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LA
DIVINA COMMEDIA
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DANTE piGfflEBI
LA
miM COMMEDIA
RIVEDUTA NEL TESTO E COMMENTATA
DA
G. A. SCARTAZZINT
QUABTA EDIZIONE NOTAMENTE RIVEDUTA
DA
U. VANDELLT
COL RIMARIO PERFEZIONATO
DI
L. roLAOc;(»
E INDICE DEI HOMI PROPRII E DI COSE NOTABILI
ULRICO HOEPFA
EDITORE-LIBRAIO DELLA RBAL CASA
MILANO
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propribtI lbttbraria
ScNEfiÀL
'^5-
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258-902. — VlRDnB, Tip. di S. Landi, dirett. deU'Ar^ d««a
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ALL' OKORETOLE
GUGLIELMO WAREEN VERNON
ACCADEMICO CORRISPONDENTE DELLA CRUSCA
DOTTO TRADUTTORE E COMMENTATORE DI DANTE
AMICO MAGNANIMO E SINCERO
QUESTO UMILE LAVORO
K SEGNO DI RIVERENZA, GRATITUDINE ED AMICIZIA
IL COMMENTATORE
D. D. D.
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PREFAZIONE
Nel mettere alla luce per la quarta volta la edith
minar, che della Divina Commedia riveduta nel testo e
commentata ci dette G. A. So abt azzini, è naturale che
il primo pensiero e la prima parola siano per lui, che in
età non ancor grave ebbe tronca il 10 febbraio 1901 la
vita, e non potè dare a questa sua opera le nuove cure
che, pubblicandola la terza volta, prevedeva egli stesso
sarebbero state necessarie.
Non è questo il momento né il luogo di tessere una bio-
grafia 0 del celebre uomo, o, tanto meno, di pronunziare
mi giudizio assoluto e definitivo intomo a lui e alla
varia opera sua; né io mi sentirei in grado di farlo, sia
perchè vedo mancarmi troppi degli elementi necessari
per ritrarre al vero la sua figura e portarne giudizio
equo e compiuto, sia perchè mal si converrebbe a chi è
gregario e fra gli ultimi venuti nel campo degli studi
^) Della vita e delle opere deUo Scartazzini vedansi anzitutto le no-
tizie eh' egU dette di sé nel Dante in Oermania (Milano, Hoepli, 1881-83),
e bì leggano, fra gli altri, gU articoli necrologici di Pio Rajna nel
Marzocco del 24 febbraio 1901, di A. Fiammazzo nel Oiomale Dan-
teteo del 1901, pp. 65-67, di F. X. Kbaus nella Beilage gur Alìge-
wtàtu ZeUung del 16 febbraio 1901, e di un anonimo nel giornale Dei-
Bund di Berna del 12-13 febbraio 1901.
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PREFAZIONE
danteschi, l'erigersi a giudice di un uomo che vi fu lun-
gamente e meritamente considerato fra i duci. Oltre di
che, a parlare in modo degno dello Scartazzini, si do-
vrebbe rappresentare e considerare l'attività sua sotto pa-
recchi aspetti. Prima ancora che dantista, egli fu teologo,
e, in tale qualità, esercitò per la più gran parte della sua
vita l'ufficio di pastore; e se degli studi danteschi fece
il centro, a così dire, della sua attività intellettuale, e ad
essi dovè la larga nominanza acquistata, sicché solo del
dantista, o principalmente di esso, dura e durerà la fama,
ei mise volentieri il piede anche in altri campi della let-
teratura nostra; e di materie ancor più varie, come sareb-
bero storia dell'arte, storia politica, filosofia, e persino
scienze naturali, mostrò cognizioni sicure e si rivelò amo-
roso cultore nella sua opera di pubblicista e collaboratore
di periodici letterari e scientifici. Come uomo poi e citta-
dino, benché amasse la solitudine e il ritiro, propizi agli
studi prediletti, s'immischiò più di una volta alle lotte
della vita pubblica del suo paese, e vi prese e vi tenne
il posto di combattente animoso ed ardito.
Ma, bisogna pur dirlo, la difficoltà maggiore che in-
contra chi voglia parlare di lui, proviene da certe qua-
lità poco simpatiche ch'egli spesso rivelò nella sua profes-
sione di scrittore e di critico. Baldo, sicuro di sé, assoluto
nel profferir giudizio intomo ad uomini e cose; insoffe-
rente di contraddizioni; disposto ad obbedire agl'impulsi
del sentimento e della passione momentanea e alle im-
pressioni, piuttostoché alla voce calma e severa della ra-
gione ; facile, i>erciò, altrettanto a mutar giudizi e criteri
quanto ad ostinarsi in opinioni errate, pur di non cedere
agli avversari; lo Scartazzini si attirò di necessità molte
inimicizie, e si trovò impigliato in polemiche disgustose
ed astiose, nelle quali trascorse troppo spesso a modi
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PBBFAZIOHE XI
e a forme assai lontane non pure dall'urbanità, ma, eh' è
peggìOy. dalla giostizia. Eppure, gli attacchi insolenti, i
motti sd^nosi, 1 giudizi sgarbati si leggono talora a breve
distanza da espressioni cortesi e rispettose t Come mai t
Oli è che l'indole focosa e battagliera, nei momenti in
cui lo dominava, gli fEtceva, com'io credo, parer naturale
quella vivacità eccessiva di pensiero e di parola; e non
gli lasciava forse capire né intravedere che altri, e con
ragione, potesse giudicare i suoi modi come segno di
animo maligno e proclive alla maldicenza. Così, per citare
un esempio caratteristico, in fine del secondo volume del
Dante in Germania^ egli vuole scusare come frizzi e pia-
cevolezze ^ delle quali l'autore credette di dover condire
l'arida materia', le frasi pungenti e irriverenti che si
lagone qua e là nel corso dell'opera, in ispecie nel F
volume, e si duole che altri abbiano considerate le sue
parole come offensive, e dichiara che costoro non le hanno
sapute interpretare, come se fosse possibile im' altra in-
terpretazione x>er chi prenda le parole nel loro vero
significato !
E che lo Scartazzini ne' suoi eccessi fosse piuttosto vit-
tima del proprio temperamento che maligno, m'induce
a crederlo un altro fatto. Sarebbe flEicilissima cosa, spigo-
lando negli scritti di lui, formare un buon codicetto dei
più onesti, dei più savi principi di critica letteraria; né
meno focile raccogliere assennati rilievi di mende e difetti
d^ opere altrui.
Eppure egli era il primo a violar nella pratica quei
principi; e a lui si potrebbero rinfecciare con le sue
stesse parole le colpe - spesso accresciute ed aggravate -
che pur sapeva si bene rilevare in altri. Come non av-
vedersi di si stridente contraddizione! Come non temere
che qualcuno gli rivolgesse la domanda dell' evangelo :
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XII PBSFAZIONK
(Jur festucam in oculo fratria tui, et trabem in oculo ttto
non videsf So bene che il lettore mi potrebbe qui ricordare
il &moso padre Zappata, e rammentarmi che altro è dire,
altro è fare; ma, quando l'uomo che dice e &, ha in-
gegno e dottrina quali ebbe lo Scartazzini, un'altra ra-
gione ci vuole; e questa, nel caso nostro, io la vedo ap-
punto nell'indole impetuosa e scontrosa, che, sopraffacendo
il valentuomo, gì' impediva la retta e netta visione delle
cose, e lo portava agli eccessi che i suoi stessi amici piii
volte deplorarono. Forse, come acutamente osservava
F. X. Eraiis, se lo Scartazzini si fosse tenuto meno ap-
partato dalla società, avrebbe finito con levigare la ru-
videzza naturale; la quale, del resto, com'ebbe ad osser-
vare nel citato articolo necrologico il giornale Ber Bund
di Berna, pare connaturata a quei della Val Bregaglia,
dove il nostro era nato e dove lungamente visse.
Ho insistito un po' a lungo sull' indole dello Scartaz-
zini, perchè il suo mi pare esempio notabile, se altro
mai, dell'intimo legame che, anche nell'esercizio della
critica, hanno le doti e tendenze dell'amino con le qualità
dell'intelletto, e della funesta azione che quelle possono
talora avere su queste. Giacché ninno vorrà negare allo
Scartazzini un intelletto, che, robusto per natura e rin-
vigorito da larghi e svariati studi e da assidue e mol-
teplici letture, era messo in moto da una volontà tenace
e da una mirabile laboriosità; e un tale intelletto, se
assistito da un temperamento piti sereno e più. calmo,
avrebbe dato frutti, non so se ugualmente copiosi o più
scarsi, ma certo migliori molte volte e più durevoli di
quelli che diede.
E un'altra dote non comune ebbe la mente di lui;
quella di saper concepire con larghezza e chiarezza il
niano delle sue opere, e tracciarne il disegno generale con
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PBSFAZIOHE XIU
nettezza di contorni e bella armonia di parti. Consideri,
chi se ne voglia persuadere, il Dante-Handìrnch, o i Prole-
gomeni alla D. C. lipsiense, o la Dantologia, o questa stessa
edizione, della cui fortuna alcuno, e non a torto, vide una
forte ragione appunto nel nitido assetto generale, nella
intelaiatura, a così dire, entro cui è disposta la materia.
Anzi, x^r dire tutta la verità, l'amore della simmetria
generale arrivò talora nello Scartazzini tropp'oltrej come
quando — non so se altri abbia mai rilevata la cosa - di-
videva la Dantologia^) in due parti, e ognuna di queste
in 4 capitoli, e ciascun capitolo in 9 paragrafi. Purtroppo
insieme con le ottime qualità di architetto egli non mo-
strò sempre tutte quelle del buon costruttore!
Comunque sia, chi cerchi di abbracciare con un solo
sguardo i contributi che agli studi danteschi egli arrecò
in un periodo d'oltre trent'anni, dal volume Dante Ali-
ghieri, Beine Zeit, sein Leben und seine WerJce (Biel, 1869)
fino alla poderosa per quanto difettosa Enciclopedia dan-
tesca e alla 2* edizione dell'Jn/femo lipsiense del 1900,
non può reprimere un sentimento d'ammirazione sì per
la mole di lavoro compiuta da questo solitario sdegnoso,
e che è prova d'un' operosità grandissima e costante, e sì
per gli aiuti e gli impulsi varii che alla critica dantesca
vennero da tale operosità. La quale fino a un certo temiK)
fa veramente - userò le belle ed efficaci parole di Fran-
cesco d'Ovidio*) - * più sana, e ad ogni modo tornava
') Di quest'opera sta preparando una nuova edizione, rìfdsa in
modo da rispondere aUo stato presente degli studi danteschi, l'egre-
gio professor A. Fiammazzo, il quale attende altresì a compilare un
volume, che sarà U benvenuto, di supplemento t^^ Enciclopedia dan-
U$ea,
*) Stmdtì 8uUa D. C. (Palermo, E. Sandron, 1901), p. xii della Pre-
iadone.
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XIY PBEFÀZIONS
utilissima ai rinascenti studii italiani e al loro bisogno
del momento. I lavori tedeschi eran noti a pochi ; degli
studiosi nostrani, i più s'aggiravano per angiporti o
s'eran cacciati in vie mozze; i Commenti al poema che si
pubblicavan qui, avevano il tanfo d'un' erudizione troppo
ristretta, d'un ordine d'idee angusto, d'un pettegolezzo
in famiglia ; i Commenti antichi rivedevan la luce a ri-
lento e spesso malconci, e ciascuno diveniva l'oggetto
d'una predilezione sistematica e fanatica. Il Commento
lipsiense divulgò a un tratto tante cose e tante chiose,
con uno spoglio largo degl'interpreti antichi e con un
travasamento repentino di erudizieni e speculazioni te-
desche. Fece l'effetto d'un fìnestrone che si spalanchi e
lasci precipitar dentro molt' aria fresca, benché non senza
vento né polvere 5 o l'effetto che in una città di provincia,
con vecchie botteghe scarsamente fornite e impigliate in
tapine abitudini locali, farebbe l'apertura d'un bazar
pieno zeppo di roba forestiera e d'altre cose comunque
rare in commercio. In che modo e in che limiti abbia lo
Scartazzini giovato agli studii danteschi in Glermania,
altri potranno dire; ma una brutta ingratitudine com-
metterebbe l' Italia 0, commetteremmo specialmente noi
della generazione che tramonta, se non ricordassimo e
non inculcassimo che si ricordino le non dubbie bene-
merenze di lui. ' E per questo, e per le prove che pur
qualche volta ^li dette, di essere « da sé stesso rimorso » ,
^) A proposito deUft doppia opera compiuta dallo Scartazzini come
dantista italiano e come dantista tedesco, mi si permetta di riferire
alcone giuste e acute considerazioni di Pio Rajna : * Un' opportn-
nìtà.... derivava allo Se. dalla nascita. La Bregaglia spetta geografi-
camente all' Italia, e se ne può dire un satellite anche sotto U rispetto
linguistico. Siccome poi il giovane s'era educato nella Università di
Basilea e di Berna, in terra tedesca, veniva ad essere molto adatto
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PREFAZIONI XY
possiamo bene immaginare col Bi^na, che lo Scartazzìni,
^incontrandosi nel regno delle ombre o degli spiriti con
coloro coi quali ebbe nimicizia, abbia, nel nome di Dante,
dato e ricevuto il bacio della pace ', così come, tra i vi-
T^iti, tutti coloro che furono ingiusto bersaglio de' suoi
dardi, gli avranno, credo, ormai perdonato.
Ed ora una i)arola della presente edizione che, prega-
tone dal benemerito comm. Ulrico Hoepli, ho accettato
di curare. Nel frontespizio ho scritto ' riveduta ' senza
aggiungere ^ corretta', perchè questa parola, messa là cosi
sola ed assoluta, mi pareva superba e troppo promettente,
anzi compromettente. Ma qui, dove ho agio di spiegarmi,
non posso non parlare di correzione, giacché in corre-
zione si risolve di necessità ogni opera di revisione. Quali
correzioni adunque, quali mutamenti presenta la quarta
in confronto con la terza edizione! Basta osservare che
la paginatura è rimasta, tranne in pochi luoghi, la
stessa, per comprendere che non può essere stata &tta
una mutazione radicale, una vera e propria rielabora-
zione. E nient' altro che una ristampa attentamente ri-
veduta allo scopo di fiEune scomparire refdsi e sviste
tipografiche, errori d'ortografia e simili mende, che pur-
troppo erano numerose nella edizione terza, doveva essere
il presente volume, secondo il primo concetto dell'editore.
a eompieTe oiia di queUe ftiBzioni mediatrioi, a cui la Svizzera) tri-
fronte, anzi qnadrij&onte, co^ bene si presta. Dopo V Italia, nessun
paese ngna^^ya la Germania nel culto per Dante ; ed era di certo
desiderabilissimo ohe diventasse quanto pih si potesse vivo in questo
dominio lo scambio intellettuale. Fatto sta che lo Scartazzini venne
alternando in tutta la sua vita pubblicazioni tedesche e pubblioazioiii
italiane. '
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XYl PRIFÀZIONB
non avendo lo Scartazzinì lasciati tra le sue carte appunti
o correzioni di sorta per questo suo lavoro, e non parendo^
a cosi breve distanza dalla sua morte, cosa conveniente
mettere le mani nel commento per modificarlo secondo
nuovi 0 rinnovati criteri. Ma, nel &tto, la revisione è
riuscita qualcosa che tramezza fra ciò che P editore aveva
dapprima pensato e una compiuta rielaborazione.
n testo, al quale è di necessità coordinato il commento,
non tollerava, appunto per questo, modificazioni sostan-
ziali^ né in una edizione scolastica ci è parso ancor
tempo d' introdurre certe innovazioni che le ricerche
e gli studi, cui attende la Società Dantesca Italiana,
ormai consigliano, ma che non hanno peranche quel
grado di certezza che occorre per essere ammesse nella
scuola. Ma la grafia, che di edizione in edizione s'era
venuta piuttosto corrompendo che migliorando, e mo-
strava un amalgama di criteri diversi - e ciò soprat-
tutto perchè le condizioni della vista da più anni proi-
bivano allo Scartazzini la revisione delle bozze o non
gliela consentivano attenta come avrebbe dovuto essere,
di modo che spesso ei si dovè rimettere alla discrezione
altrui -, avea bisogno di divenir più costante e uniforme ;
e altrettanto dicasi della punteggiatura, qua sovrabbon-
dante, là scarsa ; in una parte determinata da una ten-
denza a spezzare il pensiero dantesco in periodi o in
membri di periodo fortemente disgiunti, in un'altra, in-
vece, dalla tendenza opposta. A tali inconvenienti ho
procurato di portar rimedio in questa ristampa; e, senza
presumere di aver fatto sempre bene, né tutto, proprio
tutto quel che si sarebbe dovuto, credo di potere co-
scienziosamente affermare che la nuova edizione rappre-
senta per questa parte, in confronto delle tre precedenti, e
fors' anche di altre edizioni della Commedia, un miglio-
ramento sensibile. Certamente mi è toccato in j qualche
PRBFAZIONX X?II
luogo di lasciare, per quanto a malincuore, la vecchia puu-
legnatura, costrettovi dall'interpretazione che lo Scartai
Zini Rostiene e che non si voleva per ora toccare; e di
ciò mi duole soprattutto per il famoso verso delle colotìibe,
dove lo spostamento del segno di punteggiatura dalla f ne
al m^szo del verso ' rompe ' riferisco le parole savie ed ar-
gute del Bigutini ^ rompe con la musica soave dei versi
il volo rapido ed uguale degli amorosi uccelli ', e fe * pen-
sare (sia detto con tutta la reverenza ad alcuni valenti
uomini che tengono diverso avviso) al barbaro diverti-
mento del tiro al piccione ' ')• Fortuna che la punteggia-
tura e l'interpretazione più comuni sono accennate nella
nota! Anche qualche parola qua e là ho mutata, fondan-
domi non tanto sugli studi miei, quanto, e più, sulla edi-
zione del Moore, che del testo dantesco forma, per così
dire, la vulgata moderna, e vulgata autorevole ; ma sono
generalmente cose tanto tenui, che non vale la pena d'in-
sisterci sopra. Solo nei versi provenzali, messi in bocca
ad Arnaldo Daniello, alla lezione dieziana, data costan-
temente dallo Scartazzini, ho sostituito, come la critica
giustamente desiderava, la buona ricostruzione fattane,
alcuni anni or sono, dal pro£ B. Benier. Del resto chi
avrà voglia e pazienza di confrontare il testo di questa
eoa quel della terza edizione, vedrà e giudicherà quale
sia sbBAa. la mia fiortica.
Circa il conunento, ecco quel che s'è &tto. Lascio stare
le norme più rigorose che si sono applicate nell' uso del
I maiuscoletto, del tondo, del corsivo, delle lineette e di
! simili altre quisquìlie tipografiche; le quali, sebbene cosa
^ materiale, non son però prive d'importanza e di valore
^ per l'occhio, che pur in queste cose vuole la parte sua.
^) Coflì scrire il R. nel beUiasimo Elogio di B. Bianchi, pnbbli-
ealo negU Am déW Accademia detta Cnma ée\ 1901^^(lg^^'^«<r.).
B
ITITI PB8FÀZI0NE
e per la chiarezza e la £EK)ilità dell'uso e della consul-
tazione di un'opera. Ma, avendo cominciato a far qual-
che riscontro di citazioni per assicurarmi della esattezza
loro, vidi che per questa parte lasciavano talora a de-
siderare. Ohe fare! A riscontrar tutte, dalla prima al-
l'ultima, le citazioni numerosissime che occorrono nel
commento scartazziniano, io non potevo pensare anche
per difetto di tempo e di libri; ma di certe categorie
più importanti fra esse mi risolsi a &r questo riscontro
I)erpetuo, dal quale è risultato buon numero di rettifiche.
Cosi ho riscontrato ogni rimando a luoghi della Com-
media o d'altre opere dantesche; ho verificato tutte le ci-
tazioni bibliche e della Summa theologica di S. Tommaso ;
mi sono assicurato di tutti i confronti con Virgilio, Orazio,
Lucano.... e la litania sarebbe ancor lunga, se la volessi
&r compiuta. Ohi ha pratica di tali lavori, sa per espe-
rienza come spesso un'indicazione fallace, per essere
corretta, richieda tempo e pazienza e l'uso di partico-
lari accorgimenti ; e però giudicherà da sé « il quale e
il quanto » della mia Mica per rendere, sotto questo
rispetto, piti fido indicatore il commento scartazziniano.
Ho altresì ricollazionati con le edizioni da cui erano stati
tolti, i passi di parecchi antichi commentatori, quali Ia-
copo della Lana, l'Ottimo, Benvenuto da Imola, e così
via dicendo; e dove ho corretta la lezione, dove comple-
tato il passo, dove fiatti altri ritocchi: in taluni casi,
rarissimi per fortuna, ho rimediato allo scambio, non so
come avvenuto, tra il nome d'uno e d'un altro commen-
tatore. Tutte queste^), ed altre consimili, sono rettifica-
') I rinyii all'opera del Basshrmann, Orme di Dante in Italia, ò
parso conveniente ù^ìì snUa versione itaUana di Egidio Gorra^ uscita
in quest'anno a Bologna coi tipi della Ditta Zanichelli.
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PBsrÀZioHB ut
max di &tto, che, primo fra tutti, lo Scartazzini avrebbe
gradite; poiché, quanto egli s'impuntava e s'imperma-
livi delle osservazioni che si facessero dalla critica in-
torno ai libri suoi, una volta pubblicati, altrettanto, va
ricordato a suo onore, gradiva e accettava le proposte di
eofrezionì che gli venissero Mte in privato durante la
preparazione e la stampa dell' opera : di ciò mi assicura
il earìssìmo cav. Laudi, e se n'ha la riprova in ringra-
ziamenti e dichiarazioni che si leggono nei proemi al-
Tedizìonì precedenti di questo libro stesso.
Ma, e la sostanza del Commento! Questa, come ho detto,
s'è volata rispettare^ se non che in taluni luoghi confesso
fhd mi sono lasciato vincere dalla tentazione, ed ho tolto,
ingiunto, rifuso. Dove e per quali motivi volta per volta
io abbia osato ciò, sarebbe tropx>o lungo a dire ; ma poi-
òè^ se non m'inganno, si tratta sempre di storture rad-
drizzate, nessuno, spero, me ne vorrà male. Mi si potrà,
è vero, obbiettare che io o dovevo mettere le mani ftan-
eamente per tutto, o tutto lasciare intatto ; ma tale obbie-
zkme, se avrebbe molto valore per un'opera, poniamo, di
speculazione o d'arte, le cui parti sono fra loro congiunte
da legami logici ben stretti e ben saldi, non si può ap-
plicare a un commento, formato di note e x>ostille, scelte o
red^te, bensì, secondo certi criteii generali uniformi, ma
^ molto spesso sono indipendenti fra loro. Prendano i let-
tm come un dono quel che s' è fatto stavolta; col tempo,
fjiiando parrà opportuno e necessario (e l'opportunità e
h necessità saranno indicate dai progressi della critica
itanteaca), si farà di piti. Un solo caso mi permetto di
nlevare : la casiigatiOj che s' è creduto di dover eseguire
Bel commento all'episodio di Brunetto Latini e che si è
«seguita per via di tagli, trasformazioni, sostituzioni che
«^hionque voglia^ potrà riscontrar da sé. Qui però l' ardi-
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XX PREFAZIONB
mento mìo è stato assai minore di quel che parrebbe; per-
chè da una parte la critica aveva ripetutamente censurata
la crudezza inopportuna e volgaruccia di certe note, e
dall'altra lo Scartazzini, che aveva pur fatto nella edizione
terza qualche concessione alla critica, si piegò ad essa
interamente nella seconda edizione deìV Inferno lipsiense,
uscita i)ochi mesi prima della sua morte. Quivi è tolta
ogni parola men che pura, ogni accenno men che nobile;
e la nota, in cui si esamina l'atteggiamento del Poeta di
fronte a ser Brunetto, termina con queste parole: * Dante
parla con amore e riverenza di Brunetto Latini, perchè
lo amava e riveriva davvero; ma lo camìcia nelP Inferno
tra i sodomiti, perchè doveva essere generalmente noto
che Brunetto fosse stato macchiato di questo sozzo vizio,
e perchè Dante a tutti gli altri riguardi antepone la
verità. '
Si sono poi soppresse certe allusioni iraconde e ingiuste
a un egregio commentatore vivente, che si leggevano qua
e là; con che non si è fatto altro se non obbedire alla
ingiunzione che, preludendo al Paradiso lipsiense, lo Scar-
tazzini faceva a chi avesse avuto a ristampare dopo la
sua morte il commento di Lipsia, ma che può ben valere
per le ristampe postume di ogn' altra opera sua^).
Anche mi sono studiato di correggere espressioni o
stentate o poco italiane, che il dantista svizzero non si
fEiceva scrupolo di adoperare: solo mi preme avvertire che
la mia risciacquata, per usare un' immagine del Manzoni,
della lingua scartazziniana, non ha la pretesa di essere
compiuta; anzi si è limitata per solito a togliere le mac-
chie che mi pareva dessero più nell'occhio. E qualche
1) * Si canceUi ' così scriveva lo Scartazzini * ogni parola, ogni
sillaba di jwlemica che si troverà nei tre volumi'.
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1^RS?ÀZI0N> XXI
Anna troppo dura può bene essermi sfuggita inosservata,
poche, a lungo andare, si fa l'abitudine anche a una
lingua e a uno stile un po' esotici.
Vindice, infine, pur rimanendo sostanzialmente lo stesso,
è stato per mezzo di una diligente revisione purgato da
parecchie sviste, che di edizione in edizione si ripetevano
immutate, e in più luoghi ha ricevuto aggiunte non ispre-
gevoli.
Per concludere, il libro si può dir che riappaia alius
et idem^ e, come idemy conserverà di certo il fovore che
gode da dieci anni e che ne ha &tto già esaurire tre edi-
zioni copiosissime ; come alius poi, ed alius per le nuove
cure che vi sono state spese attorno % apparendo meglio
iegDo di tale fevore, non dovrebbe, dice l'Editore, allar-
gare la cerchia de' suoi benevoli t
FireDKe, 23 settembre 1902.
Giuseppe Vandelli.
') Mi sentirei colpevole d' ìngratitadine e, staro per dire, d'ap-
ptopfiiazìone indebitai se non ringraziassi pubblicamente F egregio
signor Alsbrto Landi, degno figlio del car. Salvador», della
perisìa - perizia non soltanto tipografica - e della premura e dili-
genza, con che si è adoperato ad aUeggerirmi l'opera di revisione
« a renderla più compiuta ed esatta. Senza la sua oculata coopera-
tone oMte mende, certe incongruenze, soprattutto, della terza edi-
zione mi sarebbero forse sfuggite, e le scorrettezze, che pur ora
non maneheranno, sarebbero state certamente più numerose.
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TAVOLA
DELLE ABBEBVIATUEE
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TAVOLA DELLE ABBREVIATURE
Ac^ — I«e gemnM deOm D. C. dlohiante ed lUotinte dft Oiuuo Acquaticci.
GfaicaU, 1805. (1 toI. Iii-8<» ploo.).
!«■. — Topo-CronocraiU del Viaggio Danteieo per OiOTAmn AansLU. MIUdo.
lan. a rol. ìb-4p eoa 15 toTole).
AM. — «disumi Aldine deU» D. C. delle qaeU ebbiemo eott'oooliio 1» prlm» del
isn, 1* ooBtrsflksioiie Lloneae del 1602 e le 9» Aldina. Yenesln. 1615.
kmér, — Ln D. G. di D. A. eoi commento di Raffaeli Andrioll KepoU, 1866.
Koore edis. 1868, 1869, 1881, eoo. (1 Tol. in-80).
Aa. c»i Imf. — Commento aUn eantioa dell' Intono di D. A. di Autoek amo-
mio ora per la prima Tolta dato In loee per eora di Lobd YsiuroN. Firense,
1848. a ToL in*8o. È la tradoilone del BamlHrl.).
Aa. wt^r* — Commento alla D. C. d* AiroiriMO FiOBERTiiro del seo. xiv ora per la
ptiaia Tolta atampato a cara di Pirbo Fahfaxi. Bologna, 1866-1874. (8 to-
Aa. m^~ — ChSoae anonime alla prima Canttoa della D. C. di un contemporaneo
òbL Poet*, per Fbavccsoo Sklmi. Torino, 1865. (1 toL Ìn-80).
ami. ^ Solle dottrine aetronomiohe della D. C. Baglonamenti di 0-. Antohblu.
Flrcne, 1866. a «mo. in-80).
- »iidi particolari enlla D. C. di 6. Amiohilu. Firenie, 1871. (1 tuo. in 99).
- AmmùUmàaai aatronomiohe del P. 6. Ajttokxlu, nella D. C. ool commento del
TOMMABBO; ofr. T*aa«
Ali Ita», m—, — U aeoolo di Dante. Comento storico di Fbbdihaiido Abbiva-
BSSL Udine, 1827. (1 rtA. Ìn-8<>, ohe forma la parte I del m toI. del Dante
BartoUniaao; etr. TIt.).
Ba». TU. — Vita di Dante acritta da Cisabb Balbo. Sdii, consentita dal-
raator». Firense, 1853. U toI. in 120).
Baaibsi. — Il Commento aU' Infèrno di Gbaciolo db' Bambaouou, dal codice
flaadanfnli'f con le aggiunte e Tarlanti del Senese per cara del prof. Airromo
FiAMMAXSO. Udine, 1882. (1 toL Ìn-8<^.
Bars. — Lo Inibmo della Conmiedla di D. A. col Comento di Guihifobto dblli
Baboioi, tratto da dne Ifanoscritti ined. del sec. xv, con introdtuione e note
di G. Zachbbohi. Marsiglia, 1838. (1 toI. in-i» pico.).
Barlasr — Criticai, historioal and pblloeophical contrìbntions to tbe stody of
fbe D. C. by H. C. Bablow. Londra, 1864. (1 toI. in-80).
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XXTI TÀVOLA DBLLE ABBBiyUTUBB
B»rt. — Storia della letteratura italiana di Adolfo Babtou, toI. 4-6. Firense,
1881 e seg. (8 voi. In-So pico.).
Baa*. — Alpbbd BAiWTOifAìm. Orme di Danto in Italia. Opera tradotta aolla
2^ edlsione tedesoa da E. Gorra. Bologna, Zanichelli, 1902. a voi. in-8<>).
BeBB»a. — La D. C. col commento oattolloo di Luigi BKMMABSun. Verona, 1864-68.
(3 voi. ln-8«).
Beav. — BRirvxmjn dk Bambaldu dk Imola, Comentnm niper Dantis AJdi-
ghery Ck>m(BdÌam, nane primnm integre in luoem edltnm, tnmptibas Guiusua
Warrkn Yernon, oaranto Iaoobo Phiupfo Lacaita. Firense, 1887. (6 voi.
ln-40 pioo.).
B«rtii. — La D. C. eon oommenti secondo la soolastioa del P. Oioachuto Bbr-
THIBB. Freibarg, 1892 e eegg. (3 voi. in-40 in corso di stampa).
Beiil — Salvatorc Betti, Postille alla D. 0. ora per la prima volto edito di
sa il manoscritto dell' aatore da Oiubrppb Cuqhoni. Città di Castello, 1883.
(8 voi. in-8® pice.).
— Scritti Dantesclii in appendice alle postille del medesimo antoro alla D. C. rao-
ooltl da O. CuGNom. Città di Castello, 189J. (1 voi. in-8o pioo.).
Bla*. — La D. C. col commento di Oiobavattb Biaoiou. Parigi, 1818-19. Bistam-
pato di poi molto volte. (8 voi. in-80).
Blaa« — Vocabolario Dantesco, on Dictionnaire crìtiqae et raisonnó de la D. C.
de D. A. par L. G. Blano. Leipsig, 1852. (1 voi. in-80). Trad. ital. di G. Cau-
BOMB. Firense, 1859. (1 voi. in-120).
— Yersoch einer blos philologischen BrkUirang mebrerer dnnklen and streitigen
Stellen der G5ttUchen Komodie von Dr. L. G. Blako. Halle, 1860-66. (2 parti
in-80).
Blaae — Die GSttUohe Komodle dee D. A. iibersetst and erWatort von L. G.
Blavo. Halle, 1864. (1 voi. in-S» pico.).
Ba«e. li Cemento di Giovahhi Boccaoci sopra la Commedia con le aanotadoni di
A. M. Salvimi, per cara di Gartajvo Milambbi. Firense, 1868. (2 voi. in-12<^.
Bo«el — Bisionario storico, geografico, aniversale della D. C. di Donato Booc^
Torino, 1878. (1 voi. in-8o pico.).
Barrii. — La D. 0. con naovi argomenti e noto di G. Borghi. Parigi, 1844 (1
voi. in-120.)
BarvIalBl — Stadi salla D. C. di Gal. Oaliìei, Vincenzo Borohini ed altri
pobbl. da Ott. Giou. Firense, 1856. (1 voi. in-120).
Br. B. — La Commedia di D. A. novamento rivedata nel testo e dichiarato d«
Brunonr BLàNCUi. Nona edisione. Firense, 1886. (1 voL in-120).
Ball. — Ballettino della Società dantesca italiana. Serie I*, 14 (bsc. Firense, 1800-
98. Serie H», Voi. I-VI, Firense, 1893-99.
BaaH. — Discorso di Vnic. Buomanni sopra la prima cantica del divinisaimo theo-
lego Danto d'Alighieri del Bello. Firense, 1572 (l voi. in-40 pico.).
Ba»«. Cam. — Alberto Buboaino Campo, Stadi! DanteschL Bdisione comple-
ta. Trapani, 1894. (1 voi. in-S»).
Bau — Commento di Francrboo da Bun sopra la D. C. di D. A. pnbbl. per
cara di Crrsorntino Giannini. Pisa, 1858-62. (8 voi. in-80).
Bau. — The Hell, the Pargatory and the Paradise of D. A. edited witfa tiansla-
tion and notes by Arthur John Butlrr. Londra, 1880 92. (8 voi. Ìn-8o pioo.).
Cam. — La D. C. di D. A. con noto tratte dai migliori oommenti per cara di
Eugenio Camerini. Milano, 1868-69. (8 parti in-fbl.).
€}aaapl • La D. C. ridotto a miglior lesione con V alato di ottimi manoscritti e
corredato di noto edito ed inedito antiche e moderne per oara di Giuseppk Cam-
pi. Torino, 1888-91. (8 voi. in-S^).
Casa. — Cassinese; otr. Post. Casa.
Cast. — Sposlsione di Lod. Cabtrlvbtro a '^Triit; canti ^dell'Inforno dantesco
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TITOLA DKLLB ÀBBBBYUTUBB XXYII
on per la prima Tolto dato in lace da Giotahiq F&AiiaoBi. Modena, 1886.
a Tol. bk'4f> gr.).
