggibonsi (cfr. Il-
daf. da S. Intigi, Deliz. IX, 4).
113. p'osso: portar cintura di cnolo
con fibbin d' naso,
114, 11, voro: Al, IL vIRO, - DIPINTO :
di bincca e di rossotto. Sembra che fl
belletto fosse assai in voga in Firenze
ni tempi di Dante,
115. Nenu: i Nerli d'Oltrarno, di
parte guelfa, erano granili o possenti cit-
tadini di Firenze; efr. Will. IV, 13; V,
89; VI, 33. Incopo di Ugolino de' Nerli
fa consolo di Firenze nel 1204; efr. Hart-
wig, Quellen und Forsch, 11, 182, 190.
Lord Vernon, Inf., vol. II, p. 535 e sog.
- neL VeccHio: Vecchietti, nobili floren-
tini del quartiere di porta San Brancazio,
di parte guelfa; ofr. Vill. 1V,12; V, 89;
VI, 33, 79; VIII, 39. «Sono dune antiche
case della detta cittade; e dice che vide
li maggiori di quelle case andare (ed ora
spezial grazia è grande cosa) contenti
della pelle scoperta senza alouno drappo ;
chi In portasso oggi sarebbe schernito;
e vide le donne loro filare; quasi dica:
oggi non vnol filare la fante, non che
la donna; » Ott. Cfr. Lord Vernon, |. c.,
p. 601 è seg.
116. BCOVERTA: non coperta di fregi e
ricami; senza ornamento.
850 [CIELO QUINTO]
PAR, xv. 117-130
[FIRENZE ANTICA]
Es sue donne al fuso ed al pennecchio,
118 O fc innate; e ciascuna era certa
D. la sua sepoltura, ed ancor nulla
Kr. per Francia nel letto deserta.
121 L' uns, vegghiava a studio della culla,
E ‘onsolando usava l'idioma
Che nria li naAti a la madri trastulla;
124 L’altr
Far
Dei
127 Saria
Una
Qua
130 A così
117. aL FUSO: cfr
rESNECCHIO; réeca
120, pin FRANCIA
andavano i Fiorent
Così i più. Al.: ness,
rito morto combattetto pros «e 2 cnc.
Non si tratta qui di guerre, ma di lnsso
smodato, al quale Dante contrappone la
semplicità e parsimonia del Fiorentini
antichi.
121. A STUDIO: a cura, al governo dei
figliuoletti.
122. CONSOLANDO: il bimbo. « Dice che
di quelle alcuna vegghiava a cullare il
suo fanciullo per addormentarlo, conso-
landolo con quelle materne e vezzose lu-
singhe; oggi per sé 6 la camoriera, per
sò la balia, per sò Infante; » Ott. Cir. Purg.
XXIII,111. Zibul. II, 5, 93. Com. Lips.
III, 412. - L'ipioma; le voci infantili,
primo trastullo dei padri e dello madri.
123. PRIA LI: Al. PRIMA I. - PADRI: che
non andavano a cercar trastullo altrove,
ma lo trovavano in seno della propria fa-
miglia, presso la moglie od i figli.
125. FAVOLEGGIAVA: andava ripetendo
le anticbe tradizioni popolari salle anti-
chità di Fiesole, di Troja o di Roma; cfr.
Vill. I, 6 © seg.- FAMIGLIA: «non è qui
posto a caso. La dama, che non usciva
mai la sera al teatro, nè avea cavaliere
cho le tenesse il crocchio, filando contava
suestoriello e favole al marito, a’ figliuoli,
alle fanti di casa; » Ces.
127. sania: sarebbe stato. I tristi era-
no in quei tempi così rari, come ora i
buoni.
hioma,
iiglia
Roma.
la,
Itarello,
‘orniglia,
ANGHELLA: della famiglia della
sata a Lito degli Alidosi da Imo-
a per la sua superbia e lascivia,
iin verso fl 1830. « Hwe moller
inarito reversa est Florentiam,
we vara fit vaniasima, otf multos habult
procos et multum lubrice vixit. Unde
ipsa mortua, quidam frater simplex prm-
dicaus super funere eius, dixit, quod in-
venerat in ista fumina unum solum peo-
catum, scilicet, quod oderat populum
Florentia» ;» Benv. Clr. Boccac., Labir.
d'amore, 125. - LAPO SALTERBLLO : dot-
tore in legge e poeta fiorentino, contem-
poraneo di Dante, assieme con lui con-
dannato nella sentenza del 10 marzo 1302,
forso per aver denunziato con due altri
concittadini lo tramo di alouni Fiorentini
cou Bonifuzio VIII che voluva incorpo-
rare la Toscana allo Stato della Chiesa;
cfr. Del Lungo, Dino Comp. I, 48 © seg.;
174 © sog., eco. Levi, Bonif. VIII e le
sue relaz. col com. di Fir., Roma, 1882.
«Giudice di tanti vezzi in vestire e in
mangiare, in cavalli o famigli, che infra
nullo termine di sua condizione ai con-
tonne; » Ott.
129. CINCINNATO: Il celebre dittatore
romano; cfr. Par. VI, 40. - ConniGLIA:
Cornolia, la madre dei Gracchi, cfr. Inf.
IV, 128. 7st. Liv. XXXVIII, 57. Qe,
Brut. XXVII, 104. Quintil. I, 1, 16.
V. 130-148. Cacciaguida. Dopo aver
descritto l' antica Firenze, Cacciaguida
parla di sè stesso, rispondendo alla do-
manda di Dante v. 85-87. Dice che nacque
a Firenzo e fu battezzato nel bel San
‘(CIELO QUINTO]
Par, xv. 181-143
[CACCIAGUIDA] 851
Viver di cittadini, a cosi fida
Cittadinanza, a cosi dolce ostello
133 Maria mi dié, chiamata in alte grida,
E nell’ antico vostro Batisteo
Insieme fui cristiano e Cacciaguida.
126 Moronto fu mio frate ed Eliseo;
Mia donna venne a me di val di Pado,
E quindi il soprannome tuo si feo.
139 Poi seguitai lo imperador Currado,
Ed ei mi cinse della sua milizia,
Tanto per bene oprar gli venni in grado.
142 Retro gli andai incontro alla nequizia
Di quella legge, il cui popolo usurpa,
Giovanni; che sposò una donna della
Valle del Po; che sognitò poi l'impera-
tore Corrado dal quale fu fatto cavaliore,
© che morì combattendo contro gl' infe-
deli. Di più non ne sanno nemmeno gli
antichi blografi e commontatori. L' eal-
stenza di Cacciagnida è posta foori di
dabbio dal documento del 1189, dal quale
Tisulta che in quell'anno Uaccingnifla
non vivova più. Cfr. Della Casa di Dante
I, 20 oseg. Pasecrini, Famiglia Alighieri,
p. 8. &. Scaetta, Cacciagnida, Pad., 1894.
133. curAMATA: invocata da mia ma-
dre nei dolori del parto; cfr. Purg. XX,
19, è seg.
134, BaTistro: nel Battistorio di San
Giovanni; cfr. Inf. XIX, 17 © seg.
135. 1INsIKMR: ebbi al battesimo il no-
mo di Cacciagnida,
136, Mononto: di questo fratello di
Cacolaguida, como puredell'altro, Klisco,
non si hanno notizie, Il Moronto de Arco,
ricordato in un documento fiorentino del
2 aprile 1076, non ha qui che vedere, Che
Eliseo fosso il capostipito degli Elisei,
come affermò il Felli 6 ripeterono altri, è
opinione inattendibile, gli Ellsei essondo
nasni più antichi. Che Cacciaguida appar-
tenesse alla famiglia degli Elisol è una
supposizione della quale mancano asso-
Intamente le prove, Cfr. Com. Lipa. INT,
415 o sog.
197. van ni Pawo: | più intendono di
Ferrara, alenni di Parma, il Dionisi di
Verona. A Ferrara floriva una famiglin
Alighieri (confr. Cittadella, La Famiglia
Alighieri in Ferrara, Forrara, 1865); se
anchen Parma ed a Verona non è provato,
138, quinpi: dalla min donna. « A Cac-
cinguida nella ana giovinezza fu data dai
anni maggiori per isposa una donzella
nata dogli Aldighiori di Ferrara, così por
bellezza e costumi come per nobiltà di
sangue pregiata, colla quale più anni via-
so, o di lei gonorò più figlinoli. E come
che gli altri nominati si fossero, in nno,
siccome le donne sogliono sssor vaghe
ili faro, lo pincque di rinnovaro il nome
do’ suni passati, o nominollo Aldighieri;
como che il vocabolo poi, per sottrazione
di questa lettera d corrotto, rimanesse
Alighieri ;» Boce., Vita di D., 2.
139, Currapo: Corrado ILI di Svevia,
regnò dal 1137 al 1152 ed andò nel 1147
con Luigi VII di Francia in Terra Santa,
dove nssediò inutilmente Damasco. Ma
non passò per Firenze, nè si trova che
alcon Fiorentino lo seguitasse, Pare che
Dante scambiasse Corrado III con Cor-
rado II (1024-1039), che « andò in Cala-
vra contro n' Saracini ch'erano vennti a
guastare il prese, e con loro combatteo,
o con grande spargimento di sangue del
cristiani li cacciò 6 conquiae. Questo Cur-
rado si dilettà nasai della città di Firenze
quando era in Toscana, e molto l'avanzò,
o più cittadini di Firenze si feciono ca-
valieri di ana mano © furono al suo ser-
vigio; » Vill. IV,9. Anche alcuni comm.
antichi confnsero | dae imperatori. Cfr.
Com, Lipa, 111, 417,
140, mr cixsKk: mi frogiò dell’ ordino
della cavalleria, mi foce cnvallero.
141. tx Grapo: Al. A GRADO,
143. LEGGE: manmettana. Non dice che
andò in Terra Santa, ma soltanto cho an-
852 [cirLO Quinto] Pan. xy. 144-148 - xvi. 1-8 [VANTO DI NOBILTÀ]
Per colpa dei pastor’, vostra giustizia.
145 Quivi fu’ io da quella gente turpa
Disviluppato dal mondo fallace,
Il cui amor molte anime deturpa,
148 E venni dal martirio a questa pace. »
dò a combattere contro quella gente che
la usorpa, e tali erano anche | Saraceni
di Calabria.
144, pu rAsTOR': dei papi. Al. DEL Pa-
ston. Confr. Inf. XXVII, 87 e seg. Par.
LX, 126.— vosTRA GIUSTTZLA : Verra San-
ta, che appartione di diritto a voi Cri-
stiani. « Lo luogo ove fu fatta la iustizia
del peccato del primo uomo nel secon-
do nomo, cioè Jesu Cristo; » Muti, « In
lingua del medio evo si chiamavano ju-
etitia | dritti, le ragioni, gli averi; »
Lami.
145, quivi: tra quel popolo che nsurpa
vostra giustizia. Al.; in Terra Santa, Ma
Uacciagulda non dice di esservi andato.
- TURFA : torpe; anticamente anche in
prosa; ofr. Nannwe., Nomi, 11, 54.
140. DISVILUPFPATO : disciolto, liberato.
« È lo apirito di Cacciagulda che parla; è
per la morte dol corpo sciogliesi lo spi-
rito, e separasi dal mondo; » Lomb. -
WALLACE: clr. Par. X, 126,
147, vperunra: « quia inlicit ot maculat
animas de eo puraa et mundas ; » Bene.
148, DAL MARTIRIO: morendo nel com-
battore por la fede cristiana. Così i pit.
Invece Lan, e An. Mior.: « da quella
prima vita ch'è martiro per rispetto di
quella pace che non aspetta mal guerra
nè rumore, » — PACE: celeste; oft. Par. Par.
Xx, 120,
CANTO DECIMOSESTO
CIELO QUINTO DI MARTE
: MARTIRI DELLA RELIGIONE
IL VANTO DI NOBILTÀ, CACCIAGUIDA ED I SUOI MAGGIORI
L'ANTICA E LA NUOVA POPOLAZIONE DI FIRENZE
O poca nostra nobiltà di sangue!
Se gloriar di te la gente fai
Quaggiù, dove l’affetto nostro langue,
V. 1-9. Il vanto di nobiltà. Avendo
ancor seco di quel d’Adamo, Dante si
compiace in cielo di adire che il suo an-
tenato fu fatto cavaliere, © ne mena
vanto. Ricordandosene, dice di com pa-
tire oramai chi in terra va superbo della
sua nobiltà, deplorando che casa vada
diminuendosi ed estinguendosi se non
è sempre rinfrancata con novelle virtù.
1. DI BANGUE: a distinzione di quella
dell'animo; cfr. Juvenal. Sat. VIII, 20.
Boet. Cons. phil. ITI, pr. 6. De Mon.1I,3.
Conv. IV. Com. Lips. III, 4190 seg.
‘3. LNISU®: è tiopidu al vero bene.
Ey
LI
PAR, XVI. 4-19
[CIELO QUINTO] [PREGHIERA] 853
4 Mirabil cosa non mi sarà mai;
Ché là, dove appetito non si torce,
Dico nel cielo, io me ne gloriai.
7 Ben sei tu manto che tosto raccorce,
Si che, se non s’appon di die in die,
Lo tempo va dintorno con Je force.
10 Dal “ voi ,, ché prima Roma sofferie,
In che la sua famiglia men persevra,
Ricominciaron le parole mie;
13 Onde Beatrice, ch’ era un poco scevra,
Ridendo, parve quella che tossio
Al primo fallo scritto di Ginevra.
16 To comincini: « Voi sieto il padre mio,
Voi mi date a parlar tutta baldezza,
Voi mi levate sì ch'io son più ch'io.
19 Per tanti rivi s'empie d’allegrezza
6. LA: in cielo, dove l'appetito non si
torce n' falsi beni mondani.
7. nacconcer: si raccorcia, La nobiltà
di sangne adorna qual ricco manto In
persona di chi se ne veste; ma so non si
sopperisce ogni giorno n rinfrancare tal
progio con nnove virtù, il tempo gli va
attorno con le forbici raccorciandolo è
finalmente consumandolo.
8. 8'APTON : si aggiunge, — pie: di ; cfr.
Purg. XXX, 103.
D. roncr: lat. furee, forbici; ofr. Ario-
sto, Orl., XV, 80.
V. 10-27. Preghiera al trisarolo.
Come n tutti gli altri, tranne Beatrice
e Brunetto Latini, Dante avern dato del
tu anche allo spirito di Cacciagnida. Udi-
to fl ano ragionamento gli dà riverente-
mente del voi, di che Beatrice sorride.
Dice donque il Poeta al suo trisavolo:
Voi mi riempite di baldanza o di gioja:
ditemi chi furono i vostri maggiori, quali
gli anni della vostra poerizia, quali le
condizioni di Firenze e quali | suoi prin-
cipali cittadini ai vostri tempi.
10. sorrrrin: sofferse. Si credeva co-
munemente che il voi fosse stato dato la
prima volta dai Romani a Ginlio Cesare,
quando egli riunì nella sana persona totti
gli offic) della repubblica. Storicamente
1 Romani non incominciarono a dare del
voi nd una singola persona che nel terzo
secolo dell'èrn volgare, L'erronoa ore-
denra si fondava forso sopra Lenn,
Phars. V,383 e seg.: « Sammum dictator
honorem Contigit, et Imtos fecit se con-
sule fastos. Namqne omnes voces, per
quas jam tempore tanto Mentimor do-
minis, hee primum repperit mtus, »
11. 1x che: nel Voi, cioè nell'uso di
ndoporare il voi invece del tu, la gente
romana persiste meno di altre, cadendo
sempre nol dare del tu, montre gli altri
italiani danno dol voi. Così intendono |
più. Altri: Nel qual vot non perseve-
rano i Romani, che più mon conoscono
la dignità imperiale,
13. scRvrRA : discosta,
14, QUELLA : la dama di Mallehanlt, ca-
moriera della regina Ginevra nel famoso
romanzo di Lanellotto; cfr. Inf. V,127
o sag.- Tossio: tassi, vedendo Lancilotto
baciare la regina. Beatrice sorride per es-
sersi accorta della vanagloria di nobiltà
che suggerì a Dante di dare del poi al
suo glorioso antonato.
16. vor: lo ripeto tre volte; voleva don-
que che foase inteso da Cacciagnidn.
17. BALDRZZA : « sicurtà, Adneoia, confi-
danza, colla gionta però di qualche cosa
di boon ardire; » Ces.
18, rd cn'1o: più di quello che io mi
sentiva; anperioro a mo stesso,
10, PRU TANTI *: per tanti modi si empio
d'allegrerza In mente mia, cho si ralle-
gra di sè medesima, considerando cho
olla pod sostenere tanta nllegrezza sonzn
spezzarsi, ossia rimaner opprossa, Così |
LO QUINTO]
PAR. Xvi. 20-83
[AMOR CELESTE]
La mente mia, che di sé fa letizia,
Perché può sostener che non si spezza,
22 Ditemi dunque, cara mia primizia,
Quai far li vostri antichi, e quai far gli anni
Che si segnàro in vostra puerizia.
25 Ditemi dall'ovil di San Giovanni
Quan: sran le genti
Le ti scanni, »
28 | ye lei venti
rl vidi quella
n blandimenti;
al T e' più bella,
più, Al: « Lam
allegreeza, che
la propria 6938011408, asvssilswesss asus: gru-
trobbe a meno di csserne sopruffutta ; »
Così T'orel., Ronchetti, ecc.
22. PRIMIZIA: stipite, primo della mia
famiglia; cfr. Par. XXV, 14. Dante non
conosce suoi antenati più antichi di Cac-
ciaguida, come non ne conosce la storia,
che non sa dirci di chi Cacciuguida fosse
figlio.
23. QUAI YOR GLI ANNI: quando nasce-
ste. «Che anni domini correa nel suo
tempo; » Lan., Olt., ecc.
25. pii.L’OVIL: di Firenze, posta sotto
la protozione di San Giovanni Battista ;
cfr. Vill. IV, 10. Ditemi quanti erano al-
lora gli abitanti di Firenze o quali erano
allora i principali cittadini. Fa quattro
domande: 1° quali furono gli antenati di
Cacciaguida; 2° quale fu l'anno della sua
nascita; 3° quanti abitanti aveva in quei
tempi Firenze; 4° chi erano i cittadini
degni di più alti scanni, cioè di maggior
onore. Nella risposta Cacciaguidainverte
l'ordine delle due prime domande e parla:
1° del tempo della sua nascita, v. 34-39;
2° dei suoi antenati, v. 40-45; 3° del nu-
mero degli abitanti di Firenze, v. 46-48;
4° dei principali cittadini, v. 49-154.
V. 28-33. Letizia delV amor celeste.
Così interrogato da Dante, lo spirito di
Cacciaguida mostra per mezzo di più vivo
splendore la suu gioia ed il suo affetto.
La similitudine quiusata racchiudel'idea
separatamente accennata Par. XLV ble
Beg.; X1X, 19 0 seg., cogliendoinziemo \
e soave,
rna favella,
ore e il colore della fiamma prodotta
isrbone acceso; clr. Ovid. Met, VII,
se u BOX.
30. NLANDIMKNTI: parole affettuose.
33. MODKMNA FAVELLA: i pid intendono
che Cacciaguida parlasse latino; altri cho
parlasso in favolla augelica e divina; al-
tri nel volgar fiorentino antico. «< Tem-
pore illius fiorentini non discurrebaut per
wundam, nec per consequens dimitte-
bant proprium idioma patrias, sicut nuno
multi faciunt. Sed corte quidquid dica-
tur, fiorentini qui hodie peregrinantur
loquuntur multo pulcrias et ornatias,
quam illi qui numquam recesserunt a
limine patriw;» Benv.
V. 34-39. L’anno della nascita dé
Cacciaguida. Dal giorno dell’ incarna-
zione di Cristo, sino al dì della mia na-
acita questo pianeta di Marte venne a
riaccendersi sotto le piante della costel-
lazione del Leone 680 volte. Secondo l'A1-
magesto, il manuale di astronomia di
Dante e del suo tempo, la rivoluzione
del pianeta Marte si compio in 686 giorni
e 94 cent.; onde Cacciaguida nacque l’an-
686,94x 580 __,,
no 365,2466 =25 gennaio 1091, seguitò
l'imperator Corrado e morì in età di 56
anni circa. Così i più. Secondo Lan., Ot,
An. Fior., Falso Boce., Buti, Land.,Vell.,
Dan., ecc., i quali calcolano la rivolu-
ziono di Marto due anni intieri. Caccia-
guida sarobbe nato nel 1160, cioè dopo la
sua morte! Altri al v. 38 leggono non
‘TRERTA ma TRE (lezione priva di auto-
WN) © NNcono Caccapoide nato nel 1106.
: i
*
[CIELO QUINTO]
PAR. XVI. 34-47
[ANTENATI] 855
34 Dissemi: « Da quel di che fu detto “ Ave,,
Al parto in che mia madre, ch'è or santa,
S’allevid di me ond’ era grave,
87 AI suo Leon cinquecento cinquanta
E trenta fiate venne questo fuoco
A rinfiammarsi sotto la sua pianta.
40 Gli antichi miei ed io nacqui nel loco,
Dove si trova pria |’ ultimo sesto
Da quel che corre il vostro annual giuoco:
43 Basti dei miei maggiori udirne questo ;
Chi ei si fàro, ed onde venner quivi,
Più è tacer, che ragionare, onesto.
46 Tutti color ch'a quel tempo eran ivi
Da poter arme, tra Marte e il Batista,
Confr. Com. Lips. INI, 424-427. Krauss,
p. 21.
34. pì: dell'Annonziazione ; ofr. S.Lauca
I, 28. Purg. X, 40. Par, III, 121.
35. BANTA: beata.
37. AL BUO: preaso la costellazione del
Leone, « A Marte conviene il Leone; »
Corn.
88. Fuoco: Marte, roaseggiante come
faoco; ofr. Purg. II, 14. Par. XIV, 85
o seg. « Poteva Dante esser più chiaro
in cosa tanto somplice; ma volle com-
parir dotto fuor di proposito; » Betti (1).
V. 40-45, Gli antenati di Cacecia-
grida. Sembra che Dante domandasse
chi si fossero gli antichi di Cacciaguida
soltanto per cogliere l'occasione di dirci
che i anol antenati abitavano già da se-
coli nel centro della città, segno di an-
tica origine fiorentina. Chè Caccingnida
non dà altra risposta; onde vuolsi con-
clndere che del maggiori di Cacciaguida
Dante tacque perchè anche lui non né
sapeva nulla; confr. Proleg., p. 15 e se-
guenti.
40, Loco: nel sesto di Porta San Pioro;
ofr. Vill. IV, 11: LX, 136. Frullani-Gar-
pani, Della Casa di Dante, I, Beseg,.;
II, 7 oe seg. In quel sesto erano pure le
case degli Elisel.
42. aivoco: dello feste di San Giovan-
ni. « Est de more Florentim, quod singu-
lia annis in festo Johannis Baptistm cur-
rant equi ad braviom in signom feativm
Imtitime.... Correntes ad bravinm transi-
bant ante domos Hoelisworom in princi-
pio ultimi sexterii et prope Mercatum
vetus, qui est loons mercatorum anti-
guna et famosns Florentim;» Jenv,
43, qursto : che avevano le loro case
nel sestiere di porta San Piero.
44. ONDE VENNEN: non eran dunque
«di quei Roman’ che vi rimaser quando
Fu fatto il nido di malizia tanta; » Inf.
XV, 77 © seg.
45. omnreto: ofr. Inf. IV, 104 e seg. In
bocca a Cacciaguida queste parole sno-
nano modestia. Cacciaguida vnol evitare
ogni apparenza di orgoglio. In bocca a
Dante poi queste parole vogliono dire
che degli antenati di Cacciaguida, Dante
non ne sapeva nulla. Quindi l'artifizio
poetico, per affermare dall' un canto l'an-
tica dimora nel centro della città, e na-
scondere dall'altro canto la propria igno-
ranza in merito agli abitatori di quella
casa. Puerile ed inattendibile è l'opinio-
ne, che Dante abbia qui voluto nocennaro
ad una origine ignobile e vile.
V. 46-48. L'antica popolazione di
Firenze. Alla domanda: Quanto era al-
lora l'ovil di San Giovanni, Cacciagnida
risponde: Era il quintodi ndesso, Nel 1300
Firenze aveva circa 70,000 abitanti; dun-
que ai tempi di Cacciaguida circa 14,000,
Ma Dante volle soltanto dire che la po-
polazione si ern anmentata assai, non già
fare nn computo di statistico.
47. DA POTRR: sottintendi portare. Al.
DA PORTAR, Cfr, Moone, Crit., 464 è sog.
« Potere armi è una grazia di lingua co-
munissima a' nostriantichi ; » Betti,- Nol
1800 Firenze contava 30,000 nomini ntti
a portar armi; dunque ai tempi di Cac-
Che già per barattare ha I’ o.
58 Se la gente, ch'al mondo più ti
Non fosse stata a Cesare nov
Ma, come madre a suo figliw
61 Tal fatto è fiorentino, e cambia
Che si sarebbe volto a Simif
claguida 6000.- TRA Marr: tra la atatua
di Marte sul Ponto Vecchio è il Batti-
stero di San Giovanni, al tempo di Cac-
clagulda limiti della città di Firenze; ofr.
Vill. 1V, 8, 14. Horghini, Orig. di Fir.,
304 e sog.
V. 49-154, Leprincipali fanviglie di
Firenze, Dopo aver detto che ai tempi
suol Firenze non aveva che il quinto della
popolazione del 1300, Cacciaguida osserva
che al tempi suoi non o' ora miscuglio di
fumiglie di Contado, deplorando l' attuale
mescolanza. Passa quindi ad enumerare
lo principali famiglie d'allora, acconnando
vin via alla decadenza dei siugoli casati.
Cfr. con questa enumerazione Vill. IV,
10-13; V, 39, Com. Lips. IV, 429 è sog.
Lono Vauxon, Inf., vol. IT, p. 399-608.
60. pi Camet: di famiglio venute dal
contado, come da Campi in Val di Bisen-
slo, da Certaldo in Valdelsa e da Figghine
nel Valdarno superioro, Cfr. Vill. VI, 4,
61. Loria, L'Ital. nella D, O. 1°, 315,
. di Beate dimantioa ani. cha
= aoe di ii di
[CIELO QUINTO]
Par. xvi. 63-76 [FAMIGLIE DI FIR.]
857
Là dove andava l’avolo alla cerca.
a4 Sariasi Montemurlo ancor dei Conti;
Sariansi i Cerchi nel pivier d’ Acone,
E forse in Valdigreve i Buondelmonti.
67 Sempre la confusion delle persone
Principio fu del mal della cittade,
Come del corpo il cibo che s’appone.
70 E cieco toro più avaccio cade
Che ’] cieco agnello, e molte volte taglia
Più e meglio una che le cinque spade,
73 Se tu riguardi Luni ed Urbisaglia
Come son ite, e come se ne vanno
Di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia:
76 Udir come le schiatte si disfanno,
63. ALLA CERCA : pitoocando, « Andare
alla cerca si dive di chi va limosinando,
specialmente de' frati; » Caverni. L' usò
il Manzoni parlando di fra Galdino;
Prom. Sposi, o. 4.
64. Montemunto: castello dei conti
Guidi tra Pistoia e Prato, cho i Conti,
non potendolo difendere contro i Pistole.
si, vendettero nel 1254 ni Fiorentini; ofr.
Vill, V, 31. Hartwig, |. 0., 106 © seg. Il-
def. da 8. Invigi, Del. VII, 101 è seg.;
VIII, 135 © seg.
65. PIVIER: parrocchia. - Acown: in Val
di Sieve; ofr. Vill. IV, 87. Hartwig, l. 0.,
32 eseg. Cionacci, Vit. della B. Umiliata,
Fir., 1862, p. 420 e sog. Nel 1300 i Cerchi
capitannvano parte bianen. Cfr. Todeschi-
ni, Seritti su D. I, 341. Del Lungo, D. nei
tempi di D., 39 © seg.
66. VALDIGREVE: al mozzodì di Firon-
ze, dove era sito Montebooni, castello
dei Bnondelmonti, del quale nel 1135 fn-
rono spogliati e costretti a trasferirsi a
Firenze; ofr. Vill. IV, 36. Hartwig, |. c.,
20 e seg. Inf. XXVIII, 106 © seg. Par.
XVI, 1306 seg. « La Grevo è un affinente
di sinistra dell'Arno, che nasce dai monti
del Chianti, e precisamente dal monte San
Michele, bagna Greve, riceve a destra
l'Ema è finisce il sno corso In faccia al
borgo di Brozzi, tra Firenze e Signa; »
Gamb. Conte.
67. LA CONFUSION: la immigrazione di
forestieri, per li costami diversi e per
l'orgoglio solito di chi dal basso nascose in
alto, fu sempro principio di corrazione
n Firenze, come prima cagione di male
al corpo è la mescolanza di cibi diversi.
69. S'AFPONK: si soprappone a quello
già preso =la mescolanza di cibi diversi.
70, AVACCIO: presto; cfr. Inf. X, 116;
XXXII, 106. Diez, Wirt, 11”, 6, — « Pos-
set onim qnia obilcoro: licet civitas sit
ropleta susticis, tamen est maior, et for-
tior et potentior. Ad hoo respondet per
simile quod citius cadit magnus et pro-
tervos populus, sicut taurus, quam po-
pulus parvas humilis et pacificns sicnt
agnellus; nam quanto maior populus,
tanto minor intellectas; » Henp,
71. cne'L CIECO: Al, Cur circo.
72. cinque: da Cacciaguida a Dante il
nnmoro dei Fiorentini atti a portar armi
si ern quintuplicato, v. 48. Cfr. JITorat.
Sat. I, 10,226 s0g. Todeschini, Scritti au
D.II,414e seg. - « E molte volte un pio-
colo esorcito è più possente che un eser-
cito grande; » Betti.
73. Lum: Luna, antica città sulla ri-
viera sinistra del fiumo Macra o Magra,
distrutta sin dai tempi di Dante; ofr.
Vill, I, 50. - Ureractia: Urbis Salvia,
antien città della Marca d' Ancona, non
distante dn Macerata, anch' essa al tempi
di Dante già distrutta.
75, Cmusi: Comarzolum, Clusium, an-
tica città etrusca in Valdichiana, ai tempi
di Dante già in decadenza ; cfr. Will. I, 64.
- SinicagLia: Sena Gallica, città di Ro-
magna che ni tempi di Dante, già in de-
cadenza, faceva parte della Marca d'An-
cova.
858 [CIELO QUINTO]
PAR. XVI. 77-08 [FAMIGLIE DI FIRENZE]
Non ti parrà nuova cosa né forte,
Poscia che le cittadi termine hanno.
70 Le vostre cose tutte hanno lor morte,
Si come voi; ma celasi in alcuna
Che dura molto, e le vite son corte,
82 E come il volger del ciel della luna
Cuopre e discuopre i liti senza posa,
Così fa di Fiorenza la fortuna;
85 Per che non dèe parer mirabil cosa
Ciò ch'io dirò degli alti Fiorentini,
Onde la fama nel tempo è nascosa.
88 Io vidi gli Ughi, e vidi i Catellini,
Filippi, Greci, Ormanni ed Alberichi,
Già nel calare, illustri cittadini;
dI E vivi così grandi come antichi,
Con quel della Sannella, quel dell'Arca,
E Soldanieri, ed Ardinghi, e Bostichi.
77. FORTE: difficile a comprendere.
78. LK CITTADI: che sono tanto più
grandi e più durevoli che non le schiat-
to. « Perpetuo homo non manet; etiam
ipsa civitas deficit; » Thom. Aq. Sum.
theol. III, Suppl., 99, 1.
79. VOSTUK: torrestri.
80. vol: individui. - crLasi: in alcune
cose, come nelle cittadi e nelle schiatte,
la morte si cela, non è veduto dall' indi-
viduo, la loro vita essendo più durevole
che non quolla dell'individuo.
81. LE VITK: dei singoli individul.
82. CIKL: si credeva che il girare del
cielo della luna cagionasse il flusso e ri-
fiasso del mare; cfr. Virg. Aen. XI, 624
e seg. Lucan, Phars. X, 204. Della Valle,
Nuove illustr., 125 e seg. -
83. E DISCUOPER: Al. ED ISCUOPRR.
Come il cielo della luna col flusso e ri-
fiusso del mare cuopre e discuopre in-
cessantemente i liti, così la Fortuna, ora
innalza, ora abbassa la città di Firenze.
Cfr. Thom. Aq Sum. theol. I, 105, 6; I,
110, 3; I1*, 2, 3.
84. DI FIOLENZA : delle cose di Firenze.
86. ALTI: illustri, grundi, nobili; cfr.
Virg. Aen. IV, 230; V, 45; VI, 500.
87. NASCOSA: dimenticata; cfr. Virg.
Aen. V, 302; VII, 205.
88. UGHI: « furono antichissimi, i quali
edificarono Sante Maria Ughi, o tutto il
poggio di Montughi fu loro, e oggi sono
spenti ;>» Vill. IV, 12. - CATELLINI: « fu-
rono antichissimi, e oggi non n'è ricor-
do; » Vill. IV, 12.
89. FILIPPI: «che oggi sono niente, al-
lora erano grandie possenti; » Vill. IV,13.
- Guxct: «fa loro tutto Il borgo de’ Gre-
ci, oggi sono finiti e spenti; » Vill., ibid.
- ORMANNI: « Abitavano ov’ è oggi il pa-
lagio del popolo, e chiamansi oggi Fo-
raboschi;» Vill., ibid. - ALBKRIGHI: « fu
loro la chiesa «ii Santa Maria Alberighi
da casa i Donati, e oggi non n'è nallo; »
Vill. IV, 11.
90. NEL CALARK: nel declinare, ben-
ché ancora illustri. Nel 1800 erano poi
del tutto calati.
92. DELLA SANNRLLA: « erano grandi
intorno a Mercato Nuovo; » Vill. IV, 13.
« Di questi ancora sono alcuni, ma in
istato assai popolesco; » Ott. - DELL'Ak-
Ca: « molto antichi, e oggi sono spenti; »
Vill. IV, 12.
93. SOLDANIERI: di porta San Pancra-
zio e ghibellini; cfr. Vill. IV, 12; V, 39;
VI, 33; VIII, 69 « Questi sono ancora;
ma per parto ghibellina sono fuori; »
Ou. Cfr. Inf. XXXII, 121. - Akbincnia:
erano « molto antichi, » Vill. IV, 11; <s0-
no al presente in bassissimo stato e po-
chi; » Ott. - Bosticui: orano grandi in-
torno a Mercato Nuovo, di parte guelfa;
[CIELO QUINTO]
Par. xvi. 94-106 [FAMIGLIE DI FIR.]
859
94 Sopra la porta, che al presente è carca
Di nuova fellonia, di tanto peso -
Che tosto fia iattura della barca,
97 Erano i Ravignani, ond’ è disceso
Il conte Guido, e qualunque del nome
Dell’alto Bellincione ha poscia preso.
100 Quel della Pressa sapeva già come
Reggor si vuole, ed avea Galigaio
Dorata in casa sua già l’elsa e il pome.
103 Grande era già la colonna del Vaio,
Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Basucci,
E Galli, o quei che arrossan per lo staio.
106 Lo ceppo, di che nacquero i Calfucci,
confr. Vill. 1V,13; V, 29; VI, 83, 79;
VIII, 39. «Sono al presente di poco va-
lore e di poca dignitade; » Ott.
Di. rorra: San Piero, dove nel 1300
abitavano i Cerchi, gente selvaggia od
ingrata (Vill. VIII, 38), o così facilo a
mutar fazione (fellone), che presto con
l'assocondare il partito de' Bianchi Pi-
atoiesi sarà cagione cho la repubblica
Fiorentina (barca) si nbbin n patiro gra-
viasima jattora. Cfr. Todeschini, LI, 417
e seg. Com. Lips. 11I, 438 e seg.
07. RAVIGNANI: « furono molto grandi,
6 nbitavano in sn la Torta San Pietro,...
ediloro per donna nacquero tutti È conti
Goidi, della figlivola del buono moasere
Bellincione Berti; a' nostri di è vennto
menotutto quello lognaggio;» Vill. 1V,11.
08. Guibo : Gnido Guerra VI; cfr. Inf.
XVI, 38, Vill, IV, 1. Todeschini, 11, 418
o seg. Witte, Dante-Forsch, II, 100 0 sog.
Hartwig, Quellen, JI passim; Com. Lips.
ILI, 439 e seg.
09. BELLINCIONE: Bellincion Berti, cfr.
Par. XV,112, padre di Gualdrada. I di-
scendenti di Ubertino Donati, genero di
Bellincione, presero il nome di Bellin-
100. DELLA Preasa : «stavano tra’ Chia-
valnoli, gentili nomini; » Vill. IV, 10;
ofr. VI,75,78.- BAPRVA: « erano chinmati
et erano eletti ofliciali a reggimento de
le terre vicino; » Nuti. Tradirono i Fio-
rentini a Montaperti; cfr. Vill. VI, 78.
101, Gattoato: Galigai, nobili ghibel-
lini del sesto di Porta San Pietro; Vill.
V, 39. « Dice che questi erano già in tale
stato, che di loro erano cavalieri; ora
sono di popolo, nasni bassi; » Ott.
102. PoMR: pomo; cfr. Purg. XXVII,
45, 115. L'impugnatnra della spada do-
rata era de' soli cavalieri.
103. LA COLONNA: i Pigli, del quartiere
di porta San Pancrazio, « gentili vomini
e grandi in quelli tempi; » Vill, IV, 12.
«Avevano per arma una lista di vajo
nel campo vermiglio alla lunga dello scu-
ilo; » An. Fior.
104, SACCHETTI : di parte gnelfa, molto
antichi; Vill. IV, 18; V, 89. « Furono ni-
mici dell'antore.... furono 6 sono, giusta
lor possa, disdegnosi o snperbi; » Oft. -
Givocni: «che oggi sono popolani, abi-
tavano da S. Marghorita;» Vill, IV, 1);
V, 39, «Questi sono divenuti al neento
oggi dell'avere e dello persone; e' sono
ghibellini; » Ott. - Firanti: detti Bogo-
lesi, ghibellini; Vill, IV, 18; V, 38; VI,
65. « Oggi sono neente d'avere è di per-
sone; » Ot. - BARUCCI: « stavano da S.
Maria Maggiore, che oggi sono venuti
meno; bene furono di loro lignaggio gli
Scali o’ Palormini; » Vill. IV, 10; V, 90,
39; VI, 33, « Furono pieni di ricchezze
e di leggindrio; oggi sono pochi in nu-
mero, 6 senza stato d'onore cittadino:
sono ghibellini; » Ott.
105. GALLI: abitavano in Mercato Nuo-
vo ed erano ghibellini; Vill. IV, 13; V,
29. « Caddero al tempo dell' Aatore infino
all'ultimo scaglione, mò credo mai si ri-
liovino; » Ott. - quer: i Chiarmontesi,
gael, del quartiere di Porta San Pietro;
Vill. 1V, 11; V, 809. - Annosaaw : arrossi-
soono a motive dellostajo, dal quale un di
loro trasse ona doga ; cfr. Purg. XII, 105.
100. cerro: «i Donati ovvero Calfacel,
che tutti farono uno legnaggio; ma | Cal-
860 [CIELO QUINTO]
PAR. XVI. 107-123 [FAMIGLIE DI FIRENZE)
n —
Era già grande, e già eran tratti
Alle curale Sizii ed Arrigucci,
109 O quali io vidi quei che son disfatti
Por lor superbia! e le palle dell'oro
Fiorian Fiorenza in tutti i suoi gran fatti.
112 Così facean li padri di coloro I
Che, sempre che la vostra chiesa vaca,
Si fanno grassi stando a consistoro.
115 L’ oltracotata schiatta, che s’ indraca
Dietro a chi fugge, ed a chi mostra il dente
O ver la borsa, come agnel si placa,
118 Già venia su, ma di picciola gente,
Sì che non piacque ad Ubertin Donato
Che poi il suocero il fe’ lor parente.
121 Già ora il Caponsacco nel mercato
Disceso giù da Fiesole, e già era
Buon cittadino Giuda ed Infangato.
facci vennero meno; » Vill, IV,11, «Cal-
fucci, Donati ct Uccellini furono d'un
coppo; li Donati sponsero li detti loro
consorti Calfucci, sì cho oggi nullo, o uno
solo se ne mentova, o pochissimi; » Od.
Il nacquero sarebbe dunque amara iro-
nia. Secondo altri i Calfucci discesero dai
Donati (Benv., Land., ecc.).
108. ALLE CURULE: alle prime dignità
della repubblica, che a Roma davano di-
ritto alle sedie curuli. - Sizii: « erano an-
cora nel detto quartiere (di Porta del
Duomo) Arrigucci e Sizii, » diparte guel-
fa; Vill. IV, 10; V,39; VI, 33, 39, 79, eco.
L'Ott. dice i Sizii quasi spenti, gli Arri-
gucci quasi venuti meno.
109. Quai: gli Uberti, <li quali furono
in tanta altezza, infinu a che non vonne
la divisiono della parte, cho si potea dire
che quasi fossero padri delle cittado; »
Ou. Cfr. Todeschini, II, 421-427.
110. LE PALLE: od i Lamberti, che fa-
rono i primi ad aver palle d'oro nell’ ar-
me, prosperavano allora in Firenze in
tutte le sue grandi imprese. Cfr. Vill.
IV, 12; VI, 33, 39.
112. così: in egual modo prosperavano
gli antenati dei Visdomini e dei ‘l'osinghi,
« padroni e difenditori dol vescovado, »
Vill. IV, 10, « gli quali hanno por regalia
che quando vaca vescovo in Firenzo, fino
alla lezione dell’ altru, sono iconomi; » An.
Fior. Cfr. Com. Lips. TIT, 442 © seg.
e
114. A consistoro: ndnnati Inalemo
«come sta lo papa coi cardinali a consi-
storo ad ordinare li fatti della Chiesa; »
Buti. « Come fossoro padroni, stanno nel
palazzo del Vescovo e se la pappano; »
Corn.
115. L'OLTRACOTATA : la schiatta teme-
raria ed insolente, che prende natura e
ferocia di drago dietro a chi fugge, e si
fa agnello dinanzi » chi le mostra i denti
o la borsa. « Questi sono gli Adimari, gli
quali erano sì piccoli al suo tempo, che i
Donati rilutarono sno parontado; » An.
Fior. Cfr. Vill. IV, 11. « Era irato a quo-
sta famiglia il Poeta, porchè Boccaccio
Adimari occupò i suoi beni, poi che fu
manilato in esilio; e sempre gli fu av-
versario acerrimo, che non fusse rovo-
cato nella patria; » Land. Lo stesso di-
cono pure Vell. ed altri.
120. ciik vot: che Bellincion Berti,
suo suocero, iinpalmeasse l'altra figlia ad
un Adimari, facendolo per tal guisa pa-
rente dogli Adimari. Cfr. Com. Lépe. III,
443 © seg.
121. Caponsacco: i Caponsacchi, di
parte ghibellina, che abitavano preaso a
Mercato Vecchio, furono grandi Fieso-
lani e nel sec. XII ebbero consoli e pode-
stà; cfr. Vil. IV, 11; V, 39; VI, 33, 65.
123. Giunba : i Giudi « son gente d'alto
animo, ghibellini, e molto abbassati d'o-
nore e di persone; o quelli che v' erano
[CIELO QUINTO]
PAR. xvi. 124-136 [FAMIGLIE DI FIR.) 861
124 Io dirò cosa incredibile e vera:
Nel picciol cerchio s’ entrava per porta,
Che si nomava da quei della Pera.
127 Ciascun che della bella insegna porta
Del gran barone, il cui nome e il cui pregio
La festa di Tommaso riconforta,
130 Da esso ebbe milizia e privilegio;
Avvenga che col popol si raduni
Oggi colui che la fascia col fregio.
138 Già eran Gualterotti ed Importuni;
Ed ancor saria Borgo più quieto,
Se di nuovi vicin’ fosser digiuni.
136 La casa di che nacque il vostro fleto,
al tempo dell'Antoro seguirono coi detti
Corelli In fuga; » Ott, Il Vill, non li men-
ziona, se por VI, 65 non a'nbbia n log-
gore Giudi Invoco di Guidi, Cfr, Schefer-
BPoichorst, Flor, Stud., 34. Todeschini, II,
428. - INFANGATO:: « intorno n Mercato
Nuovo erano grandi.... gl'Infangati, » di
parte ghibellina; Vill. IV,18; V,39; VI,
65. « Querti sono Imasi in onoro o pochi
In numoro; sono ghibellini disdognoal ; »
Ott.
124. INCREDIBILE: « dice l'Autore: chi
erederebbe che quelli della Pera fossono
antichi? Io dico ch’ elli sono sì antichi,
che una porta del primo cerchio della cit-
tado fu denominata da loro; li quali ven-
nero sì meno, che di loro non fo momo-
rin; » Ott. Cfr. Vill. IV, 13, Com. Ligie.
IIT, 445.
127. crascun: tutte le famiglie (Pulci,
Della Bella, Nerli e Gangalandi) che por-
tanol'insegnadi UgoilGrande, marchese
di Toscana, morto il di di5.Tommaso1106,
furono da lui decorate dell'ordine caval-
leresco è di privilegi di nobiltà, sebbene
Giano della Bella, che porta per arme
l'insegna di Ugo contornata da un fre-
gio d'oro, si raduni oggi col popolo con-
tro la nobiltà. Le quattro doghe dell'im-
presa di Ugo il Grande furono ridotte n
tre nell'improsa del Pulol, le quali fu-
rono circondate dal fregio in quella dei
Della Bella, attraversate da ana sbarra
d'oro nell'arme dei Nerli; ed era Inquar-
tata, sempre in tre doghe, in quella dei
Giandonati, dei Gnngalandi e degli Ale-
pri. Cfr. Borghini, Arme delle fam. Fior.,
97 è seg. Com. Lips. III, 416.
128, nanonn: Ugo; ofr. Vill. IV, 2.
Hartwig, Quellen und Forsch, I, 85 0 sog.
«Il nome o fl valore del marchoso Ugo,
quando si fa In festa del beato Apostolo
messer Santo Tommaso, si rinnuova;
però che allora di lui nella Badia di Fi-
renze, la quale con molte altre edificò,
si fanno solenni orazioni a Dio per la
ann anima; » Ott, Cir. Puceinelli, Tator,
dell'croiche attioni di Ugo il grande, Mi-
lano, 1643,
132. conut: Giano della Bella, dicono
tutti i moderni. Secondo gli ant., Dante
intende invece di quei Della Bella in ge-
nerale. Infatti Giano, esule sin dal 1295,
non si rannava nel 1300 col popolo di Fi-
renze. Ma ciò non poteva impedir Dante
di esprimersi come egli fa.
138. RRAN : în pregio, fiorivano. -Guat-
TRROTTI : «in borgo Santo A postolocrano
grandi Gualterotti e Importuni, che oggi
sono popolani; » Vill. IV, 13. Ambedue
le famiglie erano di parte guelfa; Vill, V,
29, «I Gualterotti sono pochi in numero,
e meno in onore; degl'Importuni appena
è alouno; » Ott.
134. Borco: Borgo Santo Apostolo,
dove abitavano le duo dette famiglie.
135. vicin': cittadini; i Bnondelmonti,
che « erano nobili è antichi cittadini in
contado, e Montebnon! fu loro castello,
6 più altri in Valdigreve; prima si puo-
sono oltr'Arno, è pol tornarono in Bor-
go;» Vill. IV, 18. Cfr. Hartwig, Quellen
und Forsch. 1I, 20 6 seg.
136, LA CASA: In famiglia degli Ami-
dol, cansa dol fleto (lat. fetus), cioò dol
piantodi Firenze, perl'necisione di Buon-
862 [CIELO QUINTO] Pak. xvi. 187-158 [FAMIGLIE DI FIRENZE]
Per lo giusto disdegno che v' ha morti,
E posto fine al vostro viver lieto,
iso Era onorata, essa e’ suoi consorti:
O Buondelmonte, quanto mal fuggisti
Le nozze sue per gli altrui conforti |
142 Molti sarebbon lieti, che son tristi,
Se Dio t’avesse conceduto ad Ema
La prima volta che a città venisti;
145 Ma conveniasi a quella pietra scema
Che guarda il ponte, che Fiorenza fesse
Vittima nella sna pace postrema.
148 Con queste genti, e con altre con esse,
Vid’ io Fiorenza in sì fatto riposo,
Che non avea cagion onde piangesse;
161 Con queste genti vid'io glorioso
E giusto il popol suo, tanto che il giglio
Non era ad asta mai posto a ritroso,
delinonie Ruondelnonti nel 1216, dalla
quale nucquo lu divisione del vittudini in
Guelfi e Ghibellini. Cfr. Inf. XXVIII,
103 e sog. Vill. V, 38. Hartwig, Quellen
und Forech. II, 158 e seg., 223 e seg., 273
e seg. Scheffer-Boichorst, Flor. Stud., 50
© 80g.
137. DISDEGNO : doll’ affronto ricevuto.
« E dice per lo giusto disdegno però che
gli Amidei ebbero cagione manifesta di
disdegnarsi, sì como più nobili contra li
Buondelmonti. E dice che poso fino al
lieto © pacifico vivere della città, però
che infino a quivi non aveva avuto di-
visioni nella cittade ; et ogni regno diviso
in sò si dissolve; » Olt.
138. K l’OSTO FINK: Al, K l'O8K FINK. -
VIVER LIKTO: descritto in Par. XV, 97
© Beg.
139. ONORATA: il Vill. V, 38, chiama
gli Amidei «onorevoli e nobili cittadini ; »
ma lV, 10-14, non li nomina tra'nobili di
Firenze al tompo di Corrado II. - con-
sort1: Uccellini e Gherardini.
140. MAL: per te cho ne fosti morto, e
per Fireuze che no fu divisa; cfr. 1.
IX, 54.
141. 8UE: della casa Amidoi.- ALTRUI:
di Gualdrada Donati, la quale indusse
il Buondelmonti a rompere la fede pro-
messa alla figliola di Lainbertaccio Ami-
dei, per isposarsi alia figlia di essa Gual-
drada.
143. Ema: fMumicollo in Valdigreve
cho si passa andando da Montobuono,
luogo d'origine de’ Buondeimonti, a Fi-
renze; « nel qualo messer Buondelmonte
fu per affogare, quando la passò la prima
volta per venire a Fiorenza; » Buti. Que-
sta circostanza è ignota a tutti gli altri
antichi ed è forsesemplicemonte desunta
dai versi di Danto. Montebuono, castello
doi Buondelmonti, fu distrutto sin dal
1135; cfr. Vill. IV, 36. Hartwig, Quellen
II, 3, 20 o seg., 40.
145. rikmrua: la statua smozzicata di
Marte; cfr. Inf. XIII, 143 e seg. Vill.
V, 38. « Alcuna idolatria si parea per li
cittadini contenere in quella statua, che
credoano che ogni mutamento ch’ ella
avesse, fusse segno di futuro matamento
della cittade; » Olt.
147. POSTRKMA: ultima, perchd d'allora
in poi Firenze non ebbo più pace.
148. ALTRE: all'anuo 1015 il Vill. V, 39,
ricorda 70 schiatte notevoli di cittadini
fiorentini; Cacciaguida non ne menzionò
nemmeno la metà.
162. GIGLIO: l'insegna di Firenze.
153. a RITRHOSO: per vituperio di scon-
fitta. I Fiorentini iu quei tempi mai vinti
in guerra. « Hoc dicit, quia de more est
victorum siepe pervertore insignia capta
ab hostibas, ponendo caput hast® su-
perius deorsum et pedem sursum. Quod
tamen siepe factum est Florentia tem-
[CIELO QUINTO]
PAR. xvi. 154 — xvi, 1-5
[FUTURO] 863
164 Né per division fatto vermiglio. »
pore bellorum civilinm; quia aliquando
ghibellini expulsi capiebant insignia in-
traneorum; et snbvertebant in oppro-
binm guelphorum, st e contrario;» Benv.
154, VERMIGLIO: l'antica arme di Fi-
renze ora on giglio bianco in campo ros-
so. Dopo la gnorra contro Pistoja nel
1261 i Guelfi fecero loro arme un giglio
rosso in campo bianco, mentre | Ghibel-
lini conservarono l' arma antica. « Cac-
ciati i caporali de' Ghibellini di Firenze,
il popolo e li Guelfi che dimoraro alla
signoria di Firenze, sì mutaro l' armo
del comune di Firenze; e dove antica-
mente si portava il campo rosso e 'l gi-
glio bianco, sì feciono per contrario il
campo bianco e '! giglio rosso, e' Ghi-
bellini si ritennero la prima insegna; ma
la insegna antica del Comune dimezzata
bianca 6 rossa, cioè lo stondale ch' an-
dava nell'oste in sul carroccio, non si
mutò mai; » Vill. VI, 43, Sopra altre ro-
lative tradizioni o leggende confr, Com.
Lips, 1II, 451 © seg.
-
CANTO DECIMOSETTIMO
CIELO QUINTO DI MARTE: MARTIRI DELLA RELIGIONE
I DOLORI DELL'ESIGLIO, SVENTURE E SPERANZE DI DANTE
IL CORAGGIO DELLA VERITÀ
Qual venne a Climenè, per accertarsi
Di ciò ch’ avea incontro a sé udito,
Quei ch’ ancor fa li padri a’ figli scarsi;
4 Tale era io, e tale era sentito
E da Beatrice e dalla santa lampa,
V. 1-30. Scienza dei futuri. Durante
il suo viaggio per l'Inferno ed il Purga-
torio, il Poeta aveva udito parlare oscu-
ramente del ano esiglio e del sno andar
errando per le provinole d'Italia; confr.
Inf. X,790686g.,1210s0g.; XV, Ole acg.
Purg. VIII, 133 © sog.; XI, 139 © sog. I
quando no domandava sohiarimonti, Vir-
gillo gli rispomdova che glieli darebbe
Beatrice; ofr. Inf. X, 124 e seg. Avendo
ora ndito Cacciaguida deacrivere n lungo
l'ovil di San Giovanni è le genti degno
di più alti scanni, gli tornano di nuovo in
mente quelle infauste predizioni, edi puo-
ro ne desidera l' esplicazione. Confortato
a ciò da Bentr, no domanda Cacciaguida.
1. CLiment: madre di Fetonte, che
corse da lei a chiederle se agli fosse vo-
ramente figlio di Apollo, ciò che Epafo,
figlio di Glove, aveva negato; cfr. Ovid.
Met, I, 748-IT, 828,
3. qui: Fotonte, - scans: circospetti
in socondare lo voglie dei figli.
4. TALE: così ansioso di sapere il vero,
= BENTITO: conoscinto il mio desiderio,
senza che io parinssi.
5. LAMA : Cacciaguida, splendente qual
lampa; ofr, Par, XV,19 6 seg.
864 [CIELO QUINTO]
PAR. XVII, 6-24
[FUTURO]
Che pria per me avea mutato sito,
7 Per che mia donna: « Manda fuor la vampa
Del tuo disìo, » mi disse, « sì ch’ ell’ esca
Segnata bene della interna stampa;
10 Non perché nostra conoscenza cresca
Per tuo parlare, ma perché t'ausi
A dir la sete, sì che l’uom ti mesca. » +
13 « O cara piota mia, che sì t’ insusi
Che, come veggion le terrene menti
Non capere in triangolo du’ ottusi,
16 Così vedi le cose contingenti
Anzi che sieno in sé, mirando il Punto
A cui tutti li tempi son presenti;
10 Mentre ch'io era a Virgilio congiunto
Su per lo monte che l'anime cura,
E discendendo nel mondo defunto,
re
ns
Dette mi fàr di mia vita futura
Parole gravi; avvenga ch'io mi senta
Ben tetragono ai colpi di ventura.
6. MUTATO SITO: discendendo dal brao-
cio destro appiò della croce di Marte.
7. VAMPA: ardoro. Manifesta il tuo de-
siderio in modu da caprimerne tutta l'in-
tensità.
9. INTERNA: Al. ETRRNA; cfr. MOORE,
Crit., 465 © seg. Purg. VIII, 82.
10. CugsCa: non per dir cosa che a noi
fosse ignota, ma per abituarti a pregare.
11. T’'ausl: ti assuofaccia; confr. Inf.
XI, 11. Purg. XIX, 23.
12. a Dix: a manifestare i tuoi deside-
rii, affinchè altri ti appagbi. Moralmen-
te: a pregare per essere esaudito. - TI
MESCA: ti risponda a tuo piacimento.
13. riora: pianta del piede: cfr. Inf.
XIX, 120. Qui fig. per coppo della mia
stirpe; cfr. Par. XV, 88 © seguenti. Al.
PIANTA; Cfr. Com. Lips. III, 455. - T'IN-
BUSI: ti levi in su, sali tanto, che vedi
ogni cosa con certezza matematica.
16. CAPERK: essere contenuti due an-
goli ottusi in un triangolo. « Per produrre
un esempio della certezza e della invaria-
bilità di una visione del nostro spirito, 6
spiegare così qual sia la natura della vi-
siono, che in Dio hanno gli Eletti delle
coso contingenti future, il Poeta ricorre
al noto teorema di geomotria pel qualo
sappiamo che in ogni triangolo rettilineo
la somma dei suoi angoli equivale a due
retti; d'onde la conseguenza necessaria,
che in esso non possono consistere due
ottusi, altrimenti la somma di quelli sa-
rebbe già maggiore di due retti; » Anto-
nelli. Cfr. Conv. II, 14.
16. CONTINGENTI: casuali, che ponno
essere e non essere. « Contingens est
quod potest esse et non esse; » Thom.
Aq.Sum.theol.I,19,3; ofr. ibid. I, 86, 3.
17.1N SÉ: in fatto; prima che susalsta-
no, a differenza di quando esistono sol-
tanto in mente Dei. - iL PUNTO: Dio;
cfr. Par. XXVIII, 16.
18. PRESENTI: « tutto Dio vede in sè
stesso. Le cose meramente poasibili le
vode nella sua essenza, le cose esistenti
in qualche tempo, in quanto esistenti, le
vede nell'atto eterno della sua libera vo-
lontà con la quale loro dà quell’ essere
che hanno. Perciò l'artefice vede nella
sua idea la statua che egli può fare; ed
anche nell'atto con cui la fa ne vede de-
terminata la esistenza; » Corn.
20. MONTE: del Pargatorio; cfr. Purg.
VITI, 183-189 ; XI,140, 141; XXIV,43-08.
~ CUA: sana, purifica da ogni peccato.
21. MONDO DKFUNTO: l'inferno, il « re-
gno della morta gente; » Inf. VIII, 86.
24. 1KTRAGONO: fermo, inconcusso.
[CIELO QUINTO]
Par. xvir. 25-87 [LIRERO ARBITRIO] 865
25 Per che la voglia mia saria contenta
D'intender qual fortuna mi s’ appressa ;
Ché saetta previsa vien più lenta. »
28 Così diss’ io a quella luce stessa
Che pria m'avea parlato, e come volle
Beatrice, fu la mia voglia confessa.
31 Né per ambage, in che la gente folle
Già s’ inviscava, pria che fosse anciso
L'agnel di Dio che le peccata tolle,
34 Ma per chiare parole, 6 con preciso
Latin, rispose quell’amor paterno,
Chiuso e parvente del suo proprio riso:
a7 « La contingenza, che fuor dol quaderno
« Tetragono, ogni figura che ha quattro
angoli, L'imagine però del Poeta esclude
le figure pinne, porgo il concetto di te-
traedro, il più semplice dei poliedri, che
è una piramide triangolare, la qualo vie-
ne determinata da quattro triangoli, ed
ha quattro angoli solidi. Il concetto e il
fatto della stabilità di un'opera materiale
avente questa forma deriva da questo,
che il centro di gravità di una piramide
è nd on quarto della retta cho unisce il
vertice della piramide col centro di gra-
vità della ana base, mianrando quella
quarta parte dalla base medesima, il che
fa aì che quello sia poco remoto da que-
ata, 6 che per tal modo adempiasi ona
delle principali condizioni della stabili-
tA; » Anton. Cfr. Ariatot. Fthie., 1. Ret.
IMI, 2. Horat. Sat, 11,7,83 eseg.- copi:
«sono andato mostrardo contro a min
voglia, la piaga della fortuna; » Conv, I,
3, Cfr. Inf. XV, 01 è sog.
27. LENTA: «non dà tanto dolore; ondo
Ovidio: Nam previsa minus ledere tela
solent; » Dan.
28, LUCE: Cacciaguida,
20. contessa: confessata, dichiarata.
V. 31-45. Prescienza divina e liber-
tà umana. Con aperto e chiaro favellare
Cacciaguida risponde : Tutte le cose con-
tingenti si vedono in Dio, ma non sono
por questo reso necessarie, Dal corpetto
eterno, cioè dalla divina vista mi al pre-
sontano gli eventi che devono coglierti.
Quindi la libertà dell’ nomo rean intatta,
quantunque Dio preveda e predisponga
ogni cosa. Cfr. Thom, Aq. Sum. theol, I,
14, 13. Com. Lips. III, 457 è seg.
65. — Dio. Commn., 3% ediz.
31, xt ren: Al. NON PER. - AMBAGK:
lat, ambages, parole oscure, equivoche,
come quelle degli oracoli pagani. « Hor-
rendas canit ambages; » Virg. Aen, VI,
00. - GRNTK: pagana. - FOLLK: « Dicen-
tes enim se esse aapientes, stnlti facti
sonct; » Rom. I, 22,
92. S'INVISCAVA: Al. 8' INVEBOAVA, al
Insciava prendere come l'uccello al ve-
aco; cfr. Inf. XIII, 57; XXI, 18; XXIT,
144, - ANCI8O: teciso; prima della morte
di Cristo,
33. L'AGNRL: « Roce Agnus Del qui
tollit peceatam mundi;» 5. Giov, I, 29.
- TOLLE: toglie; ofr. Nannwee., Verbi,
704 © sog.
35, LATIN: favellare ; ofr. Par, INI, 63;
XII, 144.- amor: qnell' amorevol mio
progenitore.
36. cmiuso: nel sno lume 6 parvente, ma-
nifostante la sua gioia col smo splendore.
87. CONTINGENZA : ciò che pod essere, è
non essere, - QUADERNO : le cose contin-
genti non esistono che nel mondo mate-
riale, montre nel mondo spirituale tutto
è necossario, ofr. Par, XXXII, 52 e seg.
Quindi il Poeta con ardita metafora chia-
ma quaderno della materia l'in-
sieme del mondo materiale, ovvero le
cose mondane che a modo dei fogli di on
quaderno si segnitano l'una all'altra,
mentre in Dio non vi è successione. Dice
danqgue: La serie degli avvenimenti con-
tingenti, che socmiono nel vostro mondo
materiale e non altrove, tutta è manife-
sta a Dio; nè però da questa scienza di-
vina piglia carattore di necossità, como
non lo piglia il moto di una nave, che di-
uw Mero wa I eretta se =p 32> °>
Per la spietata e perfida
Tal di Fiorenza partir ti
49 Questo si vuole, e questo £
E tosto verrà fatto a chi
Là dove Cristo tutto di :
scende pel fiume, dall'occhio di chi la sta
caservando. Così essenzialmente | più
(Benv., Buti, Land., Dan., Lomb., Port.,
Pogg., Biag., Cea., Tom., Greg., Andr.,
Corn., Filal., Blane, Witte, eco.). Altri
por il quaderno della vostra materia in-
tendono l'umana conoscenza © spiegano ;
le cose contingenti che per umana scien-
za voi non potete antivedere, si vedono
tuttein Dio (Lan., Ott., An. Fior., Post.
Qase., Petr. Dant., Vell., Vent., Br. B.,
frat,, c00.).
80, TuTTA: « Deus cognoscit omnia
contingentia, non solum prout sunt in
sais cansis, sed etiam provt unumquod-
que sorum est acta in se ipso, Et licet
contingentia flat in actn successive, non
tamen Deus successive cognoscit contin-
gontia, prout sont in suo esse, sicut nos
sed simul; quia ejus cognitio mensuratur
wternitate; » Thom. Ag. Sum, th, I,14,13.
40. necessità: dalla divina prescienza
gli eventi futuri non sono resi necessari,
onde la prescienza divina non toglio al-
l'nomo la libertà; ofr, Boet. Cons. phil.
“e —- d de mh. Mia. T 10 Mica
3833
[CIELO QUINTO]
Par. xvit. 52-66
(ESIGLIO] 867
52 La colpa seguirà la parte offensa
In grido, come suol; ma la vendetta
Fia testimonio al ver che la dispensa.
55 Tu lascerai ogni cosa diletta
Più caramente, e questo è quello strale
Che l'arco dell’ esilio pria saetta.
58 Tu proverai si come sa di sale
Lo pane altrui, e com’ è duro calle
Lo scendere e il salir per l'altrui scale.
61 E quel che più ti graverà le spalle
Sarà la compagnia malvagia e scempia,
Con la qual tu cadrai in questa valle,
0 Che tutta ingrata, tutta matta ed empia
Si farà contra te; ma poco appresso
Ella, non tu, n’avrà rossa la tempia.
V. 62-60. Gli affanni dell'estglio.
Alla profezia dello sbandimento di Dante
segue quella delle dolorose umiliazioni
che lo socompagnerebbero nell'esiglio.
In primo lnogo, si darà tutta la colpa
agli oppressi, secondo il'solito che chi no
tocon ha sompre il torto, In socondo Ino-
go, tu earal costretto ad abbandonare
tutto ciò cho il enor tuo ama più tene-
ramente. In terzo luogo, tu saral co-
atretto ad ssperimentare quanto sia dura
ed umiliante la dipendenza dalla genero-
sità e beneticenza altrui. Il poggio sarà
poi per te Il contegno de’ tuoi compagni
di sventura. Cfr. Conv, I, 3. Boet. Cons.
phil. I, pr. 4.
52. PARTE: dei Bianchi, encciati da Fi-
renze «con molta offensione ; » Inf. VI,
06, -— orrensa: offean; cfr. Inf. V, 109.
Purg. XXXI, 12. « La voce sarà che
Dante, e quegli che a quello tempo sa-
ranno espulsi, siano persone di mala con-
dizione e contrarj alla sania madre Ec-
clesia; > Lan., An. Fior.
54. FIA: la vendetta farà testimonianza
del vero il quale la dispensa, punisce se-
condo il merito, È difficile dire se Danto
allude qui a fatti speciali e determinati,
oppure in generalo a tutto il complesso
di infansti eventi che a Firenze tennero
djetro alla cacciata dei Bianchi. Cfr. Com.
Lips. 111, 463, In sostanza: La colpa ai
darà n te ed a’ tuoi compagni; ma Dio
punirà | veri colpevoli.
65. cosa: patria, famiglia, parenti,
amici, patrimonio, eco.
60. stRALR: il primo dolore dell'esiglio,
68. BA DI BALR: è amaro, « Memores 84-
lis, quod in palatio comedimns; » I Fedro
1V, 14. Il Dan. ricorda la sentenza di
Seneca: « Omnium quippe mortaliom
vita eat misera; sed illoram miserrima,
qui ad nlienum sonninm dormiunt, et
aliorom appetitum comednnt et bibnnt. »
63. VALLE: in questa miseria che fo ti
predico, Da questi versi risulta che Dante
si credeva gravemente offeso dai Bianchi
anol compagni di sventura. Ma in che lo
offese consiateasero non si an, o tutto ciò
che fu scritto in proposito non sono che
congettare più o meno felici, ma prive
di valore storico, L'Ott.: « La qual cosa
divenne quando elli sè oppose, che la
detta parte Bianca cacciata di Firenze,
o già guerreggianto, non richiedesse gli
amici il verno di gente, mostrando le ra-
gioni del piccolo frutto ; onde poi, venuta
la state, non trovarono l' amico com’ elli
era disposto il vorno ; onde molto odio ed
ira ne portarono a Dante; di che elli si
part) da loro.» La stessa cosa, con qual.
che differenza, racconta il Postill. del
Fram. Pal. (cfr. Com. Lips. 111, 465). Ma
è questo racconto degno di fede! Sai fatti
avvenuti dopo lo abandimento di Dante
ofr. Del Lungo, Dino Comp, IT, 562 è seg.
Bartoli, Lett, ital. V, 141 è sog. Proleg.
74 6 sog. Dante-Handb. 100 è seg.
65. APPRESSO : poco dopo lelngiurie cho
casa ti avrà fatte,
66. Rossa: di vergogna 0 di anngue?
Se Dante allade alle sconfitte del Bianchi
868 [CIELO QUINTO]
PAR. xvi. 67-79
[PRIMO RIFUGIO]
67 Di sua bestialitate il suo processo
Farà la prova, sì che a te fia bello
Averti fatta parte per te stesso.
70 Lo primo tuo rifugio e il primo ostello
Sarà la cortesia del gran Lombardo,
Che in su la scala porta il santo uccello,
73 Che in te avrà sì benigno riguardo
Che del fare e del chieder, tra voi due,
Fia primo quel che tra gli altri è più tardo.
76 Con lui vedrai colui che impresso fue,
Nascendo, si da questa stella forte,
Che notabili fien l'opere sue,
79 Non se ne son le genti ancora accorte,
ed in ispecie alla impresa della Lastra, si
dovri intendere rossa di sangue, inter-
pretazione confortata dalla lez, worra,
che però è troppo aprovvista di antori-
tà. Ma il fatto è che non conosciamo po-
sitivamente | fatti al quali Dante qui
allude.
67. PROCKSSO : si può intendore del mo-
do di agire, del successivo procedere dei
Bianchi (Benv., Andr., Dan., Blane,
Betti, occ.), oppure del soguito doi fatti
e casi suvi (Buti, Lomb., Tum., oco.).
68. NKLLO: onorvvolo.
69. PKR TK stesso: separandoti dai
Bianchi non meno che dai Nori, o la-
sciandoli fare. Non si conosce il tempo
preciso in cui Dante si separò dai suol
compagni di svontura ; di corto sappiamo
soltunto ossore ciò avvenuto dopo il giu-
gno 1802 e prima dell'ottobre 1306.
V.70-93. Ilprimo rifugio di Dante.
Proseguendo, Cacciaguida predice a Dan-
te la cortesia cho gli mostrerebbero gli
Scaligeri, vaticinanilo in ispecie la ma-
gnifcenza ed il valore di Can Grande
od esurtandolo di riporre in lui le sue
speranze.
70. vnimo: dopo « averti fatta parte
per te stesso. » I)a questi versi risulta
che Dante rifugiò presso gli Scaligeri a
Verona, subito che si fu separato da' suoi
compagni di parts.
71. Gran LOMBARDO: tutti gli autichi
ed ii più dei moderni intendono di Bar-
tolommeo della Scala, m. 7 marzo 1804.
Bocce. e Manetti di Alberto, padre di Bar-
tolommeo. Ma Alberto, morto uel 1301,
non poteva ospitar Dante che era allora
a Firenze, Altri intendono di Alboino,
frutello di Bartolommeo( Vell., Dol., Vent.,
Pelli, Tirab., Del Lungo, coo.). Ma il mo-
dlocon che Dante parla altrove di Albolno,
Cone. IV,16, esclude assolutamente que-
sta interpretazione. Altri intendono di
Can Grande (Dion., Frat., Loria, ecc.),
opinione che sta e cade colla lezione co-
LUI VRDIRAI, COLUI nel v. 76, escogitata
dal Dion., ma sprovvista di antorita. Per
tutto ciò cfr. Cum. Lips. 111, 466-468.
Bartoli, Lett. ital. V, 105 o seg.
72. UCCKLLO: l'aquila imperiale; cfr.
Par. VI, 4. Dante dice qui che sin dal
1300 gli Scaligeri avevano nel loro stem-
ma l'aquila sopra della scala. Altri affer-
mano che lo stemma degli Scaligeri non
portò l'aquila imporialo sopra la scala sv
non dopo cho Can Grando fu fatto Vica-
rio imperiale. In tal caso Dante sarebbe
caduto in un errore di cronologia.
75 QUEL: il dare, egli darà prima che
tu chieda. « Seneca nel libro de’ Benefizj
(il quale il detto messer Bartolommeo
continuo praticava): Graziosissimi sono
li benetizj apparecchiati, e che agevol-
mente ai fanno verso altrui, ne’ quali
nulla dimorauza interviene, se non per
la vergogna del ricevente; » Ott.
76. court: Can Grande, fratello mi-
nore di Bartolommeo, n. 9 marzo 1291,
m. 22 luglio 1329, associato al governo
nel 1311, solo signore di Verona dal 1312
sino alla sua morte. Cir. Aldo Dantesco Ve-
ronese, Verona, 1805, p. 147-164 e 285-345.
77. STELLA: Marte; nato sotto l'in-
finsso di Marte, quindi bellicoso; cfr.
Conv. II, 14.
[CIELO QUINTO]
Par. xvit. 80-98
[PRIMO RIFUGIO] 869
Per la novella età; ché pur nove anni
Son queste ruote intorno di lui torte:
82 Ma pria che il Guasco l'alto Arrigo inganni,
Parran faville della sua virtute
In non curar d’argento né d’affanni.
85 Le sue magnificenze conosciute
Saranno ancora, sì che i suoi nimici
Non ne potran tener le lingue mute.
88 A lui t'aspetta ed ai suoi beneficî;
Per lui fia trasmutata molta gente,
Cambiando condizion ricchi e mendici;
91 E porteràne scritto nella mente
Di lui, ma nol dirai: » e disse cose
Incredibili a quei che fia presente.
BO, KOVE ANNI: Can Grande compiva
il suo nono anno il 9 marzo 1300 (cfr. Mu-
rat. Script. VIII, 641, Manara, Cenni
storici e docum. che risguardano Can
Grande. Verona, 1853), onde inutile ed
inattendibile è la contesa, se Dante parla
qui di rivoluzioni solari, 6 di rivolgimenti
del pianeta Marte, Su questa diversità di
opinioni ofr. Com. Lips. IIT, 460. Enciol.,
304 © sog.
B1. TORTE: rivolte, aggirato, « Nove
finte già, appresso al mio nascimento,
ora tornato lo cielo della Ince quasi ad
un medesimo punto, quanto alla sua pro-
pria girazione; » Vit. N., 1.
82. 1L Guasco: papa Clemente V, Gua-
acone. Invità l'alto Arrigo, cioòà Arri-
go VII, a venire in Italia, e qnando el
fu vennto gli fece contro; efr. Vill. IX,
50. Par. XXX, 142 è sog.
83. PAMRAN: appariranno alenvi saggi
della sua virti.
84. D'anRoRNTO: cfr. Inf. I, 108, Ep.
Kani, 1. Troya, Veltro alleg. di D., 156
6 seg. Ejued., Veltro alleg. de’ Ghibel.,
150 è seg.; 165 e seg. « Antor in duobns
verbia breviter colligit dno, que redili-
deront hominem Istum gloriosum, scili-
cet, magnificentia in sumptibus, et an-
dacia in bello ; qus doo fecerunt famosos
multna dominos vitlosos, quorum aliqnos
ego novi.... Dum pater rjns duxisset eum
semel ad videndum magnum thesnorum,
late illico levatis pannis misit super eum;
ex quo omnes spectantes jadicavernnt de
ejus futura munificentia per istum con-
temptum pecuniarum ; » Ben,
88. T'ASPRETTA: cfr. Purg. XVITI, 47.
RD. THASMUTATA: per opera sun molti
ricchi diventeranno poveri, molti poveri
ricchi. Pare che queste parole suonino
lode; cfr. Troya, Velt. alleg. de' Ghib.,
171 seg. Gl'interpreti moderni s'avvi-
sano che questi versi includano il presa-
gio d'nna rivoluzione in Italia, per cui
sarebbero caduti nella meritata miserin
i riechi oppressori e superbi, e venuti
in buona condizione gli onesti trascurati
od oppressi. L'Ott.: «Questo testo è chia-
ro in parte, e nel rimanente è sì osenro,
che non si può chiosare per parole ch' en-
tro vi sono; ma per lo effetto potrebbe
nomo dire, questo volle intendere. »
DI, TORTERANE: ne porterni, Al. ron-
TRRAINK.-BORITTO : ofr. Purg. XXXII,
76 e seg. « E di loi no porterni soritto
nella tua memoria, senza appalesarle ad
nlenno, questa cose che fo ti predico; »
Tr. B. Il Poota ripete qui in modo al-
quanto enimmatico le speranze da Ini
fondate sol Veltro, futoro liberatore di
Italia, Ci lascia in dubbio sui fatti, sa-
pendo troppo bene che le suo speranze
potrebbero non avverarsi, come infatti
avvenne, Scnsa il ano silenzio colla fin-
zione, avergli Cacciaguida ingiunto di
tacere, 6 dettog!i cose incredibili a chi
le vedrebbe co’ propri occhi, nonchè a
chi le ndisse anticipatamente annonzia-
re. Il voler indovinare, a quali fatti de-
terminati alluda, sarebbe fatica gettata,
I fatti, ai quali allude, erano pore spe-
rati, e non avvennero mai.
DI, CHE FIA: cho sarà presente ai fatti,
870 (CIELO QUINTO]
PAR. Xvi. 94-106
(AMMONIZIONE]
Da Poi giunse: « Figlio, queste son le chiose
Di quel che ti fu detto; ecco le insidia
Che dietro a pochi giri son nascose.
97 Non vo’ però ch’a’ tuoi vicini invidie,
Poscia che s’infutura la tua vita
Via più là che il punir di lor perfidie. »
100 Poi che tacendo si mostrò spedita
L’ anima santa di metter la trama
In quella tela ch'io le pòrai ordita,
108 Io cominciai, come colui che brama,
Dubitando, consiglio da persona
Che vede, e vuol dirittamente, ed ama:
106 « Ben veggio, padre mio, sì come sprona
li vedrà co' propri cechi. Al, Cie PIEN.
Così leggendo presente starebbe per pre-
senti, di cho non mancano esempi.
V. 04-09, fimmonizione paterna,
Cacclaguida esorta Dante a non portare
invidia agli ingrati suoi concittadini nè
nutrire odjo contro di loro, consolandolo
colla promessa, clio iu loro onta egli avrà
fama pura e durevole nei tempi venturi.
« Adatta la risposta alll dubbi detti e
mossi, e dice: Io non voglio però che tu
odil li tuoi vicini, poscia che la tua vita
dee essere tanta, che tu ne vedrai ven-
detta per giudicio di Dio.... L'autore im-
pertanto morì in esilio a Ravenna, dove
alla sua sepoltara ebbe singulare onore
a nullo fatto più da Ottaviano Cesare in
qua, però che a guisa di poeta fu coro-
nato con li libri e con moltitudine di dot-
tori di scienza; » Ott.
94. GIUNSE: aggiunse. - LR CHIOSE: le
dichiarazioni di ciò che ti è stato pre-
detto nell' Inferno e nel Purgatorio con-
cernente il tuo avvenire; ofr. Inf. X,
79-81, 124-132; XV, 61-78, 88-96. Purg.
VIII, 133-189; XI, 140 © seg.; XXIV,
43-48. i
95. LE INSIDIR: «oconite macbinationes
fortun:e et vicinorum tuorum; » Benv.
06. aint: di Sole. La profezia di Cac-
ciaguida si fingo fatta nella primavera
del 1300, la prima condanna di Dante è
dol 27 gennaio, la seconda del 10 mar-
zo 1302, stile comune.
97. VICINI: concittadini, e compagni di
sventura, anch'essi suoi concittudini. -
INVIDIE: iuvidii, porti invidia.
98. s'INFUTULA : si estende nell'avve-
nire, dura. « Vivrai quando essi e | lor
falli saranno spenti o la pena de’ falli
loro; a Tom.
99. via rit: «quasi dicat; pena cito
awquotur nd frandes corum, ot tua vita
oextendetur diu landabiliter in magna
gloria; » Benv.
V. 100-120, Parlare o tacere? Udite
le parole di Cacclaguida, nasce nolla men-
te di Dante un nuovo dubbio. Discen-
dendo giù per l' Inferno e poi salendo su
per il monte del Purgatorio vidi ed udii
taute cose, che non so se devo rivelarle
o tacerle. Ché se ridico ciò che vidi ed
udii, dispiacerà a molti, onde il mio par-
lare mi frutterà nuuve persecuzioni. Se
invece taccio e non ho il coraggio di ma-
nifestare il vero, temo di oscurare la
mia fuma tra i posteri. Devo duuque par-
lare, o devo tacere?
100. svKvira: mostrò d'aver finito,
d'aver compiuta la tela che io gli aveva
ordita. «Chi domanda ordisce in certo
modo la tela; chi risponde alla domanda,
riempie questa tela; » Br. B.
101. TRAMA: « 63t enim trama illud
filum quod deducitur in telam per ordi-
taram; immo autor noster dederat unum
themaorditum, Idest inchoatam tantum;
ot ille Cacciaguida, toxuit illud iterum
interserendo multa verba, exponendo et
declarando ; >» Benv. Lo stesso traslato
Par. ITT, 94-06.
103. COLUI: come chi, essendo per-
plesso nel dubbio, desidora consiglio da
persona sapiente, virtuosa ed amorevole,
che conosce il bene (vede), vuol fare il be-
ne (vuol diriltamente), e procaccia il bene
di chi le chiede cousiglio (ama).
106. srRONA: 8i nvanza in fretta. Pa-
[CIELO QUINTO]
Par. xvit. 107-120
[DUBBIO]
871
Lo tempo verso me, per colpo darmi
Tal ch'è più grave a chi più s’abbandona;
109 Per che di provedenza è buon ch'io m'armi
Si che, se luogo m'è tolto più caro,
Io non perdessi gli altri per miei carmi,
112 Giù per lo mondo senza fine amaro,
E per lo monte del cui bel cacume
Gli occhi della mia donna mi levàro,
115 E poscia per lo ciel di lume in lume
Ho io appreso quel che, s’ io ridico,
A molti fia savor di forte agrume;
118 E s’io al vero son timido amico,
Temo di perder viver tra coloro
Che questo tempo chiameranno antico. »
ragona il tempo al cavaliere che corre
una lancia.
107. coLro: l'esiglio e le altre sventure
che sono sue inevitabili conseguenze.
108. 8’ ABBANDONA: Bi lascia sorpren-
dere, si lascia andare senza previdenza,
efr. v, 27. Abbandonarri, per lasciarsi
andare, come Inf. 1I, 84. Purg. XVII,
136. Par. XXXI, 75.
109. PROVEDENZA: provvidenza; onde è
bene che io provvegga sin d'ora al fatti
misi.
110, LUOGO : la patria, che mi converrà
lasciare; cfr. v. 48, 55 è sog.
111. ott ALTRI: gli altri Inoghi meno
cari della patria, dove potrei rifugiarmi,
- CARMI: « per i miei versi pngnenti, che
tratteranno singolari mali di ciascuna
parte: e per conseguenza sono odiati da
molti, però che oggi la veritade partori-
sce odio; » Ott.
112, monpo: inferno,
113. MONTE: Pm rio. — CACUME:
vetta, cima (Purg. IV, 26. Par. XX, 21);
il Paradiso terrestre.
114, ett occnt: cfr. Par. I, 64 e seg.
115. DI LUME: di cielo in cielo, di pia-
neta in pianeta, fin qua.
116. 8'10 RIDICO: Al. 8'10 IL RIDICO,
117. BAVOR: un sapore troppo forte e
pungente, che recherà dispiacere, « Sì
come il forte agrome offende i) gnato,
così temo Jo offender la mente a molti
che m'ndiranno; » Vell.
118, TIMIDO: tacendo. «+ Tracotanza sa-
rebbe l'essere reverente, se reverenza
si potesse dire, però cho in maggiore e
più vera irriverenza si cadrebbe, cinè
della natura e della verità. Da questo
fallo si guardò quel maestro de’ filosofi,
Aristotle, nel principio dell'Etica, quan-
do dice: Se due sono gli amici, ol' uno è
la verità, nlla verità è da consentire; »
Cone, IV, 8. Cfr. De Mon, III, 1. Ep. ad
Card. Ital., 5, Sapienza, VIII, 13 è seg.
119, viver: nome, fama. Al. VITA. -
coLono: le generazioni venture. «Se io
sono timido amico alla veritado, temo di
perdere il viver tra coloro che verranno
distro a questo tempo, il quale tempo
olli chiameranno antico, per lo riapetto
del loro presente; cioò temo di perdere
fama e buona nominanza; » Ott.
V. 121-142, Ileoraggio della verità.
Parla, risponde Cacciagnida; non tacere
nè dissimolar nulla di ciò che hai veduto
ed udito. È ben vero che molti, la cul
coscienza è macchiata delle vergognose
opere loro proprie o de' loro prossimi,
troveranno le tue parole di napro sapore,
Tuttavia parla! Il vero tornerà sem-
pre profittevole a quei medesimi, cul
sulle prime riesce amaro, I tnoi rimpro-
veri delle colpe altrui feriranno princi-
palmente i grandi della terra, ciò cho è
non piccolo argomento di animo onorato
è grande, Rifletti che, appunto a fine di
istruirne i tnoi contemporanei, ti furono
mostrati gli arcani dell’oternità e lo per-
sone più conte per fuma che, vscite delle
regioni del tempo, già quelle incontrano
degli eterni destini, gli esempj a fare
odiosi i vizj ed amabile la virtà doven-
dosi prendere da persone illustri 0 d' alta
130 Ché, se la voce tua sarà mol
Nel primo gusto, vital nui
Lascerà poi quando sarà (
133 Questo tuo grido farà come
Che le più alte cime più {
E ciò non fa d’ onor poco
136 Però ti son mostrate in que:
Nel monte, e nella valle ¢
condizione, aflinchè producano il deside-
rato effetto.
ni LUCE: dello spirito di Cacciagulda.
- kibiVA : del mistico Grifone dice rag-
giava (Purg. XX.XI,122}; di Cacciagnida
rideva, 1 quali due verbi « rendono con
bella proprietà l'immagine che allo splen-
dore dell'uno e dell'altro meglio si conve-
niva;» L, Vent., Sim.,143,- TESORO: Îl evi
vo topazio; » Par. XV, 85, mio antenato,
122. CORRUSCA: più scintillante di pri-
ma; segno della gioja che sente nel com-
piacere al Poeta; efr. Par. VIII, 46,
LX, 08, eco. Conv, 11I, 8, Virg. Georg. I,
299 a seg.
123, QUALK: come nno specchio d'oro
sul quale cadano i raggi del sole.
124. FUSCA: nera, macchiata,
125, ALTRUI: dei parenti, antenati, con-
gionti.
120. run: veramente, in fatti. Coloro
[creLO QUINTO]
Par. xvir. 188-142
[coraggio] 873
Pur l’anime che son di fama note;
189 Ché l’animo di quel ch’ode non posa,
Né ferma fede per esemplo c’ haia
La sua radice incognita e nascosa,
142 Né per altro argomento che non paia. »
188. rur: solamente, Così i più. Ma il
Petti: «PuR non vuol dir qui solamente,
ma anche ; è intendesi: che però fra le cose
che vedesti terribili nell'inferno, pietose
nel purgatorio, e divine nel paradiso, ti
furono mostrate anche le anime famo-
ae» (Î). — DI FAMA: Al. PRR FAMA: Bom-
bra che anche i personaggi che noi non
conoscinmo che unicamente dai versi di
Dante, godessero qualche bnona o cat-
tiva fama ai tempi suoi. Del reato lo ani-
me che gli furono mostrate da Virgilio,
ila Beatrice e dagli spiriti durante 11 mi-
stico suo viaggio sono veramente tutte
di fama note. Le oscure non gli furono
mostrate, lo riconobbo da sò,
130. won LORA: non si acqueta nd crode
sulla fede di esempi oscuri, tolte da ignote
e basse persone; e gli argomenti pura-
mente razionali non confortati da esem-
pio alenno, anche minor frotto farebbero.
«Istrnenda est vita exemplis illustri-
bus; » Senec, Ep., 83.
140. mara: abbia; cfr. Inf. XXI, 00.
Nannue,, Verbi, 607 è seg.
141. RADICE: 80 gli esempi sono tolti
da persone oscure è sconosciute.
142. NON PAIA: non apparisca, non sin
ovidente. « Non si pnò insegnare la cosa
non saputa per la non saputa; » Buti.
« Recar esempi di castighi toccati a per-
sone volgari non muove i lettori; i quali
non vongono mossi por argomenti che non
sieno di une palmare evidenza; » Corn,
874
= =
ELO QUINTO]
Pa R. XVIII. ] -6
[DANTE E
CANTO DECIMOTTAVO
CIELO QUINTO DI MARTE: MARTIRI DELLA RI
MI NELLA CROCE DI MAE
CIELO DI GIOVE
OIE] ©: PRINCIPI SAGGI E
DILIGITE vuossPIAa, i'AQUILA IMPERIALE, AVARIZI
Già si godeva solo del suo verbo
Quello spocchio beato, ed io gustava
Lo mio, temprando il dolce con l’acerbo
4 E quella donna, ch’a Dio mi menava,
Disse: « Muta pensier, pensa ch'io sono
Presso a colui ch’ ogni torto disgrava. »
V. 1-21. Sguardo a Beatrice. Si fa
silenzio. Cacciaguida tace ed è di nuovo
tutto assorto nella visione beatifica della
Divinità. Dal canto suo il Pocta è assor-
to nella meditazione di ciò che ha testd
udito. Quindi pei conforti di Beatrice si
riscuote, e, guardando lei tutta amor co-
leste, dimentica le affannose sue cure.
Dopo un istante Beatrice lo esorta a vol-
gere di nuovo la sua attenzione da lei al-
l'anima santa di Cacciaguida.
1. VERBO : concetto, pensiero. « Verbian
dicitur naturalis intellectus motus, 8e-
cundum quem movetur, ct intelligit, et
cogitat; » Joh. Damase. De fide orthod.
I, 9. « Primo ct principaliter interior
inentis conceptus ver btn dicitur;» Thom.
Ag. Sum. theol., I, 34, 1. Al. prendono
verbo nel senso di parola, intendendo che
Cacciaguida si rallugrasse di ciò cho avo-
va detto a Dante (Buti, Land., Vell.,
Dan., Blanc, Witte, ecc.). Gustava Dante
le sue proprie parole, o il suo concetto
interno?
2. SERCCHIO: spirito be
guida, in che, come in n
riflette lo splendore dell
efr. Par. IX, 61. La lez.
tendibilo, perché priva
codd. - GUSTAVA: pensani
3. LO MIO: il mio conce’
sorto in pensieri, — IL DOL
BO: Al. COL DOLCK L'ACER
promessa di fama imporit
vaticiniv dell'esilio e di
< Compensans dulcediner
noris, vel dulcedinem vil
acerbitate exilii et incon
sequuntur ad illud; » Be
6. MUTA VENSIBR: dal
sulta che in questo mome
sava alla vendetta de’ sur
era una parte dell’ acerl
dolce.
6. bISGRAVA: alleggeri
« Mea est ultio, et ego rel
pore; » Deuter. XXXII,
XII, 13. Ebrei X, 30. «
[CIELO QUINTO]
PAR. XVIII. 7-21 [DANTE E BEATRICE] 875
7 Io mi rivolsi all’amoroso suono
Del mio conforto, e quale io allor vidi
Negli occhi santi amor, qui l'abbandono;
10 Non perch’io pur del mio parlar diffidi,
Ma per la mente che non può reddire
Sopra sé tanto, s’altri non la guidi.
13 Tanto poss’io di quel punto ridire
Che, rimirando lei, lo mio affetto
Libero fu da ogni altro disire,
16 Fin che il piacere eterno, che diretto
Raggiava in Beatrice, dal bel viso
Mi contentava col secondo aspetto.
19 Vincendo mo col lume d'un sorriso,
Ella mi disse: « Volgiti ed ascolta,
Ché non pur ne’ miei occhi è paradiso. »
S'elli ti ha fatto ingiustizia, io sono pros-
soa Dio, Il quale dirizen ogni torto, dove
io sarò tun avvocata; quasi dicn : sempre
sarò teco, o mostrerotti li divini giudioii,
e sosterrotti In ogni passo; » Ott
8, CONFORTO: Beatrice, Così chiamò
puro Virgilio, Purg. 117, 22; IX, 43, eco.
= QUALI: e non mi provo n descrivere
quale amoro jo vidi allora sfavillare nei
di lei occhi.
10. run: solamente. Non troverei pa-
role sufficienti a tanto, ed inoltre la me-
moria non può tornare a rappresentarsi
obbietto al trascendente, se non è ain-
tata di speciale grazia celeste; cfr. Par.
I, 56 e seg.; XXIII, 40 © sog.
11. MENTE: memoria, come tante volte
altrove. - REDDIRE: tornar tanto indietro
da riprodurre in sò la immagine delle
cose vedute, « Il solo ripensare cotesta
sovrumana vislorie supera le forze natu-
rali; » Corn.
12, ALTRI: Dio colla speciale aua gra-
aia; ofr. Inf. V, BI,
13. TANTO: lat. tantum, tantummodo ;
solamente, questo solo; cfr. Par. II, 67.
- DI QUEL PUNTO : di quel momento lo
posso soltanto dir questo: che mirando
Ilantrico, il mio affetto fa libero da ogni
altro desiderio prima nndrito. L' amor
celeste, spirante negli occhi di Beatrice,
distrusse in me ogni desiderio di ven-
detta de' miei nemici.
15, Linkno PU: non ebbi altra cora fin-
chè il divin lume, che è il piacere eterno
-
del benti spiriti, raggiando in Beatrice
direttamento, veniva por riflessione n far
contento e bento mo che nel viso di lei
mirava. Così i più. Sopra altre interpre-
tazioni cfr. Com. Lips. III, 481 e seg.
17, DAL wei: Al. pit BEL; si tratta
qui di moto di riflessione, dunque dal bel.
«Iddio dirizzava li raggi suoi in Bea-
trice, e quelli poi da lei in me riflet-
teano, sì che questo secondo aspetto mi
contentara;» Ott,
18. skcoxbO: riflesso; cfr. Par. I, 4060
seg. Rammenta la seconda bellezza di
Beatrice, Purg. XXXI, 188.
19, vixcrxDo: abbagliandomi. Confr.
Betti, Giorn. Arcad, XLVI, 132 e sog.
20. voLemi: a Cnociaguida, of ascolta
ciò che egli ti dirà, chè troverai on para-
diso anche nel vedere altri beati,
21. NON PUR: non solo. «Quin non so-
lom in contemplatione theologim est fe-
licitaa ot beatitndo, sed otiam in exem-
plia valontinm virorum; » Postill, Caet.
Diversamente da tutti gli altri Jl Betti:
«run sta qui per ancora. E vuol dire: )
Dante, non esser così preso de' miei ful-
gori, che tu tralasci di ragionare per al-
tro tempo con Cacciagnida; perciocchè
ne’ miei occhi non è ancora In pionozza
della Inco del paradiao, la quale ta nel-
l'Empireo vedral » (1).
V. 22-61. L'albero celeste, Alle parole
di Beatrice, Dante si volge n Cacciaguida
e sì accorge che ogli desidera di dirgli
altro. Il trisavolo gil addita otto spiriti
876 [crRLO QUINTO]
Par. xvist. 22-35
[ALDERO CELESTE]
2 Come si vede qui alcuna volta
L' affetto nella vista, s'ello è tanto
Che da lui sia tutta l’anima tolta,
25 Così nel fiammeggiar del fulgor santo,
A ch'io mi volsi, conobbi la voglia
In lui di ragionarmi ancora alquanto.
28 Ei cominciò: « In questa quinta soglia
Dell'albero, che vive della cima
E frutta sempre e mai non perde foglia,
31 Spiriti son beati, che giù, prima
Che venissero al ciel, fàr di gran voce,
Si ch’ ogni musa ne sarebbe opima.
a4 Però mira nei corni della croce:
Quel ch'io or nomerò, li farà l'atto
magni che nel mondo combatterono per
causa santa, due dell'antico, sei del
nuovo Patto, Al nominare che fn Cac-
claguidu ciascuno degli eroi (« rassegna
breve e quasi frettolosa nel panto della
battaglia; » Tom.), l’anima dell’ eroe si
muove dalle braccia della croce luminosa
e discende raggiando. Compiuta la rasse-
gna l’anima di Cacciaguida si mescola tra
gli altri spiriti e si perde ne’ vivissimi ful-
gori cantando dolcomonte inni di grazia.
22. Qui: in terra. Cacciagaida mostra
col suv fulgore più vivo il suo desiderio
di parlare al Poeta, in quella guisa che
un affetto grande, il quale assorba ogni
potenza dell’ anima, si palesa, nel sem-
biante, e massimamente negli occhi; cfr.
Par. XIV, 19eseg. Conv. III,8. L. Vent.,
Sim., 252.
24. TOLTA: assorbita, rapita.
25. FULGOR: Cacciaguida; cfr. Par. X,
64; XXX, 62.
26. a cH'10: Al. a CUI. « Quando tutta
l'anima è applicata ad osploraro che cosa
esprima l'occhio di chi ci mira, lez ye in
esso occhio l'interno affetto, e similmente
guardando Dante il tiammeggiaro di Cac-
claguida, e'uccorso cho avea desiderio di
parlurgli ancora; » Corn.
28. SOGLIA: grado del Paradiso; cfr.
Purg. XXI, 09. fur. LE, 82; XXX, 113;
XXXII, 13.
29. ALBRRO: « paragona il Paradiso ad
un albero, del quale ogni grado di beati
sia come un ordine di rami; ma cou tre
differenze dagli alberi nostri, i quali vi-
vono delle radici, non fruttano sempre,
ed ogni aunoai sfrondano;» Andr.- vive:
ricovo la vita dalla cima, cioè da Dio.
30, wtUTTA : i suoi frutti, cho sono le
anime elette, crescono continunmente, è
niuno mai se ne perde; cfr. Thom. Aq.
Sun. theol. 13, 5, 4. Salm. I, 3. Ezech.
XLVII, 12. Apocal. XXII, 2.
81. GIÙ: al moudo, mentre vivevano
vita mortale.
32. vock: fama; cfr. Inf. VII, 98;
XXXIII, 85. Purg. XXVI, 121.
33. Ova: ricca, fertile; cfr.Par. XXX,
111. Durebbe soggetto degno d'alta poe-
sia, onde ogni poeta ne avrebbe ricca ma-
toria di cauto.
84. NKI CORNI: alle braccia della croce;
efr. Par. XIV, 109.
35. QUEL CH'IO OR NOMERÒ: Al. QUELLO
CH'IO NOMRUÒ; QUEL CH'IO TI NOMERO. -
FARÀ: trascorrerà per la croce come ba-
leno per nube; cfr. Stat. Theb. I, 8853.
«I! fuoco veloce di una nube, incognito
nella sna natura agli antichi, è una sca-
rica o una sciutillazione elettrica; il quale
non sempre passa da nube a nube per ge-
nerare quel che diciamo folgore e snetta,
ma nella nuvola stossa rimane, © a un
tratto la illumina. Questa immagine cou-
corro coll'altra assai somiglianto, Par.
XV, 24: Che parve fuoco dietro ad ala-
bastro, a indicare che in Marte le beato
Luci non avevano parvenza distinta, ma
si mostravauo incorporate nelle splen-
denti liste della grande Croce, in cui vi-
desi dal Poeta lampeggiare Cristo;» Ant.
[CIELO QUINTO]
PAR. XVIII. 86-49 [ALBERO CELESTE] 877
Che fa in nube il suo fuoco veloce, »
a7 Io vidi per la croce un lume tratto
Dal nomar Josué, com’ ei si feo,
Né mi fu noto prima il dir che il fatto,
40 Ed al nome dell'alto Maccabeo
Vidi muoversi un altro roteando,
E letizia era ferza del paleo.
43 Cosi per Carlo Magno e per Orlando
Due ne seguì lo mio attento sguardo,
Com’ occhio segue suo falcon volando.
46 Poscia trasse Guglielmo, e Rinoardo,
E il duca Gottifredi la mia vista
Per quella croce, e Roberto Guiscardo.
49 Indi, tra l'altre luci mota e mista,
37. TRATTO: mosso, spinto.
28, Josuk: il snccessoro di Molad o
conquistatoro della Terra promessa ; cfr.
Purg. XX, 111,-com'k1: appenn che il
nominare si fece ; subito che Cacciaguida
ebbe nominato Josnò,
30. NÈ MI FU: appena pronunciato quel
nome, vidi i) Inmo trascorrero per In cro-
oo. Udirlo nominare o vederlo fu un pon-
to, — PRIMA It, DIR: Al. IL DIR PRIMA.
40. Maccanro : Giuda Maccabeo, l'eroe
ebreo che liberò il sno popolo dalla tiran-
nide di Antioco Epifane re di Siria; cfr.
I Machab, III 6 seg.
41. UN ALTRO: lume. - ROTRANDO : vol-
gendosi in giro.
42, renza: aferza, stimolo; cfr. Purg.
XIII, 30. Letizia ora a quello spirito ciò
che la sferza è al paleo, cioè cagione del
roteare. - l'ALKO: strumento col quale
ginocano i fanciulli facendolo girare con
nna sferza, e dicongli anche Fattore; cfr.
Virg. Aen. V11, 378 è nog.
43, Carro Maoso: il restnoratore del-
l'impero occidentale 6 liberatore della
Chiesa; ofr. Inf. XXXI, 17. Par. VI, 06,
- OrLaxpO: paladino di Carlo Magno;
ef. Inf. XXXI, 18.
44, nur: lnmi.
45. com'occmo: come l'occhio del fal-
coniere segue il falcone che vola; confr.
Virg. Aen. VI, 200. Arios. Orl. XLTIT,
O4.- VOLANDO: volante; il gerundio per
Il partic. pres., come nel 1° Son. della
Vita N.: « Madonna, involta in on drap-
po, dormendo. » Cir. Inf. XXXI, 14.
46, GuenirLMOo : duea d'Orango, m.
monaco n Gellone nell' 812, eroe dei ro-
manzi francesi del modio ovo; ofr. Act,
Sanet. Maii, VI, 798 o seg. Hist, lit, dela
France, XXIT, 435 è seg. - RixoArDO :
Rainonart, che militò sotto Guglielmo
d'Orange e morì in on chiostro, altro
porno dol romanzi francesi del medio ovo;
cfr. Hist. lit, de la France, XX1J, 508 eaog.
47. Gorrirrebi: Goffredo di Bouillon,
il duce della prima crociata è primo re
cristiano Wi Gerosnlemme, m. nel 1100,
Cfr. Monnier, Godafr. de Bowil. et lea as-
rises de Jérusalem, Par., 1874. Vétautt,
Godafr. de Bowil., Tours, 1874. Froboese,
Gottfr. v. Bowil., Berl., 1870.
48, Ronerto GwuscaRDO : figlio di Tan-
eredi d'Hauteville, cavallere normando.
Andò nel 1040 n raggiungere i anoi fra-
telli in Italia, e qnindi per lo ano valoro
e la sun accortezza fo fatto duca di Po-
glia e di Calabria, d'onde discacciò i Sa-
raceni, In seguito s'impadroni pure di
Benevento e di Salerno, prese Corfù,
vinse Alessio Comenio e morì a Salerno
nel 1085. Cfr. De Blasiis, La insurrezione
Pugliese ela conquista Normanna, 2 vol.,
Nap., 1874. Vigo, D.ela Sicilia, 18 © seg.
Inf, XXVIII, 14.
40. MOTA : mossa, nilontanatasi da me.
« Indi l'anima splendente di Cacclaguida,
che fin allora mi avera parlato, mossasi
o riunitasi all'altre sue compagne, mi di-
mostrò quale artista ella fosso tra i can-
tori del olelo; perciocchè ricominciò a
cantare; » Costa.
"n
878 [CIELO SESTO]
Par. xviti. 50-67
(SALITA]
Mostrommi |’ alma che m'avea parlato,
Qual era tra’ cantor’ del cielo artista,
62 Io mi rivolsi dal mio destro lato
Por vedore in Beatrice il mio dovere,
O per parlare o per atto segnato;
55 E vidi le sue luci tanto mere,
Tanto gioconde, che la sua sembianza
Vinceva gli altri, e l'ultimo solére,
58 E come, per sentir più dilettanza,
Bene operando, l’uom di giorno in giorno
S'accorge che la sua virtute avanza;
él Si m’accors’ io che il mio girare intorno
Col cielo insieme avea cresciuto |’ arco,
Veggendo quel miracolo più adorno.
dA E qual è il trasmutare in picciol varco
Di tempo in bianca donna, quando il volto
Suo si discarchi di vergogna il carco;
67 Tal fu negli occhi miei, quando fui volto,
51. ARTISTA: eccellente.
V. 52-69. Salita al cielo di Giove.
Dante si rivolge a Leatrice, por vedere
ge, o con una parola, o con un cenno, ella
gii indicasse ciò che egli doveaeo faro.
La vude fatta più bolla, più raggiante,
più gioconda. Con essa è trasferito in un
attimo nel sesto cielo, che è quello di
Giove, dove appariscono gli spiriti beati
dei priucipi saggi o giusti.
52. nistro: dovo era Buatrico.
63. bovkitit: ciò che lo dovessi faro.
54. PKR PARLARK: Al. PER PAROLE, -
ATTO: cenno.
55. LUCI: occhi. - MERK: serene, pure.
57. GLI ALTRI: soléri; gli altri falgidi
aspetti ond'erasi fin qui mostrata, e quel-
lo ultimo falgidissimo, ricordato v. 7 6
seg. L'aspetto di Beatrice si era fatto più
risplendente di quello che era atato solito -
di faro, ed anche più dell'ultima volta,
quando il Poeta si confessava incapace
di descriverlo, v. 7 e seg. - BOLEKE: 80-
stantivo = il solito, l'uso; cfr. Purg.
XXVII, 90.
58. PRR SENTIR: come dal diletto che
trova nella virtà l'uomo aj sente avan-
zato, e l'accrescimento del diletto è prova
di aumentata virtù. Similitudino degna
del ciclo; cfr. Par. XXXIII, 91 © seg.
62. CHKSCIUTO: salendo creace la cic-
conferenza de’ cieli, contenuti, secondo
il sistema di Tolomeo, l'uno entro l'al-
tro, l'inferiore entro il superiore; quindi
Dante, che insieme cci cieli si gira, vieno
a descrivero un arco maggiore.
63. MIRACOLO: Boatrice, <nuovo mira-
colo gentile; » Vit. N., 21, son. 11. - riù
ADORNO: Al. sì ADORNO. « Manifestum
indicium ascensionis Beatricis ad altio-
rem speram orat quando flebatlucidior ; »
Benv.
G4. K QUAL: «come si vele donna, di
rossa, tornar bisuca in viso: così da Mar-
te passando a Giuve, fo vidi una luce can-
dida ;» Tom. Dicendo il Poeta che « Marto
appare affocato di colore, » e che Giove
«intra tutte le stelle bianca si mostra,
quasi argentata » (Conv. II, 14), vuole
qui accennare il rapido trasmutamento
del colure del cielo nel passaggio dall'una
all'altra sfera, operato in sì piccolo spa-
zio di tempo quaut'è dall'arrossire d'una
donna presa da subita vergogna al breve
ritorno del bianco suo natural colore nel
volto. Cfr. Ovid. Met. VI, 46 © seg.
66. BI DISCARCHI: Al. 81 DISCARCA.
67. FU: nun Beatrice (Vent., Lomb.,
Port., Oorn., eoc.), ma: tal fu il tramu-
tarsi della mia vista. « Tal fu negli oochi
miei il trasmutare, qualo è nella bianca
donna, come è detto di sopra; imperò
[CIELO SESTO]
PAR, xvitr. 68-77 [LETTERE MISTER.) 879
Per lo candor della temprata stella
Sesta, che dentro a sé m’avea ricolto.
70 To vidi in quella giovial facella
Lo sfavillar dell’ amor che li era,
| Segnare agli occhi miei nostra favella.
73 E come augelli surti di riviera,
Quasi congratulando a lor pasture,
Fanno di sé or tonda or altra schiera,
76 Si dentro ai lumi sante creature
Volitando cantavano, e faciensi
che como io vedeva prima Marto rubi-
condo, così tosto vidd' io Jobe bianco, o
spensi;» Puti. - QUANDO Ful: Al. QUAN-
DO FU, che bisognava leggere quando fu’.
68. TEMPRATA: «il cielo di Giove ai può
comparare alla Geometria per due pro-
prietà: l'una si è, che mnove tra due
cieli repoguanti alla sun bnona tempe-
ranza, siccome quello di Marte e quello di
Saturno, Onde Tolommeo dice nello alle-
gato libro, che Giove datelladi temperata
complessione, in mezzo della freddora di
Satorno, e del calore di Marte. L'altra si
4, che Intra tatte le stelle bianca si mo-
stra, quasi nrgentata ;» Conv, II, 14; cfr.
Par, XXII, 145 è seg.
V. 70-09. Lettere misteriose. Appn-
riscono le anime beate di coloro che in
terra amministrarono dirittamente Ja
giustizia, Sono anch'esse rinchiuse in
altrettanti splendidiesimi lumi che spar-
gendo melodiosi canti e girando all'in-
torno, compongono in luminose lettore
la sentenza: AMATI LA GIUSTIZIA, VOI
CHE GIUDICATE LA TERRA, la qual sen-
tenza inveggin quella virth che «ordina
nol ad amare ed operare dirittarain tutte
cose» (Conv. IV, 17) ed è la virth più
amabile nell'nomo (Conv. I, 12).
70. GIOVIAL: di Giove, che « è benevolo
6 bene temperato nelle sue qualitadi ;
onde gli antichi dissero, che la cagione
della felicitade era nel circulo di Giove; »
Ott.;onde la voce gioviale venne n signifi-
caro lieto, allegro. - FACRLLA : face, astro;
ofr. urg. VILT, BO,
TI. LO BFAVILLAR: gli spiriti beati, sfa-
rillanti di carità celeste.
72. BKAGNARE: rappresentare agli occhi
miei le lettore dal nostronlfabeto, «Quelle
ni ere di Giovo cantando -”
Diligite justitiam, qui judicatis terram.
Siech) prima fnconno D, poi 7, poi L, poi
I, appresso @, pol J, pol 7, poi £; © così
di qui alla fine; è quetavansi ad ogni pa-
rola; e così discriveano le sillabe, e le
dizioni della sopradetta orazione in lingua
latina; » Ott.
78, AUGKLLt: « gra, cecori, o simili ; »
Land, - urti: levatisi dalla riva di on
flume dove saziarono il disio della sete,
come quelle anime erano dissetate nel
fonte delle eterne delizie. - nivirna: fin-
me; Inf. XII, 47. Purg. XIV, 26;
XXVI1, 47. Par. XXX, 61; oppure:
Riva di fiume; Inf. III, 78.
74. CONGRATULANDO: facendo insieme
festa della presa pastura. E così quei
Beati godevano di quel modo di mani-
stare il loro giocondo affetto, quasi cibo
per essi di vita coleste,
75. OR ALTRA: Al, ok LUNGA. Confr.
Moone, Orit., 466 © seg. Quegli apiriti
non formavano soltanto figure tonde o
lunghe, ma « cinque volte setta vocali o
consonanti » (vr. 88 6 sog.); dunque figure
tonde, langhe ed altre, « Kt varim voln-
cres, letantia quae loca aquaram Conce-
lebrant circum ripas fontisque lacusqne,
Et qum pervolgant, nemora avin pervoli-
tantes: Hornm untim quodvis generatim
sumere perge: Invonies tamen inter se
differre figuria;» Lweret. Rer. nat. II,
345 e seg. Cfr. Lucan. Phare. V, 711 e
seg. Rucellai, Api, 914 è sog. L. Vent.,
Sim., 442.
70. CuraTUne: anime bonto, amman-
tate dei singoli lumi.
77. VOLITANDO; volando in qua è in
là. - FACIENSI : bi facevano ; ofr. Nannue.,
Verbi, 140 © seg., 614 6 seg. Si dispone-
vano in modo da formare lettere alfa-
beticho.
880 [CIELO SESTO]
Par. xViri. 78-94 [LETTERE MISTERIOSE]
Or D, or I, or L, in sue figure.
79 Prima cantando a sua nota moviensi;
Poi, diventando l'un di questi segni,
Un poco s’ arrestavano e taciensi.
82 O diva Pegasea, che gl’ingegni,
Fai gloriosi, e rendigli longevi,
Ed essi teco le cittadi e i regni,
ah Illustrami di te, sì ch'io rilevi
Le lor figure com’io l'ho concette:
Paia tua possa in questi versi brevi.
88 Mostrirsi dunque in cinque volte sette
Vocali e consonanti; ed io notai
Le parti si come mi parver dette,
DI Diligite justitiam, primai
Fùr verbo e nome di tutto il dipinto;
Qui judicatis terram, fdr sezzai.
DA Poscia nell’ M del vocabol quinto
78. on D, og I: prima faceansi una D,
poi una I, poi una LZ, poi di mano in
mano tutte le altre lettere delle quali si
compone la sentenza: Diligite justiliam,
qui judicatis terram, sentenza colla qua-
le esordisco il libro dolla Sapienza, 1, 1.
79. PRIMA: ogni volta prima di formare
una lettera alfabetica. - A SUA NOTA: 80-
condo la nota del canto; confr. Purg.
XXXI, 182. Par. VII, 4. «Conformave-
runt motum suum cantai, ita quod verba
qui dicobant cantando, scribobant vo-
laudo, formando tgaras Htoraraim, qu
compovebant illa vorba, scilicet Dili-
gite, otc.; » Benv.
80. DIVKNTANDO: avendo figurata una
delle dette lettere, si fermavano un mo-
mento esospendevano il canto, perlasciar
tempo di vedere la lettera figurata.
82. DIVA: divina, celeste; cfr. Par.
IV, 118; XXIV, 28. - PrGasKa: Musa.
Tutte e novele Muse si chiamano Pega-
see. O invoca la Musa in genere (Zenv.,
Land., Tom., ecc.), oppure Calliope, già
invocata Purg. I, 9 (Vell., Dan., Vol.,
Vent., Lumb., Biag., Ces., Br. B., Frat.,
Grey., Bennas., Corn., Filal., Blanc,
Witte, eco.), o Urania, essa pure già in-
vocata (Purg. XXIX, 41), la quale è ap-
punta diva, celeste (Andr., ecc.).
83. RENDIGLI: gli rondi di laoga fama;
clr. Purg. XXI, 86.
84. ED ESSI: © gli ingegni col tuo aiuto
oternano la fama delle città e dei regni.
85. ILLUSTRAMI: rischiarami col tuo
lume.- KILKVI: rappresenti, mostri come
io rilievo,
86. Lon: dello anime beate. - CONCKTTE:
concepite nella mia mente.
87. L’AIA: apparisca, si mostri; ofr.
Inf. 11, 9. ~ BRKVI: « par che senta come
i numeri italiani siano ineguali a quelli
del verso antico; » Tom.
88. MOsTHARSI: si composoro dunque
quollo sante creature in vinquo volto sotto
tra vocali e cousonanti, cioè successiva-
mente in trentacinque lettere, quanto
appunto sono nella sentenza: Diligite
justitiam, qui judicatie terram; ed io
notai queste cinque volte sette lettere
l'una dopo l'altra, nell'ordine modesimo
che mi si mostrarono significato.
90. LE PARTI: prima le singole lettere,
poi le sillabe, poi le parole. - PARVER: ai
mostrarono espresse con le figure. « Se-
cundum quod formabantar in ore illorum
caneotium, et figurabantur in motu illa-
rain volantinm; » Benv.
91. rniMat: primi di tatto fl dipinto
furono verbo e nome Diligite justitiam ;
sezzai, ciod ultimi, furono: qui judicatis
terram.
04. QUINTO: terrai, che è la quinta ed
ultima parola.
[CIELO SESTO]
PAR. xvii. 95-105
[AQUILA imPer.) 881
Rimasero ordinate, sì che Giove
Pareva argento lì d’oro distinto.
07 E vidi scendere altre luci dove
Era il colmo dell’ M, e li quetarsi
Cantando, credo, il Ben ch'a sé lo muove.
100 Poi, come nel percoter dei ciocchi arsi
Surgono innumerabili faville,
Onde gli stolti sogliono angurarsi,
103 Risurger parver quindi più di mille
Luci e salir qual assai e qual poco,
Si come il Sol, che le accende, sortille;
06. DISTINTO: fregiato d'oro in tutto
il Inogo preso dalla detta figura di M.
Giove era bianco; le anime finmmeg-
gianti, « Quale manus addunt ebori de-
cus ant obi flavo Argentnm Pariusve
lapia ciroumdatur nuro; » Virg. Aen. I,
692 © seg.
DT. acenpERK: dall'ompiroo, « Por quo-
sta fisione allegoricamonte da ad inten-
dere che questo M del vocabulo quinto
significa lo mondo, e però lo figora per
In lettera M, perchò è la prima lottera
cho nblin questo nome mondo, © pord lo
piglia dal quinto vocabolo, cio’ terram,
e non dal secondo, che 4 jurtitiam, che
anco v'è l'M, perchè Ia terra è lo mondo
del quale elli intende, E per questo, che
finge che rimaseno in questa fignra de
I'M, dà ad intendere che questi benti
spiriti da lm veduti, e rappresentati qui-
ne infino a qui, erano li minori officiali
ele persone singulari è private ole erano
valnte nel mondo nelli ntti e nell'amore
dolla giustizia. E per quolli altri beati spi-
riti, che finge che vedesse acendore poi
sopra lo colmo dell'M o fare gigli a modo
d'una corona, intese li regi o l'imperatori
nel mondo, che sono stati nel mondo sopra
li altrie governatoll colla ginstizia ; » Buti.
Così pure Land., Vell., eco.
00. creno: affermazione, non dubbio,
- IL Bex: Dio che le mnove ed sccita a
soguire Ini. Così i più (Muti, Land., Vell.,
Dan,, ooo.). « Landantoa divinam juati-
tom quien dirigit ona in contempintionom
anil; » Jtenv.
V. 100-114, L'aquila imperiale, Mo-
vendosi con grande rapidità ed accomo-
dandosi a nuove combinazioni, gli spiriti
formano insieme la figura d'un'Aquila,
simbolo della ginstizia dell'impero ; forse
56. — Div. Comm., 3% edis.
a significare, non potersi altrove dar giu-
stizia tra gli nomini se non sanno cer-
carla nel sistema della Monarchia nni-
versale. Cfr. an questi versi: Michelan-
gelo Caetani, Prop. di una più precisa
Dichiaraz. intorno ad wn passo della
D. 0. Roma, 1852, ristampato in Tre
ehiose alla D. 0., ibid., 1876, 59 0 seg.,
nolla Div, Com., od, Passigli, 1482, 742 è
sog. c nol Com. Lips. III, 404 © sog.
Inoltre cfr. Lanci, Sopra alcuni parti-
colari della Dantesca Visione nella sfera
di Giove. Roma, 1807.
100, croccm: tizzoni, ceppi da nrdoro ;
ofr. Diez, Wirt. 1”, 128,- anst: « meglio
che ardenti o accesi, porchd esprime con-
sumati già in gran parte dal faovo, onde
aprigionano, percossi, maggior copia di
faville; » L. Vent., Sim., 75.
102, AUGURA RSI: Al. AGUMANST: « Molti
atolti, stando presso al fnoco, e' fregano
in sul'arso degli ciocchi, per la qual fri-
cazione appaiono molte fnville, ed egli
s'angnrano dicendo: Cotanti agnelli, co-
tanti porcelli, cotanti finrini d'oro, e così
si passano tempo; » Lan., An. Fior., -
«Non che dicano voler aver seochini
d'oro come faville, che non è pol gran
stoltezza, ma, secondo il modo è la di-
reziono di queste, secondo i loro movi-
menti fanno pronostici; » Ronchetti.
103. ranven: Al. PARVE, - QUINDI: dal
colmo dell'M. Si osservi che Danto in-
tendo di nn'M gotica, como ri serivera
al ano tompo.
104. QUAL ARSAT KR QUAL nooo: Al,
QUALI ABBAT R QUAT POCO; ai-ai!
105. sì come: «sscondo il maggiore o
minor caldo d'amore, di che piace a Dio
d'infliammarle; » Metti, - Sot: Dio; efr.
Purg. VIT, 26. Par. IX, 8; X, 23. - BoR-
ww Ww ee See eg ee orig OS
115 O dolce stella, quali e quante
Mi dimostràro che nostra g
Effetto sia del ciel che tu}
TILLK: le destinò a più o meno gloria,
secondo i loro meriti; cfr. Par. XI, 100;
XX, 81-86. « Vuol siguificare che non
sono le luci che di loro consiglio si di-
i o in figura di aquila imperiale,
ma è Dio che lo determina; » Corn. (1).
quelle Inci al fu fermata al suo posto.
107. AQUILA : « l'uccel di Giove; » Purg.
XXXII, 112, aimbolo della giustizia im-
porialo, « Autor fingit subtilitor quod
multi aula justorum reguu vt reclo-
rum hio constituunt unum corpus aquilo,
per hoo figuraliter ostendens qual omnia
regna mundi de jure dependent a roma
uo, in quo mazime viguit justitia.... ot
omnes reges sunt subiecti romano prin-
cipi, sicut diversa membra Luana uni
capiti; » Benv.
108, A QUI: da tutte quelle tae, il cul
igneo fulgore al distingueva dall'argen-
tea binnchezza del pianeta; cfr. v. 06,
109, Quai: Dio. - nivinar: l'aquila nel
planeta di Giovo è nua ligura dipinta da
più pre
figurat
Com, i
divina
uocelle
solu
sodi
sto da
EEC
sila
sti
e
hi
AU
|
[CIELO BESTO]
PAR. xvitt. 118-181 [AVARIZIA PAPALE] 883
118 Per ch'io prego la Mente, in che s’inizia
Tuo moto e tua virtute, che rimiri
Ond’esce il fummo che il tuo raggio vizia;
121 Si ch’ un’altra fiata omai s’adiri
Del comperare e vender dentro al templo,
Che si murò di sangue e di martiri.
124 O milizia del ciel, cu’ io contemplo,
Adora per color che sono in terra
T'atti sviati dietro al malo esemplo.
127 Già si solea con le spade far guerra;
Ma or si fa togliendo or qui or quivi
Lo pan che il pio Padre a nessun serra:
130 Ma tu, che sol per cancellare serivi,
Pensa che Pietro e Paolo, che moriro
di Giove, quali e quante anime situate in
quella figura dell'aguglia che di sà fecero,
cd in quello vorso Diligite, eco., mi di-
mostrarono che la giustizia cho tra li
mortali ai fa per li rettori, sia effetto
della toa influenza!» Ott,
118, LA Mente: Dio cho ti dA moto è
virtà «d'intiniro in terra ginstizin; efr.
Par. XIX, 54 0 sog.; XXVII, 100 © sog.
119. nimint: « O jam misoras reapico
terras Quisquis rerum fiedera nectis; »
Hoet, Cons. phil. I, motr. 5.
120, onxne: dalla Corte di Roma; cfr.
Inf. XIX, 104 è sog. Purg. XVI, 97 è
seg. - RAGGIO: la giostizia che tu influl-
sel. - vizia: olffasca, guasta.
121. sì cnr: di modo che Cristo, il
quale si mirò già contro coloro che mer-
canteggiavano nel tompio del Signore
(cfr. S. Matt. XXT, 12 è ang. &. Giov.
II, 14 © seg.), si adiri un'altra volta
contro i rinnovatori di tal mercato nella
sun Chiesa, stabilita con miracoli © ool
sangne Suo è dei martiri.
122. TEMrLO : tempio; qni=]n Chiesa;
cfr, Res, II, 21. Thom. Ag. Sum. theol.
1°, 102, 4.
123. a1 MURÒ: fa edificata, - DI BANGUK :
dol sangue di Cristo, « Adqnisivit eccle-
rinm sanguine ano; » Act. XX, 28. Al. tn
anon; ofr. Com, Lips, III, 501 è sog.
Moone, Crit., 407 0 sog.
124. mrcizia: animo sante o beate dol
Cielo di Giove; cfc. Purg. XXXII, 22.
Par, XXX, 43; XXXI, 2. - CONTRMTLO:
veggo colla mente.
125, ADORA: Ora, prega; ofr. Purg. V,71.
126, TUTTI SVIATI: « Omnes declinave-
runt;» Rom. IT, 12. -rsemr.o: del pa-
stori e prelati della Chiesa; efr. Purg.
XVI, 100 è seg.
128. on QUI On quivi: Al. On QuINDI
OR QUIVI: or ad nno, ora ad un altro. E
dice che la guerra, non collo armi, ma
colle woomunicho o cogli intordotti, al fa
ora qui, ora lì, per indicare cho i papi
6 loro prelnti cercavano in ogni tempo 6
longo motivi di guadagno.
120, LO PAN: Îl pano spirituale, la gra-
zia, che il Padre celeste non nega a nes-
suno, ma accorda a chiunque la cerca;
cfr. Purg. III, 122 è seg.
180.TU:apostrofa papa Giovanni XXIT,
il Caorrino (1216-1334), schiavo di Mam-
mona (cfr. Vill. X1, 20), il eni pontificato
fu una serie si può dire non interrotta di
scomunicazioni è ricomunicazioni; ofr.
Vill. IX, 109, 141, 144, 171, 227, 246, 264,
211; X, 36, 78, 184, eco. Altri intendono
dei chiorici, o dei papi in generale. Ma
è chiaro che Dante parla di un perso-
naggio determinato, Altri intendono di
Bonifnzio VIII, o di Clemento Vj ma
nmbedue ornno morti da un pezzo quando
Dante dettava questi versi, e l'epoca fit-
tizia della visione non ha qui che vedere.
Cfr. Com. Tips. III, 503 0 seg. = BORIVI :
conauro, ssomuniche, bollo of altra roba
di questo gonoro,
131. IPtitro R PaoLo: Al. & Pao, &
PAULO; cfr. Moons, Crit., 470 è sog. Nel
v. 196 il Pescatore è Polo. Al papa avaro,
il unle non si cura che del florino d'oro,
Dante pone in bocca nomi che uamife-
884 [CIELO sesto] PAR. xvi. 182-196 - xix. 1-2 [AQUILA PARLANTE]
Per la vigna che guasti, ancor son vivi.
133 Ben puoi tu dire: « I’ ho fermo il disiro
Sì a colui che volle viver solo
E che per salti fu tratto al martiro,
136 Ch'io non conosco il Pescator né Polo. »
stano la poca stima in che ha gli apostoli
di Cristo, ricordandogli che ancor son
vivi è che il Pescatore è Pietro ed il Palo
é Paolo. Ironia resa più fina da questa
varietà di nomi.
132, Viana: la Chiesa; ofr. Par. XII,
86. Isaia, III, 14. - VIVI: « quasi dica:
elli ti rimuneranno di toe opere, però
ch' elli vivono, cioè possono» Ott.
138. Ding: rideudotela delle minacce è
burlandoti di Pietro e di Paolo. - renMO ;
io sono tanto assorto nel vagheggiaro
5. Giovanni Battista offigiato in su i flo-
rini d'oro, che non conosco più nè San
Pietro nè San Paolo. Acerbisaima ironia.
134, cout; Giovanni Battista. - 80L0:
nel diserto; « Erat in deserto; » 8. Luca,
I, 80. Qui= il fiorino d'oro,
135, ren salti: in premio del ballo
della tiglivola di Krudiade; ofr. 8. Matt.
XIV, 6-12. &. Marco, V1, 21-28.
136. 1. Prscaton: San Pietro; confr.
Purg, XXII, 03. - PoLo: San Paolo apo-
a —-—— | ss ~~ e
CANTO DECIMONONO
CIELO SESTO DI GIOVE: PRINCIPI SAGGI E GIUSTI
L'AQUILA PARLANTE, NECESSITÀ DELLA FEDE
IMPERSCRUTABILITÀ DELLA DIVINA GIUSTIZIA
LA IEDIC
KLE OPERE
Parea dinanzi a me con l’ale aperte
La bella image, che nel dolce frui
V. 1-21. Il linguaggio dell’ aquila
celeste. Con le ale aperte si mostra al
Poetala bella iminagino dell’ aqnila in cui
erano conserte tante anime, lieto nel dolce
godimento della visione di Dio. Ciascuna
di quello anime sembra un rubinetto ar-
donte a’ raggi del sole. L’ imagine co-
mincia a parlare; un solu suono csce di
molti amori, como un sol calure si fu sen-
tire di molte brugo. Nell' unità dol santo
segno, la pluralità di auimo parla il lin-
guaggio doll’ unità. Parlano wighisie di
spiriti beati: ma la favolla è una, unala
voce: «Ilo ottenni la gloria per opero di
pietà e di giustizia, virtù che si ammirano
bensì in terra, mu non visi seguono più,
nè più vi si prendono ad esempio. » Così
parlano le animo lucenti formanti l’aqui-
la, come se non fossero che una sola
persona.
1. PARKA: appariva, ei mostrava. -
L'ALK: Al. L'ALI.
2. 1MaGk: immagine; cfr. Purg. XXV,
W. Par. II, 182; XIII, 2. - FKUI: frai-
[CIELO 8ESTO]
PAR. x1x. 8-21 [AQUILA PARLANTE] 885
Liete facevan |’ anime conserte.
4 Parea ciascuna rubinetto, in cui
Raggio di sole ardesse si acceso,
Che nei miei occhi rifrangesse lui.
7 E quel che mi convien ritrar testeso,
Non portò voce mai, né scrisse inchiostro,
Né fu per fantasia giammai compreso ;
10 Ch'io vidi, ed anche udii parlar lo rostro,
E sonar nella voce ed « io » e « mio, »
Quand’ era nel concetto « noi » e « nostro, »
13 E cominciò: « Per esser giusto e pio
Son io qui esaltato a quella gloria,
Che non si lascia vincere a dislo;
16 Ed in terra lasciai la mia memoria
Sì fatta, che le genti li malvage
Commendan lei, ma non seguon la storia. »
19 Così un sol calor di molte brage
Si fa sentir, come di molti amori
%
riono. Friti è Infinit. Int. naato come so-
stantive. «(aod est simplicitor nitimum,
in quo aliquis dolectatur sicat in ultimo
fine, hoo proprie dicitur fructus, et so
proprie dicitur aliquis Fru1;» Thom. Aq.
Sum. theol. 1°, 11,3.
3. FACEVAN: « questa aquila facevano
gli apiriti conserti, ciod connessi 6 con-
giunti l' nno all'altro; » Land. Al. ra-
cRVA. Cie. Borghini, Stud., ed. Gigli, 279.
Com. Lips. 111, 506 0 seg.
4. PARRA : ciascuna di quelle anime ful-
gidissime, che formavano l'aquila, sem-
brava rubino che accogliendo un raggio
solare lo riflettesse negli occhi miei. « Lo-
men cing similo lapidi pretioso tamqnam
Inpidi jaspidia sient erystallum ; » Apocal.
XXI, 11. Cfr. Conv. INI, 7.
7. TRSTESO : testà, ora; cfr, Purg. XXI,
118, Diez, Wort. 11°, 74,
8. rortò : ad orecchio umano; « Quod
oenlus non vidit nec anris nndivit neo
in cor hominis ascondit; » J Cor. IL 0.
(fr, Inf. XXV, 04 0 sog.; XXVIII, 112
© ae.
10. Lo rostro; il becco dell'aquila;
«Vidi et andivi vocem unins aquile
volantia per medium cmlum; » Apocal.
VIII, 13.
11. 10: erano molti che parlavano, mn
Usciva solo un suon di quella image;
era nna soln voce cd |l parlaro nol sin-
golare.
12, NEL CONCKTTO: uno il parlare, di
molti il sentimento.
14. A QUELLA: Al. A QUESTA.
15, vincrrr: guadagnare. Sono eaal-
tato a quella gloria che col solo desiderio
nessuno può consegnire; cfr. S. Matt.
VII, 21; XI, 12, JI Tim, TI, 5, Par. XX,
04 o seg. Coal Perazzini, Dion., Parenti,
Costa, Filal., eoc. I più prendono invece
wincere nol senso di superare è spiegano :
Ginstizia e misericordia mi hanno esal-
tato a quella gloria che supera ogni de-
siderio. Così Lan., An. Fior., Bene, Buti,
Land., Vell., Dan., Vol., Vent., Lomb.,
e giù giù sino al Corn. La prima inter-
pretazione è confermata dal v, 106 è seg.
di questo canto. Cfr. Com. Lips. ITI, 508
© sog.
18. Let: In memoria da mo Insciata in
terra. - LA BTORIA: le opere che di me
narra In storin, Faaltano In mia momoria,
ima non nagrrono Il mnlo osemplo. Cfr. Tae
can, Phare. I, 165,
19, così: come da molti carboni accesi
esco nn solo calore, così da quell'aquila
formata dai molti amori, dalle molte ani-
me accese dell’ amor divino, usciva una
sola voce,
886 [CIELO sESTO]
PAR. XIX. 22-34
{VECCHIO DUBBIO]
22 Ond’io appresso: « O perpetui fiori
Dell’ eterna letizia, che pur uno
Parer mi fate tutti i vostri odori,
26 Solvetemi, spirando, il gran digiuno
Che lungamente m’ ha tenuto in fame,
Non trovandogli in terra cibo alcuno,
28 Ben so io che, se in cielo altro reame
La divina giustizia fa suo specchio,
Che 'l vostro non l’apprende con velame.
31 Sapete come attento io m’ apparecchio
Ad ascoltar; sapete quale è quello
Dubbio, che m' è digiun cotanto vecchio. »
a4 Quasi falcone ch’ esce del cappello
V.22-83. Un vecchio dubbio non an-
cora sciolto, Danto proga quei beat) for-
manti la benedotta immagino di seblarir-
gli un dubbio, in che da molto tempo
fluttunva |’ animo suo. Non lo specifica,
ma dice: Vol lo conoscete. Il dubbio,
cho si ospono poi v. 70 0 s0g., è quosto:
Sonzu fodo in Cristo e sonza buttesimo
non vi è salute. A tutti dovrebbe quindi
essere offerta l'occasione di abbracciaro
la fede e ricevere il battesimo. Ed invoce
la maggioranza dogli uomini vivee muore
sonza avor mai saputo nd udito nulla nd
di Cristo nè di battosimo. Sono questi uo-
mini dannati? Ma qualo ò la loro colpat
E dov'è qui la divina giustizia? Per
tutta risposta ci dirà poi, che la divina
glastizia è imporscrutabile. Cfr. 7hom.
Aq. Sum. theol. 113, 2, 2,7; III, 66,11;
111, 68, 2. Hug. a S. Vict. Kluc, Evang.
Joh. XV, 22.
22. FIORI: anime che come flori ron-
dono bello in eterno il Paradiso.
23. PUR UNO: come se foste una per-
sona sola.
24. ODORI: voci, avendo detto fori le
animo. .
25. BVIRANDO: parlando.- DIGIUNO: de-
siderio di conoscere il vero; cfr. Conv. I,
1 e seg.
27. NON TROVANDOGLI: non trovando
al digiuno cibo alcuno in terra, cioè non
trovando Ja soluzione del mio dubbio.
Non la trova noppure in cielo, chè il
dire la divina giustizia essere imperscru-
tabile non è soluzione del dubbio.
28. SK IN CIELO : sela divina giustizia si
apecchia in altro reame (cioò nei Troni,
cfr. Par. IX, 61 © seg.) essa sì maniicata
senza velo anche a voi. Diversamente
Jtonchetti, Appunti, 100: « en so jo che,
se v'ha in cielo alcun reame in cul al
specchi la divina giustizia, il vostro sarà
più di tutti, essendo il cielo della gin-
stizia, »
30. CUR: ripotuto por chiarozza ologan-
te, come usò il Boccaccio © como ni usa
tuttora.
33. VECCHIO: la cui soluzione desidero
da tanto tempo.
V. 34-09. Imiperscrutabilità della
divina giustizia. T'aquila celeste, espo-
sto il dubbio di Dante, dà la semplice ri-
sposta: Questo è giudizio riservato a
Dio! Cir. Rom. XI, 33. Prima però di
parlaro dol suo dubbio la bella image
gl’insogna che, avondo Dio creato I’ uni-
verso, non potò imprimore in caso il va-
lor sno per modo che Il suo divino inton-
dimonto non rimanesse infinitamento su-
periore a quello d'ogni creatura. Onde
Lucifero caddo quando por suporbia vollo
uguagliarsi al suo Fattore. Nè l'umano
ingogno può incontrare altra sorte se
presume d'indagaro gli abissi infiniti
della divina Sapionza. Dovo dunque I in-
telletto umano non arriva ci vuole la fode
nollo verità rivolate, lo quali ci fanno
certi dell’ infullibilo giustizia di Dio; e la
scienza più vera in questa parte ai è
l'ignoranza, l'umile silenzio in ossequio
alla fedo. Invece dunque di sciogliere il
dubbio proposto, prescrivo di iuchinare
la mente al sopraunatorale, chiamando
menti grosse ed animali terreni coloro
che nou istanno contenti alla fede.
34. QUASI FALCONE: Al. QUALE IL VAL-
CON CU USCENDO, 600.; Cfr. Com. Lips.
[CIELO SESTO]
PAR. xix. 35-50 [GIUSTIZIA DIVINA] 887
Muove la testa e coll’ali si plaude,
Voglia mostrando e facendosi bello:
37 Vid’ io farsi quel segno, che di laude
Della divina grazia era contesto,
Con canti, quai si sa chi lassù gaude.
40 Poi cominciò: « Colui che volse il sesto
All’estremo del mondo, e dentro ad esso
Distinse tanto occulto e manifesto,
43 Non poté suo valor si fare impresso
In tutto l'universo, che il suo verbo
Non rimanesse in infinito eccesso.
40 E ciò fa certo che il primo superbo,
Che fu la somma d'ogni creatura,
Per non aspettar lume, cadde acerbo:
49 E quinci appar ch'ogni minor natura
E corto recettacolo a quel Bene
III, 511. - carre..o: coperta di cnolo
che il falconiero metteva in testa nl fnl-
cone, perchè non si dibattesse mentre lo
portava alla onccin. Cfr. Pulei, Morg, XI,
70; XVI, 04. Arion, Orl, IV, 40.
25. MUOVR: mostrando voglia di nscir
do! pugno è volaro in onccia; cfr. Prezzi,
Quadr. IV, 6. - 81 PLAUDR: battondo le
ali fa fostansòstesso ; cfr. pid. Met. VIII,
238; XIV, 607. Virg. Aen, V, 516 0 sog.
36. voania: di apiegaro il volo, — PA-
URNDOSI DELLO: ringallnzzandosi; ofr.
drios., Orl, XXIV, 96,
a7. seano: l'aquila, insegna imporialo,
composta di spiriti lodatori della grazia
divina, -LAUDER: plar. di lauda, qui= lo-
danti, come nel v. 20 amori per amanti.
89.cAuDE: gode, Soltanto nn beato può
conoscere la dolcezza di quei canti.
40, CoLut: « Dio cho misurò quasi con
compasso il giro dell' universo, © tante
cose ci pose aperte ed arcane, non potoa
tanto spargere nelle creature la propria
Ince, che il suo Verbo non rimanesse
maggiore del loro concetto ; » Tom. Cfr.
Prov. VIII, 27. — IL 8R8TO: il compasso ;
efr, Giobbe XXXVIII, 4 osng.
41. ALL'ERTIERMO: Al. ALLO RTRRMO, —
DENTRO: nel mondo,
42. nistinse: diviso, distribu) tante
cose n noi ooculte, e tanto cose da noi co-
noscinto.
43. sl FARK IMrRE880: imprimere tal-
mente.
44. verno: concetto, sapienza; si ri-
ferisce alla Divinità, non solo alla secon-
da Persona.
45. IN INFINITO KOCRSSO : infinitamento
nl disopra di ogni crenata intelligenza.
L'ento infinito non può ereare enti finiti
senza cho li superi per mn eccosso infl-
nito; ofr. Petr, Lomb. Sent. I, 41. Thom,
Ag. Sum, theol, I, 25, 6, Eecesso qui nanto
in buon senso, como Mp. Kani, 1.
46. Rew: o Ro no ha corterza da ciò,
cho Lucifero, qnantanque sommo tra lo
creature, nven anche Ini bisogno del
Inmo divino per vedere più in là, è non
volendo nspettare questo lame cadde a-
cerbo, clos non perfezionato da osso Inme
come fnrono poi gli angeli rimasti fodeli
a Dio. Cir. Vulg. FLI,2.
47. somma: la più eccellente tra le
creaturo; confr. Purg. XII, 26. Petr.
Lomb, Sent. 11, 2, 4. Thom, Ag. Sum,
theol. I, 63, 7. Inf. XXXIV, 18.
48. ASPRTTAR: prima di essere confer-
mati nella grazia, gli angeli ebbero on
tempo «di prova.
49. avrAR: lat. apparet= è manifesto,
e So ILnciforo, il quale fu la più porfetta
erontura o più pecollento ehe Lddio nvos-
so cronto, non puotò intendere 1° infinita
divina provvidenza, meno la può cone-
acere una creatura umana, ch'è molto
meno eccellente che non fu quella;» Dan,
60, CORTO RECRTTACOLO: piocolo vaso
rispetto nlla immensità di Dio,
888 [CIELO SESTO]
Par. xix. 51-65
[GIUSTIZIA DIVINA]
Che non ha fine, e sé con sé misura.
62 Dunque vostra veduta, che conviene
Essere alcun dei raggi della Mente
Di che tutte le cose son ripiene,
55 Non può da sua natura esser possente
Tanto, che suo principio non discerna
Molto di là, da quel che l'è parvente.
58 Però nella giustizia sempiterna
La vista che riceve il vostro mondo,
Com’ occhio per lo mar, entro s’ interna;
DI Che benché dalla proda veggia il fondo,
In pelago nol vede, è nondimeno
E li, ma cela lui |’ esser profondo.
64 Lume non è, se non vien dal Sereno
Che non si turba mai, anzi è tenébra,
51. sé cow sé: Al. sé IN sé: «Iddio è
bene intinito, che con niuno altro bene
si può misurare, se non con sd medo-
simo; imperò che ogni altro bene è mi-
nore di lui, sicchè con niuno altro si può
misurare. E como ogli è intinito, cosi lo
opere sue sono ininvestigabili ed incom-
prensibili dall'uomo e da ogni altra crea-
tura. K così è dimostrata la maggior
proposizione; ciod cho ogni creatura è
corto ricettacolo d'Iddio o dolle suo ope-
ro; può bene ricevero purto, ma non
tutte; » Buti. Cir. Ounv. 11, 4, dove Dio
è detto « quella somma Deità cho sò sola
compiutamente vede; » e II, 6: «la luce
cho sola sò medesima vedo compiuta-
monto. »
52. vOsTRA: Al. NOSTKA. La lez. vo-
STRA è confurmata dai versi 59 e 83.
L’umano intelletto, ch'è un teune rag-
gio della mento divina, non può essere
tanto potente che il suo principio (la nen-
te divina) non discerna assai più iu là di
quello che ad ossa (vostra veduta) appa-
risco. Confr. Tudeschini, Scritti su D.
II, 429.
63. MEKNTK: divina; clr. Zar. XVIII,
118; XXVII, 110.
64. silikNK: cfr. Z’ar. I, lovey. III
Reg. VIII, 27. Gere. XXIII, 24. Virg.
Eclog. 111, 60; IV, 49 © seg. Thom. Aq.
Sum. theol. I, 8, 1.
60. DA BUA: Al. DI SUA. « La intolligon-
zia umana non può per sua natura com-
prendero dello cose di Dio tauto, che
non ne sia ancor più; » Buti.
656, ruivcrmo: la Mente divina, ch'é
principio dell'intelletto creato.
57. Di LA: superiore a quell’apparenza
sotto la qualo gli si mostra. - cur L'È
PARVKNTE: che è parvouto alla vostra
umana veduta. Cfr. Thom. Ag. Sum. th.
1, 12, 2. Com. Lips. 11I, 516 e seg.
58. PERÒ: l'uomo non può pouetrare
i segreti di Dio, perchè la vista della
monto nostra vedo nella giustizia divina
como l'occhio nel mar profondo, ciod
niente. « Iudicia tua abyssus multa; »
Salina. XXXV,7. Clr. L. Vent., Sim., 107.
59. RICKVE: la vista, l'intendimento è
dono di Dio. Cfr. I Cor. IV, 7.
Ol. DALLA intona: dal lido, vicino alla
riva. « Como presso il lido voggiamo il
fondo dol mare, ma in alto polage sap-
piamo che c'è, ma nol vediamo; così di
certe cose ben vediamo il perchò, ne ve-
diamo la provvidenza o la giustizia, ma
nelle più astrase suppiamo che essere ci
devo il perchè, ma nonlo vediamo; » Corn.
62. IN PELAGO: nell'alto mare, a diffe-
ronza della proda.
63. È LÌ: Al. kati È; che il fondo ess-
ste, non cru nocossatio di dirlo; ma Dante
vuol diro che csso 0 anche il, dove la
profondità dello acque lu nasconde al-
l' occhio.
04. NON È: por l'uomo. - DAL SKKKNO:
da Dio. Lumo verace non può essore che
quello che viene da Dio, dunque la Ri-
velazione.
65. È TRNEBHA : il lumo naturale 6 piut-
tosto tauebre che lume.
[CIELO 8ESTO]
PAR. x1x. 66-82 [GIUSTIZIA DIVINA] 889
Od ombra della carne, o suo veleno,
67 Assai t’ è mo’ aperta la latebra,
Che t’ascondeva la giustizia viva,
Di che facei question cotanto crebra.
70 Ché tu dicevi: “ Un uom nasce alla riva
Dell' Indo, e quivi non è chi ragioni
Di Cristo, né chi legga, né chi scriva;
7a E tutti i suoi voleri ed atti buoni
Sono, quanto ragione umana vede,
Senza peccato in vita o in sermoni,
76 Muore non battezzato e senza fede;
Ov' è questa giustizia che il condanna?
Ov’é la colpa sua, se ei non crede? ,,
79 Or tu chi sei, che vuoi sedere a scranna
Per giudicar da lungi mille miglia
Con la veduta corta d’una spanna?
82 Certo a colui che meco s’ assottiglia,
66. OMBRA: « Corpus enim, quod cor-
rumpitor, aggravat animam, et terrena
inhabitatio deprimit sensom malta cogi-
tantem: » Sap. LX, 15. Cfr. Virg. Aen.
VI, 733 0 seg. Thom. Ag. Sum, theol. 119,
180,7.- VRLENO : stimolo peconminoso che
avvelena l'intelletto. Ombra riguarda
l' intelletto, veleno Ja volontà,
67. MO": ora, - LA LATEBRA : fl nascon-
diglio. Ora vedi abbastanza che l'insuffi-
cienza dell'umano intelletto è quel na-
scondiglio che ti celava la infallibile gin-
atizia divina intorno n quel punto, del
quale dicesti di avere s) spesso cercato
invano di essere schiarito,
60. FACEI: facevi, anticamente anche
in prosa, — CREBRA: frequente,
TI. DELL’ Inpo; Al. prt NiLo. = ra-
GIONI: « Quomodo credent si quem non
nodierant? Quomodo antem andient sine
predicante!» Rom, X, 14, « Requiritor
ml fidem quod credibilia proponantur
credenti; et hoe quidem fit por homi-
nom; » Thom. Ag. Sum. theol. I, 111, 1.
72, né cuni: nessuno predica Cristo,
nessnno legge di Cristo, nessuno serive
di Cristo.
75. TN VITA O IN BERMONI: in opere o
in parole. Frase biblica; « Vis potena in
opere st sermone; + 5, Lisea, XXIV, 19.
77. ov'È: come può la divina ginati-
zin condannare costniî Se mnore senza
fede è senza battosimo la colpa non è ana,
79. TU cut Set: « O homo, tu quis ea
qui respondens Deo!» ad Rom, 1X, 20. -
BRDERE A BCRANNA : sedere in tribunale,
farti giudice. - 8CRANNA: sedia, tribuna-
la; dal ted, Schranne: cfr. Diez, Wort.
11°, 65.
80. DA LUNGI: 0 vuol dire, ciò che è
nssni lontano dal too intelletto; oppure
si esprime in questo modo con ispecial
rignardo all' « nom che nasce alla riva
dell'Indo, » v. 70 e seg.
BI.vEDUTA: intellettuale. — D'UNA SVAN-
NA: non più Innga di nn palmo, « Invehit
contra priesaumptuosam ignorantiam quo-
rumdam, qui temere volunt jodicare de
justitia Dei, quia excedit rationem hu-
manam; et talem increpat per similitu-
dinom propriam dicens, quod talia qum-
rens rationem horum est similia habenti
visum brevissimnm, qui non vidit lon-
gius uno palmo, et tamen tentat videro
a longe per mille miliaria; » Bene. Cfr,
Conv, IV, 5.
82. S'ABSOTTIGLIA: « il qui subtiliter
conator rationom mem )ustitim, scilicet
divine, que maximo relucet in mo; »
Benv, « Corto per colui cho meco ragio-
nando volesse far l'arguto o il sottile,
sarebbe da dubitare a maraviglia, ossia,
avrebbe costui molti e molti dabbi da
affacciare sulla giustizia dei decreti di
Dio, volendo gindicare coll'umana ragio-
no; quando voi altri oristiani non nvoato
|
I
890
[CIELO SESTO]
Par. xrx. 88-96
(QIUSTIZIA DIVINA]
Se la Scrittura sopra voi non fosse,
Da dubitar sarebbe a maraviglia.
85 O terreni animali, o menti grosse!
La prima Volontà, ch’ è per sé buona,
Da sé, che è sommo Ben, mai non si mosse.
88 Cotanto è giusto, quanto a lei consuona;
Nullo creato bene a sé la tira,
Ma essa, radiando, lui cagiona. »
ni Quale sovr' esso il nido si rigira,
Poi che ha pasciuti la cicogna i figli,
E come quei ch'è pasto la rimira;
na Cotal si faco, e si levai li cigli,
La benedetta imagine, che l’ali
Movea sospinta da tanti consigli.
a guida e maestra la Sacra Scrittora,
che vi acquieta in ogni dubbio è difti-
coltà colla rivelaziono di on Dio infalli-
hile, e per cssonza buono; » Ar. J, « Chi
vuole far ragionamenti sottili con l'aqui-
ln, simbolo figurato dolla monte di Dio
giusto, potrebbe uvere scusa no’ suoi
dubbii audaci, s'ogli non avesse modo
d'istruirsi nel vero esaminando c medi-
tando le Sacro Scritturo; ina questo de-
vono aver bone appreso al cristiano quale
o quanta sin lu Sapienza, la Giustizia, la
Bontà misericordiosa di Dio; » De Qub.(1).
Confr. Com. Lips. 111, 518 © sog. Boet.
Cons. phil. IV, pr. 5.
84. A NARAVIGLIA: sino allo stupore;
cfr. Par. XI, 90.
85. Grossk: cfr. Inf. XXXIV, 92.
86. VOLONTÀ: divina. - Pgk 8K: per sò
stessa, non per partecipazione d' altrui
bontà.
87. MO8SK: « voluntas Dei est omnino
immutabilis; » Thom. Aq. Sum. theol. I,
19, 7. « Kgo enim Dominas, et non mu-
tor; » Malach. III, 6. « Sine paenitentia
enim sunt dona et vocatio Dei;» Rom.
XI, 29. «Or come temi tu (vuol dire),
che sia altro che giusto ciò che Dio fal
Quando ogli è fonte di bontà, e tanto
cssonziulmonte buono (0 però ancho giu-
sto), cho spira e produce la bontà nello
cose fuori di sè, non esse in lui; le quali
tanto son buone e non più, quanto par-
tecipano della bontà sun?» Ces.
88. COTANTO : giusto è soltanto ciò che
è conforme alla divina volontà. Con ciò
il dabbio proposto è soffocato. Cho se la
conformità al divin volere è l'unica nor-
ma della giustizia, è esclusa nssoluta-
mente la domanda, se il volere di Dio
sia ginsto, Così non pod domandare sé
nou chi ha dolla giustizia un concetto
tutto diverso. 11 dubbio è sogucato, ma
sciolto nun è.
80. LA TIKA: la trae a sè. Nel dubbio
osposto v. 70 o sog. 6 implicitamente con-
tonuto l’altro dubbio, se forso nna gento
non abbia sopra l'altra o prorogativo è
moriti, per cui ad ossa è offorta la grazia
di Dio in Cristo, all'altra no. Qui tronca
questo dubbio; bon lungi dall’ casure at-
tirato dal bene dolle creature, Iddio è
Colui che esso bene cagiona. L'argomen-
taziono è tolta da S. Paolo, Rom. IX;
cfr. Filipp. II, 13. Ma anche questa ar-
gomentazione soffoca il dubbio, non lo
scioglie; cfr. Com. Lips. III,6520 e seg.
00. RADIANDO: la bontà divina, spar-
gondoi suoi raggi, produce il bene creato.
93. QURI: Al. QUEL. Appagato, il Poeta
guarda l'aquila con amorosa maraviglia.
La similitudine dipinge l' aggirarsi del-
l'aquila intorno al Poeta, ed il fissare
ch’ ei fa in essa i propri occhi, e l’affet-
tuosa vicendevole compiacenza. L'imma-
gine si fece come cicogna, Dante come
cicognino, - PASTO: pasciuto; latino pa-
stus; cfr. Viry. Eclog. 1X, 24.
94. LEVal: Al. LKvò; R eu LEVÒ, La
benedetta immagine si fece come la ci-
cogna che si rigira sovra il nido; Dante
levò li cigli, come il cicognino pasciuto
mira la cicogna. Cfr. Inf. XXIX, 16.
06. sosrIiNTA : Al. s08FINTK. L'aquila
[CIELO SESTO]
PAR. x1x. 97-112 [FepE ER OrERE] 891
97 Roteando cantava, e dicea: « Quali
Son le mie note a te, che non le intendi,
Tal è il giudizio eterno a voi mortali. »
100 Poi si quetàro quei lucenti incendî
Dello ‘Spirito Santo, ancor nel segno
Che fe' i Romani al mondo reverendi,
103 Esso ricominciò: « A questo regno
Non salì mai chi non credette in Cristo,
Né pria né poi ch’ ei si chiavasse al legno.
106 Ma vedi, molti gridan “ Cristo, Cristo, ,,
Che saranno in giudizio assai men prope
A lui, che tal che non conosce Cristo;
109 E tai cristiani dannerà |’ Etiòpe,
Quando si partiranno i due collegi,
L’ uno in eterno ricco, e l’altro inope.
112 Che potran dir li Persi ai vostri regi,
movea le ali porchè ora sospinta da tanti
consigli, ciod da tante unanimi volontà,
quanti erano gli spiriti che la compo-
nevano.
07. nOTRANDO: movendosi in giro in-
torno n me.- QUALI: come ta non intendi
le parole del mio canto, così vol mortali
non comprendete la divina giustizia.
DO. TAL &: « Quis onim hominam po-
terit sclre conailiam Dei! ant quis pote-
rit cogitare quid volit Deus! + Sap, 1X12.
V. 100-114. La fede e le opere. Non
ri è salnte senza fede, ma la fede vuol
essere accompagnata dalle buona opere.
In cielo non salì mai chi non eredette In
Cristo; ma molti, che hanno sempre il
nome di Cristo sulle labbra, saranno nel
di del gindizio più lontani da Ini, che al-
tri, i quali non conobbero Cristo. Oli
Etlopi condanneranno | Cristiani. E che
diranno gl" infedeli dei rostri principi,
quando in quel giorno «i apriranno | li-
bri dove sono seritti i loro dispregi | Cfr.
E. Giacomo, 1I, 26. Petr. Lomb. Sent.111,
23. Thom. Aq. Sum. theol. 11", 124, 6.
100. ror: poichè, allorché, ofr. Purg.
xX, 1.- sr querino: Al. srourrimo. MI
quetarono dal retrare, e l'aquila ricomin-
cid & parlare - ces: fuochi d'amore ;
efr. Par. XXV, bo.
101. ascox xi stoaro: eontinnando a
formare la figura dell aqnila.
102. nevenaani: « degni di reverence
e d'onore al momo, per le molte vittorie
e trionfi che ebbero sotto tale insegna; «
Dan.
104, cnEnRTTR: o in Criate venturo, o
ip Cristo vennto; « Non oat in aliquo allo
nalua: nec enim nomen est aliod sub emlo
datum bominibua in quo opertet nos aal-
vos fori; » Atti; TV, 12, Of, Thom. Ag.
Sum, theol, 111, 08, 1, - Omero: come di
nolito, questo nome snore 4 rimato con
ad atrsan.
105. cniavanee: Inelilodasse sulla ero-
co; efr. Inf. XXXIII, 40.
106. MOLTI OMIDAN : « Malti dicont mihi
Domine, Domine! - - Et tone confitebor
Ilie quod nonquam novi vos: discsdito
ame, qui operamin! iniquitatom ; » A,
Matt. VII © seg.
107. ir aiumizio: wel A del giodizio
finale, - rrorg: prosa, vicini.
108, corxoscr: Al. corone, lezione che
na di correzione. Cfr. &. Lea, XII, 47
0 seg.
109. Tat: tali oristiani che lo sono sol:
tanto di nome, - banwend: ofr, S. Matt.
VIII, 11, 12; XII, 41, 42. 8. Lee. XI, dI
e neg.; XIII, 29 © seg. - L'Emore: il
pagana
110. rantiranmo: dividoranno le das
achiore, alla destra ed alla sinintra del gio-
dice eterno; ofr. N. Matt, XXV,31 e seg.
10). morn: porern, « impert che eart
dannato © privato della grazia di Dio; »
Buti
112. Pens: anche qui, come EMope,
P
892 [CIELO SESTO]
Pan. xix. 119-125
[PRINCIPI INGIUST1]
Come vedranno quel volume aperto,
Nel qual sì scrivon tutti i suoi dispregi ?
115 Li si vedrà, tra l’opere d’Alberto
Quella cho tosto imoverà la ponna,
Per che il regno di Praga fia deserto.
118 Li si vedrà il duol che sopra Senna
Induce, falseggiando la moneta,
Quei che morrà di colpo di cotenna.
121 Li sì vedrà la superbia ch'asseta,
Che fa lo Scotto e l'Inghilese folle,
Si che non può soffrir dentro a sua meta.
124 Vedrassi la lussuria e il viver molle
Di quel di Spagna, e di quel di Buemme,
per pagani in gonerale. - REOI: principi
cristiani, « Quasi dicat; certe dicere po-
terunt, nos rospectu vostri fecimus opera
christiana, et vos pagana; » Beno.
113. voLum®R: « Libri aperti aunt; et
alinée liber apertus est, qui ost vit; et
indicati sunt mortui ex hia que scripta
erant in libris secundum opera ipso-
rum; » Apocal. XX, 12. Cfr. Thoin Aq.
Sum. theol. I, 24, 1.
114. BUOI: loro. - DISI'REGI: male azio-
ni, per le quali sono in dispregio; l’ef-
fotto per la causa. Oppure: i dispregi
fatti a Cristo dai principi cristiani.
V. 115-148. Perversità dei principi
cristiani. Svolge il Poeta una pagina
tremonda del libro oterno, nella quale si
leggono i dispregi dei principi cristiani
dol tompo, da Alborto imporatoro ad Ar-
rigo 11 di Lusignano, signore di Cipro.
«Colla enumerazione dello prave opere
di molti re, ci presonta il Poeta un pro-
spetto dello condizioni dell’ Europa cri-
stiana, presenta insieme un quadro geo-
grafico dalla penisola Iberica alla Boemia,
dalle isole Britanniche all’ Ungheria o
all’ Illiria, dalla Norvegia alla Sicilia, a
Cipro, a Gerusalemme; » And.
116. LÌ: nel volume eterno. - ALBERTO:
d'Austria; Purg. VI, 97 e seg.
116. QUKLLA : l'invasione della Boemia
nel 1304; cfr. Palacly, Storia della Boe-
mia, 1. IV, 0. 7. - MOVKRA LA PKNNA: di
Dio a scrivere in quel volume; cfr. Da-
niele, V, 5 © seg.
117. rgk CHE: per la quale opera. - RK-
GNO DI PraGa: la Boemia.
118. IL DUOL: il dolore che cagiona a
Parigi Filippo il Bello facendo contare
moneta falaa; cfr. Vill. VIII, 58: « per
fornire sua guerra sì fece falsificare le
suc monete, 0 la buona moneta dol tor-
nese grosso, ch'era a undici ones e merzo ©
di fine, tanto il feco peggiorare, che tornò
quasi a motade, e simile la moneta prima;
e così quelle «dell'oro, cho di ventitro è
mozzo curati, lo rocò a men di venti, fa-
condolo correre per più assai che non va-
leano: ondo il ro avanzava ogni d) libbre
seimila di parigini, e più, ma guastò e di-
sertd il paese. »
120. COTENNA: polle del cinghiale, qui
per cinghiale; la parte per il tutto. « Nel-
l'anno 1314 del mese di novembre, il re
Filippo re di Francia, il quale avea re-
gnato ventinove anni, morì disavventa-
ratamonto, cho ossondo a nna caccia, uno
porco selvatico gli s'altravorsò tra lo
gambo dol cavallo in su cho ora, e focolne
cadere, e poco appresso morì. » Vill. IX,
60. Cfr. Mist. dela France, II,397. Puncd:
Brentano, La mort de Philippe le Bel,
Paris, 1884.
121. asSkTa: accende di smoderata sete
di dominio. « CA’ asseta, che rende asse-
tato lo Scotto o l'Inglese. - Che fa, sot-
tintendi e (e che fa); » Betti. - Accenna
probabilmente alle lotte tra Edoardo I
re d'Inghilterra, v Roberto re della Sco-
zia. Cir. Barlow, Contributions, 483-495.
Com. Lips. III, 626 e sog. Purg. VII,
132.
122. 1.0 SCOTTO: il re di Scozia. - L’Ix-
GniLksk: il re d'Inghilterra.
123. 8OFFItiR: non può stare entro i pro-
pri confini.
126. QUKL DI Spagna: Ferdinando IV
re di Castiglia (1295-1312), che tolse Gi-
[CIELO SESTO]
PAR. XIX, 126-139 [PRINCIPI INGIUSTI] 893
Che mai valor non conobbe, né volle.
127 Vedrassi al Ciotto di Jerusalemme
Segnata con un I la sua bontate,
Quando il contrario segnerà un emme.
130 Vedrassi l’avarizia e Ja viltate
Di quel che guarda l'isola del fuoco,
Dove Anchise finì la lunga etate.
133 Ed a dare ad intender quanto è poco,
La sua scrittura fien lettere mozze,
Che noteranno molto in parvo loco.
186 E parranno a ciascun l’opere sozze
Del barba e del fratel, che tanto egregia
Nazione e due corone han fatte bozze.
130 E quel di Portogallo e di Norvegia
biltorra ni Mori e nel 1312 foce morire a
torto i fratelli Carvajal, 1 quali an) pati-
bolo lo citarono h comparire entro tronta
giorni davanti al tribunale di Dio. Infatti
Ferdinando morì ontro |) dotto termine,
onde fo chiamato FI emplazado, il citato;
cfr. Mariana, Hist. gen. de Espana, XV,
i è seg. I più intendono di Alfonso X
(1252-1284); mn qui si tratta di principi
che nel 1300 erano viventi, — 1iuemmr :
Boemin. Quel di Buemme è Vencoslao IV
(1270-1806); cfr. Purg. VII, 101.
127, Ciorto : zoppo. Carlo II re di Na-
poli (cfr. Purg. XX, 79,chiamato il Ciotto
perchè era zoppo. A Carlo II si veilrà nel
divin libro segnata la virtà con un T, se-
gno di unità (« ebbe una virtù, cioè di
larghezza, e con questa ebbe mille vizi; »
Falso Boce.; ofr. Par. VIIT, 82), mentre
un M, segno di millo, segnerà il contrario,
cioè i anol vizi. Così il più degli antichi è
totti i moderni. Le altre interpret. sono
inattendibili; ofr. Com. Lipe. ITT, 528.
131, quet: Federico II re di Sicilia,
1272-1837 ; cfr. Purg. VIT, 119. Conv, IV,
6. Vulg. El. I, 12.- GUARDA: governa, -
L'ISOLA DEL FUOCO: ln Sicilia, dove è
Mongibello; cfr. Inf. XIV, 66.
122. Dove; a Trapani; ofr. Virg. Aen.
III, 707 © seg.
133, A DARK: n far conoscere Ia dappo-
caggine di Federico II, la sun partita
scritta nel libro divino sarà di lettere
mozze, clod di segni abbreviati, che in
piccolo spazio noternanno i molti suol
vizi; ofr. Amari, Vespro, XX. AL: DI-
sognorà scrivere i suol falli per via di
abbreviaturo, mancando lo spazio per
acriverli ostoanmento. Nol libro divino
non manca lo spazio o di un dappooo
non c'è molto da ecrivere. Cfr. Com.
Lips. TIT, 520, IMvoranmente dagli altri
il Betti; « E a far conoscore quanto egli
è avaro, egli scriverà per abbreviature,
affinchè molte parole sieno in un picciol
pozzo di carta. Vodi avarizia estrema è
risparmio onrioso che quosti Incova della
carta, » Ma dove sono le prove che lo fa-
ceval Nei versi di Dante no, chè ap-
punto la loro interpretazione è contro
versa.
135, ranvo: piccolo; cfr, Purg. XV, 129,
120, PARRANNO: appariranno, si vedran-
no scritte nel libro divino,
137. pen WARBA: dello zio di Fedorico IT,
Don Giacomo, re delle Baleari, figlio di
Gincomo I d'Aragona, 6 del fratello, Gin-
como II re d'Aragona; ofr, Purg. VII,
119. Vigo, D. e la Sicilia, 40 0 seg. Barba
(dal basso lat. barbas, barbanus, confr.
Diez, Wiirt. 11", 9) per zio, vive in parec-
chi dialetti,
138. NAZIONE: prosapia, stirpe; confr.
Inf. I, 105.- DUE conone: di Maiorca e
d'Aragona, - pozze: nvvilite, disonorate.
« Vituperate, come è vituperato l' nomo
quando la moglie gli fa fallo; » Buti. Cfr,
Caverni, Voci e Modi, 39,
1î9, Que. of Porrooario: Dionialo
l'Agricola, che regnò dal 1279 al 1325.
«Tutto dato ad noquistare avere, quasi
como uno merontanto mona sun vita, o
con tutti li grossi mercatanti del suo ro-
gno ha affare di moneta: nnolla cosa rea-
894 [CIELO SESTO]
PAR. xix. 140-147
[PRINCIPI INGIUSTI]
Lì si conosceranno, e quel di Rascia
Che mal ha visto il conio di Vinegia.
142
O beata Ungaria, se non si lascia
Più malmenare! E beata Navarra,
Se s’armasse del monte che la fascia!
146
E creder dée ciascun che già, per arra
Di questo, Nicosia e Famagosta
Per la lor bestia si lamenti 6 garra,
le, nulla cosa magnifica si puote scrivere
di lui; » Ott. Gli storici moderni ne gin-
dicano più favorevolmente, — bl NORVE-
aia: Acono VII, detto il Gambalunga,
ro dal 1200 al 1319, Sembra che di costui
Dante non ne sapesse molto, come wolla
ne seppero gli antichi suoi commentatori.
140. Rascia: parte della Servia, che ni
tempi di Dante comprendeva una parte
* della Dalmazia. Cfr. Ferrari Oapilli, Sul
regno di Rascia, e sui grossi o matapant
d’argento alterati, nei Saggi di crit. ator.
e lett. di Angelo Nani, Zara, 1875, p. 96 e
seg. Quel di Rascia è Uroslo I dotto il Mi-
lutino (1275-1307), che falsilicò la moneta
veneziana detta matapano, alterandono
la bontà del metallo; cfr. Com. Lips. III,
531 e seg. « Di costui e de’ suoi si puote
dire peggio che l’autore non scrive. Que-
sti, avendo uno figliuolo, e d’esso tre ni-
poti, por puura cho non gli togliessoro il
regno, li mandd a Costantinopoli allo im-
permloro suo cognato ; o scriasogli, sì co-
me si dice, ch’ elli corcavano sua morte,
o che li tenesso in pregione. E così feco,
tanto cho por orribilitady dol carcoro il
padre de' tre perdò quasi la veduta; li
due il servivano, e il terzo fu rimandato
all'avolo; finalmente il padre uccise l'uno
dle’ due suoi figliuvli, e con l'altro si fuggì
di carcere e tornò in Rascia, e prese il
padre, di cui l’autoro parla, o focelo mo-
riro in prigione. Poi ©’ poco rosso il re-
gno; chd da’ suoi figliuoli ricovorò il
cambio; » Ot. Cfr. Encicl., 1629 e seg.
141. MAL Ma Visto: che per Jo suo male
couobbe la moneta veneziana da lui fal-
sificata; cfr. Inf. IX, 64; XII, OU. Purg.
IV, 82. Al. CK MALK AGGIUSTÒ, Ma Uro-
sio non falsd il conio di Venozia, unzi la
moneta,i grossi, o matapani. Cfr. Moore,
Orit., 471.
142. UnGanta: governata da Andrea IIT
(1290-1301), l’ultimo re della stirpe di
Santo Stefano. E quando Dante dettava
il Paradiso era ro d' Ungheria Carlo Ro-
berto d'Anjou (1301-1842), « signore di
grande valore 6 prodezza; + Vill, XII, 6.
143. MALMENAUE: como la malmona-
rono i ro antoriori ad Andrea III. « Per-
chè in questo reame orano stati di molti
pessimi re, che l'avevano mal condotto,
però dice che sarà beato se non si lascia
più malmenare; » Vell.- Navanra: Gio-
vanua, figlia di Enrico I di Navarra ed
ultima di quella casa, si maritò nel 1284
a Filippo il Belld, ma governò gli Stati
paterni con assoluta autorità e con eeom-
plare saviezza. Morta Giovanna nol 1304,
le suocosse Luigi Utino suo figlio, vivonte
tuttora il padre; il qualo morto, Luigi
Utino gli successe nol rogue di Francia
o fu il primo ad intitolarsi re di Francia
e di Navarra. « Vedendo l'Autore che il
regno di Navarra pervenia sotto la si-
guoria de' superbi Franceschi, e discadoa
alla casa di Francia, e' dico beata, s' olla
si difondesse in su li munti che le sono
d’intorno e non ricevesse quelli superbi
ro di Francia, li quali la faranno vivere
sotto misero servaggio; » Ott. «Se Na-
varra scotesso il giogo del ro di Fran-
cia, © si fortiticasse no’ suoi monti; »
Betti.
145. PKR ARRA: por caparra, per prova
anticipata di ciò che ho detto di Navarra,
sono da tenersi i lamunti e le grida di Ni-
cosia o Famagosta, città principali del-
l'isola di Cipro.
146. DI QURSTO: di dovorsi la Navarra
difendere dall'imminente giogo francese,
armandosi del munte che la fascia, cioè
del Pirenco.
147. ngrsria: Arvigo II di Lusignano,
nel 1300 re di Cipro, dissoluto e crudolo,
sospetto di avere avvelenato il proprio
fratello. Aveva per insegna un leone.
« Descrive la vita bestialo dol re di Ci-
pri, il quale duvrebbe cssere tutto santo,
però che dinanzi alla fronte gli siede la
Xarra dove iLaua Creatore il sangue spar-
#9... Ba bone dice bestia, Werd che tutta è
[CIELO SESTO]
PAR. X1x. 148 - xx. 1-4
[CANTO] 895
148 Che dal fianco dell'altre non si scosta. »
dato alle concupiscenze ed allo sensuali-
tadi, le quali dobbono essere di lungi dal
re. K dice che li isolani se no lamentano,
e gridano perch' elli vivo bestialmento,
ed uaa con quelli che bestinimente vivo-
no, nà da loro punto si parte; e conchin-
de in Ini, come più infamato ed istremo
de’ mali, lo XIX capitolo; » Ott. — « Di-
cit quomodo civitas Nicosim et Famagu-
st in regno Cypri conqueruntur; cujus
regia armatura est in parte leo, quod
dicta beatin non se romovet n flanco ot
Intore sinistro prmsentinm suorum re-
gum, ut a bestiis quibusdam; in quo
flanco deferunt scutum pictum dicto loo-
ne; Petr. Dent.-canna: garrisca, stri-
da; ofr. Inf. XV, 02. « Lamentarzi di do-
lore, garrire, d'ira; » Tom.
148. DELL'ALTRE: bestie, cioè degli altri
principi oristiani.- NON SI 8COSTA : ma va
pari a loro, essendo bestiale e vizioso
como gli altri.