Ci»T«rAÌ — Tool e Modi nella D. G. dell* oso popolare toscano. Dlrionarletto
eempOato da Baffuello Cavxb». Firense, 1877. (1 toI. ia-120).
esca. — BeUene deUa D.C.INal. di Aurosio Cbbabi. Verona, 1824-26. (3 rol.in-8<^.
Cmb. Upa« — La D. C. di D. ▲. rivedato nel teeto e eommentoto da Q. A. Scab-
TABm. Lipsia, 1874-00. (4 voi. in-80 picc.).
€;«rB. — La D. C. di D. A. eoi commento di GiOYAmn Habia Cornoloi. Boma,
18OT. (1 ToL ln-80)-
Oasi» ~ La D. C. eoa noto di Paolo Costa. KnpoU, 1880. (3 rei. In-dP),
Crai. — La D. C. di D. ▲. Nobile Fierantìno, ridotto a miglior lezione dagli Acca-
dearid della Cmaca. Flrense, 1605. a voi. in-80 picc.).
^ Yoeabolacio degli Accademici della Cnuca. Quinto impressione. Firense, 1863-04
(ToL l-vm, 1. in-40 gr. A'Impiegore, e « aiossario » I, A-Buturo).
■Mi. — Danto oon V espoaitione di H. BiuiABDiifO Daxibllo da luooa, sopra
la sua Commedia dell' Lifemo, del Purgatorio e del Paradiso. Tenesia, 1568.
a ▼<^ in-4^ pice.).
D. • U aaio a*e. — D^nto e il suo secolo, xiv maggio mdooolxy. Firense, Cel-
Bni e C. 1865. (1 voi. in-40 gr.).
Bwate-HAB^k Dahts-Hahdbuch. BnifObrong in das Stndinm dee Lebens
and dar Sohriften Dento Aligliieri's ron Dr. G. A. BCABTAZZun. Lipsia, 1802.
a ToL ln-8»).
B« BAt. — BibUografla Dantoica, ossi» Catalogo delle edidoni, tradosionJ, codici
maaosorlttl e oomenti della D. C. e delle opere minori di Danto, segoìto dalla
■erie de* biografi di lai, compilato dal signor Ylsconto Colomb db Batinbb.
Xiadaa. ito!., Cstta sol ms. francese dell' autore. Prato, 1845-46. (2 toI. in-S^).
W mmU, — D Pandlso di D. dlohianito ai gioTsoi da Avgblo db Gcbbbitatib.
Flianae, 3888. a toL in-M^).
•«Uà iTsOle — D senso geografloo-astronomico della D. C. per GiOY. Dblla
Yajum, FMnia, 1860. (1 ytA. in-29),
— Bapplamento al libro: D senso ecc. Faensa, 1870. (1 fkse. in-8o).
— Kaore DIoflInuEioni sulla D. C. Faensa, 1877. (1 toI. in 8<>).
»•! !«■■«• — Dino Compagni e la sua oroniea, per Ibidobo Dbl Lungo. Fl-
rense, 1870 87. (8 rei, hk-9P gr.).
^ Danto ne* tompi di l)aato. Bltoatti e skidi. Bologna, 1888. (X rei. ìb-120).
»• M»no — Commento su la D. C. di D. A. di Abtohio Gualbbbto db Kabzo.
Fb«se, 1864-81. (8 toL in-40 gr.).
M CM. — GiuBBPPB DI Cbsabb, Koto a Danto, per cura di Nicoola Caotaoka.
GlUà di OastoUo, 1804. a Td. ln-80 pice.).
Mas, «imMi. — Grammatik der romanischen Spraohen von Fbibdbioh Dnz. M»
edis. Bonn, 1882. (8 toL in-80).
Mes, Ijab. * W. — Leben nnd Werke der Ironbadours yon Fribdbicb Dibs.
Zwtokan, 1820} 2* edis. Lipsia» 1882. a toL in-80).
Maa, P««ato — Die Poesie der Tronbadonrs ron Fbibdbich Dna. Zwlckau
1826 1 S» edis. Lipsia, 1888. a toI. in-80). '
Man, Wtt. - Btymologischea Wortorbuch der romanischen Sprachen von
Fbibdbich Daz, 8> edis. Bonn, 1860-70. (2 inA, in-S^.
Man. — La D. C. di D. A. eon intiodns. ed aggiunto critica del can. G. I.
DB* DiOHm. Parma, 1705. (8 toI. in-fbl.).
- Preparasione Istor. e crit. alla nnova edis. di D. A. Verona, 1806. (2 voi. in 40),
M Man* — Commedia di D. A. oon noto di Gbboobio di Sibma. Infèrno. Na-
poO, 1867-70. (1 YoL in-80).
Hai. ~ La D. C. di nuoTO alla sua vera lettone ridotto con lo aiuto di molti anti-
ddsatai esemplari, con argomenti et allegorie per dasoun canto,>«^ apoajkllle nel
litizedbyV^OOgle
XXVIII TAVOLA PELLB ABBREYIATTJBB
niArgine, et tndloe ooploaisaimo di tatti l TWJftboli più importanti usati dal Poeta,
oon la spoaision loro per Lodovico Dolce. Yeneefa, 1666. (1 voi. iii-12<>).
E4. Aae. — La D. C. Firente, all' diseona dell'Ancora, 1817-19. (4 toI. in-foL).
K4. P»«. — La D. C. col oom. del P. B. Lombabdi, ora naoTamente arricchito
di molte iUastraaioni edite ed inedite. Padova, Tipografia della Minerva, 1822.
(6 voi. in-80).
Bacici. — Db. G. a. SoABTAZZL'n, Sooiolopedia Dantetoa. Disionario critico e
ragionato di qoanto concerne la vita e le opere di D. A. Milano, 18M-09.
(2 voi. in-80).
Falso BfMc — Chiose sopra Dante. Testo inedito, ora per la prima volta pubbli-
cato da 6. 6. Warbkh Lord Yerhoh. Firenie. 1846. d voi. in-80 gr.).
raaf. — Stadi ed Osservasloni di Pietro Fahi ani sopra il testo delle opere di
Dante. Firense, 1873. (1 voi. in-120).
— Indagini Dantesche, messe insieme da Niccola Castagna. Città di Castello, 1895.
(1 voi. in-8o picc.).
Filai. - Dante AUghleri's GotUiohe Comodie. Metrisoh iibertragen nnd mit kri-
tisohen nnd historisohen Erlftaterongen versehen von Philalbthbb (Be Gio-
vanni di Sassonia). Lipsia, 1866-66. (8 voi. in-80 gr.).
Foac. — La D. C. mostrata da Ugo Foscolo. Londra, 1842-43. (4 voi. in-80).
Fraas. Pai. Frammenti Palatini della D. C. (Par. X, 81-XXXIII, 146), con
ohlose latine, pabbl. da Fr. Palermo nell' opera: « I Manoscritti Palatini di Fi*
rense. Fir., 1860-68. (8 voi. in-40 gr. U,716-880 ; cfr. UI, 679-693).
Fraae. — La D. C. di D. A. oon note de' pia celebri commentatori per Gio-
vanni FRANOBSLà. Torino, 1878. (3 voi. in-160).
Fraackc — Dante Al.'sGottUche Komodie. Genaa naoh dem Yersmasse des Orl-
ginals in deatsche Beime iiberiragen nnd mit Anmerknngen versehen von Ju-
UUB Franckb. Lipsia, 1888-86. (8 voi. in-80 gr.).
Frat. — La D. C. di D. A. col com. di P. Fraticelli. Firense, 1866 <1 voi. in-120).
«al. — Lettere sa Dante Alighieri del can. Carmine Galanti. Ripatransone e
Prato, 1873-88, Serie I, lett. 1-36. Serie U, lett. 1-38 (69 fksc in-S»).
«air. — G. Galvani, Saggio di aloone postille alla D. C. oon prefasione di Gio-
vanni Franciosi. Città di CasteUo, 1894. (1 voi. in-S» picc.).
eoi. — Lettore edite e inedite di G. B. Gelli sopra la C. di D. raccolte per oora
di Carlo Keoronl Firense, 1887. (2 voi. ia-80).
Oll^ena. — Dante's Gdttliche Cumodie iibersetst von Otto Gildemeister. Ber-
lino, 1888. a voi. in-80 gr.).
eiob. — La D. C. ridotta a miglior lesione dagli Accademici della Crosca oon le
chiose di YiNCBNZo Giorertl Napoli, 1866. (1 voL in-8<>).
«lora. Daat. Giornale Dantesoo, diretto da G. L. Passerini, Yenesia e Firense,
1894 e seg.
dlnl. — Metodo di commentare la C. di D. A. proposto da G. B. Giuliani. Fi-
rense, 1861. a voi. inl20).
— La Commedia raflbrmata nel testo glosta la ragione e l'arte dell' aotore. Fi-
rense, 1880. (1 voi. in-240;.
eraal -- Dante Alighieri's Gdttliohe Komodie in's Deatsche iibertragen nnd
liistorisch, ttsthetisch ond vomehmlich theologisch erlfiatert von Karl Graul.
Ester theU. Die Hdlle. Leipsig, 1843. (1 voi. in-80).
ercff. — La D. C. interpretau da Francesco Grsooretti. Yenesia, 1868. (1
voi. in-8o picc.).
HeUlBv. — Die GSttliohe Komddie des D. A. nach ihrem wesentUchen Inhalt
ond Charakter dargestellt von Dr. Franz Aettinoer. 2» edisione. Friborgo,
1889. (1 voi. Ìn.8o picc.).
lar. Daat. — Chiose sUa Cantica dell'Inferno di D. A. attriboite a Iacopo sao
ùg,ÌÌo ed. per oora di Lord Yernon. Firense, 1848. (l^ol. in-S** gr.).
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TAVOLA DELLE AnBHEVTATUBE XXIX
. — Die GótUiehe Komddie dM D. A. aaa dem lUlieDischen fibenetst
md erUSrt Ton Karl LuDwia Kaxneotsssrr. Ffinfte nm^eArbeiteto Anflage
bemuiseg^beii Ton Kavl Witte. Lipsia, 1873. (3 voi. in-S® plcc.).
K«fk. — DaoWft Gotiche KomSdie. Ueberaetzimg, Kommentar und Abbandlnn»
gea nber Zeitaltor, L«beii nnd Schrlften Dante'a toh Auoust Kopisob. Dritte
AnOage, dnrcbMia revidirt, berichtigt nnd e rgSnzt tod Da. Thxodob Paur.
Berlino. 1882 e 1887. (1 voi. in-SO gr.).
KnMu — BMite. Sein Leben ond aein Werk, aein YerbiUtiiIfla sor Knnat nnd
sor Politik, Ton Fkaxz Xavxb Kbaus. Berlin, 1897. (1 yoI. in-8^ maaa. con 3
toT. 6 81 iiioatras.).
I«B. — La D. C. col commento di Jac. Della Lana. Bologna, 1866. (3 voi. in-89),
Idaatf. ~ Cofmedia del divino poeta Danthe Alighieri, con la dotta & leggiadra apo-
altione di Christophoko Laicdiico. Venezia, 1586. (1 voi. in-40).
!*•■«. — Cablo Lehzoni, In difesa della lingna fiorentina et di Dante. Con le
regole da far bella et nnmeroaa la prosa. Firenie, 1556. (1 voi. ìn-if* pioo.).
■«•■a^ — La D. C. novamente corretta, apiegata e difesa da F. B. L. M. C.
(Fbascxscu Bo!f avkbtura Lombardi Minor Conventuale). Berna, 1701. (3 voi.
in-i<», ristampati più volte. Ci aerviaroo dell' edlz. Roma, 1815 17, 4 voi. in-40>.
M^MEf' — The D. G. of D. A. tranalated by Henry Wadbwobth Lorqfbllow.
Lipsia, 1867. (3 voi. inl20).
I<»r4 TeraoB laf. — L* Inferno di D. A. diaposto in ordine grammaticale e
corredato di brevi diohiaraaioni da G. G. Warrem Lord Ybrkom. Londra,
1858-65. (3 Y<A, in-fol. Splendida pabblioasione foor di commercio).
I**rl« — L' Italia nella D. C. del Dr. Cbbarb Loru. 2^ odia. Flrenae, 1872. (2
voi. in-12«).
iMb. — La D. C. di D. A., prooednta dalla vita e da stn^j preparatola illostra-
jtivi, esposU e commentata da Antonio Lubin. Padova, 1881. (1 voi. in-8<*)-
L. Test. — Le aimilitndinf danteache illnstrate e confrontate da Luigi Venturi.
Flrenae, 1874 e 1889. (1 voi. Ìn-80 pieo.).
May. — Comento ani primi cinque canti dell'Inferno di Dante di Lorenzo Ma-
galotti. Milano, 1819. a voi. in 80).
Mar. — La D. C. eaposta al giovinetto da L. Mariani. 2» odia. Firenao, 1873. (1
voL hi-12®).
Mmrt. — La D. C. dichiarata secondo i principi! della filosofia per Lorenzo Mar-
tini. Torino, 1840. (3 voi. in-99).
Man. — Della difesa della C. di D. diatinta in aette libri, di Jac. Mazzoni. Ce-
sena, 1688. (2 voi. in-40 plco.).
Maaa. «lioa. — Dr. Giuseppe Mazzoni, Alcune osservazioni ani Com. della D.
C. pnbbllcato dal Dr. G. A. Soartasaini. Lngo, 1898. (opoaoolo in-99).
MMu»T«a. — Voci e passi di D. cbiariti ed illustrati con doonm. a Ini oontem-
ponnM per O. Mazzoni-Tosblli. Bologna, 1871. (1 voi. in-80).
T. MIJb4. — De Komedie van Dante Alighieri. In dichtmaat overgebracht door
Dr. J. C. Hackb van Mtjnden. Haarlem, 1867-73. (8 voi. in-fol. Splendida
pabblieaziooe fuor di commercio).
■•■ai — Postulo ai coment! del Lombardi e del Biagidi sulla D. C. Ferrara,
1879. (1 voi. in-80 gr.).
S««re — The time-references in the D. C. by E. Moorb. Londra, 1887. (1 vo-
lume fai-16<0*
— OonMbntions te the textnal critidsm of theD. G. Cambridge, 1889. (1 voi. in-8<»).
— Stodiea in Dante. First Series. Scriptnre and olaasioal anthors in Dante. Oxford,
1896. (1 voi. in-80).
— La D. C. di D. A. nuovamente riveduta nel testo dal Dr. £. Moorb, con in-
dice dei nomi propri compUato da Paobt Toynbee M. A. Oxford, 1900. (1 vo-
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XIX TAVOLA DBLLB ABBREYIATUBE
HoMeAU — O. F. MossOTTf , niiutrazioai Mtronomiohe a tre looi^hi della D. C.
raccolte da G. L. Pasbbbihi. Città di Caitello. 1834. (1 voi. in-80 pioo.).
M»BBae. — Analisi oritioa del Terbi italiani del prof. Vino. Kahhuoci. Blrense,
1848 (1 Tol. in-80).
— Teorica dei nomi della lingoa italiana. Firenze, 1847. (1 voi. Ìn-8<^.
— Intorno alle voci osate da Dante secondo i oomment«tori in fraxia della rinui.
Corfli, 1840. (1 Yol. in-80).
Br»Baae. — Mannaie della letteratura del primo secolo della lingua italiana.
2» edls. Firense, 1856-&8 (ristampato più volte: 2 voi. in-8<>).
H»4oll ~ La D. C. esposta in tre tavole illostrate ad nso delle scaole da Luigi
Katou. Palermo, 1802. (1 opaso. in-8^ gr.).
Moeitl ~ G. A. Nocm, Orario completo della D. C. Cosenza, 1894. (opnsc. in-8o>.
WoU. — Dante AKgh.'s Oottlicbe Komodie fibersetxt nnd erlttntert von Fhikorich
NOTTEB. Stuttgart, 1871-72. (2 voi. in-S» pico).
ou. — V Ottimo Con xsrro della D. C. ed. da Alussaitobo Torri. Pisa, 1827-29.
(3 voi. in-80).
Osan. — Dante et la philosophie oathoUqne an xiu siede par A. F. Ozamam.
Paria, 1845 (1 voi. inS»).
— Le Pargatoire. Tradoction et oommentaire. Parla, 1862 (i voi. in-8°).
PairaBlal — Carlo Paqaito Paganini, Chiose a Inoghi fllosofloi della D. G.
raccolte e ristampate per onra di Giov. Franciosi. Città di Castello. 1894. (1
voi. in-8<> picc.).
PapanU — Dante secondo la tradisione e i novellatori. Kioerche di Giovanki
Papantl Livorno, 1873. (1 voi. ln-8® gr.).
Paaq. — Le qoattro giornate del Purgatorio di D. o le quattro età dell' uomo, per
Francesco Pasqualigo. Venezia, 1874. (1 voi. in-160).
Paaa. — La D. C. di D. A. nuovamente annotata da G. L. Passerini. Firense,
1897. (8 voi. in-ieo).
Peras. — Note latine alla D. C. di Bart. PBRAZzun edite da FiL. Scolari nel
suo lavoro « Intorno alle epist. lat. di D. ». Venezia, 1844, p. 71-192.
Perea ~ I sette cerchi del Parg. di Dante. Saggio di studi di Paolo Peebz.
2» edis. Verona, 1807. (1 voi. in-8o pico.).
Petr, Oasi. — Pbtri Allboheru super Dantis ipsins genitorlaComoddlam Com-
mentarium, nuno primnm in lucem editum Consilio et somptibns G. J. Bar. Vks-
NON, curante Vincentio Nannucci. Firenze, 1845. (l voi. in-S® gr.).
Picei — I luoghi più oscuri e controversi della D. C. di D. dichiarati da Giu-
seppe Pioci. Brescia, 1848. a voi. in-80).
Plamp. — The Commedia and Canzoniere. A new translation with notes, easaya
and a blographloal introductlon by B. H. Plumptrb. Londra, 1880*87. (2 vo-
lumi in-80).
Peir* — La D. C. già ridotta a miglior lezione dagli Accademici della Cruaoa,
ed ora accuratam. emendata, ecc. per Gaetano Poggiau. Livorno, 1807-13.
(4 voi. in-80).
Pel. — Dizionario Dantesco di Giacomo Poletto. Siena, 1885-87. (7 voi. in-12<^.
— Alcuni studi su D. A. Siena, 1892. (1 voi. inl20).
— La D. C. di D. A. col commento del prof. Giacomo Poletto. Roma e Touraay,
1894. (3 voi. in-80 gr.).
Pernia — Opere su Dante di Marco Giovanni Ponta (Nuovo esperimento-Oro-
logio di Dante, eoe.). Novi, 1840. (1 voi. in-80).
Pert. — La D. C. illustrata di note di Luigi Portirxlu. Milano, 1804. (8 vo-
lumi in-80).
Pesi. Caaa. — Postillatore Cassivese. D Codice Cassinese della D. C. per la
prima volta letteralmente messo a stampa per cura del monaci di Monte Caa-
sino. Monte Cassino, 1805. (1 voi. In-fol.).
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TATOLÀ DBLLK ÀBBRITIÀTUBS XXXI
^■•1>E. — PsoLBaomn della D. G. Introdurione allo stadio di D. A. e delle
«oe opn« per O. A. SCABTAZZun. Lipei», 1800. (1 voi. in-S9),
^mmUf Wlmr. — Quattro Fiobbhtini. La D. C. ridotta a miglior lesione col-
l'ajoto di Tsij testi a penna da G. B. NicoouHi, Gino Capponi, Giubspi'B Bor>
Gm e FauTTUOSO Bicchi. Fireose, 1837. (8 voi. in-8<> gt.h
MecI ~ CoBRADO Bicci, L*altirao rifugio di Dante Alighieri illnstrasioni e do-
CBmentL Milano, 1891. (1 toL in-40).
■e ss, — La D. C. eoi oommento analitioo di Gabbiblb Rossetti, Tolami I e II
OaiiBmo). Londra, 1828-27. (2 toI. in-80}.
— SaOo spirito anUpapale ohe pinodosse la Bifonna, eoe. Londra, 1832. (1 toI. in-&<>).
— n mistero dell'amor platonico del medio evo. Londra, 1840. (6 toI. in-8<* pioo.).
Batk — Stadien liber D. A. Ein Beitrag snm Yerstiindniss der Gottlichen Ko-
) Ton BiOL KuTH. Tiibingen, 1858. (I voi. in-8<^.
Fratria Iohahrib db Sbbbavallb traoslatio et oomentnm totios libri
Dantis Aldigherii eoo. Prato, 1801. (1 voi. infoi.).
Mre«lcr. — D. Al.'s Odttliche Komodie ùbersetst and eriftatert von Kabl 6tbbck-
FUBS. ae Aosg. letster Hand, Oe Anfl. Braonschweig, 1871. (1 voi. Ìn-80).
a«««. im«^ — Stadi inediti sa D. A. 8. Centofluiti, A. Torri. Colomb De Ba-
tinee, Lelio Arbib, Pietro FratioeUi. Firuize, 1846. (1 voi. in-8<>).
Tal. — La C. di D. A. ool oommento inedito di Stefano Taucb da lUotUdone pab-
blieato per cara di Vincenzo Pbokib e di Cablo Nboboni. 2^ edis. Milano, 1888.
& voi. in-80).
— Scritti sa Dante di Giuseppe Todbschihi, raoooHi da Baetolohmbo
Yicensa, 1872. (2 voi. in-120).
, — Commedia di D. A. con ragionamenti e note di Niccolò Tommaseo.
Milano, 1866 e seg. (8 voi. in-40).
Dte. Slm. — Dixionario dei Sinonimi della Lingua italiana, per ocra di
ViooOLÒ Tommaseo. Quinta edizicme Milanese. Milano, 1867. (1 voi. in-40).
T«Bs^llelI. — Dlsionario della Lingua Italiana, nuovamente compilato dai si-
gnori Niccolò Tommaseo e oav. prof. Bbbnabdo Bbluni. Torino, 1861-70.
(8 voi. in-40 gr.).
T«rel. — Poetale alla D. C. di G. Tobblu, nelle sue : Opere varie in verso ed
te prosa. Pisa, 1883. (2 voL in-80).
T«iivi«*l. — Studi sul Poema sacro di D. A. del conte F. M. Tobbicelu di Tob-
BICXLLA. KapoU, 1850-58. (2 voi. in-80).
Trfaa. — La D. C. espoeta in prosa dal conte Fbancbsco Tbissuo, 2* edi8. Mi-
lano, 1864. (3 voi. in-80).
Varchi — Bbnbobtto Yabchi. Lerioni su Dante e Prose varie ed. da G. Aiazzi
e L. Abbib. Flrenxe, 1841. (2 voi. Ìn-8<^).
Teli. — La Commedia di D. A. con la nova espositione di Albssandbo Yellu-
TELUO. Yenesia, 1544. (1 voi. in-40).
T«m6. — Dante oon una breve e sufflolente dlohiarasione del senso letterale di-
versa in piti luoghi da quella degli antiohi commentatori, del P. Pompeo Yen-
tubi. Lucca, 1782. (8 voi. in-B^).
Yem. — Beadings on the Inferno and Purgatorio of Dante chiefly based on the
eommentary of Benv. da Imola. By the hon.ble William Wabbbn Ybbnon
M. A. Londra, 1880-04. (4 voi. in-80).
Tir. — QuiBico YiVLàNi. La D. C. giusta la lesione del codice BartoUniano.
Udine, 1823-28. (4 voi. in-8<>).
▼•e. Crwa. — Yocabolario degli Acoademioi della Crusca, 4* impress. Flrense,
1739-1738. (6 voi. In-fol.).
Y*l. — Giov, Ant. Yolpi, Indici ricchissimi che spiegano tutte le cose più diffl-
dtt e tatto le emdisloni della D. C. Padova, 1727. (1 voi. in-80).
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XXXII TATOLA DBLLE ABBRBYUTURE
Wlit« ~ Lft D. C. di D. A. ricorretta sopra quattro dei più autorevoli testi a
penna da Cablo Wiitb. Berlino, 1862. (1 toI. in-i^}.
— D. A1/8 GKSttliohe Komodie iibersetzt von Karl Wittk. 8» ediz. Berlino, 1876.
n. Altea nnd Nenes von Karl Wittr. Halle e Heilbronu,
B-80;.
•io etimologico italiano di Francesco Zahbaj.di. Città di Ca-
9l. In-80).
Eioni da aoetitnirsi allo inralse netl' Inferno di D. A. Saggio
Zani db* Frruaiiti. Bologna, 1855. (1 voi. in-12<^.
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LA
DIVINA COMMEDIA
CANTICA PRIMA
INFERNO
1. — IMv. Oomm., 4^ edis.
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CANTO PRIMO
PBOEMIO GBNEBALÌI '^^^'6i
LO BYIAMENTO, LA FAI^A VIA E LÀ GUIDA SICURA
Nel mezzo del cammin di nostra vita
Mi ritrovai per tma selva oscura,
Cbè la diritta via era smarrita.
' V. 1-12. Zm Bèlva, Dante finge die
UTìtAnnum» si» nn viaggio, e raooonta,
obe ni meaao di qnMto viaggio si ae-
eone d' avere smarrita la diritta via, di
wwrtit entrato in nna selva oeonra, della
qeale deeorive gli orrori, aggiungendo
ti «eeerri entrato «onnacohioeo, qnlndi
2 ima saper ooroe. Nel senso allegorioo
pcnonale vaol dire che, dopo aver vis-
tato nn tempo vita pinttosto pecca-
■iaosa, neir anno del Giabileo, epoca
jttMa della visione, si rinvegliò dal peo-
^nlnoso ano soodo, e fece i primi ten-
tatiTi di convertirsi; cft. Pwrg. XXIII,
3 115 0 seg., 70 e seg. Nel senso allegorico
l vniversale poi vnol dire, che 1' nomo,
I sTeado abbandonata la ftde e l' Inno-
) «ma, cfr. Par. XXVII, 127 e seg., si
' perde s^isa avvedersene nelle passioni
' « D«i risi, e vi resta sino a tanto che la
^Mna graxia lo risveglia.
1. viL MBZEO: a treotaoinqne anni, oioò
Bd 1900. Oanv. IV, 23 : e La nostra vita
procede ad imagine d' arco, montando e
diaoendendo. Il pnnto sommo di questo
*ito «Z mezzo del eammin di noàtra
*As) nelli perfettamente naturati è nel
Si^amu». Cfr. Sai. LXXXIX, 10. Itaia
XXXVni. 10. Nato nel 1266, Dante si
trovava nel 1800 per Tappante nel 35^
ano della sua vita. Cosi i plh. Barnbgl.
irtokde dea* età di 32 o 83 anni ; An. Sei.:
«Umeasaora. cioè Tnomo di XXXan-
Bl>.-iae. i>»fU.:«U vivere di 33 overo
di 84 anni > . Dell* età di 35 anni intendono
Lan„ Ott., Petr.Dant., OaM.,Boce.,Fal»o
Boòe., Btnv., BvH, An. Fior., Serrav.,
Tal,, vai.. OeUi e qoasl tntti i poste-
riori. Barg. propone di intendere: «In-
nanxi che fosse vennto il tempo della
morte ». Cfr. Itnbriani, Studi Dant.,
p. 199 e seg. Murari, Note DarUeeehe I,
Correggio, 1894.
2. 0KLVA : la « selva erronea di qoosta
vita > , Oonv. IV, 24, ossia la vita pecca-
minosa. Purg. XXIir. 116-110. Cfr. Ge-
remia V, 6. « Selva di viari! e d' igno-
ranza > ; Bambgl. - « Il mondo. B pone
il mondo per solva, per dò ohe nel mondo
ha tanta moltitndine di delett«zionÌ, che
appena si sa l' nomo partire da esse » ;
An. Sei. - « La molta giente che nella
scurità de r ignioranza permane » ; lae.
Dant. - « In vita villosa > ; Lan. - Tatti
gli antichi sono concordi, che la tclva
figura il virip e T Ignoranza. Invece al-
cani moderni credono ohe essa figuri la
miseria di Danto, privato d' ogni cosa
pih cara nell' esilio {Marchetti), o « il di-
sordine morale e politico in generale
d' ItaUa e pih specialmente di Firenze »
{Br. B.), od altro. - OfiCVRA : cieca, li\f.
IH, 47 ; « propter ignorantiam et pecca-
tnm qnsD oboceoant, et obaourant. et te-
nebras peiunt, quia qui male agit, odit
lucem • ; Benv. Cfr. Prov. II, 13-15. II,
Pietr. II, 15. Kraus, 442.
3, CHfc: perchè, perdoccbè. Al, pren-
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4 [PROEMIO OBNBR.]
INP. I. 4-12
[LÀ SELVA]
10
Eh, quanto a dir qaal era è cosa dura
Questa selva selvaggia ed aspra e forte
Che nel pensier rinnova la paura !
Tanto è amara, che poco è più morte ;
Ma per trattar del ben ch'io vi trovai,
Dirò deir altre cose ch'io v'ho scorte.
r non so ben ridir com'io v'entrai,
Tanto era pien di sonno in su quel punto
Che la verace via abbandonai.
dono U partloellft ehe p«r pronome, e
spie^no in cui ; m» I» diritta via non er»
certo nella telva oscurai AL prendono il
che per oonginnztone, e spiegano talmen-
tschii ma la cagione deUo nnarrimento
della verace viataW tonno del poeta, non
già r oscnrità della selya, nella qoale la
diritta via non e' era. - dibitta via : vita
Tirtnosa. « Via nempe recta est via Tir-
tntnm, qn» recto dnoit hominem ad
beatìtadinem. Et notanter dicit antor
tmarrita, idest non perdita ; nam qnam-
▼ia esset vioiosos tono, tamen poterat
redire ad Tiam reolam virtotom » ; Benv,
- BBA : « cioò da tutti comunemente smar-
rita; perohè rignoransa, nella oscnrità
simboleggiata, era generale » ; Ro$$, -
Parecchi ottimi oodd. hanno avka smas-
BTTA. Accettando qnesta lesdone lo smar-
rimento si riferirebbe al solo Poeta. Ha
«omnesdeollnaverant»; ad i2om. Ili, 12.
4. BH : esdamaaione di dolore, lat. ehct
ehem! Al. ahi. ah, ha, x, bt, o. È dif-
floile decidere quale sia la vera lesione.
Secondo gli uni ò più naturale in questo
luogo r esdamaaione; altri invece si av-
visano che B o BT sia da preferirsi, e
perchè maniera narrativa, e perchè cosi
pare richiedere la corrispondenza del
tanto al quanto, ahi ha il suffragio di
pochi oodd. Ma Dante V osa 16 oltre volte
nel Poema, mentre bh non si trova che
/orse un' altra volta, Inf. XVI, 28. -
duba : ardua, difficile, e nello stesso
tempo dolorosa.
6. SBL VAGOLA: incolta 0 disabitata. -
ASPRA: intricata, ispida di pruni. - for-
TB ! folta,' difficile a superare.
6. KBL PBNBIBB : già pur pensandovi. -
LA PAURA: del giusto giudizio di Dio,
cioè delle pene temporali ed eteme.
7. AMARA: può rìfìBrirsi a coca, o a
eelva, o a paura che lo precedono. In
' favore di eo$a sta la grammatica, per la
correlasione tra il tanto e il quanto, e
coA intendono Dion.^ Lonib,, Port»,
Poffff., Bo$t., Oom,, eoo. « Ma ohi ebbe
animo di mettersi all' opera molto più.
dura di descriver fondo a tutto l'universo
(lìkf. XXXII, 8), avrebbe sentito orrore
e amaressa di morte del dire quale foose
la selva, pure avendovi trovato U bene t »;
Buee.'O. - Tutti gU antichi ed il plh dei
moderni riferiscono innara alla selva,
della quale si oontinna a parlare nel
versi aegg. Kè vale 11 dire che V è anuira
accenna non a una paurosa rioordanae,
ma a cosa effsttivamente presente. Lo
smarrimento del Poeta apparteneva al
passato; la selva era ed è sempre ooaa
effettivamente presente. La ooncordla di
tutti gli antichi parla eloquentemente in
fkvore di questa interpretaaione. Primo
a scostarsene fa il Barg,, il quale in-
tende: « Tanto è amara questa paura,
che poco più amara è la morte ». Corà
pure Scolari, Fosc, Oott,, Buse.-O,, ecc.
Il Fosc, legge: tanta b amara, osser-
vando : e Per questa lesione i due a^^-
giunti riferendosi direttamente »paura,
il principio del Poema si libera dalla sin-
tassi sconnessa e sospesa e perplessa » .
La Ice. del Fase, ha per sé. tra altre,
l'autorità di lac. Dant.^ ma le manca
il suffragio di oodd. autorevoli.
8. BBN : il risveglio, principio della sa-
lute. - VI : nella selva.
0. ALTRB : le cose che seguono. Al. altb,
cioè: grandi e maravigliose.
10. MOK BO:cfr. Gioo. XII, 35; lo sa
poi ridire Beatrice, Pwg. XXX, 116 e seg.
^ 11. SONNO: dell'anima, nel linguaggio
scritturale simbolo del peccato ; efk*. Isaia
XXIX, 10. Qerem, LI, 8». Bom, XIII,
11. lifes. V, U. - PUNTO: era dunque
entrato, senxa saperlo, nella selva pur
dopo avere abbandonato la veraoe via,
la quale non era conseguentemente nella
selva.
12. VIA : deUa pace {Isaia LIX, 8. Rom.
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[PROnnO 6S5EB.]
INF. I. 13-26 [IL DILETTOSO MONTE] 5
IS
19
Ma poi eh' io fai al pie d' un colle giunto, '
Là ove terminava quella valle
Che m'avea di paura il cor compunto,
Guardai in alto, e vidi le sue spalle
Vestite già de' raggi del pianeta,
Che mena dritto altrui per ogni calle. .
AUor fu la paura un poco quota,-
Che nel lago del cor m' era durata
La notte ch'io passai con tanta pietà, ^u.^ -^u »^
£ come quei che con lena affannata '
Uscito fuor del pdlago alla riva, ,
Si volge all' acquai perigliosa, e guata; * .* ^ -'^ *^
Cosi l'animo mio che ancor fuggiva, ^
Si volse indietro a rimirar lo passo,-^^ 3^ v
m. 17), delU verità -OJ, PiOr, H, 15) e
delkfiiiatixUi Ubid. y. 21), che è Cristo
lOitw. XIV, 9). Dante abbandonò nn
d) qveste Tia per darsi in braccio alia
■rienia nmaaa. Cfr. Conv. II, 2, 13, 16 ;
m, 1, 9; IV, 1.