CANTO VENTESIMO
CIELO SESTO DI GIOVE: PRINCIPI SAGGI E GIUSTI
CANTO DEI GIUSTI
PRINCIPI GIUSTI NELL'IMMAGINE DELL'AQUILA
FEDE E SALVAZIONE, ARCANI DELLA DIVINA PREDESTINAZIONE
Quando colui che tutto il mondo alluma
Dell’emisperio nostro si discende,
Che il giorno d’ogni parte si consuma,
4 Lo ciel, che sol di lui prima s’ accende,
V. 1-15. Canto det gitati, Come l'A-
quila, insogna del mondo o de' suoi duci,
inoque nel benedetto rostro, tutte quelle
vive loci vieppiù Incendo cominciarono
canti divini, la cui dolcezza e soavità
non si può esprimere nol linguaggio
nmano, 1 lumi beati cho formano la bella
immagino si mostrano vieppiù acintil-
lanti per ardore di carità, in quel modo
che, calando il sole, il cielo si ravviva
di stelle.
1. coLut: il sole, dal quale, secondo
l'opinione del tompo, le stelle ricevono
tutto il loro Imme ; efr. Conv, LI, 14; III,
12, Canz. XI (« lo son venuto al punto
della rota»), 1 6 sog.
2. sì niscrsbR: dismonta talmente.
3, D'OGNI PARTE: del nostro emisfero, -
81 CONSUMA : vien meno ; «consumpta no-
cto; » Virg. Aen. II, 796,
4. BOL DI LUI: che avera per lume,
per fanale onicamente il sole, mentre di
notte i lumi vengono a moltiplicarsi con
la lana e le stolle.- 8'ACCRNDE : « Illic sera
rubena nocendit lamina Vesper; » Virg.
Georg. I, 251.
896
[CIELO SESTO]
PAR. xx. 5-19
Subitamente si rifà parvente
Per molte luci, in che una risplende.
E quest’ atto del ciel mi venne a mente,
Come il segno del mondo e de’ suoi duci
[CANTO]
Nel benedetto rostro fu tacente;
10 Però che tutte quelle vive luci,
Vie più lucendo, cominciaron canti
Da mia memoria labili e caduci.
19 O dolce amor, che di riso t'ammanti,
Quanto parevi ardente in quei flailli
Ch’aviéno spirto sol di pensier' santi |
10 Poscia ché i cari e lucidi lapilli,
Ond’io vidi ingemmato il sesto lume,
Poser silenzio agli angelici squilli,
19 Udir mi parve un mormorar di fiume,
5. L'ARVEKNTK: visibile; si rallumina
per lo apparir dei pianeti e delle stelle,
che tutto riflettono una sola lace, cioò
quella del suole. Z’arvente por appari-
scente usa Dante unche in prosa.
6. LUCI: pianoti e stelle. - UNA : la luce
del sole, del cui lume « tutte le altre
stelle s'informano;» Conv. II, 14. <Ecco
il ragguagliarsi di queste due cose: ca-
Jando il sole, il ciolo si ravviva di stelle:
0 tacendo l'aquila, scintillando via più
que' lumi celesti che lei figuravano, co-
mincifro a cantare; e però è da inten-
dere, che non più per lo becco dell’ aqui-
la, ma ciascuno da sè mandò fuori la
voce; » Ces.
8. HKGNO: l'aquila, insogna deg!’ im-
peratori, che sono i daci del mondo.
9. LOSTKO: che aveva parlato sin qui;
ofr. Par. XIX, 10 e seg.
11. LUCENDO: Al. LUCENTI. - COMIN-
CIAKON: «la similitudive è in cid, che co-
me all'unica luco del sole succede la mol-
tiplice dolle stelle, così all'unico ragio-
nare dell'aquila sottentrarono { canti
de' singoli spiriti; » Andr. Cfr. Della
Valle, Nuove illustraz., 126 © seg.
12. LaBILI: sfuggenti; < nostro illius
labatur pectore voltua; » Virg. Eclog.
I, 63. - CADUCI: < non di possibilità, ma
d'atto; » Tom.
13. AMOR: divino. - T'AMMANTI: ti fai
un manto di ridente luce; confr. Salm.
CIII, 2.
14. FLAILLI: Al. FAVILLI ; YLAVILUI.
Flailli, dal lat. flare, sarobbero piccoli
fiauti. Favilli, inaso. di faville = splen-
dori. Pare che aia da leggere /ailli, pron-
dondo la voce nel senso di canti scavi,
poichè nel v. seg. è detto ch' erano ispi-
rati solamente da santi pensieri. Cfr. dol
resto Encicl., 761 e seg. - Benv. ha:
« favilli, idest, sibilis, scilicet, in voci-
bus canoris illoram spirituum. »
V. 16-72. Principi giusti nell? im-
magine dell'aquila. Fiuito il canto dei
beati lumi, il poeta ode come un mormo-
rar di fiume; quindi, come suono al collo
della cetra pronde sua forma, quel mor-
moraro dell'aquila salendo per il collo
focesi voco od use) por Il becco in forma
di parole. « Riguardami l'occhio, » dico
la bella immagine; « quelle luci che lo
figurano furono sommi giusti. » Si no-
minano sei spiriti, dei quali l'uno, il re
Davide, forma la pupilla, gli altri cinque,
Trajano, Ezechia, Costantino, Guglielmo
o Rifeo, formano il ciglio dell'aquila.
16. LAPILLI : lat. laptllue; gomme, pie-
tre preziose; cfr. Par. XV, 22; XVIII,
115, ecc.
17. IL SESTO LUME: Giove, il sesto pia-
neta.
18. SILENZIO: ammutolisce il canto dei
singoli per dar luogo di parlare all’ aqui-
la. - SQUILLI : canti armoniosi.
19. MORMORAR: un mormorio di acque
che scendono balzando di pietra in pie-
tra; «vox erat quasi vox aquarum mul-
Xarum > Ezech SLALL 2. Cle. Apocal. I,
[CIELO SESTO]
PAR. xx. 20-38
[PRINCIPI GIUSTI) 897
Che scende chiaro giù di pietra in pietra,
Mostrando l’nbertà del suo cacume.
22 E come suono al collo della cetra
Prende sua forma, e sì come al pertugio
Della sampogna vento che penétra,
25 Così, rimosso d'aspettare indugio,
Quel mormorar per l'aquila salissi
Su per lo collo, come fosse bugio:
28 Fecesi voce quivi, e quindi uscissi
Per lo suo becco in forma di parole,
Quali aspettava il cuore, ov'io le scrissi.
al « La parte in me che vede, e pate il sole
Nell'aquile mortali, » incominciommi,
« Or fisamente riguardar si vuole.
a4 Perché de’ fuochi, ond’ io figura fommi,
Quelli onde I’ occhio in testa mi scintilla,
E' di tutti i lor gradi son li sommi.
37 Colui che Juce in mezzo per pupilla,
Fu il cantor dello Spirito Santo,
15; X1V, 2; XIX, 6. Virg. Georg. I, 108
e sog.
21. CACUME: cima, ove ha la sorgente;
efr. Purg. IV, 24. Par, XVII, 113, Con
questa riccherza di acque il Poeta vnol
dare un'iden della vigorosità di quel
suono.
22. AL COLLO: al manico della cetra,
dove il suonatore tasteggia. « Come lo
anono della chitarra prende sua forma,
cioè suo easere nl collo della chitarra,
dove tiene lo sonntore lo dita de la mano
sinistra, stringendo lo corde al legno, or
con un dito, or coll'altro, et or con più; »
Buti.
23. FORMA: modulazione. - AL PERTU-
GIO: Il fiato del snonatore, che penetra
nello canne della sampogna, prendo la
modnlazione dal pertugio che quegli va
via via nprendo o chindendo con le di-
ta. Ufr, L. Vent., Sim., 62. Ronchetti, Ap-
punti, 171.
25, rimosso : senza || minimo indugio,
anbltamente.
26. rere L'AQUILA: Al. DELL'AQUILA,
Il mormorare degli spiriti saliva su per
il collo dell'aquila.
27. puoro: ha comune la sna deriva-
zione con buco, vnoto, bucato. Bugio da
buaiare, bussare = perforare; donque:
-mn., 3° odin.
Voolo dentro, fornto; cfr. Diez, Wert.
1", 91. Cavern?, Voci e Modi, 37.
No. Quati: conformi al mio desiderio,
6 che per questa ragione mi a' impreasero
nel cuore,
81. LA PARTR: l'occhio, - raTR: pati-
ace, sostiene; cfr, Par, I, 49; IV, 73.
32, MORTALI : l'aquila celeste è immor-
tale, immortali essendo gli spiriti che la
figurano, - INCOMINCIOMMI: l'aquila, l'n-
nità degli spiriti, Incominciò n parlarmi.
«Suppone di esser veduta per fianco o
non di fronto; » Corn.
34. pr' ruocm: degli spiriti fiammog-
gianti, ond'è formata la mia figura d'a-
quila ; cfr. Par. IX, 77; XVIII, 108;
XXII, 46; XXIV, 21; XXV, 87, 121.
25, qurLti: i Inmi onde si compone
l'occhio mio scintillante.
36. r' DI TUTTI: aglino sono | più nobili
di tatti gli spiriti cho per diversi gradi
vanno formando la mia figura. r' (che
alonni tosti omettono) vale qui EI, ELLI,
Koto, non già congiunzione, come pre-
tendono alenni; cfr. Com. Lips. 111, 540,
«Dili spiritus splendidiores, ex quibus
oculus compositua est, sunt viri sommi
et maximi;» Beno.
38. IL CANTOR: Davide, ro d' Israele,
l'inspirato cantore dei Salmi.
898 [CIELO SESTO]
Par. Xx, 39-54
[PRINCIPI GIUSTI]
Che l’arca traslatò di villa in villa.
40 Ora conosce il merto del suo canto,
In quanto effetto fu del suo consiglio,
Per lo remunerar ch’ è altrettanto.
43 Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio,
Colui che più al becco mi s’accosta,
La vedovella consolò del figlio.
46 Ora conosce quanto caro costa
Non seguir Cristo, per l’esperienza
Di questa dolce vita e dell’ opposta.
4 E quel che segue in la circonferenza,
Di che ragiono, per I’ arco superno,
Morte indugiò per vera penitenza.
5% Ora conosce che il giudizio eterno
Non si trasmuta, quando degno preco
Fa crastino laggiù dell’ odierno.
89. DI VILLA IN VILLA: di luogo in luo-
go; prima dalla casa di Abinadab, che
era iu sul colle, alla casa di Obed-Edom
Ghitteo; poi dalla casa di Obed-Edom a
Gerusalemme; confr, ZI Reg. VI, 1-17.
I Chron. XIII, 1-14; XV, 1-XVI, 1.
41. IN QUANTO: per la grandezza del
premio, proporzionato al suo merito, Da-
vido conosco ora il morito dol suo canto,
inquanto esso canto fu effutto del suo
proprio volere; poichè inquanto fu ef-
fetto dello Spirito Santo, quel suo canto
non fu merito, na grazia. Altre inter-
protazioni sono inattondibili. Alcuni log-
Zone AFFETTO © spiogano: « Quanto fu
umato dallo Spirito Santo suo consiglic-
re, cioò che gli consigliò il suo canto. »
Ma la lez. AFFETTO 6 troppo sprovvista
di autorità di cod. e di comm. antichi.
42. ALTRETTANTO: cfr. Par. VI, 118
© seg.
43. PRR CIGLIO: a mo’ di ciglio.
44. COLUI: il lume che sta sull'arco del
ciglio più vicino al mio becco è l'impera-
tore T'rajano, che fece giustizia alla vedo-
vella, alla quale era stato morto il figlio;
cfr. Purg. X, 73-93.
46. CONOSCE: essendo stato più secoli
nell'Inferno, sa per esperienza quale sia
la pena di chi non segue Cristo. « Quia
acilicet, stetit in infernali angastia per
quingentos annus; » Zeno.
48.quEsTA:beata.- orvosta:infernale.
49. QUEL: Ezochia ro di Giuda, al qualo,
essendo infermo, fu dal profeta Isaia an-
nunziata la morto; poi dietro l'umile sua
proghiora, la vita gli fu prolungata per
quindici anni; cfr. IV Reg. XX, 1-11.
II Cron. XXXII, 24. Isaia, XXXVIII,
1-22.
60. DI CHE: della quale circonferenza,
o cerchio, v. 43. - AKCO : la parte più alta
dol ciglio.
GI. PEKNITRNZA : la proghiora di Kzochia
era tutt'altro che di ponitenza: « Deh!
Signore, ricordati ora che io son cam-
minato nel tno cospetto in verità, o di
cuoro intioro, ed ho fatto quello che ti
è a grado. » Di un'altra preghiera le
sacre carte non riferiscono nulla (confr.
Isaia, XXXVIII, 3). Dante pensò qui al
passo ZI Cron. XXXII, 26, dove si paria
della penitenza di Ezechia, ma di una
penitenza susseguente, come il peccato
commesso, alla sua guarigione. Pare che
il Poeta peccasse qui di anacronismo.
63. QUANDO: Al. PERCHÉ. - PRKCO: pre-
ghiera; cfr. Inf. XXVIII, 90.
64. FA CRASTINO: fu seguire domani
quel che sarebbe oggi. Ora Ezechia co-
nosce, che quando il divin giudizio, an-
nuendo all’accettevole preghiera dell'uo-
mo, differisce a domani ciò che era stabi-
lito per oggi, non per questo ei muta.
Cfr. Thom. Aq. Sum. theol. 11°, 83, 2.
Purg. VI, 28 e seg. «I decreti, che noi
coucepiamo come condizionati, in Dio si
Yiacivono in decreti easaluti : » Corn.
[CIELO SESTO]
PAR. xx. h5-69
[PRINCIPI GIUSTI) 899
55 L'altro che segue, con le leggi e meco,
Sotto buona intenzion che fe’ mal frutto,
Per cedere al Pastor si fece greco.
58 Ora conosce come il mal, dedutto
Dal suo bene operar, non gli è nocivo,
Avvegna che sia il mondo indi distrutto.
61 E quel che vedi nell’ arco declivo,
Guglielmo fu, cui quella terra plora
Che piange Carlo e Federico vivo.
04 Ora conosce come s'innamora
Lo ciel del giusto rege, ed al sembiante
Del suo fulgore il fa vedere ancora.
67 Chi crederebbo giù nol mondo errante,
Che Rifeo troiano in questo tondo
Fosse la quinta delle luci sante?
hf. L'ALTRO: Costantino imperatore,
che, per codero (con buona intenzione
che produsse poi pessimi frutti) Roma al
Pontefice, trasferì in Bisanzio la sede del-
l'impero, © per consegnenza anche la
sede dello leggi o delle armi, delle quali
l'aquila è particolarmente l'insegna ;
ofr. Inf. XIX, 115 e seg.; XXVII, 94
e seg. Par, VI, le seg. - CON LE L.KOGI:
« accompagnato dalle leggi e dal mio se-
gno; >» Buti.
56. npuoma: ofr. De Mon, If, 12, 19, =
MAL FRUTTO : cfr. Inf. XIX, 116 è sog.
57. rgR CRDERE: per lasciare Roma al
papa trasferi In sun sede nella Grecia.
Così secondo la tradizione ecclosinstica.
68. nevbuTTtO : dedotto, derivato.
69. xocivo: imputato a colpa. « Even-
tos sequens non facit actom malum qui
erat bonus, nec bonnm qui ernt malum : »
Thom. Ag. Sum, theol. 1°, 20,5. al tetto
in giù, iltrasferimento di Costantino a Bi-
sanzio recò al mondo gravi mali; e tutti
questi vengono deplorati da Dante, il
quale non ne fa colpa a Costantino, per-
chè ebbe retta intenziono né li potova
prevedere; » Corn.
60. 1npI: per lo dominio temporale dei
papi. - DISTRUTTO : « imperò che per que-
sta ricchezza della Chiesa sono diviai ll
sommi pontefici da l'impernatori, è fatto
parte della Chiesa e de lo imperio guelfa
e ghibellina, sicchè la cristianità n' è di-
risa è venota in grandi guerro;» Buti.
Cie. Purg. XXII, 124 © sog.
Ol. NELL'ARCO: nella pioga, casia mi
l'arco inferiore «del ciglio, - preCLIVO :
doclive.
62. GuouirzLMo: Guglielmo II re di Si-
cilia, che governò dal 1166 sino al 1189,
nel quale anno cessò di vivere; principe
giusto ed amato dal sno popolo. « Amava
li suoi sndditi di dilezione regale, la quale
fae differenzia dalla iniqua tirannia; è te-
neali in tanta pace e traatullo, che si po-
tea stimare on paradiso terrestre. Costni
era liberalissimo, e non era cavaliere, nè
d'altra condizione nomo, che fosse in sua
corte, o che passasse per quelle contrade,
che da Ini non fosse provveduto.... In
questa corto era tanta tranquillità che
gli abitanti o sudditi notavano in allo-
grezza ;» Lan., Ott., An, Fior. Cir. Vigo,
D. è la Sicilia, 13 è seg. — TERRA: SI-
cilia. - ruona : deplora, lamenta; confr.
Pertz, Mon, Germ. Script. XIX, 324,
63. CARLO : il Ciotto di Gerusalemme ;
efr, Purg. X.X, 79. Par. XIX, 127. - Fr-
DERICO : II re di Sicilia; ofr. Purg. VII,
119. Par. XIX, 181, Il morto 4 pianto per
la sua bontà e ginatizia ; i vivi sono pianti
per le loro inginstizie e tirannie; confr.
Par. VILL, 73 è seg.
05, AL SEMDIANTE : rispondendo vira-
mente dà segno di conoscere come è caro
al cielo op principe che sia veramente
ginato.
07. KIRANTR: soggetto all'errore; cfr.
Par. X11, 94, In cielo non vi è errore,
#a Biern: ricordato da Virgilio, Aen.
5 e seg.; del resto perso-
amm tiglio.
900 [CIELO SESTO]
Par. xx. 70-80
[PAGANI DEATI]
70 Ora conosce assai di quel che il mondo
Veder non può della divina grazia,
Benché sua vista non discerna il fondo. »
73 Quale allodetta che in acre si spazia
Prima cantando, e poi tace, contenta
Dell’ ultima dolcezza che la sazia,
76 Tal mi sembiò l’imago della imprenta
Dell’ eterno piacere, al cui disìo
Ciascuna cosa, quale ell’ è, diventa.
79 Ed avvegna ch'io fossi al dubbiar mio
Li quasi vetro allo color che il veste,
70. DI QUEL: « Ora ogli conosca nasai
di quelle cose della divina grazia, che Il
mondo non può vedere ; » Betti,
72.1L FONDO: della divina grazia, della
quale i Beati comprendono infinitamente
più che i mortali, ma non ne conoscono
tuttavia il fondo, l'ente finito non po-
tendo mai raggiungere |’ Ente infinito.
Gli stossi angoli non conoscono piena-
monto il wistoro dolla grazia diviua. Cfr.
Aug. Serm. XXXVIII De Verb. Dom.
Thom. Aq. Suan. theol. I, 12, 8; I, 67, 5.
V. 73-84. Pagani beati. Di tre cose,
diceva un sant’ uomo, ci maraviglieremo
in cielo, se Diovi fala grazia di outrarvi.
In primo luogo ci maraviglieremo di non
trovare in Paradiso molt’, dci quali te-
nevamo come certo che vi fossero outrati.
Più ancora ci maraviglieremo al trovare
lassù molti ai quali noi credevamo che le
porte del Paradiso von ri fossero mai
aperte. Ma più di ogni altra cosa ci ma-
raviglieremo di essere noi medesini ac-
colti nel beato regno. Una esperienza
affine fa qui anche il l'oota. Egli non
credeva di trovar pagani in cielo, mas-
aime dopo avor testé udito, che non vi
sal) mai chi non credette in Cristo, Par.
XIX, 103 eacg. Kd ora gli svno mostrati
due pagani beati, morti l'uno pria, l'al-
tro poi che Cristo si chiavaase al legno;
ma orti ambedue senza credere in Cri-
ato. Pieno di stupore nou sa cuntenersi
dall'esclamare: « Cho cose son quoste! »
I Beati fanno festa al suo grido, licti di
poter sciogliere il suo dubbio.
73. QUALE ALLODETTA : Al. QUAL LO-
DOLKTTA : Il paragone è tra uccello ed
uccello; scogliendo la lodolotta, scuglio
quello appuuto, cui è più che ad altri
proprio lo spaziarai in aria gorgheggiun-
do. Cfr. Lucret, Rer. nal. II, 140 © seg.
L. Vent., Simil., 440.
75. DELL'ULTIMA: della dolcezza delle
sue ultime note che ademp'e affatto la
sua voglia di cantare. Cfr. Virg. Georg.
I, 412.
76. TAL: contenta delle sue parole. -
IMAGO: cfr. Inf. XX, 123. - IMPRENTA:
impronta; confr. Par. VIT, 69; XVIII,
114. <Sì fatta mi parvo l'imagine de la
figurata aquila, che la dgurava come si
figura una figura d'una forma, impri-
mendola ne la cera, o in altra cosa ri-
celtevile di quella: De l'eterno piacere,
cioè d'Lddio che è eterno piacere, a dc-
siderio e volontà del quale ogni cosa di-
venta tale, quale el'a è nel piacere d' Id-
dio; impord che ogni cosa è fatta da D:o
ta'e, quale olli la vuole.... E questo dice
l'autore per togliere dubbio al lettore di
quol che ha detto; civé che la delta aqui-
la, finita la sua orazione, cantò; e poi fini-
tolocanto, sitacque, rimanendo contenta
di quello canto ch'avea fatto al piacere
d' Iddio; » Buti. Salle altre avariato in-
terpretazioni di questa terzina cfr, Com.
Lips. JlI, 647-549. Corn.: « L'Aquila
simbolica parea soddisfatta del suo can-
to. La si dice imagine del piacer divino,
giacchè in essa Aquila (cioè nell'Impero
Romano) Dio ha improntata la sua vo-
lontà, secondo la quale ogni cosa è quella
che 6. »
79. AVVKGNA: e sobbene il dubbio, che
io aveva noll'animo, fosse voduto da quei
Beuti, como si vede un colore attraverso
il vetro, dietro al quale sta: tuttavia
quel dubbio non sofferse che io, tacendo,
aspettassi tempo alla risposta. È l' im-
vazienza dello stupore. Cunfr. L. Vent.,
Siw., INI.
[CIELO BESTO]
PAR. Xx, 81-96
[FEDE E SALUTE] 901
Tempo aspettar tacendo non patio;
82 Ma della bocca: « Che cose son queste? »
Mi pinse con la forza del suo peso;
Per ch'io di corruscar vidi gran feste.
a6 Poi appresso con I’ occhio più acceso
Lo benedetto segno mi rispose,
Per non tenermi in ammirar sospeso:
88 « Io veggio che tu credi queste cose,
Perch'io le dico, ma non vedi come;
Si che, se son credute, sono ascose.
01 Fai come quei, che la cosa per nome
Apprende ben; ma la sua quiditate
Veder non può, se altri non la prome.
DA Regnum celornm violenza pate
Da caldo amore e da viva speranza,
Che vince la divina volontate;
81. ratio: pati, Il dubbio non soffsrso
di aspettare che l'Aquila gli soddisfa-
cesso da nè,
83, reso: la gravità del dubbio mi so-
spinse fuor della bocca quelle parole.
Ri. corruscan: scintillare, brillare;
efr. Purg. XXI, 50, Par. V, 126, Por lo
che vidi gran foste di lumi fammog-
gianti, lieti di soddisfare al mio deside-
rio rispondendomi.
V. 85-120. Fede e salute, L'occhio
brillante di gioia, l'Aquila scioglie il
dabbio del Poeta. Tu credi alle mie pa-
role, ma non comprendi ancora. L'uomo
può noquistarsi la grazia per forza; colla
forza cioè della carità e della speranza.
A’ preghi di Gregorio, Trajano ritornò in
vita e credette in Cristo, Rifeo credette
in Cristo venturo e fo salvato per la
fede, la speranza e la carità, La salva-
zione del primo fu la mercede della viva
speranza di San Gregorio; la salvazione
di Rifeo fu la mercode della propria sua
carità. Cfr. Thom. Aq. Sum. theol, 1°,
114, 1-5. Com. Lips. JIT, 550 © seg.
87.18 AMMINAR: nell'ammirazione nata
in me dal vedore tra gli eletti in cielo i
pagani 'Trajano o Itileo, cho morirono
sonza aver eroduto in Cristo.
80. KON VEDI COME: eredi, ma non ne
vedi la ragione. Rammenta la nota sen-
tenza di 8. Agostino: Oredo ut intelligam.
02. QUIDITATE: termine delle scuole =
l'essenza, ciò cho fa cho una cosa sia ciò
che essa è, Cfr, Thom. Ag. Sum. theol,
11", 8, 1.
03, rnome: manifesta, rivela; voce In-
tina, ora fuor d'uso.
DI, nrGNUM: è la sentenza evangelien,
S. Matt, XI, 12: « Il regno de’ cieli si
acquiata colla forza, ed è preda di coloro,
che usano violenza. » Dante intende: Il
regno de' clell cede all’ affetto ed alla
speranza mmann, che vincono la divina
volontà, non per prevalenza di forza, ma
perchò vuole essere vinta. La similitu-
dine negntiva del v. 97 cade sull' abuso
che gli nomini superbi fanno della pro-
pria forza, oppostamento a ciò che fa
Dio. Quella è vittoria di prepotenza;
questa, di carità. Cfr. L. Vent., Sim., 318,
Jionehetti, Appunti, 172.
060. viNcR: « questo si debbo notare con
wna distinzione ; cioè che due sono le vo-
lontà in Dio: l'una è assoluta, e questa
mai non si vince, ma ella vince tutto;
l'altra è condizionata, cioè che Iddio
ynole che, se tu sei infedele, sii dan-
nato; ma potrà tanto amore di Dio es-
sere in te è sì viva speranza, è in altre
parti che Iddio vorrà che quella prima
volontà mon mi toglin, cho olla ata por
ferma, cho ogni infedele è dannato; ma
vuole Iddio che si trovi modo che si torni
all'ordine che non sia infedele; ma di-
venta fedele, e così sta sempre ferma la
volontà di Dio assoluta e condizionata ; »
Buti.
902 [CIELO SESTO]
PAR. xx. 97-109
[FEDE E SALUTE]
97 Non a guisa che l’uomo all’ uom sovranza,
Ma vince lei, perché vuole esser vinta;
E vinta, vince con sua beninanza.
100 La prima vita del ciglio e Ja quinta
Ti fa maravigliar, perché ne vedi
La region degli angeli dipinta.
103 Dei corpi suoi non uscîr, come credi,
Gentili, ma cristiani, in ferma fede,
Quel de’ passuri, e quel de’ passi piedi:
106 Ché l'una dello inferno, u’ non si riede
Giammai a buon voler, tornò all’ ossa,
E ciò di viva speme fu mercede;
109 Di viva speme, che mise la possa
07.80VRANZA: acquista il disopra, vin-
ce. Confr. Nannucci, Voci ital. derivate
dalla lingua prov., 38. Par. XXIII, 85.
99. VINCK: carità fervida e viva spe-
ranza vincono il volere divino, perchè
questo vuole esser vinto, e |’ esser così
vinto è vittoria della grazia. - UKNINAN-
za: benignita, bontà ; cfr. Par. VII, 148.
Nannuc., Verbi, 37 © seg.
100. Larnima: Trajano, cfr. v. 43 eseg.
- viTA: anima: cfr. Par. 1X,7; XII, 127;
XIV, 6. - LA QUINTA: Rifeo; confer. v.
07 e seg.
102. LA RKGION : i cieli. Secondo gli sco-
lastioci i cioli sono la regione degli uomini
beati, più che degli angeli; cfr. Thom.Aq.
Sum. theol. I, 66, 3; I, 102, 2; I, 47,8;
113, 175, 3. - DIL'INTA : facendo parte del-
l'Aquila ivi dipinta da Dio; cfr. Par.
XVIII, 109.
103. suo1: loro.
105. QUEL: lo spirito di Rifeo uscì del
corpo in ferma fede nella futura, lo spi-
rito di Trajano nella già stata passione di
Cristo. - PABSURI: che dovevano patire.
- l'A881: che patirono. Passuro e passo
sono latinismi.
106. L'una: Trajano; cfr. Purg. X, 75.
« De facto Trajani luc modo potest pro-
babilitor wstimari, quod precibus B. Gre-
gorii ad vitam fuerit revocatus, et ita
gratiam consecutus sit, per quam remis-
sionem peccatorum habuit, et per conse-
quens immunitatem a pena: sicut etiam
apparet in omnibus illis qui fuerant mi-
raculose a mortuis suscitati, quorum plu-
res constat idololatras et damnatos fuis-
se. De omnibus talibus enka almilitet
dici oportet, quod nou erant in interno
finaliter deputati, sed secundum prmsen-
tem pro priorum meritorum justitiam ;
secundum autem superiores causas, qui-
bus prwvidebantur ad vitam revocandi,
erat aliter de ela disponendum. Vel di-
cendum, secundum quosdam, quod anima
Trajani non fuit simplicitor a reato pa-
nw eterne absoluta; sed ejus pena fuit
suspensa ad tempas, scilicet usque ad
diem judicii; » Thom. Ag. Sum. theol. 11],
Suppl., 71, 5. Intorno alla leggenda della
risurrezione e conversione di Trajano
por opera di S. Grogorio cfr. Joh. Diac.
Vit. S. Greg. M. II, 44. G. Paris, La lé-
gende de T'ratan. Par., 1878. Arturo Graf,
Roma, II, 1 © seg.
107. A BUON VOLEE: nell'inferno non
vi 6 pentimento; cfr. Thom. Ag. Sum.
theol. IIT, Suppl. 98, 1. Purg. XXIV, 84.
- ALI'OSSA: a rianimarle di vita; confr.
Ezech. XXXVII, 2 e seg.
108. 8PEMK: «della speranza che San
Gregorio ebbe, che la misericordia di Dio
esaudirebbe lui pregante per la vita di
Trajano, il quale era morto; » Ott. Coal
pure Lan., An. Fior., Benv., Vell., Dan.,
Vent., Lomb. o tutti i moderni sino al
Corn. Invece Buti: « Fu merito di viva
speranza, che Trajano ebbe in Dio sem-
pre che lo illuminerebbe de la sua fede e
di quello che fosse sua salute, e questa
speranza non perdette mai, anco sompre
fu viva, » interpretazione proposta già
dall’ Ott. ed accettata dal Land., ma con-
traria al contesto.
109. La Fossa: Al. sua r088A. Non si
tratta qui della possa della speranza, ma
Aclle possa della greghiora, messavi dalla
NAVA apetonta..
[CIELO SESTO]
PAR. xx. 110-126
[FEDE E SALUTE) 908
Ne’ preghi fatti a Dio per suscitarla,
Si che potesse sua voglia esser mossa.
112 L’ anima gloriosa, onde si parla,
Tornata nella carne, in che fu poco,
Credette in Lui che poteva aiutarla:
115 E credendo s’accese in tanto fuoco
Di vero amor, che alla morte seconda
Fu degna di venire a questo giuoco.
118 L'altra, per grazia che da sì profonda
Fontana stilla, che mai creatura
Non pinse l'occhio infino alla prim’ onda,
121 Tutto suo amor laggiù pose a drittura;
Per che, di grazia in grazia, Dio gli aperse
L'occhio alla nostra redenzion futura:
124 Ond' ei credette in quella, e non sofferse
Da indi il puzzo più del paganesmo,
E riprendiene le genti perverse.
111. vooLia: non di Dio (Vell., Dan.,
Vent., eco.), ma di Trajano (Benv., Buti,
Land., Lomb. e tutti i moderni), - MOBBA :
dalla divina grazia alla fede.
113. Foco: poco tempo; visse ancora
tanto da credere in Cristo,
114. rx Lui: in Cristo, che poteva sal-
varia.
110. ALLA MORTE SECONDA: quando
morì la seconda volta; ofr. Inf. I, 117.
117. giuoco: giocondità, tripudio, fe-
ata; ofr. Par, XXXI, 138; XXXII, 103,
* Ginoco è diletto e riposo; » Thom. Ag.
Sum. theol. I", 1, 0; 11°, 148, 2. Al. A
questo Loco. Cfr. Moons, Orit., 472.
118, L'ALTRA: vita, v, 100, cioè Rifeo. -
PER GRAZIA: alotata dalla divina grazia.
119. FONTANA: la misericordia di Dio.
* Discende dalla fontana profonda, cioè
da Dio, della quale fontana di grazia nulla
creatura vide mai lo principio ano; » Ott.
e Esce di sì profonda fontana, che è la
providenza di Dio che predestina chi ella
voole a salute, e predeatina chi vuole n
dannazione, che non fo mai creatura che
pingesse l'occhio sno nò della ragione nè
dell'intelletto injino alla prim'onda, cioè
aquelladisopra, non ch'egli vogga quella
di sotto; cioè non fu mai niuno che ve-
desse le ragioni da preaso, non che quelle
da lnnga ; » Buti.
120, ALLA PRIM'ONDA : infino al prin-
cipio, alla fonte della divina misericor-
dia; ofr, Purg. VIII, 68 è ang.
121, nAGGIÙ: in terrà. = A DRITTURA:
alla giustizia.
122. APERSR: « Multia gentilimm facta
fuit revelatio de Christo... Si qui tamen
salvati fuerant quibos revelatio non fuit
facta, non foernnt salvati abaque fide
Meiliatoris; quia et si non habuerunt
fidem explicitam, haboerant tamen fidem
implicitam in divina providentia, creden-
tes Deum esse liberatorem hominum se-
condam modoa sibi placitos, et secondum
quod aliqaibas veritatem cognoscentibus
Spiritus revelasset; » Thom, Ag. Sum.
theol. II", 2, 7.
124. onp' ET: Al, ONDR CREDETTE. - NON
SOFFERSE: dacchè Dio lo ebbe illuminato,
non tollerò più l'infedelità del pagnne-
simo, © ne riprendeva le genti pervertite
dalla falsa credenza.
126. IL puzzo: cfr. Par. XVI, 66.
126. RIFRENDIENE: ne riprendeva; cfr.
Nannuec., Verbi, 140 © seg. Al. RIPREN-
DEANE. - « Questa è finzione del nostro
antore, come lo lettore intelligente può
comprendere ; chè di questo non c'è al-
cuna prova, cioè che Rifeo trojano sin
salvo; ma piacque a lui, per le parole cho
forno dette di lui da Virgilio, di fingere
che gli fosse mostrato nol dotto luogo od
ndAducecore le cagioni che potrebbana es
904 [CIELO SESTO] Pan. xx. 127-140 [PREDESTINAZIONE]
127 ‘Quelle tre donne gli fàr per battesmo,
Che tu vedesti dalla destra ruota,
Dinanzi al battezzar più d'un millesmo.
1:10 O predestinazion, quanto romota
È la rgdice tua da quegli aspetti
Che la prima cagion non veggion tota!
188 E voi, mortali, tenetevi stretti
A giudicar; ché noi, che Dio vedemo,
Non conosciamo ancor tutti gli eletti;
130 Ed ènne dolce così fatto scemo,
Perché il ben nostro in questo ben s’affina,
Ché quel che vuole Iddio e noi volemo, »
139 Così da quella immagine divina,
Per farmi chiara la mia corta vista,
sero state giustamonto effettivo della sua
saluto, por mostruro como si potrobbo
salvare uno chu fusse in sì futto caso, se
a Dio piacesse, servando l'ordine della
giustizia divina, cho sempre è accompa-
gnato dalla misoricordia; 6 por diro an-
cora dollu predustinuzione di Div, cho è
alta e profouda materia, sì che nessuna
cosa de la santa Teologia rimagua non
toccata da loi; » Buti.
127. LONNE: Fede, Speranza e Carità;
cfr. Purg. XXIX, 121 eueg. - DATTESMO:
« La fede, la speranza e la carità furono
in lui infase, quantunque il battesimo,
onde s' infondono gli abiti delle predette
virtù, non fosse istituito da Cristo che
mille anni dopo Rifeo; » Corn. Ii poeta
applica a Rifeo la teorica scolastica del
battesimo di penitenza. Cfr. Aug. De
bapt. cont. Don. IV, 22. Thom. Aq. Sum.
theol. III, 66, 11; III, 68, 2, 3. Com.
Lips. III, 656.
129. DINANZI: prima della istituzione
del battesimo. - 110: 1184 anni.
V. 130-148. ZU suistero della predo-
stinazione. L'Aquila conclude che la di-
vina predestinazione è un abisso in cui
occhio mortale non può fissare lo sguurdo.
E dall’'imperscrutabilo mistero della pre-
destinazione deduce consiglio a non giu-
dicare leggermente il destino futuro dello
anime umane. Cfr. Par. XlI,112-142. In-
torno alle dottrine scolastiche della pre-
destinazione cfr, Thom. Ay. Sum. theol.
I, 23, 1-8; 111, 24, 1.
130. PRKDESTINAZION : « predeatinazio-
ne è quando lddiv prevede che alouno via
salvato (meglio: Predestinazione è la de-
stinazione alla boatitadine coloste fatta
ab eterno da Dio), che non può essere
che non sia: e prescienza è quando lddio
prevede che uno dubbe essere perduto.
I} porchd l'autoro parla qui de’ salvati,
però dico predestinazione 0 nou prescien-
zia; » Buti.
131. LA RADICK: la ragione, Îl fondo.
- A8PETTI: sguardi; cfr. v. 70 e seg.;
118 © sug.
132. tora: tutta; cfr. Par. VII, 85.
133. STRETTI: ritenuti, guardinghi. Non
v’ allargate per tema di errare.
135. NON CONOSCIAMO: noi stessi non
conosciuto pienamente il numero dei fu-
turi oletti, e ci contentiamo di confor-
marci in ciò al divin volere. « Conforme
a quella Colletta della Chiesa : - Deus,
cui soli cognitus est numerus electorum
in superna felicitate locandus; » Vent.
136. ÈNNE: ne è, ci è; cfr. Nannucci,
Verbi, 430 © seg. - SCRMO: difetto di co-
gnizione.
187. B'AFFINA : si perfeziona nel diletto
di confermare del tutto il voler nostro al
volere di Dio.
138. VOLKMO: vogliamo; cfr. Par. III,
70 © seg.
180. DIMAGINK: dell'Aquila, ivi dipinta
da Dio (Par. XVIII, 100) e raggiante
di lui.
140. FraRMI: «farmi la mia è modo fa-
migliare, o tanto più caro ed eflivace; »
Tom. - Vista: intellettuale, che non sa-
peva vodere addentro nei mistori della
fede © delle ealvazions,
(CIELO SETTIMO]
PAR. xx. 141-148 - xx, 1-2
[sALITA] 905
Data mi fu soave medicina,
142 E come a buon cantor buon citarista
Fa seguitar lo guizzo della corda,
In che più di piacer lo canto acquista;
145 Si, mentre che parlò, sì mi ricorda
Ch’io vidi le due luci benedette,
Pur come batter d'occhio si concorda,
148 Con le parole muover le fiammette,
141. MEDICINA: « dulcia persuasio que
haboit medicare vel cnrare temeritatem
judicandi, que est magna infirmitas men-
tium homanarom; » Bene.
142. E COME: come il bnon citarista ac-
corda il suono del sno strumento alla
vooo del buon cantore, pel quale nocom-
pagnamonto di suono il canto acquista
maggiore soavità: così le due luci di
Trajano e di Rifeo accompagnavano d'ac-
cordo col loro scintillare il parlare del-
l'aquila. Confr. Conv. I, 11. L. Vent.,
Sim., 65.
142. Lo Guizzo: il snono prodotto dal
tremnlar delle corde toccate. « Usa la
causa per l'effetto, il guizzo, fl tremore
della corda, pel suono di essa ;» Br, Ti.
145, PARLÒ: l'Aquila, - 8) Mi nicORDA :
Al, MENTRE CUR PARLO8SI MI RICORDA }
al, MI SI RICORDA.
146, Luct: lo dne anime beate e risplen-
denti di Rifeo e di Trajano.
147, run: concordi appunto come il
batter degli occhi, che si fa sempre con-
temporaneamente; confr. Par, XII, 26
0 Seg.
CANTO VENTESIMOPRIMO
CIELO SETTIMO DI SATURNO: SPIRITI CONTEMPLATIVI
SALITA AL SETTIMO CIELO, LA SCALA CELESTE
PIER DAMIANO, CONTRO IL LUSSO DEI PRELATI
Già eran gli occhi miei rifissi al volto
Della mia donna, e l'animo con essi,
V. 1-24, Salita al ciclo di Saturno,
‘Terminate |] discorso dell'Aquila coleato,
Dante volge di niovo lo sguardo e In
mento n Beatrice che non ride, non po-
tendo egli più sostonere lo splendore dol
ili lei sorriso. Beatrice gli nnnunzia che
sono già lovati al Cielo di Saturno, dove
appariseono gli spiriti contomplativi o
dove regnano la serietà ed il silenzio, In-
vitato da Beatrice a fare attenzione n ciò
che sta per mostrarsegli, il Poeta si pre-
para con lieta prontezza ad ubbidire. Sal
cielo di Satarno ofr. Conv, II, 14.
2. L'ANIMO: cfr, Inf. XEU, AL.
906 [CIELO SETTIMO]
PAR, XII. 8-19
[SAKITA]
E da ogni altro intento s'era tolto;
4 E quella non ridea, ma
:«S'io ridessi, »
Mi cominciò, « tu ti faresti quale
Fu Semelè, quando di cenor féssi;
7 Ché la bellezza mia, che per le scale
Dell’ eterno palazzo più s ‘accende,
Com’ hai veduto, quanto più si sale,
10 Se non sì temperasse, tanto splende,
Che il tuo mortal potere, al suo fulgore,
Sarebbe fronda che tuono scoscende.
19 Noi sem levati al settimo splendore
Che sotto il petto del Leone ardente
Raggia mo’ misto giù del suo valore.
10 Ficca diretro agli occhi tuoi la mente,
E fa’ di quelli specchi alla figura,
Che in questo specchio ti sarà parvente. »
19 Chi sapesse qual era la pastura
8. TOL.1O: tutto assorto nella contem-
plazione, preparandosi in tal modo de-
gnamente a salire nella rogione degli spi-
riti contemplativi.
4. NON RIDKA: « quando l’uomo tra-
scende insino al supremo grado della
speculazione divina, so Beatrice ridesse,
cioè dimostrasso tutto il suo splendore,
l'ingegno umano n'abbaglierebbe, in
forma che volendo veder il tutto, non
vede alcuna cosa; » Land.
6. SkMKLÈ: figlia di Cadmo, che, ingan-
nata da Giunone, volle vedere Giovo suo
ainapte in tutta Ja sua maestà è ne fu in-
cenerita; confr. Ovid. Met. 1II, 253-815.
Inf. XXX, 2.
7. SCALE: i cieli, per li quali si sale su
nell’ Empireo.
0. HAI VEDUTO: cfr. Par. V, V4 © seg.;
VIII, 13 e seg.; XIV, 79 e sog.; XVIII,
55 e seg.
11. r'OTERE: la tua virtù intellettiva.
18. AL SETTIMO : al cielo di Saturno, « il
qual pianeta mentre Dante visitavalo,
ora dai terreni veduto nella costellazione
del Leone, e perciò, secundo l' opinione
del volgo, mandava i suoi influssi proprii
misti con quelli dolla stessa costellazio-
ne; » Corn. La salita si fa anche qui in
un attimo. Altre volte il Poeta se ne
accorgeva alla cresciuta bellezza ed al
sorriso di Beatrice. Qui, dove ella non
ride, perchè egli non potrebbe sopportar
tanto fulgore, ella gli annunsia in quella
vece colla parola che sono levati al setti-
mo splendore.
14. SOTTO IL PETTO: « nota che nel 1300
del mese di marzo Saturno era in Leone;»
Lan., Ou., An. Fior. Ma vi doveva es-
sere anche nell'aprile. Cfr. Della Valle,
Senso, 144. Com. Lipe. III, 561.
15. RaGaIA: manda giù in terra i suoi
raggi misti coi forti infiusai del Leone.
«Nota come la influonzia viene mista alla
terra dalle naturo de'corpi colesti ; Leone
si è caldo e secco ; Saturno è freddo e seo-
co; or mischia queste due complessioni,
avrai eccellente aecoo; ma le qualitadi
attive, come caldo e freddo, l'una tempra
l'altra;» Lan., An. Fior.
16. FICCA : fiasa la tua attenzione dove
si saranno fissati gli occhi, e fa’ che in
essi pingasi, quasi in ispecchi, la figura
che ti apparirà in questo lucente pianeta.
Ficcare la mente 6 il lat. Agere mentem=
fissar l'attenzione.
18. 8PKCCHIO : Saturno ; altrove chiama
specohio il sole, Purg. IV, 62.
10. QUAL' kRA: chi sapesse qual soave
pascolo la mia vista trovava nell'aspetto
di Beatrice in quel punto che per ubbi-
dire rivolei gli occhi ad altro obbietto,
conoscerebbe quanto 1’ abbidire a lei mi
fore graio, metvende egli in bilancia da
[CIELO SETTIMO]
Par. xx. 20-86
[SCALA CELESTE] 907
Del viso mio nell’ aspetto beato,
Quand’ io mi trasmutai ad altra cura,
22 Conoscerebbe quanto m’ era grato
Ubidire alla mia celeste scorta,
Contrappesando |’ un coll’ altro lato.
25 Dentro al cristallo, che il vocabol porta,
Cerchiando il mondo, del suo chiaro duce,
Sotto cui giacque ogni malizia morta,
28 Di color d’ oro, in che raggio traluce,
Vid’ io uno scaleo eretto in suso
Tanto, che nol seguiva la mia luce.
81 Vidi anco per li gradi scender giuso
Tanti splendor’, ch'io pensai ch'ogni lume
Che par nel ciel quindi fosse diffuso.
a4 E come, per lo natural costume,
Le pole insieme, al cominciar del giorno,
Si muovono a scaldar le fredde piume;
un lato il piacer mio di guardarla, dal-
l'altro il piacer mio di ubbidirle, e tro-
vando che il peso di quosto fa maggiore.
Coal intondono i più (Ott., Puti, Land,,
Vell., Vent., Lomb., Tom., Frat., Andr.,
Rennass., Cam., Frane., Filal., eco.).
Altri intendono che tanto era Il diletto
ch'egli prendeva di mirar Beatrice,
che mal volentieri si spiccava da lei per
altra cosa vedoro (Dan., Diag., ecc.), in-
terpretazione del tutto falsa ; ofr, Com.
Taps. III, 6562 © seg.
20. viso: vista; ofr. Inf. 1V, 11.
21, cura: di fare attenzione a ciò che
era per fipparire nel pianeta di Saturno.
24, CONTRAPPESANDO : mettendo ambe-
doei piaceri, di contemplare Beatrice o di
nbbidire a lei sulla bilancia.
V, 25-42. La scala celeste. Esorta-
tone da Beatrice, Dante si è vilto per ve-
flore la figura che doveva apparirgli in
questo pianeta, e vedo uno scaleo di color
d'oro, che a' innalza sin dove la sun vi-
sta più non arriva, e sn per esso Infiniti
splendori che salgono o scendono rotean-
do. È quella scala celesto veduta dal pa-
trinren Gincobbo in sogno; conf. Genes.
XXVIII, 12 6 sog. Par. XXII, 70 6 seg.
« Questa scala figura lo salimento do le
menti contemplative, che è di virtà in
virtù che sono più preziose che l'oro; 6
pord finge che sin d'oro, E perchè le
menti si levano infine a Dio, però finge
cho gli occhi snoi corporali non vede-
vano la sua altezza; » Buti, Land., Vell.,
Dan., eo.
25. AL CRISTALLO: al pianota di Satar-
no, dotto teats specchio, v. 18. - 1. VOCA-
pou: il nome; ofr. Purg. V, 97; XIV,
20. Par. VIII, 11. Intende il nome di
Saturno.
26. suo: del mondo. - cmiaro: Al.
CARO, — DUCR: il ro Satarno,
27. BOTTO CUI : sotto la dominazione di
Saturno, nell'età dell'oro, qnando nel
mondo non vi era alouna malizia ; confr.
Ovid, Met, I, 89-112. Inf. XIV, 96. Purg.
XXVIII, 139 è sog.
28. n'oro: « nd denotandum perfectio-
nem vite contemplativie, que excedit
omnem aliam, sicut aorum omnia metal-
la;» Benv. - TRALUCE: percosso dal sole,
cioè fulgidissimo.
20. scALEO: scala; ofr. Purg, XV, 36.
30. Luck: occhio. La scala era tanto
alta che l'occhio mio non arrivava a
vederne la cima.
82, ArLeNpon': spiriti folgidissimi, -
NANI LUMR: tutto le stelle che si vedono
nel cielo, « Io erodeva ch’ ivi fosso sparso
tutto lo splendore, onde i cieli ai abbel-
lano; » Betti,
85. roLk: cornacchio.- AL COMINCIAR:
la mattina allo spontar del sole. La simi-
litadine coglie i vari movimenti, l'andare
od il reatare di quck Vendi.
908 [CIELO SETTIMO]
Par, xx. 37-50
[DUR DOMANDE]
a7 Poi altre vanno via senza ritorno,
Altre rivolgon sé, onde son mosse,
Ed altre roteando fan soggiorno:
40 Tal modo parve a me che quivi fosse
In quello sfavillar che insieme venne,
Si come in certo grado si percosse;
ui E quel che presso più ci si ritenne,
Si fe’ sì chiaro, ch’ io dicea pensando:
« Io veggio ben l'amor che tu m’accenne. »
40 Ma quella ond’ io aspetto il come e il quando
Del dire e del tacer, si sta, ond’ io
Contra il disio fo ben ch’ io non domando.
49 Perch’ ella, che vedeva il tacer mio
Nel veder di Colui che tutto vede,
37. ALTRR: le une si allontanano e
non tornano indietro; altre tornano al
luogo dove hanno passato la notte; altre
non fanno che aggirarsi nel inedesimo
luogo.
40. TAL MODO: così, come soglio fare
le pole, mi parve che facessero quelle ani-
me beate.
4l. INSIRME: ¢ imperò che quelli beati
spiriti molti insieme tutti vennero ad una
ora, e ad un certo grado si partittono; 0
porò dico: $i come in certo grado, certo
scalono della detta scala, si percosse ; cioò
insiomo tutti; fimperò cho alcuni tornaro-
no in su, onde erano venuti(î)e alquanti
andarono altrove, e alquanti restarono
quivi; » Buti. < Et sic vido quomodo autor
reprwsentat diversos discursus anima-
rum per diversos volatus polaruim, qua-
rum comparatio non videatar alicui alic-
na; primo, quia omnes animo soparatw
ubique figurantur in avibus volantibus
propter carum levitatem et velocitatern ;
ot inter cateras animas animo contein-
plativorum sunt veloces, leves et oxpe-
dite, non gravate a carne, non impolite
ab occupationibus mundi. Secando, quia
pole amant solitudinem, similiter et con-
tomplativi, eligunt unde heremum pro
abitutione sui. ‘Tertio, sicut polw primo
apparent simul glomerata®, postea divi-
duutur et tenduut ad diversas partes, ita
hic istw anima: pole etiam sunt avos
humiles et plan®, et ita aninav contem-
plantium ; » Benv.
V. 43-60. Due domande. Uno degli
spiriti della scala celeste, formatosi più
presso a Dante e Beatrice appid della
scala, si fa sì chiaro per lo grande fervore
della carità, che Dante dice tra sé: « Ben
mi accorgo del tuo amorevole desiderio
di soddisfarmi, di cho col cresciuto ful-
goro mi dai soguo. » Ma Beatrice, che
gli è norma del quando e del come egli
debba parlaro o tacere, non gli fa veran
cenno; onde egli stima opportuno di fre-
naro il suo desiderio e non fare domanda
alcuna. È Beatrice, cho mirando in Dio
vede ogui suo desiderio, gli dice: « Sazia
pure l'ardonte tua brama. » Quiudi, ri-
volto a quel vivo lume, Dante dice: 11
mio merito non mi dà titolo ad avore
una risposta da te; ma per amor di colei
che mi concede ch’ io ti domandi, dimmi,
auima beata che ti stai nascosta dentro
alla gioconda tua luce, per qual cagione
tu sei vonuta sì presso a me, più che non
facessero le altro, o perchè tace qui la
sinfonia, che suona sì devota per le altre
sfere. Alla prima domanda lo spirito ri-
sponde v. 103-126; alla seconda v. 61-102.
Comincia quiudi dalla seconda, come di
gran lunga più importante.
45. M'ACCKNNE: forma regolare antica
per mi accenni; confr. Nannucci, Verbi,
58-68.
46. IL COMK K IL QUANDO: il modo ed
il tempo di parlare e di tacere.
47. 8t STA: non fa veruu cenno.
48. cu’ 10: Al. 8'lo: fo meglio se non
domando, ad onta del mio desiderio di
domandare. Così i più. Invece Biag.:
« Fo contra il mio desìo. »
DAL BRL Niba ve-lendolo in Dio.
[CIELO SETTIMO]
Par, XIT. 51-65
909
[DUE DOMANDE]
Mi disse: « Solvi il tuo caldo disio. »
52 Ed io incominciai: « La mia mercede
Non mi fa degno della tua risposta,
Ma per colei che il chieder mi concede,
65 Vita beata, che ti stai nascosta
Dentro alla tua letizia, fammi nota
La cagion che si presso mi t'ha posta;
58 E di’ perché si tace in questa ruota
La dolce sinfonia di paradiso,
Che giù per l'altre suona sì devota. »
oi « Tu hai l’udir mortal, sì come il viso, »
Rispose a me, « onde qui non si canta
Per quel che Beatrice non ha riso.
64 Giù per li gradi della scala santa
Discesi tanto, sol per farti festa
61. SOLVI: appaga, sazia; ofr. Par.
XV, 62; XIX, 25.
52, MERCEDE: morito; efr. Inf. IV, 34.
Par. XXVIII,112. «Spesso contrappone
l' idea del merito all'idea della grazia; »
Tom.
Bi. court: Teatries. Con) tnbii, 11 solo
Rene. logge ret COLUI, © spiagn: « ox
qno Deus concedit mihi gratiam loqnen- |
di. » La gratia loquendi fu concessa a
Dante da Beatrice, v. 51.
55. vita: anima; cfr. Par. TX,7; XII,
127; XIV, 6; XX, 100; XXV, 29.
56. LETIZIA: luce, eff tto della letizia ;
efr. Par. V, 136 © seg.
57. MI T'HA POSTA: Al. MI T' ACCOSTA ;
MI T'APPOSTA. « Qual'è ln cagione rhe
tn, anima, sola mi sei vennta più presso
ili tatte queste altre? Quasi a dire: Ne
hai ta ninna cagione estrinseca, come o
di conoscenza o di parentado! Imperò
che qua addietro molti hanno parlnto al-
l'Antoro, o perchè furnno suoi conoscenti
nella prima vita, od alcuni gli hanno par-
lato per esser suoi consanguinei ; » Lan.,
An. Fior,
58, r pl': e dimmi anche, perchè in
questo cielo tace la sonvo armonia dogli
altri cieli.
GO. mid: off. Par, TIT, 122; V, 104;
VI, 120; VIT, 6; VIIT, 28 © neg.; ovo.
V. 61-72, Il silenzio dell amor cole-
ste Quello spirito beato nmmantato di
luce risponde alle due domando del Poe-
ta, incominciando dalla seconda, Qui non
si canta per la stessa ragione che Bea-
trice non ha riso, ]l tno ndito, come la
tua viata, è da mortale, quindi debole.
Come il riso di Beatrice, così il canto dei
Reati di questo cielo sopraffarebbe I’ in-
farmo tuo senso, Quella stessa carità ce-
losto cho indnsso Neatrion n non sorri-
dere por amor tuo, induce questi Denti a
sospendere i loro canti. Nè maggior ca-
rità mi fece scendero più presto delle al-
tre anime, perchà su per questa scala
ferve in tntte altrottanto amore è più
ancora che non in me, siccome ti man!-
festa il loro fiammeggiare, che è segno
del grado della loro carità. Ma quello
stesso amor divino che ci fa prontissime
esecutrici dei voleri dell' alta Provviden-
za, è cagione che ciascuna adempia libe-
ramente all'ufficio a lei sortito, cioò de-
stinatole da Dio.
62. oxpR: Al. Però.
63. rer QUEL: per quella medesima
cagiono, «Se Beatrice ti nvosso sorriso
ta non avresti potuto reggerti in vita;
così sarebbe se noi innanzi a te cantas-
simo ; » Corn, Nuoro trovato per dipin-
gere lo dolcezze inoffabili del Paradiso :
I’ como mortalo non pnd sopportarle, non
che descriverlo.
Gi. ACALA: anrea, ilesoritta v. 28 6 seg.
e Questa scala è quella per la quale | con-
tomplativi ascendono suso a Dio, o li
gradi di questa scala sono le cose crento
da Dio, lo quali considerando l'anima de-
vota, ascende a Dio; » Buti.
910 [CIRLO SETTIMO]
PAR. XXI. 66-78
[PREDESTINAZIONE]
Col dire e con la luce che m’ammanta:
67 Né più amor mi fece esser più presta,
Ché più e tanto amor quinci su ferve,
Sì come il fiammeggiar ti manifesta;
70 Ma l’alta carità, che ci fa serve
Pronte al consiglio che il mondo governa,
Sorteggia qui, sì come tu osserve. »
78 « Io veggio ben, » diss’io, « sacra lucerna,
Come libero amore in questa corte
Basta a seguir la provvidenza eterna:
70 Ma quest’ è quel ch'a cerner mi par forte,
Perché predestinata fosti sola
A questo uflicio tra le tue consorte. »
00. cor pink: col mio parlare è con
questo splendore in che sono involto co-
nè in un manto.
08, ert E TANTO: negli altri spiriti fer-
vo tanto amore quanto in mo, è più an-
cora, Umiltà colosta, - QUINCI BU; su per
questa scala. Sulla carità dei Beati cfr,
Thom. Ag. Sum. theol, 113, 26, 13.
70. serve: della divina provvidenza,
pronte ad eseguire | anol volori imper-
serutabili.
72, sortEOGIA : distribuisco le sorti;
« assortiaco a ciascuno quel cho vuol che
faccia; » Land., Vell. « Dadlit iu sortem
ut venirem ad te; » Poot. Caet. - OssEi-
vi: osservi, vedi, Bene Corn.: « lo non
vengo a parlarti, se non perché così
vuolo Iddio che governa il mondo,
V. 713-102, Jacomprensibilita del
mistero della predestinazione. Lo spl-
rito beato ha detto che vonno o parlare
a Dante, non per altro motivo, se non
perchè n ciò destinato da Dio. Ciò in-
duce il Poeta a riedere sull' arcano della
predestinaziono, già toccato Par, XX,
130 6 seg. Onde egli domanda, dicendo ;
Tien veggio, beato spirito lucente, che In
questo regno non espresso Comandamen-
to di Dio, ma libero amore v'induoo a
fare ciò che Egli vuole. Ma non so com-
prendere il motivo, perchè tra cotante
anime beata per l'appunto tu fosti pre-
destinata a venire a me od a parlar me-
co. Danzando in giro sopra sò stessa,
quell'anima raggiante manifesta la sua
letizia di appagaro il desiderio del Poe-
ta. Quindi rispondo: Luce divina viene
a feriro col suo raggio sopra di me, ae
traversando questa luce della quale jo
mi circondo. E la virtù di questa luce
divina, congiunta colla natural forza dol
mio intelletto, m'innalza tanto sopra di
mo, che jo vegyo la stossa essenza divi-
na, dalla quale la detta luce procede. Dal
vedere quosta suprema natura nasce
quella gioia per cul risplondo ; percioccha
in we, Come in tutti | Beati, la chiarezza
dello splendore si pareggia alla chiarezza
della divina visione, Ma nò tra le anime
beato quelln che ha più chiarerza di lu-
mo benelico, nd tra gli angeli il più au-
blime de' Serafini, potrebbe mai sodili-
sfaro alla ton idlomanda. Imperocchò
quanto ricerchi si profonda tanto nel-
l'abiaso dei decreti di Dio, che non può
essere compreso da qualsiasi intolletto
creato, Iitoruatovi, anvunzia al momlo
do’ mortali questa impossibilità di pene-
traro l'arcano della divina predestina-
zlone, aflinchè non più presuma di an-
darlo investigando, La mente umana,
che in cielo è irradiata dalla divina luce,
in terra è offuscata dalla caligine dei
sensi; onde pensa per te stesso com’ ella
possa comprendere in terra ciò che non
può comprendere in cielo,- In sostanza :
il tuo dubbio sorpassa l'intelletto creato;
non lo si può sciogliere, Cir. Thom. Ag.
Sum. cont, Gent. III, 101.
79. LUCERNA : anima risplendente, ofr.
Par. VIIL, 19; XXIII, 28, 8. Giov, V, 35.
76. CERNEN: lat. cernere, vodere, in-
tendere; cfr. Par. III, 75. - roetk: dif
ficile, oscuro.
78. comnsonTEk: fom. plur, di consortia,
wante anticamente per consorte; cfr. Nan-
[CIELO SETTIMO]
PAR. xx. 79-98 [PREDESTINAZIONE] 911
70 Né venni prima all’ ultima parola,
Che del suo mezzo fece il lume centro,
Girando sé, come veloce mola.
82 Poi rispose l’amor che v'era dentro:
« Luce divina sopra me s'appunta,
Penetrando per questa ond’ io m’ inventro;
85 La cui virtù, col mio veder congiunta,
Mi leva sopra me tanto, ch'io veggio
La somma essenzia della quale è munta.
88 Quinci vien l'allegrezza ond’ io fiammeggio;
Perché alla vista mia, quant’ ella è chiara,
La chiarità della fiamma pareggio.
DI Ma quell’alma nel ciel che più si schiara,
Quel Serafin che in Dio più |’ occhio ha fisso,
Alla domanda tua non soddisfara ;
o Però che si s’inoltra nell’ abisso
Dell’ eterno statuto quel che chiedi,
Che da ogni creata vista è scisso.
97 Ed al mondo mortal, quando tu riedi,
Questo rapporta, sì che non presuma
mucoet, Teor. dei Nomi, 21, Secondo altri
consorte sta qui per consorti, « In grazia
della rima? »
79. NÉ VENNI: Al. NON vEKNI. Non
ebbi ancor terminato di parlare, che quel
vivo lume cominciò nd aggirarsi intorno
n a4 stesso colla velocità di ana mola.
BI. MOLA: cfr. Par. XII, 3.
82. L'AMOR: l'anima benta ardente di
carità. - DENTRO: in quel lume.
83. s'APPUNTA: si ferma, arriva colla
punta. « Quest'anima vuol dire che il
lume della gloria viene dalla divina es-
senza in sè e con questo lume vede la
stessa divina essenza: come il lume di
unn lucerna è quello cho viene all’ no-
chio e con esso si vede la stessa lucerna.
Non c'è il solo intelletto umano (col mio
veder) ma con questo v'è il lume divino,
la virth del quale deriva dalla stossa di-
vina essonza; » Corn.
B4, QUESTA: Inco, — M' INVENTHO: « ill
che io m'inchindo ed inserro; » Vell, « DI
oni lo formo il nuovo ventre, ciod il chio-
stro al mio spirito, il mio splendido nm-
manto ;» Hefti, Al. M'INNENTRO=vi sono
dentro; ofr. Com. Lips. III, 571 © seg.
85. vIRTÙ: della luce divina.
87. K3SIRNZIA : ilivina. — & MUNTA : ema-
na, procede, « Dalla quale vien tratta co-
come da poppa latte; » Lomb.
88, quinci: dalla visione della somma
essenzia deriva questa bentitudine per
oul risplendo.
90. rAREGGIO: quanto vedo In Dio,
tanto splendo ; ofr. Par. X1V, 40 e seg.
« Tanta eat claritas visionis ot cognilio-
nis mem, quanta est claritas luminis et
splendoris mei. Et hic nota qnod per om-
nia ista verba iste spiritus non vult aliud
dicere nisi, quamvis ego alte videam in
Deo multa secreta eius, quia fui ita con-
templativus, tamen nescio, nec scire pos-
sum cansam de qua petis; » Bene.
91. arscutara: di lume divino; «la qua-
lo più diventa chiara, cioè che più riceve
lo raggio della grazia di Dio, onde diven-
tachiara e più vede la volontà sua; » Buti.
03. sonpisrAna : soddisfaria, soddiafa-
robbe; ofr. Nannwe., Verbi, 223 0 sog.
04. 8'INOLTRA: perchò la tua domanda
passa tanto oltre nell'abisso del consiglio
divino, che nessun intelletto creato vedo
tanto in là,
96. scisso: disgiunto, lontano; confr.
Purg. VI, 123.
912 [cigLo settimo) Par. xrxr. 99-106 [VIER DAMIANO]
A tanto segno più muover li piedi.
100 La mente che qui luce, in terra fuma;
Onde riguarda come può laggile
Quel che non puote, perché il ciel l’assuma, »
103 Si mi prescrisser le parole sue,
Ch’ io lasciai la questione, e mi ritrassi
A domandarla umilmente chi fue.
106 « Tra due liti d’Italia surgon sassi,
00. A TANTO SEGNO: ad un mistero così
profondo, - MUovER: nccostarvisi per in-
vestigarlo; «affaticarai per acquistar que-
sto tanto e sì profondo seoreto della pre-
destinazione, che solo nella mente di Dio
ata nascosto; » Dan,
100, LA MENTE: l'intelletto creato che
qui in cielo si ammanta di lucé, è in terra
involto in fumo, in densa caligine di igno-
ranza o di erroro. Como mai dunque po-
trunno gli uomini in terra vodero ciò che
non vedono i Beati in olelof - FUMA:
« dice che della mente divina, di cui in
cielo si vedo la luce, in terra non si vede
che il fumo, civd il paro indizio, come
succede d'alcun foco lontano in tempo
cho il sole è sull’ orizzonte: che noi co-
nosciamo esservi esso fuoco, perchè no
vediamo il fumo; ma Ja luco non ci si fa
vedoro; » Betts.
102. rkKCHIK : sebbone il cielo la riceva;
ofr. Inf. XXXII, 100. - ASSUMA : congiun-
tivo di assumere ;cfr. Com. Lips. IIT, 573.
V. 103-126. San Pier Damiano. Le
parole di quell’ anima sopprimono la cu-
riosità del Poeta in modo, che egli luscia
la questione, contentandosi di doman-
daro: E chi sei tu? Fui Pier Damiano,
risponde il vivo lume, che negli ultimi
anni di mia vita fui tratto a quel cap-
pello cardinalizio che pur di malo in peg-
gio si travasa. Quosto celebre dottore
della Chiosa nacque a Ravenna nel 1007,
da povera ed oscura fumniglia. Nella saa
gioventù fece il pastorello; ma Damiano,
suo fratello maggiore, ch'era arcidjacono
di Ravenna, s'incaricò della sua educa-
ziono o gli fece da padre, onde Pietro,
mosso cda gratitudine, vello chiamarsi
Petrus Damiani, come Eusebio si chia-
mò Kuscbius Pamphilit in onoro dol-
l'amico Pamfilio. Pietro studiò le arti
liberali a Ravenna, a Faenza ed a Parma,
fu quindi mavstro a Ravenna, dovo in
breve tempo conseguì onori e ricchezze.
Verso il 1037 lasciò il secolo ed entrò nel
monastero di Fonte Avellana nell' UTra-
bria, dove si distinso per santità e dot-
trina, onde ne fu letto abate, o nel 1068
fo croato cardinale a voscovo d'Ostia. Ma
doe anni dopo ritornò nel suo monastoro
© prese per umiltà il nome di Pietro pee-
catore. Morì a Faenza il 23 febbraio 1072.
Cfr. Acta Sanct. Febr. IIT, 406 e sog. Act.
SS. ord. S. Ben. sec. VI, IT, 245 © sog.
Laderchi, Vita S. Petri Dam., 3 vol. Ro-
ma, 1702. Capecelatro, Storia di 8. Pier
Dain. e del suo tempo, 2 vol. Fir., 1862.
Ncukirch, Leben des Petr. Dam. Gitting.,
1876. Com. Lips. 111, 673-575. Kleiner-
mann, Der heil. Petr. Dam. Steyl, 1883.
103. PKESCRISSRR: limitarono il mio de-
siderio; cfr. Par. XX1V, 6; XXV, 67.
« Prescrivere prupriamente significa as-
segnar termino ad alcuna cosa, il qualo
da ossa non si pussa trapassare; adun-
que le parole dello spirito dette al Poeta
posero termine al medesimo;» Dan.
104. Lascial: non domandai più in me-
rito alla questione della predestinaziono
cho m'avova tenuto occupato. - MI RI-
TRASSI: mi restrinsi, mi limitai.
105. DOMANDARLA: quella vita beata
(v. 55) e sacra lucerna (v. 73).
106. LITI: del Mar Tirreno e dell’ Adria-
tico. - 84881: monti, cioè gli Appennini.
« Ben descritto il riuscire del monte Ca-
tria dagli Apponnini, dallo cime doi quali
vedonsi non di ralo sottostare le nubi
procollose, scoccauti saetto. 11 Catria si
stacca da questi alla latitudine di Gub-
bio, e si spiuge verso l'Adriatico tra le-
vante e tramontana per otto o dieci mi-
glia, fuori affatto della linea dei monti
generatori; o al disopra della media al-
tozza di quelli, ergundosi la sua sommità
al livello di 1700 metri sul mare. Più in
basso nel fianco che guarda Greco, a uno
dei capi del torrente Cesana, è il celebre
Notaatero dell'Avellana; » Ant.
[CIELO SETTIMO]
PAR. xx1. 107-121 [Pren DAMIANO] 913
E non molto distanti alla tua patria,
Tanto, che i tuoni assai suonan più bassi,
109 E fanno un gibbo, che si chiama Catria,
Di sotto al quale è consecrato un ermo,
Che suol esser disposto a sola latria. »
112 Così ricominciommi il terzo sermo,
E poi, continuando, disse: « Quivi
Al servigio di Dio mi fei sì fermo,
115 Che pur con cibi di liquor d’ulivi,
Lievemente passava caldi e gieli,
Contento nei pensier’ contemplativi.
118 Render solea quel chiostro a questi cieli
Fertilemente, ed ora è fatto vano,
Sì che tosto convien che si riveli.
121 In quel loco fu’ io Pier Damiano
108, TANTO: quoi sassi, cioò monti, rier-
gono, si olevano tanto, che eccedono di
molto le nuvole ove il tmono si forma.
109, cisbo: gobba, rinlto. - CATIA :
dirnpo o rialto nell'Appennino centralo
tra Gubbio o la Torgola, Sotho questo
rinlto è fabbricato il Monnatore di San-
ta Urooe di Fonto Avellana doll’ ordine
Camaldolense, do) qual monnstero §, Pier
Damiano qui parla. Cir. Basa., 105 0 seg.
110. ERMO: eremo, romitorio, cioè il
monnstero dell'Avellana; confr. Purg.
V, 96.
111. LATRIA : culto di adorazione do-
voto a Dio solo; ofr. Aug. De Civ. Dei,
X, 1, Thom. Ag. Sum. theol, I1®, 81, 1;
II°, 04, 1.
112. TERZO: gli aveva parlato già duo
volte, v. O61 e seg., 82 è neg. - BKRMO:
sermone,
115, crt: « quadragesimali, conditi con
olio © non con altro grasso; +» Lan,, An.
Fior.- «Gli eromiti colà abitanti stavano
n due a duo in celle separato, intosi con-
tinunmente a salmeggiare, orare o leg-
gere, Per quattro di della sottimana ci-
bavansi di pane od acqua soltanto; al
martedì © gioved) mangiavano an po' di
legumi che fnccan enocere oglino stossi,
Noi giorni di diginno misnravano il pano;
vino non avevano fnor che pol santo sa-
crifizio © pei malati. Camminar sempre
n pié nudi, e disciplinarsi, far gennflea-
sioni, battersi il petto, star colle braocia
steso quanto lo forzo © la divozione a cin-
scuno consontivano, erano lor consueti
58. — Div. Comm., 3% ediz.
osercizi, Dopo I’ uilicio dolla notte roci-
tavano prima di giorno tutto il aaltorio; »
Rohrbacher, Stor. Ecel. XIII, 485.
116. LIEVEMENTK: « sîno magno appa-
rata et opore; » Rene. « Senza fatica; »
Buti, « Pacilmonts, sone noin; » Vol.,
Tamb,, Tie. R., Prat,, soo,
TIR. nencmicit: rive lnine,
110. vano: non rende più anime ni cie-
li, perchè vmoto di bmono opere, ciò che
Dio farà presto palese. « Dice che quello
ermo «detto Catria, soleva essore più nb-
bomlevole di romiti ed nomini contom-
plativi, li quali sono conformi alla dispo-
sizione di Saturno, che non fa ora; sicchè
tosto conviensi che si manifesti, che Dio
non sollora cho di questo si passi sonza
penitenza o pontimento;» Ott, Dicono
che Dante eanle fosse ospitato qualche
tempo nel monastero di Fonte Avellana
(ofr. Troya, Veltro di D., 165. Veltro dei
Ghib., 174 © sog. Pelli, Mem., 134 è seg.
Balbo, Vita di D, 11, 14, Loria, L'Ital.
nella D. C. 1, 42, eco.). Ed in questi versi
Dante saprimerebbe la sua gratitodine
della ricevuta ospitalità1!!
121, IN QUEL Loco: nel monastero di
Fonte Avellana. Terzetto assai oscuro,
intricato e dispntabile. Intendi: Neldetto
Inogo fui Pietro Damiano o nello stosso
tempo Pietro l'occatoro, ebbi cinò ambe-
due questi nomi. Fai anche a Ravenna,
dove ridussi quella città all’ obbedienza
del romano Pontefice, Così por la prima
volta Com. Lips. LIT, 580, K così pure a
quanto sembra senza conmecers \ Cow.
914 [CIELO SETTIMO] PAR. xx. 122-126
[PIER DAMIANO]
E Pietro peccator; fui nella casa
Di Nostra Donna in sul lito Adriano,
i |
Poca vita mortal m’ era rimasa,
Quando fui chiesto e tratto a quel cappello,
Che pur di male in peggio si travasa.
Lips.), Corn.: «dopo il Peceator mettiamo
dae punti: quindi fu nel Tempio di Ma-
ria SS. presso Itavenna, duvé fu Inviato
dal Papas riconciliaro quella città colla
Sede Apostulica.» La questions fu poi de-
claadelinitivamente in favore della nostra
congetturada Giovanxi Mencati, Pietro
Peecatore ossia Della vera interpretazione
di Paradiso XXI, 121-122, Roma, 1895,
p. 3-11. - Altri: IL Foi monaco nel mo-
nastero di 8. Maria in Ravenna, prima
di easerlo in quel di Catria; lì mi chia-
mai Pietro Peccatoro, qui Pier Damia-
no. Storicamente falso! Pier Damiano
non fu monaco in Ravenna ed appunto
nel monastero di Catria si chiamò Pictro
Peccatore. - II. Vissi monaco nel mona-
stero dell’Avellana, e da quello passai
ad esser monaco nel monastero di Ra-
venna, dove michiamai Pietro Peccature.
Sichiaind Pietro Peccatore nel monastero
di Catria e non fu mai monaco nol mona-
stero di Classe iu Raveuna, fondato nol
1096, dunque 14 anni dopo la sua morte. -
III. Fui col nomo di Pier Damiano fino
al monastero di Catria; fatto ivi monaco
mi chiamai Pietro Peccatore, e fui con
quel nome sino alla casa di Nostra Donna
nella città di Ravenna. Le preposizioni
ta, nella non significano mal sino a, sino
dle, © Vier Damiano ni chiamò Viotro
Peccatore sino alla sua morto, non solo
sino al tempo ch’ ovli fu a Ravenna per
la riconciliazione. - IV. Danto confuso
Pier Damiano con Pietro degli Onosti, il
fondatore del monustero di Classe in Ra-
veuna, facendo dello due porsono una s0-
la. Un tal errore storico è inammissibile
In Dante, che ebbe lunga stanza in Ra-
vonna. - V. Entrato nell’eremo di Ca-
tria finii di essor Pior Damiano ed assunsi
il nome di Pietro Peccatoro, e come tale
morii in Faenza. Fui non vuol dire né
finii di essere, nd morii, e Faenza non è
sul lito Adriano. - VI. Bisogna leggere
Fu, © Dante volle qui correggere l'errore
in voga ai suoi tompi, cioè l'identifica-
zione di Pier Damiano con Pietro degli
Onesti. La lezione FU è troppo tprov vi.
sta di autorità, l'errore non era in voga
al tempi di Dante, e questo sarebbe on
molo inaudito di correggere un errore,
al inaudito, che quasi nessun commenta-
tore antico se ne nocorao. Cir. per tatto
ciò Com. Lips. IIL 577-580; vedi pure
G. Mercati, Ancora Pietro Peccatore,
Monza, 1897, Luci Magnani, Pietro de-
gli Onesti detto « Pietro Peeeatore,» Mon-
za, 1897, 0 Supplemento, Modena, 1897.
192, NELLA Casa: nel convento di Pom-
posa, situato in riva all'Adriatico in una
isoletta formata dalle foci del Po approsso
Comacchio, convento dedicato alla B, V.
Maria e da essa intitulato, dove S. Pier
Damiani, ancora semplice inonaco, fu die-
tro preghivra mundato dall’ abbate dol-
l'Avellana, e dove dimorò circa due anni;
cfr. MERCATI, l. c., p. 8 © seg.
124. Poca: quindici anni. Fu fatto car-
dinale nel 1058, in età di anni 51; mori
nel 1072 in età di anni 66. Nel 1072, quan-
do morì Pier Damiano, Pietro degli One-
sti aveva appena tront’ anni.
125. TRATTO: contro mia voglia. -CAr-
PKLLO: cardinalizio.
126. 81 TRAVASA: si muta d'uno in al-
tro, ma sempre di male in peggio, an-
dando successivamente a coprir indegni
ognor peggiori.
V. 127-142. Lusso det prelati. Dalla
semplicità di vita dogli nutichi monaci,
Dante, por bocca di Pior Damiano, s'apro
la via ad inveire contro i] lasso ole pompe
dei prelati do' suoi tompi. Gli Apostoli
Pietro o Paolo furono astinonti e poveri,
mangiavano per carità, dove ch' ei capi-
tassero. Ora questi prelati moderni vo-
gliono chi, dando loro il braccio, li so-
etenga da ambo i Jatt, e chi a dirittura li
porti in soggetta, tanto e' sono grassi. E
vogliono il caudatario cho regga lor die-
trolo strascico, tanto o’ sono fastosi. Colle
ampie loro cappe ricoprono i cavalli e le
mule sulle quali seggono, così che due
bestie, il prolato ed il palafreno, vanno
coperte d'un solo ammanto. Ob, pazionza
di Dio, quanto sci grande, che tanto sop-
porti! A questa esclamazione le anime dei
contemplanti si avvicinano più da presso
a Pier Damiano, lo sitorniano ed appro-
sé | i i uo
a
[CIELO SETTIMO]
Par. xx1. 127-142 [LUSSO DEI PRELATI] 915
127 Venne Cephas, e venne il gran vasello
Dello Spirito Santo, magri e scalzi,
Prendendo il cibo di qualunque ostello.
130 Or voglion quinci e quindi chi rincalzi
Li moderni pastori, e chi li meni,
Tanto son gravi, e chi di dietro gli alzi.
138 Cuopron de’ manti loro i palafreni,
Si che due bestie van sott’ una pelle:
O pazienza, che tanto sostieni! »
136 A questa voce vid’io più fiammelle
Di grado in grado scendere e girarsi,
Ed ogni giro le facea più belle.
139 Dintorno a questa vennero, e fermàrsi,
E fèro un grido di sì alto suono,
Che non potrebbe qui assimigliarsi;
142 Né io lo intesi, sì mi vinse il tuono,
vano le sue parole con un grido pari al
tuono. Sal lusso del prelati al tempi di
Dante ofr. i passi di San Bernardo e di
altri contemporanei, addotti Com. Lips.
JII, 581.
127. Cermas: l'Apostolo 8, Pietro ; efr.
8. Giov, I, 42. I Cor. III, 22; 1X,5; XV,
6. Galat, 1I, 9.- 1, GRAN VASELLO: l'Apo-
stolo S. Paolo il Vas electionis, come è
chiamato negli Atti, IX, 16. Cfr. In.
II, 28.
120. PRESDENDO: secondo Îl precetto
apostolico, I Cor. X, 27; ofr. S. Luca, X,
T.- OSTELLO : albergo; ofr. Purg. XI, 76,
« Da qualunque albergo ne desse loro per
l'amore di Dio;» Buti.
130. RINCALZI: « metta attorno soate-
gni, o facela largo a chi passa, tenendo
indietro la turba,» Volpi. « Li calsi, non
volendolo fare da sè medesimi, per supor-
bia, tenendo camerieri è servi; » Betti,
192. GRAVI: amaro è velenoso equivoco,
come Poce., Dec. I, 4: « Avendo forse ri-
guardo al grave peso della sua dignità.»
- E CHI: i candatari, « quia habent cap-
pas longas verentes terram cum canda;»
Bene.
133. CUOrRON : « quando vanno a ca-
vallo; impord che gittanola parte d'inanti
de la cappa in snl collo del palafreno, e
quella di dietro in su la groppa; » Buti,
134. DUE BRSTIR: « bestia è Il cavalca-
tore, però ch' esce fuori della regola data
al ano vivere; ed in luogo di ragione usa
l'appetito, come la bestia; e bestia è il
palafreno, 6 sono coperte ambedue d'una
cardinalesca cappa; » Ott, Cfr, Conv, II,
8; III, 7. Inf. XV,73; XXIV, 126. Por.
XIX, 147. Bene, leggo: TRE BESTIE, 6
spiega: « scilicet, cardinalis, meretrix et
equus; sicat nudivi de uno quem bene
novi, qui portabat concubinam suam ad
venationem post se in clane equi vel
muli. »
135, 0 PAZIENZA : veramente infinita di
Dio; cfr. Rom. IX, 22.
136. FIAMMELLE: vivi lumi, spiriti beati.
137. Di grADO : della celeste aurea sca-
la; ofr. v. 28 © seg.; 64 è seg.
138, BELLE: « gioia severa della ginsti-
zia, alla quale è amore la stossa indegna-
zione ;»s Tom.
129. A QUESTA: olla fiammella di che
si ammantava l'anima beata di Pier Da-
miano,
140. UN GRIDO: on fremito di altiesimo,
celeste sdegno; cfr. Inf. XXII, 13 © seg.
141. ASSIMIGLIARSI: trovare in terra nn
paragono sufficiente a darne un'idea.
142. 1xTR81: odii il grido, ma non ne in-
tesi lo parolo. Era una preghiera di ginsta
vendetta; cfr. Par. XXII, 13 0 seg. -
iL TUONO: di quel grido, forte come il
tuono.
916 [CIELO SETTIMO]
PAR, XXI. 1-8
[DANTE E BEATRICE]
CANTO VENTESIMOSECONDO
CIELO SETTIMO DI SATURNO: SPIRITI CONTEMPLATIVI
BAN BENEDETTO, CORRUZIONE DEI MONASTERI
CIELO OTTAVO STELLATO: SPIRITI TRIONFANTI
IL SEGNO DEI GEMINI
SGUARDO AI PIANETI ED ALLA TERRA
Oppresso di stupore alla mia guida
Mi volsi, come parvol che ricorre
Sempre colà dove più si confida;
4 E quella, come madre che soccorre
Subito al figlio pallido ed anelo
Con la sua voce che il suol ben disporre,
7 Mi disse: « Non sai tu che tu sei in cielo?
E non sai tu che il cielo è tutto santo,
V.1-21. Hagione del grido dei Con-
templativi, L'alto grido, forte come il
tuono, fece stupire il Poeta, cle ansioso
si volgo a Beatrice, come il fanciallo alla
madre. Beatrice gli rammenta che è in
ciolo, dove tutto è santo, o tutto ciò che
si fa procede da buon zelo. Quindi lo
achiariace intorno a quel grido. Se tu ne
avessi inteso le parole, già sapreati la
vendetta, che vedrai prima di morire,
Dio non punisco mai che a tempo dobito,
mil onta di chi, o por desiderio vorrebbe
alfrottare, o por puura indugiaro i Suol
castighi. Ma volgiti ora ad altri di questi
spiriti. Vedrai anime Jlustri, se guard
colà, come io ti dico,
l, orrmesso: vinto; « sed te ut video
stupor oppressit; « Boe, Cons. phil. I,
pr. 3.- Guia: Beatrice,
2. COME PAKVOL: clr. Purg. XXX, 43
e sog. Hom., Il. VIII, 268 e seg. Ariogz.,
Orl. XLIV, 02.
3. COLA: alla madre, nella quale il par-
volo più si confida,
4. COME MADhK: confr. Inf. XXIIT,
37 a seg. Purg. XXX, 79. Par. I, 100
o seg.
6. pisronit: «non solo fargli cuore,
ma indurre ogni disposizione buona nel-
l'animo suo; » Tom.
7. IN Cleo: dove non c'è nulla da te-
mere, « Lo luogo santo, li abitatori san-
ti, l'opere piene tutte di carità tollieno
ogni timore et ammirazione; © così per
contrario lo lnogo maledetto, li abitato-
ri scelerati, l'opero viziosissime danno
ragionevilmente timore e meraviglia; »
Hulk.
[CIELO SETTIMO]
PAR. XXII. 9-22 [DANTE E BEATRICE] 917
E ciò che ci si fa vien da buon zelo?
W Come t’avrebbe trasmutato il canto,
Ed io ridendo, mo' pensar lo puoi,
Poscia che il grido t'ha mosso cotanto;
19 Nel qual, se inteso avessi i prieghi suoi,
Già ti sarebbe nota la vendetta,
Che tu vedrai innanzi che tu muoi.
16 La spada di quassù non taglia in fretta,
Né tardo, ma' che al parer di colui
Che disiando o temendo l’aspetta.
19 Ma rivolgiti omai inverso altrui,
Ch’ assai illustri spiriti vedrai,
Se, com’ io dico, l'aspetto ridui. »
22 Com’ a lei piacque gli occhi dirizzai,
10. CANTO: dei Beati; cfr. Par. XXI,
58 6 sog.
11, RIDRNDO : col mio ridere; cfr. Par.
XXI,desceg., 62 6080g.-Mo': ora, messo.
Ora puoi pensare quale sconvolgimento
avrebbero in te prodotto il canto dei
Denti ed il mio ridere In questo pianeta,
poiché nn sol grido ti ha tanto opprosso
per lo atupore.
13. 1 PRIEGNI: la preghiera contennta
in quel grido, « In questa lettera mani-
festa quello che nel grido di quelli beati
si contenne ; quasi gridassero: Iddjo, fan-
ne vendetta di coloro che commacnlano li
spirituali reggimenti in terra. La quale
vendetta dice Beatrice ch'elli vedrà anzi
ch’ elli muoja. Tutto di, chi guata con In
mente sana, si vede di questo vendette e
giustizie di Dio:» Ott.
15. cue TU VEDRAI: Al. LA QUAL VR-
DRAI: - MUOI: muoia, allude forse alla
cattura di Bonifazio VIII, in Anagni,
cfr. Purg. XX, 86 © sog. (Renv., Buti,
Land., Vell., Dan,, Vent., Lomb., occ.);
o all'avvilimento della Curia romana in
Avignone, confr. Purg. XXXII, 151 e
sog. (Witte, oco.); 0 allo spernto messo
di Dio che doveva nocidere Ja lnpa; ofr.
Purg. XXXITI, 40 © seg. (Tom., Andr.,
Filal,, ooo.).
16. LA BrADA: la vondetta di Dio non
è celere che riapetto a chi l'aspotta, nè
tarda che rispetto a chi la desidera ed
invoca,
17. MA’ CHE: fuorchè; cfr. Inf. IV, 26;
XXI, 20; XXVIII, 06. Purg. XVIII, 53.
Al. MAT AL PIACKR: cioè : La spada di Dio
non si mnove mai a tagliare in fretta nad
tardo, n seconda del desiderio di chi nspet-
ta, 0 desiando, o temendo, Confr. Com.
Lips. III, 586. Moons, Orit., 473 è sog.
21. L'ASPETTO: Al. LA VISTA. — RIDUT:
riduci, rivolgi.
V. 22-61. San Moenedetto, AN'invito
di Beatrice, Danto rivolgo nuovamente
gli agnardi anoi alla scala colesto 0 veda
cento globetti che insieme più s' abbel-
lano col mutuo splendore. Il maggiore e
più Incente si fa innanzi: è San Bene-
detto cho parla di sè, e nomina Macario
o Romnaldo. Nacque 8. Benedetto nel 480
da onorevoli parenti a Norcia nell' Um-
bria. Abbandonò il secolo nel 494 6 si na-
acose in una grotta presso Subiaco, dove
dimord più anni ignoto a tutti, tranne
certo monaco Romano, che di quando in
quando gli calava il vitto giù dalla rupe,
Divulgatasi la fama della sua santità, i
monaci di Vicovaro, tra Subiaco e Tivoli,
lo vollero nel 610 loro superiore, ma egli
introdusse disciplina sì rigida, che i mo-
naci tentarono di avvelenarlo. Ritorna-
tosene nella sua grotta, gli si affollarono
intorno tanti discepoli, che si vide co-
strotto a fondare più monasteri, dei quali
riteneva la suprema nutorità, dando però
n cinscuno un superiore. Perseguitato da
nn malvagio prote Finronzo, andò nol 628
a Monte Cassino, vi distrusse il tempio
di Apollo o vi fondò il più gran mona-
- stero dell'Occidente, che divenne la culla
dell'Ordine. Quivi mori il 21 marzo 542.
Cfr. Greg. M. Opp, ed, Bened. II, 207-276,
Act. Sanet. Mart, III, 274-367, Mahut.
918 [CIELO SETTIMO]
PAR. xx11. 238-429
(8. BENEDETTO]
E vidi cento sperule, che insieme
Più s’abbellivan coi mutui rai.
25 Io stava come quei che in sé ripreme
La punta del disio, e non s’attenta
Del dimandar, si del troppo si teme.
28 E la maggiore e la più luculenta
Di quelle margherite innanzi féssi,
Per far di sé la mia voglia contenta.
vi Poi dentro a lei udì’: « Se tu vedessi,
Com’ io, la carità che tra noi arde,
Li tuoi concetti sarebbero espressi;
a4 Ma perché tu, aspettando, non tarde
All alto fine, io ti farò risposta
Pure al pensier di che sì ti riguarde.
37 Quel monte, a cui Cassino è nella costa,
Fu frequentato già in su la cima
Dalla gente ingannata e mal disposta.
40 E quel son io che su vi portai prima
Lo nome di Colui, che in terra addusse
La verità che tanto ci sublima.
Act. Sanct. Ord. 8. Bened., Seo. I, 3 6 seg.
Ejusd. Annal. Ord. 8. Bened. I, 1-117.
Mege, Vie de St. Ben., Par., 1696. L. L'osti,
Stor. di Monte Cass., 2 vol., Nap., 1842.
23. CENTO: moltissime; il determinato
per l'indeterminato. - SUKRULK: piccole
sfere di luce; animo ammantate di raggi
lucenti.
24. 8'ABBELLIVAN: radiando l'una nel-
l'altra.
25. KIPREME: reprime; ofr. Par. IV, 112.
26. LA PUNTA: l'acuto stimolo del de-
siderio. « Dubieque in preelia menti Ur-
gentes addunt stimulos; » Lucan. Phare
I, 262 © seg.
27. DEL DIMANDAR: Al. DI DIMANDAR.
- TKME: di essere moleato col troppo do-
mandare.
29. MARGHERITE: anime beate; confr.
Par. XX,16.
80. DI sé: per appagare il mio desiderio
di sapere chi ogli si fosse.
81. DENTRO: dal centro dl quella mar-
gherita. La luce non è l'anima, è il suo
manto, quasi il corpo etereo in cui l'ani-
ma dimora. - vxbrssi: cogli occhi della
mente; conoscessi.
83. ESPRKSSI: già avresti esposto | tuoi
desiderii, sicuro di non esserci impor-
tuno chiedendo.
34. ratpi: tardi; non indugi l'alto
fine del tuo viaggio, che è di salire sino
a Dio.
36. PURR: risponderò anche al solo
pensiero, che tu non ti arrischi di ma-
nifestare.
37. QUKL MONTK: « Castrum, quod Ca-
sinum dicitur, in excelsi montis latere
situm est (qui videlicot mons distenso
sinu hoc idem castrum rocipit, sed per
tria milia in altum se subrigens velut
ad aéra cacumen tendit), ubi vetustis-
simum fanum fuit, in quo ex antiquorum
more gentilium a stulto rusticoram po-
pulo Apollo celobrabatur. Circumquaqae
in culto dmmonum luci excreverant, in
quibus adhuc eodem tempore infideliam
insana multitudo sacrificiis sacrilogis in-
sudabat;» Greg. Magn. Dial. II, 2, Cfr.
Com. Lips. III, 588 e seg.
89. INGANNATA: dalle ane falso cre-
denze, ¢ mal disposta a ricevere la fede
in Cristo.
42. VERITÀ: cristiana. - CI SUBLIMA:
facendoci figliuoli di Dio; cfr. 8. Giov. I,
IL. I Ep. v8. Giov. ILI, 1. < Tanto c'in-
[CIELO SETTIMO]
PAR, XXI. 48-53
[s. BENEDETTO) 919
43 E tanta grazia sovra me rilusse,
Ch’ io ritrassi le ville circostanti
Dall’ empio culto che il mondo sedusse,
46 Questi altri fuochi tutti contemplanti
Uomini firo, accesi di quel caldo
Che fa nascere i fiori e i frutti santi.
49 Qui è Maccario, qui è Romoaldo,
Qui son li frati miei, che dentro ai chiostri
Fermîr li piedi e tennero il cuor saldo. »
52 Ed io a lui: « L’affetto che dimostri
Meco parlando, e la buona sembianza
nalza, che ci fa montare in cielo in vita
otorna;» Muti.
43, RILUSSR: © tanta grazia mi fo da
Dio concessa, da togliere dal)’ idolatria,
che aveva sedotto il mondo intiero, tutte
le genti dei Inoghi d'intorno. « Illne ita-
que in Dei pervenions contrivit idolum,
sobvertit aram, snecendit lucoa atquo
ipso in templo Apollinis oracalum Marim
Virginis, ubi vero ara ¢josdem A pollinis
fuit, oraculum S. Joannis conatruzit, ot
commorantem circumqonque multitudi-
nem privdicatione continua ad idem vo-
cabat;» Greg. M., loe. cit.
45. cuLTO: Al. cono ; ofr. Par. V, 72.
47. caLpo: della divina carità, fecon-
datrice delle animo; cfr. Par. XXXIII,
7 e seg. Salm. XXXVIII, 4. S. Luca
XXIV, 82.
48. riorI: desiderii e parole, - FRUTTI :
operò.
49. MaccARIO: | più intendono di San
Macario alessandrino, detto 6 moArtt-
xég, discepolo di S. Antonio, vissuto
nelle solitudini tra il Nilo ed il Mar
Rosso. Ebbe sotto la sua direzione oltre
5000 eremiti. Mori il 2 gennaio 404; ofr.
Soer., Hist. Eceles. IV, 23. Altri inten-
dono di 8. Macario il Grande, o l'egi-
ziano, anch'egli discepolo di 8. Antonio,
cho viase oltre 60 anni vita nasai rigida
nei deserti della Libia 6 morì nel 391;
efr. Soer., 1. c., Sozom, IIT, 14, Probabil-
mente Dante, con moltissimi altri, non
distinse i due Macarii; cfr. Com. Lips.
III, 590 e seg. Encicl., 1172 e seg. - Ro-
MOALDO: San Romoaldo degli Onesti, nato
in Ravenna verso il 956, morto nel 1027
presso Val di Castro, fu il fondatore del
monastero di Camaldoli e dell'Ordine dei
Camaldolosi. Cfr. Petr. Damiani, Vila
Rom. Opp., ed Cajetani, II, 205 e seg.;
trad. fl. Fortunio, Fir., 1586. Mabill.,
Act, Sanct Ord, Men, rac, VI, I, 247 è
seg. J. de Castaniza, Hist, de S, Rom.,
Madrid, 1607; trad. in ital. da Timot.
da Bagno, Venez., 1605. I}. Collina, Vita
di 8. Jtom,, Bologna, 1748, P. P. Ginan-
mi, Seritt, Ravrenn, 11, 282 0 seg.
60. LI FRATI: «| misi monari santi o
bnoni e contemplativi; » Buti.
51, LI rien: « idest, affectiones, qua
sunt de se vago, e tennero il euor saldo,
scilicet, perseverando in proposito san-
ctim contemplationia, propter quod annt
ernltati nd istam altitndinem beatitndi-
nis, Et dicit: dentro ai chiostri, non va-
gando ad aliens loca, vel apostatando,
Sicut enim moritur piscis extra aquam,
ita monachus extra cellam ; » Bene,
V. 52-72. Domanda intempestira.
Dice Dante: L' amore che mi mostri mi
fn ardito a pregarti di mostrarti a me
con immagine scoverta del lome che ti
cela. - Qui no, rispondo 8, Benedetto; il
tuo desiderio sarà snriato più in alto,
noll'Empirso, dove tutti i desiderii si sa-
siano © sin dove arriva questa scala.
Cfr. Keo, X XXIII, 18 © seg. — Al cielo
di Saturno, Dante non dedica che poco
più di un canto, In esso Beatrice non lo
bea del suo sorriso, né i Beati del loro
canto, Il dubbio che ivi propone non gli
viene sciolto; un grido lo contarba; il
desiderio suo non è appagato. Si direbbe
che in questo cielo più che negli altri
egli deve esperimentare In differenza che
passa tra i Beati e Ini ancor mortale.
Perchè? KE perchè appunto nel cielo di
Saturno, nella regione degli spiriti con-
templativi?
53. BRMBIANZA: amorevole, che par
pronta a compiacere altrui. « L'amore-
volezza che veggo, per favorirmi,in tutti
920
[cIELO 8ETTIMO] Par. <x. 54-70
(Ss. BENEDETTO)
Ch’ io veggio e noto in tutti gli ardor’ vostri,
56 Cosi m’ ha dilatata mia fidanza,
Come il sol fa la rosa, quando aperta
Tanto divien quant’ ell’ ha di possanza;
58 Però ti prego, e tu, padre, m’ accerta
S'io posso prender tanta grazia, ch'io
Ti veggia con imagine scoverta. »
61 Ond’ egli: « Frate, il tuo alto disio
S'adempierà in‘su l'ultima spera,
Dove s’ adempion tutti gli altri, e il mio:
d Ivi è perfetta, matura ed intera
Ciascuna disianza; in quella sola
È ogni parte là dove sempr' era,
07 Perché non è in luogo, e non s’impola,
E nostra scala infino ad essa varca,
Onde così dal viso ti s’ invola.
70 Infin lassù la vide il patriarca
gli altri boati spiriti, vostri compagni.
Noi diremmo: la buona cora, che mi fan-
no gli altri; » Betti.
54. ALDOR' : in tutte le fiammelle nelle
quali vi nascondete.
55. M'HA DILATATA: ha allargato in
me la fiducia cho pongo in voi.
66. La ROSA: Îl cuore del Poeta si di-
lata ai raggi dell’ amor celeste, come le
foglie della rosa ai raggi del Sole. « E
conviensi aprire l'uomo quasi com' una
rosa che più chiusa stare non può, e
l'odore ch' è dentro generato spandere; »
Conv. IV, 27.
57. QUANT’ ELL' HA: quanto essa si può
aprire. « Diviene così bella e grossa, come
può ella divenire, dopo che si è aperta; »
Betti.
60. SCOVERTA: in aperto sembiante,
non più nascosto nella luce che ti cir-
conda. « Li contemplativi pensano tutte
le alte coso di Dio, contemplando la crea-
tura s'innalzano a contemplare il crea-
tore; e perchè l'anima umana è fatta a
similitudino sua, però hanno dosidorio li
contemplutivi di vedere l’ essonzia dol-
l'anima umana più che di niun' altra cosa
croata; e però finse l'uutore che tale pen-
sieri gli venisse in questo luogo; » Buti
e Land. (1).
61. rtaTE: fratello; cfr. Par. III, 70;
VII, 68, 130, eco.
62. sura; noll' Kmpirco, dovo in roal-
tà sono tutti i Boati; cfr. Par. IV, 28.
e seg. S. Benedotto si trova infatti nel-
l' Empireo; cfr. Par. XXXII, 35.
63.11. MIO: il mio desiderio di mostrar-
miti con immagine scoverta.
64. PERFETTA: < ivi ogni desiderio è
perfetto, perchò il principale oggetto ne
è Iddio; è maturo, perchè ai precedenti
meriti è dovuto l'adempimento; è inte-
ro, perchè viene da Dio esaudito in tutta
la sua pienezza; » Pogg.
65. IN QUELLA : nell'ultima spera, nel-
l’ Empireo non rimane verun ansioso de-.
siderio, appagata essendo lì ogni brama.
66. L.A: il cielo Empireo è immobile,
onde le sue parti non mutano mai luogo;
ofr. Conv. II, 4.
67. IN LUOGO: l' Empireo « non è in
luogo, ma formato fu solo nella prima
Mente, la quale li Greci dicono Proto-
noe;» Conv. II, 4.- NONS'IMPOLA: non
ha poli sopra i quali giri. « Ed è da sa-
pere che ciascuno cielo, «di sotto del Cri-
atallino, ha due poli formi, quanto a sè;
o lo nono gli ha fermi e fissi o non muta-
bili, secondo alcuno rispetto ; » Conv. II, 4.
68. SCALA: cfr. Par. XXI, 28 e seg.
69. viso: vista; la sua cima si sottrae
alla tua vista; cfr. Par. XXI, 29, 80.
70. LA VIDE: In sogno; confr. Genesi
XXVIIT, 12 e seg.
’ Ae “1 LI [|
[CIELO SETTIMO]
PAR. XXII. 71-86
[BENEDETTINI] 921
Jacob porgere la superna parte,
Quando gli apparve d’angeli sì carca,
73 Ma per salirla mo’ nessun diparte
Da terra i piedi, e la regola mia
Rimasa è giù per danno delle carte.
76 Le mura, che solean esser badia,
Fatte sono spelonche, e le cocolle
Sacca son piene di farina ria,
79 Ma grave usura tanto non sì tolle
Contra il piacer di Dio, quanto quel frutto
Che fa il cuor dei monaci si folle,
82 Ché, quantunque la Chiesa guarda, tutto
È della gente che per Dio domanda,
Non di parenti, né d’altro più brutto.
85 La carne dei mortali è tanto blanda,
Che giù non basta buon cominciamento
71. rorceng: innalzare la sua cima.
AI, JACOD ronorr.
V. 73-06. Corruzione dei monaste-
rii. San Benedetto continua lamentan-
dosi doi suoi frati, Non vi è più chi dalla
terrn salga su per In celesto sonia. La
min regola è rimasta laggiù in terra
non per altro che per scinpare inntil-
mente ln carta dovo si sorive è trascri-
ve, Tutto nei monasterii è degenerato;
l'avarizia o la rilassatezza fan guasto
de’ cuori. Soltanto un miracolo può rime-
diare a tanta corruzione. Cfr. Tosti, Sto-
ria della Badia di Montecass. ITI, 92-00,
Lo stesso, Gli ordini religiori nella D, 0,
in D, e il uo sec., 420 © sog.
73. mo’: adesso, Al presente nessnno
alza più un piede dalla terra per salire la
scala celeste, cioè nesanno si dà alla con-
templazione,ma attende soltanto alle cose
terreno,
74. REGOLA: monastica. Cfr, Regula
Benedieti in Gallandi, Bibl. Patr. XI,
208 © neg.
75. RIMASA: in terra.- PER DANNO: per
consumare inutilmente la carta, copian-
dola e ricopiandola, non essendovi più
chi l'osservi. Cfr. Com. Lips. III, 504
© sog.
76. muna : dei monasterii, che solevano
essere stanza di nomini buoni e devoti.
77. SPELONCHE: « Nomqnid ergo spe-
lunca Jatronum facta est domus Ista, in
qua invocatum nomen meum?» Gerem.
VII, 11. Cfr. &. Matt, XX1I,13.-cocoLLR:
vesti monacali; cfr. Par. IX, 78.
78. PIENE: le cappe monacali ricnopro-
no persone malvage.
79, TOLL": insorge contro, si ribella,
offendo. Cfr. Nannue., Verbi, 701 o sog.
« So i miei monaci commottessero usura,
dispiacerebbono meno a Dio, che adope-
rando le rendite in quello in cho le ado-
perano;» Corn, Papa Alessandro ITI in
una sua decretale: « Quod monachi, nb-
bates et priorea accipiunt, gravius est
usura,» Cfr. Todeschini, Seritti su D. II,
431 e sog.
80. rRUTTO: l'amor degli averi, che
rende sì folle Il cnore dei monnei.
82. GUARDA: custodisce, tieno in de-
posito, Porciocchè tutto ciò che è in on-
stodia della Chiesa nppartiene ai poveri,
non già ni parenti dei chierici, od alle
loro drade ed ai loro bastardi. Cfr. Aug.
De correct. Donat. ad Bonif. Ep., 185.
S. Bernhard. Declamat., 17. Par. X1I,93.
84. p'ALTRO: nè di tali altre persone,
delle quali il tacere è bello.
85. BLANDA : arrendevole alle seduzioni
elasinghe. « È così debole l' umana car-
no, che il forvore onde si comincia un re-
ligioso istituto difficilmente si conserva
sempre talo dn dare quei frutti che do-
vrebbono aegnire; » Corn.
86. NON HASTA: non dora. La pianta
germogliata inaridisce prima di matorar
frutti,
922 [CIELO SETTIMO]
PAR. xxi. 87-100
[BENEDETTINI]
Dal nascer della quercia al far la ghianda.
88 Pier cominciò senz'oro e senza argento,
Ed io con orazioni e con digiuno,
E Francesco umilmente il suo convento.
01 E se guardi il principio di ciascuno,
Poscia riguardi là doy’ è trascorso,
Tu vederai del bianco fatto bruno.
D Veramente Giordan vòlto retrorso
Più fu, e il mar fuggir, quando Dio volse,
Mirabile a veder, che qui il soccorso. »
07 Cosi mi disse, ed indi si ricolse
Al suo collegio, e il collegio si strinse;
Poi, come turbo, tutto in su s’accolse.
100 La dolce donna dietro a lor mi pinse
88, Pier: l'Apostolo San Pietro. - co-
MINCIÒ : il ano ufizio di predicare Il Van-
gelo ; « Petrns autem dixit: Argentum
et aurum non est mihi;» Atti, IIT, 6.
00. CONVENTO: adunanza, congrega-
ziono; cfr. Purg. XXI, 62.
91.11 RINCHIO : Al. AL PRINCIPIO. — DI
CIASCUNO: dei tre santi or’ or nominati.
92. TRASCORSO : nei successori © di-
scepoli.
93. FATTO BRUNO: le virtù trasmutato
nei vizii opposti. « Qui mostra li buoni
principii e li mali seguiti, dicendo: S. Pie-
ro, primo papa, cominciò senza oro; li
successori sono tesaurizzanti in terra. Io
Benedetto con orazioni e con digiuno;
voi neri e bianchi monaci seguitate con
ozio e con ghiottornie, e dilettazioni mon-
dane. San Francesco con umiltado, li suo-
cessori con superbia; » Ot.
94. VERAMENTE: lat. verumtamen, non-
dimeno, ciò nonostante. ll concetto è:
Le cose vanno a rovescio (Vv. 91-93); non-
dimeno un miracolo della divina bontà
può far ritornare alla disciplina intesa da
Cristo gli ecclesiastici. come fece ritor-
nare indietro le acqne del Giordano (cfr.
Giosuè IIT, 14-17) e ritirare le acque del
Mar Rosso (cfr. Ksod. XIV, 21-29), che
farono miracoli ancor più mirabili. Così
intendono Lan., An. Fior., Post. Cass.,
Falso Boce., Benv., Port., Parenti, Ces.,
Tom., Br. B., Frat., Andr., Bennasg.,
Frances., Oorn., eco. Alc. leggono al
v. 95: l’IÙ FU IL Mak FUGGIR © spiegano :
Veramente fu più mirabile a vedere il
Giordano, volto indietro, fuggir \\ mare,
quando Dio lo volle, che qui il soccorso.
Cosi Vell., Lomb., Costa, ecc. Al. leggono:
VERAMENTE GIORDAN VOLTO È RETROR-
80! Pid FU IL MAK FUGGIR QUANDO Dio
VOLSK, ecc. e spiegano: Le cose vanno
voramento u rovosclo como il Giordano ;
ma il fuggir del mare, quando Dio volle,
fu cosa più mirabile a vedere, che qui il
soccorso. Così Buti, Land., Dan., Vent.,
Pog., Biag., ecc. Ma che le cose vanno
a rovescio è già detto v. 91-93, ed il Gior-
dano si volse retrorso (cfr. Salm. CXIV,
3) per volere di Dio, mentre gli ecclesia-
stici si volgono indiotro contro il divin
volere. Cfr. Mookk, Orit., 474 © Beg.
95. vOLSK: volle: cfr. Purg. VIII, 66.
Nannuc., Verbi, 770.
V. 97-111. Sulita da Saturno al
Cielo stellato. Dopo aver deplorato la
corruzione dei monasterii ed accennato
alla divina potenza che, volendo, può ri-
mediarvi miracolosamente, l'animadiSan
Benedetto ai riunisce alla sua compagnia
che rapidamento s'invola, lovandosi in
alto. Dietro a quei Beati spingo Beatrice
con un ceuno il Poeta su per la celeste
scala. In un batter d'occhio egli si vede
già salito nel civlo delle Stelle fiane. Cfr.
Cono. II, 16.
08. COLLKGIO: compagnia, riunione;
cfr. Inf. XXIII, 91. Purg. XXVI, 129.
Par. XIX, 110. - 51 STRINSE: si riunì.
99. COME TURBO: roteando come vento
turbinoso ; cfr. Par. XVIII, dl © seg. -
8' ACCOLSE: si sollevò, ritornando nel-
V Empireo.
QO, DONA: Beatles.
[CIELO OTTAVO]
Par. xx11. 101-114 [INVOCAZIONE]
928
Con un sol cenno su per quella scala,
Sì sua virtù la mia natura vinse;
108 Né mai quaggiù, dove si monta e cala
Naturalmente, fu sì ratto moto,
Ch'agguagliar si potesse alla mia ala.
106 S'io torni mai, lettore, a quel devoto
Trionfo, per lo qual io piango spesso
Le mie peccata, e il petto mi percuoto,
109 Tu non avresti in tanto tratto e messo
Nel fuoco il dito, in quanto io vidi il segno
Che segue il Tauro, e fui dentro da esso.
112 O gloriose stelle, o lume pregno
Di gran virtù, dal quale io riconosco
Tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
102. NATURA: la gravità naturale del
material mio corpo.
103, nf MAI: nè quaggiù in terra, dove
si monta e cala naturalmente, vi fu mai
e non si ba idea di moto s) ratto, « Sale
il Poeta con Beatrice nl cielo dello stelle
fisse; e questa ascensione egli spiega con
una similitudine levnta anch'essa dal-
l'idon dol volo; bono npproprinta, in
quanto, uscito fuor do'pianoti, si muovo
al cielo stellato pei campi sublimi della
contemplazione; » L. Vent., Simil., 405.
105. ALA: al mio volare, « E bene dice
alla mia ala, imperò che l'ale con che si
monta mentalmente sono due, cioè la ra-
gione che è l'ala sinistra, e lo intelletto
che 4 l'ala destra; nl cielo stellifero, ot-
tava spera, non si può montare coll'ala
della ragione, che non apprende se non
natoral montamento; ma coll'ala dello
intelletto, che npprendo per grazia data
da Dio le cose sopra natura; » Buti,
106. 8' 10 TORNI: ottativo=cosl possa io
tornare. - LETTORE: il Poota si rivolge
sedici volte nel sno Poema nl lettore;
cinque nell'Inf. (VIII, 94; XVI, 128;
XX,19; XXV, 46; XXXIV, 23); sotto nel
Purg. (VIII, 19; IX, 70; X,106; XVII,
1; XXIX, 98; XXXI, 124; XXXIII, 136)
e quattro nel Par. (V, 109; X, 7, 22;
XXII, 100). Qui è l'ultima volta che lo
fn, quasi volesse prender congedo dal let-
tore prima di nocostarsi all'ultima salute.
107. TRIONFO : celeste ; allo gioie dol cie-
lo. - RR LO QUAL: per conseguire il quale.
108. reccaTA: peccati; ofr. Inf. V, 9.
Purg. XVI, 18. Par. XVII, 33. - ren-
cuoro: segno di contrizione e di peni-
tonzn; « publicanns.... porontiobnt poctns
sunm dicens: Deus, propitins esto mihi
peccatori; » &. Lwea XVIII, 13.
109, tratto: «la colerità dell’ nscon-
sione è espressa con una similitudine
non meno semplice che originale. Si noti
como il Poeta dico prima tratto, e poi
messo il dito. Non è songa avvedimento
questa inversione di atto naturale, per-
chè egli è così istantaneo che il prima e
il poi sono un punto solo; anzi, se fosse
possibile l'immaginario, il mettere è più
rapido del trarre; » L. Vent., Simil., 486.
110, IL 8tKGNO : la costellazione del Ge-
mini, che segue quella del Tauro.
111, & FUI: 6 mi trovai nella costella-
zione dei Gemini.
V. 112-123, Invocazione delle stelle
det Gemini, Ricordandosi di esser nato
sotto quella costellazione, e riconoscendo
dall'influenza di essa quanto ha d'ingo-
gno, egnalmente che quanto di bene gli
accende, il Poeta ne invoca la sperimen-
tata virtù, perchè gli giovi a descrivere
la parte più sublime e più difficile del
Poema sacro che ancor gli rimane.
118, virTÙ : «Gemini si è casa di Mor-
curio, lo quale si è significazione di sorit-
tura, è di acienzia, e di conoscibilità ; e
però, secondo Ia scionzia, vel arte pre-
detta (Astrologia), colui che ha Gemini
por nscendento, nataralmente si è inge-
gnoso ed adatto n scienzia littoralo, è
maggiormente quando lo sole si trova
essere in esso sogno; + Lan., Utt., An.
924 [CIELO OTTAVO]
PAR. XxiT. 115-127
Con voi nasceva e s'ascondeva vosco
115
Quegli ch'è padre d’ogni mortal vita,
Quand’ io senti’ da prima l’aer tosco;
118 E poi, quando mi fu grazia largita
D' entrar nell’ alta ruota che vi gira,
La vostra region mi fu sortita.
121 A voi divotamente ora sospira
[vane E BEATRICE]
L’ anima mia per acquistar virtute
Al passo forte, che a sé la tira.
124 « Tu sei si presso all’ ultima salute, »
Cominciò Beatrice, « che tu dèi
Aver le luci tue chiare ed acute.
127 E però, prima che tu più t’ inlei,
115. H'ASCONDEVA: tramontava. - vo-
aco: lat. vobisewm, con voi; cfr. Purg.
XI, 60, XVI, 141. Nel 1206 il Sole on-
trava in Gomini fl 18 maggio, o ne usciva
il 17 giugno. E dicendoci Dante di esser
nato quando il Sole era in Gemini, ne
segue che nacque tra il 18 maggio e 17
giugno.
116. QukGLI: il Sole, il quale « tutte
le cose col suo calore vivifica; » Conv.
IMI, 12.
117. SENTÌ: sentii, respirai; quando
nacqui. - Tosco: cfr. Inf. XXIII, 76;
XXVIII, 108.
118. E POI: essendo salito al Paradiso.
~ LAKGITA: largamente accordata; cfr.
Inf. XIV, 92. Purg. XI, 132, eco.
119. tuOTA: nel Cielo stellato, col quale
voi girate. - vi GINA : «imperd che’) detto
Cielo girando sè tutto, gira ciò che in
esso è; > Buti.
120. SOKTITA : mi fu dato per sorte di
passare appunto per quel tratto di Cielo
che voi occupate. « Il Poeta vuol far co-
noscere il perchè delle tante stelle che po-
polano l'ottavo cielo ebbe in sorte di en-
traro nel seguo di Gemini, ed è che il
Sole si trovava in Gemini quando egli
nacque; >» Greg. (1).
121. ora Sosrina: Al. ORA E BOSPIRA.
123. AL Passo: alla difficile impresa di
descrivere le alte cose del Paradiso, oa-
sia alla conclusione del Poema, dove mi
convien pertrattare le cose più sublimi;
alla qualo impresa, che tira a sé tutta
l’anima mia, ora mi accingo. Coal i più
(Benv., Lomb., 0es., Tom., Br. B., Frat.,
Greg., Andr., Bennas., Cam., Franc.,
Witle, Corn., eoc,). Altri: A passare è
montare alla contemplazione di Dio (Pu-
ti); nl passo per lo quale l'anima ai de-
ve dividero dal corpo, cioé alla morte
(Vell., Dol., Perazzini, Blane., ecc.); al-
l'alta e difficile impresa di passare sori-
vendo dal sensibile all'insensibile (Dan.,
Vent., eoo.); al maraviglioso trionfo di
Cristo (Biag., ecc.). - TIRA: «la difficoltà
trae a sè le menti e le anime forti con
forza degna di loro; solo le deboli re-
spinge; » Zom. Cfr. Par. X, 26 © seg.
V. 124-154. Syuardo ai pianeti ed
alla terra. Consigliatone da Beatrice,
Dante rivolge gli occhi e vede quanto
mondo gli sta sotto i piedi; vede tutti
e sette i pianeti quanto sono grandi e
quanto sono veloci; vedo questa Terra
che è sì piccola e fa l'uomo tanto su-
perbo. Quindi torna a fissare gli sguardi
suoi negli occhi della sua Donna. Cfr.
Cic. Somn. Scip., 3-6. Com. Lipe. III,
604 e seg.
124. ALL’ ULTIMA SALUTE: a Dio; alla
visione di Dio; cfr. Par. XXXIII, 27.
Saln. XXVI, 1.
120. LE LUCI: « degli occhi corporali,
secondo la lettera; ma, secondo l'allego-
ria, le luci mentali, cioè la ragione e lo
intelletto; chiare, cioè non turbate da
passione; ed acute, cioè sottili a discer-
nere e vedere le viltà del mondo, ai che
bene ti puoi rivolgere a riguardare lo
mondo, senza timore che lo suo aguardo
t'inganni e ti tiri a sè; > Buti.
127. t'INLEI: ontri in lei. Verbo oo-
niatoda Dante, come immiarzsi, Par.IX,
81, intuarsi, Par. IX, 81, inleiara, Par.
[CIELO OTTAVO]
PAR. xx. 128-144
[PIANETI) 925
Rimira in giù, e vedi quanto mondo
Sotto li piedi già esser ti fei;
130 Si che il tuo cuor, quatunque può, giocondo
S’ appresenti alla turba trionfante,
Che lieta vien per questo etera tondo. »
133 Col viso ritornai per tutte quante
Le sette spere, e vidi questo globo
Tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante.
136 E quel consiglio per migliore approbo
Che l’ha per meno; e chi ad altro pensa
Chiamar si puote veramente probo.
139 Vidi Ja figlia di Latona incensa
Senza quell'ombra, che mi fu cagione
Per che già la credetti rara e densa.
142 L'aspetto del tuo nato, Iperione,
Quivi sostenni, e vidi com’ si muove
Circa e vicino a lui Maia e Dione,
IX, 78, indiarsi, Par. IV, 28, insemprar-
si, Par. X, 148. eco, Prima che tu più
entri in Dio, ultima salute.
129, tt Fei: ti ho già fatto brascen-
dere, « Guata in giù, e vedrai il mondo
e le sue cose transitorie; sì che tu d' es-
sere cotanto salito t'allegri, e cotale al-
legrezza dimostri alli cori beati, li quali
vegnono; » Ott.
130. QUANTUNQUE ruò: quanto più gli
è possibile; « Servite Domino in lstitia ;
introite in conspectn eins in exultatio-
ne;> Salm. XCIX, 2.
131. B'APPRESENTI: vada incontro, si
mostri. - ALLA TURBA: alle schiere del
trionfo di Cristo, che appariranno tra
breve; cfr. Par. XXIII, 19 6 seg.
132. TERA: tore; ofr, Nannuce., Nomi,
216. « Etereo tondo (1 cetera) è il cielo for-
mato dell'etere a guisa di sfera; » Corn.
133. COL viso: colla vista. Cir. Varchi,
Lez. eu D., sd Arbib I, 501-531.
194. LE SETTE SFERR: i setto cieli per-
corsi :- GLOBO: terrestre, da noi nbitato.
195, TAL: così piccolo, « Inm ipan terra
itn mihi parva visa est, nt mo imperii
nostri peoniteret; » Cie. Somn. Scip,, 8,
- BEMUIANTE : apparenza.
130, ArtrRODO ; approvo; lat. approdo;
forma dell'uso antico.
137. L' NA rer MRNO: lo tieno da me-
no, ne fa minore stima. Al. cuz LÀ ron
MENTE, « Si tibi (sodes hominum) parva
ut eat videtur, hwo omlestin semper
spectato, illa humana contempito ;» Cie.
Somn. Seip., 6. - AD ALTRO: alle cose ce-
lesti, spirituali.
139. LA FIGLIA: la luna. — LATONA :
madre di Apollo e di Diana; cfr, Purg.
XX, 181. Par. X, 07.- InceNsA: infiam-
mata: illuminata.
140. OMbprA : macchie lunari. + Noi dalla
terra vediamo sempre la luna dalla me-
desima parte. Dante or suppone di ve-
dere della Inna il disco che è opposto n
quello che noi vediamo, illuminato dal
Sole che nella sua ipotesi sta tra lui e
la luna; » Corn.
l4i. rer cue; per la qual cagione. -
oI: cfr. Conv. II, 14. Par. II, 46 0 sog.
142, NATO: figlio (ofr. Inf. IV, 59; X,
111), |l sole, « Hyperione natus; » Ovid.
Met. IV, 192, 21. -Irrntone: figlio di
Urano o della Terra, padre del Sole.
143, sOSTENNI; Benza nbbagliare, per
lo vigore novello della mia virtù visiva.
- com': confr. Inf. XXVI, 12. Purg.
XI, 92,
144, circa : intorno ; circa il Sole, Mer-
curio, figlio di Maia; vicino al Sole, Ve-
nere, figlin di Dione. - Mara: una delle
Pleiadi, figlia di Atlante e madre di Mer-
curio; ofr. Ovid. Met. I, 660 è aeg.; II,
685 è seg.; XI, 303. Virg. Georg. I, 225,
926
[CIELO OTTAVO]
Par. xxu. 145-154 >
145 Quindi apparve il temperar di Giove
Tra il padre e il figlio; e quindi mi fu chiaro
Il variar che fanno di lor dove.
148 E tutti e sette mi si dimostràro
Quanto son grandi, e quanto son veloci,
E come sono in distante riparo.
151 L’aiuola che ci fa tanto feroci,
Volgendom’io con gli eterni Gemelli,
Tutta m’ apparve dai colli alle foci.
164 Poscia rivolsi gli occhi agli occhi belli.
Aen. I, 207; VIII, 138 o seg. - Dione:
cfr. Par, VIII, 7. Ovid. Fast. TI, 401.
145. 1L TEMPELAR: Giove, tra Marte
suo figlio e Saturno sno padre, tempe-
rando il troppo caldo del primo è il trop-
po freddo del secondo. Cfr. Conv. II, 14.
Par. XVIII, 69.
147, 1L variare: la ragione del loro mu-
tar luogo, essendo or più or men distanti
dal Sole, ed ora innanzi or dietro di esso.
- DOVE: luogo; ofr. Par. III, 88; X1I,30.
148. TUTTI K 8RTTK: i pianeti: Luna,
Sole, Mercurio, Venore, Murte, Giove,
Saturno. Cfr. Della Valle, Senso, 117 e
sog.; 130 © seg.; Suppl., 52 e seg. Nuove
IUustraz., 86 © seg.
150. & COME: e di quanto spazio sono
tra loro distanti. - RIPARO: « quantità
di corpo, velocità di corso e distanza di
luogo gli fa per tal vista nota; » Lan.,
An. Fior,- E nella propria distanza ch'è
tra le dimore dei singoli pianeti, le quali
gli astronomi chiamano case, è Dante ri-
pari.
151. L'AIVOLA: la Terra, piccola aja,
rispetto ai cieli. Dal segno di Gemini, col
quale ormai mi volgevo, scopril, dalle
maggiori altezze del suolo sino al livello
del mare dove i fiumi hanno le loro foci,
tutto quanto è l'emisfero da noi abitato,
- una piccola aja che ci fa tanto feroci
nol disputarcono il possesso. Cfr. De Mon.
III, 16, duve chiama la terra areola;
Boet. Cons. phil. II, pr. 7.
162. KTKENI: ossoudo incorruttibili ;
confr. Par. VII, 130 e seg. Della Valle,
Senso, 117-120. Suppl., 62, 53. Nuove Il-
luetr., 86-100. Ponta, Opp. su D., 215.
154. OCCHI BELLI: di Beatrice; « ut
scirot quid esset agendum; » Bens.
—_———_————_——_6—+__ -_--_— ——— ——— P—_
[CIELO OTTAVO]
PAR. XXIII. 1-11 [DANTE E BEATRICE] 927
CANTO VENTESIMOTERZO
CIELO OTTAVO STELLATO:
SPIRITI TRIONFANTI
——n
TRIONFO DI CRISTO ED INCORONAZIONE DI MARIA
Come l’augello, intra le amato fronde,
Posato al nido de’ suoi dolci nati
La notte che le cose ci nasconde,
4 Che, per veder gli aspetti disiati,
E per trovar lo cibo onde li pasca,
In che i gravi labor' gli sono aggrati,
7 Previene il tempo in su |’ aperta frasca,
E con ardente affetto il sole aspetta,
Fiso guardando pur che l’alba nasca;
10 Così Ja donna mia si stava eretta
Ed attenta rivolta invér la plaga,
V. 1-15, Dante e Beatrice. Gli occhi
fiaai verso la parte media del Cielo, sta
Bentrice aspettando e mostrando desi-
derio di vodere qual che si fosse nuovo
prodigio. Vedendola così estatica e bra-
mosa, Dante desidera di conoscerne la
ragione.
1. L'AUGRLLO: cfr. Virg. Aen. XII, 473
6 86g. — AMATE: « per li [iglinoli li quali
easo nocello v'ha nidificati; » Ott, Cfr.
Stat, Achill, I, 212 6 seg. Virg. Georg.
I, 412 è sog.
2. POSATO: cfr. Virg. Georg. IV, 514.
Horat. Epod.1,106seg.- NATI: poloini ;
cfr. Virg. Georg. II, 629; ILI, 178. Aen.
IT, 138; IV, 23.
3. LA NOTTR: durante ln notte, che ci
impodisco di vodero gli oggotti.
4. ASPRTTI: de’ anol dolei nati.
6, 1x car: nella ricerca del cibo onde
pascsro i snoi pulcini. - LABOR': Intint-
amo, per lavori: confr. Purg, XXII, &,
Halvoani, Poes. de’ trovat.,470.- A0ARATI:
gruliti, de!" te no quod amatar, aul
non laboratur, aut labor amator ; » Aug.
De Bon. Vid., 22.
7. PREVIENE: abbandona anzi tempo,
prima dello spuntar del Sole, il nido, ed
esco in an lo punte del rami.
0, run COR: non appena spuntata
l'alba.
10. ERETTA : « dicendo che Beatrice si
stava eretta ed attenta, il Poeta ln de-
scrive con esatta corrolazione alla «imi-
litodine. Fretta rispondo al salir dell’ an-
gello sull'ultima frasca, attenta al fis
gunrdar di quello: aspettando l'uno con
ardente affetto il Sole, l'altra con desi-
derio amoroso la vista del Sole eterno.
E fro ata bone ad nngello, como atto più
speciale del corpo; attenta sta bono a
Heatrice, como atte più della monte; »
Li. Vent., Simil., 44).
11, INVER LA PLAGA: verso Il moridia-
no, ossia vorso quella parte del cielo
(efr. Par. XIII, 4) dow’ Ail Sole nel mes-
aod), apparendo più lento nel ano cammi-
no; efr. Purg. XXXIII, 103. « K questo
928 [CIELO OTTAVO]
Par. xxii. 12-24
[TRIONFO DI cRisto]
Sotto la quale il sol mostra men fretta.
18 Si che veggendola io sospesa e vaga,
Fecimi quale è quei che disiando
Altro vorria e sperando s’ appaga.
16 Ma poco fu tra uno ed altro quando,
Del mio attender, dico, e del vedere
Lo ciel venir più e più rischiarando.
19 E Beatrice disse: « Ecco le schiere
Del trionfo di Cristo, e tutto il frutto
Ricolto del girar di queste spere, »
22 Pareami che il suo viso ardesse tutto,
E gli occhi avea di letizia sì pieni,
Che passar mi convien senza costrutto.
finge l'Autore, perch'elli vuole mostrare
che Cristo colli suoi Apostoli, con tutti i
Beati del vecchio Testamento si rappre-
sentino nel cielo ottavo, tra’ quali Cristo
splendova come e più che "l Sole; sicchè
dogna cosa è cho olli finga che Cristo si
rappresentasse nel mezzo dì, acciò so-
prastesse sopra tutti li Beati, come lo
Sole sta sopra noi, quando è al meridia-
no; > Buti. Cfr. Com. Lips. I1T, 614.
13. s08LKksa : in ostatica aspettaziune. -
vaua:dosidorosa. Sospesa evaga rispondo
ueretta cd attenta, v.10,11, e s'illustrano
mutuamento.
15. ALTRO: molte più cose di quelle
che non ha, ed incomincia ad appagarsi
sperando.
V. 16-45. Il trionfo di Cristo. Dopo
alcuni brevi istanti di estatica aspetta-
zione, Beatrice esclama: Ecco il trionfo
di Cristo! 1] Poeta vede migliaia di lumi,
e un Sole che tutti gli accende, e nella
luce di quel Sole trasparirelucente l'uma-
nità di Cristo. A tal vista la mente sua
esce, inebbriata di celeste ammirazione,
di sè stessa, ed egli non sa rammentarsi
che fece, e non può narrarlo.
16. TRA UNO: tra un tempo el’ altro. -
QUANDO: termine dello scuole = tempo;
cfr. Par. XXI, 46; XXIX, 12. Così il
dove (Par. 1IT, 88; XII, 30; X XII, 147),
il come (Purg. XXV, 86. Parad. XXI,
46), eco. Vuol dire che tra il suo atten-
dore ed il vedero i) cielo farsi più splen-
dente corsero pochi istanti.
19. Lk SBCIHIHIKHE: « Come i Romani,
quando trionfano, menano inanti al carro
la preda tolta ai nimici; cor finge \' uu-
tore che venisso Cristo con la preda
ch'aveva tolto al dimonio, o sì de' santi
Padri del limbo, e sì dei santi cristiani
che sono salvati per la passione di Cri-
sto ;» Buti, Land., Vell., eco.
20. 1. FRUTTO : eoco gli eserciti dei sal-
vati, o guadagnati dal trionfo, dalla vit-
toria di Cristo, ed ecco tutto il frutto
‘raccolto dalle influenze di queate afere
circolanti. Cos) Post. Cuet., Fram. Pal.,
Benv., Buti, Land., Vell., Lomb. e quasi
tutti i modorui sino al Corn. Altri: Ecco
tutta lu milizia colosto raccolta, per so-
guiro il trionfo di Cristo, da tutte le sfere,
ov’ ell' era sparsa. Così sembrano aver
inteso Lan., Ott., An. Fior., Post. Oass.,
Petr. Dant.,ocoa\ spiegano Torelli, Andr.,
Todeschini, occ. Non si tratta del luogo
dove il frutto fu raccolto, wa della causa
che lo produsse, e le schiere del trionfo di
Cristo sono tutte nell’ Empireo, non di-
sperse per tutte le sfere; cfr. Par. IV,
28 e seg. Altri: Ed ecco tatto il fratto
che tu hai raccolto per lo girare che hai
fatto in queste sfere celesti. Così Dan.,
Vent., Costa, Tom., ecc. I.’ ultimo frutto
del girare di Dante nollo afere celesti
è la visione di Dio, non la sua visione nel
ciolo stellato. Per tutto ciò cfr. Com.
Lips. 1II, 615 e seg.
22. ARDKSSK: è il solito accrescimento
di bellezza e lotizia, a misura che salgono
di cielo in cielo e si avvicinano sempre
più a Dio.
24. BENZA COSTKUTTO : senza parlarne,
senza costruirlo in parole. Costrutto, ter-
mine delle scuolu; cfr. Purg. XXVIII,
VAT. Par. XII, 67.
[CIELO OTTAVO]
PAR. XXI. 25-39 [TRIONFO DI CRISTO] 929
25 Quale nei plenilunii sereni
Trivia ride tra le ninfe eterno,
Che dipingono il ciel per tutti i seni,
28 Vid’ io sovra migliaia di lucerne,
Un Sol che tutte quante l’accendea,
Come fa il nostro le viste superne;
31 E per la viva luce trasparea
La lucente sustanzia tanto chiara
Nel viso mio, che non la sostenen.
a4 O Beatrice, dolce guida e cara... |
Ella mi disse: « Quel che ti sovranza
È virtù, da cui nulla si ripara.
37 Quivi è la Sapienza e la Possanza
Ch’apri la strada tra il cielo 6 la terra,
Onde fu già sì lunga disianza, » ‘
25. QUALE: « Quasi stella matotina in
medio nebalm, ot quasi Inna plona in dic-
bus anislucet;» Eccles, L, 6. Cfr. L. Vent.,
Simil., 15. Comparetti, Virg. nel medio
evo, I, 265.
28, Trivia: Diana =la luna; ofr. Virg,
Aen. VI, 13, 85; VII, 616, 774, 778; X,
637; XI, 566, 826. Ovid. Met. II, 416. -
NINFE: le stelle; ofr. Purg. XX XT, 106.
- ETERNE: essendo incorrnttibili; confr.
Horat. Epod. XV, 1 © seg.
27. Bent: per tutti i lati; confr., Par,
XIII, 7.
28, mioniata: « Millia millinm mini-
atrabant si, et decies millies centena mil-
lin nssiatebant el; » Daniele VII, 10, -
Lucruxr: anime beate; cfr. Par. VIII,
19; XKI, 73.
29, un Sor: Cristo; cfr. FS. Matt. XVII,
2. 8. Giov. I, 0. Apocal. I, 16; X, 1. Boet.
Cons. phil, V, metr. 2.
30. IL NOSTRO: come Îl nostro Sole no-
cende le stollo (secondo le opinioni del
tempo). « Del Inme del Sole tutte le al-
tre stolle a’ informano; » Conv. II, 14. -
visTe: ofr. Par. II, 115; XXX,0.- «Ben
finge l' antore che lo splendore di Cristo
facosse lucide tutte quelle beate anime;
imperò che nella virtà dolla passione di
Cristo, © nol suo snnguo o nello ano
virth tutti li santi sono salvati è san-
tificati; » Buti.
31. Luce: di Cristo, il divin Sole, -
TRASPARKA: cfr, Par. II, 80.
a2. RUBSTANZIA : l' timanità di Cristo,
« Essentin vel persona Christi Incidis-
59. — Div. Comm., 3% ediz.
sima; » Beno, « La sostanen di Goat Cri-
sto cho si vedea nella loco; » Corn,
23. NEL viso: Al, cur "1 viso,
34.0 BRATRICR: esclamazione che sfng-
ge spontanea al Poeta nel momento che
si nccinge n descrivere quanto ella lo
guidòn vedere, Così intendono Ott., Buti,
Land., Vell, Vent., Biag., Andr., coco. Se-
condo altri le parole O Beatrice, eco, sono
un'esclamazione che il Poeta diresse in
quel momento n Beatrice, Il Case. log-
go: E BKATRICR, DOLCE GUIDA F CARA,
ALLOR MI pissr. Ottima lezione, alla
quale non manca sventuratamente che
l'antorità.
35. SOVRANZA : sopralfà, vince la tua
vista; cfr. Par. XX, 07.
36. RIPARA: nessun occhio può difen-
dersi (cfr. Apocal. 1,7); «imperé ch’ olla
è virth divina, che ogni cosa avanza; è
però non è meraviglia s'ella avanza ln
tun virtù visiva; » Puti.
27. SAPIENZA: Cristo; cfr, I Cor. T,
24, dove Cristo è chiamato, come qui,
la Sapienza e la P'ossanza di Dio; Thom.
Aq. Sum. theol, I, 20, 7: « Filius dieitur
Saplentia Patris, eco. »
88. LA STRADA : Al, LE STRADE: ma ana
sola 4 la vin per saliro in cielo; confr.
8, Matt. VII, 14. &. Giov, XIV, 6. Ebrei
IX, 8. JI Pietro II, 2, 15, 21.
39. onper: del quale aprimento dolla
strada per salire in cielo fu così Inngo
ilesiderio nel mondo. - LUNGA : ofr. Purg.
X, 34 © sog. - DISIANZA: desiderio; ofr.
Par. XX1I, 65; XXXIII, 15.
980 [CIELO OTTAVO]
PAR, XXIN, 40-54
[R180 DI BEATRICE]
40 Come fuoco di nube si disserra
Per dilatarsi, sì che non vi cape,
E fuor di sua natura in giù s’ atterra:
43 La mente mia così, tra quelle dape
Fatta più grande, di sé stessa uscio,
E, che si fésse, rimembrar non sape.
40 « Apri gli occhi e riguarda qual son io;
Tu hai vedute cose, che possente
Sei fatto a sostener lo riso mio. »
49 To era come quei, che si risente
Di vision obblita, e che s'ingegna
Indarno di ridurlasi alla mente,
52 Quando io udì’ questa profferta, degna
Di tanto grado, che mai non si estingue
Del libro che 11 preterito rassegna.
40. comm FUOCO : la mente del Poeta,
tra tanti gaudj celesti fatta più grande,
osco di sé stessa, dual sno ossero natura-
lo, como il fuoco olottrico dilatandosi ni
sprigiona dalla nubo che nol può conte-
nere, e scende a terra contro la sua na-
tura, la quale (secondo l'opinione degli
antichi) è di salire. Cfr. Par. I, 133 e seg.
L. Vent., Sim., 20. - 81 DISSKRRA: cfr.
Ovid. Met. VI, 695 © sog.
41. PER DILATARBI: perchè si dilata
tanto, che non può più capire entro la
nuvola.
42. NATURA: « ciascuna cosa ha il suo
specialo amoro, come le corpora semplici
hanno amoro naturale iu sò al loro loco
proprio, e però la terra sempre discende
al centro; il fuoco alla circonferenza di
sopra lungo "1 Cielo della Luna, e però
sempre sale a quelio; » Cons. IIT, 3. Cfr.
De Mon. I, 15. Purg. XXXII, 109 o sog.
Par. I, 115.
43. pare: lat. dapes, vivande delizio-
se. Chiama così le delizie ineffabili del
Paradiso.
45. BAPE: aa; cfr. Purg. XVIITI, 56.
E non sa ricordarsi che cosa facesse in
quel punto.
V. 46-69. Il riso di Beatrice. Dac-
chè salirono al di sopra del Cielo di Gio-
ve, Beatrice non aveva più mostrato a
Dante il sorriso suo celeste e beatifican-
te, non potendo questi ancor sopportare
tanto splendure e l'aspetto di tanta glo-
ria; confr. Par. XXI, 4 © seg, G0
seg. Adesso invece, dopo tutto ciò che
ha contemplato, Beatrice lo dichiara
abile a sostonor aucho il di lei sorriso,
Il quate if Pools al confessa. incapace
di descrivere, chiedendo ecasa se gli è
forza tacore di questa o di altre gioie
del Paradiso, che mente umana non sa
concepire e lingua mortale non può de-
scrivere.
48. SOSTKNEK: « la luce divina gli acui-
ace l'intelletto alla scienza. Dio l’aiuta a
contemplar Beatrice, com’ ella l'alutò a
conoscere Dio. Se il meno è scala al più,
Il più non può non essere al meno e luce
o incremento; » T'om.
49. si MISKNTK: sente ancora la piaco-
volo o spiacoute impressione di tal vi-
sione che pure egli ha obbliata ; ofr. Par.
XXXIII, 58 e seg.
50. VISION : del trionfo di Cristo, or'ora
avuta. - OUBLITA: lat. oblita, dimenti-
cata.
61. DI RIDURLASI ALLA MENTE: Al. DI
RIDUCKKLASI A MENTE.
62. vrOFFERTA: di bearsi del sorriso
di Beatrice.
53. GkaDO: obbligo, gratitudine; « de-
gna di ricevero tanto o sì grande grado,
o vero d'essere avuta sì a grado; » Buti.
Cfr. Purg. VIII, 67. - 81 RSTINGUE: enàl-
lage di tempo, per si estinguerà, si can-
cellerà.
54. LIBRO: della memoria che scrive le
passate cose; cfr. Vita N. Proemio, Canz.
Kwm'incresce, str. 6.
[CIELO OTTAVO]
PAR. xxttt. 55-68 [RISO DI BEATRICE] 981
55 Se mo’ sonasser tutte quelle lingue,
Che Polinnia con le suore fèro
Del latte lor dolcissimo più pingue,
58 Per aiutarmi, al millesmo del vero
Non si verria, cantando il santo riso,
E quanto il santo aspetto facea mero.
at E cosi, figurando il Paradiso,
Convien saltar lo sacrato poema,
Come chi trova suo cammin reciso.
04 Ma chi pensasse il ponderoso tema,
E l’omero mortal che se ne carca,
Nol biasmerebbe, se sott’ esso trema.
67 Non è pileggio da picciola barca
Quel che fendendo va |’ ardita prora,
h5. mo': ora, — LINGUR: dei poeti. Ofr.
Virg. Aen. VI, 625 o seg. Ovid, Metam.
VIII, 533 © seg.
50, POLINNIA: Polyhymnia, quella del-
le nove Muse che presiede alla poesin ]i-
rica. Nomina particolarmente la Musa
da'molti inni, avendo massimamente bi-
sogno di nn lirico volo, - Lr suone: lo
altre Muse, sorelle di FPolinnia.
67. DEL LATTE: ofr, Purg. XXXII, 102,
- rIxGUE: pingni; efr. Par. XV, 0. Nan-
nucei, Nomi, 241 0 sog. « L'ispirazione
che Polinnia musa principale con le al-
tre sorelle dà ni pooti, è rassomiglinta a
latte vitale, onde impingnansi le lingue
loro, Ciò posto, Dante afferma che n mille
tanti non basterebbono tutto coteste lin-
gue so volessero meco concorrere (7) per
esprimere col canto il riso di Beatrice è
quanto per esso acquistava di candore il
suo aspetto; » Corn.
50. Il. SANTO: Al. AL SANTO,
60. FACEA MERO: Al IL FACKA MERO,
Quanto il santo riso di Beatrice facea
Incente di luce schietta il santo aspetto
di lei. Così i più (Benv,, Vell., Vent.,
Lomb., Port., Pogg., Tom., Br. B., Frat.,
Greg., Andr., Bennas., eoo,). Altri per
lo santo aspetto intendono |’ aspetto di
Cristo, il quale evidentemente qui non
c'entra. Cir. Com. Lips, III, 623 è sog. -
urno: risplendente, raggiante.
61. così: e come non bo parole per de-
acriveroe il santo riso di Beatrice, così mi
conviene saltare molte cose che io vidi
lassù nel cielo, non potendo descriverlo
perchè sono ineffabili. - rioUuRANDO: di-
pingondo, disegnando, doscrivondo ; ofr,
Inf. XXXII, 7 © sog.
62. 8aALTaAn: cfr. Par. XXIV, 25; XXX,
80. « Fa qui similitndine che, come salta
chi trova ln fossa a traverso la via: così
convien saltare a lui, ora che trova cosa
che non si può esprimere per lingua
mmana; > Buti, Cir. Par. XXX, 22 è
sog.; XXXI,190esog.; XXXIII, 56,121
© sog.
63. comp om THOVA: Al. com'Uom cur
TROVA.
64. roxpenoso: Al, roprroso; cfr.
Horat. Ars poet., 38 0 seg. « Dice l'an-
tore: chi pensasse di quanto peso è In
materin di che trattare mi conviene, 6
pensasse ch'io sono mortale che l'ho a
portare, non mi biasimerebbe, ee jo per
debolezza ci triemo sotto; » Ott.
67. riLragio: tragitto, corso di mare.
Al PALRGOIO; FELEGGIO ; POLROGIO : PU-
LEGGIO ; PARAGGIO; PARKOGIO. Ricca acel-
ta! Cfr. Com. Lips. LIT, 625-627. « Non
è pelago nè mare da picciola barca, ma
bene di grande nave, Quel che fendendo
va l’ardita prora, cioè quello pelago,
ovvero mare, lo quale va navigando la
mia ardita navicella; e de l'aequa lo le-
gno, quando va per essa, fende; e però
Jendendo al pone per navicando, et nan
qui l'autore lo colore permutazione, po-
nendo lo peleggio per la materia, In bar-
ca por lo ingegno suo, 6 navigare per
trattare; quasi dica: La materia che io
ho preso a trattare non è da piccolo in-
gegno; » Buti. Confr. l'er. II, 1 © so-
guenti.
|
932 [CIELO OTTAVO]
PAR. XXIIT. 69-83
[MILIZIA CELESTE)
Né da nocchier ch'a sé medesmo parca,
70 « Perché la faccia mia si t’ innamora,
Che tu non ti rivolgi al bel giardino
Che sotto i raggi di Cristo s’ infiora?
73 Quivi è la rosa, in che il Verbo divino
Carne si fece; quivi son li gigli,
Al cui odor si prese il buon cammino. »
70 Così Beatrice; ed io, ch’ a’ suoi consigli
Tutto era pronto, ancora mi rendei
Alla battaglia dei debili cigli.
79 Come a raggio di sol, che puro mei
Per fratta nube, già prato di fiori
Vider, coperti d’ ombra, gli occhi miei;
82 Vid'’io così più turbe di splendori
Fulgurati di su di raggi ardenti,
69. rARCA: lat. sibi parcat, si astenga
dalla fatica, risparmi le sue forze, o per
pigrizia, o per mancanza di valore. Par-
cere è verbo dell'uso antico; cfr. Voc.
Orus., u. Vv.
V. 10-87. Lu milizia celeste. 1) Poeta
è tutto assorto nella contemplazione della
divina bellezza di Beatrico, la quale con
amorevole rimprovero lo esorta di tor-
nare collo sguardo alla contomplazione
dellu mirabile visione. Già Cristo è asco-
so in alto, onde Dante nou ne vede più
che i soli raggi, i quali, illuminando i
Boati, da questi si riflettono al suo sguar-
do. Come da un raggio di Sole che tra-
passa por una rottu nuvola è illuminato
un prato fiorito, così quelle schiere di
spleudori erano illuminate dai raggi ar-
denti doi quali non si vedeva il principio.
70. rakcué: ofr. Purg. XXIX, 6l è
seg.; XXXII, 9. Par. XXXI, 112 e seg.
71. GIARDINO; alle anime beate info-
rate dai raggi che da Cristo discendono;
ofr. Par. XIX, 22 e seg. La voce greca
Paradiso (tapadetooc) vale giardino.
72. 8'INFIORA : « finge l'autore che Cri-
sto stante più alto come uno Sule, spar-
gesse et infondesse i suoi raggi sopra i
Beati. E come lo Sole fa aprire et ulimire
li fiori, così li raggi di Cristo, che sono
le grazie e li ardori dolla carità che spar-
ge sopra li beati, fa gloriosi li beati; »
Buti.
73. LA ROSA: Maria, la Rosa mystica,
come la si chiama nelle Litanie.
74. CARNK: « Verbumcaro factum eat.»
S. Giov. I, 14. - LI GIGLI: i Beati, ed in
primoluogo gli A postoli, maestri ed esem-
pi di santità, che coll'ardore delle loro
virtù convertirono le genti a Cristo.
75. O0bOR: «Deo auton gratias, qui sem-
per triumphat nos in Christo Jesu et odo-
ren notitim som manifestat per nos in
omni loco, quia Christi bonus odor su-
mus, oto. » IJ Cor. lI, 14. — 81 FRESE:
Al. B'ALERRSE; 8'APKKRBK.
77. MI RKNDRI: tornai a mirare quella
cocessiva luce che vinceva i miei senai;
cfr. v. 38.
78. BATTAGLIA : «in quanto la eccel-
lenzia combatte colla virtù visiva; »
Lan., An. Mor.
79. A RAGGIO: come i miei oochi, om-
brati da alcuna nube, videro talvolta un
prato di fiori illuminato da un raggio di
Sole, che schietto traversi per piccolo
spazio lasciatogli dalla nube rotta, coal
vid’ io, eco. Cfr. L. Vent., Simil., 150. -
MEI: trapassi ; cfr. Par. XIII,55; XV, 55.
81. COPKRTI: Al. corguto. Erano forse
i Beati, ad onta dell'eccessivo loro splen-
dore, simili ad un prato coperto d' om-
braf! Gli occhi di Dunte sono coperti
d'ombra, vedendo l'illuminato senza ve-
dore l’illuminante.
83. FULGURATI: rischiarati, illuminati
da raggi ardonti che piovevano dall'alto,
senza che io scorgessi onde quei raggi
procedevano. - DI su: « Et nox ultra non
orit, et non egebunt lumen lucorn® ne-
que lumen aclie, quoniam Dominus Deus
Anlominat iilos,» Apocal XXL 6. Cfr.
[CIELO OTTAVO]
PAR. XXrtl. 84-98 [MARIA E GABRIELE] 988
Senza veder principio di fulgori.
85 O benigna Virtù che sì gl’imprenti,
Su t’ esaltasti per largirmi loco
Agli occhi Ji, che non eran possenti.
88 Il nome del bel fior, ch'io sempre invoco
E mane e sera, tutto mi ristrinse
L’ anima ad avvisar lo maggior fuoco.
DI E come ambo le luci mi dipinse
Il quale e il quanto della viva stella,
Che lassù vince, come quaggiù vinse,
D Per entro il cielo scese una facella,
Tormata in cerchio a guisa di corona,
E cinsela, e girossi intorno ad ella.
97 Qualunque melodia più dolce suona
Quaggii, e più n sé l’anima tira,
Thom. Aq. Sum, theol, 1,12,5.- DI naa-
at: Al. pa taqat, les. che sa di correzione
ed è troppo sprovvista d'antorità.
84. rrineirio : Criato la luce che li ir-
radiava, asceso tanto in alto, che Dante
non poteva più vederlo, — DI FULGORI:
Al. et FULGORI, ;
85, VIRTÙ: Cristo. - GL'IMPRENTI: gli
impronti del too lame. « Qui dice I’ An-
tore che Gesù Cristo ai levò pli in alto,
per lasciare loco più distante dalla sua
Ince alli oechi dell'antore, neciò che fos-
sero più potenti a sofferire quella visio-
ne;> Ott.
RT. KON RRAN: Al. NOW T’ RNAN; non
ornano capaci di sostenore l'immonso tno
splendoro.
V. 88-111. Apotéosi di Maria, Guar-
dando il maggior lume, che ora la Vergine
Madre, il Poeta vede ona facella, giran-
do, cingere quel lume a guisa di corona,
cantando celeste melodia. Era l'arcan-
gelo Gabriele; 6 tutti gli altri lomi ri-
petevano il nome di Maria. Cfr. Capri,
La Vergine Maria nella D. C. in Omag-
gio a D., 464 è seg.
88. nome: di Maria. - FIOR: della rosa,
80. MI RISTRINSE: raccolse tutta la mia
attenzione ad osservare il maggiore di
quel celesti splendori.
90. MAGGIOR: allontanatosi Cristo, lo
splendore di Maria snperava tutti gli
altri.
91, E COMR: è poi che ad ambedue gli
occhi mici si manifestò il grale, la qua-
lità, e il quanto, In quantità di Inco cho
mandava ln viva stella cho supera in
Cielo di splendore ogni spirito bento,
come supers in terra di grazia ogni mor-
tale, - DIPINSE : efr. Purg, XXXI, 121 6
aog. * Mi dipinse, ciod imprimò n mo,
secondo quelli che tengono cho la cosa
veduta sin nttiva, e l' occhio passivo ; la
quale opinione l'autore studiosnmente
seguita qui, per mostrare che questa fu
grazia infosa a loi dn la Vergine Maria
ne la mente sua, cioè che elli potesse sl
parlare di lei; » Buti,
02. STELLA : secondo l'inno: «Ave, ma-
ris stella, Dei mater alma, ecc. » Cfr. Pe-
tr. Canz., P, IT, Cane. VIIL (40), 6.
DI, vixer: Maria in Cielo maggiore
In gloria, come in terra fu maggiore in
grazia; confr. Thom. Ag. Sum. theol. I,
26, 6.
04, PER ENTRO: « dipinge lo scendere
dall'altissimo che pare come un di foori
di quella ampiezza; » Tom. - FACELLA:
l'arcangelo Gabriele, il nunzio dell'in-
carnazione del Verbo, v. 103 e seg.
05. CORONA : « aggirandosi velociasima-
mente intorno alla stella ch'era Maria,
dava l'aspetto di una corona Inminosa ; »
Corn. Gabriele si aggira intorno a Ma-
ria; por esprimere In rapidità del fulgi-
dissimo aggirarsi, il Poeta dice che for-
mava nn cerchio di finmma che a guisa
di corona cingera il capo della Vergine.
Cfr. I. Vent., Simil., 483,
08. PIÙ AS: AL wo A mà PIù.
934 [CIELO OTTAVO]
PAR. xx. 99-111
[MARIA E GABRIELE]
Parrebbe nube che squarciata tuona,
100 Comparata al suonar di quella lira,
Onde si coronava il bel zaffiro,
Del quale il Ciel più chiaro s’ inzaffira.
103 «Io sono amore angelico, che giro
L'alta letizia che spira del ventre,
Che fu albergo del nostro disiro ;
106 E girerommi, Donna del ciel, mentre
Che seguirai tuo figlio, e farai dia .
Più la spera suprema, perché gli entre. »
109 Così la circulata melodia
Si sigillava, e tutti gli altri lumi
Facean sonar lo nome di Maria.
99. NUBE: tuono che squarcia le orec-
chie. « Qualemve sonum, cum Iuppiter
atras Increpuit nubes, extrema tonitrua
reddunt; » Ovid. Met. XII, 51 e seg. Cfr.
Tasso, Ger. XIV, 5.
100. Lua: il canto dell’ Arcangelo Ga-
briele; cfr. Par. XV, 4.
101. ZAFFIRO: la Vergine Maria, « che
era più lucida che ogni zafiro, pietra di
colore celeste molto preziosa; » Buti.
Cfr. Purg. I, 13.
102. 11. Ciki: l' Empireo, sede dolla Ver-
gine e di tutti i Boati. - b'INZAFFIRA: si
adorna; «ingoniiatur vel exornatar cla-
rius quam ex aliquo alio lapide protioso,
scilicet, alio Lento spiritu; » Benv. « E
perchè lo zatiro ha corte virtù, cho abun-
dantissimamente furno ne lu Vergino Ma-
ria, però la nomina col uomo de la detta
pietra; » Buti.
103.10 SONO: canto dell'Arcangelo Ga-
briele. - AMORE ANGELICO: angelo pieno
di ferventissimo amore. Così Buti, Costa,
Br. B., Frat., ecc. Altri: Io sono rappre-
sentante dell'amore di tutti gli Angeli
pur te (Lomb., Biag., Ces., Andr., ecc.).
Occorreva un rappresentante agli Angeli
presenti? - ito: mi aggiro intorno al
grombo onde spira alta letizia. Cfr. Ron-
chetti, Appunti, 176.
104. DKL VENTRE: «idest, procedit de
corpore Virginia; et per hoc inuuit quod
Maria est cam curpore in celo; » Benv.
105. pIsIKO : Cristo, oggetto del nostro
desiderio; « Donec veniret desi.lerium
collium sternorum; » Genesi, XLIX, 26.
«In quem desiderant angeli prospicere ; »
I Pietro, I, 12.
106. MENTRE: finchè (cfr. Inf. XIIIT,18;
XXXIII, 132. Purg. II, 26; XXVII,
136. Par. XXV, 122) tu seguiti il tuo di-
viu Figlio risalito all'Empireo (così Lan.,
Ott., An. Fior., Benv., Br. B., ooc.). Al.:
in eterno (Buti, Lomb., Frat., Witte, 000.).
Ma nell' Empireo Gubriele è bene pres-
so a Maria, Par. XXXII, 9%, senza però
cingerla e aggirarsi intorno a lei come
fa qui.
107. pia: più divina, quindi più ri-
splendente; cfr. Par. XIV, 34.
108. LA SrKKA: l’Empirvo, che 6 il sa-
promo ciclo. - PKKCHÉ GLI KXTRE: perchè
tu vi entri. Gli per vi, vome Inf. XXIII,
64. Purg. VIII, 69; XIII, 7, eco. Com
Ott., Benv., Land., Vell., Lomb., Ces., Br.
B., Greg., Andr., Keuanas., Franc., 000.
Al. loggono LÌ KNTIik spiegano: perchè
ta eutrerai in esso (Buti, Vent., Biag.,
Frat., ecc.). La locuzione non pecca in
ogni caso di soverchia chiarezza. Il Betti:
« Quì dev’ esser mugagna; ed io non ar-
rivo a curarlu. »
109. CIKCULATA : perchd si aggirava, oe-
sia, come espone il Nan.: « perchè can-
tando intorno alla Vergine l'Arcangelo
s'andava aggirando. » Cfr. v. 95, 96.
110. 81 SIGILLAVA: si apponeva il sigil-
lo, terminava così cantando. Così leggo-
no ed intendono quasi tutti. Invece Buti:
€ SI GIRAVA: girava sé, come detto è. »
11l.FACKAN SUONA: accompagnavano
il canto, rispondendo Maria.
V. 112-120. Ritorno all’ Empireo.
Come l'Arcangelo Gubriele ha terminato
il suo canto, Maria, seguendo Il divin suo
Figlio, ascende in alto, ritornando al-
(CIELO OTTAVO]
Par. xx11t. 112-120 (RIT. ALL’EMPIREO) 985
113 Lo real manto di tutti 1 volumi
Del mondo, che pit ferve e più s’avviva
Nell’alito di Dio e nei costumi,
115 Avea sovra di noi l’interna riva
Tanto distante, che la sua parvenza
Là dov’io era ancor non m’appariva.
118 Però non ebber gli occhi miei potenza
Di seguitar la coronata fiamma,
Che sì levò appresso sua semenza.
l' Empireo, onde il Poeta non la vede
più. « Credit Virgo Maria, ut autor ha-
beat locum videndi et conveniendi cete-
ros sanctoe, exemplo filii, ut supra; »
Postil. Fram. Pal.
112. LO RRAL MANTO: il nono cielo, os-
sia il Primo Mobile, che « per lo ferven-
tissimo appetito (=più ferve) che ha cia-
ecuna sua parte d'esser congiunta con
ciancuna parte di quello divinissimo cielo
quieto, in quello si rivolve con tanto de-
siderio, che la sua velocità è quasi incom-
pronaibile » (=più e’ avviva); Conv. II,
4. Così intendono Lan., Ott., An. Fior.,
Post., Cass., Petr. Dant., Benv., Buti,
IJand., Vell., Dan. Dol., Vol., Vent.,
Lomb., e quasi tutti i moderni sino al
Corn. ed al De Gud. Alcuni pochi inten-
dono invece dell' Empireo, che quasi
manto regale involge tutti i cieli (Co-
sta, Andr., Bennas., ecc.). Cfr. Com.
Lips. III, 633 © seg. - vOLUMI: Î cioli,
che come volumi raccontano la gloria di
Dio(cfr. Salm. XVIII, 3), si volgono tutti
in giro ed ogni superiore involge |’ info-
riore; ofr. Apocal. VI, 14. « Volesme da
volgere, © da rivolgere le sfere sogget-
te; » Tom. (1).
113. 8'Avviva: è più operstivo ed ef-
fettivo, poichè «ordina colsuo movimento
la cotidiana rivoluzione di tatti gli altri;
per la quale ogni di tutti quelli ricevono
e mandano quaggiù la virtà di tatte le
loro parti. Ché ee la rivoluzione di que-
sto non ordinasse ciò, poco di loro virtù
quaggiù verrebbe o di loro vista; » Conv.
II, 18.
114. NRLL'ALITO: Al. NRLL'ABITO:; «quia
scilicet est sibi propinquius quam aliud
colum; ista enim spera nona est tam-
quam principalis vicaria, que recipit vir-
tutem unitam a Deo, quam spera octava
tamquam ministra distribuit distinote per
omnes speras inferiores; » Bene. Invece
Buti, che legge NELL'ABITO: « Nell'abdito
di Dio, cioè secondo che Iddio eternal-
mente l' ha dispoato ; imperd che abito è
disposizione naturale, secondo che l'uo-
mo piglia quella per molti atti; ma in Dio
è eterna la sua disposizione, e però di-
ceudo adito di Dio s'intende l'essere di
Dio, secondo la bontà di Dio; e net eoste-
mi, cioè nei costumi di Dio. » (Ott.: nei
costumi degli uomini, li quali si reggono
per impressione di quella spera) « che
sono sempre di spirare una grazia e virtù
in chi la dimanda e vuole. Lo nono cielo
è principio di moto e di vita, et in esso è
universale virtà informativa dello mon-
dano singolarità. E tutte spere © corpi
celesti ricevono da esse, secondo l'ordine
naturale, conservativa virtute et infor-
mativa, e) come da Dio l'ossere naturale;
e però dice l'autore che e'avriva nell’adito
di Dio, riceve di quinde virtà vivifice-
tiva. »
115. L'INTERNA Riva: la sua cavità in-
teriore ; «la sua profondità, l' interna sua
parte, il suo centro; » Betti. Al. L'etRa-
nA, lesione dalla quale è difficile ricavare
senso che regga. Cfr. Com, Lipe. ITI,
€35. Moors, Crit., 477.
116. PARVENZA; apparenza, veduta;
efr. Par. XIV, 54.
117. LA: dal luogo, ov'io era, ancora
non la distingueva.
119. riAMMA: Maria coronata dall'Ar-
cangelo, la quale si alzò sopra l'ultimo
cielo, seguendo Cristo, il divin eno Figlio.
120. APrRraso BUA: Al. AUrRRSSO A
SUA. - GRMRNZA: Crinto, « someon maulie-
ria; » Gen. IIT, 16.
V. 121-139. Inno a Marta. Risalita
la Vergine nell’ Empireo, i Beati, tatti in
uno, per islancio di affetto si ergono in su,
si protendono desiosi ed anelanti verso
la coronata fiamma, quindi si
cantando nell'esultansa dell'amore l'an-
a
936 [CIELO OTTAVO] Par. xxi. 121-194
[INNO A MARIA]
121 E come fantolin, che invèr la mamma
Tende le braccia poi che il latte prese,
Per l’animo che in fin di fuor s’infiamma:
124 Ciascun di quei candori in su si stose
Con la sua fiamma, si che |’ alto affetto,
Ch’ egli aveano a Maria, mi fu palese.
127 Indi rimaser li nel mio cospetto,
Regina celi cantando sì dolce,
Che mai da me non si parti il diletto.
120 Oh quanta è l’ubertà che si soffolce
In quell’arche ricchissime, che fòro
A seminar quaggiù buone bobolce!
133 Quivi si vive e gode del tesoro
Che s’acquistò piangendo nell’ esilio
tifona che canta la Chiesa nel tempo pa-
squale;
Regina ca:li lostare, alleluia.
Quia quem meruisti portare, alleluia.
Resurrexit sicut dixit, alleluia.
tra pro nobis Deum, alleluia.
Gaude et Intare, Virgo Maria, alleluia.
Quia surrexit Dominus vere, alleluia.
A tale aspetto il Poeta prorompe in una
esclamazione di maraviglia e di gaudio
beato.
121. COMK FANTOLIN: Al. COMK IL FAN-
TOLIN; cfr. Purg. XXX, 44. « Ut tamen
accessit natus, matrique sulutem Attu-
lit, et parvis adduxit colla lacertis, Mix-
taque blanditiis puerilibas oscula iun-
xit; » Ovid. Met. VI, 624 © seg.
123. PER L'ANIMO: per l'ardente affot-
to, che eziandio esternamente, nel viso e
negli atti, quasi fiamma si palesa.
124. CANDORI : spiriti lucenti; candide
fiamme; cfr. Par. XIV, 77.
125. CON LA BUA FIAMMA: Al. CON LA
BUA CIMA.
129. mas: «il diletto dura in me tutta-
via, benchò molti anni sieno già scorsi
dopo cotale udito canto; » Lomb.
130. 53 SOFFOLCK: si coutiene. «QO quan-
ta è l'abbondanza di gloria e di boatita-
dine che si ripone in quelli beati xpiriti
capaci d'essa più che arca grandissima; »
Buti. Sofolcersi o sofolgersi, lat. sufful-
cire, propriamente = sostenere; cfr. Inf.
XXIX, 5.
131. FORO: furono: cfr. Inf. III, 39;
XXII, 76. Nannue., Verbi, 455 © seg.
132. BOMOLCE: plur, di boboloa, fem. di
bobolco, dal lat. bubulcus = aratore, semi-
natore; dunque: che furono in terra buo-
ne seminatrici; secondo la sentenza di
S. Paolo, Gal. VI, 8. Così Ott., Bens.,
Buti, Land., Vell., Dan., Voll., Vent.,
Lonb. 0 quasi tutti i modorni. Secondo
altri bobulce vale terre, onde il senso sa-
rebbe: Che furono buoni terreni da se-
mente, con allasione alla nota parabola
del seminatore, S. Matt. XIII,3-23; San
Marco IV,3-80; S. Lacca VIII, 5-15. Così
Tassoni, Muratori, Dion., Parenti, Ces.,
Bennas., ecc. Coufr. per tutto ciò Com.
Lips. III, 637 e seg. Il Corn.: « Bubulcus
è il guidatore dei buoi, qui si prende per
seminatore di grano, Quelle anime beate
seminarono quaggiù il grano delle elette
virtù, in cielo sony ricche per la raccolta
del premio. »
133. Quivi: in Paradiso le anime frai-
scono dello spiritual tesoro da esso acqui-
stato co’ patimenti in questo mortale esi-
lio, dovo esse non sì curarono dei tesori
materiali. Così in sostanza tutti gli anti-
chi ed i più dei moderni. Invece il Lomb.,
segnito da pochi: « Sono questi residui
sctte versi un solo periodo, 0 dee cesoro
la costruzione: Quivi colui, che tien le
chiavi di tal gloria, S. Pietro, ai gode, se
la gode, e vive del tesoro celeste, Che
s'acquistò piangendo nell’ esilio di I}a-
bilon, ov’ egli lasciò l'oro, nel mondano
esilio, dov'egli non curossi nè d'oro ni
d'argento. » Interpretazione troppo biz-
zarra — TESORO: cfr. S. Mat. VI, 19 ©
seg. S. Luca XII, 21, 83, 34. ZI Cor. 1V,
7. Rom. XIV, 18. I Timot. VI, 19.
i
[CIELO OTTAVO]
Par. xxIti. 185-1939 - xxiv. 1-5 [PREGHIERA] 937
Di Babilon, dove si lasciò I’ oro.
136 Quivi trionfa, sotto l'alto Filio
Di Dio e di Maria, di sna vittoria,
E coll’antico e col nuovo concilio
139 Colui che tien le chiavi di tal gloria.
135. Dawiton: « in transmigratione
Babylonis.... per quod quidem exiliom
figuraliter designatur peregrinatio huius
mundi in quo sumns exnles;» Bene, -
BI LASCIÒ: Al. EGLI (ELLI) LASCIÒ. Il Corn.:
« È Cristo che lasciò in terra l'oro dei
suoi meriti, i quali applicarono a sè le
anime boone è così acoumularono il te-
soro. I commentatori per sottrarsi ad
una difficolté (a quale) leggono ove #i la-
reid l'oro, » I commentatori che così leg-
gono segnono la gran maggioranza dei
più antorevoli codici. Cfr. Com. Lips. III,
638-639,
138. CON L'ANTICO: coll’ assemblea (cfr.
Purg. XXI, 16) dei Benti del Vecchio e
del Nuovo Testamento,
139. court: San Pietro, eni Cristo diede
lo chiavi del regno dei cieli; ofr. 8. Matt.
XVI, 10.
CANTO VENTESIMOQUARTO
CIELO OTTAVO STELLATO: SPIRITI
TRIONFANTI
os
SAN PIETRO, DANTE ESAMINATO CIRCA LA FEDE
« O Sodalizio eletto alla gran cena
Del benedetto Agnello, il qual vi ciba
Si che'la vostra voglia è sempre piena;
4 Se per grazia di Dio questi preliba
Di quel che cade della vostra mensa,
V. 1-0, Preghiera di Beatrice. T're-
en Beatrice l'assemblon doi Reati, eletti
alla gran cena del divino Agnello, «di
dare a Dante di quell'acqua ond'egli ha
rete, clos dell'acqua della conoscenza
delle coso spirituali, celesti, divine.
1. BODALIZIO: consesso, compagnia. —
cena: confr. S. Matt. XXII, 2 è seg.
S. Inca XIV, 15. e seg. Apoc. XIX, 9.
2. YOOLTA: appetito, seguitando la me-
tafora della cena, — ritxA: soddisfatta ;
efr. Par. TX, 100. Apocal. VII, 16, 17.
d. PRELIBA: pregusta; ofr. Par. X, 25.
Conv, I,1:« E jondunque, che non seggo
alln beats mensa, ma, foggito dalla pa-
stara del volgo a’ piedi di coloro cho seg-
gono, ricolgo di quello che da loro cade;
e conoscendo ln misera vita di coloro che
dietro m' ho lasciati, per la dolcezza ch'io
sento in quello ch'io a poco a poco ricol-
go, misericordevolmente mosso, non me
dimenticando, per li miseri alcuna cosa
ho riservata, la quale agli occhi loro già
è più tempo ho dimostrata. »
988 [CIELO OTTAVO]
PAR. xiv. 6-20
[AMOR CELESTE]
Anzi che morte tempo gli prescriba,
7 Ponete mente all’ affezione immensa,
E roratelo alquanto: voi bevete
Sempre dol fonte onde vien quel ch’ ei pensa. »
10 Così Beatrice : e quelle anime liete
Si féro spere sopra fissi poli,
Fiammando forte a guisa di comete.
13 E come cerchi in tempra d’oriuoli
Si giran si che il primo, a chi pon mente,
Quicto pare, e l’ultimo che voli:
16 Così quelle carole differente-
mente danzando, della sua ricchezza,
Mi si facean stimar, veloci e lente.
10 Di quella ch'io notai di più bellezza
Vid’io uscire un fuoco si felice,
6. ANZI CHE: Al. PRIMA CHE. - L'RKSCRI-
BA: prescriva, segni l'ultima sua ora.
7. ALL'AFFEZIONE : Al. ALLA SUA VO-
GLIA, lezione che sa di chiosa.
8. HORATELO : « rorare vien da ros, che
in latino significa rugiada. Onde la Chie-
wa: Itorate cls, ecc. Adunque, sì come
questa ravviva e rinverde l'erbette, così
illuminate voi alquanto il suo intelletto’;
la qual cosa vi sarà agevole a fare, per-
chè voi bevete sompre del fonte, dal
qual vien quello ch'egli pensa, civé quel-
lo che desidera d'intendere; » Vell.
V. 10-18. Gaudio dell’anior celeste.
Udita la preghiora di Beatrice, i Bouti
cominciano a rotoaro quasl sforo su porn
fissi, si funno più lucenti, mostrando col
roteare e colla cresciuta luce la loro giuja
di compiacere a Beatrice ed a Dante. Cfr.
Par. X, 139 e seg. L. Vent., Sim., 605.
Ronchetti, Appunti,177.Todeschini, Scritti
su D.II, 433 © seg.
11. BI FERO SIPR_KR: si attoggiarono in
circolo, aggirandosi intorno a Jieatrice ed
al Poeta; cfr. Par. X,76-78; XIII,19-21.
12. FIAMMANDO: Al. RAGGIANDO. - CO-
MKTR: cfr. Virg. Aen. X, 272 e seg.
13. CEUCHI: le ruote che formano il
congegno degli oriuoli. - TRMPRA : la di-
sposizione delle parti coordinate all’ ar-
monia di un tutto.
14. 1. PRIMO: il cerchio più interno.
15. QUIETO ; per fermo, avendo piccola
circonferenza, mentre in vece l'ultimo
cerchio, cioè il più esteriore, avendo la
massima circonterenta, pare che voli.
16. CAROLK: anime danzanti In giro.
« Carola è ballo tondo; » Buti. - pirrk-
RENTK-MENTE: ¢ la spezzatura ritrae an-
co la differenza; » Tom. Ofr. Arioce., Orl.
XXVIII, 41,
17. DKLLA BUA RICCHEZZA : coal quel
danzanti circoli, aggirandosi con diver-
sità di moto, mi facevano giudicare della
loro maggiore o minore beatitudine, oe-
sla dolla ricchezza della loro gloria, se-
condo ch'oruno veloci o lenti; cfr. Par.
VIII, 19-21. Così con tutti gli antichi
Biag., Br. B., Greg., Bennas., Frane.,
l'odesch., Rone., ecc. Al. DALLA BUA RIC-
cuizza: in quelle carule doducovasi la
vario volocità dalla varia ampiozza dol
giri, por ciò cho compiondoli ciascuna
nell’ ugual tempo, la carola più ampla
dovea pur essere la più veloce. Così
Loinb., Port., Pogg., ecc. Cfr. Com. Lips.
III, 642 © seg.
V. 19-45. S. Pietro e Beatrice. Dalla
carola più bella esco il lume più giocondo
e più risplendente e si vulge tre flate
inturno a Beatrice, cantando un cantico
ineffabile. Fermatosi quindi, il lume, che
è S. Pietro, dice a Beatrice: « Tu, santa
mia sorella, con la forza del tuo affetto
mi stacchi dal bel cerchio di spiriti coi
quali io mi giro. » E Beatrice lo prega
di esaminare il Poeta circa la sua Fede.
19. DI QUELLA : carola; « era quella
degli Apostoli o discopoli di Cristo; »
Buti.
20. FELICE: il più risplendente, quindi
D pid vato.
[CIELO OTTAVO]
PAR. XXIV. 21-41 [S. PIETRO E BEATR.] 939
Che nullo vi lasciò di più chiarezza;
22 E tre fiate intorno di Beatrice
Si volse con un canto tanto divo,
Che la mia fantasia nol mi ridico;
25 Però salta la penna, e non lo scrivo,
Ché l’immagine nostra a cotai pieghe,
Non che il parlare, è troppo color vivo.
28 « O santa suora mia, che si ne preghe
Devota, per lo tuo ardente affetto
Da quella bella spera mi disleghe. »
31 Poscia, fermato, il fuoco benedetto
Alla mia donna dirizzò lo spiro,
Che favellò così, com'io ho detto.
a4 Ed ella: « O luce eterna del gran viro,
A cui nostro Signor lasciò le chiavi,
Ch’ ei portò giù, di questo gaudio miro,
37 Tenta costui dei punti lievi e gravi,
Come ti piace, intorno della Fede,
Per la qual tu su per lo mare andavi.
40 8’ egli ama bene, e bene spera, e crede,
Non t’ è occulto, perché il viso hai quivi,
21. XULLO: « nvanza in gloria tntti gli
altri; » Lan. = LASCIÒ » nella carola dalla
quale usc}.
22. TRE FIATE: alludendo forse alla
88. Trinità; Ott., Benv., Buti, Land.,
Vell,, eco.
23. pivo: divino, celeste, por foateg-
giar Beatrice, la Diva; ofr. Par. IV, 118.
Dà. RIDICE: non solo non sa descriverlo,
ma né ridurselo a memoria; cfr. Par.I, 0.
25, BALTA: trascorre = non fo verun
tentativo di descriverlo; confr. Par.
XXIII, 62,
26. L'IMMAGINE: la facoltà immagina-
tiva, la fantasia. Al. L'IMMAGINAR KO-
BTRO. = PIRKGHR: « nota che 'l dipintore,
che vuol dipignere pieghe, conviene aver
colore men vivo che quello della resta,
ciò è più scuro; et allora appajono pie-
ghe: imperò che in ogni piega l'nere è
più oscuro cho nella suporficie; 0 però
se lo color della piega socedesse in chin-
rità, In vesta non farebbe piega; anzi
farebbe della vesta piega, e di sè super-
ficie, e così sarebbe contrario alla in-
tenzione del maestro pittore; » Lan.,
Ott., An. Fior.
27. TROPro: son colore troppo vivo
non si ponno dipingere le pieghe dei
panni, E come il pittore cul mancano
colori delicati non pnò dipingere le pie-
ghe dei panni, così non pure il linguag-
gio, ma l'immaginnativa umana non pon-
no dipingere e concepire la celeste dol-
cozza di quel canto.
28. suoRA: sorella; ofr. Par. III, 70;
VI1,58,130; XXI1,61.-reeenn: preghi.
31. Fuoco: l'anima fiammeggiante di
8. Pietro.
32. LO srino: la voce che si forma col
mandare fuori il fiato.
3. viro: nomo; cfr. Inf, IV, 30. Par.
X, 192.
16, art: dal cielo in terra, - bi: si ri-
ferisce alle chiavi; ofr. Par. XXIII, 139,
-MIRO: marnviglioso ; cfr. Par. XIV, 24.
AT. TENTA: esamina. — LIRVI E GRAVI:
più o meno essonziali; è Il modo scola-
stico levia et gravia.
89. ANDAVI: confr. 8. Matt. XIV, 28
© Beg.
41. quivi: in Dio, in oni, come in nno
specchio, i Jleati vedono ogni cosa quasi
dipinta; cfr, Par. XVII, 27 © seg.
940 [CIELO OTTAVO]
PAt. x17. 42-53
[PREPARAZIONE]
Dove ogni cosa dipinta si vede,
43 Ma perché questo regno ha fatto civi
Per la verace Fede, a gloriarla,
Di lei parlaro è buon ch’ a lai arrivi. »
40 Si come il baccellier s’arma e non parla,
Fin che il maestro la question propone,
Per approvarla, e non per terminarla;
49 Cosi m'armava io d'ogni ragione,
Mentre ch’ ella dicea, per esser presto
A tal querente ed a tal professione.
52 « Di', buon cristiano, fàtti manifesto:
Fede che è? » Ond'io levai la fronte
43. cIvi: cittadini; ofr. Par. VIII, 116.
45. ARRIVI: tocchi. Ma perchè questo
regno ha acquistato cittadini per mozzo
della verace fede, così, a renderle glo-
ria, sta beno che a lui (Dante) tocchi
parlare di essa; cfr. Par. XXV, 40 a seg.
V. 46-51. Preparazione all’esame.
Sentondo di dover essero vsaminato in-
torno ulla Fodo, Dante si prepara a ri-
spondero. E prima di parlare si arma
di ragioni per approvare, cioè per so-
stenore con prova alcuna proposizione;
non per terminarla, perchè il definire, il
sentenziare spetta al maestro. - « Quello
che mosse l'nutore a voler trattare de'
punti della fedo cristiana così in singula-
rità, fu la'nvidia di molti rimorditori che
sono al mondo, li quali non intendendo lo
stile, vel modo, del parlar poetico, veg-
gendo alcuna parto di questa Commedia,
gli apponeano ch'ova detto di resta, ot
por consequens l’autore d'essa era pa-
terino. Onde lo primo movimento si era
da invidia, chè, perchè essi non aveano
tanta scienzia, voleano vietare cho quegli
ch'aveano grazia da Dio, non dicessono.
Lo secondo movimento era d'iguoranza,
imperò che s' egli avessono inteso lo stile
e'i modo, eglino stessi sarebbono stati
giudici di sò medesimi, giudicando il pro-
prio parlare e talo upporre esser falso.
Onde tale inordinazione d'animo di mor-
ditori costrinse l’autore a logarsi collo
cristianesimo con sì fatti legami e fermi,
che non possono esser rotti nè franti da
frivole imposizioni viziosamente fatte; lo
qual legame si è lo santo simbolo, appro-
vato por la santa madro Ecclesia, esser
la forma dol verace credere cristi.uo; »
Lan., Ott., An. Fior.
46. BACCELLIEK: Baccalaureus, titolo
che si dava allo scolare che aveva finito
il suo corso e poteva aspirare alle diguità
accademiche superiori, come per es. al
dottorato. - 8’ akMA: si provvede di ar-
gomenti, vuoi per rispondere alle do-
mande, vuoi per difendore una proposi-
zione.
48. AVPROVARLA : per addurre le prove
pro o contra la questione proposta dal
maestro, non già per deciderla, ciò che
spetta allo stesso maestro. Approvare è
qui preso nel senso scolastico di Addurre
le prove, e terininare nol senso di deci-
dere, sentenziare. Sullo diverse altre in-
terpretazioni di questa terzina cfr. Com.
Lips. III, 646 e seg.
50. ELLA: Beatrice. - PRESTO: « Parati
semper ad satisfactionem omni poscenti
vos rationem dv ea qui in vobia est
spe; >» I Pietro, III, 15.
51. TAL: a tanto interrogante, quale
era S. Pietro. - PROFESSIONE: della fede
cristiana.
V. 52-78. Concetto della Fede. Che
cosa è la Fede? domanda S. Pietro; e
Dante risponde colla definixione scrittu-
rale: « La Fede è il fondamento delle
cose da sperarsi, dimostrazione delle co-
so che non si veggono; » Ebrei, XI, 1.
Sta bene; ma perchè la Fede è definita
como sostanza e come argomento? Per-
chè le cose che si mostrano in cielo non
sono vedute in terra, onde non si possono
ammettere con certezza se non per fede,
la quale è perciò Il loro sostegno, o la
loro sostanza. E la verità delle cose su-
praiutelligibili cho si crodono, non si
può dedurro da altro che dalla Fede, la
quale è pertanto Wl loca argomento. Cfr.
[CIELO OTTAVO]
PAR. xxv. 54-68
[reDE] 941
In quella luce onde spirava questo.
55 Poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte
Sembianze femmi, perch’ io spandessi
L'acqua di fuor del mio interno fonte.
58 « La grazia che mi dà ch’ io mi confessi, »
Comincia’ io, « dall'alto primipilo,
Faccia li miei concetti bene espressi. »
61 E seguitai: « Come il verace stilo
Ne scrisse, padre, del tuo caro frate,
Che mise Roma teco nel buon filo,
64 Fede 6 sustanzia di cose sperate,
Ed argomento delle non parventi;
E questa pare a me sua quiditate. »
67 Allora udii: « Dirittamente senti,
Se bene intendi perché Ja ripose
Thom. Aq. Sum, theol, 11*, 4, 1. Com.
Tdps. III, 647-049.
bd. ONDE BPIRAVA: dalla quale veniva
questa interrogazione,
55. MI VOLSI: prima di rispondere chie-
de con uno sguarilo il consenso di Bea-
trice, dalla qualo è solito nspettaro « jl
como è i) quanilo del dira o dol tacoro, »
Par, XXI, 46 e sog. - RD Masa: Al. g
QUELLA ; ED KLLA.
66. sranDESsI: parlnasi; « (Qui credit
In me.... flamina de ventre oius fluent
aqum vive; » S. Giov. VII, 38, « Utexpri-
merem verbo illud quod conceperam cor-
de, Inspirante divina gratia; » Benv,
68. orazia: la divina Grazia che porge-
mi l'oconsione di professaro la min fede.
59. FPRIMIFPILO: capo, capitano; voce
tolta del linguaggio militare dei Romani.
Chiama S. Pietro, l'alto primipilo, per-
chè fa il primo campione della Chiesa, è
considera come una grazia l'essere de-
guato di professare la sua fede dinanzi a
tanto confessore, ed invoca |' assistenza
della Grazia, per poterla professare de- .
gnamente. La lezione DALL'ALTRO FPRIMI-
FILO è per ogni verso innttendibile.
60. BENE ESPRESSI: Al. rssRR Rarnres-
81, prendendo espressi nel sonso di chiari,
manifesti,
fl, STILO: penna.
62. vrraTR: 8. Paolo, erodnto antore dol-
l'Epist. agli Ebroi; oft. 17 Pietro, 111, 15.
63. NEL BUON FILO: an) buon cammino
della salate, convertendola alla fede in
Cristo.
64. SUSTANZIA : fondamonto sostanzinle.
Parafrasanio il passo citato (Ebrei, X11),
Dante si attieno naturalmente al teato
della Volgata: « Eat antem fides sporan-
dorum substantia, rerum argumentum
non parentom. » Socondo S. Tommnso
(Sum. theol. 11”, 4, 1) questa sentenza
apostolica non è una stretta dofiniziono
della ode, ne osprimo però nssni bene In
natura. Cir. Petr. Lomb, Sent. 111, 23.
Thom. Aq. Sum, theol. I, 29, 2. Bartoli,
Itagion. accad., fol. 27 a.
65. ARGOMENTO : « per argumentam in-
telleotus inducitar ad inhmwrendam alicni
vero; onde ipsa firma adhmeaio intellectus
ad veritatem fidei non apparentem voca-
tor hic argumentum.... Per hoc enim
quel dicitur argumentum, distinguitor
fides ab opinione, suspiciono et dubita-
tione, per que non est adluesio intellec-
tos firma nd aliquid; » Thom. Ag. Sum.
-theol, Il”, 4,1.- NON FARVENTI: non si
vedono in terra, nè con immediata nà
con mediata evidenza. « Cioè non sono
primi principii dell'omann ragione, nè
sono conolosioni che si deducono con ra-
siocinio da casi principil, nè sono fatti che
calano sotto i sensi dei mortali; » Corn,
66. rank: non esprime dubbio snila
cosa, ma dobbio sul valore della solu-
zione. Alla presenza ilì San Pietro, Dante
dubita di sapor rispondere a dovere, -
QUIDITATE: casenza ; cfr. Par. XX, 92,
68, nirosk: se bene intendi perchè
5. Paolo pose la Fede prima tra lo su-
etanzie, poi tra gli argomenti.
942 [CIELO OTTAVO]
PAR. xx1ry. 69-84
[reDE]
Tra le sustanzie, e poi tra gli argomenti. »
70
Ed io appresso: « Le profonde cose,
Che mi largiscon qui la lor parvenza,
Agli occhi di laggiù son si ascose,
73
Che l’esser loro v'è in sola credenza;
Sovra la qual si fonda |’ alta spene,
E però di sustanzia prende intenza.
76
E da questa credenza ci conviene
Sillogizzar, senza avere altra vista:
Però intenza di argomento tiene. »
79
Allora udii: « Se quantunque s’ acquista
Giù per dottrina, fosse così inteso,
Non gli avria loco ingegno di sofista. »
82
Cosi spirò da quell'amore acceso;
Indi soggiunse : « Assai bene è trascorsa
D’esta moneta già la lega e il peso;
71. MI LARGISCON: che mi sl manife-
stano e fanno evidenti qui in cielo. « Le
cose le quali sono manifeste in cielo, sono
sì occulte tra gli uomini, che non le pos-
siamo conoscere, ma crediamo quello che
non veggiamo, così fermamente, como se
lo vedessimo; o sopra questo fondiamo
nostra speranza, sperando per le buone
operazioni pervenire alla visione delle co-
se che crediamo. Adunque perchè la spe-
ranza è fondata nella fede, meritamonto
diciamo quella essere sustanzia; » Land.
75. INTRNZA: l'indicazione, il nume;
cfr. Nannuc., Verbi, 170. Nomi, 14.
77. SILLOGIZZAR: argomontaro ; confr.
Par. X, 138. Thom. Aq. Swan. theol. I, 1.
2.- «Sillogizzare ultro non vuol dire, cho
discorrendo conchiudere; dal qual con-
chiudere si cava la ragione che ci rende
certezza delle cose dubbie; e però bene
disse il Poeta, che la fede prende inten-
zione d'argomento, non essendo altro lo
argomento, secondo Aristotile,che quella
ragione che ci rende certezza d'alcuna co-
sa dubbia, la qual ragione salta fuori me-
diante la conclusione che del discorrero si
cava; » Bartoli, ltagion. accad., fol. 27 b.
78. rekò: perciò la Fede prende il no-
meo di argomento.
V. 79-87. Il possesso della Fede. «Va
Fede non è di tutti; » Z/ Teseal. III, 2.
Alla domanda: Fede che è? Dante ha
risposto in modo, da inoritarsi le lodi
dell’ alto primipilo. Se, dico Sun Pietro,
ogni dottrina nel mondo fosse appresa
così bene, il ghiribizzar degli stolti non
vi avrebbe avuto luogo. L'esame, sotto
il quale è passata la tua nozione della fe-
de, l'ha approvata per giusta. Ma non
basta conoscero la fode, bisogna averla.
L'hat tat- E Dante: Sì, la posseggo
così netta ed intera, che di nessun punto
di essa non dubito nò tanto nè poco.
79. QUANTUNQUK: quanto in terra per
via di ammaestramento si apprende.
80. così: « nel certo e chiaro modo
come tu hai inteso le parole colle quali
San Paolo dufinisce la fedo; » Buti.
81. NON GLI AVRA: Al. NON V’avula:
Quasi tutti spiog.: L'acutezza ed i cavilli
dei sufisti sarebber iudarno, perchè nee-
sono si lascierebbe prendere a quelli. Si
può intendere assai più semplicem.: Non
vi sarebbero laggiù nel mondo sofisti.
82. SPIRÒ: queste parole uscirono da
quel lume infiammato d'amore. Spirare
per Manifestarsi in parole, Parlare, come
Par. IV, 18; XXIV, 54; XXV, 82.
83. THASCORSA : ripassata, esaminata.
Così dicevasi 7'rascurrere un libro, per
Esaminarlo.
84. MONKTA : la Fede. «Questa metafora
quadra bene in questa materia di fede;
nella quale ha tanto luogo eziandio fl fal-
sare, proprio ancho delle monote ; » Ces.
-— LA LRGA K IL L'kS0: la muneta è giusta
so ò di buona lega ed ha il peso dovuto.
Lan. ed i suoi copiatori per la lege in-
(CIELO OTTAVO]
PAR. xxiv. 85-97
(reve) 948
85 Ma dimmi se tu l’hai nella tua borsa. »
Ond’ io: « Si ho, sì lucida e si tonda,
Che nel suo conio nulla mi s’inforsa. »
88 Appresso uscì della luce profonda.
Che li splendeva: « Questa cara gioia,
Sopra la quale ogni virtù si fonda,
91 Onde ti venne? » Ed io: « La larga ploia
Dello Spirito Santo, ch'è diffusa
In su le vecchie e in su le nuove cuoia,
04 È sillogismo che la m’ ha conchiusa
Acutamente si che in verso d’ ella
Ogni dimostrazion mi pare ottusa. »
97 Io udii poi: « L'antica e la novella
tendono la sostanza, per il peso l'argo-
mento della fode, ossia il modo di cono-
sceria. Pel Buti la lega è la definizione, il
peso l'intelletto e la sontenza della defi-
nisione. Vell. spiega: « La qualità e quan-
tità dell’ essere di questa fede. »
85. BORSA : cuore; continna la metafora
della moneta. « Corde creditur ad iusti-
tiam, ore autem confessio fit in sala-
tem; » Rom. X, 10.
86. al tto: Al. sì L'Ro;8Ì C'È. - LUCIDA :
pura. - TONDA : intiera. «Sì, lo ho la fede
nell'animo, sì chiara, senza dubbio alcu-
no, e sì perfetta che nella sua forma nulla
cosa m'è in dubbio; » Buti (1).
87. MI 8 INFORSA: mi si fa un forse, mi
sembra dubbio. « Nihil stat mihi in dablo,
nel suo conio, idest, in eins fabrica; »
Benv.
V. 88-96. La sorgente della Fede.
Continuando il suo esame, S. Pietro do-
manda: Questo prezioso bene della Fede,
che è Il fondamento di tutte le cristiane
virtà, d'onde ti viene e come ne facesti
ta l'acquisto? E Dante: Dalla parola di
Dio contenuta nei libri del vecchio e del
nuovo Testamento. Cfr. Rom. X, 17. Aug.
De Trin. XIV, 1. Thom. Aq. Sum..tAeol.
1I?, 6, 1. Paganini, Sopra un luogo del O.
XXIV del Par. Lucca, 1862. Com. Lipe.
IIT, 653 e ong.
R8. LUCR: di cho el ammantava San Pio-
tra, che vinceva le altro in bellessa; ofr.
v. 19.
89. GIOIA: preziosa gemma, cioè la fede.
Cfr. S, Matt, XIII, 45, 46.
90. aI FONDA : poiché « tatto quello che
non è secondo la fede è peccato; » Rom.
XIV, 23; confr. Ebrei, XI, 6. Thom. Ag.
Sum. theol. I1?, 5, 7.
91. rLora: pioggia; cfr. Par. XIV, 27.
« La grazia che largamente piove dallo
Spirito Santo su le carte del libro della
vecchia e nuova Scrittura; » Dan.
93. Cuota: cartapecoro, pergamene,
onde in quei tempi si coniponevano i li-
bri. Le vecchie e le nuove cuoia sono i libri
del vecchio edel nuovo Testamento, scrit-
ti, secondo l'uno del tempo, su pergamena.
Rammenta il velio laneo, di Gedeone;
ofr. Giudici, VI, 87 © seg.
94. SILLOGISMO: argomento, ragione;
cfr. Par. XI, 2. - CONCHIUSA : fatta con-
chiudere, dimostrata.
95. L'ELLA : di quella «larga ploia dello
Spirito Santo. » In nostanza : La fede mi
venne dalle Scritture sacre ispirate da
Dio per lo Spirito Santo.
96. OTTUSA: inconcludente.
V. 97-114. Prove della verità della
Fede. Alla domanda, da qual fonte gli
venne la Fode, Dante ha risposto : « Dallo
Soritture Sacro, inspirate da Dio.» - «Va
bene, continua San Pietro, ma qual mo-
tivo hai ta di credere che le Scritture Sa-
cre sieno inspirate da Diof» - < Peri mi-
racoli che le confermarono. » - « Ma chi
t'assicura che quel miracoli fonnero vera-
mente avvenuti? Tu non ne hai altra te-
atimonianza che qualin dallo stesso Sorit-
ture, In cuidivinita vnolsi provare col mi-
racoli, il che è un circolo viziono. » — « Be
i miracoli raccontati nelle Scritture non
fossero realmonte avvennti, sarebbe fl
masaimo di tutti quanti i miracoli l'ee-
sersi senza miracoli diffuso il Cristiane-
a
944 [CIELO OTTAVO] Par. xxiv. 98-111
[FEDE]
Proposizione che si ti conchiude,
Perché l'hai tu per divina favella? »
100 Ed io: « La prova che il ver mi dischiude
Son I’ opere seguite, a che natura
Non scaldò ferro mai, né batté ancude. »
103 Risposto fammi: « Di’, chi t'assicura
Che quell’ opere fosser? Quel medesmo
Che vuol provarsi, non altri il ti giura. »
106 « Se il mondo si rivolse al cristianesmo, »
Diss’ io, « senza miracoli, quest’ uno
È tal che gli altri non sono il contesmo;
109 Ché tu entrasti povero e digiuno.
In campo, a seminar la buona pianta,
Che fu già vite, ed ora è fatta pruno, »
simo nel mondo per opera di gente senza
lettere e senza osteriore potenza. » E qui
di nuovo una botta agli ecclesiastici do-
generati. 1 Beati, udito ciò, cantano il
Te Deum. Abbiamo qui due argomenti:
1° I miracoli sono prova della divinità
della Scrittura sacra ; 2° La diffusione del
Cristianesimo è prova della realtà dei ini-
racoli. Il primo argomento è biblico ; cfr.
S. Matt. XI, 4 e seg.; XII, 28. S. Luca
XI, 20, S. Giov. V, 19 © seg., ecc. Il se-
condo è il dilemma dis. Agostino: «SI
per Apostolos Christi, ut vis cruduretur
resurroctionom atquo asconsionem prio-
dicantibus Christi otiam ista miracola
facta esse non credunt, hoc unum grando
miraculuin suflicit, quod eis torrarum or-
bis sino ullis miraculis credidit; » Aug.
De civ. Dei XXII, 5. Cfr. Arnod. Adv.
gent. 1I, 44 è seg. Thom. Ag. Sum. cont.
gent. I, 6. L'argomento fu poi ampliato
dul Bossuet, Hist. univ. II, 20. Cfr. Com.
Lips. III, 655 © seg.
98. PROPOSIZIONE: ¢ il vecchio e nuovo
Testamento; ma dice proposizione per
continuar la presa metafora del sillogis-
mo, il quale consta di dune proposizioni,
maggiore e minore e della conclusione ; »
Dan. - TI CONCHIUDE: ti mena a sì fatta
conclusiono ; cfr. v. 94.
99. retcuè: per quali argomenti la
oredi tu inspirata da Dio!
100. MI DISCHIUDE: mi apre, mi dimo-
stra il vero.
101. 1.’orkRR: i miracoli. - NATURA:
naturata.
102. NON sCALDÒ: non fa mai fabbra. -
ANCUDE: Al. IncuDk. Chiama i miracoli
opere che la natura non compié mai, dun-
que soprannaturali: confr. Aug. De util.
ered , 16. De civ. Dei XXI, 8. Thom. Ag.
Sum. theol. I, 110, 4.
104. ros8sKit: chi ti assicura che quel
miracoli avvenissero? Non altri lo affer-
ina che quello stesso libro del quale ai
vuol provare con essi miracoli che è
opera divina. Onde tu cadi in una pe-
tizione di principio. Così Torelli, Parenti,
Costa, Ces., Br.1t.,Grey., Andr., Bennas.,
Oamn., Franc., Corn., Witle, coc. Altri pon-
gono l' interrogativo dopo proverei, o
spiegano : Chi ti fa corto che quei mira-
coli fossero veramente come si dice î Nee-
suno te lo afforma con giuramento. Così
Lan., Ot., An. Fior., Buti, Land., Vell.,
Dan., Vol., Vent., Lomb., Biag., eco. Altre
interpretazioni sono inattendibili ; confr.
Com. Lips. IIT, 657 © seg.
108. 1L CKNTKSMO: tutti gli altri mira-
coli presi insieme non valgono la cente-
sima parte di quest'uno, dell'esserzsi cioè
il mondo rivolto al Cristianesimo senza
miracoli.
109. rOVERO: senza potenza esteriore,
da poter diffondore la fede in Cristo colla
violenza delle armi materiali. - DIGIUNO:
di scienza o di lettere, da poter con-
vertire il mondvu con |’ eloquenza della
tua parola. Confr. Atti III, 6. J Cor. II,
1, 21.
110. PIANTA: della fede cristiana; ofr.
S. Matt. XIII,27; XV, 18. Z Cor. ITI, 6.
111. virg: ofr. Par. XII, 86 e seg. -
VRUNO: « è insalvatichita e divenuta ste-
[CIELO OTTAYO)
Par. xxiv. 112-129
(reve) 945
112 Finito questo, l’alta Corte santa
Risuonò per le spere un « Dio laudamo, »
Nella melode che lassù si canta.
115 E quel baron, che si di ramo in ramo,
Esaminando, già tratto m’avea
Che all’ultime fronde appressavamo,
118 Ricomincid: « La grazia che donnea
Con la tua mente, la bocca t’ aperse
Infino a qui, com’ aprir si dovea;
121 Si ch’io approvo ciò che fuori emerse:
Ma or conviene esprimer quel che credi,
Ed onde alla credenza tua s’ offerse. »
124 « O santo padre, spirito che vedi
Cid che credesti si che tu vincesti
Vér lo sepolcro i più giovani piedi, »
127 Comincia’ io, « tu vuoi ch’io manifesti
La forma qui del pronto creder mio,
Ed anco la cagion di lui chiedesti.
rile come è lo pruno; imperò che non fa
più frutto ; » Buti.
113.8PERE: ofr. v. 11. - Dio LAUDAMO:
cfr. Purg. IX, 140.
114. MELODR: melodia; ofr. Per. XIV,
122. I Beati intaonano il Te Dewm, rin-
. graziando Dio della pura professione di
fode fatta dal Poeta ed in pari tempo del
menzionato trionfo della fede crietiana.
V. 116-147. L’oggetto della Fede. San
l’ietroapprova le risposte date dal Poeta
alle domande fattegli circa la Fede, quin-
di passa all'ultima domanda relativa:
« Che cosa credi ta, e da quale antorità ti
fa proposto a credere?» - « Crodo, rispon-
de Dante, in un Dio unico, e credo in tre
Persone in una sola essenza.» La fede in
Cristo è compresa nella fede nellaTrinità.
Dante attjnse il suo atto di Fode al sim-
bolo di Sant'Atanasio, art. 8 6 4: « Fides
autem catholica hwo est, n¢ unum Deum
in Trinitate et Trinitatem in unitate ve-
neremur. Neque confundentes personaa,
neque sanbatantinm noparanten. »
116. naron: Ran Plotro, cho m'avoa
interrogato ordinatamente delle dottrine
della fede, fino a scendere al punti par-
ticolari. - DI RAMO: di punto in punto
della proposta questione.
117. FRONDB: agli ultimi punti riaguar-
danti la fede.
60. — Div. Comm., 9° ediz.
118. LA GRAZIA: necessaria per conse-
guire la fede; « Gratia estie salvati per
fidem ; et hoo non er vobie, Del enim
donum cet; » Mfesi II, 8. - DONNEA;
vagheggia la tua mente, si compiace in
lei; cfr. Par. XXVII, 88. Diez, Wart. 19,
157. Nannuec., Verbi, 306 e seg. Invece
gli antichi spiegano: donnea = domina,
signoreggia (Beno., Buti, Land., Vell.,
Dan., eco.). Si tratta qui di corrisponden-
za d'amore, non di dominio o siguoria.
131. RMERSE : uscì dalla tua bocca, = ap-
provo tutto ciò che sin qui dicesti.
122. QueL: la forme della tua Fede,
v.128, cioè quali sono le cose che tu credi.
123. RD ONDER: © la cagione della tua
Fede. v. 129. Cosa credi, e perchè credi.
124. srinrro: Al. & BrIRITO ; O SPIRITO.
126. vincReTI: ofr. 8. Giov. XX, 8-10.
Veramente San Giovanni arrivò per pri-
mo al ecpolcro di Cristo, ma 8. Pietro fa
primo ad entrarvi. E Dante mira qui alla
maggior prontezza a credore, e Pietro fu
primo a credere, Giovanni secondo. Cfr.
De Mon. 111, 9.
128. LA FORMA: termine delle acuole =
l'essenza, quello che io credo. - rRONTO:
compiuto, perfetto; cfr. v. 86 e seg. Com.
Tépe. III, 861.
129. LA CAGION: l'oggetto formale della
mia fede, il perchè lo credo.
946 [CreLoO ottavo] Par. xxIv. 180-145
[FEDE]
130 Ed io rispondo: Io credo in uno Iddio
Solo ed eterno, che tutto il ciel muove,
Non moto, con amore e con disio.
138 Ed a tal creder non ho io pur prove
Fisice e metafisice, ma dàlmi
Anco la verità che quinci piove
136 Per Moisè, per Profeti e per Salmi,
Per |’ Evangelio, è per voi che scriveste,
Poiché l’ardente Spirto vi fece almi.
139 E credo in tre persone eterne, e queste
Credo una essenza si una e si trina,
Che soffera congiunto sono ed este.
142 Della profonda condizion divina
Ch’io tocco mo’, la mente mi sigilla
Più volte l’ evangelica dottrina.
145 Quest’ è il principio, quest’ è la favilla
181. MUOVR: ofr. Par. I, 1. « Dice che
crede in uno Iddio solo; che è contra oo-
loro cho dicono ossore più dii; e dico eter-
no, contra coloro che poneano principio
a Dio; e dice che tutto tl ciel muove, e
non è mosso contra coloro che teneano
ch’elli ha in sè moto, conciossiacosaché
elli sia principio di moto, e dia moto a
tutte le cose; » Ott.
152. pisio: Dio muove i Cieli, amato
e desiderato; ofr. Par. I, 77. Aristot. Me-
taph. XII, 6,11; 7, 2,8; XII, 7,7. Var-
chi, Lez. sul D. I, 397-414.
133. PROVR: cfr. Thom. Ag. Sum. theol.
I, 2, 8, dove ai adducono cinque provo
fisiche e metafisiche dell’ esisteuza di Dio.
Vedi pure Thom. Aq. Sum. theol. I, 3-6.
Aug. De lib. arb. II, 3-15. Boet. Cons.
phil. Ill, pr. 10. Greg. M. mor. XV, 46.
Hugh. a S. Viet. De Sacram., 7-9.
135. Quinc!, che dal cielo scende a
manifestarsi in terra per gli scritti di
Moisè, dei profeti, eco.
137. vol: Apostoli, che scriveste i vo-
stri Atti, lo Epistole, e l'Apocalissi. La
denomiuazione del vecchio Testamento :
Moise, profeti e salmi è tolta da S. Luca
XXIV,44. Ilibridelnuovo Tostamento si
divisero sin dal terzo secolo in instrumen -
tum evangelicum (EdayyéAcoy) ed in-
strumentum apostolicun (? An69t0A 06);
cfr. Iren. I, 3, 6. Clem. Alex. Strom. V,
561; VI, 659; VII, 766. Tertul. De pudic.
11, 12. De bapt., 15. Oontr. Marc. IV, 2.
188. ALMI: nutritori, atti a produrre ed
alimentare la fede col vostri scritti. Er-
roneamonte gli antichi ed Il più doi mo-
derni intendono almi=santi, divini.
141. BOFFRRA: soffre, forma usata an-
che Conv. II, 9, 15. - SONO ED ESTE: Al.
SUNT ET ESTE. Soffre la persona singolare
e plurale accordata col suo nome divino.
Sono tre persone, è un solo Dio. Si con-
fronti il simbolo di Sant'Atanasio.
142. CONDIZION: natura. Di questo mi-
stero della SS. Trinità, che ora io accen-
no, il Vangelo in più luoghi m’ impronta
la mente, m’ istruisce.
143. cu’Io TOCCO MO', LA MENTE: Al.
CH’IO TOCCO, NELLA MKNTR, lezione rifia-
tata du tatti i commentatori attendibili,
antichi e moderni. - Mi SIGILLA: m' infor-
ma e stampa la mente = mi fa conoscere.
144. PIÙ VOLTR: in più luoghi; confr.
S. Matt. XXVIII, 19. 8. Giov. XIV, 16,
17. JI Cor. XIII, 13. I Pietro I, 3. I Bp.
di S. Giov. V, 7. Thom. Aq. Sum. theol.
I, 32, 1.
145. QUEST’ È: questo punto di fede 4
il fondamento e la sorgente da cui ema-
nano gli altri articoli della fede cristiana,
la quale è in me come stella che dirada le
tenebre. Così Lan., Ott., An. Fior., Falso
Boec., Benv., Lomb., Tom., Br. B., Greg.,
Andr., eco. Altri: Questa dottrina evan-
golica è il principio della fede, ed è fa-
villa della quale moltiplica grande ar-
doro. Così Buti, Land., Frat., Biag., eoc.
(CIELO OTTAVO]
Par. xx1v. 146-154
[BENEDIZIONE] 947
Che si dilata in fiamma, poi, vivace,
E, come stella in cielo, in me scintilla. »
148 Come il signor, ch’ ascolta quel che i piace,
Da indi abbraccia il servo, gratulando
Per la novella, tosto ch’ ei si tace;
151 Così benedicendomi cantando,
Tre volte cinse me, com’ io tacqui
L’ apostolico lume, al cui comando
164 Io avea detto; si nel dir gli piacqui.
Altri: Questa è la cagione del mio cre-
dere (Vell., Dan., eco.). Tl Cke.: « CI che
dissi del mio credere in Dio uno e trino,
e del fonte dal quale attinsi questa mia
credenza, è il seme della fede mia, che
in più altre cose si estende che sono da
credere; la cui professione fo lo chiara-
mente.» Cfr. Thom. Ag. Sum. theol. I1?,
1,8; II°, 2, 8.
V. 148-154. Benedisione apostolica.
Dopo la professione fatta dal Poeta della
sua fede, la vita di San Pietro, A pre-
sente in forma di eplendente fiaccola,
esprime il suo contento cingendolo tre
volte con corona di Ince, e cantando lo
boncdico. Confr. Barelli, Allegoria della
D. O., 213 © seg.
148. 1 PIACE: piace a lui; confer. In.
XXII, 78; XXXIII, 15. Al. ciò cnr
PIACK. La novella che il servo racconta
deve piacere per l'appuntoalsuosignore,
se piace o non piace ad altri è coca del
tutto indifferente. La lezione ciò cong
PIACR non può pertanto stare.
149. DA INDI: quindi. -srRvo: « Dante
paragona sè a servo. Anche nell' inferno
preso da timore e rimproverato da Vir-
gilio, usò la stessa immagine (Inf. XVII,
89). Là, servodignitosamente vergognoso
in faccia alla scienza umana che lo cor-
reggo; qui, in clelo, servo umilmente lieto
rimpetto alla scienza divina che lo bene-
dice; » L. Vent., Mwm., 250. - GRATULAN-
DO: applaudendo.
161. CANTANDO : cantandomi benedi-
zioni.
152. cINSR: mi si girò tre volte (alla-
sione alla SS. Trinità) intorno alla fronte,
coronandomi così delia sua luce ; cfr. Par.
XXV, 12. Alonni intondono cho R. Pio-
tro abbracciasne tre volte il Poota (Utt.,
Land., Vell., Vent., ecc.). Come fa un fu
me ad abbracciare nn uomof!
154. PETTO: professato la mia fede. -
GLI PIACQUI: trattandosi della fede fl
lodare sè stesso è lecito. «In hoe gio-
rietur, qui gioriatur, scire et nosse me,
quia ego sum Dominus; » Gerem. 1X, 34.
948 [CIELO OTTAVO]
PAR. xxv. 1-5
[s0sP1R0]
CANTO VENTESIMOQUINTO
CIELO OTTAVO
STELLATO: SPIRITI TRIONFANTI
SOSPIRO ALLA PATRIA, SAN JACOPO
ESAME INTORNO ALLA SPERANZA, BAN GIOVANNI
LUME CELESTE ED OCCHIO TERRESTRE
Se mai continga che il poema sacro,
Al quale ha posto mano e cielo e terra,
Si che m’ha fatto per più anni macro,
4 Vinca la crudeltà, che fuor mi serra
Dol hollo ovilo, ov’ io dormii agnollo
V.1-12. Sospiro alla patria. Tl canto
della speranza celesto si apre con una
commovente espressione della speranza
torrostro del Poota. Dall'alto de’ cioli,
volgendo lo sguardo alla terra, il pen-
sioro suo vola alla patria. Se, vincendo
la crudoltà di chi wi costriugo ua vivor
lontano da essa, il pooma sacro mi aprirà
le porte di Firenze, io prenderò la co-
rona di poeta su la fonte del mio bat-
tesimo, dove io entrai in quella fede, per
la quale San Pietro mi girò intorno alla
fronte. La speranza qui esternata dal
Poeta non si avverò vita sua durante.
1. CONTINGA: lat. conlingat, avvenga,
accada. - 84CRO : trattando di materia sa-
cra ed il sno concetto fondamentale e sco-
po principale essendo religioso e morale;
cfr. Par. XXIII, 62.
2. HA POSTO: al quale il cielo e la terra
hanno dato materia e soggetto: il cielo,
con la santità dei suoi dogmi e la pro-
fondità de' suoi misteri; la terra, cui co-
atomi e le azioni degli uomini che l' abi-
tano. Così Ott., Buti, Vell., Dan., Vent.,
Biag.,0es.,Tom., Greg., Frano.,Corn.,ecc.
Al.: al quale ha prestato aiuto la scienza
umana e la scionza divina (Ott., Lomb.,
Br. B., Frat., Andr., Bennas., eco.).« Per
calam autor intelligit gratiam Dei per
quam infiuentia cali fecit autorem ha-
bilem ad habitum scientio.... Per ter-
ram vero inteliigit humanum stadium
ot oxorcitiuin, vigili:un et laborem tam
animi quam corporis; >» Zenv.
3. rkR PIÙ ANNI: Al. PER MOLT’ ANNI.
Cfr. Moon, Orit., 477 v nog. - MACKO:
magro; cfr. Inf. XXVII, 93. Purg. IX,
138. Delle sue veglio e fatiche paria an-
che Purg. XXIX, 37 e seg. Cfr. Juvenal,
Sat., 7: « Ut dignus venias hederis, et
imagine macra. »
4. LA CRUDKLTA: l'odio di parte, che
mi tien chiuse le porte di Firenze; cfr.
Conv. I, 8.
5. OVILK: cfr. Par. XVI, 25. - AGNEL-
L0:;«Sicommunicabitlupusagno aliquan-
do, sic peccator justo ;» Eccles. XIII, 21.
«Et ogo quasi agnus mansuetus, qui por-
tatur ad victimam; et non cognovi quia
cogitaverunt super me consilia, dicentes:
Mittamus lignuin in panom cius, et era-
damus cum do torra vivontium, et nomen
cius non memoretur amplius; » Gerem.
XI, 19. S'intenda: innocente, mansueto
e pacifico come agnello. - «Che poi Dante
si contenesse pruprio da agnello, e per
questo solo abbia incontrata l'ira dei
lupi, egli lo afferma. Sarà vero? L'ira
che mostra, talvolta eccessiva ed ingiu-
[CIELO OTTAYO]
PAR. xxv. 6-23
[s. JACOPO] 949
Nimico ai lupi, che gli danno guerra;
7 Con altra voce ormai, con altro vello
Ritornerd poeta, ed in sul fonte
Del mio battesmo prenderò il cappello;
10 Però che nella Fede, che fa conte
L’ anime a Dio, quivi entra’ io, e poi
Pietro per lei sì mi girò la fronte,
13 Indi si mosse un lume verso noi
Di quella spera, ond’ uscì la primizia
Che lasciò Cristo de’ vicari suoi.
10 E la mia donna piena di letizia
Mi disse: « Mira, mira, ecco il barone,
Per cui laggiù si visita Galizia. »
19 Sì come quando il colombo si pone
Presso al compagno, e l'uno all’altro pande,
Girando e mormorando, |’ affezione:
22 Così vid’io l'un dall'altro grande
Principe glorioso essere accolto,
sta, nel sacro poema non è boon argo-
mento di quella mitezza ch'è propria del-
l'agnello; » Corn. (1).
6. nur: « | cittadini grandi della città
di Firenze sono Iupi;» Don. Giannotti,
Repub. Fior., 11, 11. Cfr, Perticari, Del-
l'amor patrio di D., § 13 0 seg.
7. voce: noo più cantore di terreni
amori, ma di cose alte e divine, o con al-
tro vello, non più giovane, ma già vecchio.
Cfr. Todeschini, Scritti su D. II, 919-324.
Tom. Lips, IT], 668. - « Sperando per la
poosia allo innsitato © pomposo onoro
dolla soronazione dell'alloro poter por-
venire, tutto n lei si diede e stodiando
e componendo, E certo il sno desiderio
venia intero, se (anto gli fosse stata In
fortona graziosa, che egli fosse giammai
potuto tornaro in Firenze, nella qual
sola sopra le fonti di San Giovanni s'era
disposto di coronare; neciò che quivi,
dove per lo battesimo overa preso il
primo nome, quivi medesimo per la co-
ronnzione prendesse il secondo ; » Boceac.,
Vita di D., § 8; ed. Milanesi, I, 41; of.
Maerì- Leone, 47.
D. 1 CAPPELLO: la corona di alloro,
Così tutti. Invece pel Todeseh. (1. 0,, 316)
il cappello 4 In insegna del dottorato, opi-
nione «affatto vana ed insussistente ; »
(Todesch., |, ©.).
10. CONTE: conoscinte, « Per fidem nam-
que ab omnipotenti Deo cognoscimur ; »
Greg. Magn. in Ezeeh., lib. I, hom. 3.
11. quivi: nel « fonto del mio batto-
smo,» in San Giovanni, - entra’: fal
assunto.
12. a): nel modo descritto, Par. XXIV,
162.
V.12-24, Apparizione dell’ Apostolo
San Jacopo, Dallastessa sfera di spiriti
beati ondoera uscito 8, Pietro, si muove
verso Dante o Beatrice un altro lome,
« ft l'Apostolo San Jacopo,» ilico Pea-
trice al Poota. l'ietro 0 Jacopo ni fanno
amororola accoglienza, lodando Iddio,
che è l'nnico diletto dello menti celesti,
14. 6rena: ofr. Par. XX1V,11,90. AI,
sCHnirra. Quelle anime mon formavano
schiere, formavano #epere. Cfr. Moonr,
Orit., 478 © seg. — PRIMIZIA : San Pietro,
primo vicario di Cristo in terra,
17. nARONE: San Jacopo; confr. Par.
XXIV, 115. 4
18, GaLuizia: Il preteso sopoloro di
S. Jacopo n Santiago «di Campostella
nella Galizia era uno del più frequen-
tati pellegrinaggi del medio ovo.
20. ranpr: manifesta, dimostra; cfr.
Par. XV, 603.
22. L'UN: San Jacopo, — DALL'ALTRO:
da San Tietro,
950 [CIELO OTTayo]
PAR. xxv. 24-83
[SPERANZA]
Laudando il cibo che lassù li prande.
25 Ma poi che il gratular si fu assolto,
Tacito coram me ciascun s’ affisse,
Ignito sì cho vinceva il mio volto.
28 Ridendo allora Beatrice disse:
« Inclita vita, per cui la larghezza
Della nostra basilica si scrisse,
al Fa’ risonar la speme in quest’ altezza;
Tu sai, che tante fiate la figuri,
Quante Gesù ai tre fe’ più chiarezza. »
24, IL ciao: ofr, Par. XXIV,168seg.
- LI PRANDE: li sazia; » Satiabor com
apparuerit gloria tua; » Salm, XVI, 15.
Ufr. Purg. XXVII, TB. Al. 61 PRANDE.
V. 25-48. Esame intorno alla spe-
ranza. Dopo il mutuo loro congratu-
larsi della eterna felicità, liotro e Ja-
copo si piantano dinanzi al poeta con
tanto infocato splendore, che egli si ve-
de costretto ad abbassare il viso. E Bea-
trico, volgendo con uu coleste sorriso la
parola a San Jacopo: « Anima illustre,
da cui fu scritto circa la liberalità dolla
celeste reggia, fa’ che si oda il nome della
Speranza, straordinario in queste celc-
sti regioni, dove l'ultima speranza è già
udempita. Bon ti è noto cho tu nel nuovo
‘l'estamento sei figura appunto delia spe-
ranza, ogni volta cho Cristo manifestò
più chiaramente la propria divinità a
soli tre de’ suoi Apostoli.» E San Jacopo,
rivolto verso Danto: « Alza fl capo, sta’
di buon animo! Chi dalla torra sulo al
cielo deve abilitarsi a sostonere i colesti
fulgori. Poichè è volere di Colui cho
quassù regge, che tu prima di morire
ti abbocchi coi principi della sua corte,
nella più intima parte della sua reggia,
sicchè tu, avendo veduto la vera cundi-
zione della vita celeste, coi racconto della
tua visione conforti in te ed in altrui
l'unica verace speranza dei mortali, cioè
quolla che gli innamora dei beni superai:
dimmi che cosa è speranza, in qual grado
tu la possiedi od a qual funte ta la attin-
gesti. » Anche S. Pietro aveva chiesto:
Fede che 2? Ed: onde ti vennef (cfr. Par.
XXIV,53, 91); ma mentre S. Pietro chie-
se: Has tu la fede? (Par. XXIV, 85) San
Jacopo non domanda Hat tu speranza?
ma: QUANTA ne hai? Forse perchè vi sono
bensì uomini senza fede, ma non ve ne
sono assolutamebte privi di speranza,
qualunque essa siasi,
25, IL GHATULAR: le congratolazioni
vicondevoli; cfr. Par. XXIV, 140. - si
FU ASSOLTO: fu terminato; è il lat. abso-
lutum fuit.
26. CORAM MK: davanti a me; cfr. Par.
XI, 62. - 8'AFFISSR: si formò; cfr. Inf.
XVIII, 43.
27. IGNITO: tanto splendente che io
nou potova fissamonto mirarlo. - VOLTO:
faccia; mi faceva abbassare il viso. Così
Benv., Lomb., Oes., ecc. Altri: vinceva
la mia facoltà visiva (Lan., Buti, Land.,
Vell., Dan., Vent., ecc.). Dove mai asd
Dante volto per vista?
29. VITA: aniina, spirito; cfr. Par. 1X,
7; XII, 127; XIV, 6; XX, 100; XXI, 65.
-La LARONEZZA : Al. L’aLLeGRxzza. Do-
vescrisse S. Jacopo dell' allegrezza del Pa-
radiso? Della larghezza (= liberalità) a},
nolla sua Kpistola I, 6, 17. ALLtorrzza
O lozionoluattondibilo. Cir. Move, Unit.,
479 © seg. - «Qui Beatrice, chiedendo una
grazia a 8. Giacomo, non duveva pregar-
nelo per l'allegrezza ch'egli comandò ce-
sere in cielo; ma sì per la larghezza, cioè
per la liberalità, per la cortesia. Quaai
dicesse: Inclito spirito, tu che lodasti la
Hberalità dei colesti, sii or liberale a
Dante di parlargli della speranza ; » Betti.
80. BASILICA: corte celeste; il cielo,
tempio di Dio; cfr. II Reg. XXII, 7.
Salm. X, 5. Apocal. VII, 15; XI, 19;
XV, 5, 6, 8, eco. Oom. Lips. III, 672. -
8I scrisse: S. Giac. I, 17.
31. FA’ RISONAR: parla con Dante della
speranza in questo alto cielo.
33. QUANTE: quante flate. Al. QUANTO.
Cfr. Moons, Orit., 481 e seg.- al TRE:
Pietro, Jacopo e Giovanni. - FE' PIÙ CHIA-
REZZA : li distinse da tutti gli altri, volen-
[CIELO OTTAVO]
PAR. XXY. 84-48
[SPERANZA] 951
34 « Leva la testa, e fa’ che t’assicuri;
Ché ciò che vien quassù dal mortal mondo,
Convien ch’ai nostri raggi si maturi, »
87 Questo conforto dal fuoco secondo
Mi venne, ond’io levai gli occhi ai monti,
Che gl’incurvaron pria col troppo pondo.
40 « Poi che per grazia vuol che tu t’ affronti
Lo nostro Imperadore, anzi la morte,
Nell’ aula più segreta, co’ suoi Conti;
43 Si che, veduto il ver di questa corte,
La speme che laggiù bene innamora
In te ed in altrui ‘di ciò conforte :
46 Di’ quel che ell’ 4, o como se no infiora
La mente tua, e di’ onde a te venne. »
Così segui ’1 secondo lume ancora.
doli soli presonti alla sua trasfigurazione
e ad altre sne opere ; efr. S. Matt, XVII,
1 e seg.; XXVI, 27. S. Marco, IX, 2;
XIV, 33. S. Luca, VIII, 61; IX, 28. In
tutti questi casi i tre figurano secondo
alcuni interpreti delle Scritture, qui se-
guiti da Dante, la Fede, la Speranza è
la Carità. Dante si scosta qui alquanto
dal!’ Aqninate; ofr. Thom, Ag. Sum, theol.
JII, 46, 3.
a4. LA TESTA: nbbnasata teat’ per lo
soverchio splendore, v. 27.-FA' CHE T' As-
sicuri: ata’ di buon animo, rinfràncati,
poichè il lame di questo Inogo non è ad
abbagliare, ma a perfezionare confortan-
do la vista e le potenze di chi dal basso
mondo terreatre viene quassù in cielo.
87. FUOCO SECONDO: 5. Jacopo, acco-
statosi a Dante secondo dopo 8. Pietro,
6 secondo a parlargli.
38. AI MONTI: ai due apostoli Pietro e
Jacopo, chiamati monti con ardita meta-
fora secondo Salm. LXKXXVI,1;CKXX,
1. &. Matt. V, 14. « E questi sono li mon-
ti, ciod li santi Apostoli, che sono posti
in alto per eccellenza di dottrina, come
li monti; » Buti.
30. ot mcurvARON: li fecero abbas-
sare col troppo lume; cfr. v. 27.
40. T'AFFRONTI: guardi a fronte a fron-
te. Affrontarsi aveva senso anche buono.
41, ImPrRADORE: Dio; cfr. Inf. 1, 124.
Par. XII, 40.
42. AULA: Corte; « nella sala regale
ch'è sooreta allo cognizioni umane, ©
non gli 4 nota so non por fedo; » Lan, —
CONTI: i Teati,
43. VeEDUTO; « affinchè conosciuta la
verità, conforti in te e in altrui la ape-
me, che laggiù al mondo, ove tu déi ri-
tornare, fa desiderose le genti della co-
lesto gloria; » Dan.
di. SPEME: aperanca della gloria eter-
na, che sola innamora bene, mentre le
aperanze terreno innamorano male, cioò
per delodere ed ingannare, Cfr. Thom,
Aq. Sum. thool, 1°, 40, 7; II°, 27, 8.
45, DI ciò: «a poder questo voro; » Betti.
- comront®: conforti in te ed in altrui la
speranza nella corte celeste, avendoln
voluta.
40. E comm: Al. pr’ comr; dimmi che
cosn 4 la speranza, come l'hai in te è
perchè,
V.49-63, It possesso della speranzit.
Beatrice previono la risposta di Dante
alla seconda delle tre domande fattogli
da lacopo, 6 ciò, como si accenna al v. 62,
perchè in luli l' esprimore l'eminente gra-
do di questa sun teologale virtù avrebbe
avuto della jattanza: ofr. Prov. XXVII,
2. Dice dunque Beatrice: Come tu stesso
puoi leggere in Dio che illumina tutti
noi, non vi è cristiano in terra che sia
dotato di speranza più di lol, E per que-
sto apponto gli è fatta In grazia di sa-
lire dal mondo al cielo prima che sia com-
piuto il corso della sua vita terrestre.
Gli altri due punti, cioè che cosa sia spe-
ranza o d'onde n lui venuta, - punti che
=
952 [CIELO OTTAVO]
Par. xxv, 49-65
{sPERANza)
49 E quella pia che guidò le penne
Delle mie ali a cosi alto volo,
Alla risposta cosi mi prevenne:
62 « La Chiesa militante alcun figlinolo
Non ha con più speranza, com’ è scritto
Nel Sol che raggia tutto nostro stuolo;
55 Però gli è conceduto che d’ Egitto
Venga in Gerusalemme per vedere,
Anzi che il militar gli sia prescritto.
58 Gli altri due punti, che, non per sapere
Son domandati, ma perch’ e' rapporti
Quanto questa virtù t’é in piacere,
dI A lui lasc' io; ché non gli saran forti,
Né di iattanza: ed egli a ciò risponda,
E la grazia di Dio ciò gli comporti. »
64 Come discente ch'a dottor seconda,
Pronto e libente, in quel ch'egli è esperto,
voramonto tu non domandi por saporo,
vedendo tutto in Dio, ma solo perchè
Dante possa raccontare in terra quanto
questa virtù della speranza ti sia cara,
li lascio rispondere a lai, poichè non gli
saranno difticili, nè gli darauno motivo
di dovor vantaro sò stesso. Risponda
dunque lui, ed alla risposta lo aiuti la
divina grazia.
49. ria: Beatrice; cfr. Purg. XXXII,
82; XXXIII, 4. - GUIDÒ: confr. Par.
XV, 54.
54. SOL: Dio, nel qualo i Beati leggono
tutte le cose; cfr. Par. IX, 8; XVIII,
106; XXX, 126.
55. n’ EGITTO; dal mondo; cfr. Purg.
II, 46. Hug. a S. Viet. in Gen. III, 1.
De Arca Moral. IV, 9.
66. IN GKRUSALEMMR: nel Cielo, che
è detto la Gorusalemme celeste; cfr. Ga-
lati, 1V, 26. Ebrei, XII, 22. Apocal. III,
12; XXI, 2, 10. Aug. de Civ. Dei, XIX,
11.- VEDEKRR: il ver di questa corte, v. 43.
57.1L MILITAR: il tempo che deve stare
nella chiesa militante, v. 52, la vita ter-
restre; » Militia est vita hominis super
terram; » Giobbe, VII, 1. - PRESCRITTO:
limitato, terminato; ofr. Par. XXI, 103;
XXIV, 6.
69. PERCH’ R': Al. PRRCHÉ.- RAPPORTI :
giù nel mondo; cfr. v. 48-45.
60. T'È IN PIACKRE: Al. È IN PIACERE;
OLI RIN LIACRICK, «Qui è chlaro che Danto
dice che lasperanza dev'essere cara prin-
cipalmente a S. Giacomo, perciocchè egli,
come al verso 32, n'era figura in terra col
Redentore; » Betti.
61. FORTI: difficili; ofr. Purg. XXIX,
42; XXXIII, 50. Par. VI, 102; VII, 49;
IX, 86; XVI, 77; XXI, 76, eco.
62. IATTANZA : argomento di vanagio-
rla, come sarebbe stato quello al quale
risposi io.
63. GLI COMLOUTI : lo aiuti a rispondere.
V. 64-69. Concetto dolla speranza.
Rispoudendo alla prima domanda di San
Jacopo: che cosa è la speranza? Dante,
traduce fedelmente la dotinizione datane
dal Maestro delle Sentenze: « Spes cet
certa erpectatio futurm beatitudinia, ve-
niens ox Dei gratia et ex meritis prece-
dentibas; » Pet. Lomb. Sent. III, 26. Cfr.
Thom. Aq. Sum. theol. 11?, 17, 1-2. Com.
Lips. III, 675 e seg.
64. DISCRNTE: discepolo; cfr. Inf. XI,
104. Par. XXIV, 46 e seg. - SECONDA:
«segnitur et respondet voloutarius in eo
quod novit per scientiam, quam expe-
rientia facit; » Benv. « Secondare è ri-
spondere; » Buti.
05. LIBENTK: lat. libene, di buon gra-
do, volentieri. -1N QUKL Cli’ RGLI È rsPER-
TO, Al. IN QUELLO Cll’ EGLI È BPERTO; in
quello che egli sa bene.
[CIELO OTTAVO]
PAR, xxv. 66-76
[SPERANZA] 958
Perché la sua bontà si disasconda :
67 « Speme, » diss’io, « è uno attender certo
Della gloria futura, il qual produce
Grazia divina e precedente merto.
70 Da molte stelle mi vien questa luce;
Ma quei Ja distillò nel mio cuor pria,
Che fu sommo cantor del sommo Duce.
73 ‘‘ Sperino in te, ,, nella sua teodia
Dice, “ color che sanno il nome tuo. ,,
E chi nol sa, s’ egli ha la fede mia?
76 Tu mi stillasti con lo stillar suo
66. BONTÀ: « questa parola, se inchinde
l'idoa di valore d'ingegno, comprende
anche quella di animo virtooso; il quale
nelle prove del vero esercitando s'adde-
stra, e nelmanifestarle s'allieta; » L. Vent.
Sim., 837. BI DIBABCONDA : si manifesti.
67. ATTENDER: aspettare; « Si antem
quod non videmns sporamus, per patien-
tiam expectamus;» Rom. VIIT, 26. Cfr.
Thom. Aq. Sum. theol. 1°, 40, 2.
68. 1L QUAL: quarto caso; il quale at-
tendere è prodotto dalla grazia di Dio è
da merito procedonto. Al. cnr rrontoer.
V. 70-81. La sorgente della speran-
2a. San Jacopo aveva domandato: Onde
tenne a te la speranza? v. 47. Passando
ora n rispondere direttamente a questa
domanda, Dante dice che tale splendidn
virtà gli viene dalle parole di molti sacri
scrittori, o principalmente dal Salmi di
Davide, e dallo stesso San Jacopo nella
ana Epistola. Udita la risposta, lo splen-
flore di che si ammanta l'anima benta
di San Jacopo, manifesta la suo gioin
mandando lampi di luce. Interrogato cir-
ca la Fede, Dante si riferiva, oltre alla
Rivelazione, a prove fisiche e metafisi-
che; Par. XXIV, 133 e seg. ; interrognto
circa la speranza, egli ai riferisco alla
sola Rivelazione. Dicemmo che il Poeta
rispondo qui direttamente alla domanda
onde la speranza gli sin venuta, chè una
riapostn, almeno indiretta, ora già con-
tenuta nella definizione ilella speranza,
dicondoln prodotta dalla divina grazia è
ila procodonto merito (ofr. I'etr. Jinindb.
Sent. 111, 26. Thom. Aq. Suwon, theol. 11?,
17, 7, 8), Ma qui si tratta dolla sorgento
alla quale l'uomo attinge la ana speranza
nella gloria futorn, e questa sorgente è
la sola Rivelazione. Da sasa viene nl-
l'nomo la speranza mediante la divina
grazia, quale arra del premio di prece-
dente merito.
70. STELLR: sacri scrittori, compresi
fors'anco | SS. Padri e Dottori della
Chiesa; « Qui antem doocti fuerint, ful-
gebunt quasi splendor firmamenti ; et qui
ad institiam erndinnt muitos, quasi atel-
ln in porpotunas mternitates; » Daniele,
XII, 3, Buti o Land.: «dalla influenza
di molte stelle » (!!).
71. qu: Davide, che nei suoi Salmi
esnlta in mille guiso la speranza. — LA DI-
BTILLO: In foco agorgare, la infuse. « La
Inco, quando s' immagini como sostanza
non come vibrazione, passando per tanti
mezgi può dirsi quasi distillata. E fonte
di luce è modo noto; » Tom.
72. Duck: Dio; ofr. Inf. X, 102, Altrove
Davide 4 detto «il cantor dello Spirito
Santo; » Par. XX, 38.
TR.SrPRRINO: AI. BIPRRENT, lesione sprov-
vista di antorità. Sono le parole del Salm.
IX, 11: «Sperent in te qui novernnt no-
men tuum. » — NELLA SUA: Al. NELLA
TUA} NELL'ALTA.- TRODIA: (dal greco
Bzég e 37) canto in onore di Dio.
Chiama così il libro dei Salmi,
Ul. SANNO: conoscono è credono, La
speranza nasce dalla fode; ofr. Thom.
Ag. Sum. theol. Tl", 17, 7.
75. LA VEDE MIA: teaté professata ; cfr.
Par. X.XI1V, 66 0 sog., 130 6 seg. - « La
fede è sostanza delle coso da essere
rato, s00.; sicelhà chi ha Ja fedo ha la spo-
ranza ; » Buti. - «Chi erede in Dionon pod
non sporaro; 0 ehieredanli'antorità do']i-
bri rivelati ha di qui saldo fondamento n
aporare; » Tom. Ma qui Dante non vnol
dir questo; il suo concetto è piuttosto :
E chi non sa (= non conosco) il nome del
Signore, s' egli crede nell'Iddio Triuno ?
76. STILLASTI: annaffiasti coll'annafia-
954 [CIELO OTTAVO]
Par. XXV. 77-88
[SPERANZA]
Nell’ epistola poi, sì ch'io son pieno,
Ed in altrai vostra spiaggia replùo. »
79 Mentr’ io diceva, dentro al vivo seno
Di quello incendio tremolava un lampo
Sùbito e spesso, a guisa di baleno.
82 Indi spirò: « L'amore ond’io avvampo
Ancor vér la virtù, che mi seguette
Infin la palma, ed all’ uscir del campo,
85 Vuol ch'io respiri a te, che ti diletto
Di lei; ed èmmi a grato che tu diche
Quello che la speranza ti promette. »
88 Ed io: « Le nuove e le scritture antiche
mento di Davide. Tu poi nella tua Epi-
stola mi confermasti le promesse di Da-
vide, al che il mio cuore è pieno a ribocoo
della speranza da vol inatillatavi, ela tra-
sfonde anche in altri. Veramente nell'Epi-
stola di San Jacopo non ai parla gran che
della Speranza; non vi mancano tuttavia
passi dettati in stile davidico ed atti ad
infondere speranza nei cuori, come I, 12;
II, 5; IV, 8.
77. PIKNO: di speranza; confr. Par.
XXIV, 56 e seg. « Son pieno dello atil-
lamento d’amendani voi; del Profeta e
di te Apostolo; » Buss. - « Sì ch'io l'in-
tendo pienamente; » Dan.
78. trito: lat. repluo, ripiovo, ri-
verso. Risveglio in altri quella speranza
che da voi ho attinta e di che son pieno;
«imperò che quello che io ho imparato
da voi, lo scrivo, ed altri dal mio scritto
lo imparorà ; » Buls.
80. INCENDIO: di quell'anima raggianto;
cfr. Par. XIX, 100.- LAMPO: cfr. Ezech.
I, 13.
V. 82-99. L’oggetto della speransa.
Dopo aver dimostrato la sua gioia al-
l'udire la bella risposta di Dante, inter-
pretatrice degli intimi suoi sentimenti,
San Jacopo continua l'esame colla do-
inanda: Che cosa ti promette la tua ape-
ranza? EK Dante rispondo: Essa mi pro-
nette la beatitudine perfetta doll’ anima
e del corpo. A tale risposta tutto il coro
dei Beati intuona l'inno della speranza.
Cfr. Thom. Aq. Sum. theol. 11°, 17, 2.
82. srind: parlò, disse; ofr. Par. IV,
18; XXIV, 54, 82.- AVVAMPO: ardo;
ofr. Purg. VIII, 84.
83. ANCOR: anche al presente, quando,
beato in Paradiso, nulla più a sperar mi
resta. Nei Beati non vi è Fede, chè essi
non credono più, ma vedono; nè vi è in
eas) Speranza, chè casi non sperano più,
ma hanno. Sola la Carità dora in eterno,
ed è anche nei Beati; «Caritas numquam
excedit; sive propheti®, evacuabuntar ;
sive lingum, cessabunt; sive scientia,
destruetur;» J Cor. XIII, 8. Cfr. Thom.
Aq. Sun. theol. II?, 18, 2. Par. XIV, 61
© 86g. — BKQUATTE: sogal.
84. INFIN LA: fino alla riportata palma
del martirio= sino alla mia morte da
martire. - ALL'USCIR: « sino alla mia
morte, nolla quale s'esco del campo; im-
porò che infino a quella stiamo nel campo
a combattere coi nostri avversari; » Buti.
Meglio: sino al mio passaggio dalla Chie-
sa militante alla trionfante.
85. nE8PIR1: riparli; v. 82 spirò = parlò;
qui respirare = parlare.
86. RMMI: mi è.- DICH: dica; ofr. Inf.
XXV, 6. Nannuo., Anal. crit., 284 © seg.
577 © seg.
88. LR NUOVE: le Scritture dell’antico e
del nuovo Testamento pongono il segno
cui tende la speranza, ed esso segno mi
addita, mi mostra a dito, ciò che la spe-
ranza mi promette. Salle svariate inter-
protazioni di questi versi ofr. Com. Lips.
III, 680-688. Benv. pone il punto fermo
dopo amiche, facendo dei versi 88a 90 ana
sola proposizione, onde il senso sarebbe:
Le scritture pongono il seguo delle ani-
me da Dio elette, cioè il fine a cui cese
tendono; © questo fine a cai tendono le
anime eletto mi addita ciò che promette
la speranza. Talunorinnovò recentemen-
te questa interpretazione spacciandola,
come di solito, per roba sua. Corn. segue
Parenti, Ces., eoc., secondo § quali lo mi
[01ELO OTTAYO]
Par. xxv. 89-102
[SPERANZA] 955
Pongono il segno, ed esso lo mi addita.
Dell’anime che Dio 8’ ha fatte amiche
91 Dice Isaia, che ciascuna vestita
Nella sua terra fia di doppia vesta,
E la sua terra è questa dolce vita.
94 E il tuo fratello assai vie più digesta,
La dove tratta delle bianche stole,
Questa rivelazion ci manifesta. »
97 E prima, appresso al fin d’este parole,
Sperent in te, di sopra noi 8’udi,
A che risposer tutte le carole.
100 Poscia tra esse un lume si schiari,
Sì che, se il Cancro avesse un tal cristallo,
L'inverno avrebbe un meso d'’ un sol di.
additasarebbero parole di 8.Jacopo; onde
il senso: FA egli mi diase; A dditami que-
sto segno posto dallo Scrittare.
91. IsarA: LXI, 7. - CIASCUNA: delle
anime che Dio e’ Aa fatte amiche, cioè
elette.
92. porria VESTA: la beatitudine del-
l'anima e del corpo dopo la risurrezione;
ofr. v. 127.
08. LA BUA: la patria vera di ciascuna
anima eletta. - vita : Il Paradiso.
94. FRATRULO: 8. Giovanni, nell’ Apocal.
VII, 9, 13 17.- nioxsta: distinta, parti-
colareggiata. Apocal. VII sono enume-
rate le future delizie degli eletti, eredi
del regno de’ cieli.
97.R rRIMA: quando Dante ebbe finito
di parlare si udì prima un cantodei Reati,
poscia venne Incontro al Poeta |’ anima
gloriosa di San Giovanni. Al. R_ rina,
PRRSSO; R PRIMA, R PRESSO. I Reati non
interrompono il Poeta, ma cantano quan-
do egli ha finito di pariare; confr. Per.
XXIV, 1126 seg.; XXVI, 67 © seg.
98. SCERRNT: Salm. IX, 11. Dante ha
citato questo verso nella sua lingua ma-
terna, v. 73 e seg.; | Beati lo cantano in
vece nella lingua della Chiesa, che è pare
quella del Paradiso.
09. RISICOBRR : cantando il verso, ol'inno
intonato. - CAROLE: cori di Beati; ofr.Par.
XXIV, 16.
V.100-117. Apparizione di 8. Gle-
vanni. Cantato il Salmo, uno dei lumi
componenti quelle celesti carole si fa così
fulgido, che se la costellazione del Canoro
possedesse un tale astro, da messo de-
cembre a mezzo gonnaio ai avrebbe un
giorno non interrotto da veruna notte.
K come surgo e va od ontra in ballo Vor-
gine liota, non per alcuna vanità, ma solo
por fare onore alla sposa; così San Gio-
vanni Apostolo ed Evangelista, fattosi
più fulgido, si unisce a Pietro e Jacopo
che danzano cantando. Beatrice gli affie-
Ra come sposa tacita od immota guarda
le vorgini danzanti in suo onore. Quindi
rivoltasi a Dante: « Questi, » dice, « è
quegli che giacque sovra Il petto di Cri-
sto; questi è quel Giovanni, che dalla
oroce fu prescelto a tener lnogn di figlio
a Maria.» Ma l'attenzione, con che ella
guarda gli Apostoli, è tale, che fl di lei
parlare non la distoglie dall'affissarti nè
più nè meno di prima. - Cfr. Della Valle,
Senso, 145 © seg. Dionisi, Anedd. 11, 68
e seg. Barlow, 512 e ceg.
100. un LuMR: San Giovanni.-81scnia-
ni: si fece più Incente degli altri.
101. CRISTALLO: una stella così bril-
lante. Vale a dire che quel lume risplen-
deva come il Sole; cfr. Daniele XII, 8.
8. Matt. XIII, 43. L. Vent., Sim., 41.
Com. Lips. IIT, 684 © seg.
103. p’ UN BOL DÌ: « quando nel verno
tramonta la costellazione del cancro, sor-
ge tl solo, o quando tramonta il sole sorge
la costellazione dol cancro. Dunque, se
nel canoro ci fosse una stella così lumi-
nosa, nel mese in cui avviene quell'av-
vicendarsi del cancro col sole, ci ea-
rebbe sempre giorno, o determinato dal
Sole, o determinato dalla supposta stel-
la; Corn.
956 [CIELO OTTAYO]
Par. xxv. 103-117
[8. GIOVANNI)
108 E come surge e va ed entra in ballo
Vergine lieta, sol per fare onore
Alla novizia, e non per alcun fallo:
100 Così vid’io lo schiarato splendore
Venire ai due, che si volgeano a ruota,
Qual conveniasi al loro ardente amore,
109 Misesi li nel canto e nella nota;
E la mia donna in lor tenne l'aspetto,
Pur come sposa tacita ed immota.
112 « Questi è colui che giacque sopra il petto
Del nostro Pellicano, e questi fue
D'in su la croce al grande ufficio eletto. »
115 La donna mia così; né però piùe
Mosser la vista sua di stare attenta
Poscia, che prima, le parole sue.
103. surck: « Sarge, propera amica
mea, columba mea, formosa mea, et
veui; » Cant. Oantic. TI, 10. « Para pe-
dibus plaudunt choreas et carmina di-
cuut;» Virg. den. VI, Gil.
105. NOVIZIA: sposa novella. In alcuni
dialetti voce dell'uso. - FALLO: di vani-
tà, per ossere vagheggiata. « Non amore
luxuriw lascivo vol vano; » Benv.
106. scuanKato: la luce in cho ora am-
mantato lo spirito di San Giovanni, fatta
più lucente; cfr. v. 100.
107. al DUR: a S. Pietro e S. Jacopo
che danzavauno in giro.
108. QUAL: con quella velocità che al-
l'ardente loro amore si convoniva. Il più
o meno rapido volgersi di quoi vivi lumi
è segno di maggiore o miuore beatitudi-
ne, come il Poeta osservò già tante volte;
qui la velocità del giro è misura della
carità.
100. MISKS1: entrò terzo a cantare con
S. Pietro e 8. Jacopo le stesse parule:
Sperent in te, v. 98, in su le medesime
note. Cir. Purg. XXX, 92 © seg.
110. DONNA: e Beatrice formò lo sguar-
do sopra i tre Apostoli, ascoltando quieta
e tacita il loro canto.
112. Giacquk: cfr. S. Giov. XIII, 23;
XXI, 20.
113. PRLLICANO: Cristo; cfr. Sala. CI,
7. « Merito vocatur policanas, quia ape-
ruit sibi latus ad liberativunom nostram,
sicut policanas ex sanguine pectoris vi-
viticat filios mortuos. Est autem polica-
nus avis mgyptia; » Benv. Cfr. Brunet.
Lat. Tes. V, 30. Oum. Tipe. III, 686.
114. DIN SU: AL IN BU. - UFFICIO: di
toner luogo di tiglio a Maria; cfr. 8. Gioo.
XIX, 26, 27.
116. MOsskr: la mia Donna mi disse
così; nd però le suo parole mosseru la
saa vista dallo stare attonta pid dopo
cho prima; ciod: ad onta dol suo parlar
nocd, ussa CONLINND a yuardare colla
atussn attonzione i tro apostoli, Al. Mos-
BK, © al v. 117: ALLK FAKOLE 8UX, lo-
zione troppo oscura e nun accettata da
un solo tra i tauti commentatori antichi ;
Cfr. Com. Lips. 111, 687.
V. 118-135. Una leggenda rettifi-
cata. Da una parola detta da Cristo sul
couto di S. Giovanni (cir. S. Giov. XXI,
20-23) ebbe origine la leggonda, che Sau-
Giovanni non fosse morto, ma salito in
ciolo in anima e corpo. Dante finge cho,
curioso di accertarsi se fosse veramente
così, fissasse lo sguardo uella viva luco
di S. Giovanni, in modo da restarne ab-
bagliato. Onde S. Giovanni gli dice che
il suo corpo è in terra como quello di
altri mortali, e che soltauto Cristo o Ma-
ria sono in corpo od anima nel cielo, iu-
giungendogli di riferiro il futto in terra.
Dotto cid i tro Apostoli si formano. Sulla
relativa leggonda cfr. Aug. in Ev. Jok.
XXI, Thom. Ag. Ston.th.I1I, Suppi., 77,
1. Di Euoc e di Elia (cfr. Gen. V, 24. Ebrei
XI, 5. ZV Reg. II, 11 0 sog. Inf. XXVI,
35 © seg.) il Poota sumbra essersi qui
[CIELO OTTAVO]
Par. xxv. 118-135
[LEGGENDA] 957
118 Quale è colui ch’ adocchia, e s’ argomenta
Di vedere eclissar lo sole un poco,
Che per veder non vedente diventa:
121 Tal mi fec’ io a quell’ ultimo fuoco,
Mentre che detto fu: « Perché t’ abbagli
Per veder cosa, che qui non ha loco?
124 In terra è terra il mio corpo, e saràgli
Tanto con gli altri che il numero nostro
Con l’eterno proposito s'agguagli.
127 Con le due stole nel beato chiostro
Son le due luci sole che salîro;
E questo apporterai nel mondo vostro. »
130 A questa voce l’infiammato giro
Si quietò, con esso il dolce mischio
Che si facea del suon nel trino spiro,
183 Sì come, per cessar fatica e rischio,
dimenticato, 0 li passò forse n bella po-
ata sotto silenzio?
118. S'ARGOMENTA: 8’ ingegna, Come
chi fissa gli occhi nel Sole, sforzandosi
di vedorno il parziale eccliasi annunzinto
dagli nstronomi, ne rimano nbbaglinto. Tl
sapere che il Sole sta per eccliasarsi pare
che dia coraggio n fiasarlo; ed in questa
idea sta la proprietà della similitudine.
120. NON YVEDRNTE: por fiasarsi con le
pupille nel Sole si abbarbaglia, onde non
vede più.
121. A QUELL''ULTIMO: ingegnandomi
di tener fisso lo agnardo a quello dei tre
aplendori che mi si era ultimamente nv-
vicinato, ciod alla‘viva luce di S. Gio-
vanni.
122. MENTRE CHE: finchè. — DETTO FU:
da 8. Giovanni. - t'AmnAGLI: perchd mi
guardi tanto fissamente in modo da ro-
starno abbagliato!
123, cosa: il mio corpo, che non è qui
nel cielo; cfr. I Cor. XV, 60.
124, sARAGLI: vi sarà, cioè in terra.
Gli per vi, come Inf, XX.XIIT, 54, Purg.
VIII, 60; XIII, 7, eve.
125. ALTRI: corpi umani, - NUMERO:
degli eletti; ofr. Apocal. VI, 11. Aug.
Erem. V, 70.
120. L'iTERNO PROrOSITO: locuzione
biblica; ofr, Rom, VIII, 28. Afesi I, 4,
11, I Timot, I, 9. Aug, De corrept, et
grat., 18. Thom. Aq. Sum. theol. I, 23, 7.
- B'AGGUAOLI: si pareggi.
127. DUR BTOLM: corpo cdl anima, - cuio-
stro: cfr. Purg. XV, 57; XXVI, 128.
128. pue: Cristo e Maria, - BALTRO : al-
l'Empireo; ofr. Par. XXIII, 85-87, 112-
126. Unicnmente Gesù e Maria andarono
in clelo coi corpi loro prima della nni-
versalo risurrezione.
130, L'INFrAMMATO GIRO: la danza di
quelle viventi fiamme.
181. miscro: quella soave mischianza
di danza e di canto, « Cessarono qui di
girare le tre loci, e cessò il suono dei
loro canti; » Corn.
182. Tao: Pietro, Jacopo e Giovanni.
133. crasar: evitaro, achifare; cfr. Inf.
XVII, 83. «Comparatio stat in hoc, quod
sicut onna solus sibilus patroni navis fa-
cit cessnre nautas a navigatione st cla-
more, ita simplox verbum apostoli fecit
desistero alios n motu ot cantu. Fat enim
aciondum, sient aliquando vidi, quod pa-
tronus galem, quando vult remiges cos-
sanre a dacta remoram, vel nd quicscen-
dam, vel ad vitandam aliquod perion-
lum imminens, facit noum sibilam, ad
quem subito omnes quiescunt; nec ost
rex vel dox in mondo, cui tam cito pa-
reatur n suia, alont tali patrono pare-
tar a oavigantibos. Ad propositum orgo
autor indicat festinnm obedientiam apo-
stolorum, qui statim quietati sont ad
verbom Johannis, per featinam obedien-
tinm nautarum, qui statim quietantur
ad sibilum patroni. Volebat enim Johan-
958 [CIELO OTTAVO] Par. xxv. 184-139 - xxvi. 1-2 [ocCHIO ABBAGL.]
Li remi, pria nell'acqua ripercossi,
Tutti si posan al sonar d’ un fischio.
130 Ahi quanto nella mente mi commossi,
Quando mi volsi per veder Beatrice,
Per non poter vederla, ben ch’ io fossi
139 Presso di lei, e nel mondo felice!
nes omnes quiescere, ut loqueretur com
nutore; » Benv.
135, AL B0GNAR:; cfr, Stat, Theb, IV, 805
e seg. VI, 790 ca sog. Arior,, Orl. XVILI,
143, Pulci, Morg. XX, 35,
V.136-139. L'occhio abbagliato, Cea-
sato il girare di quelle tre fiamme be-
nedette, cessata la danza ed il canto,
Dante si volge a Beatrice, per vedere,
come di solito, che cosa egli debba fare,
o si accorge di essero talinento abbaglia-
to, da non vedere più nulla, benchè in
cielo, onde egli è tutto commosso. Sal
possibile senso allegorico di questi veral
ofr. Par. XXVI,76eseg. Com. Lipe. III,
691. La grazia di Dio priva l' nomo alcun
tempo della vista, per farlo poi tanto più
veggente ; ofr, Par, XXVI, 12.
130. MI COMMOSSI; avendo seco di quel
d'Adamo. I Benati nè si commovono nè
sbigottiscono.
137.rER veDER: mi volsi per veder Bea-
trice, o rimasi sorpreso o turbato per non
poterla vedere. Soltanto ora si accorge
che la sua vista è abbagliata per essersi
troppo fisso nolla viva luce di S. Giovanni.
CANTO VENTESIMOSESTO
CIELO OTTAVO
STELLATO :
SPIRITI TRIONFANTI
ESAME INTORNO ALLA CARITÀ, ADAMO
IL PRIMO PECCATO, IL PRIMO TEMPO, LA PRIMA LINGUA
LA PRIMA DIMORA
Mentr’io dubbiava per lo viso spento,
Della fulgida fiamma che lo spense
V. 1-18. L’oygetto della carità. San
Giovanni incomincia l'esame del Poeta
intorno alla carità colia domanda: Quale
è l'oggetto degli affetti tuoi ? Che è quello
che tu amif Dante risponde che l’unico
oggetto dell'amor suo è Dio. Non dà ve-
runa definizione della carità, come della
fede e della speranza, la definizione es-
sendo contenuta già nella questione circa
l'oggetto della carità. < Charitas est amor
Dei quo diligitar ut beatitudinia obje-
ctum, ad quo ordinamor per fidem et
spom; Thom. Ag. Sum. theol. I?, 65, 5;
ofr. ibid. I1?, 23-27.
1. DUBBIAVA ; temeva d'aver perduto il
senso della vista. - LO viso: Al. LO LUME.
2. rlAaMMA: di che si ammantava |’ ani-
ma gloriosa di San Giovanni.
[CIELO OTTAYO)
PAR. xxvi. 8-18
[CARITÀ] 959
Uscì uno spiro che mi fece atteuto,
4 Dicendo: « Intanto che tua ti risense
Della vista che hai in me consunta,
Ben 6 che ragionando la compense.
7 Comincia dunque, e di’ ove s’appunta
L’ anima tua, e fa’ ragion che sia
La vista in te smarrita e non defunta;
10 Perché la donna, che per questa dia
Region ti conduce, ha nello sguardo
La virtù ch’ebbe la man d’Anania. »
13 Io dissi: « Al suo piacere, e tosto e tardo
Vegna rimedio agli occhi, che far porto
Quand’ ella entrò col fuoco ond’ io sompr’ ardo.
16 Lo Ben, che fa contenta questa corte,
Alfa ed omega è di quanta scrittura
Mi legge Amore, o lievemente o forte. »
8. SIRO: euono, vece; cfr. Per. XXIV,
82; XXV, 82. Usa spirare per il parlare
degli spiriti.
4. TI RISENSI: ti riconsi, riacquisti il
senso della vista. Al. Ti RINSENSE.
5. CONSUNTA: che è rimasta abbar-
bagliata guardandomi. Aveva guardato
quel lame più lungo tempo e più atten-
tamente degli altri per iscorgervi Il corpo
di 8. Giovanni; ofr. Par. XXV, 118 eseg.
6. COMPENSR: compensi, ricompensi la
vista con la favella.
7. 8'AlPUNTA: tende, è diretta; cfr.
Purg. XV, 49. Par. VI, 28. « Dove tende
ed aspira l’anima tua, come a suo ultimo
fine!» Vell. - « Dove il tuo amore ha sao
riposo e suo fondamento; » Tom.
8. FA RAGION : fa’ conto, tieni per vero
(cfr. Inf. XXX, 145) che la tua vista è
soltanto sospesa, non già estinta. Parola
di conforto, chè il timore di aver perdute
la vista avrebbe troppo distratto il Poeta
nella risposta.
9. DEFUNTA: morta, spenta, distrutta.
10. DONNA: Beatrice. - pia: divina;
oft. Par. XIV, 84; XXIII, 107. Lucret.
Rer. nat. I, 23.
12. ANARIA: che tolse la cecità a San
Paolo; ofr. Atti IX, 10 © seg.
13. AL SUO: come a lei meglio piacerà,
presto o tardi.
14. PORTE: che furono comele porte per
le quali entrò in me l'amore onds lo ardo.
16. LO Ben: Dio è l'oggetto del mio
amore, Îl principio e il fine di tatti gli
affetti miei e piccoli e grandi.
17. ALFA RD OMEGA: frase apocalittica ;
ofr. Apocal. I, 8; XXI, 6; XXII, 18. fp.
Kani, 88. Sulle svariate interpretazioni
di questa terzina confr. Com. Lipe. III,
604-696. La scritture ricorda il « libro
della memoria,» Vita N., 1, ed il «libro
che il preterito rassegna, » Par. XXIII,
54. L'Amore che legge al Poeta ricorda Il
verso: « Amor che nella mente mi ra-
giona, » Purg. II, 112, como pare l' Amor
che « spirae detta dentro,» Purg. XXIV,
52 e seg. Là Amore regiona nella mente
e detta dentro; qui caso legge |’ interna
eorittara, trattandosi qui di ciò che è già
seritto nel libro interno, cioè dell'amore
che Dante possiede: « Quanta scrittera
mi legge Amore » vale dunque: Tutto
ciò che in me alia carità sei riferisce,
tutto l'amor mio; rappresentato questo
amore come una scritture, cesia come un
capitolo del libro interno. Dice dunque:
Dio è l'oggetto di tutto il mio amore. Ed
aggiunge o lievemente o forte, volendo al-
guificare che veramente tutto quante
l'amor suo è dedicato a Dio, giusta fi
procetto avangolico, S. Matt. XXII, 87.
V. 19-66. Stimoli alla carità. « Quali
sono i motivi che ti eccitano ad amar
Dio?» continua ad interrogare S. Gie-
vanni. E Dante risponde: « La Ragione
e la Rivelazione. » - « Ma non ci è, oltre
la Ragione e la Rivelazione, qualche altra
960 [CIELO oTTAVO]
PAR. xxvi. 19-34
[CARITÀ]
19 Quella medesma voce, che paura
Tolta m’avea del sùbito abbarbaglio,
Di ragionare ancor mi mise in cura;
22 E disse: « Certo a più angusto vaglio
Ti conviene schiarar; dicer convienti
Chi drizzò l'arco tuo a tal bersaglio. »
25 Ed io: « Por filosofici argomenti,
E per autorità che quinci scende,
Cotale amer convien che in me s’imprenti;
28 Ché il bene, in quanto ben, come s’ intende,
Così accende amore, e tanto maggio,
Quanto più di bontate in sé comprende.
at Dunque all’ essenza, ov’6 tanto vantaggio,
Che ciascun ben che fuor di lei si trova
Altro non è ch’ un lume di suo raggio,
34 Più che in altra conviene che sì muova
causa che ti porta ad amar Diof» - « 8),
anche | benefizii di Dio, il creato, la vita
che Egli mi diede, la morte che Egli sof-
ferse per la mia salvazione, l'eterna bea-
titudine ch' Egli ha preparata a' suoi fe-
deli, - tutto ciò m’indusse a lasciare il
falso ed appigliarmi al verace amore.
Quant'è poi a tutte le creature, onde
per cura della divina provvidenza il
mondo si adorna, io le sino nella misura
della bontà, della perfezione comunicata
loro da Dio. »
20. TOLTA: promettendomi che avrei
ricuperato la vista, v. 4, 5, 8-12.
21. IN CURA: in sollecitudine; iu atten-
zioue.
22. VAGLIO: stuocio, qui figuratamente
per esame = Devi passare per esame più
stretto.
23. BSCHIARAR: <« a più stretto crivello,
cioò a più strotto csaminamento, ti con-
viene diventare chiaro e manifesto, come
tu drizzi alla carità, come lo crivello più
stretto più tiene del grano; imperò che
tivne lo granello grosso e minuto; e coal
rimane più netto e puro: così tu, Dante,
rimarrai più chiaro, quando più stretta-
mente sarai esaminato; » Buti. - « Ti
convien più minutamente dichiarar que-
sto tuo amore, e couvion che tu dica, chi
fu quegli che drizzò il tuo amore a tal
fine; » Dan.
24. cui pRIZZÒ: Al. CHE DRIZZÒ; chi
t'insegnd ad amare Iddio. - BERSAGLIO:
Al. BERZAGLIO ; segno al quale tendono i
balestrieri o sagittari; cfr. Diez, Wért.
II, 221.
25. ARGOMENTI: < per argomenti che
fauno i Filosofi, che dicono che ogni uo-
mo desidera il sommo bene; » Buti. Cfr.
Purg. XVI, 85 e seg. De Mon. II, 1.
26. QUINCI: dai cielo = per la rivelazio-
ne, ossia per l'autorità dei libri sacri.
27. B'IMURENTI: 8’ jmprima.
28. COME S'INTENDE: sittostochè ela
conosciuto come bene, e come tale com-
proso dall'intelletto. Tutta la presente ar-
gomoentazione si può ridurre al seguenti
quattro punti: 1° Il bone, come tale ri-
conosciuto ed appreso, acooude sempre
amore di sè. 2° Questo amore è tanto più
grande, quanto più perfetto è il bene ri-
conosciuto ed appreso. 8° Dio è il sommo
Bene; tutti gli altri beni non sono che
altrettanti raggi di Lui. 4° Convien dun-
que che ami Dio sopra ogni cosa chiun-
que riconosce che Egli è il sommo Bene.
29. MAGGIO: maggiore; cfr. Inf. VI, 48;
XXXI, 84. Par. VI, 120; XIV, 97, eco.
31. ALL'ESSENZA : divina. - TANTO VAK-
TAGGI0: Al. TANTO AVVANTAGGIO; 80-
vrabbondanza di perfezione.
38. UN LUME DI SUO RAGGIO: Al. UN
LUME DRL SUO RAGGIO; DI SUO LUME UN
RAGUIO ; cfr. Conv. III, 7. Par. XIX, 52
© seg. Thom. Ag. Summ. theol. I, 6, 4.
84. IN ALTRA: più che verso qualunque
altra essenza. - Al. 1N ALTRO. - 81 MUOVA:
[CIELO OTTAVO]
PAR. xxvi. 85-52
(CARITÀ) 961
La mente, amando, di ciascun che cerne
Lo vero, in che si fonda questa prova.
37 Tal vero allo intelletto mio sterne
Colui che mi dimostra il primo Amoro
Di tutte le sustanzie sempiterne.
40 Stèrnel la voce del verace autore,
Che dice a Moisè, di sé parlando:
“To ti farò vedere ogni valore. ,,
43 Stèrnilmi tu ancora, cominciando
L’ alto preconio, che grida l'arcano
Di qui laggiù sovra ogni altro bando. »
48 Ed io udi’: « Per intelletto umano,
E per autoritadi a lui concorde,
De’ tuoi amori a Dio guarda il sovrano.
49 Ma di’ ancor, se tu senti altre corde
Tirarti verso lui, sì che tu suone
Con quanti denti questo amor ti morde. »
62 Non fu latente la santa intonzione
ofr. Purg. XVIII, 26: « Quel piegare è
amor. »
85. CRRNR: distingue, riconosce; ofr.
Inf. VIII, 71. Per. XXI, 76. Chi vede il
vero au cui pi fonda questo sillogismo,
cioè che Dio è Il sommo Rene, deve ama-
re Lui più che altra cosa qualsiasi.
87. TAL VERO: cho Dio è il sommo Bene.
- STRRNR: appiana, dimestra.
88. cotul: Aristotile, il quale disse:
Unus est princeps; o nella Fisica e nella
Metafisicn pono uno Iddio, è nel libro De
Causis pone Iddio como causa suprema,
cioè Bene sommo, ed insegna, le anime
umano desiderare naturalmente di riu-
nirsi alla loro prima cagione; Lan., Ott.,
An. Fior., Post., Cas., Petr. Dant., Fram.
Pal., Falso Boce., Henv.. Land., Dan.,
Vol., Vent., Tom., Andr., eco. Cfr. Cono.
III, 2. Altri intendono di Platone, il
quale nel principio del suo Simposio dice
che amore (cioè Il sommo Bene in sè dif-
fusivo) è il primo di tatte le sustanzio
sempiterne; così Lemd., Port., Pog., Oo-
st., Ces., Br. B., Franc., eco. Altri inten-
dono di Dionisio Areopagita, fondandoei
su quanto lasciò scritto De cask. Ater. 11,
3: così Vell., Filal., Witte, eco. Altri di-
versamente; cfr. Com. Lipe. III, 699 e
seg. FILOMUSI GURLFrI, Colui ehe dimostra
« Dante il primo amore di tutte le custan-
61. — Die. Comm., 2° edis.
zie sempiterne, Verona, 1893. (Seconde
questo autore Dante intende del Sole) (1).
40. stRRNRL: lo mostrano le parole di
Dio steeen, Esod. XXXIII, 19.
43.8TRRNILMI: roelo dimostri anche ta.
44. L'ALTO IRRCONIO: I A pocaliesi, de-
ve Dio è detto «l'Alfa e l'Omega, il prin-
cipio e la fine, » Apocal. I, 8. Così gli an-
tichi. Altri, men bene, intendono dei
Vangelo di 8. Giovanni, nel cul primo
capitolo si tratta così profondamente del
mistorodoll'Incarnasione deldiviuVerbo.
45. OGNI ALTRO: Al. CANI LATO.
46. INTELLETTO : por Glosofici argomen-
ti, v. 26, © perl'antorità delle Sacre Serit-
ture, v. 26, che vanno d'accordo cogli
argomenti filosofici, Il sovrano, cioè, il
primo de’ tnoi amori guarda, è diretto
a Dio. In sostanza: Tu ami denque Dio
sopra ogni cosa, iadottori da argomenti
* tolti dalla Ragione e dalla Rivelazione.
Cfr. Com. Lips. 111, 701 © veg.
48. guaRDa: è rivolto a Dio.
49. CORDE: ragioni. « Altri movimenti
che ti tirino ad amare Iddio, come la cor-
da tira chi è legato; » Buti.
80. LUI: Dio. - SUONE: suoai, dica; ofr.
Purg. XIV, 69.
81. CON QUANTI: da quanti lati e par
quante ragioni sei tirato ad amare Iddio.
63. LATENTE: nascosta, oscura. « Non
962 [CIELO OTTAVO] PAR. XXVI. 53-67 [cARITÀ]
Dell’aguglia di Cristo, anzi m' accorsi ;
Dove volea menar mia professione.
66 Però ricominciai: « Tatti quei morsi,
Che posson far lo cuor volgere a Dio,
Alla mia caritate son concorsi;
68 Ché I’ essere del mondo, e l'esser mio,
La morte ch’ ei sostenne perch’ io viva,
E quel che spera ogni fedel com’ io,
61 Con la predetta conoscenza viva,
Tratto m'hanno del mar dell'amor torto,
E del diritto m’ han posto alla riva,
Ga Le frondi, onde s' infronda tutto I’ orto
Dell’ ortolano eterno, am’ io cotanto,
Quanto da lui a lor di bene è porto. »
67 Si com’ io tacqui, un dolcissimo canto
solamente non mi si celò e nascose il san-
to proponimento dell’ Evangelista, figu-
rato por l'Aquila; auzi m'accorsi dovo
egli vulea condur lu confession mia, vo-
leva ch'io confessassi quali altre cagioni
mi trassero alla carità e ad amare Dio; »
Dan.
63. AGUGLIA: Al. AQUILA. Nell’ aquila
menzionata Apocal. IV, 7 i SS. Padri
ravvisarono il simbolo di San Giovanni.
< Aquila ipso ost Johannes sublimiuu
predicator;» Aug. ‘ract. 35 in Johan.
Cfr. Purg. XXIX, 88-105.
55. MOLSI: stimoli, ragioni; ofr. Thom.
Aq. Sun. theol. IT®, 27, 3.
57. CONCORSI: « © così ai vede essore a
questa amistà concorse tutte le cagioni
generative ed accrescitive dell’amistà; »
Conv. I, 13.
58. L'Esskitk: la divina bontà e ma-
gnificenza che si rivela nelle opere della
creazione; cfr. Salm. XVIII, 1. Kom. I,
20. Thom. Ag. Sum. theol. I, 82, 1. - L'ks-
BRR MO: l’avermi Dio Creato; cfr. Salm.
VIII, 4 © seg.
59. kl: Al. KL; Cristo; confr. I Ep. di
S. Giov. IV, 9, 19.
60. QUEL: ia beatitudine eterna; cfr.
I Cor. II, 9. Ovloss. I, 5. Tito I, 1 e seg.
61. CONOSCENZA: che Dio è il sommo
Bene. - VIVA: porchd credata.
62. DKL MAK: duo mari oppoeti: l' uno
il mare del torto e traviante amore delle
cose terreno; cfr. Purg. XXXI], 14 eseg.;
l'altro il mare dell'amoro diritto,celcste,
divino. Tempestoso il primo, il secondo
tranquillo. Il mare dell'amore torto ri-
corda l'< acqua perigliosa, » Inf. I, 24, ©
corrisponde alla < solva oscura, » Inf. I,
1 © seg. Qui dice che gli argomenti filoso-
tici (Virgilio ?), l'autorità della Rivela-
zione (Beatrice?) e la considerazione dei
benefizj di Dio (la Visionef cfr. Inf. I,
91 © seg.) lo distolsero dal falso e lo gui-
darono al vorace amore.
Gi. LK FRONDI: lo creature. - L’ ONTO:
il mondo. Dopo aver parlato del suo amo-
re verso Dio, passa a toccare brevemente
del auo amore verso il prossimo.
65. ORTOLANO: « Pater mous agricola
est; » S. Giov. XV, 1.
66. QUANTO: nella misara del bene che
Iddio porge, comunica loro; ossia, tanto
più, quanto più riconosco in loro gli ef-
fotti e l'immagine della bontà di Dio; ofr.
Petr. Lomb. Sent.TII,27.Thom.A4q.Sum.
theol. II*, 25, 6, 10, 11; II°, 26,6.- «Amo
le creature in quanto meritano di essere
amate, e meritano di essere amate solo
‘ in virta di quelle perfezioni che loro Dio
ha comunicato ; » Corn.
V. 67-69. Plauso dei Beati. Sabito
che Dante ha terminato di professare la
sua carità, tutti i celesti, e Beatrice inaie-
me cou loro, lodano Iddio del buon esito
dell'esame subito dal Poeta intorno alle
tre virtù toologali. Tutti cantano: « San-
to, Santo, Santo è il Signor degli eserciti !
Tutta la terra è piona della sua gloria! »
l'inno dei Serafini, Isaia, VI, 3. Oppure
_ [orRLO ortavo)
Pan. xxvi. 68-78 [VISTA RIACQUIST.] 968
Risuonò per lo cielo, e la mia donna
Dicea con gli altri: « Santo, Santo, Santo! »
70 E come al lume acuto si dissònna
Per lo spirto visivo che ricorre
Allo splendor che va di gonna in gonna,
73 E lo svegliato ciò che vede abborre,
Si nescia è la sua sùbita vigilia,
Finché la stimativa nol soccorre:
76 Così degli occhi miei ogni quisquilia
Fugò Beatrice col raggio de’ suoi,
Che rifulgean più di mille milia;
cantano l'inno del quattro animali che
rtanno dinanzi al trono di Din: « Banton,
Santo, Santo è il Signoro Iddio onnipo-
tente, che era, che è, e che ha da ventre!»
Apocal. IV, 8.
68. DONNA: < fingo cho cantasso Bea-
trion Inaiome con gli altri; impord cho la
Chican militanto canta a Dio al divino
officio della messa cho i santi Angeli o
tutti 1 Beati cantano al fatto cantico a
Dio; » Buti. - « Boatrix cantabat grata-
lanter cum Illis beatis; » Bene.
V. 70-81. La vista riacquistata. Boa-
trice volge uno sgnardo a Dante, e quo-
sto nolo sguardo gli ridona intiera la fa-
coltà di vedere, che eragli rimasta impe-
dita dalla soverchia luce. Aprendo gli
occhi vedo ora meglio che non aveene
vednto prima. Ai tre lami di S. Pietro,
8. Iacopo e 8. Giovanni si è aggianto un
quarto. Stnpefatto il Poeta chiede chi
eeso sia.
70. AL LUMR: Al. A LUME; come al ve-
nire di un lume vivace l'uomo ai desta
dal sonno per virtù visiva che ricorre, si
rivolge, al raggio trapassante di gonne
in gonna, dall'una all'altra membrana
deli’ occhio; ed egli svegliato rifugge da
ciò che vede, tanto è nessia, incapace di
discernimento, la edita vigilia, il suo
improvviso svegliarsi, finchè la riflessio-
ne non viene a soccorrerlo : così Boatri-
ce, eco. Confr. L. Vent., Sim., 232. Purg.
XVII, 40 © seg.
71. BFIRTO VISIVO: « risponde per l'ap-
punto a quello ch' è detto Anido da‘ mo-
derni, ossia a quell'anra elettrica o altro
che scorre en e giù por i nervi sensorii
dall'organo al cervello, e che Alberto
Magno diceva eeser generato dalla parte
vaporosa più sottile del nutrimento; »
Osverni.
73. GONNA: le membrane o involucri
dall'occhio, lo tunica degli antichi.
73. ABBORRE: non può patire; non di-
stingue peranco. Sulle diverse interpre-
tasioni di questo luogo ofr. Encici. p. 7.
74. NESCIA: inconaapevole.- LA SUA
SÙnITA: AI. LA 8ÙnITA. « Qui recita come
Heatricn gli rondò la virtà visiva, dolla
quale era in privazione; e adduce por
esemplo che, sì come uno che abbia dor-
mito ai nveglia, e in quello luogo abbin
gran luce (come avviene d'estate a quelli
che dormono di meriggio) perchè la verta,
vel pupilla, è stata nel sonno coperta
dalla prima copertura dell’ occhio, se
subito si discaopre, non può sostenere
lo lume, ma conviene richiudere et aprire
tanto l'occhio con alcune fricazioni, che
la pupilla s' aasi a quello lume, e riceva
ajuto dalla stimativa in questo modo che,
aprendo e serrando il ciglio, a ei con-
forma a tanto Inme: così in proposito
Dante, per lo lume dello Evangelista,
era privo di Ince, soccorso esso da Rea-
trice, tornògli ogni virtù; » Lan., Ott.,
An. Fior.
75. LA BTIMATIVA : Al. L'ESTIMATIVA;
Il giudizio, la facoltà di valutare. « Fin-
chè l'occhio al avrezza e viene la rifice-
sione del conoscere; » Corn.
76. quisquiLIA: lat. quisguilio, im-
mondizie ; qui figurat. per impedimento
a vedere.
78 RIFULGRAN PIÙ: Al. RIFULGRAN DA
PIÙ; RIFULGRVA PIÙ: RIFULGRA DA PIÙ.
Gli cochi di Beatrice mandarano fl loro
splendore lontano più di mille miglia.
Così tatti, sino al Fan). che seguito da
pochi, intende: quel raggio degli cocohi
di Beatrice era tanto vivo, che risplea-
deva più di un milione di raggi; inter-
pretasione inammissibile.
964 [CIELO OTTAVO]
Par. rxvi. 79-93
[ADAMO]
70 Onde, me’ che dinanzi, vidi poi,
E quasi stupefatto domandai
D'un quarto lume, ch'io vidi con noi.
82 E la mia donna: « Dentro da que’ rai
Vagheggia il suo fattor l’anima prima,
Che la prima Virtù creasse mai. »
85 Come la fronda, che flette la cima
Nel transito del vento, e poi si leva
Per la propria virtù che la sublima,
ax Fec'io in tanto in quanto ella diceva,
Stupendo; 6 poi mi rifece sicuro
Un disio di parlare, ond'io ardeva;
DI E cominciai: « O pomo, che maturo
Solo prodotto fosti, o padre antico,
A cui ciascuna sposa è figlia e nuro;
79. mk’: meglio; cfr. Inf.1,112; 11, 36;
XIV, 86; XXXII, 15. Purg. XII, 68;
XVI, 125; XXII, 74; XXXI, 43.
80. sturkeatro: di vedere lì quel
quarto lame, cho prima non c'era. AL:
stapefatto di avere ricuperata la vista,
e più acuta di prima. Ma se domandò
quasi stupefatto di quel quarto lume, non
è chiaro che stapiva di vedere quel lume
e non altra conf
V. 82-96. Preglilera al primo Pa-
dre. Alla domanda, chi si fosse quel
quarto lume, aggiuntosi ai tre di S. Pie-
tro, S. Jacopo e S. Giovanni, Beatrice ri-
sponilo che in quoi raggi contempla liota-
mouto il suo Creatoro l'anima di Adamo,
che fu la prima crenta. A tale risposta il
Poeta china maravigliando il capo di-
nanzi al Padre dell'umana specie. Quin-
di, mosso dal dosiderio di sapero alcuna
cosa da lal, rialza con sicurtà il capo per
parlargli, e pregarlo: O tu, che solo tra
gli uomini fosti prodotto in eta matura,
tu a cal ogni sposa è figlia e nuora, per-
chè tua figlia maritata ad un tuo figlio,
quanto più posso dovoto ti prego di par-
larini. ‘Tu leggi nel cuor mio ciò che desi-
doro sapere da te, quindi non ti esprimo
ulteriormente la voglia mia, per non per-
der tempo col dirti ciò che tu già conosci.
83. rRIiMA: gli Angeli furono creati
prima dell'uomo; ma Dante parla di ani-
ine non di spiriti. Anche gli animali fu-
rono creati prima di Adamo; ma qui non
intendo cho delle auime intellettuali.
84. VIRTÙ: < la prima semplicissima e
nobilissima Virtà, che sola è intellet-
tuale, cioò Iddio; » Conv. ITT, 7.
45. FLETTRK: pioza, dal Int. fectcre. Cir.
Stat. Zheb. VI, 854 © seg. Tasso, Ger.
XIX. 19.
87. LA SUBLIMA: la riporta in alto, la
raddrizza; cfr. Par. XXII, 42. « Per quel-
la sua propria viriù che tende sempre a
rialzarsi quaud'ò piegata; » Betti.
88. IN TANTO IN QUANTO: fn (anto tom-
po, in quanto Beatrice mi disse queste
parole. Al. IN TANTU QUANTO, e tatti spie-
gauo: intanto, mentre Beatrice parlava.
Corn : «Mentre parlava Beatrice mi chi-
nai por istupore, 0 poi presi sicurtà spru-
nato dal deslo di parlare. »
89. STUPENDO: meravigliandomi di tro-
varmi dinanzi all'antico primo padre.
O01. FOMO: uomo; non troppo delicato,
risvegliando subito l'idea dul primo fallo.
- MATURO: « Adam in virili mtate conti-
nuo factus est, ot hoo secundum saperio-
res, non inferiores causas; id eat, secan-
dum voluntatem et potentiam Dei, quam
natur.o goneribus non alligavit, qualiter
et virga Moysi conversa est in draco-
nem;» Petr. Lumb. Sent. II, 17. Confer.
Thom. Aq. Sum. th. 1, 91, 2-4. De Vulg.
El. 1, 0. Par. VII, 26; XIII, 82 0 seg.
92.8010: Eva è considerata come parte
d'Adamoesottintesa; ofr. Gen. LIT, 23-24.
Kom. V, 126 seg. I Our. XV, 45 e seg.
93. NUKO:; lat. nurus, nuora; cfr. Nan-
nuc., Nomi, 48.
[CIELO OTTAYO]
Par. xXv1. 04-107
(ADAMO) 965
94 Devoto quanto posso a te supplico
Perché mi parli; ta vedi mia voglia,
E, per udirti tosto, non la dico. »
97 Tal volta un animal coverto broglia
Sì che l'affetto convien che si paja
Per lo seguir che face a lui l’invoglia;
100 E similmente l’anima primaja
Mi facea trasparer per la coverta
Quant’ ella a compiacermi venia guja.
108 Indi spirò: « Senz’ essermi profferta
Da te, la voglia tua discerno meglio
Che tu qualunque cosa t’é più certa;
106 Perch’ io la veggio nel verace speglio
Che fa di sé pareglie l’altre cose,
9. surri.ico: in rima per edpplico, e
costruito alla latina colla prep. e, come
Par. XV, 85; XXXIII. 25.
96. NON LA DICO: Al. LA TI DICO; ma se
Dante non la dice?! Cfr. Moors, Ortt.,
482 © nog.
V. 97-114. Zl cuore srelate. Dante ha
detto ad Adamo: Tu leggi nel mio cuore
© vedi 11 mio desiderio, onde non è neces-
sario manifestarti la mia voglia con pa-
role. Tor mezzo dollo splendore in cho ni
ammanta, Adamo mostra la lieta sna vo-
lontà di complacergli, quindi risponde:
Certo, lo conosco la tua voglia meglio di
te, chè io miro in Dio, nel quale tutto si
specchia. Quattro cose tu desideri udire
da me: 1° Quanti anni sono passati dal
di della mia creazione a quest'oggi?
2° Quanto tempo io fni nel Paradiso ter-
restre, ossia quanto tempo trascorse dalla
mia creazione al primo fallo? 3° Quale fa
l'essenza del primo fallo? 4° Quale fu
la lingna da me creata e parlata?
97. 1HOGLIA: si muove, ef dimena, e
ne’ suoi movimenti s'avvilappe; confr.
Diez, Wort. I°, 88. Ad esprimere la gio-
conda volontà che Adamo, per mezzo
dello splemiore di che era vestito, mo-
atrò di compiacergli, il Poeta usa la simi-
litudine di un animale che coperto d'un
panno ai agita ai che si veggano i snol
moti di sotto la copertara, e faccia In tal
guisa manifesto ciò che brama. Com-
parazione poco felice, ma chiaramente
espressa. Cfr. L. Vent., Sim., 416.
98. at rasa: si manifeeti; ofr. In/.
XXI, 58. Purg. XIII, 7.
99. 1. INVOGLIA: dal lat. involvere, l'in-
volucro, la copertura.
101. COVERTA: copertura di lace e di
raggi.
102. venÌa GAJA: quanto si porgeva di
buona voglia a compiacermi; cfr. Fan/.
Btud., 186.
104. DA TK: coal | più; alcuni leggono
invece Darts. Ma il Poeta, il quale re-
gistrò di necessità una sola volta fl pro-
prio nome, non lo avrà corto registrato
un'altra volta qui, dove voramente non
era necessario; confr. Purg. XXX, 66.
Com. Lips. III, 7096 seg. Moore, Cril.,
483 © seg.
106. si:RGLIO : specchio ; Dio. Cfr. Per.
XV, 62.
107. PARROLIR L'ALTRR: Al. raRROLIO
L'ALTRR; PARKGLIO ALL'ALTRR. « Div
tutto comprende e nulla può ini com-
prendere; e nota lo modo del pariare:
la pupilla si fa pareglio della cosa vedu-
ta, in qnanto quella spera visiva, ch’ en-
tro vi ni moltiplica, è colorita e figurata
al modo della detta cosa veduta; così in
Dio si vele tutto, o però in quanto ivi el
vede, ello al pareglia a quelle cose che in
lui si vodono; © però dice CHR RA DI SÉ
PARKGLIK L'ALTRK COSR (Ott. raRRGLIO
AL’ ALTRE), R_KULLA FACK cioè ch’ altra
cosa non è che possa comprendere Dio;
in ease non si pnd specchiaro; > Lan.,
Ott., An. Fior. Sulle svariatiesime lezioni
ed interpretazioni di questa tersina ofr.
Com. Lipe. III, 710-712. - Benv.: «cnr
FA DI BÉ TARKOLIR L'ALTRR CORE, quia
Deus omnia comprehendit et contizet in
966
109
112
116
[CIELO OTTAVO]
Par. xxvi. 108-123
E nulla face lui di sé pareglio.
Tu vuoi udir quant’ è che Dio mi pose
Nell’ eccelso giardino ove costei
A così lunga scala ti dispose,
E quanto fu diletto agli occhi miei,
E la propria cagion del gran disdegno,
E l’idioma ch’usai e ch'io fei.
Or, figliuol mio, non il gustar del legno
[PRIMO PECCATO]
Fa per sé la cagion di tanto esilio,
Ma solamente il trapassar del segno.
118
Quindi, onde mosse tua donna Virgilio,
Quattromila trecento e due volumi
Di sol desiderai questo concilio;
121 E vidi lui tornare a tutti i lumi
Della sua strada novecento trenta
Fiate, mentre ch'io in terra fu’ mi.
a6, et non 6 converso; unde dicit: E NUL-
LA, scilicet rus FACK LUI PARKGLIO DI SE,
idest, et nil comprehendit vel continet
oom, quia nulla res est in qua appareat
totus Deus tamquam in speculo, sed bene
omnia apparent in specalo Dei. » - Corn.:
« Nella divina essenza sonovi le imagini
porfotte delle cose, ma in niuna di queste
cose v'è la imagine perfetta di Div. Pa-
REGLIO è imagine perfetta del Sole » (f).
109. UDIR: Al. SAPER, lezione troppo
sprovvista di autorità, oltrechè Dante
espresse il desiderio di udire, v. 96.
110. GIARDINO: nel Paradiso terrestre,
dove Beatrice ti fece abile a salire la
lunga scala dei Cieli.
112. SU DILETTO: © quanto durò quel
diletto del Paradiso terrestre = quanto
tempo vi stetti.
113. Proritia: vera, essenziale. - DI-
SDEGNO: dell'ira di Dio contro tutto il
genere umano.
114. E L'IDIONA: e la lingua che jo in-
ventai © parlai; cfr. Gen. Il, 19. Vulg.
El. II, 6.
V. 116-117. Zl primo peccato. Ri-
sponde Adamo sulla terza dollo quattro
questioni prupuste. La cagivue di tanto
esilio quanto seguitò poi, dell’ umana
generazione bandita dal Paradiso terre-
stre, non fu il gustar del frutto dell’al-
bero vietato per sè, ma il trapassar del
segno della natura umana in ciò, che
Adamo volle essore come Dio. Il suo fu
hi
dunque un peccato e di disubbidienza e
di superbia. Cfr. Joh. Damas. De Ade
orthod. 11, 30. Petr. Lomb., Sent. 1I, 22,
Hug. a 8. Vict. Erud. theol. de Sacram.
I, 7, 84. Thom. Aq. Sum. theol. 11°, 163,
1, 2.
V.118-123. Zl primo tempo. Rispon-
de Adamo alla prima delle quattro do-
mands: Quanto tempo scorse dalla sua
creazione al 13001 Fai 4302 anni nel limbo
e 930 anni sulla terra. Dalla creazione di
Adamo alla morte di Cristo passarono
dunqae 5232 anni, e dalla morte di Cri-
sto alla visiono dantesca 1266 anni, in
tutto anni 6498. La duta degli anni dolla
vita di Adaino 6 tolta dalla Genesi, V, 5;
l'altra da Eusebjo, che pone la nascita
di Cristo nell'anno del mondo 5200; cfr.
Purg. XXXIII, 62. Com. Lips. II, 785.
118. QUINDI: Al. Quivi; nel Limbo,
donde Beatrice fece partir Virgilio; cfr.
Inf. II, 52 © seg.
119. voLUMI: movimenti, rivoluzioni.
Volumi di Sole = auni. « Adde quod as-
sidaa rapitur vertigine cwlum, Sidera-
que alta trahit celeriquo volumine tor-
quot; » Ovit. Met. II, 70 © sey.
120. CONCILIO; dei Beati; cfr. Purg.
XXI, 10.
121. Lui: il Sole. - LUMI: segno dello
Zodiuco. Vidi il Sole tornare 930 volte a
tuttiisegni dello Zoiliaco = vissi 930 anni.
123. ru’ MI: mi fui; vissi; confr. Purg.
XXII, 90.
(CIELO OTTAYVO)
Par. xxvi. 124-187
(PRIMA LINGUA] 967
1% La lingua ch’ io parlai fu tutta spenta
Innanzi assai ch’ all’ ovra inconsumabile
Fosse la gente di Nembrot attenta ;
127 Ché nullo effetto mai razionabile,
Per lo piacere uman, che rinnovella,
Seguendo il cielo, sempre fu durabile.
130 Opera naturale è ch’ uom favella ;
Ma, così o così, natura lascia
Poi fare a voi secondo che v’ abbella.
133 Pria ch’ io scendessi all’infernale ambascia,
J s’appellava in terra il Sommo Bene,
Onde vien la letizia che mi fascia,
136 El si chiamò da poi, e ciò conviene;
Ché l’uso de’ mortali è come fronda
V. 124-188. La prima lingua. Ri-
sponde alia quarta domanda: Quale fn la
lingua parlata da Adamo! Questa lingua
era totalmente spenta già prima della
confusione babilonica. A questa
è annesso un accenno all'origine delle
lingno ed al cambiamento del nome col
quale fu chiamato il sommo Bene.
124. SPRRTA: nel De Vulg. eì. Dante
lasciò scritto, I, 6, che la lingua di Ada-
mo fu parlata da tutti | suoi posteri sino
alla confusione babilonica, e dagli Ebrei
anche dopo; qui emette, non si sa ben
perchè, una opinione tatto diversa. Cfr.
Com. Lips. III, 714.
125. INCONSUMABILE: impossibile a com-
piersi, la torre di Babele dovendo giun-
gere, secondo il progetto degli edifica-
tori, sino al cielo; cfr. Genesi, XT, 4.
126. NemBROT: cfr. Inf. XXXI, 77.
Purg. XII. 34.
127. RFFETTO: Al. AFFETTO. « Ew om-
nes differenti», atque sermonnm varie-
tates, que accidunt, una cademque ra-
tione patebant. Dicimus ergo, quod nul-
lus offectus superat’suam caneam, in
quantum effectas est, quia nihil potest
officere, quod non eet. Cum igitur omnis
nostra loquela (preter illam homini primi
concreatam a Deo), sit n nostro benepla-
cito reparata post confusionam illam,
qom nil fuit alind, quam prioris oblivio,
et homo eit instabilissimum, atque va-
riabilissimum animal, neo durabilis neo
continua esse potest; sed siont alia, que
nostra sunt, puta mores et habitas, per
locorum, temporumquedistantias variari
oportet; » De Vulg. elog. I, 9.- RAZIONA-
HILE: ragionevole, proveniente dall' ar-
bitrio dell'anima razionale. « La lingua
fu effetto prodotto dall’ uomo razionale.
Il talento dell'uomo non è immutabile,
come non è immutabile |’ infinsso che
scende dagli astri. Perciò il linguaggio
si mutò; » Corn.
128. "KR LO PIACRRR: canna l'appetito
degli uomini che roggiace a cambiamen-
to, secondo la posiziune e l'infiusso degli
astri.
130. OPERA NATURALK: il eignificare
con segni esterni i proprii pensieri ed
affetti è opera di natura; il fario in que-
sto o In quell'altro modo dipende dal-
l'uman arbitrio.
132. v'ABBRLLA : vi par bello, vi piace;
cfr. Purg. XXVI, 140.
138. AMBASCIA: al Limbo, ch'è la par-
te superiore dell'inferno; confr. Purg.
XVI, 39.
134. J: può eesere l'iniziale del nome
Jehovah, od anche un antico simbolo ce-
balistico di Dio. Altre lesioni: RL, L, UN,
r. Cfr. Com. Lipe. III, 716-720. Moorr,
Orit., 486-92.
135. onnr: dal quale deriva la mia
beatitudine.
136. EL: nome solito di Dio nella lin-
gua obraica cha N. il Forta, il l'onnente)
che Dante prese forse da 8. Isidoro, Ftim.
VII, 1: « Primum apud Hebrrece Dei
nomen EL dicitur, secundum nomen ELOI
est. » Cfr. Vulg. El. I, 4.
137. COME FRONDA: « Omnia caro sicut
968 [CIELO OTTAVO]
Par. xxvi. 188-142
[PRIMA DIMORA]
In ramo, che sen va ed altra viene.
139 Nel monte, che si leva più dall'onda,
Fu' io, con vita pura, e disonesta,
Dalla prim’ ora a quella che seconda,
142 Come il sol muta quadra, l'ora sesta, »
fienum veterascet, et sient folinm fruo:
tificans in arbore viridi; » Becles. XIV,
18. Confronta Hom. Il. VI, 181 è seg.
Horat. De Arte poet., 60 e seg. Conv.
TI, 14,
V. 1390-142. La prima dimora, N-
sponde finalmente alla domanda quanto
tompo egli dimorasso nel Paradiso ter-
restre. Intorno a questa questione vi l'u-
rono ilivorsi pareri. Alcuni erodettero
cho Adamo dimornaso setta anni nol
giardino «di Eden, altri 34 anni, altri 40
giorni, altri 8 giorni, ed altri (Ireneo, Ci-
rillo, Epifanio, ecc.) soltanto alcune ore.
Seguendo l'ultima opinione, Dante ain-
mette che Adamo peccasse in quello stes-
so giorno nel qualo fu creato v non di-
morasse nol Paradiso terrostro cho du
soi a sotto oro.
159. MONTK: nol Puradiso torrostro
sulla cima della montagua del Purgato-
rio che più di altri monti terrestri si in-
nalza sopra il livello del mare; cfr. Purg.
III, 14 o seg.
140. vuna: innoconto; dall'ora dolla
creaziono al gulimonto del frutto vie-
tato. - DISONKSTA: detarpata dal pecca-
to; dal godimento del frutto viotato sino
al momento che fu discacciato dal Pa-
radiso terrostro.
l4l, ruim'ona ; del giorno nel quale fu
creato. -SKCONDA: seguita, accompagna ;
efr, Purg. XVI,33; XXI1I,123; XXIX,
DI. Par. I, 34, oce. Al. Ci’ & arcomua,
142. COME: quando, iostochè ; efr. Inf.
1X,109; XXIT, 29,136, I'urg.1V,97, ecc.
-quanma : quadrante (Purg. IV, 42. Par.
XIV, 102), nn quarto di cerchio, ossia
un angolo di novanta gradi, Ogni sei ore
il Sole muta quadra, percorrendo iu tan-
to tempo la quarta parte del suo giro
intorno alla terra. « Dicendo che visse
pel Paradiso torrestre con vita innocente
e rea dall'ora prima del dì a quella che
succede all'ora sesta, come (cioò quando)
il solo muta quadra, esprimo la opiniono
tenuta da vari scrittori antichi, cho Ada-
uo soggiornaszo nel torrostro l'aradiso
setto ore soltanto; porcliè, supponendo
cho la creaziono uvvenisse in primavera,
il giorno propriamente detto constava di
dodici ore, ela sosta cadova sul mozzodì,
quando il Solo muta quadra, cioò quan- *
do pussa dalla prima quarta parto del
giorno completo di vontiquattr'oro alla
seconda; » Antonelli.
PN A e —_ ____ -. +=
[CIELO OTTAVO
PAR. xxvii. 1-9
[1NNo] 969
CANTO VENTESIMOSETTIMO
CIELO OTTAVO
STELLATO:
SPIRITI TRIONFANTI
°°
PREDICA DI BAN PIETRO CONTRO I PONTEFICI ROMANI
DOLORE CELESTE, SALITA AL NONO CIELO
CIELO NONO
CRISTALLINO: GERARCHIE ANGELICHE
= ———_
NATURA DEL PRIMO MOBILE
BELLEZZA CELESTE E CORRUZIONE TERRESTRE
« Al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo »
Cominciò « Gloria » tutto il Paradiso,
Si che m’ inebbriava il dolce canto.
4 Ciò ch’ io vedeva mi sembrava un riso
Dell’ universo; per che mia ebbrezza
Entrava per l’ndire e per lo viso,
7 O gioia! o ineffabile allegrezza ! :
O vita intera d’ amore e di pace!
O senza brama sicura ricchezza :
V. 1-9, Inno di ringraziamento,
Tutto il Paradiso intnona un inno di
grazie, incominciando: Gloria al Padre,
al Figlio ed allo Spirito Santo, Il Poeta
è inebbriato dalla dolcezza di quel cauto ;
il tripudio e la festa che vede gli pare un
riso dell'universo; onde la sua ebbrezza
è doppia, entrando per l'ndito dal canto
e per la vista col riso. Prorompe in wna
oaclamazions nella qualo celebra quella
ineMubilo gioja, qnolla vita interamonto
compinta d'amore è di pace, quella ric-
chezza che, n differenza delle ricchezze
della terra, non è tarbata nè dal timore
di perdere, nè dal desiderio di maggiore
acquisto.
3. m'ineunnava: cfr, Salm. XXXV,
9: « Inebriabontor ab ubertate domus
tum, »
B, INTERA: ofr, Par, XXII, 64 © sog.
9. BENZA DRAMA: « Il desiderio esser
non può colla beatitndine, accioochéè la
bentitudine sin cosa perfetta o il desi-
‘lorio sin cosa ilifettiva; chè nullo desi-
dera quello che ha, ma quello che non ha,
eh'è manifosto difetto; » Conn, ITT, 15,
Confr. Petrar. Canz., 1, Son, CKX.XIX,
(158), 1 o sog.
V. 10-27. Invettira contro i romani
pontefici. Al canto dell'inno alla 88. Tri-
nità sucecde un profondo silenzio. I quat-
tro lami di che si vestono le anime beate
970 [CIELO OTTAVO]
Pak. xXvu. 10-25
[INVETTIVA]
10 Dinanzi agli occhi miei le quattro face
Stavano accese, e quella che pria venne
Incominciò a farsi più vivace;
18 E tal nella sembianza sua divenne,
Qual diverrebbe Giove, s’ egli e Marte
Fossero augelli, e cambiassersi penne.
10 La provvidenza, che quivi comparte
Vice ed uficio, nel beato coro
Silenzio posto avea da ogni parte,
19 Quando io udi: « Se io mi trascoloro,
Non ti maravigliar; ché, dicend’ io,
Vedrai trascolorar tutti costoro,
22 Quegli ch'usurpa in terra il luogo mio,
Il luogo mio, il luogo mio che vaca
Nella presenza del Figliuol di Dio,
25 Fatto ha del cimiterio mio cloaca ‘
di Pietro, Jacopo, Giovunni ed Adamo,
stanno accesi dinanzi al Toeta. Inflam-
mato di santo sdegno, il lume in che
splende San Pietro si tinge in rosso,
qual diverrebbe il pianeta Giove se mu-
tasse il suo colore in quello di Marte.
E San Pietro esclama: Non maravigliarti
se io cambio colore facendomi rosso, chè
montro fo parlo vedrai cambiar colore 0
farsi rossi disunta vergogna tutti costoro.
Colui che in terra usurpa la mia sede pon-
tificale, che agli occhi di Cristo è vacante,
ha fatto di Roma, dove il mio corpo è se-
polto, una sontina di tante crudeltà e li-
bidini, cho Laciforo no cousola laggiù
nell’ laferno il suo rabbioso doloro. -
Secondo la finzione poetica |’ invettiva
va all'indirizzo di Bonifazio VIII; in
realta all'indirizzo di Giovanni XXII,
il Caorsino, menzionato nel v. 58, e che
Dante morde fieramente anche altrove;
ctr. Par. XVIII, 130.
10. FACE: faci, fiaccole; cfr. Nannuc.,
Nomi, 241 © seg.
11. QUKLLA : S. Pietro: cfr. Par. XXIV,
19 e seg.; XXV, 13 © sog., 100 e seg.;
XXVI, 79 © seg.
14. GIOVR: « che intra tutte le stelle
bianca si mostra, quasi argentata ; » Conv.
11,14. - MARTER: che « appare affucato
di colore; » Conv. II, 14. - « La luce
bianca come quella di Giove, a questo
punto si trasformò, per accensione di re-
lo, in luce rossastra come quella di Mar-
te. Ché viene a indicarai col cambio delle
penne tra Giove e Marte, se fossero uc-
celli; così sì rammomora dal Poeta, che
la luce di che risplendevano quei beati
spiriti, era cosa distinta dalla loro essen-
za, © quasi una specie di manto; » Ang.
17. VICE KD UFICIO: l’avvicendarsi del
cantare, del parlare e del tacere, del mo-
to o della quicto, ed assegna a ciasche-
duno Il suo uficio particolare.
21. COSTORO: « quasi a dire: Noi beati
siamo congiunti iu una gloria e in uno
amore; e però, come io m'adirerò, tutta
questa compagnia s'adirerà similemen-
to;» Lan., Ott., An. Fior.
23. IL LUOGO: terribile ripotiziono ; cfr.
Gerem. VII, 4, 11.- VACA: è vacante agli
occhi di Cristo, perchè illegittimamente
occupato © bruttamente abusato.
24. NELLA PRESENZA : « non dice asso-
latamente che vachi, perciocchè segui-
rebbe che non fosse vero e legittimo pa-
pa, © per consequente non varrebbe cosa
che facesse, ma vaca nel conspetto del
Figliuol di Dio, perchè ha pervertito l'of-
ficio suo, e por consequente Cristo lo
riprova come apostata. Non vaca adun-
que tra gli uomini perchè il suo decreto
vale. Ma quantua Dio non tiene tal grado
di ragione ma lo usurpa; » Land. - DEL
FIGLIVOL: di Cristo, fondatore e capo
della Chiesa, cui il Padre diede ogni cosa
in mano; cfr. S.Matt.XI,27; XXVIII, 18.
25. CIMITKK10: Roma, dove secondo la
[CIBLO OTTAYO]
PAR. xxvi1. 26-88
[IRA DEI BBATI]) 971
Del sangue e della puzza, onde il perverso,
Che cadde di quassù, laggiù si placa. »
28 Di quel color, che per lo sole avverso
Nube dipinge da sera e da mane,
Vid’io allora tutto il ciel cosperso.
31 E, come donna onesta che permane
Di sé sicura, e, per l’altrui fallanza,
Pure ascoltando, timida si fane:
34 Così Beatrice trasmutò sembianza ;
E tal eclissi credo che in ciel fue,
Quando pati la Suprema Possanza.
37 Poi procedetter le parole sue
Con voce tanto da sé trasmutata,
tradizione fu sepolto 8. Pietro; ofr. Per.
IX, 139 e sog.
26. SANGUR: sparso innocentemente. -
PUZZA : dei vizii e delle turpitudini; cfr.
Bocoac., Decam. I, 3. Petrar. Ganz. IV,
Son. XVI (107).-1L rervaRrsO: Lucifero,
cfr. Inf. XXXIV, 121 © seg.
27. LAGGIÙ : nell’ inferno. - 81 FLACA: è
pago, si rallegra. « La rabbia de' tristi è
per poco attutata dalla gioia del male;
poi di male nuovo bramosa, rinfiorisce ; »
Tom.
V. 28-36. Ira dolente det Beati. Si
avvera par troppo ciò che 8. Pietro ba
detto: Dicend’ to vedrai trascolorar tutti
costoro. Così grande è la corruzione della
Corte papale, che all’ udirne parlare tutti
quanti i Beati del Cielo, pieni di orrore,
di ribrezzo, di santa e dolente fra, mu-
tano colore, infuocandosi come ei fa rossa
la nuvola quando trovasi opposta al sole,
da mattina o da sera. Cogli altri anche
Beatrice si trascolora, come donna one-
sta, innocente e pudica che arrossisce
alla sola narrazione di colpa altrui. Tutto
quanto il cielo si oscura, forse come av-
venne alla morte di Cristo.
28. COLOR: rosso. - PER LO SOLR: per
lo stare il sole di riscontro; confr. Ovid.
Met. III, 183 © seg.
29. NUBE :caso obliquo, - DA MANE: la
mattina: cfr. Inf. XXXIV, 118. < Quel
rossore nel quale si tingonoili nuvoli, na-
sce quando il Sole si trova agli orizzonti
da sera o da mattina; » Leon. da Vinei,
Trat. d. pitt., 7.
31. PRRMANE: rimane, resta nel mede-
simo stato; cfr. Per. IT, 36.
83. SICURA: avendo la cosciensa della
propria innocenza. - FALLANZA: fallo,
errore.
33. 81 FANK: si fa timida, arroasniace.
86. Possarnza: Cristo; confr. 8. Matt.
XXVII, 45. £. Marco, XV, 83. 8. Luea,
XXIII, 4, 45. Thom. Ag. Sum. theol.
III, 44, 2.
V. 387-00. Corruzione del chiericato.
Infiammato sempre più di santa ira, con
voce alterata dallo sdegno, non meno che
foese già alterato il suo aspetto, continua
San Pietro la tremenda ena predica. La
Chiesa, sposa di Cristo, non fu allevata e
nadrita del sangue mio e dei martiri per
avvezzarsi ad accumalar tesori terrestri;
ma fn per ereditare la celeste beatitudine
che i martiri sparsero il loro sangue, do-
po aver molto pianto e sofferto. Non fa
la noetra intenzione che parte del popolo
cristiano, cioè i Guelfi, sedossero alla de-
stra dei papi nostri successori, godendo
di tutto il loro favore, e che an’ altra
parte, i Ghibellini, sedessero alla eini-
stra, essendo trattati come nemici. Nè
fa nostra intenzione che le chiavi del re-
gno de’ Cieli affidatemi da Cristo (confr.
8. Matt. XVIII, 18) divenissero insegna
di guerra nelia bandiera papale, spiegata
perandare a combattere contro i cristiani.
Nè fu nostra intenzione che l' immagine
mia sorriane a sigillar bollo vendute per
denari e fondate sopra menzogne, - tutte
cose che mi fanno sovente arrossire di
vergogna o diefavillaredi santa ira. Guar-
dando giù dal cielo in terra al v
ovunque nella Chieea, in tutte quante le
diocesi, Inpi rapaci in vesta di pastori.
972 [CIELO OTTAVO]
Pan, xxvii. 39-55
[8. PIETRO]
Che la sembianza non si mutò piùe:
40 « Non fu la sposa di Cristo allevata
Del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
Per essere ad acquisto d’oro usata;
43 Ma per acquisto d’esto viver lieto
E Sisto e Pio e Calisto ed Urbano
Sparser lo sangue dopo molto fleto.
40 Non fu nostra intenzion ch'a destra mano
Dei nostri successor’ parte sedesse,
Parte dall'altra, del popol cristiano;
49 Né che le chiavi, che mi fair concesse,
Divenisser segnacolo in vessillo,
Che contra i battezzati combattesse ;
62 Né ch’io fossi figura di sigillo
Ai privilegi venduti e mendaci,
Ond’ io sovente arrosso e disfavillo.
55 In vesta di pastor’ lupi rapaci
Oh Dio, porchd non sorgi alla difera del
tuo gregge? Del putrimonio donato alla
Chiesa da’ fodoli per divozione al sangue
nostro, 8’ apparocchiano ad impinguarsi
Caorsini o Guaschi. Ahi, buon principio
della pontificia dignità, a qual vil fine soi
tu pur giunto!
$9. DK: più che la voco. « Rinnalza
ora e ravviva la osprossiun dello mlogno
col rinforzar della voco, la quale parea
un'altra da quella dello primo parole;
il che fa immaginar uu suono via più spa-
ventevole ; » Ces.
40. 8r°084: cfr. Par. X, 140; XI, 82.
41. Lin: Lino, secondo la tradisiono il
primo suocessore di San Pietro; cfr. Iren.
Adv. har. INI, 3,3. Fusebd. hist. eccl. 111,
2 e 13. August. Ep., 53. Kraus, Roma
sotter., 2° ed., p. 60 e 532. - Cukro: uno
dei primi vescovi di Roma, secondo al-
cuni lo stesso che Anacleto, successore
immediato di Lino, secondo altri succes-
sore di Clemente ed antecessore di Ana-
cleto ; cfr. Jren., i. 0. Huseb. hist.eccl. IT,
2, 13,31. Tertull., De prascript., 32. Oun-
stit, apostol. V, 46.
42. PER KS8KKk: affinchè i loro succes-
sori ne facessero poi traffico.
44. Sisto: martire, vescovo di Roma
dal 117 al 120 (secondo la tradizione). -
Pio: vescovo di Roma dal 141 al 166, cfr.
Eused. hist.ecel. 1V, 11; V, 6. Iren. Cont.
heer LIL, 3. Murat. Script. 111, 96. - Ca-
LISTO: vescovo di Roma ai lempi di Klio-
gabalo e di Alessandro Severo dal 217 al
222; cfr. Barun., Annal. ecel. IT, ad a.
220-226. - Unnano: successuro di Cali-
sto, vescovo di Roma dal 222 al 250; cfr.
Fuseb. hist. eccl. VI, 21. Com. Lips. ILI,
728 e sog.
45. FLuTo: lat. fetus, pianto, lamento;
cir. Par. XVI, 136. Sollrirono il mar
tirio dopo una vita condotta nell'awa-
rezza e nei dolori di lunghe ed atroci
persecuzioni. |
46. A DESTRA: cfr. S. Matt. XXV, 33.
A destra i benedetti; a sinistra i mala-
detti.
47. vartE: i Guelfi, favoriti dai pon-
tefici.
48. vantTk: | Ghibellini.
50. SKUNACOLO: sin dall'anno 1229
l'esercito poutificio si chiamava chiavi-
segnato, perchè portava per divisa le
Chiavi della Chiesa. Cfr. Inf. XXVII,
85 eseg. Murat., Annal.d'Ital.,ada.1229.
52. FIGURA: l’immagine di San Pietro
nel sigillo papale.
63. VENDUTI K MKNDACI: morde la el-
monia e la falsità della Corte pontificale.
54. DISFAVILLO: gitto raggi.
55. LUPI: cfr. S. Matt. VII, 18. - «Ao
cenua al vescovi delle particolari diove-
wi; » Corn.
[CIELO OTTAVO]
PAR. xxvIr. 56-71
[s. PIETRO] 978
Si veggion di quassù per tutti i paschi:
O difesa di Dio, perché pur giaci?
58 Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
S'apparecchian di bere. O buon principio,
A che vil fine convien che tu caschi!
61 Ma l’alta provvidenza, che con Scipio
Difese a Roma la gloria del mondo,
Soccorrà tosto, sì com’io concipio.
O4 E tu, figliuol, che per lo mortal pondo
Ancor giù tornerai, apri la bocca,
E non asconder quel ch'io non ascondo. »
67 Si come di vapor’ gelati fiocca
In giuso l’aer nostro, quando il corno
Della Capra del ciel col sol si tocca;
70 In su vid’ io così l'etere adorno
Farai, e fioccar di vapor’ trionfanti,
66. rascm: per tutte le regioni del
mondo cristiano.
57. DIFESA: protezione, vendetta. Al.
o venperra. Cfr, Moone, Crit., 492.0
Dio, difensore della tun Chiesa, perchò
to no atal inoperoao! « Exurge, quare
obdormia, Domine? Exarge, of no repel-
Jas in finem; » Salm. XLIIT, 23.
58. sANGUK: patrimonio della Chiesa,
frutto del sangue dei martiri. - CAORSINI
R Guascui: i dae papi Clemente V, di
Guascogna tefr. Inf. XIX, 82 eneg. Purg.
XXXII, 148 6 seg. Par. XVII, 82) 6 Gio-
vanni XXII di Caorsa (cfr. Par. XVIII,
130), assieme colle loro creature Guasco-
gne e Caorsine,
V. 61-63. Soccorso sperato. La prov-
videnza «divina, che mediante il valore
di Scipione mantenne a Roma l'Impero
del mondo, quando esso per le vittorie
di Annibale era nel avo maggior pori-
colo, soccorrerà presto alla pericolante
Chiesa, come io concepisco, scorgo in
Dio.
61. Scirio: il vincitore di Annibale ;
confr. Inf. XXXI, 116. Purg. XXIX,
110. Par. VI, 53. Conv. IV, 5. De Mon.
If, 11,
V. 64-00, Missione di Dante, 8, l'io-
tro termina la ava terribile predica in-
giungendo al Poeta di raccontare nel
mondo ch) che in cielo ha vedato ed ndi-
to. Tu, Aglinol mio, che per non essere
aucora liberato dal peso delle membra
mortali ritornorai giù nel mondo, parla,
onon tener celato nulla di ciò che fo ti ho
rivelnto,
V. 07-75, Ritorno all'Emplreo,. Do-
po che S. Pietro ebbe sfognto Il eno ade-
gno, tutti i Beati, che al levarsi di Marin
in alto dietro al divin suo Figlio si erano
formati Ik presso a Dante o Beatrice
(Par, XXIII, 127 o seg.), ritornano an-
ch'essi nl Cielo empireo. Dante li accom-
pagna collo sgnardo, finchè per la gran
lontananza non li vedo più.
67. sl Come: così, como canile In nove
a fiocchi sulla terra, quei lumi floccaro-
no inversamento all'Insi. Confr. Vit.
N,, 23: « B vedoa (che paroan pioggia di
manna), Gli Angeli che tornavan suso in
cielo, »
68. corxo: il Capricorno, nella oui co-
atellazione è il crado verno.
60. a1 TOCCA: quando il sole è in Capri-
corno, ciod nel solstizio invernale; cfr.
Virg. Georg. II, 321 è seg.- «Sì come
avviene quando lo Sole è in Capricornin,
ch'èentro mezzo gennajo, ch'alenna volta
l'aiere flocca, cioè nevica, 6 ello si vedo
iliscendere gli fiocchi della neve l'uno
dopo l'altro, ed esserne l'mere piena, così
quolla benedetta congregazione scendeva
in snso e adornava quello etere delle suo
bellezze. Vapori trionfanti sono quelli
santi che sono nella ecolesia trionfante,
ln qualo è la congregazione celeste; »
Lan., An. Fior.
074 [CIELO NONO]
Par. xxvii. 72-86
[BALITA]
Che fatto avean con noi quivi soggiorno.
73 Lo viso mio seguiva i suoi sembianti,
E segui in fin che il mezzo, per lo molto,
Gli tolse il trapassar del più avanti.
76 Onde la donna, che mi vide assolto
Dell’attendere in su, mi disse: « Adima
Il viso, e guarda come tu sei vélto. »
79 Dall’ ora ch'io avea guardato prima,
Io vidi mosso me per tutto I’ arco
Che fa dal mezzo al fine il primo clima;
82 Sì ch'io vedea di là da Gade il varco
Folle d’ Ulisse, e di qua presso il lito
Nel qual sì fece Europa dolce carco.
85 K più mi féra discoverto il sito
Di questa ajuola; ma il sol procedea,
73.1 SUOI SEMBIANTI: i loro splendori.
Suot por loro, come Purg. XI, 12. Par.
XIX, 114, occ.
74. 11. xMKZz0: lo spazio di mezzo tra
l'occhio od i vapori trionfanti. - r'kit LO
MOLTO: per essersi futto troppo grande.
In sostanza: Guardai loro dietro finchè
per la gran distanza non li vidi più.
75. TOLSE: impedì. - DEL PIÙ AVANTI:
dello spazio di là. Modo di dire, per il
trapassar più avanti.
V.76-99. Salita al Cielo Cristallino,
ossia al Primo Mobile. Vedendolo li-
bero dal mirare all'insù come prima fa-
ceva, Beatrice dice a Dante: Abbassa gli
occhi o mira quanto ii Cielo ti ha aggi-
rato intorno alla torra in questo spazio
di tempo. Il Poota volge di nuovo lo
sguardo alla terra, come aveva futto ap-
pena giunto nell'ottavo cielo. Quindi per
impulso d’ amore fissa gli occhi in Bea-
trice, » la vede, come di solito, fatta più
bella e più ridente. La virtà che gli pre-
sta lo aguardo di lei, lo innalza subito
nel uono cielo, ossia nel Primo Mobile.
76. ASSOLTO: Al. ASCIOLTO; libero dal
mirare in su.
77. ADLIMA : abbassa lo sguardo alla
terra (per vederne la piocolezzaf).
78. vOLTO: girato; girano col Primo
Mobile, velocissimo.
79. DALL’ORA: cfr. Par. XXII, 127
e seg. Entrando nel cielo stellato erasi
trovato nella costellazione dei Gemelli,
meridiano di Gerusalemme; adesso si
trova spostato di 90 gradi verso occi-
dente, onde vede l'Oceano Atlantico ol-
tre lo strotto di Gibilterra. Cfr. Ponta,
Orol. Dant., $ 21. Della Valle, Senso, 120
o seg. Mariani, La D. O. esposta ai giov.,
p. 273 o seg. Agnelli, Topo-cronografa
del Viaggio dantesco, 12090s0g. Oom. Lipe.
III, 733-730.
81. cLIMA: la prima zona. « Olimé di-
cevansi ab antico le zone nelle quali si
divideva lo spazio terrestre dall' Equa-
tore ai Poli. In questi climi ai notava
la larghezza ed ora l'andare dall’ Rqua-
tore ai Poli, © com'è chiaro, variavano
per stagione ed erano diveraamente pro-
porzionati alle varie specie degli animali.
La lunghezza loro era da est ad ovost.
Prima (XXIT, 181) avon voduta la torra
(l'ajuola), stando nol meridiauo di Gern-
salemme. Ora ha percorso l'arco ch'è
una quarta parto di tutto il cerchio ter-
restre del tropico del cancro, il quale
divide la zona torrida dalla zona tempe-
rata. Cioò sono passate sei ore dalla pri-
ma veduta del Canto X XII alla presente:
e da questo panto vedes lo stretto di Gi-
bilterra di là di Cadice, e di qua il lito fe-
nicio;» Corn. (1).
82. IL vaaco: cfr. Inf. XXVI, 90-142.
&3. IL LITO: della Fenicia, dove Giuve,
trasformatosi in toro, rapì Europa e se
la portò via in groppa; cfr. Ovid. Met.
II, 832-875.
86. AJUOLA: ofr. Par. XXII, 151. « Da
quell'altezza Daute avrebbe potuto di-
scoprire nell’ ajaola terrestre, anche una
parte più orientale; ma il Sole che il
[CIELO NONO]
PAR. xxvil. 87-100
[SALITA] 975
Sotto i miei piedi, un segno e più partito.
88 La mente innamorata, che donnea
Con la mia donna sempre, di ridure
Ad essa gli occhi più che mai ardea.
ol E se natura od arte fe’ pasture
Da pigliar occhi, per aver la mente,
In carne umana, o nelle sue pinture,
DA Tutte adunate parrebber niente
Vér lo piacer divin che mi rifulse,
Quando mi volsi al suo viso ridente.
97 E la virtù, che lo sguardo m’indulse,
Del bel nido di Leda mi divelse,
E nel ciel velocissimo m’ impulse,
100 Le parti sue vicissime ed eccelse
Poeta aven, da prima, sotto i piedi, quan-
do ogli trovavasi nel segno dei Gemelli,
era passato ben innanzi, allontanandosi
di più di un segno rsodincale, nel segno
del Toro; perciò nna parte dell'emisfero
orientale che s' affaccinva al Poeta dalla
aun vodetta occidentalo, incomincinva
necessariamente ad abbuiarsi, e però oo-
oultavaasi alla vista di Danto; + De Gub,
Parad., 346, Ma durante tutta l'azione
del Poema il Sole si trovò sempre in
Ariete; mai in conginnzione col Toro,
87. PARTITO: diviso, separato da me
più di un segno zodiacale, cioè più di
nove gradi,
88. DONNRA: vaghoggia la mia donna,
si compiace in lei; confr. Par. XXIV,
118,
RD. RIDURE: ricondurre, riaffissnre. Ri-
dure con una r (da ridwueere, come fare
dafacere, dire da dicere) forma primitiva,
che più tardi si foco ridurre.
90. PIÙ CHE MAT: in conseguenza dello
aguardo vélto alla povera ajuola. - AR-
DEA: « Mihi mena iuvonali ardobat amo-
re;» Virg. Aen, VIII, 163,
91. NATURA OD ARTE; confr. Purg.
XXXI, 49. L. Vent., Sim,, 459. — PABTU-
ne: ofr. Par, XXI, 10. Costr.: E se na-
tora in carne umann, od arto nelle sno
pintare fo' pastnro da pigliare cochi por
nvor la monte: tutto adunate insibmo sa-
rebbero un bel nulla verso il piacer di-
vino che io gustai volgendom! al viso ri-
dente di Reatrico.,
02. PER AVER: « quia amor transit per
oconlos ad animam;» Benv.
93, IN CARNE: nella faccia di bellissima
donna.
05, Vin: n paragone, - MI RIFULSK: mi
raggiò ; ofr. Par, IX, 82, 02; XXVI, 78.
97.INDULBR: dal lat. indulgere, mi con-
cease, mi diede,
08. xIDO mt Lena: la Costellazione doi
Gemini. Allude alla favola, secondo la
qualo i Gomini sono Castoro o Tollnes,
nati dell' novo di Leda fecondata da Gio-
vo sotto formadi cigno; cfr. Ovid. Heroid.
XVII, 655 o seg. Horat. De Art. poet.,
147.- MI DIveLSE: mi allontanò ; cfr. Inf.
XXXIV, 100.
99, cikL: Cristallino, o Primo Mobile.
- vELOCIBSSIMO: cfr. Conv. II, 4. Della
Valle, Nuove illustraz,, 120 6 seg. -M' IM-
PULSE: dal Int. impellere, mi apinae dentro.
V. 100-120. Natura del nono cielo,
Non potendosi indicare un Inogo preciso
se non per qualche «differenza che passi
tra esso ed altri luoghi, il Poeta non sa
dire qual parte del nono cielo fosse pre-
scelta da Beatrice alla ena entrata in
esso, tutte lo sue parti sasendo uniformi.
Ma ella, vedendo il suo desiderio di sa-
pere in qual luogo del nono cielo fosse,
gli dice: Da questo cielo comincia tatto
il moto, ed sasso è monso dal solo Dio, il
oni trono 4 nell’ Empireo immobile. Onde
l'origino del moto è nel primo Mobile, cd
in Ini è la prima misura del tempo. Cfr.
Aristot. De Colo, I, 9. Conv. II, 4, 15.
Della Valle, Nuove illustraz,, 130 è sog.
Com. Lips. ITI, 737 è sog.
100. vicissimr: lo più vicine è le più
lontane. « Dice l'antore: Io non so dire
976 [CIELO NONO]
Pam, xxvi, 101-118
[PRIMO MOBILE]
Si uniformi son ch'io non so dire
Qual Beatrice per loco mi scelse,
103 Ma ella, che vedeva il mio disire,
Incominciò, ridendo tanto lieta
Che Dio parea nel suo volto gioire:
106 « La natura del mondo, che quieta
Il mezzo, e tutto l’altro intorno muove,
Quinci comincia come da sua méta.
109 E questo cielo non ha altro dove
Che la mente divina, in che s'accende
L’amor che il volge e la virtù ch'ei piove.
112 Luce ed amor d'un cerchio lui comprende,
Sì come questo gli altri, e quel precinto
in qual parto della nona spora Beatrice
mi ponesse, sì come io seppi dire della
ottava; però che le sue parti sono sì vi-
cine l'una all'altra, e sono di sì alta na-
tura, © sono ai corrispundenti insieme, ©
d'una medesima forma, ch'io non scorsi
l'una dall’ altra; » Ott. Al. vivissimi, le-
zione troppo sprovvista di autorità, per
tacero che la vivacità e l' eccellenza del
nono cielo nun hanno qui che vedere, vo-
lendo Daute evidentemente dire che il
nono cielo è ovunque uniforme, onde non
si può distinguerne parte da parte.
105. voLro: Al. viso; il riso di Bea-
trice parova un sorriso di Dio stesso.
106. DEL MONDO: « qui, da questo nono
cielo comincia la natura del mondo, come
da suo principio (meta), la qual natura
quieta, fu posure il mezzo, ciod la terra, e
smuove tutto l'altro intorno, porchò muo-
ve non solumento dalla terra iofuori tutti
gli altri elementi, ma tutti gli altri cieli
aucora da lei contenuti. Onde il Filosofo
nel primo della l'isica: Natura est prin-
cipium motus et quietis; >» Vell. Al. DEL
MOTO, lezione del tutto priva di auto-
rità, quindi inattendibile.
109. ALTRO DOVE: altro luogo; cfr.
Par. III, 88; XII, 30; XXIT, 147, eco.
< Ciuscun ciolo è nel cielo suporiore. Ma
il primo ciclo nou può essoro in altro
ciolo; » Corn.
130, IN clik: nolla divina Mento si ac-
cende il ferventissimo amore che fa gi-
rare il nono cielo; cfr. Conv. II, 4.
111. L'AMOR: «lo forventissimo appe-
tito che ha ciascuna sua parte d'esser
congiunta con ciascuna parte di quello
decimo cielo divinissimo e quieto; » Cunv.
IT, 4. Così Lan., Ott., An. Fior., Poat.
Cass., Lomb., Br. B., Frat., Greg., An-
dreoli, eoc. Al.: l'intelligenza motrice
di esso cielo (Benv., Buti, Land., Vell.,
Vent., Biag., Costa, Bennas., Franc.,coc.).
Altre interpretazioni non sono attendi-
bili; cfr. Com. Lips. IIT, 740 e seg. - PIO-
vi: infiuisce in tutti gli altri cieli sotto-
stanti, da esso contenuti; cfr. Par. II,
112 e sog.
112. LUCK: la luce e l’amore di un solo
cerchio, cioè dell’ Empireo (confr. Par.
XXX, 89 e seg.), contiene in sè (com-
prende) il Primo Mobile nello stosso mo-
dlo che i} Primo Mobile contiene in sò gli
altri cerchi iuferiori, clod gli altri otto
cicli; è quol corchio (precinto per cer-
chio, come Inf. XXIV, 34) di lace e di
amore von 6 inteso che da Colui che lo
cingo, cioò da Dio. Cfr. Conv. Il, 4. So-
pra le altre svariate intorpretazioni cfr.
Com. Lips. Ill, 741. Corn.: « Bolo Iddio
con la sua luce e col suv amore cinge
questo cielo, come questo cinge gli al-
tri. » De Gub.: « Il Primo Mobile che ofr-
conda tutte le altre sfere, è circondato
esso stesso d'amore e di luce; questo
amore equesta luce spirano direttamente
nel Primo Mobile da Dio; le altre sfere
Dio guverna invoco mediatamonte, per
mozzo dol Prime Mobile, degli Angeli
motori; nossuno fuur che Dio misura,
ossia distinguo, facendolo ora più rapido,
ora più lento, il moto del Primo Mobile;
tutti gli altri moti del mondo sono in-
vece misurati e temperati dal Primo Mo-
bile. Il Primo Mobile è il testo che dà
legge, la radice dell'albero che s' infron-
da nelle altre sfere. »
(CIELO KONO)
PAR. xxvit. 114-180 [(curipiaig TERR.]) 977
Colui che il ciuge solamente intende.
118 Non è suo moto per altro distinto;
Ma gli altri son misurati da questo,
Sì come dieci da mezzo e da quinto.
118 E come il tempo tenga in cotal testo
Le sue radici, e negli altri le fronde,
Omai a te puot’ esser manifesto.
121 O cupidigia, che i mortali affonde
Si sotto te, che nessuno ha potere
Di trarre gli occhi fuor delle tue onde!
124 Bon fiorisce negli uomini il volere;
Ma ln pioggia continua converte
In bozzacchioni lo susino vero.
127 Fedo ed innocenza son reperte
Solo nei parvoletti; poi ciascuna
Pria fugge che le guance sien coperte.
130 Tale, balbuziendo ancor, digiuna,
115. DISTINTO : misurato. La distinzio-
ne suppone mianra. Cfr. Della Valle,
Nuove illustr., 130 © seg.
117. COMR nIKCI: il divci è perfetta
mente misnrato da mezzo, cioè dalla nua
motà che è cingne, e da quinto, cioè dalla
sua quinta parte che è due, moltiplicati
l'uno per l'altro.
118. TESTO: in cotal vaso, nel Primo
Mobile.
119. RADICI: l'oconita sua origine. -
ALTRI: negli altri testi, negli altri cieli. -
FRONDR: i moti a noi visibili. « Fondando
noi l'idea del tempo nel diurno moto,
che vediamo, de’ pianeti, e di cotal moto
essendone cagions il diurno invisibile mo-
to dol Primo Mobile, viene pereld il tem-
po ad avere in enso Primo Mobile, quasi
pianta in testo, in vaso, le radici ene na-
scoste, la nascoeta sua origine; e ne'pia-
neti le fronde, Il misaratore a noi visibile
moto; » Lomb.
V.121-141. Cupidigle terrene. I mor-
tali non comprendono le cose esposte
circa la natura del none cielo, perobè,
immersi nelle basse cupidità, mirano al
basso, invece di lovare i loro agnardi in
alto allo coso etorno. Ondinariamente gil
uomini incominciano bene; ma pol, per |
continui stimoli al male, si fanno tristi,
malvagi; non altrimenti che il fior del
susino per effetto della continna pioggia
62. — Div. Comm., 3° eis.
in vece di susine vere snol dare quelle
abortive che ri chiamano bozzacchioni.
Non c'è più fodo na innoconza; i costumi
sono corrotti, i legami religiosi sono ri-
lassati, le attinenze di famiglia sono per-
vertite. Il moral candore attivo della spe-
cie umana col tempo ai annera n questo
è perchè in terra non è chi governi.
121. 0 curiDIGIA : pensando a quel cielo
dove hanno loro confine e termine la Na-
tura, lo Spazio ed il Tempo, grida contro
gli uomini che dovrebbero enai pure ele-
varri al di sopra dolla Natura, dello 8pa-
sio e del Tempo, cd invece, accecati e
trascinati dalla capidigia, corrono dietro
alle cono transitorie, nogligendo i beni
celesti od eterni. Cfr. De Mon. I, 9. - Ap-
FONUE: affondi.
124. BEN: fiorisce bene, dà buoni fiori.
- IL VOLERE: « Velle adiacet mihi, per-
ficere autem bonam non Invenio; » Rom.
VII, 18.
126. BOZZACCHIONI: susine che sull'al-
legare sono guaste dagl'insetti per de-
porvi le loro uova, cho però intisicht-
scono, e, ingronsando fuori del consueto,
divontano vane ed inntili.
127. RRURRTK: trovato; dal lat. re-
perire.
129. COPERTR: di pelo; confr. Prg.
XXIII, 110 o seg.
130. rarx: taluno, axtinente da fan-
978 [CIELO NONO]
Par. xrvii. 181-142
[CUPIDIGTE TERRENE]
Che poi divora, con la lingua sciolta,
Qualunque cibo per qualunque luna;
133 E tal balbuziendo, ama ed ascolta
La madre sua, che, con loquela intera,
Disia poi di vederla sepolta.
136 Cosi si fa la pelle bianca, nera,
Nel primo aspetto, della bella figlia
Di quei ch’apporta mane e lascia sera,
139 Tu, perché non ti facci maraviglia,
Pensa che in terra non è chi governi;
Onde si svia l'omana famiglia.
142 Ma prima che gennaio tutto si sverni,
cinllo, si fa licenzioso 6 ghiottone in età
avanzata, « Trafiggo quo’ santocchi, che
di otto anni fanno i venordì in pane ed
acqua ; e poi venendo in tempo, si scaf-
fiano, sparecchiando per dieci, i pasticci
o i bocconi ghiotti nolle digiune e ne’ dì
negri; » Ces.
132. LUNA: < quando è quaresima o
quando non è; d'ogni tempo, soguendo
l'appetito della gola; ma dice luna, im-
però che la luna è segno ondo si coglie la
quaresima, acciò che "1 venerdì santo sia
lo plenilunio; » Jets.
1:13, ABCOLTA ; obbedisco.
134. CON LOQUELA INTKRA: lo stesso
cho con la lingua sciolta, v. 131, clod
quando è cresciuto.
135. 8KPOLTA: « per non sentire pie
correzioni, o per dissiparsi la dilei dote; »
Lomb.
136. PKLLR: l'aspetto, la sembianza.
137. PRIMO ASPETTO: nell'aspetto di-
vino, negli occhi di Dio. - LA BELLA FI-
GLIA: la Chiesa; cfr. Salm. XLIV, 14.
Cant. Cantic. VII, 1, i quali passi a’ in-
tondevano della Chiesa. Il FiLOMUSI
GUKLFI, (La figlia delsole, Verona, 1898)
intende di Circe; confronta Virg. Aen.
VII, 11.
138. Di QUEI: del Sole spiritnale ed in-
tellettuale, cho Dante chiama più volto
Sole. li senso di questa diflicilo terzina
“ sembra dunque essere: In tal modo la
bianca apparenza della Chicsa si fa nera
nell'aspetto di Dio (cfr. v. 23, 24), cioò
la Chiesa che nello sue origini fu santa e
pura, si è fatta malvagia o sozza nel-
l'aspetto di Dio. Sulle divorse altre in-
terpretazioni cfr. Com. Lips. III, 745
© seg.
140. CHI GOVEHNI: vacante la cattedra
di 5. Pietro nel cospetto di Cristo, v, 23
e seg., e vacante in Italia anche I’ im-
pero; cfr. Purg. VI, 76 e seg. Conv. IV,
9. De Mon. I.
V. 142-148. fiuto sperato. Tra non
molto, conchiude Beatrice, sarà mutata
ogni cosa, o vorrà frutto dopo il flore.
Esprimo anche qui la una speranza nel
venturo liboratore d'Italia e dell'umana
società, sporanza che non abbandonò mai
il Poeta, il qualo non la vide però av-
vorata.
142. GRNNAIO: è qui di duesillabe e va
letto yennaj'; così migliajo, primajo, eco.;
cfr. Purg. XIII, 22; XIV, 66. - at Svuu-
NI: Al. 8VERENI. Prima che il mese di gen-
naio esca tutto dal verno e venga a ca-
dere in primavera per effetto di quella
quasi centesima parte di un giorno, della
quale giù nel mondo il calendario non
tien conto, attribuendola di soverchio al
l'anno. È chiaro che Dante parla di un
soccorso che egli attendeva in breve.
Presa però a rigore, la frase Prima che
gennaio tutto st sverni importerebbe mi-
gilaia di secoli. Ma « il Poeta usa di quel
medesimo color rettorico che usò il Pe-
trarca (Trion/. d’Am. I, 69 © s0z.) là ove
dell’ Amor parlando in persona dell’om-
bra disse:
Mansueto fanciullo, e fiero veglio:
Ben sa chi ‘1 prova; e fiati cosa piana,
Anzi mill'anni; e‘nfin ad or ti sveglio.
E noi similmente, quando vogliam mo-
strare ad alcuno la cosa inaspettata do-
ver tosto avvenire, molte volte diciamo
cosa simile, come: Ma prima che passin
cento, o mille anni tu lo vedrai: » Vell.
[CIELO NONO] PAR. xxvii. 143-148 - xxvir, 1-2 = [punto] 979
Per la centesma ch’ è laggiù negletta,
Ruggeran si questi cerchi superni,
145 Che la fortuna, che tanto s’ aspetta,
Le poppe volgerà u’ son le prore,
Sì che la classe correrà diretta;
148 E vero frutto verrà dopo il fiore, »
143. CENTESMA: « quella minima parte
dell'anno trascurata nel calendario rifor-
mato da Giulio Cesare che facendo l'anno
ilì 365 giorni e 6 ore, veniva n differire
di circa 19 minnti dall'anno vero; errore
che fu corretto da papa Gregorio XIII;»
Blane.
144. nuoggRRAN: cfr. Gerem. X XV, 30,
Oven XT, 10, Gioele IIL, 10. Amna I, 2.
e Faranno acendoroe sulla terra influssi co-
sì Lem postosi e fleri, chela fortnna (la bur-
rasca) cotanto attesa, perohd necessaria,
cambierà affatto la direzione dell'italiana
nave; » Dbetti,
145, LA FouTUNA: « adventoa veltri,
qui debet extirpare cupiditatem de mun-
do, qui maltam expectatur et desidera-
tor; » Benv, Cfr. Purg. XX, 15,
146, voLGERÀ : rovesciando lo stato ont-
tivo del monilo farà agli nomini mutar
via. - u'80N LE Prone: Al. IN 8U LE rro-
re, lezione che importorebbe nanfragio,
montro invoco il Poeta spera che la nave
corra n aalvamonto promlondo opposto
cammino.
147, cLassr: lat. olassis, ln flotta; gli
nomini andranno diritti al bene,
148, vrro rRUTTO: 6 non più bozzae-
chioni, v. 190, Tornn alla similitudine
dello anaine.
CANTO VENTESIMOTTAVO
CIELO NONO CRISTALLINO: GERARCHIE ANGELICHE
LA DIVINA ESSENZA E GLI ORDINI ANGELICI
CONCORDANZA DEL SISTEMA DE’ CIELI COLL'ORDINE DE' NOVE CERCHI
LE GERARCIIIE CELESTI
Poscia che contro alla vita presente
Dei miseri mortali aperse il vero
V. 1-21. L'Uno, ossla il Punto lu-
cento. Tol che Beatrice a ripronsione
dolla vita presente gli nperso il vero,
Dante, guardando no'di lei belli occhi,
vi vedo apecchiato an punto di ncutis-
sima Ince. Si rivolgo perciò al cielo, è
colà scorge vero quello che nvera veduto
negli occhi dolla san Donna. Il Punto è
figura della indivisibile divinità; confr.
Thom, Aq. Sum, theol. 1, 11,2 4. Il punto
raggia di Inco, perchd Dio 4 «amictus lu-
mine sicut veatimento; » Salm. CITI, 2.
Cfr. Daniele IT, 22. I Tim, VI, 16. I Ep.
di S. Giov, IT, 5. L’ Uno si specchia in
Beatrice, come l'unità di Dio si specchia
nell'unità della Chiesa.
1, contro: Al, INCONTRO; INTORNO,
2. MISERI MORTALI: frase Virgiliana,
980 [CIELO NONO)
Par. xxvitt. 8-19
[Punto]
Quella che imparadisa la mia mente;
4 Come in lo specchio fiamma di doppiero
Vede colui che se n’ alluma dietro,
Prima che l'abbia in vista o in pensiero,
=
E sé rivolve, per veder se il vetro
Gli dice il vero, e vede ch’ el s’ accorda
Con esso, come nota con suo metro;
10 Così la mia memoria si ricorda
Ch’io feci, riguardando nei begli occhi,
Onde a pigliarmi fece Amor la corda.
13 E com'io mi rivolsi, e furon tocchi
Li miei da ciò che pare in quel volume,
Quandunque nel suo giro ben 8’ adocchi,
16 Un punto vidi che raggiava lume
Acuto si che il viso, ch'egli affuoca,
Chiuder.conviensi, per lo forte acume;
19 E quale stella par quinci più poca,
Georg. ITI, 66. .ien. XI, 182. - AUKRSK:
manifestò il vero; cfr. Inf. X, 44.
8. QUELLA : Beatrice. - IML'AKA VISA : dd
alla mia mente le givio del Paradiso.
4. IN LO BURCCIHIO: Al. IN I8PECCHIO. -
DOPPIKRO: dal basso lat. duplerius, tor-
chio, o torcia di cora; furso così dotto
porchd formato unondo a doppio più can-
dele; oppure dui raddoppiati stoppiui,
del quali la torcia è composta; cfr. Diez,
Wort. II3, 20.
5. SK N'ALLUMA: <8' illumina d' esso di
rioto dallo spallo, cio’ cho l'ha accoso di
rieto da nd; » Buti.
6. IN VISTA: prima che abbia veduto la
fiamma, 0 che v'ubbia pensato; inaspet-
tatamente.
8. KL: il vero. Vede che il vero si ao-
corda collo specchio, come il canto con
la misura del tempo, civd porfettamente ;
« quia acilicet idolum appareus in specu-
lum conforinator vt convenit cum re
vera extra oxistenti; » Benv.
9. NOTA: canto; confr. Inf. XVI, 127.
Purg. XXXII, 33. - mero: la musica
secondo la quale si canta.
11. FRCI: mi rivolai. - RIGUARDANDO:
vide nogli occhi di Boatrice specchiato
quel Punto lucentissimo di cui dirà poi,
come altrove vi vide apocchiato il Grifo-
no; cfr. Purg. XXXI, 118 o seg.
12. ONDER: co’ quali occhi Amore mi
fece già suo prigioniero.
14. LI aki: i mioi occhi. - 'ARK: appa-
risco, si mostra. - VOLUME: cielo; cuufr.
Par. XX11I, 112 © seg.
15. QUANDUNQUE: ogni qual volta bea
a’ affissi l'occhiò nel giro di esso cielo;
cfr. Sala. XVIII, 1.
16. UN runto: Dio, simboleggiato in
un punto sonza voruna estousiono per
oscludere qualsiasi materialità. « Por ce-
sere disposto a più spirituale e più inti-
ma visione di Dio, qui comincia il l'uota
a contemplarlo nella figura d'un punto,
sì piccolo all'occhio che la più minuta
atella parrobbo a quel paragone siccome
luna; perchè uolla scienza il punto, pri-
vato d'oestensione o astratto dalle ideo di
misura, è tra le immagini corporee quella
che più tien dello spirito e trasporta il
pensiero dal non misurabile all’ incom-
mensurabile o all’ iufinito; » Tum.
17. IL viso: gli occhi in cui quel panto
di fuoco divino percuote. - AFFUOCA: i}
lumina.
19. QUALE: qualunque stella di quag-
giù pare più piccola. - POCA: piocola;
traslato di quantità a misura; cfr. Inf.
XX, 115. - « Ad esprimere |’ infinita sem-
plicità, unità od indivisibilità dal punto
di luce ch'è Dio, il Poets con immagine
tatta sua dipinge così minuto quel punto,
che la stella, ia quale più d'ogni altra
apparisco piccola, parrobbe grande qual
luna, se si collucasse vicina a quello, co-
[CIELO NONO]
Par. xxvitr. 20-35
[Nove CERCHI] 981
Parrebbe luna locata con esso,
Come stella con stella si collòca.
22 Forse cotanto, quanto pare appresso
Alo cinger la luce che il dipigne,
Quando il vapor, che il porta, più è spesso,
25 Distante intorno al punto un cerchio d’igne
Si girava sì ratto, ch'avria vinto
Quel moto che più tosto il mondo cigne;
28 E questo era d’ un altro circoncinto,
E quel dal terzo, e il terzo poi dal quarto,
Dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
31 Sovra seguiva il settimo sì sparto
Già di larghezza, che il messo di Juno
Intero a contenerlo sarebbe arto.
a4 Cosi l'ottavo e il nono; e ciascheduno
Più tardo si movea, secondo ch’ era
me In cielo è vicina stella a stolla;» L.
Vent., Sim,, 526.
V. 22-30, I nove cerchi che girano
intorno all'Uno, Uno cerchio di fuoco,
distante forse cotanto quanto pare Alone
cigner da vicino il Sole n la Luna, quando
l'aereo in cni si forma è più denso di va-
pori, girava con tanta velocità intorno
al punto Inminoso, da vincoro il moto del
Primo Mobile. Questo cerchio di fuoco
era circondato da un secondo, il secondo
da un terzo, e così via sino n nove, che
sono i novo Cori degli Angeli, i quali gi-
ravano in ordine inverso, poichò il più
vicino all'Uno era il più veloce, ed il più
lontano dall'Uno era il più tardo.
22. coTANTO: quanto l'Alone è poco
distante dal Sole o dalla Luna che gli
danno il colore, tanto da quel punto di-
stava nn cerchio di fioro,
23. ALo: Al. HaLo; ALLO; ALLOR} AL
cinorn. Cfr, Moon, Crit., 403 e seg. ll
fenomeno dell' Alone è descritto Par, X,
67 o seg. « Ciò che qui è nuovo, è la for-
ma della desorizione 6 l'estensione del fe-
nomeno nd astri diversi dalla Luna. In-
fatti V'Alone avendo luogo anche per il
Solo, sta bene che si dien quel cerchio
colorato cinger la luce che lo dipinge, qua-
lnnquo sia questa; » Ant.