V. ia-80. XI dUettoao monU, Spa-
ventato di riiroTarsi in laogo ^ oecnro e
perieokMo lera gU occhi in alto, e vede
fl eoUe, al eoi pie intanto è gionto, inn-
«dnato da' raggi del sole, onde si rioon-
teta e tenta di salirvi sn. Forse è t\m-
halo dell* noroo che colle proi)rle Torse Si
lofeiga poter cona^oire Ift salate.'
IS. AL nft: vede 11 bflflSTIo riconosce,
Ba non ìo ha ancora conseguito. - collr :
il éiìettom monte, v. 77, o monte del Si-
fmore, come lo chiama la Scrittara (cft*.
OemH XXII, U. SaL XV, 1 ; XXHI, 8.
Oerem. XXXI. 23, ecc.) è l' opposto della
jelva, e Agora qai la vita dedicata alla
virtù, qoindi felice e beata. Per gli an*
tii^ il eoUe è : « Le cose oelestiaH •\An,
M.- e L'altessadell'amana felicità »;Jac.
Dani. - « La vita dritta e virtndiosa » ;
Ltkn^ Ott., eco. - « Ad snasivam qnamdam
eoatemplationem virtntinn,ntad montoni
elevatom ab hninsmodi miseriis inflmis
mandanlw »; Pelr, Dant.~ « Ad virtntes > ;
GB«t. - « Volendo in qnesto dire, che egli
levasse gH occhi della mente alle Scrit-
tore e alla dottrina apostolica, dalla qnale
sperava dovere avere alato al ano biso-
giu» » ; Boec " « Sed qnis est iste monst
Certe flgarat virtatem, qaie alta dadt
hominem ad ecelam, sieat vallis figarat
vkinm, qn» infima dnoit hominem ad in-
femom ; est enim mona propinqnns cobIo,
et per conseqnens Beo; vallis est vici-
nior centro, et per conseqnens inferno,
qni est in centro terne »; B&nv.
14. TKBMiNAyA : cì era dnnqne nscito.
- VALLE : la telva ogcura, ott. Inf. XV,
60. Vedi pnre Par. XVU, 63.
15. COMPUHTO: afflitto, tormentato.
16. IN ALTO: cfr. 8al, CXX, 1. - sub
8PALLB: i fianchi del collo.
17. piAincTA: chiama c^jsì il sole, se-
condo r astronomia del tempo, n sole
poi ò Agora di Dio ; Conv. Ili, 12. Par,
XXV, 5i.
18. DBITTO : cfr. Qiov. Vili, 12. - OOMI :
cfr. Sai. XXII, 4.
10. FU: mi riconfortai alquanto.
20. LAGO : chiama così per estensione la
ea\ità del caore, ove s' aduna 11 sanguo.
« In protando cordis» ; Benv. - * Quella
cavità del onore eh' ò ricettacolo del san-
gue, la $anguinU ditema dell' Harvey »;
Jjomò.
21. MOTTB: del peccato e dell' ignoran-
aa; oft. Bom. XIII, 12. 1, TetiaL V, 5. -
FiÈTA : affanno, pena, angoscia che muovo
a compassione.
22. QUBI : nanfrago. - lkjva : resplra-
sione, alito.
24. guata: guarda verso V aequa pe-
riglioia.
26. FUGGIVA : por la paura, detta fuga
dell'animo; cft*. Oic, Ttise. Qxtcest.lV,».
26. TASSO: la selva. Bi ha qui la ri-
flessione sul proprio stato in tomo, an
quella vita che il Poeta è seriamente ri-
solto di lasciare.
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6 [PBOEiriO 6CRBB.]
iNF. I. 27-32
[LE TBE FIEBB]
28
31
'^ Che non lasciò giammai persona viva-
Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso,
^ Ripresi via per la piaggia diserta,
^ SI che il piò fermo sempre era il più basso.
Ed ecco, quasi al cominciar dell'erta,
Unajonza leggiera e preste molto.
27. CHR: primo caso. La aely» non la-
sciò mai yiyere persona ; ma l' uomo può
e doTO lasciare la selva. In altre pa-
role: La vita peccaminosa mena infolli-
bilmente alla morte spirituale ed etema ;
ma l'aomo pnò e deve lasciarla, ed al-
lora si salva.
28. POI oh'èi fosato UIC POCO: Al.
POI OH* EBBI BiFOSATO. Sulle varianti
di questo r^rso oonfh>nta Moore, Orìt.,
257 e seg.
29. PIAGGIA : erta del monte. - diser-
ta: la conversione essendo tanta rara;
Cfr. MaU. VII, 14. Bom. HI, 12.
80. BASSO: chi sale un'erto, mette avanti
r un piede, quindi tira dietro l'altro sino
all'altezza di quello, e via, onde il pie
/ermo è iu&tti sempre il più batso. Cosi
crediamo doversi intendere. Il passo ò
por altro assai controverso. Alcuni ore-
dono che il Poeta descriva il camminare
nel ^ano, nel qual caso avrebbe detto
una cosa che s'intende da so. II Btuc.-O.
prende fermo nel significato di destro,
piaggia per eosta di monte alquanto re-
pente, e intende che il Poeta volesse « ai-
gniflcaro che il suo salire qui, come poi
nel corrispondente monte del Pur^., fosse
a diri tta », e così pure Pass.: interpretasio-
ne da preferirsi a tutte le altre, quando si
avessero esempi di fermo per destro. O.
ifozzoniorede* aver Dante voluto signifi-
care che, prima di cominciare l'erta, oioò
la salita aspra e ripida, salì, per alcuni
passi, un pendio doloe », e lo prova con ar-
gomenti di non lieve peso. - « Per questo
parole è da ricogliere, che tà come l'ultimo
piede di colui che monta ò quello di sotto,
e s* è quello che sempre si ferma, o sopra
quello si ferma e conserva Tessenza di co-
lui che va ; così per l' nmiltade, la quAle
sempre s' abassa e inchina, rì si conser-
va e stabilisce stato di salute di colui
che lei possiede » ; Bambffl. - « Pes aneto-
ris, idest affcctio, in quo magia adhuc
firmabatur, erat Inflmior, qnod adhuc
ad infima terrena reliota aliquantulnm
magis indinabatnr, quamquam superior
pes ad superiora asoenderet, et sicnt
daudus ibat»; Petr. Dan^. - « Simplici-
ter loquendo, quando homo ascendit
montem, pes inferior est ille super quo
ftindatur et firmatnr totum corpus salien-
tis; ideo didt quod pes inferior semper
erat flrmior. Sed moraliter loquendo, pes
inferior erat amor, qui trahebat ipsnm
ad inferiora terrena, qui erat flrmior et
fortior adhuc in eo quam pes superior,
idest amor, qui tendebat ad superna. »
JBenv. - Tutti gii antichi, in quanto non
tirano via da questo luogo, intendono di
un camminare su per l' erta, tirando die-
tro il piede non fermo.
V. 31-60. ie tre fiere. Mentre il Poeta
s'ingegna di salire il monte, tre bdvo
ne lo impediscono, onde e* si vede, mal
suo grado, respinto indietro. La prima ò
nna lonza (Lince? Pantera! Leopardo?);
la seconda un leone ; la tenia nna lupa.
Queste tre fiere sono evidentemente tolte
da Qerem. V, 6. Per queste tre belve
che impediscono al Poeta la salita del
collo, tutti gli antichi, sensa una sola
eccezione, intendono tre vizi capitali ; i
più:Jti8syjDa, mi£ig>jd)lJLod avarizia. Al-
cuni posteriori : concupiscenza della car-
ne, degli occhi e superbia della vita;
altri: incrodnliU, superbia e falsa dut-
trina. I moderni interpreti politici vedo-
no invece simboleggiate qui tre potenze*,
Firenze, Francia e Roma, cho si oppo-
sero alla pace del Poet«. Cfr, ChiuiUieri,
A ten^o avamcUo, Catania, 1892 ; e prin-
dpalmente Kraus, p. 443 e seg. Prole ff.
472 o seg.
31. AL COMIMCIAB : quasi sul principio
delia salita. £ra dunque uscito dalla sol-
va ed aveva cominciato a salire.
32. LONZA : gr. Xvy^, lat. lynx; « 8!|^.
fica lussuria, il quale intra tutti gli altri
peccati mortali tormenta l' uomo con sol-
lecitudini » ; JBambgl. Così tutti gli anti-
chi, tranne Lan. che spiega : « Questo
animalo è molto leggiero e di pelo ma-
culato a modo di leopardo. Or motte elio
questa leggerezza a somiglianza che la
vanagloria leggiermente sale in lo onoro
umano, e per la varieiade mette come
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tPSOSMlO eSVEB.]
iNF. I. 88-48
[LB TBK FIBBB] 7
Che di pel maculato era coperta,
£ non mi si partia dinanssi al volto;
Anzi impediva tanto il mio cammino,
Che io fai per ritornar più volte vòlto.
Tempo era dal prinoipio del mattino,
£ il sol montava in su oon quelle stelle
Ch'eran con lui, quando l'Amor divino
Mosse da prima quelle cose belle ; ùì^^ r
SI eh' a bene»sperar mi era cagione
Di quella fera alla gaietta pelle,
li' ora del tempo e la dolce stagione;
Ma non si, che paura non mi desse
La vista, che mi apparve, d' un leone,
— Questi parea che centra me venesse
Con la test' alta e con rabbiosa fame,
Si che parea che l' aer ne temesse -,
f aiui^
per vaile eagioal aimilmento 8* accende
is te enore ». P^r i moderni interpreti
9^tM I» lonza è figura di Firense, di-
Tias ìb BfMMbl e N«rì. Cfr. Eneiel. 1152
« M^. - UBoeucRA : agile, moventeai con
ftattàL. AUnde forse all'instabilità. Cfr.
Pwf. VI. 139-151.
8. MACULATO : chiassato, di color va-
ria; efr. Inf. XVI, 108.
M. FUI : noi Toltai pih volte per tornare
iadMro.
17. TSMFO : Venerdì Santo, 25 marzo,
• » o 8 MprfleJSBSL- - ual prihcipio : al
prìBeipio; la prima ora del giorno. Vedi
pefA Bmse.'0. lOi-8, Il quale spiega: « Il
Ptveta ei vcdle dire, che dal principio
id matUnCf quando naoi daHa selya,
ai nwc'iìto in cui si trovava a eonira-
«are sali* erta colla lonxa. era tratcono
**mt» di tempo, etie il sole, mostratoglisl
4apprim4i eoi sempliee saettare de' raggi
fliilre \tk ▼etta dal eolie (onde 1* orlasonte
I aver* pasMto da nn posso I), ora mon-
tava ia ra, vmì dall' emisfero inferiore,
aa per g^ aperti campi del cielo, diri-
^e^deai eoi naturale ano corso verso il
38. amJJi: r Ariete. Oli antichi ore-
tofkiPP ebe H mondo fosse creato in pri-
saseado il Sole in Ariete^^Bé"
giorno (25 marco) fosse pnre
\ deirineariMBloBe e della morte di
40. M088B : creò. Creasione ò moto. -
C06R: i corpi celesti.
42. ALLA: dalla. - aA»TTA : propria-
mente piacevole al vedere; qui nel senso
di aoredata. variopinta. Costr. : « L'ora
del tempo e la d<rfoe stagione m' erano ca-
gione a sperar hene di quella fiera dalla
pelle gaietta > . Al. la oautta, cioè : « La
gaietta pelle di quella fiera, 1* ora del
tempo e la dolce stagione m'erano cagio-
ne a sperar bene ». Ma la pelle della lon-
sa non poteva infondere al Poeta verona
speranza} egli aveva anei sperato di
prender la lonza alt^ pelle dipinta ; ofr.
Inf. XVI, 108. Sulla lezione di questo
verso cfr. Moore, Crii., 259-62.
44. MA NON 8) : ma la mia buona spe-
ranza non fu f>ì forte.
45. LRONK: Becondogli antichi simbolo
della superbia. Cosi Bambgl., An, Sei.,
lae. Dani., Lan,, OU., Petr. Dani., Boce.^
FaUoBoce.,Benv.,Buti,An.Fior.,8errav.t
Batg., Land., Tal., VeU., Getti, Dan.,
Caet., ecc. Il Om». : « Superbia, slve ira
sequela superbie >. Secondo la moderna
interpretaz. storico-politica il Ioodo raf-
figura la Francia.
40. VKNS8BK; venisse; anticamente an-
che in prosa.
48. TKM K88I : Al. TBKMtSSB, da Irefne-
ré^tT€ma/r$f lezione troppo sprovvista
di autorità di codd. e comm. antichi. Cfr.
iitizedbyVjOOQlC
8 [PEOKMIO GENEE.].. InP. I. 49-60
[LE TBE FIERE]
40 E d'una lupa, che di tutte "brame
Sembiava earca nella sua magrezza,
E molte genti fe^già viver grame:
52 Questa mi porse tanto di gravezza
Con la paura che uscia di sua vista,
Ch' io perdei la speranza dell'altezza.
55Ì Waa'te quale è q^uei che volentieri acquista,
E giugneit tempo che perder lo face,
Che in tutti i suoi pensier piange e s'attrista;
r.g Tal mi fece la bestia senza pace,
Che, venendomi incontro, a poco a poco^
Mi ripingeva Ji, dove il sol tace, rv^^^vv u^ (^
40. B d'una : 0 la yista ohe mi apparve
d' nna lapa. Al.: ed una lupa, cioè ap-
panami. Pnò stare Tnoo e l'altro. I
non decidono in qaeeto caso na-
oodd.
taralmente nalla. - lupa : simbolo del
l'avarisia; cosi B(tmbgl., An. Sei., lae,
Dant., Lan., OU., PeXr. Dani., Cfatt.,
Bocc, Falio Boee., Benv., Buti, An.
Fior., Serrav., Barg., Land., Tal., VélLt
Gelli, Dan., Oa»t., ecc. Per i commen-
tatoli storico-politici moderni la lupa ò
il simbolo di Roma, ossia della Caria pa-
pale. « La oomparsa stmal tanca del Leo^^
ne e della Lupa vale ad indioaro la lega \
dì Filippo con Bonifacio, fomento di quel
Gaelflsmo che fe' vìver grame molle gen-
ti, e gramissimo Dante > ; Ro$», Quando
tatti quanti gli antichi vanno d' accordo,
è da stare alla loro interpretazione, a
meno di poter dimostrare con documenti
ineccepibili, o con argomenti indiscuti-
bili che tatti smarrirono la verace via.
50. SBMBIAVA : sembrava, essondo tanto
magra.
51. GRAME: dolenti CAr. Moti. VII, 15.
AiH XX, 20.
52. MI POB8R: mi tarbò tabnente.
53. ch' uscIa : che faceva Y aspetto suo
terribile e Aero.
54. DELL' ALTEZZA : del Culle ; disperai
affatto di salirlo. Con questi versi cft-. i
rimproveri che Beatrice fia pih tardi al
PoeU, Pwg, XXX, 180 e seg.i XXXIII,
85 e seg.
55. QUEI: l'avaro, dedderoBO di goa-
dagnare.
57. PIANGE : « È dolore di speranza per-
duta, dolore che non si spande in la-
crime, ma contrista l'anima profonda-,
mento. E in questo senso hanno spesso
usato i poeti (come qui il nostro) il verbo
Piangere. Dante, nello Rinu: " Come
l'anima trista piange in lui (nel core) "
[Cani. 14]. Cino da Pistoia: " Lasso ! di
poi mi pianse ogni pensiero Nella mente
dogliosa " [Rira. 16] ; e Guido Cavalcan-
ti : " L'anima mia dolente e paurosa
Piange " [Kim. antio.]. Il qual concetto
ritoma pih volte nel Cavalcanti, e sem-
pre con fonna nuova e mestamente gen-
tile > ; L. VeiU.. Sirnil., 803.
58. TAL: così dolente. - BESTIA : lupa.
- «KNZA PACK : ofr. Igaia LVII, 21. Oa-
lati V, 10-22.
60. LÀ : nella selva oscura. - tace : non
risplende. Alludo forse all' antica creden-
za, che il moto del sole e delle sfere pro-
duca soave e dolce armonìa. Giova però
osservare che quel!' armonia può appena
sospendersi nella notte.
V. 61-W. rirgUio, Retroeedendo mal
suo grado verso la selva, il Poeta vede
una figura, della quale non sa ancora, se
sia uomo in carne ed ossa, o semplice
ombra. È Virgilio, mandatogli in soc-
corso per essergli guida. Dante ne invoca
r aiuto, quindi Virgilio lo esorta a sce-
gliere un'altra via per conseguire la
salvazione, falsa essendo quella sulla
quale si è messo. Virgilio, che libera il
Poeta dalla telva Òictirà e Io guida sino
al Paradiso terrestre, figurante la felicità
di questa vito, ò il simbolo delllftutarità.
iiQporiale, alla quale incombe di guidare
il genere umano alla felicità temporale
€ secnndnm philosophica documenta »
Da Mon. III, 16. B perohò egli è il sim
bolo dell'autorità Imperiale, YlCfcjJjorjJE;
presenta la ragione umana, Purg. ivilL
46 e Mg., liia FilosuGa. Diversi moti
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EPBOIKIO 6EHSB.]
INF.U 61-71
[TIBOILIO] 9
M
«7
70
Mentre ch'io rovinava in basso loco, . «^
Dinanzi agli occhi mi si fd offerto e*'
Chi per lungo silenzio parea fioco.
Quando vidi costui nel gran diserto,
< Misererò di me, > gridai a lui, ^^^ ^t^
« Qual che tu sii, od ombra od uomo certo ! >>
Risposemi: « Non uomo, uomo già fui;
E li parenti miei furon lombardi
E mantovani per patria ambedui.
Nacqui sub lulio^ ancor che fosse tardi,
E vissi a Roma sotto il buon Angusto,
Ti liwhiiwero Dante a scegliere per l* ftp-
porto Vii^gOio qoftle bq* guida per i
TCgni del dolore etemo edelto pene tem-
penH: nel medio ero Virgilio era repa-
tato eomnio acìMiziato, a segno da fkme
BB gran mag^o; era creduto inoltre prò-
fcUdel crtoUanesimo; efìr. Pwg. XXII,
•4-73. Tirgilio fn poi non solo il gran
«Dkore del sacro Impero Bomano, ma
cantò pure il r^oo de' morti, arendo
deserìtto l'andata di Enea a secolo im-
■tortale. Cfr. OomparetH, Virgilio nd
Mtdio Evo, 2 voi., 2» edis., Firenze, 1896.
Pinxi^ Saggi DanUichi, Torino 1888.
Snth, Studi, II, 62-90. Krau$ p. 450 e seg.
61. mOVatAYA : Al. RIMIBAVA (ofr. Z. F.,
p. 3-5. Fan/,, Stud,, 13 e seg., e 143) ; e ma
Dante non stirava soltanto rerso V oscnra
selra testé laseinta; and, angustiato
dalla lo^, si era Tòlto e ri ritornava;
cfr. T. 7^. Par. XXXn. 188.
93. FIOCO : debole ; per essere morto da
gran tempo addietro lasciava apparire
•otto la sembfianza corporea dell' nomo
la vanità della form». e Quasi deletnm
ex kmga tacitamltate et tennis ao mo-
dice sonoritatis quia dndum ftaerat ex
vite sublatns * ; Bambgi. - * Per non es-
sere in uso lo suo parlare poetico e ornato
a' moderni »; OU. - «Humana ratio e«t
Bodtea in ueu hominnm» et raro loqni-
tar»;JB«n9. Come simbolo dell'autorità
imperiale, Virgilio raffigura l' umana ra-
gieue ninminfttA, la cui voce, al primo
risvegliarsi del peccatore è, o almeno gli
aembra, assai bassa e sommessa, di modo
ebe egli ne intende appena alcuni indi-
■tlBtl aeoenti. Mano mano poi. che 1' no-
ne va risvegliandosi dal peccaminoso
•00 sonno, questa voce gU si fk sempre
pifc alta, pib distinta, più chiara, più
loteUigibile. Cfr. AfOoipioni, Saggio di
ttudi iopra la Div. Com,, Livorno, 1893,
p. 4 e seg. Giom. Dard. I, 130 e seg.,
II, 80 e seg. Fiammazzo, Di una terzina
dantesca, Udine, 1885. Mazzoìeni, Chi
parea fioco, Acireale, 1893. Searano, Sul
vergo « Chi4»er lungo tilenzio parta fioco »,
NapoU, 1894.
64. DTBBBTO : « In monte, qnem ideo
autor appellat magnom dosertum, quia
virtos est magna et alta, et fere ab
omnibus derelicta » ; Benv. - « Nella
gran vallo del monte, ohe era molto
sola»; BuH,
66. CKRTO: feale; corpo ed anima.
68. LOMBARDI : di narione ; mantovani
per patria,
69. E MAHTOVAXI, Al. MANTOVAin (cfr.
Z. F., p. 6): « Non tamen fnit Yirgflios
de ci vitate, sed de villa parvula » ; Benv.
- « Virgillus Maro in pago qui Andcs
dicitnr, band prooul a Mantna nasoitor
Pomperò et Crasso consnlibas, idibna
Ootobribus »; Bieronym., in Exueb.
Ohron. ad Olymp., 177, 3 ; cfr. Donai.,
VU, Virg., § 2. Maritai. XII, 68. Man-
tovano fu detto Virgilio anche dagli an-
tichi; cfr. Apul., Apolog., 10.
70. SUB luuo : sotto Giulio Cesare. -
TABDi : 29 anni dopo la nascita di Oinlio
Cesare, il quale, assassinato nel 44 a. C,
quando Virgilio aveva appena 26 anni,
e ibrse non aveva ancora veduto Roma,
non potè onorarlo, come soleva onorare
i valentuomini. Invece Bambgi : « Qoia
si foisset tempore incamationis divine,
forte credidisset in fide et sic non ftiis-
set tarde natus prò salute sua ». Ma Vir-
gilio, morto prima dell' Incamaciono, aa-
rebbe nato troppo pretto anzi che Utrdi
per abbracciare la fede.
71. BUOK: è l'ombra di Virgilio che
lo dice.
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10 [PROEMIO GENKB.] INF. I. 72-94 iJtRQtLIoi
Al tempo degli dei falsi e bugiardi.
73 Poeta fai, e cantai di quel giusto
Figli uol d'Anohise, che venne da Troia,
Poi che il superbo Ilion fu combusto.
76 Ma tu, perchè ritomi a tanta noi», V-^^^^
Perchè non sali il jilettoso monte
Ch'è principio e cagion di tutta gioia?»
70 « Or se' tu quel Virgilio e quella fonte
Che spande di parlar si largo &me?»
Risposi lui con vergognosa fronte.
82 € 0 degli altri poeti onore e lume.
Vagliami il lungo studio, e il grande amore
Che m*ha fatto cercar lo tuo volume.
85 Tu se' lo mio maestro e il mio autore;
Tu se' solo colui da cui io tolsi
Lo bello stile che m'ha fatto onore.
88 Vedi la bestia, per cui io mi volsi;
Aiutami da lei, famoso saggio,
Ch' ella mi fa tremar le vene e i polsi. »
01 «A te convien tenere altro viaggio, »
Rispose poi che lagrimar mi vide,
« Se vuoi campar d'esto loco selvaggio;
94 Che questa bestia per la qual tu gride,
73. GIUSTO: Enea, « qao iustior alter mensiona più che la sola lapa. Forse per-
noo piotate fuit neo bello maior et ar- che la lapa fti V ostacolo più jfrave, r. 52
rais»; Virg., Aen. 1, 644 e seg. e seg.; e forse per forci intendere che
75. 8UPRKB0: « Cooiditque saperbum la soadesoriaìone poetica abbraccia tutto
llliim »; Virg., Aen. Ili, 2 e seg. Cfr. nn periodo della saa vita interiore. - mi
Purg. XII, 61 e seg. volsi: per ritornare nella selva oecnra;
76. NOIA : dal lat noxia, pena, tormen- cfr. v. 68 e seg.
to, molestia, cioè alla selva selvaggia. 89. famososaggio : alonnioodd., Boce.,
79. FONTR : « Coloro che sanno, porgo- Land., ecc. famoso e saggio, lec. difesa
no della loro bnona ricohezta alli veri dallo Z. F. 5 e seg., ma troppo sprov-
poveri, e sono quasi fonte vivo, della vi8tadiaatorità.«&l|7j7io «ari dice Dante
cai aoqaa si refrigera la naturai sete » ; i poeti degni di partioolar oonsideraeione.
Conv. I. 1. Tale è il titolo dato da lai in nnmeroat
81. LUI: a lui. - VRBOOGKOSA : perchè passi della Commedia a Virgilio, tale
conscio di esser meritevole di biasimo, e dice Stazio (Purg. XXIII, 8t XXVU,
perdio ritornava a tanta noia, 69; XXXIII, 15), per ristesse nome ao-
84. HA: Al. HAN; il grande amore ha cenna Giovenale (Oonv. IV, 13), e tale ò
fatto cercare il libi^ per il longo stadio. il carattere collettivo da lai dato ad Ome-
- VOLUME : r Eneide. ro, Virgilio, Orazio.Ovidio e Lucano (Inf-
87. 8T1LK : il dolce $tU nuovo delle poe- IV, 110) » ; WitU. Cfr. VU, If. XX, son. 10.
Ble liriche; Purg. XSIV, 67. 91. ALTRO VIAGGIO: via diversa. Quel-
83. UBBTiA : lupa, ^re erano le fiere la sa cai il Poeta erasi messo, non era
che si opposero alla sua salita al collo; per consegaenia la verace,
ma dair apparizione di Virgilio In poi non 94. questa : alcuni codd.: quella ; cfr.
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ffWEMIO eSKSB.]
IHF. I. 95-102 [PBOP. DEL TELTBO] 11
W
100
Non lascia altrui passar per la sua via,
Ma tanto lo impediscyBj che Tuccidej ^
£d ha natura si malVugia e ria,
Che mai non empie la bramosa voglia,
£ dopo il pasto ha pih fame che pria.
Molti son gli animali a cui si ammoglia,
E più saranno ancora, infin che il Veltro c^i..^ J .
Verrà, che la farà morir di doglia.
t fl *^, -
JfMTii. Oritie., 264. - ORiDi: desineneA
astica, OMUa le mille volte da poeti e
IMMUirl; o^ gridi. Nella Div. Cam.
qamiA tafleesiafie •' incontra 42 Tolte.
Cfr. Kmtumc, Voti, 8 e seg.
16. SUA : soJla qnii^e ai trova la Inpa;
«fr. /V- XXIV, »7. Pwrg. XXVIU, 42.
S8. TOGUA : di impedire e di noddere.
•t. nù FAMB : « ATams non implebi-
tar peeania » ; BeeleM. V, 9. - « In nullo
tcMpo ai oompie nò ei taxia la lete della
eapiditA»; (Xc. oit. in Oonv. IV, 12.
V. leO-Ul. :Profe9Ìa del VeUro. La
lopa eontinnerà a £»re in terra danni
«■apre pib gravi, fincliè verrà il Veltro
a ricaodarla neiriafomo e liberare la
pvrm Italia. Allude Dante ad nn per-
■ooagjrio determinato? E qoale è qaeeto
penonaggiof Gii uni dicono che ò Cri-
Ke che verrà a giadicare i vivi ed i morlT,
òporìoae da' non mettere in non cale,
qaaado ei aappia quanto viva e ferma
era aeA Medio evo la credenza nella proe-
mmz teeonda venuta di Cristo. Altri cre-
dono ^le nel Veltro sia adombrato un
gapa : o un papa indeterminato, o Ben^-
ogtft YT: Altri vi vedono nn Impera-
tsn: o nn Imperatore iodotorminata, o
•Arrigo YJ^ «l{ T.n—fttnhurgn. Altri in-
tèndoao di nn capitano ghibellino, vuoi
di on peraonaggio JoTeterroinato, o di
XJgnodons della Faggiuola, o di Can
Grande della Scala. Altri credono ohe
Iteate parli oon modeetia inarrivabile di
•èsteejo, dimentico di easere già venuto.
Beoentemente si snppoee ohe Dante in-
t«odene di Federigo III, landgravio di
Tarìngia. Altri vide nel Veltro simbo-
leggiato la^[2Ì£Uai£^^^» <^^rt "^ ptin-
ape della 'XMSS^tàf^ ^^ Caetmooio Ca-
stracani, o Cine da Pistoia, o il progresso
delia dviltà, o l'arcangelo San lUohele,
ed altre muear». Queste diverse inter-
pretaiicai, diftse alle volte oon grande
eaergia, partano da sé. Dal canto nostro
crediamo di dover lasciare la questione
indedsa, la scienza non avendo ancora
tanto in mano da potoria decidere. Cfr.
il nostro Oom. Lips, II, 801-817. Medin.
La prqfetia dd V«Uro, Padova, 1880.
Kraus p. 468 e seg. Anche il Bambgl.,
il più antico dei commentatori e contem-
poraneo di Dante, confessa implicita-
mente di non sapere ehi si fosse il Veltro,
e dà due interpretazioni come probabili :
Cristo venturo, oppure un Pontefice o
nn Imperatore. B di Cristo intendono
pure An. Sei., Oatt., Benv., Torric., ecc.
Forse Dante intese di nn liberatore va-
gheggiato e sperato, di un suo ideale
indeterminato al, ma di cui credeva fer-
mamente che si reallzserebbe.
100. MOLTI : in generale vuol dire, che
la lupa fa gran danno nel mondo e ne
Cara sempre pih. L' interpretazione spe-
dale poi dipende dall'allegoria dellalnpa.
Se essa è simbolo dell'avarizia, i molti
animali sono 1 vizi ai quali la cupidigia
s'accoppia, secondo la sentenza I, ad
Timot. VI. 10 : « Raliz omnium malo-
rum est cnplditas» (così Bambgl., Oatt.,
Veni ,Lomb., Biag., Tom., Andr., Oonu,
Berth., Poi., ecc.); oppure i molti ani-
mali sono gli uomini avari, col quali
l'avarizia si conginnge indivisibilmen-
te, come la moglie col marito (così An.
Sei., Lan., OU., Petr, Dani., Oomm.,
Boee., Béttv., BuH, Serrav., Barg., Land,,
Tal.. VeU., GelU, Br. B., ecc.). Se poi la
lupa è simbolo della Corte romana, i
molti animali sono altre corti, le cui ar-
mi sogliono essere alcuni animali, come
l'aquila, il cavallo, il leone, ecc.
101. VBLTKO : cane da caccia di velocis-
sima corsa.
102. VKRRÀ: dunque non ancora ve-
nuto! Ciò sembra escludere l'allnaiono
a persone allora viventi. - w doglia :
Al. OOM DOGLIA. Ma chi non muore eon
dogUa?
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12 [PROEMIO GENBR.] InF. I. 103-116
i*t
[LA VIA YERA]
103
100
109
Questi non ciberà terra né gelido, Vw^
Ma sapienza e amore e virtute,
E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro.
Di quell'umile Italia fia salate,
Per cui mori la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute :.( -
Questi la caccerà per ogni villa,
Fin che Pavrà rimessa nello Inferno^
Là onde invidia prima dipartilla.
Ond'io per lo tuo mejfpéSso e discerno
Che tu mi segui, ed io sarò tua guida,
E trarrotti di qui per loco etemo.
Ove udirai le disperate strida,
Vedrai gli antichi spiriti dolenti,
103. PRLTBO : KÌQCO raffinato con ar-
gento vivo; francese AntÀco peavtre. Qal
por argento ed oro, o metallo in generale.
104. 8APIKKZA : si oonfirontì qaesto ver-
so con lT\f. Ili, 5-6, osservando che vip'
tvtt A un F^" gHì If? fltifìMff Bhof irffrtiifa
105. TRA FELTRO: coloro ohe intendono
di Cristo ventnro spiegano: tra cielo e
oielo ; oppnre : « Inter sceleratores impios
et peocatores»; Bambgl. Qae' oheinten-
dono di nn personaggio indeterminato:
di parenti bassi ed oscnri. Qae' che in-
tendono di Can Grande : tra Feltre, cittA
della Marca di Trevigi (cfìr. Par. IX, 52),
e Monte Feltro nella Romagna. Noi ci
associamo al Bocc., il quale confessa in-
genuamente di non intendere.
106. uuiLR: « homilemqne vidomns
Italiam »;Ftr(7., Aen. HI, 522 e seg. Al.
intendono V Italia LoKÌale. - Cristo è la
sainte di tatto il mondo, non della sola Ita-
lia ; onde non sombra troppo probabile
che nel Yeltro Dante raffigurasse Cristo.
107. Cammilla : figlia di Metabo. re dei
Volsoi ; vergine guerriera che mori com-
battendo contro i Troiani, celebrata da
Virgilio, Aen. VII, 803; XI, 535 e seg.
e 759-831.
108. EURULO : giovine troiano, mot\
combattendo contro i Volsci ; Aen. IX,
179 e seg. - Turno : principe dei Kotuli,
ucciso daBnea ; Aen. XII, in fine. - Niso :
Troiano, amico di Eurialo, con cui morì;
Aen. IX, 176 e seg. - fkrutb : ferite.
111. PRIMA : la prima invidia fu quella
che il serpente antico portò ad Adamo
ed Eva ; ctr. Sap. II, 24. - dipartilla :
la mandò fuori. Dunque la lupa osci dal-
l' Inferno e. venne in questo mondo sin
dai tempi di Adamo. Questa oircostanca,
menzionata espressamente dal Poeta,
sembra escludere ogni possibilità di ve-
dere nella lupa il simbolo della Corte Bo-
mana. Alcuni però intendono jmnu» per
primamente. Ma quale invidia fece uscire
primamente, cioò in origine, la Corto
romana dall' Inferno f
Y. 112-136. Za via della aalvamione.
Dettogli che la via solla quale Dante si
è messo, non ò la verace, Virgilio gli mo-
stra come la via della salvazione conduca
per r Inferno ed il Purgatorio, oflrendo-
segli a guida. Se poi dal Purgatorio vorrà
salire al regno dei beati, un'anima beata
ve lo guiderà. Il Poeta si dichiara pronto
ad intraprendere il mistico viaggio. -
L'uomo naturale si lusinga di potersi
salvare da sé, mentre egli abbisogna in-
vece di nn duplice direttivo; ctr. De Mon.
Ili, 18. Né la via della salvazione è così
facile, com' egli si figura: essa mena alla
contrizione, alla confessione ed alla sati-
sfkzione; cfr. Thom. Aq., 8um. theol. V.
ni, Qu. XC, art. 2. Peir. Lombard., Sen-
tent. lib. IV, Dlst. XVI, litt. A.
112. MB* : meglio; per la tua sainte. '
DT8CRRX0: giudióo.
114. LOCO BTERNO : l' lufemo; off. It\f'
III, 8. Il Purgatorio è uno de' tro re-
gni spirituali, ma non dura in eterno.
116. ANTICHI : discesi anticamente nol-
r Inferno.