24. PORTA: che forma esso Alone. Quan-
flo il vapore 4 più denso, il panto da cni
traspare il Sole, In Luna of altro astro è
più piccolo, Cfr. L. Vent, Sim., 30,
26, b'IGNK: di fuoco ; off. Purg, XXIX,
102. Par. XXV, 27. È il cerchio del Se-
rafini.
27. moto: del Frimo Mobile, che, ra-
pido e veloce più di tutti gli altri cieli, si
volge intorno al mondo; ofr. Conv. Il, 4.
Par. XXIII, 112.
28. quasto: © questo primo cerchio di
fuoco era circoncinto (Int. cirewmeinelus)
da un secondo, che era il cerchio del Che-
rubini.
20. QUEL : il secondo cerchio era circon-
dato da nn terzo, che ora quello dei Tro-
ni; i) terzo da un quarto, che era quello
delle Dominazioni,
20, quinto: Virtnili.-swsto: Podestadi.
31, sovra: intorno, fuori dol sesto cer-
chio. -— SLOUIVA : Al. SÉ GIVA; BEN GIVA;
GIUNGEVA, — IL SETTIMO: Principati. -
SPARTO: disteso, dilatato in larghesza.
32. orl: benchè non fosse l'oltimo, -
MESSO: l'arcobaleno, o Iride; cfr. Virg.
Aen, IV, 693; LX, 16 seg. Ovid, Met. I,
270; XI, 685; XIV, 85,
33. INTERO: compiuto in nn Intero cir-
colo. - ARTO : stretto; ofr. Inf. XIX, 42.
Purg. XXVII, 132.
24, L'orravo: Arcangeli. — IL NONO:
Angeli,
35. skcoxnbo: a misura che cresceva
il nomero d'ordine di cinscon cerchio.
(Quanto più cresce il numero tanto più si
allontana dall'unità, « Quello cho era più
presso nl punto sl movoa più ratto che "l
982 [CIELO NONO]
PAR. xxvill, 36-45
(WOVE CERCHI)
In numero distante più dall’ Uno.
87 E quello avea la fiamma più sincera,
Cui men distava la favilla pura;
Credo, però che più di lei s'invera.
40 La donna mia, che mi vedeva in cura
Forte sospeso, disse: « Da quel punto
Dipende il cielo, e tutta la natura.
43 Mira quel cerchio che più gli è congiunto,
E sappi che il suo movere è si tosto
Per l'affocato amore ond’egli è punto. »
secondo, e così succossivamente, sì ché
l'ultimo el movea più tardo di tulll; »
Buti.
B7.siNcERA: pura chiara, lucida. L'Uno,
Dio, è il padre e la sorgente della luce;
cfr. Jacopo, I, 17. Quanto più i Cori an-
golici sono vivini all'Uno, tanto più essi
risplendono di divina luce; quanto più
distauti, tanto meno; cfr.Thom.Ag.Sum.
theol. I, 65, 3.
38. CUI: dal quale ora mono distante il
punto luminoso,
89. S'INVKRA: penetra addentro nella
verità della divina essonza. « Qui rende
la ragione e dice che 6 più in lucidezza,
porchd s'invera, civò più conosce è vede
dolla veritadodolla divina vssonzia. È no-
ta, snvera si è verbo informativo, quasi
fussi simile della veritado;» Lan.
V. 40-78. I nove cieli ed i nove cer-
chi. 1 novo cerchi che girano intorno
all’ Uno attirano a sè l'attenzione del
Poeta, il quale desidera di penetrare più
addentro nella conoscenza dell'Uno e dei
nove cerchi. Beatrice gli ricorda una
sentenza di Aristotele: Da tale principio
(punto) dipende il Cielo ela Natura. Guar-
da quel cerchio che è più vicino all’ Une;
e' si muove tanto veloce, perchè spro-
nato da ardentissimo amore. - Se lo sfere
procedessero colla stesso ordine che que-
sti cerchi, la più vicina al centro girando
più ratta, quel cho tu mi dicesti mi avria
appagato. Ma nel mondo sensibile osser-
viamo un ordine inverso. Le sfere cele-
sti sono tanto più veloci, quanto più sono
lontane dal centro, che è la terra. Se
quindi, in questo nono cielo, maraviglio- «
so e santo luogo degli Angoli, il mio de-
siderio di conoscerne le condizioni deve
ossere pienamente appagato, mi convien
sapere come mai il mondo sensibile, ch' è
immagino del suprassensibilo, si diver-
sifichi dal ano csemplare in ciò, ehe in
questo il cerchiv più vicino al contro ai
muove più ratto, in quello più tardo, -
Non è maraviglia se non ti riesce di scio-
gliere tal nodo; tanto la questione, per
non essere da alcuno trattata, è difticile
a risolvere. Fa' attenzione a quanto u
dirò ed aguzza il tuo ingegno, se vuoi
essere appagato. Lo sfere materiali sono
ampie o stretto, secondo il più v il mono
dellu virtù cho sono destinate a ricevore
disopra perinfluirla disotto. Quanta mag-
gior salute La un corpo in sò, tanto mag-
gior bene può fare a quelli che da lui
dipendono; e tanto più di salute può
avero, quanto egli (purchè abbia tutte
le suo parti perfetto) è più grando. Se
dunque nellosfore materiali virtà © gran-
dezza sone tutt'uno, questa nona sfera
che comprende tutte le altre è la più no-
bile di tutte, è como tale currisponde
alla più nubile dollo sfere spirituali, la
quale per opposto è la minore di tutte.
Per lo chè se tu in ciascun augelico cer-
chio misurerai non la sua apparente cir-
conferenza, ma la virtù degli spiriti che
lo compongono, vedrai come ciascun cielo
mirabilmente corrisponde all'ordine di
celesti Intelligenze che lo governano:
il maggior cielo all'ordine più perfetto,
il minore al mono porfetto.
40. 1N CURA: in pensiero, in dubbio,
Chi dubita è come sospeso; chi è sicuro,
o tale si crode, sta.
42. DIVENDK: cir. Aristot. Met.XXX,7:
"Ex torautng Gea dpyPg Nernta: 6
cupavog val 7 quo:s. Cfr. Com. Lipe.
IIT, 754 © seg.
43. curcuio: dei Serafini: più proasi-
mo all'Uno è piu veloce degli altri nel
suo giro.
45. AMORE: cfr. Cono. II, 4. Bp. Kani,
26. — PUNTO: stimolato.
[CIELO NONO]
Par. xxvii, 46-64
[Nove cencm] 983
46 Ed io a lei: « Se il mondo fosse posto
Con l'ordine, ch'io veggio in quelle ruote,
Sazio m'avrebbe ciò che m'è proposto.
49 Ma nel mondo sensibile si puote
Veder le vélte tanto più divine,
Quant’ elle son dal centro più remote.
52 Onde, se il mio disio dee aver fine
In questo miro ed angelico templo,
Che solo amore e luce ha per confine,
55 Udir conviemmi ancor come |’ esemplo
E l'esemplare non vanno d’un modo;
Ché io per me indarno ciò contemplo. »
Ga « Se li tuoi diti non sono a tal nodo
Sufficienti, non è maraviglia,
Tanto, per non tentare, è fatto sodo. »
61 Così la donna mia; poi disse: « Piglia
Quol ch'io ti dicerò, se vuoi saziarti,
Ed intorno da esso t’ assottiglia.
64 Li cerchi corporai son ampi ed arti,
46. r0sTo : ordinate. « Pono la diMicoltà
seguente. La divinità recinta da questi
nore cerchi è l' esemplare del mondo:
com'è che nell'ordine predetto del moto
© intonsità delln luce si oppongono ssom-
plare ed esemplato? Se io in questo ulti-
mo cielo devo essere soddisfatto nel miei
desiderii, bisogna che ne abbia la spie
gazione ; » Corn,
47. IN QUELLE: Al. IN QUESTE. - RUO-
tk: nei nove cerchi che girano intorno
all’ Uno.
48, sazio: non ti chiederei altro. -
rrorosTo: « messo innanzi per cibo ;
presa la figura della tavola apparecchia-
ta, 6 della cena di lassù ; » Cea.
50. LR VOLTE: Al. LE RUOTE, LE COSK;
cfr. MOORE, Crit., 494 è seg.; i cerchi. -
DIVINE: « più veloci, perchè più amano
Iddio; » Buti.
61. creetro: dalla Terra, che nel si-
stema di Tolomeo è il centro dell' uni-
vorso. i
52. AVER FINE: rimanero perfettamen-
te appagato, « Parla del suo desiderio re-
lativo a questo cielo, non dell' assolnto,
perchè questo non deve aver fine se non
più sopra, in Dio; » Andr.
53, mino: ammirabile; ofr, Par. XIV,
24; XXIV, 20; XXX, 68. = tRMELO:
tempio chiamnsi sovente nelle Scrittore
Sacre il Cielo; ofr. JI Rag. XXII, 7.
Salm. X, 6, Micheo, 1, 1. Apoe. VII, 15;
XT, 19; XV, 6-8.
54, AMOMK K LUCK: cfr, Par, XXVII,
112.
65. COME: Al. PERCHÉ. - L'ESEMPIO :
il mondo sensibile, v, 49, «Le sfere de' cieli
sono esempio, imagine di Dio, esemplare
supremo, intorno a cul muovono le in-
telligenze, © più le più prossime a lui; »
Tom. Cfr. Boet. Cone. phil. III, metr. 8.
50. L'ESEMELARI: il mondo soprasson-
sibile, esemplare del sensibile.
58. pitt: metaforicamente, per: Se
l'ingegno tuo non arriva a sciogliere si
grave difficoltà.
60. FER NON TENTARE: perchè nessuno
ha ancora tentato di scioglierla; confr.
Velg. El. I, 1. De Mon, I, 1. - 80D0 : s0-
lido, stretto.
Ol. MGLIA: pon monto n quello che fo
ti dirò.
63. INTORNO DA kaso: ofr. Purg. VI,
85, - T'ASSOTTIGLIA: aguzza l'ingegno;
efr. Purg. VIII, 10. Par. XIX, 82.
64. CORPORAI S0x0: Al. CORPORAL SO-
NO; CORPORALI ENKO. I cerchi corporali
S’ egli ha le parti egualm
70 Dunque costui, che tutto qu
I’ altro universo seco, col
Al cerchio che più ama e
73 Per che, se tu alla virtù cir
La tua misura, non alla pi
Delle sustanzie che t’ app
76 Tu vederai mirabil consegu
sono { nove ciell. - ARTI: stretti; lat. ar-
etus: cfr. Inf. XIX, 43; qui sopra v. 83.
65. ViInTUTK: « sccondo la maggiore o
minor virtù che huuno d'infiuire nelle
cose a loro sottoposte; cfr. Par.II,123;»
Lomb. « Doi cieli del mondo sensibile
quelli che più sono stretti hanno manco
virti,, 0 quelli allo "ucontro che sone più
mnpi o grandi, no hanno più; » Dan.
07. HONTÀ VUOL FAR: Al. BONTATK
VUOL. « Boutà più grande vuole una più
grande estensione de’ salutari, do’ bene-
fici suoi influssi; ed un corpo di natura
sua piit grando, se in nessuna dolle sue
parti sia mancante, 6, por la sha inag-
gior estensione, capace di ricuvere in sè
una maggior copia di cotali influssi; »
Lomb.
68. SALUTE: caso obliqno. - corro:
* caso retto. - Cark: contiene; cfr. Par.
XVII, 16.
69. comviutk: di eguale porfezione.
«Se lo grande corpo la le sue parti pa-
riinente compiute cone lo piccolo, come
si vedo, per esempio, maggior forza ba
uno grande uomo che uno piccolo; è ©
il piccolo avesse umendue le maui e lo
grande non la nvessa nvrebbe mavcior
71.
bile 1
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parte
tri ci
COND
72.
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Par.
più di
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IV, 3
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73.
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signi!
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eure,
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circo?
Loml
74.
[CIELO KoNO]
PAR. xxvii. 77-88 [MENTE ILLUMIN.] 985
Di maggio a più e di minore a meno,
In ciascun cielo, a sua Intelligenza. »
79 Come rimane splendido e sereno
L’ emisperio dell’aere, quando soffia
Borea da quella guancia ond’é più leno,
82 Per che si purga e risolve la roffia
Che pria turbava, sì che il ciel ne ride
Con le bellezze d’ ogni sua parroffia;
85 Cosi fec’ io, poi che mi provvide
La donna mia del suo risponder chiaro,
E, come stella in cielo, il ver si vide.
88 E poi che le parole sue restàro,
hanno a governare que' Cieli che sono
più presso a Dio; e poi, disgradando d'or-
dine in ordine degli Angeli, disgradando
ciascuno e dilungando il cerchio sno più
da Dio, tanto più si dilunga al governn-
mente de' pianeti, ciod cho Il nono ordino
degli Angeli è il più dirieto ordine sia n
governare il più basso pianeto di tutti i
nove pianeti. E dice Bentrice all'antore:
Siccome la nona spera volge e mnove
tutte l'altre spero, così il primo cerchio
d' Angeli, ciod i Serafini, guida 6 volge
gli altri, e così si conforma insieme l'uno
coll'altro; » Falso Boce,
77. MAGOIO: maggiore; cfr. Inf. VI,
48; XXXI, 84. Par. VI, 120; XIV, 07;
XXVI, 20; del ciolo maggiore alla mag-
giore Intelligenza, del minore alla mi-
nore,
78. BUA: all' [ntelligenza che lo mnove;
efr. Par. VIII, 34 0 sog. Conv. IT, 6.
V. 70-87. La mente ill'minota. Dea-
trice ha aciolto il dabbio del Poeta con
tanta chiarezza, che nella mente di Ini ai
fa lucido il vero, Onde paragona la mente
ana rischiarata al soreno dol cielo, la vi-
sione del vero n stella fiammeggiante,
Cfr. L. Vent., Sim., 19.
70. SERENO: cfr. Laseret. Rer, nat. I,
0 © seg.
+ L'EMISPERIO : la mozza sfera termi-
nata dal nostro oriszonte; cfr. Inf. IV,
G0I.- ROFFIA: cfr. Virg. Aen. XII, 305 6
sog. Roeth, Cons. phil. I, metr. 8.
BI. Borra: «i quattro principali venti
sono rappresentati da quattre facce vma-
‘no, Dalla bocca del Jlorea escono tre cor-
renti ili aria; ona dal mezzo della bocca,
lo altre doe da ambi 1 lati alla chinsura
doi labri, Il Borea sollin dal mezzo il
tramontano, dal lato sinistro Il grecale,
dal destro (ond'è più leno) il maestrale
splendido e severo, che sgombra gli umi-
di vapori (regia) cioò la nebbia; » Corn.
= MA QUELLA MUANCIA: AL. DALLA GUAN-
CIA. LENO; leno (efr. Nattntee., Nomi,
119, 123, 142), qui per moderato, tempe-
rato, men freddo, eco,
82. ROFFIA : nebbia, caligine ; cfr. Diez,
Wirt, 1”, 860, « Roffia è d'nso tuttora,
benchè non comune, n Siena, per quel
riparo di cunjo che arma dal petto in
giù, nsato da’ fabbri, perchè il fuoco non
abbroci loro | panni; > Fanf., Vor. del-
l'uso tose,, 834. « Potrebb'essero che la
fuliggine della roffia fosse trasportata da
Dante n significare la caligino del cielo ; »
Caverni, Voci e modi, 112, Cfr. Morat.
Od. I, 7, 13.
Bi. PARROFFIA: Al. PAROPITA ; voce di
origine o signifienzione incerto. « Parrof-
fia, clot abbondanza; » Lan., An, Fior. Mo-
glio Reno, Buti, Land., Vell., Dan., ecc.,
che interpretano parte, « D'ogni sun par-
te; e disse parofia in lungo di paroechia,
e parocchia è in una città quella parte
degli nomini che sono sotto nna medesi-
ma Chiosa;» Land. Cir. Boccae. Teseid.
VII, 114. Com. Lips. TIL, 761 è seg. Fi-
LOMUSI GurLri, Le parofte del cielo, Ve-
rono, 1800.
87. BTELLA: efr. Par. XXIV, 147. -81
VIDE: da me,
V. 88 06, Angeli sfavillanti intorno
allUno. Poi che Beatrice si tacque, il
Poeta velo quei cerchi sfavillare d' innu-
merevoli scintillo ed ode di coro In coro
cantare Osanna all’ Uno, Cfr, Daniele,
VII, 10. Thom. Aq. Sum. theol, T, 112, 4.
Conv. IT, 6.
Cozie] we vee wwe we - .
Più che il doppiar degli :
94 To sentiva osannar di coro }
Al punto fisso che li tien
E terrà sempre, nel qual
07 E quella, che vedeva i pen:
Nella mia mente, disse:
T’ hanno mostrati 1 Seral
100 Cosi veloci seguono i suoi :
89. FERRO: ofr. Par. I, 680 seg. Ezech.
I, 7. « Per questa comparazione denota
l'ardente festa e innumerabile moltitu-
dine degli angelici spiriti, come li cerchi
degli ordini delle angeliche sustanzio; »
Ott.
DI. INCENDIO: ogni scintilla, civò ogni
Angolo, seguiva Îl Punto, I’ Uno, chotutto
di luce incende, si moveva in giro sempre
rivolta ali’ Uno. Sulle diverse altre inter-
pretazioni di questo non troppo chiaro
verso confr. Oom. Lips. III, 702 © seg.
Benv.: «singuli angoli trabebant secum
suum ardorem et splendorem. » - Uorn.:
«i cerchi gettavano scinutille che si mol-
tiplicavano a mille a mille, oltre ogni nu-
mero. »
93. B'INMILLA: va nel mila, si molti-
plica a migliaja. Allude alla leggenda del-
l'inventore degli scacchi, il quale chiese
al re dl Persia in premio della sua inven-
zione un chicco di grano duplicato e sen-
pre moltiplicato per tante volte quanti
erano i quadrati nella scacchiera. Rise
dapprima il monarca; ma venuto al cal-
colo, trovò che non avea grano abbastan-
net
Ben
Vv
Con
dist
chk
Sau
211
TUI
PEUBDERZERSIOEPER
[CIELO NONO]
Par. xxvin., 101-115
[GERARCIIE) 987
Per simigliarsi al punto quanto ponno,
E posson quanto a veder son sublimi.
103 Quegli altri amor', che intorno gli vonno,
Si chiaman Troni del divin aspetto,
Perché il primo ternaro terminonno.
100 E dèi saper che tutti hanno diletto,
Quanto la sua veduta si profonda
Nel Vero, in che si queta ogn’ intelletto.
109 Quinci si può veder come si fonda
L’ esser beato nell’ atto che vede,
Non in quel ch'ama, che poscia seconda.
112 E del vedere è misura mercede,
Cho grazia partorisce e buona voglia;
Così di grado in grado si procede.
115 L'altro ternaro, che così germoglia
Scrocca, Il sistema dantesco dei cieli e
delle loro influenze, Napoli, 1805, p. 44
© Beg.
101, simicrtansi: «Similes el erimus;»
I Ep. di S. Giov. III, 2. Un cerchio che
al mnove colla massima velocità pare un
punto solo, Quindi, i cerchi che più veloce]
si muovono, più si somigliano al l'unto
che è Dio. - QUANTO roxxo: per quanto
è possibile che la creatura si somigli al
Creatore, al quale non ponno però mai
simiglinrsi perfettamente ; confr. Giobbe,
IV, 18.
102. A vronn: ad intendere; ofr, Par.
X, 114; XIII, 37 © sog.
103. Amon’: angeli; efr. Par. XXLX,
18, 46; XXXII, 4. - GLI YoNnKO: Al. A
LOR VONKO.
104, Tomi: cfr. Par, IX, 61, Secondo
Dion. Cal. Iier., 7 sono chiamati Troni
«quia primum terminarunt; » invece se-
condo Greg. Magn., |. ¢., hanno questo
nome perchè «in eis sedeat Deus, et per
cos judicla decerneat, » Dante segue an-
che in questo riguardo Dionisio.
105, TEUMINONNO: terminarono ; confr.
Vulg. El, I,13, Nannwe., Verbi, 197 e seg.
107. QUARTO: «di qui s'intende che
I'easeor bento conalato nel vedere, cinò
nel conoscere, 6 non nell'amore; perchè
l'amore procede dalla cognizione; e non
la cognizione dall'amore. E tanto più
ama la creatora |] Creatore, quanto più
lo conosce, © ricevo morcò o grazia se-
como la misura del conoscere. Laondo
di grado in grado quanto più vede, piit
ha di grazia, di buona voglia, cioè di vo-
ler quello che vuole Iddio; » Land,
108. Vero: Dio; confr. Par. IV, 125.
Conv, II, 15,
100. 81 roxna: come il fondamento delln
celestinle beatitudine sia nella visione di
Dio, mentre l'amore di Dio vien dopo la
visione ed è l'effetto di essa; oft. Per.
XIV, 41. Thom. Aq. Sum. theol. 1", 3, 1-8.
IIT Suppt., 02, 1-3,
112, MERCKDE: fl merito, le opere me-
ritorie; cfr. Inf. IV, 24. Par. XXI, 52.
La visione di Dio è più o men grande se-
condo il maggiore o minor merito. Il me-
rito è prodotto dalla grazia divina o dalla
buona volontà che colla grazia coopera,
Questi sono i veri gradi per i quali la cosa
procede. Nota che qui si parla della vi-
sione beatifica di Dio in generale, non
soltanto degli Angeli, ma anche degli no-
mini. Del merito degli Angeli in partico-
lare tratta in seguito, Par, XXLX, 68
® Beg. ‘
115, TERNARO: la seconda Gerarchia,
composta essa pure di tre Ordini di An-
geli; ofr. Thom. Ag. Sum, theol, I, 108, 2.
- GRRMOGLIA : a germogliaro proprio ai è
negli Abori dotla primavera quando co-
minciano a pullulare loro verdura, è cin-
acun bronco produce nuove fogliette; così
a simili tutto lo collegio degli Angeli,
degli quali pullula sempre amore, scienza
© giustizia, © sta sempre in tale pallula-
re;* Lan., An. Fior., Duti, ecc.- « Par-
121
124
127
von tre moloo, che suonano
Ordini di letizia, onde s’ inte:
In essa gerarchia son le tre dec
Prima Dominazioni, e poi Vi:
L’ordine terzo di Podestadi
Poscia ne’ duo penultimi tripud
Principati ed Arcangeli si gii
L’ ultimo è tutto d’Angelici |:
Questi ordini di su tutti rimii ur
E di giù vincon sì che verso .
Tutti tirati sono e tutti tiranc
torisce grazia e buona voglia; » Vell. - 123. RR:
« Talinente vivace e licta conservasi; » XXXII, 1
Lomb. 124. TRI
117. NOTTURNO: « felice modo astrono- 126. 1.° ul
mico per indicaro la stagione d'autunno. — chio vd Ord
Nolla stagiono infatti dello foglie o del = Angeli Jude
fiori, nel nostri climi, il soled in Ariote,
© quindi la Costelluzione omonima sor-
tunque l'ul
angeli, tutt
gondo e tramontando col grande astro in senso gi
del dì, passa di giorno sul nostro vrizzon- angelici spl
to, e quindi non è visibile in primavera; ri; » Corn.
ma quando il sole stesso ha percorso la 127. MIMI
parto livreale dell'eclittica ad entra in Miano. Tt
Libra, l'Ariete rimane opposto e vedesi all'Uno, al
però di notte nella stagione autunnale. visione di
La coincidenza pertanto del dispogliarsi — sotto gli un
dello piante colla notturna presenza di tirano e na
Arieto ha indotto a supporre pootica- — foriurl, onde
monte questo fatto causa di quello, ed ha o tutti tira:
offerto al Poeta un nuovo argomouto per tutti li tira
intrecciare, al solito, con fior di poesia V.130-13{
fior di scienza astronomica; » .inl. Dionisio, cor
118. SVKRNA: canta; cfr. Voc. Cr. ad v.
119. MELODE: melodio. dal sine. sue/o-
dò con tanto
nella cantso
[CIELO NONO]
ar. xxvii. 130-139
[GERAnCHI“]} 989
130 E Dionisio con tanto disio
A contemplar questi ordini si mise,
Che li nomò e distinse com’ io.
133 Ma Grogorio da lui poi si divise;
Onde, sì tosto come |’ occhio aperse
In questo ciel, di sé medesmo rise.
136 E se tanto segreto ver profferse
Mortalo in terra, non voglio ch'ammiri;
Ché chi il vide quassii gliol discoverse
139 Con altro assai del ver di questi giri. »
lo vide quando fa rapito sino al terzo
cielo; cfr, II Cor. XII, 2 0 seg. Inf. II,
28 © sog.
130. Diosrsio: l'Areopagita, cfr. Par.
X, 115, creduto autore del De celesti
hierarchia. .
112, com'10: che no parlo per veduta.
133, Grecorio : Magno, cfr. Purg. X,
75. Par. XX, 100 è seg. - 81 DIVISR: si
allontanò dall'opinione di Dionisio; cfr.
Thom. Ag. Sum. theol. I, 108, 6.
145. nisk: è in realtà il ridere di Dante
stesso, che ripudia qui la sua opinione
emesan Conv, II, 6. Si tratta però d'un
Ee
innocente sbaglio, non d'un articolo di
fodo.
130, skerRTO ver: 6 so Dionisio rivelà
verità così nascoste. — rROFFERSK: ma-
nifestò; efr. Par. LIT, 0; XXVI, 103.
138, ent: San Paolo, « Tas antem in tres
ternarios ordines digerit inelytus initia-
tor noster; sivo ia sit divinns Hiero-
theus, sive potias ja qui ad tertiam cm-
lom evectus, ibidem raptus in Paradisom;
magnusinquam Panlus;» Dion., De cat.
hier., 6. - DISCOVERSE: rivelò.
130. ALTHO: con molte altre verità con-
cornonti questi cieli.
CIELO NONO CRISTALLINO: GER
TEORICA DEGLI AN
PREDICA CONTRO I PREDICAT
+ Quant’ è dal punto thed n nit
v Infin che pe ales la.
: Cambiando l' emisperio, si ¢
1 Tanto, col volto di riso
Si tacque Beatrice, rigt a d
Fisso nel punto che m'avey
10 Poi cominciò: « Io dico, non ¢
nel Punto tanto tem-
po, quanto Il Mila ela Lana, dante Chase
sani dalla eniliara nnnoaatia sirena nti dal Vitae
[CIELO NONO]
PAR. xxix. 11-21
[ANogLI) 991
Quel che tu vuoli udir, perch’ io |’ ho visto
Dove s’appunta ogni ubi ed ogni quando.
18 Non per aver a sé di bene acquisto,
Ch’ esser non può, ma perché suo splendore
Potesse, risplendendo, dir: Subsisto;
16 In sua eternità di tempo fuore,
Fuor d’ ogni altro comprender, come i piacque,
S’aperse in nuovi amor’ |’ eterno amore.
19 Né prima quasi torpente si giacque;
Ché né prima né poscia procedette
Lo discorrer di Dio sovra quest’acque,
mpazio od TH tompo. Parlando quindi della
creaziono degli Angeli tocca i seguenti
punti: 1° Perchè cred Dio gli Angeli? Non
per accrescere la propria beatitudine,
ma perchè le emanazioni della ana Ince,
riaplendendo di por sè, godessero della
coscienza della loro esistenza; dunque
per puro amore. Confr. Thom. Ag. Sum.
theol, J, 50, 1. Sum. contr. gent. II, 1.
- 2° Quando furono creati gli Angeli?
Non avanti il tempo, ma col tempo, ciod
il prime di della creazione, Confr, wg.
Civ. Dei, XT, 0. Thom. Ag. Sun, theot.
I, 61, 2 © seg. - 8° Dove furono ereati
gli Angeli? Nel Cielo Empireo. Confr.
Petr. Lomb., Sent., II, 2. Thom, Aq.
Sum. theol, I, 61, 3. - 4° Come furono
ereati gli Angeli? Bnoni tutti, anche i
ribelli; pure forme, inquanto in ossi la
forma non organizza vernna materla,
Tuttavin anche negli Angell ha Inogo la
differenza tra potenza ed atto, Dio solo
essenilo alto paro nssoluto, Cfr. Thom.
Aq. Sum, theol. I, 50, 2.
12. povr: in Dio, in cul tutto è, e tutto
si scorge. - Um: Inogo, apazio ; ofr. Par.
XXVIII, 96. - QuanDO : tempo. A Dio è
presente ogni luogo ed ogni tempo,
13. A st: « Ad prodnuctionem creatn-
raram nihil aliad movet Denm, nisi sna
bonitas quam rebus aliis comunicare vo-
Init secondom modaom assimilationis md
ipanm ; » Thom. Ag. Sum. contr, Gent,
IT, 46. re
14. rence: ma allinchd lo aplendor
suo, rispondendo in altre sostanzo, po-
tosso dire: Subsisto, io sono, cioè affinchd
ogni creatura godeaso della propria eai-
stenza. Altri applicano a Dio stesso, qna-
le motivo della creazione, questo bisogno
della sstrinsecazione per avere più com-
pilota normazione di nh, Ma ipnosi sm
rebbe un'eresia bella e buona, Dio, l'ente
porfettissimo, non ha verun « bisogno, »
nemmeno «della estrinsecazions, +
16. FvORE: fuori. Tempo è spazio inco-
minciano colla creazione dell'universo.
17, rUOR: « oltra ogni altro compren-
dere che quello d'Iddio, perchè nissono
intelletto creato può comprendere come
il tempo col tempo cominciasse; » Dan.
Cfr. Avg. Civ. Dei, XI, 6. -1: gli; spon-
tancamento,
IR. 19 NOVI AMOn': Al. In xuovo
amon; IN Kove AMOR', I nuovi amo i
sono contrapposti all'eterno amore. Leg-
gendo xove si dovrebbe intendere: in
nove ordini d'Angeli. Ma l'eterno amore
non al nperso soltanto nei nove ordini
d'Angeli, anzi in tutto il creato.
19. prima : della ercazione, - TORPENTE:
inerte. Non si pod dire che prima della
ereazione Dio fosse inattivo, la creazione
essendo fuori di tempo e l'eternità non
avendo nè prima nò poi, Cir. Avg. De
Civ. Dei, VII, 80; XI, 4-6; MIT, 15-17.
Thom. Aq. Sum. theol, I, 10, 1, 4. Aug.
Conf. XI, 19.
20. PROCEDETTE : il discorrer di Dio ro-
rra quest'acqua (confr. Gen. I, 2), clod
l'opera della creazione, non avvenne nè
prima, nè poi. « Tempus nihil alind est
quam numerns motus ssonndom privs et
posterins, Cam enim in quolibet motu sit
ancocssio, ot wna para post alteram, ox
hoe quod numeramna prina st posterina
in motan, apprehondimus tempus, qnod
nihil aliod eat qnam numerns prioris et
posterioris in motu, In eo autem quod
enrot moto, ot semper sodem modo so
habet, non est accipere prius et poste-
rius; » Thom. Ag. Sum. theol. I, 10, 1.
wuss U GIUU bIICUTUO Ure
25
E come in vetro, in ambra o:
Raggio risplende si che di
All’ esser tutto non è inter
Così il triformo effetto del si
Nell’ esser suo raggiò insie
Senza distinzion nell’ esorc
31
Concreato fu ordine e costru
Alle sustanzie; e quelle fu:
Nel mondo, in che puro ati
22. FORMA : sostanziale. - MATERIA: la
materia prima. - 'URKTTK: non confuse.
Forma pura (creatura rationalis et spi-
ritualis = Angoli), materia pura (erca-
tura corporalis=la natura sunsibile) e
materia congiunta a forma (creatura cor-
poralis et rativnalie = l'uomo) uscirono
dalla mente di Dio tutto in un tompo,
como escono try navito da un arco cho
abbia tre corde. E cotusto (riforime ef-
Setto raggiò tutto insieme nol suo oasere
perfetto, come il raggio, venuto nel ve-
tro, in un istanto c'è tutto. « Deus si-
mul ab initio temporis utramque de ui-
hilo condidit crouturam, epiritualom et
corporalom, augelicam vidolicet ot mon-
dapiun; ac deindo humauam, quasi com-
mmunem ex spiritu et corpory constitu-
tum; » Cune. Lat. IV, cup. Firmiter.
Cfr. A. Scuocca, Il sistema dantesco
dei cieli e delle loro influenze, Nupoli,
1895, p. 20 è sog.
23. AD KSSKR: ad essenza. Al. AD ATTO,
lez. assolutamente priva di autorità. -
FALLO: «© Iddio vide tutto cid ch’ egli
aruavea fatte... 1.......
cido in
sione f
num,
XVIII
22. Cio
cido in |
l' esserv
vallo di
28. co
tutte e
pura ©
istantan
no di pr
Opura, ©
suo: Al
XXIX,
Par. X]
20. MII
02s0r0. -
$0. Dia
ziona di
[CIRLO NONO]
Par. xxix. 34-48
(ANGELI) 993
34 Pura potenzia tenne Ja parte ima;
Nel mezzo strinse potenzia con atto
Tal vime, che giammai non si divima.
87 Jeronimo vi scrisse lungo tratto
De’ secoli degli Angeli creati,
Anzi che l’altro mondo fosse fatto;
40 Ma questo vero è scritto in molti lati
Dagli scrittor’ dello Spirito Santo;
E tu te n’avvedrai, se bene agguati;
43 Ed anche la ragione il vede alquanto,
Che non concederebbe che i motori
Senza sua perfezion fosser cotanto.
46 Or sai tu dove e quando questi amori
Furon eletti, e come; si che spenti
Nel tuo dislo già sono tre ardori.
34. POTENZIA : le enstanzie da Dio pro-
dotte puramente attive, per esercitare
azione in su le altre, cioè le sustansie an-
geliche, furono messe sopra i cieli : le su-
stanzie create puramente passive, con la
sola potenza di ricevere l'azione altrui,
furono collocate nella parte ima, più ban-
sa, cioè sotto la Luna; le eustanzie create
attive o nello stesso tompo passive, cioè i
cieli, « che di su prendono e di sotto fan-
no,» Par. II, 123, farono poste nel meso
tra lo angeliche e le terrestri.
36. ving: logame; ofr. Par. XXVIII,
100. -nivima: scioglie. Nel mezzo, tra la
cima e la parte più bassa del mondo, un
legamo così forte, cho mai non si discior-
rà, strinse quello sustanzie che sono di-
sposte a ricevere ed a fare; confr. Per.
VII, 130.
37. Jznonimo: ofr. Hieron. in Bpiet. ad
Tit. I, 2.- LUNGO TRATTO: del lunge trat-
to de’ secoli; lat.: « Scripeit de Angelis
creatis multa smcula anto quam, 600. »
Al.: vi scrisse a lungo. Cfr. Thom. Ag.
Sum. theol. I, 61, 3.
88. DR'SECOLI: Al. DI SECOLI.
40. QUESTO VERO: questa verità che gli
Angoli farono creati contemporancamon-
to al mondo, - MOLTI LATI: Gen. I, 1. Ke
eles. XVILI, 1. Cfr. Thom. Ag. Sum. th.
I, 61, 3.
41. scrITTOR' : autori dei libri biblici;
¢Spirita sancto inspirati locati sunt san-
cti Dei homines; » II Pietro, I, 21. Cfr.
De Mon. Ill, 4.
63. — Div. Comm., 3° ediz.
42. AGGUATI: poni monte. Al. SE BEN
NE GUATI: AR BEN VI GUATI.
43. ALQUANTO: in parte, la ragione
umann potendo bensì vedere un poco
delle cose soprannaturali, ma di gran
lunga non tutto, ed anche il poco non
chiaramento.
44. MOTORI: Angeli, motori dei cieli;
cfr. Conv. II, 5.
45.PERFRZION : l'atto di volgere le sfere,
che è il compimento dei motori. - co-
TANTO: sì lungo tempo; cfr. Thom. Ag.
Sum. theol. I, 61, 8.
V. 46-69. Angeli fedeli ed infedeli.
Beatrice continna: Tu eai ora dove,
quando e come gli Angeli furono crea-
ti. Ma una parte di ossi si ribellò a Dio.
Quando? Appena creati. Gli altri, rima-
sti fedoli a Dio, cominciaron quest'arte
cho tn vedi, di girare intorno al lucea-
tissimo punto. La superbia di Lucifero
fu la causa prima della caduta degli An-
geli ribelli. Gli Angeli fedeli riconobbero
in umiltà fl loro essere da Dio che gli
avea creati capaci di tanta intelligenza,
onde ricevettero la grazia illuminante, e
la grazia consumante, di modo che non
ponno più poccaro. E sappi che il riceva.
ro la grasia A moritorio, in ragione della
buona volontà nell'aocettaria. Ora, ne tu
hai ben inteso le mie parole, puoi sens'al-
tro aiuto comprendere molte altre cose
concernenti questa angelica assemblea.
47. SPENTI: sciolti tre dubbi, quindi
spenti tre motivi dell'ardente tua brama.
— see vv 2s VEE “uva YUO
62 L’ altra rimase, e cominciò ¢
Che tu discerni, con tantc
Che mai da circuir non si
55 Principio del cader fu il ma.
Superbir di colui che tu v
Da tutti i pesi del mondo
58 Quelli che vedi qui furon mc
A riconoscer sé dalla bont
Che gli avea fatti a tanto
61 Per che le viste lor fàro esa
Con grazia illuminante e «
Si o’ hanno piena e ferma ‘
64 E non voglio che dubbi, ma
Che ricever la grazia è me
49. Giuankules!: dalla creazione degli
Angeli alla caduta di una parte di essi
non passò tanto tempo, che bastasse per
numorare da uno sino a venti. Cir. Thom.
Ay. Sum. theol. I, 43, 6; I, 62, 5. « Di
tutti questi ordini ef perdettero alquanti
tosto che furuno creati; » Conv. II, 0.
51. IL BUGGKTTO: la terra, sopra la
quale si ulzano gli altri elemeuti, cioò
acqua, aria e fuoco; Lan., An. Fior.,
Post. Cass., Falso Bocc., Benv., eco.; op-
pure perchè di questi quattro clomenti è
composto il globo terrestre; Ronch., ecc.
Al. MUTÒ 'L SUBIKITO, civd la terra, pri-
ma pura, poi guasta por la caduta di
Lucifero (Buti, Land., ecc.). KLKMENTI:
Al. ALIMENTI, lezione quasi del tutto
unravrviuta dii artinità (AMP shee TI.
58. €
CAUSA |
fa il pi
cause |
fa la vi
ofr. TA
seg.; ]
50.1
loro ds
grati.
tutti |
dalla d
60. P
ligenza
61.1
motivo
veder ]
(CIELO NONO]
70
PAR. xx!x. 66-82
Secondo che l’affetto |’ aperto.
Omai dintorno a questo consistorio
Puoi contemplare assai, se le parole
Mie son ricolte, sens’ altro aiutorio.
Ma perché in terra per le vostre scuole
Si legge che l’angelica natura
E tal, che intende e si ricorda e vuole,
(ANGELI] 995
73 Ancor dirò, perché tu veggi pura
La verità che laggiù si confonde,
Equivocando in sì fatta lettura.
76 Queste sustanzie, poi che fair gioconde
Della faccia di Dio, non volser viso
Da essa, da cui nulla si nasconde:
79 Però non hanno vedere interciso
Da nuovo obbietto, e però non bisogna
Rimemorar per concetto diviso.
82 Si che laggiù non dormendo si sogna,
67. DINTORNO: concernente tatto ciò
che si riforisce a questo angelico collegio;
cfr. Purg. 1X, 24.
V. 70-84. Le facoltà degli Angel.
Nel mondo a’ insegna da talune cattedro
che gli Angeli hanno intendimento, vo-
lontà e memoria. Qui si combatte questa
opinione. Gli Angeli banno volontà ed
intelletto, memoria no, perchè vedono
tutto in Dio, onde non abbisognano nò
di memoria nè di ragionamento. Le bril-
lanti ipotesi dei dottori non sono che so-
gni, nei quali non credono nemmeno al-
cuni di coloro che gli insegnano, e costoro
sono più colpevoli che non i dotti che
credono nei loro sogni. San Tommaso
ammette che gli Angeliabbiano memoria;
Sum. theol. I, 54, 5. Negandolo in modo
assoluto, Dante si fondò forse sopra un
altro paseo dell’ Aquinate, Sum. theol. I,
58, 1. Cfr. in proposito Com. Lipe. III,
786 © seg.
71. 8! LRGGR: ai insegna dai dottori di
teologia.
75. RQUIVOCANDO: «non facendosi in
tale scolastico insegnamento la debita di-
atinziono tra memoria propriamente dot-
ta o cognizione del passato in generalo ; »
Andr. - « Laggiù s'ineogna nelle vostre
acuole filosofiche che Ia natura angelica
ha, come |’ umana, memoria, intelletto e
volontà. Ma v'è qui equivocazione. Im-
perooché la memoria significa un pensar
di nuovo a cosa che ri era da prima pen-
sata, il cho importa un vedere intellettuale
inferciso da nuovo obbietto. Ora queste
sostanze dal punto in cui sono state bea-
tificate voggono sempro Dio, cheè il pria-
cipio in cui veggono tutte le cose....
Adunque, a dir vero, gli Angeli non han-
no propriamente memoria, perchè hanno
sempre intuizione; » Corn.
76. SUSTANZIR: angeliche. - rol CHR:
dacché furono beatiticate dalla visione di
Dio.
79. rerò: «quia numquam removent
visum a facie Dei, ideo subdit quod illa
facie vident prmeentialiter proteritam,
preseens et futurum ; » Bens. - INTERCISO :
interrotto da nuovo oggetto sopravve-
guente.
81.RIMEMORAR: «nol lat. de’ tempi bas-
sì rememorare; © dice rinnovare l'atto
della memoria, dove rammemorere dice
piuttosto richiamare alla memoria altrui.
C'è bisogno di ricordarsi qnando il con-
cetto non è presente, o un altro oggetto
sottentra a dividere l'atto unico della
mente;» Tom.- biviSO: separato, allon-
tanato dalla monte, n quani rimasto adidie-
tro 0 porduto d'occhio.
82. ri SOGNA: laggiù nol mondo ri no-
gna ad occhi aperti, si delira ; con questa
differenza però, che gli uni prestano fede
ai loro sogni e credono di dire il vero, gli
altri non ci credono essi medesimi, han-
nib °-°" g&vror
Filosofando; tanto vi
L’amor dell’ apparenz
88 Ed ancor questo quassù
Con men disdegno, ck
La divina scrittura, 0
DI Non vi si pensa quanto
Seminarla nel mondo,
Chi umilmente con es:
94 Per apparer ciascun s’in
Sue invenzioni, e quel
Dai predicanti, e il va
97 Un dice che la luna si rit
no la coscienza che le cose che dicono ed
insegnano non sono altro che sogni, ep-
pure per parer dotti le vogliono sostene-
re per vere. In questi ultimi è maggior
colpa e vergogna; chè i primi peccano
per ignorauza, i secondi per malizia.
V. 86-126. Prodicatori di ranità e
bottegai d’indulgenze. Beatrice conti-
nua: Voi mortali nel filueofare vi lasciate
tanto trasportare dalla smania di brilla-
re, che sono quasi altrettanti i sistemi
che i filosofi. Nè quusto è il peggio. Più
assai eccita l'ira del cielo il posporre la
divina Scrittura all'umana filonofia, o
l'interprotaria turtamente. Non si pensa
in terra con quanto sangue di martiri la
Sorittura fa diffusa nel mondo, è quanto
sia grato a Dio chi in umiltà ad ossa ai
attiene. Tale è nei toologi e predicatori
la smania di parere ingegnosi, che tutto-
giorno vanno predicando favole invece
bes Met
[CIELO NONO]
PAR. xxix. 98-118
[PREDICATORI) {97
Nella passion di Cristo e s’ interpose,
Per che il lume del sol giù non si porse;
100 Ed altri, che la luce si nascose,
Da sé; però agl’Ispani ed agl' Indi,
Come a' Giudei, tale eclissi rispose.
103 Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi,
Quante sì fatte favole per anno
In pergamo si gridan quinci e quindi;
106 Si che le pecorelle, che non sanno,
Tornan dal pasco pasciute di vento,
E non le scusa non veder lor danno.
109 Non disse Cristo al suo primo convento:
“ Andate, e predicate al mondo ciance, ,,
Ma diede lor verace fondamento;
112 E quel tanto suonò nelle sue guance,
Sì ch'a pugnar, per accender la fede,
00, NON 81 PORSR: non al atose, non ar-
rivò infino alla terra; confr. Thom. Ag.
Sum. theol, 1II, 44, 2. Dante lascia qni
la questiono indecisa, contentandosi di
notaro l'inopportunità delle interpreta-
zioni scientificho dai sacri pergami, Cfr.
Com. Lips. III, 790 è seg.
100, ED ALTRI, CHE: Al. R MENTRE CHE;
Al. 8 MENTE; cn. Dopo aver detto: Un
‘dice si aspetta naturalmente di udire cosa
dice l'altro. Che poi Dante abbina scritto
E MENTE non si può in verun modo am-
mettere, chè facendolo avrebbe dato del
bugiardo a San Dionisio ed a San Tom-
maso; confr. Thom. Aq. Sum, theol. ]II,
44, 2, Si noti inoltre, che Dante non ri-
pone le diverse opinioni relativo tra le
favole, ma tra le cose da non discutersi
in pergamo ; 6 che lascia dal canto sno In
questione indecisa appunto porchè la ri-
tiene inutile. Vuol donqne dire: Gli ani
dicono che la Luna retrocedette sei sogni,
per interporsi tra {| Sole o la terra; altri
dicono, invece, che la luce si oscurò da
sè, Ma la questione è inutile è vana, per-
chè quell'osenramento fa miracoloso.
101. IsrAni: dai più occidentali ni più
priontali abitanti delin terra. Secondo
Dante la Giudoa è nel mezzo tra I’ India
e la Spagna. Senso: onde l'eclissi fn nni-
versale, il Sole oscurato per gli abitanti
dell'estremo oriente o dell'estremo oceci-
dente come per gli abitanti della Giuden.
103, Lari & Dinpt: nomi allora comn-
nissimi in Firenze. Lapo è da Jacopo,
Bindo da Ildebrando; confr. Fanf., Voc.
dell'uso tose,, 624,
104, FAVOLE: le prediche di Giorda-
no, da Rivalto, contemporanco di Dante,
non confermano In aua ncensa ; altre pre-
diche di contemporanei non sono giunte
a noi. Ma gli esempi che si leggono nel
Lan. (confr. Com, Lips. IT, 791 © seg.)
son più cho bastanti n giustificare il se-
vero giudizio del Poeta sui predicatori
del suo tempo.
108, NON LE scusa: anche le pecorelle
che non sanno sono colpevoli, perchè nel
cristiano non sì ammette ignoranza delle
cose essenziali alla salute. Il danno che
viene agli altri dai saltimbanchi di tutte
le specio è dovuto in parto alla inoscusa-
bile ignoranza e dabbennggine di coloro
che fanno loro cerchio, - LOR DANNO: Al.
LO DANKO.
100. comvrxto: ni primi che con lui
convennero al collegio apostolico,
111. FONDAMENTO: « secondo la grazia
di Dio, che è atata s mo concessa, da pe-
rito architetto io gottai il fondamento....
Altro fondamento non può gottar chic-
cheasia fuori di quello cho d stato gettato,
che è Cristo Gesù; » I Cor. ITT, 10, 11.
112. TANTO: solamente; il solo rerace
fondamento fu predicato dagli apostoli.
- SUR : del primo convento di Cristo, cioè
degli Apostoli. - quancE: bocche.
113, pucnAn: a combattere il boon
Gonfia il cappuccio, e
118 Ma tale uccel nel becch
Che, se il vulgo il ve
La perdonanza di che
121 Per cui tanta stoltizia it
Che, senza prova d’al
Ad ogni promission s:
124 Di questo ingrassa il po
Kd altri ancor che so
Pagando di moneta s
combattimento della fede. Il solo Van-
gelo valse agli Apostoli per iscudo e per
lancia, cioò per tutt'arme a pugnare per
la propagazione della fede. Confr. I Tim.
VI, 12.
114. rfno: fecero. - SCUDO: per difen- :
dore ia folo. - LANCK: per combattero |.
gli orrori. Cir. Ebrei, IV, 12. Apocal. I,
46; II, 12. 1
115. ISCKDR: buffonate, « dotti beffevili,
che strazioggiano e contraffunno le parole
altrui; » Buti. « Cose scipito, o che direm
noi oggi lozii v svoenuvolozzo; 0 certo pia-
covolezzo fredde o fastidiose, se piace-
volezzo si posson chiamare queste tali,
ma come credon coloro ch'elle sieno, 6
que’ cho i Latini direbbono freddo ; » Bor-
ghint. « Sceda si adopra anche per Lazzi,
Smorfie; ed è voce antichissima rimasta
nell'uso;» Fanf., Voc. dell'uso tosc., 872.
117. GONFIA: per soddisfare la vanità
del predicatore basta cho il pubblico ra-
dunato nella Chiesa ad udire la sua pre-
dica rida a più non posso. - rill: «altro
non cercavo che di piacero al popolo; »
T2..0° r.... na MIL de sr
+9 DO Mr È da e Ad e
[CIELO NONO]
Pam. xxix. 127-140
[ANGELI] 999
127 Ma perché siam digressi assai, ritorci
Gli occhi oramai verso la dritta strada,
Si che la via col tempo si raccorci.
130 Questa natura si oltre s’ingrada
In numero, che mai non fu loquela,
Né concetto mortal che tanto vada.
133 E se tu guardi quel che si rivela
Per Daniel, vedrai che in sue migliaja
Determinato numero si cela.
136 La prima Luce, che tutta la raja,
Per tanti modi in essa si recepe,
Quanti son gli splendori a che s'appaja;
139 Onde, però che all'atto che concepe
Segue l'affetto, d'amor la dolcezza
V. 127-195, Numero degli Angell.
Dopo la lungn digressione, Beatrice con-
tinua n avolgore |'incominciato nrgomon-
to, dicendo che gli Angeli sono in tanto
moltiplicato numero, che nesson mortaie
saprebbe concepirlo non che esprimerlo.
(fr. Daniele, VII, 10, Thom, Aq. Sum.
theol, I, 112, 4. Conv. II, 6.
127. A1AM: Al. ana. Ma avendo noi fatto
ona lunga digressione, rivolgi omai In tua
attenzione all'interrotto filo del nostro
ragionamento circa gli Angeli, sì che, co-
me si accorcia il tempo che ci rimane n
stare in questo cielo, anche nol facciamo
presto a terminare lo sviluppo elatratta-
zione della materia. - DiGRES881: dilungati.
128. DRITTA: verso l'argomento degli
Angeli, che abbinmo interrotto.
130, NATURA: angolica.-S'INGRADA : al
accresce, si moltiplica di grado in grado,
182. TANTO: quanto va |l numero de-
gli Angeli, che passa ogni numero com-
putabile da umana parola.
184, DanttL: VII, 10: « Mille migliaia
gli ministravano, e diecimila decine di
migliaia stavano davanti a Ini, »
135, 61 ckLA: non si manifesta, le pa-
role del profeta Daniele essendo on modo
di esprimere nn nomero da non potersi
determinare con cifre nmane,
V.,136-145, Grandezza di IMo negli
Angell. La luce divina che colla beatifica
ana Ince tutta irraggia questa angelica
natura, in tanti diversi modi è da essa
ricevnta, quanti appunto sono gli Angeli
stessi, i quali ammette all’ intima unione
s600 medesima, Onde, però cho l'amore
è in proporzione della visiono a eni con-
seguita (cfr. Par. XXVIII, 109 © neg.),
no vieno por conseguenza che, essendo in
cinsenn Angelo diversa la intensità della
visione beatifica di Dio, sia anche in cin-
scheduno di essi più o meno ardente il
dolcissimo amore che essi portano n Dio.
Considera omai la grandezza dell'eterna
possanza di Dio, poichè s' ha fatti tanti
specchi quanti sono gli Angeli, ognnn
de' quali riflette una parte di Ini, rima-
nendo però Egli sempre nella sua sem-
pliciasima units indivisibile od intero, nd
più nè meno di quello che Egli ern prima
che li creasse,
136. Lucr: Dio; cfr. Par, 115, 92; V,
8; XI,20; XXIX, 28 6 196; XXXIII,
54. Vit. N., 24. - RAJA: irradia, illumina
tutta l'angolien natura. Raja per raggia,
come Purg. XVI, 142, Par, XV, 50,
137. TANTI: in vario modo da cinscun
Angelo. - st nECKEFR: è ricovuta; cfr,
Par. II, 85,
138. SPLENDORI: Amgoli, — B'AUDAJA:
al collega, si unisco. « Denota |’ oniono
quasi d'ugnaglianza, che fa la grazia
colle anime, e il proporzionarsi n cia-
scuna; » Tom,
139. CONCErE: concepisce, comprende,
L'atto che concepe è la visione di Dio, ef-
fotto dell'irradinzione della Sua Ince, Ufr,
Purg. XX VI11,113, Par, II,07, 11 Jotti;
«Ondo, perocchéè l'effetto è uguale olla
sua causa, ecc, Così interproto atte che
concepe, cioò atto del produrre nna oo-
an.» (1)
140. D'AMOR: Al. b'AMAR.
Speculi fatti s’ ha, in
145 Uno manendo in sé con
141. DIVERSAMENTE: gli Angeli sono
differenti l'uno dall'altro, differunte es-
sendo la comunicaziono dolla divina luco.
È socondo cho più v meno partecipuno del-
la divina luce, l'amoro è in essi più 0 me-
no fervente. - TKi'k: lat. lepet, è Liopido.
142. 5.’ KOCKLHO: la sublimita, la gran-
doxza. Cfr. Vulg. el. I, 2. Ep. Kani, 21.
Par. 1X, 61 0 seg.; XXI, 16 © weg. K/eei,
11I, 18. '
144. sercuLI: specchi, cioè Angoli, nel
quali, come in tanti specchi, si rifiet- ‘
CANTO TRE
EMPIREO: DIO, A}
SALITA ALL’EMPIREO, FIUME DI
IL SEGGIO DI ARE
Forse sei mila miglia di ]
Ci ferve l’ora sesta, e |
V. 1-45. Salita 11D Rent, N... -
[EMPIREO]
PAR, xxx. 3-17
[sALITA] 1001
China già l'ombra quasi al letto piano,
4 Quando il mezzo del cielo, a noi profondo,
Comincia a farsi tal, che alcuna stella
Perde il parere infino a questo fondo;
7 E come vien la chiarissima ancella
Del sol più oltre, così il ciel si chiude
Di vista in vista infino alla più bella.
10 Non altrimenti il trionfo che lude
Sempre dintorno al Punto che mi vinse,
Parendo inchiuso da quel ch’egl’inchiude,
13 A poco a poco al mio veder si estinse;
Per che tornar con gli occhi a Beatrice
Nulla vedere ed amor mi costrinse.
16 Se quanto infino a qui di lei si dice
Fosse conchiuso tutto in una loda,
il mozzodì; cfr. Inf. XXX1V, 06. Par.
XXVI, 142,
3. CHINA: il nome della terra manda
l'ombra dalla parto opposta al Sole na-
scento. = AL LETTO MANO: In linen orin-
zontalo. « Itilettendo che l'ombra terre-
stre è diametralmente opposta al corpo
illnminante, si vedrà anbito, cho, se que-
ato è di pochi gradi nl di sotto doll'oriz-
zonte dalla parte d'oriento, l' naso del
cono ombroso della terra devo essere di
altrettanto, cioè poco elevato sul piano
orizzontale della parte d'occidente; e che
quindi è propiissimo che questo mondo, il
terrestre, nella detta contingonza, China
già l'ombra quasi al letto piano, cioè al-
l'orinzonte ; » Ant.
4. rrOFONDO: alto; il cielo della sfera
stellata, unico creduto visibile; « Ter-
rasque tractosque maria celumqne pro-
fandom; » Virg. Georg. IV, 222.
5. ALCUNA : di qnelle di minor Ince.
6. raRDE: cessa di apparire per i primi
albòri che già si mostrano, — IL, PARERE:
la parvenza, la visibilità, - rompo: in
terra. Dalla terra non si vede più.
7. COMR: od n misora che vien l'Anuro-
ra, — ANCELLA: confr, Purg. XIT, 81;
XXIT, 118.
8. Sf CHIUDR: nasconde le suo atelle;
« Ante diem clauso componet Vespor
Olympo; » Virg. Aen. I, 374.
9. vista: stella. - neLLA: splendente,
« imperò che tutte spariscono; ma prima
quella che ha meno lume, e poi quella
che n' ha più; » Buti.
10, TRIONFO: de’ nove cori angelici, —
Lupe: lat. fedit, si trastulin, festeggia;
eft. Par. XXVIII, 120, Altrove Indo per
giuoco, trastullo; cfr. Inf. XX, 118,
Par., 1. 0.
11. Punto: Dio. - vinsr; abbaglid;
cfr. Par. XXVIII, 16 © seg.
12. INCIIUSO : contennto, 1) unto som-
bra contennto, o circondato dai cori an-
gelici, i quali in realtà sono contennti da
Lui, come tutte le cose, « Quoniam spiri-
tua Domini replevit orbem terrarum ; et
hoc, quod continet omnia, scientinm ha-
bet vocia; » Sap. I, 7. Cfr. Purg. XI, 2.
Par. XIV, 30. Cono, IV, D.
18. SI ESTINSE: Al. 51 STINSE { 81 STRIN-
BK; IL MIO VEDER DISTINSE. I cori ange-
lici si erano mostrati al Poeta in forma
di cerchi di fuoco (cfr. Par. XXVIII,
2h), onde dice che quel trionfo angelico
si estinse al soo vedere, cioò disparve.
15, NULLA YVEDERR: il fatto che io non
vedeva più nulla ed il mio amore per
Beatrice mi costrinsero a rivolgere di
muovo n lei gli agnardì,
16. QUANTO: tutto ciò cho è detto sin
qui dolla bellozza «i cielo in clolo ognor
crescente di Bentrico sarebbe, compen-
dinto in una sola lode, poco, insufficiente
ad esprimere e descrivere la sua belletza
in questo ultimo cielo,
17. Lopa: lode; efr. Inf. 11, 103.
1002 [EMPIREO]
Par. xxx. 18-34
[SALITA]
Poco sarebbe a fornir questa vice.
19 La bellezza ch'io vidi si trasmoda
Non pur di là da noi, ma certo io credo
Cho solo il suo Fattor tutta la goda.
22 Da questo passo vinto mi concedo,
Pia che giammai da punto di sua tema
Soprato fosse comico o tragedo;
25 Ché, come sole in viso che più trema,
Così lo rimembrar del dolce riso
La mente mia di sé medesma scema.
28 Dal primo giorno ch’ io vidi il suo viso
In questa vita, infino a questa vista,
Non m'è il seguire al mio cantar preciso ;
31 Ma or convien che il mio seguir desista
Più dietro a sua bellezza, poetando,
Come all'ultimo suo ciascuno artista.
84 Cotal, qual io la lascio a maggior bando
18. vICR: i più prondono vico nel senso
di volta, e spiogano: A dire pienamente
ciò che questa volta dovrei dire di lei
(Buti, Land., Vell., Dan., Vol., Vent.,
Lomb., Br. B., Greg., Andr., ecc.). Se-
condo altri vice valo uficio, onde il senso:
A compier }’uficio che ora ho di dire di lei
(Parenti, Costa, Ces., Tom., Frat., ovc.).
19. 31 TRASMODA: trasconde il nostro
umano modo di vedere e d'essere, e sor-
passa non solo l'intendimento umano,
ma io credo di certo che anche in cielo
Dio solo la intenda perfettamento.
22. PASSO: da questo punto della mia
narrazione mi concedo, mi confesso vinto.
24. SOPRATO: Al. SUPRATO: superato.
- TRAGRDO: poeta tragico. Cfr. L. Vent.,
Sim., 942.
25. IL viso: come la luce del sole vince
la più debole vista. Cfr. Com. Lips. III,
802 © seg.
27. scrMA: lo allontana da sè, non con-
sentendo che lo rammenti. « Rendela mia
mente minore di sè medesima, inetta cioò
a ricordare quello che poco stante pur
ebbe a percepire; » Ronch.
29. viTa: terrestre; ofr. Vit. N., 1. -
A QUESTA: sino alla vieta ch’ ebbi di lei
in questo momento nel più alto cielo.
80. rReciso: troncato. Potei sempre
dirne qualche cosa, per darne una bon-
"ché pallida idea. Veramento egli si con-
fossò già prima incapaco di doscrivere la
celeste bollezzu di Beatrice; confr. Per.
XIV, 79 eseg.; XVIII, 8eseg.; XXIII,
24. Altre volte s'ingegnò tuttavia di far-
lo alla meglio; qui si confessa costretto
di rinunziare ad ogni tentativo.
31. OR: ma da ora in poi bisogna che io
desista dal voler, poetando, tener dietro
alla sua crescente bellezza, simile a quel-
l'artista che, giunto all'ultimo grado
della porfezione a lui possibile, non è as-
solutamente capace di procedere oltre.
83. ALL’ ULTIMO: all'estremo confine
della eua arte.
84. COTAL: di a) indescrivibile belles-
ZA. - BANDO: cfr. Purg. XXX, 13. I più
intendono: Come io la lascio descrivere
a poeta di più alto ingegno. Credeva
Dante che un poeta di maggior ingegno
surgesse a cantare la bellezza di Beatri-
ce?! E non ha egli detto testà, che la
bellezza di Beatrice è superiore non pure
all’ umano intendimento, ma e all'ange-
lico(v.19 e seg.)f! Dante vuol dire: Tale
bellezza non si può descrivere da lingua
umana, ma la si vedrà nel gran dì del
giudizio universale. Non importa dire,
che s’ intende della Beatrice allegorica,
non già della reale, con che sono tolte
di mezzo tutte le obiezioni di chi, stando
coi più, intende: « Se un altro poeta do-
vesse sorgere a cantare di Beatrice, la
sua tromba dovrebbe essere dotata di as-
sai maggior robustezza cho non la mia.»
[EMPIREO]
PAR. xxx. 35-50 [FIUME DI LUCE]
1008
Che quel della mia tuba, che deduce
L’ardua sua materia terminando.
37 Con atto e voce di spedito duce
Ricominciò: « Noi semo usciti fuore
Del maggior corpo al ciel ch'è pura luce;
40 Luce intellual piena d’amore,
Amor di vero ben pien di letizia,
Letizia che trascende ogni dolzore.
43 Qui vederai l'una e l’altra milizia
Di paradiso, e l’una in quegli aspetti
Che tu vedrai all’ ultima giustizia.
46 Come sùbito lampo che discetti
Gli spiriti visivi, sì che priva
Dell’atto l'occhio di più forti obbietti;
49 Così mi circonfulse luce viva,
E lasciommi fasciato di tal velo
85, TUBA: tromba; ofr. Purg. XVII,
15. Par. VI, 72; XII, 8. — DEDUCE: con-
duce a termine. « Primmque ab origine
mundi Ad mea perpetunm deducite tem-
porn carmon;» Ovid, Met. I, 8 0 ang.
29, ngi, maggior: del Primo Mobilo,
il maggiore del cerchi corporali dell'uni-
verso; ofr. Par. XXVIII,64. L'Empireo
non 4 corporale, - cin: Empireo, ciel
immateriale. — Luce; cfr. I, Tim. VI, 16.
Thom. Aq. Sum. th. 13, 112, 6. Conv. IL, 4.
40, ISTELLETTUAL; non sonsibile, ma
intellettiva. « I tre gradi della felicità
sono: 1° La Ince intellettuale, cioò Il ve-
dere Dio coll’ intelletto. 2° L'amore che
ne consegne. 8° Il gaudio che nasce dal
possedere il sommo bene, gandio che in
sè comprende ogni gandio; » Corn.
42, voLzone: dolcezza; ofr. Nannue.,
Verbi, 20.
43. muizia: Angeli e Benati; i primi
militarono contro gli Angoli ribelli; ofr.
Apocal. XII, 7; | secondi militarono in
terra contro le tentazioni ed i vizii, Così
i più. Invece Cas.: «Io per me credo che
ce li dipinga così, per farne una pittura
più vaga e splendida, mostrandogli come
cserciti schierati ne'loro ordini colle Ine-
cleanti nrmi, e svolazzanti bandiero. » Mn
6 perchè li mostra così, se non perchò
combatterono!
44. L'una: i Benti; li vedrai nell'im-
magine di quei corpi che essi riprende-
ranno il dì del giudizio universale; cfr.
Par, XXII, 58 © seg, Così tutti, sino al
Pol. Le obiezioni fatto a questa comune
interpretazione sono insussistenti.
V. 40-81, II flwme di lnee, Asceso
noll' Empireo, l'occhio del Toeta non
rogge allo aplondoro che gli folgora da
ogni parte, come lampo che disperda gli
spiriti visivi, sì cho gli occhi abbagliati
non tollerino l'azione degli oggetti più
luminosi, Beatrice gli dice: L'amor di-
vino in cni questo cielo si acqueta, acco-
glie sempre in sé le anime con siffatto
. saloto di falgidissima luce per disporle
ad essere accese di Lui; quasi nomo che
disponga la candela alla finmma che le
rnol comunicare. Udite queste parole il
Poeta sente che si è fatto maggiore di sò
medesimo. Acquistata poi muova forza
visiva, vede il lume divino, prima in for-
ma d'un fiume tra due rive dipinte di
fiori; è dalla fiumana escono faville che
si mettono nei fiori o dai fiori riprofon-
dano nel finrme. Beatrice lo esorta a guar-
dare entro la mistica finmana, Cfr. Pe
rez, Frogranze, 29 e sog. Com. Lips, III,
806 © aeg.
46. msceTTI : diagreghi, separi ; dal lat.
disceptare.
48, bi imÙ rorti: l'occhio abbagliato
dal lampo non vede nommono altra luce
più viva.
49. CIRCONFULSR: risplendette intorno.
« Subito do cielo cireumfulsit me lux co-
piosa; » Alti, XXL, 6,- viva: divina.
Tale, che nulla luo
Che gli occhi miei
61 E vidi lume in forma
Falvido di fulgore,
Dipinte di mirabil ]
6“ Di tal fiumana uscian
E d’ogni parte si m
. Quasi rubin che oro
5. ULLA: rimasi del tutto abbaglia-
to;°ofr. Atti, XXII, 11.
2. AMOR: Dio, - QUETA : fa contento.
QUESTO CIKLO; Al. L' AMOKR CUR QUETA
IL CIRLO. Beatrice non parla del cielo in
generale, a) di un cielo speciale, cioè dul-
l' Empireo. L' amor divino muove tutti
gli altri cieli è queta |’ Empireo,
53. CON al FATTA: Al. così FATTA. ~ BA-
LUTE: salutaziono, saluto. In questo sen-
so usa Dante la voco salute e nella Vita
Nuova e nelle Rime, « Iddio sommo Amo-
re, che colla piena della sua beatifica luce
forma ln contontezza di quei che giun-
gono a queste cielo, al primoloro in 60
in questo sempre riunisce Intorno a sè e
vibra loro questa copia di abbarbagliante
luce, per così disporre la facoltà loro vi.
siva alla beatifica sua visione, come si
fa talora alle candele, che accese sl spen-
gono, affiuchè riaccese fiano atte ad ao-
cogliere in sè più viva luce; » Pogg.
54. CANDELO: candela ; cfr. Par. XI, 15.
« La grazia accende con la sua luce la
lace doll’ anima, e dispone questa ad ao-
cendersi. L'idea è bella, ma forse non
chiaro significato. . m...
[EMPIREO]
PAR. xxx. 67-81
[FIUME DI LUCE] 1005
67 Poi, come inebriate dagli odori,
Riprofondavan sé nel miro gurge,
E s'una entrava, un’ altra n’ uscia fuori.
70 « L'alto disio che mo’ t’infiamma ed urge
D'aver notizia di ciò che tu vei,
Tanto mi piace più, quanto più turge.
73 Ma di quest’ acqua convien che tu bei,
Prima che tanta sete in te si sazil, »
Così mi disse il sol degli occhi miei.
76 Anco soggiunse: « Il fiume, e li topazii
Ch’ entrano ed escono, e il rider dell’ erbe
Son di lor vero ombriferi prefazii;
70 Non che da sé sien queste cose acerbe:
Ma è difetto della parte tua,
Che non hai viste ancor tanto superbe. »
Chiesa; per l'erbe, le virtuose opera-
zioni; © per li fiori l'animo sante che in
essa congregazione dei cattolici sono; 6
finge che li fiori fuasono in su l'erbe, a
significare li atti virtnosi, in che sò eser-
citano l'anime che ronn illnminato dalla
grazia di Tio; © fingo cho farillo vivo
escano dol fume o vulino in an’ fiori, n
significare che |i Angeli, che sempre si
riempiono della grazia di Dio, li quali sono
significanti per le faville, imperò che sem-
pre ardono nell'amore di Dio, vadano n
confortare l'anime sante che sono in tale
grazia, che sompre si mantegnino nelli
ntti virtuosi, e da esse tornano alla detta
grazia, imperò che li Angeli visitano è
confortano ll santi nomini ; ncciò che dn-
rino nella loro santità, e vegnino a loro
e ritornino a Dio, siocome messi da lui
mandati; e però dice che si rimbagnano
nel detto flame; » Buti.
67. InEnRIATRE: cfr. Salm. XXXV, 0.
68, Miro GURGE: meraviglioso gorgo,
ossia flume,
70. MO": adesso. - URGE: spinge, eocita;
efr. Par. X, 142.
TI, vet: vedi; sincope usntissima an-
ticamente anche In prosa; cfr, Nannue.,
Verbi, 738.
72, runar: gonfia = dè forte, Intonso;
ofr. l'ar. X, 144.
72. net: beva cogli nochi guardando il
finme di Ince per fortificarti in tal modo
sompro più, affine di poter vedere avela-
tamente ogni cosa.
74. sir: di sapore; ofr. Purg. XXI,
l o sog.
75. IL 80L: « Beatrice, che è illumina-
trice della mia ragione e del mio intel-
letto; come lo Sole è schiaritore del mon-
dootilluminatore dello tenebre, così In
Santa Serittora è illuminatrice di tntte
l'ignoranzie ; » Buti, Cir, Par, 111, 1.
76, TOrAZI1: lo faville vive, cioò gli An-
geli; ofr. Par. XV, 85.
TT. peLL'ERNE: dei flori, v. 63, 65, ciod
delle anime dei Beat.
78, of LOR VRRO: della realtà, di ciò
che questi oggetti veramente sono. - PRE-
FARI: plur. di profazio = prefazione ; ofr.
Nannuc., Nomi, 703. Senso: sono figure
predimostrativo della realtà, « Siccome la
prefazione espono il contennto del libro,
sombra che Dante siasi servito della me-
tafora ardita di chiamare il fiume o le
scintille che vede in Paradiso; prefazio-
ni, cioò: immagini che indicano antici-
patamente ciò che casi oggetti sono real-
mente. Ciò che conferma questa inter-
pretazione è l'epiteto di ombriferi dato
a’ prefazii, che ricordando il verbo adem-
brare, figurare, dare idea, permetto di
spiegare: Cenni preliminari, adombrati-
vi, 0, figure predimoatrative del lor ve-
ro; » Hlane.
79. AckrbR: osenro, diMcill n poreo-
pirsi. Non che ci sia difficoltà intrinseca
ad intendere questo cose. Così i più. In-
vece il Ronch. si avvisa che acerbe valga
qui inadeguate.
BI. viste: oochi, facoltà visiva, - su-
1006 [eMmPIREO]
Par, xxx. 82-95
[Rosa CELESTE]
82 Non è fantin che sì sùbito rua
Col volto verso il latte, se si svegli
Molto tardato dall’usanza sua,
85 Come fec’ io, per far migliori spegli
Ancor degli occhi, chinandomi all’ onda
Che si deriva perché vi s’ immegli.
88 E sì come di lei bevve la gronda
Delle palpebre mie, così mi parve
Di sua lunghezza divenuta tonda.
DI Poi, come gente stata sotto larve,
Che pare altro che prima, se si sveste
La sembianza non sua in che disparve ;
DI Così mi si cambiàro in maggior’ feste
Li fiori e le faville, sì ch'io vidi
rene: penetranti, acute, «a Ancora Dante
non era innalzato a vedere intellettual-
mento lo sodlange spirituali con imine-
dista intuizione, Può solo vederne | sae-
gni. Gli splendori, lo luci, le faville sono
segni della presenza di asse sostanze, non
sono questa; » Corn.
V. 82-123. Lu rosa celeste. Non ap-
pena il Poeta alligge gli occhi nella fiam-
mante riviera, che essa di lunga subita-
mente fassi rotonda e diviene sì largo
mare di luce che vince la circonferenza
del Sole; i tiori delle due rive sono già
Beati senza numero, che in candide vesti
soprastanno intorno a quel mare, quasi
seduti a specchio di esso; le faville sono
milioni è milioni d’ Angeli che volano
senza posa tra | Beati o le altozze ubi-
tate dalla ‘l'riado. Quel beato popolo dallo
bianche vestimenta iutorno a quella cir-
colare ampiezza di luce è disposto in più
di mille gradini che sempre s’ allargano
ad alto (l'iufimo è più largo del Sole, or
ponsa gli altri!), e così disposto offre
l'’immagino di candida rosa, che dila-
taudo le foglie od i potali innumerevoli,
invia odore di lode a Colui che lo è Sole
e vita e tutto; mentre gli Angeli, che in
continua vicenda scendono per li varii or-
dini delle candide foglio e risalgono fino
a Dio, col ventilamento doll’ ale immor-
tali raccolgono e portano sempre nuovo
aure di fragranza e beatitudine. Cfr. Pe-
rez, Fragranze, 45 © weg. Com. Lips. III,
811 © seg.
82. YANTIN: bambino, fantolino. - RUA:
corra; ofr. Inf. XX, 38. I Pietro, II, 2.
Bi. USANZA: di avegliarsi e di poppare.
Fiù tardi del suo solito, e però con più
fame,
B5. PER FAR: aflinchd gli occhi miei di-
ventassero spocchi ancor migliori, ai fa-
cesssro ancor più abili a ricevero quelle
immagini celesti, - sP*EOLI : specchi ; con-
fronta Inf, XIV, 105. Par. XV, 603;
XXVI, 106.
87. DERIVA: scorre dal divino fonte, af-
finchè vi si ammegliori, si faccia più per-
fetta la vista di chi sta per guardare in
Dio. Invece Ronch. vuol « far virgola a
deriva, riferire il perchè a chinandomi, ©
spiegarlo: attiuchè la mia vista (eqaiva-
lente a senso, degli ucchi del v. preceden-
te) vi si migliorasse, del clio mi avea fatto
cenno Boatrico. » (1).
88. UEVVE: ini ci allinsai. - LA GRONDA:
l'orlo dello palpobre. « Per gronda delle
palpebre doo qui intondersi la grunda de-
gli occhi, e la gronda degli occhi sono le
ciglia, lo quali, al sudure calante giù dalla
fronte, fanno ulflicio di gronda ; » Cacverni,
Insomma: Quanto prima quell’onda toccò
le mic palpobro, non mi apparve più lun-
ga, ma tonda.
91. BOTTO LARYR: mascherata. Larve =
maschere; cfr. Purg. XV, 127.
93. La SRMUIANZA: la maschera. - DI-
SPARVE: parve altra da quella che vera-
mente è, oppure: si nascose. Buti: « Now
parve quello che propriamente era. »
94. camuldno: mi si mostrarono ia
aspetti più festosi e rilucenti. I fiori si
mutarono in anime beate, le faville ia
Augeli.
[EMPIREO]
PAR, xxx. 96-111
[ROSA CELESTE] 1007
Ambo le corti del ciel manifeste,
97 O isplendor di Dio, per cu’ io vidi
L'alto trionfo del regno verace,
Dammi virtù a dir com'io lo vidi.
100 Lume è lassù, che visibile face
Lo Creatore a quella creatura,
Che solo in lui vedere ha la sua pace;
103 E si distende in circular figura
In tanto che la sua circonferenza
Sarebbe al sol troppo larga cintura.
106 Fassi di raggio tutta sua parvenza
Riflesso al sommo del Mobile primo,
Che prende quindi vivere e potenza.
109 ‘ E come clivo in acqua di suo imo
Si specchia, quasi per vedersi adorno,
Quando è nel verde e nei fioretti opimo,
06. AMUO LE CORTI: l'una e l'altra mi-
lizia di Paradiso; cfr. v. 43 è seg. - MA-
NIFESTE: nella loro forma vera, reale.
97. O IsrLENDOR: cfr. Purg. XXXI,
139. — vIbI: « questa triplice ripetizione
della medesima parola vidi in rima, non
è senza il suo perchè: il Poota voleva
richiamar l'altrui attenzione su questa
miracolosa visione, che è il punto im-
portante e la catastrofe del Poema; e
però nota enfaticamente prima il fatto
della visione n lui giunta, poi il mezzo
onde l'ebbe, e quindi prega di poter de-
scriverne il come, ripetondo per tre volte
in fine di verso quasi n modo di trionfo il
conseguito vini :» Br. B.,- «Tre volte ri-
pote il vidi, per esprimere con enfasi In
sua vorace visione; » Corn.
100. Lume: è il «lome in forma di ri-
viera» del v. 61, secondo gliantichi (Lan.,
Ott., An. Fior., Buti, sco.); sooondo il
Tom, ed altri nel finme si figura la gra-
tia illuminante. « Ipsnm intelligibile vo-
cator lumen ;» Thom, Ag. Sum. theol. I,
12, 6.
101, A QUELLA: a qualunque creatura
la quale non cerchi nè trovi la sun pace
che nella visione bentifica di Dio, come
fa ogni creatura beata. — « Dispone ai la
creatura beata, che vede lo Creatore
tanto quanto a Inl piace d'essere per
essa veduto, Impord che solo tale visiono
procedo da grazia, e non da natora; chd
non è ninna creatura tanto per sua na-
tara eccellente, cho potesse vedere lo
Creatore; onde quando la creatura lo ve-
de, conviene essere illuminata da quella
Ince che procede dalla detta fontana, gra-
ziosamente n lei Inrgita; » Lan., An.
Fior. Cfr. Aug. Conf, I, 1: « Focisti nos,
Domine, ad to, et inquietum est cor no-
strmm doneo requiescat in te, +
102, PACE: « quella beatitudine cui è la
razionale creatura soprannaturalmente
ordinata ; » Corn.
103. cmeuLar: tonda; la figura circo-
lare è la più propria a significare l'etor-
nità.
104. TANTO: spazio,
105, LARGA: maggiore della circonfo-
renza del Sole.
100. Fraser: tutta la parvenza, cioè np-
paronza di quel lume origina da an rag-
gio procedento dalla somma od ineffabile
Inco, il qnal raggio si riflette dalla parto
convessa del primo Mobile, che ne ri-
cove il suo vivere, cioè tutta quella vi-
talità è virth che comnnica a tutto il
sottoposto creato; ofr. Par. XXIIT, 113;
XXVII, 110, Thom, Ag. Sum. th. 1, 66, 3.
109. cLivo: collina, colle ricco di ver-
dura e di fiori, - pr 8UO IMO: che gli
scorre al piedi. Di un collo dice il Tas-
so, Rim. I Canz., 24: « Di vagheggiar
sei vago, Il tuo bel seno è la frondosa
fronte. »
111. QUANDO: In tempo di primavera.
Al. QUANTO, - NEL VERDE: Al, NELL'ER-
1008 [EMPIREO]
Pan. xxx. 112-123
[ROSA CELESTE)
112 Sì, soprastando al lume intorno intorno
Vidi specchiarsi in più di mille soglie,
Quanto di noi lassù fatto ha ritorno.
115 E se l'inlimo grado in sé raccoglie
Sì grande lume, quant’ è la larghezza
Di questa rosa nell’estreme foglie!
118 La vista mia nell'ampio 6 nell'altezza
Non si smarriva, ma tutto prendeva
Il quanto e il quale di quell'allegrezza.
121 Presso e lontano li né pon né leva,
Ché dove Dio senza mezzo governa,
La legge natural nulla rilovn,
be, Cir, Com. Lapa. 111, 814 o sog. - ort-
MO: ricoo, fertile; ofr, Par. XVIII, 33,
112. SOPRASTANDO : soprastanti.
113. srRCCHIARSI: nel lame; «la città
stessa poi (la celeste Gerusalemme) oro
purosimileal velro poro: » Apocal, XXI,
18.- soGLiK: gradi.
114. QUANTO: quanto anime umano dal-
la torra ritornarono al Ciolo. Clr. Accl.
XII, 7. L'anima vsco di mano a Dio,
Purg. XVI, 85, e salondo in cielo ritorna
a Dio.
115. R SEK: son più di mille soglie, è
linflina è più larga del Solo; quanta do-
vo dunquo cssoro l'ampiozza degli ul-
timi gradi! Cfr. Barelli, Allegoria, 219
U 807.
117. FOGLIK: nogli ostremi gradi. « Il
Poeta, per trovaro immagini che rondan
sensibile tanto trascendente subbietto,
esplora ansioso l'intoro regno della na-
tura. Qui dopo l'immagino dol fiume sfa-
villante tra’ fiori, si appiglia a quella di
una immensa rosa, il cui giallo di mozzo
sia formato dal divin lume, e il digra-
dato fogliame da’ beati seggi a mano a
mano innalzantisi iutorno. Ed in questa
immagine si forma por tutto il resto del
Poema; > Andr.
118. AMPIO: nell'immensa ampiezza ed
altezza della rosa celeste.
119. reeNDKVA: abbracciava. Oltro i
contini del tempo e dello spazio, non os-
sondovi nd un avanti, nè un dopo, uò un
dove, nè un qui eli, vicino e lontano, cessa
naturalmente o piuttosto soprannatural-
mente, per la forza visiva la difticoltà di
abbracciaro in un istanto tutto quanto
l'immenso l'infinito. Onde la vista del
Poeta abbraccia nel medesimo istante
intto il quale e il quanto, tutta la qua-
lità e quantità della celeste beatitudine.
È uno lo sguardo che abbraccia e com-
prende l'immenso. Oltre i confini della
natura le leggi della natura non sono in
vigore. Per il quanto ¢ il quale si può in-
tenders l'intensità ed il modo, od anche
il luogo e lu porsono.
121. NÉ PON NK LKVA: la vicinanza von
rischiara, la lontananza non abbuia gli
oggetti.
122. SKNZA MK2Z0: immediatamente;
cfr. Inf. I, 127. Par. VII, 142.
123. NULLA RILKVA: non ha luogo, non
vigo. « L'essuro quello unimo o più proe-
soy più lontano dal centro, nou monta
alla loro felicità. La ragione è che Dio è
da tutte immediatamente veduto, e tutte
le governa immediatamente. Non vale
lassù il principio dolla legge naturale cal
soggiacciono le coso di quaggiù, cho le
più lontane dal ceutro d'azione ricevono
minore virtù; » Corn. Cfr. Thom. Ag.
Sum. theol. I, 12, 10; I, 89, 7. Com. Lips.
ITI, 816 © seg.
V. 124-148. Ll segyio di Arrigo VII.
Beatrice conduce il l’osta nel centro della
rosa celeste, la quale, dilatandosi in pro-
gressivi ordini di foglie, ossia gradi, man-
da, quasi suo olezzo, un concento di lode
all’ Kterno. Mira, dico, quanto è grande
l'adunanza dei Beali, quanto vasta la
città otorna, come è popolata, ripieni ew
sendone gli scunni talinonte, che poca
gente manca aucora per compiere il pre-
destinato numero «degli eletti. In quel
gran seggio vuoto che trae a ad gli sguar-
di tuoi, por essorvi sopra uua corona im-
poriale, sederà, prima che tu, morendo,
venga a questa beatitudine, l'anima che
[EMPIREO]
PAR. xxx. 124-187 [ROSA CELESTE]
1009
124 Nel giallo della rosa sempiterna,
Che si dilata, digrada e redole
Odor di lode al sol che sempre verna,
127 Qual è colui che tace e dicer vuole,
Mi trasse Beatrice, o disse: « Mira
Quanto è il convento delle bianche stole!
130 Vedi nostra città quanto ella gira!
Vedi li nostri scanni sì ripieni,
Che poca gente omai ci si disira.
133 In quel gran seggio, a che tu gli occhi tieni
Per la corona che già v'è su posta,
Prima che tu a queste nozze ceni,
136 Sederà l’alma, che fia già augosta,
Dell’alto Arrigo, ch'a drizzare Italia
sarà nugnsta di Arrigo VIT, ilqnalo vorrà
por drizzaro l'Italin prima oho oasn sia a
ciò disposta. La cicca cupidigia che affa-
scina voi mortali vi ha fatti simili al bam-
bino che muore di fame è caccia la balia
longi da sè. In allora sarà capo della
Chiesa Lalo, che occnltamente ed aperta-
mente sl opporrà ni disegni dell'alto Ar-
rigo. Ma tale pontefice non sarà da Dio
tollerato lungo tempo nel sommo sno uf-
ficio; cho la giustizia etorna lo caccerà
giù nell'inferno, là dove nella bolgia dei
Simoniaci farà che Bonifazio VIII preci-
piti più giù per entro il foro dove vedesti
Niccolò III
124, NEL GIALLO: nol mezzo, dove In
rosa aperta mostra alcuni fili gialli. Chia-
mato giallo della rosa il circolar lume che
era nel mezzo 6 nel fondo de' gradi ascen-
denti,
125. DIGRADA: va di grado in grado.
Al. rRIGRADA.- REDOLE: lat. redolet, apar-
ge odore, olozza ; ofr. Virg.@eorg. 1V, 160.
Aen, I, 436. ò
120, AL 80L: a Dio. - vrRNA : forma ivi
primavera eterna; « sempre diletta col
ano splendore la sua corte; » Buti.
127. QUAL: mentro lo era simile a co-
Ini che, pur desiderando di parlare, è si-
lenzioso porla gran maraviglia, Beatrice
mi trasse, sco. Cfr. Inf. XVIII, 64. Purg.
1X, 106. I più riferiscono questa simili-
tudine a Beatrice, che - NON face, ma DI-
cr ciò che dicer vuole!
129. CONVENTO: assemblea, congrega-
zione; ofr. Purg. XXI, 62. Par. XXII,
90; XXIX, 100.-sTOLE: vosti; ofr. Apo-
Gd. — Div, Oomm., ga odis,
cal. VIT, 19 0 sog. dove dei Itonti è dotto
cho « hanno lavate le loro stolo, cd im-
biancatelo nel nnngue dell' Agnello, »
180: crrraA: efr. Apocal, XXI, 20 aeg.,
10-27. - Gina: quanto immenso è {1 suo
cirouito.
182. roca: questo è detto secondo la
eredenza dei oristiani di totti | tempi,
particolarmente del medio evo, che la
fine del mondo fosse vicina, Così i più.
Altre interpretazioni sono inattendibili,
non avendo loro sorgente vho nell'igno-
ranza dei fatti. Cfr. Com. Lips. III, 818,
133. TINI: hai fisso lo sguardo. « Sup-
pone Dante che veduto fosse dn Beatrico
tener esso gli occhi ad un gran seggio so-
stenente, non persona, ma un'imperial
corona; » Lomb.
134. PER: a motivo della corona impe-
riale postavi sopra. In cielo non vi sono
però imperatori ; cfr. Par. VI, 10.
135. CENT: primadella tua morte; « Bea-
ti qui ad conam nuptiarum agni vocati
sunt; » Apocal, XIX, 9.
136, AUGOSTA: anguata, rivestita della
dignità imperiale.
137, Anr100 : l'imperatore Arrigo VII
di Lussemburgo, eletto imperatore il 27
novembre 1308, m. a Buonconvento 24
agosto 1313, Un tempo Dante pose in Ini
le sne speranzo, tanto per |’ nocomoda-
mento dello coss d'Italia, quanto per il
proprio ritorno a Firenzo, credendo in lui
scorgore l'uomo del sno pensiero, che
uniti in concordia l'Impero è la Chiesa,
e dato ordine all'Italia, sotto di sè aggua-
gliasse, arbitro supremo, le sorti del mon-
1010 [EMPIREO)
PAR, xxx, 188-148 [SEGGIO DI ARRIGO VI]
Verrà in prima ch’ ella sia disposta.
139 La cieca cupidigia, che vi ammalia,
Simili fatti v’ ha al fantolino,
Cho muor di fame e caccia via la balia.
142 E fia prefetto nel fòro divino
Allora tal, che palese e coverto
Non anderà con lui per un cammino.
145 Ma poco poi sarà da Dio sofferto
Nel santo uficio; ch’ ei sarà detruso
Là dove Simon mago è per suo merto,
148 E farà quel d’Anagna esser più giuso, »
do composto a giustizia ed a temperata
libertà, Cfr. Vill. IX, 1-53. Bonaini, Acta
Enrici VII, Fir,, 1877. Gino Capponi,
Stor. della Repub, di Mir., 2% ed. I, 145 è
seg. Dante-Handbuch, 188-147. - A Dale-
XARE: «a ordinare le rettoria italice, o
torle di mano a tutti quelli che inginata-
monte lo si occupano; onde drizzare Ita-
Lia ullro non intorno, so nou clo lo im-
perio sia suso le suo ragioni; » Lan.
138. IN PRIMA: troppo presto. Altrovo
dice che Arrigo VII sarebbe giunto trop-
po tardi; Purg. VII, 96. - < Non v’ha
porò contraddizione. Là è Sordello che
dico di Rodolfo che potea Sanar le pia-
ghe ch’ hanno Italia morta Si che tardi
per altri si ricrea; © sia che quosto ri-
crea lo è' intenda di Rodolfo o de |’ Italia,
sempre significa che curata in tempo
avrebbe in breve potuto esser salvata,
mentre ora, prima che lo possa, ci vorrà
ancora del tempo. E a ciò non contrad-
dice, auzi lu conferma, se infatti non lo
potbnemmeno Arrigo ;» Ronch. Cir. Betti
IIT, 108.
139. curipiaia: cfr. Inf. XII, 49. Par.
XXVII, 121 seg. Ap. ai Fiorent., 5.
14l, CACCIA Via: clr. Par. V, 82 6 sag.
142, PRKFWTTO: papa. -NEL FORO: holla
Chiesa.
143, TAL: Clemente Vj; cfr. Inf. ALY,
82 u sog. Jar, XVII, 82.
144. NON ANDKKA: si Opporrà ad Arrigo
con provvedimenti uperti ed occulti.
145. roco: Clemente V mori il 20 aprile
1314, otto mesi dopo la morte di Arri-
go VII.
146. UFICIO: pontificato. - DKTRUSO :
precipitato, inabissato.
147. LÀ: nella terza bolgia dell’ ottavo
cerchio dell'inferno; cfr. Inf. XIX.
148. QUEL: Honifazio VIII; cfr. Inf.
XIX, 52-57, 76-87. - KR88KK: Al. KXTRAR;
ANDAR. - Queste parole di tremenda mi-
naccia son l’ultime «di Beatrice nel poema
dantesco. Da qui innanzi non parla più.
[KMPIREO]
PAR, XXXI. 1-12
[ANGELI] 1011
CANTO TRENTESIMOPRIMO
EMPIREO: DIO, ANGELI E BEATI
LA CANDIDA ROSA E LE API ANGELICHE, SAN BERNARDO
ORAZIONE A BEATRICE, GLORIA DELLA VERGINE MARIA
In forma dunque di candida rosa
Mi si mostrava la milizia santa,
Che nel suo sangue Cristo fece sposa.
4 Ma l’altra, che volando vedo e canta
La gloria di Colui che la innamora
E la bontà che la fece cotanta,
7 Sì come schiera d'api, che s’ infiora
Una fiata ed una si ritorna
Là dove suo lavoro s’insapora,
10 Nel gran fior discendeva, che s’ adorna
Di tante foglie, e quindi risaliva
Là dove il suo Amor sempre soggiorna,
V. 1-27. Angeli volanti su e giù per
la candida rosa. I Beati, redenti da
Cristo col sangne sno, si mostrano al-
l'estatico l'oeta nella forma di una im-
mensa rosa. Gli Angeli volano ni Beati
come l'ape alla rosa, e rivolano a Dio co-
me l'ape al miele. Le loro facce sono di
fiamma viva, le ali d'oro, il reato della
figura è candido più che neve. Quando
dal giallo della rosa scendono nelle foglie,
comunicano ai Beati quella pace e quella
carità ch'essi hanno acquistate nel loro
volo a Dio. Dal giallo centrale sino alle
estreme sue foglie l'immensa rosa è pie-
na della moltitadine degli Angeli che vo-
lano an è giù, dai Beati a Dio è da Dio
ni Beati. Nonostante questa pienezza il
poeta vede il divino splendore come ae
lo spazio oconpato dagli Angoli fosse
vuoto del tutto.
1. CANDIDA : i Beati che compongono la
rosa celeste sono vestiti di bianche stole;
efr. Par. XXX, 129. - roSA: ofr. Innoc.
III, serm. 18, Dom, Letare.
2. MILIZIA: ofr. Par. XXX, 43 è sog.
3. vECE BOSA: acquistò col proprio
sangue; cfr. Ali, XX, 28. Par, XI, 58.
4. L'ALTRA: la schiera degli Angell. -
VOLANDO: non sedenio como i Beati,
6. rece: Al. FACE. — COTANTA: ti bella,
nobile, numerosa e gloriosa.
T.8'INFIORA: si profonda nei fiori per
estrarno il succo ; cfr. Virg. Aen. VI, 707
© Bog.
8. RD UNA: Al, ED ALTRA, La similit.
noo dipinge |’ incostante vagare, ma l'in-
cessnnto e puntuale succedersi nell'appa-
rente disordine delle due operazioni di im-
mergersi no' fiori e far ritorno all'alveare,
?. LAVORO: Il raccolto succo dei fiori. -
B'INBAFONA : si converte in miele; confr.
Virg. Georg. IV, 163 è sag.
12. Amor: Dio, Cir. Perez, Fragranze,
51. Com. Lips. IIT, 823.
1012 [EMPIREO)
Par. xxx. 13-27
[ANGELI]
18 Le facce tutte avean di fiamma viva,
E l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco
Che nulla neve a quel termine arriva.
10 Quando scendean nel fior, di banco in banco
Porgevan della pace e dell’ ardore,
Ch’ egli acquistavan ventilando il fianco.
10 Né lo interporsi tra il disopra e il fiore
Di tanta plenitudine volante
Impediva la vista e lo splendore;
22 Ché la luce divina è penetrante
Per l'universo, secondo ch’ é degno,
Si che nulla le puote esser ostante.
fr
(4a)
Questo sicuro e gaudioso regno,
Frequente in gente antica ed in novella,
Viso ed amore avea tutto ad un segno.
18, FIAMMA: «il loro aspetto somigliava
delle brace di fuoco; ardevano in vista,
come faccole; quel fuoco andava attorno
per mezzo gli animali, o dava uno splen-
lore, è del fuoco usciva un folgore. I
gli animali correvano è ritoruavano, co-
me un folgore in vista; » Ezechiele, I, 13
a bog.
ld. b' ono: «avendo sopra i lombi una
cintura di fino oro di Ufaz ;» Daniele, X,
5.- bAKNCO: «il sno vestimento era can-
dido come neve; » Daniele, VIT, 0. «Gli
Angeli hanno la carità loro inverso Iddio
ardente come fuoco ; i’ esercizio loro pre-
ziosissimo e fermissimo come è l'oro, cioò
in sorvizio o complacore a Dio; la purità
o nettezza sopra ogni nuottozza e purita ; »
Buti.
16. DI BANCO IN BANCO: d'uno in altro di
quei gradi iu su’ quali i Beati sodevano.
17. PORUKVAN : comunicavano alle ani-
mo beate.
18. KULI: eglino. - VKNTILANDO: bat-
tendo le ali in alto, nello loro elevazioni
a Dio. «Gli Augeli battendo le ali trao-
vano dal giallo paco e urdore o poi re-
cavanlo ai beati; » Corn. Cir. L'hom. Aq.
Sun. theol. I, 106, 2, 4.
19. IL DISOrEA : il trono di Dio, che for-
mava il giallo della rosa celeste.
20. VLENITUDINK: Al. MOL'TITUDINK.
Cfr. Moonk, Orié., 500 e seg. « Non pur
fitto, ma pieno; nè l'uno all'altro in-
gombra il moto, nonchd il lume adom-
bri; » Tom.
21. IMPEDIVA: «nel interporei ch’ essi
beati spiriti facevano, volando in «i gran
numero, fra la ilivina sede ed il fiore, im-
pediva che l'occhio di chi stava nella rosa
vedesse lo splendore divino, e che il di-
vino splendore giungesse fino ad esso
oechio; » Metti.
22. PRNETRANTR: cfr. Par. I, 1 © seg.
« Passa ogni cosa per tutto il mondo,
Iddio illumina ogni cosa secondo ch'è
degna d'essero illuminata da mi, por a
fatto modo, che nulla cosa può essere
che impacci la luce di Dio, che non passi
achi n'è degno; s Buti,
24. OSTANTK: d‘ impediments, Al. Da-
VANTK.
25. BICURO: tranquillo e beato. « Pri-
mo pregio della paco e condizione del
guudio è la sicurtà, ciod non temoro pe-
ricolo nè di danno ué di dolore, nd pure
immaginarlo; » Tom.
26. FRKQUENTK: numeroso, popolato di
Santi dell’ antico e del nuovo Patto. Cosi
tutti gli antichi ed il più dei moderni.
Altri per la gente antica intendono gli An-
goli, por la gente novella i Beati (D'Agq.,
Vent., Lomb., Port., Pogg., vcc.). Sono gli
Angeli gente?!
27. viso: la vista, gli occhi. - TUTTO:
del tutto, intieramente. - seGNno: Dia
‘Lutti tenevano l'occhio ed il cuore ver-
so una stessa meta, il giallo della rosa,
la gloria di Dio.
V. 28-51. Stupore nella visione della
glorta celeste. Contemplando tatta in-
siome la gloria o la forma dol l’aradiso il
Poeta stupisco. Il suo stupore va cre-
[BMPIREO]
PAR. XXXI, 28-42
[sturore] 1018
28 O trina luce, che in unica stella
Scintillando a lor vista sì gli appaga,
Guarda quaggiù alla nostra procella.
81 Se i barbari, venendo da tal plaga,
Che ciascun giorno d’Elice si cuopra,
Rotante col suo figlio ond’ ell’è vaga,
a4 Vedendo Roma e |’ ardua sua opra
Stupefacénsi, quando Laterano
Alle cose mortali andò di sopra;
a7 To, che al divino dall’umano,
All’ eterno dal tempo era venuto,
E di Fiorenza in popol giusto e sano,
40 Di che stupor dovea esser compiuto!
Certo tra esso e il gaudio mi facea
Libito non udire, e starmi muto.
scendo in proporzione «dell'oggetto ma-
raviglioso ond'è mosso, 1] montanaro si
turba ed ammuotisce, entrando in ona
città qualonqne; cfr. Purg. XXVI, 67 è
seg. Pin dovettero rimanere attoniti i
barbari del settentrione vedendo la pri-
mn volta quella Roma, che già feco atn-
piro Virgilio; confr. Georg, IT, 634, Ma
quanto più dovette stopire il Poeta, vo-
nuto dal soggiorno degli nomini a quel-
lo doi Beati, dal tempo all’ eternita! E
qui nin fiora pontara doll’ eanle ed into.
morato cittadino di Firenze. Allo stopore
sottentra più curiosità od il desiderio di
notare ed imprimere nella memoria ogni
mirabile cosa, come il pellegrino si oon-
sola pensando che, tornato in patria, de-
soriverà In clascuna sun parte Îl tempio
visitato per voto.
28. IX UNICA STELLA: In una soln eas-
senza. Dio è nce, è umo e tring; | unità
è significata dalla stella, la trinità dalla
trina luce, Luce trina, ma in unica es-
senza di lume.
29. APPAGA: può essere seconda pers.
sing. per appaghi (cfr. Nannuee., Verbi,
40 © seg.), of è teren pera. a' ha da in-
tendere: O trina luce, che sei pare quel-
l' unica stella che sì gli appaga!
20. quanno : Al. quanorurso : « Rivolgi
gli oechi a questo procelloso e pien d'ogni
miseria pelago della vita umana ; » Dan.
Cir. Purg. VI, 700 sog. Boet. Cons. phil.
I, motr. 5, .
21. DA TAL: dal Settentrions, su eni
ruota sempre l'Oran maggiore, che se-
condo la favola 4 Ia ninfa lice ; cfr. Ovid,
Met. TI, 401-530. Purg. XXV, 191. -11a-
GA: parte del mondo; ofr. Par. X1II, 4;
XXIII, 11.
23, FIGLIO: Boote,
34. ARDUA: eccolan; lo marnviglinao
ano fabbriche; efr, Virg. Aen. VIII, 97
e Bog.
36. ANDO DI SOPRA : « vinso di magnifl-
cenza 6 di potenza tutto le altre città; »
Land., Vell., Dan., Lomb., eco. - « La-
terane è premo por Roma, i oni edificil
andavano sopra tutte le opero dei mor-
tali edificato altrove; » Corn,
80. Fionrxza: nè ginata nà sana, ma
«simigliante n quella inferma, Che non
può trovar posa in sn le piumo,» Purg.
VI,149 o sog. Amara puntara!«Di quella
città dove sono più brighe e più triboli et
odj, che è Firenzo, a quella santa Jernan-
lem voleste, dov'è la gloria e l'allegrezza
detta di sopra; » Lan., An. Fior.
40. COMPUTO : empinto, ripieno; ma la
parola dantesca comprendo nn concetto
li sovrabbondanza è fora’ anco di porfe-
zione.
41. MI FACKA: fo.
42. Lrorro: piacere; cfr. Inf. V, 66. In
mezzo tra lo stopore è la gioia io non
amava ne parlaro né sentir parlare, ma
stava mirando. Così i più. Al.: Parte sesso
stupore 6 parte il gaudio mi facovan dolce
il reatarmene tutto assorto in quella esta-
tica contemplaziono.- Non uni: Al. tt.
wow UDITR, « Lo atnpore od il gandio lo
rendovano astratto o muto; » Corn.
O
1014 [EMPIREO]
PAR. xrxxJ. 45-56
(sTuPoRE)
43 E quasi peregrin, che si ricrea
Nel tempio del suo voto riguardando,
E spera già ridir com’ello stea,
46 Sì per la viva luce passeggiando,
Menava io gli occhi per li gradi,
Mo’ su, mo’ giù, e mo’ ricirculando,
49 Vedea di carità visi suadi,
D'altrui lume fregiati e del suo riso,
Ed atti ornati di tutte onestadi,
62 La forma general di paradiso
Già tutta mio sguardo avea compresa,
E in nulla parte ancor fermato il viso;
55 E volgeami con voglia riaccesa
Per domandar la mia donna di cose,
43, KR QUASI: «6 quasi pellogrino che
prende diletto allorchè intorno intorno
va guardando nol tempio dove aveva
fatto il voto d'andare; » Betti.
di. RGIARDAKRDO: girando gli sguardi
attorno in quel tempio ch'egli avea fatto
voto di visitare, per poter poi farne la
descrizione tornato che ala. in patria.
45, nivigc: efr. Inf. XVI, BH. - BTRA:
stia; cfr. Inf. XXXII, 122. Purg. IX,
144; AVII, dd.
48. mo' BU; AL OR BU, Ou GIÙ, RD OR;
lozione sprovvista di nutorità. Cfr. Virg.
Aen. IT, 68; VIII, 310 © seg.
49. DI CARITÀ: Al. A CARITÀ. — SUADI:
persuadenti, persuasivi.
50. n'ALTRUI : del lume, ondo Iddio gli
irradiava. - DEL SUO RISO: dol fulgoro
proprio, che nasce da sontita letizia; cfr.
Par. IX, 70 e seg.
51. ATTI: «questo dice a differenzia
che fanno gli uomini gli atti disonesti,
quando alcune allegrezze, hanno come
gridare, andaro a testa alzata, eoc. » Lan.,
An. Fior.
V. 52-69. San Bernardo. Fin qui il
Poeta ha compreso la forma genorale del
Paradiso, passeggiandolo quasi in estaai,
senza aflissarsi in proprio sopra verun
particolare. Appena vedeva cosa che lo
fucesse maravigliare egli ne domandava
Boatrice, solita ad appagarlo. Qui ai ripe-
te in tal qual modo la scena del Paradiso
terrestre, Purg. XXX, 45 eseg. Dante si
volge per fare una domanda a Beatrico,
e non la vede più accanto a sò. Invece,
appunto là dove egli crede di veder Rea-
trice, egli vede un vecchio venerando,
sereno in volto, spirante pia tenerezza
d'amore e vestito di bianca atola, allo
stesso modo ili tutti i beati. È l'abate di
Clairvaux, 8. Rornardo (n. 1091,m. 20 ago-
sto 1164), il doltoro mellifiga, il con tem-
plante, cho sottentra a Beatrice, como
Matelda sottentrò a Virgilio. « Dov'è
Jicatricef» domanda il Poets. Ki il santo
Sone; «A guidarti al desiderato termine
del tuo viaggio, Beatrice m' induase a la-
sciare il mio seggio. Se volgi lo agnardo
a quel giro cl'd torzo a contare dall'alto,
tu la vodrai nel trono che i suoi meriti le
acquistarono. » S. Bernardo simboleggia
la contemplazione, por la quale l' uomo
arriva alla visione della Divinità. Confr.
Com. Lips. IIT, 828 © sog.
53. MIO SGUARDO: Al. IL MIO SGUARDO ;
LO MIO BGUARDO.
64. IN NULLA LARTR: ad alcana parti-
colarita.
55. RIACCESA: tornata ad accondersi,
dopo che lo stupore od il gaudio gli ave-
fan fatto libito non udire e starsi muto;
cfr. v. 41 e seg.
56. cosk: intende furse dei particolari
della rosa celesto; ma non avendo detto
di quali cose voleva domandare Beatri-
co, è inutile il volutle indovinare. - Ma
Ronch.: « C' è poco da indovinare. Be
Dante dee portar pieno tatte le voglie
che son nate in paradiso (IX, 110), dee
appunto trattarsi dei particolari della
rosa celeste, che leggendo il suo pea-
siero, © prevenendo la sua dimanda, gli
vengono poi infatti spiegati, ne non da
[EMPIREO]
PAR. XXXI, 57-69
[8. BERNARDO] 1015
Di che la mente mia era sospesa.
58 Uno intendea, ed altro mi rispose;
Credea veder Beatrice, e vidi un Sene
Vestito con le genti gloriose.
61 Diffuso era per gli occhi e per le gene
Di benigna letizia, in atto pio,
Quale a tenero padre si conviene.
04 Ed: « Ella ov’ è? » di subito diss’ io;
Ond’ egli: « A terminar lo tuo disiro
Mosse Beatrice me del loco mio;
07 E se riguardi su nel terzo giro
Del sommo grado, tu la rivedrai
Nel trono che i suoi merti le sortiro. »
Boatrice, da san Bernardo da lei preci-
aamente Invintogli A terminar lo sno di-
piro (v. 05)»
57. pi cnr: delle quali cose. - SOSPESA :
preoccupata,
58, INTENDEA: fo oredeva di parlaroalla
mia Donna, ed invece di Beatrice vidi
accanto A me on Sene, — RISPOSE: « ri-
spondere qui importa un incontrare, ossìn
riuscir di cosa, per rispetto ad un'altra; »
Ces.
650. Sane: vecchio, lat. rener. « Astana
senectnti habet reverentinm non propter
conditionem corporis, quod in defectu
est, sed propter sapientinm anime, que
ibi ease presumitur ex temporis antigni-
tato, Unde in electis manobit rovorentia
senectutis propter plenitudinom divinm
sapiontim, que in eis erit, sed non ma-
nebit senectutis defectus; » Thom. Ag.
Sum, theol, ITT Suppl. 81, 1.
61. DIFFUSO: « Diffusa cat gratia in la-
bite tuia; » Salm. XLIV, 8. Cfr. JI Ma-
chab. TII, 17. Virg. Aen. I, 501.- GENK:
gote, latinismo antiquato.
(4. ELLA: Beatrice. Perimpeto d'affetto
mon la nomino, avendo il enore pieno di
lel talmente da non suprorre la possibi-
lità che altri non intenda di chi ogli parla.
65, A TERMINAR: n compiere ogni tuo
desiderio.
67. trRZO: nel primo giro Maria, nel
secondo Eva, nel terzo Rachele ed accanto
nlei Beatrice; cfr. Par. XXXII, 4 e sog.
« Lo numero del tre dla radice del nove,
perocchè senza numero altro, por sò me-
desimo moltiplicato fa nove, Dunque so
il tro è fattore por sò medesimo del nove,
e lo fattore dei miracoli per sò medesimo
è tre, cioè Padre, Figlinolo e Spirito San-
to, li quali sono tro od nno, questa donna
fu accompagnata da questo numero del
nove n dare nd intendere cho ella era nn
nove, clod un miracolo, la cni radice è ao-
lamentela mirabile Trinitade;» Vit.N.,99,
68. DEL SOMMO: Al, DAL 80MMO; a co-
minciare dal grado più alto.
69. sontino: sortirono, dettero in sor-
te, destinarono.
V. 70-03, L'addio a MReatrice. Ap-
pena ndite le parole di San Bernardo, è
senza dargli voruna risposta, il Poeta le-
va gli occhi in alto e vede Beatrice cinta,
come di corona, de' raggi del divin Inme
ch'ella da sò rifletto, Ella è in Inogo sì
sublime, che qualunque occhio mirasse
in sn dal più basso fondo del mare non
vedrebbe tanto da sò lontana l'ultima
regione dei tnoni, Mn tanta distanza non
gli è di veran impedimento, perchè l'effi-
gie di Beatrice per venire a lui non devo
attraversare vernn corpo interposto, co-
m'è tra noi l'aria o l'nequa. Vedotala
colnssù, il Poeta si congeda da lel con
una umile, grata e devota preghiera.
«Tu, o Donna, fondamento della min
speranza, che per salvarmi non isde-
guasti scendere giù nel Limbo, dal tno
potere o dalla toa bontà riconosco la
grazia 6 la forza per cui sono stato fatto
abile e capace di vedere tante cose, Dalla
servitù del peccato tu mi hai condotto
alla libortà dei figlinoli di Dio (ofr. San
Giov. VIII, 34. Rom. VIII, 21), Impie-
gando tutte quelle viee mettendo in opera
tutti quei mezzi che erano in tno potere
1016 [EMPIREO)
PAR. Ext. 70-88
[ADDIO A BEATRICE)
70 Senza risponder gli occhi su levai,
E vidi lei che si facea corona,
Riflettendo da sé gli eterni rai.
78 Da quella region, che più su tnona,
Occhio mortale alcun tanto non dista,
Qualunque in mare più giù s’abbandona,
76 Quanto li da Beatrice la mia vista;
Ma nulla mi facea, ché sua effige
Non discendeva a me per mezzo mista,
79 « O donna, in cui la mia speranza vige,
E che soffristi per la mia salute
In inferno lasciar le tue vestige;
82 Di tanto cose, quante io ho vedute,
Dal tuo potere e dalla tua bontate
per effettuare la mia liberazione. Con-
serva in mo gli effetti della tua magnifi-
cenza, allinché l'anima mia da te guarita
abbandoni il corpo nello stato di grazia, »
Dalla apparente grande lontananza Bea-
trico accenna al Poeta con un celeste sor-
riso che egli 6 da lei udito cd esandito,
quindi torna a flssarsi in Dio, fonte eter-
no d'ogni bene.
70. sKNZA KISPONDER: «no' grand) affetti
l'nomo corre di presente, senza frapporre
nulla di mezzo, ov'è tirato il più; » Ces,
71. comona: i raggi partono du Dio,
vanno al volto di lteatrice, vi al riflettono
è le fanno una luminosa corona, Confr.
Thom. Ag. Sum. theol. IIT Suppl. 96, 1.
73. RKGION: dalla parte più alta del-
l' atmosfora terrostre.
75. QUALUNQUE : chiunque. - B'ABBAN-
DONA: scende giù nella più profonda vo-
ragine dol mare. « Nel canto che precede
ci ha dato il Poeta un'idea grandiosa
dell’ampiezza della celeste Gerusalemme,
accennando anche a una notabilissima
elevazione di quella, col portare a più di
mille i gradi nei quali si distribuiva l'or-
dinamento dei beati comprensori. Ades-
so vione a un concetto ancho più concreto
e di maggior effetto, circa lo svolgersi del
proziosissimo flore in altezza: dicendo
che dalla più clovata rogione dell’aria in
cui ai formi la meteora del fulmine al più
profondo seno dei mari, ci è men distanza
che dal seggio di Beatrice alla base del-
l'infimo grado dove era il Poeta; o in-
tanto ci richiama al fatto importante
della profondità delle acque marine....
Le distanze dal cupo seno di queste allo
più alte regioni sacred, nelle quali si for-
mino meteore parventi al nostro ocebio,
era ed è ciò che di più imponente per alti-
indine può presentarci per modo sensibile
la fuccia esteriore solida, liquida o fluida
ili questo nostro povero mumlo; » Ant.
77. NULLA: sì immensa distanza non
mi era di verun ostacolo.
78. Mezzo: d'aria o d'acqua che atte-
nua l'oggetto. « Non era mezzo che divi-
dosso l'ofligo di Beatrice da mo; imporò
cho inunediata lo la vedeva, sicché bra
lel e me non era mozzo locale; è per que-
sto dà ad intendere come agli vedera
Beatrice: cioè cogli oochi mentali, e non
corporali; e tra gli occhi mentali e la cosa
veduta non vi è alcuno mezzo; » Buti (1).
79. viar: è in vigore, vive, tiorisco.
Cfr. la Canzone della Vita N., 19, dove
Beatrice è chiamata « la speranza dei
Beati. »
80. SALUTE: cfr. Purg. XXX, 136 eeeg.
81. IN INFERNO: nel Limbo, che local-
mente è la parte snporiore dell’ Inferno;
cfr. Inf. IT, 82 © seg. Purg. XXX, 139
© s0g.- VESTIOR: qui in senso lotterale:
lasciar lo impronte dei propri passi: per
dire: mettere il piedo, introdursi in un
sito. Cfr. Konchetti, Appunti, 187 e seg.
Sonso: non isdegnasti di scondere sino
all'inferno.
82. VEDUTE: nel viaggio per li tre regni
del mondo di là.
83. TUO: non dal mio sapere nè da' miei
meriti; < Hoc non ox vobis, Dei enim do-
num est;» A/esi, II, 8.
[EMPIREO]
PAR. XXxI. 84-97 [ADDIO A BEATR.]) 1017
Riconosco la grazia e la virtute.
85 Tu m'hai di servo tratto a libertate
Per tutte quelle vie, per tutti i modi,
Che di ciò fare avei la potestate.
88 La tua magnificenza in me custodi
Sì che l’anima mia, che fatta hai sana,
Piacente a te dal corpo si disnodi. »
91 Cosi orai; ed ella si lontana
Come parea, sorrise, e riguardommi;
Poi si tornò all’ eterna fontana.
Da E il santo Sene: « Acciò che tu assommi
Perfettamente, » disse, « il tuo cammino,
A che prego ed amor santo mandommi,
07 Vola con gli occhi per questo giardino;
R5. annvo: ofr. Thom. Ag. Sum. theol.
113, 183, 4. I'urg. 1, 71.
BT. avri: avevi; cir. Inf. XXX, 110.
Nannue., Verbi, 404 0 sog. « Motn prona-
rom et exhortations priemioram, qum
vim et qui modi poterant liberaro me a
servitude; » Bene. La lozione AVEAN è
inattendibile,
88. custoDI : enstodiscimi, conservami
i tnoi beneficii.
BO. SANA: i] peccato è malattia spiri-
tuale; In riconciliazione con Dio, guari-
gione; cfr. Purg. XXVIT, 140,
90. PIACENTE A TE: nella grazia. - SI
nisxoni: si disciolga.
02.rARRA: al Poota, ancor mortale;
mentre in verità nell’ Empireo non v' ha
più misura alcuna, né di tempo né4 di spa-
zio. “ SORRISR: quel sorridere e rignar-
dare il Posta cho la invoca è sogno tacito
o benigno ch'egli è ndito ed esandito.
93. st TORNÒ: si volse nnovamonte a
Dio; efr. Purg. XXVIII, 148, - rowra-
KA: «appo te è la fonte della vita; e per
la tua luce noi veggiamo la luce ; >» Salm,
XXXVI, (Vulg. XXXV), 10. Confr. Ge-
rem. Il, 13; XVII, 13. Par. XX, 118
© BOg.
V. 04-117, I primi conforti dell’ ul-
tima guida. Tutto quanto nssorto nel
pensare a Beatrice, Dante non si è an-
cora curato di quegli che ella gli mandò
a terminare il sno disiro, Per San Bor-
nardo egli non ebbe che una parola: Ella
ov é? Il enor sno non ha Inogo per altri.
E non appena udita la risposta, volge
senz'altro a lei gli occhi e la mente, Fi-
nita In soa preghiera, ode di nuovo il
santo Seno volgergti In parola: « AMnehò
tu compisca perfettamonte Il tuo cam-
mino, nl qual fine son vonnto n te, mosso
dalla proghiern o dalla carità di Beatrice,
vola cogli occhi per questo Paradiso;
chè la vista di esso ti renderà più accon-
cio lo sgnardo ad innalzarsi sino alla vi-
alone di Dio, La Regina del cielo, del eni
amore io tutto ardo, ci fnrà ogni grazia,
chà io sono Bernardo il suo fedele. » Al-
l'udire il nome di San Bernardo od al
mirarne ln carità, Dante è tutto pieno
di maraviglia e di tenerezza. Ed il santo
Seno continna: « La gioin del Paradiso
non ti sarà nota appiono, se tieni gli
nechi soltanto nella suna infima parto.
Alza lo agnardo tanto, che ta vegga la
regina del cielo, »
0%. Seng: cfr. v. 50. - ASSOMMI: con-
dnea al sommo, compisca; confr. Purg.
XXI, 112,
05. caMMINO: Îl col fino nitimo è la
viziono beatifica della divinità, « Quaai
dicat, nt feliciter perficias et finias lon-
gum iter, ideat, discuranm et processum
tum speculationia, et sic complens taum
opus tot vigiliis olaboratum; » Bent,
06. ruEGO ep AMOR: la proghiera ed il
santo amore di Beatrice,
97. VOLA: non gli resta che poco tempo
al viaggio mistico, e poco spazio nl poo-
ma. Invece il Ronch.: « Ma il vola non
crodo implichi rapidità, bensi acoonni
al grande spazio che la sun vista doven
smperare, » Ma se quel grando spazio
nulla gli facea, v. 771 - craRDIiNO: l'as
1018
[EMPIREO]
Par. XXXI. 98-111
: [8. BERNARDO]
Ché veder lui t'acconcerà lo sguardo
Più al montar per lo raggio divino.
100 E la Regina del cielo, ond’i’ ardo
Tutto d'amor, ne farà ogni grazia,
Però ch'io sono il suo fede! Bernardo. »
108 Quale è colui, che forse di Croazia
Viene a veder la Veronica nostra,
Che per l'antica fama non si sazia,
106 Ma dice nel pensier, fin che si mostra:
« Signor mio Gesù Cristo, Dio verace,
Or fu sì fatta la sombianza vostra?
109 Tale era io mirando la vivace
Carità di colui, che in questo mondo,
Contemplando, gustò di quella pace.
somblea degli eletti; cfr. Par. XXIII,
Ti; XXXII, 30.
08. r'acconceuà; Al. T'ACUIRÀ: lezio-
ne che si potrebbe accettare se non fosse
aprovvista di autorità, Acconciare è maa-
to qui nel senso di rendere acconcio, 0
rendere alto, Senso: Il vedere la gloria
dei Beati disporrà l'occhio tuo a vedere
la divina cssenza,
09, MONTAR: « n montare più suso per
lo raggio divino, cioò per la grazia di-
vina, che non è altro cho un raggio della
ana divinità, cho raggia nello sue crea-
ture; » Buti,
100. anbou: colebre è la idivozione di
S. Bernardo per la Vergine Maria, dalla
quale sono ispirati |! suoi scritti. Ad onta
«li ciò ogli combattd contro i canonici di
Liono che volevano introdurre la festa
della concezione immaculata. Cf. Bernar-
di, Epist., 174, ad Canon. Lugdunenses.
102. BrtxaubO: il notissinio Santo,
n. 1091 da famiglia nobile a Fontaines
(Dijon), 1113 monaco a Citeaux, 1115
primo abate di Clairvaux, m. 1163. Fu
promotore della seconda crocinta, avver-
sario di Abolardo ed autorovolissimo con-
sigliere di vescovi, principi o papi. Cfr.
Acta Sanct. ad 20 aug. Neander, Der
Al. Bernhardt und seine Zeitalter, Borl.,
1813; 3% ed. 1865. Morison, The life and
times of S. Bernh., Lond., 1863; 2° ed.
1868. G. Kiifer, Vorstudien zu einer Dar-
stellung des Lebens und Wirkens des hi.
Bern. v. Olairvauz, 1886. Com. Lips.
JII, 835 e seg.
103. Croazia: qui nominata per un
paese lontano in genere, o forsa, come
opina il Koeneh., porchè « fin d'allora la
Croazia era celebre per il fanatismo delle
sue plebi, »
104. Veronica: dal lat. vera è dal gr.
E(xu)v, wera icon, ciod vera immagine.
(los) suol chiamarsi il santo Sodario che
si conserva nella basilica di San Pietro
a Roma, « Est igitur Veronica pictora
Donini vera; » Gervas. a THIb, Otia im-
perialia oc. 25, Cir. Nicol, IV. Ep. d. 30
Apr. 1290; Acta Sanet. Febr. I, 449 è
sog. Chiflet, Delinteia Christi, Antverp.,
1624. Garrucei, Stor. dell'arte crist. IIT,
(Roma, 1873), tav. 106 è seg. Heaphy,
The likeness of Ohrist., Lond., 1880. « In
quel tempo che molta gente va per ve-
dere quella imagine benedetta, la quale
Gesù Cristo lasciò a noi per esempio
della sua bellissima figura; » Vita N., 41.
Confr. Vill. VIII, 36. Petrar., Canz. I,
Son. XII, (14). D'Ancona, Vit. N. di D.
2° ed. 248 a seg.
105. ANTICA: la prima traccia della
leggenda della Veronica al trova nelle
Clementino, Jfom. I, 25; II, 467. Cfr.
Euseb. Hist. eccl. VII, 16-18. Act. Sanct.
Febr. I, 453 © sog. - SAZIA: di miraria.
106. FIN CHE: tatto il tempo nel quale
la Veronica si mostra in San Pietro ai
devoti.
108. OR FU: la domanda non esprime
dabbio, ma stupore e maraviglia.
109. vivack: ii vivo fuoco d'amore.
110. coLUI: il contemplativo San Ber-
nardo.
111 CONTRMPLANDO: cfr. 8. BernA. Me
[EMPIREO]
Pan, xxxI, 112-127
(8. BERNARDO] 1019
112 « Figlinol di grazia, questo esser giocondo, »
Cominciò egli, « non ti sarà noto
Tenendo gli occhi pur quaggiù al fondo;
116 Ma guarda i cerchi fino al più remoto,
Tanto che veggi seder la Regina,
Cui questo regno è suddito e devoto, »
118 Io Jevai gli occhi; e come da mattina
La parte oriental dell’ orizzonte
Soverchia quella dove il sol declina,
121 Cosi, quasi di valle andando a monte,
Con gli occhi, vidi parte nello stremo
Vincer di lume tutta l’altra fronte.
124 E come quivi, ove s’ aspetta il temo
Che mal guidò Fetonte, più s’infiamma,
E quinci e quindi il lume si fa scemo;
127 Così quella pacifica oriafiamma
ditat. piis. o. 1. Com. Lipa, INI, 836. -
GUSTÒ: pregustò nella contemplazione
l'oterna beatitudine; confr. Thom, Ag.
Sum, theol. IT , 180, 1, 7.
112. DI GRAZIA : «percioechs non da'no-
atri meriti siamo rigenorati, ma por In
divina grazia; » Land., Vell, — mesrn:
questa gioin, vita beata, del Paradiso.
114. AL FONDO : nel basso del Paradiso,
115. REMOTO : al più lontano, perchè il
più alto.
116. Reoisa: ln Vergine Maria, « Re-
gina cvloram, Domina Angelorum, » co-
mo la chiama la Chiesa,
V. 118-142, Gloria di Maria, Come
nol mattino la Ince d'oriente vince l'op-
posta luce dell'occidente, così levando
lo aguardodai bassi ai più alti cerchi della
rosa celeste, Il Posta vedo lassh nella
parte più alta, in on maggior lnme ed
in mezzo a migliaia di Angoli fosteg-
gianti, una celeste Bellorzn ridento, che
riompie di ineffabile letizia tutti i Beati,
È Maria, il cui splendore rende floca la
luce degli altri splendori. ES. Bernardo,
vedendo gli occhi dei Figlivol di grazia
fissi ed attenti a Marin, fissa in lei anche
il proprio sguardo con tanto affetto, che
l'ardoro della ana contemplazione ac-
cresce l'ardore della contemplazione del
Poeta, Cfr. Coprì, La Verg. Maria nella
D, 0, in Omaggio a D., 460 è seg.
120, SOVERCHIA : di luce, Il Poeta nota
due atti del cielo: prima, l'oriente più
illuminato dell'occidente; ed a questo
atto paragona lo splendore di Maria, che
nel sommo cerchio vince di luce tutte le
altre parti della rosa celeste. Poi, il Inme
che, nel luogodovespunta ll Sole, va ace-
manilo quanto più s'allontana dal centro,
Così lo splendore raggianto del seggio di
Maria andava diminnendo gradatamente
nello scostarsi da lei. Cfr. L. Vent., Sim.,
p. 4. Lucan. Phars. II, 719 © seg.
121, ANDANDO : coll'occhio, guardando
in alto, Cfr. Purg. XXX, 22 è seg.
122. rarre: nel sommo cerchio vidi
ona parte splendere più di tutta la su-
perficie rimanente.
123. FRONTR: « tutta l'altra altezza,
che ora in tondo, l'una parte incontra
a l'altra; » Buti.
124, quivi: in quella parte dove il sole
sta per ispuntare; da levante. - TRMO:
timone del carro del sole.
125. MAL: ofr. Purg. 1V, 72. - Frron-
TR: cfr. Inf. XVII, 107; Purg. XX1X,
118 e seg. Par. XVII, 2. - R'INFIAMMA:
ofr. Ovid. Met. XV, 192 © seg.
126. SI FA: Al. È PATTO; appare meno
vivido, essendo diminuito d' intensità.
127, ORIAFIAMMA: Alouni ORIFIAMMA :
ORKAFIAMMA; OROFIAMMA, ecc.; lat. au-
rea flamma, frane. orifamme, chiama-
vasi l'antico stendardo dei re di Francia,
il qnale consisteva in un pezzo di stoffa
liscin e rossa, partita abbasso in tre code,
intorninta di seta verde o sospesa nd una
1020 [EMPIREO]
PAR. XXXI, 128-142
[8. BERNARDO]
Nel mezzo s'avvivava, e d’ ogni parte
Per egual modo allentava la fiamma.
130 Ed a quel mezzo, con le penne sparte,
Vidi più di mille angoli festanti,
Ciascun distinto e di fulgore e d’arte,
133 Vidi quivi ai lor giuochi ed ai lor canti
Ridere una bellezza, che letizia
Era negli occhi a tutti gli altri santi.
136 E s’io avessi in dir tanta divizia,
Quanta ad immaginar, non ardirei
Lo minimo tentar di sua delizia.
139 Bernardo, come vide gli occhi miei
Nel caldo suo calor fissi ed attenti,
Li suoi con tanto affetto volse a lei,
142 Che i miei di rimirar fe' più ardenti.
lancia dorata. Secondo i più Danto chia-
ma la Vorgino stessa pacifica oriafiane-
ita, cioò aurea fiamma. Ma il Monch.
chiede: « O dunque Maria era più viva
nol mezzo, © mono, in gradazione, dalle
parti? KE gli Angoli si recavano al morzo
di Maria? » Secondo altri, Dante chia-
ma così quella parte del cielo splendente
tra l'oro 6 la fiamma, ove era il seggio
della Vergine. Alcuni intendono dol con-
scaso di tutti i Boati. Copfr. Com. Lips.
III, 838.
128. NRL MEZZO: nel punto medio del
sommo cerchio. Al.: nel mezzo di sò, nel
suo centro (f).
129. ALLENTAVA: scomava di luce lo
splendore raggiante dal seggio di Maria,
il qualo dall'una e dall'altra parto get-
tava raggi che ugaalmento diminuivano
in ragione della distanza.
130. MEZZO: dove era il seggio di Ma-
ria. - PENNE: ali; cfr. Purg. VIII, 29;
IX, 20, ecc.
132. pb'AutE: di movimonto. Risplen-
devano qual più qual meno e volavano
qual più qual meno veloce. Al. diversa-
mente; Buti: « Variato di splendore, e di
canto 6 festa; questo dice per denotare
che tutta quella moltitudine d' Angioll
era variata nogli splendori è nelle foste
che [ncevano intorno alla Regina del Cio-
lo: imporò che cinscuno avova lo suo
splendore, secondo lo grado della carità
sua.» Coal pure Land., Vell., Dan., Vent.,
Lomb., ecc, - «Per più o meno aplendore,
e per più o meno letizia di moti e d'atti; »
Frat. Così pure Br., B., Corn., ecc.
134. niLLkzzA: Maria cho rallegrava
gli aspetti di tutti i Beati.
136. Kk 8'10: © quando pure avessi tanta
ricchezza di parole, quanta di fantasia.
137. AD IMMAGINAR: Al. IN IMMAGINAR.
138. LO MINIMO: non ardirei tentaro di
esprimere la minima parte di tanto gio-
conda bellezza.
140. suo: cfr. v. 100 © seg. - CALOR:
Maria; Al. cauèi:.
142. Fe’ PIÙ: Al. BI FÉR PIÙ. « Come
ello si avvide di me attonto a guardare
in quelle parti, dirizzd gli occhi a quel
inolesimo scauno con tanta affeziono,
ch'io m’ accorai che gli mici in quello
atto si fecero in guardare più attenti e
vivaci; » Zan., Ott., An. Fior.
(EMPIREO)
, Par. xxxtr. 1-6
(ROSA CBLESTE] 1021
CANTO TRENTESIMOSECONDO
EMPIREO: DIO, ANGELI E BEATI
ARTIFICIO DELLA BOSA CELESTE, PARGOLI BEATI
MARIA E GABRIELE
I GRANDI PATRICI DELLA CELESTE GERUSALEMME
Affetto al suo piacer, quel contemplante
Libero uficio di dottore assunse,
È cominciò queste parole sante:
4 « La piaga che Maria richiuse ed unse,
Quella ch'è tanto bella da’ suoi piedi
E colei che l’aperse e che la punse.
V.1-39. Artificto della rosa celo-
ste. Tutto intento a vagheggiare Maria,
oggetto del suo amore, il contemplante
San Bernardo assume spontaneamente
l’uficio di ammaestrare il Posta circa la
disposizione dei Beati nel celeste consce-
so. Maria siede nel mozzo del supremo
gradino; sotto di lei, disposte in fila di
gradino in gradino le une sotto le altre,
siedono Eva, poi Rachele, poi Sara, poi
Rebecca, poi Rat, e così di seguito altre
donne ebree non nominate. Queste donno
formano quasi una linea di separazione
tra’ Boati dell'antico e del nuovo Patto.
Gli ecanni dei primi sono tutti cocupati,
il numero degli eletti del vecchio Testa-
mento essendo compiuto. Dall'altra parto
vi sono ancora alcuni (ma non molti, ofr.
Par. XXX, 131 e seg.) seggi vuoti, che
saranno occupati a mano a mano nel
corso dei tempi, finchè sarà compiuto il
numero degli eletti del nuovo l'atto. Sul
più alto gradino, in frocia a Maria, siede
Giovanni Battista, fl maggiore tra quei
che son nati di donna; cfr. 4. Matt. XI,
11; sotto di lui S. Francesco, poi 8. Be-
nedetto, poi S. Agostino, poi altri non
nominati di gradino in gradino, i quali
da questa parto formano una linea di di-
visione tra’ Beati del nuovo © del veo-
chio Patto, appunto come fanno dall’op-
posta parto le donne. Alla destra della
Vergine siedono primo San Pietro, poi
8. Giovanni I Evangelista; alla di lei si-
nistra, primo Adamo, poi Moisè. In fao-
cia a 8. Pietro siede S. Anna, in faccia ad
Adamo, Lucia. Dalla metà in giù di tutta
la rosa celeste siedono i pargoli beati.
1. AFFRTTO: fisso, intento. Le lesioni:
L'AFYKTTO, L'EFFETTO, sono inammie-
sibili.
4. PIAGA : del peccato. - RICHIUSE: « lla
porcunsit, inta sanavit; » Aug. Serm., 18.
~UNSE:< plaga.... non est circussligata....
neque fota oleo; » Isaia, 1, 6.
5. QUELLA : Eva. - BRLLA: essendo crea-
ta da Dio senza messo. -na':a'.
6. L'ArERSE: traagredendo il divin pre-
cetto. - rursr: inasprì, seducendo Adamo
e precipitando così tutto il genere umano.
Nè il traagredire il precetto di Dio ed il
sedurre Adamo fu tutt' una cosa, ma fu-
rono due cose ben diverse; cfr. Genes.
III, 6.Secondo il RencA. | due verbi aper-
se o punse alludono « ai due aspetti della
ferita, lacerazione dei teasuti e pantara
ai nervi; © alla prima si riferisce il ri-
chiuse, alla soconda, l'unse. »
1022 [EMPIREO]
10
13
PAR. XXX. 7-26 |
[ROSA CELESTE]
Nell’ ordine, che fanno i terzi sedi,
Siede Rachel di sotto da costei
Con Beatrice, si come tu vedi.
Sara, Rebecca, Judit, e colei
Che fu bisava al cantor, che, per doglia
Del fallo, disse: Miserere mei,
Puoi tu veder così di soglia in soglia
Giù digradar, com’ io ch'a proprio nome
Vo per la rosa giù di foglia in foglia. 5
16 E dal settimo grado in giù, sì come
Infino ad esso, succedono Ebree,
Dirimendo del fior tutte le chiome;
19 Perelié, secondo lo sguardo che fee
La fede in Cristo, queste sono 11 muro
A che si parton le sacre scalee
hor
he
Da questa parte, onde il fior è maturo
Di tutte le sue foglie, sono assisi
Quei che credettero in Cristo venturo,
25 Dall'altra parte, onde sono intercisi
Di vòto i semicircoli, si stanno
7. NK, ORDINE: nol terzo griulo, — BR-
in: soggii, plurali sedio ; lr. Jhez, Work,
18, 370.
8. ]tacurLk: cfr. Inf. II, 102; IV, 60.
Purg. XXVII, 104. Rachele figura la
contemplazione, S. Bernardo il contem-
plante.
0. con BraTikIck: cfr. Inf. II, 102.
Par. XXXI, 607 e seg.
10. Sana: la moglie del patriarca A-
bramo, madre dvi credenti iu Cristo
venturo; cfr. Ebrei, XI, 11. - Revecca:
moglie del patriarca Isacco; cfr. Gen.
XXIV-XXV.-Juvit: la figlia di Me-
raris che uccise Oloferne e liberò i Giu-
dei; cfr. Purg. XII, 58 e seg. Hugo a 8.
Vict. Annotat. elucid. alleg. Vet. Test.
IV, 18; IX, 3. - coLKi: Rut, bisava dol
re Davide; cfr. il libro di Rut.
12. FALLO: adulterio con Batsoba ed
assassinio del di lei marito; ofr. JI leg.
XIe seg. - Dissk: nel salmo penitenzialo,
Salm. LI (Vulg. L).
18. DI SOGLIA: di grado in grado, se-
dere l'una appiò dell'altra.
15. vo: scendo di grado in grado per
la rosa, nominandole ed una ad una.
17. INFINO AD K8S0 ; como dal primo gra-
do al gobo. lhanuo olbroo formano nua
sorio rettilinou attraverso tutti i gradi.
18. DIKIMENDO: soparando, dal lat. di-
rimere. Lo donno Ebreo separano il veo-
chio Testamento dal nuovo. Il fore è la
rosa; lo chiome sono le foglie della rues.
19. FRE: fe’, foco; cfr. Purg. XXXII,
12. «Secondo cho riguardarono gli no-
mini a Cristo vonuto, o a Cristo venta-
ro sono distinti; e la distinzione è fatta
visibile da questa parete di donne poste
tra mezzo, che separa insieme ed unisce.
Tra il vecchio ed il nuovo Testamento le
donne son vincolo, vincolo di maternità,
di aspettazione, d'amore; » Tom.
22. PARTE: a sinistra delle Ebroo. -
MATURO: tutti i seggi occupati. Dunque
doi morti avanti la venuta di Cristo nos-
suno è più nel pargatorio.
25. DALL'ALTRA: a dostra delle Ebree.
- INTERCISI : interrotti; vi sono ancora
seggi liberi per i Beati ventari.
26. DI VOTO 1 SEMICIRCOLI: Al. DI VOTH,
IN BRMICIRCOLI. Qua e là vi sono sedi an-
cora vuote; onde sono tintercisi { semi-
circoli © intercisi i beati.
[EMPIREO]
al
Quei ch’ a Cristo venuto ebber li visi.
E come quinci il glorioso scanno
Della Donna del cielo, e gli altri scanni
Di sotto lui cotanta cerna fanno,
Così, di contra, quel del gran Giovanni,
Che sempre santo il diserto e il martiro
Sofferse, e poi l'inferno da due anni;
E sotto lui così cerner sortiro
PAR. XXXII. 27-39 [ROSA ceLESTE) 1023
Francesco, Benedetto ed Augustino,
Ed altri sin quaggiù di giro in giro.
37 Or mira l’alto provveder divino,
Ché l'uno e l’altro aspetto della fede
Egualmente empierà questo giardino.
27. LI Vist: gli aguardi della fede.
30. cerna : divisione, separazione ; dal
lat. cernere. Come di qua gli scanni ove
siedono Maria « le altre donne fanno co-
tale separazione dei credenti in Cristo
venuto dai credenti in Cristo venturo:
così dirimpetto la fanno gli scanni ove
siedon Giovanni Battista e gli altri Beati
nominati v. 35 © seg.
SL. anan: « Non surrexit intor natos
muliorum maior Johanne baptista; » 8.
Matt. XT, 11. Cfr. &. Luca, VII, 28.
32. BEMPRE BANTO: sin dal ventre di
aua madre; « Spirito sanoto roplebitor
nadhne ex utero matria sum; » 8. Liica,
I, 15. = pisnero: ofr. S. Matt, III, 1.8.
Marco, I, 4. &. Luca, III, 20 seg. Thom.
Aq. Sum, theol. III, 28, 1-3, - Martino:
cfr. Par. XVIII, 194 © sog.
33. L'InFERRO: il Limbo, Dalla morte
di San Giovanni Battista alla morte di
Cristo soorsero circa due anni, il qual
tempo il Battista dovette trascorrere nel
Limbo.
34. cerner: ebbero in sorte di stare
tra mezzo alle anime de' dne Testamenti.
« Di faccia alla santa tra le donne, aleda
il santo tra gli nomini, padre d'anime a
Dio conquistate; sotto loi i fondatori
d'ordini religiosi, vengon di contro alle
madri gindee, come padri d' anime an-
ch'ossi; » Tom.
26. Francesco: | tro nominati, Fran-
ceaco d'Assisi (ofr. Par. XI, 43 © seg.),
il fondatore dell'Ordine de' Mendicanti,
Benedetto di Norcia (Par. XXII, 28 è
seg.), il fondatore della vita monastica
attiva, e 8, Agostino (cfr. Par. X, 120),
il fondatore della teologia scientifica, fu-
rono in certo modo i continnatori del
l'opera di Giovanni Battista, nell’ « ap-
parecchiare al Signore nn popolo ben
composto ;» ofr. &. Luea, I, 17. Si ndem-
pie qui l'alto disio di Dante; cfr. Par.
XXII, 58 e seg. - AuGUsTINO: così, dal
Int. Auguatinus, i più antichi © più aute-
revoli codici. Al. AGosTiINo.
36, nieomro: di grado in grado, d'uno
in altro di questi scaglioni che girano
attorno,
18. ASPETTO: lo sguardo della fede in
Cristo ventaro ed In Cristo venuto, I!
numero degli eletti è egnale d' ambedne
i lati. « Dante pensa che tanti siono
| Beati del Vecchio Testamento, ossia
quelli che si salvarono per la fade in Cri-
ato venturo, quando quelli del Nnovo To-
stamento che credettero in Cristo ve-
nutq. Questa è una opinione poetica. 11
veochio Testamento fu preparazione, o il
tempo della preparazione non vuol essore
così fruttuoso, come il tempo della reden-
zione compiuta. 11 numero dei Beati dopo
Gesù Cristo ci pare che debba trapassaro
immensamente quello di coloro che lo
precedettero; » Corn. Cir. Com. Lips.
LIT, 846 o seg.
V. 40-B4. Pargoli beati, Dalla metà
in giù di tutta l'immonsa rosa celosto
seggono | bambini anlvati non per nlcan
morito proprio, ossondo morti In otà to-
nora, ma per i meriti altrui, E qui tocca
nnovamente l'arduo problema della di-
vina predestinazione, senza dare anche
qui altro scioglimento, da quello dato al-
trove (ofr. Par. XX, 130-148; XXXI, 73-
1024 [EMPIREO]
Par. xxx. 40-52
(PARGOL! BEAT!)
40 E sappi che dal grado in giù, che fiede
A mezzo il tratto le due discrezioni,
Per nullo proprio merito si siede,
43 Ma per l'altrui, con certe condizioni;
Che tutti questi son spiriti assolti
Prima ch' avesser vere elezioni.
40 Ben tu ne puoi accorger per li volti,
Ed anco per le voci puerili,
Se tu li guardi bene e se gli ascolti.
49 Or dubbi tu, e dubitando sili;
Ma io ti solverò il forte legame,
In che ti stringon li pensier' sottili.
52 Dentro all’ampiezza di questo reame
102): Così voole Iddio, e ciò che Dio vuole
è giusto, benchè sia per noi incompren-
sibilo,
40. winwe: ferisce, taglia, divide. Da
quel grado in giù che taglia nel loro
punto di mezzo lo due anzidette lines
ili soparazione. « Tmaginaro orgu «duans
lites roelna inlersccatitos so in rosa in
molum orucia, ita quod sint quatutor
quarteria: in duobus superioribua stant
benti vetorisa et novi Teatamenti qui me-
ruerunt in vita lam wternam beatitadi-
nom; in aliis duobns quarteriis inferio-
ribus stant illi qui nihil moreri potue-
runt, sicnt parvali qui premortoi sunt
antequam haberont usum liberi arbi-
trii; » Dene.
41. piscuKkziont: divisioni ; lo duo linco
cho dividono i duo aspetti della fede.
43. L'ALTRUI: non di Cristo (Lomb.,
Biag., Br. B., Frat., Oorn., ecc.) chè
per i meriti di Cristo furono salvati tutti,
bambini ed adulti; ima per i meriti, cioè
per la fede, dei luro parenti e congiunti
(Lan., Ott., An. Fior., Post. Quas., Petr.
Dant., Benv., Buti, Land., Vell., Dan.,
Vent., eco.). Itonch.: « Perchd escludere
i meriti di Cristo? Si sa che questi si
estendono a tutti, ma qui, come spesso
ultrove, si sottintende, ma solamente per
l' altrui, meutro agli adulti occorrono, ol-
tre ai meriti di Cristo, anche i propri. »
Ma San Paolo non era di quest’ opinione:
« Justificatigratis per gratiam ipsius, per
redemptionem «az est in Christo Jesu; »
Rom. III, 24. Dove sono qui i propri me-
ritif Il Konch. continua: < Ovvero vuol
dire, ma, © pei meriti di Cristo, © sotto
determinate condizioni, mentre per gli
adulti condizioni non ve ne sono, » Nol!
La condizione è la fede in Cristo, cle!
bambini non possono ancora avere, ma
che per gli adulti 4 la conditio sine qua
non; ofc. Par, XIX, 103 0 sog.
dd. assolti: sciolti dai logami del cor-
po, morti.
45. ELEZIONI: facoltà di scegliere, nao
della ragione, « Vera clezione è quella,
la quale prucede dalla raziocinazione ; il
quale raziocinare non puote essere Dol
fanciulli; » Ott,
47. rUugrRILI: secondo Thom. Ag. Sum
theol. III. Suppl., 81, 1-2 tatti | Beati ri-
susciteranno nella medesima stà, clod
giovanile, rimanendo al vecchi l' aspetto
vonorando dolla vecchiaja (confr. Par.
XXXI, 59), ma non tutti nella meudo-
sima statura. Invece Dante suppone che
i Beati si mostrino in Paradiso nella età
e statura in che si trovavano quando mo-
rirono. Il sotterfugio, che qui non ai veg-
gono i Beati nolla funua che avranno
dopo la risurrezione, è dol tutto vano e
fullace, come risulta ad evidenza da Par.
XXX, 43-45.
48. ASCOLTI: « quando cantano lo lode
di Dio; imperò che in vita oterna li
Beati rempre cantano le lode di Dio; »
Butt.
49. DUB: se questi bambini furono
salvi senza proprio murito, perché hanno
essi diversi gradi di beatitudine? - six:
lat. siles, stai choto, taci.
50. IL FORTE: Al. rortR. L'articolo
sembra qui necessario. - LEGAME: del
dubbio, difficoltà.
a
La
[exerREO]
PAR, XXXII. 58-70 [PARGOLI BEATI) 1025
Casual punto non puote aver sito,
Se non come tristizia, o sete, o fame;
55 Ché per eterna legge è stabilito
Quantunque vedi, si che giustamente
Ci si risponde dall’anello al dito.
58 E però questa festinata gente
A vera vita non è sine causa
Intra sé qui più e meno eccellente.
Gi Lo Rege, per cui questo regno pausa
In tanto amore ed in tanto diletto,
Che nulla volontà è di più ausa,
64 Le menti tutte nel suo lieto aspetto,
Creando, a suo piacer di grazia dota
Diversamente; e qui basti |’ effetto.
07 E ciò espresso e chiaro vi si nota
Nella scrittura santa in quei gemelli,
Che nella madre ebber l’ira commota,
70 Però, secondo il color dei capelli
53, ruxTo: qui il caso non ha luogo,
nemmeno nel minimo punto, come non
hanno luogo nà tristezza, nè sete, nd fa-
mo. Cfr. Thom. Ag. Sum. theol. TLT, 69, 8.
64. vamr: clr. Jeaia, 49, 10. Apocal,
VIL, 16; XXI, 4.
66. QUANTUNQUE: tatto quanto ciò che
tu veli in questo coloste regno, sino alle
più minime cose, è prestabilito ab oterno
così puntoalmente, che il fatto corrispon-
de al volere di Dio, il grado della gloria
al grado del merito e della grazia, como
l'anello corrispondo al dito.
58. FRSTINATA: Affrottata (ofr. Purg.
XXXIII, 90), venuta prima del natural
ano tempo alla vera vita celeste. Chiama
così i bambini morti avanti l'età della
ragione ed accolti in cielo.
650. SINE CAUSA: senta cagione. Non
a caso, non senza ragione | bambini sono
differenziati in più o meno eccelsi gradi
di glorin e beatitudine.
60. INTRA SÉ: « per rispetto di sò mo-
desimo, cioè tra loro, cioè che l'uno ha
più beatitudine che l'altro; » Buti, Sulla
lezione INTRARI, ENTRASI, che voramente
è di molti codd., ediz. e comm. ant. cfr.
Com, Lips, III, 849 6 seg.
61. Reor: Dio.- PAUSA: riposa, ha pace.
03. AUBA: osa, ardita, I beni colesti su-
perano qualsiasi umano desiderio; nos-
05. — Div, Comm., 3% edis,
sun volere può innalzarsi a desiderare
di più.
Gi, LirTO : cfr. Purg. XVI, 80.
06. 'eeretTo:; Îl sapere cho Ididio
opera così, senza cercnrno ln ragiono,
« Electorom alios magia, alios minus di-
lexit ab seterno ; » Petr. Lomb. Sent. III,
32. Cfr. Purg. IIT, 37 © seg.
67. cid; che sino dalla loro creazione
Iddio dota gli enti razionali diversamen-
te, secondo il sno solo beneplacito.
68, GEMELLI: Esaii è Giacobbe, il pri-
mo rigettato, Il secondo prescelto da Dio
già prima che nascessoro; ofr, Gen, XXV,
21 e sog. Rom IX,100s0g. Dante segne
qui S. Paolo, nel loogo or’ ora citato, tra-
ducendo semplicemonte il testo biblico
nel linguaggio poetico.
69. MADRE: Rebecca. - COMMOTA : com-
mossa. Ebbero, secondo il racconto bi-
blico, contrasto d' ira nel seno materno;
cfr. Gen. XXV, 22.
70. BRCONDO IL COLOR: allade al rac-
conto sceritturale, che alla sua nascita
Esniù «era rosso, tutto peloso come nn
mantel velluto; » Gen. XXV, 25. Senso:
Conviene che ogni pargolo abbia un grado
di gloria, rispondente nl grado della gra-
zia datagli da Dio, « Il color de’ capelli è
la grazia che ciascun bambino ebbe rice-
vuto nella sua santificazione, il lume cho
1026 [EMPIREO]
PAR. XXIII. 71-84 è
[PARGOLI BEATI]
Di cotal grazia, l’altissimo lume
Degnamente convien che s’ incappelli.
73 Dunque, senza mercé di lor costume,
Locati son per gradi differenti,
Sol differendo nel primiero acume.
76 Bastava si nei secoli recenti
Con l'innocenzia per aver salute,
Solamente la fede dei parenti;
79 Poi che le prime etadi fir compiute,
Convenne ai maschi alle innocenti penne,
Per circoncidere, acquistar virtute.
82 Ma, poi che il tempo della grazia venne,
Senza battesmo perfetto di Cristo,
Tale innocenzia laggiù si ritenne.
s'incappella è la gloria che dev' essere
proporzionata a cotesta grazia; » Corn.
Cfr, Com. Lips, III, 850-862, « Il concetto
4, che conviene che l'altissimo lume, il
lume beatificanto, o lo aplondore divino,
di faccia aureola, corona di gloria, # in-
cappelli, conveniontemente al color de'ca-
pelli, cioò al quale è quanto della grazia
che Dio largì a questi pargoli: e non già
cho qui si diano capelli alla grazia, ma
i capelli ed il loro colore ai pongono come
simbolo o figura doi bellissimi e vari doni
di questa grazia medesima, secondo che
ai usa anco nelle ancre carte; » Dr. B.
Cos) tutti i moderni.
73. MERCÈ: merito; cir. Inf. IV, 34.
- COSTUME: virtù, opere, Souza merito di
loro opere; cir. v. 42. « Non perchd eb-
bero meriti proprit diversi, ma porchò ci
fu tra loro diversità nella grazia (acume)
ricevata dalla bontà di Dio, ch’ era libera
in ciò di fare; » Corn.
75. aCUMK: «in volantate divina, quam
autor vocat primum acumon, idest, pri-
mam causam acutam et subtilem, nam
penetrat omnia, ad quam redacentar om-
nes causa; ergo bone diversa gratia Dei,
non diversitas neritorum, dat istis diver-
sitatom gloriw; » Zenv. Socondo altri il
primiero acuine è il primo ruggio della
grazia. I più: Nell'acutezzadi vista, atta
a mirar Dio più o meno dappresso, già
loro dapprima comunicata da Dio stesso
per mezzo della grazia.
76. BASTAVA SÌ: era bensì bastante.
Al. BASTAVA Li= bastava loro. - RECEN-
Ti: nuovi; nella prima età del mondo.
da Adamo sino ad Abramo, baslava a
salvare i bambini la fede dei parenti nel
venturo Redentore,
78. FEDE: in Cristo venturo; cfr. Par.
XIX, 103 è sog.
80. AI MASCHI: clr. Thom, Ag. Sum.
theol. I", 81, 65; III, 70, 2, 4. Com. Lipa.
III, 853 6 seg. - ALLE INNOCENTI : Al. LE
INNOCENTI. Bisognò che i maschi, me-
diante il rito della circoncisione, acqui-
stassero forza alle penne dell' innocenza
per volare al cielo.
Pa. rEKFKTTO: la circoncisione non ora
che un battesimo Imperfetto ; ofr. Thom.
Ag. Sum. theol. IIT, 70, 14. Dopo Cristo
il bambino non battezzato è relegato lag-
giù, cioè nel Limbo; ofr. 8. Bernh. Trad.
ad Hug. de S. Vict. de quest. ab ipao
propos. 0. 2. Thom. Aq. Sum. theol. IlI,
68, 2, 9. Par. XX, 127.
V. 85-99. Ii saluto alla Vergine.
Continua 8. Bernardo: « Riguarda ora-
mai nel volto di Maria, che più di ogni
altro somiglia in isplendore a quello del
divin suo Figlio. Soltanto il di lei splen-
dore può renderti atto a mirare Cristo
senza rimanerne abbagliato. » Ritornan-
do coll' estatico sguardo alla Vergine Ma-
dro, il Poota ved» in lei riconcontrarsi
tutto il gaudio divino, piovuto dagli an-
geli, che trasvolano tra il gran tiore e
Dio, da cui porgono della pace e dell’ ar-
dore. Nulla di quanto ha contemplato sin
qui può paragonarsi ulla beata viata di
Maria, no havvi in tutto il Paradiso cosa
alcuna tanto a Dio somigliante. L'Arcan-
gelo Gabriele, libratosi sulle ali dinanzi
[EMPIREO]
PAR. xxx. 85-99 [SALUTO A MARIA]
1027
85 Riguarda omai nella faccia ch’ a Cristo
Più si somiglia, ché la sua chiarezza
Sola ti può disporre a veder Cristo. »
88 Io vidi sovra lei tanta allegrezza
Piover, portata nelle menti sante,
Create a trasvolar per quella altezza,
91 Che quantunque io avea visto davante,
Di tanta ammirazion non mi sospese,
Né mi mostrò di Dio tanto sembiante.
Of E quell’ amor che primo li discese,
Cantando: « Ave Maria, gratia plena, »
Dinanzi a lei le sue ali distese,
97 Rispose alla divina cantilena
Da tutte parti la beata Corte,
Si ch’ ogni vista sen fe’ più serena.
alla Vergino, intona l'Ave Maria e tutti
i Benti della Corte colosto ricantano Ave
Maria, sicchè di ciolo in cielo echeggian-
ilo l'angelleo saluto, brilla di nuova Ince
il Paradiso el ogni fronte s' abbella o ras-
aerenn.
85. Cueto: rima solamente con ad
stesso; ofr. Par. XII, 71 6 séeg.; XIV,
104 e seg.; XIX, 104 © sog.
86. a1 SOMIGLIA: di luce. AI. s' asso-
MIGLIA.
B7. DISPORRE: «l'una visione è scala ad
altra più alta; » Tom.
88. ALLEORRZZA : « la gloria e il gaudio
della pace e dell'ardore clre in lei pioveva
da Dio;» Ces.
89, MENTI: Angeli che « porgevan del-
la pace e dell' ardore; » confr. Par.
XXXI, 16 680g. Gli Angeli sono quasi
altrettanti vasi, nol quali l' allegreaza è
portata,
00. creATH: lo menti sante (= gli An-
gell) farono create per volare tra il trono
di Dio e le sedi dei Beati; confr. Par.
XXXI, 4 è seg. - « Gli Angeli farono
creati da Dio perchè portassero le suo
ambaacinte, 6 però s'interpreta Angelo
mento; » Buti.
DI. QUANTUNQUE: tutto ciò chelonvern
veduto prima di allora, « Tutto il grande,
Il bello, sce, ch'io vidi non è pari alla
beltà di Maria, nè è capace di darmi ima-
gine della divinità com' essa; » Corn,
02. sosresg: non mi tenne sospeso in
tanta ammirazione; cfr. Par. XX, 8&7.
03, SEMMANTK: cosa tanto divina, o
però tanto somigliante a Dio. - « Quanto
la cosa è più divina, è più di Dio simi-
gliante;» Conv, II, 5.
MM. amon: l'Arcangelo Gabriele; cfr.
Par, XX[1I,1036seg.-LÌ: sovra la Vor-
gine Maria, v. 88.
06. matress: « stava sull'all aperte, ri-
cantandole quello che lo era tanto glorio-
80,6 cheln Nazaret le aveva detto :» Ces.
07. nisrose: facendo sco alle parolo
dell’ Arcangelo Gabriele, oppure segni-
tando la salntazione angelica, - CANTI-
LENA: canto, « Acquista nobiltà dal con-
cotto o dall'aggiunto che le si accompa-
gna; » Tom.
90. 0GNT VISTA: Îl sembiante, l'aspotto
di ogni beato,
V. 100-114. L'Arcangelo Gabriele.
Non conoscendo l' Angolo che, libratosi
sulle ali dinanzi alla Vorgine, intnond la
salutazione angelica, Dante no domanda
San Bernardo, il quale gli rispondo, que-
sti essere l' Angelo eletto da Dio per re-
care il fausto annanzio alla Vergine di
Nazarette, onde è in Jai tanta baldanza ©
letizia, quanta mai esser puote in angelo
od in anima boata, Ed i Beati Il vogliono
ossi pure, non potendo il loro volere di-
scordaro monomnamente dal volere divi-
no, Sombra che il Poota voglia istituire
con quosti versi una diversità di grazia
per puro divino beneplacito anche nogli
Angeli, come negli nomini. Come vi sono
nomini privilegiati, così anche Angeli. In
terra il privilegio genera invidia, in cielo
letizia e contento.
1028 ! [EMPIREO)
Par. xxxit. 100-114
[GABRIELE]
100 « O santo Padre, che per me comporta
L’ esser quaggiù, lasciando il dolce loco
Nel qual tu siedi per eterna sorte,
103 Qual è quell’ angel, che con tanto giuoco
Guarda negli occhi la nostra Regina,
Innamorato si che par di fuoco? »
106 Così ricorsi ancora alla dottrina
Di colui ch’ abbelliva di Maria
Como del sole stella mattutina.
109 Ed egli a me: « Baldezza e leggiadria,
Quanta esser può in angelo ed in alma,
Tutta è in lui, 6 sì volem che sia,
112 Perch’ egli è quegli che portò la palma
Giù a Maria, quando il figliuol] di Dio
Carcar si volle della nostra salma.
100. comrouTR: comporti, soffri; cfr.
Par. XXAI, Bla sog.
101, quaggitt: nell'infimo grado della
coloste rosa.
102, KkTKUNA : « por predestinazione di-
Vina futla di to ab terno; imperd che Id-
dio ab eterno predestinò clascuno spirito
al grado della bentituilino suna :» uti. Cr.
S. Matt, XXV,54, Efes l,4.I Pietro 1,2.
103. aiuoco: fuata, tripudio; cfr. Par.
XX, 117.
105. Fuoco: ardente di colesta letizia;
« Aspevtus sorum quas] carbonum ignis
ardentinm ... Splendor igais, et de igne
fulgar egrediens; » Ezecch. I, 13. Confr.
Pulci, Morg. VITI, 84.
107. coLui: San Bernardo. - ABUKL-
Liva: sifaceva bello guardando Maria;
cfr. Par. XXII, 24; XXVI, 132. - « Ri-
traeva dalle beliozze di Maria, come Ve-
nere stella ritrao sua bellezza dal Solo; »
Corn. - « Qui usa il verbo abbellire; al-
trove abbelliras. Lieve diffurenza, ma
pur v'è. Là souo molte anime che si
fanno più belle, irraggiandosi }' una l'al-
tra reciprocamente. Qui è San Bernardo
che riceve, quasi inconsapevolmente, be!-
lozza du Maria, in quanto aftissandosi in
lei partecipa del suo splendore; » L. Vent.
- « Sicut Vonusstella matutina associat
soiem in corso sno et illuminatur prw
cwteris ab eo; ita Bornardus tamquam
stella quia fuit ductor, et doctores tigu-
rantur in forma stellarum in corpore so-
lis, associavit Mariam ex summa devo-
tiono yt compasaione: undo devotisaime
describit planctum ejus, et ideo bene
pre ceteria Iluminabator abea;» Rene,
108. DEI. SOLRK: « il Sole sè prima, è pol
tulli | carpi celeatiali è olomentall alla-
mwitin; » Cone, 111, 2. - sTRLLA: Venoro.
105. ALIA: quella sicurezza di alt
che dà l'esser contento di sé; cfr. Par.
XVI,1T.,-LkGGiabua: vagherzza di moti.
- « Tat intelligi spiritualia et corpora-
lia; » Meno. (f).
110, AlwA: anima umana.
111. vota: vogliamo; ofr. Par. xx,
138. « Qui si nota la unliià della vulou-
tade degli Santi, la quale si è una con
quella del Ro di vita otorna ;» Lan., Ott.,
An. Fior.
112. QUKULI: Al. QUELLO. - LA PALMA:
l'annunziaziono. « Supponendo che tutte
le donne ebree desiderassero e quasi con-
tendessero di essero ciascuna la madre
dell'aspettato Messia, senaatamente dice
che l'Arcangelo Gabriello, dichiarando
Maria Vergine madre di Gosùà Cristo,
recasselo la palma. cioè la vittoria, eo-
pra di tutto l'altro donne; » Lomb. L'Ar-
cangelo Gabriele che annunzia a Maria
essere olla prescelta a ma:lre del Salva-
tore, si dipinso generalmonte con una
palma in wano.
114. SALMA: del peso della nostra uma-
na carne. i
V. 115-138. 7 yrandi patrici della
celeste Gerusalcminio. San Bernardo
invita il Poeta a seguirlo collo aguardo,
mirando là dove egli gli mostrerà i prin-
cipali personaggi della Corte celeste. Alia
[EMPIREO]
Par. xxx. 115-180 [arANDI PATRICI) 1029
115 Ma vieni omai con gli occhi, si com’ io
Andrò parlando, e nota i gran’ patrici
Di questo imperio giustissimo e pio.
118 Quei due che seggon lassù più felici,
Per esser propinquissimi ad Augusta,
Son d’ esta rosa quasi due radici,
121 Colui che da sinistra le s’ aggiusta,
E il padre, per lo cui ardito gusto
L’umana specie tanto amaro gusta.
124 Dal destro vedi quel padre vetusto
Di santa Chiesa, cui Cristo le chiavi
Raccomandò di questo fior venustò,
127 E quei che vide tutt’ i tempi gravi,
Pria che morisse, della bella sposa
Che s’ acquistò con la lancia e coi chiavi,
130 Siede lungh’ esso ; e lungo l’altro posa
sinistra della Vergine siedo Adamo; alla
di lei destra San Pietro; anto a Pietro
I’ Evangelista San Giovanni, allato ad
Adamo, Moiad, il legislatoro d'Tsrnolo.
Dall'opposta parto, di contro a Titra,
quindi alla sinistra di Giovanni Battista
(che siode dirimpetto a Maria) siode San-
t'Anna, la madre della Vergine Maria,
Dirimpetto ad Adamo, donque alla de-
stra del Battista, siede Lucia, colei che
indusse Beatrico a soccorrere il Poeta;
cfr. Inf. II, 97 e seg.
115. st com'10: « vieni collo sguardo
nppresso al mio parlare, alla contezza
che ti darò di questi primarj soggetti; »
Lomb. Sullo lezioni VIENNE, VIENE, VIEN-
N'OMAI, efr. Com. Lips. ITI, 857.
116. raTnict: plor. di patricio, come
offici da officio, ecc. Cfr. Parenti, Annotaz.
al Diz. 1, 78 e seg. Patrici chinma Dante
i più ragguardevoli tra’ Bentl. « Senato-
res de ordine illustri hojas almm Romm,
nbi imperat princops justiasimna et cle-
mentissimns; » Benv. - « I gran patrici
cioè ll grandi padri; chiamavansi a Ro-
ma padri quelli che consiglinvano la re-
pubblica, è patricio si chiamava chi era
di quello ordine; > Buti,
119, AUGUSTA: Marla, regina coli; cfr.
Par. XXIII, 128. Come vi sono diversi
gradi di gloria, così pure di felicità. La
Vergine è al sommo grado; chi le è più
dapprosso è più felico.
120. navicr: Adamo fu il primo dei cre-
denti in Cristo venturo, San Piotro il pri-
mo dei eredenti in Cristo venuto.
121. RINISTRA : lato meno nobile, la vec-
chin logge essondo mono nobile do)la nno-
va.- R'ANOIUBTA : lo al avvicina, lo sta
nocanto,
122. ran: dell'mmana specie, — AR-
nto: « ha senso in Dante più grave
d' adeaso; > Tom. - GUSTO: del frutto
vietato.
123. TANTO AMANO: le fatiche ed i do-
lori della vita o l'amaro calice della
morte; cfr. Par. XIII, 39,
124. rapne: San Pietro.
126. RACCOMAND®): cfr. &. Matt. XVI,
19. Thom. Ag. Sum, theol. ITT Suppl. 17,
1. - FIOR: del regno dei cieli che si mostra
qui al Poeta in forma di candida rosa ; ofr.
Par. XXXI, 1. - vrxusto: bello, vago.
127. que: San Giovanni Fvangolista,
nutore dell'Apocalisse, considerata nel
medio evo è più tardi qual compendio
profetico della gloria della Chiesa sino
alla fine dei giorni.
128. serosa: la Chiesa; confr. Par. X,
140; XI, 326 eeg.; XII, 43; XXVII,40;
XXXI, 8.
120, s'AcqUISTÒ: da Cristo col proprio
sangue; clr. Atti XX, 28" — CHIAVI: Al.
CLAVI: chiavi per chiodi e chiavare per
inchiodare si naarono anticamento anche
in prosa; ofr. Inf. XXXII, 46. Purg.
VITI, 137. Par. XIX, 105.
130. LuxGn' Esso: allato ad esso San
1030 [EMPIREO)
Pak, xxxt1. 191-142
[GRANDI PATRICI]
Quel duca, sotto cui visse di manna
La gente ingrata, mobile e ritrosa.
133 Di contro a Pietro vedi seder Anna,
Tanto contenta di mirar sua figlia,
Che non muove occhi per cantare Osanna.
136 E contro al maggior padre di famiglia
Siede Lucia, che mosse la tua donna,
Quando chinavi, a ruinar, le ciglia.
139 Ma perché il tempo fugge, che t’ assonna,
Qui farem punto, come buon sartore
Che, com’egli ha del panno, fa la gonna;
142 E drizzeremo gli occhi al primo Amore,
Pietro; ofr. Inf. XXI, 07 e seg. - 1.’ Ale
THO: Adamo,
181, quii.: Moisè, che condusse gli
Iaraeliti nel diserto, dove vissero qua-
rant'anni di manna; confr. Exod. XVI,
13-35. S, Giov. VI, 32-34, Apocal. IT, 17.
133, INGIATA : rimprovero fatto tante è
tunto volte da Dio al popolo d']Isravlo.
143. ANNA: Sant’ Anna, figlia del sa-
cerlote Matthan, moglie di Gioachino è
madre della Vergine Maria. Cir, Fvang.
de nativ. Marie è Protevang. Jacobi in
Fabric. Cod. Apocr. N. Test. I, 19 o seg.,
67 0 sog. Act. Sanct, Jul, VI, 231, Tille-
inont, Menor, ad Mist. Neel. I, 200, J.
Gerson, De nat. virg. mana, Upp. LIT, 60:
«Anna tribus nupsit: Joachim, Cleophe
[Salomscque,
Fx quihus ipsa viris peperit tres Anna Marìa<,
Quas duxere Joseph, Alph:cus Zebed:cusque. »
135. PER CANTARE: benchè ella canti.
136. PADUE: Adamo, padre di tutto
l'umano genero.
137. Lucia: ofr.Inf.II,97,100.Purg.IX,
55 e seg. F. Cristoroul. Della Lucia si-
racusana simbolo della carità e della san-
ta religione serafica nel cielo dantesco;
Mil. 1890. - mossi: cfr. Inf. IT, 100-108.
138. CHINAVI: avondo perduto la spe-
ranza di giungere sul dilettuso monte,
Inf. I, 54.- A RUINAR: in basso loco, ver-
so la selva oscura; cfe. Inf. I, 61.
V. 139-151. Preparazione ulla pre-
ghiera. Continuando, S. Bernardo dice
al Poeta: Fuggeado il tempo assegnato
all'alta tua visione, è necessario por ter-
mine alle parole per dar luogo alla finale
contemplazione del primo Amore, e far
come i sarto che tagguagiia V' opera alla
quantità del panno. Ma affinchè tu, pro-
colendo fiducioso nelle proprie tue forze
è credendo inoltrarti nella luce divina,
non abbia per avventura a retrocedere in
pena di tanto orgoglio, conviene Jmpe-
trarno grazia por mozto dell'orazione.
Apertamento confessa qui il l'oeta che
nella via del cielo arrutra chi erode inol-
trarsi muovendo le ali aue, cioè colle soe
forze naturali, essenilo assolotamente pe-
vessaria la divina grazia, la quale crande
conviene che a nol discenda da Colei che
in cielo è potentissima. Cfr. L. Vent. Sim.
pi. 227, Capri in Omaggio a D. 470 0 seg.
130. T'ASSUONNA: ti mlilormonta, U ra-
pisce in estasi, cioè Li è da Dio conceduto
all'alta tua visione; cfr. Par. I, 73 eseg.
11 Poema dovevaconstare di cento canti;
quindi il Poeta si vede costretto a volare
verso la fine, nò ci dà lo ragioni del suo
sistema rimunerativo, come la fatto del
penale. Itonch.: « Pare piuttosto non vi
siano altre ragioni che quelle che ciasca-
no può trarre di per sè, sia dal fatto che
ogni anima si mostra in quella stella di
cui subì l'infiuenza, sia dalla comune
nozion teologica che tanto si avanza in
gloria, quauto fecesi in grazia, senza di-
stinzione alcuna dei diversi modi con cui
quosta grazia si manifestò. »
140. SARTORE: cfr. Inf. XV, 21. La ai-
militudine non è troppo degna del luogo
e della persona.
141. LA GONNA: l'abito, la veste più o
meno ampia.
142. AMORE: Dio. Altrove, Inf. III, €.
Par. VI, 11, chiama primo Amore lo Spr
rito Santo. Qui, iu procinto di clevarsi
alla visione della SS. Trinità, chiama pri-
mo Amore I’ Iddio Triano,
(ZMPIREO)
Par. xxxn. 148-151 (PREPARAZIONE) 1081
Si che, guardando verso lui, penètri,
Quant’ è possibil, per lo suo fulgore.
145 Veramente, né forse tu t’ arretri
Movendo |’ ali tue, credendo oltrarti,
Orando, grazia convien che s'impetri;
148 Grazia da quella che può aiutarti;
E tu mi segui con l’affezione,
Si che dal dicer mio lo cuor non parti. »
151 E cominciò questa santa orazione.
143. GUARDANDO: tu. - PRRÈTRI: t'ad-
dentri, t' insinal.
145. VRRAMENTK: ma, lat.verumlamen,
efr. Par. I, 10.-x&# rorse: affinchè non
avvenga per avventara che tu, tentando
d'inoltrarti, non abbia a retrocedere, e
credendo di andare in sn, ti rimanga. Di
nè forse per afinchè non, alla latina. non
mancano altri esempi; confr. Com. Lips.
III, 860. - < Ne forte tu retrocedas ct
elongeris a fine intento.... quasi dicat:
ne temere tentes cum periculo tas ruinmo
volare ad tantam altitadinem propriis
viribus tuis et cum toto stadio theolo-
gir, quia tanc magis clongareris a si-
gno quanto magis accedere festinares; »
o.
146. MOVERRDO: per tua propria virtà;
e movendo lo ingegno tuo in alto con la
ragione e con lo intelletto tuo; o voglia
mo meglio, con la pratica e la teorica tua,
che tu hai delle scienze >» Dutt.- OLTRAR-
Tt: inoltrarti, elevarti.
148. DA QUKLLA : dalla Vergine Madre.
Cfr. Boet. Cons. phil. III, pr. 9.
149. MT SEGUI: Al. MI SEGUIRAI; ripe-
tendo mentalmente la medesima mia pre-
ghiera.