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[TSÙBiìO GIN8B.]
iNF. 1.117-136
[LÀ TIÀ TEBA] 13
IH
m
Ui
ir
Che la seconda morte oìasoun grida,;
E poi vedrai color che son contenti
Nel fnoco, perchò speran di venire,
Qaando che sia, alle heate genti.
Alle qna'poi se tu vorrai salire,
ATìima fia a ciò di me più degna:
Con lei ti lascerò nel mio partire j
Che quello Imperador che lassù regna.
Perch'io fai ribellante alla sua legge.
Non vuol che in sua città per n^ si vegna.
In tutte parti impera, e quivi regge,
Quivi è la sua città e V alto seggio :
O felice colui, cui ivi elegge ! >
Ed io a lui : « Poeta, io ti richeggio
Per quello Wdio che tu non conoscesti, ^,—
Acciò eh* io fugga questo matt^peggioj ^./^ ^-
Che tu mi meni là dove or dicesti.
Si ch'io ve^g^a la porta di san Pietro^
E color che tu fai cotanto mesti. » ^ "
Allor si mosse, ed io gli tenni dietro.
117. BWCOSDA HOBTK: la dftnnasione,
^^oMate eoA ntXlm S. Scrifetnra. « Et in-
^73«» ei mora mlsci sant in stagnnm
ini»; baec est mora aecunda » ; Apoeal.
IX, 14; efr. XXI, 8. Oomtn. Lip$. P.
^ - CUDA : piange* deplora. Altri, die
y^mèamo okida per chiede, implora,
TiftiHu ognoDO desidera di morire se-
' -s4« r anim», come moti la prima yolta
•Tsate II corpo. Tal desiderio non paò
?er altro a^er luogo nell' Inferoo dante-
». Cfr. però Ii^. XIII. 118 e Thom.
1?.. fem. thtol. Ili, sappi., ^CVni, 8 :
' ^OB eme non est per se eligibile, sed
P^ ae^den», in quantum aoilicet est
% «eri» terminatiTom > .
lU.oovTKHTl: « non credo ehe si possa
'^^▼a» contentezza da 'comparare a
i3«!}a d' on* anima del Porgatorio, eo-
«cu qoella de' Santi nel Paradiso »;
* Oster. da Gen., Trai, del Purg. C. 2;
JT. Pary. XXIII. 72.
123. AXIMA: Beatrice.
132. oos LD: infatti Virgilio abban-
^«aa Dante all'apparire di BeatHee;
-Sr. Pmrg. XXX, 43 e aeg.
Hi. IMFSBADOB : DÌO ; cfr. Par. XII,
^i XXV, 41. - LA0BÙ : nel Paradiso.
126. BiBELUUiTE: non arendolo ado-
rato debitamente ; cfr. If^. IV, 38.
126. CITTÀ: il Paradiso; cfr. Bòrei
XI. 10, 16. Apoeal. XXH, 14.
127. PASTI: deir universo. - impkba :
goyemasione mediata. - bbggk : gorer-
nazione immediata. « H cielo è il trono di
Dio, e la terra è lo scannello de' soci
piedi » ; Itaia LXVI, 1 ; cfr. m, Beg.
VIII, 27.
132. QUESTO: il male temporale. - PBO-
oiò : il male etemo.
134. POBTA : del Porgatorio, cfr. Purg.
IX, 76 e seg., il cui angelo portiere ò
detto Vicario di San Pietro. Al.: La por-
ta del Paradiso, commessa alla custodia
di San Pietro. Ma il Paradiso Dantesco
non ha veruna porta. Al.: La porta del
Purgatorio e quella del Paradiso, d'am-
bedue le quali Cristo diede le chiavi a
San Pietro. Dante parla non di dae, ma
di una sola porta, e le dae chiavi le tiene
l'Angelo portiere del Pargatorio; cfr.
Purg. IX, 117-129, il qual passo ò deci-
sivo ed esclude ogni dubbio. H Matt,
obietta: « È molto piti naturale che
Dante abbia manifestato il desiderio di
vedere il Paradiso che quello di vedere
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IMIO INF.]
Ivy. II. 1-7
[PRELUDIO]
) ». Virgilio gli hft detto di non
Are che sino al Purgatorio,
hiede ohe appunto lo meni là
, distingaendo poi la porta di
e color ohe tu /ai cotanto
òbU tono 1 dannati, nei y. 183
e 184 si parla evldentomento del Pur-
gatorio, non del Paradiso. Del reato la
porta del Purgatorio è anohe quella del
Paradiso, dorendo entrarvi chiunque
vuol salire quando che sia alle beato
genti. Cfr. Bneiel, 1544 e seg.
CANTO SECONDO
PROEMIO DELL' INPEBNO
SGOMENTO UMANO E CONFORTO DIVINO
LE TEE DONNE BENEDETTE
Lo giorno se n'andava, e l'aer bruno
Toglieva gli animai che sono in terra,
Dalle fatiche loro; ed io, sol uno
M'apparecchiava a sostener la guerra
Si del cammino e si della piotate,
' XJhe ritrarrà la mente che non erra.-
0 Muse, 0 alto ingegno, or m'aiutate;
relucUo ed invocatiotie. È
1 25 manto, o del 2 o dell' 8
; cfr. AffneUi, Topo-Orono-
naggù) Dantesco, Mil., 1891;
;. Il Poeta, che si è già mosso
me di Virgilio, fa la solita in-
noetica, considerando essergli
vastità di dottrina, perspica-
letto e vivacità di memoria.
)BifO: cfr. Virg., Aen. Vili,
m'andava: imbraniva.
i: enti animati, tra' qoalirno-'
*urg, XXIX, 138.
no : dei viventi in terra, Vir-
»8sendo di qnelU.
lA: la doppia difficoltà, 1* una
» per l'aspra e forte via, Purg.
Il, 65, l'altra del t&r forsa all' animo suo
per non aver pietà degli spiriti dannati.
6. BiTRARBl: descriverà. -MBitTE: me-
moria. « Meus prò memoria aocipitar » ;
S. Aug., Trin. IX, 2.- non rriia: non va
qaa e là, vagando ; non si parte dal suo
proposito, come quella ohe pensa sempre
e solamente in esso. Al. : Non isbaglia.
Ma certo Dante non volle spacciare per
infallibile la saa memoria. Il litote., Z.
F., eoo. leggono SB non bbba, lesione
troppo sprovvista di autorità. Cfr. Bl,
Vers. I, 18 e seg.
7. INGEGNO: i più intendono del pro-
])rio genio inspiratore, cfr. If\f. X, 69-
Ma non pare probabile ohe il Poeta vo-
lesse invocare so stesso ; piottoeto V ìn-
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Inp. II. 8-24
[LO 8O0MSNT0] 15
O mente ohe scriyesti ciò ch'io vidi,
Qoi si pairà la tna nobilitate. /^^*»t*^^^--<^
Io cominciai : « Poeta che mi gnidi,
Goarda la mia virtù, s'ella è possente,
Prima che all'alto passo tu mi fidi
Tu dici che di Silvio lo parente,
Cormttibile ancora, ad immortale
Secolo andò^ e fu seg8Ìhilni$nte.o-'^i<M^'<^^N^^
Però, se l'a^dfiarìo d'ogni male v
Cortese jKn^pensando l'alto effetto
Che uscir ^^^^^^Jl^y^i ^ ^^ ^^h ® ì^ quale,
Non pare ind^[o'S3rm>mo d'intelletto;
Gh'ei fu dell'alma Roma e di suo impero
Nell'empireo ciel per padre eletto :
La quale e il quale, a voler dir lo vero,
Fur stabiliti per lo loco santo
U' siede il successor del maggior Piero.
segno idMie, V ingegno in genere. « Qal
«A« iatgigno al riferisce aMolatomente ed
alcffyitoaieate a Mxue(T^, A ohe eerri-
nbke che Dante poi nel verao seguente
ii xÌTolgeoee aila so» merUeì »; BeUi,
t. SI PABRki i^parìrà, 9I moeto^rà.
imuTATS: yirtù, valore.
V. 10-42.. Lo 9go9nento, Appena in-
ewaineisto H riaggio, Dante d scoraggia,
eUeéendo: cSon io da tantof » D soo ò
qii il Hngnaggio della ragione, non quello
defla Me, la quale Virgilio accende poi
■«I eoer soo. Ia ragione gli dice eh' ei
aoa è degno né abile a dò; la fiade gli
HflpoBde che ha il soccorso celeste.
VL PBIMA CHB; ood i più ; alooni oodd.
Axa cm; cfr. Moore, Oritie., 205. - al-
to : arduo, difficoltoso. - mi fidi : mi oom-
netta. Ofr. HonU., Anpoet., 88 e seg.
U. ma: nel tao rolome, Aen. VI,
23C e B^., dove Virgilio racconta come
Kaoa, aaoor rireate, andò nel regno de-
gli spiriU. - Silvio : cfr. Am. VI, 768 e
s^.-PAKnm: padre.
14. OOIEUTTIBILK : vivo; cfr. I, Oof.
XT, 85. - IMMOBTALB SEGOLO: il mondo
ii là fai generale.
15* BOsiBiunarTS: corporalmente, non
tevlneae.
It. L^AWIBSABIO: DiO; cfr. fM. V, 6.
17. 1: a Ini, ad Bnea. -fbxsakdo : se
: la fondaaione dél-
18. IL cm B IL QUALX: è lo scolastico
quii «t quali*; intendasi dell'impero e
di Roma, sode dell' impero e del papato ;
o, come altri vaole, di Soma e dell' auto-
rità imperiafe.
19. INDBOHO: sconvenevole, irragione-
vole.
20. ALMA: CO^ i pih. Al. ALTA.
21. KMPIBBO: «lo cielo Empireo, che
tanto vnol dire, quanto delo di fiamma
ovvero laminoso.... B questo quieto e
pacifico cielo è lo luogo di quella Som-
ma Deità, ohe so sola compiutamente
vede. Questo è lo luogo degli spiriti
beati, ecc. » ; Oonv. II, 4. - padbr : fon-
datore.
22. LA QUALB : Roma. - il qualc : il
suo impero. Sulle diverse lezioni di que-
sto verso ofr. Moore, Oritic., 265-266.
23. STABILITI: «Ragione.... divina ò
stata principio del romano imperio.
Roma è « imperadrice, ed ha da Dio spe-
cial nascimento e.... special processo»;
Oonv. IV, 4. - « La gloriosa Roma fti or-
dinata per Io diviop Provvedimento » ;
ibid,, 5.
24. 8U0CB880B: il Pontefice, -maqoiob :
di tutti gli altri santi di nome Pietro.
Oppure maggior sta qui per $ommo, o
per altro titolo d'onore. San Pietro ò
« chiamato dal Poeta H maggiore, per
antonomasia ed ecoeUensa di santità, ri-
spetto a gli altri successori suoi » j 0«H<.
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16 [PROEMIO IKF.]
Inp. II. 25-42
[LO SaOUBNTO]
25
28
31
37
Per questa andata onde gli dai ta vanto,
Intese cose, che foron cagione
Di sua vittoria e del papale aminanto*
Andovvi poi lo Vas d'elezione §. •^^*^'~ ^
Per recarne conforto a quella fede
Gh'ò principio alla via di salvazione.
Ma io, perchè venirvi ? o chi il concede ?
Io non Enea, io non Paolo sono ;
Me degno a ciò né io nò altri crede.
Per che, se del venire io mi abbandono,
Temo che la venata non sia folle :
Se' savio ; intendi me' eh' io non ragiono.
E quale ò quei che disvuol ciò che volle,
E per nuovi pensier can^a f)roposta,
SI che dal cominciar tutto si tolle ,v^ '- awAv^
Tal mi fec'io in quella oscura costa;
Perchè, pensando, consumai la impresa
Che fu nel cominciar cotanto tosta.
25. DAI: neir Eneide.
26. nfTESR: cfr. Aen. VI. - CAGIONB :
avendolo inanimito a combattere contro
Tnrno ed a vincere, la qoale vittoria fa
cagione della fondazione di Roma, che
divenne poi sede del papato.
28. ANDO wi : ad immortale secolo, cioè
in Paradiso. B forse il vt in andovvi si ri-
ferisco all'empireo eUl del v. 21. Secondo
nn'antioa credenza popolare, S. Paolo
non salì soltanto sino al terso cielo, ma
discese pure nell'Inferno. - Vab: vcuo
d' elezione ò chiamato l' apostolo San
Paolo, cfr. AUi IX, 15. Paolo fti rapito
fino al terzo cielo, e dice : < Se in corpo,
o faor del corpo, io non so ; Iddio lo sa » ;
11, Cor. XII, 2 e seg.
29. KBCARNB: dal Paradiso, rinvigo-
rendo la speranza cristiana di giungervi
quando elio sia. - CONFOHTO : « eccita-
mento a credere, o a perseverare nella
fede 9 ; Poit.
30. PRUCCIPIO: dall' nn canto perchè
senza fede è impossibile di piacere a Dio,
Ebrei XI, 6 ; dall' altro perchè la fede
senza le opere è morta, Oiae. H, 26.
31. PKBCHft : a quale scopo? - vbhibyi :
con te al secolo immortale.
34. MI ABBANDONO : conseuto, m* arri-
schio a venire.
35. FOLLI: soonslgliata, imprudente,
tera«rftria.
36. INTKNDI : AI. E INTBNDI. - Mi' :
meglio.
37. DisvuoL: non vuole più.
89. SI TOLL£ : si distoglie, abbandona
l'impresa. La similitudine dipinge la lotta
intema di ohi vorrebbe convertirai, ma
non ha il coraggio di lasciare le reoohie
sue abitudini e di mettersi sopra una
nuova via.
40. OSCURA: il giorno essendosene an-
dato, V. 1. - COBTA : la piaggia diaorta,
Inif. I, 29 e seg.
41. PENSANDO: riflettendo sulle difficoltà
e sui pericoli del viaggio propostomi da
Virgilio. - COKBUMAI: abbandonai. Te-
neva dietro a Virgilio, Jf\f. 1, 136 ; adesso
si ferma, né osa più andare avanti.
42. TOSTA : pronta, senza riflettere su-
gli ostacoli e sulle difficoltà. Quadro pro-
fondamente psicologico.
V. 43-126. Il conforto, Virgilio rin-
faccia al Poeta i suoi scrupoli, la oni
sorgente non ò savia prudenza, ma viltà
d' animo, che distoglie sì spesso l' uomo
dall' operare il bene. Per liberamelo, gli
espone come e perchè ei gli sia venuto
incontro per essergli guida. Beatrioe,
anima celeste, ne lo ha pregato, incitata
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fPBOIVIO INF.]
iNF. II. 43-60
[IL CONFORTO] 17
c « Se io ho ben la tua parola intesa, >'
Rispose del magnanimo quell'ombra,
« L' anima ina è da vìltate offesa,
46 La qnal molte fiate l'uomo ingombra
Si, che d'onrata impresa lo rivolve,
Come falso veder bestia, quand'ombra.
49 Da questa tema a^cfóche tu ti solve.
Dirotti perch' io venni, e quel che intesi
Nel primo punto che di te mi dolve.
52 Io era tra color che son sospew,
E donna mi chiamò beata e bollai
Tal che di comandar io la richiesi. *^'-' ■
33 Lucevan gli occhi suoi più che la stella;
E cominciommi a dir soave e piana.
Con angelica voce in sua favella :
58 " O anima cortese mantovana,
Di cui la fama ancor nel mondo dura,
E durerà quanto il mondo lontana ;
^ d»e altre donne del cielo » scendere
giù nel Limbo. Sicuro del oeleete soccor-
so, il Foet» non ba motivo di titubare.
43. SB IO: mitiga il rimprovero cbe
non può non fargli.
44. DSL MAQHAimfO: inversione, per
L'ombrm di quel magnanimo, H Betti:
« Bratta inYeraione e ind^na di Dante ;
taldsè sat«i qaad tentato a credere che
dd magnanimo voleese dire magnani-
mamente, da magnanimo ». - maonami-
MO: nMntre Dante si mostra pnaillani-
Boe. « Sempre il magnanimo si magnifica
in ano eoore; e cosi lo pasUlanimo per
contrarlo sempre si tiene meno che non
è»;a>mr.I, li.
46. riLTATK: pofiillaii imita vergogno-
sa; cfr. Inf. m. 15; IX, 1.
47. OXKATA : contratto di onorata j ono-
rerole.
48. FAUSO vsDKB: coaa fusamente ve-
dnta, oggetto cbe fis pigliar ombra alla be-
stia. « Vegglamo molti nomini tanto vili
e di sì bassa eondfsione, cbe quasi non pa-
rs easere altro ohe bestia» : Conv. ni, 7.-
BmU: « Come la beetia si riTolge e toma
a dietro, quando adombra per falso ve-
dere ; cioè che ti par vedere quel cbe non
armilo 9. -OMBRA: diviene ombrosa, prende
snihfi,, teme, s^insospettisce ; ett. BnekH.
IMeseg.
2. — IHb, Oomm., 4» edis.
49. BOLVB : sciolga, Uberi.
61. DOLVS; dolse.
52. SOSPESI : quelli del Limbo non sono
beati, perchè senza speranta, né dan-
nati, porchò sensa martìri, Inf. lY, 24 e
seg. ; si trovano dunque in uno stato me-
dio tra dannazione e beatitudine. Al.: La
loro aorte non è ancora definitivamente
decisa. È decisa pur troppo ; cfr. Jnf. I,
125-126 ; IV, 41-42 : temo perduti - tema
tpeme!
68. DONKA: Beatrice, v. 70.
54. TAL: la bellezza sua celeste fece
certo senz'altro Virgilio, che essa discen-
deva dal cielo, arendo qualche deside-
rio; onde la pregò di comandargli.
55. 0TKLLA : Venere, chiamata dal po-
polo ora la tteUa bella, e ora anche per an-
tonomasia la tteUa. Secondo altri Ui ttella
è posto qui in significato collettivo per
le tUUé. Altri intendono del Sole. È diffi-
cile decidere. Parecchi codd. hanno: più
CHK UNA BTXLLA, lezione forse più facile,
ma, appunto per questo, sospetta. Cft.
Moore, Critic., 266-70.
56. PIANA : calma, dolce. « 8oaf>e, cioè
dolce e graziosa, e piana, cioè modesta,
e come persona grave » ; QéUi.
57. IN SUA FAVELLA: nel suouo della
sua voce; oppure In voce angelica.
60. MONDO : Al. MOTO. Coli' autorità dei
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18 [PROEMIO INP.]
iNF. II. 61-75
[IL CONFORTO]
61
64
07
70
L'amico mio, e non della yentnra,
Nella diserta piaggia è impedito
Si nel cammin, che vòlto è per paura;
E temo che non sia già si smarrito,
Ch'io mi sia tardi al soccorso levata,
Per quel eh' io ho di lui nel cielo udito.
Or màòvi, e con la tua parola ornata
E con ciò e' ha mestieri al suo campare,
L'aiuta si, eh' io ne sia òonsolata.
Io son Beatrice, che ti faccio andare :
Vegno di loco ove tornar disio :
Amor mi mosse, che mi fa parlare.
Quando sarò dinanzi al Signor mio.
Di te mi loderò sovente a lui. „
Tacette allora, e poi comincia' io :
codd. non bì può decidere quale sia la vera
lezione. Probabilmente Dante volle dire :
Dura nel mondo e durerà qiumto etto
mondo (Betti). Ma potrebbe anche aver
detto: Dura anoor nel mondo e durerà
quanto il moto. Dicono che il moto du-
rerà in etemo ; anche la fama di Virgilio
non si spegnoiii mai, almeno nella « l^lla
scuola», If\f. IV, 04. Per altro i^VaOtord.,
Pred, I iuUa Gen.: * Le cose che furono
in prima create, come ò il cielo, gli an-
gioli, gli elementi, staranno etemalmen-
te ; il movimento e il tempo no > . Cfr.
sopra questo verso Z.F. Il e seg. Moore,
Orit., 270-78. Il primo propugna la lezio-
ne MONDO, il secondo moto. In realtà se
ooU'antorità dei codd. la questione non si
può decidere, non si può deciderla nem-
meno con altri argomenti, dando Tona
e r altra lesione un ottimo senso.
61. L'AMICO: amato da me, non dalla
fortuna, la quale infatti non fh troppo
amica del Poeta. Altri : Me ama, non i
beni estrinsechi a me. Ma Beatrice affei^
ma più tardi per V appunto il contrario,
Purg. XXX, 12i e seg., cfr. XXXI, 84 e
seg. - Farsfani : « Amico è colui ohe ama > .
Ed anche colui che è amato.
62. PIAGGIA : cf^. If\f. I, 20. - IMPEDITO :
cfr. Inf. 1, 86.
64. si 8MABBIT0: cfr. PWQ. XXX, 136
e seg.
66. UDITO : cfr. V. 107.
67. ORNATA: persuasiva.
68. CAMPAftB: salvamento.
70. Bkatbicb: è O nome finto della pri-
ma amante del Poeta. Vedi la Vita Nuova.
Nella Commedia Beatrice è essenzial-
mente personaggio allegorico. Chi ne fa
il simbolo della Teologia, ohi dell' Intelli-
gensa attiva, chi dell'Anima tendente a
Dio colle ali dell'amore, chi della Sapienza
religiosa, morale e civile, chi della Vita
contemplativa, chi della Visione intima
dell'artista, chi delia Kivelasione, chi
della Grazia perficiente, chi della Chie-
sa, ecc. Dal Paradiso terrestre, simbolo
della beatitudine di questa vita (De Uon.
Ili, 15), Beatrice guida Dante al Para-
diso celeste, che figura la beatitudine di
vita etema (iHd.). La guida a quest' ul-
tima è r AutoritA ecclesiastica (ibid, cfr.
Oonv. IV, 4-6). Dunque Beatrice ò evi-
dentemente il simbolo dell'Autorità ec-
clesiastica, del Papa ideale del Poeta. Ma,
dovendo l'autorità ecclesiastica drizzare
l'uomo alla felicità spirituale secondo le
dottrine rivelate (i6id.), essa è pure la
rappresentatrìce in terra della Teologia.
Onde Beatrice, appunto perchè simbolo
della Spirituale Autorità, ò pure simbolo
della Scienza rivelata. Cfr. Kraue, p. 452
e seg., dove sono esposte ed esaminate
lo diverse opinioni.
72. AMOR : è dunque lei ohe ama. cfr.
V. 61 nt.
74. MI LODRRÒ : « Hoc autem slgntfioat
quod theologia siepe utitar serviclo ra-
tionis naturalls. nt ex notioribus nobis
deveniat ad mlnus nota > ; Benv.
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[PtOBMIO IHF.]
INP. II. 76-92
[IL CONFORTO] 19
79
83
" 0 donna di virtii, sola per cui
L' umana spezie eccede ogni contento
Da quel ciel che ha minor li cerchi sui,
Tanto m'aggrada il tuo comandamento,
Che l'ubbidir, se già fosse, m'è tardi;
Più non t'è no' ch'aj^rirmì il tuo talento.
Ma dimmi la cagion che non ti guardi
Dello scender quaggiuso in questo centro
Dall'ampio loco ove tornar tu ardi. „
" Da che tu vuoi saper cotanto addentro,
Dirotti brevemente, ,, mi rispose,
*' Perch' io non temo di venir qua entro.
Temer si dee di sole quelle cose
C hanno potenza di fare altrui male ;
Dell' altre no, che non son paurose.
Io son fatta da Dio, sua mercè, tale,
Che la vostra miseria non mi tango,
7S. m vnrrù: pten» di ogni virtù. ~
■OLA: la oofpoimioiM di Dio eleva Taomo
al disopra de^ altri entt terrestri.
77. OOXTIHTO: oontenato, ooea conte-
78. c»L: lunare: efr. Conv, IT, 8-4.
«Ogni altra oreatnra rlvente entro 11
delo limare » ; Pa$t.
80. sa Gli FoasB: se il dovessi fisr qal
«siratto.
81. uo* cu* AFBJOMl : la lesione di que-
sto verso è assai dlspatablle. La corno-
se è : PIÙ KOS t' Jt UOPO APBiRin, che il
JfoMV trovò in 77 oodd., mentre egli tro-
vò ch' aprirmi in 140 oodd. da Ini osa-
Brtsati ; Crii., 273 e seg. Dopo quanto ne
discorse il ^iammazzo, Oùrn. DarU. U,
lfi-i>2, sembra ohe la questione sia deoisa
la favore del uo' cn' aprirmi (vedi però
Baa., K. S. 11, 70 e seg.). H Fiam. in-
terpreta: « Sappi che a te non d' altro
è d' Bopo ch'esprimermi la tua volontà,
oosM già Ikoesti; superfluo ò tutt'il
^^K^*, e aggiunge più oltre: «Quelle
lodi die Beatrice rivolge in nna mira-
bile apostrofe a Virgilio, appena appara
ssgii e che gli promette anche msgglori
presse Dio, esigono dalla modestia del
poeta latiBO on cenno dì risposta; ga-
reggiando questi adunque di cortesia con
la doana beata e bella, aU' esordio di lei
risponde con oa altro ispirato a non mi-
MT ammiraslone, e, dettosi ooaì dispo-*
sto all' obbediensa da sembrargli averla
già ritardata, dichiara quindi tosto so-
verchia la lusinghiera perorasione di Bea-
trice, dichiara cioè ohe, per un servigio
di lui, essa non ha maggior bisogno che
esprimerne, senza blandimento veruno,
il desiderio ». La stessa scena si ripete
Purg. I. 78-93. Cfir. pure Z. F. 13 e nog.
- aprirmi : espormi, palesarmi. - talen-
to : volontà, desiderio.
82. CHR: per cui, por la quale.
83. CENTRO: rinfemo. Fra Giord.,Pred,
1, 147 : «La terra è centro del mondo....
però che ella ò nel messo di tutti i cieli e
di tutti gli elementi. Ha il diritto centro
si è appunto quel miluogo della terra
dentro, che è In mezzo del pomo. Quello
è il diritto centro, ove noi crediamo che
sia il ninfemo > .
84. ampio loco : l'Empireo, cfr. Purg.
XXVI, 63. Al. Le sfere celesti. Il Para-
diso in generale. - irdi: hai ardente de-
siderio.
00. PAUR08B: terribili! da mettere
paura; di cui si ha paura.
02. TAHOB: tooca, travaglia, punge;
cfr. Petr, Lomb., 8erU. Ilb. IV, dist. 60,
litt. <?.; ràom. Aq., 8uiMn. theoL P. III.
suppl. qu. XCIV, art. 2-8; qu. XGYUI,
art. 0. Secondo gli Scolastici, le gioie dei
beati non sono menomamente turbate
dair aspetto dello pene dei dannati, che
essi vedono non veduti,
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20 [PROEMIO INF.]
iNF. IT. 93-107
[IL CONFORTO]
94
97
100
103
106
Né fiamma d'esto incendio non m'assale.
Donna è gentil nel cìel, che sì compiange
Di questo impedimento ov'io ti mando, *
Sì che duro giudicio lassù frange.
Questa chiese Lucia in suo dimando, A^^J^^j^"^,
E disse: *0r Ha bisogno il tuo fedele * '^
Di te, ed io a te lo raccomando. '
Luciaj^^nìmica di ciascun crudele,
Si mosse, e venne al loco dov'io era.
Che mi sedea con l'antica Rachele. t/jr^^
Disse: 'Beatrice, loda di Dio vera.
Che non soccorri quei che t'amò tanto,
Che uscio per te della volgare schiera ?^
Non odi tu la piòta del suo pianto ?
Non vedi tu la morte che il combatte
•/!IX^^
98. FIAUHA : < In fiamma sua non cbm-
baret iastoa * ; Ecdet. XXVIII, 26. - IN-
CiCNDio : Beatrice parla dei dannati e del-
rinfemoin generale, non del solo Limbo.
94. DONNA : la Vergine Maria, cfr. Par,
XXXIII, 16 e seg., simbolo, come si av-
visano i più antichi commentatori, della
Grazia preveniente. Le tre donne bene-
dette del cielo sono l'antitesi delle tre
fiere maledette della selva escara. < Et
Ilio notaqnod an ter non nominat expresse
istara dominam primam, qnia ista gratia
advonit homini occalte, qaod non per-
pendit » ; Benv. Tace il nome della Ver-
gine come qaello di Cristo in tatto V In-
ferno, perchè qnesti nomi sono troppo
sacri e si profonerebbero pronanziandoli
laggiù nel luogo del peccato.
96. Giuuicio: della divina Giosttzia.
Oiudieio vale Sentenza, -fhangb : placa.
97. Lucia: probabilmente la martire
di Siracnsa, salla qaale cfr. Brev. liom.
ad 13 Deecm, Secondo alcuni Santa Lu-
cia Ubaldini, sorella del cardinale, Inf.
X, 120. Allegoricamente: la Grazia illa-
minante. Cfr. Kraus, p. 447 e seg.
98. FEDELE: Lacia, la Siracusana, si
invoca da chi soff^ mal d' occhi, ed an-
che Dante ne sofiferae due volte (T. H,
e. 39; Oonv. Ili, 9), onde le era per av-
ventura particolarmente devoto. Secon-
do alcuni Dante si direbbe fedele di Ln-
ci», perchè Ita avverso alle dottrine dei
Pelagianl.
100 NIMICA : « odia ogni cmdeltÀ come
quella ohe sofferse ingiusto dolore * ; Tom,.
- « Ma questo sarebbe a dirsi di tatti i
martiri. Meglio, forse, perchè, secondo
Salomone, Dio darà grazia ai mansueti » ;
Pam. - < Gratia inimica ooiaslibet despe-
rantis, qui no9 admittit gratiam. Nnllas
est enim crudelior eo qai desperat de
gratia Dei» ; Benv. Veramente il Poeta
confessa, 1, 54, che aveva perduto la spe-
ranza. Ma Lucia non gli era certo nemica.
102. Rachele: figliuola secondogenita
di Labano, moglie del patriarca Giacob-
be, simbolo della vita contemplativa,
mentre Lia, di lei sorella maggiore, essa
pare moglie di Giacobbe, è simbolo della
vita attiva.
103. LODA : lode, e Quando passava per
la via, le persone correvano per vederla. ..
ed altri dicevano : .... benedetto sia lo Si-
gnore che sì mirabilmente sa operare > ;
V. N. oap. 26. - « La santa Teologia, con la
grazia cooperante e consumante accom-
pagnata sempre, loda Iddio veramente
e non fintamente, ovvero nell'esercizio
delia atiivitA, ovvero nel riposo della
contemplazione » ; BuU.
105. uscio ; « fuggì dalla pastura del
vulgo » ; Chnv. 1, 1. Il Poeta erasi dato
tutto quanto agli studi per rendersi abile
a parlare degnamente di Beatrice, dunque
per amor suo, V, N, e. 42. B se poi i suoi
studi lo trascinarono nella selva osourm^
rimaneva par sempre vero che vi si era
dato per Beatrice.
107. MOttTB: spirituale. < Oocursnm et
obstacnlum vicioram, qute sunt mora
anima), et oppngn^t ipsun » ; Benv.
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[P&OSMIO IVF.]
Inf. li. 108-125
[il gonfobto] 21
Sa la fiumana, ove il mar non ha vanto ? '
iw Al mondo non far mai persone ratte v
A fiar lor prò ed a fuggir lor dannò, ^
Com'io dopo cotai parole fatte: ^^^ '^'
112 Venni quaggiù dal mio beato scatftfo,
Fidandomi nel tuo parlare onesto,
Che onora te e quei clie udito Tlianno. „
115 Poscia che m' ebbe ragionato questo,
Gli occhi lucenti lagrimando volse;
Per che mi fece del venir più presto :
118 £ venni a te cosi com' ella volse;
Dinanzi a quella fiera ti levai, ,. , ,
Che del bel monte il corto andar ti tolse.
m Dunque che è? Perchè, perchè ristai?
Perchè tanta viltà nel poro alletto? <
Perchè ardire e franchezza non hai,
m Poscia che tal tre donne benedette
Guran di te nella corte del cielo.
108. FitmANA: gnnde, impetaou cor-
nato di vn flnme, ed anche Dilagasione
delle aflqiie di un flame. Qui fig. per 1»
•air» oeeors, ptù tompeetoea dà mare.
I pia ioteodono dell'Acheronte, ohe al
mate non dà tribato, ma cade all'Inforno,
e dalla eoi rira Dante si trorava ormai
poco lontaBO. Ma la frase ové U mar rum
ha vanto signiflca evidentemente che il
sMzo è mmo borraacoso, non già ohe la
jfvmofia non gli è tributaria. Il OeUi in-
tende di un fiume scorrente tra la selva
oseora ed il dilettoso monte, « il quale
era tanto impetuoso, per scendere da luo-
ghi alti, che il Poeta dice che U man
non ha vanto, cioè non si può dare il
vanto di aaperarlo e di tempesta e d'im-
peto >. Bante di un tal fiume non fa il
110. A FAB : « la carità non cerca il pro-
prio interesse» ; I, Cor, XIH, 5. - e U
baon pastore dà la vita per le sue peco-
teUe > ; (fiov. X, 11. Bcoo dunque Bea-
tcioe tipo del buon pastore.
IH. FATTE: e detto da Lnda e ascol-
tato da Beatrice, si^ecita del bene di
Danto più che non sia mai stata persona
a proeaoeiare la sua salute, fuggendo un
p^ieolo > I Fast.
113. oiBSTO: «pieno d* onestà e di vir-
tà>; BwH. ' « Degno di ogni onore» ; CMli.
-« Leggiadro stile e sentenzioso » ; Vent,
- « Parlare onesto è qui riferito alla ret-
titudine, alla prodensa e al decoro, in-
somma ali* onesta, che Virgilio seguitò
sempre ne' suoi versi d' oro » ; Betti. -
« Nobile » ; Tom. - < Eloquente » ; RotM.
114. B QUKi : cfir. Inf, I, 87. « Onora
Virgilio, essendo ammirato per buon poe-
ta, e que'che udito l'anno, insegnando
loro il verace modo di poetare > ; CaH,
118. LAOBIMANDO : per compassione. -
VOLBK: al cielo.
117. PER 'CHK : vedendola lagrimare.
118. V0L8B: volle.
119. FIEBA : lupa. - TI LEVAI : Dante
avea già tenuto dietro a Virgilio, Inf.
1, 130 ; i due Poeti sono quindi lontani
dall'erta, dove si mostrò la lupa.
120. IL COBTO AHDAB: «Chi salirà al
Monte del Signore?... L'uomo poro di
cuore » ; Sai. XXHI, 3-4. Ecco U eorto
andar» cioè la via più breve e spedita.
Onde al Poeta è uopo tenere un'altra
via, cioè della contrizione e penitenza,
finché il suo arbitrio sarà libero, diritto
e sano; Pwg. XX VII, 140.
121. KiSTAl: ti ibrmi. non mi segui.
122. ALLBTTB : aDotti, dai adito, chiami
ed inviti da to stesso tanta viltà. Cfr. Inf.