150. rarti: divida, disgiunga. < Segui-
mi con l'affezione ai fattamente, che tu
non diparti i] tao cnore dal mio pariare ; »
Dan. - «Questo popolo, accostandosi, mi
onora con la sua bocca e con le sue lab-
bra; ma il suo cuore è lungi da me; »
Isaia XXIX, 18; ofr. S. Matt. XV, 8, 9.
8. Marco VII, 6, 7. |
151. ORAZIONE: colla quale incomincia
il canto segnente ed ultimo.
1082 [EMPIREO]
Par. xxx. 1-8
(oRAZIONE]
CANTO TRENTESIMOTERZO
EMPIREO: DIO, ANGELI E BEATI
— ——
LA SANTA ORAZIONE,
INTERCESSIONE DI MARIA
VISIONE DELLA DIVINITÀ, L'ULTIMA SALUTE
« Vergine Madre, figlia del tuo Figlio,
Umile ed alta più che creatura,
Termine fisso d’eterno consiglio,
4 Tu se’ colei, che l’ umana natura
Nobilitasti, sì che il suo Fattore
Non disdegnò di farsi sua fattura.
7 Nel ventre tuo si raccese l’amore,
Per lo cui caldo nell’ eterna pace
V. 1-39, La santa orazione. Con uno
slancio di vivissimo affetto, San Bernardo
comincia ml esaltar colei, che vuol ren-
dero propizia ni suoi preghi, intonando
una lande tanto magnifica 6 sublime,
quanto giusta e propria di Lei. Dispiega
nella prima terzina | eterna prodestina-
zione di Lei all'altissima dignità di ma-
dre di Cristo, da cui, conie da priacipio
fontale, derivano grazie o grandezze in-
comparabili: mostrandola principalmen-
to come oggetto pretisso negli eterni con-
sigli dell'Incarnazione, e nell'economia
dell’umana salvezza(v. 1-12). A mostrare
poi che veramente Ella è la speranza pe-
renne del mortali, le ricorda magnifica-
mente, quanto è inni grando e la sua po-
tenza e la sua misericordia: i due panti,
onde si funda la fiducia de’ suoi devoti, e
si mostra l'eflicacia di sua alta prote-
zione (v. 13-21). Dopo d'aver così reso
propizia la sua potente ed amorevole Av-
vocata, l'oratore espone le sue domande,
ed in prima quella che il mistico viatore
aftidato a lui venga sublimato alla vi-
sione divina; grazia veramente singola-
rissima e non mai concessa ad nomo
mortale; pur nondimeno Dante la ri-
chiede ed attonde da Colei che può ciò
che vuole! Prosegue dunque, e additan-
dole ora quell'umile e divoto pellegrino
venuto a Lei dopo la si lunga via, rad-
doppia, per la grazia, la forza dell'affetto
e dell'elogqnenza iv. 22-21). Ma il Poeta
restava tuttavia wel momlo, cd avea a te-
were di ricadere nella selva oscora degli
umani vizi. Segue perciò a pregare che
Ella, la quale avea iniziata é omai com-
piuta l'opera di sua suivezza ora ne lo
confermi, e il suo sguardo materno lo
vegli dagli allettamenti della iuferma
mana natura (v. 34-31) Cfr. Cam. Zam-
boni, L'oraz. di S. Bern. alla Verg. Ma-
dre. Bologna, 1866.
2. UMILR RD ALTA: cf. S. Luca 1, 486 seg.
3. TELMINK:; predestinata da Dio ab
eterno a madre del divin Redentore.
Cir. Prov. VIII, 22: « 11 Signore mi poe-
sedeva al principio della sua via, avanti
le sue opere, ab eterno, » sentenza appli-
cata dalla Chiesa alla Vergino Madre.
5. suo: dell’ umana natura, il Fattore
della qualo è il diviu Verbo secondo
S. Giov. I, 3. Colos. I, 16. Ebrei I, 2.
6. NON DISDEGNO: Al. NON SI SDEGKÒ, -
gua: dell'umana natura ; figliuolo di don-
va; cfr. Rom. I, 3. .
7. L'AMORK: vicendevole tra Dio e gli
uomini.
8. PER LO CUI: per lo quale amore taute
(EMPIREO)
PAR xxx. 9-23
(oRAZIONE] 1083
Cosi è germinato questo fiore.
10 Qui sei a noi meridiana face
Di caritate, e giuso, intra i mortali,
Sei di speranza fontana vivace.
13 Donna, sci tanto grande e tanto vali,
Che qual vuol grazia ed a te non ricorre,
Sua disianza vuol volar senz’ ali.
16 La tua benignità non pur soccorre
A chi domanda, ma molte fiate
Liberamente al domandar precorre.
19 In te misericordia, in te pietate,
In te magnificenza, in te s’aduna
Quantunque in creatura è di bontate.
22 Or questi, che dall’infima lacuna
Dell’ universo infin qui ha vedute
animo sono fatte degne di essere nel Pa-
radiso e formarvi la rosa celeste.
9. GERMINATO: prodotto. - FIORK: la
candida rose.
10. PACK: fuoco, o lume, che accende
la carità. < E dice meridiana per ampli- |
ficar più la cosa, con ciò nia che il Sole
allora più scalda e fervo, che più lo veg-
giamo a mezzo giorno salito; » Dan.
12. vivacR: fonte inesanribile di spe-
ranza.
14. QUAL: qualanque, chiunque.
15. DISIANZA : desiderio; confr. Par.
XXII, 65; XXIII, 39. Il deeiderin di
chiunque vuol grazia e non ricorro a te
è vano ed illusorio, come quello di chi
non avendo ali volesse volare; vale a
dire: desidera l'impossibile. Ogni grazia
vien da Dio per I' intercessione di Maria.
18. LIBRRAMKNTE: spontaneamento,
senza esserne pregata, prevenendo la
preghiera.
21. QUANTUNQUE: quanto mai; confr.
Par. VIII, 108. « Quasi dicat: quod sin-
Rule virtaten distribute in diversiscrea-
turia humania et angelicis, facientes illan
diversimode excellero, aunt aggregalr
dignissime in ista; ita quod casta virgi-
nitas que eetin spiritibus lunaribus, prn-
dons operositas mercurialinm, benignitan
vel benignacaritas venereorum, clara sa-
pientia solarium, aadax fortitudo martia-
liam, inclita justitia jovialium, solitaria
contemplatio saturnalium, omnes cnmu-
latim reperiuntur in ista domina perfeo-
tissima; ita ardor scraphinorem, splen-
dor cherubinornm, ete., ita amabilitae
Rachelia, sapientia Rebece:r, fidolitan
Sarre, etc. Ergo bene cx hia et allls
multia licet concludere: tn potes, scie,
vis et debes exnudire humillimam sap-
plicationam petentis; poten enim, quia
en regina magnificentiasima; scis, quia
en napientinsima, quia increatam napien-
tiam habniati in te incluram; vis, quia
es mater clementiasima ot pliasima; et
debes, quia nata de atirpe nobili David,
et nobilissimo principi sociata ; » Benv.
22. LACUNA: dal più basso inferno, dal
punto « Al qual si traggon d'ogni parte
i peal,» Inf. XXXIV, 111. - « Lacune
per Ricettacolo, o Scolatajo d'acque mor-
te, porro a Dante una belliasima imma-
gino dell'inferno; che infatti quello è lo
scolatojo delle ribalderie, o fecce del mon-
do; e però nel concetto riuscirebbe a vo-
ler dire Letrina. Ma intendendo cod,
questa lacuna verrà a significare tutto
il gran vito d'inferno, che riceve a di-
verse altezze la scolatara di tutti | peo-
cati; e coll'infima, ne nota il fondo; » Cee.
Così in sostanza i più. Ronch.: « Ma vi è
on gnaion; che così si verrebbe quari a
escladere dalle vite spirituali da Imi re-
dute, tntto i] resto, cioè la maggior perte
dell'inferno. Non sarebbe forse una pro-
posta disprezzabile, I interpretaro, in ge-
nerale. venendo dalla terra, la quale, ne
al XXII, 161 potè esser chiamata aiuola
in relazione al poco apasio abitato, ben
potrebbe chiamarsi lacuna in rapporto al
maggiore spazio occnpato dalle acque. »
PAR. XExIll. 24-40
[ORAZIONE]
Le vite spiritali ad una ad una,
‘ Supplica a te, per grazia, di virtute
Tanto che possa con gli occhi levarsi
Più alto verso l’ultima salute.
28 Ed io, che mai per mio veder non arsi
Più ch'io fo per lo suo, tutti i miei preghi
Ti porgo, e prego che non sieno scarsi,
a1 Perché tu ogni nube gli disleghi
Di sua mortalità coi preghi tuoi,
Si che il sommo piacer gli si dispieghi.
si Ancor ti prego, Regina che puoi
Ciò che tu vuoli, che conservi sani,
Dopo tanto veder, gli affetti suoi.
37 Vinca tua guardia i movimenti umani;
Vedi Beatrice con quanti beati
Per li miei preghi ti chiudon le mani, »
40 Gli occhi da Dio diletti e venerati,
24. LE VITR: i tre stati degli spiriti :
dannati, porganti, è beati. Cir, Inf, I,
112 6 sog.
25. A TE: confr. Par. XV, 85. - ree
GRAZIA: per ottenere la grazia di virtà,
tanto che, eco, Confr. Thom. Ag. Sum.
theol. I, 12, 6.
27. 6ALUTE: Dio; efr. Thom, Ag. Sui.
theol, T, 1, 4; 1, 12, 1, 8.
28, NON AUST: non desiderai mai di
vedere jo steaso l'ultima salute più di
quanto desidero che la vegga lui. Iu
cielo si osserva perfettamente il precetto
evangelico di amaro il prossinio come sé
stesso.
30. SCARSI: insofficienti; confr. Inf.
XXVI, 65 e seg. Par. VII, 118; XV, 78.
31. NUBE: ogni impedimento che, per
essere ancor mortale, non gli permette-
robbe di vedere l'ullima salute; ovvero,
< quella oscurità che da il corpo all’ ani-
ina; » Lan. - DISLEGHI: dissipi.
32. COI PREGHI: intercedendo per loi
appo Dio.
33. PIACKR: la visione di Dio. - vi-
BPIzGIH: manifesti; cfr. Par. VII, 66.
35. VUOLI: vuoi; forma dell'uso an-
tico; cfr. Nannue., Anal. crit., 759 e seg.
36. vebKR: dopo la visione della Di-
vinità, che assorbisce qualsiasi altra con-
siderazione. Altri men bene; Dopo tante
cose vedute durante il mistico suo viag-
gio per ll tre regni dell'eternità.
37. 1 MOVIMENTI: gli urti delle umano
pass oni. « La tou custodia in tali spezio
visibili che per lui saranno apprese, vin-
ca ogni alterazione umana, cioè corpo-
rea, che quelle potesse imbrigare ;» Lan.,
An. Fior.
39. Pin LI MIEI: allinchè tu esaudisca le
mle preghiere tendono a te le loro mani
giunto. -— «Già Dante ai fu dire più volte
da altri ch'egli era in grazia di Do: ora
fa che tanti beati preghino per la sun
eterua salute. Vuol dire che queste so-
pra ogni cosa gli stava a cuore, poichè
non mette sulla lingua di Bernardo pre-
ghiera per le sue temporali necessità 0
per la sua gloria terrena; » Corn.
V. 40-45. Intercessione di Maria.
Abbassati e fisi in San Bernardo, gli
occhi di Maria gli arridono un cenno di
grazia, quindi si rivolgono a Dio, inter-
cedendo ella por il Poeta. Volendo farci
conoscere l'efficacia della preghiera, ed
ispirarci la più dolce e figliale fiducia
verso la Vergine Madre, il Poeta ci fa
vedere gli occhi di Lei, rivolti benigni
ed amorevoli a colui che la invoca. Molte
fiate descrisse gli occhi di Beatrice, chia-
mandoli e lucenti, ed occhi belli, 0 eme-
raldi, e pieni di faville d'amore, © di le
tizia pieni. Ma gli occhi di Maria sone
da Dio diletti e venerati, cioè diletti dal
Padre © venerati dal Figlio. E questi oe-
chi ai volgono con materno affotto a chi
(ZMPIREO)
PAR. XxXill. 41-54 [SGUARDO A DIO]
1085
Fissi nell’orator, ne dimostràro
Quanto i devoti preghi le son grati.
43 Indi all’eterno Lume si drizzAro,
Nel qual non si de’ creder che 8’ invii
Per creatura l’occhio tanto chiaro.
46 Ed io ch'al fine di tutti i disii
M’ appropinquava, si com’ io dovea,
L’ardor del desiderio in me finii.
49 Bernardo m’accennava, e sorridea,
Perch’ io guardassi in suso: ma io era
Già per me stesso tal qual ei volea;
62 Ché la mia vista, vonendo sincera,
E più e più entrava per lo raggio
Dell’alta luce, che da sé è vera.
la invoca, e sono sorgenti perenni di eter-
na benedizione, mostrando a prova qnan-
to lesono gratelodivote preghiere; quindi
ritornano a rivolgersi all'Amor loro, per
porgere a Dio i divoti preghi. Cfr. Os-
pri, 1. oc., 481.
41. NELL'ORATOR: Al, NEGLI ORATOR’ ;
l'oratore è un solo, cioè San Bernardo;
e in lui sono fissi gli occhi di Maria, la
quale non poteva fissarii contemporanea-
mente in tutti assieme i beati oranti. -
NR: ci, a San Bernardo od a me; oppure
ne vale qui mi (del qual uso non mancano
esempi), chè veramente n San Bernardo
nop occorreva che si dimostrasee i divoti
preghi essere grati alla Vergine Madre.
43. Lume: Dio, ofr. Purg. XIII, 86.
44. 8 INVIT: « penetret ct intret in id ; »
Benv.Così pure Serrav., Land.,Tal., Vell.,
Dan., Vol., Vent., Lomb., e quasi tutti
i moderni. Gli antichi, Lan., Ott., Cass.,
Buti, An. Fior., ecc., lessero 8' INTI, che
Lan.,spioegn:<inti si è verbo informativo
ed è tanto a dire come diventare simile
di quella cosa che è considerata. » K il
Buti: « iniare cioè mettere dentro. » I
codd. hanno in generale sees 0 ssseses; è
difficile decidere se il primo sia da leg-
gere finti o tuti (= invii), ed il secondo
fnutî o inuit. Senso: nessun occhio,
ciod nessun intelletto, ponetra tanto ad-
dentro nella visione di Dio, come la Ver-
gine Madre.
V. 46-57. Sguardo a Dio. Avvicinan-
dosi a Dio, fine ultimo di tutti | suoi de-
sideri, Dante sente npegnersi in sè l'ar-
dore dol donidorio e cominciare la paco
ineffabile del godimento. San Bernardo
gli nccenna di levare gli occhi in alto al
snmmo Lnmo, rorridendo per la gioia
dell'impetrata grazia; ma già il Toeta è
per sè stesso inteso ad inoltrarsi collo
aguardo ea per lo raggio divino. Ciò che
egli vede è sopra ogni concetto nmano,
nò si può adequatamente esprimere con
umana favella. « Troppe volte parrà for-
se, e a ragione, ch'e' si confeasi impotente
ad esprimere ai alti concetti; ma e l'al-
tezza di quel ch'e' dice, e l'altezza con
la quale e' significa la propria impotenza,
son cose sovrane; nè mai più altamente
da umana poesia fu parlato di Dio; » Tem.
46. FIxg: Dio; cfr. Thom. Aq. Sem. th.
I, 44, 4; 11°, 44,1; 11°, 122, 2; 119, 184, 1.
47. 0° APPROPIRQUAVA: mi avvicinava.
- COM'10 DOVRA: come era naturale.
48. FIXIT: cessò in me, fu saslo, essendo
certo di essere soddiafatto. Cod quasi
tutti. Invece Mart., Todesch., eco. : com-
piei, = l'ardore del desiderio giunse in me
al mansnimo grado, a cui potesse arri-
vare (1).
50. IN suso: verso il giallo della can-
dida rosa, cioè a Dio.
51.2RR ME: senza aspettare il euo cen-
no. - TAL: già erano gli occhi miei fiesi
in Dio.
52. VRRRXDO: divenendo. - SINCRRA:
pura; facendosi sempre più chiara.
53. x riù: sempre più; « continue cre-
scendo per gratiam infusam;» Beno. -
RAGGIO : divino.
54. DA BK: per sun essenza. La luce di-
vina ha ania la vorità e la ragione di sua
1036 [EMPIREO]
PAR. XXXIli. 55-66
[soccorso DIVINO]
55 Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
Che il parlar nostro ch'a tal vista cede,
E cede la memoria a tanto oltraggio.
he Qual 6 colui che somniando vede,
E dopo il sogno la passione impressa
Rimane, e l’altro alla mente non riede;
wl Cotal son io; ché quasi tutta cessa
Mia visione, ed ancor mi distilla
Nel cuor lo dolce che nacque da essa,
64 Così la neve al sol si dissigilla,
Così al vento nelle foglie lievi
Si perdea la sentenza di Sibilla.
esistenza in sé medesima; ogni altra luce
non è che un raggio della Ince divina. Ufr.
S. Giov, I, 0. Thom. Ag. Sun, th, I, 10, 6,
65. MAGGIO: maggiore; cfr. Inf. VI, 48;
XXXI, 64. Par, VI,120; XIV,07; XXVI,
20; XXVIII, 77, ecc.
56. NOSTHO: umano, Al. MOSTIA:; ma
Dante non vnol soltanto dire che vide più
cho non idica, anzi, ché vide più che non
ai possa esprimere con lingnaggio uma-
no, fosse pure dal più savio, nonto ed elo-
quente maestro della lingua e dello stile.
57. LA MEMORIA: Al. LA MATERIA; cfr,
Moore, Crit., 501. - OLTRAGGIO; eccssso
l'altezza, Inoltrameonto, avanzaiento,
Dopo il ‘l'recento questa voce penlelte
tale aignilicazione Lnona, 0 non si usò
più che in signiticazione cattiva. Confr.
Conv. III, 8.
V. 58-75. Insufficienza umana e
soccorso divino. Sul finiro della visione
beatifica si spegne nel Poeta la memoria
delle cose veduto, ma gli resta nel cuore
l'impressione della dolcezza che gliene
venne; come l'uomo che destatosi conti-
nua a provare la passione, sia d'affanno
sia d'allegrezza, cagionata da un sogno,
benchè delsogno stesso più non si ricordi;
cfr. Daniele, IT, 1680g. La visione cessa,
ma ancor nv seute la dolcezza. Invoca la
Somma Luco, che gli conceda la grazia
di daro una benché pallida immagine di
lei, quale cssa gli si mostrò; chè del suo
fulgore viucente ogni immagine umana,
tornando esso un poco alla sua memoria,
ed essendo da lui descritto, si avrà dalla
gente più chiaro concotto.
58: SOMNIANDO: Al. SOGNANDO: SON-
NIANDO, «Sul fine della visione boatilica
si spegno nel Poeta la memoria delle ce-
lesti cose vedute, ma gli resta in cuore
l'impressione della dolcezza che gliene
veuno; come l'uomo che destatosi con-
tinna a provare la passione (sia d'affanno
sia d'allegrezza) cagionata da un sogno,
benchè di questo più non si ricordi; »
i, Vent.
50, 1A L'ASSIONK: il commovimente dol
l'animo; cfr, d'urg. XXI, 100 è seg.; il
tristo o li&to sentimento prodotto dal ao-
Eno; clr. Par. XXIII, 49 e seg. «Qui per
esempio dice che tanto gli è rimaso di sua
visione, quanto rimane del sogno a colui
che si ricorda che sognò, ma nou sa cho; »
Lan., An. Fier.
60. L'aLtRO: il rimanente del sogno,
lo coso sognate.
61. cxssa: dalla memoria, Mentre pella
mia monte è quasi tutta spenta la ricor-
danza della beata visione, dura tuttavia
nel cuor mio la dolcezza nella visione
provata.
62. DISTILLA: « verbo ch'esprime la
gioia scendento nel cuore quasi a goccie
preziosissime, perchè meglio ne guatasse
la soavità, e tutto ne fosse inobriato; »
L. Vent.
64. SI DISSIGILLA: ai scioglie e perde,
disfacendo la sua forina. « Cotesta vi-
sione, presa nel suo oggetto, si dileguò
dalla mia mente con la prestezza con la
quale si dilegua la neve al sole: e como
le foglie nolle quali vi erano scritte le
varie parti della sentenza della Sibilla.
Il vonto celere dispergeva qua o là per
la grotta coteste fuglic; » Corn.
66. LA BRNTENZA : gli oracoli della Si-
Lilla cumana scritti au foglie che il vento
dissipava all’aprire della caverna; cfr.
Virg. Aen LIT, 441 © vey.
(EMPIREO)
PAR. XXXII. 67-77 (soccorso DIVINO} 1037
67 O somma Luce, che tanto ti levi
Dai concetti mortali, alla mia mente
Ripresta un poco di quel che parevi,
70 E fa’ la lingua mia tanto possente,
Ch’ una favilla sol della tua gloria
Possa lasciare alla futura gente;
73 Ché, per tornare alquanto a mia memoria,
E per sonare un poco in questi versi,
Più si conceperà di tua vittoria.
76 Io credo, per l’acume ch’ io soffersi
Del vivo raggio, ch’io sarei smarrito,
67. TI LRVvI: soi tanto elevata al diso-
pra del concotto dei mortali.
69. UN POCO: una tenue immagine; ofr.
Par. I, 33 e seg. Dammi una leggiera me-
moria di te. - PAREVI: apparivi, mi ti
mostraati.
72. LARCIARK: donoritta; non per am-
bizione di fama, sì por l'altrui salute,
come pure per la gloria di Dio. « Propter
bonum effectam sequutaram, si hoo sibi
concedatar, quia in tandem Dei et utili-
tatem mortalinm; » Bens.
78. PRRTORNARR: 80 torna un poco alla
mia memoria, e se suona nei miei versi.
75. VITTORIA : <del tuo sommo valore
ed infinita eccellenza, con la quale e per
la quale vinci © auperi le cose tutte; »
Dan. - « Della tua sublimità per la quale
vinci ogni intelletto; » Corn.
V. 76-108. Vistone della Divinità.
Se, vinti dalla soverchia acntezsa del
raggio divino, gli occhi mici se ne fossero
rivolti, io non avrei più potuto finsarveli.
Essundo danque certo che volgondomi in
altra parte mi narei amarrito, continual
a guardar sompre nolla divina luce, tan-
tochò io congiunsi il mio eguardo con la
eteesa essenza divina. Quanto grande è
la grazia, dalla quale a me vonne l'ar-
dire di ficcar la mia vista por entro la
divina luce tant'oltre, che compli di
vedere tutto ciò cho di vedere mi era
possibile! Nol profondo dell'eterna luce
vidi che ai racchiude, legato insieme con
dolce vincolo d'amore, come i quaderni
in un volume, tutto ciò che per l'nniverso
trovasi sparso. Vidi la sostanza © l'acci-
dente, e ii modo con cui si collegano ed
operano, fusi insieme in guisa, che ciò
che io ne dico è un somplice cenno, un
barlume appona del vero. E credo di aver
par veduto la forma prima di questo di-
vin vincolo di amore legante in ano tutti
git enti, e lo oredo perchè, narrando que-
ete cose, sento maggiore gioia. Un punto
solo di quella contemplazione suscitò in
me una ammirazione maggiore di quella
che in venticinque ercoli gli uomini tri
butarone all'improna di Giasone, la quale
foco maravigliar Nottuno, vedendo l'om-
bra che prima gettò la nave Argo sulla
euporficie del mare. Io ardeva di mirar
tuttavia nella Ince divina, perchè essa
incatena a) forte l' animo, che non pad
rivolgersi mai da lei, nella quale si ac-
coglie ogni bene ch'è il proprio oggetto
dell' umana volontà, e fuor della quale
non si possono vedore che imperfetto im-
magini di quei beni che solo in lel sono
perfetti. Ma rispetto al vero ch'io vidi,
ed al pocv ch'io rammento, la mia fa-
vella sarà più insufficiente di quella
d'un bambino.
76. 1.'ACUMR: « la sottigliozza od cocel-
lonza cho usciva della IHvinità; » Budd. —
sorrRest: sens’ abbagliare.
77.BMAKRRITO : abbagilato. Ronch.:«Ma
come mai abbagliarsi, evitando la ince? »
Ci avovano già pennato gli antichi. Len.,
Ou , An. Fior.: «Dice che tanto era l’acu-
me dol raggio della Divinitade, ciò è la
eccellenza, che s'egli avesse torto il viso,
sarebbe smarrito. E nota qui lo diverso
modo ch'egli esprimo la bontà della di-
vina visione. In queste accellenzie quag-
giù, cotanto quanto lo senso più vi si fio-
ca, cotanto fae maggior danno al senso,
sì come appare chi fisso guarda nello
radiar del anle e come appare nello aba-
cinare.... In quella celeste visione della
divina essenzia è tatto "1 contrario, chè
cotanto quanto più vi si mira, tanto al
diventa più possente a removeral da
ogni corruzione, coc. « Così pure Benv.,
1038 [eMPIREO)
Par. xxx. 78-91
[miwnsiTÀ]
Se gli occhi miei da lui fossero aversi.
79 E mi ricorda ch’ io fui più ardito
Per questo a sostener tanto, ch'io giunsi
L'aspetto mio col Valor infinito.
82 O abbondante grazia, ond’io presunsi
Ficcar lo viso per la luce eterna
Tanto, che la veduta vi consunsi !
85 Nel suo profondo vidi che s’ interna,
Legato con amore in un volume,
Ciò che per l'universo si squaderna;
88 Sustanzia ed accidente, e lor costume,
Quasi conflati insieme per tal modo,
Che ciò ch'io dico è un semplice lume.
DI La forma universal di questo nodo
Buti, Land,, Vell. o giù giù sino al Corn,,
al Pol,, woo.
78. aves: (particip. del verbo lat.
avertere) distolti, rivolti altrove. « Lo
conutrariv opera la luce divina a quello
che opora la loco del mando, quando
avanza la potouza sonaitiva, corroni po
lo senso; ma la loco divina, quanto più
eresce nell'anima nmana, tanto più cre
sce lo cognoscimento e lo diletto; e di-
venta l'anima umana più abilo a contem-
plaro Iddio, quanto più vi sta o quanto
più v'ontra;» Muti.
80. PRR QUESTO: perchè io sapeva cho
se gli occhi mioi si fossero rivolti altrove,
non avrei più potuto fissarli nel raggio
divino. - GIUXSI: congiunsi la mia vista
conl'easenzadivina.«<Ciascunasanta ani-
ma, che contempla Iddio, adiunge a Dio,
secondo la sua fucoltà dol comprendere;
imperò che ogni cosa che conosce, cono-
sce secondo la sua facoltà, o non socoudo
le fucoltà della cosa conosciuta; e però
Iddio, seconilo sò, è incomprensibile: ma
ciascuna mente ne conosce tanto quanto
può, sì ch’ ella rimane contenta; >» Buti.
82. Grazia: l'ardire non si fondava
sulle proprie forze, ma sulla grazia di-
Vina. - PLESUNSI: presi ardire, osai; cor-
rispondo al fui ardito (v. 79). Qui in
buon senso, seconde l'origino.
84. VEDUTA : la vista. - CONSUNSI: con-
sumai; giunsi ad esaurire tatto ciò che
nella divina luce era di visibile; tanto
n'appresi, quanto era la facoltà della mia
vista. Così Buti, Vell., Dan., oco. Altri
erroneamente: stancal la vista (Land.,
Iiag., Tom., Blanc, eco.). Ottimamente
Uorn.: « vidi quanto era a me visibile, »
85. suo: della luce eterna. — 8'INTRR-
NA: si trova raccolto, « entra l'uno nel-
l'altro legato od nnito con amore tutto
quello che al manifesta è rodo por l'uni-
Yorao mondo; porché omoude Lililio oren-
tore del tutto, tutto lo coso tornano a lui
come a suo principio, e così in loi tutte
si vedono; » Fell,
87. BI BQUADKENA ; si divido. « Traala-
ziono dal libri, cho in uno o più volumi
si logano. Adunquo con amore e per
mozzo d'amore vide legato il Poeta ciò
che si squaderna, per aver detto volume,
ciò che si leggo, manifesta e vede in tat-
to l'universo; perciocchè in Dio sono le
Idee, forme ed immagini di tutte le cose
da lui create; » Dan.
88. SUSTANZIA : tutto ciò che per sè
sussiste. « Substantia.... significat casen-
tiam, cui computit sic osso, ld est, per se
esse, quod tamen esse non est ipsa ejus
essentia; » Thom. Aq. Sum.tA.I,3,5; cfr.
ibid. III, 77, 1. - ACCILENTR: il vario mo-
do di essere delle cose; cfr. Thom. Ag.
Sum. th. 19, 63, 2. - COSTUMK: relazione,
proprictà, modo di operare; lat. Aabitue.
89. QUASI: Al. TUTTI, TANTI, eco. Cfr.
MOOuR, Orit., 502. - CONFLATI: uniti.
Non è distinto in Dio accidente da so-
stanza, non essendovi in loi accidente;
cfr. Thom. Ag. Sum. theol. I, 3, 6. - rum
TAL MODO: con/lati, uniti per tale stupen-
do ed ineifubile modo, che ciò ch'io dicu
non è di esso cho un semplice bariume.
° 91. xODO: la detta unione gi sostanza
(RMPIREO]
PAR. Xxxitt. 93-105
(DiviInITA}] 1089
Credo ch’ io vidi, perché più di largo,
Dicendo questo, mi sento ch'io godo.
94 Un punto solo m’é maggior letargo,
Che venticinque secoli all’ impresa,
Che fe’ Nettuno ammirar |’ ombra d’Argo.
97 Così la mente mia, tutta sospesa,
Mirava fissa, immobile ed attenta,
E sempre di mirar faceasi accesa.
100 A quella luce cotal si diventa,
Che volgersi da lei per altro aspetto
È impossibil che mai si consenta;
103 Però che il ben, ch’è del volere obbietto,
Tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella
È difettivo ciò che ll è perfetto.
od nocidente ; cfr. Thom. Aq. Sum. theol.
I, 4, 2. «Credo che io vedessi in esom-
plare la forma che lega nell'unità del-
l'ordine tutto il creato, perché «dicendo
ciò mi sento allargare il gaudio: » Corn.
%. PUNTO: di tempo. - LETARGO : affi-
samento concentrato e profondo di ma-
raviglia che fa dimenticare ogni altra
cosa. Senso: Tatta quanta l'ammirazione
che in venticinque secoli gli uomini tri-
butarono all'impresa degli Argonauti
raccolta insieme, sarebbe minore della
mia in un solo momento che io teneva
fiso lo eguardo nella Divinità. Sopra le
altre interpretazioni della oscura e diffi-
cile terzina cfr. Com. Lipe. III, 873-875.
All'obiezione del RoncA. avova
anticipatamente assai bene il Pol.: « Spie-
gare, come fanno più, letargo per oblivio-
ne, dimenticanza, è quanto trar fuori di
etrada il lettore, perchè un manifesto con-
traddire a Dante, che nella terzina susse-
guenteafferma chiaro trattarsi anzi qui di
un'attenzione profonda, d'una specie di
assorbimento della mente in Dio; come
può propugnarsi infatti il concetto di di-
menticunza, so l'Autore, certo non senza
motivo, ef fece sollecito di ben calcare nel
lettore l'idea, che la sua mente ora vi-
vamonte raccolta, profondamente atton-
ta, ardentemente fissa in quella contom-
plasione! od è perciò che con abbondanza
quasi insolita, a dire la stessa idea, ab-
biamo qui a mente ben quattro aggiunti,
sospesa, fissa, immobile, attenta, col verso
seguente che tatti li riassumo e quasi, per
dir così, li condensa. »
96. VENTICINQUE: l’'improsa degli Ar-
gonauti fn, come si calcolò, 1223 anni
prima dell’ dra volgare.
96. Netruxo: Dio del mare. La nave
di Argo, essendo la prima a far ombra
sulla euperficie del mare, fu cagione di
maraviglia allo stesso Nettuno. Cfr. Ca-
tullo, Fpith. Pel., 14. Par. II, 16 © seg.
97. SOSUESA : preoccupata, piena di ma-
raviglia. Spiega il senso del letargo, v. 94.
99. DI MIRAE: Al. DEL MIRAR: DE RI-
MIRAR; NEL MIRAR: DI GUARDAB. - FA-
CRASI : cresceva in lei l'ardore, l'inten-
sità della contemplazione. « Augent spi-
ritales delitim deaiderium in mente dum
satiant; » Greg. Magn. Hom. in Evang.
26. Cfr. Purg. XXXI, 129.
100. Luck: divina. < Quanto il bene
ch'è oggotto della volontà è maggicre
tanto più questa è da lui tirata; lo si
prova nel fatto. Dunque il bene Infinito
l'attrao totalmente e cessa la libertà di
distaccarsi da loi; » Corn.
101. PRR ALTRO: per mirare altro ob-
bietto; ofr. Thom. 47. Sum. th. I9, 5, 4.
102. 81 CONSENTA: nè dall’ umana vo-
lontà, nò dai divin volere.
103. rERÒ CHE: « e ciò avviene perchè
il bene che è obbietto della volontà, come
dell’ intelletto il vero, tutto si aduna ©
raccoglie in casa luco, essendo Dio viva
fontana d' infinito bene, dai quale ogni
bene © felicità deriva; e tutto quello di
bene ch'è in essa luce è vero e per-
fetto bene; là ove all'incontro quello
cli' è fuori di loi è falso e manchevole; »
Den. Cfr. Par. V, 4-12.
1040 [EMPIREO]
PAR. XXXII. 106-120
[ss. TRINITA]
106 Omai sarà più corta mia favella,
Pure a quel ch’ io ricordo, che di un fante
Che bagni ancor la lingua alla mammella.
100 Non perché più ch’ un semplice sembiante
Fosse nel vivo lume ch'io mirava,
Che tal è sempre qual era davante;
112 Ma per la vista che s'avvalorava
In me, guardando, una sola parvenza,
Mutandom’ io, a me si travagliava,
115 Nella profonda e chiara sussistenza
Dell'alto Lume parvemi tre giri
Ii tre colori e d'una continenza;
118 E l'un dall'altro, come Iri da Iri,
Parea riflesso, e il terzo parea fuoco
Che quinci e quindi egualmente si spiri.
106, CORTA : imperfetta; ofr.Par.X1,68.
107, ruil; soltanto, Si ricorda di poco,
sil anche quel poco si confessa incapace
di esprimerlo, - CHE DI UN FANTR: Al. CHE
L'INFANTE; ofr. Purg. XI, 606; XXY, Ol.
108, CuK DAGNI: ancora lattante, che
comincia appena a balbettare; ofr. Stat.
Theb. IV, 790.
V. 100-120. Fi mistero della SS, Tri-
nità. Accingendosi a toccare della SS.
Trinita, il Poota proviene I’ obbicziono
cho gli si potrubbe fare circa lu variotà
delle immagini, sotto le quali egli ai sfor-
za di ritrarre l’ineffabile natura divina,
Aicendo che variava la sua vista, non
l'oggutto. Non perchd in Dio fosse va-
rietà di aspotti, cssondo egli cssenzial-
monte semplice ed immutabile; ma per-
ché la sua vista nell'atto stesso di guar-
daro Iddio attingeva novello valore,
l’unico ed inmutabile sembiante divino
trasmutavasi relativamente a lui, se-
condo che egli con mutata vista il guar-
duva. Egli vede dunque nell'essenza di-
vina tre persone distinto, ma ugnali; tre
giri di egual misura, ma di diversi colori;
perfettam. simiglianti come due arcoba-
leni, uno prodotto dall'altro. E qui ripete,
che la lingua non è sufficiente ad espri-
mere il concetto, e che il concetto non su
elovaraiall'altezza della visione. Assorbi-
ta dalla troppa luce, la mente del Poeta si
aluta con ammirare e confessar ineffabile
l'infinitagrandozza dell'oggetto che vedo.
109. NON PRIRCHÈ: « non vedevo cho un
punto; ma la miu vista riufurcata vedeva
in quell'uno inenarrabili cose; » Tom. -
m0: diversi nspotti.
111, QUAL Bua: immutabile; ofr. Por.
XXIX, 146.
113. PAUVENZA: apparenza; cfr. Par.
XXVIII, 74; XXX, 106.
lld. SI TRAVAGLIAVA: « sì mulara,
quanto al cospetto wio; ma non quanto
all'essere suo, che è sempre immutabi-
lo; » Buti. Cîr. Purg. XXXI, 125 © seg.
e Travagliatori chiamavanai i prestigia-
tori. Ogni mutazione è un lavoro, e la-
bor valo e lavoro e travaglio; » Tom.
115. PROFONDA: chiama la sussistenza
dell’ alto Lume, cioè la divina Eesenta,
profonda e chiara: profonda, perchè l’in-
telletto umano non può ponetrarvi ; chia-
ra, perchè la fede ce ne rassicura. « Pro-
Sonda e chiara, le duo qualità d'ogni
cosa grande, e più cospicue iu quelle che
più somigliano a Dio; » Tom.
116. rAKYKMI: mi apparve. Usa il sing.
per il plur. forse per adombrare |’ anita
dell'Essenza uelle tre Persone. I tre giri
figurano le tre Persono della SS. Trinità.
117. CONTINENZA: Coal i più (S.Or., Bert.,
Vat., Oaet., Cass., eco.); Al. CONTRNEN-
ZA; capacità, dimensione. La continenza
rappresenta la parità, l'ideatità della so-
stanza; i colori figurano i varii attribati.
118. Int: Iride, l'arcobaleno. Il rila-
tente è il Padre, il ri/lesso il Figlio, il
Suoco lo Spirito Santo; ofr. Par. X,le
seg.; XIII, 55 o sog. Rammonta il pc
éx patds del Simbolo Niceno.
120. QUINCI E QUINUI: vpirato, o procs
[EMPIREO]
PAR. xxx. 121-182
[DUE NATURE) 1041
121 O quanto è corto il dire, e come fioco
Al mio concetto! E questo, a quel ch’ io vidi,
È tanto, che non basta a dicer poco.
124 O luce eterna, che sola in te sidi,
Sola t’intendi, e, da te intelletta
Ed intendente, te ami ed arridi !
127 Quella circulazion, che sì concetta
Pareva in te, come lume riflesso,
Dagli occhi miei alquanto circonspetta,
130 Dentro da sé del suo colore stesso
Mi parve pinta della nostra effige,
Per che il mio viso in lei tutto era messo.
dente egualmente dall'una che dall'altra
Persona; egualmente dal Padre che dal
Figlio, Cfr. Fpiphan, Ancor, § 8. Thom.
Ag. Sum, theol, I, 36, 4.
121, corto: «insufficiente, quanto alla
sostanzadelle cose, 0 floco, debole, quanto
alla forma dol dire; » Tom,
122. EQUESTO: 6 il concetto alla visione
è meno che poco. Ronch.; « Il concetto
rispetto alla visione non basterebbe n
dir poco; In parola rispetto al concetto
resta nddletro anche lei; onde un doppio
motivo d'insufficienza n dare ai lottori
idea adeguatadi quanto allora egli vide.»
123, TANTO: così piccola parte, che non
basta dir poco, dovendosi invocedir nulla.
124, sID1: riposi, stai; dal lat. sidere.
125. T'INTENDI : perfettamento. La luce
che sola s'intende, è il Padre ; la luce dalla
sola intendente intelletta, cioé intean, è il
Figlio; la Inco amante od arridente dè lo
Spirito Santo, Non sono tro Inci, è unn
sola eterna luce. Le sostanze create, ben-
chè siano aasistite da lume di gloria, non
ponno comprendere la luce infinita che a
misura della finita loro capacità ; confr.
&. Matt, XI, 27,
126. AMI ED ARRIDI: Al. A ME ARRIDI.
Cfr. Moons, Crit., 502 e seg. - Senso: ami
o sorridi alla luce infendente ed intelletto,
cioè al Padre ed al Figlio, procedendo da
ambedue ; ofr. Richar, a S, Viet. De Trin.
III, 3.
V. 127-199. Il mistero delle due na-
ture in Cristo. Il secondo del tre giri
nuzidetti, quello che mi parova formato
come riflesso, mi sembrò, polchd
gli occhi miei lo ebbero alquanto girato,
dentro sè stesso dipinto della effigo uma-
na, E volendo comprendere come al Ver-
60. — Div, Oomm., ga ediz.
bo divino si convenne |’ umana natura,
io era simile al geometra che sta fitto con
la mente e cogli occhi nell'arduo proble-
ma della quadratura del cerchio, per tro-
ware quel dato corto che gli abbisogna,
cioò l'esatta proporzione tra il dinmetro
e In circonforenza. Io voleva compren-
dere ciò che non è dato a mente umana
di comprendere. Cfr, Purg. XXXI, 131
o seg. Par. II, 40 © seg.; XIII, 25 e seg.
127. CIRCULAZION: quel secondo cer-
chio, o giro (dol Niglio), che pareva ri-
Sesso come Iri da Tri; cfr. v. 118 e seg. -
« nella circolazione della lace più giran-
do il mio guardo, parevami che quello
che mi sembrava lume riflesso (il Verbo
divino) contenesse come dipinta la nostra
umana natura. Cioè, qui Dante afferma
di aver veduto il Verbo congiunto al-
l'umana natura ;» Corn. - CONCETTA : de-
tormina la gonorazione otorna dal Padro.
128, 1x TH: Al. IN THe. Cir, Moon,
Orit., 508 0 sog. Continna l'apostrofe alla
8S. Trinità, danque 1N TE, Senso; il se-
condo dei tuoi tre giri, o Luce eterna,
che pareva procedere da te come il rag-
gio riflesso procede dal diretto, mi parve
dentro sè stesso dipintodall'effigeumana.
120. CIRCONSPETTA: contemplata in-
torno intorno, Trattandosi di giri, la
veduta era circolare.
180. suo: dello stesso colore della cir-
colazione. « La forma mmana era nella
medesima persona divina; cioò la stessa
persona del Verbo snssisteva nelle due
sue proprie nature, divina ed umana; »
L. Vent.
181. NOSTRA: umana, - EFFIOE: imma-
gine; ofr. Filipp. II, 7.
132. ran Cue: onde la mia vista era in-
1042 [eMPIREO)
Pan. xxxmni. 133-145
[PINE]
138 Qual è '1 geomètra che tutto s’ affige
Per misurar lo cerchio, e non ritrova,
Pensando, quel principio ond’egli indige ;
106 Tale era io a quella vista nuova:
Veder voleva, come si convenne
L’imago al cerchio, e come vi s’ indova;
139 Ma non eran da ciò le proprie penne.
Se non che la mia mente fu percossa
Da un fulgore, in che sua voglia venne.
142 All’ alta fantasia qui mancò possa;
Ma già volgeva il mio disiro e il velle
Si come ruota ch’ egualmente è mossa,
145 L’Amor che muove il sole e l'altre stelle.
teramente ocenpata a contemplare il pro-
fondo mistero.
139, s'arvigK: #'applica con tutte le
forze della sna mente; ofr, Conv, II, 14.
De Mon, IIT, 3.
135. PRINCIPIO: il termine medio, o la
proporzione del diametro alla periferia.
- Inmor: lat. indiget, ha bisogno.
1830. vista: voduta, visione. - NUOVA:
maravigliosa, straordinaria.
187, CONVENNE: per qual modo l'efli-
gio umana si unì al divin cerchio, l' ama-
na natura alla divina.
138. e'INDOVA: vi trova il sno dove,
vi si alloga= Come avesse lnogo |’ uma-
nità nella divinità.
139. Da ciò: ma le mie forze iutellei-
tuali non bastavano a comprendere l'in-
comprensibile mistero.
V. 140-145. L'ultima illuminazio-
ne 6 l’ultima beatitudine. Indarno Il
Poeta e'ingegna di comprendere il mi-
stero dell'unione delle dne nature in
Cristo. Ma mentre egli si sforza di com-
prenderlo, un fulgore di lace divina gli
penetra negli occhi e gli rivela il vero.
E qui la mente sua, por quanto subli-
inata, non può vedere oltre. Lu visione
cessa. Ma di tale cessazione, perchè vo-
lata da Dio, il Poeta è contento, il suo
volere e desiderare essendo ormai pie-
namente conformi al volere di Dio. Tale
uniformità, « formale ad esto beato ease »
(Par. IIT, 78), mostra che egli ha oramai
conseguito l’ultima perfezione e l'altima
beatitudine.
14). FULGORK: da un lampo dolla gra-
tia divina, in coi venne la voglia della
mia mente, quello cioè che la nola monte
bramava, cioò l'intelligenza del ilaterw
ilell'nnione dolle doo nature, divina ed
umana, in Cristo. - YoGLIAa : la cosà TO
luta, cioè che la mente voleva vedere.
142, mancò: la mia sublime visione
cessò; mi mancò la virtà di più vedere
la Divinità.
143. IL VELLK: il volare, la volontà;
ofr. Par. IV, 26.
144. COME RUOTA: con quella anifor-
mità di moto, onde nelle varie sue parti
al muove una ruota, ubbidienta al rice-
vuto impulso.
145. L'Amor: Dio. Incominelò il Pa
radiso colla « gloria di Colai che tato
muove; » lo tinisce coll’ « Amor che mac
vo il sole e l'altre stelle. » Terminandy
tutt'e tre le Cantiche colla purola stelle
vuol farci intendere, che fine ultimo del
suo Poema è, di elevare le menti sl cielo.
Chi ha considerata la miseria del peccato
e desidera di liberarsene, esos a riveder
le stelle; chi si è pariticate dal peccato
si sente puro e disposto a salire alle stelle ;
chi ha conseguito la riconciliazione cou
Dio, la comunione intima con Lui, è vélto
con moto libero, equabile e tranquillo dal-
l'Amor che muove il sole e l'altre stelle.
« Et quia, invento Principio sea Primo,
videlicit Deo, nibil est quod ulterius que-
ratur, quum sit Alpha et Omega, idest
principium ot finia, ut Visio Joannie de-
signat: in ipeo Deo terininatur tractatus,
Qui est benedictusin uscula ssculorum; »
Bp. Kani, 33.
RIMARIO PERFEZIONATO
DKLLA
DIVINA COMMEDIA
| LUIGI POLACCO
INDICE DEI NOMI PROPRI
E DELLE COSE NOTABILI
RIMARIO PERFEZIONATO
DIVINA COMMEDIA
1. Il primo numero Indica la cantiea, il secondo il canto, il terzo il verso.
DELLA
COMPILATO
DAL
Pror. Dr. LUIGI POLACCO
AVVERTENZE
2. Nell'ordinare alfabeticamente i versi, le parole apostrofate furono, di regola, riguardate come
fornite della lettera mancante; e quindi p. ce. i due vorni
« L'una appresso dell'altra infia che ‘1 ramo »
< B quel baren, che sì di ramo in ramo »
al seguono nell'ordine in cui sono qui neritti, perchè il primo termina con «fl ramo» ed il se-
condo con « im ramo ». Se non si supponeva la 1 in laogn dell'spostrofo (e sarebbe stata cattiva
regola il non mpporla), i versi si sarebbero seguiti in ordine inverno.
abbia
a Ch'assiser Tebe; ed ebbe, e par ch'egli abbia 1 14 @0/0 Fatto ha del cimitaro mio cloaca 837 28
La tua paura; ché, poder ch'egli abbia, 1 7 6.1 L'ocltracotata echiatta, che s'indraca 8 10 118
O d'altro che più larghe l'abbia. 1 29 @4 p Ovver la borsa, com'agnel si placa, 8 20 117
Nè a difetto di carne, ch'io m'abbia: 2 29 51; Che cadde di guassò, è si 827 27
Maremma non cred'io, che tante n'abbia, 120 19|vll luogo mio, fl luogo mio che 827 388
i Mia conoscenza alia cambiata labbia, 2 23 47: Che, sempre che la vot'ra chiesa vaca, 8 le 118
* Pot si rivolne a quell'enfiata labbia, 17 7
Pei si rivolse a me con miglior labbia, 114 67
Infin dove comincia nostra labbia. 2 25 21|b Oro ed argento fino e cocco e biacoa, 277
@ Ed io vidi un Centauro pica di rabbia 1 28 17 f Caggiono avvolte, hè l'alber fiacca; 1 7 14
Dell’ unghie sovra sè, per ia gran rabbia 1 29 80, Sì come quel, cul l'ira dentro fiacca. 22 18
Nullo martirio, fuor la tua rabbia, 1 14 68 Fresco emeraldo alloraché vi fiacca, e 77
Coasuma dentro te coe ia tua rabbia. 1 7 91 Che 1 mal dell’univereo tutte insacca. 1 7 18
8 Dek non latendere all'asciutta scabbia, 2 283 409 1 Che ne condusse in fiance della lacca. as 77
Così trasvan giù Il’ unghie ia scabbia, 1 96 ®2 Così ecendemmo nella quarta 2 7 10
1 E in ca la punta delia rotta lacca 222 11
abbe iv Che fa concetta nella falea vaeca: 118 18
» Più pienamente; ma perch'io noa l'abbo, 138 8,
b Nè da lingua che chiami mamma e babbo. 1 88 9) . . .
$ Chd non 6 impresa da pigliare a gabbo, 182 7.8 Com‘io credetti: Fa’ che tu m’abbracee. 1 17 68
; ;mMa vergogna mi (èr le suo minacce, 117 s0
abi s l°m'assettai in on quelle spallacce: 1139 e1
È Remains degli Aran 30 1n
nomato, e e Fa | .
, ’ ‘e Nel a un carro prima ch'altri ‘1 cacci. 818 48
| L'alpestre rocce, Po, di che ta labi. 8 6 51' no Ribcam. cià oon par che minacci sis 46
Abile Già mezza aragna, trista in su giistracel 818 44
I
2 Seguendo "1 cielo, sempre fa durabile. 8 se 129,
. Innanzi che all'e:ra inconsamabile 4 HH 188|a Come quella che tutte ‘I piano abbraccia, 1 18 89
e Ché nullo effetto mai razionabile,
27
Come fa l'uom che spaventato, agghiaccia. 8 9
S5323958838395333985=88833323222822859858 SSLSRLSSSESSSSSSSESSEkeeSs 823585833888 =
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i)
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b Come fa il merlo per poca bonaccia.
vi era l'Aretin, che dalle brnocia
{a la bontà infialta ha sì gran braccia.
E per le coste giò ambo Je braccia.
Ma Barbariccia il chiuse con le braccia,
Che i ti non fan con le sua braccia
Ebbe la Santa Chiesa in le sus braccia:
Trafogd lui dormendo in le ene be
Como solean nol monk awdare a onoolna.
Be "| pastor di Cosenza ch'alla carcla
Noi foggirem | immagioata caccla,
E l'altro che annegò correnlo la coocla.
Quei che muso innanzi caccla,
Pasal di fuga; è veggendo la caccià,
E fuor le elle a encela;
V. cocci 1 18 81) caccla
"a così fatta parte si confacola,
d Saper da lui, prima ch'altri 1 disfacola.
E quegti: O figlivol ro, non ti dispiaccia,
£ DI quel soverchio fe' naso alla faccia,
Tanto, ch'io levai "n m l'ardita faccia,
Veggendo ‘| mondo aver canciata faccia
Cho mi scoss'io, sl come dalla faecia
Ed jo scorgeva già d'alcun la faccia,
Ascoltando chinai in giù la faccia;
Volgendo a loro è qua e tà lu faccia,
A'quali ancor non vedesti la faccia,
Ed al Maestro iuio volse la faccia:
Ognuna in giù tenea volta la faccia:
Buonagiunta da Lucca E quella faccia
Avesss in Dio ben letta questa faccia,
Come "l tapin, che non sa che si faccia;
Con simil atto, è co. simile faccia,
E chinando la mia a la sun faccia,
Perd ricominciò: Se l'uom L faccia
© Da mezzo i! petto uscia fuor della ghiacela;
Eran l'ombré dolenti nella ghiaccia,
S'egli è che ol la destra costa gliacoia,
1 Si torsa sotto "1 peso che lo impaccla:
1 Come face le corna la lumacela:
moli orr bili gigan cui minaccia
P Spirito Incarcerato, ancor U placola
ra lor testimonianza sl procaccla,
@ Per lei, tanto ch'a Dio si satisfacela,
E cho la ferra similmeotsa scaccia
Di quel che credi cho a mo soddisfaccla;
t E tra‘) più della ripa ed ossa, in traccia
Ititorna fillotro, e lascia andar la traccia
Dal vecchio ponte guardava la traccia,
v L'anguille di liolsena e la vernaccia.
melo
a Perch'io pregai lo spirito più avacelo.
E Dissemi: Qui con più di mille ginoclo:
t E ‘) Cardinale, è degli altri ml tacclio,
acco
& Mentre che tutto in lul veder m'attacco,
e Vol, elttadini, mi chiamasta Clacoo:
d Dicsudo: Or vedi, come lo mi dilacco ;
f Coma iu vedi, alla pioge ia mi fiacco ;
8 D'iovidia al, che già trabocca il sacco,
La corata pareva, e 'l tristo sacco,
ace
o Rendé jul ‘I cenno, ch'a cià si conface
£ Di suo dover, coma ll più laaso faco
Non dimandai: Che halt per quel cha face
Per apparer clascun s'ingegna è face
Tutti i cvperchi; è nessun guardia face.
E giugne ‘| tewpo che periler lo face
Qui se' a nol mrridiana face
Ma ciò, che il segno. che parlar mi face,
Ciò ch'ella cria, o che natura face.
Dinanzi agli occhi miei le quattro face
Di mondo in mondo cercar mi al face,
Ché di giusto voler lu suo si face
Per sua caglon clò ch'ammirar U face;
Presso è un altro scoglio che via face.
Lome è lassuso, che visibil face
Sì che l'animo ad essa volger face:
Disviluppato dal moods fallace,
L'anima santa, che “| mondo talace
IV. Veraoe 3 11 8%) lorace
or-ortante covabubossetivet
18
oe) ee dd |
=
28
21
do
16
16
2 10
ii AI +
— 3 —
129] E giammai non sl videro in fornace
13 pia sue ond'ella fu cacciata, giace
=
50) l'esser di tuuo suo contento gince.
51| E ‘Carro tatto sovra ‘) Coro glace,
22] Quando disanimats ll corpo giace;
38) Ditene dove la montsgna giace,
67) SGevglio non si potrà, perocchd a yr
144| Laggià per quella ripa, che più giace,
85) la geate, che per li ery glace, *
15\p : Frati miel, Dio vi dea pace,
190; D' lo cuore all'acque dalla. pasa,
110] © vita intera d'amore è di pace
15] Davtro dal clel della divina pace
Diede per arra a lul d'eiorna pace,
33) Per lo cui caldo nell'eterna pac,
63) Della moll’ anni lagrimata pace,
31) In la sua voloniade è nostra pace:
128 orto va chi vuvle andar por pace,
121 tsinplando gustò di quella
19) Vol dite, ed io "1 farò per «cella pace,
40) Virgilio incomibcià, per quella pace
40] E venol dal martirio & quesia pace.
74 E da esiglio venne a questa paco.
11| Tal ini fece la bestia sonza paco,
717 Al carro volse sé, come a nua pace.
61| Che solo in lui vedere ha la ma pace ;
97 Si scalzò primo, ¢ dietro a tanta pace
20) Con costui pose "1 mondo in tanta paca,
126 Noi pregheremino lui per la tua pace,
11) Chi ha voluto entrar coo tutta pace.
20; Ad ogni cosa è nobile cha piaco,
20) Se quel, che leva e quando è cul gli piace,
85) Come il signer, ch'ascolta quel che | pines,
na Più l'è conforme, o però più la piace;
56 Ma seguimi oramal. ché ‘i gir mi piace:
at Seminarla nel mondo, è quasto place
75 Por questo regno, a tulld il regno place,
1533 ld sommo bene, che solo a 64 piace,
44 Dietro allo sposo; sì la s piace
aT Mi volvi, cominciai, com'a te place,
9a Ed io: Tanto in'è bel, quanto a te place:
71 Di quel ch’ udire « che parlar ti place,
il Ma parla, è cliell a tal, so più ti place.
Ba E no l'anilara avanti pur vi piace,
66) Comn'io vidi un, che dicea: S'a vol piace
33) Now riconosca alcun; ma s'a vol place
0) Per sò natura, è per la sua soguaco,
da Per lo regno mortal, ch'a lol soggiace
Libero è tutto, perché non -oggiace
Cha | perder tenipo a chi più sa più spiace.
116)¢ Che noo sembiava imagine che tace.
118) Dal tuo volere; a sai quel cha si tace.
120 Un poco attest; a pol: Da ch'el ai Lace,
Per la novella, tosto ch'ei sl lac:
a8 Mentre cha ‘i vento, coma fa, al tace.
6a] Da'predicanti, a "| Vangello si tace,
go| Mi ripingeva là dove "li Sol tace
Ba|Y Ob ignota riccherza, oh ben verace!
so| ‘ostra apprensiva da esser veraca
26 Ferma si alllase; la gente veraca
; Signor mio Gesù Cristo, Iddio verace
I.'alto trionfo del regno veraca,
165 Dinanzi a noi pareva si verace,
G So’ di aperanta ipalana vivace.
159 Tala era io inlrando la vivace
da Nella più souigliante è più vivace.
9) Incominciò a farsi più vivace;
60; Cho si dilata in Danima pol vivace,
se Voglio informar di luce 1 vivace,
+ mel
10|f Perd alla dituanda, che mi faci
69 | Doves ben solver l'una che tu Geel
87/6 O difesa di Dio, perché pur giaci |!
60/1 Per esser pur allora volto in laci.
111|mA seivilegi venduti a mendaci ;
100|p ln tutte tue question certo mi piaci,
24|r In vesta di pastor lupl rapaci
140| Debbono essere sposa, e vol ri
sean Che gli cechi miei ai foro a lul seguaci,
Simon vago, 0 miseri seguaci,
JUICE er ye | ee)
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Di vostra condizion fatens magri.
E di pochi scaglion levamme | WEE.
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=_ 4 —o
Seni e e i i
ado Sentimmo dietro ed lo miel 27 «@
t Nel proprio lume, è che cechi il traggi, 3 & 195
o e vital lo imperador Currado ; 3 16 139
ea lì, gridando: Su, Currado, 2 8 665 necia
atone te vedi umal, IT RETTO, 3 2 122)a Tal che il tuo successor temenza n'aggia: 2 €102
Discende mai alcun del primo 1 8 17| Come colui che nuove così assaggia. 23
Pol vòlto a me: Per quel singular r grado, 2 8 67) Di tutte questa doti ss avvantaggia 3 3 Te
Tanto per bene oprar gi venni gr 3 15 lallc DI sua nobilità convien che caggia. 5 Te
Lo oud prime perchè che nou ha guado, 2 8 609 egli a me: Nessun too passo ; san
By dha pol eapel sel taney ado. 9 2126) Poi convien che questa 1 0 67
p Mia donna venne a me di Val di Pado, 3 16 197| Giusto giudiclo dalle stelle caggia pn 6 100
P Questa question fec'io. E quei: Di rado 1 9 19|p Ond'el si gittàr tutti in su la piaggia, £ 2 50
w Riguarda bene a me sì com'io vado 3 2 124] Dell’alta ripa, alla scoperta piaggia, 2 4»
Faccia alcuno '1 cammin, pel quale Jo vado. 1 8 21) Con Ja forza di tal che testé piaggia. 106€
; r Ché l'ardor santo, ch'ogni cosa raggia, 3 7 Ta
adre s Fio che n' alcuna scorta saggia. -# d-
a Che lacrimando non tornassero adre, 2 30 Ga] Costel ch'è fatta indomita è selvaggia, 2 se
1 Rima d'amore usir dolci è leggiadre: 226 60) La torba, che rimase Il, selvaggia a 2 8
L'antico sangue, e l'opere leggiadre 2 11 61) Verranno al sangue, è la parta selvaggia 1 6@ 68
mNé aac perdea l'antica madre, 250 652
non pensando alla comune 911 63 aggio
Si fér duo figli a riveder la madre, 226 S6|ja Dunque all'essenzia, ov' è tanto avwwan.
p DI sè, Virgilio dolcissimo padre, 2 30 50 [ , S28 sl
Quando i" udi' nomer sò stesso il padre 2 26 97]1 Chè così è a lui ciascan lin 2, 131 €0
Guglielmo Aldobrandeschi fu mio padre. 211 Go| Dal cipio nel in suo lloguaggio 127 la
m Trovammo l'altro at mich bee Lt 151 sa
andro Da q innanzi il mio veder fu maggio 339 6&5
Al fine delle sue e lì ladro 125 1 accende amore; e tanto maggio, 330 »
Gridando: Togli, Dio, ché a tele aquadro. 125 S3\o A me a andando fare citraggio, 212 73
Ed egli a me; Nessun m'è fatto oltraggio, 2 2 sd
min E cede a tanto oltraggio. 353 oT
a Sì cho, se , nascosa nente accaffi. 121 64)» Più volte m'ha = eto passaggio; 2 2 #0
E Perd, se tu non vuoi de‘nostri graffi, 121 60) Che + phn a la in lor 127 is
r Poi l'addentàr con più di cento raffi; 121 S2\r Beles aioe | al doles o 1 10 199
più è più, ‘gotrava per lo raggio 333 63
aga Altro non è che di suo Jume ua S326 3
a Del mondo che ai più non s'allaga; 9 12 18 or discerno dal re c 2 16 131
Sciotillando a vista «) gli appaga, 331 20|s Perch'io mi volel al mio Conai saggio. 215 Ts
Ché la verace luce che le appaga, 3 3 32) Aiutami da lel, famoso 1 2 ee
Lei lo vedere, © me l'ovrare appaga. 2 27 108| Ma qual Gherardo è quel tu saggio 2 16 139
E te e me col tuo parlare appaga. 2 24 12) Hai contra te, mi quel disgio. 1 10 138
Altro vorria, è Kary s'appaga. 3 283 16| &a vuoi cam d'esto loco selvaggio: 1 i 68
A Che in verso "l «jel più alto si dislaga. 2 9 16) In rimpegverte « secol selvaggio! a 16 155
Che |" onestade ad ogni atto dismaga, 2 8 11]| Ecuced, com'as sel 218 vi
p Sentiva io JA, ov'e'sentia Ia piaga 2 24 26)|w Avvisando lor e lor vantaggio, il 2
Ed attenta, rivolta invér la plaga. 3238 11! (V. aorantavgio 3 26 ni 9-7
Se i barbari, vonendo da tal plaga 331 Sl] A te convien tenere altro viaggio, 116
E fanno qui” la gonte sor presaga, 3 12 16) Faceva a'plò continuo v 116 sT
6 Ma mia suora Machel mai non si smaga 227 104! Da lel saprai . = vita i 1 10 133
Quasi com'uow cul iroppa voglia amaga: 3 3 36! Ma a ch'ebber colto lor viaggio 127 le
v L'inteuto rallogrò, sì come vaga, 2 2 18 Facce adunque ve ib lungo 131 si
Rotante col suo figlio, ond'ella è vaga. 331 33) LÀ dove i" mgd dd queste a a si
Si che veggendola io so-pesa e vaga, 9 23 18) Così, rotando, 110 ss
Ed io all'ombra, che parea più vaga 3 3 34
A guisa del parlar di quella vaga, 812 14 Lal
O anima, dies' io, che par sì vaga 224 40/n fe di voleva dicer: Tu m'appagho: as ei
Ell'è de'suol begli vechi veder vaga. 2 27 1060] p Com : son già le om, 5 le cloque piaghe, 3 16 o
A me —~ gente e le diverse piaghe 13
age v Che de lo stare a ere eran mie renee, i re) 3
a Ma perché dentro a tuo voler l'adage, 225 28) S| che che tese mi fèr le 215 Ba
b Così un sol calor di molle brage a lo 10
© Che soverchia dell'aere ogni compage: 213 6 aoe
4 Quel ch'io or vidi è ritegoa l'image, 313 @ p Come Dio vuol che " debito ri paghi. ‘oe
Usciva solo un suoa di quella image. 5 19 @1 & Non vo' però, lettor, che tu U = 2 10 î06
Guizza dentro allo af o vostra image, 225 26 v Per veder novitadi, 'ond'ei son vag a 10 104
mS) fatta, che le geni lì malvago 810 17,
p Che sia or sanalor delle tue plage. 2 25 30; agi
Quindici stelle che in diversa plage 319 4 a Le donno si cavalier, gil affanni è gii agi, 2 24 200
| casa Traversara, è gli Anastagi; : ha 207
auel mLA dove | cuor son « malvagi. de 211
a Ma non so chi tu se', nè perchè agg, 3 6 197,
@ Ma nel commensurar de‘ nostri gage 8 6 118; agia
mCome, distinta da minori è maggi 314 07 a Batte col remo ue 6° i diii
Perchè non li vedem minor né maggi. 5 6120 Nepote bolo di la che ha nome A «4-4
E duo di loro in forma di messaggi 2 5 28 b Caron dimonio, con vecchi di b
r Che sl vela a'mortai con gli altrul raggi. 3 6G 129 d Chè la tua stanza mio planger 2 "= Leo
Per lo mio corpo al trapassar de’ 2 6 se en hen Rode VE RE ee A lo ba
M'apparvero splendor dentro a duo raggi 814 95. Forte piangendo, alla riva malvagia, À 2107
o leda vena pur coavien che i raggi 3 6116
arte, ch'io toglieva i raggi 2 27 65 ngio
a Galazala we 8 che fa dubbiar ben saggi, 3 14 99 dA Ch'avea mal suolo, e di lame 2
e
arl & yp Bou on
è & 83 mLa via é loo 01 cammivo è
¥ unga, malvagio,
di palagio,
= Frsasnaneesena SHSASSSSR ARSSLERTAESS SES FSR ARSSSSCSSASSMGSsssessssasssre*
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Romagna tua non 6, è f
Che, non gustata, non s'intende mal,
Quanto wool cosa, cho non fu più m
Ch'io non credétti rilurnarci wal.
Mirabil cosa non mi sarà wai,
Di vostra terrà suno; & sempre mal
Non so come, quassh non trewd mal:
5S), che non par ch'io ti vedessi mal
Ad altro forte. tosto ch'io montal,
Vocali è consonanti; ed io notal
Sordella allor: Ora avralliainio omal
E disso: Chord, scavi, ced:
Hispose, quagito più putremo Guam) ;
Lo Sol vi iustrerà, che surgo omai,
Ma la notte risurge; sil oramal
BP Ch'al somuo de'tre gradi ch'or parlal,
Co" pid ristetti è con gli cechi passal
Tragge cagion del luogo ov'lo pecocal,
Parlo, per li quali iu mi pensal,
Allor conobbi chi era, © pregal
Volgi la mente a mo. è prenderal
E dal colore è dal freddo primai;
Miligile jnestitiana, primai
r O ben creato spirito, che a’ ral
Or, come a'colpi degl. caldi ral
Riflettendo dn sé gli eterni ral.
Pid s'abbeallivan con mutui ral
E la mia Donna: Dentro da que'ral
Dritto levato. è feo rigpuardal
Provi, se +a; ché tu qui rlmarral,
Com’ lo rinaago sol, se non riatal.
Dunque che èt perché, perchè ristaii
Dal soinmo grado, tu la rivodrat
@ iù naturale, è d'animo; a tu "l mal,
Ceelllo, l'lauto a Varra, sé lo sais
Mi disas, riconuncimil, sa sai:
Che par me preghi quando su saral.
(V. idisconfortiai 1 & Y4) sconfortal
Qui fudicatis ferrim, fur soszal.
U Padre nostro, che ne'cieli atal,
Però trascorro a quando mi aveglial,
t E "l pentawmento in sogno trasmutat,
Vero è, che in su fa proda wl trovai
Ma per trattar del ben ch'i'vi troval,
Me per alchimia che nel mondo usal,
Per wiontar su, dirittamenta val,
Però m'arresto: nia tu perchè vail
Nel corpo ancora, in ver Jo clel ten val,
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E selmilmente l'anima |
44| Dintorno il | come la nais
si Du gg vita pric
r 4 i così come rali
36; V l'albo che per do fanne rata
37| La prima luce, ché tutta la raia,
33]|w Che "1 viso non risponde alla vent
16
Da a La
18 4g Hagger si vuole, ed avea Galigali:
16 58) E tanto più dolor, che pugne a gu:
21 67 pCh'io mi specchiava in esso, quale
6 46) Iiticomincid " curtess portinaio:
17 95) Cos discesi del cerchio primaio
18 AG) 14 ne veniuimo; è lo scaglion prim
8 49/8 E Galli, è quei ch'arrossan per lo i
17 607 w Gromle era già la colonna del Wal
U Gi
1 107 ain
Ji 85) a Sentilmi presso quasi un imuover d'
21 63 A quella foce ha egli or dritta l'al
28 91) E quale il cicognin, che leva l'ala
3071. ‘Tosto, sì che possiate muover l'ala,
160 656) (h'agguaglior si potesse alla mia a
2 86 Sì che possa salir chi va sen?’ ala
17 B3/c Or chi sa da ual man la costa ca
2 108) Né mal quaggiù, dove si inonia si
18 @l| Quel ne insegnate che men erto cal
3 47) D'abbandouar lo nido, e giù la cal
2 106) Qual verso d'Acherunte now si cala
a1 72 Se non com'acqua ch'al mar noo i
22 24/4 Lo monte, che salendo, altrol disr
26 B2/f Qual ti negasse ‘| vin della sua fi:
4 LB Dove page di Tevere s'insala,
8 82 mPfuvifici, che son senz'ira mala.
4 45 g Nol eravamo al sommo della scali
2 121) Mostrate da qual wand inwér Ja sa
31 68) Uno Indanil all'altro, prendendo la
17 ad Con un sol cenno su per quella sca
22 DE (he ti condure su per quella scala.
6 al Volgriuo i nostri pussi ad una bei
10 G1 La più rulnata via è una scala,
16 da nits im
11 1 =
32 70|* Vaggiono in Oriente, innanzi V'alb;
18 145)" Mi venne in sogno una femunina bi
4 7/8 Con le man monche, e di colore ac
1 &|
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10 48 c Lungs di sé, di notte furia e calo;
2 #80 Cul buon volere a giusto amor cav
14 11/f Tale per quel giron suo passo falc
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23% <s ss Perri 3 Suma 323 ba
gg Hill ci dba
= | of
Disse Sardello,
È: a guardia della valle,
O tu, che nella fortunata valla,
Bi fugee sufolando per la valle,
Gli abllater della misera valle,
Chern a veder per qualla cscura valle
E questo basti della prima valla
Là ovo torminava quella valle
Con la qual tu cadral in questa valle ;
Hispoe'lo Jui, mi sinarri* in una valle,
mitt
a Cha vergine, che gli cechi onesti avwwalli:
b A terra ed intra sé, donna che balli,
Disser: Uoverto convien che qui balli,
f Ch'io accusal di supra, è de'lor falli,
Bl ch'è forte a veder qual più al falli
@ La carve cogli uncin, perché non galli.
L'uno al pubblico seguo i gigli gialli
Volsesi in su' vermigli od io su' gialli
w Non altrimenti 1 cuochi a'lor vassalli
alia
b E come surce è va od eutra in ballo
o Ed avvegna cho, si come d'un callo,
Ricorditi, pp fe del cavallo,
E, sl comè visiere di cristallo,
E come in vetro, in ambra, od in cristallo
Sì che, se il Cancro avesse un tal cristallo,
£ Alla novizia, non per alcun fallo;
Usciro ad esser che non avea fallo,
Disse Sinone; o son qui per un fallo,
i All'esser tutto noo è intervallo;
a E sieti reo, che tutto "| mondo gallo.
Cossato avesse del mio viso stallo,
a Che‘) vostro mondo face, pria ch'altr'alma,
Quanta esser pucte in angelo ed in alma,
pCh'eis'acquistò on l'una e l'altra palma;
Perch'egli è quegli cle portò la palma
Ben sl convenne lel lasciar per palma
a Carcar sli vollo della nostra salma.
FITTE
a L'udire, sd a mirare ina dell'alma
a Come dicesse a Dio: D'altro non calme.
P Ella giunse è levò ambo le palme.
HA 09
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a 6 07
1594 49
a 8 119):
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estos. Sefosersi
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A ri @ Lo rivocal; al poco a lui ne calsa.
110 fr Immagini di been gy Bo,
1 39 le che porti non 100 falsa,
1 18 100|7 Ronde 1; sa poco giù Yas
1 20 Nel LI |
a 8 nite |
2 82117) Tal ia @ va con la teste &
a 10 dla tro ancora la
$17 61) mSì, ché per simil non seated la
199 67
116 52 nito
1 96 189), in luogo aperto luuinoso ed alto,
1 20 Se la lucerna. che ti mena iu
12 = 81 leva un colle, é nou surge molt',
131115 Baticans] a palme; e gridavan al al
i Ché fece alla contrada grande ass;
1 25 137 Mal non vengiammo in Teseo L'ass
2 14 al Quando chiamò, per tutto quell’ om
1 "o 85 6 Chu di vederli in me stesso n'esa
: i tal” Italica, che siede intra Rialto
417 #45 Vouga Medusa, o sl il farem di an
116 BI Quant'è mestiera Insipo al some i
S| colà diritto, sopra "1 verde snalto,
altro
228 67 a Mentre che si per l'orlo, uno innanzi
228 634 a Diceya: Guarda; giovi ch'io U sc,
121 63
d 6 68) anlw a
3 0 102 a Cred) per cerlo che, se dentro alla
121 67'c Non U potrebbe far d'un capel ca!
3 6 100 8 Sovr'esso Gerfon ti guidal salvo,
225 O66
121 665 alzi
a (Tanto son gravii @ chi Jirietro gli
im Or voglion quinci è quindi chi riv
3 25 109 8 Dellu Spirito santo, magri è soali
133 100)
1 30 118 "ini
133 06 b Con questo vivo gO di balzo la ba
929 260 Vilemi”) Duca mio, su per lo bali
3 25 101]1 Lettor, tu vedi ben com'io imnal:
3 215 105 r Con altri, che l'udlron di rimbal
399 23) Alor ai ruppe jo comun Fincale:
1390 118; Non tl maravigliar s'io la rincals
329 27]
190120] | Srl
153 log @ (iA era In ammirar che sl gli affi
Ondo a attrista sì, che "1 contraro
Che vede, 6 vuol dirillamente, ed |
Di quel Maestro, che dentro a dé |
3 0 110 Vieni a veder la genle quanto ea
ad 32 110 Più v'é da bene amare, e più via
3 “a ae b Ti Lirrd questa e ciascun'alira bi
a oe 142 lo cominelai, cune colui che brani
a an 131 | puvernasse, generando brama
do Ja 114 EW egli awe: Liel contrario bo fù
Spera ecc«llenza; e sol per ijuesto
Questi può dar di quel che qui al
2 6 8 S'avessi avuto di tal tigna brama
2 8 12 c Por salisfar al mondo che gli chi
2 8 10! Seliuvanzi tewpo grazia a sé nol,
ib anca
ci i
* Vedova, sola, 6 di è notte chiama: 2 ella
Non più Benaco, ma Mincio si chiama 120 77 iano
A Vedi come da indi si dirama 310 19]a E l'uno è l'altro coro a dicer: Ammo, 314 02
E ne la mia ragion non ti disfama, 215 70|f Anzi che fosser sempiterne fiammo. a 14 eo
f Fu mia risposta, se domandi fama. 132 92/mFPorta non pur per lor, ma per le mammo, 3914 64
E chi podere, grazia, onore, e fama 2 17 118
E latterati grandi e di gran fama, 1 15 107 mem a
Ancor ti può nel mondo render fama; 1 31 127 |a Quand'io che meco avea di quel d'Adamo, 2 0 10
A vergognar ti vien della tua fama. 2 G 117) Similemente Ji mal seme d' Adamo: 1 9115
gE sect di state talora esser grama. 120 81] Alla miseria del maestro Adamo: 130 @l
Priscian sen va con quella torba grama, 115 108) lo senti' mormorare a tutti: Adamo: 2232 37
1 Chà mal sai lusingar questa lama. 132 66) Ma voi prendeta l'esca, al cha l'amo 2 14 145
Non molto ha corso, che trova una lama, 120 79) Che all'ultime fronde appressavamo, 3 24 117
s Di lor magrerza è di lor trista squama; 223 239)|b Ed ora, lasso! un gocclol d'acqua bramo. 130 68
t L'anima santa di metter la trama 8 17 101|c Ed ef mi disse: Quel fu il duro camo, 2 14 1439
= © Disfrenata saetta, quanto eramo 292 36
nmbe | Fatti avea duo nel loco ov'eravamo, 2 9 8
D'un péecator ll pledi, a delle gambo 110 23 hy non so lo perché) nel mondo gramo, 180 bo
f Le piante erano x totti accese Intrambe; 1 19 26/1 Risonà per le spere un: Dio lodiamo, 334 119
@ Che sperrate averian ritorte è strambo, 1:19 27]|r DI fiori è d'altra fronda in ciascun ramo, 2 92 20
Iona appresso dell'altra, inn che " ramo 1 3 118
ame E quel haron, chà ob di ramo in rama, 3 24 110
b Sì sl atarebbo an a intra duo bramo 9 4 4| E però poco val freno 0 richiamo. 2 14 147
BA nna lupa, che di tutte brame ì 1 40) Per cenni, com' angel per suo richiamo. 1 8117
e Quand’ to intesi Ih dove tu chiamo, 222 S38\8 LA ‘ve gii tutti e cinque sodovamo. 2 o 12
a &\ of «starebbe un cane intra duo dame, 3 4 6
f Che luna parta e l'altra avranno famo 115 71 ampn
La qual mo ha "I titol della fama, 1 33 29]n La vipera, che ll Melaners acoampa, 2 8 60
D'un modo, prima si morria di fame, 3 4 | Che misuratamente in core avvampa. 28 64
Che lungamente m'ha tenuto in fame 310 26/1 Da lieatrice, è dalla sania Jampa 917 d
Be non come tristizia, o sete, o fame; 392 64/8 Così dicen, seguato della stampa a a
Con la test'alta, è con rabbiosa fame, 1 1 47) Segnata bene dell'Interna stampa; 917 4
A che non reggi tu, o sacra fame 2 20 40) v7 Per che mia Donna: Manda fuor la vampa 9 17
Così, per non aver via nè forame ì 27 19
M'avéa mostrato per lo suo furame 183 26 am po
# Voltando sentirei le giostre gramo. 2 22 42/0 Indi apirò: L'amore ond’ lo avvampo 925 62
SI convertivan le parola grame. 1 27 16/e Fin alla mina, «dl all'uscir del campo, 235 684
E molte genti fe river gramé. “1 A B1| lo vidi zià cavalier muover campo, 122 1
1 Ma do Li solverò ‘I forte legame, 932 50/1 Di quello 1 tremolava un a 25 #80
S'alcuna surge ancor nel lor letame, 1 15 76m E tal volta partir per loro scampo: 122 3a
» Ri che, con tutto ch'a' foase di ramo, 127 11
Hen so lo che, se in cielo altro roamo 319 29 an
Dentro all'ampiezza di questo reame 392 020 Jew aut Arnant, que plor e en cantan: È 26 142
6 Faccian le hestie Fiesolane stramo 115 79/4 Taw sn'otelie costréo cortet domnn, 2 20 140
vw ll vostro non l'apprende con velamo. 5 1D 30) Eu vel janew lo form, qu'eper, donan. 2 20 144
Che del foturo mi squarciò ‘I velame. 133 27 abe ’
ami e Quanto di 1À dal moover della Chiana, 319 93
a A mattinar lo sposo perchè l'ami, 3 10 141]d Più di speranza, ch'a trovar Diana: 213 153
credo che la sna madre più m'ami, 9 8 f Poi ei tornò all'eterna fontana. 3651 63
Rispose, che gran segno è che Dio l'ami; 2 19 140| Vader mi parve uscir d'una fontana, 233 113
b Le quai convien ché misera ancor brami, 8 75/1 E durerà quanto ll mondo lontana j 1 2 6o
_ Echi | per quel che tu più brami, 2 13 148) Da on principio, a sè da sò lontana? 233 117
Ma creder puossi, è di veder si brami. B1O 46 oral; è quella. 331 sil
© Di' a Giovanna mia, che per me chiami 2 8 Tl/m0 anima coriese Mantovana, 1 2 so
lai, come orologio, che né chiami 3 10 139) Pietola più che villa Mantovana, u la 683
Cagion mi sprona ch'in mercé nà chiami. 2 20 239|pli al rants non linscso, non Poana, 313 30
Quel che ta dà, perchè da dol sl chiami. 2 71283) fi'ereb'lo, che la ragione aperto è piana 2 18 485
Porch'lo VI 6 l'arta a l'uso chiami, 210 43) Ma @gil o me: la soriltora è piann; 2 0 D4
@ Equelch'er'entro al Sol, dov' io ontra’mi, 3 10 di] Kcominelammi « dir soave e piana, i 2 00
£ 0 eagroeante Vergini, sé fami, 220 OT) VI fees cu daduta, è Pietrapana, 132 20
Cex! in pace le tue fami: 2 27 117|r E come a gracitar sì sia la rana 152 sl
1 E 'lsonno mio con ess; ond'lo leva'mi, 2 27 119|s 5) che l'anlina mia, che fatt'hal nana, O51 60
& Dade volte sivarge per È 2 7191! Se ben ai rela con la mente sand, o a 36
Quel dolce pomo, per tanti rami 347 115)t Bestia, è Pistola mi fu degna tana. 1 24 120
CI ai fe I’ nar, sotto i verdì a 235 26 Agira I° piovri di Toscana, 124 122
Jacomo s Feterigo hanno i reami 2 Se mal la terra di Toseana, 2 19 148
Ch'a' miei propioqui tu ben mi rinfami. 9 19 150/10 luce, è gloria della gente umana, 2 39 115
8 Che, leggendo nel vico degli & 3 10 197) Ed in one mesa è l'umana, 219 37
Vita heetial nl pinegne, a non umana, i 24 124
aaa w Tu gli vedrai tra quella gente vana 219 101
d Per dicere a Virgilio: Men che a 230 46) Stara comuna che nl i vana, 218 sT
Sanz'essa non di dramma. 221 00] Sarebbe dunque loro speme vana! 2 e 33
f Conosco | I dell'antirn fiamma. 230 468) Pi apigolar sovante la viliama 3 1 n2 oo
DI seguitar la currnata Gamma, 3 23 110
Che mi scal.ilir, della divina fiamma, 221 Do nec
Per iguni modo nilentara la ma. 9 31 129/a DI compagnia 44 agni muover d’ ance, 1 89 n
Pert animo che infin di fuor r' infiamma; 9 89 199 tutta, ond’el al batto 'anea; 1 26
Che mal guidò Fetonte, più «infiamma, 251195) El Maestro ancor sus anca il 49
tm Col ll fantolin corre alla mamma, 230 44 b L' immagine di sun binnca, 1324 66
FK coma Ita, che inve la mamma 9 29 121|A Bolo li perento 4 quei la diefranca, © 7 To
Dell’ Kaeida dice; la qual mamma 21 O7 Ff Ch'lo cominciai rumé persona tranea: 1 2193
© Così quella pacifes oritiamma ~ 991 127 f Cante chiusi, polehe ‘1 Sol gl'imblanoa, 1 2 398
=4)
ur dal sinistro ed or dal destro flanco,
E quella a cul il Savio bagna ') fianco,
Ch* egli acquistavan, ventilando il Hance,
Qual'è quella ruina, che nel tance
L'acqua splendeva dal sinistro hance,
74|0 Così benedicendomi cantando,
26) Veni, sponsa, do Libano canta
52| Del grand'ardore allora will
18] L'apostolico lume, al coi comando
4| Trasso le nuove rima, z
Uli È + vabbiess altrui così conclando,
DI
di i ee Be
cessa:
anca ando
— 10-
| Perchè del luma suo poco s'imblanca; 9 7 81) Sederà qui dal mio sinistro fianco. 17 ©‘
ma Nol ci volgemmo ancor pure a nan manca 123 68) Quando Beatrice in sul sinistro fianco Ss 1 4
Lo villanello, a cui la roba manca, i 24 Tra tirannia si vive e stato franco. 1a? s
L'umana creatura; e s'una manca, 3 7 77|mChe dritto di salita aveva manco, 210 sò
s Ma per lo peso quella gente stanca 123 70) Là dove mio ingegno parea manco. 2 4a 78
Volgemmo, e discendemmo a mano stanca 1 19 41| Fosse 'l partire, assai sarebbe manco dio 20
Tal mi feo'io di mia virtute stanca, 1 2 130| O per tremoto, o per sost manco: ll 6
= Di quei, che a) pingeva con la zanca, 1 19 46/6 S'esser vuol lieto Assai prima che stanco, 3 10 24
u Aquila sì non gli s'alllaso unguanco. s 14
ance Certo, Maestro mio, diss’ jo, unquanco 2 4 To
b Usela di Gange fuor colle bilance. 23 6
Fan così cigolar le lor bilance 1 23 102 anda
© Andate, e predicate al mondo clance; 9 zo 110|b Che venia verso nol dall'altra banda, 118 8
@ Quant' io veggio, dolor più per le guance? 123 98) Virgilio mi venia da quella banda 213 Te
È quel tanto sonò nelle sue guanca; 9 29 112] La carne de‘ mortall è tanto blanda, 322 86
Sì che le bianche e le vermiglie guance, 2 2 Tio Per che qual lui, com’ ei comanda, 5 11 122
1 Dell'Evangello fero seudi e lance. 3 29 114|A E della gente, che per Dio dimanda, 323 63
r E l'un rispose: Oimd! le cappe rance 123 100| E però non attese mia dimanda; 218 71
Per troppa etate divenivan rance. 2 2 of Ii buon Maestro, senza mia dimanda, 118 6
Bappia, qualunque il mio nome dimanda, © #7 100
anche Già non attendere'lo tua dimanda, 3 8 so
a SI volge appunto in sul grosso dell’ anche, 1 34 77]|g Dal nascer della quercia al fr la ghiande. È mo 67
Maestro, dissi Jui, or mi di' anche: 1 7 @7| La dolorosa salva le è ghir 114 lo
Carcava un peccator con ambo I anche, 121 56| Le belle mani a farmi una ghirlanda. 2 27 103
Mettetel sotto; ch'io torno per anche 1 i 30/1 Perchè da nulla sponda s'inghirlanda: 2 19 BI
5) che in Inferno io credea tornar anche. 1 34 81| Fuordi quel mar che la terra laghirianda 9 0 Sa
Sì com'ai dice: « negli altri vilici anche 122 66/1 I’ dico, che arrivammo ad una landa, lia 6
b Cheà,cheiben del mondohasìtrabranche? 1 7 €98) Donna veder andar per una landa 227 de
m Nel fosso su, diss' ei, di Malebranche, 1 33 142|r Quivi fermammo i piedi a randa a randa. 114 IS
Del nostro ponte disse: O Malebranche, 121 27|a E per dolor non par lagrima apanda: 110 #4
a E che già fu, di quest'anime stanche 1 7 665) Di pentimento che lagrime spanda. 2 so 145
La lingue lor non si sentono stanche. 122 co] La maggior valle in che l'acqua si spanda, 9 ® GS
m Chè Branca d'Oria non morì unquanche, 1 89 140| Che per diversi salti non si spanda: 3 31 198
=z Volse la testa ov'egli avea le zanche; 134 79]|w Ma il suo peculio di nuova vivanda a 11 124
Non era giunto ancora Michel Zanche, 1 33 144| Se Lete si passasso, è tai vivanda 2 so 143
Usa con esso, donno Michel Zanche 122 868 nda
ancl b Lure con luce, gandiasa è blanda, 22 2
f MI parea lor veder fender lì fianohi, 1533 30|g Fe' savorose con fame le ghiande, a 89 140
1 Vuo' tn che questo ver più ti s'imbianohi 72 8 112| Volgeanel circa noi le duo ghirlande; 212 20
1 Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi 133 32) Cos) vid'lo l'un dall'altro grande Sas s3
m Che muovon queste stelle, non sco manchi, 3 8 110| Poichè "l tripudio è l'altra festa grande 3 18 ss
a In picciol corso mi pareano stanchi 1 33 34) Godi, Fiorenza, voli che se’ sì granda, 1290 1
Che la natura, in quel ch'è uopo, stanchi. 3 8 114| Per ch'egli è glorfoso, e tanto grande 2 2a 153
P, Presso al compagno, l'unoali’altiro pando, 9 28 MD
ancin ‘i Laudando il cibo, che lash si pran 20 sm
b Che d'ogni colpa vinse la bilancia. 3 135 42/8 È per lo Inferno |l nome tuo si spande, 120 3
Per suo valor, che tragga ogni bilancia, 39 G @2|w Mele è locuste furon le vivande. n 23 181
o Non prendano i mortali il voto a clancia: 3 6 G4
& L'altro vedete eh'ha fatto alla guancia 2 7 107 avanshd
Pol gli addentò e l'una e l'altra guancia: 1 26 b4la Or vo' che sappi, innanzi che più andi, 3 4 @
Sì che mi tinse l'una e l'altra guancia, 131 2|d Più geudioso a te, non mi dimandi, Sis sa
Si trasse per formar la balla guancia, 315 38) Lo buon Maestro a me; Tu non dimandì 1 4 Gi
f Che tragge un altro Carlo fuor di Francia, 2 20 71| Mostrarti un vero, a quel che tu dimandi 9 8 00
Padre e suocero son del mal di Francia: 2 ‘ 100|]g Sua providenza ln questi corpi grandi; & 8 so
1 Ed in quel che, forato dalla lancia, 919 4 Ch'avean le turbe, ch' eran to è grandi 1 4a mM
Sens’ arme n'esce, è solo con la lancia 2 20 73) Tu credi ‘i vero; chè i minori a i grandi ® 3° di
Così od’ jo, che soleva la lancia 131 4/plInche, prima che . ll pensier pandi, 8 6
E quindi viene ‘i duol, che sì li lancia. 2 711|a Ben, che tutto ‘1 regno che tu acandi 9 8 07
Ed un serpente con sei più si lancia 125 5
mPrima di trista e poi di buona mancia. 131 6 ando
Come fu Jepte alla sua prima mancia; 3 6 #66|a La rivestita voce alleluiando; Boo 10
Pp Co' pià di mezzo gli avvinse la pancia, 125 52] Deus, venerunt gente, alternando *s3 1
Sì, ch'a Fiorenza fa scoppiar la pancia. =—2 20 75] Verace amore, è che poi cresce amando, 310 B
Udendo quello spirto ed rando; È 4 la
nuco Allora ‘| mio Signor, quasi a nd î 7a
a Venimmo, alpestro è per quel ch'ivier'amoco, 1 12 2| Egli si mosse; è pr così andando, : 10 134
Lassi non eran mossi i più nostri anco, 210 28! E vidi apirti per la fiamma andando: ss
8'io riguardava in lei, come specchio anco. 2 29 69) Allor el mossa contra "| fume, andando 2 mo Pi
Or té ne va': è perchè se‘ vivo anco, 117 67 Suso andavamo; ed lo pensava anda = 1a ¢
b Quando scendean nel flor, dibancoinbaneo 3 31 16| Con gli ocebi a terra stannosi ascoltando, 2 31
Or ti riman, lettor, sovra ‘i tuo banco, 3 10 22] Ma che s'arrestin tacite, ascoltando s lo so
Venire appresso vestita di bianco; 2 29 65 b Mi qui laggià, sovra ad ogni altro bando, 9 o «db
Tal foce; « quasi tutto era là bianco 3 1 44| Piàch'I' non deggio, al mio usetr di bando 2 SI =”
Conduce il leoncel dal nido bianco. 1 27 60) Dell'umana natura posto la bando: i |
nato nvea lo suo sacchetto bianco, 1 85) Cotal, qual io la lascio a bando, ® da
E l'ala d'oro; è l'altro tanto blanco, 3 14! Quale i beati al novissime z os
f Dall‘ un, quando a colui dall'altro fianco, 2 se dai
2
Fe
È n=
selon
wo
5
ando
a E dirizraimi a lui sì dimandando:
Se fosse pieno tutto ‘| mio dimando,
Pol comincid: lo dico è non dimando
Contra ‘1 disto, fo ben s'lo non dimando.
Allor ch'io feci il subito dimando,
E quella non rispose al suo dimando;
Ed jo lo soddisfaci al suo dimando.
Questa chiese Locia in sno dimando,
Gridaro a noi: Qui è vostro dimando.
Ch'aver si = dilstto dimorando,
Facimi quale è quel, che disiando
Per le selvatich' ombre, distando
© E passeggiar la costa intorno errando,
E Da indi abbraccia '1 servo, tulando
Però si parton Soddoma pak er oy
oe squardando 2 6 65) guardando
i Stern:lmi tu ancora, incominciando
1 Le donne incominciaron lag do:
mDi questo impedimento, ov'lo ti mando,
Indi la cima qua e lA monando,
E divieto è consorto menzionando ?
n Gonone RA a gig +
per o Magno, + r O,
ea 7 a terribiiments Orlando. sa
pc ponte in ponte altro parlando,
Che dice a Molsè, di sà parlando:
Non per’ visti, spiriti, parlando
8), la viva luce passeggiando
8) fe «) chiaro, ch'io dices pensando:
Più dietro a sua bellezza. pootando,
Fummi, e fammi nutrice postando:
Pur Virgilio si trasse n lel pregando
q@ Compartendo la virta a quando a quando.
Lo Sole, ed jo non m'era accorta; quando
ù cascherò lo altresi, quando
Ma fa tra uno ed altro quando,
Ed jo a lul: I mi son un ché, quando
Veoimmo; s tenavamo "l colmo, quando
E dentro all'un sentii cominelar: Quando
Gittà vacs di fuori, « disa: Quando
Tal mi stav'lo. Ed olin diese: Quando
Ma quella oni’ jo aspetto ll come è *) quando
bal
per sssar vivuto di 1h quando
Ove s'appunta ogni ubi ed ogni quando.
Di quel Koman, che vi rimaser, quando
Dopo la dolorosa rotta, quando
P Di ta, ed jo a te lo raccomando.
E dietro a nol l'andò relterando.
Mo su, mo giù « ne predeesiagda
SÌ tacque gu o
E pas ù
Nel tempio del suo voto ardando
Poeta volsi | ripensando
Lo ciel venir più è più rischiarando.
Vidi mooversi un roteando;
E l'Aretin, che rimase tremando,
DI ciò. che già Cesar, trionfan
v Ed l'aura vorgognando.
Com' occhio segue sno falcon volando,
La prima voce, che passò volando,
o con trombe, e quando con campane,
nata Intrò, sl come cane;
d Quando ful desto innanzi la dimane,
£ Pure secoliando, timida si fano ;
Cirinito sannuto, s @
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TR ARSA eS ase RE R AH AA O SEuSEsa ns ase Bae
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3 Beato 38,
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493|t Che tutto intero va sopra le tano.
Ma né di Tebe forie, nà Troiano
u Non punger bestie, non che membra umane,
Prende nel core a tulla membra umane
w Ch'a farsi quella per le vene vano.
07|f Allor diese ‘1 Maestro: Non «i franga
P Credo che un spirto del mio magre pianga
r
r Attendi ad altro; ed el 1h al
ange
Ana.
so © Donna è gentil nel ciel, che si complange
f — costa, JA dow’ ella frange
‘oro glodicio lasst fra
E Come fa questo tal volia di Gange.
Pp rta Sola, e dirletro le pane
t vostra miseria non m
nang!
Nel mondo snso ancor lo te ne cangi;
re
tange,
e
m Odio sovra colal che tu ti mangi,
P
Che se to a raglon di Jul i piangi,
nugo
Dinanzi mi si fece un pien di fango,
f
P Rispose: Vedi che son un che piango.
r
Ed jo a lol: S' 1 vego0, non rimango;
angue
È Perch enn gente impera. of alive fang
“one mi er anguo
Quaggih, dove l'afsuto nostro. .
n Di gente in gente, a 1 one in altro nanguo.
O poca nostra nobilià di sangua,
ani
a E già, per pu splendor! antelucant,
Buona umiltà, © gran tumor w'applani.
e o: Via con gli altri cani.
Urlar gli fa la ia comes canl:
Non alU tewemth | «tai | cani
rac IT
n a
Vinca tua g i movimanti umani:
a A retro va chi di Vv affanna.
fone So eae ae career MI
[al
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7 = = al — ee de
Be wo Sdb2eserSeer sekeiesesensseescesce
Pro
su
DIL
La virtà, ch'a on discorso ammanna,
DI quel, che il ciel veloce loro ammanna,
DI contro a Pietro vedi seder Anna,
Sapere, e di color, che in sè assanna.
© Congli altri. innanzi agli altri apri la canna 1 28
Ov" avant giustizia che ‘1 condanna?
Tal colpa a tal martirio lui condanna:
E diese: O tu, cul colpa non condanna,
O madre sua veramente Glovanna,
E, ss l'antiveder qui non m'inganna,
Se troppa simiglianza non wm‘ inganna:
Con lui sen va, chi da tal parte inganna:
r
Che l'obbietto comun, che "| senso inganna,
m Da" oggi a noi la cotidiana manna,
Quel duca, sotto cul visse di manna
Ma per amor della verace manna,
n Colul, che mo si consola con nanna.
© Fan sacrificio a te, cantando Osanna,
E nelle voci del cantare Osanna.
Che non muove occhio per cantare Osanna,
e Or tu chi se’, che vuol sedere a soranna
Con la veduta corta d'una spanna ?
da vd Da
© La gills dentro alle bramose canne.
ale che aperse è mostrocci le saune:
E "1 Duca mio distese le sue spanne,
sun mi
a In non corar d'argento nè d'affanni.
S'arresta punto, giace poi cent'anni
Che fe’ Cicilia aver dolorosi avnì :
Kofferse, e pol l'inferno da due anni.
Qual fir i vostri antichi, e qual fir gli anni,
Ma disse: Taci, è lascia volgor gli anni:
Nè hanno all'esser lor più 0 meno anni,
Già discendendo l'arco de‘ miei anni,
Lasciala tal, che di qui a mill'anni
DI questa fiamma stessi ben mill'anni,
L'un degli quali, ancor non è molt'anni,
Ravenna sta, com'è stata imoll'anni:
Per la novella età, chè pur nove anni
Egli è Ser Branca d'Oria; è son più anni
Da qualche parte il perialto l'assanni ;
da F chiamata; e ful degli alirui danni
Ché va piangendo i soci eterni danni.
Come all'annuntio de' fautori danni
Quivi al piangon li epietati danni :
Giusto verrà dietro a‘ vostri danni
@ Così di contra quel del gran Giovanni,
Moist, Samuello, è quel Giovanni,
Che quei, che son nel mio bel San Giovanni,
Ditemi dell'ovil di San Giovanni
i Ma pria che "1 Guasco l'alto Arrigo ingan-
[mi,
M'ebbe chiarito, wd narrò gl'laganni
lo credo, dissi lui, che tu mn'inganni;
E perchè tu non eredi ch'io t' Ineanat
E se ta credi forse ch'io l'inganni,
P Però va‘ oltre: i' ti verrò a' panni,
Con le tue mani al lembo de' tuoi panni,
E mangia e bee è dorme a veste panni.
S Tra esso degne di più alll scanni ?
Dalla donna del cielo, è gli altri acanni
Non hanno in altro cielo | loro scanni,
E questo fia suggel ch’ ogni uomo sganni.
t E'lgran Centauro disse: Ei son tiranni,
za guerra ne'cuor de'suol tiranni;
v Sì che Cervia ricopre co’ suoli vanni.
FOLLIA
@ Per ina diffalta in pianto ed in affanno
ni ritrae, cadere in più affanno
lo gli risposi: Ciacco, lo tuo allanno
ln quella parte del giovinetto anno,
Quante sì fatte favole per anno
dA Voglia assoluta non consente al danno ;
Con tristo annunzio di folaro danno.
Ben son di quelle che temono il danno
A far lor pro, od a foggir lor danno,
E non le scusa non veder lor danno.
I cond Omberto. E non pare & me danno
Udir come le schiatte sì Arstanno,
E ciò che fa la prima, è Valire Tanne,
— 73 —
229 40 DI sotto lui cothata cerna fanno; sa ®
2 23 107| Che la forza al voler si mischia; è fanno 3 4 107
3 92 133) Tatti I’ ammiran, totti onor gli fanno: 1 413
1 18 09| Chel’anima col corpo morta fanno. iw Ww
“e Guivi le breathe ange lor nido fanno, a 4 4
3 10 come i peregrina fanno,
118 6065| Perchè ‘i tarbar, sotto da sò fanno 228 07
128 70) KE quelle cose, che di lor al fanno, a 71s
3 12 GO| Se non che i cenni altrui sospicar fanno; 9 12 199
2 23 100) Che di nu dono, 6 di sotto fanno. s 2133
128 72|h Creata fu la materia ch'egli hanno; a 7 ise
118 67) Ch'onora te è quel ch’ udito l'hanno. 1 21%
2 20 47) Quelle fore selvagge, che in odio hanno, 115 6
2 11 18| Suo cimitero da questa parte hanno 110 13
3 22 131 Le distinzion, che dentru da sè hanno, s #2118
3 12 B4| PFoscia che le cittadi termine hanno, 316 be
2 23 111|1 Fer lo qual non temesti torre a ingamno 1 10
211 11' mae ella tratti seco malanno, 21 @
220 61!) p Che le cappe fornisce poco panno. Sil is
3 32 145 r Che ni volgono ad essa è non ristanno; 289 18
210 70\e Vidi Il maestro di color che sanno, 1 als
5 10 61, SÌ che la pecorella, che non sanno, 3 fe 106
Semplici a queto, e lo perché noi sanno; 2 S MB
Quasi acornati, è risponder non Sanna, il” ©
1 0 27 "io ne mori’, come | Sanesi sanno, ali «&
1 e 29 d ezli a me: Vedrai quando saranno 1 6 16
1 6 25) Venn! quaggiù dal mio bealo soanno, 1 213
E come quinel il glorioso scanno ss =
Che non pur non fatica sentiranno 2 12 139
3 17 Si] Ad una, a due, a Ure; e l'alire stanno 2 39 BO
1 15 36) Tal mi fec'io, qui son color che stanno. il” sm
112108) Chéeinnanzi agli altri più presso gli stanno. 1 4 156
3 32 33) Ché tutte questa a simil pena stanno i 0 si
210 23| Di wito i semicircoli, sì stanno aan sé
3 © £4/t Quando di Giosafat qui torneranno 110 11
3 4 33 v Che, quanto po-son, dietro al calor vanno, 2.28
2 19 114] Allor fec'io coma color cha vanno 2 19 is?
214 #5) Comincia io; ed agli: Ombre che vanno 229 14
2 27 26) Questi organi del mondo così vanno, ® gs isl
116 10| E vagabonde più da esso vanno, ® 11 159
1 27 40) Parlerei a que'duo, che insieme vanno, 1 5
3 17 Bo! In questa stelle, che intorno & lor vanno. 8 7153
1 93 197| Come son ite, a come sa ne vanno sie w
214 69] Egià le notti al mezzo di sen vanno: im 6
2 13 110) Ma dimmil, se to sai, a che verranno i a oo
1165 42) Per quell'amor che i mena; è quei verranno. 1 8 79
214 67
1 12 108) nuo
3 9 6 a Di nostra Donna in sul lito ndriano. O21 188
3929 gal) L'alto preconio, che l'arcano oro si
5 4 20| Traversa un'acquac'hanomel'Archiano, è 8 60
119 17)b Troncandos)i co’ denti a brano a brano. 1 7 114
9 10 26, zn Giiacsrare a Suna a bet iia 4
317 #82 6 Ché ciascun ono nimico era cristiano,
9 @0 2) Parte dall'altra, del popol cristiano; è "i 4‘
133 150) Per te poeta fui, per te cristiano: a 73
2 19 112|4 In quel loco fu'io Mier Damiano, 321 is
u 27 28;)£ E fa'saper a'duo miglior di Fano, lms 7%
115 40. Casare ful, e son Giustiniano s e 10
227 so i Atamante divenne tanto insano, im 4
159 141| Che infina ad essa gli parire invano. Ss 1 12
916 27) Per le rotture ranguinenti, invano. 1 19 133
332 20) Molta virth pel ciel sarebbe invano, 210 17
3 4 #81) (V. cand 2 0 Si) invano
119 21| È Pietro Mangiadore, a Pietro Iapano, È
1 12 104 1 Avendo guerra presso a Laterano, 1 di
1 27 98| Stupefacànsl, quando Laterano asi »
127 42) Di quella valle fu'io Mttorano, a » +3
Che fuggia Innanri, sì che di lontano, ? 1
| Quanto |] senso s'inganna di lontano : 71 nm
2 28 965) Forse seimila miglia di lontano, a3 a
3 4 111) Ancora era quel popol di lontano, 2 Di
1 @ 68| Pungo, se ode squilla di lontana, ae 6
124 1} KE se dal dritte più o men lontano 22
3 20 104] Le cosa, disse, ne son loniano: 70 103
9 4 109] Ovidio è "1 terzo, o l'ultimo è Lucano, ì a @
113 19|mAndar carcala da mano, i
9 11 130] Surta, che l'ascoltar chieles con mane ® ° ®
1 2 110] Quanto al percotean, non pur con mana, ì Ts
3 29 108] Quanto on buon gittator iramia cun mand; 9 3 @
@ 11 67| Non fu nostra Intanzion ch'a destra mano DET
ala Tai A voutra Cacallata, a piedi è mano 3 hi |
a n ai TA una wat sveva in manda, i
ano
— ——
Ch’ ebbe i nimici di suo donno in mano,
Le setie ninfe, con quei lumi in mano
Govern’ Il mondo lì, di mano in mano
Mira colui con quella spada in mano,
A colorar distanderò la mano.
Ch'alla prim'arte degnò por la mano:
Ma distend| oramai in qua la mano;
Pol caramente mi : mano,
Presemi allor la min scorta pes
Tanto sen va, che fa meridiano
Natan profeta e il metropolitano
E giù è su dell'ordine mondano.
Con questi Fiorentin son Padovano,
Vide terra nel merso del pantano,
Vidi genti fangow in quel pantano,
Denar si tolse, e lasciolli «it piano,
Sa mal torni a veder lo dolce piano,
Fuggsnds a piede e sanguloando il piano.
na già l'ombra quasi al letto piano,
Nol andavam per lo solingo piano
DI nostra via, ristlemmo su in nn piano
Rispose: Andiamo in là, ch'ai vegnon plano:
Nel et 2u0, sd nun suo prossimano,
em quel Roma onde Cristo e Romano,
n E di Fiorenza in 1 giusto è sano,
E laliro che Tobia rifaca sano
Qui sarai tu poco lampo silvano,
Nè mercatante in terra di Soldano:
Vidil seder sopra 'l grado soprano,
Oridando: V il cavalier sovrano
Ne'tinoi amori a Dio guarda il sovrano.
‘+ Marattier fa non picciol, ma sovrano.
Quegli è Umero poeta sovrano,
Aeclocehé "| fatto men ti pain strano,
t Per Semelè contra ‘| snegho tebano,
Lo Genovese parts dal Toscano.
a E Santa Chiesa con aspetto umano
LÌ, per fuggire ogni consorzio vmano,
Misurrebbe in tre volta nn corpo umano:
lo ched era al ifivino dall'umano,
Ed io nali: Per intelletto umano,
Nulla sapem di vostro stato umano.
Torna giustizia, e primo tempo umano:
E Sisto « Pio è Callisto ed Urbano
wv F vinse, è vi laselò suo corpo vano.
LA, dove il nome eno diventa vano,
Che, na l'antivedar qui non è vane,
Quando *appresano, 0 son, intto è vano
Fertilemente; ed ora è fatto vano,
Dalla ana sponda. ove confina Il vano,
D'entro alle leggi trasai I) troppo è "1 vano,
Ch'io dirizzava spesso il riso in vano.
Quand'io Iincomincini a render sano
K cortesia fo Ini esver willano.
Sapp! che ‘I mio vicia Vitaliano
names
a Ché la natura del monto ci affranse
mQuali si fanno rominando manne
p le cime, Innanzi che sien pranne,
@ Col dire, « con la luce che m'ammanta;
e pa è diede il punto con Calonnta
Nel modo che il sezuente canto canta.
Ma l'altra che volando vede è canta
Euripllo ebbe nome; « così "l canta
~ mee a aie abiee. Piar. che con lui canta;
i] gente, angen
Facora dir l'un No, |
cea che n si sea. -
A ma; ni non sl can
lo nos ln intrel ad quaggià si canta
Al sno Leon cluquecento cinquanta
E la bontà che la fece cotanta;
Pp Udito questa, quando alcana pianta
lo ca o seminar la boona pianta,
tA, che di colmi è pli
La tna
Galore eggento, s'innovò la ta,
Tant'è same eno minor la pianta,
DI lor meresme, a non tocehin in planta,
DI non celar qual bal elsta
lo fui radice della mala planta,
8
os (38, wae
Cade virtà nell'acqua, e nella pianta
A rinfiammarsi sotto JA sua pianta
E di eni è la invidia tanto pianta,
q Dinanzi parea gente; e tutta quanta,
lo vidi una di lor tre
37
46 b Mentr’é di qua, la donna di Brabante,
1050 Affatto al ano placer quel contemplante
1922
2 39
a 0
1 4
2 22 75) Più grata fla, per èsser tutta quanta:
5 12 1230) en lo sal tu, che la sai tutta quanta.
1 393 148) Né la nota soffersi tutta quanta.
1 31 28)s Lo carro a | buoi traendo l'arca santa,
ì 19 150| E saper , che la cam santa,
3 ® Go) Finito questo, l'alta corte santa
3129196) (Che solo all'uso suo la cre’ santa.
9 10 21| Come la carne gloriosa è santa
1 17 TO| Dentro al suo raggio la figura santa,
120 | MI «) mostrava la milizia santa,
1 $7110) Al parto in che mila madre, ch'è or santa,
122 85) In fame s in seta qui si rifà santa.
128 74] Giù per 0 gradi detta scala santa
2 5 ®0| In ent rivivn ln semenia santa
390 3) DI Gioscè in su la Terra Santa,
2 1 118) SÌ, che boon frutto rado no ne nohinnta.
210 20) (Qualunque ruba quella a quella schianta,
2 3 05) E frutto ha In od, che di la nos si schianta.
i 93 140|t L'ardor la vision. a quella è tanta,
2 32 102) Pu fatto li wide di malizia tanta.
9931 20| Ch'to atlenda di th, ma perché tanta
0 4 #48) 9 Costanza di marito ancar si vanta.
o ga asd anto
2 9 680 a Faser baciato da cotanto amanto,
117 72) De'miei maggior mi fr +) arrogante,
326 48, E vidi ie fiammelle andare avante,
1 22 #87) Quel giorna più noo vi leggemmo avante,
1 4 BBI tiia'‘danti morsi della morta, hvanta
131 30) Mi diese, "1 visa na poco Avante,
130 2) Sacco vapor non eorge avante
3 0 80, Allor porsi in mano un poco avanta,
D 4 40| Che ai chiama Acquachels suso, avante
i 20 685 gni nomo obbi In Aiepetto, tanto avanta,
210 24 ndo nol fummo fatti tanto avante,
331 egersi
3 20
110
2 22
327
1 20
2 6
128
110
#21
210
Do
2 o
a 8
i au
117
71,4 Che già nuova quistiuni avea davante.
44| Che quella di colui che qu è davanta :
87) In che el mise, com'era darante.
97) (hè tal è sempre qual era davante,
78) Ch'le "l vedea come "1 Sal foano davante,
103 Ch‘ ella cli vide ri davan
219! Verehd valle è davante,
22! er ch'io ml volal, è vidio! davante
12! Che quantanque lo avea visto davante,
B4 Che mi semiara pietra di diamanto.
7, Pol i rivale tutta dislanto
150| Che soto ll fame mi facen distante
@8 © Che più savio «i te già feos errante,
Addimands, ma contra ll mondo errante
Chi crederehhe giù nel manda errante,
2 27 TU? Ma coma d'animai divegna fante,
227 76 KK silo in Campagnatioo agni fanta
227 TS Ii quetia sorss sespigilata fante,
Pure a quel ch'io ricordo, che d'un fanta,
lor mi pares si rinnte
S21 66 gla virtà ch'è dal coor del groneranto,
120110 Vidi di costa n lel dritto un ta,
3 5199 Onde ri a noi Dio giudicante
291 4 | Creata f la virth informante
1 20 112|1 Prima da monte Vaso invèr levanto
3 7 125 0 5) che walla le emerr Ostante.
2 22 Gip Ché la Ince «divina 4 penetrante
210 60, Dirtro alle poste delle care pianto.
3 24 114) l'anima d' brute è dal oe
anzi 02) Qualche fra oe ad glande,
2932 01) Foepra questo lenava nima lo pia
D SI S| Quella csì cape, e qualia con te piante
Capo, 6 con #
è 28 110 Ja fageltò dal wu info te piante.
D 24 110, Or ha "1 vicario di Pietro le parte
3 Di27) la greve e poneram la piante
292 Go| Del qual li te ee
2 7 127 q N cominalà: Le dass intta quan
1 16 74) Come libero fui da tatta quanta
229 60, Anime forinnale tutta quanta,
220 43° Camblandost bo membra Intie quante |
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dr RSI IS) CS ee pt pri SI pre ee ee ee ee ee ed
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— È —
Col viso ritornai per tutte quanta 1 Già montavam su per gli scaglion santi,
Conobber l'altre, e seguir tutte quante, Vennermi poi ndo tanto santi,
Elle giacean per terra tutle quante, scaldi, «lo vo'oredere a' sembianti,
a Sì cha a'avacci "1 lor divenir sante, Colul che più sled'alto, 6 fa sembianti
Lo io e il moto delle luci sante. La lor concordia e | lor lieti sembianti,
Fossa la quinta delle luci santa!
LI raggi delle quattro luci santa
Piover, portata nella menti sante,
Sicuri appresso la parvle sante.
E cominciò queste parole sante:
Di grande autorità ne'lor sembianti :
Quelle stimando specchiall sembianti,
Lo viso mio seguiva i Egr
—_
Seusteces
~ ~
vbsesisaseni
Loy sto jo con quel, che le tre santa 94| Cho per vederti ha mossi tanti.
*i tronco suo gridò: Perchè mi schiante ? 33/ Farsi, e doccar di vapor trionfanti,
Avena di vetro e non d'acqua sembiante. 24 cileni
Lo ciel del giusto rege; ed al sembiante
E di tratti pennelli avean semblante:
La creatura, ch'ebbe il bel semblante,
cserutotrbvaosli
ii
ta
-
=
m
30
27
E noo fe’ motto a noi; ma fo" sembiants 8 101 a ice
Qui ai tacette, e fecemi sembiante 9 64) Ristaro, è trasser sè indietro alquanto; ol
Vedi Tiresia, che mutò sembianta, 20 40) Da ch’ ebber ragionato insieme alquante, e7
Turbato un poco d'ira nel sembiante; 28 146| Ed anche la ragion lo vede alquanto, 43
Gli occhi drizzò vér me con quel semblante, 1 101| Per lo rewunerar, ch'è altrettanto. 42
Non perchè più ch' un semplice sembiante 39 109| Pid e men distributa, ed altretianio. (1)
mante si
Né mi mostrò di Dio tanto sembiante. Non sapendo "| perchè, fero al i
Lo suo tacere e ‘l tramutar semblante
Tal, ch'io sorrisi del «ao vil semblante.
Portava, a'suoi capegli simigliante,
Che l'universo a Dio fa a
Che mosse me a far lo simigliante.
(V. simigliante) somigliante
Ed or s'accoscia, ed ora è in piede stante.
& Né corruscar, nè figlia di Taumante
La booca mi baciò tutto tremante:
S'appresenti alla turba trionfante,
w Ea Fori) di quel nome è vacante,
Non la fortuna di primo vacante,
Ma perchè l'occhio cupido è vagante
Di tanta moltitudine volanto,
Di sua vittoria e del papale ammanto.
136|o Se non gli è rotto il cerchio d'alcun canto
Li nostri voti, e vòti in alcon canto.
Di quel signor dell'altissimo canto,
Memoria, od uso all'amorvao cano
Tre sovra il t4mo, ed una in ciascun canto.
La luce in terra dal mio destro canto,
8ì che m'inebriava il dolce casto,
Sì com'io taeqol, un dolcissimo canto
Come l'avrebbe trasmutato ll canto,
Ri persesas dal tages Li pria aa
percosse primo can
Come i pastor che prima udir quel canto,
Sì condnelò fra questo ansie;
Questa è Mogera dal sinistro cauto:
Ora conosce ‘| merto del suo canto,
Ca ho go Rene Ro to to LI do Ca LI CO e De E e a dt
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Fae oebeeS® Bee R oe
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hel bel eked LL td ot ot) et) eh I SU God dd to to ito
Che sorridendo ardea nagli occhi mani. a a 2 | fal mezzo in giò, no mostrava ben tanto
Paceano esser cagion de pensiar santi SL. Ma tumenia monte sallo ver lo clei tanto,
Ch’ aveano spirto sal di pensier tant) 3 20 16) E who Mask varia di tanto.
Lal
i
LL
10
12
133
140
16
do
a Francesco e Povertà per questi amanti 311 74) E dar materia al ventesimo canto 3
Un corollario voglio che t'ammanti, 3 81538) Sedisaper ch'io sia ti cal cotanto, 67
O dolce amor, che di riso ( ammanti, 320 13) Sanza sua perfezion fosser cotanto. 45
Negli atti l'altre tre si fero avanti, 2 31 131] XK Jo spirito mio, che già cotanto 34
Gli tolee ") trapassar del più avanti. 3 27 75) E questa vorte, che par già cotanto, $5
E pol che fummo un poco più avanti, 213 49| Dell'Ortolano eterno, am'lo cota sa
E disse: Pria che noi siam più avanti, 1 31 20] l’vacia che il grido t'ha nosso cotanto; 10
E nulla vidi; e ritorsili avanti 3 3 22/m0 in eterno fatleoso manto | 7
venni voglia di trarreti avanti, 228 40 a ch'io fal vestito del gran manto: è
E 1 diavoli ai fecer tutti avanti, 1 21 94) Ialluogoin già dov'uo s' allibbia il manto, se
e E che non muove bocca agli altrui canti, 2 7 63) Donna w'apparve, sotto verde wants sì
Vie più lucendo, cominciaron canili 320 11|p Che si bagnara d'angzoscioso pianto; è
Traemuoci così dall'un de'canti 1 4115) Sleh'io non posso dir, se nou che pianto LÌ
Che s'appressavan da diversi canti. 1 17 128| Poi sospirando, con voce di pianto, 63
Vidi quivi a'lor giuochi ed a' lor canti 391193) Della na dell'eterno pianto, “
Dalle infernali! chè quivi per canti 2 12 115| Noi ci allegrammo; è losto rt! pie po 158
E tornan lagrimando a' primi canti, 2 20 47| Dinanzi a noi chiamar così nei pian l 20
Tanto ch'io possa intender che tu canti. 2 28 48| Non odi tu la pieta del avo pianto? 1 21009
Ch'io ritrassi le ville circostanti 3 22 44] Con loro insieme, intenti al tristo pianto: 2129 ©
oestl altri fuochi tutti contemplanti 2 22 46| Tornate già in su l'usato pianto. ® 20 144
eggondo sè tra nemici cotanti, 1 21 060'q Lumi, li quali nel quale è nel quanto s 2°
d E raccostiri a mo, come davanti, 2 26 49) Or perchè in circulto lutto quanto = 20 103
Uno manendo in nè, come davanti. 9 20 145) lo ora già disposto tutto quanto igo 4
Ur quel che l'era dietro t'è davanti, 3 8 1560 \g Poi ripigitansen nostro cammin santo, 2 20 143
Che per lo pian non mi parsa davanil. 12 117: Trasformato così ‘i difcio santo ® oa 143
È vidi poi, che nol vedea davanti, 1 17 124, Così nel fam r del fulgor santo, Sis 25
f Econ vid’ io già temer li fanti, 121 84 Fuarstabiliti per la loco santo, i 2
Vidi più di mille angeli festanti, 331 131 Egià la vista di quel lume santo ao 7
E Simil farebbe sempre a' roneranti, 3 8134 Ove sponesti il tuo portato santo, no Mm
Sappi che non son torri, ma giganti, 131 Si Continuò co "| processo santo: a 8 is
moOuardalini innanzi, e vidi ambire con manti 215 47 Veramente quant’ lo del reguo canto a è bo
P Senta lo lagrimar non far lor pianti, 222 84 Dicea con gli altri: Santo, santo, santo. sos co
Perooch’ io vidi fuochi, è sentii pianti ; 1 17 122| Al Padre, al Figlio, allo Spirito santo ae? 1
Si consonava a'nuovi predicanti; 222 680 Fullcantor dello Spirito santo, ono Ds
Q Conoscerete vol di tutti quanti, 2 7 #88 Son del piacer dello Spirito aanto, è 2 4
Dall'umbllico in giuso tutti quanti. 1 31 38, Dagli serittor dello to santo ; E al
8) che veder si potean tutti quanti, 1 4117! E now sai tu che ‘ clelò è lulto santo 3 è
@ Era negli occhi a tutti gli altri aanti, 3 31 155 t Tesifone è nel mertzo: è tacque a tanto, | ® a
Che fa nascere | fiori è | frutti santi, 3 22 48 Venendo qui, è alfannata tanto. ; si
Ora Michele, e Pietro, e tutti | Santi, 213 61 Perla distanta; è parvoni alta tanto, no 13
Volgi, Beatrice, volgi gli occhi santi. 2 91 133) Ché non soccorri quel che l'amò tanto, 33 ssi
ua
Fato
anto
Come a quel ben ch’ ad ogni cosa è tanto.
L'’affetto nella vista. s° À tanto
Se raro è denso ciò facesser tanto,
E eecoltar: Povera fosti tanto,
Ma dentro tutte piombo; a gravi tanto,
E l'una a l'altra ruota e il tome in tanto
Nostro intelletto si profonda tanto,
Per manco voto, sl può render tanto,
v Su la fiumana, onde | mar non ha vanto ?
Tre Frison s‘averian dato mal vanto:
Per questa andata, onde gli dhl tu vanto
ansa
a Bi muore "1 ciel. che tutti gti altri avanza.
Grazia sequista nel ciel, che sì gl) avanza.
Quanto per via di fuor dal monte avanza.
Chà qui, per quei di là, molto s'avanza.
B'accorge che la sua virtute avanza;
b E vinta vince con sua beninanrza.
e Rivalando alla mia bmona Costanza
Quest’ è la Ince dalla n Costanta.
d Costellazione, + della ian danza,
Ed ella © l'altre mossero a sua danza,
E come, per sentir più dilottanza
Onde fa già si lu disianza,
Mi sl vwelir di subita distanza.
f Di sà sienra. è per l'altrui fallanza,
Così m'ha dilatata mia fidanza,
n E quagli a me: L'onrata nominanza,
o Questi chi son c'hanno cotanta orranza,
p Tanto divien quant'ell'ha di possanza.
Quivi 4 la sapienza è la nea,
Quando pall la euprema Possanta.
Gener *] terto, a l'ultima possanta.
r Per Ja puntura della rimembranzsa,
a Quel cominciò: Coma non è che sanza
Meco parlando, e la boona semblanza
BI vid to N ma di miglior sembianza,
Tanto gioconde, che la sua semblance
Così Meatrico trasmutò semblanea;
. totranza) sobranza
la mi disse: Quel che ti sovranga
Non a guisa che l'uomo all uom sovranza;
Del mio disio, che pur con la aperanza
Da caldo amore, e da viva speranza,
Fu visa a me cantare cssa sustanza,
a Contra suo grado « contra huona usanza,
Della montagna, o che sia fuor d'usanzta.
Pol ch'è tanto di là da nostra nsanza,
n Perchè dovessi lor pareggiare anzi?
Ed olla | pe vostri in avanzi,
Con quel di Lemosi credon ch‘ avanzi.
E quali agevolerze, 0 quali avanti
Poi che in mal far lo seme too avanell
@ Chà già non m'affatico come dianzi ;
I ‘| mio Maestro a Jol, pur dianel
Ribadendo sè stessa sì dinanzi,
npe
Ja | ui, si come studio In apo
© or sal corpo ca
Merto di lode o di hens men sasa”
pon vi cape,
ti tra quelle dape
F Danque costui, che tutte quanto rape
n E che si isso, rimembrar non anpo.
Delle prime notizie, como non on.
Al cerchio che più ama, s che più sapa.
“Ke 9: 7 -Ed 1-1 1-0)
eluon-$8Suto |
tia lo ta ta co da toto caldo Gio he o io o id to de do to to ce leto
= bia B= BBE (e) +6 10 fu fi tes bd (i
[rp 44-44 Martins tia tea
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67 © Qui se’, nelle parola tos mi oappia. 221 BI
22 8 Ura chi fosti piacciall ch'io sappia; 221 70
66 Che qui vi piglia, è come si scalappia, 3 81 77
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14. a To "1 sai; che non ti fo per lei amara
108| E nulla il monte ha più amara. 1
@4| Chi é coloi dalla veduta amara,
25) Forse colà dove vendemmia sd ara;
Da Mo anima fui, del tutto avara: 1
b Ed al suo non volle alira barn. 1
240 O Bestrice. dolce guida « cara... !
78) Raccomandò la sua donna più cara, 1
24) Liberth va cercando, ch'è sì cara,
145 Perchè alla vista mia, quant’ sila è chiara,
60) La vesta ch'al gran di sarà al chiara,
99) La incente sustanzia tanto chiara
—_
35388088855
A Rd lo a jai: Dimwtraml « dichiara,
Quel ch'avarizia fa, qui si dichiara
f Pol farà «i, ch'al vento di Focara
1 Ripetendo le volta, è tristo impara;
p E del suo l'anima preclara
r F virtà. da cui mulla «i ripara.
s Alla dimanda toa non satiafara;
Nel tempo che colui, che") mondo schiara,
Ma quell'alma nel ciel che più al schlara,
IV, pallafirra 4?) 00) seddisfara’
[1 la mosca cede alla zanzara,
Quando si parte il giuoco della sara,
nrbn
b Per niir ee’ dolente, alta la barba;
fl Con men di resistenza si dibarba
4 Ovvero a quel dalla terra di Jarba,
nren
De n Con quel dalla Sannella quel dell’ Arca,
i mettere in arca.
= =
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»
mantener ln harca
Lo Duca mio illecsaa nella barca,
1 voi che siete in piccioletia barca,
Neo è pareggio da a harca
116! Per tol, o per altrui, ri ch'a ana barca
42 Quantunque può cinsenn. eum barca:
22 © M'andava lo con quell anima caren,
Sevra la porta, ch’ al presente è carca
Discerner puoi che bnona merce
E l'omaro mortal che se ne carcà,
È sol, quand' |° fui dentro, parve carca.
Come colui che ha di penaler carca,
© navicetta mia, com’ mal’ se
Ld
:
Mea gole BESKBE VOU BaEbeo
a aE eo
Quando gli d'angeli «) carca.
rg dle a mortal marca.
ua nainra, arya Parca
Mopper bY eS a
| Infin tee) la vide ll patriarca
EB questi fm il nostro patriarca,
Che gii sla fatto 6 pol se ne rammarca |
[oloni
safress.33vetes
varca,
Quand’ lo odi', Venite, qui si varca,
58 arche
08 n Che erppeliite dentro da quetl'arche 1
90 e Ai fel SIA a 1
41|0 Ed egli a me: Qui son all larehe 1
49 1 Per vieor meglio saperienia imbarcho! 2
70 milsalo la, che delle nostre m è. 2
40 a Ma palehà furon di stupore scarche, *
se rein
= Disse ? Greco, la Tings, e. marcia, 1
m |
Chee l'ho sele. e umber mi rimfarola; i
1902 Allora monetier: «l squarcia 1
ga
DI arce
23 «a Por non venir senza consiglio all'arco; 2
196' Su per lo ssoglino infino La su l'altr'anco, 1
ill'CO
Sin mi portò sovra 'l colmo dell'arco,
Col cielo insieme avea cresciuto l'arco,
Al quale ha or ciascun disteso l'arco:
Da troppa tesa la sua corda è l'arco,
l' vidi mosso me per tutto l'arca,
Che fe’ l‘orbita sua con minor arco.
o Da quei, che scommettendo acquistan carco.
V. incarco 1 30 12) eared
"1 grifon mosso “) benedetto carco,
Nel qual si foce Europa dolce carco.
8) scoppia'io sott'esso ‘| grave carco,
Quivi soavemente spose il carco
Suo si discarchi di vergogna il carco;
Sotto i miei piedi per lo nuovo carco.
i B quella si annegò con l'altro incarco.
Molti rifutan lo comune incarcò;
Ché questi che vien meco, per l'incarco
1 Prandendo l'un ch'avea nome Learco,
mLombardo fui, « fu'chiamato Marco:
p Al montar su, contra sua voglia, è parco,
a Così prendemmo via giù per lo soarco
Senza chiamare, e grida: lo mi sobbaroo,
v Ma dilmi, 6 dimmi s'io vo bene al varco:
E quegli accorto gridò: Corri al varco;
La lionessa e | lioneini al varco:
La bella Donna che mi trasse al varco,
Che sarebbe alle capre duro varco.
Si ch'io vedea di là da Gade ll varco
E quale è il trasmutare, in picciol varco
E la voce allentò per lo suo varco.
Si va più corto; e se c'è più d'un varco.
ards
a Fatta com'un secchione che tutto arda;
b Così scoperai la vita bugiarda.
E Lo Duca mio, dicendo: Guarda, guarda ;
Pesa il gran manto a chi dal fango "1 guarda ;
Fer lo libero arbitrio; è port guarda
1 Venimmo a lei: © anima lombarda,
p Ma dimmi, sé ta sai, dov'è Piccarda ;
Ma riconosceral ch"io son Piccard,
r Esa la mente tua ben mi riguarda,
Tra questa gente, che sì mi riguarda.
Sola soletta verso noi riguarda :
# E cui paura subito sgagliarda,
t Allor mi volsi come l' nom, cul tarda
E nel munover degli cechi onesta è tarda!
La mia conversione, dimè! fa tarda;
La luna, quasi a mezza notte tarda
Dissi: Ella sen va su forse più tarda,
Beata son nella spera più tarda.
arde
a Com'lo, la carità che tra nol arde,
Di che "1 polo di qua tutto quanto arde,
E E"l Duca mio: Figlivol, che lassà guarde ?
r Pure al pansier, di che sì i riguardo.
t Ma perché tu, aspettando, non tarde
Pur là dove le stelle son più tarde,
ardi
a La Donna mi agrilò: Perchè pur ardi
Dall'amplo loco, ove tornar ta ardi.
b O Romagnuoli tornati in bastardi |
Al tempo degli Dei falsi è bugiardl.
g E ciò che vien diretro a lor non guardi ?
Ma dimmi la cagion che non ti guardi
1 E Ii parenti nisi furon Lombardi,
mor è ll buon Lizio ed Arrigo Manardi,
re Ov’ Ercole segnò li enol riguardi,
@ Fin nel Marrocco; è l'isola de’ Sardi,
t Di venenosi sterpi si che tardi
Che l'ubbidlie, se già fuse m'è tardi;
lo è | compaxni eravam vecchi è tardi,
Nacqui sub Julio, ancorchè fumo tardi,
Che si movieno incontra a pol sì) tardi,
arido
a Ove senz'arme vinse il vecchin Alardo ;
i, che non incresce a ine che ardo,
Rispondi a me, che in sete ed in fuoco arido:
E la Regina del cielo, aud'L'ardo
Quand'ella entrò col fuoco ond’ \o sompr sardo
b Perocch' lo sono ll suo tedel Bernardo.
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BESS Bee Eke heERBeE Re oSeKBSE PEOEBGE
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CE SHPRSRSSbErSOrebRTOrSE Sg
— 10 —
128| Tanto che 'l1 venerabile Bernardo 11 Te
62] A Ceperan, JA dove fu bugiardo 28 la
48|g Currado da Palazzo, 6 ‘| buon Gherardo, 10 124
17| Che diceva: Anastasio papa guardo, li «66
80| Per contrastare a Roberto Guiscardo ; 28 14
30] Per quella croce, a Roberto Gulscardo, is 45
1360/1 Sarà la cortesia del gran Lombardo, 17 TI
La voce, che parlavi mo lombarda, 27 so
20) Vrancescomeote ll somplice Loiabarda. le 126
84) r L'Isidoro, di Deda e di Riccardo 10 131
19} Ch'avrà in ta sì benigno riguardo, 17 Ts
130| Certi si feroo, sempre con riguardo la
66| Al tristo dato; è pui non fa riguardo, 12
30) Questi, code a we ritorna il tuo riguardo 134
12| Poscia trasse Guglielmo è Rinoardo, 46
“4
77
a6
128
11
ari
s Duo ne seguì lo mio attento » .
L'amore 7 maraviglia e" fia
Chè veder Jui t'aculrà lo sguardo
Ma quella folgorò nello mio sguardo
Region U conduce, ba nello aguardo |
dl (i a KI Li a i dei de 9
Bows SiuarorSitutranon®
28|t Perch'io sia giunto forse alquanto tardo, 23
185| lo dissi: Al suo placere e tosto è tardo 13
44| lo nostro scender convien esser tando, 10
26) Gravi, a morir gli parve d'esser tardo, 150
8| Corse, è correndo gli parv'esser tando sl
26) L'antica età la nuova; è par lor tardo 122
192) E ciò mi fece a dimandar più tardo. 150
82| Fia primo quel, che tra gli aliri è più tardo. "
64| © tu che val, non per esser più lardo, 16
4) are
a Di lA dal flumicel, per ammirare 2 35
I’ son Beatrice, che ti faccio andara: 1 30
218 78/ Non impedir lo suo fatale andare, i 32
210106) E 1A m'apparve, «| com’ egli appara a sn
121 23) Quivi, secondo ch'io pote’ ascoltare, 1 4 ss
2 19 104/0 Econ ciò ch'è mestieri al suo campare, 1 2 68
216 74| Noi sapevam, cho quell'anime caro 2 14 137
2 6 Gl| chel mio autecessor non ebbe care. 1 27 105
2 24 10) K per lo fabbro loro a veder care; 210 so
3 3 #48) Facevau noi del cammin confidare. 2 14 129
3 3 47| Ciò che per sua materia fe' constare. 2 25 61
324 12) EilDbucaalvui:Caron, non ti oruociare; 1 3 da
2 6 58/4 Quando fa detto: Chiedi, a diman . 13 099
121 27) Cit che si vuole, è più noo dimandare, i 3 so
121 25) Ciò che si vuole, è più non dimandare. 1 8s 2
2 6 63) T.o ciel poss lo serrare e disserraro, 1 27 103
2 10 106) @ Non vingannl l'ampiezza dell'entrare, 1 5 20
218 76) Cos) si mise, è così ml fe" culrare 1 a 2s
224 Sf L'un disposto a patire è l'altro a fare, 226 47
a 3 Gl|j Metuttavia, è nol mi credea { 1 30 141
| Fin dora assolvo, e ta m'i 12701
| Mentr'io mi dilettava di guardaro 210 eT
322 52/5 E giunto lui, comincia ad operare, 2 20 49
2 8 90/5 xa, perchè paia ben quel che non pare, 313 sl
2 8 88) Dunque come costui fu senza pare 313 ©
322 50) Troppo di pianger più che di parlare, 2 14 188
322 34) Amor mi mosse, che mi fa parlare. 1 st
2 8 80) Tal mi fec'io, non potendo partare, 1 30 139
| Produsse asto vicibile parlare 210 sò
230 ol Verrai a Piapala. non qui: por i 3 2
1 2 ga| Per maraviglia tult’altro pensare, 226 Do
214 poi Come cid ala, se "l vuoi poter penare, a 4 67
1 1 9q/F Ancora all'(Orse più stretto rotare, 2 4 6
220 63 8 Che sognando desidera sognare, 1 80 137
1 2 eg Con questo monte in su la terrà stare ® 4 pe
1 1 ost Che l'aura eterna facevan tremare: i 4a sr
1 28 108. aa
1 20 104 @ Sì, che dal fuoco salva l'acqua è gli -118 3
214 gg mOra con porta l'un de'duri margini; il 1
1 2 60 ree
126106) , ‘ la #
1 1 70/3 La penno plone d vcchi ; è gli cochi di Argo, 2.39 Lal
229 po) Che fe' Nettuno amualrar l'ombra d'Argo 3 39 3
1 Credo ch'io vidi; porchè più di largo, oo
| Tante, che la ques 000 pere ee ago. DE
1 28 18) Un punto solo w'è lor letargo, E] 2
1 47 24.8 Adescriver lor forma più bow spargo 60 NT
2268 18,
9 81 100) avi |
326 16.4 Rotti far quivi, è vdlti negli amari 2 in 18
QB. 100: Ma cays gianti co? loro avversarij a 29 110
ari
—
Chinser le porte que' nostri avversari
© Per Il padri, © per gli altri che fir cari,
ch'ell'ha più carl,
| ii chiari,
ad Mer toe ay in e n es ty
| ogni altra dispari:
f Lon ci apsnionnt alcun de'famigliari
Ma ri non stette là con munri,
enza è quel veder impari,
p Ed ecco intorno, di chiaresza pari,
r E rivalsesi a me oon | rarl.
Ai regi; che son moll, è | buon son rari
A a d'orizsonte che rischiari.
arin
redette in bul che poteva alutarla;
er Ja verace fede, a gloriarla,
»
Lat
eg
‘anima gloriosa, onde si paria,
fatti a Dio per suecitaria,
ritira, non per ferminaria!
73
nrio
all'orto sno, per niutario.
sostenea nolla pri di Carlo
siede tra Remagna e quel di Carlo,
Faranno sì, che ta potrai chiosarlo.
tuo sum gliurarlo,
oO son, convien menarlo
rito a nomarlo
oF
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È
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armi
ndo tn cantasti le erode armi
9
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Ed Mellisar commendai tare,
Perché di provedonza è hnon eh'lo m'armi,
Or di" a Fra Dolcin don ne che e’ armi,
Ond' Amor già tl trasse le sue armi.
vien che di forterza t'armi.
| Cantor de" bucolici carmi,
i gli altri por miei
Padre mio, per confortarmi,
poy per colpo darmi
per grazia ue
I di de a ii marmi:
Al petto del grifon seco menArmi,
ane
pa
j
Ch’ al mio Maestro piacque di mostrarmi
Li
5) cominciò lo mio Doca a parlarmi;
Dicendo: Gli nechîi suoi cià veder parm!
e segno J ch'io dovessi posarmi.
piange l'avariria, per purgarmi,
r S'arrestaron nel fosso F'ifruazenzona
Gittato mi sarei per rinfrescarmi;
Dimer: Fa' che le vista non risparmi;
Dinanti mi ri tolse, e fo’ ristarmi.
8 S'egli non vuol qui tosto sogultarmi,
andarne,
in sn
carne
Che di costui è vera carne.
d A tutto ciò che potrà dilettarne.
Corsero incontra noi, a dimandArne:
f O avarizia, che pool tn più farne,
BP Veggio |
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come il baccellier s'arma, è non parla,
meme
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Esbrabtotohk
tormentarlo;
Che i monti, è rompe muri ed armi;
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inspirarmi
Se el te te IC
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159 L'esercito di
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TO) till nechi a ent più veeghiar cost) a) cara
51 Quest'ultima
6 q
Qui ti posed: © pria mi.
10 E tutti è sette mi si dimostraro
6). Indi all'eterno Jome si drissaro
113) f E le labbra a fhtica la formaro,
17| © Moatrava come | gti «i gittaro
4| Massa la ine parole
63 una militaro,
so] Nella frante altri si mostraro,
15|p Venendo teco sì a paro & paro.
Che diretro ad Annibale pasnAro
altra pole! narnia hen pastaro.
ell che anticamente nuoetaro
cow’ a Pola presen del Quarnaro,
-
9
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1275
:
D
HET]
— 17 —
115| Sempre mi stanno innanzi, a non indarno; 130 67
= Dire my hy sa, uva a inten I 2.37 20
a gente, è non n 8 11 104
100 |p Che tuo sembra deo anni portarno, 9 11 108
= r Quel cittadin, che pol la rifondarno 1 18 148
196 aro
119) Forse qual diede ad Eva il cibo amaro. 09
104) Com'ella parve a ma; perebò d‘amaro BO
67) Git per lo mondo sonra fine amaro, 112
117| Sotto ") qual ta nascesti, 6 amaro. 54
108| Salvo che ‘| modo v'era più amaro: 117
60) Come vsclr può, di dolce seme, amaro. 6a
la tratta d'un enplro amaro, sl
Pol ella e il sonno ad una se n'andaro. 00
114] E forse n lei sarà buon, «io l'apparo, 93
gal Li duo poeti all'alber s'appressaro ; 130
gol £'!0 potessi ritrar come assonnaro 04
139) Non tar con l'antico avversaro, 20
1101 DI : Vedi là 1 nostro nvversaro ; 06
aa ° L'inno, che quella gente allor cantare: og
Ella si tacque E gli angel) cantaro 82
Nel dire è nel guardar d'avermi caro ? 111
Gridd: DI questo cilho awrete care. 141
72) Diteml (chè mi Na grazioso è caro) dl
137] Toti rimani owal: chè *1 4 caro Dil
00) Come Almeone a soa madre fa’ caro so
141} Grata m'è più; ad anche questo ho caro, sa
95) Facelangli onore; ed esser può lor caro. a6
49) Nè creo che Il mio dir ti sie men caro, 137
68) Perù ti prego, dolce Madre cara, 19
67) Bi che, en! m'è tolto più raro, 110
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E '"l fiorentino spirito bizzarro
L'aquila che lasciò le penne al carro,
Ch'io vagglo certamente (a però '1 narro),
Quivi ‘I lasclamme, che più non né narro:
Per ch'io avanti intento l'oechio sbarro.
Bicuro d'ogni intoppo è d'ugui sbarro;
a Quando l'Angel di Dio lieto ci apparso.
Come la prima Egualità v'ap ’
Perocché al Sol, che v'alluwé ed arse
r E l'onde in Gahge da nona riarse ;
8 Che tutte simiglianze sono scarse.
Là dove ‘Il suo Fattore il sangue sparse,
aural
a Qual venne a Climend, a: accertarsi
Comincié "1 Iuca nio, in accostarsi
Oltre, vuanto potean pul occhi allungarsi,
DI ragionar co' buoni, o d'appressarai.
Pol, come nel percuoter de'ciocchi arsi
DI non uscir dove non fusser ari.
Ed io, che mai per ilo veder non aral,
Li margini fan via, che non son arri,
Che non potrebbe qui assimigliarsi;
Onde gli stolti sogliono augurarsi,
o Né da quello era loco da cansarsi:
Loro a parlar di me; e cominciarsi
£ Ed ecco a poco a inn fummo farsi,
Poi verso ine, quanto potevan farsi,
Dintorno a questa vennero è fermarsi,
Si del cantare è sì del tinammeggiarsi
g Di grado in grado scendere è girarsi,
i Non fosse umiltato ad incarnaral,
1 Pletosamente piangere è lagnarsi;
Là dove vanno l'anime a lavarsi,
Conviene insieme chiudere è levarsi;
Tanto, che possa con gli cechi levarsi
m Prima che possa tutta iu sé mutarsi;
p Or può sicuramente indi passarsi
q Era il colmo dell'M, e ll quetarsi
Insieme appunto, ed a voler quetarsi,
r Rigiunse al letto suo per ricorcarsi,
In far l'uom sufficiente a rilevarsi,
a Come sotto gli scudi, per salvarsi,
Kol andaram co" i lenti è scarsi;
E tutti gli altri modi erano scarsi
Quei ch'ancor fa li padri a'figli scarsi;
E ciò fece li mostri passi scarsì
Ti porgo (e prego che mon sieno scarsi).
Poi disse: Omai è tempo da scostarsi
t Lo glorioso esercito, a tornarsi
Le conudiziun di quaggiò traamutarsi,
Solea valore è cortesia trovarsi
b
Li]
m
CI)
nreo
r Fu "l sangue mio d'invidia sì riarso,
8 Tanta sua grazia, non ti sarò scarso:
Visto m'avresti di livore sparso,
arin
n Ma pon fla da Casal. né d'Acquasparta,
o Nostro volume, ancor troveria carta,
Ch'une la fugge è l'altro la coarta,
arte
a Che si chiama Equatore in alcun'arte,
Tratto t'ho qui con ingegno è con arte:
Non mi lascia più gir lo fren dell'arte.
Molte fiate alla intenzion dell'arte,
Foor se’ dell'erte vie, fuor ee’ dell'arte.
Ciascun distinto e di fulgore è d'arte.
Qui si conviene usare un poco d'arta,
Tal, non per fuoco, ma per divin’ arte
Sì come mostra esperienza ed arte;
O tu, che onori ogui sclenza ed arte,
O somma Sapfenza, quanta è l'arte
Chi per lo vero è non ha l'arte:
Natura certo, quando lascib V urte
Faccian gli Ghibellin, facchan \or arte
lo seppi tutte; 6 si menai lor arte,
Lasciasser d'operare ogni lor arte;
E lì comincia a nell'arte
1 8 62) Mai mont natura od arte
235 88) Si vede di pieatisis orribil’ arte.
233 40! la mia materia; e però con più arte
1 8 64) Mai vostri non appreser ben quell'arta,
1 8 66) L'onor dAgobbio, e l'onor di quell’ arte
209 42] d'altra riimase, e comlicià quest'arte
Alla cora mortal, fa bon su' arte,
Dal divino intelletto è da sna arte:
227 6) Oud'lo che fui accorto di sua arte,
3 15 74| Che ferro più non chiede verun'arte.
3 16 76/e Nel suo volume cangerebbe carte.
227 4 ge di gh pay tr npr ie
315 Frate, diss'egli, più ridon le carte
2 27 Ma ene soo tutte la carta
Tu troveral non dopo molte carta,
E qual li troverai nelle sue carte,
3 17 1| Esto planeta; o 8) come comparte
210 11! La pruvvidenza, che quivi comparta
2 16 140| E quanto giusto ina virtà comparta |
2 16 120|d Che dal modo degli altri li dioarte ?
3 18 100| Sempre chi la giustizia è lol diparte.
226 15) Pur com'un fesso che mura diparte,
333 28) Ma per salirla mo nessun di
1 14 141| Così da questo corso sl dipurie
3 21 141] Quioci addivian ch' Esaù «i d
8 18 102| Giovanni è meco, « da lui «i diparta
2 16 144] Che mai da circulir non si di
226 11) A quel che scenda; è tanto si diparte
2 15 142/™Per tr via tali esecutori a Marte.
226 13/ Da si vil padre, che si rende a Marta
9 21 150) Qual diverrebbe Giove, s'egli è Marta
312 253) Vedea Timbreo, vedéa Pallade è Marta,
3 21 197|P Oppone, è l'altro appropria quello a parte ;
9 7120) Tutte quante piegavano alla
220 16) Che ef moveva d'una e d'altra parte,
1 14 137| Celcatial, giacer dall'altra parta,
312 27) Ni piegar, così pinta, ia allea |
2 33 20] “i tosto, come degli angeli
232 21| Vedevan lui verso la calda parte.
216116) Sì udirai, come in contraria parta
9 18 06| L'opinton corrente in falsa parta;
3 12 25| Come li vide dalla fredda parte
210 16) Le spalle a il petto è del ventre gran parte,
3 7 116] Da scrivere, io pur cantere' lo parte
2 32 10) Ma non «i ch'io non discernessi in parte,
2 20 16| Nol ci appressammo, ed eravamo in parta,
937 118' Pugna col Sole, è per essere in parte
3 17 #£3| I'anoreè tutto or suo, è mio in pa
210 13] Cagion, che ta di , od oltre in parta,
333 30; V ato ha), OS ee
114139) A mo ed a’ miei ed a mia parte:
232 17) Tanto, che mai da lei l'occhio non parte
220 14/ Silenzio posto avea da ogni parlo
2 10 116] Nel mezzo s'avriava, è d'ogni parte
i)
Seb e 11-11-01")
a ama
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49/a Grazia da quella
TA
Così facevan quivi d'ogni
Che inviscava la ripa da
Salta te 7 te ai" opposite
alta bo ragg “opposila pari
Meco la visia dritto a at
Quando mi vidi giunto in q parte
Montati, dello scoglio in quella p
Or quinci or quindi al lato che ai parte.
Indi vanimno al (ine, ove sì parte
Per la ra che di’, quioci sl parte
Vie più indarno da riva si parte,
Nota non pure in una sola porte,
Giacob isporger la parta,
Calar le vele è raccoglie le sarte ;
Altri fia row, ed altri sarte ;
cerchi corporal sono am
Wiwket\e co wok serwl a n
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8) che "1 piè fermo sempre era fl più basso.
Come il viso mi scesa in lor più lasso, 10 uate
Vedea la notte, e il nostro tanto basso,
Chinal "1 viso, e tanto "1 tenni hasso, 110/g in mezzo "| mar siede un passe guasto,
Onde portar conviemmi il viso basso, bei capo ch'egli avea di retro
E mentre ch'ei teneva "1 viso basso,
de de pa ui de
ge p La bucca sollevò dal fers pasto
14
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ne 128|c Sotto "1 cui rege fu già "| mondo casto.
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o L'hai come déi, è l'argomento casso, 4 Ver ch'io '1 pregal, che mi largissa ‘ pasto,
Fin che si sfoghi l'alffollar del casso. ne
Ciascun, dal mento al principio del caso; 12 asire
Ogni primalo aspetto ivi era casso: 25 76\a Che è fuoco dietro ad alabastro.
Sì che insieme col regno il re fu casso; 30 15) Al piè di quella croce come ua astro
Le coscie colle gambe, il ventre è "1 casso 25 74/0 E cos) tosto al mal ziunse l'empliastro:
Tenean la testa ed ancor tutto "l casso: 12 122) mCosi mi fece abigoitir lo Mastro,
Cinque volte racceso, e tante casso 26 130|n Nè si part) la genna dal soo nastro,
ASSI ata
* a 20 =
Col falso lor volser mici passi, 231 35) La fè, senza la qual ben far non basta. 223
I' digo dopo i nostri mille passi, 2 3 68)g Della doppia tristizia di Giocasta, a 23
Disa lui, trova, che "1 tempo mon passi lili 14 a Dell ares, Gos ce ties pr PASTA 118
| noi fermerem li nostri pasai 1 3 77|t Per quel che Clio lì con tasta, 231
idanza avete ne'ritrosi passi; 2 10 129
r Chto lasciai la questione, e mi ritramsi 391 10a) _ LI su san :
ga parlare, e tutto mi ritra 2 1110\a appresso Dio in'alluminasti. 2 22
s Figlivol mio, dentro da cotesti sassi, 111 10|b Ad ogni tua question, tanto che basti. 2 so
La colpa tun: da tal giudice sassi. 2 51 59) Noo si poria; però I’ basti s 1
Col viso quel cho vien sotto a quei sassi: 210119) E questo molo credo che basti 2 26
Tra duo liti d'Italia surgon sassi, 3 21 100] Che son quinc'entro se l'unghia ti basti ls
Come a guardar, chi va dubbiando, stasai. 2 & %72)c¢ Gridavano, è mariti che fir casti 22
t S'egli é che questo raro pon trapassi, 2 2 so Ma son del cerchio ove son gli cechi casti 21
In fino al fiume di parlar mi trassi. 1 8 61) N'ioerasoldi ne che creasti a1
d Ma luce rende |) Salmo Delectasti 2 se
Ibn Ma tu chi se', che di nol dimandasti? 129
a Chè quegli è tra gli stolti bene abbaaso, 15 115) Ti stenebraron al, che tn dArizzasti ae
b Talor Ham lun alto, e l'altro basso, 20 118' g Non son gli editri e nol guasti, 21
Te "l viso giù tra esse basso. 4 108| Latin seem noi, cho tu vedi sì Li is
Così a più a più si facca basso 12 124/41 Ed egli & lui: Tu prima mw'inviasti 253
(V. lusso £ 2) (i) hasso 1 in Utica la morta, ove lavciaats 3 1
DI corno in cornea, è tra la clon è il bane, 109) "Tu "| sal, che col luo lowe ini levasti. 3 1
E quando la l'ortuna volsa in basso 13|p Con tal cura conviene è «on tal pasti 55
Ch'l'non U lascerò nel mondo basso. 108| K tu che se'dinansi, è mi pregaati, 2 2a
a3
33
la
is
is
da
24
15
d
bi fire la
Così sn'osserva in me lo contrappasso. 28 142/vw In poco d'ora, e preude suo vincastro,
Ultimamente sì gridiamo: O Crasso,
—Rut.er2.sbeesssiinese, sonisieeuîesteszo vuzser sors seseczatessSetees ateo
a
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f Ed ecco l'altra con sì gran fracasso, 2 14 197 nia
g@ Dal volto rimovea quell'ser grasso, 1 0 822 E come quei, che con lena affannata i 1
1 Partito porto il mio cerebro, lasso 1 1 28 140) Non senza prima far grande i 1s
Pol, riposato un poco il corpo lasso, 1 1 26, (he, non men che saver, dubblar m' 111
E come l'uom che di trottare 4 lasso 224 70) Non fo la sposa di Cristo allovata 337
Dinanzi a me del Sol ch'era cid lasso. 2 27 60) Neo'boschi lor per altezza ammirata. 2x2
Ancor wi scuserà di quel ch‘ bo lasso, 3 14 107| Foi mi promise sicura l'andata. 2 12
Quando risposi, cominciai: O lasso! 1 5 112/b Novella Tebe! Uguecione è ‘0 Brigata, iss
K sol di quell'angoscia parca lasso, 1 © #4) Federigo Tignoso, e sua brigata; 2 14
Non n'usciresti, pria saresti lasso 3 4 03)c Questa roccia non era ancor cascata. 112
Ed un di lor, che wl sembrava lasso, 2 4 100| l'aluta sì, ch'io ne sia consolata. i e
Ma qui m'atiendi: e lo spirito lano 1 6 106| Nel tempo che Giunone era crucelata 130
Disse "1 Maestro ansando com' uom lasso, 1394 63! Siendipartiti, perebè men croccia itl
Per farti muover lento, com'uom lasso, 2 19 119] Che tien volte le spalle javir D i la
Pp Appresso pores a mo l'uccorlo passo. 1 34 87| La chioma sua, che tanto si dilata 2 ss
Fuggir così dinanzi ad un, che al passo i 8 60; (EF l'una ito è l'altra è diredati ® 14
Venir, tacendo e lacrimando, al passo 120 #68) Poi Pt una pianta alapagtiaa asa
Poi ch'entrati eravam nell'alto passo, 1 26 132|] Che nel lago del coor ‘era durata i
Così nell'un come nell'altro passe ; 3 19 117]|e Uscite, ci gridò, qui è l'ontrata. le
Ma or ti s'attraversa un altro passo 3 4 @1) Esamiva le colpe nell'entrata, is
Mend costoro al doloroso passo | 1 5 114/f Come mostrò ed ona ed allra Mata, 5 4
Disse '1 Maestro mio fermando ‘I passo, 2 3 53) Or vo’ che sappi che l'altra fate i
Indietro feci è non innanzi “| passo 2 14 141! iapos loi, l'una è l'altra Nata; halo
Kon "arrestate, wa studiate "| passo, 227 #2) Senilia a, € pol lunga fata, 2 =
Con noi veniie, e troverete "I 2 11 50] L'occhio lo sostenea lunga fiata: 4
Parea; 6 tui sen gia con lento passo. 1 25 78 Polè di rame infno alla forcata: il
Bi volse indietro a rimirar lo passo, 1 1 26) Lasa testa è di lin'or formata, ilk
Ora a maggiore, ed ora a minor passo, 220120) Femmina sola, è pur testà formata seo
Mi di-se: Non temer, «hè "1 nostro passo 1 8 104)g£ Noi passamm' oltre, dove la golata is
E quivi fa del fosso il nostro paso 112196) Orgoglio e dismisora han generata, ite
Volgendo il viso. raffrottà suv passo, 224 05) Doree a iquosta ruina, ch'è guardata 4 ="
@ Che ai stavano all'umbra dietro al sasso, 2 4104) Si volge all'aaqua perigliona, © guata; 1
Ed jo mirava suso intorno al rasso, 2 3 567) the di fuor torna chi indietro si guata. 8 ®
E s'io non fossi impedito dal axsso, 2 11 52) Guatir l'un l'altro, come al ver sì guata. 1 la
lo sono Aglauro che divenni sasso. 2 14 1530 tando come donna innamorata, no
Dritta salia la via per entro ‘| sasso, 2 27 64/1 Così gridal colla faccia lovata: i +4
E rotollo, e percosselo ad Un sasso; 130 11| Credo che s'era ingincechion levata. 1
Poi uscì fuor per lo foro d'un sasso, 154 S6| Ch'io mi sla tardi al soccorso levata, i *
t Nel congiungersi insiewe o wel trapasso. 5 14 111) Dico, che quando l'anlma mal nata z
U conlé umana, por volar su nata,
mutu [o E la faccia dol Sal nascere ombrata,
a Per l'alito di giù che wi v'appasta, 1 18 101) Or muovi, a con la tua parola ornata, 1 2
b Lo fondo è cupo al, che nou ci basta 118 100\ È . peccata i
Vedrassi l'avarizia è la viltato
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Con segno di vittoria incoronato,
Buon cittadino Giuda ed Infangato,
1 com"io l'avea lasciato;
L
Quinci Letè, così dall'altro lato
Contrappesando l'un con l'altro lato.
Fatt'eran pietra, e i margini da lato:
Rabano è quivi: e lucemi dal lato
Ond'el si volse in ver lo destro lato,
Io mi rivolsi dal mio destro lato
E muta nome, perché muta lato.
Polgoreggiando scendere, da un lato,
quel di lei a lei lasciò legato.
Ben m'accors' lo, ch'l'era più lovato,
ME quel Signor, che li m'avea menato,
Già era ‘| Caponsacco nel Mercato
Che venner prima, nou era mutato:
nLa puma della lingua: « forse è nato
lo del regno di Navarra nato.
E sé l'andar più oltre c'è negato.
Lo cul sogliare a nessuno è nega'o,
DP Most l'alma che m'avea parlato,
Qual è quel punto ch'io avea passato.
Per dritt oe alcun peccato
Che toglie altrui memoria del peccato:
Dove sien genti in simigliante plato;
Ch'abbracciar nostra liglia, o Pisistrato.
lo dico d'Aristotele è di Plato,
Essi medesmi che m'avean progato,
Come Almeone, che, di ciò pregato
Q Tal, che sarebbe lor disio quetato,
r Poscia che 'l fuoco alquanto ebbe rugghiato
8 Che tu sappi chi è lo sciagurato
Ch'io non scorgessi ben Puccio Sciancato:
Che da nessun sentiero era segnato.
O per parole o per atto, segnato,
Fossero alquanto, e l'anlno smagato,
Per nou er pietà si fo' aplatato.
Disse "1 Maestro, cho "1 tuo non è stato ;
Giù poco tempo; e, s0 più fosse stato,
Però s'io son tra quella gente stato
D'aver, quando che sia, di pace stato,
Rispose: lo era nuuvo in questo stato,
Non esser duro più ch'altri sia stato;
è Risponder lei con viso temperato ;
E vòlto al témo ch'egli avea tirato,
A rilevarsi; 6 vidimi traslato
E e'io divenni allora travagliato,
E più non di-se, è rimase turbato.
a Che wi parea più roggio che l'usato,
atra
a La morte prese subitana ed atra.
Gilocchi ha vermigli, e la barba unta ed atra,
o Miangene ancor la trista Cleopatra,
i Gralla gli spirti, gli scuvia, ed isquatra.
1 Con tre gole caninamente latra
Bruto con Cassio nello Inferme latra,
mi ie
1 E che altro è da voi all'idolatra,
mAhi, Costantin, di quanto wal fu matre,
p Che da te prese il primo ricco patre |
atrina
© E fanno un gibbo, che si chiama Catria,
1 Che suol esser disposto a sola latria,
p E non molto distanti alla tua patria,
FLEET
a Men Dio offende è men biasimo accatta ?
Che tu ci ali, mi diase, già t'acquatta
b Perchè altra volta ful a tal baratta.
d Che worte tanta n'avesse disfatta,
f Che dissi, lasso!: Capo ha cosa fatta:
E per nulla offenzion ch'a me sia fatta,
mSen gio come persona triata e matta.
Incontinenza, malizia, è la matta
P Con le qual la tua Etica pertratta
r Per ch'a fuggir la mia vista fu ratta.
Che, girando correva tanto ratta,
Così mi parve da luce, rifratta
# Ed lo v'aggiunsl: E morte di wa schiatta.
t Dal cader della pietra in \gual tratta,
E dietro le venia u lunga Vara
austo
— 2 —
1 4 Ga
Pi 7
1 9|0 Non tu la morte che ‘| combatte i 8 107
2 28 130] Seco medesmo a suo piacer combatta s sms
3 21 24/f Com'lo, dopo cotai parole fatta, 1 ani
114 83) Fossero state di smeraldo fatte; 2 so 135
3 12 1230/1 Non fate come agnel che lascia Il latte Ss ssa
1 10 112/|tnlcinini siata, è non pecoro matte, ss
3 18 6Y/r L'altro toglican l'audaroe 6 tarde e ratto, 2 20 Lee
2 11 102] Al mondo non for mal persone ratte i suos
2s BT|* Ed or parevan dalla Manca toatba, 2 so 107
: i
33 8 =
a Levan la voce, e rallegrano gli atti; 314 n
TERI E ual più pazienza avea negli atti, 2 10 196
211 gegio Ver è più e meno eran contratti, 2 10 136
122 4g|@ Ob qual io vidi quel che son diafatti 5 ia 100
1 8 101/! Nascere in chi la vede; co fatti S 10 1ba
114 87 Piena th nor anabehe rn co pi 9 le 1
8 14 50|9 Cupido sì, per avanzar gli orsa 10 nl
194 oa|P Per la fessura della pietra tti. ip 16
222 bol? Che sarete visibili rifatti, dla 17
1 30 147) Come da più leticia ploti è tratti 2a lo
è 15 10)| Era età grande, è erano tratti 3 le 107
ds 3 43
226 50 ane |
8 4 103/a Di dimandar, venendo infno all'atto 2% l4
2 2 41/ Ed una donna in oo l'eniraàr, con ato 215 e
127 68 rivale agri inn Do» »
122 441 ‘(he membra fo ili aveano ed atto; 1s s&s
1 26 148] E quel ch'io momerd, li farà l'atto S15 =
113 |] Non perdea per disianra alcun suo atto; 239 4
8 18 bal Tal, qual lo dico; è fasti col suo alta. 9 sm
1 25 1a4g|o E nel Vicario suo eer catto. 220 e
3 4106/4 Non mi lasciar, diss'io, così Alafatto ; 1 8 10
1 80 149| E lascia il corpo viluente dish am ©
3 B soli fosti, prima ch'io disfatto, fatto. i o a
2 22 62) Anzi che l'altro mondo fome fatto : Sio ®
2 20 64| Nè mi fu noto il dir prima che U fatto. sla se
i 4 62) Perché men paia il mal futuro è "l fatto, S290 ®
127 66| Ma quando io fal sl presso di lor fatto, aa 4
2 15 103| Rividil più lucente è inaggior fatto. 2 2 2
2 32 40| Perchè hai tu così verso noi fattot ais so
3 14 83) L'alto valor del voto, s'è 4) fatto, a 5 Se
134 61/p Ché, nel formar tra bio è l'uomo ll patto, 9 Ss of
51% 7 | Tra gil ccheggion Gui ponte quite quatto, Fan Sp
914 B7|a Tra gion del ponte UA 231 so
r Ove a Gb punto furon dritte ratto 1 om
Non lasciò. per Mandar che fossa ratto, 225 le
3 6 78) Ritroviam l'orme nostre insleme ratio. 1 8103
1 6 16) Fuorch'una ch'a sedor si levò, ratto 1 0a
3 8 76) La bestia ad ogni passo va più ratio su s
1 8 18) Us lowe per lo mar veolr a) ratto, 2 a 17
1 6 14 ‘jo mi inosai, ed a lui venni ratto; Lei ®
u a 74 Dal qual com'io un poco ebbi ritratto © 2 19
t Vegg'io a coda d'una bestia tratto tm ©
1 10 119 Volta m'hai sicurtà rendula. e tratio 18 &
110 115| Estetica di subito esser tratto, als sw
119 117) L'arcodeldir, che lnfino al ferro hai tratto 225 19
O tu, che se" per questo Inferno tratto, lew
lo vidi per la croce un lume tratto, sons
3 21 100] Valsava nel parere il lungo tratto +4 p-
SALI] soma cae stom | Ses
‘) sangue mio a \ tr .
981 107) perocché l'occhio m'avea tutto tratta” È ® #6
a di a4 nude
i co t, qual si na chi lamò gauda., 5
131 63 È Vid'io qual segno, cha di inade. oie "
î 28 107|P Muove la testa, e con l'ali sl plaude, Ds ®%
181 ++ nism
1 38 111
a Che nulla voloniade è di AUSA, e
25 po Pee n sx ©.
215 gal Lo rege, per cul questo ragno pausa
1 2 63 auste
1 Sa s0s(e & del ule potto'è su
1 28 109]e E non er'ansò wale esauato
| not Basa lilare stalo accello a fauato; 21 4
1 3 Bolo (Wk una Ma ivi, & Dia feci olooamato, ”
austro
nustro
a Che son sicuri d'Antilone è d'Austro.
e ln cerchio le facevan di rà clanstro.
Pp guardia lasciata Ii del plaustro,
AVE
Come
a Della tua terra. El'unl'altroabbracolava.
Quind
| i toeilo tutto s aggelava:
Le fredde membra che la notte aggrava,
Venendo e trapassando, ci ammirava
PA mr gli alrai al sole, ed ammirava
"un n .
Parte sen gia, ed jo retro gli andava,
A me, che tutto chin con
Pur di Beatrice ragionando andava,
, = che dentro v'annegava;
Tempo era che l'aer s'annerava,
Pensnnito ci
Già eran desti; e l'ora s'appressava
Ch'a guisa di scorpion la punta armava.
Tra l'altre vidi un'ombra, che aspettava
Per suo signore a lempo m'aspettava;
Ma, la vista che s avvnalorava
ba va "l pianto e sanguinosa bava.
Che diretro a Micol mi biancheggliava.
© Goidavaci una voce, che cantava
Del suo profondo, ond'ella pria cantava,
Negli occhi era ciascuna oscura a onva,
E ungendo: Dentro a quella cava,
Ev e conobbemi; a chiamava,
Come amor vuel, così le colorava.
A E vola, è dalla noce si dischiava,
Però d'ogni tristiria ti disgrava.
Presso a Colui ch'agni torto disgrava.
La lingua, e poscia tutta Ja driszava
fn suo sogno ciasenn dubitava.
f lo, cui muova sete ancor frugava,
@ Lo troppo dimandar, ch'io fo, gli grava.
Ma come al Sol, che nostra vista grava,
Venian ver noi; o ciascuna gridava:
L'alto Dottore, ed attento guardava
Atteso alla cagion per ch'io guardava,
Beatrice in Fuso, jo in lel guardava:
Nel vano tutta sua coda gnizzava,
Quello spirto beato; ed io gustava
1 C'inchiese. E fl dolce Duca incominciava:
(V. scontrara | 25 93) incontrava
Che dall'ossa ln pelle s‘informava.
Ove tra nol ed Aquilone Intrava.
1 Quella eae siva che sl lava
ic tle men v lara,
che le bolle che "1 bollor levava,
mento, a gu'sa il'orbo, in su levava
la mia virtù quivi mancava.
"a, lotior, sio mi maravigliava,
eg Nonna, ch'a Dio mi menava,
di sotto, e vidi un che mirava
Mentr'io laggià fisamente mirava,
Fosse nel vivo lume ch'in mirava,
Venimmo fuor lA ove si montava.
ta) n allo fuss! ut ssa lo i ciel
Pp gvardar chi era che parlava.
Ed un di lor non questi che parlava,
Correndo, d'una torma, che nassava
Fate i saper che "] fei, h'lo pensava
E le fontane di Brenta e di Piava,
Del deiforme regna cen portava
In quella parte della terra prava
Esser alcun di nostra terra prava.
rla et fiera dentro vi raggrinva,
Fe v cae vi min na - = rele eni
anrpirnto, 0 quei Jol riguardava:
a Anti co' ple farmath piena igril vr
Fumavan forte, a ‘) fumo si scontrava.
Ché disiava scusarmi, e scusava
Non dichiarasse ciò che pria serrava.
ki
ware
g
=
della bocca a clascun soverchiava
In fino al grosso: e l'altro dentro stava.
Ben s'avvide il Poeta, che fo stava
Più Innanzi alquanto, che là dov'io stava;
Jo mossi | pit del Inogo dov'ia stava,
Mi trasse a sé del luogo, dov'lo stava.
che "I milo cor s'annunziava:;
E Allor mi pinser gli ar
PIPA TEA ATEC ECO AA TEC CER CIRIACO
fai ini ie
(= === e
fi fn
=
SebessSeaness
4 =
Ce Li ie 11 Le 1111-111118 Se SL 1
eee ee tt ttt
KFootodng
|
-
Surse vèr tui del Inogo ove stava,
Che mi dicesse chi con Imi sl stava.
as! stava
lor i e quelle svolazzava,
è E nell'idolo suo sì trasmntava.
Mutandom'io, a me sl travagliava:
nre
a Così parlommi, e poi cominciò: Ave,
Dissemi: Da quel di, che fo detto Ave,
Giurato si saria ch'ei dicess'Are;
e th'ad aprir l'alto amor volse la chiave.
E Come per acqua cupa com grave.
Che sempre al cominciar di sotto è grave,
§' allevid di me ond'era grave,
Temendo che "1 mio dir gli (nese grave,
Guadagnerà, per sé tanto più grave,
n L'altro, che già uscì preso di nave,
Come a seconda gio l'andar per nave;
Ed ecco verso nol venir per nave
È
ip Gridando: Guai a voi, anime prave :
s (ome fan li corsar dell'altre schiave.
Quivi intagliato in un atto soave,
Che del secondo vento di Soave
Così con voce più dolce e soave,
Però quand'ella ti parrà soave
mel
gg|® Per la qual tu su per lo mare andavi.
Ond'ei rispose: Quando tu andavi
le Cenere o terra che secra si cavi,
Che s'acquistò con la lancia, « co' chiavi,
E di sotto da quel trasse duo chiavi.
I° son colni, che tenni ambo le chiavi
Di Santa Chiesa, a cul Cristo le chiavi
Come tn sai; perd son du le chiavi,
A col nostro Signor lasciò le chiavi,
La riverenzia delle somme chiavi,
Ma sì è più l'avei quando coninvi.
onli gravi
Tenta costui de' punti lievi è gravi,
tenti v'eran con vechi tardi è gravi,
Ch" ho non posso tacere; e vol non gravi
I" userei parole ancor più gravi:
Slate, tiani, a mmovervi più gravi,
Lo muover per le membra che son gravi,
E que’ che vide tott'i tempi gravi,
1 Col — della «pada, e: Fa’ che lavi,
K dissi: Padre, da che to mi lavi
E non crediate ch'ogni acqua vi lavi.
p Calcando | buoni e sollevando i pravi.
Sg E fo’ planger ii sé e f folli e i navi,
er sette porte entrai con questi savi
Soffinta o stretta dalll venti schiavi,
Serrando e disserrando, sì soavi,
Farlavan rado, con voci soavi.
Di subito: fn fe, Domine, speravi ;
4 t El come neve tra le vive travi
nel
(VW. anil)
nein
e Quale è colul, che forse di Croazti
4 g Donna è di sopra che n'acquista grazia,
vate nt fab do lt rà
non può della na
Samaritana dimandò ta gra: ‘A,
In cielo è paradiso, e sì la grazia
Tutto d'amor, né farà ogni grazia,
Darotti un corollario ancor per grazia;
Che hasti a render voi graria per grazia
Bensihil (hia levato per sua grarin.
Trnto maravigliar della tom grazia,
E Iteatrica romincià: Ringrazia,
Che quel si chiere, è di quel si ringrazia.
Ma sì com'egli avvien, s'un cibo sazia,
Ed avvegna ch'nssai possa esser enzia
Dell‘ ultima dolcerza che la sazia:
Dell'alto Padre che sempre la sazia,
F cento miglia di corso nol sazia,
La sete natural, che msi non sazia,
Che per l'antica fama non v mata,
lo veggo ben che ginmmai non th wae
"i
==)
so |
ome eens
dea
lo rey
aos
id la a = fini la
Sucssocuesacocaw
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SSoseeeesssesssses
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ti
È
LE
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He
r vero ombriferi pretazii:
tanta nate in ta sì nazii 3;
gglunso: Il une, è LI topazii
nada
dalla l'illa, è Honlfazio
ik così ritto, ltonifaalo Y
anor na loda è ne ringrazio.
Hause; 0 però won F
) lgeto di quell’ aver nazio,
ber cho mai non m'avria sazio;
wl feel del tuo home sazio.
veder, tu saral sazio;
che non sl senti saelio,
eT cee an po ebbe sEnete
avessi, lettor, più o spare
I sl, od è Btazlo
cE
| Dee
is
i
S7F
gies
sis
Hella Donna nossa
bella Doowa, ¢ di poi farne strazio ?
. vidi que'lo strazio
lo a te, vivo topazio,
nzel
© Poscia vid' lo mille visi cagnazzi
E E verrà sempre, le’ gelati guazszi.
p Sappi ch'io sonoù LI i disibeiun de Pazel ;
pyre
n
intra
o Cominciò egli n dire, e tu, Cagnazio ;
d Libicuceo vegna olire è Draghignazeo,
E Poi al rivolse, è ripassossi Il guazzo,
pA Rinier da Cornetto, a Minker Passo,
E Farfarello, 0 Kubleankes pant,
8 Jo ico pena, oO doviia dir bollazzo ;
Lo non pure una volta, questo Spazzo
I’ oder ch'esco del pumo, 0 dello sprazzo
@
e Che crede e no. dicendo: ell'è, non è;
£ Lo ciel perdei, che per non aver fè:
Dell’ opera che wal per te si fe’.
£ con Kachele, per cui tiuto fe’,
@ Quivi parevi murto in Gelbod,
m Modlicumn, eb non rul-bitis mej
Modictan, ef vos videditds rue.
n D'Abel suo tizlio, c quella di Noè,
p A lei di dir. levata dritta in pid,
r Abradw patriarca, e David re,
8 Qual è cuolul che cosa innanzi a Sé
t O follo Aragne, sì vede. iu te.
ea
a Un Sol, che tutte quauta l'accendea,
O Jacopo, dicea. da Sant'Andrea,
Ad essa gli occhi più cho mai ardea.
Disse il dulce Maesiro, che in'avoa
Esaminando, già tratto in'avea,
© Prima razgid nel monte Citorea,
La dov'io più sicuro esser crodea:
@ Innanzi ch'Atropòs mossa le dea.
Cogliendo fiori; e cantanilo dicea:
Ricowminciò: La grazia che donnea
La mento iunamorata. che donnea
D'aver negletto cid che far dovoa,
M'appropinquara, sì com'iu dovea
Insino a qui, com'aprir si dovea;
@ Tra’ quai conobbi ed Ettore ed Enea,
£ Certo. tra esso è il gaudio mi facea
4 Non è se nou splendor di quella idea
Che la parola appena s'intondea.
Da lui, né dall'amor che in lor s'intrea,
co nO he Gono mist
stata
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= eegue cecrati Bs
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BS DO tes BI me BO DO BO m BS DO OS
LO LI Co Lo hs o Lo tS L3 CO DI be BO DS (ot Coda
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-_-a—
120) mi Adhoaesit pavimento atin Mem,
sl Chè quella viva che sì mee
73] Onde mera che mi moves,
68) p Tosto che fui la “vo “i fondo pares.
116| E, Te Dent fandamus, wl pari
158 Giovane ¢ hella in sogno pores
16) Vidi Cammilla è la ntesilea
126) mencmmi al cespuglio, che plang
Sig pene per una coe
134 DI questa aiuola: ma “1 SI pi
13@|r ‘he colpa ho lo della tua vita rea
Tala in apponto mi readies,
tel B guid pedina ni piane
74 PA ri
To |a
Bernardo in'acctnnava, e sorridea,
20) Che do mio viso non la sostensa.
63! Edeglia mé: Come il mio corpo ste
00; KE espera ridic cow agli stoa;
BI Quanto a Gala» oa SrgRi di Si
56 t Col santaggio ba quesia Tolomaa
158| è per la viva luce trasparea
87 |w Vede dovsicla gia per la vallea,
66, Per ch'io ml » col viso, o veda;
33) Già me stesso tal qual ei voleà
Ri Assal più lh che dritto non volea.
Si pri won Crm
lla » d'a
DS e Meglio in gloria del cia) si cantere
Ò Per col tanta stultezzza in terra créb
oe a IM win atà, dowe ciascun dowrebbe
6 Ob se 1 iit sapesso ll cuor chi'ageli o
a Ad Innoceiria aperse, o da lui ebba
Se clo poi fosse, ch'a ibnoria m' eb
110 Così fatina, mi disse: ll titre ma" whole
121 i A cui di wie per caritaie incrabba,
19 Ciò che pria iui piaceva, allor m' ner
137|1 Assai lo loda, è più lo loderobbe,
10a|8 Ahi miser lasso | a giovato sarebbo
mu lalla ila vila; el aicsor non sanata
70 Molto rara di mal, che non sarebbo.
68 t (Vv. tolerchbe 3-24 115) torrebbe
iv Che, se ‘l vulgo il vedesse, vederre
|
i
ebbia
12.
gid E detto l'ho, perchè doler ten debb:
45 n Ond'ei repente sperrerà la nebbia,
dol ebbre
10/6 Perchè le sue parole parver ebbro.
12'£ A guarir della sua superba febbre
56'1 Dentro Siratti a guarir della lebbr.
sa ebe
10° P Oh sovra tutte mal creata plebe,
43. t Ch'aiutaro Antlone a chiuder Tebe;
ix Me' foste state «qui pecure o zebe !
29 | ebra
193 o Di che facei question cotanto crebr:
90/1 Assai t'è mo aperta la latèbra,
47 t Che non si turba mai; anzi è tendb
116°
95! ecca
76 g Che l'altra faccia fa della Gindecc
126 p Ver l'iguoranra, che di questa pecc
99 Fu l'uonmn che nacque e visse senza P
118. Sappiendo chi ‘oi siete, e la sua pe
88 r E sappi, che la colpa che rimbecca
02.8 Ch'é opposito a quel, che la gran se
47, Se quella, con ch'io parlo, nou si se:
120 Con esso insieme qui suo verde secca
122
41 | ecchi
58 b Forte così; ond'ei. come duo becoh
75 Che recherà la tasca co‘tre becchi:
57 1 La lingua, come bue che "1 naso lec
6 Ed un, ch'avea perduti ambo gli orecchi
s fale m'intronan gli orsechi,
a Dime: Perchà cotanto in’ noi ti specchi 7
ecchin
a A vista 'l tempo che ti s apparecchia.
o Da indi, «i come viens ad orecchia
n Se non come dal viso in che si epecchia
cerchio
a Pt comé attento lo n'apparecchio
p Salendo su per lo modo parecchio
E le sue donne al fusa sd al pennecchio,
r Ta vedresti il Zodiaco rubecchio
s Delle mie ciglia, e facimi "| solecchio,
Come quando dall'acqua, 0 dallo specchio
DM cuoio o Jd’ oan, a venir dallo » hia
Fossero In Lei ce di quello lo,
La divina ginstizia fa suo specchio,
sse fuor del cammin vecchio.
Dubbio, che m'è digiun cotanto vecchio
E vidi quel de’ Nerll è quel del Vecchio
eceo
b Quando Maria nel figlio dié di becco.
® lo dicea, fra me stesso pensando: Beco
® Erizitin si fusso fatto secco,
cce
b Onda cessar le sus opere blece
E pol il mosser le parole biece
fl Ma nell'ultima bolgia delle diece
Giiene did cento, 6 non senti la diece.
Che gli assegnò sntto è cinque per diece.
£ Da quel valor che l'uno è l'altro fece i
Per lo forar frodolente ch' ei feca
Ramondo Berlinghieri; e ciò gli face
Che ‘1 tradimanto inaleme con ini fece.
Perch’ lo nol feci Dedalo, mi fece
Nell'immagine mia, il mio si feo;
Per tornar bella a Colni che ti face,
Dello Spirito Santo, e che U face
Le coste a quel che più viaggi fece;
1 Nel mondo su, dove tornar gli lece.
lo ti rg ea quanto mi lece,
Dannò Minos, a cui fallir non lece,
Maito è licito JA. che qui non lece
greca e alla natora umana lece
P LA dove bolle la tenace pece,
Bolle l'inverno la tenace pece
Tant'è disposto a tutie nostre prece,
B Fatto rio dell omana speoce.
E A o prima tanto soddisfoco,
Ma digli chi ta fosti; sl che, in voce
Cha navicar non ponno. e ‘n quella vece
L'udir ci terrà giunti in quella vece.
Contrario suon dinmo In quella vecs
Che quegli lasciò nn diavola in sua veces
echi
b Gli diritt) orchi torse allora in biechi:
rara sen Gu & pas dagli oli steams.
r Pregoti ch'alla mente al mi rechi:
eci
Siate fedeli, sd a ciò far non bieci
Cul più si convenia dicar: Mal feci,
© Ritrorar puoi lo gran duca de’ Greci,
eco
b ndo for giunti, assa) con l' oechio bleco
. primo cinghio del careere cleco.
Ba tu por ma in questo mo
incl su vo, per
i disse: Sa por questo cisco
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52 Le membra mie di là, ma son qui meco
71. A dimandare omai, venendo meco!
54 p Non al trasmuta, hà degno preco
Non farà lor m volo nè preco
| Jo disel Ini: Quanto perno ven preco:
45 r Per che 'l mortal pel vostro mondo reco,
49 Latina, onda mia colpa tutta reco;
41.,® Pol sl valsero in sé, è dicean seco:
— e Bra com' a dovera, se00,
| arà venirgli a parlamento seco;
52 l'ha le nutrici nostre sam seco.
18) Faròl, se piace a costui; chè vo seco
117 t Mio figlio ov'èl # perch non è teco ?
64| Mi disse, tanto che s'io parlo taco,
14| Se Brunetio Latini un poco teco
mE cila
620 Questa piccola atelià ai sorrada
29 Sentisse amor; per lo quale 4 chi creda
creda
oo Fu, e non è. Machi o he colpa.
29, O elel, nel cui girar par che sl creda
115) De’ tool fratelli. ancor par
Fer la colpa del padre; e non «i creda,
| © verrà per col questa disceda!l
30 © (V. reda 1 3) lid) oreda
f tutta parti l'alta valle foda
|p Che venisss Colui, che la gran es
| Che più cho tutte l'altra bastie
Rocasti già mille Lion per preda;
911 Per che divenne mostro a poscia proda:
130 r Che fece Scipion di gibria reda,
138 Nonsarà intto tempo senza reda
33: 8 Perchè onore e fama gli aucceda;
end ede
29 a Vassana || tempo,e l' vom pon ee n' avvede:
184 o Che 7 parlar nostro, ch’ & tal vista code;
147, Giunss quel mal voler, che por mal chiode,
4 A di
| Bras
o piÒ Gia pes Giuly
Ma © chi *
53 Ma e. I chieder mi concede,
32, Medegno na ciò nd lo né altri credo,
i
54 A gules del ver pri che l'uom crede.
120 d La donna, che per iui l'amenso diede,
55, Ancor del colpo che invidia la diede,
43, Quando natura per forma la diede.
1459 Perla virth, che sua natura dieda,
6 o (¥. rede 3 11 117) erede
100 f K comandi che 1 amasaro a Sulle:
67’ Ma d'esservi eniro mi fica assai
di) Ché l'uno è l'altra aspetto della fede
62 Come ti ca, Ti]
10) Turca fieatrice, ch'è ape di fede.
20) tfiantiti, ma crisinni In forma
102 S\eh'a pugnar. par
i146 Al sacra fante Intra lui è la fila,
i
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si
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‘ Pra .
7! EF porgherd la nebbia che ti
ne cha
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ch'a'al creda,
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eee ees eS Sok 00085
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n 1{a91 — - =
Del retaggio miglior nessun possiodes
Nullo; però che 'l pastor che precede;
Ma dimmi della gente che procede,
Ed la: Maestro, assai chiaro procede
Non ti maravigliar, chò ciò proced
Ond'èlla : I° dicerò come pro
Cos di grado in grado al procedo.
r Cho non si puote dir dell'altro rede,
Ch'usele dovea di lui è delle reila:
Ai frati suol, sì cow'a gioste redo, —
Gonfla "1 cappucclo, è più non si richiedo.
Quell'umido vapor che in acqua rieda,
Quand'una è ferma è l'altra va è rlédo;
E se di vol aleun nel mondo riede,
Che pol non sl porla, se‘) di non riada,
Rimane, e l'altro alla mente non riede;
Ad uaar lor vigilia quando riedu.
Ché l'una dallo luferno u' non si riede
Dice che alma alla sua stella riede,
E pi ll Sole a mezza lerta rieda.
Ché solo a ciò la mia mente riflede,
s Dell'universo, in sù ché Dil wlede,
Lo glovinetto che retro a lol viallà,
Per nullo proprio merito «i sleda,
w L'enser beato nell'atto che vedo,
Por cha la gente, che sua gulila veda
Chi guarda pur con l'occhio che non vede,
La gente grossa pi rise che non veda
E però quando s'ode cosa o vedo,
Ei egli a me: Quanto ragion qui veda
Di veder quella essenzia, in che sì vede
Ov'ogni cosa dipinta si vede
E come in fiamma favilla ai vede,
Non è simile a ciò che qui si vede,
Di là dal wodo che in terra si vado,
Qual è colo) che soguanido volo,
ial valor il Colul cho Lilla renda,
Hi quella il cui boll declio tutto vag,
Bong, quanto ragione umana vada,
Ché quale aspetta prego, 6 l'uopo veda,
edi
Ladro alla sagrestia de' belli arredi:
Dell'eterno statuto quel che chiedi,
Mi trasss "l Duca mio, dicendo: Chiedi
Forse ch'avrai da me quel che tu chiedi.
l' non posso negar quel che to chiedi:
Perch’ io dissi: Maestro, or rl concedi
Ed anche vo' che tu per certo oredi,
Non soo colui, non son colui che credi:
E così puota star cun quel che credi
Ma or conviene esprimer quel cha eredi,
De" corpi suoi nun uscir, come credi,
Però parla ron esse, od ofl, è credi:
Lascliala par non vera, ml sisér credi
Pensa, sé tu annoverare la credi;
Fo di grado maggior che Lu non ered,
Quasef tra moi, ss giù ritornare crvili
Ch'è parto della fede che iu credi:
Disse "| Centauro, voglio che tu eredi
Tu non se' in terra, a) come tu credi:
a Ma pria nel petto tre fate mi diedi,
Tra "1 quinto dl e il sesto: ond'lio mi diadi
L'alto lavoro, è tutto in lui mi diedi.
E poi che a riguardare oltré mi dedi,
La mante o gii cechi, ov'ella vollo. diodi
mPoi sorridendo disse: lo son Manfredi,
Ch'el non peccaro : a s'rgli hanno morcedi,
p Gaddo mi aj gittd distoso a’ piedi,
E i le; ti Na sewpre pioinbo a' piedi,
Così Reatrice; ed io che gutto a' piedi
Che si lasciò cascar l'uuéino a’ pledi,
Ma con la testa e col petto e co piedi,
Var lo sepolcro più giovani piedi,
Toeto che con la Chiesa mossi i piedi,
Per chè lo spirto tutti storse i piedi:
Diretro a noi gridò: ‘Tenete 1 piedi,
Già si chinava ad abbracciar li piedi
A tanto segno più muover li piedi.
Quel sangue sì, che copria pur li piedi:
Da 0d non lascia lor torcer \\ pied).
Che, mischiato di lagriwe, a lor piedi
DI là per te ancor Wi mortal piedi.
oF
a 7 120| E già la luna è sotto | nostri piedi;
216 98 Quel de’ e quel de' passi pled).
1 20 109, Divotò mi gittai a'santi piadi:
411 67| Quella che tanto bella è da' suoi poe
= on ant ai e meri li che i vivi pa
] secondo il,eno paso procedl.
3 28 114 r Mi disso: Donque che a me richiedi 7
2 7118, Evivossuo;o però mi richiodi,
3 18 66 Noa corsa come tu ch'al caso riedi,
911112) Sileorawente cmal a me ti ried.
3 20 117) Ond'lo ti , cho pnnae ta read
“2 56110) Ed al mondo mortal, Juande ba
5 8 16/6 Nell'ordine, ché fanno | teri aedi,
113 76) El Duca mio a me: © tu, che siodl
2 17 @2|v Alcarro Ueni or gli osehi, è, quel che vodi,
393 00! O santo padre, o spirito, cha ved
2 16 1398| Questi, l'oro di cu) pestar mi vedi,
320 100) Quivi murì, E come to mi vedi,
S 4 62) Ti fa maravigliar, perchè ne vedl
134 96) Col falso immaginar, ol che now vedi
1 20 105) Edala) ed al no, che tu oon vedl;
11) 66) Ed altro è da veder che tu non vedi. I
2 7116, Nun far; chè to on owlra, è ombra ved
332 42) D'averlo visto mal, el disse: Or vedll;
3 28 110) Lo boon Masatra dime: Figlio, or vedi
#16100) Sì come tu da questa partie vedi
216 134 Vere susiamile son ciù cha lu radi,
134 02] Che spiriti son questi che tu vedi
2 4 @7| Coo Beatrice, si come tu vedi
2 18 46) Veggie ora chiara, sì come tu vedi
8 241 Nella miseria dove tn mi vedi,
S324 42 ;
3 as ile! eda
3 4 Bbo!lc Da questo passo vinto mi concedo,
3 6 2) Non pur di la da nol, wa certa lo oredo,
1239 68 t Suprato fosso comico 0 tragedo.
Oi ba
1 10 151 ==
3 10 74) d Cos) foss' el, da che pure ester deo]
217 #50, Vor la sinistra mia da quelle Dea,
| In essa gerarchia son la tre dee,
ja Infino ad casa succedono Ebroe,
i 24 156 L'ordine terzù di Podestadi da,
a21 686 Né con ciò che di sopra "1 mar rosso èa
2 B 107) E la disposition che a veder ba
1% 7o|f Cho, sa chelidri, iaculi, e farosa
1 24 196 l'erchò, secondo lo sguardo che foo
1 Ss 72) Sanza la vista alquanto esser mi fee:
1 7 117) mRimontb "| Duca mio, e lratse mos,
i 10 62) r Nè tante pestilenzio, ne A ree
3 18 110)8 Noi ci partiniyu, 6 mi per Je scales,
3 24 132) A che si parton le sacre scales
#20 103|t Con tra mélods, che iuobanto in troa
ga sil i
2 21 128 ema
i 20 8 a Che cane a quella levra, ch'egil avoeffa.
DO Ja Ka l'ira sovra ‘| mal valor a'agguoffa,
2 13 140)b Sono scherniti; « con danno è con boa
1 4 36
1 12 180 cen
& 1 61 d Come fa chi da colpa si dislega,
2 @ 111) Che acqua è questa che qui «l dispiega
i 33 “S|/l Ivi così una cornice lega
3 6 24) Virlu diversa fa diversa lega
1 3 To| E pui l'affetto l'intelletto lega.
2 22 106) Ma se’ venuto più che mara lega
239112) Che questi vive, e Minor me non lega;
1 4 #34) Ni dirno come l'abiina ol lega
1 38 68! Cho per piacor di nuovo in voi si lega.
318 112 Nel qual, sì come vita in voi, si lega.
2 32 106/n Venite a noi parlar, s'altri nol niega.
1 21 86| Che senza distinzione afferma o aiega,
1 7 1183/pSì tosto come ‘1 veato a noi li piega,
$ 24 126; Novella viston ch'a cè mi piega.
S$ 6 22! E se, rivolto, in vér di lel si piega,
119 64) A guisa di cul vino o sonno piega?
123 77! Ver lo suo amore adunque a noi ti piega.
2 21 180! Se nona che l’arco suo più tasto p
321 90! l’erch'egli incontra, che più volte piega
1 12 126| Liberamenje cid che "1 tuo dir prega,
3 23 81| Per cotal prego detto mi fa:
+B SA MW e cei; e tu aller Ni prega,
BAB LAA UD Marra Von, cha \a viata ancor li prega.
ere ee es ee Ee) civado
to ta to
Bse
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GO ne Oe Gp 19 tO RO 29 2Ò de fg de Go tO i i o ie ia
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DI aw ow Out Out Ow Bs
obeso tabars
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s+1-oet.olberotofa
evn
— — — —:- ..-
r Ove asenndamente sl risogra
s Vedesti come |" uom da lei sl slega ?
Far ©) com‘ wom, che dal sonno si slega,
Tragge intenzione. e dentro a voi la spiega,
S'alcuna mali da tal membra si spiega.
Moltiplicata per le stelle —
Vedesti, disse, quell'antica stroga,
egge
@ Tenno la terra che ‘| Soldan correggo.
@ O felice colni, co'ivi leggo!
Fr D'anime nude vidi molte gregge,
Basar temuta da cinsenn, che leggo
PA gina posta lor diversa legge
mover non mi può, per quella legge
Di vir ponente un pastor senta legge,
Nuovo Giason sarà, di cni si legge
Ell'è Semiramia, di col si .
ln obbrobrio di nol per noi a i,
Perch'lo fal ribellante alla soa legga,
Incontr’ a' miel in clascuna sua legge!
Che libito fe" lieito in ana legge,
Ma perchè non servammo umana legge,
r Ma se donna del ciel ti muove è reggo,
Suo re, così fia a lol chi Francia regga.
E. sé tu mai nel dolco mondo regge,
La faccia dalla donna che qui regge,
In tutte parti impera, è quivi regno:
Pasta ben. che per lei tu mi richeggo.
® Che s'imbestiò nell'imbestinto schegge.
egaehin
E non vidi giammai menare strogirhia
Uamé a scaldarn'appogg'a teeghinatogghia
Nè a colul che mal volentior vegghia;
ecein
se volete che con voi m'asseggia,
voi è la caglone, in vol «i cheggi
Le Duca diese: Attendi, e fa che foggia
Benr'arrostarei quando ‘1 fnoca il fregia.
La buona compagula che l vom franchog -
PSS pred verita di gior greggia (gia
Oh ne inol, disse, qual di questa greggia
lo ful degli agni delta santa £ i
SI lasci trapassar la santa a
Avdavan gli altri della trista greggia.
1 suo astio è invegeia,
p Che‘) muover sus nessun volar pareggia;
Che pia:gendo e ridendo pargoleggia,
andar Jj compagni. esi passogeia
Pier dalla Brocela dico: è qui proveggia
Che sempre par che Innanzi si :
© Ma tenta pria s'è tal ch'ella ti roggia.
Dicendo: Quando fia ch'i' ti riveggia ?
Per li vapor Marte rossoggia
8 Dap ronchione, avvisava un'altra soheggia
Perché vedrai la pianta onda sl scheggia,
E, volti a destra sopra la sua
ghirlanda, che intorno vagheggia
di mano a lui, che la vagheggia.
B
t
¥
:
:
#'impingua, se non «i vaneggi
lm yes ves se hon si ranegg
certo, ef ancor par ch'lo ‘l veggia,
m' apparve, e°io ancor lo veggia,
ecalo
"in: ch’ lo per me non la choggio,
la i" vivo ancora; e più non cheggio
"lo, @ qui ragion non
n alto. ove mo cader degrglo;
vien com la quale esser non deggia
nei view l'altegrenza, ond’ io Tamme =
chiarith dalla ma pareggio. (glo
la suecessica ; che
etlocch'lo fugga questo male è
©
TUR
deo Lime mi rire ill i
n d è: ry reecio
* Ra wi lui : ta, (ti richoggio
| Costorsien salvi insino all'altro achog
ivi è la sua cittade è l'alto ®
farà trionfar nell'alto seggio.
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wv E non so cha; si nel veder vaneggio.
Ed jo: Non già; impossibili veggio,
Più Inngo esser non può, però ch'io
Omé! Maestro, che è quel ch'io veggio
lo comincial: Maestro, quel ch'lo vegrio
Mi lava sovra me tauto, ch'io veggio
eche
dfn quella hella spera mi disloghe:
00) p Ché l'immaginar nostro a cotal pieghe,
: O santa suora mis, che sì ne preghe
Li)
47 eghi
21|d Perché tn ogni nube gli dialoghi
so| S\ che il sommo placer gli si dAlapieghi.
83!|f (os sicoro lo inferno freghi.
85|n lo comineini: E' par che tn nieghi,
DE| Keser non può chel milo a ta sl mlegbi.
85|p La fama nostra il tuo animo pieghi
25) Che decreto del ciel orazion Pr
Quell'ombre che pregir pur ch'altri preghi
Donna scese dal ciel, per li eni preg
2
60
10
23
80
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hi
Più ch'io fo per lo suo, tutti | miei preghi
3 Rende in dispetto noi è neatri hi,
67 @ Ma da ch'è tuo voler che più sl spleghi
82
RO cgil
v7\e Quando sl partiranno | duo collegi,
632) E contro nell altri “yy | © collegi:
87|d Di sé taselani:to orribili dispregi
Nel qual si ecrivon tutti | sol di iv
@ Bal quet che fo’, portale dagli ogregi
TO|f Rene al suo patto ascend debiti frog,
74] liowth wow è, cho nua momaria frog):
78|p Dio in disdegno, e poco par che ‘1 pregi:
r Quanti si tengon or lowed gran regi,
Dicenida: Qual fu l'un de’ eatte ra
AI dolor di Luererta in pee
- Che potran dir li Persi al | regi,
oe ecia
10|d Sola va dritta, ol) mai camnala dinprogia
244 Del barba © dal fratel, che tanto ogrogia
37/m E quei di Vartogallo è di Norvegia
64|p Uso e natora si la privilegia,
73 @ Che voatra gonta onrata non sl afregia
-
DÒ
63
120|w Che mal aggiusta '1 conio di Vinegia.
+H velo
87\¢ Pol mi dissero : O Tosco, ch'ai collegio
71| Nel quale 4 Cristo abate del collegio,
22]d Dir chi to ee non avere in diapregio.
26|f Oggi colui che ln farcia col fregio.
30) p Il gran barone, il cul nome è ‘| cul pregio
75) I grido to grido pur Ink dando pregio,
14| Or, ee to hel s) ampio privilegio,
18 esto ehbe milizia è privilegio:
tri E «al son mort, per qual privilagio
pe egli
73 [È Come fee lo. per far miguiori spenti
A Col volte verso |) Latte, se n aventi
118 egile
16/mMi dolce Adistar. è a meglio,
Del ove figlinato; & gue celarlo meglio,
Da te la voglia tua. discerno maglio
120|p RK oulla face fol «ti sè paregiio.
1202 Di questa vila miran nello speglio,
117| E Roma goarila s) come suo speglio.
100 TPareh'io la veggio nel verace speglio
118) w I+eirodal monta sta dritto an gran voglio,
n Ma perché © snera amore, in che lo vogiio
jase Le destre spalle voiger ci =
© ri convegna,
107| Al fondo della glviageia le i convegma
110 d Per l'asmentir di quell'anima degna.
i130; K fone terra. sevondo ch'è cane
125 Fd a te: La tun preghirra 4 degna
128) Per sala grazia, non per esser ;
111! Coal "l Maestro RE quella gente
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: Beto
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Che della ena virtute l'aria impregna, 228110) Pria “eA a il carro il prime
egna egue
Anima fia a ciò di me più degna; 1 1192) Perle nuove radici d'esto —
Quando io udi' questa profferta, degna 3 29 52) Ches'argomentin di campar lor | 5
. Cos) fo fatta gid la terra degna 913 62, Ond'egli avvien ch'un medesimo legno.
Di vision oblita, e che s' ingegna 323 50 | Ma ciò un'ha fatto di dobbiar più pregno:
Cost) a rlarmar, dietro all'insegna 312 98 Già era il mondo tutto quanto pregno
Co’ dossi delle man facendo insegna. a3 10% | Ché dal principio soo (dov'è sì pregno
Così l'usanza fu lì nostra insegna, 4 22 124 Fr Tanto che l'ombra del beato regno
Ed io, che riguardai, vidi una insegna, 1 3 52) Quella wilizia del celeste
1 Di diverse virth diverse legna. 2 28 114] Che Pallante morì per da
p Così fu fatta la Vergine pregna. 3 13 84| Tanto, che non si trar regno;
YF Del libro cho il preterito rassegna. 3 23 54 Per tutti i cerchi del dolente regno,
Ché quello imperador, che lassi regna, 1 1 124) L'imperador del doloroso regao
Quando lo imperador che sempre regna. 9 12 #40; Per li messaggi dell'eterno regno;
® Misericordia e Giustizia gli sdegna; 1 3 GO| Questo aicuro è gaadioso regno,
Della prima virtà dispone e negna, 318 80) Esso ricomincid: A questo regno
fa' che la toa wan pers sì sostegna. 126 72) Ché «) ardito entrò per questo regno:
Perch'io a lui: Se vuoi ch'io Li sovvogna, 1 33 115) Così corremmo nel seconde regno
w Che non senza virtò che dal ciel vegna, 2 8 98| E canterd di quel secondo regno,
A Un toon s'udì; e quelle genti degne
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se E sopra loro ogal vapor sì apegne.
vw Dal bosco
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d Se d'esser mentovata laggià degni. 2 1 84) Comeidelfial, quando fanno segnò lo
Se vol siete ombre, che Dio sn non degnit 2 21 20) Sla questa spora lor, ma per far segno E]
I DÌ ri
Farinata e il Tegghia’. che fur n degul, 1 0 79) EK volsimi ni Mabstro; e quei fe segno i}
1 O diva Pogaséa, che gl'ingogni, 3 18 82| K'lsavio mio Mawvatro fece ® da
E gli altri che a ben far poser gl'ingegni, 1 @ 81) Sovra penaler, da sè dilunga il regno, x7
jo a Jul: Anco- vo' che m'insegni, 1 @ 77) Now st d'un modo; è » sotlo “| segmo Lai
r Ben vedrai che co buon convien ch'e' regni. 2 21 24) Nel fnoco il dito, ia quanto La vidi |) segne ile
Ed essai teco le cittadi è | regni, 3 18 84) Dello Spirito Santo, ancor nel segno, 30)
Lasclane andar per li tuoi setto regni: 2 1 82) E 6) com waetta, che nel segno vi
a El Dottor mio: Se tu riguardi | segni 221 22) Chela pochi luoghi passe altra quel segna) »
Pol, diventando l'un di questi segnali, 3 18 s0) Veramente, porò ch'a questo segno |
t O santo petto, che per tua la tegni: 2 1 60 "ui mean conìra il ee > segno, =
so cd Amore avea oad un segao.
eguo | Marte quei raggi il venorabil saga, 103
© Che di lione avea faccia è contegno, 117 @0|wChe vio più dir, se non: I vegno ? le
Per veder della bolgia ogni contegno, 122 17| Virtà del ciel mi mosse. è con lei regen, da
E più con nu gigante iv wi convegno, 134 30) EK com’ io riguardando tra lor vegno, =
Dimmi ‘| perchè, diss'io; per tal convegoo; 1 32 135! Ed jo a lui: Da me stesso non vegno:
d aoe oramai qual fu a che degno 5 11 118, ego
salire al ciel diventa degno. i 6) .
Per l'universo, secondo ch' è degno, a 31 “3 d Se la vendetia elorna gli diaplego, s al
Da ogni creatura, com'è degno 211 5/1 Ed io a lol: Per fole mi ti lego 2 ca
81 ch'io non so trovare esempio degno, 9 14 106 n Mallgnarsente gik si motte al nego. 2 La
Che la matoria a in mi farai ilegno. 9 1 27 Cha bon mi facci dali aUasdor bg 2 nm
Vedi quanta virtà l'ha fatto degno 9 0 31) Piscolpi me non porort' ia far plage =
CIÒ cha fa poscia d'intelletto degno. 9 4 42 P Vedi. che nol disio vèr lei mi piego. LI te
Bl edebité così: Non oo; ma degno 214 20 Keco qui Stazio, ed lo lui chiamo e prego, 3 n
Fd son d'odir le = porate degne, 2 : 24 Mo e ppt rr proga, 2 =|
rché tal modo fo più degno. a fi Pees nes: prego.
Al mio signor, che fu donor n) degno. 113 76° Parlar, diss’ lo, Maestro, aseal (en priego, 3 sl
Che fa l'uom di perdon talvolta degno. 2 5 21 2 SÌ fa con nel, come luo sl fa Segoe; = M
Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno. 1 10 63 Dentroda un dubbio, a"l' non mestaplege, ® ih
a be ry piau di disdegno! lL © sa egen
Credendo col morir faugie disdeguo, 119 71| ‘ ’
E la propria cagion del gran disdegna, a ze 118 * _ _ mito, dal So) v'allegra, 1 ta
Allor chiusero un poca il gran di-degao, 1 8 89), Sì è en‘ ol fac tm 5 LE î ,
La tempie a Menalippo per disdegno, 1 32 1531 1 ci sai i è Ate pagne dn i4
Ma perchè veggi me' ciò ch'io disegno, 222 74 Ge : La nella parola integra, 1 =
i Agli occhi de'mortali, il cul ingegno 38 7 b9|" i "ni a ballo a! ” Lélletta negra, } r
Poser silenzio al mio cupido ingegno, 3 6 689 n Mong alla fucina negra, |
usare val per altezza a’ lagegna, 110 58 equa
Pensa oramai per ta, e'hai flor d'ingegno; 1 24 26
E yy cud diranno ingegno 3 > 72 -, Che ieri si 4
ul Vinge la memoria mia lo ingagno; 314 102 ° ‘
Omal la navicolia del mio ingegno. 2 i hi Come da Yel l'udir nostre ebbe regen, © 25
pate. qual che si sia, ll mio ingegno; 2 22 114 egue a
ella non vien, con tutto Il nostro ingegno 2 11 do Sa vien chi vicenda consegne. ì
Le tue parole e il mio seguace ingegno, 218 4<0d0 virtà mia. perché al i dilegue F i ®
Così parlar conviensl al vostro Llagegno, 3 4 40 p Rila provvedo, giudica, e perseges , }-
1 Nè pria nè poi ch' el si chiovasse al legno, 2 16 LOG a Gli altima che seguo, e hs J
Or, figllaol mio, nou Mi guar del Legno 32S VAG La pins della gambo posta in A 2 z
Venice vedraimi al tuo diletto Legno. 3 1 15 Le see veri OTT] 21.7
5) ch'io sfoghi ‘1 dolor che ‘| cor m' impregna 1 33 115 p ione
ta, qua
Che d'ogni mi pareva indegna: 1 8 Ga gloriuse stelle, o lume pregoo
Fin che la fiamma cornuta qua vagna : 126 GA, Muover ai volle, tornando al suo regna,
Non vuol che ‘n sua città per me si vegna, 1 1 120| Vegna vor noi la pacs del ino regao,
age ché non v'ebbe aleun ritegno.
Nella corte del ciel, dond'io riw
152/8 O ta, che mostri por al bestia) se
164 Ch'avea certo colore 6 certo segno,
142, Sempr' esser huona; ina non cla-cua segno
140, Volgesl schiera, e sè gira col sagno,
Ma solamente ll trapassar del
egni Di Pietro in alto mar per dritto segno |
egne
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“HK Id I E I CN) ESTER de dr Gt GU) RO NS) er eR BENE Gove KUUMeEL ted
Sd SSRSSEREESSE Elaoifoaloiitorcali" Bini BerZ.cnttifabol-stolstuto
Fermandos'ivi con le prime insegne,
sestss.i.astranusenetsctarana
fini ei DS DS
Kee b5
rdet 4
: fa'che diretro a ma vegna:
nel
[i
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a Quanta al immaginar. non ardirel
b Ma di quest'asqua ronvlen che tu bel,
e In ch'lo U parlo, mercà di colei
Quando inmci, il nome «di colei
Non d'altra foggia fatta, che colei,
Sara, Mebecca, ludit, è colei
Siede Rachel di sotto da costel,
ndo lo giudicia di costai,
Nell'eccelso giardino, ove costal
@ Quando | giganti fr paura al Dei:
Che ‘| fe’ consorto In mar degli altri Del
Suo regno, come il loro gii altri Del.
Forta a cantar degli nomini è de' Det
pen decimas, quae sunt paw Dei,
permutasse, come saper dé,
Cominoid Beatrice, che tu dé
O vendetta di Dio, quanto tu dai
La natura del loogs, {' dicerel
© Parò necessiiato fu agli Bbrel
Verso settentrion, quanto gli Ebrei
£ Ma‘! Principe de' nuovi Farisel
8) che d'entrambi un sol consiglio fet.
E I" idtoma ch’ usai 6 ch'io fei
Antico spirto, del rider ch'io fel;
Che quante grazie volle da me, fal,
Nel suo aspatto tal dentro ml fel,
Vor me ni fece, ed jo ver Iul mi fel:
Botto 1) piedi già esser ti fai;
ld H non con Saracin, ne con Gindei;
E però, prima cha to più tinted,
1 Vostro saver non ha contrasto a let:
IM 1a; 6 noi attenti pure a lei,
Che pronila ciò cha si rivolge a bel,
Grazie riporterà di to a lei.
Oli suoi con tanto affetto volse a lei,
Se non servata; ed Intorno di lai
Su per la riva; ed lo pari di lei,
Fiusa con gli orchi stava; ed io in del
Più n'poveri giusti, non per lel,
mubel fallo dieen: Miserere mol,
Venite, heneticti patria wari,
To eraili che a ma tno pensier mel
Come a raggio di Sol, che puro mel
Non eran cento tra‘ sori passi è i mioi,
Ma non sì, che tra gli occhi suoi è | misi
Pur mo venieno | tuoi pensier tra i miei
F quasto fu "1 diletto agli oechi misi,
Cid che fu manifesto agli oechi miei!
Marzia piacque tanto agli occhi misi,
Così mi disse ‘1 Sol deg i oechi miei.
ti, che guide in alto gli oech) mist,
za avesser gli i miei.
v coperti d'ombra gli secchi miel;
Più che salir non n gli cechi miei
Hernardo, come v N cechi miei
Orribil foron Mi peers i miel;
lo mando verso là di quest! miei
P Tai, ché mi vines, s guardar nol potel.
q RicominciAr, coma nol ristemma, quel
F Or rai noatri atti, n di cho fummo roi:
(ite con lor, ch’ #° non saranno rel.
nears è due 0 tre per sol,
Mille dugento con ersania sei
© L'imagina di wor ina non trarre!
Fenno una ruota di nò tatti a trei.
v D'aver noticia di ciò che to vol,
Hd io a lol: Sesser puote, |' vorrei,
ein
© Sì che par fuoco fonder la candela;
K col sno lume sè medermo cela,
Detorminato numero «i cola.
Diventaron lo membro che | com cela,
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Lo!
@ v Mentre che ‘| fomo l'uno è l'altro vela
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Per lo domo d'Italia si ccagola,
d Per l'una parte, « dall'altra ll dipela,
i Perfetta vita ed alto merto inclela
1 In numero, che mai pon fa i
n Questi è divino spirito, che ne la
so ta guardi quel che si rivola
t Per apprender da lei qual fa la tela
Poi liquefatta in sò stessa trapela,
Nol mostro mondo giò sì vasta è vela;
E per soverchio sua figura vala,
© Sa così 4, qual sole o qual candele
La seconda hellerza che to cole.
Lucia, nimica di cinscun orudele
Tal cadde a terra Ja fera crudate.
Che lascia dietro a sò mar e) orudale.
Veggio '1 nuovo Pilato « erudala,
dd Per grazia fanne grazia che disvele
f Non per che ti facesse ancor fedole
Era la lor cantone, al too fedeala,
E diese: Or abhisogna Ji tuo fedele
v rinnovellar l'acsto è ‘1 fala,
m Vuolsi così nell'alto ove Michele
r Che mi sedeéea con l'antica Rachole:
w Porta nel tempio le cupide vele,
Quali dal vento le gonfiate velo
Per correr miglior acqua alia la vela
Foscia diretro al Peseator le velet
c Quanil'io diesi: Maoatro, so non cell
Deh, frate, or fa’ che più non mi ti ceti;
Non ti maravigliar, più che de’ ole
Render solea quel ch a questi cle
Gridé a ool: O anime crude
Ki ne verranno distro più erodell.
E Liavamenta ma e caldi a
A sofferir tormenti è caldi è gell
1 Prima fen triste, che lo gnance im
P na mi ~~ og pri] lì pel
Fr ie | ne anim
KI) he tases canvion ene si riveli,
oli.
» Che, come fa, non vuol ch'a noi si avweli.
w Levatem! dal visa | duri vell
Tatta rimira tA dove ll Sol veil,
elia
a Poi fare a voi secondo che vr'abbella,
E come vian la chiarissima ancella
E gli altri dno che "l canto sues appella.
b Vblta vir me «i Heta come bella:
A noi venia la oreaturn hella,
DI vista in vista infino alla più balla ;
Non mi ti celerà 1° esser re la;
La Donna mia, ch'io vidi far più bella.
K come agli secchi mini si fe più bella,
ia quinta tune eh"è tra moi
Be ben m'accors| nella vita ®
LA ‘v'eravtam; ma natoral burella
© Quest’ uliima giammai non si cancella,
l'aver tradita te delle castell
Di anco Ss alle tota farella,
trarmi erro un pecs | favela.
Dmail sarà più corta min favella,
290 86
1 26 190
3 3 87
9 29 191
217 50
2 30 185
3 3 00
230 88
1 26 118
3 a 00
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patti
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i
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j
iti m'apparve, lornand' jo ln +
eulr per l'acqua verso nol in quella,
Quale quel toro che sì slancia in quella
Mi torso "1 viso a sé. E però quella,
Carbone in Mamma. coal vidi quella
Per lo piacere uwan, che rinnovella
Turgide fansi; e poi sì rinuovella
s Che gir non as. ma qua è la saltolla;
E lasciar seder Cesar nella sella,
Che sì corresse via, per l'aera, anella,
Aminaeitrato dalla tua sorella,
To fol nel mivtido vergine sorella ;
Comlucia a farsi tal. che alenin stella
SI mosse voce, che Vago alla slella
Giunga li suol corsier sott'aliràa stella;
Per l'affocalo riso della stella,
Pigliavano il vocabol della stella
Né nawe a gece ill terra oo dll atolla
Farché mi vice ii loi ad'astka stalli
Lucevan gil ucchi sini più che la Stella:
Far tremodlands mattutina stella.
Con miglior corso e con migliore stella
Che n'ha congimiti con la prima stella,
Per lo candor della temprata stella
Hi egli a wie: Sa tu segui tua stella,
i triun luce, che in unica stella
I) quate è ‘i quanto della viva atella,
Pid a suo modo tempora e suggella.
E però lo minor gicon snggella
In quella firwa, ched in ini suggella
Come figura in cera si suggella.
ii
elle
Fummo ordinate a lei per sue ancella,
Dun branche avea pilose iniin l'ascello ;
I vidi entrar le braccia per l'ascelle,
Tanto ch'io vidi delle così bella,
Mosse da prima quelle cose belle;
Si trovan molla gioie cara a belle
Quasi obliando d'ira a farsi belle.
Ed ogni giro le facca più belle
Dentro alla danza della quattro bella,
Voci alte e loche & suon di man cou elle,
Ed lo a lui; A quelle tre facello,
O anfina che tanta ban favello,
Fa‘ che di noj alia gente favella:
Non rimaver che tu non wih favelle.
Fu imperatrice di molte favelle.
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Awor che muove il sole e I" altra
E torni a riveder le belle stella,
Ed egli a me: Lo quattro chiare stelì
Fer sua dimora; onde a guarilar le sl
Ma per quel poco, veléew'io la atelle
E quindi usciamo a riveder le stella
All'altro polo, e vidi quattro stelle
E ‘l Sol montava ‘n su con quelle ate!
Noi sem qui ninfa, a nel ciel semo sta
Risponavan per l'aer sanra atelle,
Bagettando qual'anima si svella
Ma già volgera il uso dislro è ‘1 vel
Queste son lo quistion che url tuo wal
Vedi l'erbeita, | fori e gli arbosoel
Uacciarli | ciel per non esser ivan bel
L'iscin rivalsi pli deel agli ocehi hell
lsponendo "1 piacer degli occhi belli,
Mentre che vegnan lieti gli occhi belli
Quel peccator, forbendola a' capelli
Però, secondo il color de' capelli,
Fiù e più fossi cingon li castelli,
Per difender lor ville e lor castelli,
Uge da Sanvitture è qui con elli,
Uh'alcuna gloria i rei avrebber J° alli.
Seder ti puoi e puoi andar tra elli.
Già pur pensando, pria ch'io ne fave
Qual che sl fussy, lu minestro Felli.
Tu vedrai Len perché da questi felli
Volgandom' ia con gli esterni Gemelli
Nella Scrittura Santa iu que' Gemalli
I Dbeghamento convien che 4 incappell
LI Lo qual pù luce in dodici belli:
mil. divina giustizia gli martelli.
p Alla ripa di fuor son ponticelli:
Che fur de' primi scalzi poverelll,
Ki di David col malvagi pungelli.
q E ch’ io non m'era lì rivolto a quelli
TANO! ch'io son ltertram dal Nornio, qi
Tale imagine quivi facean quelli:
A tale imagin eran fatti quelli:
lE rechiti alla mente chi son quelli,
r Degli angeli che non furon ribelli,
lo feci “) palre el tiglio in sé ribelll:
Pu comincio: To vuol ch” io rinnowe
64's Ma chi s'avrelde, che | vivi suggelli
ello
ello
a Del bello ovile, ov'lo dormil agnello
A messer Guido sd anche nd Angiolello,
b A così ri to, a così bello
Non che Homa di carro così hello
Ed odiil nominar Geri del Nello.
Parlando cose, che *1 tacer A bello,
Vaglia mostrando è facendosi hallo,
E il ciel, eni tanti Jomi fanno bello,
Farà la pruova, sì ch'a te fia hello
Lo secoli primo quant’ or fu bello;
Ancor digests scende ov'è più bello
Kon donna di provincie, ma bordello |
Quasi falcon, che uscendo del cappello,
Sì che l'un capo all'altro era cappello:
bel mio batteemo prenderò il cappello;
Quand' fo fn’ chiesto e tratto a quel cappello
Venimmo appié d'un nobile castello,
Segnato è or da voi lo mio cervello.
d Contente foron d'acqua. è Daniello
Fo’ sì Beatrice, qual fe' Dantello,
a l' direi anche, ma io temo ch’ ello
M'ara nel visa, e il dimandar con allo
Ma quel del Sol saria pover con ello;
Noi eravam partiti già da ello,
Sì che tre venti si movenn da ello,
Le two pensier da qui innanzi sorr’ ello:
f El gran to, volto a Farfarello,
Dal suo maestro disdegnoso è fello:
Che l'avea fatto Ingiustamenta fello.
Ma ei gridò: Nessun di voi sta fello.
Fer tradimento d'un tiranno fello
Difeso intorno d'un bel finmicello,
Fuor della selva un piccol flnmieslio,
m Come dal fabbro l'arte del martello,
n E non l'abbatta eto Carlo novello
o Ma non distingue l'un dall'altro ostello.
Cittadinanza, a così dolce ostello,
Ahi serva Talia, di dolore ostello,
Lo primo tuo rifugio e *1 primo ostello
Prendendo il cibo di qualunque ostello.
p Ch‘ lo eidi Ini a più del ponticello,
Keciron quei di sotto “1 ponticella,
Ch'escono | cani addosso al poverello,
q Altro Melchisedech, ed altro quello
Virtute informativa, come quello
Ad ascoltar; sapeta quale a quello
Tal per l'arena ù sen giva quello.
Che "1 te ne dentro a ta per quello
Sott'altro segno; chè mal segue quello
r Quale del Malicame esce il ruscello,
K nettare per seta ogni ruscello.
s Una C ella, on Lapo Balterello,
Discende lasso, onde si muove snell
Dicendo: © Mantorane, lo son Bordello
Bd lo: S| come cera da suggello,
La circolar natura, ch'è suggello
Prende l'image. © fasseno saggrilo.
Più 1h con Ganellons è Tebaldello,
membra d'oro avea quanto era uocello,
Disss: Fatti In costà, malvagio necetlo.
Che, sanza veder | od lo,
Che la Scala il santo veceltlo;
? conveniva a tanto necello : ta
w Venno Cephhs, « venne {I gran vane
Gittati saran foor di lor vasello,
Sovr' altrui sangoe in natural vassallo,
Con altra voce omai, con altro vello
Ch'a più alto leon trasser lo vello
Non arean penna, ma di vipistrello
wle
a Subite al figlio pallido sd anelo
b Che più non arse ia figlia di Belo,
© Fermosal, come a candallier candelo,
Per far a a sua fiamma il candelo.
GH occhi m hint
te cadde già dal cielo;
ra. cu dal cielo
Coran di ta = corte del cielo,
orch
ti andavan pure al cielo,
St CI (CI I i (LI e CR nt do MS et | di CA I tI DS) Gi dt n E CI II CO CI LI EI i di dn i i i e i RI) Ut US I te et
= — 60
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a-rciltotoansalila 20288, Rata EEE
bi Mib
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BSebtottoi 2aStsrzantttmatotol
— 9] —
Ché lA, dove obbidia la lerra è "1 cielo,
Vedi coma l'ha dritto verso ') cielo,
6| Aver fatto di sè duo segni in cielo,
77) Mi disse: Non sal to che to se' in cielo!
130; Con Beatrice m' era suso in cielo
116) Non isperata mai veder lo cielo:
27| E pegeces norre fa nal cielo.
104) Pogo) planeta sotto pover cielo,
36) Quando ‘I settentrion del primo cielo,
130) Fu noto Il some mio; a questo cielo
68| Sempre |’ Amor, che queta ee cielo,
148) 4 Certo non si scotaa sl forta Delo
423|g Allora che sentì di morte ll gelo;
78| Melle tenebro eterne, in caldo « In gelo:
34) Grave alla terra per lo mortal gelo.
120| Quale | fioretti dal notturno gelo
0; Esotto | piedi un lago, che per gelo
125; Tremar lo monte: onde mi pra un gelo,
106|mQuale a veder li fioretti del melo,
81|n Poichè ciascuno fu tornato ne lo
146 p DI me, infla che si convenne al pelo ;
19. Un vecchio, bianco per antico palo,
92) NA an sentir di così aspro pelo;
11| E questi cha pe fa seala col pelo,
117) Che non si mulan come mortal
124/12 Si come ruota più presso allo ntolo.
51| Che si comincia in ponla dello sielo,
22] SI 4rizzan tutti aperti in lero stelo j
Dd\t Vedeva Mriareo iitto dal tèlo
132|w Non sofforse di star sotto alcun volo;
15) Sl che remo non rool, nè altro
72) Nè d'altra nebbia. che di colpa velo,
81! Non fees al visa mio a) grosso velo,
ee! Non fece al corso suo «) prom velo,
77) Edico, ch'un dor mì squasceiò “I velo
128; l'er paura di tal fe' del mar velo,
100| E lasclomii fesciato di ta) velo
129 « EF ald che ci ri fa vien da buon zelo ?
192 | Per l'aer luminoso; onde boon telo
a Nel wuo aspetto di quel dritto nebo,
120 clan
26/6 ler singolar coglione resrre eccolan
70) Mo sinti non r acqua d'Elsa
68\¢ E ‘) piacer loro un Piramo alla pelea;
126
al elee
32/4 Dal bel nido di Leda ml divelso,
Bl]o La parti sua vivimime ed accolse
77/6 © maraviglia 1 chè qual evil noalno
104) Qual Meatrice per ]nogo mi scelse.
a Subitaments JA, onde la nvelso,
128 elta
130) 4 Dal corpo, ond‘ ella stema 4 dinvwol
Tala Cade In la selen, e non I'd ha
f
p
¥
ii — a e
—
eet tt eer et
a
mi =
3875822255
b Porcia
Quivi germoglia come gran
clira
ola
ria scelta
"i apelta; |
NR sua narion sarà tra Veliro è Paltro.
Questi non ciberà terra né
ancide come antica belva:
Alla putiana ed atta nuova belwa.
non vi ri
È nile A |
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Searsortetoses+eooeaces
ee eee ss ae Siw sews seo-scemeneccosase-bons
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S83 ss
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Non credo che così a buccia stroma
Ma sa l'amor della spera suprema
E fosse il cielo in sua virtà suprema,
Per digiunar, quando più n'ebbo tema.
Perocché oi mi caccia il lungo tema,
Ma chi pensasse Il ponderosa téma,
Non vi sarebbe al petto quella tema ;
Più che giammai da puro di suo téma
Fuor della queta nell'aora che trema;
Ch'ha l'abito dell'arte e man che trema.
Nol biasmerebbe, se sott'esso trema.
Ché, come Sole il viso che più trema,
embo
& Dove la costa face di sì grembo;
1 LÀ, dove più ch'a mezzo muore il lembo,
s Tra erto e piano er’ un sentiero sghembo,
embre
i Fossero in una fossa tutti insembre ;
mQual suole uscir dalle marcite membre
Hai tu mutato, e rinnovato mambrél
n Provvedimenti, ch'a merzà novembre
r Quante volte, nel tempo che rimembre,
8 Di Valdichiana, tra 'lluglioe‘lsettembro,
embri
mAhimè, che piaghe vidi ne’ lor membri,
-
r Ancor men duo], pur ch'io me na rimembri. 1
s Sostati tu, che all'abito né sembri
vet Ii
© (V. spreme 2 4 11?) espremo
E ice de'capi, che dall'altro geme,
Tacer che dire; e quindi poscia geme
E dentro dalla lor fiamma si gèmo
1 Col pastoralo: e l'un coll'allro insieme
Ivi s'accoglie l'uno e l'altro insiemo,
E vidi cento sperule, che insieme
Ulisse a Diomede, 6 così Insieme
Dell'altra, sì cha ver diciame insieme
Poi si ritrasser tutte quante Insieme,
Così di quella scheggia usciva insieme
Parlaro e lagrimar vedra’ insieme.
Pol con dottrina è con volere insieme
P Disperato dolor che il cor mi premo,
Per lo perfetto Inogo onde si preme;
Quasi torrente ch'alta vena premo;
PF lo stava come quel che in sb ripremo
@ Ma sa le mie parola esser den seme,
Ond' usc) de' Romani il gentil some.
L'umana spezie, il luogo, il tempo, il sema
Licenzia di combatter per lo semo,
Ch'ogni erba si conosce per lo semo
Però, quando Piccarda quello spré.ane,
t Cadere, a stetti come l'uom che temo,
Perocchè, giunti, l'un l'altro now teme.
Ch'attende ciascun vom che Dio non tema.
Ma consentevi in tanto, in quanto temo,
Di dimandar, sì del troppo si temo.
emi
d Virgilio, a cui per mia saluto die' mi:
p Potean le mani a spendere, è peutò' mi
r Ché qui è buon con la vela è co" remi,
Dritto «), com'andar vuolal, rifomi
s Quanti risorgeran co'crini scemi,
Mi rimanessero è chinati è scemi.
Ma Virgilio n'avoa lasciati scemi
Toglie ') pentire vivendo, a negli stremi |
t DI sangue m'è rimasa, che non tremi:
emul man
@ Disposato m'avea colla sua gemma,
mSiena mi fa'; diafecemi Maremma,
emime
b Di quel di Spagna, e di quel di Boemme,
è Pareva in prima d'ingigliarti all’ emme,
Ben avria quivi conoscialo V emma.
Quando ‘| contrario segnerà un arme.
@ © dolce stella, quali è quania gemme
Parean l'occhiale auella senza geme
{<<} I ha
sabot
15
co
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oe
23
Bee COOK tolo (de ba cola bo
343
el RI
Sooass
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bieb-gpioge segue gelo
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3 IRE
1 19 125% Che ‘i Sole | erln motto L'A
an N
108,
empra
58 t Rimase addiotro, e la quinta «ra al tomo,
110) E come quivi, ove r'aspetta il imo
46 Gridando a Dio: Omai più non ti tema:
23 v A giudicar: chè nol, che Dio vedemo,
1 Che quel che vuole Dio e nol volemo.
4
empin
e Chà tutta ingrata, tulta matta ed empia
s Sarà la compagnia malvagia © scempila,
* Ella, non to, n'avrà rossa la tompia.
48! empie
no a E cerca è truova, a quell’ullicio adempie
256 Ahi, anime ingannate, fatuo ed ompio,
Non torcendo le lucerne cnpia,
sor Rivolta s'era al Sol che la riempie,
104/98 E con le dita della destra scempie
sol Usecir gli orecchi delle gote :
lia * Quel dalle chiavi a we sopra le tempie:
112, Quel ch'era dritto, il trasse “n ver le tempio,
45 Urizzando in vanità le vostra templet
112 emplo
108
tin @ Dimml, perchè quel popolo è sì ampio
i Sangue sitisti ed jo di om. Por t empia
"° 3 Mostrava la ruina e il crude scempio
| Ond'lo a lui: Lo serazio è" scempio
51 * Sovra Sennachorib dentro dal Wa nis
44) Tale orazion fa far nel nostro
su 7 —
25) Vedrasai al Clolto di Gerusalemme 3 lo 187
52| La gente, che perié Gerusalemme, 233 po
74 1 Effetto ala del ciel che tu ingemme! 3 18 117
27
146 emui
64'0 O fronda mia, ln che jo com mmi sa 5 83
64 f Ch'io caddi vinto E quale allora femmi, 2 31 è
23] Cotal principio, rispo.dendo, femmi, D 15 #0
150 1 Che questa giola preziosa ingemmi, 215 sé
78.r Poi, quando 'l cor virtà di fuorrendemmi, 2 31 #61
a t Sopra we vici, e dicea: Tiommi, tiemmi. @ 81 93
emo
a Colà, disse quell'ombra, n'anderemo a 7 «7
68| E colà Il nuovo giorno attendere A 2 7 cs
72!f Maestro mio, diss'io, che via faremo ? 3 Fs sa
70|r Qui si ribatte *1 mal tardato remo. a ui
|s Ed egli a me: L'amor del bene, scemo 27 69
| Quand'io m'accorsi che ‘1 monte era roémo 2 7 5
49| Equinci e quindi il lume si fa scemo; B 31 ise
51| Ed done dolca così fatso scemo, $ so 136
147) Gente seder, propiaqua al luogo scamoò, 1 17 36
143| lo mio dover per penitenzia scemo, 2 13 126
145| Farotti ben di me "1 volera soomo ; 230 si
47| Se forse a nome vuoi saper chi somo, 2 20
i Si purga qui nel giro, dove semo? 27 6
E quando noi a lel venuti semo, 117 2
10| Girando il monte coma far solemo, 2 22 igs
12) Quando" mio Duca: lo eredo ch'allo satramo è 22 12)
8| Per ben dolermi prima ch'allo stremo, 220 03
È d'ogni lato no ateiagen la aliene 2 « sì
Con gli occhi vidi parte nello stremo 5 31 153
| Pace volli con Dio in sullo stremo 215 16
41| E dieci passi femmo in sullo stremo 1i7 3
44| Quando noi fummo in «su l'orlo supremo 7 = da
a3)
a 19
3 20
8 Bo
|
S35
a
Li)
7
[i]
petite ao
nBESELESE ea:
Skbouus ebbbnebot
6 empleo
Tlo Chad lo per me indarno a ciò conte
49. O milizia del ciel, cu’ io coulemplo,
0 Udir conviemmi ancor, come l'esemplo
49° ‘Tutti sviati dietro al mate lo.
48 t Del comperare e veoder dentro al ten
47) iu questo miro ed angelico ‘ample,
136 DI erà, ~ pin e attempo.
a Che più mi grav com’ in”
134 & E se già fosse non saria per tempo
Tu sentirai di qua da piceiol tempo
125 cpr
115 a Quando la brina in eulla terra ansempra
33/1 Se non colà, dove ll glole a sn
qua
Munari, n taeder voce a voce ia vg due
Wa pia dorme Sika woe Yank Cini por "=
ute ess ehicks seces:
piego sa
È
LL)
110
ende
6
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til stempre? 2330 08
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ue’, che nolan sempre 2 90 92|a Che visla sol
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Avesser: Donna,
a Anzi "1 cantar di
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PAPA ities ma ag isti Hee
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USB ubS En | api pitt
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mi fec'i0; è tal, quanto ol tendo
ul, lo col saver lutto trascende,
endere
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alto bung!
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È +4
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riisai ancor lo Lew valendi ?
chi ae’, che ‘| nostro fumo fondi,
quei lucenti intendi
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q ie p
|»;
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se
areé
endo
lel suo raggio m'avoendo,
HE
Ii
necestoirin, né commento.
*ra noi, perchè corrondo
anes di contra, dicendo:
PEG
tt}
=
ao »
È
I
BROOM
Bi
d'atto in alto, Lanta divenendo
te contingenza sasere intondo
incatrar }'laferno a Jul intando,
hd coun'i'odo quinei, ¢ non intendo,
vE
nee
E duo ee î van piangenda:
hinbodue, riepose l'un piangendo:
fom fatti soll terra
r Altra risposta, disso, non i rendo,
22
Per che, s'io wl tacea, mo non riprendo,
a Che pria m'avea parlito, sorridendo
t Si dea seguir con l'opera tacondo,
Ci sentivano andar; però incendo
Di fieri lupi, igualmente temendo ;
v Per quel ch'iù vidi, di color. venendo,
“Ene
a Volasser parte, è parte in ver l'areno,
To credl che qui sla ‘| duca d'Ateneo,
Qual sì partì Ippolito d'Atene
bEs'ella d'elelauti è di balene
Del tuo consigli» fai per alcun bono,
La ti farà. Md ella: P'alteni bene
Come avarizia spengo a ciascun bene
Fannomi onore, € di ciò fanno bene.
DI sì fatti animali. assai fe’ bene,
Cotanto effetto, e discernesi “I bene
Quell’infinito ed ineNabil bone
Che ti menavano ad awar lo bene
O con men che non des, corro nol bene,
è corto revettacolo a quel bene
E falla dissiinile al soinuio bene,
DI gratuito lume il sonimno Bene;
I' s'appellava in terra il sommo Bene,
c Quai fosse attraversate. 0 quai catene
Ond'elli: Or ti conforta, chè conviene
Dunque nostra veluta, che conviene
E da questa credenza ci conviene
Eli si chiamò poi. E ciò conviene ;
Onde la vision crescer conviene,
Quinci comprender puoi ch'esser conviene
Procedere ancor oltre mi conviene.
Lo Genesi dal principio, conviene
Ed al gridar che più lor si conviene:
Perocché ciascun mecy si conviene
Quale a tenero padre si couviene.
Tal di Fiorenza partir ti convieno
f Li Colchi del montun privati fene.
@ Diffuso era per gil GEchi e per le gene
p Contra mal dilettar con giuste pene.
E d’oyzni operazion che merta pene.
Ma viensi per veder le vostre pene.
Chè le terre d'Italia tutto piene
Ma perchè le tue vozHe tutte piene
r DI che tutto le cose son ripiene,
Quanto aspotto realo ancor ritiene!
Giustizia vuole, © pietà wi ritlane.
Ed Jo sua dignità taai uon riviono,
= i
«da
-
1)
«Lu
i, par valorno prendere.
comply di tal comiglio rendere,
a nell'altra bolgia aceudere,
nt ft
EEG
Sé ess
. Ed egli a ma: To vero approndi,
BRBoeEEe
dii fi tt tt
Sucena
vos
228
note & te ché non la intondi,
ni al mondo reverendi,
| onde cagionl, approndo.
DI de ha
sseszegnsnote
| Duca diem: 1* son un che discando
seme 6 Mira semo il ciel movendo.
HA AE da fi fi
— — i i ace
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AZ het LI LO BI te DI CO LI is CO CI De CLI tI CO Co Co CO BI do Co CO WOK DODO Gm a O ho ee I
G
sa villanla nostbia vlustizia tleni
In quel prav seggio, a che tu gli cechi
Uiridanda "1 peau tre a lul: Mala via ti
Bail in di quelli spirii diate: Vieni
Voc) lho messe, ilicea: surgi, è vieni
Lisi CRI
Manibiis 0 dute lilia plenis.
Sl levàar cette, ad rocem lanii seni
Tutti dicean: Beacdictus, qui veni
enna
Quei che morrà di colpo di cotenn:
Quella, che tosto moverà la penna,
Che nol seguiteria Magua nè penna
Quel che fo' poi ch’ e:1i uscì Rav
1. si vedrà il duol che sopra Seun:
Isara vide ed Era, e vide Seuna,
enne
Io veggio ben l'amor che tu m°acce
Molte fiate gia. frate, addivenne
Che delle nostre certo non avvenni
Ly» spazio dentro a lor quattro cont
Sì che la gente in mezzo si contenne
E prima poi ribatter le convenne
I le labbra ingrossò quanto couvenn
Yeder voleva, come si convenne
E come a'rivi srandi si convenne,
SI fe’ di quel che far non si conveom
Me stesso, tanto, quanto si couvenne,
Ma noudimen paura il suo dir dien
Di Mirra scellerata. che divenne
Quando di maschio femmina divenne
E tal nella sembiavra sua diven @,
Tali eran quivi; salvo ch'alle penr
Fossero Aupelli, 0 caiubiarssersi penn
Trattaudo l’'aere cun l'eter: e penne,
Conveune a'maschi all’ int ocenti peo!
Al volo mi seutia crescer le penne
E quella Pia, che guidò le penvo :
Che riavesso le maschili penne.
Ma non eran da ciò le proprie penne
E, sotto l'onibra dello sacre penne
Erano in veste, che da verdi penne
lo vaggio ben cono le vortro ponno
ensi
Onde
— 35 —
E ai, canglanilo, in su la mia pervenne.
sreSasese "s°s002e83rn8838338s"a°RARIERSS8
asrozggesseoces Bee 28" aaa" °° ESS
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sacdeialbssteticascdesticaae Lf Hunt Issietiziie spe ee il
- e » va DI = ou 2 Be
BUSI
pensando; od al disse; Tu |
LI
P Voaira resurresion, si to ripanni
è D'ammilrariooe omal ; pol iro a'sensi
Part vetta corl, a' dno nilel send
Da quell'iraà besiial eh'l'ora npansi,
© Un poco s'arrestaraso è taciensi.
a Sovra me, come pria, di cro aAdsdGnao
è Co ‘| Maestro;
Jah metti al mio volar tosto
p l'erduto: ed egli: Vedi, ché a i
Ch' to in te rifletier quel ch'io
a Sl che e'ausi prima un poco || senso
cnin
a E boon sarà costol, s'ancor « ammenta
Dell'operante, quanto più appresenta
la che più Wolo oguora #' appresenta :
en Times dell'asime argomenta
vodrai |
| correggier cha +'argomenta:
Mereé del popol tuo che # argomenta.
Cha fa colul oh'a diebr a'argomenta.
malo è colui ch'adocchia, o pra
ae dal fusion fuyen è' atgame
Colpa nellu tus voglia alirove attenta.
Mirra fess, Immobile ed attenta,
Fosse la gonto di Kombhrotta attonta;
La punta del dielo. è non a'altenta
Per wane di volare, è non s'altenta
Mosser la vista sua di stare attonta
Be la tua audienra è alata attenta
Temendo ‘| fiotto che in vor lor s' avvonta
= | gru i l'adovan longo la Brenta,
© È Impossibili che mal si consenta:
L'altra heatituilo, cho contenta
Fiorenra mia, ben puoi esser contenta
4 rilevarvi suso fo contenta ;
Per che ja vorlia mia “arin contenta
Prima cantando, è poi tace contenta
Per far di sè la mia vozlia contenta.
In parte fia la tua vorlia conteuta,
d lo veggio tuo nipote, che diventa
Ciascuua cosa, quale ell'¢, diventa.
Son di tiranni, ed un Marcel diventa
Più corto per buon prieghi non diventa.
A quella luco cotal si divouta,
Che por veder nen vedente divonti,
1 Tal iui scmbiò l'imazo della Imprenta
Con poco motu sozuitò la ituprenta,
La divina buutà, cho 'l mondo imprenta,
Che del valor del cielo il muudo lmprenta
1 Ella sen va notando lenta lenta:
Che sactta provisa vien più lenta.
E la maggiore e la più Iuculenta
p DI Santa Chiesa, ancor che ali si ponta,
Giron couvien che senza pro si penta
r Ma esso guida: e da lol si rammenta
Con quella parto che su si raunnenta
Sorridendo rispose, or li rammenta
Gabriel e Michel vi rappresenta,
@ Che fu per li Giudei tuala sementa,
Anzi che Chiarentana il caldo senta;
Perocché, come dico. par che senta
Come tu vedi, ed è uestier ch'e'senta
Parole gravi; avvegna ch'io mi sonta
Par che del buon Gherardo nulla senta.
Del feragiome: o tutti gli sgomeonta
Tal ora 5, con voglia access o sponta
DP ch'è runaso della gonte spenta,
La lingua ch'io parlar fu tutta sponta
Nell'aer d'ogni parto, 0 vidi spenta
Ed a tal modo il suocero si stenta
t O tuo parlor wiuganna, od e' mi tenta,
Guastatori e predun, tutti tormenta
Della sua strada novecento trenta
Per ogni tempo ch'egli è stato, trenta,
v Se non ch'al viso e di sotto mi venta.
Puote uomo avero in sè man violenta
ente
& Che sotto il petto del Lione ardente
Che di fuoco d'amor par sempre ardente,
ed io: Alcun compenso,
panso.
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21
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31) Vedi Guido Monatt!; vedi Andeni
140|0 Come tl fece subito e candenta
66| Per la coutraddizion che nol cons
b0| Ed peli continuament
533 |d Dietro a edge ey
61) Cos quelle itato
= cH" i! acing fa il disoe:
17| Ve loci: amie oS) divotamonte
1a shows Sus lo) |
10) Cinge d'la la città dolente,
15, Permesi va nella città doleate;
21) Che ei richiudon per ceaer doleute
11) E Modsua è Perugia fu dolente
Colui che perda si rima: dolente
Di Puglia fu del suo dulent
06 Ma dimmi chi ta se". che ha «i dole
107| Narbariccia con gli altri suoi doles
532/68 latra sò, qui più è meno eccellen
49) Veli na far sl dee l*moino eccellenti
196/f Perchè diede “1 cvasiglio frodolet
ink ford questa Pastina ente |
| '
118) Posa lasciaro sila fotura gente;
07. reader sua vita of avanzar la =
oe! ile rg. Wipe mee eg —
© riparo w |
120) Da quella parta, onde Li core ha la
26) ‘he con la cada porcuste la gente:
11' Son aulannsso ancor tutta la gew
116, Can l'altro se ne va tutta la ceutel
184. Per lui fia trasmutata wolta gente,
6, Va per lo regno della morta gente!
7 Per me si va tra la perduta gente,
102| cià venia su. ma di piccota gente,
112° Non viste iasi fuor ch* alla prima #
127 la mio Maestro, ed lo, e quella geo
111 Vedi che por pur io, ma questa geo
26 Diretro al Sol, el mondo senza sen
Ta Da wan sinistra m'apparì una gent
89. Quantunque vedi. sì che giustame
136 Come ie vendetta giustamente
58 1 Misi faccan etimar veloci e lente.
18 E non pareva, sì venivan lente
1265 Di germe la sua fronts era luceni
141 Quant'esser convenia da sé lucente!
100 mKil altro disse, ma non l'ho a men
120/15 quat da lato gli si reca a nente.
76 Va quoste duo, se tu ti rechi a men!
114. Perch'io a lui: Ne ti riduci a mente
109 E quest'atto del ciel mi vento a me
29. Indarno di r.durlasi alla mente,
115 Ché dove l'argomento della mente
27 Esscre alcun do'raggi della mento
98 Che fece mo a mo uscir di mente.
17. Com'a nessun toccasse altro la sucut
42 Da pigliar occhi per aver la mente,
110 Esaminando del camu:min la mente,
41 Non tener pure ad un luogo la ment
05 Per lo nostro sermone e per la ment
47) Si vuol lasciar cho non seguir la we.
123, NMaijutis:lverò tosto la mente:
g Ficca dirietru agli occhi tuoi la men
61) Da'concetti mortali, alla mia mente
110| Forse ti tira fuor della mia mente
Sg! Quella che imparadisa la mia meste
138) E porteraine scritto nella mente
no Si girau sì, che "1 primo, a chi pon 1
in Vidl molt ouwlra, andande, pouer met
Liga] 15 se Ch inondo Bagel ponesso unto
jud) Allora volso a not, è poso monte,
113] to mi volsi a mau destra, @ posì men
ey) li pensier vani intorno alla tua men
130| Che piavgein tutte assal miserame
ag} Conoseeresti all'alber moralmente
1u3|n Colui che mostra sé più negligent
138) Ma però di levarsi era niente,
117| Tutte adunate parrebber niente
a0|o Verigli siete giunti all'occidente,
| Che già, raggiando, tutto l'occidente
| lui si rivolse nel vostro occident-,
14| Nell'ora credo, che dall'oriente
poi Già s'iubiancava al balzo d'ortente,
ente
=)
=
Ss
Faceva tutto rider l'ortente,
Ficcando A i occhi verro I orlente,
p Tu dici di Silvio lo parenta,
Che "1 suocero Il facesse lor parents.
Trameci l'ombra dal primo parente,
Molto di là, da quel ch'egli è, parvento.
Non per color, ma per lume parvente,
Snbitamente el rifl parvente
Che In questo specchio ti sarà parvente,
Nè, per emer battuta, ancor «i pento.
Ch'assolrer non sl può chi non vi pento;
Ora vorrebbe; ma tardi sl pento.
Vedral Beatrice, cd ella pienamente
Tu hai vedute cosa, che possente
Guarda la mia virtò, s'ell'è posssota.
Non di sua natura esser possente
E fa' la lin mia tanto ente,
Quando ci «Idi venire nn Possente
Li gran sententia li faran presente,
Incredibili a quei che fla presente.
Ancor fla grave Il memorar presente.
E ciò non pensa la turba presente,
Poscia che contro alla vila presente
Con tutti | raf, ed assal prestamente
For ancilla hei, si propriamente,
F Ma Venirice «\ bolla nr ridente
Quando mi volel al suo viso ridente.
De‘ vostri sensi, ch'è del rimanonto,
lo era come quei ché si risente
Vér l'alta torre alla cima rovente,
EA lo facea con l'ombra più rovente
8 DI voter lor parlar neerotamento.
DI quei che fe' col haialo segmento,
Discorde a sà, com'ogni altrà semento
Ad organar le ond'è semente
Secolo andò, e fo sensibilmente.
Tanto ovra pol che già
Per tante circostanze solnmonte
Non si pente, chi gnarda sottilmente,
Mi preso ‘1 sonno; il sonno che sovente,
a por, che tosto sisnn spento,
Procacel
Che s'altra è maggio, nulla è si spincento.
Ial ciel pinvuti, che ntirrosnnmonto
DI bene on mello a anbitamonte,
è Nel benedelto rostro fa tacente;
u DI Moises el abbidiente
w E diese: Va' eu to, che so' valento.
Michele Sentto fu, che veramento
enti
n Dissa ‘1 Maestro, che l'andare allenti ?
Con le quali ed in sogno ed altrimenti
er om pdl Ar] altrimenti
Come in
Originar la mia terra altrimenti,
Che | miei di rimirar fe’ più ardenti.
Fal di wa da A .
Totil gridavano: A Filippo Argenti.
O Marco mio, diss'io, bene nrgomoenti;
Ed le: Per filosofici argomenti,
Tra lo sustanzi:, e poi tra gli argomenti.
Or ti parrà, ve to quinel u,
Tanto giù cadde. che tutti tu
Nel caldo suo
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si muove a sente,
il Sol, non altrimenti
tt DI lor semenza è Ww nascimoenti,
,p Solmuente la fede de' parenti.
2 5 11, [e-temmiarvanc iddio, è | lor parenti,
2 20 194) EA argomento della noo parventi »
238 bo Ed ecll a me: Non so pavone
231 121, Diet: Coma verrò, sa tn paven
1 20 98, Agli ocehi I), che non eran ponsenti.
9 21 142 A cui tutti 1) tempi non presenti;
829 85 r Massiro, | ragionamenti
i 8 #61 va sì ne'ascall recenti
2 16 190 OF con uni or con altri reggimenti.
326 26 Per confondere in sè doo regi
9 24 €0 (Come a color, cha troppo reverenti,
3 6 25, Ond' ella pronta è con cechi ridenti:
2 20 1390 reti ho eg bt
8 31 140 Strinserini gli «ech acli cechi rilucenti,
232 1 s Allora nel: Dirittaments sonti,
2 2118 DI vita eterna la dolecerra senti,
DIS 118) Sable ul sparata
218 90 Che gli altri mi carino carboni ati.
1 6105 Ten melee c hans TI
8 6 27| Traselte è selte tool mi |
2 28 68) Che gli altri nanai m'eran tati npanti ;
3 3 40 t Perch'io divsi: Marsiro, esl tormenti
2 8 126, ¥ NO giugnarissl, uinerando al venti
1 1118 } naanger eee ele pure mony, de valli,
3 17. se}. DI Rose, mute men diegese vesti,
1 non '
020 29 to hil pla Mea ts e vinca
1 19 195
a 8 so ento
3 4 Mn Ma, perchè puote vostre nocorgimento
239 87 Parer lo eventorato ndornamento.
1 Da sh Vatto v'arete Dia «d'oro « d'argonio:
Riprese |) teschio misero co"denti,
2 1 |
2 8 11! In 84 medesmo si volgea co'donti.
i 2 18) Canglàr colore, è dibattero i denti,
8 16 120, Non vedi tu ch'a' digrignan Il denti,
1 4 66 In che s'appiatti miner M denti,
319 57, Vi fame a volo osser ll denti
$10 42) # Lerati oon per gradi diferentt,
820 6S Si che tre ne feces così dolenti.
321 18, Ch'ei fanno ciò per il lessi dolenti,
8 9 45. Pol sen portir quelle membra dolenti,
1 27 118) © Niobe, con che occhi dolenti
1 20 120. SI fan sentir con gii sospir dolenti?
216 77 DI quegli antichi spin dolemt,
3829 47 i sur oe voulrl elomenti,
1 2 13| Che fowmer dall'umana colpr osenti :
810 65 1.4 figli di Levi furono esenti;
8 ss TO| gr Quando che sia, alle beato genti:
1 4 GS) Ditemi chi voi siete è di che tl:
8 7 2a) Ed egil a me: Lan a genti
817 09 Abi Visa. vituperio delle genti
2 23 117) Par di costul alle fangoss gaol,
8 a 43, Vien diriro a è Inscia dir le genti ;
8 28 1) Quant'era allora? e quali eran le dl
lì 22 147) Tutto smarrito, è riguardar le
2 10 44) Marmorava ll Poeta, malte pent:
914 70 Uha pastorò col rocen molte genti
827 00, Fur che mostrargii le perduto .
1 26 115) dl io: Maestro, quai son la genti,
Sao 49 1 © benigna » che s) el'impronti,
19 se | Cotale amor convien che In ma 1'imprenti ;
226 7! Quiriuta 10 co'parvoli innocent,
1 8 87, I che to erealure Intelligenti
9 6 73) Venivan mo co' sonal Intondimonti,
39 8140) Gu ccehi miei ch'a mirar arano intenti,
225 657,1 E fuor n'ussivan sì duri lamenti,
a a oe ppt deny et lonti
225 665 Che nen a lon
233 70 o ae wer lui non furen lenti
131 09 ambra e della in, a lenti,
227 92 Coa) frugar con i pleri,
215 70 Poiché i vicini n to punir ron lenti,
1 0 48 Orlando: Chad cià, apiebii denti
i 68 on Contra | mpgl sorniini a Inoonti
310 Saf Più detel la vara eho la victa incanti,
320 o mie, mmo veg le terreno manti
1 4 87, Consel occhi ® per tre menti
29 4114, Na primo manda l'umnana manti
1 20 110 Intra duo cibi, distanti « moventi
«I bea i ba
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sinva indielro intento,
clol di sopra fece lutanto
‘ l'an
a creder
i
lo doro pavimento
fr Posto avea fino al ow ragionamento
Che Ger la selva, 6 senra aleni rattento
6 Queato vi linsti a voslro sÎalvamento,
Per la fraddura clascun sentimento
La qual nil vinse ciascun sentimento
Che, i
lo gl'imiiagino sì, che gia Ib sento
Trem) sì foria, che dello spavento
Quivi il tus segno; wa pie di spavento
Un fracasso d'un suon pien «di spavento,
Todi la valle, cina “ill fu spetto,
Ove la trasmuls a lume spento
Ma poi che "1 suspicar fu tutto spento,
Non ¢ quaggiuso ogni vapore spento |
Mente’ oa dubbiava per lo view spento,
t Che la ragion sommettono al talento.
D'intoruo mi guardò, come talento
Friina vuol ben; win noi lascia ‘1 talento,
Pid non Vé uopo aprirmi " tuo talento
Avéle ‘Il vecelilo è 'l nuovo ‘Testamento,
E quella man, che giacora al tormento;
Come fu al peccar, pone al tormonto.
Intesl ch'a così fatto tormento
v Già mi parea sentire alquavto vento;
Sì come gave pinta da boon vento.
Questo tuo grido farà coma vento,
Tornav dal pasco pasciuto ili vento;
Lo terra lazrimona dhede voato,
Con lo latelletto, è mode "I fii 0 "1 vento
Or la bagna la pivggia è innova "I vento
Hobusii cerro, o very a nostral vento,
Non slate come penna ad ogui venato;
Come di save in alpe santa vento,
Noo di più colpa, che sonve write,
Mou altrinionti fatto chie d'un vanto
Dun color fore col sud vestimanto,
enlre
a lo volsi gli occhi: 6‘) buon Virg: Almon tre
a Più la spera suprema. perché li entre,
E "l boon Maestro: Prima che più entre,
Trovia:n la porta per la qual tu entre.
me girerowiul, Donna del ciel, mentre
Ml climlicià a dire, e sarai, mentre
+ L'alta letisia, che spirà del ventre,
Pié con artigli, e pennutu "1 gran ventre:
Fendeando i drappi, a mostravaml “| ventre:
wi le atrida, ll compianto e ‘lamento ;
or lento
r voler del primo Amor ch'io sento,
Be Re URE EB -OU Ree bebe ieee eB Re ee ee Bee EER eRe ee boe ERE Oe oer ee oe ee ee ee
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E che in la
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at «Carlo balia Clomens
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ale cei aver più, eomascana,
Di tre è d'una contenonza ;
. nies) continenza |
DI di di lai è 1a Comvenens:
Ed le pur ferme. € contra coscianaa.
Beni jo) e td far orodemza
ina g tate gad 5
A
i
i
È
qui la lor parvenza
n mo, guardando, tna sola parventa,
‘Tanto distauto, che la sua parvenza
Passi il raggio tutta sua parvenza
(he sn di fuor sustengon penitenza;
Morte indugiò per vera penitenza
Cha prendé quindi virera e potenza.
largiecon
antics amor sentì la gran poteura
Ferd con thber gli cechi miei potenza
Tempo #ra siato ch'alla sua presonzi
E ferualri entro, che non fa aoclenza,
Ed egli a me: lilorna a toa scléuza,
Che Bi lewis ippretsd Ful Bemoner.
Che ripever doven La sua SPInenre ;
Considernte la vostra sémenza :
Deh, se ripo-i wish vostra semenza
Cresceranno al dopo la gran senteanka
ihe qui ba inviluppata mia ssnianta.
Se tu rigunarili bow quesia sgnlenrà,
Mella prolinda è chiara sussistenza
b l'on piu vini, pun giu ogni temenza;
we hà La
Di fuor dall'altré due circonferenza
Che più non fa cha brevi contingenzi
Gli altri giron per varie differento
ipiell'esser parto per diverso bssonzo
Tiliiici por lo mel iuovo parvenze
‘indi sdiscondo all'ultima potonro
Dispongovo a lor fine e lor semenza.
Quasi specchliato, In nove sussiatanee
Parveni Il novelle sussistente
È 4h
Und'si risposa: Tu vedral Antao
E nell’ sitio vostro balistoo
Che dello snisurato Briareo
Che per ainore al fine combatteo,
Facean vedere, a del mondo « di Deo.
Gloria ni cerelett, tutti, Dea,
Moronto fu mio frate ed Eliseo;
Avwerrois che “J graii comento fao,
Soleva Homa, che il buon manda feo,
In pleciol tempo gran dottor sl feo:
Dal nomar Giosuè, com'el si feo:
Tal, che *] Maestro in vér di ma si feo,
Cui manca l'aequa sotto qual si fea,
co
dmn _ — —
E quindi il soprannome tuo «i foo.
mE. al nome dell allo Maccabeo
Ester ma è e il giosto Mardocheo,
© Dioscorida dico; 6 vidi Orfeo,
Pp E letizia era ferza del paleo.
Onde intender lo grido ri poteo.
E Che tosto imbianca, se ‘1 vignalo è reo;
E la cagion che Il mondo ha fatto 100,
Che ne A nel fondo d'ogni reo.
Elena vidi per cul tanto reo
E come questa imningine rompeo
è E ruppe lede al cener di Bioheo ;
t Diretro ad Ostiense ed a Taddeo,
Euclide geometra è Tolomeo,
Che ‘1 ventre innanzi agli occhi sì t'nssiopa.
a
© A to sla rca la sete onde ti cropa,
© Rispose quel ch'aveva enflata l'opa;
epe
© Onde, perocchè nil'aito che concope
8'lo era corpo (o qui non sl concepe
® Così parra, vene terso lope
p Livido a nero come gran di pepe.
r No riesvetta, com'acqna recepe
i ee ph ay N
"emser convien se corpo la corpo repe
8 De' dì canicular, cangiando siepe,
t Diversamenta in essa ferve è topo.
eppe
n Pape Satan, pape Satan nleppo....
a E quel Savio eentil, che tutto seppe,
eppo
E L'una è la falea che accusdb Giuseppo;
quand jo piovvi in qu sto greppo
1 Pe eke acuta gitlan tanto leppo.
ern
a Mentre che l'occidente non s'‘annera.
La weritade alla gente ch'avvera
P ir dimanda tno oy ik ann
t'appiecàr, come oora
E boone ancor che hmonn sia Ia cera
Face congiun » mondana cera
Sent) spennar per la scaldata cera,
Truovi nel tuo arkitrio tanta cera,
A l' vidi, potral dir, quel da Duera
® Né l'un nè l'altro già pares quel ch'ora;
Più tardo si movea, secondo ch'era
, Che l'aître qui quand'ella c'era.
Lo Bole in pria, che wel corcare era
l'ombra. che di ciò dimandata era,
e
ell oredetti:
com "1 parlar colà dov'era.
anto, ch'io non avrei visto dov'era,
Duca il dimandò pol, chi egli era;
4 eg quel ch'ell'era.
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eee A BRATTIIEGISIIISTIA TEMO
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ed oe | ) - -) e IT]
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—
Po
+
Ad alber sì, come l'orribil Nera
Vider Beatrice volta in sulla fiera,
Di cui segò Fiorenza la gorgiera.
Ed altra è quella e'ha |
Ivi è perfetta, matura ed intera
La madre sua. che, con loquela intera,
Che nulla promission rendono Intera
Credo però che pin di bei a'invera.
E fia Ja ton immagine leggiora
E per magrezza e per voler leggi: ra.
Questo diss'lo diritto alla lamiera,
Così n'andarvmo insino alla Jumi- ra,
Ed io senti’ dentro a quella lumiera,
To vuoi saper chi è "n questa lomiera,
md ambodoo girarsi per maniera,
(Che danno a dubitar falaa matera,
Incomi » facendosi più mera:
Tale, che nulla luce è tanto mera,
m Cos) «i fa la pelle bianca, nera,
Quello emispe rio, è l'altra PI nera,
ra.
a7 p Cha si noma a da quel del
Ren è che "1 nome di tal valle péra:
La madra lei, sd ella primavera.
Dipinto «di subra bl) vert.
r E vidi lume in forma di riviera
E coma augelii surti di iiviera,
Sotto "1 smo velo, ed oltre la riviera
Questi ‘1 vocabol di quella riviera,
Diss'io a lel, verso questa riviera,
Alcuna volta in ner fanno sehiora,
Ch'ressi mi fecer della loro
Fanno di sò or tonda or lunga sehiera;
Quando incontrammo d'anlme una echiera,
Ch'uscìo per te della vel echt: rat
rl, ma, come da sora
Qui è da man, di 1h 4 sera:
Tanto pareva già In vèr la sera
Lo Sol sen va, oe , © when
Di quel che ap mano e lascia sera.
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a Non che da sè sien queste cose acorbe
e Ch'entraro cd escono, è "1 rider dell'erbe
s Che non hai viste ancor tanto superbe.
erbo
a E quanto mi parra nell'ativ acerbo,
Per non aspettar lume, cadde acerbo:
Lo mio, temprando "| dolen con l'acerbò:
Venir gridanto: Ov'è, ov'è I’ acerbo)
Per indi, ove quel fummo è più acerbo,
n Gli occhi peg ah disses: Or drisza "1 nerbo
Ed ei tanea de' piè ghermito ll nerbo,
a fg suo, oa acuto è a
certo che "1 primo superb
Spirito non vidi In Dio tanto superbo,
Dinanzi polveroso va superbo
wv El al , che non là pla verbo:
Già sl va solo del suo verho
In tulto L'universo, che ‘I suo
dia ia
o Là dove andava l'avolo alla cerca.
Questo al voole, o questo già ni cerca,
m Tal fatto è Fiorentino, e cambia e merca,
LA dova Cristo tutto di si merca.
m Non fosso stata a LC#sara noveroca,
Per la spietata è perfida noverca,
erchil
o Tacclolo, acciò ché tu per ta ne cerchi.
Di sopra nol si piange per tre cerchi;
erchia
© S'appressa uo sasso che dalla gran cerchia
E la notte ch'opposita a lol cerchia,
Chi è costal che il nostro monte cerchia,
Così questio fulgor, che già ne cerchia,
Lo col meridiani crrchio coperchia
Ed apre gli cochi a sua voglia è coperchla |
Salvo che a questo è rotto, « nol coperchia:
Che tutto di la terra ricoperchia:
Che giace in costa, è nel fondo soperchia,
Cha la caggion di man quando soperchia;
E per vivo condor quella soverchia
E
erchia
6 Quando vengovo a’ duo punii del cerchio,
Che facevan gran pietre rotte in crrchlo,
E questa Uepliecza il quarto cerchio
Questi fur cherci, che noo han avperchio
Tu dunque, che levato m'hal ‘| coperchio
Ci raccostamnmo distro ad un coperchio
Ma i demon, che del ponte avean coverohio,
8 Qui si nuota altrimenti che nel Borchio;
E quivi per l'orribile soperchio
In oni usò avarizia il suo soperchlo,
Mentre che del salire avim soverchio,
Non far sovra la pegola soverchio.
orci
e In somma sappi che tutti fur cherel,
Che genie è questa, o sé tuti fur charel
£ Che con misura nullo speudio ferci.
ld Bi egli a me: Tutti quanti fur guerci
"un medesmo to al mondo lerci.
% Degli altri fia laudabile Il tacerci,
ercto
© E mentre ch'io laggiù con l'occhio cerco,
non parea s'era laico 0 cherco.
e Vidi gente attuffata in uno sterco,
erda
i B: Cesare, per soggiogare Ilerda,
p Ratto, ratto, che il tempo non si perda
r Ché studio di ben far grazia rinverda.
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li che vince,
ai Pesi maladizion si ron wl perde,
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— 40 —
Chi dietro all'uecetlin soa vita bi
vw Mentre che la speranza ha flor verde.
78) Che corronu a Verona ‘1
77| Montra che gli cechi per la frovda verde
B81) DI fuor dal reguo, quad luego “| Verde,
ere
32|a Tu te n'andrai con questo antivedere:
48) Quanta partami allor pensando avere:
La Nel lino si danno; è nel mo preme
b E le Romane antiche pr lor bere
è quel può cadere
Chè quel può mr
l'ggnia vedre bi pull nadere
al come veder wa p
e ved-ro la Be
40|1 Fossrr le nozee orrevoli ed intere,
14) mE vidi le eno luci tanto mare,
Tin E quegli: Ei son Lra le anime più more;
16/0 Per ve un furare, altro offerere
1|p Falsificato fa lo luo parere,
76
79|°
808
44) A terra è torto ila falsa piacoro,
Cover CIA de tyes oe
| uulo questa virtà L'è la gere .
69) Talor la creatura, cha podore
40; SÌ sotto te, che nessuno poslera
61) 5 Diapreg 4 cibo, ed acquistò sapere.
51) Mi fe' desideroso di sapere
69) chè gran disio mi spinge di sapere
di Gli altri duo puvli, che non per sapere
| Lo giron primo per diverse schiere.
E Beatrice disse: Keeo le schiere
130 | E poss me in su l'orlo a sedere,
=] Vinceva gli altri + l'ultimo solere.
Ricolto del girar di queste spere.
t Disse: Che hai, che noi U puoi tenero ?
E vidigli lo gamba in su tenere
4| Well’: cclissi del Sol, per trasparore
Ké per tie lì) potra vosa vodoro.
lo level gli oochl, a eredelli vedera
2| Questo non è Ferd è da vedere
a Del mio attender, dico, e del vedere
196) Vegna in Gerusalemme per vedere,
57| Lo twee milo, che ml potea vedere
138) Se tanto scendi, gli potrai vedere.
6 liichlarcraoti ancor le cose vero.
63) Alle cose, che son fuor ill lel vera,
In layresacchioni le eine vero,
| eu flarisca negli bominl "1 volere;
=| res
au | a E quale il mandrian, che fuori alberga,
46) lo Carrarese che di sotto alberga,
B4| Aronta è quel ch'al ventre gli r'attorga,
ls Guardando perchè flera non lo sperga;
47|w Li duo serpenti avvolli con la verga,
n Guardate dal pastor che ‘n #0 la verga
45 erghi
#0 5 Tosto divegna, # che ‘| clel v'alberghi
Gi x Che ss no va diretro a ‘vostri torghi ?
vw Uitemi, neciò ch'ancor carte ne vaerghi,
100 eri
38/6 Nomar lo donne antiche a i cavalieri,
$3 £ Si muove, e varca tutti i vallon fert,
1981 Già mostravam com'eravam leggieri;
I
E paion sì al vento esser leggieri.
j mE poscia morto, dir non è mestieri.
n Seura costri.-ger degli aogrli neri,
p Con la persona, avvegoa che i pensieri
115) E il lume d'uno spirto, che, ia
117| Che per l'effetto de'suoi ma'pentieri,
118/r E questi l'Arcivescoro Ruggieri:
n Essa è la luce eterna di Sigleri,
Rispuse adunque: l’iù che ta noa speri
101! v Sillogizzò invidiosi veri.
108! Poi cominciai: Poeta, volentieri
106; Io m'era mosso, e seguia volentieri
erie
104
\ che perde. 1 18 19% n Tao Where Gea dell'aduiterio.
0 con cole |; A Fo DA Rina, cha won vada ciniterio
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mCome si va per muro stretto a'merli;
P Mossimi, e il Duca mio si mosse per li
Onde contra ‘] piacer mio, per piacerli,
Prmnm
î Vedrai te somigliante a quella inferma,
Ss Ma con dar volta eno dolore sechorma.
erosl
f Al mio disio certificato f4rmi.
Gili occhi di Beatrice, ch’ eran fermi
Perch’ uo sì mosse, e gli altri stetter fermi,
i Cha, della vista della mente infermi,
p Vir ma si fece, « "| suo voler piacermi
sa Che vola alla giustizia senza schermi?
Secure già da tutti | vostri schermi,
¥ Credi tu, Malacoda, qui vedermi
Non v'accorgete vol, che nol siam vermi
ermo
® Disotto al quale è consacrato on ermo,
f Quando ‘| Maestro fo sovr' esso fermo,
Secondo che | poeti hanno per fermo,
Al servigio di Lio mi fei sì fermo,
Non avea mombro che tenessa fermo.
i Fosse in Egina il popol tutto infermo,
è Dell'un de'lati fanno all'altro schermo;
Che t'è giorato di mo fare schermo1
Sol col sangue doloroso sermo ?
Così ricominciommi "| terzo sermo;
¥ Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
Che gli animali, infino al pieciol vermo,
erna
b Cotali, in su la divina paetenma;
e Surgeran presti un in sua caverna,
Ella rulna in sì fatta cleterna;
5) di Parnaso, 0 bevve in sua cisterna,
d A lui la bocca tua, sì che discerna
Tanto, che "1 sno principio non discarna
@ Fiecar lo viso per la ince eterna
sì, ardando nella luce eterna,
O iaplendor «di viva lace eterna,
Foggito aveta la prigione eternal
Basta a seguir la provvidenza eterna.
M'| rate come l'uom s eterna:
Ministri e messaggier di vita eterna.
ge Da un dimonio, che poscia |) governa
Chà dove Dio senza merzo gorerna.
Pronto al consiglio che il mondo governa,
"ésser può, Quei sa che sì governa.
1 Che sempre nera fa la valle inferna ?
Nel pee premia vidi che « interna,
Com’ occhio per lo mare, entro s' interna;
Ordini di letizia onde s' interna.
Pesol con mano a guisa di lanterna,
idattt o chi vi fa lucerna,
pd diss'io, shora lucerna,
sò a sò stasso lucerna;
cara è buona | ne paterna
iù dobbil; ed hai voler che si ricerna
en nella mia lingua si scerna.
nella giustizia sempiterna,
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cenere è in caverne:
colui che qui né cerne;
segno che Ii sì discerne!
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Al modo, creda, di lor viste eterna.
1 Vid" jo In sasa Inca alira lucerne
16)
77|d Con l'armonia che temperi è discernt,
| Maestro mio, se to “"l discerni.
14 g Sappi che in terra non è chi governi;
Novellamente, Amor, che *) ciel
B1)i Verilla Regis predeunt Infern
70|s Quando la ruota, che tu sempitorni
122|
ge Ma Jo farò dell
Vid" jo, sopra
migliaia di lucerne,
4 o Gli Assiri, poi che fu morto Oloferne,
2 n La mente, amando, di ciascun che scerne
DI tutte je sustancle sempiterne.
La divina bontà, che da
Tal vero allo intelletto mio sterno
Ra disiassimo asssr più superne,
Come fa "1 nostro le visto superne;
v Virtà di carità, che fa volorne
Diana "|
ernl
ovrerni,
Ruggeran sì) questi cerchi auperni,
Ma prima che genna' tutto si averni,
iS5|e LA entro corto nella valle corno
CI | d Qui N trovai, e pol volt non dierno,
Ma certo, poco pria, se hen dincerno,
Ond'io per lo tuo me
è djecarna,
Ov'lo per me più oltre non discarno.
Non vid'io chiaro sì, com'or discerno,
cospetto eterno.
ei mi diese: ll foco eterno
Ora conosca che Il giudicio eterno
rti di costal l'eterno
E disse: il temporal fooeo è l'atarno
E trarrotti di qui per inogo elerno,
Fossero:
Tu te na
1394|6 Tutta è dipinta nel
dA
fecer di Mont
altro altro governo.
a 1) mal gorerno,
i ne) basso inferno,
inferno
di Dio prese, ¢
d'inferno
Pin che l'avrà rimessa nell'inferno
mFo miglior fabbro del parlar materno.
Che quanto durerà l'nio moderno,
conti
gmorr
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si
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ono, per
fuor del
o Fa crastino lage! dell'odierno.
Latin, rispose quell'amor pate
na, che
eittà di Lamone è di San
frate, disse, questi ch'io tl scerno
credo che diano in sempiterno.
l'arco suporno,
cerohin eu
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è
successor del maggior Piero.
apirtl antro sodioro,
raarai al iu d'osto sontloro:
messo già per lo sentiero,
is veggiate il vostro wal sentiarò.
andate giù per un sentiero
fece Muzio alia sua man Revero,
| ll, frate, e '1 paese sincero
è ni fa, montando, più sincero.
quì, letior, ben gli cechi al vero,
tarini, al millesma del vera
e non credendo dicer vero;
vauno intorno, dicon
mer
li
ti
A
Hi
3 Ricominciò a gridar: Perchè mì soerpi?
Se stati fomslin'anime di serpi.
Uomini fummo; ed or sem fatti sterpl;
erra
a Fino a Minos, che chascheduno afferra.
Quel cho più lasso tra costor s' atterra,
E fior ili ana natura li più s'nltarra;
di Le lugriinio che col ballor dianerra
La porta del placer nussun disserra;
Love chiave di senso non iddisserra,
Con quell'aspetto che pista dissorra.
Come fuoco di nube al disvertà,
E") giogo di che Tever si dissarra.
@ Ella surrise alquanto, e pol: Segli erra
Che ritrarrà la tueuwle, ché nun erra,
Come Livio serive, che non erra:
Ba la ingiuoria wia in ciò mon erra,
E All'uomo non faccasa alcuna guerra,
Dentro w'entra inni santa alsuna guerra :
E cho sé fussìi platy all'alla guerra
Aimico a’ lini, che gli danno parca ;
Già sì Ruled son le spola fur guerra;
Ché per tal dona giovinatto in gwerrà
Anflaraot perché lasci la guerra |
M'apparecchiava a sustever la guerra
Per li Troiani, e per la lunga guerra
Diumi sé i Hompaguuoli han pace, o puerra ;
Fail ora in te non stalitio sete puerra
La bevero s'assetta a far sua guerra,
Par coi sid Alessanilria è la sha guerra
Nulla ignoranza msi con tanta guerra
randy all'allo Sire in tanta guerra,
(Che fecero allo siraudo tauta suerra
Seder là solo, Arrigo d'Inghilterra;
La condiziun che tal fortezza serra,
Di quel cha un twurd el Wid Fossa serra
Dova Cociia la freddurm serra
Vinca la crudeltà, che fuor mi serra
Lo pan, che ‘1 plo padre 4 nessi serra:
Su l'orlo che, di puetra, J) sabhlon serra.
Ji libero è da indi, ove si serra
L'esalazion dell'acqua è dalla terra,
Ch'avwrebbon vinto 1 tigli della terra;
Caduto se’ ili quella dolce lorra
Al quale lia pusto file è cielo @ terra,
Che già in su la fortunata terra
Quell’ Attila che fu flagello in terra,
Di questo corpo cha laggiose in terra
Che parte puro iti equa e parte in terra;
Togliera gli animal, che sunu in terra,
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13189 Foigore pare.se la via atta |
a9] a ae a attraversa:
Re nee ryt on
o =|: 30 ALD n
30 S0|p L'acqua ers bata molto vl che persa :
14 187 Due è nessun 1" E arversa
10 113|r Sovr'una fonte che e riversa
25 2|] Per l’aer ai ri E 4
= 65) Sovra la gente, cha quivi è sommersi
a 27 cree |
is nt ey ae de
LA un Gio MaI
Per lai trem la terra e ‘1 ciel n'aperia,
_ __| Morta la gente, a cui il mar a; i
119 35 Pt i me, perché allor Boa aper
118 89! Con la tua 1 la bocca l'a 4
113 57/0 ta pergasica dall nina sona: ÎmIao
ni a Beatrice tutta si wnveren:
120 36) Come quel famo ch'ivi ci coperaa,
3 7133) Dna Pratomagno al gran giogo copersa
329 42 lî «fascuua cul braccio mi coperses
4 12 190/d Che chil vide quassù gliel dlacopers
J IL 60) biel garofano prima discoperes
3 2 64 E tranne la brigata, In che disperse
“16 114 Però d'un atto uscir core diverso;
429 40) poscia coochivse: Dongue esser diverse
127 30| che for parole alle prime diversa.
3°92 #52) 6 S$) ch'io approvo ciò che fuori emerse
1 4 8) mCos) giustizia qui è terra i] merse
1 28 12/0 Sé atessa a vila senza gluria offerse.
220 147 Indi mi tolse, a bagnato oy’ offerza
2 28 100 Mi s'accostà, è l'omero wi" offerse.
1 a 108 Coninelb eli se oon... Lal né a‘ offerse
131 116 Eil onde alla eredentza tua s'vlfersa.
3 05 dip Cho, volando per l'aeré, il figlio perse
4 18 127) Quanto possibil fu, poi che la perso
3 11 68 K riprendeano le genti perversa,
1 30 34 E l'Abbagliato il suo suino proferse.
i Ss 4 E se tanto segrelo ver proferse
126 10/fF lo vidi ben, sì com'ei ricoperse
127 28/e Fer ch’ un nasce Solone sd altro Berse
2 6 #2) Ma Ellesponto, là ‘ve passò Sree,
117 20 Sempre con ilanno l'attenier sofMersa,
2 7155) fivardando alla persona che sollerso,
i 20 1465 Sì, che da prima il viso nol sofferse ;
215112) E quella, che l'allanno non sole: sa
1 13 198) (Che l'occhio stare aperto non sullerte
uo 7191 Onde credetta in quella; è now sollerse
1 ® 108 Fiù odio da Leandro nou solerte,
2 6 Ha Di lei cid che Ja lerra non sallersa :
131 123 Questi, scacciato, il dubitar sommersi
4 85 4 Abbracciummi la testa: è mi sommersa:
9 1A 199 ;
117 24 rei
228 103 4 Aprigi gli cechi. Ed iu non glieli aperti
235 BS Non gliel celal, ma tutto gliel'apersi:
131 121 Allora più che prima gli occhi apersi;
1 27 24 | E come l'oechiéo più è più ¥ apersi,
3 26 p Se gli oechi miei da lui fossero aversi
i 28 A Pui disse: l'ieramente furo avversi
118 194/0 Di Malabolge, sì che i suvi conversi
a 2 50 Und'io gli urecch| con le man coperst
117 2Z20/d Si che per duo lata gli diapersi.
1 4 ù Per giro ad vssa, di color diversi,
ersi
Dal qual più altri nacquero è divers;
Lamenti ron ma diveral,
Al color della pistra non «diversi.
Ahi Genovesi, uomini diversi
Non 4) profonde che | fondi sien persi,
Quell'ombre, che veder più non potersi,
t Che gli oochi per vagherza ricopersi,
s E vedrai gento innanzi a noi sedorsi,
lo credo, por lancome ch'io soffersi
Tal netla faccia, ch'io non lo soffersi :
Freddi o vigilio mal par vol soflarai,
Della prima canzon, ch'è de' sommersi.
non siete vol del mondo sapersi 7
t Quali per vetri trasparenti o torsi,
vw A sò me tanto stretto, Per vedersi
DI nuova pena mi convien far versi,
Forti cose a , mettere in veral.
Or convien ch' Elicona per ma versi,
E per sonare un poco in questi versi,
n L'argomentar ch‘ lo gli farò avverso.
DI quel color, che, per lo sole avverso,
© Dissilo, alquanto del color consperso
volts ‘1 mondo In cass converso:
Vid'lo allora tutto i) clel cosperso:
d Ed lo: Ciò che n'appar quassà diverso,
Sì che dal fatto il dir non sia diverso.
PD Che visitando val per l'aer perso
Era "1 secondo tinto più che '
Del sangue e dalla porta, onde ‘| pervorso,
Pol c'hai pistà del nostro mal parverso.
Tr Qui ed altrove tal face riverso.
@ Ed ella: Corto assai vedrai sommerso
è Bianco marmo era sì pulito è terso,
Intanto per la costa da traverso
un lo lo » traversa,
n el tes il ‘he dell'universo,
Tremé sì, ch'io pensai che I‘ universo
Descriver fondo a tatto I universe.
wv Cantando Miserere a versa A verso.
Ma quelle donne alntino ‘1 mio verso,
erin
@ Però ti prego; è tu, padre, m' acoorta,
tà
L'altra, che materia t' è aperta,
Varo di quella, » le ed aperta.
GU occhi sol belli quell’ entrain aperta;
Quanto ella versa da doo parti sporta.
Come "| Sol fa la rosa, quando s parta
Tal, che per ini ne fia la terra aperta.
© Ma esce ili fontana salda s certa,
O fortanale! è ciascuna era certa
Che ta qualunque cosa Uè più certa ;
Ché ristori vapor che gel converta,
eon altra materia si converta.
SeeK SRG HK BEBE ded |
ehoucebedease
(i
i ie I]
Gola sao
tene un sospir la bocca aperta.
tupone se A -
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Sec CU ee - Se Bae Va Une BoE
A AREA RO DIA PE:
dii fi -—
seessssbesssss
ses:
-
8.223.
a È =
LA, dove l'ombro latte saran coperto,
Cul bisognassa, per farle ir coperta,
Pria è, che le guance sien coperta,
o Altre stanno a giacere, altre stanno arte ;
i Altra, com'arco, ll volto a’ piedi inverto.
r E fede ed innocenza son roperte
L'un verso ‘1 mento, e l'altro in su riverte.
eri
n Ma quando fummo liberi of aporti
o Fatti gli avan di nd contanti è certi,
Cha fi atti loro a ma venivan corti,
DI vil cilicio mi parean coperti ;
di Solingo più che sirade per dinorti.
i lo stancato, rd ambeine incerti
° | Poscia che gli occh! miei sl faro offerti
jp E sem a) pien d'amor, are oe
erti.
eo E tutti dalla ripa eran so
erto
n Li ni vadrà ira l'opere d' Alberto
rate è maestro fuinmi, ad esso Alberto
Secondo cha l'affetto f è aperto,
Quanto per | Kwangallo v'è aperto.
Bovra ‘l Ino sangue, è sla nuova ed aperto,
Ma misimi per l'alto mare aperto
Colui che ia difese a viso aperto.
Com'è' vadranno quel volume sperto,
CI dica’ lo, è ono atteniler certo
lo, per sonfranar corretto @ corto
Jacopo Itueticuoei fui: a certo
Cominela' lo, per voler esser corto
Nella santenzia tua; che mi fa carlo
A cl) non fu" lo sol, disse; nè certo
Tu se'omal del mene punto certo;
E non voglio che d , ma ule certo,
Qual che tu sil, od ombra, of Home certa
Be ln di tatti gli altri esser vuol certo,
A rg ge a coperto:
tal, palese è coperto
S io fusel stato dal foco coperta,
Cos) fous’ lo ancor esa Ia!
Sansa la qual aspro
Pieciola, dalla fun! non fai diverto
md'|° vidi costui nel gran divarto,
enimmo pol In ani lito Aiserto,
chs arin dll aperto ta bl
"1 giardin dell imperio
La Cio è ben coal tatto «d i
® Soave. per lo scotia seoncie ed orto,
È
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geco eee dee ee ed) ee ee ee gocce LL Lee LI LL)
eeseiessiees.cgesse2
erva
orva { Ferch'io un poco a ragionar m'
amCerchlato dalla fronda di Minerva, 2 30 68. r D'alcuna ammenda, tua fama
P ta nell'atto ancor proterva 230 70
r E ‘i più caldo parlar dietro riservati 230 72 ese
» fesso do virtà, impose alice 26nGRe
erre E vedo a sé le amine
2 Tacito all'ombra, monire che"! Sol ferve, 2 27 Td] 5) com eran candelabri
Ché più è tanto amor quinci su ferve, 8 21 68) Che tante lingue nen soa era i
© Sortaggia qui, rl come lu osserva, Bal 4, Di sopra flami va i) ballo
p Le capro, stale rapido è proterve 227 7 Siede Peschiera, bello è forie arneso
i Ma l'alta carità, che cl fa serve 8 21 70) Con si contenta labbia sempre attesa
Poggiato s'è, e lor poggiato serve; 227 6@1| Alle lor grida il mio Dottor a’ attese,
ervi erp bolognese
n Ove lasciò li mal protesi nervi. 1 15 }14|q Fa pianger Monferrato 6 ‘1 Canaves
2 Colul potei che dal Servo de’ servi 1 16 112| Ricominelò colei che pria ne chiesa,
vw È Francesco d'Accorso; è ancur vedervi, 1 16 110 quando per ta bari 1 vino chiesa
eran loro aspersion J" vechio compresi
£ Traite da amor le corde della forza. 213 39 pel tain done Te MAIO, SENTO
# Che sempre, a guisa di fanciullo, scherza 2 15 3) (Che donerà uesto prete
E ‘I buon Maestro: Questo ciughio sforza 2 18 97| Che iu mi sim de thol prieghl cortent
fi E com' lo dimandal, coco la terza 213 55) Dinanzi al mio venir fa sl corte.
Quanto tra i'ultimar dell'ora terza, 216 1) Ben nonsara'io sta! al cortese
deda Che ani mis o sp’ tata cortesi, |
b Abi come facean lor lovar le berza 118 37/45). che ‘l viso abb dai lin aresì
£ Vidi dimon cornuti con gran ferze 118 355 ‘ rid non difese
È EEG, 1 18 gal ‘9 chela Santa Chiesa si difese,
Le seconde aspettava, nà le terze.
oom
E
a E sempre di mirar faceasi accesa. 33 09 i e
Bat Bia quell'aria dima: mali Agpeona, 10 77| Rimentò per la via onde discesa;
© (Ahi fiera compagnia !) ma nella sa sg 14, Fu al che ‘1 r discess
ik tutta lomo sguardo avea compresa, 851 69) Uvala riva intorno più discese.
@ Tal volta l'ombra cho per sua difoga 14 114 Dinanzi 4 lel le sue ali distes
ina, gli tik rip incon, Li 10; GU diretani alb coso lis Lem,
jit n! build, n parbirsi, li Lorra Jo disiese
12 12 lid iù, quando "l suo braccio a ma dis
13 49 E comes la mia faccia si disteso,
99 o5|f Chi ricevesse ‘il sangue ferrarese,
bh ravvisai la faccia di Forese,
gg 18/1 Hecenti è vecchie, dalle liarmume ince
@ 21 Dall accellenza, ove mio core intesa
14 120 Onde l'altro lelbruso che m' latese,
32 16 ltegina conira sé chiamar s'intasa;
49 La prima cosa che per me s'intese,
13 47, Condusal a far la voglia del Marche
134 | Guardando in suURO, & Gurlielmo Ware
16 105) Di mezza notta nel suo mezro mege,
9 45 D Non rechi la vittoria al Novaresa,
10 Bali? L'areh" ja posa purgar le Eravi offas
in yas) La gente, che non vien con noi, ullesa
19 bip Conforms tleno al viver del pacse,
6 sil Tutti convegno qui d'ogni paess;
9 17 ri prego,se mal vedi quel paesa
10 79 Hen ti dovrebbe assai eisér palese
31 G5l Che la tua allezion mi fe" palesa,
12 10| Ch'egli aveano a Maria, mi fu palese
le 101| Ma nella voce sua mi fu palesa
5 ED E con gli anterior le braccia prese)
19 100 Tende le braccia, pul che "1 latta pres
31 67 Perù cun ambo le braccia uni presa,
353 p7 Fui conosciuto da un, che poi presa
o 19 Lo Duca mio di subito mi prese,
5 63 Forse in tre voli tanto Bpario prese
14 118 T Wuesta favilla tutta mi raccese
E dietro per lè ren su la ritese.
faa pa 6 Genta «| vana come la annesso F
© Non perché nostra conoscenza cresca 17 10) kimussi, quando Beatrira sceso
o Onde la rena s'accendea, com'èasda 14 98 Poi che l'un piè per girsene sospes
Deal tuo disio, mi disse ,sl ch'ell'esca 17 8 Di tanta awwirazion won ni sospesa
Subitaméente lasciano star l'esca 2 128 (he seppe far le temperate spese,
f iscotenio da sò l'arsura fresca. 14 42) ©iascun di quei candori in su si sta,
Coal vidl'io quella masnida fresca 2 190 t (h'io gli vidi venir con l'ali tese
mA dir la sete, sì che J" uw li messa, 17 12, v Pastore, e quel di Hrescia o 'l vero
F Com’ vom che va, ne si dove riesca: 2 132 |
t Senza riposo inni era la tresca 14 40 . 2 esi
set 1a ia ace evi c'hanno i cori accesi
i er le quali eran sì del tutto accesi
a E ‘I tronco: Si col dolce dir m'adeschi, 113 65| Umani corpi già veduti accesi 3
oe Ma non tacorimi. se tu di qua cntr'eschi, 132113 Selva saraunu i nostri corpi appesi
£ Ki pisugo qui Vargento dw Prauceschi: 192 1I6' D'esser di la dal centro, ov' io 10° ap:
4,
Al piano, @ si la rocell wliscuscena,
L'infamia di Ureti sera distosa,
Non avrebbe in te la man iliatenà ;
1 Che venticinque secoli all'impresa,
Perchè, pensando, consuma l'impresa,
E della sente ch'entro v'era incesa.
Coo l'alo aperta, ci a calare Intasat
A tal da cui la nota nou è intesa i
Pure alla pegola era in iia in'esa,
Se io ho ben Ja tua parula intesa,
1 Hispose ‘| Savio inlu, sanlna lesa,
o Ma pieciol lampu, ché puca è l'offesa
SI che io pioca ura avria l'orecetila offesa,
L'anlma tua é da viltade vlfasa :
P Che tu suprai quanto queil'’arte posa.
Che più lo incarco «di Laggio ini pesa,
lndurlo ad ovra, ch'a ins steso prenda.
Parò qualinque cosa lank posa
Pid dalla carne, @ wen d{ ' pensier presa,
Fr Ma nun cinquanta volte fin raccesa
E volgeami con voglia riaccesa
a Cotal di quel burrato era la sogna.
Doll’ Alpe, per cadere ad una scesa,
Ba la cosa dimesta in la sorpresa,
Troppa è più la paura, ond'è sospesa,
DI che la menlo ia era sospesa,
Così la mente wii tutta sospesà
ln sogno mi pares veder sospesa
Satlafar non sì può con altra sposa,
t E come giga ed arpa, in tempra tesa
DEbEEsESsSLEoFPEoEFPHNO iii gpl gRoi lc dpEeÒL Fg i
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i A:
esl
Nol eravam ancora al tronco atteal,
b Frati Godenti fummo, « bolognesi
© Fin che ") tremar ed el compiési.
Queste parole brevi, ch'lo compresi
Dicean, per quel ch'io da vicin compresi,
@ Che gli cechi misi non ni fosser difesi.
Non son l'antico, ma di ini discest:
Tanto staremo immobili s distesi.
1 Dirotti perch' jo venni, e quel ch'lo intesi
Gran duol mi prese al cor quando lo "ntesi,
Per ch'io divenni tal, quando lo “ntesi,
Ginatl son duo, ma non vi sono intesi:
o Che ben parean di minori è d'offesi,
Semo perduti « sol di tanto offesi,
po. dissi Jal, per ll vostri paesi
Per tutta Europa, ch'el non sien palesi 7
Lo nostro amore, onde operar perdéal,
mq ì — = gravi posi
qual « grgon d'ogni parte :
Bon di piombo sì grosse, che Ii L
Ne’ piedi e nelle man legati e prosi;
Nomati, a da ina terra insiome presi,
Vv. resi 1 34 107) presi
n sn le man commesse mi protesi,
Fr Edi novella vista mi raccesi,
Tal che «dl comandare |' la richiosti.
@ DI là fosti cotanto, quant' lo soesì:
Quando nol fummo d'un rumor sorpresi,
Nol ci restammo immobili e sospeni,
Totti Tr lor coperchi eran ls
Conobbi che in quel limbo eran sonpeal
lo era intra color che son sospesi,
camo
b Non basta, perch'ei non ebber battesmo,
DI Tebe, postando, ebb'io battesma;
Quelle tre donne pu fur per battenmo,
e E tal, che gli altri non sono ‘1 contesmo;
Cerchiar mi fe’ più che "1 quarto contesmo.
E sa furon dinanzi al Cristianesmo,
Se "1 mondo si rivolse al Cristianesmo,
mE di questi cotal son jo medosmo.
Che quell’ opere fosser 1 Quel medeamo,
Dinanzi al battezzar più d'un millesmo.
P Da indi LI più del paganesmo,
Lungamenta mostrando paganesmo;
ceo
Così spirò da quell'amore acceso;
Ché per lo mezzo del cammino accorso
Parvemi tanto allor del cielo acceso
Dinanzi a noi tal, quale un fuoco
Pol appresso con I" più acceso
Degli altri duo un serpentello acceso,
Raggio di Sole ardesse 1) accoso.
Desiderato, a sè mi fece attoso,
Già manifesto, si’ non fossi atteso
o colui che innanzi sempre atteso
" Duca, che mi vide tanto attssa,
e Nè fu per fantasia giammai compreso ;
f Erano i Ravignani, ond'è discoso
Questo tristo ruscel, quand'è disceso
Pol cadde giuso innanzi lal disteso.
Lago non | mal tanto d
Î Ciascun si fascia di quel ch’ agli è inceso
Pers quel che non puoi avere inteso,
Senta lo ritenere, avere intero.
Già per dottrina fosse così inteso,
"1 dolce suon pe canto era già inteso!
Ch'\' dica: ond'io sospiro, e sono inteso.
Kd ln, ch'a rimirar mi atava intasò,
© Wiliral, 6 saprai so m'ha offoan,
“1 ae con ot oy oy na,
P a menta a que " ano,
Dici moneta più la è Ae
Mi pinse con la forza del eno H
DI muova fellonia di tanto
Or non io d'una parte è d'altra preso;
E la
Fiduadont di at fo fe prose
| preso
A che slo nen aad renchlon prese,
zg
5
È
:
:
esse
— 45 _
1 13 100|a Per non tenermi in ammirar sospeso: 3920 87
1 23 109] La qual mi fece a rimirar sospeso. 220 30
2 20 141| Non è più tempo da gir s) sospeso. 219 78
8 30 50) Dell’ eterno piacer, tutto sospeso, 220 32
2 20 197! # del cammin del sole assa) più speso, 219 74
8 20 Gojt E quel, che ml convien ritrar tonteno, 819 7
2 6 119] Disse, perchè In faccia lua testeso 2 21 119
2 10 120)
1 2 50 cessa
1 4 #43 a Quandoalcinquecentesimo anno approssa. 1 24 108
2 27 14) Siccome l'onda cha fugge e s'appressa. 210 9@
1 8 73) D'intender qual fortuna mi a' appresa; 317 260
1 8 123'6 Itichiama lui, per che la morte cossa. 110 BI
1 4 41, Cotal son jo, che quasi intta cera 333 6)
2 6 121| Anima trista, come pal commessa, 110 47
2 8123) E gonfar lotta, o riseder compressa. 191 21
2 19 122) lo stara come ‘| frate che confensa 119 40
1 @ 71| Cos per li gran navi si confersa, 1 24 106
134 111) Gil vien dinanzi, totta «i confessa ; 16 8
1 29 101| Meatrice fo la mia voglia confessa. 317 80
2 10 1284/6 Intorno, come "1 fosso triste ad ossa: 114 11
1 23 LO6| E «lo avessi gli occhi vb ad sasa, 210 G6
Vede qual loco d'Inforno 4 da rea: 1 6 lo
2 27 10) Nel cuor lo dolce, che nacque da sana. 9939 63
930 66 E promettendo mi selogilea da ossa. a e 12
i 2 ba Alla mia longa reverenti, od ana 8 a al
134 100) lo vedra lei, mia non vedera in ema 1391 10
1 12 111|f Noi salivam i una pistra feana, 210 7
2 20 1590/1 La voce mia di grande affetto impresses. 89 8 45
1 9 191| E dopo 'lsogno la passione im 335 oO
1 4 465) mQuantonque qua ruolchegià sia mensa. 1 5 12
1 2 52/pAcul porgo la man, più non la pressa; 2 0 9
Rivolservi alla luce, che agere o 8 40
& Che da' più di Calon fu già soppressa. 114 15
1 4 no spario era una arena srida è spoasa, l 14 13
2 22 689) BBollja laggiuro una pego 121 17
9 20 127] Tal era jo in quella torba a. 2 6 10
8 24 108) Così diss Jo a quella luce stossa 917 oe
222 a La cener ni raccolno per né stema, 1 24 104
1 4 3
9 24 100 ease
1 4 SO a E of mio frate questo antivedosse, 9 8 To
3 24 104) ivi parova ch'olla sd lo ardesse, 2 o a
9 20 120] Triangol, rl ch'on retto non avenso. 9 19 109
8 20 125) LA popoti eo non avea o e 74
2 22 @1|0 Che contra | batterzati combattesse; 327 BI
Nè che le chiavi, che mi for concesse, 927 490
I credo ch'el eredetia ch'io orodesso, 113 20
A 24 82) Ma non sì, che paura non mi donne 1 1 4
n 20 98) Tarribil come folgor discendense, a o 20
3 1 70) Coo rege aver, che discernesse 216 0
2 20 24]e E per colei, che "1 Inogo prima slesse, 190 02
8 20 805) Lo suon delle parole vere os ®. 1 10 139
126 83 La leggi son, ma chi pon mano ad ansa ? 2910 07
010 = Be "1 gy sé sima, -- Li cr
MA o ombre, è eremo nd eave:
226 20) Anel 4 fermato af ante ose as 7
Riu 76 oe ee ii, 9 20 148
120 460) Now, si est primum motium ere, 9 12 100
319 ii pia 119 239
316 07 oa giare Di pare, ia FA eee 3 10 146
1 7107 Che ‘| serpents la coda in forca fassa, 1 25 104
1 25 87) NRouminar può, ma non ba I fossa 210 BO
Sat tale Co maretrte ni d mesmsdztoo, 11987
26 «ein genta, n ara,
159 10 B'osmore te enditate è qui necesse, 9 3 #77
a 6 42) Li moter di O so Were a 19 og
3 21 80/0 GA foggiria. non eli offendesse; 3 8 78
2 29 36 p Non facea srgna alcun che si parente. 125 108
2 21 117| Jo credo ben ch'al mio Doce SETTI 1 19 121
1 7109) Che nen avea cagiona ande it a 10 160
190 Z1| M'atteoil eever saria che non po vs 7 sd
1 7111/9 ba Dinamo legnano age rn 120 oo
2 6 40) Che convenne che “l sonno ri rompeses. 9 0 SI
584 #4 © Sali tre orele chlo econdesse, 3 ® $
a :0 83 + successor parte sedeaae, Ru
316 00| GIà fur le genti ewe dentro più nposse, 1 20 04
2 21 115) Le gamba oon le cosce seco stonno 1 25 106
1 25 85! Perch’ una fanal nostro sirene. ° a sì
1 33 Late Re ee eee sa pimegme : 1 48
a6 oe parea che contra me venosa 11 40
316 00, Com’é cid! fu risposto: chi volesso a7 «o
120 44' Pur ma, come consasse mi volesa, 2 0 45
ened
non mi chiudessi,
stata: che mt dt ch'io mi sont
ch’ confà
lasclavam I‘ andar, perch’ si dioanai.
eaprasal:
oe sappi cho, dinansl ad oowd,
la Donna, a l'asluo con ess ;
dobliements entra per sani;
a quando di cener my,
‘avea parlato, ond’ ella
herite Innanzi
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inte, ln cui fervirs aquto addosso
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venimino al grande arbore adeno,
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appresso.
ville; e tatti gl
avessi, rispoa' lo appresso.
nai glares, i dA Ae SEA
colanbi, quanto pare appresso
i contra te; MA poco appresso
Risomiociò lo spaurato appresso,
ttl gli altri, cha venieno ay
Ma atien li Malebranche un poco in cesso,
Por che si teme ulllela non commesso.
Lo tempo è poco owal che n'è concasso,
Genia vostra dimanda lu vi confossa
Che a agli avassa sul da sé dimosao.
Forsa m'avresti ancor lo star dimesso.
Non rimanesse in infinito Gtcesso.
Allo stremo del mundu, è dentro ad sesso
Ch'io atessi cheto, ed inchinaasi ad esso,
Sì com' io dissi, fui mandato ad dasd
Parrebbe luna, locaia con dams,
Che segue ‘) Tauro, è fui dentro da osso
Nol srava partiti già da asso,
E questa planta ai levò da caso
Venuta prima tra ‘| grifune of esso,
Che‘) mal che s' awa è dol prosslino; od naso
Anime sante, il fuoco; entrata in esso,
f Par che "| lume del Sole in lerra è fosso,
La natiche bagnava per Lu fassa
i Non poteo suo valor ol fare impresio
Dentro da sé dal suv colore lptesso
mich’ el sia di sua granilerra in basso mosso,
Ed un di loro, quasi dal ciel messo,
Ben mn'accorai ch'egli era del ciel masso,
Qualas è colui cha nella fossa è masso,
Tu non avresti in tanto tratto © messo
Per che il mio viso in lei tatto era 1usssò,
Da voi, per tepiderza. in ben far messo,
Com'un poco di raggio si fu messo
lo t'ho per carto bella menta mossò,
Che questa, per la quale io mi sun messo,
n Poi mi tantà, 6 ilitaa: Quegil è Nossa,
p Tanto, quanto al poder n era permesso;
Parem noi a Chiron costa da presso:
Quando la nostra imagine da presso
Dianzi nun er'io sol, ma qui da presso
Però che sempre al primo vero è presso:
Trapassate oltre senza farvi presso;
Per ch'io varcai Virgilio, o femmi presso,
§) disse come nol gli fumino presso:
Ma, per la sua follia, le fu s) presso,
Sì alto e sì magnifico processo,
Di sua bestialitate il suo prucesso
Pareva in te, come lume reflesso,
E chi per esser suo vicin soppresso
Quando ‘1 vapor che’) porta più è spesso,
Menando la sinistra innanzi spesso;
Trioufo, per lo quale io piango spesso
E
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Uke boe boe aooge oo
ooo amor, gridarao gli altri approsso
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li
la cagion ch'a vol è manifesta,
Tutta tua vision fa manifesta,
Per la cagione ancor non manifesta
Non la lasciasse parer manifesta;
Sì como il fDammeg giar ti manifesta.
Andai, ove selea la genio mesta
Qui le trascineremo ; è per la mesia
Del minor cerchio una voce modest
Voltando s percotendo gli molesta.
Che furo: Or vedi la pena molesta
Ché, se la voce lua sarà molesta
l'iascenna al pron dell othr a ua mol
Pudica in fuccla, è nell’ aodare ones
Se nun lo far: ché la dimanda onests
ton gli occhi Atti pure in quella ones
3
p Quando verrà la nimica Podesta,
Quell’ anima get l fu così presta,
Quanda una donna apparve santa è p
E la lingua, ch"avera onita 6 prasia
L) veggio d'ogni parte farsi presta
Re più sor ink fece esa: più presta
Di s'altro vuoi udir; ch'io veani pre
q Tell alira due, chee aggiungceanva qu
Di cosa, ch'io udi' contraria a questa
Venne gento col visu incontro a quest
Vodi s'alcuna è grave come questa.
Mentre che torni, parlerò cav questa
Or dalla rosa, 6 dal canto di questa
i) Virgilio, Virgilio, chi è questa Y
Nel mio pensar dicea : Che cosa è que
Pol gridò forte: Qual grazia m'è que:
nd" io: Maestro, di* che terra è quesi
Ond' io che son mortal, ml sento in gies
Kell'altro si richiude, è *) famo resi
I.a bufera infernal, che mai non resta
Ma perchè ‘I balenar. come vien, resta
Ma non però ch'aleuna sen rivesta:
Dal servigio del di l'ancella sesta.
Come "1 sul muta quadra, l'ora sesta.
E com'ei giunse in sulla ripa sesta
Nave senza nocchiero in gran tempe
Che mugghia come fa mar per tempesi
Con quel furore e con quella tempesta
Noi discendemmo "1 ponte dalla testa
Ti fla chiovata in merzo della testa
Ed eco del profundo della testa
Tutto che il vel che le scendea di testi
D' una di lor, ch'avea tre occhi in test
Guardommi un poco, e poi chins la tes
esta
samt. coma: Drizza la testa;
gli orece tira per la testa,
Levò "l braeclo alto con tatta la testa
Sì vld'lo mover, a venir, la testa
Foto portai in JA rolta In testa.
R mi l'alto sonno nella testa
Così ancor sn per la strema testa
Quando vidi tre facce alla ena (esta!
+ Tanlo che solo una camicia vesta.
Si raggerà dintorno cotal vesta.
Nalla sua terra fia di doppia vesta,
ente
a Dicando: Amate da col male aveste,
@ Che soffera congiunto sono od este,
f Per ch'io di corruscar vidi gran feate.
Così mi si camblaro in maggior feste
mAmbo le corti del ciel manifosto,
Non for da cul venisser manifesta;
Di Montaperti, perchè mi moleste ?
o Perallungarsi, nn' altra: lo sono Oreste:
id}: Perchè mi peste?
p Piangendo mi
q Le lor parole, che rendero a queste,
K in tre persone eterne; e queste
Ma della bocca: Che cose son questa?
O, dine in, padre, ché voci son queste 1
® Per l'evangello, è per vol che soriveste,
Che pare altro che prima, se si sveste
è Non so; ma passeggiando tra le tento,
wv LÌ, quasi vetro allo color che *1 veste,
Della carne d' Adamo, onde sl vesta,
Peri
n Deh parchà valt deh perché non t'arreati 72 5 51
Vattene omai; non vo' che più (arresti,
Non procedesse, come tu avrosti,
© Nol ci volgiam co‘ principi colesti
Ed anche la cagion di lol chiedesti.
Per quello Iddio che tu non conoscesti,
S'altra cagione al mio rider credesti,
d A'quali to nel mondo già dicesti:
Quelle parole che di lol dicesti.
Che to mi mani là dow’ or dicesti,
Col qual maturo ciò che tu dicasti.
1 Che dice Neque mibent, intendoeati
mf) come agli cechi mi for manifesti.
Segnata nel mio capo jo manifesti,
Comincia'la, ta vuol ch'io manifesti
E color, che tu fai cotanto mesti.
Quelli, che vedi qui, furon modesti
n Con quelle membra, con le qual nascosti,
p Tentando a render te qual tu paresti
- Che gil avea fatti a tanto Intender prosti;
presti.
mando a colui, che sè ne
E solo incominciò: Tutti sem presti
O divina virtà, se mi L presti
a lo Sanese, rispose; e con questi
vederal, come da questi
li che mi rispondesti
nell acre aperto ti solventi ?
sae
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colui, che tn vadesti
Jeon di nol unque vedenti.
credesti sì, che tu vinoesti
ceslo
lietele al più del tristo cesto:
era contesto
dal piacere in allo è desto,
tacito e desto
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fl Virtuslmente re
Vio che vi sia manifesto
Alla qual foree fal troppo molesto.
Vivo ten val così parlando onesto,
Fidandomi nel tuo parlare onesto,
Pià è tacer, che ragionare, onesto.
Alle soe note; ed asco '1 veglio onesto,
L'animo, ch'è creato ad amar presto,
Al fooco, non l'arel ta così presto;
Con tatto 'l suo gradir cotanto presta,
Mentre ch'ella dicea, per exer presto
Come Fialta a seoters| fa presto.
Per che mi fece dol venir più presto,
Ch'alla Fortuna, come yoo), aon presto,
Cal Duca mio, si volse tutto presto
Ringrazia i! Sol degli angeli. ch'a questo
Come dicessa: lo son venuto a questo.
Ed è legato è fatto come questo,
Lo grasso a '1 magro un corpo, cor questo
Ma gli altri son misarati da questo,
E queste 2% pregan pur di questo.
E l'idropico: Tu di*ver di questo;
Qual negligenza, et stare è questo!
Pol disse a noi: Fiù oltre andar per questo
Cangiò ‘| primo padrone: ond'el per questo
Foscela che m' ebbe onato questo,
In quella luce onda spirava questo.
Manti de’ mici maggiori ndlrme questo:
Là ‘ve del ver fosti è Troia richiesto,
Non fu tremnoto mal tanto rubesto,
Tutto sperzato al fondo l'arcò pesto:
Pal cominalà: Colui che voles |) santa
Dore «i truova pria I nilimo sesto
1) Inoe min, espresso ln nlenn testo,
K sorbolo a chiorar con altro testa
I come il tempo tenga In coral lestò
estra
Quivi la ripa finmma in foor balestra,
Ma là dove fortnna la balestra,
Sera per noi, o rélto alla man destra,
Fanno dolore, ed sì dolor finestra.
Che la riflette, 0 via da lei sequestra.
Tania v
Surge in vermena, ed in pianta silvestra ;
crtro
VAni a sinistra ; od a) trar d'un balestro
Guardò in sò, ned in me quel capestro
Che già legava l'umile ro;
Mutava in Aspetto di cllostro:
abito destro
ra ll hraccio destro,
Senza voler diving è fato deatro 1
: cammino alta M j
Ma _ maligne DC] vestro
Quant'egli ha più di buon rigor terrentro.
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szaloserossbesui Sszsecteee2..e3%s.
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Che gorterie letlala in su la lieta
Semblanza avevan né trista né lieta,
Quivi la Donna mia vid" io «ì lieta,
Incominalò, ridendo, tanto lleta,
Da indi mi risposa tanto ileta,
Non so qual fossa più, trionfa lieta
Che tu tonnsti nolla vita lieta,
mS), cho nou pool sull'rie dute a sua mota.
Che duwria vom tenor dentro a sun meta.
Quinel comlocia come da sua mola,
Induce, falseggiando la mone
Valuta ath de’ rape! deh plane
D € è' raggi pianeta,
gd ae lacente so ne fo ll pianeta.
Né dolcersa del Oglio, nè la piùta
Ur discandiamo omal a maggior piùta.
Alla man destra vidi nuova pitta ;
La notte, ch'io passal con tanta
Ed allor, per istringermi al Poe
Onorate l'altissimo ta: A
ce la eee del tig
vengooll a pregar, diase ‘i Poeta;
DI Gerfon, trovammoel; è '1 Poeta
Per trionfare o Cesare 0 poeta,
Che nella madre lei feco profeta.
a Percuota pela che sia la corda queta,
Già era dritta in su la fintmima a queta
Poichè la voce fu restala è queta,
GIA ora l'aura d'ogni parte queta,
Veolan gridando, un poco il passo queta.
Aller fu la paura un poco queta,
Quando vedea la cosa in sò star queta,
La natura del moto che quieta
Frata, la nostra volontà quieta
r Di che la prima bolgia era repleta,
E come fu creata, fu repleta
* Ora d diserta, coma così viata.
E se oon fossa ch'ancor lo mi vista
Sì disse prima, a poi: Qui non sì vista
Quando ii mussi, e "1 truppo star si vieta,
“ie
a Diss’ egll a nol, guardato, ed attendeta,
b E roratelo alquanto, Vol bavete
o Fiammanido furte a guisa di comete.
Porchè ci trema, e di che congaudete.
Non vi maravigliate ; ma credete,
E Virgilio rispuse: Vol credete
f Non s'ammiraron, come voi farete,
1 Così Beatrice. E quelle anime liete
Posciachéè l'accuglienze vnesto e liete
m Voi che intendendo il terzo ciel movete;
p Ed essi quinci e quindi avean parete
Cerca di soverchiar questa parete
Dinoe com'è che fai di te parete
q Non fia men dolce un poco di quiete.
r A sè traeali con l'antica rete;
Di morte entrato dentro dalla rete.
E il savio Duca: Omai veggio la rete
a Vér noi, dicendo a noi: Se vo' sapete,
A disbramarsi la decenne sete,
Tanto del ber quant'è grande la sete,
Come l'etico fa. che per la sete
Che tutti questi n'hanno maggior sete
La concreata e porpetua sete
D'un giro, d'un girare, e «d'una sete,
Sordel si trasse, e disse: Voi chi siete ?
O voi, che senza alcuna pena siete
Ma noi siam peregrin, come vol siete.
v Veloci quasi come il ciel vedete.
Che questo è corpo uman che vol vedete;
etl
p Liberi dal salire e da‘ pareti;
Tacevansi ambedue già li poeti,
t Evvi la figlia di Tircsia, c Pett,
eto
o Del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
d L’angel che venne in terra col deoreto
Che ciò nol sazia, ma, senza decreto
Ed ora lì, com'a sito decreto,
In sua presunzion, so tal deccote
BS GO RO Pe BS CO CO KO = BO DO BO BO 89 DO Co BD BI BS Co DI CO 60 BO DO 89 69 Ey
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be 6 bd 89
ESO Re i TT bee He ee Eee eB OOo e
1 si] LA và mestier di consorio di viet
4 G4). Come m'hai visio, ed anco esto divi
6 @4|] Ch'aperse il Clal dal suo yy
27 104, f E sappi che, s) tosto come al fe
2 @8|) Sparser lo sangu: dopo molto fleto
24 14) La casa, di che nacque il vostro fel
10 102/1 Vell oramai so tu sal puoi fur Met
ia 7 terr AA Da
| 144 or ls da lo licu
27 108) Che ciò che acoeca drizza la ow 1
10 110] Ma per acquisto d'esto viver Diet
10 98| E posto fine al vostro viver lieto,
1 17| Lo Motor primo a lui si volge Usta,
5 90) mDi mia teqensa cotal paglia mieta
20 04]|p D'intagli tai, che non por Polliclet
7 #87\q Ed ansor sarla più quieto,
18 22) Pel sao lume fa "1 ne quinti:
1 sl r Spirita nuevo di virth reploto,
n i © lele dolce l'ira tua nel tuo segreti
27 «8 etra
6 44|c E come suovo al collo della cstra
18 20]|p Della Pp vento che penetra
1 29| Chescendechiaro giù di pietra în ple
12 60]
97 ‘1a Veramente, nà forse tu rensirtek:
a + he fi È |
4 62/4 Ed egli a me: Perchè i nostri direi
14 1a2/1 convien che s'impaet
6 46) Alen, wi di, e se vuoi ch'io l'impul
1 19/p Sì che, guardando verso lui, penétr
81 125) Soias quod eno fund successor Petri.
27 106 waite
18 Tila Vede col i che se n'all
ul i n'alluma dietro
12 ba, De'Malebranche: noi gli nvan già di
14 99| Allorsi mosso; ed lo gli tennì dietro
19 100 Certo non chissa sa non : Viemmi dle
21 lat Pid tostoa me, che quella d'entro imp:
7 66) mia era (a con paora il meito in me
Aridando ssmpre in loro ontoso ue tri
Ch'io pur risposi lui a questo metro:
sO ¢@o} Tanta er'ivi lo Incondio senta matro
dà 8) Lon esso, come nota con suv metro
24 12 p Nostro Signore in prima da San Pie
21 78] Sì ch'io vegga la Porta di San Piet
3 87) Verso "1 castello, e vanno a Santo Pi
2 oi vr Per esser |} rifratto più a retro.
2 17) Si rivolgea ciascun, voltando a retro
24 10) Che li battean crudelmente di retro.”
7 i| Poi per lo vento mi ristrinsi retro
8 537| Preganilo Stazio che venisse retro
32 4 t Così tornavan per lo cerchio tetro
3 69, Or dirai tu, ch'el si dimostra tetro"
26 22) Di qua, di là, su per lo sasso tetro
8 39|¥ Come fui dentro, in un bogliente vet
32 @| E sè rivolve, per veder se ”1 vetro
26 24) È quei: S'io fossi d'impiombato vetro
21 7a) E trasparean come festuca in vetro.
2 5a| Corl, come color torna per vetro,
sa 3
21 74 etta
so 66| Con quello sposo ch'ogni voto accett
26 20) Come persona in cui dolor s' affretta
2 10 Ond' esta oltracotanza in voi s'allett
8 35) Quivi di riposar l'affanno aspetta:
7 a) Ch'cl vive, c lunga vita ancora aspett
$0 58) Onde il Duca si volse, e disse: Aspetti
2 Ga] Di 1d, più che di qua, essere aspetta.
2 “Il Che, desiando o teu ndo, 1° aspetta
8 a5| Ed lo: Maestro nio, or qui im aspetta
Volse il viso vér me. ed. Ora aspelta
id egli a lei rispondere: Ora aspetta
22 117| (iia puoi scorgere quello che s'aspetta,
22 115 Se qui per dimandar geuto s° aspetta
22113, Fil nome tuo, da che più non s'anpet
i Tratto m'ha della costa ove s'aspetta
| Del qual con gran dizsio solver s'aspeti
27 al Che la fortuna, che tanto 5° aspetta
10 da E con ardente affetto il sole aspetta
20 ga Dir ti poss'iv; da indi in la t'aspetta
1194) Nuovo augellettu duc o tre aspetta;
9140! La provvidoura, cho coranto assotta,
etti
0 Chiamato fui di IA Ugo Clapetta:
Dagli occhi miel alquanto circonspetta,
Specifica virtade ha in sé colletta:
Quella circulazion, che sì concetta
Tant'è più cara a Dio è
Nell'uccel che a cantar
&) che la clases correrà diretta;
Sì come cocca in evo segno diretta.
O cacciati del ciel, gente dispetta,
di sedere in prima avrai distretta.
avrà d'indugio nostra eletta.
la Donna mia si stava oretta
Se non con l'acqua onde la femminetta
Ristetti, e vidi duo mostrar gran fretta
Così diese "| Maestro; e quegti in fretta
La spada di quassà non taglia in fretta,
Quando |i piedi snoi lasciar la fretta,
meglio stesse a te, che a lor, la fretta.
Mi travagliava, + pungeami la fretta
Ed jo: Buon Duca, and a magrlor fretta;
Nel qual si volge quel c'ha maggior fretta.
la quale il Sol mostra men fretta:
Poi mi farai, quantunque vorral. fretta.
g E vedi omai 1 l'ombra getta.
Isifile ingannò, la giovinetta,
Dal monda, per irla, giovinetta
i Gola t'in'endi, e, da le intelletta
ves gente malodetta
; più oltre non si metta:
n Per la centesma ch'è laggiò negletta,
nitosa coscienza s netta,
P Ad aepettar più colpi, 0 pargoletia,
Che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
Bon nella mente, ch'è “a sé perfetta,
m'io vidi ona nave piccioletta
© Cosa, che fossa allor da lei recetta.
cui novellamente è Francia rotta.
?
:
:
or
qui fu la mia mente sì ristretta
® D'inteliigentzia, quest'arco snetta,
Per chè quantunque questo Arco metta,
E eo non fosse ll fuoco
Che l'arco dell'esilio
pinse mai od anette,
vi spieca indarno, o sl sactia
sì la ripa. e par sì la via sohioetta
forma enstantial, che setta
ltra più m'avea lasciata
Dieta quivi prenbla = point
a quivi gravida è soletta:
ye
i
ESTE
gn
Quanto
Quando venimmo a quella fore stretta,
Adi be duo Inci benedetto.
figure com'io l'ho concotte ;
Che l'on nomare all'altro convenette,
quel fruvtato celar al erodetto
\ = — = =
49 e Libero fur da quella genti elette,
——
E qual a guariare oltre ei mette,
U rele viele quivi «i metta
(mi Non vanno | lor a Nazzsarotto,
| p Proserpina nel tempo che perdette
Che, quando Domitian ‘i perseguotte
Ché né prima né poscia procedette
Quello dhe le tperazza ti prometta,
Forma « | unte a purette
Per l'altrui ra a "n bol «i riflette,
Virtnalmente l'alma che rintotte.
Me « la Donna, è "1 Savia ché ristetta,
Vedendoci calar, ciascun ristoite,
Per che nostra novella sl riatatte,
E "1 dolce Dura mio si sl ristette,
Corrran Centanri armati di saette,
Come d'arco tricorda tre eaatte ;
te
n
È =
SSeezbs.csss8usnseess2
conosce», ma esegnette,
la rirtà. che mi eegoetie
Alla milizia, che Pietro seguetta,
Fer disp a me intl'allro sdtte;
O caro Ihnen mio, che più di sotto
Fol le vi mise innanri tutte e sette,
Per un ch'io son, ne farò venir nette,
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5 Mostrirsi danqne cloqua volte nette
a1 D'alto lio che incontra mi stotte,
8 107) E mentre che di là per me # rod
n 7 Come si volge, con le pianta ntrotto
5) Diretro | ten vanno stretta,
17 #4 t E quasi contentato si tacette.
20 61 ¥ Sì che on temas dolle lor vendetto ;
> oa veti
17 2) a Ond'io a Wel: Ne mirabili ampotti
1110) E ta radice ta da quegii aspetti
8 109° Di Paradies, è l'ona In quegli aspetti
16 16) Ch‘ bo creto che per vol rutti «' aspetti
17 G87 © Vien! a veder Montecchi è Cu ”
a 19 Cominciò pol a dir, son tre corcehietti
21 ©9' Cio ol trasmota da | concetti,
19 £) Intendi come, © son contretti.
18 ao 4 Come snhb'to lampo che discetti
20 1131) Ma, com’bo dist jal, N ool dispetti
8 108, Per cupidig'a di conta dintretti.
168 Duo si Ti suoi effetti.
23 03) Sii notal, quando furon alotti,
20 107) Non mo anenr toll) gli aletti;
i 138) O hen nicl o già spiriti stetti,
21137 E pol ch'abber ll viel a ma rotti,
14 126 È Si come Penestrina la terra gotti.
29 84.1 E ciò easer non pod, so gl Intelletti
21 1309 m ivi, dicea, de' maledetti
18 06 van tutti inviame | maledetti.
10 83° Tutti son pien di spitti maledetti :
20 47) bleante, fi che tu giù motti
21 e mi vien diatra, è che non metti
7 SO) n ert n'è dala. fur negletti
92 solo Dell‘atte L'occhio di più farti obbietti;
bp E inanco mo non *
22 #14 Teo it ca dor petti
n so Ditemi vol. che sì atrisgete | pot,
6 47|r Pre che lio a Etarlo of lo rintretti,
fw (aber La covier an aoa petel,
K ol dime: Tes cme man sosprtilo
i 2123 alta ® stelter farval a ntrattà,
1 io iad Ma sempre > att ritbonì stretti.
2 20 a E vol, I, tenetovi niretti
3 18 686 t Domarsdommi sconsiglio; ef lo tasetti.
Ra etto
818 cO a i malta lodo, of lo laccetto;
933 11! Con ie ma cima, sl l'alto affette
225 BA PR quando l'arco dall'ardeste affetto
83 129) Ma Vaticano e l'altre parli aletta
18 G1) Con archi ed asticcinole prima elette:
89 127) Poscia che | fiori è l'altre fresche erbette,
4 7|£f Con le le muover le fiammetto.
17 58 goh'io 1: O tu che l'occhio a terra gotta,
14 124 i E ‘i mio parlar tanto ben U impromette 7
29 Ol1|mAl suon nt maledette:
17 E piede innanzi piede a matte;
27 Di fare allor che fuori alcun si metta.
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Mi
n'accoglieva nol sereno
Che U tremolerà nel suo as
Fosse orizzonte fatto d'un saputo,
b Pol gianti fowwo All paga enedetto,
Poscia, fermato il fuosa henedatto,
Dispash tal dubai mr, tto
Hisposi: Siete vol qui, ter Drunotto ?
© Fesso nel volto dal mento al cluffette:
Lascia parlaro a mo, ch'io ho concetto
Ma per necessità; ché ‘| suo concetto
Le menti tulle in suo lieto cospetto
Indi rimaser 1 nel mio cospetto,
Tempo futoro m'è già nel cospetto,
Da tutti | pesi del mando cos tto.
fi Che favello così, com'io ho detto.
Nol sem venuti al loco ov*io L'ho detto.
Sì che t'abbaglia ll lome dei mio datto,
Con questa distinzion prendi il mio detto;
E sa, continuando al primo iletto,
Lor compatire a mo, più che sa detto
Perch'el fur Urecì, forse del tuo detto.
Ma quei più, che cayion fu del difetto;
Pol siete quasi entomata in difetto,
Non s'ammendava, per pregar, difetto,
Non ti fia grave, ma ficti diletto,
E déi saver che tutti hanno diletto,
La possa del salir più che ‘) diletto.
Che wal du me non si part) il diletto.
Esser von può cogion di mal diletto ;
Necessità ‘1 c'induce, 6 non diletto.
Del primo padre e del nurtro Diletto.
Noi leggevamo un giorno. per diletto
Agli occhi miei ricominciò diletto,
Però ch'audasse ver lo suo diletto
Che tu discerni, con tanto diletto,
In tanto amoro ed fo tanto diletto,
Mentre ch'egli ¢ ne'primi bon diretto,
Fin che ll piacere eterno, che diretto
E quando © carro a me fu dirimpetto,
Quand'io ini fui umilmente disdetto
(V. ristretto 1 ly 127) distretto
Cortese i fu, pensando l'alto effetto,
Diversamente; e qui basti l'effetto.
Nè si dimostra ia che per efletto,
Da indi in giuso è tutto ferro eletto,
Comonciò ella, in questo luvgo eletto
Nell’empireo ciel per padre eletto:
DI su la croce al grande ulticio eletto.
Ad un scaleo vie mon che gli altri eretto.
E sta ‘n su quel
Ch'a poetar mi davano intelletto.
C'hanno perduto il ben dell'intelletto.
Non pare indegno ad uowo d' intelletto:
Che lume ta tra ‘1 vero e l'intelletto.
Però, là onde venga lo intelletto
Ia conoscenza sua al iio intelletto;
Così rimaso te nello iutelletto
Ma, perch'io veggio te nello intelletto
Invér lo segno del nostro intelletto;
Nel Vero, in che si queta ogu' intelletto
Dall’ anima il possibile intelletto,
Che puote disnebbiar vostro intelletto.
La giustizia di Dio nell'interaetto
Nel qual sarà in pergaino interdetto
id che ‘au su l'altro, eretto.
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Sr:
Soli eravamo e senra alcun sospeito
Maravigliando tienvi alcun sospetto;
Veramente a così allo sospelto
Sovresso noi: ma non v'era sospetto;
E prendemmo la via con men sospetk
Qui si conviea lasciare ogni sospetto;
Ch'io mi striusi al Poeta per sospetto.
Nella neve riman nudo ‘I suggetto
Come, per sostentar solaio o tetto,
Che dal quarto al quint' argine è trag
eva
Un disio di parlare o:d'io ardeva;
Ed una melodia dolce correva
Ascoltando “1 inio Duca, che diceva
Si tra le frasche non so chi diceva;
Fec'io in tanto in quanto ella diceva,
(V. docce 33 47) aovova
legno è più su che fu moras da Eva
Mi fu’ riprender Mardimenty d'Eva,
Presso è lontano lì né pon nè leva,
1 Agnel di Dio, che le peccata leva.
Oltre andavam dal lato che si leva.
Nel transito del vento, e poi si leva
lo senta voci; e ciascuna pareva
Non si swarriva, ma tutto prendev
La legge natural nulla rileva.
(V. sorridea 3/33 49) sorrideva
E quel durando più e più splendev
(V. volca 3 34 DI) voleva
eve
Sangue perfetto, che mai non si Deve
Che la scaletta de' tre grad: breve,
Tu che furse vedrai il sole in breve,
Rispoce: Dicerolti molto breve.
Oud' io: Maesiro, di‘, qual cosa grey
Eterna, maledetta, fredda e greve:
Ed io: Maestro, che ¢ tanto preve
Quasi alimento che di mensa love,
Ed esser mi parea troppo più lieve,
Ch'altrimenti acquistar non saria lie:
Sì di vivanda, che stretta di neve
Grandine grossa, e acqua tinta, e nev
Verché non pioggia, non grando, nou |
Figlio, la mente tua guarda e ricev
eve
— fil —
Nè lo profoodo Inferno gli riceve, 1 9 41| ll verno avrebbe un mese d'un sol di.
Pute la terra che questo riceve. 1 @ 12)0 the mend Cristo leto a dire Bl
DI «quel che il cielo in sé da sè ricore, 221 44 Lote pinto passi san gi,
Per me fatlea andando si riceve? 2 12 120|p Ond'io dagl'incarcati mi parti"
q Cinqu'anni non ‘on willl Insino a qui.
evi E totti gli altri, che tu vedi qui,
b Per la sorrise parolette brovi. 9 1 @0 s Foscia tra esse nn lume si so ‘
Pala toa in questi versi , 916 87|u Sperent in te di sopra nol s'udi,
d Deh! se giustizia è pistà vi disgrovi 2 11 37| Del diavol vizi assal; tra'quali adi’,
1 O somma luce, che fo ti lew 308 07
Che secondo ‘| disto vostro vi lavi, 211 30 in
Com'lo trascenda questi corpi lievi. 3 1 DOja La virtà ch'ebbe la man d'Anania,
Che portdr quinci. sì che mondi e levi 21 35) L'alirà prendeva, è dinanzi l'apria
Così al vento nelle le Livi 3 n3 ©5) antigone, Delile ed Argi
Fai glorfosi, e rendigll longevi, 3 18 €29/b Le mura, che soleano esser badia,
P Ripresta un poco di quel che parevi; 9 sa @9| Che ponrese la chiavi ln sua balia ?
r E dissi: Già contents requievi 9 1 07| Che porgan sà sotto la tna halla.
Nilustrami di te, sì eh'lo rilevi 818 686) Quiri mi nisi a far baratteria,
Tu hal dallato quel di Boocheria,
evole c E mosse meco questa compagnia.
a A parole formar disconvenevole. 24 66) Taciti, soll è sanza compagnia,
£ Parlando andava per non parer flievole, 124 64! Consigilà i Farisel, che convenia
mCh'era ronchioro, rtretto e malagevole, 24 @©2| Edindietro venir gli convenia,
1 Che ne ‘nvagliava amore è cortesia,
evra Mi mosse la \nfammata cortasia
& Al primo fallo scritto di Ginevra. 918 15) O che Dio, rolo per sua cortesia
pin che la sua famiglia men persovra, 3916 11) libari rogriacete; è quella orla
s Onde Reatrico, ch'era an poco scevra, D 10 15] I che la fede sperial of cria:
A E con le suore spe Deldamia.
eun Che seguirai tuo Figlio. a farai dia
n Per tanti rivi s'empio d'allogrrorsza 316 19) Ed to meli nella luce più dia
O gloia! 0 ineffabile allegrerra! 227 7) Perché la Donea, che per questa dia
Il quanto @ il quale di quella allegrezza. 3930 120| Subitamente cm che disvin
lo vidi lei tanta allegrezza 332 688; Frrò, se il mondo sole divin,
Ch‘ lo perde 1a ® ta dell'altonan. i 1 64) Quando l'anima tua dentro dormia
La vista mia nell'ampio è nell'altezza 9 30 118) th'aprì Faenza quando sl dormia.
Create a trasvolar per quella alterza. 9 82 9©0)|s Così di Moisòà coma d' Eli
Fa risonar Ja Spemo In «vesta altezza: 9 25 91/f Poi plovve dentro all'alta itasia
Pit conformato, e quel ch' el più apprezza, 3 5 21) Avesso satlefatto a ena follia.
b Vol mi date a parlar tutia baldezza; 3 16 17 @ Fer non dir più, o già da nol sen gia
DI quella ch'io potal di più bellezza 3 24 l19| Una Donna soletta, che ri a
© Che nullo vi lasciò «i più ehinrezza ; 9 24 21l|l De' Serafin colui che più s'india.
Quante Gesù a'tro fe’ più chiarezza. 325 2I|]1 Vedlesi quella che mostrò Langia;
Pid s'assomiglia, ché la sua chiarezza 5382 #686 egli a me: Italderza è leggiad
Ch'l'mi oltre per aver contezza 220 20| Venne una donna. « disse: lo son Lucia:
Che più parea «di me voler contarra 2 24 20) m Forse qual fu ra è Maria.
A Sezue l'affetto, d'amor la dolcezza 2 29 140| Più alla Croce sl cambiò Maria.
© Dell'universo, che mia obbrezsa 337 | Dt colal ch'abbelliva di Mari
@ Per condurre ad onor lor giovinezza. 220 33) Ambo tegnon nel grembo di
Questa mi porse tanto di praverza 1 4 52) Faccan sonar ‘0 nome di M
dr A LIA
inolita vita, per cn LU er ruogli, lo non ;
Vedi l'eocelso omai è la larghesra 8 20 142 tier non era | Marla :
Sì grande ua, quei i la Targheeza 8 30 116) Nè Pier nè tri chiesero a Mattia
Lo maggior don, che Dio per ena lergherra 3 5 190) Così la circulata melodia
mSembiava carca nella sun magrosza, 1 1 BO! Diqueagli spiriti. con ta) melodia,
Tal mi senti’ un vento dar per monta 2 260 149| E chi nol sa, s'egli ha la fede min 7
© L'anra di maggio munvesi ed olozza, 2 24 140) Da terra | piedi; è la regola mia
Ché fe’ sentir d'ambrosta l'ororza; 324150) lomi une con la scorta mia:
p Ma, come fa chi guarda, « fa prerza 2 24 S84) Più lieta assal, che di restora mia.
= O senza brama sicura ricchezza | 227 | Nellasnva vista, e cotal si
Mente danzando, dalla sua riccherrs 3 24 17|0 Per l'altro modo quell'amor «’obblia
n Già di bero a Forlì con mon secchezza, 2 24 89 p Forte per fbrra xia di parlasia
E ei com‘ vom che suo parlar non spezza, 39 6 17) E Lrice sospirosa e pia
een fatti s'ha in che ri 3 20 144, Ricorditi di me, che son la Pia:
tostaner che non al sperra. 910 21) Den durrebb'asser ln tua man più pia,
Tal torna'lo, e vidi ge pie
esso E dopo ‘1 pasto ha più fame che pria,
A Venimmo appià d'una torre al daaseszo. 1 7 190) Ma quel la distiliò nel mi» cor pr
1 Che in fin lassi faces spiacer suo lezzo —1 10126) Ed erto più assai che quet di |
m Monta dinanzi, ch'io voglio esser messo, 117 83) lortan segnato ch sui era pria;
Grand'arco, tra la ripa secca e ‘I 1 71989) Pu de'miel lungo "i fiume prin;
E mentro ch' andavamo in var lo 102 70) Abi colui inanoellata,
"muro. e gimmo la vér lo mezzo 1 10 194) Nè ci adiemino di let, sin partò pria,
ASSAI 198 e A pria
triema cuardando il reas i Ufique passa com t
colul. ch’ ci presi ai vi pezzo 117 65 Gee aerei mabe 1 Doral sensi eri:
! per freddo; mi vien ripreso. Loa 71 ee umana Sais, wh quia;
r Nel Imago che r ria.
' KA ha nainra al malvagia + ria,
a Dinauri a me sen va All 1 28 32) E molla gente per non emer rin!
© Fur viri; @ però son così. 128 20) Sacca son plone di ferina ria
@ Ed lo a ini: Fores, da quel di 2239 76 Mostrat' ho lol tutta la gente ria;
=
3 26 102
2239 74
1 20 145
1 29 147
223 78
198 84
9 26 100
926 s9
1 29 149
9926 12
219 31
2 29 110
322 70
119 02
2 1 60
1923 653
1 32 119
9 19 146
129 1
1 29 116
120 14
9 14 110
8 19 143
a 7 ol
216 80
111 69
a 22 114
8 29 107
314 sì
220 10
2928 28
216 82
2 9 so
1 52 123
292 60
217 20
8 7 08
127 2
239 40
39 4 se
2 29 112
3 92 100
2 @ 66
S14 20
ss 6
9 32 107
a 8 97
3 29 111
290 19
5 4 20
2 3 s
119 94
3 23 109
314 32
325 76
332 74
118 67
a 19 111
217 27
lil 61
120 16
239 4
a 5139
119 938
299 82
1 1 so
8326 71
124 63
212 19
299 84
2 5 195
291 12
9 4 so
1 23 190
196 14
2 3 37
119 s0
i 107
2 14 114
o20 76
oi 04
Alti rimondo qui la vita ria.
Or tro or quattro, dolce salmodia
Bavia woo fui, avieg
ii fe'santir come l'una sdrucia.
attento all'ombre, ché aentia
| Jena ch'i'mon mi santa;
un tazz0 veda, ch aro sia
ool vili, né cred» che sim.
i del Soldanier erolo ché sia
ma ton; o fn lon che sia
è in bul, oo) volem che sia:
ni di lor inemoria sla,
donna che in partorir sla;
ladroneccio è simonia,
le facce l'occhio si smarrià,
la man non si spodia.
eb or vera epla.
, nell'alta toodia
la selva tuttavia,
; @! lo clascun s'udia:
eni ili Locca uscla
Q svagliò col puezo che n'ascia.
Per un confuso suon che fuor n'uscia.
Dove uno scoglio della ripa uscia.
Fierumente diceva; ed ci vonia,
ando un'alta, che dietro a lai venia,
@ come ciascuno a nol venia,
Ci apparve un'ombra, e dietro a nol venia
Dentro da sè, che di fuor nou venia
Ben sottilmente) por alcuna via,
Per ial campare, è nou c'era altra via
Della sua scurtaila, e disse: Via,
O Bretlinoro, chè non fuggi via,
Che Cristo apparve a’ duo ch’ erano In via
Posa trascovrer la infinita via,
Boon ti sarà, per alleggiar la via
Attraversato e nudo è per la via,
fu per lo scoglio preinileriino la via,
E riposato della lunga via,
Nou era lunga ancor la nostra via
Come i frati minor vanno per via.
E proseguendo la tolinyga via
Sì l'agevolerò per la sua via.
Non lascia altrui passar per la sua via,
Ond'era pinta tutta la sus via.
E cigola per vento che va via;
Per lo serpente che verià via via.
Ch'emisperio di tenebre vincia.
iba
o Messo t'ho innanzi: omai per te ti ciba:
Del benedetto Agnello, il qual vi ciba
p Se per grazia di Dio questi preliba
Dietro pensando a ciò che si preliba,
Anzi che morte tempo gli prescriba,
8 Quella materia ond'iu son fatto scriba.
ibo
co Danzando al liuro angeliro caribo.
L'anima mia gustavu di quel cibo,
t Sè dimostrando del più alto tribo
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d Cambiando l'emisperio. si dilibra,
1 Cadendo lbero sotto l'alta Libra,
Coperti del Montone e d-lla Libra,
Quant’ co dal punto che il zevit i libra,
v Sì come quando ! primi raggi vibra
lea
a Fin che alla terra ciascuno s' abbica;
Supraggridar ciascuna s' affatica;
Pur come quella, cui vento affatica.
Tosto che parton l'accoglienza amica,
Al padre, fuor del dritto amore, amica.
Ed egli a me: Quell'è l'anima antica
Fiorenza dentro dalla cerchia antica,
Maggior cornu della fiamua antica
Cui non sarà quest'ura molto antica,
Del viso su per quella schiuma antica,
Verde, pareami più sé sto-ru antica
A Non dico tutti; ina posto ch'io "1 dica,
hp.
bu O 2 Soe ee ey a eee pipe ze e pebpuoscclebebbb
Bo ton Cs Co Co Lo co to
bi
BS BS me DÒ mm CO = bm BS 8
Soe saras ote eteobosescerounetousoeawe
29
=
— 51 —
107) 0 doles frala, che rudi tu ch'io dical
2) Non vi movele; ma l'oo di voi dice
100/f Ren «i convieo che la ee Fabian,
57) E libero voler, che, se fa :
17| Li denti addosso non i ala fatica
60) £'ammuaa l'una con l'altra formic;
40) 0 Cone le rane innauzi alia mimica
18 (ok oe ane maman, pale ei ot fata
121) ol vinco athe, no si nutrica.
8.0 DI peoter oi mi punse ivi l'ortica,
np Bi mg omelie sobria e pudica.
16, Nelle uo © più podica
so icca
a5 & fe far belied, conte Dea che ammi,
16 Nell'arlo, dove tal seme r'appleca
salt N | occhi, ovo "1 sembiante pid el sì
DE 5 arm ponte na Soong
FRI | cia
= al dello mio: Tranne is Stet,
108) | leeh
a9 a DI verno la lanvia in Au
6|)o Non avria pur dall'orlo fatto oricch,
co t Cou'era quivi: chò, sè Tambernioc
a lech
1060/4 Di vera luce tenebre diapiochi.
eli più posted dude Sete aah ricchi
a5 Fr | :
80 Ed egli n ine: Perveché tu riflochi
6a 6 Mi disse: | è Gianni Schi
05, A dir chi | pra che di qui si aploct
us leehia
asta Ma guarda fiso là, e disviticchia
14/1 Con l'argine secondo s'inorocicchia
115'n qGuladi stitimimià gote che sì nicchli
Gi pt te moedasma con le pala piochia.
151 iA scorger puul cave clascun si pioch
67 r Di lor tormento a terra gli rannicch
Ps lecin
57 a lo vidi, ed anche ‘l‘cuor mi s'accaprio
95 lo terzo che di sopra s'am massiccl:
42. Ancor li piedi nell'arena arsiccia:
42' D'una petrina ruvida ed arsiccia,
39;b Mu come s'appressava Barbariccia,
6y'r Lo cui rossore ancor wi raccapricci
s Ch'una rana rimane, e l'altra spicci.
Tacendo divenimmo la ‘ve spiccia
25] Come sangue che fuor di vena spiccia.
a ice
23 b Per che tornar con gli ucchi a Beatri
6: Poco sofferse me cotal Beatrice,
27 Non so se jatendi: iu dico di Beatrice:
E tre flate intorno di lteatrice
Del suo parlare e di quel di Reatrice,
132 E tutto in dubbio dissi: Ov'è Beatrice
128! Ch'io sarò là, dove fia Beatrice;
180. Guardami ben: ben eon, ben sun Heatri
Quando wi vo!isi per veder Beatrice,
lo Suvra me 6larsi, cho couducitrize
G Girato ha "l monte in la prima cornic
3| E lasse, su per la prima cornice,
2] O a lui acquistir, questa cornice,
4'da Continuò, come cului che dice,
1 Nottare è questo di che ciascun dice.
Farò come colui che piauge e dice.
Virgilio è questi che così mi dice
78 E dichi a lei il ver, s‘altro sì dice.
89) Se in'erpretata val come si dice!
87 Poscia mi disse: Quel, da cui si dice
37| Se quanto infino a qui di lei si dice
39 Se di là sempre ben per noi si dice,
87| Non ti ferinar, se quella nol ti dice,
97 A costui fa mestieri ie nol vi dice
85/f Di questo monte, ridenta e felice.
99 Non sapei tu, che qui uumo ¢ felice?
74 Vresso di jel, e nel monudu felice!
83 Vid'io uscire un fuoco «) falice,
74 l'età dell'oro © suo stito felice,
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habbo
lo non l'invidio:
di Manni
i
cl è di votivo grido
DI sagrifici
Coal ha tolto lone all'altro Guido
Dicendo: Non dnbbiar, montr'io U guido.
n Chi l'uno è l'altro caccrrà di nido.
Con Jali aperte è ferine al dolce nido
Pris che Latona in lel facesse Il nido
All'unana natura per suo nido,
F Voi meta nuovi; è forse perch'io rido,
ie
d Vol vigilate nell’ teria die,
6S) che, so non a'appon di lie In dio,
Né tra l'ultliva moile è "1 primo die
lune LU feno al come she Lu dia,
f 0 per l'una o per l'altro fue, a fie
mihe la madre nil diè, l'opere mio
Ricowinciaron le parole mia:
Pol comineld; Sa la parola nile,
P Tal, che diletto è duglia parturio,
Del carro stando, alle mustansie plo
# aperto a‘savi, che parlavan sie,
Rlsposa Btazio, la dove tu ale,
Dal vol, che prima Koma sofferia,
n Ed scco planger » cantar a'ndio,
Ch'al fine della terra il suono usole
w Lili sccorglinenti a la coperto vio
Di proceder per lutle le sue vie
Passo, ché faccla il secol per sua via;
ife
p E l'altra: Nella vacca entra Pasifa
r Pol come gru, ch'allo montagne Rife
B Queste del gel, quelle del sole achife;
ifo
ge Ferù ti china, a nun torcer lo grifo.
8 Mettine giuso (a non teu venga schifo
t Non cl far ire a Tirio né a Tifo:
ign
b Se tal fu l'iona rota della biga,
Prima che Federigo avesse briga:
E vinse li campo la sua civil briga.
Now però che altra coss desse briga,
Ombre portate dalla detta briga:
Che riceve da Eurò maggior briga.
o kE la bella Trinacria, che caliga
"Aretusa Ovidio:
edo» tacito
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20 193]1 (he l'anima x di lttigio. —
8 O/a TU veci saper oe can altro Ssrwigs
11 BT Totlo m'olfersìi pronto al suo servigù
20 1835) w Non è, se oon di quella alcun vesti
11 89) Edeglia me: tu lasci tal vestiglo,
56 sa
20 131 | Igli
28 78/a Uo'Guelil suol; ma tema degli artig
28 78| E pol distese 1 ilispletati artigli,
e he tatti ardemeer ili Bo pira da°clgli.