IX, 93. EncUl. 07.
125XUBAX: sonsoUedtodella tua saluta
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[PROEMIO INF.]
IKF. II. 126-142
[IL conforto]
127
130
133
130
139
142
E il mio parlar tanto ben t' impromette?»
Quale i fioretti, dal notturno gelo
Chinati e chiusi, poi che il sol gì' imbianca,
Si drizzan tutti aperti in loro stelo ;^-^^
Tal mi fec' io di mia virtude stanca,*
E tanto buono ardire al cor mi corse.
Ch'io cominciai come persona franca:
« 0 pietolut colei che mi soccorse !
E tu cortese, che ubbidisti tosto
Alle vere parole che ti porse !
Tu m'hai con desiderio il cor disposto
Si al venir con le parole tue,
Ch'io son tornato nel primo proposto.
Or va', che un sol volere è d'ambedue:
Tu duca, tu signore e tu maestro. >
Cosi gli dissi ; e poi che mosso fue.
Entrai per lo cammino alto e silvestre.
126. PARLAR: Il\f. I, 112 e seg. - BEN:
di salire alle beate genti; Inf. I, 121
e 8©g.
V. 127-142. Gli effetU salubri del
conforto divino. Dopo ohe gli è stato
solennemeDte promesso il soccorso della
Grasia, lo smarrito riprende coraggio.
Egli esprime la saa gratitadine e si di-
chiara oramai pronto e desideroso di in-
traprendere il viaggio propostogli.
127. QUALE: « òmodo avverbiale, usato
pih volte dal Poeta nelle comparazioni * ;
L. Vent. - KOTTURXO gelo : la rugiada.
La notte figura l'ignoranza e l'errore;
Jioin. XIII, 12. I, Tei$. V, 6; il gelo, la
mAncauza di fede e di carità; Apoeal.
UT, 15>16. La similitudine ò quindi ae-
Bai parlante.
128. IMBIANCA: rischiara con la sua
luce mattinale, scialba e biancastra; cfr.
rurg. IX, 2. Par. VII, 81. «Imbian-
carsi esprime il passaggio che fa grada-
tamente un colore da men vivo a più
vivo. Qui, usato attivamente, vale : gì' il-
lumina » ; L. Vent, Sim., 141.
130. TAL: mi feci ardito; riguadagnai
vigore. - viRTLTK STANCA : abbattimento
d'animo.
132. FUAKCA: intrepida, risoluta; o
forse anche nel senso proprio: libera,
cio^, dalla viltaU, v. 45.
133. COLEI: quale delle tre? Beatrice,
come sì ha dai versi seguenti. Anche le
altre due ebbero cura di Ini, ma la sola
Beatrice discese dal Cielo nel Limbo.
184. CORTESE : « cortesia e onestade ò
tutt' uno » ; Oonv. II, 11.
186. VERE: cfr. Par. IV, 05. Questa
vere parole sono evidentemente quelle
dei versi 61-66, onde Dante oonfossa gik
qui le sue aberrazioni.
136. DESIDERIO: d'Intrapreadere il mi-
stico viaggio da te propoBt<nni.
187. PAUOiJC : ricordanti l'aiuto celeste .
188. PROPOSTO: proposito di seguirti,
Jpf. I, 180-134.
140. DUCA : cui seguirò. - SIGNORE : cai
ve' ubbidire. - maestro : cui vo' dare
ascolto. « Tu duce, quanto ò all'andare ;
tu tignare, quanto è alla preeminenza
ed al comandare ; e tu maettro, quanto ò
al dimostrare » ; JBoee. - < Queste tre qua-
lità che Dante dà a Virgilio saranno da
lui spessissimo impiegate nel corso del
poema, ma con un'arte sopraflSna; e non
metterà mai a caso una delle tre, nui sem-
pre a ragion veduta.... E si noti che, pri-
ma di dichiararlo suo duca, suo signore, e
suo maestro, lo ha precedentemente ap-
pellato col semplice nome di poeta» ;ifoM.
142. ALTO : difficile e pericoloso ; If\f.
II, 12; XXVI, 132. - SILVESTRO: impra-
tlcato. e Quanto è stretto la via {cam-
mino alto) ,che conduce alla vito, e quanto
pochi son quei che la trovano (cammttto
nlve9tro) ì » ; MaU. VII, 14.
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tmftk THtSBHALS]
Ihf. III. I-IÓ
tKNTRATA] 28
CANTO TERZO
LA POBTA INFfiBNALE, IL VESTIBOLO DEOLt IGKAVt
ED IL PASSO DELL' ACHEROlTrE
(Ignudi. Corrono, molestati da yespe e da mosconi)
PeB me si va nella CITTÀ DOLENTE,
Per me si va nell' sterno dolore,
Per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
FeCEMI la DTVgNAJOTEST ATE,- m^ Q*^JU**n
La somma SAn^Sr^A^ IL PRIMO AMORE. 5iU^ ^*^'
Dinanzi a me non pur cose create.
Se non eterne; ed io eterno duro.
Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate!
Queste parole di colore oscuro
V. 1-21. SnirwUa per la porta in-
fermaie. Pel cammino alto e Silvestro i
due Poeti sono giunti all'entrata sempre
aperta dell* Tjatemo, sopra la coi porta
Bante legge ana tremenda isorisione che,
troncando ogni speranza, rinnova in lai
lo sgomento. Nuovamente confortato da
Virgilio, entrano.
1. PIÙ MB : parla la porta. - città : Tin-
fenio in generale, ed in ispede la parte
plii bsAsa dell'Inferno, la città di Dite,
Inf. VUI, 68; città del ftioco, In/. X, 22;
e dttà rogjgia, If^. XI, 73, in opposizione
al Paradiso, che è la dttà di Dio, It^. I,
IM e 128 ; la vera dttà, Purg, Xm, 06 ;
e U dttà dei beati. Par. XXX, 180.
^ GIUSTIZIA : drcoscrive la SS. Trinità,
■eoondo la massima teologica : opera ad
^3ira tunt totiui TriniUUit. La potegtate
^ Dio Padre, la tapùnza il Verbo ossia
fi Tlgliado, Vamore lo Spirito Santo. Nel
Ootn, lì, 8 : « Ohò si paò contemplare la
potensa somma del Padre. . . la somma sa-
ptensa del figliuolo. . . e. . . la somma e fbr-
▼«Btfadma carità dello Spirito Santo».
Segoe In ciò San Tommaso, cflr. Sum.
theol. P. I, qn. XLV, art. 6.
7. DINANZI : prima di me. - non fur :
r Inferno fa creato per i diavoli, conft*.
Matt. XXV, 41, quando Lodfero cadde
dal cielo, cfr. Ir\f. XXXIV, 121 e seg.,
prima della creazione dell' uomo. Prima
dell' Inferno fìirono create por cose eter-
ne, i deli, gli angeli, la terra quanto alla
sua materia: le cose corruttibili, quale la
forma della terra, piante, animali, uomi-
ni, ecc., furono create dopo.
8. ETERNO : eternamente, in etemo.
Benv.: < etemo, idest eteme ». Al. eter-
na, lesione di molti codd. e da fame conto,
essendo la porta ohe parla. Cfr. Moore,
Crii., 275.
10. COLORE OSCURO : apparenza, o suo-
no, lugubre. AI.: scritte con inchiostro ne-
ro. - « Le lettere in luogo chiaro poste, a
voler essere ben vedute, convengono es-
sere di colore oscuro e nero, ma, se sono
poste in luogo oscuro, convengono es-
sere di colore chiaro e bianco. Laonde
reggasi Dante come abbia fatto bene a
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24 [POETA INFRENALE] InP. IH. 11-
[BNTEATA]
13
16
19
Vid'io scritte al sommo d'una porta;
Per eh' io : « Maestro, il senso lor m' è duro. »
Ed egli a me, come persona accorta: ,
4c Qui si convien lasciare ogni sospetto ;^"-^-^^^«^
Ogni viltà convien che qui sia morta.
Noi siam venuti al luogo, ov' io t' ho detto
Che tu vedrai le genti dolorose
C hanno perduto il ben dello intelletto. »
E poi che la sua mano alla mia pose
Con lieto volto, ond'io mi confortai, ,
Mi mise dentro alle segrete .cose. "'^ ^ ' ^^ ^' " '^^
Quivi sospiri, pianti ed alti guai
Risonavan per Paer senza stelle,
Ilare le lettere oecare in luogo oecoro
per Toler eoi senso loro spayentare il
lettore»; Oatt.
11. BCBITTE: dft ohif Danuìte il sno
Tiaggio per l'Inferno i demoni procurano
sempre di fkrlo tornare Indietro; onde
dovremo arguire che i demoni scrissero
queste parole, ohe veramente contengono
nna veritA diabolica. Almeno per Dante,
come per quei molti. In/. IV, 61, il laseia-
U ogni speranza non era per niente vero.
Il concetto : Non penetrare nella con-
templazione del peccato, della sua vorace
natura e delle sue conseguenze, non è
certo di origine divina.
12. DUBO : grave, penero, che affliggo,
rattrista, angustia, sconforta l'animo.
« La sentenza importata per queste pa-
role mi ò dura; non dico dura, perch'io
non la intenda, ma dura è, perocché dura
cosa mi pare udir che io debba entrare
in luogo di etemo dolore e lasciar la spe-
ranza di uscirne mai fuori »; Barg. Cfr.
Ev. 8. Joh. VI, 61: « Dnrus est hio
sermo ».
13. ACCORTA : conoscendo le astuzie in-
fernali.
14. QUI : noi luogo del peccato e dell'in-
ganno. - H08PKTT0 : timore, dubitazione.
16. DBTTO : nel Canto I, Ili e seg.
18. IL UKif : la cognizione e l'intuizione
di Dio; cfr. Petr. Lomb. lib. V, dist. 40
A, Thom. Aq., Sum. theol. P. HI, suppl.
qu. XCII, art. 1-3. Oiov. XVII, 3. * 11
Vero è il Bene dello Intelletto » ; Conv.
n. 14.
19. POSE: mi prese per mano, come
Jnf. XIII, 130.
21. C06B: « téereU cose dissero i nostri
antichi il mondo de' morti. B perciò nel
BmIì di Francia si dice Oih. I, o. 44):
E poiché veduto Vamrò, allégra io morrò :
e morendo gloriota, àUe eegrete eo$c deU
VaUra vita andrò » ; Setti.
V. 22-69. Ignavi ed AngeU neutri.
Entrati nel vestibolo, il Poeta ode nn
gran tumulto di sospiri, pianti, lamenti,
Ungne diverse e (kvelle spaventevoli. Qoi
sono i vigliacchi, mischiati agli angeli
neutri. Ne vede e riconosce uno, quindi
non gli occorrono ulteriori schiarimenti.
Ignudi, e stimolati da mosconi e da ve-
spe, sono condannati a correr dietro ad
una bandiera volubile, instabile, che non
resta ferma un momento, onde non han-
no mai posa. Indolenti, incapaci al male
^ come al bene, perchè tanto poltroni, iner-
' ti, accidiosi, vigliacchi, buoni a nulla,
vogliono soltanto godersela nel mondo,
idolatrando il dolce far niente. Tn oiò
cho ambiscono, sono tormentati. La ban-
diera è instabile, ed essi, che vorreb-
bero sopra ogni altra cosa goder quiete,
devono correrle dietro. Le punture di
femminelle e di gente bassa sono per
loro un tormento d' Inferno, cosi grande
per gente di tal tempra, cho invidiano
ad ogni sorte, benché di gran lunga più
dolorosa.
22. GUAI: dolorosi lamenti.
23. 8TKLLK: in tutto l'Inferno non si
vedono stello, cfr. Ti\f. XXXIV, 139;
qui è ricordato espressamente, perchè
questa razza di gente non mira alle stelle,
non conosce verun ideale, nò religioso,
nò morale, nò politico.
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rmooLo]
iNF. III. 24-38
[IGNATI] 25
Per ch'io al cominciar ne lagrìmai.
Diverse lingue, orribili favelle,
Parole di dolore, accenti d'ira,
Voci alte e fioche, e suon di man con elle.
Facevano un tumulto, il qaal s'aggira
Sempre in quell'aria senza tempo tinta«
Come la rena quando a turbo spira.
Ed io, ch'avea d'orror la testa cinta.
Bissi : « Maestro, che è quel eh' i' odo ?
£ che gent' è, che par nel duol si vinta ? »
£d egli a me : « Questo misero modo
Tengon l'anime trigte^di coloro
Ch€rvìaafi£-fl^.02&Jjl£^^ e. nsp^A. lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro
Degli angeli die non furon ribelli.
^ AL ooimciAB : sulle prime, quando
^ 1Mi toipiri, quei pianti e qnegU
% nrnsi: forse perchè totti oon-
^Bfoi^ d'ogni paese, y. 123 ; e forse
i^fOMè osata anche qni, come altrove,
^j'iBswdl sparenterole; cfr. I-nf, VI,
^^ XXn, 10. - OBBIBILI FAVELLE: bo-
''^"ttie. d^. V. 103 e seg. Alla bestem-
>a ) Tigliaecfai sono sempre pronti.
^PAEOLi: cfr. Tir^., ^en.IV,665esg.
^- 8D0X DI KAX : mmore di mani per-
*"* : Bso ii percuotono vicendevolmen-
^'^•dò son troppo poltroni, ma si
^^t«s le Baanl per disperazione.
j^ CI TUMULTO : on gran toroalto,
*> Kl Koao di %ai grande, un tal*, eco.
^*«woipeMogH antichi. /
/S-sozA TKMPO: in etemo. L'eler-
^^ aaa ha tempo. - tutta : oscara, ca-
■'^^^«^ « Ària OBcnra senza variaaion
*'^^ eioè sempre oeoara » ; Rott.
^ctdfi: « tamqnam poi vis ante fkciem
]^^>,Pd. XXXIV, 6. Non aggna^lla
^tacattodi qoello strepito infernale con
^^ M'arena, ma fa soltanto nn pa<
^^^ tn l'aggirarsi di qael tamnlto e
*Cràri della rena nel turbine, il qaale
*^^i*t^ è ftirioso e celerissimo. - a tub-
^'' «Ittado il vento spira a modo di tar-
*^ AL eoo parecchi codd. qua5DO il
;**3, Mone più facile, confortata da
'< XXHV, 4. Non è possibile deci-
^ <{Bale sia la leirfone genuina.
^ D'oiBOB: per quello spaventevole
**^ e le parole di eolore oieuro, È
il Virgiliano : At me tum primwn icevut
circumatétU horror; .Asn.II, 569. ArreetcB-
que horrore eomce; ibld. IV, 280. Al.
d'bbbob, spiegando: d'ignoranza; ma
errore ed ignoranza sono doe cose troppo
diverse. Cft. Z, F., 14 e seg. Moore, Crii.,
276 e seg.
32. CBK È : domanda ohe esprime in nn
medesimo tempo e V orrore e la vaghezza
di sapere.
83. VDiTA : abbattuta ; lat. vièta dolore ;
ridotta a tale, da non poterne più, il do-
lore essendo troppo forte.
36. TBIBTR: malvagie, sciagurate.
36. SENZA m PAMIA : scuza commettere
azioni tali, da rendersi infimi, né tali da
meritarsi lode. « Quantunque non buone
fossero, erano (le azioni loro) intorno a sì
bassa e misera materia, che di so non da-
vano alcuna cagion di parlare, e perciò si
può dire ohe senza infamia vivessero ; e
tenia lodo, oioò senza fama, perciocché co-
me del loro male adoperare è detto, il sl-
migliante dir si può se alcun bene adope-
ravano » ; Bocc. - « De ipsis nulla reman-
sit fama noe infamia »; Serrav. - I pih
leggono BKKZA FAMA, cho Benv. spiega : .
« sino virtute et valore ». Ha se lodo ò
lo stesso che fama, si avrebbe una ri-
petizione inutile. Oait.: « I migliori testi
hanno : tema ir^famia ». B leggendo sen-
za fama, il Poeta si ripeterebbe poi su-
bito, V. 40. Cft". Z. F., 15. Fanf., Stud., 144
e seg. Moore, OrU., 276 e seg. ~ lodo :
lode, loda ; anticamente anche in prosa.
Dante V usa soltanto qui in rima.
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26 [VESTIBOLO]
iNF. III. 89-55
CIGNAVI]
"' 4^^)f
■f
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.'v-
^
52
65
Né far fedeli a Dio, ma per sé foro.
Cacciarli i ciel per non esser men belli;
Né lo profondo Inferno li riceve,
Che alcuna gloria i rei avrebber d'elli. »
Ed io : « Maestro, che ò tanto greve
A lor, che lamentar li fa si forte? »
Rispose : « Dicerolti molto breve.
Qaesti non hanno speranza di morte,
£ la lor cieca vita é tanto bassa.
Che invidiosi son d' ogni altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
Misericordia e giustizia li sdegna.
Non ragioniam di lor, ma guarda e passai »
Ed io, che riguardai, vidi una insegna
Che girando correva tanto ratta.
Che d'ogni posa mi pareva indegna;
E dietro le venia si lunga tratta
^ 39. FORO: farono; non è apocope di
furono, ma toc© intera in nò stessa. Foro
(e/uoro) fii adoperato anticamente spesse
volte anche in prosa; cfir. If annue,, Voci.
14 e seg. - Suppone che, quando Lnoifero
si ribellò contro Dio, alonni angeli rima-
nessero neutrali, volendo veder T esito
della lotta, prima di decidersi. Un con*
oetto affine fu esternato fin dal terzo secolo
da Clemente Alessandrino, Strom., 7. A
qnal fonte Dante lo attingesse, non si sa.
40. CACCfARLi : gli scacciarono. Al. cÀc-
ciANLi. I cieli gli discacciarono una volta
per sempre; « Proiectus est draco ille
inagnas,... et angeli eius cum ilio missi
snnt » ; Apoe€U XII, 9. Ha lo profondo
inferno ricusa continuamente di riceverli,
che, essondo invidioii d'ogni altra torte,
andrebbero giù, se fosse loro concesso.
Cfr. Z. F., 16. - MEN BELLI: non sareb-
bero perfetti, se enti seuxa carattere vi
avessero albergo.
■ 42. ALCUNA: qualche. Dirimpetto ai
dappoco gli scellerati energici potreb-
bero veramente gloriarsi di essere da
più di loro. Al.: Ninna. Ma nelle opere
di Dante alcuno non ha mai il senso di
ninno, cfr. Inf. XII, 9. Inoltre, se il
profondo Inferno non li riceve, dò non
può essere che per non dar motivo ai
dannati di vantarsi. - elli : lat. UH ;
loro.
46. NON HANNO : nou r ha nessnno nel
mondo di là; ma costoro la aflbrroreh-
bero con gioia. Avendo laoosoien£a della
loro assoluta nullità, sarebbe per qaesti
poltroni e vili mutabandiera un gran
conforto se potessero sperare di ritor-
nare quando che sia nel loro elemento,
nel nulla.
47. cieca: oscura; cft. Inf. IV, 18;
X, 58 ; XXVII, 25, ecc. « La vitach^essi
conducono come dechi in queir aria sen-
za stelle » ; BMtù
48. D'OGNI altra: dunque anche della
sorte di que' che sono nel profondo In-
ferno. Vi andrebbero, ma esso non li
riceve.
40. lassa: lascia; nel mondo non è
rimasta di loro veruna memoria.
50. MiSRKicoRDiA : poichò uon li vuole
nò il Paradiso nò il Purgatorio e nem-
meno il basso Inferno. > sdegna : rigetta.
52. INSEGNA: stendardo, bandiera.«Qnia
omnes isti ribaldi trahunt ad unum si-
gnum, nec discernuntnr aut distingu-
nntur Inter se »; Benv. Per i mutaban*
diera ci voleva la bandiera. Essa gira
sempre e sempre corre ; e gì' ignavi die-
tro ! Il loro carattere è la loro pena.
53. GIRANDO: roteando.
51. indegna: aliena, indignata, sde-
gnante. Al.: Immeritevole.
55. TRATTA: schiera.
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[T88TIB0L0]
Inf. iil 56-6S
tiOKAVi] 27
Di gente, ch'io non avrei mai creduto
Che morte tanta n'avesse disfatta.
Poscia eh' io v' ebbi alcun riconosciuto,
Vidi e conobbi l' ombra di colui
Che fece per viltate il gran rifiuto.
Incontanente intesi e certo fui,
Che quest'era la setta de' cattivi,
A Dio spiacenti ed a' nemici sui.
59. COLUI: seeondo S più ò questi papa
Cclwtioo T, che i maneggi fraadolentl
dd oao soceeeeore BoniiiMsio Vili indos-
Kto ma abdicare 0 papato. Benv. dice
dn liii da* suoi tempi qaeeta era l'opl-
niooe « eommiiiiis et Tnlgaris fere om-
bìbb ». lafktti 00^ averano Inteeo Barn-
bmgL, An. Sei., lae. Ikmt., Lan., Folto
Beec, eoe. Ii*Ott. riferisce questo opi-
■Jone em un « Vuole aleono », ma eensa
^eddeiraL P«^. Dani, intende pare di
Gdertino V, aggiongendo però « ut cre-
de ». H Gbm., seguito da altri, intende
dì Dfodealano che in TecchiaSa rinunciò
afi* impero. Boee. confessa: « Chi costai
« Ibne, non il sa assai certo », e riferi*
•n qoindi le opinioni a Ini note senza
decidere. Bémv. fk nn lango elogio di
niesiiiio T, combatto la eomfnunii et
vidymris opinio, pon^idola tra le vatuB
C9ce* vulffi che non sunt additndce, ed
hitflDde di Esaù, che per nn piatto di
BiDsstra cedette la primogenitara al fra-
tello Giacobbe; cfr. Qtrut, XXV, 29 e
seg. BuH non sa decidersi. An. Fior,
sta, ma nn po' dubbioso, con Benv., e
coÉ . ma sansa titubare, Serrav., Tal., ecc.
Barj., Land., VeU., OtOi, Dan., Càtt., ecc.
ritornarono ali* antica comune opinione,
accettata dalla gran maggioranxa dei mo-
derni, e che per il Betti è « cosa quasi
feori di dubbio ». A questa opinione non
osta ti fetto, che Celestino fu canoniz-
zato nel 1813, poiché il relatlTo decreto
giacque per 15 anni negli archivi papali,
non conosciuto nel mondo. Ma avendo
U Poeta sabito conosciuto quell'ombra,
ne deriva per necessaria conseguenza
che 8i tratta di un personaggio veduto
e conosciuto da Danto in questa vita,
Bteotre non sembra probabile che egli
Tedejse e conoscesse personalmento papa
Ctiesttno V. H Jfozc. risponde : « Kon
poteva averne Tedato chi sa quanto volto
il ritratto! » Potova ayerlo yeduto, e po-
terà anche non averlo veduto.* Il ritratto
d*un papa è cosa tanto difficile a trovar-
si f » Nella seconda metà dell' Ottocento
fiioilissima, negli ultimi del Dugento dif-
ficile assai. « E veduto il ritratto d'una
persona, e d'una sifhtta per8<ma, non
è forse agevole riconoscere la persona
stessaf » Nell'Ottoeento rt, nel Dugento
no. Gli artisti d'allora non riproduce-
vano colla maggior possibile esattezza 1
lineamenti del volto, ecc., ma facevano
ritratti e statue più secondo il loro ideale,
che secondo la natura. Inoltre, checché
Dante pensasse dell'abdicazione di Ce-
lestino V, non si può in vemn modo
concedere, che e' lo menzionasse tra' prin-
cipali della ietta ds* cattivi, a Dio spia-
centi ed a' nemici tui. Alcuni vedono
nel vigliacco innominato Augnatolo, altri
Giano della Bella, altri Vieri dei Cer-
chi, ecc. Ma questa é cosa molto inceria,
e nient' altro che indovinare. Avendo
Dante taciuto il nome del personaggio,
dovremo confessare di non conoscerlo.
Volendo ciononostante accingersi a scio-
gliere questo enigma /orte^ giova tener
presento alla mento : 1^ che il gran ri-
fiuto è anteriore al 13A0 ; 2^ che chi lo
fece era già passato ai più nella prima-
vera del 1800, epoca fittizia della visioue
dantesca ; 3^ che Dante conobbe perso-
nalmente in vite il personaggio, aven-
dolo riconosciuto nel mondo di là, ap-
pena adocchiatolo. Cfr. Barlow, Il gran
rifiiUo, Lond., 1862. e ita!. Napoli, 1864.
Ooeichel nel Dante- Jahrhueh, I, 108 e
seg. Todesehini, ScriUi Dant. I, 202 e
seg. ; II, 860. Tiani in Opuee. Bel., Mor.
e Lett. di Modena, 1875 luglio e agosto,
p. 3-47. Venturi, Oolui che fece per viUato
il gran rifitUo, Roma, 1875. Moore, Crii.,
218. Bull.J, 1,46. II, 1,25 e seg. II, 4,181.
63. A'incMici: ai diavoli. I poltroni,
mutobandiera, sono disprezzati non pur
dai buoni, ma anche d^roslvagl.
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28 [VESTIBOLO]
INP. HI. 64-78
[achbboktbJ
6i
70
73
70-
Questi sciaurati, che mai non far vivi,
Erano ignudi, e stimolati molto
Da mosconi e da vespe ch'eran ivi.
Elle rigavan lor di sangue il volto,
Che, mischiato di lagrime, a' lor piedi
Da fastidiosi vermi era ricolto.
E poi che a riguardare oltre mi diedi,
Vidi gente alla riva d'un gran fiume;
Per ch'io dissi: « Maestro, or mi concedi
Ch'io sappia quali sono, e qual costume
Le fa di trapassar parer si pronte,
Com'io discemo per lo fioco lume. »
Ed egli a me : € Le cose ti fien conte,
Quando noi fermerem li nostri passi
Su la trista riviera d' Acheronte. »
64. VIVI : non ebber mai fama nò per
buone nò per cattive opere. « A maggior
detrimento dico questo cotal vilissimo es-
sere morto, parendo vivo.... Veramente
morto il malvagio nomo dire si può....
Vivere nell' nomo è ragione nsare. Dan-
qne se vivere ò l'essere dell' nomo, e oosì
da quello nso partire è partire da essere,
e co^ ò essere morto. » Oonv. IV, 7.
66. U06C0NI E VESPE : « hflBO enim ani-
malia generantnr ex pntrefactione et sa-
perflnitate, ideo bene ornoiant istos mi-
seros » ; JBenv. Per la bassezza d'animo
non oooorrono grandi tormenti ; bastano
aloone puntare, e fosser pare di lingae
volgari. La bassezza dei loro scopi è
simboleggiata nei vermi che raccolgono
il loro tangue. Simbolo del fine e delle
sollecitadini di questi ignavi sono le la-
grime spremute loro dalle punture.
60. VKBMI : il sangue di questi sommi
eroi, versato nella terribile guerra con-
tro nemici tanto formidabili, quali i mo-
sconi e le vespe, non torna a profitto
ohe a certi vermi schifosi, i quali van
serpeggiando a' loro piedi. Ond' essi, dei
quali non o' è altro da dire, se non che
son fatti pasto dei vermi, sono adoperati
alla meglio, secondo la legge dell' econo-
mia naturale. Cfr. Oraul, 33.
V. 70-136. Il paaao dell'Acheronte.
Sono giunti alla riva di un gran fiume,
primo dei fiumi infernali. Là conven-
gono tutte quante le anime dei perduti,
per essere trasportate da Caronte al-
l'altra riva ed andarsene « al loro Inogo »
(Atti, I, 25). Caronte procara, oonae Ib-
ranno pih tardi altri demoni, di spaven-
tare Dante e di farlo tornare indietro.
Virgilio gli ricorda il volere saprenao»
onde Caronte sfoga V impotente ana ira
battendo le animer dei dannati. B Vir-
gilio conforta il suo alunno osservan-
dogli ohe l' ira di quel demonio gli ò in-
dizio della propria salvatone. Ad un
terremoto succede un baleno, e Dante
cade come nomo addormentato.
71. fiume: Acheronte, ojlume del do-
lore, per il quale, secondo le credenxe
dell'antichità classica, le anime se ne
vanno alle pene infernali ; cfr. Virg., Aen.
V, 09; VI, 107, 205; VII, 01, 312, 569;
ZI, 23. Dante attinse ampiamente olla
mitologia antica, Dicendone però un nso
da poeta cristiano.
73. C06TUUK : poetioam. per Ordine sta-
bilito, Prescrizione, Legge; cfr. In/,
XIV, 21. Purj. 1, 80.
75. DI8CSRN0: se il lume era fioco,
il Poeta non poteva leggere loro in
volto. Bisognerà dunque supporre, che
quelle povere anime si affollavano, pro-
curando ognuna di entrare la prima
nella nave di Caronte. - fioco : debole,
languido. « Come ò oscura ad inten-
der la voce fioca, eoA si può dire lo
lame fiooo, quando nono chiaro; come
la voce fioca, quando non ò chiara • ;
Buti.
76. CONTE: manifeste, palesi; cfr. v.
121 e seg.
78. teista: dolorosa. - Achkboktb:
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[TKTmOLO] InF. ih. 79-100 [ACUEBONTE] 29
» Allor con gli occhi vergognosi e bassi,
Temendo no '1 mio dir gli fosse gravo,
Infìno al fiume di parlar mi trassi.
82 Ed ecco verso noi venir per nave
Un vecchio, bianco per antico pelo,
Gridando : « Gnai a voi, anime prave!
85 Non isperate mai veder lo cielo!
r vegno per menarvi alP altra riva
Nelle tenebre eteme, in caldo e in gelo.
s»- E tu che se' costi, anima viva.
Partiti da cotesti che son morti. »
Ma poi eh' ei vide ch'io non mi partiva,
91 Disse: « Per altra via, per altri porti * . •
Verrai a piaggia, non qui, per passare ;
Pih lieve legno convien che ti porti. »
M E il duca a lui: « Caron, non ti crucciare:
Vuoisi cosi colà, dove si puote
Ciò che si vuole, e più non dimandare, »
97 Quinci fur quote le lanose gote
Al nocchier della livida palude.
Che intomo agli occhi avea di fiamme rote.
i« Ma quell'anime, ch'eran lasse e nude,
•Axtpcnr, finme deirA Terno ; cfr. Hom., 91 . altra : dal ftatnro verrai si può por
Oi X, 613. Virg., Aen. VI, 295. arrentura Inferirò, che Caronte allado
m. TEHIQCDO NO 'l: temendo ohe; d il alla via ed al lieve legno del Purg. II.
lai. verter ne. AL tbxbhdo che. - gba- 94. Gabon ; Xdpoov, figlinolo dell'Erebo
TB: importuno. e della Notte, vecchio e lordo barcalnolo
SI. m TRAIMI: mi astenni. deirAvemo;ofr.yir^.,Aen.VI,298e8eg.
S3. usTEOcnio: il ritratto di Caronte 95. colà: in cielo; ott. Ir\f, V, 23 e
è ftifl^izialmento imitazione di Virgilio, aeg.; VII. 11 e seg.
Àen, VI, 298 e seg. Attenendosi alla sen- 96. b più : « qnasi yoglia per questo dir-
lenza di S. Paolo, I, Cor. X, 20: « Qofe gli: Non ò convenevole ohe a te si di-
ÌiB<n(^aot gente», dmmoniis immolant et mostri In cagione della volontà di Dio » ;
Doo Deo », Dante fece delle divinità mi- Boec,
tologiche demoni. Caronte è 1* antitipo 97. lanosk: barbate; cfr. Virg., Aen.
premeditato di Catone, il venerando gnar- VI, 102: «Ut primnm oessit ftiror et
dixno del Purgatorio; of. Purg. 1, 31 o seg. rabida ora qniernnt ».
f4. PBAVK : dannate. 98. palude: cfr. Ir^. VII, 106. livida
87. CAIJW E GRLO : cCr. Moti, XIII, 42 : PALUDE, per palude di acqna bruna, ò
• Et iangdi^ mlttont eoe In caminnm 11 vada livida di Virgilio, Aen. VI, 320.
igais: ibi eritfletna et strider dentium». 99. kote: cerchi di fuoco. Segno di
88. K TU: volge la parola a Dante. - grandissima ira, cagionata forse dal-
riTA: in senso daplice: non ancora se- l'aspetto dell'anima viva; ctr. Virg.,
parata dal corpo, e non dannata; cfr. Aan. VI, 300: « stant lumina flamma».
T. 127 e seg. 300. lasse : in consAgnensa della re-
89. PÀBTiTi: allontanati. ^MOBTi: sciolti cento separatone dal corpo. - mubb:
dal eorpo e dannatL « Di consiglio e di aiuto » ; jBooc. - « Spo-
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30 [YESTIBOLO]
INP. III. 101-114
[ACHERONTE]
103
106
100
112 '
Cangi&r colore e dibatterò i denti.
Batto ohe inteser le parole crude.
Bestemmiavano Iddio e lor parenti,
L'amana spezie, il luogo, il tempo e il seme
Di lor semenza e di lor nascimenti.
Poi si ritrasser tutte quante insieme,
Forte piangendo, alla riva malvagia.
Che attende ciascun uom che Dio non teme.
'Caron dimenio, con occhi di bragia
' Loro accennando, tutte le raccoglie;
Batte col remo qualunque s'adagia.
Come d* autunno si levan le foglie
L'una appresso dell'altra, infin che il ramo
Vede alla terra tutte le sue spoglie;
liatiB Teste oorporis » ; Benv. - « Come di
Testimentl, cosi d'ogni defnlBioDe^ ; BvU.
- « Sensa il corpo » ; An. Fior. - « Spo-
gliate de' corpi, e private di ogni dlfen-
sione » ; Barg. - « Spogliate de' corpi, o
veramente nnde della divina grasia, nn-
de d'ogni riparo » ; Land. - « È da notare
che Dante, per quanto pare, àk questo
epiteto alle anime qaando vnol porre in
evidensa la miseria di loro condizione;
per il ohe l'attribnisce soltanto alle ani-
me dei dannati e non mai a quelle del
Pargatorio » ; Siane. Ctr. G. Vili, Oron.
I. Vili, 60: altri aveano Jlgura d'anime
ignude, doò nella rappresentasioue delle
pene infernali.
101. oanqiìb: tramortirono. I corpi
aerei hanno non solo la forma, ma anche
il colore del corpo materiale. Otr, Purg.
in. 31 e seg.; XXV, 70-107. - dibat-
TÉBO : cfr. MaU. XIII. 42: cibi erit fle-
tns et strider dentiam».
102. RATTO CHE : SUbitO chC. - PABOLK :
V. 86-87.
103. Iddio : conforme la dottrina sco-
lastica, che i dannati inveiscono tanto
più contro Dio, quanto più sono colpiti
dalla Sua giustizia. Gfr. Thom. Aq., Bum,
th. II, II, 18, i. Inoltre essi msledicono
gli antenati, i genitori, tutti gli nomini,
il luogo ed il tempo in cui, ed il seme
di coi Airone generati e nacquero. L'idea
ò tolta da Giobbe III, 8 e seg. e da Gere-
mia XX, 14 e seg. U $eme di lor temenza
sono i progenitori ; il eeme di lor noBei-
menti i genitori. Maledicono l'umana
tpeeie, perchè vorrebbero essere bruti,
la coi anima muore col corpo. Vorreb-
boro insomma non esser mai naU, od
essere nati animali. - b lob : Al. b i lob.
106. BITBASSBB: Al. BACC0L8BB. - IH-
BiBint : non essendosi separate dal corpo
nel medesimo istante, eran venute Tana
dopo l'altra.
108. ATTKNDB: « la riva d'Acheron
aspetta ciascun che non teme Dio. Chi
non teme Iddio ò dannato, et ogni dan-
nato è aspettato da quella riva » ; But*.
109. DI BBAGIA: accesi d'ira.
110. RAOCOOLiB: nella sua nave.
111. b' ADAGIA : si mette in positura pih
comoda, che non ò lo starsene ritto. Al.:
s'indugia, fa adagio ad entrare nella
barca. Ma se sono tanto pronte a tra-
passare, V. 74, se, spronati dalla divina
ginstisia, desiderano di trapassar lo rio,
V. 124 e seg., esse non fknno certo adagio
ad entrar nella barca. « S^ adagia, a se-
dere o in altra guisa » ; Boee. - « Ketar-
dat ire » ; Benv, ~ « l^on va tosto » ; Buti
- « Percutit remo qnemcumque tardan-
tem » ; Serrav. - « Tarda al montare » ;
Barg. - « Diventa agiato e tardo » ; Land.
- « Tarda troppo » ; VeU. - « S' accomo-
da » ; Dan. Gli altri antichi tirano via.
- Una controversia su questo verso fa
iniziata dall'uifUojTnoni, Saggio di Hudi
Èopra la Oom, di D., Livorno, 1893, «
contin. da G. Marufi, G. Sene e U. Not-
tola; c(t. Giom. D. I, 317 e seg.; 334 e
seg.; 480 e seg.; II, 209 e seg.
112. COMB : similit. tolta da Virg., Aen.
VI, 809 e seg. C(t. L. Vent., Sim., 133.
114. VRpB: cosi il più dei oodd. e molto
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IHP. m. 115-134
[ACHBRONTB] 31
115
lU
121
124
127
133
Similemeiite il mal seme d'Adamo
Qìttansi di quel lite ad ana ad una
Per cernii, come aogel per soo richiamo.
Cosi sen Tanno sn per V onda bruna,
Ed avanti che sian di là discese,
Anche di qna naova schiera s' aduna.
e Figliaol mio, » disse il maestro cortese,
« Qnelli che mnoion nelP ira di Dio,
Tatti convegnon qai d'ogni paese;
E pronti sono a trapassar lo rio,
Ohe la divina giustizia li sprona
SI, che la tema si volge in disio.
Quinci non passa mai anima buona ;
E però, se Caron di te si lagna,
— ?Ben puoi saper omai che il suo dir suotia.
Finito questo, la buia campagna
Tr^mò si forte, che dello spavento
La mente di sudor ancor mi bagna.
La terra lagrimosa diede vento,
Che balenò una luce vermiglia, • * '
odSs. Cr. Virg,, Georg. II, 81 « seg.: •Bxìt
ad ea^nm ramis felidbos arbor Mirator-
q«t Doras frondee et non sna poma. » AI.
Bixx»s ALLA TBERA, lezione ohe il Moo-
nr, OHf.» 278 e eeg. trovò in soli 6 dei 240
c«4d. da lai esaminati. Cfr. Z. F., 16 e
Mf. Vbdb lemero Lan,, Cam., Boec.,
ifeav.. Bwti, Serrav., Barg,, Veli., Qdli,
Dan., OaH., eoe.
115. MAL BKMK : gli empi, ora dannati.
110. DI quKL LTTO : giù nella barca.
117. CKSSi : di Caronte. - come auqrl :
Yirg., Aen., VI, 309 e seg.: « Qoam molta
in aflTis aotnmnl frigore primo Lapsa
eadnnt lolia aat ad terram gnrgite ab
alto Qoam malte glomerantnr area ». ~
* Qoi fa la eimiiitadine dell' ncoelfatore
die tieiiSama lo aparviore con V uooel-
fino, e k> iSiloone oon V alia delle penne,
e Taatore eoi pollastro, e ciascnno oon
qael, di cbe V neoello ò vago » ; Bufi.
118. BBUHA: Tirg., Aen. V, 2 : « flootus-
qoe eCroa aquilone secabat».
120. MUOYA acHlKRA: mnoioDO In terra
ia Biedla ogni minuto 50 persone, le qnali
non Tanno tutte a casa del diavolo. Se
dsnqoe doraoite il tragitto si adnna nuo-
va 9ddera, quel tragitto deve dorare al-
copi Minati.
121. FiGLiuoL : adesso Virgilio rispon-
de alla domanda di Dante t. 72-75.
122. nsll' ira : fuor della divina gra-
da, rimanendo impenitenti sino agli
estremi.
124. LO BIO : AI. DKL BIO.
120. Bi VOLOB : si mata. - Disio : di al-
lontanarsi quanto più possono da quel
Dio, ooi bestemmiano ed odiano.
127. buoma: anima viva, v. 88, non
dannata.
139. BUONA : significa. Dal cruccio di
Caronte puoi arguire che sei destinato
alla salvazione.
130. QUKBTO : le parole di Virgilio, v.
121-129. - BUIA : « perchè ìtì non ha nò
sole né stelle ; e ancora buia per la oscu-
rità de' peccati »} An. Fior.
131. TREMÒ : cfr. Matt. XXVm. 2. Inf.
IX, 84 e seg.
132. MENTE: memoria; primo caso. Il
solo ricordarmi dello spavento aruto mi
fa ancor adesso sudare.
183. LACRIMOSA : cfr. V. 68, 107. - DIE-
DE: spirò. Si credeva che il terremoto
fosse prodotto da aria serrata nelle vi-
soere della terra.
134. BALENÒ: sfolgorò a guisa di ba-
leno. Credettero gli antichi, ohe le esa^
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32 [CBRCH. PRIMO] Inf. IH. 135-136 - IV. 1-2
[LA località;!
136
La qua! mi vinse ciascan sentimento ;
E caddi come l'uom cui sonno piglia.
lazioni fHgide della terra fossero cagione
del vento, e che innalEandosi e Incon-
trandosi nelle nobi generassero i lampi
e i taoni. Cfr. Oic., De divinat. I. II, n. 44.
Purg. XXI, 66 e seg. Jnf. IX, 67 e seg.
135. MI viKSR : mi fece perdere tntti i
sensi.
13C. CADDI: VoeeMo ruotato (LY, 4)
presuppone nn sonno di qualche dnrata.
Svegliatosi Dant« si trova sull'altra riva
dell'Acheronte. Como vi arrivò f jyaìButi
In poi è opinione comune, che durante il
sonno il Poeta fosse condotto all'altra
riva da nn angelo, opinione che dicono
confermata dal passo tutto simile Ir^.
IX, 64 e seg., come pure dal passo Purg,
IX, 62 e seg. Ma nel primo passo l' an-
gelo è menzionato espressamente; nel
secondo si racconta come Lucia traspor-
tò in alto il Poeta durante il suo sonno.
Perchè in questo luogo non si fa la mi-
nima menzione di un angelof Non si ha
piti che vento, baleno e tuono, ma non
un solo attributo degli angeli. Vera-
mente, sulle prime Caronte si rifiutò di
tragittare II Poeta, ma si acquetò poi,
udite le parole di Virgilio; ed i versi 97-00
finno supporre che in fotti lo tragittasse.
Se, dopo aver detto che Caronte si acquo*
tò, Dante avesse voluto accennare ad un
passaggio diverso dall'ordinario, operato
I>er mezzo di un Angelo, dovremmo ve-
ramente aspettarci qualche cosa di pih
che terremoto, vento, baleno e lo stor-
dimento del Poeta. Allegoricamente,
Oiov. III, 8 : « n vento spira dove vuole ;
e il suono ne odi, ma non sai d'onde ven-
ga, nò dove vada : così avviene a chiun-
que ò nato di spirito ». Il Poeta descrive
qui i primordi della sua nafcUa di spi-
rito. -CUI SONNO : Al. CHE IL SONNO ; Cfl",
Z. F., 18.
CANTO QUARTO
CERCHIO primo: il limbo
INNOCENTI, PATRIARCHI E UOMINI ILLUSTRI
(Non hanno pene positive, ma solo privazione della beatitudine)
Rnppemi l'alto sonno nella testa
Un grovo tuono, si ch'io mi riscossi
y. 1-24. Za loeaUtiL Un greve tuono
che viene dall' abisso, su la cui proda i
due viandanti si ritrovano, sveglia il
Poeta dal suo profondo sonno. Si gnarda
attorno, e si accorge di essere noti' In-
forno. Confortato da Virgilio, che non sa
nascondere il proprio turbamento, pro-
segue il viaggio, e si trova nel primo cer-
chio infernale, ossia nel Limbo. Dei duo
Limbi degli Scolastici, limbui it\fantum
e 2. patrum (cfr. Thom. Aq„ Sum. theol.
P. III, Buppi., qn. LXIX, art. 1 e aog.;
art. 6), Dante fece un solo, ponendo al di-
sopra il vestibolo degl' ignavi, che è saa
creazione originale. Per la topografia del
Poema rimandiamo una volta per tutto,
tra i tanti, al lavoro già citato dolio
AgneUi, Topo-eronogrtufia del viaggio
Danteteo, con XV tavoìé, Milano, 1891 ;
per r Interpretasione cfr. BoUagitio, Il
Limbo DanUteo. Stiidi filotofiei e letu-
raH, Padova, 1898.
1. ALTO: profondo; « sopor altos»;
Vinj., Aen. Vili, 27.
2. Tuoxo: il rumore infernale, tuono
d'injinUi guai, v. 9. Cosi An. 8el,, Buti,
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pSaOBXO PBIXO]
IKF. IV. 8-2
[LA LOCÀLlTl] 83
Come persona che per forza è desta;
E l'occhio riposato intorno mossi,
Dritto levato, e fiso riguardai
Per conoscer lo loco dov' io fossi.
Vero è che in sa la proda mi trovai
Della valle d'abisso dolorosa,
Che tuono accoglie d' infiniti guai.
Oscnra, profonda era e nebulosa
Tanto, che, per ficcar lo viso al fondo,
Io non vi discemeva alcuna cosa.
€ Or discendiam quaggiù nel cieco mondo ! »
Cominciò il poeta tutto smorto :
€ Io sarò primo, e tu sarai secondo. »
£d io, che del color mi fui accorto.
Dissi: < Come verrò, se tu paventi,
Che suoli al mio dubbiare esser conforto ? »
Ed egli a me: € L'angoscia delle genti
Che son quaggiù, nel viso mi dipigne
i». Fior,, Serrav,, Tal., Omft,, Dan,,
Lomò., BÙg., Jiot$,, Tom,, Corner,, Oank-
fir Berth., PoL, eco. Molti non daimo to-
roaa cpiegaEioQe di questo passo (Lan.,
OtL, Pttr. Data,, OtU9., Benv., VéU„
€dX, r«a., Oes., Br. B., Frat.. Andr,,
C^rm,, eoe.); lae, Dani,: «Il trono di
tatti i pechatti ». H Boce. mostra ohe nn
▼ero tooDO non pnò aver luogo nell' In-
ferno, poi contìnua : « Per che aseai chia-
ro ptùito apparerò, T autore per qaeeto
ta«M> intendere altro che quello che la let-
teca mona > .~FaÌ90 Boee.: < I detti de' savi
e Talenti hnomini» . - Land. : * La grazia
di Dio». Aitai intendono di un vero tuono
saoeeeao al baleno accennato C. m, 134,
»: « La campagna infernale ai
I terribilmente, un baleno vormi-
^&a eoica qo^l* aere tenebroso, il Poeta
cade flkori dei sensi, Y angelo discende,
lo pi^ia tra le sue braeda, lo porta di
là dafl' Acheronte e scompare prima che
il fragore del tuono lo risvegli ». Cosi
Bambgi,, Puedanti, Maxz., ecc. Ma, si
è già oeserrato. di un angelo e di nn
vero tuono Dante non dice sillaba ; e se'
l'occblo ano potè riposarsi, il suo risve-
0» non Ita oerto così presto. Inoltre si
■tonta a credere che Dante usasse la Tooe
(Mao in .un senso, e sette Tersi dopo in
S. — Di9, Ctomm., 4^ edlz.
un altro. Cfr. ArUona-Travérti, Il greve
tuono DanUteo, CittÀ di CasteUo, 1887.
6. LEVATO: era caduto, III, 186, ed
aveva dormito, v. i, tanto, che 1* occhio
suo avea potuto riprendere la capacità
visi vs, perdutasi all'improvviso balenare
della luce vermiglia.
7. VBBO È: fatto sta. - proda: orlo,
come In/. XXXI, 42.
9. TUOHO: il firastuono infernale, già
accennato nel v. 2.
11. PKB FiccAB: per quanto fissassi gli
occhi al fondo.
12. ALCUHA : Al. DIBCBRNBA V£BUNA.
la. CIBOO MONDO : l' Inferno, privo di
lucej cfr. Inf. X, 58; XXVH, 25, ecc.
MaU. Vni, 12; XXn, 18; XXV, 30.
Sapiem. XVII, 20. Giuda v. 6-13.
15. PttlMO : < hoc dioit, quia Virgilius
primo descrtpsit latine istam materiam,
et etiam quia ratio semper debet prio-
cedere » ; Benv.
16. COLOR : smorto. - accosto : r oscu-
rità impediva il veder chiaro.
18. SUOLI : lo aveva confortato nella
selva, I, 91 e seg.; nella costa, quando
dubitava d' intraprendere il viaggio, II,
43 e seg. ; all' entrata della porta. III,
19 e seg. : dirimpetto a Caronte, III, 127
e seg.
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34 [CERCHIO PRIMO]
Inf. IV. 21-39
[INNOCEKXJ
22
25
28
31
34
37
Quella pietà che tu per tema senti.
Andiam, che la via lunga ne sospigne ! »
Cosi si mise e cosi mi fé' entrare
Nel primo cerchio che l'abisso cigno.
Quivi, secondo che per ascoltare,
Non avea pianto mt^he di sospiri,
Che l'aura etema facevan tremare ;
Ciò avvenia di duol senza martiri
Ch'avean le turbe, ch'eran molte e grandi,
D' infanti e di femmine e di viri.
Lo buon maestro a me: « Tu non dimandi
Che spiriti son questi che tu vedi ?
Or vo' che sappi, innanzi che più andi,
Ch' ei non peccaro ; e s' elli hanno mercedi.
Non basta, perchè non ebber battesmo,
Ch'è parte della fede-che tu credi;
E se furon dinanzi al Crìstianesmo,
Non adorar debitamente Dio ;
E di questi cotai son io medesmo.
21 . PIETÀ : più giù illecita ; qui no, per-
chè il cerchianon è abitato da maln^;
oft-. Della Torre, La pietà nell'Inferno
Dantéico, Mil., 1893. -sbmti: interpreti,
gindichi, credi ohe aia timore.
22. B08PI6NE: ad affrettarci.
23. cosi: cosi dicendo. -81 mise: en-
trò primo. Al. MI MISE; SI MOSSE, eco.
Cfr. Moore, OrU., 279.
T. 25-45. Gli innocenti. Sono nel
Limbo, dove non hanno luogo pene posi-
ti ve, ma soltanto negative: privazione
della beatitudine, quindi sospiri e dolori
senza martiri. Qni torbe molte e grandi
di morti senza battesimo, non per altro
osci osi dal cielo, che per mancanza di
fede. Sant'Agostino: e Ci creasti, o Dio,
a te ; ed inquieto è il cuor nostro, flnehò
riposi in te». Nel mondo di ìk questa
inquietudine è etema. Chi non consegni
il fine suo nel tempo, nell' eternità non
lo consegne più.
25. 8B0OBDO CHE : per quel che si po-
teva giudicare all'ulto. Vedere non si
poteva, essendo troppo oSonro.
26. ma'che : più ohe ; lat. magie quam ;
spagn. mae que. Al. piahto o mal che;
cfr. Z. F., 19 e seg. Betti, I, 24.
29. MOLTE: molte le turbe, ed ogni
turba grande, comprendendo ognuna di
esse grandissima quantità di anime. Al.
ch'ebam molto gbakdi; cfr. Z. F., 20
e seg.
80. INFAHTI : bambini morti senza bat-
tesimo. - yibi : nomini.
33. AKDI : vada. «In luogo di vo, vai, va
gli antichi diceano andò, andi, anda » ;
Dan.
84. MOir FBOCABO: attualmente.- msb-
CEDi : meriti, cioò di buone opere.
86. PARTE : Al. POETA. Per questa se-
conda lesione si fk valere, ohe U batte-
simo è àetto janua eaeramerUoruìn, lia
non janua Jldeil Dicono inoltre, che la
fede de* cristiani non ha diverse parti.
Ma diversi artiooli ! « Gli articoli deUa
fede son dodici, de' qaali dodici ò il bat-
tesimo uno > ; Boee. - « Il battesimo è uno
degli articoli della fede »; i4n.A'or.-« Bap-
tiamns est artionlns fidei, et per oonse-
quens pars * ; Benv. Un poeta moder*
no avrebbe probabilmente scritto por-
ta-, secondo la gran maggioransa dei
oodd. e dei comm. antichi. Dante soris-
ee parte. Sembra anzi ohe neesnn ood.
abbia porta ,• cfr. Moore, Orit,, 26, nt.
86. Bnciel. 1546 e seg.
88. debitamente: non avendo creduto
in Cristo venturo; Por. XXXH, 24.
Cfir. €Hov. XIV, 6. Atti IV. 12.
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(CBCHio PBnco] Inf. iy. 40-59 [discesa di cristo] 85
« Per tai difetti, e non per altro rio,
Seme perduti, e sol di tanto offesi,
Che senza speme viverne in disio. »
43 Gban daol mi prese al cor, quando lo intesi.
Però che gente di molto valore
Conobbi che in quel Limbo eran sospesL
40 € Dimmi, maestro mio, dimmi, signore, >
Comincia' io, per voler esser certo
Di quella fede che vince ogni errore;
«9 « Uscicci mai alcxmo, o per suo morto
0 per altrui, che poi fosse beato ? »
E quei, che intese il mio parlar coverto,
33 Bispose: € Io era nuovo in questo stato,
Quando ci vidi venire un possente,
Con segno di vittoria, incoronato.
35 Trasseci V ombra del primo parente,
D' Abel suo figlio, e quella di Noè,
Di Moisò legista e ubbidiente ;
5H Abraàm patriarca e David re,
Israel con lo padre e co' suoi nati
49. Dipvrn : maneaosa di battadmo e noaoeya qoando discese agl'inferi, quindi
a debita adorasfone di Dio. -rio: reità, non lo nomina. Del resto Dante circo-
eolpa; cfr. Pwrg. VII, 7 e seg., 25 e s^. scrive costantemente nell'In/, il nome
41. B SOL: AI. o SOL; cfr. Z. F., 22 di Cristo, e per la gran rlverensa a tal
e »tf^ai\f., Shid.f 146 e seg. nome, e per non mescolarlo con le lor-
42^%xzA fiPKMB: danqne la loro con- dorè dell' Inferno.
dìxkHw è etema, né ponno sperare di 6i. con ssoiro : « Coronato come re,
renìre, quando che sia, alle beate genti. con palma che significa Tittoria, e col
V. 46-03. JHtla disseta di Cristo gonfìilone della croce che significava che
oj^lA/eri. T'ondandosi sopra qualche avea trinnfttto in salla croce, del dimenio
I senttorale, come I, Pietro III, nostro avversario » ; BuH.
18 e seg., la Chiesa insegna che, nell* in- 56. piakntb : Adamo.
t«rvaUo di tempo tra la morte e la ri- 57. ubbidibntb : benché legislatore del
«trreziooe. Cristo discese giù nel Limbo sao popolo, ta egli stesso ubbidiente a
ad aanmidare la libertà alle anime dei Dio, onde il sno epiteto di $enm9 Do-
p^iddl'antioo Patto, colà ritenute. Dante mini; ctt. Jotuè I, 1, 2, 7, eoo. Alcuni
eogDfi Toocastone di farsi oonformare da leggono :
Vk^ la VOTità di qnesU dottrina. Cfir. ^,^ Moi.è legista ; e V nbbMIsnte
Ehidd., 64.2%om. Aq., Oomp. theol e. 285. Abraàm patriarca,
4S. FKDB: cristiana.
40. lacioci : asd di qui, del Limbo. rammentando l' abbidlenEa di Abramo,
Al. L'SCUIBB. qnando si mostrò pronto a sacrificare
51. COTBSTO: aTendo accennato a Cri- l'nnioo figlio. Ma tal lesione, oltre al-
ito iSBxa nominarlo. l' essere sprovvista di autorità di codd.
SS. Buovo : vi si ritrovava da oltre e comm. antichi, distrugge la bella an-
eisiiosnt'aani, essendo morto il 22 set- titesi del verso,
tembre dell' anno 19 a. C. 60. Ibràbl : GHacobbe. -padre : Isacco.
51. VX FoeeEBTB: Cristo. Hon lo oc- -bati: figli.
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3EBCHI0 PBIMO]
iNF. lY. 60-76
[I SOMMI POKTlJ
E con Rachele per cui tanto fé',
Ed altri molti; e feceli beati.
E vo' che sappi che, dinanzi ad essi,
Spiriti umani non eran salvati. »
Non lasoiavam l'andar perch'ei dicessi, w^^iA^
Ma passavam la selva tuttavia,
La selva, dico, di spiriti spessi.
Non era lunga ancor la nostra via
Di qua dal sonno, quand'io vidi un foco
Ch'emisperio di tenebre vincia.
Di lungi v' eravamo ancora un poco,
Ma non si, ch'io non discernessi in parte
Che orrevol gente possedea quel loco.
« 0 tu che onori e scienza ed arte, , r^^ , ,
Questi ohi son, o' hanno cotanta dfr'anza, fj'
Che dal modo degli altri li diparte ? >
E quegli a me : € L' curata nominanza
IKTO : servi i)er lei sette anni, e
laovo sette ; ofr. Oeneii XXIX,
17, 30.
LVATi: DOD entrayano nel Para-
taso, secondo la teologia del me-
dalla cadata di Adamo alla mor-
risto; cf^. Elucidar., 64. Thom.
m. th. P. Ili, Qa. 69.
-105. I Bommi poeti. Par par-
ontinnano il loro viaggio. Poco
1 luogo, dove Dante si era adder-
ai!, 136; IV, 1), egli vede nn
e, vincendo le tenebre infernali,
in forma di emisfero nna parte
t>o. È la Ince dell'aroana ragione,
30 le tenebre dell'ignoranza ; ma
senza fede, onde la luce non viene
, ma dal basso. La Ince che viene
>, è il simbolo del lame della ri-
e; la Ince che viene dal basso
l^gia il lame dell' omana ragione,
faoco non ò beatificante ; ò nelle
igioui, nell' Inferno I Qaoirerai-
ischiarato dal taooo è oocapato
0 onorevole, che lasciò nella vita
nominanza. Compariscono qaat-
mi poeti che salutano Virgilio e
ante della loro schiera. Il Poeta
con ciò la coscienza del proprio
nò egli si ò ingannato.
CR88I : desinenza antica, per di-
lenohè Virgilio ra^ouasse i
65. BELVA: calca di spiriti.
68. DAL BOHMO: dal sito ove io dormii.
Così il più dei codd. e degli antichi. Al.
DI QUA DAL SONO, prendendo sono per il
greve tuono del v. 2 ; dunque : di qua dal
luogo, dove fai risvegliato dal grreve
tuono. Al. DI QUA DAL SOMMO, Spiegando:
Di qua dalla sommità della valle d'abis-
so, ossia dalla proda su cui mi trovai
svegliato; cfr. Moore, Orii., 279 e sog.
69. VIKCÌA: vinceva ; superava e fugava
le tenebre infernali in quella parte. Così
i pih. Lornb, vuole che vinda derivi dal
lat. vtnctre » circondava.
70. LUNGI : da quel ftaoco. « Dicit in ge-
nerali qood cognovit a longe praarogar
tivam honoris, qua gaudentisti^ ; Benv.
71. D18CEHMBSSI : al loro contegno, al-
l' aspetto, al loro essere in disparte.
72. OBBKVOL : onorevole. - possbdea :
occupava quell' emisperio illuminato dal
ilioco.
73. ONORI: Colla tua opera eminente-
mente scientifica, dettata in una forma
eminentemente artistica.
74. ORBANZA: onoranza, onore. Non
sono nelle tenebre.
75. DIPARTE : distingue dalla condizio-
no degli altri abitatori delle regioni in-
fernali, i quali tutti sono privi di luce.
76. OMBATA : onorata - j^'OMINAnza :
fama, riputazione.
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I [enei
[cncsio reno]
iNF. ly. 77-94
ti SOMMI POITI] 87
Che di lor suona su nella tna vita,
Grazia acquista nel ciel, ohe si gli avjfówuV /-^^
Intanto voce fu per me udita:
< Onorate l'altissimo poeta!
L'ombra sua toma, ch'era dipartita. >
Poi che la voce fu restata e quota,
Vidi quattro grand'ombre a noi venire ;
Sembianza avevan nò trista nò lieta.
Lo buon maestro cominciò a dire :
« Mira colui con quella spada in mano,
Che vien dinanzi a' tre si come sire :
Quegli ò Omero poeta sovrano ;
L'altro ò Orazio satiro ohe viene;
Ovidio ò il terzo, e l'ultimo ò Lucano.
Però che ciascun meco si conviene
Nel nome che sonò la voce sola,
Fannomi onore ; e di ciò fanno bene. »
Cosi vidi adunar la bella scuola
n. rrtà.: nel mondo dei Ttrenti.
TB. ATXHZA : dà loro TMiteggio ; dittln-
Pa. «Isti hftbflfDt meroedem saam, qnla
potianae feoenmt opera scieiitife et vlr-
<*tb piropter famam et glorlam, et illam
^^ habent • ; Benv. - < Dlcont theologi
^H lieet quia in mortali peccato dece-
àu, tamea si allqna bona feoerit, lioet
^aiat ad Inlbniam, tamen propter l>ona
ian fiicta minorantnr ei pcenn • ; Petr,
DnL
'9. DTTAJrTO : mentre Virgilio cosi par-
erà meco. ' TOCV: non di tatti insieme,
^ in tal caso avrebbero detto onoria-
^. ma di ano della brigata, ohe volge
^ parola agli altre tre poeti, dicendo :
T^ma VirgiHo ; onoratelo t
^. DiPASTiTA : per soccorrere Dante,
fa/. II, 52 e aeg.
82. quitta: < costata la voce, qneto il
*«mo di lei » ; Tom.
U, OMBKE : dei poeti che per Dante
enao sommi. Omero e' non lo eonoecera
<^e di nome, non sapendo di greco {Conv,
U, 15) e non essendone i poemi ancora
^r»iotti (Omv. I, 7). Orazio, Ovidio e
Ucaao gli erano fiimigUari.
H. TBiBTA : non soAreodo dolori poai-
^Tl-LTSTA: non eesondo l>eati. -« Pro-
^ è atto di savio non si rallegraro
troppo delle cose prospere, nò torbarsi
dello avverse ^ ; An. Fior.
86. SPADA : per aver cantato le armi.
Nel bassorilievo greco dell' Apoteosi di
Omero, l'Iliade ò figurata in sembianea
di donna tenente una spada in mano.
FO. BATIKO: scrittore di Batire.
00. ULTIMO : avendo scritto piuttosto
nna gozzetta in versi che nn poema.
«Accepit Dantes tres insignes poetas
latinos in triplici stilo, Horatiom in sa-
tira, Ovidiam in comedi», Lncanam in
tragedia > ; Benv.
91. 81 COKYIRHK : ò Ugnale a me nel
nome; olascano è poeta come me.
02. BOLA: di uno dei quattro. Al.: pro-
ferita nello stesso tempo da tatti, sì che
parea che fosse nna sola. Ma < aocioccbò
la voce di tatti fosse sola, ò da far ra-
gione che le quattro ombre si dessero il
cenno di incominciare tutte insieme, od
a tempo di musica proferissero ad alta
voce il verso onorate ValtUiimo poeta ;
altrimenti la voce non sarebbe stata sola
e intelligibile, ma un guatxabaglio e un
frastuono da non cavarne ccntrutto > i
Fai\f., 8tud. 41 e seg. Cfr. nt. al v. 7».
93. BKNB : onorando in me l' arte e la
scienza, e mostrandosi scevri da ogni
invidia.
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88 [OBBOHIO PBIMO] InF. lY. 95-113 [IL NOBILE Cìl8TXL£«0
97
100
103
106
100
112
Dì quei signor dell' altissimo canto
Che sovra gli altri com' aquila vola.
Da ch'ebber ragionato insieme alquanto^
Volsersi a me con salute voi cenno;
E il mio maestro sorrise di tanto:
E più d'onore ancora assai mi fenno,
Ch'essi mi fecer della loro schiera.
Si ch'io fui sesto tra cotanto senno.
Cosi n'andammo iniino alla lumiera,
Parlando cose che il tacere è bello,
SI com'era il parlar colà dov'era.
Venimmo al pie d'un nobile castello,
Sette volte cerchiato d'alte mura,
Difeso intomo d'un bel fiumicello.
Questo passammo come terra dura;
Per sette porte entrai con questi savi ;
GHugnemmo in prato di fresca verdura.
Genti v'eran con occhi tardi e gravi,
Di grande autorità ne'lor sembianti;
95. QUEI : oinqoe poeti. Cosi 1 più e mi-
gliori codd. e comm. anticlii. AI. quel,
intendendo ohi di Omero, chi di Virgilio.
Ma Orasio ed Ovidio non appartenevano
alla scaola di Omero, né questi alla
sonola di Virgilio. Cfir. Moore, Orit.,
280 e seg.
96. CHE : il qua] canto. < Siont enim
aquila volat aitine, et videt acntlns Inter
aves, ita isti ascenderunt altins, et vide-
ront snbtilins Inter poetas; > Benv.
97. RAGIONATO : i quattro chiedendo, e
Virgilio rendendo conto di Dante.
08. CBXNO: salutandolo qual loro col-
lega.
09. BORfiiSB : mostrando piacere. - di
TANTO : dell'onore fattomi da quei poeti.
102. BB8T0: loro pari. Profezia avverata.
103. LUHIERA: Incedei fhoco sopradetto.
104. BELLO: perchè dicendolo dovrebbe
lodare so stesso; of!r. Conv. I, 2.
105. ERA : bello. - DOV' ERA : dove il
parlare si faceva. AI.: Dove io mi ritro-
vava.
V. lOe-lU.HeastelUidel JAmbo, Ar-
rivano a piò d' un castello, simbolo della
sapienza nmana, o fors' anche del tempio
della gloria. H castello ò cerchiato sette
volte da alte mura, simboli delle eette
virtù, cioò delle morali : pmdensa, ^a-
stizia, fortezza e temperanza, e delle spe-
culative: intelligenza, scienza e sfq»ienra.
Secondo altri le mura figurano le sette
parti della filosofia: fisica, metafiaica,
etica, politica, economica [che oggidireb-
besi economia], matematica, sillogistica.
Esso ò difeso da un bel fiumicello, sim-
bolo probabilmente dell'eloquenza, con
che le sette virtù si insegnano e si per-
suadono, ofr. Iiìf. 1, 79-80. Passano il fio-
micelio a piedi asciutti, ohe ai grandi e
nobili ingegni non occorrono eloquenti
persuasioni per fax loro esercitare le virtù
suddette. Entrano por sette porte, le
sette arti liberali del trivio e quadrivio :
grammatica, dialettica, rettorica, mnsi-
ca, aritmetica, geometria ed astronomia.
Giungono in un prato verdeggiante, di-
mora degli spiriti magni dell' antichi tÀ.
106. NOBILE: la sapienzanobilita l'uomo.
109. DURA : asciutta.
HO. SETTE: ognuna delle sotte mura
aveva la sua porta.
111. FIUTO: « similiter Virgilius i40n.
VI, et Homerus Odp*. XI, fingunt viros
Ulustres etare in prato virenti » ; Benv,
112. TARDI E ORAVI: cfr. Purg, VI, 08.
Proverbi XVII, 24.
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1^
temano nmoiì
Uff. nr. 114-130
tiBOi] 30
US
121
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ÌX7
ISt
Parlavan rado, con voci soavi.
Traemmooì cosi dall' on de'oanti
In loco aperto, laminoso ed alto,
Si che veder si potean tatti qoanti.
Colà diritto, sopra il verde smalto
Mi ior mostrati gli spiriti magni.
Che del vederli in me stesso n'esalto.
Io vidi Elettra con molti compagni,
Tra' qnai conobbi Ettore ed Eaea,
Cesare armato con gli occhi grifagni.
Yidi Cammilla e la Pentesilea
Dall'altra parte, e vidi il re Latino
Che con Lavinia, saa figlia, sedea.
Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
Lucrezia, lulia, Marzia e Comiglia,
E solo in parte vidi il Saladino.
Poi che inalzai un poco più le ciglia.
114. KADO ; eoma ri conviene al mtìo;
efr. OoH9. rV. 3. FraverH XVn, 27 ;
Ixix, 90. - SOAVI: piene di gnudA, ofr.
BeeUt. X, 12.
V. 116-129. GU er^U I sei poeti ai riti-
me d* un leto, donde non era impedito
fl vedere, e H sono mostrati a Dante gli
■piriti magni di qne' che cooperarono alla
fandatione dell' impero romano, come
pure n Saladino in disparte, non avendo
SgU ehe £are coli' impero romano.
118. DIBITTO: direttamente, di contro.
-SMALTO: del prato.
120. D«. VKDRBU: d'averli vedati. -
s'esalto: me ne compiaccio.
131. Elcttka; flglioola d' Atlante, ma-
dre di Dardano, fondatore di Troia, cfr.
Tirg., Am. Vin, 134 e seg. JDtf Jfon. U,
3. -OOMPAOXI: « Troiani, discendenti di
lfli« tea' qoali Ettore ed Bnea, l' ono di-
fènaore di Troia, l'altro portator dell' im-
paro in Italia. Però da Bnea salta a Ce-
sare»; IV>«».
123. osTFAGHi: brillanti, penetranti.