Alla battspila do'itebili cieli
#1) 103 Lotal al free, oosì Lovai li ciel,
10 #6 E pol d'arroncigliarmi «li consigit.
7112) Così Beatrice, Ed io, che a’ sul oonel,
uo “o Muvea sospinto da tanti consizli
7 114|d Mi dissa, di parlar; ma parla. è dig]
27 74ajf Cha veggendo la moglie co'due figli
10 12 Pol c'ha pasciula la cicogna i Ugl,
gh 44 Malte fivty gia piavssre i teli ;
20 (fle Erano ablluati; ina di gigli,
40 101 L'arna sl fees; quivi sou Ii gli,
a3 6 Che Dio traswotl l'arini per suoi gigl
26 32) mQod'io: Forsa che Lu ti maravigli,
18 10) p Uridd: Tendiaw le reti, s) ch'io pig)
29 #10) loan che l'uucin vostro mi pigli.
17 70| Ma più d'auiuirazion vo'che ti pigli
27 7T0j|/r E vulsar coutra lu: tuiti i roncigli:
T 110|w Anri di rosa è d'altri for vermigli
40 106
iglia
a Dinanzi all'uno, è tutto a lui a" appl
28 al Ed abbracciollu ove "1 minor s'appigli
26 43| Senza teme px vi n'appiglia
20 46] Certo a cdlul chè meco s'‘assottigli:
Ed intorno da caso t'assotliglia.
o Spario all'eterno, che un muorer di oly
21 1206) E sl vér noi agurravan le ciglia,
31 122 î contra "'l avo Fattore alrò le ciglia
Sl 194 Tal parva quegli; è poi chinò le ciglis
Né gii gravò viltà di cuor le ciglia,
Uom'io tenea lavate in lor le ciglia.
12 106 Pol che innalzai un pes più le ciglia,
18 117 Quando chinavi a ruloar le ciglia.
12 108] E tronco "| naso infin sotto le ciglia,
7 65 Innata v'è la virtù che consiglia,
G 40 Qual or saria Cincinnato è Cornigli
8 69] Lucrezia, Gialla, Marzia è Corniglia,
8 6G71f Così adocchiato da cotal famiglia,
ili
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DI
i millo milia;
uisquilla
estra mi Sibilla,
tanto picciola vigilia
è la sua sàbita vigilia,
Abie
cominciò: Nel beato concilio
uesta fossa, è gli altri del concilio.
l'antico s col nuovo cunelliò,
deslderal questo concilio ;
rilaga nell'eterno esilio,
drety nell ah aed tyes
ulstò pinagendo nell'esillo
} ra la oneal tuto esilio,
! Quivi trigala rotto l'alto filio
di, onde inosse tua Donna Virgilio,
el volge subito. a Virgilio
Allor vid" jo maravigliar Virgilio
illa
© Per cul morlo la Vergine Camilla,
d LA onde invidia priva dipartilla.
Non altrimenti faro disfavilla
Ed onde ogni selenza disfavilla,
Così la neve al Sol si disigilla,
Già per lo goto, che ‘| dolor diatilla,
Ciò che ila Iri senza were distilla
Mia visione, cd ancor mi distilia
Ma «ol chi niete, a cui tants distilla,
Quest'è ll principla, quest'è la favilla
Più che ‘i duppiar degli scacchi, a'1mmilla.
Colui, che luce lu wert per pupilla,
Che qui appresso we così scintilla.
E, come stella in cielo, in me scintilla
Quelli, onde l'ocelilo in testa mi selnilla,
L'incendio lor seguiva ogni scintilla;
Ogni livore, ar-lendo In sé atavilla
E cha pena è in vol cha sì sfavilla 4
Sl perilea la sentenzia di Sibilla.
La sua iwprenta, quand'ella sigilla.
Ch'io tocco ma, la inentae nni sigilla
DI lei pel somo grado ai sigilla.
t Or sappi. che là antro si tranquilla
WE dir: Se tu se'sire della villa,
Sovra "l bel lume d'Arno alla gran villa,
Che l'arca iraslatò di «illa in villa,
Questi la caccerà per ogni villa,
hide
& Deldamia ancor si dool J‘ Achille,
Cantal di Tebe, è pol del grande Achille,
emipo si volae, è vedi "1 grands Achille,
" gran Chirone, che nutri Achille:
a lo dobitava, o dicea: Dile Ajlle,
Ch'amor di nostra vita dipartille.
E Surgono innumerabili faville,
Al milo ardor fur seme lo faville,
S'ai posson dentro da quello faville
E, (uaa) velocissinia faville,
mm Dintoroo al fosso rauno a mille a mille,
Onde saio allumati più di mille;
Vedl Paris, Tristano E più di mille
Risurger parve quindi più di mille
E riprego che ‘| priego vaglia mille,
p Torvan de' nostri viel le piistilla
Non vien men forte alle nostre pupille;
» Sì come ') Sol, che l'accende, sortille j
Del sangue più, che sua colpa sortille.
Che mi disseta con le dolel stillo;
t O ver per acque nitide e tranquilla,
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f(V, failli) tawilit
Quanto parevi ardente in que Talli,
1 Poscla cho | cari è och Lapih,
8 over sileuzio agli angele) squilts,
— i -<
§32 47
339 40) illo
332 61/4 Ond'io sovente arrows «a dinfavillo.
2 6 142|pCh'agli acquistò nel suo farsi pus i
a Nè ch'io fossi ra di sig
Da Cristo presa Î'ultiao
1 112) Quando a colul ch'a tanto sortillo,
o 244 w Divenl-ser segnacuto In vensilio,
1 28 31 [e Che taco mise some n oe
5 pH e teco a nol ti
=
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etebeceracur Sessa
ESE
bi fs fi i co i o gn
FPoscia portar la rosa in mi la cliiuaàa;
Ond'io leval le mani la vér la cima
Così, levando me su vir la cima
Lei tanto, e sì travolta nella cima.
Ne fece volcer gli vochi alla sua cima,
La titel del mio sangue la sua cima.
1 107
1 111
26 BO
15 so
a + Che fa dal merzo al line il primo clima;
1 67 d Tal vime, che giammai non si divima.
sa 62 i l'ura potenzia tende la paris ima;
23 OT E come quei che adopera ed latima,
a4 146 Dorme lo logeguo tuo, sé non lative
28 08 l Cha awa temperate con sia lima,
“uo 97 Che del soverchio visibile lima,
o 13|° kl ceh'osul musa ne sarrlbò opima.
24 147 Pp Vagheggia il suo fattor l'anima prima,
go. 96) Cinque wil'anni è più l'anima prima
28° g1|] 19 dico seguitando, ch'assal prima
Allu splendore nesai più che prima.
7 66
S'egli avesse potulo erede: prima,
ne Lon Epiriti son beati, cha giò, sien
7 gol Dall'ora ch'io avea guardato prima,
24 143 Itivolga "l cielo a sé, saprai: ma prima,
ou 117] Cowe ‘1 boa cicilina che mugghid pins
o 115 Ed io son quel. che nu vi portai prima
15 97| Eletto seco, riguardando priva
23 95 Ch'io bo vadoto tutto il verno prima
20 39/7 Ciò c'ha veduto pur colla mia rima,
ili = aa ed +13 +1 1]
i 100/58 A giudicar, sì come quei ché stima
La verità che tanto ci sublima;
Ver la propria virtù cho la sublima ;
26 62
sl 92 —
6 @5|9 Tanto che gli augelletli per le cimo
12 71|P Ma con piena letizia l'aure prime,
7 10|7 Che tenevan bordone alle sue rime,
CILCERTÌ
21 galP Nella nila mante, disse: | cerchi primi
ga gal E posson quanto a veder sa sublimi.
7 g|¥ Cosi veloci seguono i suoi vimi
ut tuta
5 @7|® Che falsai 1) metalli con aluhimia;
18 103/8 Com'lo fui di natura buona solmia.
26 66 fi ini oon ce
a
3 ala Poscia con pochi pos divenimmo:
» Da quelle cerchie eterna ci partimmo.
DEibLgSoL ED Eppoi
18 5
19 ni s Assai leggieramente quel salimmo,
ag ime
i Che d'allo monta scende giuso ad imo.
Qieata isoletta lalorno ad imu sd ime,
Sa più lume vi fosse, tutto ad io.
320 14| E come clivo in acqua di suo imo
325 AU Porta de alaunchi sere ‘1 olla bi mo,
22 Vaio Ait vas Va tra muri lu wore lima.
imo
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© Quando è nel verde « ne’ floretti opimo;
P D’aleona nebbia andar davanti al primo
NA per sò stante, alenno esser dal primo,
Fuoco di nube), ss l'impeto primo
Così parlammo insino al Inogo primo
Reflesso al sommo del mobile primo,
® Resta, sé, dividendo, bene stimo,
Non dèi più ammirar ss bene stimo,
Sanza parlarmi, sì) com'lo stimo;
n Poi a'ascoss nel fuooo che gii affina,
Perché "1 ben nostro in quasto ben s'allina,
© D'un corpo veciro: è tutta la Caina
Tritti avanti. Alichino e Caloabrina,
[fa sonotina 2 31 110) calina
Non hanno riso, 6 però mal cammina
Le Duca slelie un poco a testa china,
O fratel mile, clascuna è cittadina
4 E Marbariccia guidi la decina.
Soverchia quella dove ‘1 Sol declina;
Cha da Vercallo a Marcabò dichina.
Volginmel indiatro, chè di qua dichina
La valla, onde Misenzio ni dichina,
Della profonda conglunzion divina
M veggia woetra via dalla divina
Alle sus vision quasi è divina ;
Così da quella Imagine dirina.
Pestemmino quivi ja virtà divina.
Così ricorsi ancora alla dottrina
Più volte l'evangelica dottrina.
Chal seguitata, « sua dottrina
® Que us quida al som de lescalina,
f Da terra ‘| ciel, che più alto festina.
d d'esser fi in gelatina:
S'anima è ne tra vol, che sia latina;
E cul già vidi su ‘n terra Latina,
Ancisa (‘hal per non perder Lavina;
mChiamato fol Currado Malaspina:
- Conobbi il tremolar della marina.
La rondinalla presso alla mattina,
lo leval ql oochi; a come da mattina
L'alba vinceva l'ira mattutina.
Come del Sol la stella mattutina.
Rimembriti di Pier da Medicina,
Data mi fu sonve medicina.
P E che la menis nostra, pellegrina
Romeo, persona umile o peregrina,
Che vivesse in Italia peregrina.
r A’ miei ee l'amor che qui raffina.
Mena gl era con la sua rapin
Quattro Agile pa mo ene reg
rege er la Regina,
Ji occh! la nostra a,
Piangendo forts, a diceva: O na,
Quando giungon davanti alla roina,
Madre, alla tua, pria ch'all'altrui ruina.
re ler sn la ruina,
ei
A,
ardar «alonn se né sclorina :
lo una essenria sì una è sì trina
là uncina.
1 Noi montaramo, gia partiti lined,
a Con Meta voce : Intrate quine
Delle misere mani, or quindi or qui
Ed io m'innamorava tanto q A
a Cheall'entrar della porta incontro uscinel.
wv Cantato retro, e: | to che winol.
lo comincial: Maestro, tu qua inet
fe fa ha fo sto io ca
ini
— M —
30 111) Posclachs mal si torsa il ventre quindi. 239 40
1 @©6) Divento, ch'or vien quinci ed or vien quindi. 2 11 101
a ana ‘8 Cho fama avrai in più, se vecchia scindi 2 11 109
29 87 ine
30 107|an Nell'oardine ch'io dico sono ncclino 3 1 100
17 112|0 Be ciò non fosse, il ciel cha to cammino 3 8 106
1 139] Ma vianno omai, ché già Vene ‘| confine 1 20 124
20 806) Che solo amore « luce ha per confine, S828 64
Ed a ane aver vostro confina, 910 ba
Serpentelli « ceraste avean pe erine, i 0 41
4 0 spiritall o altre discipline! 2 293 106
148| Ma per larghersa di grazie divine, 250 112
187|% Guarda. mi disses, le | Brine. ì 0 45
DE |f Veder le volte tanto più fontino, 398 bO
118) pi campi è di Certaldo a di Figghine, 2310 DO
Per trecent'anni sd oltre, infino al fine 3 6 SB
191) Che driszan elascun teme ad alcun fine, 2 90 110
139) Onde, se ‘1 mio disio deve aver fine ose sa
04) Dell'oterno valore, il quale 4 fine, 29 1107
120) Disposto cade a provveduto fina, 5 8 104
120| Alla sfacciate donna fiorentine @ 29 101
75/1 La «pela è ‘1 fuso, è fosersi indovino; 1 20 122
113) mE quel. che ben conolba le monchine 1 9 49
50|p Come da nol la schiera «i partino. a 4
143) che non sarnbber arti, ma rutna; 3 68 108
n Sal quel che fa dal mal detta Babino a 6 40
Che non era la calla, onde salino 2 4 239
1 Quai Marbare fur mal, qual Baracine, 2 93 109
Botto Sibliia Catino s le spino, 1 20 126
1 Con una forcatelia di sua spine, a 4 20
144) + Ob quanto fora maglio emer vicino 316 sa
Vineenda intorno le genti vicine. a a 42
i Più al principio loro # men vicina; 9 1111
Che nosire visto là non van vicine, 290 114
oblio 88-20-0808 tetti lato 2888
fi ai fi iù pi fù fica ib
Deed tol ddu e en | ee doo piede Siglo
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1 frainghe 1 9%) lus a
Pp Come ploter che con pinga, 292 «67
re V. ricinghe 8 1 34) a
fili sochi epletati, udendo di Biringa, 2 ss 65
(¥. atinphe 2 | 96) ntingen
inghe
S1 che la faccia ben con gil occhi attinghe 1 18 129
sommerso le lusinghe, 1 18 136
tu di', non c'è mestier Iudaghe; 2 1 00
; 1 18 197
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Quest'opera gli tolae quel confini. 2 11 142] Che "l anon dell'acqua n'era a) vicino, 116
rag iaia in qua stato gli sono a' orini: 1 27 117| Orti dirò perch'i' son tal vicino. 133
dd A chi avesse quei lumi divini 3 6 26| Guarda il calor del Sol che si fa vino, 2 35
Di faville d'amor, con sì divini, 8 4140
f O visibili 0 no, tanto festini, 3 8 29 inqua
Ciò ch'io dirò degli alti Fiorentini, 3 16 66 1 Questo centesim'anno ancor s'incinqua. 3 6
Ei m'indussero a batter i fiorini, 1 30 89]p Del nostro cielo, che più mè Leas 8 0
m Venir sen deve giù tra’ miei meschini, 1 27 116|r &ì ch'altra vita la prima relinqua a »
a Pria cominciato in gli alti Sorafini, 3 8 27
Pol fir 1 viel, por dirmi, mupini; ul4 ® inque
t Ed jo a lui: Chi son Ji duo tapini, 130 Ol]ec Nel quale un cinquecento dieci è cinque, 2 DI
v Ma poco tempo andrà, che i tuoi vicini 2 11 140|d E quel gigauta che con lei delinque. 2 33
aa |p A darne tempo già stelle propinque, 283
a Così da' lumi che Il m'apparinno 8 14 121 inse
i Che mi rapiva senza intender |‘ inno. 3 14 123/a Lo collo pol con le braccia m'awwinse,
t Di molte corde, fan dolce tintinno 2 14 119|0 Poi di sua a mi coperte e cinse,
no con | spranga mai non cina
ino Nulla vedere ed amor mi costrinse,
a Francesco, Menedetto ed Agostino, 392 35/d E com'ambo le luci mi dipinse
(Vv. Pennino 1 20 (5) Apennino k di trista vergorne a) dipinse;
Dalla sinistra costa d' Appennino, 116 96/1 Denedetta col in le s‘incinse,
ce sovra |" Ermo nasce in Appennino, 2 6 96) K "l peccator, che intese, non s infines,
i Cologna, ed jo Thomas d'Aquino, 310 S9|pE dimanda qual colpa quaggià "| pinne:
Che sotto '] sasso di Monte Aventino 1 26 26| Quel color che viltà di fuor m
© Con questa orazion plociola, al cammino, 1 26 122) l.a dolce Donna dietro a lor ml
Al cui odor si prese ‘1 buon cammino. 323 75|r E mane è sera, tutto mi ristriuso
O A o) e St LI ui RS Gg QI) i i i (I) di nd dt pt dui (GI di
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Giù nel ponente —s ‘lL sool marino;
Non creda monna Berta è ser Martino,
Ed ecco qual, sul presso del mattino,
Temp'era dal principio del mattino;
E volta nostra poppa nel mattino,
p Ad inveggiar cotanto paladino
Tra Garda è Val Camonica, Pennino
a Fer seme da Giacob, a vien Quirino
s E solo in parta vidi ‘| Saladino,
t Vidi quel Hruto che cacciò Tarquino,
Lage è nel mezzo là, dove "| Trentino
u Ta déi saper ch'io fui ‘1 conte Ugolino,
Che lo non temerel unghia né uncino.
Ch'io fui de’ monti là intra Urbino
w Dal grande armento, ch'egli ebbe a vicino:
Poco è da un, che fu di 1h vicino;
Questi, cha m'è a destra più Veins,
199| imei
13|e Ancor nel volto tuo presso ch’ estinti,
97|p Ma fia diletto loro esser su pimti.
al vinti,
ave
Baezeessie FBG eee eeexssskeisS eee ehirecSsiackeBusi Eiebesste seo ses 353
124|vw Vien U tuoi più dal
ees
Unde fa l'arco li Sola è Delia Il ciata.
Uhe si reca il bordon di palma
Infla che l'uno e l'altro da quel cinta,
E questo era d'un altro cirouncinta,
20|A Lasciando dietro = sò l'aer dipinto;
30] Vaglio anche, e se non scritto, a Aipiote
E chi e questi che mostra ‘| cammino 1 16 48) Più tosto dentro Il suo nuovo ristrings.
Anzi impediva tanto ‘l mio cammino; 1 1 35/8 Per più fate gli occhi ci sospinse |
Che Domenico mena per cammino, 3 10 95) Per che ‘| Maestro accorto lo sospinta.
Come quel fiume, c'ha pruprio cammino 116 84) Trovò l'Archian rolmato; e quel aospiase
Segnar potria, sé fesse quel camming, 120 639) A poco a poco al mio veder si atinse;
Natura generata il suo cammino 9 8 133) Gocclar su per le labbra; è "l gelo strinse
Come gente che ponsa suv cammino, 2 2 11) Di Lancillotto, come amor lo strinse:
Correr lo mar per tutto suo cammino, 3 153 137) Al sao collegio, a "| collegio ai strinsa;
Perfettament=, disse, il tuo cammino, 231 05|w Ma solo un punto fo quel che cl vinae.
Non va co' suo’ fratei per un caminino. 1265 28| Corsaro insiowe: tanl'ira gli vinse,
Non anderà con lul per un cammino. 9 50 144| Sempre dintorno al punto che mi vinse,
Ti travid sì fuor di Campaldino, 2 6 62) Ch'lo fei di ma quando ‘| dolor mi viasa;
Oh, rispos' egli, appls del Casentino 2 6 dj &i sue virtò la mia natura vines;
Per andar par di lol; ma ‘1 capo chino 115 44] Ché lassòà vince, come quaggiù vinse,
To era ingiuso ancora attento e chino, 127 al
d Ei cominrib: Nani rg o destino 1 16 se insi
Ch‘ eran con lui, quando l' Amor divino 1 1 3 avvinel |
Vostri ris lende non so che divino, 2 = sar rite IRE hand io. ni dipined: : : î
edergli dentro al consiglio divina; roguendo le >
E Ga prefetto nel foro divino 3 30 142|” om > ee od.
Seco ne porta a P amane om divino. 2 25 ci imia *
Or mira l'alto provveder divino, 22 ; latornò
Se non vinceme Il provvoder «divino, 3 e1905)° eS e la dr eS - -
Più a montar per lo raggio divino. 331 80/4 La region degli eli dipinta. 3 so
Quivi è la rosa, in che "I Verbo Divino 323 78) % ei trova nino Sea geme dip 13
f Simili fatti v'ha al fantolino, 9 80 140) premier la lonza alla pelle dipinta. 110
Però non ful a rimembrar festino, 53 3 61 Porre ministri della fossa n 139
Venuto se quaggià; ma Fiorentino 139 11|9 la prima vita del ciglio = 5 8 20
@ Che tu non ti rivolgi al bel giardino 323 Til t A sini risuonar quell'acqua tinta, 1 ie
Igualmente emplerà questo giardino. 3932 30) gam in ani sala Geni. pd tinta, i 3
ola con gii occhi per questo giardiao; 251 97| Piangendo, « nel sembiante slanca e vinta. 1 38
, Il Calavreso abate Giovacchino, 9 12 140)" Ma vince lel, perchè vuol emer viuta, § SO
IM fra Tommaso, e Jl discreto latino; 312 144 " Juol sì viata
Dicendo: Parla tu, questi è Latino, 127 33) È che gent'à, cha par nel sai . 28
sì CR "l raffigurar 1 più — 3 e inte
Dall'altra parte, 0 ¥ "l re Latino, 1 125)
Conosci tu alcun che sia Latino 1 65/2 Onde le fiere temple crane avwinte. 19
E quando Lachesis non ba più lino, 2 79|0 E con idre verdissime eran ciute : is
m Sempra acquistando del lato mancino. 1 26 196|* Tre furie lofernal’ di sangue tinto, ie
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Comb eonour
Seti
into
Non avea pur natara ivi dipinto,
Tanto, col volto di riso dipinto,
La donna sua senta ‘1 viso dipinto;
Non è suo moto per altro distinto;
Pareva argento 1) d'oro distinto,
Più chiaro assai, che per parlar distinto.
Si ch'egli sopra rimanea distinto
1 Vi facera un incognito indistinto,
p E se non fosse che da qual precinto,
8) coms queste gli altri; è quel nto
a sì come diece da mezzo s da quinto.
Bi ravvolgeva infino al giro quinto.
Dal quinto "1 quarto, e poi dal sesto Il quinto.
Poscia nall'M dal vocabol quinta
@ Che noi appena. ai lieve, sd io sospinto,
Dali misi dubbi d'un modo sospinto,
Non so jo dir; ma ei tensa succinto
© Fatto di pietra ed In petrato tinto,
* Fino nel punto che m'nveva vinto,
BI girava sì ratto, ch'nvria vinto
Non so «di lui, ma fo sare! ben vinto.
Postl, ciascun sarla di color vinto,
Dal vostro Uecellato’, che, com'è vinto
lo
a Lo di c'han detto a’ dolcl amici addio;
Poi d° lato ad esso m'appario,
Vidi la Donna, che pria m'apparfo
Fria ch'io a dimandar, la bocca aprio,
d@ Dicendo: Colui faase in grembo a Dio
Che farò or che son più presso a Diol
A divozione ed a rendersi a Dio
L'anime degna di salire a Dio,
Che pura lo cuor Hee a i
Che, possando peccar, mi volti a Dio,
Non adorar debitamenta Dio:
Nella presenza del Figliuol di Dio,
Ginso a Maria, quando ‘I Figilool di Dio
Alla giustizia, se '1 Figlinol di Dio
Quelli che muoion nell'ira di Dio
Cento a cent'anni è più l'necel di Mo
Porché il discerni rimiramio in Nin,
Con bestemmia di fatto offanda Dio,
Ed io rispondo: Credo in una Dio
E di giù vincon sl, che verso Dio
Che non ti lascia vincere a disio:
Ond' egli: Frate, il tuo alto disio
E gee in pace uno ed altro disio.
MI : Solvi il tuo caldo disio.
Non moto, con amore è con dislo.
Dell’ eterno piacere, al cul disio
Ciò che chieden la vista del disio.
Mentre ch'io vissi, per lo n disio
Di cul largito m'areva fi disio
Accender ne dovria più il dislo
Buoni la volontà, ruoni "1 dislo,
Era già l'ora che volge ‘| dislo
Per morder quella, in pena sd in disio
Che senza speme vivemo in disio.
Sì, che la tema si volge in disio.
Volsesi al segno di maggior dislo,
Or, per empierti bene ogni disio,
eg dolci pensier, quanto disio
ct un Lx Deh, so = disio
o, ch'avea di riguardar o
Dovea trarre ta nel suo disio
E Dionisio con tanto disio
di loca, ove tornar disio:
Ld G il Comino ore Ò il n
copre ‘| fosso ai
DI tal snperbia qual of da " fio: -
e n tem lo mon o,
voy died mod at | e
: on
1 Com'lo fol dentro, l'occhio intorno Invio ;
Slo posso prender tanta grazia, ch lo
Placer. 4 lo bella membra in ch‘ lo
Voi mi levata «\, ch‘ lo son più ch'io,
all'antion salva tanto, ch’ lo
to i N così com’ ba.
Che gli è distinse, com’ io.
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De ee Po |
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Pes tt tee tte the Feit
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gi CD e) I i e i n CK DI RO CI de ORK BK SEHK BBE 63 DI Ca 3 CI a to CI ta CI de LI ta CÒ CO Cd KR CL CI LA do
PAPA PRA AAA | POPPA tel L01414 POOR ah
_ GO ——
70) E quel che spera ogni fedeli com’ lo,
TI Ond'alla, che vedea mo si com' lo,
Ma vieni omai con gli occhi, sì com'lo
Tacette allora, e pol comincia" la:
Non ti maravigiiar; ché, dicend lo,
Cha non gli 4 vendicata ancor, dies‘ lo,
Ed: Eila ow’ 4? di subito din’ to.
Se tu non torni! Ed ai: Chi fa dov'lo
Pol fece sì, ch'un fascio er’ agi) sd io.
Della lia assolola intende; ed io
Ecco, dolantl lo tno padre ed lo
Com'a quelle parole ml foc’ io;
Poscia si pose là, dove nacqu’ lo:
Del dire è del tacer, si sta; ond* lo
ul mi rivolsi a loro, è paria'io,
Poco dinanzi a noi ne fu: perch’ jo
E di costoro assai riconobb' io.
Ba
74 Perelé non lagrimal, nò rispos' lo
O) Ricordati, ricordall.... E eo bo
26) Apri gli occhi a riguarda qual son lo;
20) Per to sl veggla, coma la vagg' lo;
77) M'impigtiàr n, ch'io caddi; è Il vid" io
110) mPiangevan elll: ed Anselmuccio mio
La forma qui del geni creder mio;
Ed avvegna ch'io fossì al dubbiar mio
Temendo, un poco più al Daca mio
8| Questa parole fur del Duca mio:
22; Cor) rispose allora i) Maca mio,
64| Noi passa crimo altre, ed la è "1 Doca mio
87] Le man distano, è presa ll mea mia,
119] L'occhio, per dimandar lo Duca mio,
24| FE sonar nella voce ed to è mio,
06] Ché l'assero del mondo, è \'esser mio
5) Dolce di madre, dicor: Figlinoi mio,
60) KE Virgilio mi dices: Miglinoi mio,
Con buona piotate niuta “I mle.
Ove 1'ademplon intti gli altri, è Il mio,
Moana Tleatrioe ine del Inogo mio;
Quegli cha usurpa in terra |) luogo mia,
Quando mi volel a) suon del nome mio,
lo cominciai: Voi saieto *i padre mia,
Sa’ fallo a soatomor la risa mila
K val«i gli oorhi allora al Signor mio!
Quanto sarò dinane| al Signor mio,
13
19
22
4
do
6a
50
28
16
el
117]|m Di quella nobil patria mati
bl\o A te fin, se 1 tuo matti in obblio ?
2132| Che Beatrice ecciises nell
77|p La fiamma delorando si partio
n ande dimensione altra para
mpo pspettar tacendo non i
93; DI ven na letizia, in atto = =
40) Dig ar ‘ieimo e pio.
si E cominelò: Per sessr giusto « pio
1) A lagrimar m (
81] Ed in ciò m'ha fatt'agii a sè più
42) Pram Colni cha '1 more in sè panfo,
196\ Fr lo san Virgilio; è per null'altro rio
120) Per tal difeiti, a non per altro rio,
121| Priewir gil occhi vér me di qua dal rio.
n re e
pronti sono a trapassar del
107) Notabile, com'è |l presente rin,
DA Cotal fa Landeggiar dal santo rio,
130| Piana di duolo e di tormente rio,
sa pr fra q_
- tra *l corso ,
LE] Fic nd etter Soto
ia nen *
138 & Ridendo, parvo quella che tomate
nomi mi a Jiaatrica, a qualla dio,
@0| Come nostra natora e ilo + unto.
84] Infia cha l'altro Gol nel mondo uscio.
108 A gere a pote vò sim iu palo
69| Vicino a monti de prima :
to Piegaro Verba ona ripa useio,
19| più AIA,
258] _ odia" % ato tati ile nc
| 3 eno
132'w Marie, cantando; e cantando vanio
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3423582 Bpee°G re ae
ire
u Se rol volate o vedere o udire,
DI buon persa par udire
E pol pe ti da Piccarda aye
Questo m rve risposta udire
v Similemento > a colui. che veniro
io risplenda si, che dal venire
Nel fuoco, perchè n di venire
Toschi o Lombardi, lo ne farò venira.
Vidi quattro grand ombre a noi venire:
Correndo sn per lo scoglio venire.
Apri "1 primo pensier, del eno ventre.
iri
a Ed a me disse: Tu, perch’ lo m'adiri,
1 che un'altra fata omai e adiri
Prima convien che tanto “I ciel m'aggiri
Qual ch'alla difension dentro s'aggiri.
Mortale in terra, non v
Conosce "| danno; è però non si ammiri
Di th da) qual non è a che v'aspiri,
a NT dosiri
conosceste | dubbiosi distri?
Secondo che ci alMiggon Ul disiri
Parlami, e soddisfammi a‘ miei diviri.
Ond'ella a me: Per antro | miei disiri,
Foran discordi gli postri diviri
Di veder l'alto Sol che ta dislri,
Per questo foco al ver che tu distri,
Perchè «' appantano i vostri disiri,
e E Nberato m'ha degli altri giri.
O virtà «emma, che gli empi giri
Dietro alle note degl! eterni giri.
=n - dr del nt, ue O
i rai non capere in questi giri,
Lo moto a la virtò de' santi ei ta
Dell’ alto Jome parvermi tre giri
41 E l'un dall'altro, come fri da Ir
mChe non mi laecerebbe ire a‘ martiri
Porre un wom per lo popolo a‘ martiri.
Lmogo è laggiù non tristo da martiri,
A ber lo dolce asmentio de’ martiri
Che si murò di segni è di martiri.
Tra "1 muro della terra ed | martiri
E ciò avvenia di duol senta martiri,
E cominciai: Francesca, | tnol martiri
MI diese: Quel confitto. che in miri,
E questa è la cagion di che to miri.
r E ee la ana natura ben rimiri ;
Tuo moto e toa virinte, che rimiri
m Drizzata nol verso gli alti saliri,
© eletti di Dio, eal soffriri
Invidia moors Il mantaco a'
:
SofMando nella barba co‘ sospiri
ire
DI one ammirazion: ma ora ammiro
a a quel che più Innanzi a
questi spirti che mo l'a
"Tamil quando diese a Ciro:
madre fa sopra fighuel deliro;
rf desiro
i pol lo dipartiro;
Fe
is
lo ch'ammiri;
122 07) Edella schiera tre si dipartiro
2 10 107| Nan puoi to dire: lo ho fermo 'l distro
3 4 07° E quei c'hanno a giustizia lor distro
2 18 07| che fu albergo del nostro distro;
1 19 112) DI rfodir non fui sanza disiro.
329 20 yang ov A terminar lo too disiro.
1 1 IIO|f Con sitiuni, senr' altro, ciò forniro,
122 09 | Mostrava come in rotta si faggiro
1 4 #88 g Tell aequa che cadea nell'altro giro,
1 21 30) Jo sono amore llea, giro
210 8@ £Vednio a nol venir, lasciando ‘| giro
E gli altri fin q it “py in giro.
Ai gn pagg: di el ro:
e 121 ooch! sveglia volgen n girò,
18 121 A questa voce lo infiammato giro
190. bell: ner puro infino al primo gira,
129] Ma tutti fanno bello ll ee giro,
197| L'Angel che n'avea vblii al sesto giro,
47| E,seriguardì su nel terso giro,
24] Cominelare a vedare, è fare un giro
mE che per salti fo tratto al martiro,
120 Sotto la pioggia dell'asprò martiro,
108) ©luza in Cleldauro, ed eva da martiro
0, Ed anche le reliquie dol martiro
22) E che, per la este del martiro,
74 santo, |] diserto è "1 martiro
28 Per maraviglia obliando '1 martiro.
125) E l'ungridò da lungi: A qual martino
40! Ch'ei portò gid, di —_ gaudio miro,
£0) Pensa che Pietro e Paolo, che moriro
4)P Quando tre ombre insieme «i p e
993 = Son le doo luci sole che saliro;
139 Vedi Sciro) Schiro
Se PRATICATA Fosco
; at ee |
Wa vedendo
don Ci NOI CU de dee ie I I dd I e i e ee a tt i ca ca tg ici te
ts»
8801982508
76 do la madre da Chirone a Soiro
127| Predieh Cristo, è gli altri che ‘) seguiro;
116) DI cui le Piche misere nontiro
118 Agli ecch! mial, che vinti nol noffriro !
128) E sotto ini così cerner sortiro
117 te e gini pi
‘alla, appresso d'uno pio sompi:
se Vedi oltre r l'ardente spiro
123] Vu per Onorio starno spiro
2) Wer sentir più è men }' eterno «piro.
28) «Alle mila na dirizrò lo
110! © vero sfavillar del Banto N
115) Che el facen pei suon del trino spira,
108/t Ditel sostinel; se non, l'areo tro,
76 Pià fur di ennio che, quando I adiro,
119 v Che a considerar fo più che wiro.
78 Be tes C eres eee te
Tae Onde si coronava il bel ro,
bi Dolce color d' orienta] samira,
198 irre
119/0 Onde T alo e Quinalo che
a8 m Ebher ta hast dhe volentior mirro,
26 p Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,
1108
81 iret
20|4 Un amen non saria potuto dirsi
104) f Indi rapper la ruota; ef a fuggirai
119 p Per che al Maestro parve di partiral.
30
129 irti
Ba ua A n A demone
1920! Che così fossa, è già valeva :
=a dy al — = ee
n Condocerlo a vederti ed a u
> Maestro mio, risposi, per otirti
1 Dova I la a mirto,
mu inmpla a
145» Rr' lo di vello apirto,
ALII
os ion
26/0 Come dicea, pon com misa;
29 | Credend per colpa
60) Can dla = emer dertaa,
102) Vidi gent’ Oreo; è Fay Aiwten
@ È forse sua seniencia è d'altra quien
30 p Federigo Novello, è quel da Fiea
È
EL IITTITUITIT RAMI I IIITI( (tI III LIL
Bess sarc.Efz-to Ssesuse-woamecbe-Sosbatsullotiss
[TOTO
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È. 88.
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8.Ssec2828.8
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—- = —_- [oi
uBs3g 233 83323 233 28° u2282528838223282f3
Chi è ‘n quel fooce, che vien sì diviso
Coronati venian di fiordaliso.
Veggio in Alagna entrar lo Nordaliso,
Ma ficca gli occhi per l'aer ben figo,
In nulla parte ancor fermato lio;
lo mi vols) vir lui, 0 guardail feo:
Volee a me gli cechi un'ombra, è guardò (so;
Per ch'io udia da lor un: Troppo feo.
4 Però non hanno vedere interelao
mo Etebole col fratel fu miso?
Punita fosse, t'hai in pensier miso:
p La forma general di Paradiso
Ministro, ch'è di quei di Paradiso.
La dolce sinfonia di Paradiso,
Ché non pur ne’ misi occhi è paradiso.
È così, figurando "1 Paradiso,
td epee & i=
ASA LETTA ELIA AAA PALAIA
o mo
go la Corto to co Lo h5 t3 15 (o le ici e eisicisioge siste
=i
w
ml'venni men cos com'jo moriasa:
64/4 Galegita fu "| libro è chi lo soriaso:
86| Della nostra basilica si series,
43 Né © sì lostò mal, nè 7 ni sorio,
t S'avveatd un sorponta, che “I ti
Nostro alimento, all on di lor brates
DI
4l|u Kb prima che del tutte nua a ndinne
9| Parea cha di quel bulicame useless,
79| vw Che, qual vol siete, Lal gente venisse,
54| Prima che past tewpo quanto visse,
21
69 feel
90/a La scala su, od craveme alîfiasi.
60, Perciò a figurario | piedi aftieal:
21| La bella donna nelle braccia aprimat.
®1\\4 Poi ml rivolsi al mio Maestra, è disel:
2 Worn monti ad lo x torto dined:
ischio issi
a C8 om
Della mia grazia ¢ eh go 315 sé
ischio Non è il seguire al mio cantar preciso; 332 20
£ Tutti si poran al sonar d'un fischio. 3 265 156) Ma per chiare parole, e con preciso 37 dn
mSi quistò con esso Il dolce mischio, 3 25 191/r Come vom che trova sno cammin reciso, d 23 83
r 5) come, per cessar fatica 0 rischio, 8 #6 133) O pur Jo modo usato (hal ripriso ? @ «4 136
le labbra mie uo poco a riso; a ql
iscin |, A' miei Poeti, e vidi che con riso 2 28 146
b La picclola valletta, era una bisola, 2 8 O68) Quell'altro comment esce del riso 8 10 103
1 Leceando, come bestia che sl liscia. 2 8 108] Quando leggemmo |) disiato riso 1" 6 159
s Tra l'erba e i for venia la wala striscia, 2 8 100) Cos) lo rimembrar del dolce riso 850 mo
no e
a | soo FASO +
a Fino alla fine col Agtivol d'Anchise, -910157| Coe cantando ‘i mato Tiso, S53 se
d Che pria per lunga strada ci diviso, 27 aa hi non caler, così lo santo riso asi 6
Mia mente unita in più cose divise. 510 63! p’altrul lume fregiati 6 del soo riso, B sli Ms
Ma Gregorio da lui poi si divise; 3 28 133/ Ché dentro agli cechi suoi ardeva un riso 2 16 DM
Poi quando fir da noi tanto divise 2 18 139) E cominciò, raggiandomi d' oo riso 53 717
id Trasmutabile son per tutie guisa! 8 5 88! ciò ch'io vedeva, mi sembrava na riso 9277 4
Trovai pur sei le lettere, che incise 2 12 134/%g Ché non si converria, l'ocehio sorpriso @ 1 #7
mCome nel lume di quel ciel si mise, 2 5 95) vincendo me col lume d'un s i 218 is
E sì tutto "1 mio amore in iui si mise, 310 69) y Mai non l'avrei ricosciuto al viso; 2 Rs 4
Nuovo pensier dentro da mo sl mise, 2 18 141| itaggiava in Beatrice, dal bel viso 218 17
Pol dentro al fuoco innanzi mi sì mise. 227 46) Diretro al mio parlar ten visa col viso 3 10 101
A contemplar questi ordini si mise, 3.28 191 Quinel rivalsa in vir lo cielo il viso, 3 1342
FE ee la stalla «i cambiò è rino, GOT. Tu hal l'adir mortal, sì coma "I visa, Dai ci
In questo ciel, di sò iodesno riso. 3 48 135) poscia rivolsi alla mila onda (1 visa, 010 3
Non le dispiacque; ma +i se ne rise, 910 61! Pun giunco schietto, a che gli lavi "1 vino, 2 1 09
a A che guardando Îl mio Nuttor sorrise, 2 12 130 Quella lettura, e scolo % È 1 65 131
Volemei star di qual indi sorrise, 2 27 44! Poi sila bella Donna tornai "1 viso, è 28 146
int Tu se’, così andando wolgi il wiso, LI È 1
a Di tutte le sue foglie, sono assisi 992 23 Batrova astio RETI - vee e 27 è
£ Tenendo gli occhi con fatica fied 211 77 Dial primo giorno ch' io vidi ‘1 suo viso Ss sì 2a
i fe ane ge onde une 2 già 4 e A Amor del suo tubletto ve 2 17 107
o » dissi lol, non se'tu Oderisl, i | i - =
p Ch'alluminare è chiamata in Parisi ? 211 61 Della faccia di Dio nes va vino 339 77
v Quel, ch'a Cristo venuto ebbor li viali. 332 27 isan
ima ce o e lo è ry con la menta FIGI 4 ;
@ Un diavolo è qua dietro, che n'acciama 128 87|! Ché più non si pareggia mo ed tesa,
F Rimatteodo ciascun di questa risma, 128 g9/T Lo mio pensier per la presente risma, im 668
s Seminator di scandalo è di scisma 126 3&6 inse
inni a Poco più oltre ‘1 Centauro s' affiase 1 12 115
a Chi dietro a iura, è chi ad aforismi Bll 4) Tacito corum ma ciascun # alllase, ce a
8 Quanto son altottivi sillogiami i a 11 si ogni I L e > a "i
regnar per forza 0 per sofiami, aan anche ailinse -
E chi reg pe L Mi-ericordia chiesi, e ch'e' m'aprisse: 2 0 110
Ino Poi parvo a mo che la terra 4° apriara 2 53 130
a E tra nuovi ladroni esser anciso. 90] Pur come sonnà o febbre l'aguatane. 125 90
Già s'invescava, pria che fusso anciso S2\o Pareva a me che nube no coprisse 3 8 4&1
D' impedimento giù ti fossi assiso, 140/d Sette P nella fronte mi descriase 26119
E claschedun lungo la grotta assiso. 45 Vintan now habent, altamente diaso j 213 s
Di te omai: ma dimmi, perchè asslso 124| Ridendo allora Meatrice disse: 225 568
Son jo più certo: ma già m'era avviso £0) Tal voce unì del cielo, a cotal disse: 2 32 129
Becondo mio infallibile avviso. 10] Quardo vivea più Eloriosa, disse, 2 11 153
Che la mia vista; è, quanto a mio avviso, 60! Prices la mente ln Dio grata, oll disra, os»
Credo che l'uiliral, per mio avviso, 41! ‘fusto che questo mio Signor mi diana Lia 00°
0 Ciò che l'aspetto in sò avra conquiso, 465) Lo trafitto il mirò, na sulla «dina: 1325
d Da quello odiare ogni affetto è declao, 111| Quando se’ dentro, questo piaghe, disse, a alla
Veegiolo un'alira volta esser deriso; 64! Allor mi volsi al Peeta; è quel dia; 1 23 119
Ma l'un de'cigli un colpo avéa diviso. 108; Mentre che l'uno spirto — i 6199
Rimemorar per concetto diviso. Bi! Convenne che cascando divenisse: 1 na ict
Questi, ché mai da me non fia diviso. 195|f Quasi ndamante che jo Sol ferinso s 8 so
Sotto così bel ciel, com'io diviso, 82 per la carro su la finso: 2 22 15
E perché intander noo si può diviso, 109| La vostra condizion dentro mi (me ty Daf
J 157
=
24 200
LiTr
57
a
“a
43
Cominciò gloria tatto "1 Parades,
Mutò sì, che piacque in Paradiso,
e
10 10% g HA use, ci nvidia
mo hi BO et Me oe edt
issi
——_—____ — — — ——
Dove per lol perduto a morir gieai
1 Onde convenne ch'io]
5 Quel mormorar dell'aquila salissi
Quali aspettava "1 cuore. ov'io le norissi.
Quando nel mondo gli alli versi scrissi,
mn Asperges me sl dolcemente udissl,
jo attesi un ‘io udissi
Fecesi voce quivi; e quindi uscissi
w 8' lo merital di voi mentre ch'io vissi,
fisso
n Ficoa mo l'occhio per entro l' abinno
Oèàp ration, che nell'abisso -
Perocchè 4) s'inoltra nell’ ableso
© Che fosti In terra per nol crocifisso,
E Al mio parlar direttamente fisso.
Quel serafin che in Dio più l'occhio ha fisso,
Ad asscoltarii er'io del tutto fisso,
1 Dimesso avesse, 0 che l'uom per sò isso
m È per leccar lo hio di Narcisso,
r Che per poco è che teco non mi risso.
a Che da
ni rranta vista è scisso.
n twito dall'accorger nostro scisso!
isin
n La gente con ingegno ed arie acquista.
In più di placer lo canto nequista;
D'ogni malizia, ch'odio in cielo acquista,
Pur mso al monte dietro a me arquista,
Ter letiziar lassi folgor s° nequieta
Allora udi': Se quantunque s acquista
Tutta la perfazion quivi « acquista.
E quale è quei, che volentieri acquista,
Bimilements sperando all artista,
Come all'ultimo sno clascuno artista.
Qual era tra | cantor del cielo artista.
Pura vadsasi nell'ultimo artista.
Chà la vostra avarizia il mondo attrista,
inn
at
È Da *n intel | cei net —
lega suggella » sta,
Da poter arme, tra Marte « "| Mattista,
lo fui della città che nel Hatitista
e E come a buon cantor buon citarista
O con forza, o con frode altrul contrista.
di Ma or conrien, che "1 mio seguir desista
Oechlo mortale alcun tanto non dista,
1 Che da marzo quadrante a centro lista.
De'quai cadeva al © doppia lista.
Moversi per lo raggio, coda si lista
mlnnga la barha e di pel bianco mista
Indi, tra l'altro loci mota è milsta
Non discendeva & mo per merto mista.
Ma la citiadinanra, ch'è or mista
E dimanda ne fei con prieghi mista.
® Trescando alzato 1 nmile Salmista :
Nan v'avria lungo ingegno di sofista.
t Ma «jo vedessi qui l'anima trista
1 come donna «inpettosa e trista.
L'ombra di fuor, coma la mente 4 trista.
Sempre con l'arte eva la farà trista;
Stava ad oir, turbarsi è farsi trista,
v DI vol, pastor, "accorse '1 Vangelista,
Rimane ancor di lol alenna viata;
Sillogizzar, senza aver altra vista,
Però sa "1 caldo amor la chiara vista
Per farmi chiara la mia corta vista,
Puttaneggiar eri a Ini fa vista:
Preolara cosa mi sl foca In vista,
di tanta reverenza in vista,
Lo dir dell'una, e dell'altra la vinta
Mo parchi pot ti bast! pur la vinta
» por la
Lo tomme sr' alto ché vinesa la vista,
nto 1) da Beatrice la mia vista;
"1 duca Gottifred la mia vista
In questa vita, insino n questa vista,
Veloci è tarde, rinno In Tirta,
Con la paura ch'uscia di sun vista,
DI contra affigiata, ad una vista
Iste
le braccia duo di quattro liste;
lista,
1 Fini
Tra la mérzana è le tre a tre
3 20
126
delia dada
Sure 44 hi 13
se © ae
a2
ee dd eo Td Gi i i tocca
Saga me
È Be
‘acqua inghiottissi: 2 31 102
920 26
O4/f © Noondel monte, quanto mal fagginti
121) 6 Ob! dissi Ind, per entro | luoghi ati
94) Quelaimi allor per non fargli ta, triwtl :
110) Molti sarebber lieti che son tristi,
98) w La prima wlta ch'a città vonisti.
92! Poi dimandò: Quant'è cha tu venteti
= Se tu mangi di nol: to ne vorstiati
124 isto
132) a Non per avere a sò di bene acquiato,
FcR rda omai nella faccla, che a Cristo
193) Vv do in quell'albibr halenar Cristo.
5) come dell'a ja, che Crista
sn? à ini che st entden conohbe Cristo,
a vedi, mo n: Cristo, Crista,
144) Den parve messo è famigiiar di Cristo;
22; Senta battesmo perfetto di Crista,
33| Fao al primo consiglio che Alè Cristo
70; Now nali mal chi non oredett« in Cristo,
79) Ché in quella croce lampeggiava Crista,
61) Ma chi prende sua croce è segue Crista,
56; Sala tl pot di a veder Liisto,
77|mChe ‘1 pel del capo aveano Inaleme miata.
253|a Ad mrirsisto) aubalato
dI toons, riaplendendo, dir: Sussisto;
51/t Da bocca‘) da, e dagli occhi *1 cor triato
104 | w Quand’ lo ebbi d'intorno alquanto visto,
+ Quel che lu vuoi ndir; perch’ lo l'ho visto
a Istrana
143 | m Viene a veder in gente che ministra
149) Già vr lo fonda, dove la ministra
24)r Punlece | falaator che qui registra.
21) Che di nacessità si '
74/8 In su la rponda carro sinistra,
42| Del iuogo scoglio, pur da man sinistra;
30
115! lin
D4 n Pongone il ed esso lo m'addita.
40) Se orartone in prima non m'aita,
TA| Se buona orazion lui non sita,
49| La santa voglia d'esto archimandrita.
75! Verché ha tanta discoritia nanalita.
mQuando n'apparver doo figure miste
Confosione « paura insieme mise
E blanche l'altre di vermiglio miste.
t Rispondi a me; che le memoria triste
w Tanto salivan che non eran viste;
Al quale Intender for mestler le viste.
Divenner membra che non for mai vista,
inti
a Ancor che l'altra sì andando nequisti.
Abl dura terra, perchè non l'apristi ?
65/4 L'ombra sua torna, ch'ara dipartita.
1
4
1
8
l
fi
a
si
80 76 Se prima fo la possa In ta finita
10 69) A quella terra, che n'è ben fornita:
o Tag Fa si vi : Fn frate Gomita,
13 145) Nel mondo su dovrebbe esser gradita.
14 TI Ta ee paste vii ala,
4 197 Ma parshe 2 tanto è più eradita
19 147 per "apra ”
24 677)! fece Pelo de ana ‘invita.
18 To) Mi pesa si, che a lagrimar m' invita:
20 140| Ma per sò siee pur fu inbandita
nS 'SBli Bret cute: fa prozia = taret ta
1 39| Come fo la venuta a lol largita
14 72 mV, margherina) ta
20 78! Quanto più cha Nea ® Margherita,
11 $0) Ver entro vò l'eterna margherita
4 40) ER dentro alla presenta ma ta
dI 76 © In quella tela ch'io le porsi ordita.
18 47|/pLi cittadin della cità ta:
20 90) Fino a quel punto minora è ta
14 119) Or ch'avariria fu
1 68 CM fa colui, da col mala partita
10 67| lucida.» solida, è pulita,
Migliaia di lunari hanno punita.
Or, came vedi, qui ne son
126 79 r DI seconda corona ta
9209110 Poscia non ala di qua vostra redita:
=
195 71
231 13
2 20 114
291 11
2 se 112
2531 15
1265 75
2 8 eo
133 66
3 16 140
2 e do
199 64
210 143
5 10 144
2 6 bdo
133 62
920 19
3392 65
9 14 108
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9 18 108
3 10 106
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338 63
312 78
3 10 104
5 14 104
9 14 100
333 87
1082 42
3 co 10
122 368
1am 40
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330 bo
i 29 65
129 67
230 69
250 61
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("1") -
Ssiseeeissses
Sx2832:23528 $
ita
Del buon dolor ch'a Dio ne rimarita,
Mantova... E l'ombra, tutta in sò romita.
a Quando di carne a spirto era salita,
Prendere ‘| monte a più lieve salita.
Della celestial c'ha mon salita,
Che ne mostrasse la miglior anlita;
LV. isbemitito 37 Vi) sbandita
qual sanza operar non 4 sontitaà,
Che la diritta via cra smarrita.
Come gente di subito smarrita.
La vostra region mi fu sortita.
Qui si mostraro non perchè sortita
Poi che tacendo si mostrò spedita
t L'altro ch'appresso ma l'arena tri
E disse: Quando \'una paglia è trita,
m L'altra che val, che in ciel non è udita ?
Intauto voce fu por mo udita :
E come fu la mla risposta udita,
Questa natura al suo Fattore unita,
E da materia, ed è con lei unita,
Raggio di luce, permanendo unita,
Dalla bontà del cuore ond'è uscita;
Questi ha ne'rami suoi migliore uscita.
w Dice leaia, che ciascuna vestita
Esser, ch'io fussi avaro in l'altra vita,
O che indurasse, vi puote aver vita,
Ma di nostro paese o della vita
Pria che si penta, l'orlo della vila,
E differentemente han dolce vita,
la sua tarra è questa dolce vita,
Di fuor da essa, quanto fece in vita,
Riparar l'uomo a sua intera vita,
Nel qual mutasti mondo a miglior vita
Poscia la luce, in che mirabil vita
Metro a costui, la cul mirabil vita
Quegli ch'è padre d'ogni mortal vita,
Di mia seconda etaide è motal vita,
Nel mezzo del cammin di nostra vila
Così diversi scanni in nostra vila,
Come per verdì fronda in pianta vita.
Venni stamane, 6 sono in prima vita,
Nè più salir poteasi in quella vita;
Vedete il ro della samplice vita
Da via di verità e da sua vita,
Guidoguerra ebbe nome, ed in sua vita
Poscia che s'infutura la tua vita
Che di lor suona su nella tua vita,
s Ecc'un degli anzian di Santa Zita:
ite
A Vendica te di quelle braccia ardite
da E'appressa la città, c'ha nome Dita,
1 Del cul nome fra | Dei fo tanta lite,
mEd io: Maestro, già le sue meschite
E "1 signor mi parea benigno è mite
u Vermiglio, come sé di fuoco uscite
f Che da sinistra n'eravam feriti.
i Alla monia d'amor cortesi inviti.
Jo lo seguiva, è poco eravam iti,
Tanto di Là eravam ool già iti,
1 Gli cochi prima drizzai a' bassi Miti;
Tornate a riveder li vostri Lith;
@ VOiti a levante, ond‘ eravam saliti,
Desiderosl d'ascoltar, seguiti
E verso noi volar faron sentiti,
Perdendo me, rimarresto smarriti.
Tosto così, com' si furo spariti:
u Che per parlar saremmo appena uditi,
ilo
a Lul che di poco star m'avea ammonito,
Seguendo come bestia l'appetito.
Ch'asser ti fece contra Carlo ardito,
Corio, ch'a dicer fa così ardito!
E diese a ma: Or ail forte ed ardito,
E disal: Va', ch'i' son forte sd ardito.
E mi ricorda ch'io fo" pid ardito
o Sarebbe al tuo furor dolor compito.
d E coma "l baratiier fo diaparito,
8'io fui del primo dubbio dAravestio
Ombre mostroinmi, a nomino a Ala,
co Oh =
23 81; Ci al ponde dall"anallo al dito.
6 72 oe 6 minacciar forte col dito,
30 127| Quando diretro a d “1 dito,
108| Ed ora attendi qui: è drirzò ‘1 dito.
39; E "1 buon Sord in terra "1 dilo
08|@ Nostro peocato fu erma lito;
f ln Cesare, allormanido che ‘| fornito
1 bi I.evaimi allor, mostrandoul fornito
BetorbSusnptaosabocsboro i de ba
cwebo durate
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1 LL Lea
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69 a Mugghiava con la voce dell" affli
Quando ha paura, o quando egli è affilità
E E fa con lui sovra ‘| fosso ghormito.
i Nella diserta piaggia è impedito
Salir di notte, fora egli
Tu eri allor sì del tutto to
L'aspetto mio col Valore infinito.
Volando, dietro gli tenne, invaghito
Fino a costui si stette senza in 1%
Dentro ad un nuovo più ful pra ;
‘1 Folle d' Ulisse, e di qua
mQuesta, privata del primo marito,
p Non basta da costoro partito
Che non g io là. sin fa |
Com'lo dal loro rdo ful partito,
Non varcheresti dopo pa i
Però ti stà‘, chè tu se' ben punito;
La tua su la, se' tu più punito:
mio ch'era salito
(Yh quanto mi pareva sbigottito,
Tale era lo, e tale era sentito
Casual punto non puote aver sito,
E più wi fora discoverto il alto
de Pri per ina ata _
a folgore fug 4 prio sito,
O setlenttonal vedovo dito
Fietà mi vinsa, e fui quasi amarrito.
Del vivo raggio, ch'io sarei smarrito,
E temo che non sla già al smarrito,
Mi disse: Perchè sol tu sì smarrito 1
Ore od a lo, quando fu sortito
Là, onde ‘1 Carro già era sparito;
Ché per eteron legge è stabilito
u La inente tua conservi quel ch' udito
Per quel ch'io ho di lui nel cielo udita,
Poscla ch'i' ebbi ll mio Dottere ndllo
Tanto, ch'lo non l'avea si forte udito;
Rimproverando a sè, com'hal udita,
Di cl‘ ch'avera lacoatro a sè hdllo,
Kt coram patre le sl face unito,
itrio
a Libero, dritto, sano è luo avvia,
mPer ch'io le sopra è le coronò « mitrio
itta
d DI sua circonferenza, è derelitta,
Per carità ne consola e ne di
onavan di me ivi a man dritta;
La sua famiglia, che sl mosse i
Ella ridea dall'altra riva dritia,
Lo qual trasse Fotin della via dritta.
27
91|f E disse l'uno: O anima, che fitta
Che quel dinani a quel -
@ Del puzzo, che "| profondo abinao gitta,
r diretro a:
Che l'alta terra sanra same
8 D'un grande avello, ov'io vidlunt scritts
N t Sotto le ciglia a Venere trafitta
lito
d Com’ avesse
Col pianto di col
Maestro mio, diss’ io q
la
Uv'è la ghiacciai @ q 4
I’ avea già "1 mio viso nel suo Mito;
cli sia
r Volsimi alla sinistra col rispitto
Ed ei gridò: Se’ tu già cost) ritto,
DOL @A & Bon ba con speranza, com'è soritto
1B & Th ane een a ee =
Oe ee ee CEI EI III TI
itto
(Se O n I Ci O e n nr et
edi PSA PRA SIA PORPORA LA Job eae LL IAA LIL
E m.ensetsestsiare. 00. fa2sr3.neooneateusatcanet.e3
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Come letizia per pupilla
Ed allor fu la m
Possibile a salir
fatto Il Sol tragitto ? 1 94 105
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DHE dndksabicbodas Ti piieaiazissaliia Das abibiasta issdbste SMETTE.
© Di più sapere angosciosa carizia;
d Lo minimo tentar di sua delizia.
Ond'ei, ch'avea lacciuoli a gran divizia,
E s'io avessi in dir tanta divizia,
è divizia) dovizia
& Per cui laggiù si visita Galizia.
Libero arb giustizia,
Dell'alto Sire, infallibil giustizia,
Mi dimostraron, che nostra giustizia
Parere inziusta la nostra giustizia
Chea ta vedrai all'ultima giustizia
Quincei addolcisce la viva giustizia
Per colpa del pastor, vostra giustizia.
i Lo elelo i vostri movimenti inizia:
Per ch'io prego la Mente, In che s'inizia
Ov'ogni ben al termina 6 s'iniria,
Pensa, lettor, so quel che ol s'inizia
trio, è non fora
1 Peroech’ lo credo, che L'alla letizia
Ritere una bellezza. che Jelizia
Amor di vero ben pien di letizia,
E la mia lDanna piena di betisia
Vedeasi l'ombra piena di letizia
La monte wia, cho di sé fa letizia
Col merto, è parte di nostra letizia,
m Lume v'è dato a bene ed a malizia,
Quando fa l'aer sì pien di maljrta,
Crollando il capo; è disse: Odi malizia
Ha men velen; sua malizia
go vederal l'una e l'alta milizia
el mi cinso della sua milizia,
IMscese, avria mestier di tal mllizia
m Torcer piamimal ad alcuna nequizia.
Dietro gli andal incontro a'la neyulria
Di fede, e non d'eretica nequizia.
p DI quella schiera, ond'uscì la primizia
Ditemi dunque, cara mia priminia,
Cha ui segnaro in vostra puerizia.
t Quando ro a" miei maggior tristizia,
Non credo ch'a veder maggior tristizia
v Ond'esce "1 fumo che ‘i tuo raggio vizia;
izie
Avrei quelle inefaldli delizie
Tele -1-511T51*114451-12181 -1*1-434=1+121-1>1*+1*131=1ISSI AM RT
oecia
bi
140) Taccia Lucano omai, là dove iocca
83| Là, dove l'uopo di putrir non tocca?
123) E con wen l'asta il segno tocca;
Li]
B
6
15 142| Della Capra del ciel coi Sol ei tocca;
4 Ga) Se tu non latrit qual diavoli U tocca)
265 14| Di questa dig che non ti tocca,
26 A Quavd'ira o altra passion U tecca.
i
Pi PPP i ion i
20 sale a ed aspre è occe,
18 120|r Sovra "l qual pontao tutte l'altre rocce, 1 3
ocche
— ea —
| obo
5 111, a E quel consiglio inigliore approbo 232815
sl 198 |& Le netto spero, 0 vidi questo ossia
= p Chiamar si puote veramente probo. 3 23 159
L1 o TÀ
26 18'a Acuto dì, cho Il ch'egli affuoca, sas 17
16 71|0 Comme stella con siella si collòca. 2986 sl
23 Allie stella par quinci più poca, Ss se 10
4 67 ocean
30 45)b MI pinsero un tal si foor della boeca, 231 14
6 121! Ma‘) popol tuo l'ha in sommo della bocca. 2 © 102
15 144} Cominciò a gridar la fera 131 @
16 73) Quando seb aoepertn 10, 23 n
18 118) Ancor giù tornerai, la | a 37 00
8 867) Allor sicuramente i la bocca, a 26 4
5 100] J. un per la , ® l'altro per la bocca 125
8 66, Quando un altro gridò: Cho hal tu, Meceat 1 33 100
31 191 ¢ È tratti glien'avea più d'una ciocca, 1 20 04
90 41) Si dilegod, come da cocca, 1 17 10960
26 16 Chiron prese ono strale, e con la coca 213 TT
n 107(1 Si come di vapor grlath tlocea 337 e
16 so rd pid a pie deva malata anse: 1 17 104
6 119'% K "l Duca mio vèr lui: Anima eclocea, 15ì 70
16 76| Lo dolce Padre mio, ma disse: Scocca 225 17
23 #€0| Come baleatro frange, a 25) le
22 107| Ed attenda ad udir quel ch'or si scocca. 195 06
4 65 Molti bas giustizia la cori sa Sands snogna, 2a 6150
30 43;t Cho quel di retro muove ciò che tocca? 119 6
ius sa
220 n
in e
1 32 106
2 ole
13 7
di
Hei
7
E distoso ancora a più Jetizie,
Mentr'io m'nndava tra ante primizio
fale
f Seguentemente intesi: O buon Fabrizio,
A dir: Colui non par corpo fittizio.
€ Vanno a vicenda ciascuna al giudizio;
i Ma ee tu sai e puoi, aleuno indizio
Parer la flamma, e pure a tanto indizio
Questa fu la caglon che diede inizio
Là dove "1 Purgatorio ha dritto Inizio.
o La meéretrice, che mai dall'ospizio
O to, che vieni al Aoloroso ospizio,
Quanto veder si può per quell’ ospizio.
n Lasciando l'atto di cotanto ufizio,
Feda portai al glorioso vizio,
w Che gran ricchezza eder con vizio,
Morte comune, e delle corti virio,
Virtà mon si vestiro, è senza vizio
izzo
a Dicendo: lesa ten va', più non t'adizzo:
d Udimmo dire: O tu, a coi lo drizzo
& Su per la punta, dandole quel guizzo
E, se pensassi com'al vostro guirro
t Si consumò al consumar il'un tigzo,
w Ciò che par duro ti parrebbe viszo.
uv
© Tosto che l'acqua a correr mele co,
1 Ma com'albero in nave n lewd.
p Fino a Governo, dove cade in Po.
Luelfero con Giuda, cl ponò;
a
1
1
Giò che ‘n grembo a llanaco siar non può, 1 20 74 4 De -
ote tel
a Ch'io disal: O Kiba cho si gii addobbil 314
214 sa
e L'ardor del saprificio, ch'io conobbi
r Ché con tanto lucare è tanto robb
Seber hee SEEK bb
1
127 1
“| E U dee ricordar, se ben l'ad
+ 25/6 È cedral cho vt l'ombra di Capocetite,
o
2 26
=~ Uontra | Bancel, a-uzia vir me
ocela
120 Ta|ja Quando ella più verso le pale
131 145| Ma ficca gil occhi a valle; ATTRA
1 20 78) Dall'altra parte in foor ti
1 31 1490 loininciò Finto colla voce 3
20 201 Or vo" che tu sia canter, ina AREE Ta
20 338 E quegli a me: O creature sciocche, 7
29 311 t Questa Fortuna, di che to wi toeehe, HI da
occhi
20 25/2 E rispondean: SÌ, fa' che accoochi. 1 21 107
20 12. Quandunque nel suo giro ben s'adocchi, 3 sò la
5 14/0 ch'io ri ne' begli occhi, 338 3
7 87) Vidi sì torta, che "l pianto degli occhi 7
a 8), Hue, tolo Duca, e no freee gii uni è SI 8
rte angea, un de'r
7 30 a Mi disse: Ancorse' to \ altri sciocchi ? 1 20 bs
19 64\t E com'io mi rivolsi, € one so
ui 1° Ei chinavan gli raffì, e: Vuoi ch'io "1 tocetd 121 100
2 18) orchia
2 a O dolce Signor mio, dis'io, adocebla
20 27, Però ch'al nostro mondo non adocchia: ssi
13 66 o Non gli avéa tratta ancor la conoochia, 221
7 36|g Sedeva ed abbracciava le gin 2 4
© l'anima sua, chee tua € mia sirocchia, dè
Che se pigrizia fosse sua sirocchia. 2 «
1° occhio
4r corso in
Î
uesia valle
| nega
sen van gli q
du Chè la gente, cha fase
Wann Ve che
AIA BA w Qual che yr Vdaton a
i
i
SSUSBS.8ce 338 2,
sttet..se EEE FnSesî
A i
occia
pere pe confortarmi: Non ti noccia
r L spaliti per lungo la rocela,
n «i diede alla pendente roccia,
XK. n ti torrà lo scender questa roccia.
Ed in quel punto questa vecchia roccia
orc o
m Copre la noite «ol piè Marrocco,
t E dieoa: ri, cet | od ch'è tocco
oce
© Però mira ne' corni della croce:
Sovra colui ch'era disteso In croce
Ed lo, che posto son con loro in |
Quest è colel, che tanto è posta in croce
Nell'Arno è selolso al mis to la crocs
Ella con Cristo salse in au la croce.
1 regno lor di santa croce;
Pol fece ‘
Non dowel tu | fieliuoi porre a tal croce.
f - pan oe) parta l'anima feroce
Il prun mostrarsi rigido a faroce,
Né valeo aaner costante nò feroce,
Salle men destra giace alcuna foco,
Perire alfine all'entrar della foce.
K
Necessità la fa emer veloce;
Cha fa in nube il suo fuoco reloca.
Var lo fuma real tanto veloco
Ed ei sen gio, come venna, velore,
Ché so 1 conte Ugnlino avea voce
rized a'frati coral voce:
Si converti quel vento in cotal voce:
E Teggh'aio Aldobrandi, la cui roce
Che venissero al ciel, fir di gran voce,
Dandole bioeme a torto s mala voce.
Con Amiciate, nl suon della sua voce,
Cantavan totil insieme ad una voce
oche
f Or. so le mie parole non son fioche,
p K etringonsi «1 tor; ma son sì poche,
alla mento rivoche,
r Ba ciò ch'ho d
pei
5%
e
Î Sen e laggiù lamenti feroci
“alvola thee fa'ianio ferori,
tla m'apparve da‘ colll alle fool:
lo, più lieve che per l'altro foc,
pe a' mortali diverse foci
Abi quanto son diverso quelle foci
re
v randi quante son veloce,
son . ®
Segulva In “a gli Spirili veloel :
oe diretro a n L = voci
i di
Detto Paton head, a le soe veci
LL]
o
£ O quanto è corto II dire, è come fiocco
Cora" to divenni allor gelato è
Chi lungo esi parea fiocco.
Iroca es
ma ra #s0 Infino al Tuoco.
[ali
-_ =e
ee ee ee nd ed
tubetto ù
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tro cerchi gionge con tre croel,
=
"
Cesottozzue ©
Se Ret ttt woe Se
=
0832135855300 wpeee PAS PAR
=
(i tm Co n ca ca CI i ube dici
E tra ffate venne questo fuoco
Discorre ad ora ad or subito fuoco,
E credendo s' accese in tanto fuoco
Tal mi fee'lo a quell'ultimo fuoco,
O sol, che siete duo dentro ad un fuoco,
IM qua dal sommo, quand" lo vidi un fuoco,
EV. ginoce) gioco
Ver è ch'io lalui, parlando a giuoco:
E pol ch'al tutto sl senti a ginoco,
Da veg che corre il vostro annual giuoco.
Canmblà onesto riso e "1 dolce ginoco.
Delle magiche frode seppe il giuoco.
Che lo sa ye omai no parrà giusce.
Fu degna di venire a questo giuoco.
Qual è quell'angel, che con lanto giuoco
Il nome del bel for, ch' lo sempre Invoco
ithtorno a dichiarare in sicun loco,
L'alta mia tragidia in alenn loco;
Desiderate vol più alto loco
Pur qui uso, a forse d'altro loco
Mentre ch'io ruinava in basso ang ok
Quando r'accorser ch'io non dava
Allo nostre virtt, mere’ del loco
Come la navicella esce di loco
Ma poiché l'altre vergini dier loco
l.'esser quaggiù, 1 + |
Ove parve al mia Duca tempo è loco,
Pn che siamo sperti d'ento loco,
=
Su teaaltaat! per largirmi loco
Volché la cartA el natio leew
till antieti mel ed lo nacqui mel loon
Che noteranno molto in pario loco,
th'orrevol pento pomedea uel loco
Fece l'urm buono, è "1 bea di questo loco
Piacciati di ristaro in questo loco
Lo Duca mio dicea: Per questo loco
Totendo ritornaie al santo loon.
E, quisiata ciercuna io sao loco,
E pare stella che iramati tora,
ci
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Truova le volpi sì piene di froda,
Quel di Gallura, vasel d'ogni froda,
@ Ché solo Il suo Fattor tutta la goda.
DI tal disio converrà che tu goda.
1 E fo’ lor sì, che clascon se ne loda:
Fosse conchiuso tutto in una loda,
m'Tutti gridaron: Vada Malacoda;
o Né lascerò di dir: perch'altrei moda:
Traggasi avanti uno di voi ché in'oda,
p IN’ che facesti per vonire a proda 7?
Ed accennolle cha venisse a proda,
Ed egli a me: Avanti che la proda
Ed ecco ad un, ch'era da nostra proda,
t La bellezza ch'io vidi si trasmoda
e S'alcuna parte in te di pace gode,
Volve sua spera, e heata si gode.
Con ne disse; e però che si godo
Per vedere ogni ben dentro vi gode
1 Bea m'accors lo ch'ell'era d'alte lode,
Pur da color, cho le dovrian dar lode,
DI luce io luce, dietro alla mia loda,
Spiriti per lo monte render lode
mS'accugliea per la croce una melode,
© Fa manifesto a chi dj lei ben odo.
Com'a colul che non intende a) ode.
Ma ella s'è beata, e ciò non ode:
p Cerca, misera, iutorno dalle prode
Noo saprel dir quant'e' mi fece prode.
r Li viri tool, è l'un l'altro sl rode
quali
o Prima che la mattia di Casalodi,
La tua magnificenza in mo custodi,
d Piacento a te dal corpo «1 disnodi,
f La verità nulla menogna frodi.
E Ma perché ili tol wista tu non godi,
ml'ol Viorenza rinnova gonti e modi.
Mer tutta quelle via, por tutt'i mori,
© Apri gli orecchi al mio annunzio, ed odi,
Però t'assenno che, se tu ma) odi
& Dicendo questo, mi sento ch'io godo,
1 Che visser senza infamia è senza lodo.
min porpora vestite dietro al modo
E nel presente tenete altro modo,
lo noo sò chi tu sie, of ché modo
Ed egli a me: Questo misero modo
Labia mea, Domine, per modo
Amore spira, noto, od a quel modo
Cho mordendo correvan al ipod pido,
A nostra redenzion pur questo rudo
Tutti conflatl insiemo per tal molo,
E l'esemplare non vance d'un modo;
Una parola in tutte era ed uo modo,
O frate, jera vegg'io, diss'egli, il nodo
Forse di lor dover solvendo "I nodo,
Ei d'iracondia van solvendo "I nodo.
Appresso tutto ‘) pertrattato nodo,
Prega‘io lui, solvetemi quel nodo,
La forma universal di questo nodo
l'una giunse a Uapocchio, ed in sal nodo
Se li tuoi diti non sono a nudo
Di pensiero in pensier dentro ad un nodo,
© E" par che voi veggiate, se ben odo,
Tu dici: Ben discerno ciò ch' i" odo:
Quei sono epirti, Maestro, ch'|'odot
DI qua dal dolce ail nuovo ch'l'ado
Iile-j: Maestro, cha è quel ch'l'odal
O dolce Padre, che è quel ch'l'oda?
MI sembri veramente quand’ jo t'odo.
r Cho frutti infamia al traditor ch'io rodo,
& Ma pari in atts ed onestato e sodo,
Tanto per non tentare è fatto solo.
Grattar gli fece il ventre al fondo «odo.
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p Con le bellezze d'ogni una paroflin,
e Per che si purga © ul risolve ra rotta,
‘emisperio dell'aere, quando sofia
Gee ie fi e
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55 Ché voler ciò udire è bassa voglia.
15| (he mal non emple Is bramess voglia.
24| Per li tre gradi su di veglia
133) che grazia partoriace è buona voglia;
95) Viuse paura la la buona
1) Quelle sustanzio che, por vaglia
28) ‘Tenersi dentro alla divina va
58; A cul wi volsi, conobli la varia
63) Perlo coger che fuso Me pei voetia ;
97! Perchè mi parli, To vedi mia 3
‘65; E quel, pensando ch'io “i feasl soglia
22) DI Tar lo mole; è questa prima voglia
657) Perché ricalcitrata a queila he
sì Che divina glustuzla con tal |
12| oglie
Bla E l'altra, Îl cul csmune ancor «'acsoglia
135|¢ Tosto che sale dove "| freddo ll coglie.
= coglie,
oglie
— 63 —
n cen
21|0 Siede la fortunata Callaro siz BS
67 A Tieni cal corso, © son qual © GASComnE 131 n
64! Ch'era sicaro "l erno e la doga; 2 18 108
17) E vedi lui che "1 gran petto tu doga. 131 TS
70|f Si rompo del montar l'andita foga, a 10103
65, Vietro alle quali, per la lunga foga, a ia bo
74/8 Coreat! al cullo e troverai la soga am 73
B0| Dove «loda la chiesa, che soggioga ® la 103
5| ln che soggiace il leone è sogg sla sm
07 tf E Wi ha, perchè ‘tal foggia? 111 n
f Ese non gli | sono a tal i
da » Che menaoi venta ¢ cha balte in Sion. Tai n
r Perchè non dentro della cità roggia ill n
so a Chè aveva tame dif msl ee ie 26 18
Ia Gast)" vies wile Ieee a paecaian ae ia
194, r Lo Sol, che dietro lammeggiava roggio, U 9 10
02
122 cogli
7]|r Infloo al pozzo, che | tronca e raccogli. 1 18
199 8 Così da imo della roccia scogli 1 16
126). E come a tal fortezze dai lor sogli 1 da
“oa ostin A
a Se più avvien che fortuna l'accogl
95 Motti son gli animali, a cui a 100
ag b Tal volta ua animal coverto voglia o7
d Che notturno ariete non dispogl it
Tanto, ché tardi tutta sl di» di
os] E che più volte v'ha cresciuta doglia ? se
gu Verrà, ché la farà morir di doglia. |
go) Pol cominelai; Non dispetto, ma daglia
vol Fi dieser: l'adro, assai ci Na ion pi Pa el
140) Mi dA di planger mo non rimor dela, bd
144| (0 fu bivave al cantor, cho vg a sì
80 Ea lo ché sun giaciuto a questa of o
14g), Men è che senza termine si doglia 10
97(Î Vo per la rosa già di foglia in foglia.
E frutta sempre, e mal non perde
€ L'altro teruaro, cho così germoglia
ih Com'allo re che in suo voler ne ne
131) Però mi di', per Dio, che dd vi è oes HI
Puoi tu veder così di soglia in sog
10) Sì che, come noi siam di soglia in
34) L'angel di Dio, sedendo ln su la cogil,
11| KE deil' assenso de' tener la lia.
53 Libera volontà d ruiglior la
20) cominciò agli in sa l'orribil soglia,
57) KK cominciò: ln questa quinta soglia
89 Queste misero
,o tunes |
56) Eternalmente. quell'amar el »
20 w Ché mal può dir chi è pieo d'atira voglia.
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Sì rade volle, Padre, se we x
30/4 Quand' Eolo Scirocco fuor dinscioglia,
Con quella, ché sentio di
Quando per dilettanze ovver per doglia.”
B4a\f DM pn 5 rosa nell’ estrema fee’
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Come & socom Yh Va
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E coronarmi allor di quelle foglia, 9 1 20 | Ove Ileatrice rtava volta a nol.
L'Arple, pascendo pol delle sue foglie, 113101) D'un quarto lume, ch'io vidi con nol.
r Loro accennando, tutta la mascog ie; 1 3110 ad essa non polem da noi,
E se l'inflmo grado in sà CD] 9 30 115) Si fatta, ch'assai credo che lor ofl
Ben sal come nell'asre si lle 2 6 100] Udi gridar: Maria, ‘ra per noi
L'anima bene nd essa si raccoglie, 2 4 3 lo SEA See
è sempre quivi sl raccoglie, 2 2104 Quindi parliamo, © quindi ridiam nol,
Tal, qual di ramo in ramo ni raccoglie 2 28 10) Come la scala tutta sotto noi
V. raccoglie) ricoglio E tre spiriti venner sotto nol
specchiarsi in più di mille soglie, 330 119| D'anime che movieno i più vir nol,
Che dell'anella fe’ al alte spoglie, 1 28 11| the rifletteva | rage! «1 vér noi
Come l'altre verrem per nostre spoglie. 1 18 109] Indi si mosse un lume verso nol
Rende alla terra tutte le sue spoglie; 1 8114) Guardate che "l venir su non vi nél.
t Per una lagrimetta che ‘l mi toglie; 2 8107! Esser potrà ch'al veder non vi nil.
Ché non è giusto aver elò ch'uom vi toglie. 1 19 1006|p Che l'uno andasse al prima è l'altro al poi:
Ed lo: Sa nuova legge non ti toglie 2 206|] Così nacque da quello un altro pol,
w Che mi solea quetar tutta mie voglio, 2 2105) E, se rimane, dite come, poi
(Colpa e vergogna dell’ umane voglie), 3 1 30) Così cantando cominelaro; è pol
Vitiima fe’ di Curradino; e poi
oglio Allcr sofMò lo tronco forte, è
£ Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio 2912 121| L'anime a Dio, quiv'entra’io, a pol
1 Della mala coltura, quando © logli 912110) Ed intendemmo pure ad essi pol.
Coma quando ctgiiinde biada o loglio, 2 2124 ‘on omiltata, obbediendo > pol,
© Quel’, senta mostrar l'usato orgoglio, 2 2120 t'ombra; e quindi organa pol
Ff Allor mi dolsi, ed ora wi ridoglio, 120 19) Dell'esser su, ch'ad ogni passo pol
8 Tra le scheggia e tra' rocchi dello scoglio, 1 20 17) Sonava (anna +), che wnque J
Correte al monte a apogliarvi lo rcogilo 2 2122] Onde, me' che dinanzi, vid :
U' bbe: 1° mi son quel ch'io soglio. # 12 123] Per compassion «di quel ch’! vidi pa:
E "ingegno affreno ch' lo non soglio, 1 26 21| Abeor ti prego, Regina, che puo
EA io ridendo, wo pensar lo
ogna i 5, se tu ricordar noo ta na pool,
n Sì ché quel ch'è, come non fosse, agogna; 1 30 198) Se tu da te medesmo aver
Ma por la vista che non mono agogna. 2 19 66) Dell'eterno consiglio, quanti puoi
DI quel che Prato, non ch'altri t'agogna. 196 è©| Che per io mente aver son de
© Poi dime: Mal contava la bisogna 1 29 140| In questi nocchi; a dinne, ss tu pool
Stanno a‘ perdoni a chieder lor bisogna, 2 19 egli Ed jo: Maceiro mio, fa’, se tu 4
eng DA aT i ie ain AA ina.
non nod, non h ll 23 veder, gil a auol.
Da nuovo ohbiette, e non bi 9 20 fso| Venuto a mano i avversari amoi,
Ché veramente provreder bisogua 3 8 Toi phe Teatrice col “anol,
E "1 frate: Jo udi* già dire n Bologna 1 23 142 farclano gli nomini de‘ enol,
© L'avara povertà di Catalogna D 8 77] Per far condscer meglio a sò a | mot,
Mettendo | denti la nota di clcogna. 19? pei Jn me fecò Virgilio gii osehl eno!
x Pont s Normandia prese è Gnascogna. 2 20 @9| Nel qual, ss in avers! | prioghi mol,
mL) cominciò con foria e coo menzogna 290 64| El'un nell'altro aver li sunì,
Sempre a quel ver, ch'a faccia di menzogna, 116 124| Non potea I como ne termini moi
Ch'egli è , ® padre di menzogna. 1 95 144 lascià Cristo de’ vicari suòl
Ma nondimen, rimossa ogni menzogna, 3 17 127|t Come del suo voler gil angeli tuoi
D Cartes più di carco son ti pogna. 3 8 B81) Lumach'è dentro aguereran li tual
Perché la altrui pietà tosto sì pogna, 2 13 @4| Teva diss'io al Maestro, gii scchi nol:
Così a sò 4 noi buona ramogna 2 11 25) i sna mortalità co'prieghi tool,
Den v'en tre vecchi ancora. in eni rampogna 2 10 121|v Prevementa sarà risposto a voi
Che Dio a miglior vita li ripogna: 3 10 139 sustanria, rimarrà con val
E lascia pur grattar dov'è la rogna. 83 17 120) Ch'io strantare) me giammai da vol
peste ped peri gli onlus i cagna. $ 05 29) fa non o : sinte volt
ate è qual suo dan 1 30 196) Ditel costinci: che voleste vol!
Ci} ch'io attendo; e che "1 tuo pensier sogna 1 16 192
Col muro fuor dell nequa, quando sogna 132 32 ola
Sì che laggiò non dormendo si n 3 20 pale pugno r erola,
Ma, sé presso al mattin, Il ver si sogna, 1206 7] Ineo le è in tu la nuove euola,
Slmile a quel che tal volta «| sogna, 2 11 27/€ Di questa | e cara gioia
vw O della propria, o dell'altroi vergogna, 3 17 125) Che i
Livide insin là dove appar versogna 132 24| Li rant! cerchi mostrir nuova gioia
Ed ella a me: Da tema s da vergogna 233 all (A Ì @ cagion di tutta giolat
Però che senza colpa fn vergogna: 1 16 126|ml fuma rimase, a, pela che muoia,
Al sangue mio non tolse la vergogna, 2 so oo j ori yt os
Per qualunque lasciasse, per vergogna 2 10 119|m F l'un di bor, che «i a nola
Ma nell'uno è più colpa e più vergogna = 29 S4| La cagion di mia sorta, è non mi nola;
Volsimi verso lui con vergogna, 130 194) Mata, ritorni a tanta nola!
Tuol cittadini, onde mi vien vergogna, 136 ajpla refr dell eterna plola.
Onda U yvonne! Mel ia: pd i
one è L'atirà è I faleo Siew provo rola:
& DI port, coma lmoi che vanno a piowo, 4 12 1] Wigtiwel W Aneties, che venne da Trota,
Pp Fin che ‘1 sofferse 1) dolco Pedagogo. 213 3 ota
ot © Lo enor chs “n sul T ancer sì edla,
@ Sl come di Latdo hessti ancol ; 989 96) Giunio all'umoer che rite cola,
Tempo vegg'io, non molto dopo aneol 2 20 70 @ Tratto m'avea nel flome lafino a
Non credo che per terra vada ancol 219 #2 pe Be yan Ny By oT
@ Al tuo placer saree Gi ne Wi giof. 3 6 53) Ond'lo fui tratto fuer mia
eens uo la Iluola di Ming 213 14) (Costui par vivo all'atto della È
4 qual innanzi che ta muol. 9 29 16) = er ia dannosa colpa
m Indi x) fossa l'un più presso a noi, d 68 31) lumammo, udendo colpe cola,
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3 | 82 ak esudaat | b22a8us sidéia datatiiscassia 488 È 5 LL ipialili fa
olle
f Odi se ful, com'i'ti dico, folle.
Non per ambage, in che la gente folle
Cha fa lo Scotto e l'Inghilesa folle
Ob cleca copidigin, oh ira folle.
Che fa il cuor de' monaci si folle.
Temo che la venuta non sia folle:
fo non so s'io mi foi qui tro folle,
1 E nell'eterna pol sì mal c'immolle!
mNe' Maccabei: è come a quel fo molle
Vedrassi la Inssvuria a ‘| viver molle
t Cesare voler di Roma il tolle:
L'agnel di Dio che le peccnta tolls.
rave usura tanto non si tolle
sì del comiociar tatto si tolle;
Poder di partirs'indi a tutti tolle
w E quale è quei che disvool ciò che volle,
» presso al tempo che tutto "1 ciel volle
Che pria m'avea parlato; e, come volle
Ed lo pregava Dio di quel che" valle.
Ché l'alta provridenza che lor volle
Ché mal valor non ronobba nò volle.
Deh or mi di' quanto tesoro volle
on
© Quando in vèr Madian discese | colli.
Diss'io, chi sete, E quei piegaro | colli;
Li ruscelletti, che de' verdi colli
Ma dinne, se tn sai, perchè tai crolli
moti cechi lor, ch' eran pria pur dentro mollt,
Facendo | lor canali « fredili è molli,
ch'al ber rl moetràr molli,
D'Inferno per mostrargli, e mostrerolli
r Le lacrime tra esi, © riserrolli:
n Ne'nuvoli formati, che satolli
wv lo ebbi. vivo, assai di quel chi’ vwolli,
ollo
Minerva spira, s conducemi Apollo,
Cominciò l'uno, e ‘1 tinte tto e brolla ;
Perch'una gli s'avrolio al al collo,
Drizzava a me, sì che ‘n contrario fl collo
ol altri pochi, che drizeasie ‘1 collo
"al sommo pings nol di collo in colle.
non potea con esse dare on crollo,
che gianto l'ha: e gingner puollo ;
per quello, a gulta di rampollo,
altra alle braccia; è rile
qui. ma non si vien satollo,
Deh, se miseria d'esto loco sollo
olo
dolcemente, sì che parli. aecSlo,
ntorno al capo non facevan brolo,
Lenti accumulando duol con fuolo,
‘al Nil caldo si arnil del duolo,
gli occhi fuori va lor duolo:
duolo,
militante alcun figlinolo
alcun fig!
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219 119) Melle mio all n così alto + 325 no
17 #31) De’remi facemmo ale ali folle volo, 1 20 195
10122) Prima che morte gli abbia dato jl vola, 214 2
= E saltò "1 Rubicon, fo di ta , 5 e Of
35 olpa
10 86)¢ Or va', diss'ei; chè quei che più n'ha colpa 2 24 82
12 Bljn Verso la valle, ove mai non si scolpa. 294 DA
: ae IM giorno in giorno più di ben si spolpa, 2 24 60
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20 | p Mentre ch'io forma
33 ¢ Ma riprendendo lel di lalde colpa,
Uhe mi rimise nelle pre colpe;
ful d'ossa e di polpe,
Quanta sollers.n l' ossa senta
wv Non furon lsonine, ma di volpe
trianfal velcolo una valpe,
Gti sochi Incenti, lagri
Ciascun dall'altra costa
E tremando
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voles;
ell occhi volse;
ciascuno a me si vole
iro tutta non si voles
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Poscia che l'ebbi tutia da me sciolta,
Seder sovr'esso una puttana sciolta
Muover doveati mia carne sepolta.
Dista poi di vederla sepolta.
Ed ogni permutanza credi stolta,
t Cha da lui sin tutta l'anlina tolta,
Diss'lo; ma a te come tanta ora è tolta?
E, come perché non gli fosse tolta,
Sorella fu, è così le tolta
Ma questa sonnolenza mi fu tolta
Bi lagnerà che l'arca gii sia tolta.
L'aspetto suo m'avea la vista tolta :
w E baciavansi insieme alcuna volta.
E con essa pensai alcuna volta
Come si vede qui alcuna volta
Del tuo errore, è perche altra volla
Casella mio, per tornare Altra volta
Che tenga forte a sé l'anima volta,
Così vid'io l'altr'anima, che wilta
Montare in su, qui sl convien dar volta;
Fuggio "1 serpente, a gli angeli diér volla
Quando le ripe igualmente diér volta,
E giunti JA, con gil altri a noi diér volta,
Le nostre spalle a nol era già vblta.
Veggendo ‘| Duca mio tornare io volta,
Per suo arbitriv alcun, senta la volta
L'aer al volge con la prima vilta
Disse lo mio Signore, a questa volta:
Co’ piedi alle sue orme, è tanto volta,
olie
a Onde un poco mi piace che m'ascolte,
O dolce padre mio, sé tu mi‘ ascolle,
Velando gli occhi, è con le gambe avvolte
mS-mpre dinanzi a lui ne stanno molte:
Manto fu, che cercò per terre molte j
F Pio cho lo nuove nole hanno ricolte;
B per quests parole, sé ricolly
@ Donne wi parver non da hallo selolta,
Ond'eran tratte, come furo sciolta;
Chi poria mai a? con parole sciolte
Che tu non vedi, con Jo trecce sciolte,
Fur l'ossa mie per Otlavian sepolte.
t Quando la gambe wi furon si tolte,
w Prima ch'a questo monte fosser volto
Dicono ed odono, e pol son giù volte.
Che t'avria fatto noia ancor più volta.
Ch'io ora vidi, por narrar più volte?
Furo iterale tre o quattro volte,
Cignesi colla coda tanta volte,
Sì fur girati intorno a noi tre volte,
oli
a Che nella lama giù tra essi nocolti.
Nel falso il creder tuo, sa bene ascolti
Se ta gli guardi bene e se gli ascolti.
Prima ch'arte o ragion per lor s'ascolti.
Ché tuttii questi sono spirti nssolti
lo avea già i capelli in mano avvolti,
© Tra Cecina 6 Corneto i Inoghi colti.
f Non han sì aspri sterpi nè sì folti
i Noo rami schletti, ma nodosi 0 involti,
mla spera ottava vi dimostra molti
Parmenide, Melisso, Brisso, è molti,
Né ti dirò chi jo sia, nè mostrerolti,
r Latrando lui con gli occhi in giù raccolti;
@ Vai dimandando, è porti gli cechi sololti,
Soverchiò tutti; è lascia die gil atolti,
Sì fe Sabeliio of Arrio, è quegli atoll
t (ill occhi, dina'lo, nil eno ancor qui tolti,
v Cominciò "| Mantovan che ci avea volti,
In réniler torti HW diritrà volti.
Notar si posson di diversi volti.
Da questo balzo ineglio gli atti @ 1 volti
Falta, per ewer con invidia vblti.
A voce più ch'al ver drizzan ll valli;
Béo le ne pool accorger per li volti,
olio
a Principt glorioso emera nocolto,
Cotanto gloriosamente arcolto.
Ma pol cho '| gravalar 1 ta assolto,
(Vv idia ATi Wy nario
a
— 7 —
116 100! 6 Ch'udir parlar di così faito colto.
2 32 149| Poi disse: Pid mi duel che tu m'hai colle
251 48) Hanno o passar la gente modo colto
9 27 195) Si fa il terren col mal sema, è con colta,
3 6 6B Quelt'altuffà, è tornò sa convolto ;
3 18 24A|/d Poi ch'rll'avea " parlar così disciolto,
2 2 03) Presso di qui, che parla, ed è disciolto
2 32 161 ilo lo il braccio a tal mestiler disciolto.
; in | 191! =" rag ae 2 “pene,
| mio al poco r to al molto
3 12 120| Quel che to di selon, più là è molta,
2 24 143) Co'lor , 4 d'ogni sella, è molto
a 22 1639 Come i a l'esercito molta,
116107) E seguì fin che "1 mezzo, lo molto,
3 18 23) Una lonza leggirra è sla molto,
2531 44| Erano ignudi, e stimolati molto
2 9 Di) E tutio che to oll venuto molto
2 4 Br (V, ricolto) raccolto
2 14 70) Sesta, che dentro a sò m'avea ricolto,
2 24 140| Wa fastidiosi vermi era ricolto.
2 B 107 Heol ente ful da lui ricolto.
2 29 11| Vidi in sul braccio destro esser rivolto
2 5 41 Da lei avrei mio intento rivalio.
218 90) A dir mi comineld tutto rivolto;
1 0 &)@ Quand'io, da lutto questa cos sclolto,
3 5 Se] Si volse, è mal noo fu mastino selolto
2 28 104| Che non stimava l'animo non sciolto:
1 8 20) Onde la Donna, che mi vide selolto
3 12 116| Vespero è già colà, dove sepolto
8 mile qui con alia è Steen
Che, servando, far poggio. cosh stolto
120 67|t Napoli l'ha, o da Brandizio è tolto,
2 15 124] Come fec'lo, il. suo l'è tolto
3 15 122 E da ogni altro intento s'era tolto:
ì 6 15] Veramente da tre masi egil ba tolto
1 20 65!) Perchè "1 veder dinanzi ora lor tolto
210 B1| (V. colt 1 18 ©) tolto
3 #4 #68) Dieondo a lui: Aveor che nil «la tolto
110 To Che quanid'io ful dell'altra vita tolta.
3 4 66) Mirabilmente a è esser travolto
128 1|wÉE son mi el partia dinauzi al wolto ;
120 563) Col Sole è con le setto fiamme al volto
2 7 6) Già eran gli ccchi miei rifles al volto
215 120] Onde piansa [Ngénia Ul suo bel vol
2 7 4| Nonsa'ancor per tutto il cerchia v °
1 6 4165! Le invetriato Jagriwe dal volto,
3 4 60) E pol ch'alla man destra ui fu wilts,
128 &| Tal fa negli occhi miei quando fal
2 7 a' Figtinoll d'Eva, è non rhinale "1 volto,
1 6 11| Ma drirzò verso me l'ambuo è "1 volto,
3 10 77| E mastro Adamo gli porcosss "1 volts
Di tempo, in bianca donna, quando "1 volta
Ello rigaran lor di sangue ti volto,
2 7 90| Che dalle revi era tornato ‘1 volte,
3 2 62] Dal mezzo la qua ei veolan verso "l volta,
3 59 <8) Ond'io che er'ora alla marina volto,
2 26 123) Alcon tempo ll sostieani col mio volta;
9 32 44) = Ignito sì, che vincera il mio volto
1 32 103) 6 era già per noi del monte vòblio,
1 19 9) Salvo cha più feroce par nel volta
1 19 7| Mecoll monava in dritta parte volis.
115 6] Gridar: Qui non ha luogo ll santo Volto;
3 64] I! viso, è guarda come Uy se’ vblta
13 125) Mentre che ‘| tempo suo lutto ala vilta.
1392101) in poco d'ora, è lo emarrile vello,
1 39 105) Non dee addur maraviglia al too valia.
218151) Ch'io foi per ritornar più volle volte.
2 26 110
3 19 127 oltre
2 15 199,0 In fama non al vion, nò mito coltre?
2 7 so|o Quando fui sa, ch'|' ada potea più oltre;
919 igo) Then mille pass è più ol ime aire,
3 2 ca P ume fan bestie epaventale è police.
2 7 88,8 Che nadato pensando si vol sol tre 7
2 19 135| Omal convlen che tu così U spoltre,
226 121|
932 46 olve
d Nol primo panto che di te mi dolwe,
p E come l'alma dentro a vostra polve,
3 25 23 r A divers» polentlo, ol risolva;
BU
3 2G db a Dia catia Youn ace
tag Tai vasi prua, Gwe Vel dive,
Va\ Si, che d'oorata | lo rivalve,
tu U solve,
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Lasi III
olwi
r Ancora un poco Indiatro ti rivolvi,
@ Tu mi contenti sì quando tu solvwl,
La divina bontada, a ‘1 groppo swolvi.
omai
@ DI sopra, che di giungere alla chioma
L'altra traendo alla r. chioma,
@l Che la cervice mia superba doma,
1 E consolando usava l'idioma
nm Stario la gente ancor di tà mi noma;
E quell'Ombra _ per cui sl noma
E Guido da Castel, che me’ si noma
Cotesti che ancor vive, è non si noma,
P 5) che la ripa, ch'era porizoma
fF Come la pina di San Pistro a Roma;
Che‘! sole inflamma allor che quel da Roma
Di" oggimal che la Chiesa di Roma,
De' Troiani « di Fiesole « di Roma.
Che tolosano a sà mi trasse Roma,
® Del mio carcar disposto avea la soma.
Cade nel fango, è sà brutta è la soma.
K per farlo pietoso a questa soma.
Ma caddi in via con la ssconda soma.
CLLLULCELI
p Ch'appanto sovra messo "| foro piomba.
r Udirà quel che in sterno rimbomba.
t GIÀ eravamo alia le tomba,
ritroverà la trista tomba,
DI qua dal suon dell'angelica tromba,
Or convien che per voi suoni la tromba,
r GIA ora In loco ove s'udla ‘1 rimbombo
Simile a quel, che l'arnie fanno, rombo;
ombra
n Ora, se innanzi a me nulla s'adombra,
Là dove armonirzando il ciel t'adombra,
i Che non parese aver la mento ingombra
Non Focaccia: non questi che m'ingombra
Che l'uno all'altro ‘1 raggio non ingombra.
La qual molte fate l'uomo ingom
o E ‘l corpo, dentro al quale io facevr'ombra:
Non quegli a col fu rotto il petto è I ombra
Chi pallido si face sotto l'ombra
Come falso veder bestia quand’ ombra.
E org i n rent ales quale ombra,
spose del magnanimo "om
Potrai corcare, è non traverni ombra
@ Lo vostro regno che da sò la sgombra,
© Gli arroncigliò le impazolata chiome,
‘Ll capo tronco tenea per la chiome
Dirimando dei flor tutte le chiome;
smenr
= li
[= 11-12-1115)
Geni fi fon fini di i
fo fo ca eo he ca i e ce ii ii
Gee ie eg
=~ 38 oe
omil
11 94/4 Ond'egli a me: Perché to mi dischiomi,
11 sQjnbMi fa ae di saper lor nomi;
11 po] L'ovra di vol a gli onorati nomi
| BEdissi: E' converrà che tn U nomi,
D Per che lo apirto, che di pria parlòmi,
31 @0|] Lascio lo fele, è vo pel dolci pomi,
16 124|t Ma fino al centro pria convien ch' lo tomi,
11 bai 8e mille fate in sul capo mi tomi.
16 189|w Nel fare a to ciò ché to far non vuòmi;
a1 91 coe
10 196|@ 8) ch'è la muffa dov'era la gromma.
11 bos Ma l'orbita, che fe la parta somma
51 olit L'eccellenza dell'altra, di col Tomma
© e omni
16 127|n Deh sa tanto lavoro in bene assommi,
15 120) & ‘i santo Sene: Acciocchè tu assommi
21 69/4 Un lampeggiar di riso dimostrommi ?
19 Mall Perché i, ond'io figura fommi,
16 1201 Nell'aquile mortali, incominciommi,
11 DB7/mA che priego ed amor santo mandommi,
21 @D|r Destra ai roles indistro, 6 rignardommi ;
Come parsa, sorrise e riguardommi ;
Per che l'ombra sl tacqus, e riguardommi
10 | DI Int | loro gradi son li sommi.
e 00| LA enol compagni più noti o più sommi.
10 7|w Né per tanto men pa vommi
ssi omo
id Bla Ma sol d'incenso lagrime « d'amomo i;
eo E qual è quei che cade, è non sa como,
E quel d'un’ nossa, non sapendo como
16 1/0 Chi nel riso degli nomini leggo Omo,
10 98 Pp Chi crederebbe che l'odor d'un pomo
a O d'altra oppilazion che lega l'uomo,
5 28 on
31 144|f Che mal non carrrggiar Feton
21 142/0 Sì, ch'ambodus fan an solo orizzòn,
= 69 a Dentro raccolto immagina Slon
do
a 46 onn
9 20, Che, come vedi, ancor non in' abbandona.
92 G1) Così sen va, 6 quivi m'abbandena
21 140) Qualonque in mare più giù r'abbandona
2 468 Tal, ch'è più grave a chi più s'abbandona ;
23 291) L'amor, ch'al esso troppo s'ablandona,
2 944! Poiché le ripe tedesche abbandona:
32 59) Nol pamavam su per l'ombre che adona
23 1393) Mostra virià, che er s'adona,
Dell'anor di Cleilla « d'A ona,
b Quinci non passa mai anima buona;
22 395) La mia sorella, che tra bella è hu
28 121) Qual fa create, fo sincera è mondi
52 16) Won 4 fellieltà, non è la buona
23 99) Dalla semblanza lor, ch‘ era haooa.
19 201) La prima volooth, ch'è per sò buona,
27 «42 e ciha di —
16 100/00 Ma esa, radiando, ial ae
10 67) Ch'nacivan pren di Ca
18 200| Lume ch'a tol iT ne 00 na:
86 119 Cotante è giusto. 4 lel consnona;
s2 10] Parmata a guisa di corona,
20 B88) E vidi bel, cha ni facen corona,
13 103 Par di nol contre, è 41 sò far corona,
10 63) Fuigeami già in te la corona
16 8) Noa avea catepelia, non corona,
10 65) Montereggion di torri el corona;
22 37) Nell'alto Olimpo cib di sua corona.
27 41| Di Mari, di Gaeta o di one
20 81) a Perché 4° acerescerd cià, che ne dona
15 105 f Wo finmical, che nasca ln Paltorona,
se 14 oe la Capraia 0 la Gorgona,
19 LOL|t Dello demoalo | ~ Introna
28 1293/1 Quando ambeduo ll figli di Latona,
27 46 Goel enews a fete Latona
10 102|n Ond'slla toglie ancora © ‘erm è nona,
20 03 p Amor, ch'a null'amato amar perdona,
19 109| Ma dimmi; è soma amico mi perdona
OT
~
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i fi © RO ed Co Ch sa
loco RR To] oo
SaSeeoeseeee
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' ee de ERETTI 7 34) Dalla prim'ora a quella ch'è
ines iaaagosti ROLO] Farai © a gelso
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1 © 120) Che "lL =
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a mene oe eel oe = —
AT o mi tenzona, 2 8 111] È l'altro scese all'opposita sponda, —"
Bn i Frage si ces f sa n. ta eee sad erre to I
Sey ha i a "dia li sie Me Me — e. ha =
I È I + 3 ; il ET | no È it | = i" ta Là P .
e " DI ì , a) Tee ie be i n Mii aman Nr aging, 4
= Fanno dell'orirranie Insìeme zona, Ed lo: 5), l'ho al lucida e &
8), che ritenga il fil che fa la rona. |
onde
Ona |
a 0 cupidigia, che i La li
© Che sol per pena lim la speranza clonca? 1 oO 18|* Mirate ie as rita. PIA A'oacheae
In questo fondo dalla trista conca 4 ® 16), Per che, sa tu alla virtà circonde
r Che ne' monti di I.uni, dove ronca 120 47| La verità che laggiù si confonde
a Ebbe tra bianchi marmi la spolonca 120 49) L'alto universo seco, corrisponde
t Parch'io tracva la parola tronca, 1 14/£ Come l'augello, intra l'amato fronde,
El mar non gli era la veduta tronca, 1 Le sus radici, e negli altri le fronde, —
«tl Di mio amor più oltre che le fronde.
iaia Lid una voce per entro le fronde
13 26 KE gridar non so che verso le fronde,
30; #elliro dolce la novella fronda,
19 25) @ Quests sustantie, poiché fur gioconda
| mTutta l'acque che sun di qua più mondo, |
une lia n La notta che le com ci nasconde, i
b Troppo sarebbe larga la bigoncia 9 ge 65| he mi raggia d'intorno, e mi unsconde
oF A: un mezzo di traverso non ci ha. 130 67 dira Es il a? cha lie! EI a
o Estanco chi 'l pesasse ad oncia adoncia, 3 9 67 0 dico ver, l'effetto nul nasconde
I
1
3
b Che tante voci uscisser tra que’ bronchi
m Li penaler c'hai si faran tutti moneht,
t Però, disse ‘| Maestro: Se to tronchi
dei fui ee
fi
Lar
a Vi è orn’ Verso di quella che nulla nasconde;
Ch'i'potessi in cent'anni andare un'oncla, a9 BI : ì 4 '
s Carcapdo lui tra questa gente uconcia, J0 BS) Sieh ein granata atene re fg
Dell'ampio suo pastor, che sarà sconcia (7) i Da sesa, da coi nulla sì nasconde;
ouila | Lo Sol tal volta ad ogni vom si nasconde,
Se ‘l fummo del pantan nol Li nasconda,
b Ben discerneva in lor la tesla bionda; 2 B 34)o Assai mw'amasti, ed avesti ben onde;
o Vedi la compagnia che la circonda; 232 68 Or U fa" lieta, ché to hai ben onde:
Così ‘no la proda, che "1 porro circonda ; 151 42) K-ser conviens un termine, da onde
Come virtu ch'a troppo si confonda, 2 6 85) Nonunollto lungi al percuoter dell'onda,
d Perché la «ua Lontà si disasconda: * 25 66) Quando sarai di JA dalle larghe onde,
3
a
bi]
a
db di ee eee ee oF
f Alcuna volta per la selva fonda 20 120 ul disse: Piò pensava Maria, oude
Quinci si può veder, come si fonda. 28 109) Che ‘nvr sinistra con sue piccole coda
Bovra la quale ogni virtù si fonda, 24 80) Ed egli a me: Su per la svicide onde
Ché l'uso de' mortali 6 come fronda 20 157| ll già venla su per la Lorbidl'onda
Kull'altra pianta, cho focesse froma, 1303) fi ritrar gil vechi foor delle ine onda!
Caccia d'Ascian la vigua è la gran fronda, 1 20 J01)r Ed indi l'altrui raggio si rifonde
Delfica Deltà dovria la fronda 3 1 52 Dissi: Questo che dicel è che risponde
Ed ella: Vedi lei sotto la fronda 232 86] Che pregano, a ‘l pregato non ris de,
Rionovellate di novella fronda, 2533 144) Là, dove agi tomas si risponda,
Coropati ciascun di verde fronda. 228 63) Ma "l popol tuo sollecito riapunda
w E sì come di lei bevve la gronda 230 SB) (Ch'alia sua bocca, ch’ or per vol risponde:
1 Diss'io appresso, il cui parlar m' innonda 3 4 119]8 Per cui tremavano amledue le sponda;
mTremaci quando alcuna anima monda 2 21 66't Delle sustanzie cha t'apprion tonde,
Gai i id id ei i ia ii e i
ondi
ondl
mEd lo: O creatora, che ti mondi, 216
r Onde IT Maestro mio disse: uno agi. 2 le
© Maraviglia udirai ss mi second. 16
ondo
non asconder quel ch'io non nascondo, 3
Azrolino; e quell'altro, ch'è biondo,
versa colpa già gi! aggrava al fondo:
Come per l'acqua il pesce andando al fondo.
Color che ragionando andaro al fondo,
Pure a sini giù calando al fondo,
Tenendo gli { pur quaggiuso al fonda;
Creato è vinto pria che vada al fondo,
Tanto, che per fiocar lo viso al fondo,
Benchè ena vista non discerna il fondo,
Ed ha distinto In dieci valli il fondo.
proda il fondo,
lo vidi per la costa è per lo fondo
Voltommi per la ripe è per lo fondo ;
Tal, ch‘ lo pensai co’ misi toccar lo o
Porda ‘1 parere infino a quarte fondo;
Ma perciocch4 giammal di questo fondo
A vaguarder nello scoverto fondo,
FCE piasge là dov' esser dee glocondo.
Figliuol di grease. questo ower do,
yo ae | cechi ae ma wal, Giocondo
> cuor, quantunque . glocondo
Indi, ad adire ed Ò veder giocse ,
Pria che Beatrice discondessa ni mondo,
Però moratità lasciaro al mondo.
A persona che mal tornasso al mondo,
quando tu sarai tornato al mondo,
Entrammo per tornar nel chiaro mondo:
Or discendiam quasi nel cisco mondo,
Purgando la caligine del mondo.
Difese a Roma la gloria del mondo
Lumi bianchecgia i poll del mondo
Ma quando to sarai nel dolce mondo,
Ora conosce assai di quel che "1 mondo
La provvidenza che governa “| mondo
di tal amor, che tutto '1 mondo
mostri in cielo, in terra è nel mal mondo.
Che ciò che rien quassù del mortal mondo,
Fu epento dal fis! su nel mando,
Si deriva così dal nostro mondo,
Rimira in giuso, e vedi quanto mondo
Quanto bisogna a noi di questo mondo,
Ci forve l'ora sssta, a questo mondo
Carità di colui, che In questo mondo,
Che fanno le letane in questo mondo.
Qualunque priva rà del vostro mondo,
vista che riceve il vostro monda,
nell'ombre orando, andavan sotto "1 pondo,
E tn, REA che per lo mortal
ce gl incurvaron col
ùÙ
Egli 8; ma cela Jal l'esser a lo.
Sì costellati facean nel
i "| mezzo del clelo, a nol
Ch'lo non Interi; sì parlò .
Le tre di tA, che miran profondo.
Entro v'è l'alta mente u' sì profondo
Senza tema d'infamia ti rispondo.
Ora apri gil occhi a quel ch'io ti ~~ “pan.
dico, è non Li rispon
il terto spirito al secondo
fores par dar Inogo altrui secondo,
o narral che non ebb do
5
el dee ea ee td ee et Pe od ade ed ed edd ed 2 ee oe oe ss ed
3
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=
a
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essre rutorS0s00nio"522 abisso nooo rtar raf 258 22r8885a nta n2758058
one
— 76 — ,
Nel vero farsi come centro in tondo.
Che fan giunture di quadranti in tondo.
fi ig bi © I
(o)
82
eee a ita tassato tettoie IERI S28Zs8 88255
=
a
31) Che "1 ciel, un pertugio tondo; 198
20| Che Rifeo Troiano ln Lr î 6a
83) E vidi gente per lo vallon tondo 7
€6\a Achitofel non fe' più d' Absalone
Sarlansi | Cerchi nel ao dl' Aoone,
E to mi saguirai con l'afferione
Girando « mormorando, l'alferione;
Libero è qui da ogni alterazione:
Por la fosse ll ecchi nmmirazione
(V. Abtalone) Ansalone
Come del corpo il cibo che s appo
b Pu trasmntato d'Arno in Bacchiglione,
MI diese: Mira, mira: ecco “| Barone,
(=)
sere eee ees soste canton asress
Per esser fi' di Pietro Bornardone,
61/0 Exserci puote, è non d'altro, anglone.
13|] Che non farebbe, per l'altrui cagione.
Ancor di dubitar ti dh cagione
5) ch'a bens rm'era cagione
D'Achilia è del sno pariro esser cagione
Senza quell'ombra, cha mi fa cagione,
Intese così che faron lone
Ma prego che m'additi la caglone,
&'alcon v'è giusto: a dimmi la cagione,
L'un dell'altro giaceva; è qual carpone
Bd egli a me: La grave condizione
La mia ri ta; ma sua condizione
d Circa a vicino a Inì Mala a Dione.
Rimiti corpi ta Virià dispono,
o Anilorvi pol lo Vas d'olozione,
g Così ne posa al fondo Gerltone
Quivi ben ratta dall'altro girone:
Vidimi ginnto In su l'altro girone,
Aleuna cosa nel nnovo girana;
ni
Ucaka
hl de bi = -
e+.
guesseSeee
1
3a
a
a
a
a
a
1
9
3
a
2
3a
1
1
a
1
b |
1
1
2
a
9
a
1
1
2
.
02) Sappi che se' del secondo girono, 1
dD8| Diceva l'un call'altro In sul ppono ? 1 1
68 Coa) fr molti antichi di Quittone, 2 1
70/1 Ma regalmenta sna dura intenzione 3
28! Bon fu latenta la santa intenrions 5
110; L' del tuo nato, Iperiono, a 1
11/1 La vista che m's d'un leone. 1
35 mSetta volte rel eho, the "1 Montone 2 1594
112|0 Caccerà l'altra con molta offensione. 1 ae
122| Dolce mio Padre, di’, quale 2 aa
128| Che cotesia cortese opinione a 136
131) Ecosi ferman loro opinions a 122
2) Seh'ia commends ina ona: 3 ed
110] Echi ‘1 appropria, è chi a od è 0,9 33
® E males care santa orazione. a 151
43 p Di tntta l'antmal perforione; 8 63
50) Sempre la confieion delle persone a 07
20) NA fia qual fa In quelle doo persona. a 87
4) Li ci teaemmo: ed Ivi eran persone 2 103
$0) Perch’ lo parti! così giunte persona, 1 1539
G| Che non potesn levar le lor persone, 1 ma
62) E, discarcata la nostre | 1 195
100) Not volgen?’ ivi le nostre persone, a 1098
4 ge aR Mig li at peg a 190
Oo) E vedere in un tempio più È a 87
111) Muovere a sol, non mi sembran persone, 2 Lis
112] Ma — ui fa forza a tre D) 1 29
66/ Che nga sustanila in persone. 2 20
40| FF velemmo na mancina on petrona, 2 101
20| Secondo la sentensa di F na, 3 a4
198) Quivi wid" jo a Socrate è l'latora, 1 1594
139( Democrito, che il mondo a caso è, 1 196
47| Ché nel clalo uno, sd na quag la pone, 2 Uk]
37| AI fondamento che natura pone, s 8145
20) Sl come quando ‘1 colombo 1 pone 3 16
+ Cene rae SSS TOE i i, I e
Com’ nam nepewoms è starei pone, |
114, Ove manar seta Fl ae ae 3 oa
#1) A tal querente of 4 z si
15 ty gh eT în propone, 47
65| A Dia, a sò al prossimo si puone 7 sl
29 r Com‘ odiral con Aperta ragione. 1 a3
7| Matto 4 chi spora cha nostra ragione a r+
ima; Così m'armava lo 1 cent ragiona a
16 pena altral per qual ragione 2 20
132 tn veggi con quanta ragiona 9 sl
o Ma per l'altrui, con certo condizioni:
M'ara in disio d'udir lor condizioni,
Ma tu chi so’, che nostre condizioni
ad Hol andavam con li dieci dimont
A mazzo 'l tratto le duo discrazioni,
Per mostrarsi di parte. E cotal doni
® Prima ch'avessar vare olezioni.
& Co' santi, ed in taverna cu ghiottoni,
mE fo nomato Sassi Mascheroni:
o Pier Paltinageo iu sue sacle orazioni,
BP Cavalier vili inuarer, né picdomni,
F Dell'lido; 6 quivi oon è chi ragioni
Ma tostu ruppe le dolci ragiuni
Bi coma io crew, a pic ee. 3 ragioni
a Eil aspetto Carllu, che wi scagioni.
Sepia peccato lu vita od in sormoni:
Diretro; sd ascoltava i lor sermoni
E perché non mì matti in più sermoni,
Per non esser corretta dagli aproni,
t Su sono specchi, vol dicete troni,
O bene halo, a cul vader li trowl
onia
a Di questo ingrassa ll porco santo Antonio,
a Ruffian, qui non son femmine da conio,
Slo dissi falso, è tu falsaati "1 canto,
E mal fa Castrocaro, a peggio Conia,
Pagando di moneta senta conio.
da F lu per più che alcun altro demonio,
Hen faranno i Pagan, da che "1 demonio
Così parlando il percosse un demonio
|V. demonio) dimonio
t Che, sanza prova il'alcun testimonio,
Giammai rimanga «l'assi testimonio.
E so dl ciù vani fede, a inatlinunig,
Ma ta nun fusti sl wer Lualinauniv,
db a Db db
a Mi richinava come I' uom ch'assonna.
Ma perchè 'l tempo fugge che t' assonna,
A E come al lume acuto si dissonna
Fra me, dille, diceva, alla mia Donna
Risonò per lo cielo; e la mia Donna
Biede Lucia, che inosse la tua Donna.
& Allo splendor, che va di gunna in gonna,
Che, com'egli ha del panno, fa la gonna:
4 Ma quella reverenza, che s‘indonna
PROT
elio $a SE S2eskoet@userre
Sees Ee OER Dee eee
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Tre
n:
DI levar
| Lo colpa
117 So’ savio,
73 ser Bronetio, 0 dimando
138) Bb non IT
aa che fa là dove l'arte son
43) Jilsse: Muta pensier, sa ch'io sano
115) lo non Knea, io non l'aolo sono:
190) Innanti a' suoi maggior parlando sano,
13) La colpa della invidia, & però sono
41| O santa Muse, pol che vostro sono.
55| E fire un grido di ai alto suono,
45 lo mi rivolsi all'amoroso suono
15| Lu fran vuol esser del contrario suona;
66 dire in voce mista al dolce suono
128) 4 appressando sé, che "| dolce soono
11 SB Wim) quol sanlu svangelico sowie,
71| Avecnno a we, che sene'iniaro suono
1550) Qui pose fina al lacrimabil suona.
1932) Seguitando il nio canto con yuel soon
08) Ché "l tempo saria corlo a tatto suono
T5't Né io lo inlesi; s) wi vinse il tuono.
sal lo mi rivolsi attento al primo tuono,
95! una Lan
a8l\c Quanto più lieve simil danno conta.
1165 Quanto di qua per un miglia’ si conta,
Tu "l vederai; però qui non si conta
Va" via, rispose, s ciò che to vuoi, cont
194|d Infia là, dove più non si dismonta:
| E "l balro via là oltre si dismonta.
115 /f Fanno Acheronte, Stige è Plegetonti
lig, ™ Quand’ una voce disse: Qui si monta:
128,9 Quindi non terra, ma peccalo ed onta
Malvagio traditor, ch’ alla tua onta
A Ché | Pesce) guirran su per l'orizzoni
“ga|P (¥V. pronta & 13 20) ponta
| Cop la qual giostrd Giuda; e quella po
129] Di quel ch'ebbe or così la lingua pron
120| BR altra cagione in contrario non promt
og K fece la min voglia tanto prunta
1 La Lanny proci irimpa, par la voplia priamia
| ir Che isl non posa, 48 noli si raffronti
| urta
16 a Su ia trista riviera d' Acheronte.
1398 Wy. adonti) ndonte
70 Suripide v'è nosco, e Antifonte,
11'b lo fui di Montefeltro; io son Buoncon
@8 o Non temer tu; ch'io ho le cose conte,
137) Con cagne magre, studiose e conte,
72! Perocché nella fede, che fa conte
141| Ed egli a me: le cose ti flen conte
13 Ora chi se’ ti prego che ne coute:
onte or
—
E — m'eran le cove non conte: 315 19 ope
Lo ch’ avea colle saette conte 2 2 66) E tal Cristian dannerà I' Btiope, 819 100
Dicendo: La parola tue sien conte. 110 39!) L'uno in eterno ricco, è l'altro indpe. 810 111
f Gli occhi mi cadder giù nel chiaro fonte; 2 30 76/5 Che saranno In giudicio nessi men prope 3 18 107
A quel, ch’ access amor tra l'uomo s "1 fonta. 9 8 18
se quello in ate, © questa in fonte 1 26 98 opin
L' acqua di foor del mio interno fonte, a 24 DT o Tra questa crude e tristissima copla 194 01
Riternerh Sorta, ef tn oul ete dee Ri re etico, 80 ss
rnero poeta, 67 in su | Mos lam con totta |’
Che duo nature mai a fronte a fronte 1 206 100 i
Vincer di lame totta l'altra fronte. 531 129 opo
Per ch'io vo tra costor con basta fronte 2 6 90/2 E quale Ismeno già vide sd Awopo, 218 sil
Debili sì, che perla In blanca fronte 3 8 14/4 Ma forse reverents, agli altri dopo, 220 17
Ed si s'ergea col petto e colla fronte, 110 35) W'andavam l'un dinanzi è l'altro dopo, 129 8
S'avea messi dinansi dalla fronte 1 93 29| subitamente da gente, che dopo 218 B9
Quando la nova ta aled la fronte 2 2 bBla Che d'acqua fresca Indo 0 BUdpo. 230 21
E di motti altri. K qui chinò la fronte, 2 3 44/4 volto ora in su la favola d'Isopo 1239 <4
Pietro per lei sì mi girò la fronte 325 19)% Dov'ei parlò della rana e del topo: 199 ®@
- lo sentil z mo pe tas Ò 30 = a Pur che | Teban di Maceo a nope; : se =
anta vergogna m vò la Né solo a me la tua risposta è mopo;
Che dall'un lato tutti hanno la fronte 119 Sl Da
Fede che 41 Ond' lo levai la fronte 224 0a opps
Greci, che già di lauro ornir la fronte. 2 22 108) Sopra le Ile, dietro dalle coppa, 120 23
Quivi mi batteo l'ala per la fronte; 212 88/4 Perch'ell'è quella cho ‘1n0dò disgroppa. 2 6 126
Avere in sò, mi feria per la fronta, 229 Sig Quante bisce egli avea «u per la groppa, 1 26 20
(¥. fronti 1 6 70) fronte | E che port! costini in wa le arenes. 112 os
Quando io gli vidi si torbar Ia franta, 1 24 17/1 chepi frange con quella lo eni #' intoppa, i 7 29
do Jul, portava la mia fronte 2189 40) KR lo alfluoca qualunque » intoppa. i s0 26
Ma le quattro un sel corno avean per fronte 2 32 146) E fa" cansar, a altra ech v'intoppa, 112 00
Mestier gli fa d'aver sicura fronte. 131 @0|p Chi ribatto da proda, a chi da poppa; i 21 19
Sa "1 nome too nel mondo tegna fronte. 1 27 57) Chiron si volse in sulla destra poppa, 1139 07
lui con vergognosa fronte 1 1 Sl] Voltando pesi per forza di poppa: 1 797
mCos), quasi di valle andando a monte, 39 31 121|r Chi terteruolo ed arilmon rintoppa: 1 zi 10
Come degnasti d' accedere al monte! 2 20 74) Chi fa suo legno nuovo, è chi ristoppa il 21 Ii
Mostratene la via di gire al monte. 2 2 ©0|t Che non sl dritta per la toppa, a 0199
Cacciando "| lupo è i Inpicini al monte, 133 29) Qui vid'io più ch'altrove troppa, 1 7 26
Come a man destra salire al monta, 212 100) Più cara è }'una; ma l'altra vuol troppa 2 0194
Si compia che ti tragge all’ alto monta, 2 6 so
Sleora, quasi ricca in alto monte, 2 82 148 oppin
Nol divenimmo intanto appiò del monte: 2 9 40|a Che l'un coll’ altro fa, se ben accoppia 129 6B
Dolce, ch'io vidi In prima appiè del monte 1 24 21/4 Che la prima pavra mi fo" doppia. i 20 12
Spesso finte ragioniam del monte, 92 22 104]a E come l'un pensier dall'altro scoppia, 1 83 10
Perchà non sali 11 dilettoso monta, 1 171
Così com’ ella sie" tra ‘1 piano e ‘1 monte, 127 59 opplo
seg ALI il monte. 215 Sa Qui of altrove quella ov'lo laccoppio, 216 67
Dall'altra sponda vanno verso "1 monte: 1168 23/4 Prima era scempio, sd orà è fntio doppio 2 16 65
Dell’ alto di | ciron del sacro monte; 2 10 S8)a Di far ciò che mi chiedi; lo scoppio 2 18 65
U* la prim’ ombra quia il santo monte; aa6 19
© La parte orfental dell'orizzonte 9 sl 119 oppe
P Poscia passò di JA dal co del ponte, 121 ke Riemplon sotto "1 ciglio, tutto Il coppo. 133 00
Che fa di cò vm morso arco di pento: 219 42)g lo son ti verrò distro di galoppo, 1 23 114
Che come nol venimmo al guasto ponta, 124 10) Qual esce alcuna volta di galoppo 224 04
L'anno del Ginbbileo, su per lo ponte 118 29) (Ché le lagrime prima fanno groppo. 193 07
E l'animose man del Unca è pronto 110 27) Di sé e d'un cespuglio fece un gre 1 19 123
Pol mi volsi a Neatrica; sd ella pronte 924 B5)| E va per farsi onor del prime intoppo; 224 06
A cambiar lor materie fomer pronta, 1 26 102)|r Alichin non ni tenne, e di cpr 1 2a 119
Che indarno vi sarien le gambe pronta. 2 2 48) E'iduol,che truova, Ineo gli rintoppo, 1 = ob
Lu ae con le ciglia intorno pronte. 2 82 100|\t Le gambe tue alle giostre Toppo. 1 191
Tali vid'io più facco a parlar pronta: 3 8 10) Rispose: Maliziona son la troppo, 1 sa 110
0 oe Sere SS drapostar di preita 1 3 Td] in questo regno si, ch'io perdo troppo, a pa 02
Per co! le fronde, tremolando pron'e, 926 10) E V'altro, a col parera tardar troppo, 115 110
r La ben guidata sopra Rubaconto, 2 12 102
a (V. sormonti) sormonte opra
a Eunsà si chiama; e non adopra, 2 208 131
onti o Che clascna giorno d' Elice sl ouopra, 8 31 rs
= Ed è chi per ingiuria par ch'adonti 2 17 121|° pè dose inl terrh, a wile î sa —
Come che di ciò . @ che n'adonti 1 6 72 VWeggendo Roma è I" sua opra S31 34
Tateni, por presta. eet dhe ta 5 alieni. 2 ta 40! = Trovai un tal di vol, che per sua opra 1 33 165
b E forse in Vald 6 | Buondelmonti. 3 16 8). Tal che convien che lai è me ricnopra. 110 #4
© Sarieri Montemurlo ancor de’ Conti; 916 o4 e souogen) eeopra
Nell'auta più cagrota, co Sard conti; S25 San te convion chi ni ino viso sl memopra, 1 16 189
È AE eer bungo rave ia Resa, 1,3 120] La nota tua, porch'io più non Ui sonopra, 2 28 198
E tal convian, "I malo altrui im nti, 2 17 199 itd in corpo par vivo di ne 1 39 107
mMi venne; ond'io leva! cli cochi a' monti, 9 25 35 Alle cosa mortati andò di sopra; asl 96
m Che vi sarebbe vdito a Bimifonti, 918 63) dei disse a me! Tosto verrà di sopra 1 16 181
onira or
© E GraMacan, che gli era più di contra, 122 94/d Sovegna woe a temp: da ma dolor a 29 147
: cool, com egli incontra 1 22 33)? Car, sitot vel la panenda : & 20 143
su, che mi parve una lontra. 122 O6!wv Ara vue prec, per aquella valor, a 26 146
—
orb
ora
a (V. accuora) accora
io la mente m'è Oita, sd or m'accuora,
Ch'io non potrei: tanta pietà m'accuorà.
Che dal dislo di a6 veder n'accuora.
Be mala signoria, che sempre accuora
Ad altra novità, ch° a allora;
poterti pial th dies’ egli alora
Como V'umana earno fossi allors.
E quinei pool MIRO malata RESOR
Che bestemmiava duramenta :
Dicesti: Egli ebbe non Lig — ancora T
Famok) assal, ma fon con ancora.
Al Sol, come eo tu non fusi ancora
~ vane sa ci nea wi “ nema.
egli a me: To lmmaginoi ancora
Ma er ù aperto lutenda ancora,
Che | tre afte pogodr per lol ancora.
L'ossa del corpo mio sariend ancora
Ond'lo a lui: Dimanial ta ancora
Or tu chi ae’, che vai por l'Antenora
ta dove lo era, della bolla Aurora
bella Donna che al ciul l'avvalora.
a s‘accorse d'alcona dimora
va col cuore, e col corpo dimora:
Né al chinato 1 feco dimora, —
Or che di là dal mal fume dimora,
Ri fa, por’ chio queta nun dimora.
Aleun lion frutto ili nwelra dimora.
Cortesia e valor, di’, sa dimora
Glammal mon ful: ma dove sì dimora
To sai ch'el face in Alba sua dimora
Che viens a va: o quel la discolora,
Ma lievemanta al fondo, che divora
£ Ch'a tutte un fll di ferro il ciglio fora
Del sommo Keyes, vendicò le fora,
Sì mi parlava un d’essi: ed io mi fora
Al pel del vermo roo che "I mondo fora.
Per la tua sete, in libertà non fora,
8) che. se vivo fossi troppo fora?
O se del tutto se n'è gito fuora ?
8Supin ricadde, e più non parve fuora.
8) che, pentendo e pordonando, fuora
Che fatta fu quand’io me n'uscì' fuora.
& Mentre noi correvam la morta gora,
i De incwora) incora
er gli altri legni, ed a ben far l'incuora,
Ed io a lui: Lo tuo ver dir m'incuora
Di' quel ch'ell'è, e come se ne infiora
8) come schiera d'api, che s' influra
Che sotto i raggi di Cristo s'infiora?
Ditegli se la luce, onde s'infiora
Tu vuoi saper di quai piante s' inilora
La speme, che laggiù bene innamora,
La gloria di Colui che la innamora,
La somma benignanza, 6 la innamora
Ora conosce come s'innamora
Perchè la faccia mia sì t'innamora,
Là, dove il suo lavoro s'insapora;
mSotto la guardia della grave mora.
Mosso Palermo a gridar: Mora, mora;
o La fama, che la vostra casa onora,
Col nome che più dura 6 più onora
Di voi, quando nel mondo ad ora ad ora
E disse: Chi se'tu che vieni anzi orat
Di riverenza: e cominciò dall'ora
Bternamente, sì com'ella è ora:
Disse il Poeta a me, non periler l'ora;
Di peccar più, che sorvenisse l'ora
Così all’ ombre, di ch'io parlava ora,
Ma chi è quei, di cui tu parlavi ora?
8) sottosopra? e cone in sb poc'ora
SEOUL BORDELLO LOCOCO COW MMII MIND ee HOM NODE KOH I e ne
16 sa) sa ne và l'antica
ta n Quel che 0 fandendo va L'ardità prora.
B a a dn P
26 27| Dove tempo tempo al rislera
@ 196
1 66 orbi
7 147|£ Da'lor costumi fa'che tu ti
18 60 V fama nel mondo li orb
al Sgr ragion; chà tra gli larzi sorbi
al dala pote Stags, bk vet al corca.
20 23 £ Torcendo in su la venaencsa forca,
8 128/| Contutti e quattro i rta infore
= a F ind on af i
Li perchè manda rea,
2 10 ureo
14 11 E a oe TA dintorno con le force.
80 66 r Ban so’ lo manto che tosto racooroa,
8 71|t Cha A, dove appetite non sl torce,
16 60
13 8a Ed altri assai, che 4 yess che pore,
20 60|F Sì che la via col tempo raccorcì.
a sj orce : ‘
i 2 i Dose; = mentr'i0 lo Infore
po —_ tanna, come a POTS,
CV indi gatta era venuto "l sorco:
* Hs oriana
13 72 a Quel ché par sì mamlbiruto, è che s' accord:
ly 0q Gili dico "1 vero, 6 soda ch'al a'accorda
16 67 Ver è cha, come forma noi a' Accords
B 124% o Pur come batter d'ocechi si concorda,
G 37 Fa seguitar lo guizzo della corda,
11 116| Onde a pigliarmi fece Amor la corda.
Ji 143 L'ogol valor portò cinta la corda,
213 70 Cen porta la virtà di quella corda,
21 83 d Distar cotanto, quanto si discorda
26 26 1 Che seguì alla sua dimanda ingorda,
94 108'1 Sanno la vita sua viziata e lorda;
10 89, Poi si rivolse per la strada lorda,
32 80 ml uomo, cui altra cura stringa e morda,
16 69! Di Giosué qui par ch' ancor lo morda.
10 72 r Oad'to risposi lei: Non mi ricorda
5 55: Del folle Acam ancora si ricorda,
1 90) Così la mia memoria si ricorda
8 n Sì. mentre che parlò, mi si ricorda
Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
30 60; Nè honne coscenza che rimorda.
3 Lio a Perct.è a risponder la materia è sorda;
4
$1 7 orde
23 72 c Ch'io le pregassi, a tacer fOr concorde?
14 18 E per autoritade a lui concorde,
10 91 Ma di’ ancor se tu senti altre corde
25 44 E cantava: Reati mundo core,
21 5! E fece quietar le sante corde,
7 148 1 Cotai si fecer quelle facce lorde
20 64 mPoscia: Più non si va, se pria non morde,
28 70| E si racqueta poi chè ‘! pasto morde,
81 9! Con quanti denti questo amor ti morde
3 129|m Come saranno a'giusti prieghi sorde
8 75 Ed al cantar di là non siate sorde.
8 13 L* anime sì ch'esser vorm bber sorde.
21 5
15 84 ordin
8 33 o SI che parea tra esse ogni concordia.
6 36'e Pure Agnus Dei eran le loro esordia:
14 LS REEICOAT per pace e per misericordia,
23 80 ordo
13 €8 1 Quei mi egridd: Perchè se'tu sì ingordo
11 220'1 Vidi un col capo ra) di werda lordo,
94 104'r Kid io a lui: Perché, so ben ricordo
ore ori
— 79 —
p Però e'ha fatto 1 del pastore. 3 0102
nre i Ma, come fatto fal remon pastore, 2 18 107
n Por che di questa in me access amore. 2 19 111) Questi ne'evor mortali è permotore: 3 1 116
Che lasvà è, così corre nd amore, 216 os V. prrmotore) promotore A
Qual conveniasi al loro ardente amore. 2 25 108 poppe valgerà u' son le proro, 9 27 148
Quando Virgilio comintid: Amore 222 10/2 DI pieciol hene in pria sente napore: 216 ol
A che, 6 come concedette amore 1 billo farem punto, come buon sartore a 32 140
Det vecchio padre, né "| debito amore, 1 26 85) Dimmi, maestro mio, dimmi, signore, 1 4 40
Slo ti hammeggio nel caldo d'amore D 6 1) Nem aver tema, disse Il mio signore: 2 40
Donna, ch'aveta intelletto d'amore. 224 Gi) Impediva is vista 0 lo splendore, 931 21
E cha lo nuovo peregrin d'amore 2 8 4 cos) vid'io lo schiarito splendore 3 25 100
Luce intellettnal piena d'amore, 380 40) Noi sem levati a) settimo splendore, 921 19
Deh bella Donna, ch'a'raggi 4° amore 228 43 Ch'eeser non può, ma perchè suo splendore 329 14
Ma quelle c'hanno intelletto ed amore. 9 1 120 | Di cherubica luca uno dora. 311 39
BS aperte in nuovi amor l' eterno amore. 9 29 189 w E degli vizi umani e del valore: 126 oO
Che non possa tornar l'eterno amore, 2 91311 Cresce sovr'essa l'eterno valore. 215 72
Con l'atto sol del suo etarno amore. 5 7 59 Del roman prince, lo cul gran valore 210 74
Che la bella Ciprigna i!) folle amore 8 8 32) Si chs degli occhi tuoi vinco “I valore; a 6 9
Vagliami "1 longo studio e ‘i grande amore, 1 1 | Lo primo ed ineffabile valore, 510 2
Guardando nel eno Figlio con l'amore, 5 10 1| Perocché gente di malto valore i 4 4i
Nel ventre tuo sl raccese l'amore, 9 33 7) loti farò vedere ogni valore. 220 42
Di Paradiso, tanto il nostro amore 314 98 Naggia mo' mirto giò del suo valore. Sai 15
Non circoscritto, ma per più amore 211 2) Fatto c'è rada poi del eno valore. 214 60
E driszeromo gu vechi al primo Amore, 332 142 Quanta ha di grazia sovra suo valore. D14 42
Colui, che mi dimostra il primo Amore. 220 98, Lanudato sla “| tuo nome è *) too valore 211 4
La somma Sapienza è ‘1 primo Amore 1 3 6 Dirender grazia al too doles vapore 21 6
Cominelò si, figlinol, fo senz'amore. 217 02) Cop le ene schiere, perciocchè *1 va iis 36
Se guida è fren non torce lo suo amore 216 63 © per troppo o per poco di vigore. 217 00
Come procede innanzi dall'ardore ì 35 Gi) Non siringer ma rallarga ogni vigore. 38 «a
Po n della pace è dell'ardore, 831 17
Tanto si dà, quanto trova d'ardore; 215 70 orga
Tale scendeva |'eternale ardore: 1 14 97/1 K quel corno d' Ausonia, che sr'imborga 8 8 61
L'un fa tutto serafico in ardore, 5 11 37 8 Da ove Tronto è Verde in mare sgorga. 9 8 609
Vincer polero dentro a me l'ardore 1 26 87, [IM Rodano, polch'è misto con Sorga, 8 to
La sua chiarezza seguita l'ardora, 914 40)
Ta se' lo mio maestro è lo mio autore: 1 1 85 | orge
Sterne! la voce del verace autore, 9 26 40 a Talvolta «i di fuor, ch'uom non sg accorge, 817 14
© Fossero stati, « mischiàr lor colore: 125 6a, Nonm'accors' lo, se non com' nom r'accorge 910 35
. Core) core \p Che l'atto suo per tempo non si porgo. 2910 20
lon esser testimon del cuore, 2 28 45) Chi muove te, ne "l senso non ti porge? 317 10
A'naviganti è Intenerisce il cuore, 2 8 2mFersè, o per voler che già lo scorge. 217 18
O gente umana, perchè ponl Il cuore 214 89) Oh Meatrice, quella cha si scorge lo 57
Vidi cho Vi non ri quelara ‘I cuore, 2 10 100
dA DI lagrime attegriata e di dolore. 210 78 ergo
me ni va nell’ete no dolore; 1 39 2naHKaolkaeadiscends ma non men’ accorgo, 1 17 116
Sotto ‘1 focile, a doppiar ln dolore. 114 290 gl sentia già dalla man destra il gorgo 117 110
Ed ella a me: Nessun maggior dolore, 1 Db 121.a Perche con gil cechi in giò la tesia sporgo. 1 17 130
Letizia, che trascende dolsorée. 3 3) “a, .
Nella miseria; è ciò sn "1 tuv dottore, 1 6 123 ori
© La genti antiche nell'antico errore; 8 8 la In Fano ri, che ben mas a s 71
Già per secoli molti in grande errore; 3 7 29 #E quale, eunansioteles, li albo a 24 145
Di quella fede che vince ogni errore: 1 4 48, SI fa sentir, come di molti amori 819 320
Se nel mio mormorar prendesti errore, 294 47) chi LL a s 106
Lo natorale è sempre senza errore: 217 #4 Of sai tu dove e quando q 220 46
£ Giustizia mosse "| mio alto Fattore: 1 3 4| Fatti mi fero in ho agli Antenorl, 29 5 76
Balro mossa da lieto Fattore, 216 ED. = er per 1 o es
Sp. bree. votes So spalle at sas Fattore 3 681236 N tuo disio già son Ii tre f 920 468
U" la natura, che suo Fattore 8 7 Dl/b Fai luogo de‘ battesratort. î 19 18
Nobilitasti sì, che 'l mo Fattore 829 6G) Corl el ritraean sotto | bollori. 122 so
ordinò in soo favore, 311 390 o DI nette lists, tutta in quel colori, ass 77
Cantanio ed fiore, 2 28 a) Du'archi paralleli è concolori, Sig 11
He Tintapersh, Ge 1 hh a Si is ye fer
P . IN 10) the tle torcela | cuori, 5 o 11
Produce è de a maleionto Gore a EO A te e di
Così è nalo questo flora 233 8 @ Io riconobhi | miei non fasi srrori. 218117
potere al evo fulgore 9 21 lit Tutta impregnata dall'erba è da’ fiori; 2 24 147
ened Spee. por lo qu) 3 B2 141 Coal dentro una nuvola di fori, 230 ss
Ma di s'io veggo qui colul che fuore 2 24 43| Per fratia nube, già prato di fori 3239 80
Star li coovien da questa ripa in 2 238, E d'ogni parta si me-cean ne’ fori, 230 65
Por chs la fiamma sua paresse foore. 222 19) Ond'lo :0 fori slo 22
Nè pur }e creature, che son fuore 9 1118) ‘ales, J in verde è in fiori 2 7 89
In na eternità, di tempo fuore, 929 16) Piena la pietra livida di fori Lie la
Ricomineià : Nol semo usciti fuors 2930 s Ape te do: qua gii pretendi Fori. a 6 Ta
i lo dico di Traiano imperatoro: 210 70 novi tormanti a nuovi frnatatori, 116 DI
1 M'andara sì, che senza alcun labore 222 8 Sana veder di falgori, 2239 84
patpo nen $ nera mesta, oi Senco spera. EP pri TALI A =
er è, qua contumacia muore Poco potea parer fuori;
Che pata ‘1 giorno pianger che si muore: 28 6 E ricadere già dentro o di fuori. 230 30
© Per che non pure a lei onore 3 8 4 Che la valle non parean 27
E pone Dieta. sei pan, Rive, cuore a 265 104 et ese Naat di veut 200 sì
Lo bello stile, che m'ha fatto onore 1 1 87) Nascendo di quel d'entro qual di fuori 213 19
ipy Rinier; quest'è ‘I 0 è l'onore 214 £8 Quando Vl anima mia tornò di fuori 2 10 110
"l Sole er'alto già più a ore; 2 è 44! Traggono | pesci a ciò che vien di fuori 9 0303
2: Emo
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a Mie son ricolte, seni'nllro alutorio.
6 Qual dintornu a questo consistorio
mChe ricaver la gratis è meritorio,
db ILA EL
o Che carilata a soo piacer conforma.
A Perchè ‘n lino al morir si vegghie dorma 3 3
f Falallicando sò in altroi forma;
Iann'ordine tra loro; è questo & forma,
Dell'enpiarza ili lei, che mut) forma
1 Muoveli lome, che nel ciel a‘ informa,
n Donna più su, mi disse, alla cui norma
Tasiando, e Jando al bastimento norma,
Al quale è fatta la toccata unrma
o Hell lomagine sila appareo l'ormai:
Qui veggiun Valle creature l'ora
t Per guadagear la dvona della torma,
orm.
dl Lasciatemi piglinr costui che dorme,
f Sordel rimase, e l'altre gentil forma:
Non trasmutò, sì ch'ambeduoe lo forme
n Insieme si risposero a tai norma,
o E "1 feruto ristrinsa insieme l'orme.
Ben venné susd, od lo per la sua orme,
db 1° ha IL
a Di riveranze ‘| viso è gii siti adorna,
Qui ai rimira nell'arte che adorna
Nel gran for discendeva, che s'adorna
r Fanna che questo di mai non ragglorna,
Una fiata, el altra si ritorna
a Là, dove lo aio Amor samipra soggiorna.
t Per venir verso noi: vedi che torna
Fer che il moodo di su quel di giù torna.
Non della colpa, ch'a menta nun torna,
«e iù db
a Sopra li fori, onde laggil è adorno,
Esser di marino candido, od adorno
ln su vidi jo così l'etera adorno
Per piacermi allo tpecchio qui in' adorno;
Di diveral color si mostra adorno;
Veggendo quel miracolo più adarno.
sBeaBsBsote.$8558880ì
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SERIETA
Però è buoi pensar d'un bel soggiorn
Ed altre roteando fan soggiorno;
Che fallo avsan con noi quivi sogglora
«> ras
Lal mio figlivo]l ch'è morto; ond'io m'acc
Come dimandi a dar l'ainàto alloro.
Così facean li padri di coloro,
Fol si rivolse, è parve Ai co'oro
Tengoo l'anime triste di colora,
Temo di perder vila tra coloro,
|V. conaisiory) conclstoro
Si fanno grassi, stando a consiastoro
Quanilo fa ralto al sowing cunsisiora
Vice ol nicht, pel beato coro
Mischiato sono & ijiel caltivu coro
lo sentiva osannar di cora ia coro
L'altro, ch’ appresso ailorua il nostro cor
Ed Urania m'aiuti col sno coro
Per la campagna; è parve di costoro
Dione s'alcun Latino è tra costoro,
La miserella infra tutti costoro
Vadral trascolorar Lutti costarà.
Dimandò "1 Duca mio, sanra dimoro:
Lodiamo | calci ch'ehba Eliodoro;
li Grarian, che l'unò e l'altro f4ro
in quell'arche ricchissive, che foro
Ed essar mi parea là, dove fàro
Quand'elli un pore rappaciati fora,
Né fur faieli a Dia, ma per sè fàro
E terri sempre, nel qual sadpre foro:
Che in Sennaar cou lui superbe foro,
Di mal tolletto vuol far buon lavoro,
Eteroalmenta a cotesto lavoro
Vedea Nembrotts appié del gran lavori
O buono Apollo, all'ultimo lavoro
(ind'hanno i funi ciò che va con lore
Ginso alle gambe; onde ‘1 decurio lorw
Cominciò ll Duca mio ad un di loro
Del mezzo, ch'ara ancor tra noi è loro:
Ed eran tante, che ‘1 numero loro,
Armat ancora, intorno al padre loro
Di cavalieri; e l'aquila dell'oro :
oro
Per lor su ian! slo pro dell’ oro
Poco più oltre, sette alberi d'oro
Un'aquila nel ciel con penne d'oro,
Quale a raggio «li role specchio d'oro:
Dieci, che ‘1 sai, di che sapore è l'oro.
DI Babilonia, ove al lasciò l'oro.
Pp L'alpestro monte, oud' è tronco Peloro,
Polinestor, ch'ancise Polidoro.
r Dunque, che render puowi per ristoro ?
Infin là ‘ve si rende per ristoro
t Quivi si vivo è gode del tesoro,
Nella mia mente potei far tesoro,
Slot) raccomaidato Îl mio Tesoro,
La luce, In che ridea lo mio tesoro
Vittima fassi di questo tesoro
Offerse a santa Chiesa il suo tesoro.
Quand'io udl'; Se jo mi trascoloro,
orpio
Lasciato al Tauro, è la notte allo Scorpio,
Di Ora era che 'l salir non volen storpio,
«ria
a la novità, so fior la penna abborra.
e E disse all'altro: 1" vo" che linoso corra,
Perchè “I toretio a sna lussuria corra.
Ta nuvra gente: Seldon e Gomorra ;
È Prima ‘he "1 primo passo Il trascorra,
= Così vid‘ jo la settima zavorra
orre
E lo evegiiato ciò che vedo abborre
= s‘inganna; e dietro ad esso corre,
Terd convenne legge fren porre:
Per due fammetre, che i' vedemmo porre,
Liberamente al dimandar preoorre.
rf Mi volsl, come vol, che ricorre
Per lo to visivo, che ricorre
Che qual vuol grazia, sd a te non ricorre,
® E quella, come madre, che soccorre
Fin che la stivativa nol soccorre ;
La tua benignità non pur soccorre
t Che nol fussimo al piè dell'alta torre,
Della vera ciltade almen la torre.
to, ch appena "1 potra l'occh'o ibrre.
orri
che pol nel aborri:
parve veder molte alte torri;
a ma: Però che tu trascorri
oren
l'avero, è me misi in borsa.
su
sti È
e col ta 1° nella tua borsa.
Soddoma è Caorsa,
per) la ripa corsa
ché fidanza non imboran.
suo conio nulla mi s'inforna.
et > coscienza è morsa,
te
Fampomopgo
HEBE
i dit
Sagili.
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GEseso &5
la sua voce, che “| suol ben disporre,
fi da = idegovioeoge doi
=== osetss0sttostica
© iii
È orscorso
estate ntuda 8658
110) Lo Savio mio in var lol gridò: Forsa
413 Provelde alla milizia, ch'era in forse,
20) Tal che di halenar mi mise in forse.
129) Lo dolce padre, ed lo rimango In forse;
117| Una voce di presso sond: Forse
185 ita va "1 Moota, |’ temo forse
323) mNalla el ta Moree:
115 È quando 7 dente e, morsa
in
31 Li = rig il — mare,
33 mane bole la si morse,
il
119
121
6 E novo Musa mi dimostran l'Orso.
p La pena dunque che la croce porse,
29| Udir non pote’ quello ch'a lor porse;
108| Parlando, di parlare ardir mi porse.
19| Falsi colei cho la cagion —
Pal feamento al Sola gli cechi pores;
Sì pia l'ombra d'Anchise si porse
H Per ché ‘1 lume del Sal già non «i porse
Che on nel mondo In morta U porse?
r Lo popol diaviato al raccorne.
144 tha cinscun dentro a
140) Quella che appar di qua, è mi ricorno,
4u Min cascetenza idfrilià mì rimorso,
40, pol la medicina mi riporse.
33 Un dice, che lan Luna sl ritorso
la soooorse,
di) E ia sinistra di sé torneo,
4) Alsuon di clascun di noi ni torse,
18) iso, peroochè si torsa
2) Quando la Donna a ma totla si torra,
71| rt + disse, in già cod t tarsat
14 entre che sì parlava, ed el trascorme:
4 è Marte a nomloar trascorsa
T6| Ma per ia lista radial trascorse,
10| Sue invenrioni, è quelle son trascorse
2| Ed seco un tustro eubito trascores
st orsi
> DCI Ta belgian] si Gen ie sesame
‘ottava ini com'lo mm
Da Aya GdF
20! Subito, s) com'lo di lor m'ascorsi,
22|]c Alla mia caritate son concorni ;
Per ch'io dentro all'error contrario corsi
1 Quando | cavalli al cielo erti levébrsi ;
72) Di manicar, di subito levies,
85|mAmbo le mani per dolor mi morsi.
50| Però ricomincial: Tuttl quei morsi,
Hr ny +
87/5 Lol che mel vico a"dett gli sei oa,
52] Nel doloroso carcere, ed lo score
70 t Per veder di cul fomer, gli occhi torsi;
ag oreo
© FE come sare’ lo iui corso ?
miloma t'¢ pieciol amaro morso |
T| Venire dando all'accidia di
114) Come ciascun menave speso il morso
126 r Veramente 1 Olerdan © retrorao
Sole bee ks 4, morso :
102 î a wan ae mu fi ances
124 Dei plasicer che nen he giò suoni.
i e e Tee
T) Tant'era già di 1A da nol trascomo:
Ch]
112 pria
be |a Donna del A ago
"ì Ea dirty A
a ;
soll Se sà butte fa de,
Nostro intalletio; n, 8° i apporta
I24le (¥. ports | 20 3) comporta
orti
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SouGsSsecca-bosares
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PR det ett ti) PA + A ee LA AA oe -{-{-
ed Lede eT |
PSsSssssssssses
Shale SESSESoE8s.~
$scss #s8ess.228..
r La festa di Tomnaso rloonforta,
a Ubbidire alla inla celesia Scorta,
ho eguardo inla le facéa scorla
Due anlime che là ti fauno scorta;
Cominciò egli a dire: Ov'é la scorta!
Del duro scoglio, sì che la mia Scorta
Secondo ch'avea detto la mia Scorla:
Cosa non fu dagli tuoi cechi scorta
Passando per li cerchi senza scorta,
Velando | l'esci cli arano in sua scorta.
ry
Le sotto donne al fin d‘un'owhra amorta,
t lo vidi un’ ampla fossa in irco torta,
La divina Scrittura, 0 quaudo è torta,
E se la strada lor noo fisse torta,
Tanto il dolor le fe" la menta iorta.
Riaposi lui, veggendola tì torta.
Perchè fa parer dritta la via torta,
Filosofando; tanto vi trasporta
orie
a Gridava: Lang, sì non furo accorte
Noo sé ne sono Ancor la genti accorte
L‘aniwe, che si fur di me accorte,
Trasan di me, del info vivere accorta
Sovra colui che già lente Altaforte,
o 0 tagli l'adra, che per ne comporte
In te ed in altrui di ciò contorta;
Per alcun che dell'onta sla consorte,
A questo ulicio tra ls tue consorte.
Da tutte parti la beala corte,
Le minurle de' corpi lunghe è corta
l'oscia vongiata fu da giusta curlo,
L'accusa dei peccato, ib uustra corta
Lo Ben, che fa contenta que la corte,
5) che, veduto "l ver di questa corte,
Come Hera aire in questa corta
Che dura mollo, o le vile sou ecerle
E dinauil allo sua sp rital corte,
Tanti, ch'è’ vuol ch'io veggia la sua corte
Che vool simile o sò tutta sua corta
Ti ponga iu pace la verare corte.
f Cou piolre uu giorinetto ancider, forte
Come! diss'eglij è perché andate furta,
Facea ; ma rag onado andavam furte,
de i Be o je GEE o o o O O i O eee
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è a a_i aan, 2
mio, lav
Ò Î
2 dn
echi che fir porta,
Queste parole da jor ci far porte
fu vill più di mille in su Je porte
Tal divenn'io alle parole pòrie;
La postrà carità non sérra pi.rta
‘Tu nota; ee) come da me sou porte
Tuilaria, parchè ina” Vergo: ne ports
LE Vowbre, che parsan cuse rimorte,
610 non avessi viele le ritorte.
Vulsarzi verso ine lo buona scorto,
Dirb dell'altre cose ch' io v'ho scoria
E tue parole Den la pustre scorte.
Chi v'ha per la sua scala tanta scortal
Maravi;liando diventaro smorte.
= pet er er =e
i Cie A
re Tini e ML 9
*
Delia «inartana, cha già l*ooghie emorte,
ihe jovidtosi spi d'ogni altra sorte,
Mantova l'appellàr senr'altra sorte,
Nel qual tu siti, per starna sorta,
Del nome ino e della vostra sorta,
Quiwi pregava coo le mani sporto
Così si veggion qui diritte a torte,
Son queste ruole intorno di lui torie.
orti
Tanto mì parver ambiti ed accorti
Dicendo: Inirate; ma farclovi accorti,
Quisi Lume del clel ne feee accorti,
lisse a’ compagni: Sete voi accorti,
Poscia ll pie dirietro insieme attorti
E la grazia di Dio cid gli comporti.
l.e porsze sus per gli altrui contorti |
Che al re giovane diedi i mal conforti.
Indi m'han tratto su li sual cunfurti,
Superbia fe’; «hè tutti i wield consorti
Ove le duo vature sun consorii
Uuizzande più che gli altri suoi consorti.
Fra vuorata ed ressa ec suui consorti
Ki i duo più della era, ch'eran corti,
Alla salute sua erau pià corti,
Li tuoi ragionamenti sien JA corti;
465|d E quando fur ue' cardini distorti
17|f Che furo all'osso, come d'un can, forti.
Che di metallo on souanti e forti,
i he ne concsla i suoi meri Furti.
Che gli organi del corpo saran forti
=a
fa Ea
orti
La 13°5985335338388883382"38"35 SEFSRIS3P PSIASERRETES Gua 8"S38"3325°3838283
Pra BICE Se DE SEE O
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layrimose:
maravigliose.
merdonò,
now glieli nascoso,
ni bASC0RI.
i l'altro dissa a lul: Perchè nascosa
altri, che la Inca al nnscosa
Né per elezion mi si nascoso
Mor più letizia sl ini si nascosa
{W, id age A PI 12) iat i
Tosto che “| vostro viso ai unscose.
\¥ gacuse 2 PZ AU) nascusé
Che dietro a pochi giri son nascose
P Dell'altre no, chè nou son paurosa,
Così ‘1 sopran gli denti all'altro pose
Soavemente ‘1 Mio Maestro pose:
Tu vuoi udir quant'è cho Div ini pose
Mia madre a servo d'un signor mi poso,
E poi che la sua mano alla inia pose,
Per lo patto che Dio con Not poso,
r Se bene intendi, perché la ripose
Talida è, la puttana, che rispose
Appena ebbi la voce che rispose.
Com'a'Giudci, tale eclissi rispose.
E sì l'estrema all'intima rispose.
La famiglia del cielo, a me rispose:
Con lo intelletto, allora mi ri-pose
Uno intendeva, ed altro wi rispose:
Dirotti brovemente, ini rispose:
E così chiusa chiusa mi rispuse
Al buon Virgilio; ed esso mi rispose
Lo benedetto segno mi rispose,
Un poco a riso pria; poscia ris :
Domandollo ond'e' fosse; e quei rispose:
Matelda che il ti dica; e qui rispose
Per troppa luce, quando il caldo ha rose
Così di quelle sempiterne rose
Non altrimenti ‘l'ideo si rose
s Al segno de'inortai si soprappose.
Che foran vinte da novelle spose.
:
È
3
i
Pe
i
e
do
£
È
5
E
done
a Lo Duca od iv per quel camwino ascoso
d lo, ch'era d'ubbidie disideroso,
e Con queste Leu vid'io glorioso,
o Nè, per la fretta, dimandare er'oso,
A soddisfar chi © di 1A tropp'oso.
p Così m'andava timido e pensoso.
Ed è qui, perchè fu presuntuoso
r E senza cura aver d’alcun riposo
Vid'io Fiorenza in s) fattu riposo,
Ito è così, e va senza riposo,
Non era ad asta wai posto a ritroso,
y__<
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CON GH PDN DS DI (0 0 de
AO LI = © CL NS NS LI NI CI = LO DO DO CO LO DI dee LO CO dt CI dit
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33
12
32
15
29
7a)” Ond'el levò le Ciglia un poco ia Sos
20
sa Sotlo lo imperio del buon Barbaro:
d94
bat E tale ha l'un piè dentro la fou
107| Latò i, ina fuor di questa
118) dime: Che fai ta fa questa fuma I
153 maladalta è sventorata fonsa
na on, ché d'una scrofa arrorra e gro
02 e e pa
3a) come ruota che igual è mos
27 cho poles sua ia osser mossa.
o 4 tt A Coben Ea
68) L'alte'era, come se le carni a l'oma
68) Cominciàr di costor le sacratò ona
aL non che la min meutle iu percosi
Le È Hi
ae Ringhiosl più che noa chiede lor possa
lil alla Snia qui sun paso.
St] (Da grate Si è tenis pen
Lil fia corona vedova promovea
Fr
dale
i Venlan danzando: l'una tanio rossa,
109 ‘a È sl l'incendio immaginato È
‘25° Per che ‘I ciel, com’ appare anon gr a
103 /f Nol pur giangemmo dentro all*all fo
du Così sen gira, e non creda che Posse
133 Maggior paura noi credo cha fusse,
Lo wura ini parta che ferro fusss
da wl vulpes per veler ow'io fosse
Ed ancor non sarei jul, se nona fosa,
#9! Se la Scrittura sovra vol noo fuse,
Yo Prima ch'io fuor di poerizia fossa,
128, Tal modo parve a me, che quivi fusse
125. S'io credessi che mia rispusta fosso
109, E nun sapendo là dove si fusse,
49, Ch'alcuna via darebbe a chi su fosso;
19! Acciocché re sulliciente fosse:
17 g Ne non è giunta dall'etati grosse!
68 O terroni animali, o inenti grosse!
233! Dove le resistenze eran più grosse.
32 mE dopo sè, solo accennando, mosse
102 E quella tesa, com'anguilla, mosse,
21! Pensa chi era, e la cazioo che “I mosse,
29, Ver occulta virtù, che da lei mosse,
29 Al modo suo, l'ag.uita punta mosse
58| Con l’uficio apostolico si mosse.
46 Da sé, ch'è somuo ben, mai non si mos
138, Che da cla del inonte, onde sì niosse,
56, Antandro e Simoenta, onde si mosse,
83; Altre rivolgon sè, onde son mosse,
26 p Di qua da Trento l'Adice percosse,
47 E negli sterpi eretici percorse
110! Poi vér Durazzo; e Farsaglia
134, Quando con gli occhi gli occhi imi perce
19 Tosto che nella vista ini percosse
130 = Tosto ch'un lume il volto mi percosse,
42° Sì come in certo grado si percosse.
60 Non ho parlato sì che tu non posse
! O vanagloria dello umane posse,
‘r Cho da vgul altro intento ini rimosse
133. Non altrimenti Achille si riscosso,
43; Ch'entro l'affoca, le dimostra rosse,
151,8 Questa fiamma staria senta più scosa:
149, E mal per Tolomeo poscia scusse :
126
151| ossi
1223 o Ahi quanto nella mente mi commossa
135 Mapiùeé"l capo già che i piè ml co
149 d Chi fusti, © perchè volti avete i dossi
124/f Drizzai la testa per veler chi fossi;
153 Movien, che ricidean gli argini e i fuss
="332
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Sur
Creando, a suò piacer di grazia dota
& Allor mi disso: Quel, che dalla gota
Lo mio Maestro allora in su lu gota
Ma quando scoppia dalla propria gota
i Fur come sposa tacita ed immota.
mos) diretro a poi, più tosto mota,
n Temprava i passi un'angelica nota.
Sa tu ne vedi alcun degno di nota;
Tin tin sonando con sì dolce nota,
Dentro alla tua letizia, fatmui nota
Ch'appena fora dentro al fuoco nota:
L'altra letizia, che m'era già nota,
Poi disse: Bene ascolta chi la nota.
Ciò che confessi, non fora men nota
Nel tornearo e nella mira nota
Misesi 1\ nel canto e nella nota;
Giugnendo per cammin gente non nota,
Ed In dolcezza, ch'esser non può nota,
E ciò espresso o chiaru vi si nota
Se bene intendi ciò che Dio ti nota;
P Qual fin balascio in cho lo Sol percuota.
r Come di Paradiso, fu remota:
O predestinazion, quanto remota
(V. remota) rimota
(V. ruoli) rota
Alcuna fiata quei, che vanno a rnota,
Venire a'due, che si volgeano a ruota,
Tre donne in giro dalla destra ruota,
Che tu vedesti dalla destra ruota,
Così vid'io la glortosa ruota
Che fosse ad altro volta, per la ruota,
E Stazio ed jo seguitavam la ruota
Rivolge sè contra ‘I taglio la ruota.
E di° perché ai taco in questa ruota
Però giri Fortuna la sua ruota,
Vostra natura, quando peccò tota
Che la prima cagion non veggion tota!
Vv Se non riempie dove colpa véta,
Glustinfano, se la sella I votat
Fu, quando Grecia fu di maschi vota
Sì passeggiando l'alta selva vota
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d E l'altre poi dolcemente e devote
Dall'altra parte m' eran le devote
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32 41 n Come ‘I suo ad altrui; ch'a nullo è noto.
Che non per vista, ma per suono è noto
Cominciò egli, non ti sarà noto
Non dimostrato, ma fia per sé noto,
13 G2'p Le mie peccata, e ‘1 petto mi percuoto,
— go —
38) si al padre; chè “i n DA dol
39 queto le lanossa cote
iil | altrui le gote
42) Premevan pede yh men
104) n E) che © arte a. quasi è nipote,
108) Ch'io metta ‘1 nome tuo ore l'altre note
4) E mentre lo ua cantava cotal Lote,
© con si dolci
52° Pur l'anime che son di fama note:
110| E non senza (ti den sole
lid| RF, e¢ tu ben la toa Fisica nota,
64/ Ben si de" loro aitar lavar le note,
112) Ma qui tacer nol posso; e per le note
Onde, se ciò ch'io dissi 6 questo nota,
198|” Grencende simana Dese en” lia "3 parensià
127 In che lo strali di mia ‘atanzion reuole
57) Là dove molto pito qui rn rimani 7
8| Nell'aer vivo, mote percuota,
12] Che lo alte chine | percoole;
55, Dove l'un moto all'altro al percuote;
125) Porte con dubs le piote.
132) Eescre a lo, cote che puote |
130| Deel’ oom chiuder le quant’ el puote,
10| Cho la voce nou suona, ed esser puòls
53) Ciò che "l mio dir darai fon puote
120 ava ala ord le ch‘ osser nou puote
E E gi mì, ch’ esser non puote, i
Che |" vostra quella, quanto puote,
69] Della cornice, onde cader ai puoto, |
22, A mostrar ciò, che in camera si puota
21] Vuolsi cos dove si puote |
Bi| Vuolsi coi colà, dove si puote
60; O so del mezzo cerchio far si puote
110! DI qua che dire è far per lor si puote \
65) In noi l'affetto sì, che oon si puote
106) Ed andar su di notte non sì puote ;
97 Ma nel mondo seusibile si puota
40 E la percossa pianta tanto puote,
111) Vivo son io, @ caro esser il puota,
10°F La luci fissi, di lassù remote ;
33] E quanto le sue pecore remote,
104 Quant'elle son dal conbo più remota
143) Anime sono a destra qua remote:
56| (V. remot) rimote
123| Leva dunque, lettore, all'alte ruote
67; Beatrice tutta nell'eterne ruote
99} Cheintornoagli occhi avea di fiamme ruote.
38; Con l'ordine ch'io veggio in quelle ruote,
24] Non hanno molto a volger quelle ruote
109’ S'egl’intende tornare a queste ruote
17| Però ti son inostrate in questo ruote,
147 Rendon dolco armonia tra questo ruote.
67 l'ossan usciro alle stellate ruote.
93) Avendo gli occhi allo superne ruote.
69/8 I: quella poi, girando intorno, scuote:
87,v Non avea case di famiglia vote;
130| S‘elle non sien di lunya grazia vole,
Più tornano all'uvil di latte vote.
20 oth
107 mFelices ignes horum malahdth !
tee 8 Osanna, sanctus Deus Babadth,
145 oto
65 e Quest! è Nembrotto, per lo cui mal coto,
“4 Mi disse, appresso il tuo pueril coto
42 Ad Cui questo regno è suddito e devoto.
GH De" suoi comandamenti era devoto,
95 | S' lo torni mai, Icttore, a quel devoto
85! Jo risposi: Madonna, sì devuto,
132 | gr Sotto il governo d'un sol galeoto,
8: 1 Più non ci avrai, se non passando il loto.
_H9 mNaturalmente fu sì ratto moto,
103, Non scese mai con sì veloce moto
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care
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E o ch ctv | E 4 Me - bp % tini “re tr e ì alk ra sesti
o S' cava, da hl al dava all'ozio; dv Per altri via na ona Vi sarlà Duc
s Son giva, o chi soguemnlu macordozio, IL db) Press| a suo per lo veraro Mca:
1 Dogna è, cho dowv'é Pau l'altro 4" Lodi
onan 1 E vengo iu le, ove non © che luca.
1 Con gif cechi vill a chi del (ango ingozsza 1 Cat pi rd eli eee
mEd un ch'avea l'una è l'altra nan mozza 1 28103) py scco, sì come ne scrive Luca
p Così girammo della lorda pozza 1 7127| & 6 ja fama ton dope te luca,
6 5) che ‘l sangue facca la faccia sozza, 1 28 105) 6 come ‘I pan fame ui manducea
Quest'luno Ki gorgoglian cella atiozza, - 7125 la ‘ve’ basi "a 3
Li # Pi =
Con la lingua tagliata nella sirozza, 28 101 + eons culla mani
r Vuul andar eu, purchè "1 Sol ne rilue,
t Ma da che [iw in te woul che traluca
ocee |
b Nazione, e duo corone han fatto bozze. 3 19 139 MEC
mLa sua scriltura flen leitere mozza, 3 19 154 g El mormorasa; 6 non so che Gentuec
8 E parranvo a clascun l‘ipere sozze 3 165 196)1 E so’ Alessio Interminei da Lucca:
Più d'un che d'altro, fe'io a quel da Lu
oaal p Della giustizia che sì gli pilucca.
o In eterno verranno agli duo corzi; 1 7 65]|8 Oad'io non ebbi wai la lingua stucca
mCol pugno chiuso, e quelli eo'erin mozzi, 1 7 67/5 Ed egli allor, battenilosi la 2uOeca:
8 La sconoscento vita, cha | fo'sozzi, 1 7 63 ucchlo
aura mE di Franceschi sanguinoso muochio,
(8 Là, dove soglion, fan de'denti succhi
4 w E'lmaatin vecchio, e ‘iInuuvo da Verruoi
du ucel
95 a Alle curule Sizti ed Arrigucel.
19 b Sacchetti, Giuochi, Fifanth è Barucel,
aie Lo ceppo, di che nacquero i Calfucocel,
c Che giova nello fata dar di coszo ?
Per non guiarrirei, a per nin dar di corro
E Ne porta ancor pelato '1 mentu e il gozzo.
mA cui non puvte ‘| fin nai esser mozzo,
E qual forato suo mewbru, e qual mozzo
Pur: Guarda, che ida we tu non sie imvuzzo.
ua ig
retro
aan oe
a ll modo della nina bulgia sorzo, 1 li Ch di i
M'andava lu per l'aere avaro e sozzo. 10 13 EA putting rt co let cri
t Ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo “8 17)f Sicomea wal ch'io foi: son Vanoli Puo,
[mE jo al Duca: Digli che non mucel,
tn ea È oe
a Con esso un colpo per la man d'Artà; 132 62 i
f Se Tosco so', ben déi super chi e*fu, * 152 gajb Muoversi ay su per l'estrema bucela,
p Col capo si, ch'i' non veggi'oltre più; 1 ag ga|o Chi è colui, Mazatro, che Horuccia,
6 Disa'io, e cul più rossa fiamma succia
URL | ua gd
a Sopra la qual doppio lume s'addua: 3 7 8)a Dinant quel che "l tempo seco adduce
r Non è fantin che sì subito rua 5 30 B2|c Fece li cieli, è dié lor chi conduce,
s Così, volgendosi alla ruota sua, 3 7 4| Chesuegiù del soo lume conduce,
Molto tardato dall'usanra sua; 3.30 Ba]d Che quel della wia taba, che deduce
t Superillustrani claritute tua 37 2] Cerchlands ‘1 mondo, del soo caro duci
Ma è difetto dalla parto tua, 3 30 80] Ordind general ministra » duce,
ap
uce
La
cera di costoro, e chi la duce.
tuo piacere omal prendi per duce;
fu sommo canter del sommo Duce.
lotanto ancor ne splende il sommo Duce.
Con atto e voce di spedito dace
1 Da essa vien ciò che da luce a Ince
La virtà mista per lo corpo luce,
Stupido tutto al carro della luce,
Nello intelletto tuo l'eterna luce,
Distribuendo egualmento la luce:
Nol » im, come quei c'ha mala luce,
Tanto, che nol seguiva la mia Incs.
or corpo al clel ch'è pura luce;
Da molte stelle mi vien questa Joes;
_ BP Ond'egli a mo: Se Castore è Polluce
Le cose generata, che produce
Essa è formal prissipla che produca,
Della gloria futura, || qual produes
Che quella terra sol da sò produca.
r Vedi li Sol, che in la fronts ti riluce;
n E waltra cosa vostro amor seduce,
è ldéale pol ces è men traluce:
Mai conoscinto, che quivi traluce.
Di color d'oro, in che raggio traluce,
mel
o Da mia memoria labili a onduel.
Per lo nuova cammin, ta ne condnel,
a L'error de' ciechi che sl fanno duel.
Genti vid'io allor, come a lor duci,
din sempre li tuoi raggi duel.
Come "1 o del mondo e de'saòl duel
f E tal candor giammai di qua non fuel.
Drizza, disse, vir me Ll’ acu luot
Tu scaldi ‘1 monde, ta sovr’ sso loci;
E nall'affetto dalle vive luc,
Però che tutte quelle vive luci,
r Che mi dimostri amore, a cui riduco
meln
n Por tutto Il tempo che ‘I fuoco gli abbrucia:
© Che la piaga da sezzo si ricucta.
b Come «i converrebbe al tristo buco,
© Non sensa tema a dicer mi conduco.
ws lo premerei di mio concetto |] suco
ma
e E'nché conviene ancor ch'altri sl chiuda,
rato da quella Eriton eruda,
come la morte mia fu cruda,
passando la vergine cruda
trame un spirto del cerchio di Giuda.
la qual si distende « la impaluda,
mbreve pertugio dentro dalla muda,
na coltura, e d'abitanti nuda.
pes
rro mal, nè batts anoude.
eos) "1 ciel sl chiude
sì ti conchinde,
dover le genti orude.
la parvle crude.
si n alcun tanto crude,
Ed lo: La prova che ‘I ver mi dischindo
da quel ch'agti inchiude
Non altrimenti "1 trionfo, lude
Ma quall'anima, ch'eran lasses è nade,
"lo vidi duo ombre emorte e nude,
eramento oramal saranno nude
î
È
1 L'ultimo è tutto d'angelici Indi.
t ne'dno penultiml tripadi
v i, e pol Virtudi;
— BIO —
67
191 tudo
72/0 Pol, di
be o è =
asa
87) Quel pria, ch'a ciò fare era
146 d Dentro vi nacque l'amoroso
148. A me rivolsa, quel feroce drudo
70| Sotto la
00, Laschai
20) me
70' a
él.