Brvn. Lat., Tes, V, 11 : < Grifkgni aono
qaeOi necelU.... che hanno gli occhi rossi
some Akmso».
124. CAMjnLLA : cfr. Inf. 1, 107. e nt. -
PtBTXSlLKA : regina delle Amazzoni vin-
ta da Aohnie ; cfr. Virg., Aen, 1, 4fK) e seg.
126. Latoio: re del Lado, snocero di
Enea; cfr. Yirg., Am. VII, 45 e seg.,
268 e aeg.; XI, 203 e seg.
126. Lavinia: moglie d'Enea; cfr.
Virg., Aen. VI, 7M j VII, 72, ecc. De
Jfon. II, 3 : « Lavinia.... Albanorum Bo-
manommqne mater, regia Latini Alia pa-
ritor et beres».
127. Bruto : Lucio Ginnio Bmto, pri-
mo console, Conv. IV, 6, da non con-
fonderai con Marco G Ionio Broto, l' ao-
cisore di Cesare, che è laggiù in bocca a
Lncifero. Inf. XXXIV, 35. - Tabquiho :
Tarquiniue Superbite, nlUmo re di Roma.
128. Lucrezia : la pndica moglie di Col-
latino, violata da Sesto Tarqninio. - lu-
LIA: figlia di Giulio Cesare, moglie di
Pompeo. - Marzia: moglie di Catone,
cfr. Purg. I, 79 e seg. Conv. IV, 28, -
CoRMiGLiA : Cornelia, figlia di Scipione
Africano e madre dei Gracchi ; cfr. Par.
XV. 129.
129. BOLO : o perchè estraneo alla fedo
degli altri, o forse perchè senxa prede-
cessori né successori che gli somiglias-
sero. - Saladino : sultano di Egitto e di
Siria, n. 1137, m. 1198, celebre per la sua
virtù e generosità; cfr. Ckmv. IV, 11.
£oce., Decam, I, 8; X, 9.
V. 130-151. I flloBofi. Vede pih oltre
gli uomini di scienza, ed enumera prima i
filosofi teoretici, poi i savU di storia natu-
rale, quelli d'eloquenza e quelli di medi-
dna. Danto e Virgilio lasciano quindi gli
altri quattro, e continuano il loro viaggio.
Per piti ampie notisie delle persone qui
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40 [CERCHIO PRIMO] INP. IV. 181-151 [FILOSOITj
Vidi il maestro di color che sanno
Seder tra filosofica famiglia.
133 Tutti lo miran, tutti onor gli fanno:
Quivi vid'io Socrate e Platone,
Che innanzi agli altri più presso gli stanno;
136 Democrito, che il mondo a caso pone,
Dìogenòs, Anassagora e Tale,
Empedoclès, Eraclito e Zenone;
139 E vidi il buon accoglitor del quale,
Dioscoride dico; e vidi Orfeo,
Tullio e Lino e Seneca morale.
142 Euclide geometra e Tolommeo,
Ippocrate, Avicenna e Galìeno,
Averrois, che il gran commento feo.
145 Io non posso ritrar di tutti appieno,
Però che si mi caccia il lungo tema.
Che molte volte al fatto il dir vien meno.
148 La sesta compagnia in due si scema :
Per altra via mi mena il savio duca,
Fuor della quota, nell'aura che trema;
151 E vengo in parte ove non è ohe luca.
nominate ofr. i relativi articoli dell'IP- VI, 67. Al. Livio, Alino, errori ©vi-
cidopedia. denti. Ctr, Moore, Orit., 282 e seg.
131. MAESTRO : Aristotele, « il maestro 142. Tolommko : il celebre geografo ed
della umana ragione » ; Conv. IV, 2 ; ofr. astronomo.
IV, 6, 17, ecc. 143. Ippochatr: medico greco. - Avr-
133. lo miran : cosi il piti dei codd. e cknna : medico arabo. - Galibno : me-
com. ant. AI. l'ammiran. dico di Pergamo nell'Asia minore.
135. riù PKRSSO : essendo dopo Aristo- 144. Avicrroìs: filosofo arabo, celebre
telo i più eccellenti filosofi. commentatore di Aristotele.
136. Democrito : di Abdera, che inse- 146. ritrar : raccontare. - tutti : co-
gnava il mondo essere stato fatto a caso loro che io vidi colà.
pel cieco concorso degli atomi. 146. caccia : spinge, sprona. Tante
137. DYOOKNÈ0 : Diogene, il celebre ci- coso ho da dire, che tntte non posso,
nico di Sinope. - Anassagora : di Clazo- 147. vikm meno : non potendosi eaten-
mene, il celebre maestro di Pericle. - dere a tutto l' aocadato.
Tale : Talete milesio. 148. sesta : di sei : Omero, Orasio, Ovl-
138. EMPKDOCLàs : d'Agrigento, autore dio, Lucano, Virgilio e Dante. - scema :
di un poema su la natura 0 su i principii i quattro primi restano nel loro sito ; 1 due
delle coso. - ERACLrro: d'Efeso. -Zb- ultimi continuano il viaggio.disoendendo,
none : da Cizio ; stoico. sempre a sinistra, giù nel basso Infòmo.
139. QUALE : delle qualità delle erbe e 140. altra: diversa da quella percorsa,
delle piante. 150. trema : a motivo della bufera, Ir^f.
140.I>ioscoRiDE:medico greco del l^aec V, 29 e seg.
-Orfeo: celebre musico e poeta greco. 161. luca: dove non sono abitatori
141. Tullio: Cicerone. - Lino : antico chiari per iscienea e virtù, né fuoco, né
poeta greco; ofir. Virg., Sdoff. TV, 66; astro, nò alonn'altra cosa ohe dia lume.
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BIOOHDO]
IKF. T. 1-8
[MINOSSE] 41
CANTO QUINTO
CEBCHio secondo: lussubiosi
(Travolti oontìniiainentè dalla bufera Infernale)
MIK088E, PECCATORI CARNALI, FRANCESCA DA RIMINI
Cosi discesi del cerchio primaio
Giù nel secondo, che men loco cinghia,
E tanto più dolor, che pugne a guaio.
Stawì Minos orribilmente e ringhia;
Esamina le colpe nell' entrata,
GKadica e manda, secondo che avvinghia.
Dico che quando l'anima mal nata
Gli vien dinanzi, tutta si confessa ;
T. 1-24. Minosse, il giudice déWIn-
/<ni«. Scendono giù nel Becondo cerchio.
ch« è del peccatori canSfllT. XITÒn^^
iU^Hfiiowé, n BStlO di Creta, il quale
«▼eri g^ trorato il posto» come gin dice,
leirinfìffno pagano ; cfr. Virg.^ Aen. VI,
m. Minoiae è più bestiale e diaboUco di
Canmte : sta orribilmente» ringhia, agita
osa famfft coda, con cui pnò cingersi ben
aore Tolte il corpo, quanti sono l cerchi
inCaniaU. Dante gli attribuisce per altro
00 flicoro senUmento di ginstlEia, onde
paò anegnare aoiasonn peocatorelapena
^ g^ oonTiene. Ignaro della ragione del
viaggio di Dante, Tnol farlo retrocedere,
coaie feee gi& Caronte, e come faranno
piii tardi altri demoni ; ma, adite le pa-
nie di Virgilio, si cheta e non (la altro
MDtrasto.
1. coA'.per a&ra via, non essendo più
^ in due, cfr. IV, 148 e seg. -frimaio :
prane.
2. GDMFHU: droonda, rinohinde: da
«VWaw, la*, cingere, - V Infamo dan-
t«aoo è m'iannensa voragine circolale,
la qnale, sempre restringendosi, si spro-
fonda fino al centro della terra.
3. PIÙ : 1 cerchi diventano sempre mi-
nori, i peccati sempre più gravi, le pene
sempre più acerbe. - a guaio : 8\ forte-
mente, che le anime vanno traendo la-
menti e strida; cfr. v. 48.
4. Mnvos : Mtvo)^ il mitico figlinolo
di Giove e di Europa, giusto re e legi-
slatore di Creta, sol qnale cfr. Som,, II.
Xni, 460; XIV, 322. Ody$. XI, 321 e
seg., 667; XVII, C23; XIX, 178 e seg.
Herod. in, 122; VII, 170. Thuo. 1, 4, 8.
Tirg., Aen. VT, 432. - ringhia : digrigna
i denti; cfr. Inf. XXVII, 126.
5. COLPE : delle anime. - entrata : in-
gresso di questo cerchio.
6. MANDA : nel cerchio in cui si punisce
la relativa colpa. - avvinghia : rivolge
la coda intomo a sé stesso, v. 11.
7. MAL NATA: nata per sua sventura;
cfr. Matt. XXVI, 24. Inf. ni, 103 e seg.;
XVin, 76;XXX, 48.
8. TUTTA : pienamente. Minosse sim-
boleggia la coeolenia.
litizedbyV^OOgle
42 [CEBGHIO SECONDO] InP. Y. 9-28
tlflNOSBE]
10
13
16
19
22
25
E quel conoscitor delle peccata
Vede qnal loco d'Inferno è da essa:
Gignesi colla coda tante volte,
Quantunque gradi vuol che giù sia messa.
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte :
Vanno a vicenda ciascuna al giudizio;
Dicono e odono, e poi son giù vòlte.
« 0 tu che vieni al doloroso ospizio, »
Disse Minos a me, quando mi vide,
Lasciando Tatto di cotanto uffizio ;
€ Guarda com' entri, e di cui tu ti fìde:
Non t'inganni l'ampiezza dell'entrare! »
E il duca mio a lui: € Perchè pur gride?
Non impedir lo suo ^jaigi andare :
Vuoisi cosi colà, dove si puote
Ciò che si vuole, e più non dimandare. »
Ora incomincian le dolenti note
A farmisi sentire; or son venuto
Là dove molto pianto mi percote.
Io venni in loco d' ogni luce muto,
9. coNOSciTOtt: giadioe infallibile; ofr.
InS. XXIX, 120.
10. DA: per ; si oonviene a quest'anima.
12. QUANTUNQUE : qaantì. -okadi : cer-
chi dell' Inferno.
13. MOLTB: cfir. Ifsf. Ili, 119 e seg.
14. A VICENDA : oiascnna a sua volta,
Tana dopo l'altra.
16. DICONO: confessano 1 loro peccati.
- ODONO : la loro sentenza, proferita da
Minosse, e suggellata nello strano modo
già descritto. - vòlte : precipitate da al-
tri demoni, eseca tori delle sentense di
Minosse, gih nel cerchio infernale loro
assegnato.
16. OSPIZIO t Inferno.
18. COTANTO: si autorevole e terri-
bile, di esaminare e giudicare le anime
dannate.
19. FIDE: fidi. Avendo sospeso l'eser-
cizio del suo terribile ministero, Minosse
non è qui più il simbolo della coscienza,
ma soltanto il demonio che, geloso (come
gli altri demoni) del suo regno, non vuole
che altri vi penetri e vi si aggiri, se non
è condotto dai diavoli e in loro servitù.
20. L' AMPIEZZA : cfr. ifott. VU, 18.
Yirg., Aen, VI, 126 e seg.
21. pur: anche tu, come Caronte, cfir.
IvS. Ili, 88 e seg.
22. FATALE: voluto dal destino; cfir.
InS- VII, 8 e seg.
V. 25-46. I lussuriosi in generale,
I lussuriosi, tanto coloro che peccarono
per isfogo di libidine, quanto coloro che
peccarono per debolezza, ossia per disor-
dinato amore, sono rapiti, frale tenebre,
continuamente in giro da vento impe-
tuoso, e piangono dolorosamente. Le te-
nebre figurano V offascamento dell'intel-
letto, prodotto dalla passione; il vento
impetuoso figura la tempesta e la ftiria
delle passioni e delle volubili voglie che
agitano e trascinano i peccatori carnali ;
il pianto doloroso ò la più conveniente
espressione degli amanti. Cfr. Virg,, Aietu
VI, 440 e seg.
25. ORA : « Non si dice più di Minoe,
né si dichiara come il Poeta varcasse
l'entrata; ma del suo inoltrare nel cer-
chio ci fanno fede le dolenti note e il
molto pianto»; JVaneioH.- incominciak:
nel Vestibolo e nel Limbo non vi sono
propriamente dolori positivi ; cfir. però
Jnf. III, 44 e seg., 64 e seg. - note : voci.
28. muto : privo, cfir. Irsf, IV, 161. Una
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I&IBCHIO 8XCGSDCÌ]
luF. y. 29-42
[LXI88T7BI08I] 48
Che maggia come fa mar per tempesta,
Se da"còntrari yenti è combattuto.
La bufera infernal, che mai non resta,
Mena gli spirti con la sua rapina ;
Voltando e percotendo li molesta.
Quando giungon dayanti alla ruina,
Quiyi le strida, il compianto e il lamento;
Bestemmian quiyi la yirtù diyina.
Intesi che a cosi fatto tormento
Enne dannati i peccator carnali^
Che la ragion sommettono al talento.
E come gli stomei ne portan l'ali
Nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
Cosi quel fiatogli spiriti mali :
inw qnerto termhie p«r aceennare ohe
M» Ti ai ode 1* annoniea melodia delle
■fen; efr. If^, I, «0.
'S. MUGGHIA: « riraona questo luogo,
per lo nTTolgimento delle strìda e
ie* pianti, il aaono de* quali racoolti In-
iteae flk un romore sindle a quello che
Mi didamo, che mugghia il mare ne* tem-
pi tempestosi »; BcN«.
31. Bos RS8TA : cfir. y. 96 ; o vnol dire
cfae è eteroA, benchò abbia di tanto in
tute qualche paosa ; oppure il tacere del
fatto nel T. 96 ò an' eccezione concessa
in grasia di Dante.
82. EAFDCA: fona che trascina, rapi-
triee, embolo dell' impeto della passione,
nàò l'anima fa oombattata.
n. voLTAUDO: fiftcendoli girare.
H, rdiha: Booscendimento della roc-
cia, prodotto dal tremito dell'Inferno
tU» morte di Cnsto (cfr. Ii\f. XII, 31-45 ;
XXI, 112 e seg.), per il qnale i dae Poeti
»n potati calare dal limbo nel cerchio
dei lussarìosi. Al. diversamente: «Kni-
Bs dell'altro giro, dove temono di cade-
re ». ICa dò oontradice alle leggi inyio-
Isbili dell* Inferno dantesco. Ah: « Balzo
iirnpato e irto di massi, contro coi vanno
s percotere ». Non vanno a percotere
contro massi, ma sono percossi dalla bn-
fcra. AL leggono : Ds* vknti alla buina,
«spiegano: «Alla foce onde i venti sof-
fls&o rovinosamente ». Ma la lezione è
troppo provvista di antoiità, nò il Poeta
b alcun cenno di qnesta pretesa foce.
35. QUIVI : perchè rammenta loro la
vittoria di Cristo sopra il peccato e l'In-
ferno, la qnale per essi, colpa loro, rimase
infrottnosa; perchè inoltre in dma a
qodla mina dede Minosse, e perchè qnì
la bufera infernale li voUa.
36. LA viBTÙ : « qnella terribile Onni-
potenea che mnove la bufera, onde sono
aggirati. Dopo le strida e il lamentoso
nlolato esce la parola disperatamente fe-
roce. Cod neir atto della percossa altri
mette nno strido ; pd bestemmia ed im-
preca » ; Frane.
87. HfTESi: compred, argomentando
dalla natura della pena {Serrav., Roti.),
oppure Udii dire da Virgilio (Boee., Biag,,
Maa., Poi.). Alcuni non si decidono (Br.
B., Frat., Oamer., Campi, Berth.), e gli
altri non d fermano su questo luogo.
38. KHiro : sono ; forma usata sovente
dagli antichi e tuttora vivente in To-
scana. Al. BBAic, non erano, ma tono
dannati in etemo a cod fatto tormento.
£ran pare che sia corruzione di enne.
Cfìp. Moore, Orìi., 2P3 e seg.
39. TALKMTO: passione.
40. BTOBMBi: stornelli; quarto caso. -
l'ali : primo caso. Alcuni intendono j7or-
tan Vali per Volano, « Come nella f^^da
stagione gli stornelli volano In larga e
iblta schiera, portati dalle loro ali, cod
quei cattivi spiriti portati dal vento » ;
Patt.
41. TEMPO: d'inverno. - a schirra:
mostra la foUa grande. « Quia maxima
est mnltitndo istomm jnvenam discnr-
rentium per contratas, ita qood vìx pos-
sunt vitari »; Benv.
42. FIATO : vento. - mali : malnati v. 7,
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3HI0 SECONDO] InP. V. 48-5ÌB
[LUSSUBIOSI]
Di qua, di là, di giù, di sa li mena;
Nalla speranza li conforta mai,
Non che di posa, ma di minor pena.
B come i gru van cantando lor lai.
Facendo in aere di sé lunga riga;
Cosi vid'io venir, traendo guai,
3mbre portate dalla detta briga ;{
Per ch'io dissi: € Maestro, chi son quelle
Genti che l'aura nera si gastiga? »
K La prima di color di cui novelle
Tu vuoi saper, » mi disse quegli allotta, ^^ ^^"^
« Fu imperadrice di molte favelle.
^ vizio di lussuria fu si rotta,
Che libito fé' licito in sua legge
Per tórre il biasmo in che era condotta.
ì^lPò Semiramis, di cui si legge
[ da perverto mdU, v. 03. H
gli spiriti, come le ali por-
•neUi.
L, DI LÀ : « coi snoni rotti di
bi, che l' nn l' altro s' incal-
9 La bufera irìfemal eh» mai
la CU) sono quegli spiriti per
liseramente aggirati » ; L,
132. - MSN A ! senza osservare
ed ordine. Quadro stupendo
sa dei Inssnriosi.
JJussuriogi che peccarono
trnaUtàf OMia la schiera
nide. Come risalta cliiara-
85, il Poeta dispone anche
rovo nel sao Inferno, i dan-
re, secondo la gravita del
due schiere : a capo della
di coloro che peccarono per
la, sta Semiramide ; a capo
I, ohe ò di que' che pccca-
lorc, sta la gentile e sven-
0. Virgilio lo nomina ambe-
lussuriosi antichi,
antl mesti e lugubri ; pro-
nai*, ecc.
>0: « I11(D, clangore fagaci,
s arvisqne volant : sonat
; Stat., Théb.Y, 13. - hiqa :
ino in ordine l' nna dietro al-
». - « Perciocché stendono il
essi hanno lungo, innanzi, e
inali similmente hanno lan-
ino di sé lunga riga » ; Boce.
49. BRIGA: contrasto di Tenti; la bu-
fera infernale, v. 31.
50. CHI : ma se arerà già compreso es-
ser questi i peccatori carnali, ▼. 87-89 !
O mole accennare a due schiere speciali,
cioè alle due nominate, o desidera sapere
i nomi dei singoli spiriti. H v. 52 sembra
favorire la seconda interpretazione.
51. l'aura IfBRA: Al. L'ASR NERO.
« Àcr nero ò pretto sinonimo di bufera,
che rende sempre torbido il cielo, quando
imperversa » ; Betti.
53. ALLOTTA: allora; si usa tuttora
nella campagna toscana.
54. FAVELLB: popoli parlanti diversi
linguaggi.
5G. Limxo : ciò che place, lat. libitum.-
LKGGB : « Prsocepit enlra ut Inter paren-
tes ao fllios, nulla delata reverentia na-
turo), de coniugiis adpetendis, quod cui-
QUE LIBITUM K88KT, LICITUM PIKRET»;
Paul. Orot., Eist. I, 4. Dante che avea
letto questo passo (cft*. De Mon. II, 9),
traduco quasi alla lettera.
58. SkmiramIs: Sefxtpaniq, Semira-
mide, regina dell' Assiria, regnò dal 1356
al 1314 a. C. Cflr. Herodot. I, 95. Ju-
stin. I, 2. Lenormant, La legende de
Sem. Parigi, 1877. « Fu la pih crudele e
dissoluta femmina del mondo »; 0. ViU.,
Cron., I, 2. Cfr. Encicl. s. v. - si lkgok:
presso Paolo Orosio, 1. cit.: Evie {Nino)
mortuo Semiramxtuxoreiiceesnt, le quali
parole Dante quasi traduce alla lettera
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[CItCTIO SICOITBO]
iNF. V. 59-74
[LUSSURIOSI] 45
Che BQCcedette a Nino, e fa saa sposa ;
Tenne la terra che il Soldan corregge. <^ *. ' .
L'altra è colei che s'ancise amorosa, ^y ^1,,^^^
£ rappe fede al cener di Sicheo;
Poi è Cleopatràs lussuriosa.
Elena vidi, per cui tanto reo
Tempo si volse, e vidi il grande Achille,
Che con amore al fine combattei.
Vidi Paris, Tristano»; e più di mille
Ombre mostrommi e nominolle a dito.
Che amor di nostra vita dipartine.
Poscia ch'io ebbi il mio dottor udito
Nomar le donne antiche e i cavalieri.
Pietà mi giunse, e ftii quasi smarrito.
Io cominciai : « Poeta, volentieri
Parlerei a que' due che insieme vanno,
Bel ?. seg. Tanto meno gioTAlMidAre alla
nfiMb lesione sugokb dkttb, dovuta
iSa fBBtaaia deU* AttaTanti. Cfr. Mooré,
^ 285 e aeg.
H. TKXSK : come regina. - SoU)Air: il
SaUaaa di BabUonia in Egitto. - COB-
ìbge: gorema adeeiio, oioò nel 1800.
(1. COLSI: I>idone; cfr. Yirg., Aen. I
*I7. Par. Vm, » ; IX, 97. - s'amcisb:
* aodae: cfr. Pvrg. XIV, 62, 138 ; XV,
•tfT; XVI. 12; XX, 90, 115; XXXUI,
**. Par. XVII, 32.
83. KUFPB: aveva promesso di rimaner
f^e a Sebeo anche dopo la morte di lai ,
t^À s'innamorò d'Enea, coi si diede.
(^ ClbopatsjLb: Cleopatra, la famosa
^TU d'Egitto, amica prima di Ginllo
^tart, poi di Antonio; cfr. Svei.» Aug.,
''Cu.. Ad AM., U, 20, 2. Plvt.,ArU.,2e,
'•».F<n., 2, 87.
^ SLK5A : "Ektfr\, moglie di Heno-
'« re di Sparta, rapita da Paride ; onde
•* pierra troiana. Cfr. Herodot. II, 112.
S^m,, IL m, 40 e seg., 156 e seg.. 171 e
«?,««. Ody9., IV, 260 e sog. Virg,, Aen.
^l 517 e aeg. Pawan, III, 19. -vidi:
^«^etattvo per vedi, come pure nei v.
^^ « 67. Per ignoranza di lingua alcani
^^gno VKDi. - TAXTO : i dieci anni della
mnadi Troia.
M> AL puot: s'innamorò di PoUasena
cfr. Is^. XXX, 17), e nello sposarla fb
«5010; cfr. Virf7., Aen. III, 321 e seg.
«7. Pajus: Uàpiq, 0 'AXé^avbpo^,
Paride, figlio secondogenito di Priamo,
il rapitore di Elena. CoA 1 più. Al. in-
tendono del cavaliere errante dei ro-
manzi del medio evo, amante di Vienna ;
ma costai' non mori per cagion d' amore.
- Tbistaxo : cavaliere della Tavola Ro-
tonda, amante d'Isotta, moglie di Harco
re di Comovnglia che lo acdse.
69. DiPABTiLLK : le allontanò; morirono
per cagion d' amore.
72. MI QIU5BB : mi prese. > bmaiuiito :
fai li per venir meno ; e ciò non per sa-
persi macchiato dello stesso vizio, ma,
come dice espressamente, per la gran
compassiono.
V. 73-142. Lu$suri&BÌ ehe peccarono
per amore, oeeia la editerà di JH-
doue, Riavatosi dal soo smarrimento,
il Poeta vede due spinti, che attirano
la saa attenzione, e perchè sono uniti,
e perchò mossi con maggior rapidità cho
gli altri. Desidera parlar loro, e Virgilio
gliene mostra il come. Gli sconginra per
r amore ohe si portano. Vengono subito,
e si dichiarano pronti ad adire e parlare.
I dae sono Francesca da Bimini e Paolo
Malatesta, di lei cognato e seduttore.
Francesca racconta la pietosa storia dei
saoi illeciti amori e della sua tragica mor-
to. Z lacrima anima ohe parla con Dante.
Uditane TK pTetosa sloria, egli vien me-
no per compassione, e cade come morto.
74. IN8IIUIK: « gli spiriti portati dal
vento non vanno come compagni, ma
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46 [CEBCHIO SEOOKDO] iNF. Y. 75-93
[PÀOLO E FBÀNGE8CÀ]
76
79
82
88
01
E paion si al vento esser leggieri. »
Ed egli a me: < Vedrai quando saranno
Più presso a noi; e tu allor li prega
Per qnell' amor che i mena, e quei verranno. »
Si tosto come il vento a noi li piega,
Mossi la voce : < 0 anime affannate^
Venite a noi parlar,!? altn^oT niega ! »
Quali colombe dal disio chiamate,
Con V ali alzate e ferme, al dolce nido
Vengon per l'aere; dal voler portate
Cotali usctr della schiera ov'è Dido,
A noi venendo per Taer maligno,
Si forte fu r affettuoso grido.
€ 0 animai grazioso e benigno,
Che visitando vai per l'aer perso
Noi che tingemmo il mondo di sanguigno;
Se fosse amico il Re dell' universo.
Noi pregheremmo lui per la tua pace,
Poi che hai pietà del nostro mal perverso.
seguendo l'impeto della bafsra; or gli
noi sagli altri, quasi nuvola su nuYoIa,
ora divisi e sparpagliati nell'aria a so-
migliansa di grano lanciato dal venid-
labro, or l' nno dietro all'altro; solo dne
non si scompagnano mai, quasi tenuti
stretti da un legame invisibile. Il fatto
singolare richiama l' attenzione del Poe-
ta. » Ir rane,
75. LEOoutRi: non opposero veruna
resistenza all' impeto della passione,
quindi non ne possono opi>orre a quello
del vento.
78. I MENA: li mena; i per2iocoorre
sovente in Dante.
81. altri: Dio; venite a parlarci, se
Iddio ve lo permette.
82. QUALI: cfr. Virg., Aen. V, 213 e
seg. -COLOMBE : simbolo di sincerità ; cfr.
M(Ut. X, 16, virtù ohe Francesca eser-
cita nel suo racconto, ma non esercitò
troppo nella vita sua, avendo tradito il
marito e la cognata, lei, sposa e madre.
83. ALKATS : cosi il più dei oodd. e oom.
ant. Al. APERTI.
84. VBHGOM : COSÌ 1 più ; Al. VOLAN . -
DAL VOLER PORTATE : non 8Ì riferisce alle
colombe, ma alle due anime. Le colombe
sono ehiamate dal deéio ; le anime sono
portate dal volere; le colombo con le ali
alssate e ferme vengono per l'aere al dolce
nido ; le anime vengono per l'aer maligno
a Dante e Virgilio. Cfr. Virg., ulen.V, 217.
Volendo riferire dal voler portate ade co-
lombe, come fenno i più, volere avrebbe
qui il senso di voglia, istinto, amor natu-
rale, ardore di desiderio e simili.
85. BCBIERA : particolare, che si nomina
da Dido (Didone), anima nobile che sog-
giacque a passione di cuor gentile, v. 100.
86. MALIGNO : contrapposto all'aere per
cui vengono al dolce nido le colombe, ohe
è « l'a^r dolce che dal sol s'allegra »; It\f,
VII. 122.
87. sì FORTE: tanto in essi potè il mio
pregare, v. 80-81.
88. ANIHAL: cfr. Jn/. II, 2. Purg.
XXIX, 138. Par. XIX, 85. - grazioso :
cortese, gentile.
89. PERSO : oscuro. « D perso è un co-
lore misto di purpureo e di nero, ma
vince il nero, e da lui si denomina » ;
Chnv. IV, 20.
00 .TINGEMMO: col uostro sangue sparso.
01. AMICO : a noi ; se fossimo nella gra-
da di Dio. Vorrebbe pregare, ma sa ohe
Iddio non ascolta le preghiere dei dan-
nati.
03. MAL PERVERSO : pena grave, orri-
bile. 2Mio$ lesso invece s amor pbbvsr-
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[(aBCBIO SSOOITDO]
Lrp. Y. 94-102 [paolo b fbancesca] 47
»7
IM
Di qael che udire e che parlar ti piace,
Noi adiremo e parleremo a voi,
Mentre che il vento, come fa, si tace.
Siede la terra dove nata fni,
So la marina dove il Po discende
Per aver pace co' seguaci sui.
Amor, ohe al cor gentil ratto s'apprende,
Prese costui della bella persona^ ^ >
Che mi fu tolta; e il modo ancor m'offende.
•0, iMiose dite» con buoni «rgomentì,
ftdbe ai potrebbe aoeettere, ee non tese
iprerriaCft di Mtorità di oodd. BsMh»
•nétatoneato 1* mam torgento nel oom-
awte di Bmv. Q qoale legge mal pkb-
vmo, e ehioea: « idest de qno oomp»-
tcEb »Miro awwri perverto, onine eaasa
iU imi ini nr ». I«* emore illeoito dei due
etguti Ib venmento non pare nn amore
■M hb «alt pei rei io. Del resto Dante
^pietà del loro màU, ohe egli Tede, non
U laro mmùTé, ^e non oonoeoe ancor».
U. n PIACB: Al. TI FIACB.
95. Tin : Toi ; uktioam. anche in proea.
96. TACI: Tedi qni topra, t. 31 nt.
97. TEULA: Barenna. - rata: qua] il-
fiia di Guido Minore, o il Vecchio, da
pQl«ata, il quale morì il 23 gennaio 1310.
L'aaao della naecfU di Francesca ò
ifBsCo. Verso il 1276 andò sposa a Gian-
òotte HalatesU, signore di Rimlni, ohe
4ieaBo fosse di aspetto deforme e soppo,
Bs assai yaleate. Da queste noxse Ftan-
ecsea ebbe nna flglioola di nome Con-
eorfia. Baecontano che Francesca fosse
isgaimata, credendosi di sposar Paolo,
isflaire la mattina segoente al dì delle
BOSS» si trovò essere sposa di Gfanoiotto.
Poeoprobabfle,poichèglà prima, nel 1209,
Paolo si era sposato ad Orabile Beatrice
di Gfaiaggiaolo, che lo fece padre di dae
flglfaiott, Uberto e Kargherita^Francesca
erala zfai di quel Guido NotoIIo da Polen-
ta, ptsaso coi Dante passò a Bavenna gli
iltiBi aani della soa riu. CfV. Tonini,
Memorie tUtriéhe iidomo a Franeeica
U Mimimi, 2» odia. Bimhii, 1870. Bar-
Uw, Frmnceeea da Biimini, her lamerU
sad wlmdieaiion, Lond., 1850. In^briani,
a«d» IHmteseK p. 40S-610. Triarte,
rnMfm»t d$ mmiwi dan$ la legende et
ima thittain. Par., 1883. Sieoi, L'td-
timo riM^ ^ D' ^2' P* 128 e ssgnenti.
Tmoù», Franù99ea da Bitmini eeoondo
la atoria e teeondo Varie, 3* edis. Te-
ramo, 1882.
08. MABINA : costa di mare; paese longo
il mare. A' tempi del Poeta, Barenna di-
stSTa tre chilometri dal marei passava
presso la città il Padoreno, e fra le sne
mora s* inoltraya 11 Padenna, dne flomi
derivanti dal Fo ; in prossima vidnansa
il Po di Primaro, allora assai importante.
Quindi per qnei tempi Bavenna ò qoi
magistralmente definita.
100. OEHTIL : Paolo era marito e padre,
Francesca moglie e madre ; ambedue non
erano più troppo giovani.
101. COSTUI: Paolo Malatesta, fratello
di Giandotto, nato verso il 1250, nomo,
dice r Ott., molto bello del corpo e ben
costomato, ma acconcio piti a riposo die
a travaglio. Si sposò, come s' ò detto, nd
1209 ad Orabfle Beatrice di Ghiaggiaolo ;
fa detto Capitano del Popolo in Firense
nel 1282, ma già U 1® febbraio 1283 chiese
lioensa d'andarsene, forse perchò non
sapeva piii vivere lontano dalla cognata.
- PERSONA : corpo.
102. IL MODO : avendo il tradito marito
colto sai fette i dae adalteri, li trafisse,
onde non ebber tempo di fer penitensa,
e, acciai improvvisamente, morirono in
peccato mortale, mentre invece Cunvtza
ebbe tempo di convertirsi ; cfr. Par. IX,
82 e seg. È danqae natarale, che il mo<fo,
onde le fa tolto il bel corpo, la offende
ancora. Al. il mondo ; ma il mondo non
offendeva Francesca, morta già da an
pesKo. La tragica fine dei dae amanti ac-
cadde tra U 1288 e il 1280; secondo Yin-
cerno Oàrrari, nel settembre dd 1280.
Dice il Cartari ohe Giandotto ncdse gli
adalteri « con nn pagnale, mentre trava-
^iavano insieme oon battaglia amorosa.»
E danqae H modo che offende ancor sem-
pre la povera Francesca. Infatti il modo
ò les. dd più; cfr. iroor«, Orit., 280-00.
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48 [CBRCHIO SECONDO] INP. V. 103-115 [PÀOLO E FEANCESCA]
103
112
115
Amor, che a nullo amato amar perdona, --^
Mi prese del costui piacer si forte,
Che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi vita ci spense. »
Queste parole da lor ci fur porte.
Da che io intesi quelle anime offense.
Chinai il viso, e tanto il tenni basso.
Fin che il poeta mi disse: € Che pense? »
Quando risposi, cominciai: « 0 lasso!
Quanti dolci pensier, quanto disio
Menò costoro al doloroso passo ! »
Poi mi rivolsi a loro, e parla' io.
103. PEBDOMi.: parla qui Daote per
esperienza propria) La sentenza non è
sempre giasta, essendovi molti amanti
non riamati.
104. PIACBB : « dei piacer di amar co-
stai; forse anche, come il Rigutini ar-
visa, della costai avvenenza; nel qoal
significato piacere e piacenza forono oo-
mani a' poeti di quel secolo » ; Andr,
105. NON m'abbandona: oostai. Sono
aniti in etemo. Sollievo e nello stesso
tempo aggravamento di pena: uniti, ma
neW Inferno!
106. UNA : accisi insieme, nello stesso
tempo, laogo e modo.