Dell’ un «dirò, peroochè
Del mio Maestro |
osiJenuaggecu1ada È
fi
E — oo la coda tr ambedua,
ao È, DE amiedur) ambodue
Sees eel oeekbeogeoere Geo oOeeonw
ki = See - Kone
= Ol ie
_
ta
sospetto piano è d'ira erudo,
0 108, Benigno a' enol, ed a'nimici crudo,
ù erndo.
rudo
BO 1 O tu cha leggi, odiral niovo ludo.
8.,s Tanto, che sol di lei mi fees scudo
rotezion del grande sendo,
il collo, e sla la ripa sendo,
Assal mi fu; ma or con ambedno
Dico con l'una, o ver con ambedue.
Or va’, che un sol valera è 4° ambedue:
l'ambedoeo
Ad artigliar bon ini, ed ambedos
pani; ed ambedoe
lo mio Maestro ed io soll ambedue
prime eran cornuta coma bue;
d Ventiquatiro senlori & due & due,
Se wool saper chi son cotesti due,
El jo rimasi in via con sato dua,
9 z0 19 Wil eran duo la neo, sd nima in And:
213 17) Diese: Volgiti in qua, vedine duo
2 18 15| Che del fare è del chieder, tra vol due,
2 29 64 f Mio figlio fn, « tuo bisavo fue:
2193 31 Ma il detto Agahite, che fue
3230 #8 A dimandaria umilmenta chi foe.
2920 66 R tal eclissi credo che in clel fae,
2 18 16 Md Ismene ni trista coma fue:
213 10 una voce dello fae,
220 62 E quando Innanei a noi sì entrato fue.
320 10, Colni vedral, colmi che la
218 14 Del padre loro Alberto è di lor fua.
Tanto cha "1 cinghio sotto | pid mi fue.
È, Nesti misericorde, fue
226137 Coal gli diva: è hé mosso fue,
2 26 139 Ellara abbarbicata mai mon foe
Che l'amana natora mal non foe,
Simile mostro in vista mai non fue,
132 2 Qaando diritto è sel fua,
1 32 | Divetro a tutti 4 n: Wrima fue
132 4| Del nostro Pellicano, è questi fos
Tanto s' avea, è: Deh chi dotat fua
Lo calda aghermilor subito fue:
A asi are pages a — =
questa ragion perchè I uom
139 20 g Quando ml disse: Volgi gps in gine:
120 62, War la dura, pur col riso in gine
1 9 27| E vidi uselr dell'alto, è i
130 80) come 1 to
io Hier Agnlone, sd altri piuo
E t (slo non procsdersi avanti pius),
1 8 25| Tua narinne, a che cent'anni © ples
O quanta a quale vid'lo lal far piua,
the la somblanea non sì matt plus:
9 2\ 102, Una natura in Cristo omer, non
330 #8, La Donna cola così) hà però pine
Sas = ath Kaeo i a .
i nd’ lo ail* ua
3 9 48) A dt et
1 9109) Tact are in
130 29, Per l'altrui membre è le ena
3 24 100, Dalla ina della mombra sus.
330 19| Che Il sen l'opera soe.
2 50 10) Perché nd an fine fir l'opere sua.
1 9100 Coma la mente alle parole sus;
130 25) Per In parola sue,
Oe ae ee nn
mi prescrisser le parole ana,
1 3 98 Foscià, che prima, le parole sue.
D 8 44) Pol procedattar la parole ma,
2 33 109 phe he peed apt.
130 27) Proda nequistàr parole sue;
Mise fior toate Re gar ea
Tronche » o nt lr
9 28 120) Cho vedesso ‘1 Miordan ls rede sa.
9 29 124) E dimanda sa quine sl va sue
3 28 129! Dunque a Dio convenia con lo vie sue
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wie
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odo ‘) faleon wa là wattufla;
$i lino], veder la costa bafta
bulla,
A pa che") ciel dolla marina naciuga,
f Del
l'imagine lor vie più os‘ asciuga,
loos, v mal uso che gli frugra.
La rigida giustizia, che mi frog
Itivolti al inonta, ove ragion ne fruga;
metter più gii aial
Virté cowl por nimica al |
Arvegnaché la subitana fuga
Cal
ei in fuga.
ho la terra cristiona tutta ad
Es
na lo, Guanto, Lila è Bruggla
do "| mar ai
4
a
b
t
w
ugia
mTra le gambe pendevan le minugla;
p Com'io vidi un, così non si pertugia,
t Che merda fa di quel che si trangugia.
ugio
b Su per lo collo, come fusse bugio.
Questi che vive (e certo 10 non vi bugio)
4 Così, rimosso .l'aspettare indugio,
Ricompie furse negligenza 6 indugio
p Prende sua forma, 6 sì) come al pertugio
Però ne dite ond'è presso ‘) pertugio.
ugna
a Quale quel cane, ch'abbaiando agugna,
p Che solo a divorarlo intende e pugna;
Prese la terra, e con piene te pugna
Contra miglior voler, voler mal pugna;
s Trassi dell'acqua non sazia la spugna.
a Procacciam di salir pria che s'abbui;
E falsamente già fu apposto altrui.
Dell'acqua, più che non suol con altrui.
Con l'affermar che fa credere altrui.
Questi si tolse a ine, e diessi altrui.
Qual si fa danno del ben fare altrui.
Fan di Cain favoleggiare altruit
Ché suole a riguardar giovare altrui.
Ma rivulgiti omai inverno altrui;
8) ch'io la vegga. e ch'io la mostri altrui
Qual se’ tu, che così rampugni altruit
Risposer tutti, il satisfare altrui,
Ma fa sua voglia della veglia altrui,
A seder ci ponemivu ivi ambedui
E mantovani per patria ambedui.
b Se mai sarai di fuur de'luughi bul,
Però, se catupi d'esti luoghi bui,
Ma ditemi, che sun li segui bui
c Lo Duca stette; ed io dissi a colui,
Guardai, e vidi l'ombra di colui
Nè tardo, ma‘ che al parer di colui,
Chi è più scellerato di colui
Vi si mostrò la suvra di colui
ii ns io Lo de e
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Uh' io mi sfurrai, carpando Jel,
i pol mi fece entrare appresso hel,
Così dissa "1 mio Duca; ed jo con Lal
Ma | Provenzali che fr contra tui
| La mondo è cisco, a tu vian ben da lui,
26 Ch'lo domabdava “) wio Duca di bul,
23, Di me s‘tuprenta, com’ fo fe' di lui;
27; Che ne miel occhi rifrangesse lui.
| Lunya fiata rimirando lui;
Com‘ esser posso più, ringrazio Lui
27 Ed umilmente ritornò ver lui,
109 n lacontra, mi rispose, che di nui
25'r Se, com'io dico, la vista ridui.
107| Per che gridavan tutti: Dove rui,
23 # Da quel ciel, ch'ha minor li cerchi sui;
211 Che richiamava l' ombre a'corpi sai.
A Dio spiacenti ed a' nemici sui.
Per aver pace co'seguaci sui.
28't Mi dimandò: Chi fur zli maggior tui?
30| vw Noi udiremo 6 parierewo a vui,
tot.to 303882 3
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ze 83 enti
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1
8|a S) come riso qui, ma giù s' abbuia
Tal si partì da cantare alleluia,
Perch’a lor modo lo intelletto attuia,
62|b E furse che la mia narrazion buia,
139| Mostrargli wi convien la valle buia:
90}|f Non è ladron, nè io anima fuia.
105| Voglia di sé a te puote esser fuia.
126| Messo di Dio anciderà la fuia,
132]1 Dio vede tutto, e tuo veder s’ inluia,
61
54! ulero
19/a Qual ella sia, parole non ci appulcro.
62' p Mal dare e mal tener lo mundo pulcro
87.8 Questi risurgerauno del sepulcro
80
151| ulgo
52 i Ma lietamente a me medesiua indulgo
69 |r Cunizza fui chiamata; e qui refulgo,
141/v Che forse parria forte al vostro vulgo.
82
49 ulin
85 b Rimanea della pelle tutta brulla.
59; Sé per sè stessa, a guisa d'una bulla
27!c Che di sei ale faunosi cuculla,
29; L'una vegghiava a studio della culla,
120.f Prima che sia, a guisa di fanciulla,
a
Surse in mia vistone ona fanciulla,
1 GIÀ veggia, per merzul perdere o lulla,
mUn alore, a guisa di macinila,
m Della ena sepoltura; ad ancor nulla
Diss'io, beato spirto; sì che nulla
A quel dinanzi il mordera era nulla,
Perchè per ira hal voluto esser nulla |
L'anima samplicetta, che sa nulla,
Mostrasse; d'aggoagliar sarebbe nulla
6 Dunque la voce ina, che ‘| ciel trastulla
Volentior torna a ciò cho la trastulla.
Che pria li pairi o lo madri trastutia ;
Rotto dal mento insin dove si trulla.
nilo
b E non pur lo suo sangue è fatto brallo
nm Della casa da Calboli, ove nullo
@ Del ben richiesto al vero ed al trastullo ;
ulae
1 E nel ciel velocissimo m' impulse.
E la virth, che lo sguardo m'indulso,
r Vér lo piacer divin, che mi rifulee,
n Nella famma d'amor non è ndulto.
o Ma Din volessa, m'è oconlto
5 Questo ileereto, frate, sta sepulto
a E senti’ dir: Reati, col alluma
Quando colul che tatto ‘1 mondo alluma
Ob Cd be bibite
214
214
214
3 27
3 27
327
uao
aj <i =)
3 20
Quel che non puote perchè '1 ciel l'assuma, 3 21
© Che *) gere d'ogni parto «sl consuma,
Sanza la qual, chi sua vita consuma,
£ Nei petto lor troppo disio non fuma,
La ments, che qui lace, in terra fuma;
P Dime ‘| Maestro, chè. seggendo in piuma,
La fronte, è ban senti" muover la piuma,
Questo rapporta, «i che non presuma
9 20
1 24
224
321
1 24
2 24
a 21
® Qual fumo in nere, of In sequa la schiuma. 1 24
(TETTI
a Mal non santita ill soltanto nonmo.
Chinder conviensi per to forte acume:
Sol differendo nel primiero acome
A molti fia savor di forte agrume.
© E per lo monte, del cal bel cacume
Montasi sn Riamantova in cacume
Mostrando l'ubertà del sno cacume
Legge. moneta ed uficio è costume
Danqua, senza mercé di lor costume,
Bustanzia ed accidenti « lor costume,
E come per lo natnral costume
Ch'lo sappia quali sona, a qual costume
Dal figlio, fuor di tutte suo costine,
f ae glk dall' onde del bel Mame,
Chi siete vol, che contra ‘1 cieco flume
Udir mi e nn mormorar di fume,
Vidi gente alla riva d'un gran fume :
Per a della menta il fame,
ar si largo fiume
Sol, che pioggia è fume
1 DI cotal a, l'altis-imo lume
Incomin di veder l'alto lome,
Fragiavan si la soa faccia di lome,
Non credo che eplendesse tanto lame
E ns ben ti ricordi a vedi lume,
Pp Si muorono a scnldar te fredile pinma;
Dico con l'ali snelle è con le piuma
t ì lo
Rails vole da te plana
Dies el, movendo quell le plume
280800505.
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Pett te ee eee
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SEO KHOURY eK oe GIOELE
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34/6 Se tosto grazia risolva le schiume
22 vw Tratto leggendo nel magno volume
66; Gli miei ciò che pare in quel volume,
119) Che m'han fatto cercar jo tuo volume.
Legato con amore in un volume,
tom
88 c lo gli sovvenni, è lor dritil costumi
20 Nell’ alite di Dio e ne' costumi,
76 f E pria ch'io conducsssi | Greci a’ fiumi
f0 Ma per panra chines cristian fumi,
11) el povero] di lio narrata fiumi,
24| Viate, mentre ch'io in terra fn'mi
1 SI sigillava; e totti gli altri lumi
E eidi loi tornare a totti | lumi
dl] Ed attesersi a noi quei santi lumi,
Bon Ku "1 «ilontio ne'soncordì numi
DI, v Qualiromiln trecento 4 duo volumi
Lo real manto di tutti 1 volumi
no ta ni i i
07 f Poriando dentro accidioso fummo;
Pitti nel limo dicon: Tristi fammo
os
a E fanno paullular quest acqua al snmmo,
unm
a Questi la terra In sò stringe èl aduna,
l'er sua tmniate 11 sno ragglare aduna,
Anche di qua nuova schiera « adona.
In ta magnifiernza, in la * mluna
161! Quanto veduta non n'aveva Alouna,
1) S&S come tol; ma celasi in alevna
102) Parrlene averò in sò mistara alcuna,
Db Avvegna che si moorva bruna bruna
40) Quando n'apparvo ona mon bruna
153| Così sen vaneo eo per l'onda bruna,
100) (os) per antro loro schilara benna
47) Surger via, che poco le sta bruma;
149 |0 Che venia longo l'argine; e clascuna
08 Per lo gran mar dell essere « clascuna
G1! Salo ne' parvoletti; clascuna
Si mi die dimandando par la oruna
Come vorchin sarlor fr nella cruna.
64 (he nel folio fuor di quetta armna.
IR) itaca vili nevaentarii nella coma
75 dl Tale, halboziando ancor, digiuna,
113] Che d'ogni pasto bese pasa dii
Che d'ogni pasto pares una.
26) Dal auo Incente, cha non si disuna
21 f Da ben, che son commessi alla fortuna,
146) Ond'al come nave in fortana,
79) Corl f di nea la fortuna;
88) Forse a spiar lor via è lor fortana.
34) Quando | geomant lor fortuna
TA) Be voler fu. o destino, o fortuna,
oo | | 1.’ wom della wilia quando l'uva imbruna,
02) Maggiore aporia molle volle Impruna,
10/1 GO questi. che dall'inima lacuna
19) Le lume ora ii sotto dalla lana.
dalla luna
90) Intiepidar più ‘1 freddo detta lame,
80 Tanto, che pria lo streme dalla luna
80) Questi ne porta il foco invèr la luna;
71) Che tutte I orn, ch'è notte ha 1
8a ar non inscin Sole ivi, né lone
28) Ounardar l'an l'aliro sotto noosa nme;
= lunque cibo per qualunque juss ;
r(V. na
75) AI quale ogni ayer «i raupa,
monte; e
sa lito ad nas ad ana
16) La vite spiritati ad ona ad una.
po parco *) più nel vies ad ana.
SR oT
146 Tternalmento rimanendost una
28 une
150 b la barba in anlla spalle bran
Sale a aks ngpeas citta oo lo bag
42 £ In Autide & tagilar la prima ®.
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ESS seeuesecsz Sozehro?
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a pores wie Pa -*
"fe poi ne
pt erry
Gil altri duo riguardavano; a ciascuno
Olà cieco a brancolar sovra ciasciino,
d Ed iu con orazione è con digiuno,
Ché tu eutrasti powero è digiuno
Vorrebbe di vederla easer digiuno,
Solvetemi: apirando, il gran digiuno
Posela, più che il dolor, pote il digiuno.
E id: Grato e lontan digluma,
Dal Torso fu; e purga per digiuno
lo son d'esser cuntento più digiuno,
Fira di sua materia «) digiuno
Già di veder costul non son digiuno.
& Già di larghezza, che ') messo di Giuno
mh’ ad ogni iverto saria giusto muno,
n Alle prime percosse! a già nessuno
Non vide wails) gran fallo Nettuno,
p Cha fu già vila, vil ora è fatta pruno.
E colsi un rawicello da un gran prono:
a Vid'io li tre cascar ad uno ad uno
Molti altri mi nomò ad uno ad uno;
Di principil formali; e quei, fuor ch” uno,
ln pumero distante più dall'uno:
E regna sempre ji tre 6 due ed uno,
Batadatio sie Tu, fu, tring ed uno,
Mente io andava, gli occhi miei in uno
Quel traditor che veda pur con l'uno,
Vedi che giù non se’ né dua né uno,
Dell'eterun letizia, che por uno
Dies" io, secure iniracoli, quest’ uno
Delle fatiche loro; ed iu sol uno
ge
e Ed un di loro incomitcis: Chinngue
dA Tornate, disse, intrate innanzi dunque,
nu Fon ménte se di li mi vedesti ungue.
Wie
a Libero ullicio di dottore assunse,
p E colèl che l'aperse 5 che la punse.
u La piaga, che Maria richiuse ed unso,
unsi
a Tanto, che la veduta vi consunsl |
E Per queto a sostener tanto, ch'io giunal
PO abbondante grazia, ond'io presunsi
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4 sl a
A PI Pi 1 i - è ’
) iù di | siascunoa. —
KHER io Co TO O ig Be eee oe
= cae |
Pee
74) a Che fa natura, e quel ch'è poi aggiunt
89) Perché da lui non vide organo assun
109 e Allor, cows di mia culpa compunto,
47| Che m'avea di paura il cuor compunta
15, li che ciascun di colpo fu compunto,
75) Ed io, ch'avea lor cuor quasi compual
48 Uhe'lasto nato è co vivi ancor congiu:
24) Mira quel cerchio, che più gli è congiu
658) Mentre ch'i'era a Virgilio congiunia
765) Coverchia, o sotto "1 cui coluo consni
42) Qualunque trade in eterno è consunto.
32|d E discendendo nel mondo defunto,
33° Perché‘) prego da Dio era disgiunto
38| Sì cho per sua dottrina fe’ disgiunto
Bi Vedi l'entrata là ‘ve par disgiunto.
111) g Ma poi ch'io fui appie d'un colle ging
ua Kose or sullo I emisperio giunta,
71 oi si volgea ciascun, quand'era giuuta
25) Ché quando fai sì pressu di Jor giunto
71) (ih era "l Sole all'orizzonte giunto,
30) Tu se'omal al Porgatorio giunto:
29| Però si mosse, è gridò: Tu se’ giunto.
47) mor gli occhi fal di grave dolor munto
40) p Herusalem col suo
BG
ù alto punto:
Fàtti sicur, ché noi siamo a buon punto
E là, dov'io ferinai cotesio punto,
Ver Vaflicato auoro, oml' egli è punto.
Vano si lure, che non fusso punto
(nda nel cerchio minore, uv" é "| punto
Anti che sieno in sè, mirando *1 puvto
Quando mi volsi, tu passasti il punto,
Da ogni mano all'opposito punto,
Fia nostra convscenta da quel publo,
Furle sospeso, disse: Da quel punto
Tant'era pieo di sonno in su quel punt
Non vedi ta ancor; quest'è tal puotò
Perchè fuoco d'amor compia in un pun
l'ermò la piante a terra, ed in un puuto
64 r Ed In altrui vostra pioggia riplno,
60/8 Tu wi stillasti con lo silllar suo
82 t Dice, color che sanno 'l home tuo:
© Che non temono ingegno che la otefipi.
upa
Per la tos fame senza fine cupal
Maledetta all tu, antica lupa,
LI
Pergliccechi "1 mal, che tatto
upe
Immagini chi bene Intender cnpe
Mentre ch'io dico, come ferma rupe,
upi
Discesa pol per più pelagh!i cupi
Tanto 24 tore di on net lupi
mondo ocetipa
npo
on è senta caglon l'andare al cupo:
aurea
ma
diana: Taci, maledetto lupo;
* la vendetta del inperbo strupo.
uppe
Voglio che to omal U disviluppo,
=
Sappi che 'l vaso che ‘l serpents ruppe,
detla
Che ven i di Dio non teme suppe.
mim
n, Insinghe n chi aflattura,
l'oi, come ‘| fusto muovesi in altura,
Si mossa, sd lo diretro invàr I" alinra.
Se non con che coectoorla m'assionra,
testo m' invita, questo m' assicura,
posto fommi: 10°, chi t'assienra
lo son la vita di Bonaventura
Sarebbe al Sol troppo larga cintura.
Non donna contigiate, non cintara
Ombre, che per l'orribile costura
Umile ed alta più che creatura,
Fontana stilla, che mai oreatora
Che fo la somma d'ogni creatura,
Lo Creatore a quella creatura,
Trassimi sopra quella creatura,
DI bere e di mangiar n'accende cura
Ed eravamo attenti ad altra cora.
Quand’ lo mi trasmutai ad altra cora,
Su per lo monte che J’ anime cura,
Vid'io color, quando posi ben cora.
Moetrava l'altro la contrarian cura
Quel che dimanda con cotanta cura,
Felicitando sè di cura in cora.
Di ragionare ancor mi mise in cura;
La Donna mia, che mi vedeva in cura
Perchè assaliti son da maggior cura;
E Beatrice: Forsa maggior cura,
Sosta on me ina m
Giemano 24 altri non han d
E se non fosse ch'io drieral mia cura,
Ché a sà ritorce tutta la mia cura
Cha la mia commedia cantar non cura,
Onde la mia risposta è con più enra,
Ma quando al mal si torce, o con più cora,
Avendo più di lui che di sà cura,
MI cambia' io: e come senza cura
Monaldi a Fili i, nom senza cura ;
VW, sicura 2 6 111) cora
la sinistra cura.
La menta in vol che "I clel non ha in sua cora
vostro solo have in sna cura;
Che ‘1 disio
Uno ed altro disio, sì che tua cora
da ma, e questa dismisnra
jor cora,
mè cora;
2
tt) suo amor laggin pose a drittara;
ae in femmina fucco d'amor dura,
elle prime hattaglio col ciel dura,
im" verde in solia cima dor
Ahi quanto a dir qual era, è cosa
Si facea molla, e quella di 1A dura,
"è più in «na materia dora;
la fama ancor nel mondo dura,
ura,
— 93 —
i
Ristemmo per veder l'altra fossura
Rotto m'era dinanzi alla figura;
220 12) E fa di quegli specchio alla figura,
220 10) EB «i distende in cirenlar figura
220 8, Togilea ta coda fessa la figura,
La parta dow el son, rendo figura;
R gli altri affetti, l'ombra si figura;
3135 1 Ripigilerà sua carne è sua figura,
318 & Per mensola talvolta una figura
5) ché notte nè sonno a vol non fura
L'occhio alla nostra redenzion futura j
214 82: Toceando on la vita futura:
2 14 BO) Dette nel fir di mila vita futura
214 Diu @ Com'navria fatto il gallo di Gallura.
| S'applecir al, che ‘n poco la giuntura
Che vuol varsi! non altri, i) i giura?
1 7 10 1 Ecosì nulla fu di tanta inglura,
1 7 8,1 Equivocands in s) fatta lettura.
1 7 12; MAnfflan, baratti, è simile lordura.
| mDicendo: Spirito, In col pianger matura
| Sì trapassamme per sora mistura
233 22)] Non foggian quinel e quindi la misura.
233 24| DI meritar mi sesma la misora?
2 33 236) F col soo lume il tempo ne misora,
i fe = — i
Saros-esobtatan eobsSe sto wSS SH SSueSesssseessek.Seos=
Cai fai
na
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$50882.23328:225 39*33»538
ili dee LO ee CIELI AEON NERE IEEE I
[al
=
Sues
di =
eas
Per seguitar la gola oltre misura,
Uh'à senza fina, a sà in sò mere.
N'altla nator nasmata si mira,
K no'ancandi sd siro misi,
(ream "1 cantare è "1 val
l'erché sia colpa s duel done misura.
Battle volte corchiaio d'nlio mura,
Quale, dove per guardia delle mura
127) n Si leggo che angelica natura
fon l'opera seguito, a che natura
DI quel sommo | hie, che natura
Lao ministro maggior della natura,
Ma tre persona in divina natura,
Appiè del vero il dubbio; ed è natura,
Qual are è amor, quello è natura,
l‘or lo vincol d'amor che fa natura:
Depende ll cielo e tutta ia natura.
Ont! hanne sl mutata lor nature
Qual mi fee io, che par di mia natura
A maggior forza ef a miglior natura
K quinei appar, ch'ogni minor hatora
In che era contratta tal natora.
Crueciato quasi ol) umana nabura
Tn ee‘ colel cha l'omanà natara
Si che la fama «li eolal oscura,
iun'altra verità che m'è oscura.
E vidila mirabilmente osenra.
Fallo ha la monta sua negli occhi oscura.
r ina salva dechra,
n me la terra otcura.
Mi ritrovai
Solo dinant
POI colombi adunati alla pastura,
® 4
Cha par che Circe gli avesse in pastura.
Qual sa mal ero ta pastura
V'er mole che le *limin lor pasto ;
Na cana avviana ond’ egli a
Non faceva nascendo ancor paura
Di’, 11 mio Maestro, # non aver paura,
È vidi casa ch'lo avrel panrà,
Quella medeema voce, paora
lo mi volu da lata, can paura
Tal che di qua dal rio mi fe’ paora.
Cael ala tntto "1 monde fe" paura;
lami errore, a giugneami pan.
Che's nel pensier rinnova la pasra |
£\ nel cammin, che vhlto è per paura:
E che muta in conforto sua
sun inisura,
an paura,
Come ba
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Diventa lo apparenti
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19 1248
ssmpre, di riduro —
pale alle sorltture, 3 a piva è scura,
ominclati O anlne sicure 220 Bal Come wi foo giù nel porro seuro
Esser dorian ia corrurioii sicura, ao Tila Meraviclosa ad ool cuor sicuro;
2
a
ron con
$
2
A
E le mie luci, abcur poov sicura, dl Ta Keo 0" cugini; però Li fe’ «icuro.
Non sien le genti ancor iroppo sicure 19 150 0 Ugoli da’ Fantoli. sicura
ian Volgili ‘i qua, e vieni oltre sicuro.
rea i Atuoetdlo; è pui wi rifece sicuro
p Ove l'umano spirito si purga, 2 1 Slt Quella soad, come fossa un tamburo :
r Ma qui la morta poesia risurga, 2 1 7) vy Quai, che credettero in Crista venturo.
a Equi Calliopes alquanto surga, 21 sa
stia A LU cui a ile one
E Riprofondavan sà nel wiro gurgo, 2350 G84 uri nu in a eee detatina;
s Nell'ora, cha la sposa di Dio anrga 3 10 140), ni cella legve i sai Rea \ ree
t Che "l ben disposto spirito d'amor turge; 3 10 144 = Be". Popoli BRGFDE
Eure Pa dep più quanto più turge, : ca an urro
nu L'alto iislo che ino Clifliiuma ed urge Ola In una borta gialla vidi
Che l'una parta e l'altra tira ed urge, S 10 142/% \ostrare peg ds bias Ma ale Baia.
urgo o lol procedendo di miu sguaidu il curro,
- ait end io (mà nie n lana insurgo) : = Da sirio
i nella tristizia di Licurgo 26 DA gi
i nr ca ì a , f Del fosso: ché pessiuna mostra il fo
p Son Guido Guinirelli; è già mi purgo, 2 26 92% lu stava sovra "1 pote a veder di
url ju Caduto sarel giù sanza faser orto.
a Lava la tosta, e fa' che t'assicuri; 395 34
o Chi è quel grande, che non par che curi 114 46 Msn
d Tutte le cose, fuor che | dinawn duri, 114 41 4 Pal dinsa a me: Egli stesso s'accusa;
E giustizia a aperanza fan men duri, 219 77 (Dv, di’, se questo è vero; a tanta accusa
Chi, per amor «li cosa che non «duri 316 11 Al canto nilo. e qual meco s'ansa,
D'incenerarti, si che più non duri, 125 10101 silloziana, che la ini ha conchiasa
f Tu sai che tanta volte la figuri, 3 zo qu the'l tien legato, 0 ankni confusa;
La vostro destre pion sempre sti Ford, go BL Lunghesso ie, per far colei confusa
msSì, che la pioggia non par chel maturi? 114 46 Era la mia virtà tanto confusa,
Convlei ch'a" matri raggi si maturi quo do (Nelando ed a Sichev ol a Cronsa)
Non quel cho coda a Velo giù de muri, 1 26 10 dl No quer lia Iusdoper, ch al slusa
o Per tutti | cerchi dell'Inferno osceurl 1465 19 Dello Spirito Sana, ch'e diftuaa
p Quale per Ji seren tranquilli « puri 316 19 Cha dagli organi suoi fosse dischiusa.
a Se vol venite dal glacer aicuri, 210 70 Tosto com'è per segno fuer dischiusa,
Movendo gli cechi che alavan sicuri, 916 16 Che ‘l malo amor dell'anime disnsa,
1 0 ammanis mensa, 0 super infusa
urli ‘mSe folle werta nostra maggior Musa,
b Gridando: Perché tienilo: l'archè burli 7? 30 o Ugni dimostrarion mi pare ottusa.
BP Percotevanai iucontro, è poscia pur li $8 pile wagwon queli janiet recluga ?
uEd' una parte è d'allra, con grand' urli 20 Ancor non era sua bocca richlusa,
bei i pi
= =] <3
usa
Quando lode nel cuore ebbe richiusa.
Bonando la senti" esser richiuna
@ Qual fora stata nl fallo degna sousa ?
Com'anima gentil che non fa scusa,
u Menala ad esso, e como tu sel nsa,
Pore ua linguaggio nel mondo non 6 usa.
anca
® Pur sentirà la ina parola brusca.
e Ch'io trovai J). si fa prima corrus0ca,
£ Indi rispose Coscienza fusca
tane
a Ch'è giudicata in su le tue accuse ?
@ Prima ch" un'altra d'un cerchio la chiuse,
ra la fascia, new ml snrlan chines
AI tornar dalla insnta, che si chines
Che di tristizia tutte mi confuno,
d Che dall'eterno fonts son douse.
mCanto, che lanto vinca nostre Muse,
= 06 06 tO 6 CO
CO CO CO me puo
100009
b= do 06
— 9 —
108; KE pert ammiri cl) ch'io dieei eusò,
4! E ol spandewa por le me sup.
6. Fi che pos ndare in suse:
180 Vid" io one ecaléo arstto in suso
126; E la cornice spira Nato in usò,
78 Vanlr notando una igure in sasò,
El ehe i diletti la inviarel ‘n susbi
Alia quarta levar la po
120! Wecir del primo, e risalire In susa,
192; Che in nottcrna tensbra, ad Ir neo:
183, Quanto disabbidiendo intesa ir susòà.
balla cosa fallnei, evar senso
| Nuila sarebbe del lorna mal usò,
45) i color nuova, è genera “) pel eneo
D'ogni bellezza più fanno più suso,
199 La roccia per dar via a chi ra guao,
al Gli altri dopo il grifon een vanno fuss
9° Che la morta iiseniva, lo men vo usa,
182 « lo ers ben del mo ammonir uso
J
Od altra ranlib con # breve Gen
43: Per modo lutto fuor deal modern’ neo,
a Escuear
© Quella, ch’ ad altrointender m' area chiuso.
Ma to chi ee", che “n su lo scoglio muse,
r Pervechè le ferita son richiuse,
Quanta primo splendor quel ch'e
V. refuse) rifuno
a Ciò che vedesti fu, perché non souse
refuse.
& Par tuo pariore, ma perchè t'ausi
e Fuggimmi. e nel suo abito mi chiusi,
Non potir quel fuggirni tanto chiusi,
Ed avregnaché gli occhi misi confusi
£ Dio lo si sa qual pol mia vita fasi!
4 O cara pianta mia che si Vin asl,
© Non capere in triangolo du' ottusi,
@ Mutiare è trasmutare: è qui mi sousi
u Uomini pol a mal, più ch'a ben, usi,
uno
omini di quel ch'io m' nconno
Come le parorella escon del chiuso
Lo ben che nella quinta Iuco 4 chiuso.
O seoglio of altro, che nel mare è chiuso
Dal lato, onde ‘l cammin mostro era chiusò
Materia non poles parlarmi chiuso.
Mentre che l'oriszanta ll 4) tea chiuso.
Ma perch'lo nos proceda troppo chiuso,
Kuora luce percuote "1 viso chiusa,
Volgiti indietro, a ten lo viso chiuso
A Nel santo o@ela; ch'el sarà detruno
Che par nel ciel, quindi foass diffuso.
Prendi oramai nel mio parlar diffuso
E se fu più lo suo parlar diffuso,
Com'ia nel quinto gire fo) dischiuao,
Ché ') placer santo pon è qui dischiusa,
Da poter satisfar per sà dischiuso.
ge L'un si lewd, è l'altro cadde giuro,
Così l'immaginar mio calde giusò,
Quinci, è quindi temeva il cader giuso.
Ch'egli ha peneato, per gittarei giuso!
Non ti doves gravar lo penne in ginso
DI ramo in ramo, sosì quello in glow;
Oridavan tutina, riguardano in gioso
Ban «i porla con lei larnare In given,
Glaceodo a terra, lotta viàlta in ginsa
Mal satiefar, per fon poter ir giuso
Tu "l déi saper, ss ta vien pur mo giuso.
E farà quel d'Alagoa andar più giuso.
Gl che dove Maria rimase giuso,
Vidi anche per ll gradi scender gliunoò
El come torna colni, cha va pioso
Matoll trivova pol, venendo cine,
1 Aver dl Jome, tothe fassa In Tueo
Coal dell'atto suo, per gli oechi Infuno
motto le qual ciascun cambiava muso.
Timidetia attarrando Vecchio a "1 meg;
narto a cntal molto levi "1 mino,
E da lor disdegnosa torce |) muso:
r Poscia passati ch'al fo sì racchinso.
E se Dia m'ha in nua grazia richinso
Infin che "1 mar fo sopra noi richiuso.
® Onda lr né conveala dal laid sovhivao
E forte pare aucor lo corpo suso
(ei eee le
fd = 0 ded
tossnaceoeaunso
Oo =
a
00 puo ho
PEST Tt ee)
CO o> 69 CO CS do me COCO
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145
108
E finsi gli occhi al Sole oltre & nostr' uso.
Quando sufalerà, com'è noir’ oso
Maggiore assai che quelle ch'è n nostre’ use
Che d'altro cibo fatto In uman veo,
nane
Lo nome di colui che in terra addusse
K tanta praria sovra mo rilusse,
Dall'empio culto che 1 mondo sedusse.
13,a Colul, che da sinistra le s'aggi usta,
15|
Per e-ser propinquissimi ad Augusta,
143 g L'umana specie tanto amaro gusta.
106|
a
136
93:
79;b
4816
196
136/¢f
87
uste
E vinsi a Roma sotto “li hoon Augusto,
Itallegrasae Africano, ovvero Augueto |
E gel'infiammati infammdr al Augnato,
Ren renne, sd srerivb ln Losta è "| buato gg
Vici | superbo ilion fu combuato,
fuel del Rol, cha sviando fu sombuosto,
Memdlicanido ana vite a froelo a Ermumbo,
E d'un ssrpenio tutto l'altro usb,
CO! g Quandes fu Miova arcanamenta giusto.
73
41
85
146
33
79
91!
70
138
102
121:r
43'v
117!
108'
68
184
48'd
138;f
40
142
115
194
Ksnriando sempre quanto è gineto,
ingiusto fre me contra me giusta
Bl al conserva il semo d'ogni giusto.
Foata ful, o cantai di quel giunto
A dimandar ragione a questo giusta,
La faccia sua era faccia dubin giusta,
Ual bene d'asta lagno dolce al Fuse,
F 1 Padre, per lo cul ardito gusta
Tanto di graria, che l'amor del gusto
L'animo mia, per disdegnoso queta,
Così d'intorno all'arbore robusto
Itaccomandà di questo for vennato,
Indi partioal povaro e vetusto:
A destra vedi quel Padre vetusto
ustra
Se non ciascun «dinio sarebbe fruntra.
Nostro intelletto, sel ser won Jo illustra,
Posasi in sso coma fera in Iuntra,
til
Con una spada lucida sd nonta,
Croceiato prese la foleore acuta.
Ma per far emer hen lor vaglia acuta.
Gridando: Ruon Vuleaee, slots alate,
Dell’ alte scende virtù. che m'ama
Per rhe is mone nil aerertar n° alla,
the più la perda, quanta | my saluta
Lo montanara, e rimirapdo alfa a tà,
Venire dormendo con la fala arguia.
Lo qual nerli alli coor tosto «' attutà i
L'anlma. ch'era fiera divonmia,
Prima al parlar, oj feode, è la forenta
La Donna mia la rolew in lanta Tuta,
ml seg!) stanchi gli altri, a mole a mula,
Che segue ‘| funco JA ‘vamque si muta,
P Che ciascun’ ombra fece in soa paruta:
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[
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noe’ sì presso all'ultima sa 32 | Lascis
Più allo verso l'ultima aalinte, a si 27
t Dall'odio propriv eon la coso Lute: # 17 10a tod ioe
w Mi si mostrò, che Ira Vallee veduto 14 80 d So fussa appunto la cera dedutta,
Dell'universo insin qui ha vedute $395 23 Oml'era sire, quando fu distrutta
Di tante cose, quante jo ho vedute, 3 3l 62 f Seconda spezie, meglio o peggio frutta;
Lo ciel seguente, c'ha tanta vedute, 3 #2115 p Era in quel tempo, al cdin'vra è putta.
Non fur più tosto desire a me venute 330 5656 ¢ La luce del suggel parrebba tutta:
Di quello spirto, onde parsan venute. 220 30 Liinanazi a me, loscana suonò iulta,
Per circoncidere acquistar virtute, 392 Bl
L'anima mia per acquistar virtute 322 12% nite
Con povertà volesti anzi virtute, 220 20 a Passava Stive con le pianie asciutte,
Si gira un corpo, nellà cui virtute 3 2113 4 Vid'io più di mille anime distrutte
Secondo *l più e ‘1 men della virtute, 4 28 65 t Biscia per l'acqua si dileguan tutte,
Supplica a to per grazia di virtute 3 43 265
Ma sapienza el amore è virtute, 1 1104 ulti
Volge è contenta, fa esper virile 3 & #86 a Già lho veduto co'capelli asciutti,
Bolvesi dalla carne, ed in virtuta 2 25 80 b Di riguardar più me, che gli altri brutti:
Riconosco la grasia 6 la virtute. 231 684 d Saguiterieno a tua ragiun distrutti,
Me sormontar ili sopra a mle virtuta, 390 67/f Virté diversa esser convengun frutti
Quindi ripreser gli occhi iniei virtute 314 BI 1 the i lieti onor torpare In tristi lotel.
Amor sementa in voi d'ogni virtute, 2 17 104 pl Casare nun tursa gli occhi putti,
Parran favilla della sua virtilo 317 83 t l'arò Vadocchio più che gli allri tutti.
L'anima sua di sì viva virtuta, 5123 59 Indammd contra mo gli anlmi tutti,
uti ' Una sola virtù sarebbe in tutti
a Li miel compagni fec'lo al acuti, : 120 121| ulle
Dicendo: Padre wid, ché non m'aiuti 7 139 090/n Cow'lo polea tenor lo view asclutte,
b Fatti non foste a viver como brutl,
1 26 119 |b Ma Lu chi so", che sì sn' fatt brutto ?
d Già eran li duo capi un divenuti, las 70) &'ei fo 6) bel com'egli è ora brutta,
mGridava: Ohimé! Agnel come ti muti] 1 365 68, Non di parente, né d'altro più brutio
Quel di è l'altro stemme tulli muti 1 33 65° Come oi frange il sonno, ove di butto
Quale i fanciulli vergognanido muti 231 Gi) Ein quel medesmo ritornd di butte
p Ma dinavii dagli cechi de’ peunuti 231 62 o In tre gironi è distinto » costrutto,
In vua faccia, ov eran duo perduti. 125 74 Coocreate fu vriline è costrutto
r Eué riconoscerlo, è ripontuti; 231 60 E perchè fosse, qunle era, in costrutto,
Co Supera poscia gli avrei ritenuti 1328123 Che passar mi convien séuza cosìrutto
t (V. ritemiti) tenuti | Udito avevan l'ultimo costrotto:
w Posciachè fumu al quarto di venuti, 134 87/4 Ora conuses come ‘Il mal dedutto
Se così fusa, in voi fora diatrutto
uto Avvenga che sia il mondo jodi distrutto
a (Y. agito) acuto E poi che fu a» terra s) distrutto,
Torceodo 6 dibattendo ‘1 corno aguto. 1 27 192 f Del trionfo di Cristo, è tutto "1 fratta
Nel tempo che "| buon Tito, con l'aiuto 221 82) Sotto buona intention che fe’ mal frutto,
Ma disse: Parla, e sii breve ed arguto. 2139 78) Vide nel sonno il mirabila frutto
E son cel corpo ch'i'ho sempre avuto. 123 00) Qui primavera sewpro ed ogni frutto;
utto
Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto 21 80
Contra ‘1 piacer di Dio, quanto quel frutto, 9 22
E distar vedeste senza frutto
1 Per ben letizia, e per male aver lutto.
Or m'hai perdnta; i’ sono essa che lutto,
Bd io a lui: Con piangere e con Iutto,
Ben dee da lui procedere ogni lutto.
Ch’ eternalmonte è dato lor par lutto:
p Nel moado. in che puro atto fu produtto.
S Più spiace a Dio; e però stan di sutte
$ le mi rivolsi addietro allora tutto
che ‘1 suo viso arriesse tutto,
Com'° ei s°' accese, ed arsa, e cener tutto
A travolee così alcun del tutto:
De’ violenti 11 prime cerchio è tutto;
Dal possessivo, di cni era tutto.
È
3 208- tele
CI boo no bo GO OD P= CO OD do po 00 00 OD
— 97 —
Che, quantunque la Chiesa guarda, tutto
Nell'esser suo raggiò insieme tutto,
Ch'ia tl conosco, ancor sie lordo tutte.
Ved
Par
Chè,
i oggimai quant’ esser dee quel tutte,
suso al cielo, sì come se tutto
te potuto aveste veder tutto,
a Ecco la fiera con In coda ussa,
Ecco colei che tutto "1 mondo appussa.
Che
Que
Che
wase
iA per barattare ha l'occhio aguzzo I
lie genti. ch'io dico. ed al Gallusso
avorio dentro, 0 anstener lo puzzo
CO 10 e (O pe fT 09
323088
2828388
buo on
hes
da
INDICE
DEI NOMI PROPRI E DELLE COSE NOTABILI
OONTENUTE NELLA DIVINA COMMEDIA
A
Abati (degl!). famiglia. Inf., 0.32, v. 106.
Inf. c. 25, v. 140.
Abbagliiate (1'). Inf., c. 39, v. 183.
Abele. Inf., c. 4, v. 56.
Abide. Pnrg.,c. 28, v. 74.
Abranm. Inf., o. 4, v. 58.
Absaione. Inf, c. 28, v. 187.
Ac&m. Purg., c. 20, v. 109.
Acefdiesi. Inf., o. 7, v. 121. Parg.,
o. 17, v. 85 © neg.
Aeceeorse (di) Francesco. Inf., o. 16,
v. 110.
Achereute. Inf., o. 8, v. 78; c. 14,
v. 116. Purg., c. 2, v. 105.
Achifte. Inf., c. 5, v. 66; 0. 13, v. 71;
c. 26, v. 62; c. 31, v. 6. Parg., 0.9,
v. 84; o. 21, v. 92.
Achitefele. Inf., c. 38, v. 187.
Acone. Par., c. 16, v. 65.
Acquacheta. Inf., 0. 16, v. 97.
Acquasparta. Par., o. 13, v. 1M.
Aer, città. Inf., c. 27, v. 89.
Adalagia, moglie di Baral marsiglicse.
Par., 0.9, v. 96.
Adame. Inf., c. 3, v.
Purg., c. 9, v. 10;0.
v. 142; o. 29, v. 86; 0. 33, v. 87; 0. 88,
v. 62. Par., c. 7, v. 26; o. 13, v. 37,
82, 111; o. 26, v. 83, DI, 100; o. 32,
v. 123, 136.
Adame, bresciano. Inf., 0. 80, v. 61,
104.
Adiee, o Adige, fiume. Inf., o. 12,
v. 5. Parg., o. 16, v. 115. Par., 0. 9,
v. dd.
Adimari, famiglia. Par., o. 16, v. 118.
Adriane, lito. Par., c. 21, v. 138.
Adriane LV. Parg., c. 19, v. 90 © seg.
6; c.4,v. 65.
11
11, v. 44; 6. 28,
Adrintiee, maro. Par., c. 8, v. 68.
Aduinteri. Inf., c. 18, v. 114 © seg.
Africano Scipione. Purg., o. 2,
v. 116, V. Scipione.
Agabite, o Agapite I. Par., c. 6,
v. 16.
Agamennone. Par., c. 5, v. 69.
Agatene, poota. Purg., c. 22, v. 107.
Agiaure. Purg., c. 14, v. 139.
Agnel, intendono alcuni detto per An-
gelo, o per Agnello Brunelleschi. Inf.,
c. 25, v. 68.
Agebble,0Gubbie.Purg.,c.11,v.80.
Agontine (S.). Par., c. 10, v. 198; 0.
82, v. 85.
Agontiune, frate min. Par., 0.12, v. 196.
Agosto, meso. Purg., c. 6, v. 39.
Agugiione. V. Baldo.
Aguste,o Augaste, imperatore. Iaf.,
o. 1, v. 71.
Alagia Fiesehi. Purg., o. 19, v. 142.
Alagna,o Anagnl, citta. Purg.,0.20,
v. 86. Par.,c. 30, Vv :(4.
Alarde. Inf., c. 28, .. 18.
Alba Lunga. Par.. c. 6, v. 87.
Alberichi, famiglia. Par., o. 16, v. 80.
Alberige de' Manfredi, frate Cavaliere
Gaudente. Inf., o. 33, v. 118.
Albere, o Alberte da Siena. Inf.,
o. 29, v. 109. V. Griffolino.
Alberti (degli) (Alessandro e Napo-
leone). Inf., o. 32, v. 55 © seg.
Alberto, abate. Purg., 0. 18, v. 118.
Alberte degli! Alberti. Inf., 0. 32, v. 67.
Alberte d'Austria. Purg., o. 6, v. 97.
Par., o. 19, v. 115.
Aiberte della Scala. Purg.,c. 18, v. 121.
Alberto Magne. Par., c. 10, v. 08.
Albia, o Albi, fiume. Purg., 0.7, v. 9.
Albeine della Scala, Par., c. 17, v. 71.
100
INDICE DEI NOMI PROPRI È DELLE COSE NOTABILI
Alehtmalsti puniti. Inf, 20, v.43 e beg.
Alcide, Par., 0, 9, v. 101,
Aldobrandesco Guglielmo, Porg., 0.
11, v. SO,
Aldobrandi (Togghia)o), Inf, ©, 10,
¥. dl.
Alessaudeta dolla Paglia, Purg., 6. 7,
v. 136.
Alessandra, conte ill Romena. Inf,
o. HO, ¥. TT.
Alessnudre degli Alborti, Inf, e, 33,
v. 65, V. Napoleons,
Alessandro Veréo, [nf., ¢. 12, ¥, 107,
Alessandro Magno. Inf., 0.14, ¥. 31.
Alesalo da Lucca, V, Intorminel,
Atetto, furia, Inf., 0, 9, ¥. 47,
Alfonso, rodi Spagna, Par., 0.10, v.126,
Alfonso, ro d'Aragona, l'arg., 0. 7,
v. 110.
Alfonso, re di Malorica. Par., 0, 19,
Vi a
All, discepolo di Maometto, Inf., è, 28,
Fi a
Alichino, demonlo. Inf., 0, 21, ¥. 118,
o. 22, v, 112,
Alighieri, famiglia, Par,, 0,16, v, 198.
Allgehiert, biaave di Dante, Par., e, 15,
v. 01,
Alimeone. Purg., ¢. 12, v, 50, Par.,
c. 4, ¥. 104.
Alpe. Inf., c. 20, v. 62. Purg., c. 17,
v.l;c.33,v.111.
Alpi. Par., c. Gi, v. 61.
Altaforte, rocca, luf., c. 20, v. 29,
Altiniers io’ Calzoni di Treviso. Par.,
o. U, v. 616 sop.
Alverna, monte, l'ar., e. 11, ¥. 106.
Aman. Purg, ¢. 17, v, 26,
Amata, moglio del re Latino, Purg.,
e. 17, v. 35,
Ambrogio (S,). Far., c. 10, v. 121.
Amiciate, L'av., c. 11, v.
Amidet, famiglia. Par., 0. 16, vw, 136.
Amore. Purg, è, 28,v,60;0,81,v, 117,
Anagni, è Alagna, città. Purg., €.
20, v. 80, Par., c. 30, v. 148.
Annanin. Pur., c. 26, ¥. He
Antssagorm. lnf., oc. 4, Vv, 147.
Amnetagi, famiglia. 1’ org. ,¢. 14, ¥. 107.
Annetagio, papi, confuso da Dante
con Anastagio imperatore, Inf., e. 11,
v.8. VW. Potino.
Amehise. Inf., e. 1, v. 74. Purg., e. 18,
v. 187. Par., o. 16, v. 25; 0, 19, v. 133.
Anfesibenua, serpents, Inf, c 24, v.B87,
Anfinrao, Inf., c. 20, v. 34.
Anflone. Inf., e, 32, v, 11.
Anmgell (coro degli). Par., c. 28, v, 126,
Corrispondenza di cinscun coro ad uno
de’ nove ciell, Par., e. 28, v, 76, Deseri-
rat scene: medesimi. Par., e
vr, 18,
Augelli ribelli. Par., e. 29, v. 50.
iste PE upsne. Taf. o. 24,
¥.
Anime salvo dopu «di avor mancato ai
voti fatti a Dio, Par., c. 3 e sug.
Anime immortali, Par,, 0. 7.
per wes de' fanciolli. Inf., e, 4, v. 30.
destato
Auna (8.), madro di Maria Vergine.
Par,, 0. 38, v, 13,
REINA Sree PL VIRA AE, &
v. 121,
Annibale. Inf, c. 31, v. LIT. Par.,
o, 6, v. 60,
Anselmo (5.). Par., e. 12, v. 137.
Anselmuceia, nipoto del conte Ugo
lino. Inf., 0. 89, v. 60.
ipogei Par., c. 6, vy. 67.
Inf., c. 32, v. BB.
duties gigante. Inf., o. 31, ¥. 100,
Antifonte. Parg., 0, 22, v. 106.
Antigone, Purg., o. 22, v. 110.
Antioco, re di Siria. Inf., e. 19, v. 87.
Auntonto Ab, (S.). Mar., co. 29, v. 124.
Antonio (Frati di Sant’) chiamati a
campanella. Par., c. 29, v. 124.
Aunzinmi di Luoca. Inf., 0. 21, v, 38.
Appennino, monte. Inf., e. 16, v. 96,
c. 20, v. G5; c. 27, v. 29. Purg., 0.5,
v. UG: 0. 14, v. dl, 92; oc. 0, v, Be.
l'ar., c. 21, v. 106,
Apocalisse, 1nf., c, 19, v. 106, Purg.,
vu, 29, v. 1065.
Apolline. FPorg., c. da v.1942.
Apollo. Par., c. 1, v.13; 0.2, ¥. &,
Apostoli. Purg., c. 23, v. 78.
Aquaria, segue colesta, Iné.. c. 24, v.3.
Aquilone, vento, Purg., c. 4, v. 60;
o. 32, v. 00.
Arabi, Par., e. 0, v. 49.
Aragne.Inf., 0. 17, v. 18. Porg., c. 12,
v. 43.
Arngonn. Purg., c. 3, v, 116.
Aragonese, Fur., 0, 19, ¥. 137.
Arbla, fume. Inf., 0. 10, ¥. 86.
Arena del Testamento. Purg., c. 10, ¥
56, Par., c. 20, v. 30,
Arca (dall'), famiglia. rt , 16, v. 92.
Arcanpgell. Par., c. 28, v. 12
Archiano, flume. ox; U. 5, v. BS 125
Ardinghi, Panga, Par.,
Aretini. Inf., ©
v. 46.
Aretino (l').
Aretino (1°).
Ci, 16. vw. OS.
o, 22, v. 5. Porg., c. 14,
V. Griffolino,
Purg., c. 6, v. 13.
INDICE DEBI NOMI PROPRI E DELLE COSE KOTABILI 101
Aretusa. Inf., 0. 25, v. 97.
Arezze. Inf., c. 20, v. 109.
Argenti Filippo. Inf., c. 8, v. 61.
Argia, figlia d'Adrasto. Parg., o. 22,
v. 110.
Arge, nave. Par., c. 38, v. 96.
Argo, pastoro. Purg , c. 29, v. 95; c.
82, v. 65.
Argelica, gente. Inf., c. 28, v. 84.
Argenanti. Par., o. 2, v. 16; 0. 33,
v. 06.
Ariaana, figlia di Minos. Inf., o. 12,
v. 20. Par., c. 13, v. 14.
Ariete, segno celeste. Purg., o. 82, v.
63. Par., c. 1, v. 40; 0. 28, v. 117.
Aristetile. Inf., o. 4. v. 181. Purg., 0.
8, v. 43. Par., c. 8, v. 120;0. 26, v. 88.
Artt, città. Inf., o. 9, v. 112.
Arme e insegne di famiglie usuraie.
Inf., c. 17, v. 56 © seg.
Aruaide Danielte, Purg., c. 26, v.
115, 142.
Arne, fiumo. Inf., c. 13, v. 146; 0. 15, v.
113: c. 28, v. 95; c. 30, v. 65; 0. 33,
v. 82. Parg., 0. 5, v. 122, 126; 0. 14, v.
17, 24, 61. l'ar., c. 11, v. 106.
Areuta, o Arente. Inf., o. 20, v. 46.
Arpa, istramento musico da corda. Par.,
c. 14, v. 118.
Arpie. Inf., o. 13, v. 10, 101.
Arrige ie’ Fifanti. Inf., c. 6, v. 80.
Arrigo Manardl. l'urg., c. 14, v. 97.
Arrige, ro d'Inghilterra. Purg., 0. 7,
v. 131.
Arrige V imp. Par., o. 3, v. 119.
Arrige VIE imp. Purg., o. 38, v. 48.
Par., c. 17, v. 82; c. 27, v. 63. Seggio
con corona a lui preparato, c. 80, v. 137.
Arrigueet, famiglia. Par., 0. 16. v.108.
Arrie, eretico. Par., o. 13, v. 127.
Arta, ro d'Inghilterra. Inf., 0. 32, v. 62.
ArzanàA, o Arsenate de’ Viniziani.
Inf., c. 31, v. 7.
Asciane, castello. Inf., c. 29, v. 131.
Aseeai, o Ansisi, città. Par., c. 11,
v. 53.
Asdente, calzolaio. Inf., c. 20, v. 118.
Aseope, fiume. Purg., o. 18, v. 91.
Assiri. Purg., c. 12, v. 59.
Assuere, re. Purg., c. 17, v. 28.
Astinensa (ceompi di). Purg., o. 22,
v. 142.
Astri. Dubbio di Dante sulla infinenza
di essi. Purg., c. 16, v. 61 © seg.
Atamante. Inf., c. 30, v. 4.
Atene. Inf., c. 12, v. 17. Purg., 0. 6,
v. 139; o. 15, v. 98. Par., o. 17, v. 46.
Atrepea, Parca. Inf., c. 88, v. 126.
Attila, re. Inf., c. 12, v. 184; c. 13,
v. 149.
Attrazione (Sistema della) espresso da
Dante. Par., o. 28, v. 127.
Avari puniti. Inf., o. 7, v. 25 © seg.
Purg., o. 19, v. 70 © seg.
Avarisia. Inf., c. 1, v. 49.
Aventino, collo. Inf., o. 25, v. 26.
Averrela, o Averree. Inf., o. 4,
v. 144.
Anguste, per Federigo II. Inf., o. 18,
v. 68.
Augusto Ottaviane, imp. Inf., c. 1,
v. 71. Pnrg., c. 21, v. 117; 0. 29, v. 116.
Par., o. 6, v. 73.
Aviceunmna. Inf., c. 4, v. 143.
Anmlide, città. Inf., c. 20, v. 111.
Aurera. Purg., c. 2, v. 8. Concabina
di Titone, o. 9, v. 1.
Ausouta, o Italia. Par., c. 8, v. 61.
Austerriceh, 0 Austria. Inf., 0. 32,
v. 26.
Austre. Purg., 0. 30, v. 89: 0. 31, v. 72;
o. 32, v. 99.
Asze degli Ubaldini. Purg., 0.14, v. 105.
Aaseline, o Maseline. Inf., 0. 12, v.
110. Par., c. 9, v. 29.
Ansome VER da Kate. l'arg., o. 5,
v. 77.
Be Tee, dotto per Biee, sincope di
Reatrice. Tar., c. 7, v. 14.
Babilonia. Par., c. 23, v. 135.
Bacennti. Purg., c. 18, v. 92.
Mnechigiiene, fiume. Inf., c. 15, v.
113, Par., o. 9, v. 47.
Baecee. Inf., o. 20, v. 59. Purg., o. 18,
v. 93. Par., c. 13, v. 28.
Madia di 8. Benedetto. Inf., c. 16, v. 100.
Bagaacavaliie, castello. Purg., c. 14,
v. 115.
Bagnoregio, 0 Ragnerea, città.
Par., c. 12, v. 128.
Balde d'Agugilione. Par., c. 16, v. 56.
Barattiers. Inf., c. 21.
Barbagia, luogo in Sardegna. Purg.
o. 23, v. 9.
Barbare donne più modeste dolle fio-
rentine. Porg.. c. 23, v. 103.
Barbari settentrionali. Far., o. 31,
v. 31.
Barbariceia, demonio. Inf., c. 21,
v. 120; c. 22, v. 29, 59, 145.
Barbarenaa. V. Federigo I.
Bart, città. Par., c. 8, v. 2.
Bartelommee della Scala. Par., c.
17, v. 71.
Barwecel, famiglia. Par., c. 16, v. 104.
Baaterna, specie di carro. Purg., o.
90, v. 16.
10° —1INDICR DEI NOMI PROPRI R DELLE COSE NOTABILI
Baltista (8. Gio.). Inf., 0, 13, v. 143.
Purg., ©. 22, v. 162. Par., ¢. 16, v. 25,
47; c. 18, v. 184; o. 32, v. BL
Battista, moneta. Inf., c, 30, ¥. Ta.
Mattisteo di Firenze. Par., 0.15, v.13%.
Meati che furono dominati da amore.
Par., ¢. 8 @
monti Contec Detter Par. 10
a BeR,
Fodo. Par., e, li è sog.
Menti che nol mondo amministrarono
rottamonte giustizia. Par., c. 18 0 sog.
Benti stati addetti alla sotitudine ed
alla contemplazione. Par., c. 21 è seg.
Beatrice, Marchesotta da Esti. Purg.,
vt ia P 128.
Beatrice, r i. a & 7, Yi.
Benirice, 0 Bice, pan Arahat Inf.,
e. 2, v. 70, 103; e, 10, v, 101 è, 12, v.
88; 0.16, v. 20, ‘Parg., 6. 1, v. 53; 0. 6,
¥. 46; c. 15, ¥. 77; 0. 18, v. 48, Ta; 0,
23, v. 128; e. 27, v. 36, 63, 130; 0, 80,
v, 70; 0. 81, v. 80, 107, 114, 124, 133;
a, 32, Ws 36, BS, 106; di. 33, Vi. i. Par.,
c. 1, v. 46, G4; c. 2, v. 22; 0,3, v. 127;
o, 4, v. 18, 189; o, 5, v. 16, 85, 122; oc.
TM, ¥. 10; 0. ms ¥. 16; 0.10, v. 37,52, 60;
ce. 11, ¥. Ll; 0. 14, pean tt cos a
©. 16, v. 13; c. 17, v. 5, 30; 0. v. 17;
bic. DI, . 83:4, 2. Vv. 125; . 2a, Vi
44, 76; 0, 24, vw. 10, 22, 55: a. pa v, 28,
197; o. 26, ¥. nih 0.27, v. 34, 102; a.
29, v. B; 0. 30, v. 14, 128; c. 31, v. 60,
60, 70; è. ‘39, v. Di c, 33, v. dA.
Beccuria (li), abate. Inf., e. 32, v. 119,
Heda, venerabile. Par., o. 10, v, 131.
Helncqua. Purg., c, 4, v. 123.
Bellinelow lberti, Par., c. 15, v. 112;
6. 10, v. Ue,
bellis ar, vibtellisa rio. Par., 0.0,7,25.
Riello (ilel) Geri, Inf., e. 20, v. 27.
Belo, re ili Tiro, Par,, è. 9, v. DT,
Helzebo. Inf, c. 34, v. 127.
Benaco, lugo. Inf,, e, 20, vw, 68, 74, 77.
Benedetto (5.) patriarca, Par., c. 22,
vw. di: ©. 32, v. Hb
Benedetto (liulia di San). Inf., c. 10,
vw. Diu
Benevento, Purg., c. 3, v. 128.
Benincasa d'Arezzo, inteso perl’ Are-
tino, Purg., c. 6, v. 18.
Bergamaschi, Inf., c. 20, v. 71.
Herlinghieri Ramondo, Par,, c. 6,
¥. 134.
Mernardin ii Fusco. Porg., 0. 14,
¥. 101,
Hernardo (5.), abate, Par., 0. 81, v.
102, 139; 0. 32, v. 1. Prega la Vergine
Maria pier Dante, c. 83, v_1 6 sog.
Bernardo, frate. Par., e. 11, v.
Pietro.
Mernardone Par., c. 11,1
Rerta, 0 mouna Berta, Par.,.
w. 139,
Berti Bellincion. V. Bellincion.
Bertram dal Bornio, Inf, 0. 28, v.
eri pd age Inf, e 17, 7
Bianchi, fazione. = * c. 24, v.
Iiee, nome sincopato. V. Beatrici
But. V. Pilli.
penser nome glncopalo. Par., o.
v. 108.
Bisenzio, flome. Inf., e. 32, v. &
ea e ng ea
| Bocen degli Abati. Inf., o. 32, v. Il
ctor et cl o. 7, v. 96. Par.
19, v. 124, :
Boezio Severino. Par., oc. 10, v. 1
s. Inf., ©. 23, v. 142. Parg.
ld, v. 100,
Franco. Purg., c. 11, v.
Bolognesi. Inf., c. 23, v. 103.
Bolsena, castello, Purg.. c. 24, ¥.
Bounttt Guido. Inf., c. 20, v. 118
Bonaventura (S.). Par, c. 12, v. 1
Boulfazio, arciv. di Ravenous. Pur
c. 24, v. 20.
Bonifazio VITT. Inf., c. 19, v, 53
27, ¥. 70, 85. Purg., c. 20, v. 87; &
v. 149: ec. do, v. di. l'ar., c. 9, v. li
c. 12, v. 90; c. 17, v, 45: c. 27, vi!
c. 30, v. 148.
Bonifazio ila Signa, Par., 0. 16, v.!
Honturo,0 Buonture, ile liati.lo
c. 21, v. 41.
Borea, vento. l'ar., c. 28, v. BI,
Horgo ili Firenze. Par., c. 16, v. 134
Kornio ({dul). V. IJiertram.
Horsiere Guglielmo. Inf., ©. 16, r,
Bostlebl, fiuniglia. l'ar., ©. 16, w. |
Rtrabimsate. INirg., ©. U, v. 23.
Hranen dd Uria, genvoveso, tralito:
Inf, c. 49, v. 137, 140.
Hranda, lonte io Siena. Inf., 0.30, ¥.'
Hrandizio, o Brindlbel, cità. Pur,
c: 4, ¥. 27.
BRrenne, capitano. Par., c. 6, ¥. 4
Hrenta, time, lof, c. 15, v. 7.
c. 8, v. 27,
Brescia, città. Inf., c. 20, v. 68.
Bresciani, Inf., c. 20, ¥. TI.
Breitinoro, città. Furg., e. 14, v. 1)
Brinreo, gigante. Inf., c. 31, v. |
Purg., c. 12, ¥. 28.
Brigata (il). Inf., c. 33, v. 89.
Erlaso, tilosofu. Par., c. 13, vw. 125.
Broccia (dalla). V. Pier della Broce
Bruggla, città. Inl., c. 15, v, 4. Por
c. ZU, v. 46,
Brunelleschi. V. Ague).
INDICE DEI NOMI PROPRI E DELLE COSE NOTABILI 103
Brunette Latini. Inf., c. 15, v. 30,
82, 101. .
Mento o Canale. Par., c. 6, v. 74.
Brute Lueie, nimico di Tarquinio.
Inf., o. 4, v. 127.
Brute Marce, uoccinore di Giulio Ce-
nare. Inf., c. 34, v. 65.
Buemme. V. Boemmia.
Buggéa, o Rugia, città. Par., oc. 9,
v. 92.
Buiamenti Giovanni. Inf.,c. 17, v.72.
Batteame di Viterbo. Inf., c. 14, v. 79.
Buonagiunta degli Orbisani. Purg.,
o. 24, v. 10, 20, 35, 56.
Bnencente di Montefeltro. Purg., c.
5, v. 88.
Snondeimente de' Buondelmonti.
Par., c. 16, v. 140.
Buondelmenti, famiglia. Par., 0. 16,
v. 66.
Buese da Duera, cremonese. Inf., 0. 82,
v. 136.
Buecse degli Abati. Inf., o. 26, v. 140.
Buese Donati. Inf., c. 30, v. 44.
C
Caccia d' Asciano. Inf., c. 20, v. 181.
Cacelaguida. Par., o. 15, v. 28, 97,
135, 145; c. 16, v. 28 © seg.; 0. 17; 0.
18, v. 2, 28, 50.
Caccianimiee Vonedico. Inf., 0. 18,
v. 50.
Cace, ladro famoso. Inf., c. 26, v. 28.
Cadme. Inf., c. 25, v. 97.
Cagnane, fiume. Par., c. 9, v. 49.
Cagnane (Angiolello da). Inf., c. 28,
v. 77.
Cagnazze, demonio. Inf., c. 21, v. 119;
c. 22, v. 106.
Caifas, pontefice. Inf., c. 38, v. 118.
Calma, bolgia. Inf., o. 5, v. 107; 6. 82,
v. 58.
Caine e le spine, ombra nella Luna.
Inf., c. 20, v. 126. Par., o. 2, v. 51.
Caine, primogenito di Adamo. Parg.,
c. 14, v. 132.
Calarega, 0 Chaisherra, città.
Par., o. 12, v. 53.
Calavrese, 0 Calabrese. Par., o. 12,
v. 140.
Caibelt, famiglia. Purg., c. 14, v. 89.
Calceabrima, domonio. laf., o. 21, v.
118; co. 22, v. 183.
Caicanta, oCaicante, indovino. Inf.
o. 20, v. 110.
Caifueet, famiglia. Par., o. 16, v. 106.
Caliste f, papa. Par., 0. 27, v. 44.
Callisto, ninfa. Purg., c. 35, v. 181.
Calliopèa, o Calliope. Purg., o. 1,
v. 9.
Camnidett (oremo di). V. Ermo.
Camiciome Alberto de’ Passi. Inf., o.
32, v. 68.
Cammillia. Inf.,c.1,v.107;0.4,v.12.
Cammine (da), famiglia. V. Gherardo.
Cammine (da) Ricciardo. Par., o. 9,
v. 50.
Campagnuatice, Jnogo. Purg., o. 11,
v. 46.
Campaidine, nel Casentino. Purg.,
o. B,v. 92.
Campi, castello. Par., c. 16, v. 50.
Canavese, contea. Purg., c. 7, v. 136.
Cancellieri, famiglia. inf., o. 33, v. 68.
Canere, segno del Zodiaco. Par., c. 28,
v. 101.
Can grande della Scala, accennato.
Inf., c. 1, v. 101 (1). Par., c. 17, v. 76.
Cansene prima, così chiama Dante la
Cantica dell’ Inferno. Inf., 0. 20, v. 8.
Caersa, città asuraia. Inf., c. 11, v. 50.
Caersini. Par., c. 27, v. 58.
Caen. Inf., 0. 12, v. 48.
Capaunde. Inf., 0. 14, v.68;c. 25, v. 15.
Capeocchie. Inf., 0. 29, v. 136; c. 30,
v. 28.
Caponsaechî, famiglia. Par., c. 16,
v. 121.
Cappelletti, famiglia. Purg., o. 6,
v. 106.
Capraia, isola. Inf., c. 33, v. 82.
Capricerne, segno del Zodiaco. Purg.,
o. 2, v. 57. Par., c. 27, v. 60.
Caprena, castello. Inf., c. 21, v. 98.
Cardinale, detto antonomasticamente
il cardinale Ottaviano degli Ubaldini.
Inf., 0. 10, v. 120.
Cariddt. Inf., c. 7, v. 22.
Carisenda, torre in Bologna. Inf., 0.
31, v. 136.
Carita (virtà). Dante esaminato culla
medesima da 8. Giovanni Evangelista.
Par., co. 26.
Carîtuo de’ Passi. Inf., 0. 33, v. 69.
Carlo Magee, imp. Inf., c. 31, v. 17.
Par., c. 6, v. 96; c. 18, v. 43.
Carle I, re di Puglia. Purg., o. 7, v.
113, 124; ec. 11, v. 137.
Carlie Et, re di Puglia. Inf., o. 19, v. 99.
Purg., 0. 7, v. 127; c. 20, v. 67. Vendo
Reatrice sua figlia ad Azzo d' Kate per
30 mila fiorini, o, aconndo altri, per
50 mila. Ivi, 79, e 80. Par., c. 6, v.106;
o. 19, v. 127; a. 20, v. 63.
Carie Martelte. Par., c. 8, v. 49. Ami-
co di Dante, c. 8, v. 55, 72; c. 9, v. 1.
Carte Reberte, ro d'Ungberia. Par.,
c. 8, v. 72.
104 INDICE DEI NOMI PROPRI E DELLE COSE NOTABILI
Uarlo Senzaterrn, re di | Inf.
fi Purg., c. 6, ¥, 09; 6, 20,
Pad apocte di danza usata in Na-
poli, Tar,, [LP 24, v, 10,
Unron è taronte, lnf., è, 8, v. DI,
100, 128,
Carpigna (Guido di), Purg. 0.14, v. 08,
Uarrarese. Inf, 0, 20, v., db.
Carro, segno colesto. laf.,¢. 11, ¥. 114,
Purg., c. 1, v. 40, Par., o 19, v. 7.
Casella, musloo, Purg., 0, 2, v, 01,
Casentine, paoso. Int, o, BO, w, 08,
Pur. ©. 5, %. DI; 0, 14, 9.48,
Cine co (dol) Galdi, Iuf., 0, 28, ¥. 77,
Unease re (del) I rg., 6. 6, ¥. 78.
Cassino, Monte, Var,, ©. 23, v, 87,
Udi, en di Cesare, Tof., è, 94,
v. 07,
Unsalo è Bruto. Par., 0. 0, ¥. 74.
Castello Sant'Angelo, in Roma. Inf.,
e. 18, v. 82,
Castette (da), famiglia. Purg., 6. 16,
w. 125,
Unetiglia, provincia. Par., At, v. Og,
Castita (Esempi di), Purg.,c¢.25, v.12).
Unatore è Pollace. Purg., c. 4, ¥. 61.
Unstoro. lof., c. 17, ¥. 22.
Unstrocenaro, contea di Romagna, Pur-
gator, €, 14, v. 110,
Catalane de’ Mulavolti, Inf., oc, 23, v.
104, 114.
(Untulogaa, provincia. Par., e. 8, v. 77.
Cutellial, famiglia. l'ar., c. 16, v. 58
Unione, ulicense. Inf, e. 14, v. 15
Purg... 1, v- 41; ¢. 2, vw. 120.
Untrin, monto, Par., e, 21, v., 109,
Uattollea (la), terra. Inf., o. 28, ¥. 80,
Unvalennte de Cavalcanti. Inf., c. 10,
vr. 60.
Cavalenute M, Francesco, Inf., c. 25,
¥. 1h.
Cavaleanti Gianni Schicchi. Inf., ¢
30, v. U2, 44.
Cavalieunti (rola,
arg., c. V1, ¥. 09,
Cavalieri, o Frati Gandenti. Inf.,
co. Sd, Vi 103.
Ceelllo Stazio. Parg., c. 22, v. 98,
Cé@clun, Gime. Ipf., c. 13, ¥. 9.
Celestino V (San Pier). Malamente
necennato. Inf., o, 3, w., 59, Giusta-
mente inteso, Inf., co. 27, v. 105.
Ceneri, serpenti. Inf., o. 24, v. 87.
Centauri. Luf,, c. 12, v. 56; 0. 25, v.
17. Purg., ¢. 24, v. 121,
1 if., c. 10, v. 603.
armors. Inf., o. 6, v. 13, 22, 12;
v.
Vorebi, lunga, Pur., e, 10, v. OI
Werere, Purg., 0. 28, ¥. 61.
Cerintilo, castollo, Par,, 0, 10, vr.
parent ~ algo rt v. 42.
Cesare Ginlio. Inf, è. 4, v. 123;
mne Per & 28, TIM 3A
Ri
Cesare detto l'Imparatoro, Taf., o
v. 05, Parg., c. 8. v: 82, 114. Par.,
v.20;c. 0, +. 10; a, 14, v. 60.
l'eanre Tiborio. berto,
| Sedai. cia DSL. 1 LE v. 63.
Ubellari, sorponti, Inf., 0, Da, v. Ai
Uheràbi, v Uherubimi, Par. c
Uherubiea luce. Par., o. 11, v. 39.
Uherubimi neri, demoni, Inf, è,
v. 113.
Uhilama, fiame. Par., ¢. 19, w, 23,
Chimera (Santa) d’ Assisi, Par., c.9, 9
Chisrentana, monte. Inf., 0, 15, ¥
Ulbianrmonteal, crednti falsari Pu
e. 13, v. 105. Par., c. 10, v, 105.
Chinel, liume. Par. a 11, v
Chinss!, o Ulnase, luogo distro!
Parg., c. 28, v. 20,
Chinveri, terra. Parg., c. 19, vr. 10
Chiesa li Koma. Pure., e, 16, v. 12
Chirene, centauro. Inf., c. 12, vy,
71, 77, O7, 104. Purg., c. 5, v, 37
Chiual, città, Par., c. 16, ¥. 7
laces, parassita. Inf., e. 6, v. 62, È
Uiam polo. Vo Giampolo.
Ulantfa de' Donati, Tuf., c. 25, v. 41
Clianghella della Tusa, l'ar., e.
7, 128,
Ulnpetta Ugo. Purg., c. 20, +
Ulceilla, o Siellla. Inf., c. 12, ¥. 1
Parg., oc. 3, v. 116. Par., 0, 8
Cicillano, buo. Iof., c. 27, v.
Ciclopi. Inf., c. 14, v. 55,
LUleldavuro, tempio in Pavia. Par.
10, v. 128.
Chunabue, Purg., c. 11, v. dd.
Cincinnato, Par. 0, 15, v. 129.
Quincio,
Gione ile’ Tarlati, accennato, l'urg
G, v. 15.
Uloito di Gerusalemme, per Carlor
Gerusulemme. V. Carlo II.
Cipri, isola. Inf., c. 28, v. 82, Par
10, v. 147.
Ciprigna, o Venere. Par., c. 8, +
Circe. Inf., e. 26, v. 91. Purg., ¢
TV, 42.
INDICE DEI NOMI PROPRI E DELLE COSE NOTABILI 105
Ciriatte, demonio. Inf., o. 21, v. 123;
o. 23, v. 55.
Cire, re. Purg., c. 12, v. 56.
Cirra, città. Par., c. 1, v. 36.
Citerea,o Vemere. Purg., 0.27, v.95.
Clemente EV. I'urg., o. 3, v. 1285.
Clemente V. Inf.. c. 19, v. 88. Purg.,
c. 82, v. 148. Par., c. 17, v. 82; 0. 27,
v. 58; o. 30, v. 142.
Clemensa divina. Inf., c. 2, v. 94.
Clemenza, regina. Par., c. 9, v. 1.
Cieopatrazs, 0 Cleepatra. Inf., 0. 5,
v. 63. Par., c. 6, v. 76.
Ciete, pepa. Par., o. 27, v. dl.
Climene. Par., o. 17, v. 1.
Clio, Musa. Purg., o. 22, v. 58.
Ciete, Parca. Purg., o. 21, v. 27.
Ceeite, finme. Inf., o. 14, v. 119; 0.31,
v. 123; o. 33, v. 156; c. 34, v. 62.
Celeht, Inf., c. 18, v. 87.
Celee, città. Par., c. 2, v. 16.
Celie, città. Porg., c. 18, v. 118.
Colegna, o Colonia agrippina. Inf.,
o. 28, v. 63. Par., c. 10, v. 90.
Celenuae cd' Ercole. Inf., c. 26, v. 108.
Coleuneai, famigiia. Inf., 0. 27, v. 88.
Commedia, chiama così Dante {] suo
poema. Inf., c. 16, v. 128.
Conie, contea in Romagna. Parg., c.
14, v. 116.
Consigtiert frandolonti puniti. Inf.. 0.
26, v. 81 © neg.
Contemplativi e solitari. Par., o. 22,
v. 81.
Centt Guido. Par., o. 16, v. 08.
Cent’ Orse. lurg., o. 6, v. 19.
Ceruete, castello. Inf., c. 12, v. 137;
o. 18, v. 9.
Corniglia, o Cornelia. Inf., 0. 4, v.
128. Par., c. 16, v. 129.
Cere, vento. Inf., c. 11, v. 114.
Corsi, popoli. Purg., c. 18, v. 81.
Corse Donati. Porg., c. 24, v. F2.
Certigiani, famiglia creduta accen-
nata. Par., o. 16, v. 112.
Coseiensa pura. Inf., o. 28, v. 118.
Conenza, città. Pnurg., c. 8, v. 1M.
Contantine Megno. Inf., c. 19, v. 115;
0. 27, v. 04. Purg. o. 82, v. 128. Par.,
c. 6, v. 1; o. 20, v. 55, 57.
Cestantinepeil. Par., 0. 6, v. 5.
Costanza, moglie di Pietro III, d'Ara-
gona. Purg., o. 7, v. 129.
Craase. Purg., c. 20, v. 116.
Creti, o Creta, isola Inf., o. 13, v. 12;
o. 14, v. 96.
Crensa. Par., c. 9, v. 98.
Crisesteme (8.). V. Giovanni Criscst.
Cristiani. Inf., 0. 37, v. 88.
Cristo. V. Geet Cristo.
14
Creazia, provincia. Par. o. 81, v. 103.
Cretena, città. Par., c. 8, v. 62.
Cunfzza, sorella dol tiranno Assolino
da Romano. Par.. o. 9, v. 83.
Cuplide. Par., oc. f, v. 7. ©
Cartasi, i celobii tre fratolli Albani.
Par., c. 6, v. 39.
Curie, o Curiene. Inf., c. 28, v. 93,
102.
Curradine. Parg., o. 20, v. 68.
Currade I, imp. Par., c. 16, v. 129.
Carrade da Palazzo. Parg., 0. 16, v.
124.
Currade Malaspina. Purg., 0. 8, v. 66,
109, 118, 119.
»
Daminta, città. Inf., c. 14, v. 104.
Danielte, profeta. Purg., 0. 22, v. 146.
Par., c. 4, v. 18; o. 29, v. 134.
Danielle, Arnaldo, poeta provenzale.
Purg., c. 26, v. 116, 142.
Dammat!, intendono le cone avvenire,
o non le presenti. Inf., o. 10, v. 101
© sog.
Danota, per Danubio. Inf., c. 32, v. 26.
Dante chiamato da Beatrice per nome.
Purg., c. 30, v. 55. Amicizia grande
dcl maleaimo con Carlo Martello. Par.,
c. 8, v. 65. Oesorva in Roma il tramon-
tar del Solo. Parg., c. 18, v. 80.
Danubile. Par., c. 8, v. 65. V. Danoia.
Davide, re. Inf., c. 4, v. 58; c. 28, v.
138. Purg., c. 10, v. 65. Par., 0. 20, v.
88; o. 25, v. 72; c. 32, v. 11.
Deel, romani eroi. Par., c. 6, v. 47.
Deeretaii (libro delle). Par., c. 9, v.
134.
Dedale. Inf., c. 29, v. 116.
Detanira, Inf., c. 12, v. 68.
Deldamia. Inf., c. 26, v. 62. Purg., c.
22, v. 114.
Delfite. Purg., o. 22, v. 110.
Mella, appollata la Luna. Parg. o. 20,
v. 132; c. 20, v. 78.
Melfica, doità, Apollo. Par.,c. 1, v. 32.
Dete, isola. Purg., 0. 20, v. 130.
Demecrite. Inf., o. 4, v. 136.
Demefeente. Par., c. 9, v. 101.
Diana, dea. Porg., c. 20, v. 182; ©. 25,
v. 131.
Diana, riviera. Purg.,o. 18, v. 168.
Didone, o Dido. Inf., c. 5, v. 61, 85.
Tar., c. 8, v. 9.
Diligensa (Esempi di). Purg., o. 18,
v. 99.
Dite (Unità e Trinità di). Par., c. 83, v.
115 © seg.
100 INDICE DET NOMI PROPRI X DELLE COSE NOTABILI
ot aga o Diegewe. Tnf,, c. 4, v,
Bhiomede. Tof., o. 20, v. 50,
Blowe, por Venere la dea, Par,, è, la
v. 7T.- Per Venere il pianota, 0. 22,
v. 14.
Dionisio Arcopagita. Par., 0. 10, v,
115; o. 28, v. 130,
Dionisio tiranno, Inf., è, 12, vi 107.
bioscoride Anarzaboo. Inf, c. d, v.
140,
bite, città infernale. Inf., e. 8, ca
e. 11, v. 06; 0,13, ¥. 30; 0,34, v, 20,
ttongio, città. Purg., o. 20, v. 46,
Dolelno, frate. Inf., 0, 28, v, 55.
Domentcant. Par., c. 1, v. 124.
bomenieo (S.). Par,, 0, 10, v. 06; 0,
11, v. 30, 121; o. 12, v. 56, 70.
Dominazioni, coro d'Angeli. Par., 0.
28, v. 122.
Domiziano, imp. Purg., ec. 23, Va 83,
Donati, famiglia. Par., iG. 16, 7. 119,
Donnti linoso. Inf, e. 30, v. 44.
Donati Corso. Purg., (A ‘24, v. 82,
Donato, gramatico, Par., e, 12, v. 137.
Denne fiorentine biasimate, Purg., 0.
23, v. DA 0 sog.
Draghinaaze, demonio, Inf, c. 21, ¥.
12}; c. 22, v. 73.
Drage. l'urg., 0, 32, ¥.
Buena d Atene. V.
Buena (ilel),
112.
DBbuen (dell. V. linido,
Bhuero. V. Buosu da Duera.
Burazzo, villi. l'aur,, ec, 6, vw, G5.
151 è seg.
Teseo,
famiglia, Durg., co. 14, +,
Ebree donne, Par., c. 42, v. 17.
Ebrei, l'urg., 0.4, ¥. 83; c. 18, v. 134;
a. 24, ¥. 124. Dar, c. 5, V. 49! c, 99,
vi 133.
Ebrei (schiavità babilonica degli). Par.,
c. 23, v. 174,
Ebro, fiiino, l'nr., 0. 9, vw. BI.
Eeo, voco ripercossa, l'ar., 0. 12, v. 14.
Ecloga LV di Virgilivaccennata, Purg.,
co. 22, v. TO,
Eeuba, reginà. Tuf., o. 30, v. 16,
Egidio, trate. Par., c. 11, v. BI.
icing, isuletta. Inf., c. 20, v. 60,
Egitto. l'urg., c. 2, v. 40, Par. c. 25,
v. 66,
Elena. Inf., c. 5, v. 64,
Elettori del romano pontefice. Purg.,
0. 32, ¥. lda.
Elettra, figlia di Agamennone, Inf, è
l4, v. 121.
EU, nome d'Iddio. Par., c. 26, r.
Elia, profeta. Inf., c. 20, v. 35, Pi
via v. 80, =
0. ns
i . Orsa |
Eillalo, cunpo. Par,, co. 15, v. 27.
Ellesponto. Purg , c. 28, 7. a
Blea, fumo, Purg., o. 33, v. 67,
Kuma, fume. Par, c. 16, v. 143.
i 3,0 Empedocle, |
o. 4, v. 138,
Kuea, troiano, Inf., c. 2, v. 32; 0
v. 122; o. 26, v. 93. Purg., o. 18,
137. Par., c. 0, v. 3; oc. 16, vr, 27.
Enelda di Virgilio, Parg., e. 2, v.
e seg.
Eolo. Purg., c. 28, ¥. al,
Epicuro. Inf., e. 10, v. 14.
Equatore, Purg., c. 4, v. 80.
Equlnoskale, orto del Sole. Par.,
1, ¥. dB,
Era, flume. l'ar., c. 6, v. 59.
Ernellto. Ini., c. 4, v. 138.
Ereole. Inf., c. 25, ¥. 32; o 26, v. 1
c. dI, v. 152.
Eretlel puniti. Inf., c. 28,
Eritile. Purg, ec. 12, v. 50,
Erine, furie, Inf., c. 9, v. 45,
Erisitone. Purg., c. 23, ¥. 20,
Eriteoe, maga. Inf., o. 9, v. 24.
Ermafrodito, Jurg., o. 26, v. 82
Erno, 0 Eremo di Camaldoli. Pur
c. 5, v. 06.
Ero, donzolla.
Leandro
Eead. Iuf., c. 3, v. 60. Par., c. E,
140; c. 32, v. GA, 70.
Besenzn divina. Par., c. 28.
Enter. Purg., c. 17, v. 20.
Betl, 0 Kate, castollo, Inf., c. 12,
Lil. Puorg., o. 5, v. 77.
seth (da). V. Azzono 6 Obizzo,
Eievele è Folinice. Inf., c. 26,
54. Purg., co. 22, v. 60,
Etiope ed Etlopo. Purg., c. 26,
21. Par,, c. 19, v. 109.
Etlopi, accounati. Inf., 0. 34, v. 44.
Etiopia, provinéia, Inf., c. 24, v, È
Hina, 0 Mongibello. l'ar,, 0. 8, ¥
Ettore, Inf.,c 4,v.122. Par., c.0,7
Eva. Porg., c. 8 v. 09; c, 12, v.
o. 24, v. 110; 0. 28, v. 142; ©. 20, v.
Purg., c. 28, v. 73.
INDICE DEI NOMI PROPRI EB DELLE COSE NOTARILI 197
c. 80, v. 62; 0. 32, v. 32. Par.,c. 18, v.
38; 0. 52, v. 6.
Ewelide. Inf., 0. 4, v. 142.
Bufratea, flume. Parg., c. 33, v. 112.
Eumenie, ec Teante. l'arg., 0. 20,
v. 98.
Euneè, fume. Purg., 0. 28, v. 181; 0.
83, v. 127.
Beriate, Inf., c. 1, v. 108.
Euripide. Porg., c. 22, v. 106.
Euripile. Inf., c. 20, v. 112.
Euro, vento. Par., o. 8, v. 69.
Finropa, figlia d'Agenore. Purg., c. 8,
v. 123. Par., o. 12, v. 48; 0. 6, v. 5;
o. 27, v. 84.
Eseehia, re. Par., c. 20, v. 61.
Eseehtelie, profeta, Purg., 6. 20, v.
100.
F
Fabrizio, consolo. Purg , 0. 20, v. 25.
Fabbro. V. Lambertaccio.
Fabii romani. Purg., c. 6, v. 47.
Faenza, città. Inf., c. 27, v. 49; c. 32,
v. 123. Purg., o. 14, v. 101.
Falaride, accennato. Inf., o. 27, v. 7.
Falsari, alchimisti, puniti. Inf., c. 29.
Faisificateri di monete, della porso-
na, do’ fatti. Inf., c. 80.
Faitereewa, monto. l'urg., 0. 14, v. 17.
Faltereun, valle. Inf., o. 33, v. 56.
Famagenta, città. Par., c. 19, v. 146.
Fanciniif senza uso di ragione salvati
per virtù del battesimo. Par., o. 33,
v. 3.
Faneciatit morti nonza battosimo rite-
nuti nel Limbo. Par., c. 32, v. 82.
Fane, città. Inf., o. 28, v. 76. Purg.,
o. 5, v. 71.
Fantell, famiglia. Parg., c. 14, v. 131.
Faree, sorpenti. Inf., c. 24, v. 86.
Farfarelie, demonio. Inf., o. 21, v.
123; c. 22, v. 04.
Farinata degli Uberti. Inf., c. 6, v.
79; 0 10, v. 32.
Farinata Marzacco. l’urg., c. 6, v. 18.
Fariset. Inf., o. 23, v. 116.
Fariset nuovi. Inf., c. 27, v. 88.
Farsagliia, regiono. Par., c. 6, v. 65.
Fede, virtù teologale. Dante ceaminato
sulla medesima «ia San Pietro, Par.,
o. 34.
Federige I Barbarenea. l'urg., 0.
18, v. 119.
Federige If, imperatore. Inf., c. 10,
v. 119; o. 18, v. 59, 68; o. 23, v. 66.
Purg., c. 16, v. 117. Par., c. 3, v. 120.
Federige novello. Purg., o. 6, v. 17.
Federige, re ili Sicilia. Purg., 0.7, v.
119. Par., c. 19, v. 130; 0. 20, v. 63.
Federige Tignoso. Parg., o. 14, v. 106.
Redra, moglie di Teseo. Par., o. 17,
v. 47.
Felice Gusman. Par., o. 12, v. 79.
Feltre, o Feltre, città. Inf., o. 1, v.
105. Par., c. 9, v. 52.
Feltre, per Monte Feltro. V. Monte
Feltro.
Feniee, uccello. Inf., o. 24, v. 107.
Fenicia, provincia. Par., c. 27, v. 83.
Ferrara, città. Par., c. 15, v. 137.
Ferrarese, sangue. Par., o. 9, v. 56.
Feteu, o Fetente. Inf., o. 27, v. 107.
Purg., ©. 4, v. 73; ©. 29, v. 119. Par.,
o. 17, v. 3; c. 31, v. 128.
Finite, gigante. Inf., c. BI, v. 04, 108.
D'impmenefngiei, Inf., o. 15, v. 4.
Nieschi, Conti di Lavagno, accennati.
Purg., c. 19, v. 100 © sog.
PFieseliane, bestie. Inf., o. 15, v. 73.
Fiesole, città. Inf., c. 15, v. 62. Par.,
o. 6, v. 68; 0. 15, v. 126; 0. 16, v. 122.
R'ifamti, famiglia. Par., c. 16, v. 104.
Arrigo. Inf., c. 6, v. 80.
Nigghime, castello. Par., o. 16, v. 50.
Filippescoh! o MMenaidi, famiglie.
Purg., c. 6, v. 107.
Filippi, ro di Francis. Purg., o. 20,
v. 50.
Fitippi, famiglia. Par., c. 16, v. 80.
Fitippe Argenti, V. Argonti.
Filippe il Bello, re di Francia, Inf., 0,
19, v. 87. Purg., 0. 7, v. 100: o. 20, v.
48, 86; c. 32, v. 152; c. 33, v. 48. Par.,
c. 19, v. 120.
Ptiippe, ro di Francia, detto Nasetto.
Purg., o. 7, v. 103.
P1511, regina. Par., c. 9, v. 100.
Flerdalise, insogna della Francia.
Parg., «. 20, v. 86.
Fiorentina rabbia. Purg., c.11,v.113.
Fioreuntime donne. Purg., 0. 23, v. 101.
Fioreuntimi. Iuf., c. 15, v. 61; 0. 16, v.
73; c. 17, v. 70. Parg., c. 14, v. 50.
Fiorentini Ghibellini. Pnrg., c. 11, v.
112.
Fioreaza, città. Inf., c. 10, v. 92; 0.
13, v. 143; o. 16, v. 75; ¢. 23, v. 95; 0.
24, v. 144: c. 26, v. 1: c. 32, v. 120.
Turg., c. 6, v. 127; c. 12, v. 102; c. 20,
v.7h:¢. 20, v. 70. Par., ¢«. 6, v. £3; 4.
9, v. 127; 0. 15, v 97; c. 16, v. 26, 40,
84, 112, 121, 134, 146, 149; c. 17. v. 48;
o. 25, v. fi: c. 31, v. 30. Appollata al-
trimenti Firenze. Inf., c. 24, v. 144;
o. 26, v. 1. Purg., o. 14, v. 64. Par.
o. 20, 103.
Fierini, moneta d'oro. Inf., c. 30, v. 80.
108 INDICR DEI NOMI PROPRI È DELLE COSE NOTABILI
Fisica, scionza dolla natura, Inf,, 0, 11,
7.101,
fiegetonta, 0 Fiegetonte. Inf., 0.
14, v. 116, 191, 134,
Tof., 0. 8, Vv.
Fiegine, ro do’ Lapiti.
10, 24,
Fiegra, valle. Inf., c. 14, v., 68,
Facnesse de' Canoolllori, Inf., c. 32,
vr. 63.
Foeara, monto. Inf., 0, 28, v. BI,
Foleo di Marsiglia. Par., 6. D, 7. 07,
B2, Di.
Folo, centauro, Inf., e. 12, v. 72.
Fontana (de la), famiglia forrarose,
Par., 0. 9, v. 62 (nella nota).
Forabosc re hi, famiglia. Purg. , & 16,
v. 100,
Forese de' Donati. Purg., e. 24, v. 48,
76; 0. 24, v. TA.
Forti, città. Inf., c. 10, Mad. o, 27,
v. 43. Purg., o. 24, vi 32.
Fortuna, Inf., 0. 7, v. 62. Suo reggi-
mento deseritto, iri, Tih 78 0 sog.
Foriuna maggiore, termine astrologi-
co. Purg., e. 19, v. d,
Foseo (di) Bernardino. Purg., ¢. 14, v.
101.
Fotlno, ercaiarca, di cul falanmento fu
creduto seguace papa Anastasio IT.
Inf., c. 11, v.Dekwg.
Francesca ila Polenta. Inf.,o. 5, ¥. 116.
Francesca vente. Inf, c, 29, ¥. 124,
Francescamente, 0 Alln Franze-
ac. l'urg., c. 16, v. 120,
Framesascamni. Par., c. 12, v. 112.
Franceschi, 0 Francesi, Iuf., e. 27,
Wi #4; 0. 92, v. 115. Par., c. 8, v. 76.
Francesco il Accorso. Inf, 0.165,v.110,
Fruncesco d'Assisi (5.). Inf., c. 27, 4
112. Par., c. 11, v. 60, Td; 0, 13, ¥. 83;
c.22, v. 90; o. 42, v. 8h.
dii Inf., c. 19, v. 87. Purg., oc. 7,
- 109; c, 20, v. 43, G1, 71. Par., c, 15,
v. 120.
Franco Bolognose, Purg., c. 11, v, 83,
Frausesl, V. Franceschi,
Fraudolenti, Inf, c. 11, v, 10 e sog.
Frisoni, uomini d'alta statura. Iuf,,
o.d1, vw Gd.
Fuecl Vanni, Inf., c. 24, v. 125.
Faleert da Calboli, Murg., c. 14, v. 68,
Parle. luf., c. 0, v. JB 6 sog.
(i
Gabriele, o Gnbriello, arcanzels,
Purg., 0, 10, v. dI. Par., c, 4, v. 47;
CY, v, lh; c. ld, v. do; a, 24, v. 094;
oc. d2, v. Od, 112,
hp.
meee te rn
Gherardesca. Luf., c. 83, v. 68.
Gade, 0 Undice. Par., o. 27, v, 82
Gaeta, vitià, Inf, o. 20, v. 02, P
Gatigal, famiglia. Par., o. 10, v. 10)
alta. Gar incia. Par., o. 25, v. li
Gialli, famiglia. Par., c. 16, ¥. 105,
Gallo rosso in campo d'oro, insegna |
Giodicato di Gallura. Purg.., c. 8, 7.
rane Inf., o. 22, v. 82. Purg., &
W. Bl,
dinlinzse, lnogo. Par., c. 16, v. 54.
0 Gano di Magan:
Iuf, o. 32, v. 122.
n 0 Siege pine on
vy. 4. Par,, c. 11, v. bl.
Ganimede. Purg. ec. 9, v. 22.
Garda, borgo. Inf, 0, 20, ¥. 05.
Gnrdingo, via di Firenze. Inf., 0!
vr. 108.
@naudenuti cavalieri, «i frati, Inf., ©, +
v. 103.
dinville, torra. Iuf., c. 25, v. 151.
Gedeone. l'org., c. 24, v. 125.
daclbooe, monte, Purg., c. 12, v. 41,
Gemelil, i Gemini, segno dello Z
diuco, l'ar., c. 22, ¥. 110, 153.
Geneal, libro sacro, Inf., e. 11, ¥. 10
Gennalo, mouse. Par., c. 27, v. 122.
Genova. l'ar., c. 0, ¥. 99.
Gienovese, siato, l'ar,, c. 9, ¥. 90.
dienovest binsimati, Inf., c. 33, ¥.15
«ientiti illostri nel Limbo, Inf., c
Gentucea, donzella. Par,, c, 24, ¥.4
Gerarchia angelica. Par., e. 25.
dGernult de Berucil. l'urg., c. 26, v.12
Gerlkeo. Par., o. 4, v. 124.
teri del Bello. Inf., c. 29, v. 27.
Gerlione, re di Spagon. lof., c. 17,
07,133; e. 18, ¥. 20. Porg., c. 27, ¥. 2
Giermanin. V. Lamagna,
Gerusalemme, 0 Jerusalem, ln
co. 34, v. Lid. Purg., c. 2, v. 3,0. 3
v. 20. Par., 0. 19, v. 127; c. 25, v.i
icsh, 0 dies Urlelo, nienzionato
mecssnniato, Inf, cc. dd, v. 115. l'ur,
e. 15, v. 88; a, 20, v. BY; a, 21, ¥
c. 23, v. TA: 0, 26, v. 120: c. 32, +
102: c. 33, v. 031, Far,, c. 11, r.
102, 107; e, 12, v. 37,
13, v. 40; co. 14, v. 104 o ség.; ©.
v. BY: o. ID, v. 72, 104, 106, 108:
20, v. 47; 0. 24, v. 72, 105, 126;
91, 73, id;
INDICE DEI KONI PROPRI E DELLE COSE NOTABILI 109
25, v. 15, 83, 118, 128; c. 29, v. 98,
109; o. 81, v. 3, 107; c. 83, v. 20, 24,
27, 83, 85, 87, 126; c. 33, v. 181.
Gherardesen (delle), famiglia. Inf.,
©. 32, v. 125 © seg.; o. 33, v. 1 © seg.
V. Ugolino.
Gherardo da Cammino. Parg., c. 16,
v. 124, 183, 132.
Ghibellini, persecutori de' Papi, e per-
seguitati dai Papi. Par., c. 27, v. 48.
Ghibellini e Guetf ripresi. Par., 0.
6. v. 100 © seg.
Ghin di Tacco. Porg., c. 16, v. 14.
Ghisela, sorella di Caccianimico. Inf.,
c. 18, v. 58.
Giacobbe. V. Jacob.
Giaeepe. V. Jacomo.
Giampeie, o Clampeie. Inf., o. 22,
v. 48, 121.
Gianfigilazzi, famiglia. Inf., o. 17, v.
50 (n.).
Gianieele, monte. Inf., c. 18, v. 33.
Giane della liclla, acconnato. Par., c.
16, v. 132.
Giane, dio. Par., o. 6, v. 81.
Giamnf del Soldanieri. Inf.,c.82,v.121.
Gianni Sehiceh! Cavalcanti. Inf., c.
30, v. 82, 44.
Giasone, capitano degli Argonauti.
Inf., c. 18, v. 86. Par., c. 2, v. 18.
Giga, strumento musico da corda. Par.,
c. 14, v. 118.
Giganti. Inf., o. 831, v. 44 eseg. Purg.,
c. 12, v. 83.
Giglio, o Fierdigigti, insegna di
Francia. Purg.. o. 7, v. 106.
Ginevra, donzella. Par., co. 16, v. 15.
Glecasta, regina di Tebe. Purg., c.
223, v. 56.
Gierdane, fiume. Purg., o. 18, v. 135.
Par., o. 23, v. 94.
Gioenè. Purg., c. 20, v. 111. Par., 0. 9,
v. 126; c. 18, v. 38.
Giette, pittore. Purg., o. 11, v. 96.
Giovrnechine calavrese, abate. Par.,
c. 12, v. 140.
Giovanna, madre di 8. Domenico.
Par., c. 12, v. 80.
. Giovanna Visconti di Pisa. Purg., o.
8, v. 71.
Giovanna di Montefeltro. Paurg., 0. 5,
v. 89.
Gievanmni (S.), tempio in Firenze. Inf.,
0.19, v. 17.
Giovanni Battista (8.), V. Battista.
Giovanni (S ),apostolo ed evangelista.
Inf., c. 19, v. 106. Parg., o. 29, v. 106,
143; c. 23, v. 76. Par., c. 4, v. 29;0.
24, v. 126; c. 25, v. Of, 118 © seg.; c.
32. v. 127.
Giovanni (8.) Crisostomo. Par., c. 12,
v. 186 © seg.
Giovanni XXI£. Par., 0. 27, v. 56.
Gieve re degli Dei. Inf., o. 14, v. 62;
o. 81, v. 46, 92. Purg., o. 12, v. 82;
o. 29, v. 120; c. 33, v. 112. Par., 0. 4,
v, 62.
Giove, pianeta. Par., o. 18, v. 68, 70,
95, 115; c. 22, v. 145; o. 27, v. 14.
Gieve sommo, appella Dante il vero
Dio. Purg., c. 6, v. 118.
Giovenale, poeta. Purg., o. 22, v. 14.
Girotame (S.). V. Jeronimo.
Ginba, re. Par., c. 6, v. 70.
Giubbilee del 1300, accennato. Inf.,
©. 18, v. 28. Parg., c. 2, v. 98 © seg.
Giuda Maccabeo. Par., o. 18, v. 4.
Ginda Scariotto. Inf., 0.9, v. 37; 0. 19,
v. 96; c. 81, v. 143; c. 34, v. 63. Parg.,
c. 20, v. 74; ©. 21, v. 84.
Giuda (8.) Taddeo. Purg., c. 29, v. 144.
Giuda Guidi, fiorentino. Par., o. 16,
v. 123.
Giudecen, luogo de’ traditori. Inf., 0.
84, v. 117.
Giudet. Inf., c. 23, v. 123; 0. 37, v. 87;
Par., c. 5, v. 81; c. 7, v. 47; 6. 90,
v. 102.
Giuditta. V. Judit.
Giutte Cesare. Inf., c. 1, v. 70; c. 4,
v. 123; o. 28, v. 98. Purg., o. 18, v.
101; c. 26, v. 77. Par.,c. 6, v.58;0.11,
v. 69; c. 16, v. 10.
Giumene. Inf., o. 30, v. 1. Par., o. 12,
v. 12.
Giuechi, famiglia fiorentina. Par., o.
10, v. 104.
Giuoco della sara. Purg., c. 6, v. 1.
Ginsceppe, o Giuseppe, patriarca.
Inf, c. 30, v. 97.
Giuseppe (8.), sposo di M. V. Purg.,
ec. 15, vr. 91.
Giustiniano imp. l'arg., c. 6, vr. R9.
Par., o. 6, v. 10. Doppia gloria delle
armi e delle leggi. Par., o. 7, v. 6.
Giustizia divina. Inf., c. 2, v. 96.
Giauwee. lar., c. 1, v. 68.
Geodenti, 0 Gaudenti, cavalieri. Inl.,
o. 23, v. 103.
Geife di Catania. Par., c. 8, v. 68.
Gelfe di Gibilterra. Inf., o. 26, v. 107.
Geiesi puniti. Inf., c. 6. Purg., o. 22
© seg.
Geomita. frate, vicario di Nino Visconti
nel Gindicato di Gallura. Inf., o. 22,
v. 81.
Gemerra, città. Purg., c. 26, v. 40.
Gargeua, isola. Inf., c. 33, v. 83.
Gergene, testa di Meduea. Inf., c. 9,
v. 56.
110 INDICE DEI NOMI PROPRI E DELLE cose KOTADILI
Goren di Lusa, vescovo di Feltre, l'ar.,
o, 6, v. 53 (n.).
Gostantine, 0 Uostaniima Magno.
Far., 6. 0, ni: sfera, ven.
UVostanen, na ragona,
e. 8, v. 116, 143; o 7, v. 120.
Uostanza, laperatrico, Parg., 0, 3, ¥.
113. Par., e. 3, v. 118; o 4, ¥. DE,
Uottifredi Baglione, Dar., è. 18, ¥. 47.
Govern o, chotello, ora Governolo, Inf,
e, 20, v, 78.
Geatiacane, demonio, Inf,, e, 21, 7,
122; è. 22, v. 34.
Graziano, monaco, DI qual patria ed
ordino fundo. Tar., O, 10, Wi 104,
v. 08, 122, Purg., 0. U, v. 30; 0. 22,
v. KA, Par., o, 5, v. 60,
Greet, famiglia. Par., 0, 16, v, 80.
Greeia. Inf., è. 20, w. 108,
Uregorio Magno (5,). Purg., 0. 10, v.
75. Tar., o. 20, v. 108; o. 28, ¥, 193,
UriiMolino d'Aregro, Inf., 0, 29,w,109; |
È, HO, ¥. dl.
rifone. Durg., 0, 32, vw. 20 è nog.
Unnlandi, famiglia pisana. Inf., è, 99,
¥. 82.
dunldo, terra. Por, c. 11, v, 4A,
Ciumladirmda lterti. Inf., è. iB, ¥. 37.
Guatterottl, famiglia. T'ar,, oc. 10,
¥. 153.
diuante, 0 Gaunt, città, l'org , c. 20,
v. 46
Gunaschi, o Guasconi. Far., c. 17,
v. BI; o. DT. ¥. GB.
dionecogua, l'urg., 0, 20, v. OO.
Gaucifii è Ghibellini ripresi, Par,, c
6, v. 100 è Sop.
Guelt, favoriti da' Papi. Par.,c.27,¥.40.
Guglielmo Allobrandosco. Torg., è
11, v. bl.
Gugiicimo Horsiéere. V, Borsiero,
duglielmo, duca d' Uvrange, l'ar., c.
18, v. 46,
Gugllelmo, marchese di Monferrato.
D'urg., €. 7, We 13k
Quglielmo, ro ili Navarra, nccennato,
l'urg,., ©. 7, vw. 104.
Guglielino BE, re di Sicilia. l'ar., c.
20, ¥, 02
dinido Donatti, Inf., è.
timido Cavalcanti. Inf., €,
Purg., 0 11, ¥. DI.
Gulde, conte di Montefeltro, Inf., c. 27
20, v. 118.
10, v. OF.
tr. 07 è Beg.
Guido, conto di Koméòna, Inf., 0. 30,
v. T7,
Gullo, da Castello, Purg., c. 10, vw. 125,
Wuldo da Monforte, Inf., €. 12, v. 119.
Guldo ida l'rata. l'urg., c. 14, v. 104.
Guido del Cassoro. Inf, c. 28, 1
tae E SIA
o, 15, v. dd.
Unido di so 14, 1
cstasewoerat inne aa
Guinicolli. Parg., e, 11, ¥
du a Par., e. 10, Ti.
Uuniscardo Ku a, lof., ©. 23, ¥
Par., o, 18, v, 48.
Guittone d'Arezzo, Porg., 0, 24, ¥
6, 20, v. 124,
eran villa in Fiandra. Inf
v. 4
Malo, 0 Ala, vapore intorno la le
Par., 0. 28, v. 23.
Ibero, Gume, Porg., o. 27, v. 3.
tearo.Inf., 0.17, v,109, Par..c.8,v.1
Ida, moute. Inf., è. 14, v. 98,
tilgenia. Par... c. 6, v. TO.
Hlerda, 0 Lerida, città. Purg, ¢
v. 101,
lilon, 0 Trola. lif ,c. 1, v. 75. Pur
c. 12, v. 62. V. Troia,
IMuminate, frate minore. Par., c.
v. 130,
Imola, città. Inf., c. 27, v, 40.
Linportuani, famiglia. Par., c. 16,
143,
Inereduti puniti, Inf, c. 9
Indi, o Indinui, l'org., c. 26, v. 2
©. 22, v. 41. Par., c. 29, v. 101.
Fadia orientale. Inf., c. 14, v, 4%.
Indieo, legno. Purg., c. 7, v. 74.
Bude, fume. lar., c. 19, v. 71,
Indovlul, impostori puniti. lof, e. 7
Inidulgenze falso. l'ar,, c. 29, 7, 1
è og
Infaugatt, famiglia. Par., c. 16, v.12
Ingaunl usali a donne, puniti. In
c, IR, v. OL è seg,
fuogegel inalamento direiti contro
naturale inolinazione, l'ar., c. E,
130 © sog.
ent vi o Inglese. l'ar., c. 1
124,
rudhiltavrn: Purg., 0. . 131.
Innocenzo 408. Par., aie, dI.
Ineo, moglie ili Atetanate, iuf,., c. È
vy. 5.
Inicerminel, o Intermimeltl Ali
sio, Inf., c. 1B, v., 122,
Favidiosi puniti. 'org., c. 13 e seg.
Iperlone, l'ar., o, 22, 7, 142.
INDICE DEI NOMI PROPRI E DELLE COSE NOTABILI 111
Kpeeriti puniti. Inf., o. 23.
Epelite, figlio di Teseo. Par., o. 17,
v. 46.
Ippocrate. Inf, c. 4, v. 143. Parg.,
c. 29, v. 187.
Iraconeai puniti. Inf., o. 7, v. 109 6
seg. Purg., c. 16.
Irf, o Keride. Parg., 0. 21, v. 50; 0. 29,
v. 78. Par., c. 13, v. 12; o. 28, v. 82;
o. 83, v. 118,
Isaac, 0 Isnero, patriarca. Inf., 0. 4,
v. 59.
Esaia, profeta. Par., c. 25, v. 91.
Seara, 0 Isere, fiume. Par., 0. 6, v.69.
Esidere (8.) di Siviglia. Par., o. 10,
v. 181.
Est Ate. Inf., o. 18, v. 92. Purg., o. 22.
v. 113; c. 26, v. 95.
Ismeune, figlia di Edipo re di Tebe.
Porg., c. 22, v. 111.
KIamene, fiume. Purg., c. 18, v. 91.
Kaope, 0 Ecepe, frigio. Inf., 0.23, v. 4.
Ispagaan. Purg., c. 18, v. 102.
Tepani. Par., c. 20, v. 101.
Eseraeie, popolo. Purg., c.3, v. 46. Par.,
o. 22, v. 95.
Israeie, o Giacobbe, patriarca. Inf.,
c. 4, v. 59.
Etalia. Inf., c. 1, v. 106; 06. 9, v. 114;
c. 20, v. 61. Purg., o. 6, v. 76, 105, 124;
c. 7, v. 95; c. 13, v. 96; c. 20, v. 67;
c. 80, v. 86. Par., c. 31, v. 106; c. 30,
v.137.
Italien terra prava. Par., c. 9, v. 25
6 seg.
Italica erba. Par., o. 11, v. 106.
J
Jacob, 0 Giaceb, patriarca. l’ar., c.
8, v. 131; c. 22, v. 71; c. 32, v. 68, 70.
Jacome, 0 Jacepe, di Navarra. Pur-
gatorio, c. 7, v. 119. Par., c. 19, v. 137.
Jnceope (8.) apostolo, il maggiore.
Purg., c. 29, v. 143: c. 82, v. 76. Par.,
c. 25, v. 17, 80, #2, 33, 46, #7.
Jacepe da Lentino, o da Talentino,
detto il Notaio. Purg., c. 24, v. 56.
Jacope del Cassero. Parg., 0. 5, v. 73.
dacepe Rusticuoci. V. Rusticucoi.
Jneope da 8. Andrea, gentiluomo pa-
dovano. Inf., o. 18, v. 133.
Jaeuil, serpenti. Inf., 0. 24, v. 86.
Jarba, re di Numidia. Lurg., o. 381,
v. 72.
Jasene, capitano degli Argonanti. V.
Giasone.
Jasene, obreo. Inf., c. 19, v. 85.
depte, o Jefte. Par., o. 6, v. 68.
Jeronime, o Gireiame (8.). Par.,
o. 29, v. 37.
dJernsniema. V. Gerusalemme.
dele, l'amata da Ercole. Par., o. 9,
v. 103.
Jenaffà, 0 Jonnffatte, valle. Inf.,
c. 10, v. 11.
Joswè. Parg., c. 20, v. 111. Par.,o. 18,
v. 88.
Jadit, o Giuditta. Par., o. 82, v. 10.
Salita, 0 Giatia, figlia di Giallo Ce-
sare. Inf., c. 4, v. 128.
Jaite. V. Giulio Cosaro.
Jane, 0 Giunone. Par., c. 28, v. 32.
L
Lncedemena, 0 Sparta, città. Pur-
gatorio, c. 6, v. 139
Laehesia, Parca. Parg., c. 21, v. 25;
c. 25, v. 79.
Ladiaine, re di Boemia. Par., 0. 10,
v. 125.
Ladri puniti. Inf., c. 24 6 seg.
Large di Garda. Inf., c. 29, v. 63, 74, 77.
Lamagna, 0 Germania. Inf.,c. 90,
v. 62.
Lambertaecie, fabbro. Purg., 0. 14,
v. 100. .
Lamberti, famiglia. Par., 0. 16, v.
110 (n.).
B.nmewe, finme. Inf., c. 27, v. 49.
Lancliletée, amante di Ginorra. Inf.,
c. 6, v. 128.
Lanciette Malatesta. Inf., 0. 5, v. 107.
Lumframehi, famiglia pisana. Inf., 0.
83, v. 82.
Langia, fontana. Purg., c. 22, v. 112.
Lame, sanene. Inf., c. 13, v. 120.
Lape, por Jacepe. Par., c. 20, v. 103.
B.ape Saltorello. Par., c. 15, v. 128.
Laterane, per Rema. Par., c. 31,
v. 35.
Laferane, tempio. Inf., c. 27, v. 86.
Latina terra, por Italia. Inf., c. 27,
v. 27; ©. 38, v. 71.
B.nétei Brunotto. Inf., c. 15, v. 90,
32, 101.
Latine, re. Inf., c. 4, v. 125.
Latime, por Italiane. Inf., c. 22, v.
65: o. 27, v. 33; o. 39, v. 88, 91. Parg.,
c. 7, v. 16;c.11, v. 68; c. 13, v. 93.
Latena, dor. Parg., c. 20, v. 131. Par.,
c. 10, v. 67; c. 22, v. 139; c. 20, v. 1.
Lavagne, fiume. Purg., c. 19, v. 101.
Lavina, 0 Lavinia, figlia del re La-
tino. Inf., c. 4, v. 126. Parg., c. 17,
v. 37. Par., c. 6, v. 8.
Leandre. Purg., c. 28, v. 73.
112 INDICE DEI NOMI PROPRI E DELLE COSE NOTABILI
Lenrco e Melleerta, accennati. Inf.,
o. 0, ¥. 5, 10.
Leda, Par., c. 27, ¥. 08.
Lemosi e Limoges, città. Porg., o.
26, v. 120.
Lenno, isola. Inf., o. 18, v. BB,
Leone, seguo dollo Zodiaco, Par., c. 16,
v.47;c, 21, v 14.
Leone, posto, nel morale, por la super-
bia; e nel politico, per casa di Francia.
Inf., c. 1, ¥. 45.
Lerlel, o Lerice, città. Purg., c. 9,
Tr, a0.
Lete, 0 Letdo, flume. Inf., 0, 14, v.
131, 136. Purg., 0, 20, v. 108; è, 28,
v, 130; 0, 30, v. 143; è. BY, v. 96, 123,
Levi, 0 Levi. Porg., 0. 10, ¥. 132.
Lia. Purg., c. 27, v. 101,
Libano, monte, Porg., e. 10, v. 11.
Liberaitità (Esompi di). Purg., o. 20,
v. 81.
Libero arbitrio. Parg., c. 10, ¥. 71 è
seg.; c. 17, v. 40 6 seg.
Libia. Inf., c. 24, v. 85,
Libicoeeo, ilemonio. Inf., 0.21, w. 121;
a. 22, V. 70.
Libra, ségno del Zodiaco, Purg , c. 2,
v. 5; 0. 27, v. 3. Par,, c. 20, v. 2.
Licurgo di Nemes. l'org., o. 26, ¥. 04,
Bilin, città. Purg., c. 20, ¥. 46.
Limbo, Inf., c. 4, v. 24 6 seg. Par.,
o. 32, v. 82,
Lino (8.) papa. Par., o. 27, v. 41.
Litanie de' Santi. Porg., c. 13, v. 60
© sag.
Livio, istorico. Inf., c. 4, v. 141; ©. 28,
v. 13.
Lisio, 0 com'altri scrivono, Lieto di
Valbona di Cesena. Porg., 0. 14, v. 97.
Loderiugo dovli Andalò. Iuf., e. 23,
Y. 104,
Logodoro, giurisdizione in Sardegna.
inf,, c. 22, V. BI,
Lombardia o Marca trivigiana cir-
conscritte, Inf., o, 28, v. 74. Purg,
e. 10, v. 115. Par., c.D, ¥. 25, 44,
Lombardo, di Lombardia, Inf., e, 1,
v.08; e, 22, v.00. l'org., 0,0, v. Gdl;
c. 16, v. 40, 120.
Lombardo (il gran), detto Bartolom-
meo della Scala. Par., o. 17, v. 71.
Lembarde, semplicemente appellato,
Guido da Castello. Purg., c. 16, v. 126.
Lembarde parlare. Inf. o 27, v. 20.
Longobardo dente, per Longobardi.
Par., c. 6, v. DI.
Lomnza, posta nol sonso morale, per la
lussuria; nel politico, per Firenzo.
Inf., c. 1, v. 32.
Lerense (8.) marliro. Par. 6. 4, +. 8.
Lotto degli Agli, fiorentino, suicida.
Inf., a. 13, v. 161.
Luea (S.) evangelista. Porg., c. 21, v.
7; o, 29, v. 137.
Luenno, poeta. Inf., c. 4, vr. 90; 0. 26,
¥. D4,
Lucen, città, Inf., o. 18, v. 123; 0. 21,
v. 88; è. 23, v. 30. Purg., c. 24, ¥.
20, 35.
v. 07, 100, Purg., o. è, v. 55, Par., 0.
ag, ¥. 137,
Lucifero. Inf., è. 31, v. 143; c. BA, v.
80. Porg., c. 12, v. 25. Par., co 9, v. 128;
oc. 19, v. 47; 0, 27, v. 26; o, 29, v. 50,
Lucreain. Inf., c. 4, v. 128. Par, a.
GU, v.Al.
Luglio, moso. Inf,, e. 20, ¥. 47.
Luigi, vome di moli re di Francia,
Parg., è. 20, v. 50,
Luna, pianeta. lnf., 0, 10, v. 80. Par.,
o. 16, v. 82.
Luni, città. Inf., 0. 20, v. 47. Par., 6.
16, v. TI.
Lapa, dinotante, nel senso morale,
l'avarizia; nel politico, la Curia Ro-
mana. Inf., c. 1, v. 49. Purg., ©. 20,
v. 10.
Lussuriosi puniti. Inf., c. 5. Purg.,
c. 26 e Beg.
M
Maccabel. Inf., 0. 19, v. 86.
Mnecario (S.) eremita. Par., ©. 22,
v. 40.
Macra, 0 Magra, finmo. Par., c. 9,
vy. 80.
Muadian. l'urg., c. 24, ¥. 126.
Macetro Adamo, bresciano. Inf., o.
30, v. Ul.
Magra (valle di), Iuf., o. 24, ¥. 145.
Main, per Mercurio. Par., c. 22,
v. ldd.
Mainarde, o Machinardo Pagani.
Inf., c. 27, v. 60. Purg., e. 14, v. 118
Malolica, 0 Malorica, è Minori.
en, isole del Moditorranes. Inf., 0. 28,
v. 82. Par., 0, 10, v. 138.
Malacoda, demonio. Inf., c. 21, ¥. Td,
79; ©. 23, v. III.
Maiaspimi di Lunigiana. Purg., c. 8,
v. 18, 124.
Malatesta di Rimini. Inf., c. 27, v. 46.
Malatestine, tiranno. Inf., c. 28, v. 85.
Mateboige. Inf., 0. 18, v. 1; c. 21, v.
5; 0. 24, v. 87; 0. 29, v. di.
Matebranehe, demonio. Inf., 0. 31,
v. 37; ©. 22, v. 100; o. 33, v. 23; o.
33, v. 142.
INDICE DEI KOMI PROPRI E DELLE COSE NOTABILI 113
Maita, torre. Par., o. d, v. 54.
Manardi. V. Arrigo Manardi.
Manfredì, re di Puglia. Purg., o. 3,
v. 112.
Manfredi, di Faenza. Inf., c.33,v.118.
Manfredi Tribaldello. Inf., 0. 32, v.
122.
Mangiadere Pietro. Par.,0.12,v.134.
Mamte, indovina. Inf., o. 20, v. 55.
Purg., c. 22, v. 133.
Manteva, città. Inf., 0.20, v.93. Parg.,
o. 6, v. 72.
Mantovana, villa. Parg., o. 18, v. 83.
Mantovani. Inf., o. 1, v. 69.
Mantovano. Inf, c. 3, v. 58. Purg.,
o. 6, v. 74; 0.7, v. 86.
Maomettanma logge. Par., 0. 15, v.143.
Maomette, famoso impostore. Inf., c.
28, v. 31, 62.
Mareabvd, castello. Inf., 0. 28, v. 76.
Marea d'Ancona. Purg , o. 5, v. 68.
Maren trivigiana e Lombardia cir-
‘ conseritte. Inf., c. 28, v. 74. Parg., 0.
16, v. 115. Par., c. 9, v. 25, 44.
Marcello, nimico di Giulio Cesare.
Parg., o. 6, v. 125.
Marehese, per Obisso da Eete. Inf.,
e. 18, v. 56.
Mareo Lombardo. Parg., c. 16, v. 46,
130.
Mardechée. Parg., c. 17, v. 20.
Maremma tra Pisa e Siena Inf., 0.20,
v. 48. Parg., c. 5, v. 134.
Margherita d'Aragona Parg., c. 7,
v. 128.
Maria Vergine. Parg.,c. 3, v. 39; 0.
6, v. 101; c. 8, v. 87; 0. 10, v. 41, 50;
o. 18, v. 50; 0. 15, v. 88; 0. 18, v. 100;
o. 20, v. 19, 97; o. 22, v. 142; c. 33,
v. 6. Par., c. 8, v. 122; 0. 4, v. 30;
c. 11, v. 71; c. 13, v. 84; 0. 14, v. 36;
c. 15, v. 133; e. 16, v. 35; 0. 23,
88, 111, 126, 187; c. 25, v. 128; 0.
v. 100, 116, 127; o. 32, v. 4, 29, 86,
104, 107, 113, 119, 134; o. 33, v e
Maria, donna ebrea. Purg., ©. .,0. 23, v.
Marrecee. Inf., 0. 26, v. 104. Purg., o.
4, v. 139.
Marsta, eatiro. Par., c. 1, v. 20.
Marsitia, città. Purg., c. 18, v. 102.
Marte, dio. Inf., c. 13, v. 144; 0. 24,
v. 145; o. 31, v. 61. Purg, o. 12, v.
31. Par., c. 4, v. 63; c. 8, v. 183;c.
16, v. 47, 145; c. 33, v. 146.
Marte, pianota. Purg., 0. 2, v. 14. Par.,
o. 14, v. 101; 0. 16, v. 37; 0. 17, vr. 80;
c. 27, v. 14.
Martino, o ser Martine. Par., o. 13,
v. 139.
Martino IV. Purg., o. 24, v. 22.
Tr
oF
Miarsia, moglie di Catone Uticense.
Inf., o. 4, v. 128. Parg., o. 1, v. 79, 85.
Marzucee degli Scoringiani, pisano.
Purg., c. 6, v. 18.
Maseheorent Sassolo. Inf., 0. 33, v. 65.
Matelda, o Matitde. Purg., o. 28, v.
40; c. 31, v. 92; 0. 82, v. 28, 83; o. 88,
v. 119, 121.
Matteed' Acquasparta, cardinale. Par.,
o. 12, v. 124.
Mattia (8.) Apostolo. Inf., c. 19, v. 04.
Medéa, maga. Inf., c. 18, v. 96.
Mediel, famiglia. Par., o. 16, v. 109.
Medicina, terra. Inf., o. 28, v. 78.
Mediterranee, mare. Par., 0. 9, v.82.
Medusa. Inf., 0. 9, v. 52.
Megera, furia. Inf., 0. 9, v. 46.
Melnuese. Purg., c. 8, v. 80.
Melane, città. Purg., c. 18, v. 120.
Melchisedeech. l’ar., c. 8, v. 125.
Melengre. Purg., 0. 25, v. 22.
Meticerta o Learce, accennati. Inf.,
o. 80, v. 6, 10 6 seg.
Melisso di Samo. Par.,c. 18, v. 128.
Monatippe. Inf., c. 32, v. 131.
Mercurio, dio. Par., c. 4, v. 63.
Mereurte, pianeta. Par., c. 5, v. 96.
Meretrice sedente sul carro. Perg.,
©. 82, v. 148 © seg.
Meschite, tempii di Maometto. Chia-
ma così Dante le torri di Dite, Inf.,
c. 8, v. 70.
Messer Marcheso de' Rigogliosi. Purg.,
o. 24, v. 31.
Metette, tribuno. Parg., o. 9, v. 188.
Michele arcangelo (8.). Inf., o. 7, v.
11. Purg., c. 13, v. 61. Par., c. 4, v. 47.
Michele Scotto. Inf., c. 20, v. 116.
Michel Zanche. V. Zanohe Michele.
Mieel, moglie del re Davide. Purg., o.
10, v. 68, 72.
Mida, re di Frigia. Purg., o. 20, v. 106.
Milano o Milanese. V. Melance Me-
lanese.
Mineto, fiame. Inf., o. 20, v. 77.
Mimerva.Parg.,0.30,v.68.Par.,0.2,v.8.
Mines, o Miwol. Inf., 0. 6, v. 4, 17;
c. 13, v. 96; c. 20, v. 36; oc. 27, v.
124; c. 29, v. 120. Purg., 0.1, v. 77.
Par., c. 18, v. 14.
Minotauro. Inf., c. 12, v. 12, 38.
Mira, luogo nel Padovano, Parg., c. 6,
v. 79.
Mirra, figlia di Cinira. Inf., o. 30, v. 38.
Medtte. V. Mordràe.
Medeua, 0 Modena, città. Par., 0.
6, v. 75.
Moisè. Inf., o. 4, v. 57. Purg., o. 82,
v. 80. Par.. c. 4, v. 29; c. 24, v. 190;
o. 26, v. 41; 0. 82, v. 80.
ili INDICE DEI NOMI PROPRI E DELLE COSE NOTABILI
Molina, 0 Moldava, fiame. T'urg., 0.
7, v. 90,
Monnidi o Fillppesehi. Purg., c. 6,
v. 107.
Monda, citlà. Par., 0. 6, v. TI.
Monférrato, Purg., co. 7, v. 130,
Mongibello, 0 Etna. Inf., ¢. 14, v.
50. Par., o. 8, v. 07.
Moniagna, cavaliere. Inf., ©. 27, ¥. 47.
MNontaperti, terra, Inf., 0. 82, ¥, Bl.
Monte di 5. Ginliano tra Pisa e Lucca,
Inf., c. 33, v. 20,
Montecehi, famiglia. Porg., 0.0, ¥.
100,
Monte Feltro, luogo in Romagna, ap-
pellato dal Ioota aomplicemento Ful-
tro. Inf., 0. 1, v. 105. Purg..0. 5, v, 88,
Moniemalo, oggi detto Montemario.
Par,, u. 15, v. 109.
Montemurlo, castello, l'ar., &, 16,
v. Ud,
Montereggione, castello. Inf., e. 31,
v. dl.
Montone, pel vello d'oro rapito ai
Colchi. Inf., e. 18, ¥. BT.
Montone, fiume, Inf., e. 16, w, OM.
Montone, seguo del Zidlinco, I'urg., e.
8, v. LH. Var. at, 20, v. 2
Mordréec, liglio ilel ro Artù, lnf., a,
92, v. Gl.
Moronto, fratello di Cacciaguida, Par.,
a. 15, v. 130.
Mosca degli Uberti, o Lamberti. V.
Uberti.
Mozzi Amlica (dei), nocennato. Inf., e.
15, v. 112,
Mozzi Kocco (dei). Inf., e, 19, v. 143.
BPuse.Inf., a. 2, v.7; 60.32, v.10. Purg.,
c.l,v.Bio, 22, v. 105;0.20, v.37.Tar.,
o. 2, ¥. 2; 0. 12, v. 7; c. 23, v. 60,
Muzio Scovola, Par., c. 4, v. Bd,
N
Nubuccodonosor, l'ar., c. 4, v. 14,
Nulade, ninfe. Purg., 0. 34, v. 49.
Napolcone degli Alberti, Ini., c. 82,
vr. 66 @ seg.
Napoli, città. Purg., c. 3, v. 27.
Narcisso, Jwf., c. 30, v. 128, Par, o.
a, v. 15.
Nmsalallo, solilato di Catone Uticonse,
Jul, vu. 26, v. DA,
Nuti, profeta. l'ar., c. 12, v. 140,
Navarra, provincia. Inf., co. 22, v. 48.
Par., c. 10, v. 148.
Navarrese, V. Ciampolo,
Nazion tra Feltro è Feltro. Inf., c. 1,
¥. 105.
Nasanrette, Pur., c. 3, v. LAT.
Negligenti alla penitonza, puniti.
Purg., dal 0. 2 fino al o. 7.
Negri, o Neri. Inf., ec. 24, v. 14%
Nélia, moglie di Foreso, Parg., e. 23,
vi 87.
Nembroite, 0 Nembrotto. Inf. ©.
31, v. 77. Parg., 0. 12, v. 34. Par., c.
20, v. 120.
Nerli, famiglia. T'ar., 0. 15, v. 115.
Nesso, centauro, Inf., c, 12, ¥. 67, PR,
104, 116, 129; è. 19, v, 1.
Nettuno, dio del mare, Inf.,0.28,v, 63,
Par., c. 33, v. 06.
Niecolno ili Bari (8). Parg., 0,20, v, 82.
Niecolò IL. lof., e. 19, ¥. Sl e sog,
Niccolò Salimbeni. Ipf., c. 20, v, 127,
Nicosia, città. Par., o, 10, v. 146,
Nilo, finme. Inf., e. 34, v, 45. Parg,, ©
24, v. G4. Por., 0. 0, v. 00, a
Ninfe, 0 Naladi, l'urg., c, 20, ¥. d; ©.
a1, v. 100,
Ninfe, virtà. Purg., c. 82, v. DE.
Ninfe eterne, appellate lo stelle, Purg.,
c. 23, v. 26.
Nino, ro degli Assiri. Iuf., c, 5, v. 69.
Nino Visconti, di Pisa, Purg., c. 8, v.
51, 100.
Niobe, reginnili Polo, P'arg..0, 12,¥. 37.
Nise ‘l'roiano. Inf., c. 1, v. 106,
Nonresi, 0 Novareasl, lof.,c. 28, v.59,
Norera, città. Par., c. 11, v. 48.
Noè, lof., c. 4, v. 66. Par., c. 13, v. 17.
Noll, città del Genovesato. Parg., €. 4,
v. 26.
Normandia. l'urg., c. 20, v. 66,
Norvegia. l'ar., c. 19, v. 139,
Notalo. V, Jacopo da Lentino.
Novembre, meso. lorg,, c. 0, v, 143.
Numidia, l'urg., 0. 31, ¥. 72.
0
“bizzo ida Fati, Inf., 0,12, v.111; 0.18,
v. bo.
iccano, maro. l'ar., c. 9, v. Bd,
dderial d' Agobbio. Purg., e. 11, v. 78.
Miceli, diversità di essi Decéssaria alla
società. Par,, c. A, v. 118 è aeg.
Olimpo, monte, l'arg., 0. 24, ¥. 15.
olivo, sacro a Minerva. l'arg., e. 30,
v. OF,
Oloferne, l'urg., c. 12, v. DD.
Omberie di Suntaflore, l'urg., 0. 11,v,
£8. 07,
mero, poeta. Inf., e. 4, v. 88. Parg.,
c. 22, v. 101,
Omicidinei. Inf., c. 12.
ibnorlo Fit. Far., c. ll, v. 98,
(Wraal, romani eroi. Par., 0. 6, v. 80.
Orazio, poeta, Inf., c. d, v. 89,
INDICE DEI NOMI PROPRI E DELILE COSE NOTABILI 1138
Orazione. Quanto vaglia. Parg., 0. 4,
v. 133.
Orbisani Baonagiuntd. Purg., 0. 24, v.
19, 80.
Ordeiam di Forlì. Inf., o. 27, v. 46.
Oreste. Purg., ©. 18, v. 32.
Orfeo. Inf., c. 4, v. 140.
Oria (d'). V. Branca d'Oria.
Ortace, terra. Purg., c. 5, v. 80.
Oriande d'Anglante. Inf., c. 31, v. 18.
Par., o. 18, v. 42.
Ormanmi, famiglia. Par., 0. 16, v. #0.
Orsa maggiore, appellata Carro. V.
Carro, segno celeste.
Orse, segni celcati. Parg., c. 4, v. 65.
Par., c. 2, v. 9.
Orsini, famiglia. Inf., c. 19, v. 70.
@rae, conte. l'urg., o. 6, v. 19.
@Oatericeh, per Auatria. Inf.,0. 82, v.26.
Ostia Tiberiun. l'arg., 0. 2, v. 101.
Ostiense Cardinale, comontatore delle
Decretali. I’ar.. o. 12, v. 83.
Ottachere, re di Boemia. Purg., 0. 7,
v. 100.
Ottaviano Augusto. Inf., 0. 1, v. 71.
Parg., o. 7, v. 6.
Ovtato, poeta. Inf., c. 4, v. 90; c. 28,
v. 97.
Oza. Purg., c. 10, v. 57.
P
Pachimo, promontorio. Par., c. 8,
v. 68.
Pade, fiume. Par., c. 15, v. 137. V. Po.
Padova. Par., c. 9, v. 46.
Padovani. Inf., c. 15, v. 7.
Pagani di Faenzs. Purg., c. 14, v. 118.
Pagane Mainardo. lof., c. 27, v. 50.
Palazzo (da), famiglia. Parg., o. 16,
v. 124.
Palermo. Par., c. 8, v. 75.
Palestina. Acconnata. Par., c. 9, v.
125.
Pallade. Porg., c. 12, v. 31.
Patladio, statua di Iallade. Inf., c.
26, v. 63.
Pallante. Par., o. 6, v. 36.
Paole (S.) apostolo. Inf., c. 2, v. 32.
Purg., o. 29, v. 140. Par., c. 18, v. 131,
136: c. 21, v. 127; ©. 24, v. 63; c. 28,
v. 138.
Paolo Oreste. Par., c. 10, v. 119.
Paolo da Polenta. Inf., c. 5, v. 101.
Paradise terreatre. Parg., o. 286 a0g.
Pargoletta di Lucca, amata da Dante.
Parg., c. 24, v. 43.
Parigi, o Parisi, città. Parg., o. 11,
v. &13 c. 20, v. 52.
Paris, o Paride. Ivf., c. 5, v. 67.
Parmenide. Par., c. 13, v. 138.
Parnase, monte. Purg., c. 22, v. 65,
104; o. 28, v. 141; 0. 81, v. 141. Par.,
ce. 1, v. 16.
Pasife. Inf., o. 12, v. 13. Parg., 0. 26,
v. 41, 86.
Passi, famiglia. Ipf., o. 12, v. 187; 6.
82, v. 68.
Peaea, inno in lode di Apolline. Par.,
e. 13, v. 28.
Pegnaca, diva. Par., c. 18, v. 82.
Pelee. Inf., o. 31, v. 5.
Pellestrimo, o Penestrino, l'ale-
strina, città. Inf., c. 27, v. 103.
Peidro, promontorio. l'urg., o. 14, v.
82. Par., c. 8, v. 68.
Penèa, fronda, l'alloro. Par., 0. 1,
v. 33.
Penetope. Inf., c. 26, v. 96.
Pennime, monto. Inf., c. 20, v. 06.
Penteniten. Inf., c. 4, v. 124.
Pera (della), famiglia. I'ar.,c. 16, v. 125.
Bertie, inventore del bue ciciliano.
Inf., o. 27, v. 7.
Persil, o Peraian!. lar., c. 19, v. 113.
Bersie, poeta. l’org., c. 22, v. 100.
Peragia. Par., c. 6, v. 76; ¢. 11, v. 46.
Peschiera, castello, od ora fortezza.
Inf., c. 20, v. 70.
Pesel, costellazione. Inf., c. 11, v. 118.
Purg., c. 1, v. 21; ©. 83, v. 64.
Pettinagae. V. Pier Pettinagno.
Pia (la) de’ Tolomei, gentildonna senese.
Purg., c. 5, v. 133.
Piava, 0 Piave, fiume. Par., c. 9,
v. 27.
Pleearda. Purg., c. 24, v. 10. Par.,c.
3, v. 49; c. 4, v. 97, 112.
Piceno, campo, nel Peeciatino. Inf., 0.
24, v. 148.
Piehe, le figlie di Piorio. Parg., 0. 1,
v. i.
Pier delta Rreeeia. Purg., 0.6, v.22.
Pier (S.) Damiame. l'ar., c. 21, v.
121; c. 22, v. RE.
Pier dalle Vigne. Inf., c. 13, v. 58.
Wier Traversaro. Purg., c. 14, v. 98.
Pier da Medicina. Inf., c. 28, v. 73.
Pier Pottinagno. l’org., c. 13, v. 128.
Piero di Navarra. Parg., c. 7, v. 113,
125.
Pietela, villa mantovana. Parg., 0. 18,
v. 83.
Pietrapana, monto. Iof., c. 32, v. 29.
Pietro, o Piero (S.), apostolo. Inf.,
c. 1, v. 13%; ©. 2, v. 24; c. 19, v. DI, 04.
Purg., 0. 9, v. 127; c. 13, v. 51; 0. 19,
vw. £0; c. 21, v. 54; 0. 22, v. 63; 0. 29,
v. 143; c. 82, v. 76. Par., c. 9, v, 141;
c. 11, v. 119; c. 18, v. 131, 136; o. 21,
116
v. 127; 0. 23, v. 130; 0, 24, v. 34, 39,
50, 120; 0. 26, v, 12, 14; 0.27, v. 22; 0.
82, v. 124, 133.
Pietro Celestino (8.). V. Celostino V.
Pietro (S.), tempio in Vaticano. Inf.,
o, 18, v. 32; n. sl, v. OD.
Mictro lornamluno, l'ar,, 0. 11, v. 80,
Pletro degli Questi (8.), detto l'ecca-
tore, © monaco di S. M. in Vorta di
Ravenna, accennato, Par,, c. 21, ¥. 122.
Pietro Ispano. Par., c. 12, v, 134.
Pietro Lombardo, Par., e. 10, v. 107.
I*letro Mangiadore. Par., e. 12, v. 134.
l*igmaglione, Purg., o. 20, v. 10%.
File (la), luogo in Toscana, V., Ubal-
dino dalla Pila.
Pilato nuovo appella Filippo il Bello,
re di Francia. Vurg., c. 20, v. DI.
Pili, o Mii, famiglia, l'ar., 0. 16, v,
103,
Pina di San T'ietro a Koma. Inf,, 0.31,
v. 69.
Finamente Buonacossi. Inf, o. 20,
v. 06,
Fio fT, papa. Par., 0. 27, v. 44.
rirame, Purg.,o. 27, v.58; 0,33, v. 00,
Mirenei, monti. Par., c. 19, v. 144,
Pirro. Inf, c. 12, v. 15. ar., c. 0,
v. dd.
Mien, città. Inf., o. 33, v. TO. l'arg.,
c. 6, ¥. 17.
Pisani. Inf., 0. 33, v. 30, Porg., o. 14,
v. 63.
Pisistrato. Porg., 0. 15, v. 101,
Pistoia, città. Inf., c, 24, v. 126, 143;
e. 25, v. 10.
Plato, o l'latone, Inf., c. 4, vw. 134.
Purg., ©. 3, Vv. 43. Par., c. 4, v. 24,
Pinuto. Porg., 0. 22, v. DB.
Piuto, Inf., 0, G, ¥. 115; 0, 7, ¥. 2.
fo, flume. Iuf., c. 5, v. 98; 0. 20, v. 78.
Purg., c. 14, v. 02; e. 16, v. 115. Par.,
c. 6, v. dI,
Podestadi, coro d'Angeli. Par., c. 28,
v. 123,
Pola, città, Inf., c. 0, ¥. 113.
Pole, uccelli, per cornacchie. Par., c.
21, ¥. 35.
Polenta (da), famiglia. Inf., 0.27, v.41.
Polenta (do) lrancosea. Inf, c. 5,
v. 116.
Polleleto, 0 Pollereto. Purg., o.
10, v. 32.
Polldoro Troinuo, Iuf., 0. 80, v. 18,
Purg., 0. 20, v. 116,
Folinestore. l'urg., 0. 20, v. 115.
Polinice. Inf., c. 26, v. 64. Purg., o.
22, v. 66,
Pollunia, musa, Par,, c, 21, v. 60,
FPollaseua. lul., c. UU, v. 17.
INDICE DEI NOMI PROPRI E DELLE COSE NOTABILI
Poliuee. V. Castore.
Polo, detto San Paolo apoatolo. Par,
o. 18, v. 136,
Polo antartico, Purg., è. 1, v. 23,
oto artico, Purg., 0. 1, v. 29.
Poltiraoni, Inf., 0. d, v. 36,
*ompeluna tuba, l'ar,, 0, 0, v. TI,
Pompeo il (irande. Par., 0. 6, vr, G3,
Fonte di Castel S. Angelo. Inf., e, 18,
v. 20. .
Ponti, loogo di Francia. Parg., o. DI,
va
Porta di san Pietro. Inf., e, 1, vy. 13.
Porta del Purgatorio. Parg., c. 10, v.
1 © sag.
Porta Sole di Perugia. Par.,¢.11,¥, 47.
l'ortogulio, Par., c. 10, v. 130,
Povertà (Esempi di). Purg., 6. 20, ¥.
22 è aog.
Praga, città, Par., co. 10, v. 117.
rata, luogo in Romagna. V. Guido
da Pais.
Prato, città. Inf, o. 26, ¥. d
Pratomagao, monto. Purg. c. 5, r,
116
Eredientori ripresi, Par., c. 20, +, E
e sog,
Preean (ilolla), famiglia. T'ar., o. 16,
v. 100.
rete, il gran Prote. V. Bonifazio VIII.
i*rinmo, re. Inf., o. 30, ¥. 15.
E rincipati, 0 Principi celosti, coro
di Angeli. Par., c. 8, v. 34; ©. 28,
v. 125.
Prisciano, grammalico. Inf, o, 15, r.
109.
Prodighl puuiti. Inf., ©. 7.
Progne. Purg., c. 17, v. 19.
Proserpina, Inf, c. 0, vr. 44; è, 10,
v. BO. Purg., c. 28, v. 50.
I*rovenza, 0 I*roenza. Purg., 0. 7,
vw. 126, Par., o. 8, v. 58.
Provenznle, ilote. Parg., c. 20, v. 61.
roveusali. l'ar., 0. 0, v. 130,
Provenzan Salvani. Purg., 0. 11, v,
121, 151.
Fucelo Sciancato, Inf., c. 26, v. 148,
Paglia. Inf., c. 28, v. 9. Purg., e. 5, ¥.
60; c. 7, v. 120, Par., c. 8, v. GI.
Pugliesi. Inf., o. 28, v. 17.
Furita (Esempi di). Purg., o. 25.
Putifarre (Moglie di: lof, c. 30, +. 97.
Qquarnnro, oggi Quarnero, golfo,
Inf., c. D, v. 113.
Qulntio Cincinnato. Par., c. 6, v, 46,
qpuirino, 0 Komubolo., Par., v. 8, F.
idl 0 seg.
INDICE DEI NOM! PROPRI E DELLE COSE NOTABILI 117
R
Raab. Par., 0. 9, v. 116.
Rabane. Par., c. 13, v. 139.
Rachele. Inf., c. 2, v. 102; 0. 4, v. 60.
Purg., o. 27, v. 104. Par., 6. 82, v. 8.
Raffnetito (S.), arcangelo. Par., o. 4,
v. 48.
Ramonde Berlinghieri. Par., c. 6, v.
134.
Raseia, parte d' Ungheria. Par., c. 19,
v. 100.
Ravenna, città. Inf., o. 8, v.97:0. 27,
v. 40. Par., c. 6, v. 61; 0. 31, v. 123.
Ravignanti, famiglia. Par.,c. 16, v.97.
Ren. Inf., o. 14, v. 100.
Rebecea. Tar., co. 33, v. 10.
Reno, fiume d'Alomagna. Par., c. 6,
v. 58.
Reno, fiume di Bologna. Inf., c. 18, v.
61. Purg., o. 14, v. 92.
Resurrezione de' corpi. Par., c. 7.
Rinite, contrada di Venezia. Par., c.
9. v. 26.
Riccardo da San Vittore. Par., o. 10,
v. 131.
Rieciardo da Cammino. V. Cammino.
Rideifo d'Austria, imp. Purg., o. 7,
v. 94.
Ridelfo, figlio di Carlo Martello. Par.,
o. 8, v. 72.
Rife, montagno, o Rifee. Purg., c. 26,
v. 43.
MRifee Troiano. Par., c. 20, v.68, 105,118.
Rigogitest, famiglia. Pnrg.,0.24, v.31.
Rimimf, città. Inf., c. 28, v. 86.
Rialer da Calboli, forlivese. Parg., 0.
14, v. 88.
Rinfer da Corneto. Inf., c. 12. v. 187.
Rieler Pazzo. Inf., c. 12, v. 137.
Rineardo. Par., c. 18, v. 46.
Roberto,o0 Raberte, Guiscardo. Inf,
c. 28, v. 14. Par., o. 18, v. 48.
Reberto, re di Francia. Parg., o. 20,
v. 50.
Reberte, re di Paglia. Par., c. 8, v. 75.
Rebeam, re d'Iarnele Punrg.,0.12,v.46.
Redaae, fiume. Inf., o. 9, v. 112. Par.,
c. 6, v. 60; 0. 8, v. 50.
Redepéa. Par., c. 0, v. 100. V. Filll.
Rema, città. Inf., c. 1, v. 71; 6. 3, v.
20; 0, 14, v. 105; 0. 31, v. 59. Parg., c.
6, v. 112; o. 16, v. 106, 127; 0. 18, v. 80;
o. 31, v. 89; 0. 29, v. 115; c. 33, v. 102.
Tar., c. 6, v. 57; c. 9, v. 140; 0. 15, v.
126; o. 16, v. 10; 0. 24, v. 63; c. 27, v.
25. 62: 0. 31, v. 34.
Romagna. Inf., c. 27, v. 37; 0. 33, v.
154. Parg., c. 5, v. 69; 0. 14, v. 92; 0.
15, v. 44.
Roemagnmuolt. Inf., c. 27, v. 28. Parg.,
c. 14, v. 99.
Remaua Chiesa. Inf.,c. 19, v.57. Par.,
c. 17, v. BI.
Romane nautiche lodato. Parg., 0. 23,
v. 145.
Remane fabbriche, molte e magnifiche
anche intorno il tempo di Dante. Par.,
c. 15, v. 109.
Romani, Inf., c. 15,v.77;0.18, v. 28;
c. 26, v. 60; c. 28, v. 10. Par., 6. 6, v.
4; c. 19, v. 102.
Remant imperatori. Purg., 0.33, v.113.
Remawi regi. Par., c. 6, v. 41.
Remano, castello. Par., c. 9, v. 28.
Romane Pastore. Purg., c. 19, v. 107.
Reman Prince o Imperatere di
Koma. Parg., c. 10, v. 74.
Romana, torra. Inf., o. 30, v. 78.
Romee di Villanova in Provenza. Par.,
c. 6, v. 128, 135.
Romuonldo (S.) Par., 0. 22, v. 49.
Remuaio,0 Remolo. V. Quirino.
Rouncisvatiie, badia. Inf., c. 31, v. 17.
Renae, mare. Inf., c. 24, v. 0.
Rubacente, ponte. Purg., c.12, v.102.
Raberte Guiscardo. V. Roberto.
Rublennte, demonio. Inf., c. 21, v.
133; c. 22, v. 40.
Rubicone, finme. Par., c. 6, v. 62.
Rutffami puniti. Inf., c. 18.
Ruggieri degli Ubaldini. Inf., ©. 33,
v. 14,
Rusticmecet Jacopo. Inf., 0. 6, v. 88;
c. 16, v. 44.
Rath. Par., o. 32, v. 11.
S
Sabelio,o Sabelitio, cresiarca. Par.,
c. 13, v. 127.
Nabellto, naldato. Inf., c. 25, v. 98.
Sabine donno. Par., 0. 6, v. 40.
Nacchetti famig! a. Par., 0. 16, v. 104.
Safira e Anania. Purg., 0. 20, v. 112.
Saladino. Inf., c. 4, v. 129.
Nalimabeni Niccolò. Inf., c. 29, v. 127.
Salmiata reale. V. Davide.
Salemone. l’ar., c. 10, v. 112; 0. 13,
v. 48, Ol: c. 14, v. 28.
Saitereciic Lapo. V. Lapo.
_Saivani Provenzano. Parg., o. 11, v.
121.
Namaritana, donva celebre nel Van-
goto. l'urg., o. 21, v. 3.
Samuele, profeta. Par., 0. 4, v. 29.
Sanese. Purg., c. 13, v. 106.
Sameni. Inf., 0. 20, v. 122, 134. Purg.,
o. 11, v. 65; 0. 13, v. 115 6 eeg., 161.
finnito, terra. Purg., c. 4, v. 25.
118 INDICE DEI NOMI PROPRI E DELLE COSE NOTABILI
San Miniato, chiesa, Parg., 0. 12,
v. 101.
Sannelta (della‘, famiglia, Par., c. 10,
vr. DI.
Santafiorsa (Conte di). l'urg., a, 0, ¥.
lll; c. Il, v. 68, 07.
Sant'Andrea ([acopo da), gentilnomo
padovano. Inf., e. 13, v. 133,
Santerno, fiume, Inf, 0,27, v. 49.
Santo Volto. Inf., c. 21, v. 48.
Sapia, goutillunna, Purg., 0, 14, v, 109.
Sara, moglie di Abramo. Par., e. 32,
v. 10.
Saracioe donne più modesto delle fo-
rentine, Purg., o. 23, v. 103.
Sarncial. Inf., 0. 27, v. 87.
Sardanapalo. Par., c. 15, v. 107.
Sardi. Inf, c. 26, v. 104. Purg., 0. 14,
v. Bl,
Sardigua, isola, Inf., c. 22, v. £9; ce,
20, v. 48. Purg., c. 23, v, DA.
Sartore (uso del). Par., 0, 22, v. 140.
Sunssol Maseheromnl. Inf, e. 32, v.63.
Suita. Inf., o. 7, v. 1.
Saturno, pianeta. Porg., 0.10, v. 3,
Par., e. 21, v. 13; 0. 22, v. 146.
Saturno, ro. luif., c, J4, v. OG. l'ar., 0.
Zl, v. 20.
Saule, vò, l'urg., o, 12, v. 40,
Savena, line, Inf., c. 18, v. Ol.
Savio, Gime. Inf., è, 27, v. 62.
Sealn (della) Alberto. Purg., 0. 18, v.
121.
Seala (della) Bartolommeo. Par., 0. 17,
v.71, 72.
Senta (dolla) Cane, il grando, Par., è.
17, v. 70,
Seala, stomma degli Scaligeri. l'ar., 0.
17, ¥. 72.
Scandatoel puniti. Inf., c. 28.
Searmigiione, iluinonio, Inf., 0. 21,
v. 105.
Schiavo, 0 Schiavone. Purg., 0. 30,
vr. BT.
Schiechi Unynaleantli, V. Gianni
Sobicvhi.
Schire o Selro, isola. Parg., c. 9
F. dl.
Scipio, 0 Scipione, Allricano, Inf.,
o. 31, v, 116. Parg.,0. 29, v.1160, Par,,
oO. 0, ¥. bid, 27, Wa Ol,
Scirocco, vento. l'urg., e. 28, v. 21.
Mela nania ded pivumiti, Inf,, ©, SA.
Scorlugiami, favilglia, V. Martuoco.
Sceorplo,vScorplone, costellazione.
Purg., c. 9, v. 6; o. 18, v. TO; 0. 25,
¥. 8.
Scotto Michele. Inf., o, 20, v. 116.
Scotto, pel re di Scozia. Par., c. 19,
vw. Led.
Serofa, stemma della fawiglia Sorovi.
gui. V. Scrovignl. ì
Serovigni, famiglia di Padora. Int,
0, 17, v. fid.
Seggio con corona imperiale destinato
ja Paradiso ad Arrigo. Par., c. 30, v.
131 e seg. ,
Semelè. Inf., o. 30, v. 2, Par., è. fi,
vy. 6,
Neminatori di scandali è sciami po-
blti. Tof., 0, 28,
Nemiramale, 0 Semiramide. Inf,
o, a, v. DE,
Seneen. Inf., o, 4, ¥, 1,
Nomese, V. Samosa,
Senesi, V. Sunoal,
Senun, fiome. l'ar., 0. 0, v. 50; ¢. 19,
v. 118.
Senuaar. Porg., ©. 12, v. 36.
NSennnacherib. Porg., c. 12, v, 53,
Sernil, 0 Serniini, l'ar., e. 4, v. 28;
o. 8, v. 27; 0. 9, v. T7; o. 21, vr. 92;
o. 28, v. TZ, 09.
Serchio, flume, Inf., 0. 21, v, 49.
Nerenn, v Sirenn, Purg., 0.19, v. 10.
Serpenti della Libia. V. Cholidri,
Seree, re persiano, Purg., o. 28, v. TI.
Dar., 0. 8, v. 13.
Sento, castello. Furg., 0. 28, v. Td.
Sesto l'urquinio, Inf., 0. 12, v, 135.
Nesto, istromento di goometria. Par.,
o. 19, v. 40,
Setta, città. Inf., c. 20, v. 11.
Setiembre, moso. Inf., 0. 29, v. 47.
Settenirional sito. I'urg., 0. 1, v. 26.
Selte, Regi. Inf., 0. 14, v. 68.
Stimge. Purg., 0. 33, v. 47.
Sibilia, o Sivilia, città. Inf., o. 20, ¥.
126; c, 26, v. 110,
Sibilla Comba, Par., o. 33, v, 60.
Sich@eo, marito di Didone. Inf., 0, 5, 7.
62. Par., 0. 0, v. UB.
Sicilia. Far. 0. 10, v. 131.
Siellliamo vespro. Par., 0. 8, v. 75.
Sieun,ciita. Inf 0.29, v. 109,129. Parg.
oc. 5, v. l;e. 11, ¥. 112, 123, 154.
Slesirl, terra. Porg., c. 19, v. 100,
Mifamil. V. Fifanti.
Sigleri, Par., c. 10, v. 130.
Sigua, terra in Toscana. V. Bonifacio
da Signa.
Nile, lume, Par,, c. 0, v. a0.
Nilvestee (8.), papa. Inf., e. 10, v. 117;
c. 27, v. O4. lar., c. 20, v. dI.
Silvestro (fra). l'ar., c. 11, v. 83.
Silvio, troiano. Inf., 0. 2, v. 14.
Simifonti, castello. Par., 0, 16, v, 62.
Simoenta, fame. Par., 0. 0, ¥. 67.
Simoninel puniti. Inf., e. 19.
Simonide. Porg., c. 22, v. 107,
INDICE DEI KOMI PROPRI EB DELLE COSE NOTABILI 119
Simon mago. Inf., o. 19, v. 1. Par.,
o. 30, v. 147.
Sinliguegiia. Dar., o. 16, v. 75.
MSinome, greco. Inf., o. 30, v. 98.
Silom, monte. Purg., c. 4, v. 68.
Stratéi, monte, cra Monte sant Oreste.
Inf., 0. 27, v. 95.
Mirene. Purg., c. 31, v. 45. Par., 0. 12,
v. 8. V. Serena.
Sirlaga, ninfa. Purg., c. 32, v. 65.
Sismendi, famiglia pisana. Inf., 0. 33,
v. 833.
Siste E, papa. Par , c. 27, v. 44
Bist, famiglia. Par., c. 16, v. 108.
Seave, 0 Sveve. Par., c. 3, v. 119.
Socrate. Inf., c. 4, v. 184.
Sedema, città. Inf., o. 11, v. 50.
Parg., c. 26, v. 40, 79.
Sodemist! castigati. Inf., c. 15, v. 16
© seg.
Sogmi vori presso al mattino. Inf., c.
26, v. 7.
Segue di Dante. Purg., c. 9, v. 19,6
neg.; 0. 19, v.7068eg.;0. 27, v. 04 cseg.
Soldanieri, famiglia. Par., 0. 16, v. 93.
Seldamieri (del) Gianni. Inf., 0. 32,
v. 131.
fNeldnne. Inf., c. 5, v. 60; c. 27, r. 90.
Par., o. 11, v. 101.
Selitar! e contemplativi. Par., o. 2),
v. 3I.
Bolene. Par., c. 8, v. 124.
Serdello, mantovano. Porg., 0. 6, v.
74; c. 7, v. 3, 52, 86; c. 8, v. 38, 43, 62,
di; 06. 9, v. 58.
Serga, fiumo. Par., c. 8, v. 59.
Spagna. Inf., c. 26, v. 103. Parg., c.
18, v. 102. Par.. c. 6, v. 61; ¢. 12, v.
46; c. 19, v. 125.
Speechio. Inf., c. 23, v. 25. Parg.,
c. 27, v. 105.
Speranza, l’urg., o. 8, v. 135. Dante
esaminato sulla medesima da san Ia-
copo. Par., c. 28.
Spirito Sante. Parg., c. 20, v. 98.
Par., o. 8, v. 58.
Statua fossa, da cui escono li tre fiumi
d' Inferno. Inf., c. 14, v. 103 © neg.
Stazie Papinio. Purg., c. 21, v. 10. Cre-
dato dal Poeta Tolosano; ivi, v. 89,
91; c. 22, v. 25, 64; c. 24, v. 119; 0.
25, v. 29, 32; 0. 27, v. 47; ©. 83, v. 29;
c. 33, v. 134.
Stefane (8.), protomartire. Purg., c.
15, v. 106 © seg.
Stelle del polo antartico. Parg..c.1,v.23.
Stige, palude. Inf., 0. 7, v. 106; c. 9,
v. 81; c. 14, v. 116.
Stimante improsseda Cristoin san Fraa-
cesco, Par., c. 11, v. 106 © seg.
——— —-=-——
Strieea (lo), sanese. Inf., c. 29, v. 125.
Strefade, o Strefadi, isole. Inf., 0.
18, v. 11.
Suleta! paniti. Inf., o. 13.
Superbi paniti. Inf., c. 8. Purg., o. 10
© seg.
T
Taddee de' Pepoli, prof. di legge in Bo-
logna. Par., c. 12, v. 83.
Taglincezzo, terra. Inf., c. 28, v. 17.
Tagliamento, fiume. Par., 0. 9, v. di.
Taide, comica meretrico. Inf., o. 18,
v. 133.
Talnmone, porto. Purg., 0. 13, v. 152.
Taie, o Talete, Milesio. Inf., c. 4, v.
187.
Tamberniceh,monte.Inf.,0.32,v.28.
Tamigl, fiumo. Inf., o. 12, v. 120.
Tumiri, o Tomiri, regina. Purg., 0.
12, v. 56.
Tanai, o Tana, finme. Inf., c. 33,
v. 27.
Tariati d'Arezzo. Purg. o. 6, v. 15. V.
Cione.
Tarpela, ropo. Porg., c. 9, v. 137.
Tarquine, o Tarquinio, superbo.
Inf., c. 4, v. 127.
Tartari. Inf., c. 17, v.17.
Taumnate. Inrg., c. 21, v. 50.
Taure, segno dol Zodiaco. l’org., c. 25,
v. 8. Par., c. 23, v. 111.
Tebaide, pooma di Stazio. Parg.,0.21,
v. 92.
Tebnidelte de’ Manfredi di Faenza.
Inf., c. 32, v. 122.
Tebaide, re. Inf., c. 22, v. 52.
Tebant. Inf., o. 20, v. 82. Purg., c. 18,
v. 93.
Tebano nanguo. Inf., c. 30, v. 2.
Tebe. Inf, 0. 14, v. 69; c. 20, v. 59; 0.
25, v. 15; c. 80, v. 22; c. 32, v. li; 0.
$3, v. 89. Pnrg., c. 22, v. 89.
Teohe novella, appellata Pisa. Inf., c.
33, v. 89.
Tedenche ripe. Par., c. 8, v. 66.
Tedeschi, popoli. Inf., 0. 17, v. 21.
Tedesco, o Alemanno. Purg., ©. 6,
v. 97.
Tegghiaio Aldobrandi. Inf., o. 6, v.
79; c. 16, v. 41.
Tewal, dea. Porg., c. 33, v. 47.
Tempiari, soppressi e puniti. Purg.,
20, v. 93.
Terensie, poeta. Purg.. c. 22, v. 97.
Terra, dea. Purg., o. 29, v. 119.
Terra santa. Par., c. 15, v. 142.
Teseo. Inf., c. 9, v. 54; c. 12, v. 17.
Parg., ©. 24, v. 123.
120 INDICE DEI NOMI PROPRI E DELLE COSE NOTABILI
=
Tesifone, furia. Inl., 0. 9, v, 48,
Tesoro, libro di sor Brunetto Latini.
Inf, e. 16, v. 119.
Teti, dea. Purg., 0. 9, v. 34; 0. 22,
v. 113.
Tevere, fiume. Inf., 0. 27, v. 30. Purg.,
c. 2, ¥. 101. Par., e. 11, v. 106,
Thomas d'Aquino, V, ‘Tommaso,
Tiberio, imperatore. Par., c. 6, v. 86.
Tidè&o di Calidonia, Tof., e. 32, v. 180.
Tifo, o Tifto, gigante, Inf., 0, 81, v.
124. Par., 0. 8, v. TO.
Tiguoso Federigo da Rimini. Purg., 0.
14, v. 100.
Tigri, fume, Parg., c. 23, v. 112.
Timbréo,0 Apollo. Purg.,c.12,v. 31,
Timéo, libro di Plotone. Par., c. 4, v. 49,
Tiralll, o Tirole. Inf., c. 20, v. 63.
Tirangal. Inf., c. 12, v. 103 è seg.
Tiresia, tobano. Inf,,o, 20, 7.40. Purg.,
o. 22, v. 111.
Tisbe. Purg., e. 27, v. 87; 0. 83, vr. 00,
Titano, il sole. Purg., c. 9, v. 1.
Tito, imperatoro. Purg., 0, 21, ¥. 82,
Par., 0, 6, v. D2.
Tizio, gigante. Inf., c. 31, v. 124.
Tonante ed Eumenio. Porg., c. 20,
¥. 95,
Tobia il vecchio. Par., c. 4, v. 48.
Tolomea, luogo infernale. Inf., c. 33,
¥. 124,
Tolommeo, Claudio, astronomo. Inf.,
o. 4, ¥. 142.
Tolommeo, re d'Egitto. Par., o. 6,
¥. GO.
Tolosanw, por Stazlio Papinio.
l‘urg., 0. 21, v, Bi.
Tomma, per Tommaso d'Aquino.
Par., c. 12, v. 110.
Tommaso (5.), apostolo. Par., c. 16,
v. 120.
Tommaso (5.), d'Aquino. Purg., 0. 20,
vy. 609. Par., 0, 10, v. 08 © seg.; c, 12, rv.
110, 144; c, 13, v. 822; 0. 14, ¥. 6,
Toppo, luogo fra Siena ed Arezzo. Tuf.,
o. 13, v. 121.
Tornenmentil cavallereschi.
22, v. 1 6 Bog.
Torquato Tito Manlio. Par.,0.0, v. 46,
Torso, città. l'urg., c. Zi, v. 29,
Tosa (della), famiglia. V. Cianghella.
Tosea, gente, Inf., o. 28, v. 108,
Toscana. Inf., c. 24, v. 122, Porg., 0.
11, v.110; o. 13, ¥. 149; è. 14, v. 16.
Toscano per Toscana, rogione. Par.,
co. 0, v. BO.
Tosco, 0 Toscano, popolo. Inf., c. 10,
v. 22; c. 22, v. 99; c. 23, v, O1; oc. 92,
v. 66, Parg., 0.11, v.68 o. 14, v. 103,
Par., o. 22, v. Vil.
Inf., 0.
Ugo da 8. Vittore, Par., 0, 1
» NMeolin d'Azzo. l'urg.,
| Tosco parlare. Purg., 0. 1, v. 137,
| Traditori puniti. Inf., c. 12 è seg.
| Traiano, imperatore. Purg., c. 10, 7,
74, 76 © sog. Par., c. 20, v. 45, 112,
Tranafigurazione di Gesù Cristo.
Purg., 0. 32, v. Ta.
Traversara, famiglia. Porg., 0. Md,
vw. 107.
Traversaro Piero. Purg., 0.14, v, 8
Trentino Pastore. Inf., è. 20, v, 07.
Trento. Inf, c. 12, v. 6.
Trespinno, terra. Par., c. 10, ¥. ba,
Trinacria, appellata la Sicilia. Par.,c.
8, v. 67.
Trinità Sautisesion., Par., c. 13, 7,
70; o, 33, v. 110 è seg.
Trisiauo di Cornovaglia, Tof., e. 5,
¥. G7.
Trivia, 6 Diana, Par., ¢. 23, v. 26.
Troia. Inf., c. 1, v. T4; c. 30, 7. 98.
l'arg., e. 12, v. 01. Par., c. 6, 7. 6,
Trolane furie, Int., 0. 20, v. 7.
i Trolani, Inf., co. 13, v.11; c. 28, v. 10;
wo. 30, v. 14. Purg., 0. 18, ¥. 130, Par.,
o. 15, v. 126.
Trolano cavallo, accennato. Inf., a.
26, v. 60.
Troni angellci. Par.,
v. 104.
Tronto, fiume. Par., 0. 8, v. 63.
Tullio Cieerone. Inf., c. 4, v. 141.
Tupino, fiume, Par., 0. 11, v. 43.
Turbina, castello, Purg., 0. 3, v. 49.
Turehi. Inf., co. 17, v. 17. Par., c. 15,
c. 9, v. 61; 0. 28,
v. 142,
Tarno, ro. Inf., o 1, ¥. 108.
U
Ubaldini(degli) Ottaviano, inteso.Inf.,
0.10, v. 120,
Ubaldini (degli) Ruggieri. Inf., o. 33,
v. ld.
Ubaldini, famiglia. Parg., co. ld, v.106.
Ubaldino della Pila. Purg., 0. 24, v. 29.
Ubaldo (S.) d'Agubbio. Par., è. 11,
v. 44.
Ubbriachi, famiglia. Inf., 0. 17, v. 62.
Uberti, famiglia ghibellina. Inf., c. €,
v. 80; 0, 23, v. 108; è. 28, v. 106, Par.,
c. 16, ¥. 100.
Ubertino, frate, Par., oc. 12, v. 124.
Uberiino Donat, l'ar., c. 10, v. 110.
Uecellatoia, woute. Par.,c. 15, ¥. 110.
Ughi, famiglia. Par., c. 10, v. 88.
Uge di Lucemburgo. Par., e. 16, v, 134.
Ugo TCinpetta, 0 Capeto. Purg., o.
20, v. 43, 49.
2, V. 133.
o. ld, v. 105.
INDICE DEI NOMI PROPRI R DELLE COSE NOTABILI 131
Ugelino della Gherardesca. Inf., 0. 88,
v. 18 © seg.
Ugeline de Fantoli. Purg.,0.14,v.121.
Ugnecione della Gherardesca. Inf., c.
83, v. 80.
Ulisse. Inf., o. 26, v. 56. Purg., 6. 19,
v. 22. Par., o. 27, v. 88.
Umittà (Esempi di). Purg., oc. 10.
Ungheria. Par., 0. 8, v. 65; 0.19,v.142.
Urania, musa. Purg., c. 29, v. 41.
Urbane I. Par., c. 27, v. 44.
Urbine, città. Inf., 0. 27, v. 29.
Urbisagiia, città distrutta. Par., o. 16,
v. 73.
Usara. Inf., c. 11, v. 96.
Utiea, città. Purg., c. 1, v. 74.
Vv
Vaibema (di) Licio. V. Licio.
Yalceamoniea, nel Bresciano. Inf., c.
20, v. 66.
Valdarno, luogo in Toscana. Parg.,c.
14, v. 80, 41.
Valdichiana, campagna in Toscana.
Inf., 0. 29, v. 47.
Valdigrieve, terra in Toscana. Par.,
o. 16, v. 66.
Valdimagra, 0 Lunigiana. Purg.,
o. 8, v. 116. ;
Vangelieti quattro. Purg., c. 20, v. 92.
Vanni della Nona. Inf., c. 24, v. 189.
Vanni Fueel. Inf., c. 3, v. 125.
Vare, fiume. Par., c. 6, v. 58.
Varre, 0 Varrone. Purg., 0.22, v. 98.
Vaticeane, colle. Par., o. 9, v. 189.
Vecchie (del), famiglia. Par., o. 18, v.
115.
Velie d'oro: sua storia involta dal tem-
po in molta obblivione. Par., o. 33, v.
94 © seg.
Veltre. Inf., o. 1, v. 101.
Venere, dea. Purg., o. 35, v. 133; 0. 28,
v. 66.
Venere, pianeta. Purg., o. 1, v. 19; ¢.
8, v. 2 © seg. Par., c. 9, v. 108.
Veneziani, 0 Viniziami. Inf., o. 21,
v. 7.
Vereello, 0 Vercelti, città. Inf., c.
28, v. 75.
Verde, fiume, l'odierno Garigliano.
Purg., o. 8, v. 131. Par., o. 8, v. 63.
Verona, città. Inf., c. 15, v.122. Purg.,
c. 18, v. 118.
1h
Veronese, Inf., c. 20, v. 68.
Veronica. Par., c. 81, v. 104.
Verracechie, castello. Inf., 0. 37, v. 46.
Yeso, monte. Inf., c. 16, v. 96.
Vespro siciliano. Purg., c. 8, v. 116.
Vetro impiombato invece di specchio.
Inf., o. 28, v. 25.
Vieo degli Strami, contrada in Parigi.
Par., o. 10, v. 137.
Vigne (dalle) Piero. Inf., c. 18, v. 58.
Vitta, danno che ne deriva. Inf., 0. 2,
v. 45 © neg.
Vincenza, 0 Vicenza, città. Par., 0.
9, v. 47.
Vineisine di Boomia. Purg., 0.7, v.101.
Vimegia, o Venezia. Par., oc. 19, v.
141.
Violenmti puniti. Inf., o. 12, © seg.
Vipera, insegna de' Visconti, signori di
Milano. Parg., c. 8, v. 80.
Virgitio, posta. Inf., c. 1, v. 79. Parg.,
0.8, v. 37; 0.7, v. 16; ¢. 18, v. 82. Par.,
c. 15, v. 26; 0. 17, v. 19; 0. 28, v. 118.
Virtedi, gerarchia angelica. Par., c.
28, v. 122.
Visconti di Milano. Purg., c. 8, v. 80.
Viseeutt di Pisa. V. Nino Visconti.
Visdomini, famiglia intesa. Par., 0.16,
v. 112.
Vitaliano del Dente. Inf., 0. 17, v. 68.
Vittore (monastero di San). Par., o. 12,
v. 133.
Vivague, cosa sia. Par., 0. 9, v. 185.
Volto Sante. Inf., c. 21, v. 48.
Voti non adempiti. Par., 0. 4, v. 137; 6
c. 5.
Vulenne. Inf., o. 14, v. 57.
X
Xerse, 0 Serne, re di Persia. Purg., 0.
28, v. 71. Par., c. 8, v. 124.
Zanehe Michele, siniscaloo. Inf., o. 12,
v. 88; c. 32, v. 144.
ZeMre, vento. Par., c. 12, v. 47.
Rene, 0 Zenone (8.) di Verona. Purg.,
c. 18, v. 118.
Zemoune Cittico. Inf., 0. 4, v. 138.
Rita, santa. Inf., c. 21, v. 38.
Zediace. lurg., c. 4, v. 64. Par., c. 10,
v. 14, 16.
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