107. CAINA: bolgia dei fratricidi, Tf\f.
XXXII. - CHI : Gianciotto, il tradito ma-
rito. « Perchè tanta pietà per la eoppia
d' Arimino e nemmeno ana scasa per la
giusta vendetta di Gianciotto t Perchò
condannare questo disgraziato, che i tri-
banali d'oggi assolverebbero^ con ona
frase crada e spietata ad esser fitto nel
doro gelo della Caina, mentre al fra-
tello che l'oltraggiò neir onore si con-
cede anche oltretomba di stare insieme
a Francesca?... La storia, oltre a forci
sentire ana certa compassione pel ma-
rito ingannato, introduce altro pietose e
ben dolenti figaro nella tragedia, figure
ohe sole basterebbero a fisrci parere più
odioso r atto dei dae cognati. Ma d' esse
il Poeta non facendo ricordo, vie più
contriboì, sia pare inconsdamonte, aren-
dere soasabile il dolor oto patto. Oltre al
marito, Francesca tradiva la cognata;
oltre al fhitello, Paolo tradiva la moglie.
L' adulterio ora doppio ! E se poca pietà
poteva destare Gianciotto, bratto, aspro
e vendicativo, immensamente compassio-
nevole oggi ci appare Orabile di Ghia^
gioie, al cai cordoglio nessnn poeta gnuide
o piccolo fìdoe giustizia, e che par vide ra-
pito a so l'amore del marito e per la scel-
lerata colpa rimanere orbati di padre 1
due teneri figlinoli, mentre invano Con-
cordia cercava le carezze materne » >
Bicoi, op. cit., 132 e seg.
108. DA LOB: Francesca parla anohe
in nome di Paolo. - pobtb: dette.
109. OFFBNBB: ofi(Bse, travagliate.
110. CHINAI: per compassione, o per
compauzionel
111. pensk: pensi.
112. quando : non sa risponder sabito,
e, quando risponde, non volge la parola
a Virgilio, ma paria come trasognato a
sé stesso. -LASSO : esclamazione £ pietà,
o di rimorso ìf
113. dolci : pensieri dolci, benché adul-
teri ! « Aqu» furtivsB daldores sant, et
panis absconditassaavior »;Pr9V. IX, 17.
- « I dolci pentieri menarono al de^ i
qaesto menò alla colpa » ; Frane.
114. PASSO: morte violenta e danna-
zione eterna. Al.: Al punto di lasdarsi
vincere dalla passione, che poi ta cagione
ad essi di dolore. « MortJs violentes et
infamis, ubi fùerant tarpitor iugulati »t
i^no. -«Dall'amore onesto al disonesto;
e dalla fiuna all' infamia ; e dalla vita alla
morte ! Bel qaale pasto da dolerne ò
fortemente » ; BuH. - « A questa morte,
chiamata da lui dolorosa, per essere sta-
ta violenta e col ferro, e peuto, perchè
mediante lei si varca da questa vita al-
l'altra » ; OeUi. - « Creilo della morte » ;
Dan.
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[COCfllO 8EC0KD0] InP. V. 116-132 [PAOLO B FBÀUCBSCA] 49
m
E cominciai: « Francesca, i tuoi martiri
À lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo de' dolci sospiri,
A che e come concedette amore
Che conosceste i dubbiosi desiri? »
Ed ella a me: € Nessun maggior dolore
Che ricordarsi del tempo felice
Nella miseria; e ciò sa il tao dottore.
Ma se a conoscer la prima radice
Del nostro amor tn hai cotanto affetto,
Farò come colui che piange e dice.
Noi leggevamo un giorno per diletto
Di Lancilotto, come amor lo strinse:
Soli eravamo e senza alcun sospetto.
Per più fiate gli occhi ci sospinse
Quella lettura, ^ scolorocci il viso:
Ma solo un punto fu quel che ci vinse.
117. TBiSTO s PIO : mi fiumo pUuigere
È dolore e di compasùone.
118. mfMi : nel mio racconto Fnno^
>ah»lMrf»to ana lacuna: tra il sno in-
lamoramento e la morte giace tntta una
««ria. Bmte desidera di aapere come i
i^ cognati adolteri arrivarono ad in-
^o^ervi. - TBMPO : amando riamati, ma
£ siBore tnttor celato.
119. ▲ COB: a qnal indialo. - coifK] in
1^ modo.
120. IHJBBI06I : di eoaer oorriaposti , per-
«M non uioora eepressi.
122. BIOOKDAB01 : «In omni adreraitate
Mone, InfiBliciaaimnm est gonne infor-
to&fi fniaae fellcem »; BoH,, Oant.phU,
^ pr. 4. - « Memoria pnefeeritomm bono-
nuQ.... in qnantnm snnt amissa, caosat
^rklitiam » ; Thom. Aq., Bum. thecl. II,
n, 38, 1,
123. BA : per eepeiiensa propria. ~ dot-
^ots: «Virgilio che ricordandosi del sno
■iaieie in lo mondo poeta e in grande
<ati>, e ora Tedenn nd limbo senza gra-
óaetperanza di bene, non ò senza do-
•«s e grameua » ; Lan. - « Virgilio, il
fiale e nel principio delle narrasion fotte
^&ea de* casi troiani a Bidone e ancora
'^ dolore di Didone nella partita d'Snea,
*<Mi diiaramente il dimostra » ; Boee. B
il VirgfUo intendono pnre Benv.» Butit
*rT»».. Barg., Land,, Tal., Veli., €MK,
L^ IH9, Chmm,, 4^ edis.
Oatt., eoo. Altri, primo il Dan., seguito
poi da pareoohl, intendono di Boesio, in
cui si trova infatti una sentenza affine ;
cflr. y. 122 nt. Ma nò Dante chiamò mai
Boezio MIO DoUoté, né Francesca vnol
qui citare una sentenza, letta altre volte
nel libro di Boezio. Cfr. Blane, Vert. I,
59 e seg.
126. AMOB: poiché non si tratta qui
della prima radice del loro amort, ma
del loro mais, si potrebbe preferire (col
Betti) la Ics. mal, se non fosse troppo
sprovvista di autorità. - affetto : desi-
derio.
126. FASÒ : moltissimi codd. hanno di-
rò ; cfr. Moore, Orit., 290. Ma « dirò
come colui ohe.... diee » non sembra dan-
tesco. - piANOK B DICI : parla piangendo ;
cfr. In/. XXXni, 9.
127. FKB DiLKTTO: per passatempo,
dunque senza cattive intenzioni e senza
prevedere le conseguenze della lettura.
128. Laivcilotto: eroe dei romanzi
della Tavola Botonda, i quali erano al-
lora in voga. Dante vi allude pih volte.
- AMOB : per la regina Ginevra.
129. BOU: tre incelativi: lettura di un
romanzo voluttooed^ Tesser soli, ed il
non aver totpetto, o timore, di essere sco-
perti.
130. 80SPUIBB : a sguardi amorosi colle
oonaeguense.
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50 [CERCHIO SECONDO] INF. V. 138-142 [PAOLO E FRANCESCA]
133
136
130
142
Quando leggemmo il disiato riso
Esser baciato da cotanto amante,
Qaesti, che mai da me non fia diviso,
La bocca mi baciò tutto tremante.
Ghileotto fa il libro e chi lo scrisse :
Quel giorno più non vi leggemmo avante. »
Mentre che Vxmo spirto questo disse,
L'altro piangeva si; che di pietade
Io venni men cosi com'io morisse;
E caddi come corpo morto cade.
133. BI80 : booc» torrideqte tanto ama-
ta. Nel romanzo: «Et la reina.... lo pi-
glia per il mento, et lo bacia dayanti a
Gktllehanlt assai Inngamente ».
137. Galbotto : nel romanzo di Lan-
cillotto nome dell'infame sensale di amo-
re tra Ginevra e Lancillotto. Senso : ciò
ohe per Ginevra e Lancillotto Ai Ga-
leotto, fta per noi il libro ed il sno autore.
138. LBQOSMMO: avendo oramai altro
dUetto. « Con questo verso di molteplice
significato volle il Poeta adombrare d*nn
velo onesto una cosa inonesta in sé, Ìno-
nratissima in bocca d'nna donna » ; Oiu-
tti. - AVAWTB: avanti.
139. l'uko: di Francesca.
140. l' ALTBO: di Paolo. Piange per il
dolore, del qnale nessnno ò maggiore,
V. 121-122.
141. MORISSE: morissi. Forme consimili
erano in nso nel Trecento, nò ha qni luo-
go vemn' « antitesi in grasiadella rima ».
142. CADDI : non per effetto di compiili-
sione, come affermano molti, ma per ef-
fètto di compassione ; lo dice il Poeta due
volte (V, 140 e VI, 2) in termini espressi.
L' episodio di Francesca da Bimini fti ed
ò ammirato, come una delle più belle pa-
gine della Divina Commedia, Ma non a!
potrà mai negare, che qui l' adulterio di
Paolo e di Francesca ò moralmente ab-
bellito in modo, che non sembra conve-
nirsi troppo ad uomo « nel seno della Alo-
sofianudrito ». L' Jmbr., JShtd. Dani., 620:
« Perchò Dante ftJsasse (?) in tal modo
la storia e sublimasse i due volgari (?)
protagonisti di quello scandalo roma-
gnuolo, ci vuole, ci ha dovuto esaere
un motivo ed un motivo forte». Senza
dubbio; ma il guaio ò che questo mo-
tivo non lo conosciamo. Fatto ò, ohe
nell'episodio di Francesca il BeUo esU-
tieo sovrabbonda, il BeUo morale manca
affatto.
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[CIBCHIO TEBZO]
INP. VI. 1-7
[GOLOSI] 51
CANTO SESTO
oEBOHio terzo: golosi
(Molestati da fredda e Imita pioggia)
CBRBEBO, CIACCO E SUA PROFEZIA
Al tornar della mente, che si chinse
Dinanzi alla pietà de' due oognati,
Che di tristizia tutto mi confuse,
Nuovi tormenti e nuovi tormentati
Mi veggio intomo, come eh' io mi muova
E ch'io mi volga, e come ch'io mi^guati.
Io sono al terzo cerchio, della piova
T. 1-33. Igototi e la loro pena, Bin-
▼eanto dal ano svenimento, il Poeta si
tnrra nel terso oerohio. Il sao passag-
po dal aeeondo al terso cerchio è mi-
iterìoso, per Y appunto come qnello dal
Vestibolo al primo cerchio. Confronta
III. 136 con Y, 142; IV, 1 e seg. con
VI, 1 e seg.; IV, 7 con VI, 7, ecc. Nel
terzo cerchio sono puniti i golosi, i qnali
giacciono molestati da fredda e bratta
pi(^gia d' aeqoa, di nere e di grandine,
sono assordati e dilaniati da Cerbero ed
ariano eaninamente. La pena ò nn qaa«
dro pariantissimo di questi peccatori, il
ed Dio è U Tentre (cfr. FiUpp. III, 10),
e n eai prototipo ò Cerbero, che si sono
■pegUatì deli* amanita per assnmere la
caninltà. Hanno inoltre poniti tntti i
MKuA che troppo accontentarono : il gu-
sto col fSuQgo, r odon^ col pasco, la Ti-
tta eoDe tenebre, V udito coi latrati di
Cerbero, fl tatto colla pioggia e coi di-
laatementi del cane infenude.
L a CHIUSI: perdette il senso delle co-
se esteriori. « Ma tornando alla mente -
Mi Tolsi, e posi mente »; Brun. Lat.,Teto-
rei., e. 3. Cfr. Nannuc.,Man. I*, 461 e seg.
2. DiKANZi: alla Tista.-FiiTA : aspetto
compassioncTole.
3. TBIBTIZIA : cfr. If\f. Y, 117. - CON-
FUSE: mise in inquietudine, turbò gra-
Tcmente.
4. NUOVI: di genere dlTerso. Al.: strani,
inauditi. Eran anche i tormentati strani,
inauditi, ammirandi 1 O usò Dante la to-
ce nuovi in due dlTorsi sensi nello stesso
Terso f
5. COME : da qudunque parte io mi ri-
Tolgessi e guardassi.
6. CH' io mi guati : Al. R OOMK B CHI
l' GUATI. La Tooe guatare Tal qui nnl-
l'altro che guardare atlentamerUé.
7. piova : plos^gta. « Etema, perchè non
de' mai aTer fine ; maladetta, perchè è
pur posta a nuocere e non fiir prò, corno
quella del mondo ; fredda, perchè fa l'uo-
mo freddo di ogni carità ; e greve, perchè
dà graTità»;Bu«.
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52 [CERCHIO TERZO]
INP. VI. 8-23
[CERBERO]
10
13
16
19
22
Eterna, maledetta, fredda e greve :
Regola e qualità mai non V è nova.
Grandine grossa, e acqua tìnta, e neve
Per l'aer tenebroso si riversa:
Pu^fì la terra che questo riceve.
Cerbero, fiera crudele e diversa.
Con tre gole caninamente latra
Sovra la gente che quivi è sommersa.
Gli occhi ha vermigli, la barba unta ed atra,
E il ventre largo, e unghiate le mani ;
Graffia gli spirti, gli scuoia ed isquatra.
Urlar li fa la pioggia come cani;
DelPun de' lati fanno all'altro schermo;
Volgonsi spesso i miseri profani.
Quando ci scorse Cerbero, il gran verme,
Le bocche aperse e mostrocci le sanno :
9. MOVA: quella pioggia cade sensa in'
tormisalone e sempre d* on modo.
10. tutta: sporca, sosza, poKsolente,
AI. neviaohio. Dal r. 100 risalta che Hnta
ha qui il senso di naaseante, schifosa, eoo,
11. TENEBROSO : la gola offasca la ra-
gione non meno della lassarla.
12. QUESTO: misoaglio di grandine,
acqna pazzolonte e neve. « Convenien
tissima pena al delitto, ohe essendo il
peccato della gola villssimo, e ohi l' eser-
cita simile al porco, a gnisa di porci gli
faccia stare nel fongoso pantano » ; Dan.
- « Sioat enlm aliqnando footet terra prop-
ter plaviam, ita corpas golosi, fcetet,
quodassimilatar sepolcro aperto»! Benv.
13. CbrbbbO: Képpcpoq, cane mo-
straoso a pih teste, frutto dell* unione
di Echidna con Tifone, secondo la mito-
logia antica il gnardiano dell'Inforno;
cfr. Hetiod., Theog.,dll.Virg., Georg. IV,
483. Aen, VI, 417. Ovid., Mei. IV, 450.
Apparisce pare come cane infernale in
alcun documento di poesia medievale te-
desca, e in molti di poesia latina. - di-
versa : strana, stravagante, mostruosa.
14. TUE : per iwter divorare il passato,
il presente ed U futuro. « Le tre gole di
Cerbero possono signiiloaro tre cose pro-
prie de'golosi : mangiar troppo, mangiar
lautamente, mangiar ardentemente •iAt-
lavanti.
15. S0MUBB8A : « battuta e quasi affo-
gata sotto la pioggia violenta»; Fot».
16. VEBUiGLi: rossi pel fami del vino.
- ATEA: nera. «Però ohe (i goloti) man-
giODO bruttamente et nugonsi la barba ;
per la unzione ne diviene atra, cioè nera
et obscura » ; A.n. Fior.
17. LABOO: per riporvl molta roba. -
UNGHIATE : per rapire e ritenére. - maxi :
zampe.
18. SCUOIA : scortica. Al. ingoia'; prima
di squartarli?! B gli squarta poi dopo
averli ingoiati 1 Lezione da rigettarsi, e
che il BetH chiama addirittura bestia*
le. ConiV. però Z. F., 89. Blanc, Ter-
iueh, 62.
10. CANI: ai qnali assomigliarono per
la loro voracità. •
20. scnEBMO: difesa, circa come gii
usurai, lT\f. XVII, 47 e seg.
21. raoFANi: «profano oome Esah. U
quale per una pietanza vendo la sua pri-
mogenitura » ; Ebrei XII, 16.
22. VERMO : chiama così anoheLaoifero,
If^. XXXIV, 108. Nel linguaggio scrit-
turale il verme figura i rimorsi della co-
scienza, che rodono il peccatore; cfir. Itaia
LXVI, 24. Marco IX, 48, 45, 47. Oiuda,
6. 7, 18. TitniU. I, 8, 60 e seg.: « Tom ni-
ger in porta serpentnm Cerberos ore
Stridet, et leratas e:(cubat ante forca ».
J golosi servono al ventre, ohe è un pa-
sto di vermi, ed il verme li tormenta in
etemo.
23. 8ANMK : denti di presa. Atto di cane
adirato. Ofr. It^f. XXU, 56*
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fCOCHIO TBBZO]
IHF. YI. 24-85
[CBBBBRO] 58
Non avea membro che tenesse fermo.
E il daca mio distese le sue spanne,
Prese la terra, e con piene le pngna
La gittò dentro alle bramose canne. ,
Qoal ò qnel cane che abbaiando agu^a, ^
£ si racqneta poi ohe il pasto morde,
Chò solo a divorarlo intende e pngna;
Cotai si fecer quelle facce lorde
Dello demonio Cerbero, che introna ^
L'anime si, ch'esser yorrebber sorde.
Noi passa vam su per l' ombre che adona r
La greve pioggia, e ponevam le^'plante
%L FKBMO: treniATa d'ira e forM più
ABOoni d*fDgmdigia.
SS. spjjnn : mani allsrgAte dal pollioe
al Biignolo. I«* atto di YlifiUo a Cerbero
■oni^ia a qoeUo della Sibilla, Txrg., Am.
TI. 419 e aeg.
26. TKBBA: ci Yool poco per indatre il
gotoao a dimeoticare il sao nffisio. Ba<
atsDo due pugna di terra.
27. BSAMOfiK CiSNB: le tre gole fiune-
Ikbe ed Ingorde di Cerbero.
28. AOUSMA : agogna, doò fl pasto. Gfr.
T. 1». Virg., Am. VI, 421. "^
39. umHDB: è tatto intento al pasto.
> FG0HA : dirora con tale acidità obe par
ooDibatAa col dbo.
31. VAOCS : tre ceffi canini di qnel Can-
demonio. - lobds: sconco, deformi.
32. TSTBOHA. : assorda latrando, v. 14.
Cfr. /V- X VTI, 71. 1 golosi non banno qni
raoalea dorante Q pasto, ma mnsioa senza
pasto. I fisrooi atnai di Cerbero serrono
arsppreaentare l'ingordigia e la bestiale
arfc&tà con che questi peccatori ingoia-
rono, nel mondo, le rivande ^ squisite.
V. 34-d7. €Haeeo Fioreniino, Dal nu-
meco deUe ombre ohe giacciono per terra
ri lera una a sedere e chiede al Poeta se
la rieonoaee; quindi, arata risposta ne-
gatira, ai nomina. S quel Ciacco, ohe
sembra fosse un tempo persona cono-
sfintiaeiina a Hrenxe; cfir. Boee., Dee.
IX, 8. « Fuit tempore suo Titnperose
Tito et faifamis gule » ; Bambgl. - « Tu
fiorentino, banchiere, e per troppo man-
giace e bere diTcnne si guasto degli oc-
chi, che non oonoscea le monete, e quasi
brenne ritmopico, e era da le genti
•dii6ito 9 ; il». M. -« Kel presente Visio
fti molto corrotto, e perchò della memo-
ria in nove ftmtasle fhe sottile predicendo
le chose ftiture, però qui per lui signifi-
cando di Urente cosi si predice»; lae.
DarU. - « Fu molto corrotto in lo pre-
ditto ylxio della gola, e fti al tempo di
Dante e cognosoevalo in Firense » ; Lan,
- « Ebbe in sé, secondo buffone, leggia-
dri costumi, e belli motti usò con 11 va-
lenti uomini, e dispettò li catUvi»; OU,
- « Homo de curia foit et gulosas val-
de » I Vento - « Fu costui uomo non del
tutto di corte, ma peroiooohò poco avea
da spendere, erasi, come egli stesso dice,
dato del tutto al vizio della gola. Era
morditore di parole, e le sue usanse erano
sempre co' gMitili nomini e ricchi, e mas-
simamente con quelli ohe splendidamente
e dilicatamente mangiavano e beveano,
da' quali se chiamato era a mangiare,
v' andava, e similmente se invitato non
era, esso medesimo s'invitava. Ed era
per questo vizio notissimo uomo a tutti i
Fiorentini; senzachè fuor di questo egli
era costumato uomo, secondo la sua con-
dizione, ed eloquente e afbbile e di buon
sentimento ; per le quali cose era assai
volentieri da qualunque gentile uomo ri-
cevuto » ; Boee. Lo stesso ripete Benv.,
mentre Pe<r. Dant., Folto Boee., ecc., non
danno veruna notizia del personaggio.
BuH, ripetendo il detto dal Banibgl. : « Fu
infame del vizio della gola ». I commen-
tatori successivi non fumo ohe ripetere
il già detto da altri.
84. ADONI.: doma, abbatte. Adonare
prov, adonar, consegnare, spagn. ado-
natte, frano. »* adonneir, eco. Cfr. Purg,
il, 19. Siane, Vertueh, 84.
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54 [CERCHIO TERZO] Inf. VI. 86-56
[CIACCO PIOEENmrO]
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40
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Sopra lor vanità che par persona.
Elle giacean per terra tutte quante,
Fuor eh' una che a seder si levò, ratto
Gh' ella ci vide passarsi davante.
€ 0 tu che se' per questo Inferno tratto, »
Mi disse, < riconoscimi, se sai :
Tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto. »
Ed io a lei : € L' angoscia che tu hai.
Forse ti tira fuor della mia mente,
SI che non par ch'io ti vedessi mai.
Ma dimmi chi tu se', che in si dolente
Loco se' messa, ed a si fatta pena.
Che, s' altra è maggio, nulla è si spiacente. »
Ed egli a me: «La tua città, eh' è piena
D'invidia si, che già trabocca il sacco,
Seco mi tenne in la vita serena.
Voi, cittadini, mi chiamaste Ciacco :
Per la dannosa colpa della gola.
Come tu vedi, alla pioggia mi fiacco.
Ed io, anima trista, non son sola.
Che tutte queste a simil pena stanno
86. vakitJL: corpi vani; cfr. Purg, II,
79. Vedi però In/. XXXII, 78 e seg. -
PERSOifA: sembra vero corpo amano.
37. TUTTE QUANTE: donquo Cerbero
non ne avea ingoiata dna sola; conft:.
V. 18.
38. BATTO : BQbito oho ci Tide passare
davanti a sé.
42. FATTO: nascesti prima die io mo-
rissi. Dante naoqne nel 1265; Ciacco si
dice morisse nel 1286.
43. A LKI : a qnell' ombra. Al. A LUI4
cfr. Moore, Orit., 291 e seg.
44. TIRA : il dolore altera i tuoi linea-
menti in modo, che non so riconoscerti
nò ricordarmi di averti mai vednto.
48. MAGGIO : maggiore. Forma ositatls-
sfma dagli antichi e tnttor vivente. Più
giù vi sono pene maggiori ed anche più
spiacenti; ma Dante non le ha ancora
vedute.
49. CITTÀ : Firenae. - PIENA: cfr. v. 74.
« Avvenne che per le invidie si incomin-
ciarono tra' cittadini le sette»; G. ViU.
VIII, 89.
50. TRABOCCA : « avvi tanta invidia in
Fiorenza, che già esce Aiori; et v«desi
nell' operasioni » ; An. Fior.
51. serena: paragonata colla tenebrosa
di laggiù; cfr. Inf. Xy, 49. Del reato
questa vita nel mondo è un correre alla
morte; Purg. XXXTIT, 54.
52. Ciacco : secondo alcuni oorrazione
di Iacopo, secondo altri soprannome ob-
brobrioso, equivalente a poroo. SuU :
« Ciacco dicono alquanti, ohe ò nome di<
porco ; onde costai era cosi chiamato per
la golosità saa ». Invece Faf\f. (An. Fior.
1, 169 nt.) : « Questo nome di Ciacco par
che fosse naitato a Firenze, daochò non
di rado mi ò capitato sott' occhio leg-
gendo antiche carte ». In questo caso il
nome non avrebbe che vedere col sost.
ei€iooo sporco, ma sarebbe una italianiz-
zazione del frane. J<uques, o un abbre-
viamento di OiMomo. Ma la frase ' Tot
cittadini tni ehiameute CHaeeo ' sembra
alludere piuttosto ad un soprannome, ohe
air accordamento di un nome proprio.
63. DANNOSA: ogni colpa ò dannosa;
ma quella della gola ò dannosa agli averi,
al corpo ed all'anima.
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[CBECHIO TIRZO]
Inf. Vi. 57-70 [yicbmde di fibbkzb] 55
70
Per gimil colpa »; e più non fé' parola.
Io gli risposi: € Ciacco, il tao affieuino
Mi pesa si, che a lagrimar m'invita ;
Ma dimmi, se tu sai^ a che ver^tumo
Li dttadin della città p^rtìtA; t 'f'-^.
Se alcxin y'ò giusto; e dimmi la cagione
Per che l'ha tanta discordia assalita. »
Ed egli a me : « Dopo lunga tenzone
Verranno al sangue, e la parte selvaggia
^"^ Caccerà lUltca con molta pffensipne.
Poi appressg co^vien che^'^èsta caggia - --
In&a tre soli,'' e che l'altra sormonti
Con la forza di tal che testò piaggia^
Alte terrà Ixmgo tempo le fronti,
/ •
V. 5&-76. rUende poU^che di WC-
rmam d^po U 18O0. Chiede Dante a
Cfaweo: «A qaal temiine ri rìdarraano i
àMA eitudini di ffiensef Vi ò colà al-
eraginstol B perchè sono ri discordi f»
daoeo risponde Tatidnando i fatti, ar-
TSBoti dopo il 1800, impboitamentel'esi-
a»d«l Poeta.
M. m PSBA : mi rammarica aifco alle
lagriaM. La eompasrione di Dante t»
scemando a miaora che i dae Poeti pro-
(rediaooiio dall'alto al baaao. -
61. crrrÀ : FSrense. - fabuta : di-risa
e lacerata dai partiti.
64. TKSZOXE: contesa tra' dae partiti
de' Bianchi e Keri.
66. AL 8AKOUB : ciò die arrenne la sera
dri 1 magg^io 1300. « La sera di caten di
mmgtfio aano 1300, veggendo nno ballo di
donno die ai ISMea nella piassa di Santa
Trinità, roma parte contro T altra ri co-
aiindarono a sdegnare, e a pignoro l'uno
contro aU'aitet) i earalU, onde ri cominciò
nna grande saA e mirica, ov* ebbe più
Mite *; e. Vm, vni, so. Cfr. Da Lungo,
Dimo Oowtp. I, 166 e seg. - bblyaoou :
dri Bianelii, ei4ritanata dai Cerchi, i qoali
enao «aahrariohi e ingrati »; B. Vi». 1. e.
66. l'aijtba : In parte dei Neri, capita-
nata dai Donati. Allude al iktto, ohe nel
gingno del 1801 i oi^i dri Neri furono
1— MJ^fti id confini, e con esri anche i capi
W Bfan-fthi « per lerare ogni sospetto » ;
0.7ÌIL Vili, 42. - OFFonaOMS: odio.
67. QUMTAt In parte del Bianchi, o
68. IHFRA: entro tre anni. H colloquio
di Dante con Ciacco ri finge avvenuto
nri marso o nell'aprile del 1300; i Bian-
chi e con loro Dante, fhrono sbanditi da
Firense nei primi del 1302. Poteva dun-
que dire infra dui toH; ma dice tre, o
perchd questo numero aveva per lui sim-
bolica importanza, ovvero per non dare
ad un finto vaticinio la forma di un
giornale o di una cronaca. - l* altra t
driKerL
69. TAL: BoniflMJio VHI; confr. Par.
XVn, 40 e seg. Altri intendono di Carlo
di Valois. Ma questi venne a Firense nel-
l'autunno del 1801, e nel 1800 BonifiBh-
do vm aveva soltanto preso conriglio
di fisrlo venire a Firenze; Q, ViU. Vili,
43, 49. Di Carlo di Valois, Ciacco nella
primavera del 1800 non poteva dunque
dire: ehe tétte piaggi». - rwtt : ora, in
questo momento. - fllqoia: ri baroa-
mena, procedo ambiguamente. Infottì
nel 1800 Boniihdo Vili piaggiava t cfr.
Q. YiU. Vili, 40 e seg. « Dloesl appo i
Fiorentini colui piaggiare, il quale mo-
stra di vder quello che egli non vuole,
o di che egU non ri cura che avvenga:
la qual cosa vogliono alcuni in questa dl-
aoordia de' Bianchi e de' Keri di Firenze
aver fiitta papa Bonifisrio, doè d'aver
mostrata egnal tenerezsa di dascuna
delle parti » ; Boee.
70. TERRÀ : la parte dd Keri insuper-
birà sopra i Bianchi. - LUHOO tbmfo:
dunque Dante dettò questi verri pareo-
chi anni dopo 11 1802.
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56 [OEBCHIO TEKZO] InF. VI. 71-80 [FIOBENtlNI ILLUSTBl]
78
76
79
Tenendo l'altra sotto gravi pesi.
Come che di oiò pianga e che ne adonti.
G-iasti son dao^ ma non vi sono intesif;* ;
Superbia, Invidia*ed avarizia sono
Le tre faville e' hanno i cori accesi. »
Qui pose fine al lagrimabil suono.
Ed io a Ini: « Ancor vo'che m'insegni,
E che di pia parlar mi facci dono.
Farinata e il Tegghiaio, che far si degni,
Iacopo Busticucci, Arrigo e il Mosca,
71. l'altra : la parte dei Bianchi -
PISI: esolnsione dagli affici pobblioì,
sbandimenti, conflsohe dei beni, eco.
72. m ADONTI: se ne adiri; oppure:
se ne vergogni.
78. DUO : ayendone il Poeta taoiato il
nome, il meglio ò confessare senza smor-
fie che non si sa di chi egli intendesse
parlare. Boóc: « Qaali questi dnesl sieno,
sarebbe grave l'indovinare » . Si volle però
indovinarlo: Dante e Dino Compagni;
Dante e Ooido Cavalcanti ; Bardacelo e
Giovanni da Vespignano ; la legge divina
e la legge omana ; Gaido Cavalcanti ed nn
altro innominato amico di Dante, ecc.
Chi l'ha indovinata l> INTESI: ascoltati.
74. SUPERBIA : « Qaesta avversità e pe-
ricolo della nostra dttà non ta sansa gin-
diclo di Dio, per molti peccati commessi
peTÌ&tvperbia e invidia e avarizia de'no-
stri allora viventi cittadini, che allora
guidavano la terra, e cosi de' ribelli di
qaella come di coloro che la governava-
no »; O. ViU. vni, 68. - « Per le peccata
della stq>erbia « invidia e avarizia, e altri
vizi ohe regnavano tra loro, erano partiti
in setta »; Id, YIII, 96. Questi versi « non
contengono solamente an grappo d'ima-
gini ben disposto, ma ana storia di fotti
fedele. Superbia di Grandi avea rotto il
qneto vivere di Firenze guelfa; niper-
bia di Popolo aveva nella repressione ec-
ceduto: da un lato Berto Frescobaldi,
dall'altro Giano della Bella. Invidia e
malevolenza avea fomentati e fotti al-
zare cotesti bollori; invidia di vicini
verso vicini, di nobiltà vecchia contro
fortune subitanee, di mercatanti contro
meroat-anti, di popolo basso contro po-
polo alto; di là i Donati, di qua i Cer-
chi. Avarizia e cupidigia di brutti gua-
dagni aveva attizzato U ftioco per trar
partito da cotesti disordini, avea semi-
nato corruzione per raoooglier fiorini;
l'Agnglione, l'Acciaiuoli, messer Fasio,
i giudici. La pace della dttà si era, per
tal guisa, perduta in un sentimento ani-
venale di malevolenza e d'odio, obe
pure invidia, nel senso della parola più
cupo e più tristo, chiama il Poeta. »
DelLungo.
70. LAORUiABiL : parole ohe invitavano
a sparger lagrime, vaticinando a Firenze
tanta sciagura.
y. 77-08. JNorenUni iiUtttri, Dante
chiede a Ciacco dove siano gli illustri Fio-
rentini, de* quali nomina alcuni. Ciaooo
risponde : « Sono più giù, perchè più col-
pevoli; ciascuno nel cerchio ohe al gua-
dagnò colle sue colpe. Se tomi al mondo,
rinfirosca la mia memoria. Ora non ti dico
nò ti rispondo più nulla ». Volge quindi
un ultimo sguardo addolorato al Poeta,
e poi ricade nel fango.
77. ANCOR: oltre ciò che m'hai già detto.
70. Farinata : degli TTberti ; lo trova
poi nel cerchio degli eretici, It\f, X, 82 e
sog. - Tegohuio : Aldobrandi ; lo trova
pof nel girone de' Sodomiti, JnAXYI, 41.
Tegghiaio ò qui bisillabo; gli antichi leg-
gevano Teggkia', e eod prima' per pri-
maio, Pi$to' per Pittoia, ecc.
80. Husticucci : anche costui lo trova
pih tardi nel girone dei Sodomiti, Ir\f.
XVI, 44. - Arrigo : di costui il Poeta
sembra essersi poi scordato, non aven-
done più fotte menzione. Probabilmente,
perchè posto qui insieme col Mosca, Ode-
rigo Fifonti, uno degli uccisori di Buon-
deknonte ; cfl*. O. Vili, Y, 38. Altri ore-
dono ohe si parli qui di Arrigo Giandonati.
Cast,: « De Arlguoiis ». -Boee.: « Giando-
nati ». - Benv,: « Istum numquam nomi-
nabit amplius; debet tacite poni onm
Musca, quia fuit secum in eadem culpa ;
ftat enlm nobilis de Fifontibus ». - An.
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fCEBCBIO TIBZO]
InF. vi. 81-98 t^IOBBNTlKl ILLtJSTBl] 67
&
91
E gli altri che a ben far poser gl'ingegni,
Dimmi ove sono, e fa* ch'io li conosca;
Chò gran disio mi strìnge di sapere
Se il Ciel gli addolcia o lo Inferno gli attosca. »
E qnegli: < Ei son tra le anime più nere:
Diversa colpa giù li grava al fondo;
Se tanto scendi, li potrai vedere.
Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
Pregoti che alla mente altrui mi rechi :
Più non ti dico e più non ti rispondo. »
Gli diritti occhi torse allora in biechi:
Goardonuni on poco, e poi chinò la testa :
Cadde con essa a par degli altri ciechi*
JW^- « KeMere Arrigo Giandonati ».
Tatti cU altri Quattrocentisti serbano
pecfrtto si lensio sopra questo personag-
giew-MCMCA.: de* Lamberti; lo trova poi
tra i eearfnatori di discordia nella nona
hòl^i JV- XXVIU, 108 e seg.
81. A BKH FAB : è diflioile dire, se qneste
parole, eie altre ehsfur «i dtgfU del ▼. 70,
fiaDO da prendersi sol serio o ironioa-
BSBte dette. Oli uni credono che Dante
pazB sol serio, ma non intenda che d'ona
bontà meramente drile, non di morale
«iatlaim. Ka perchè sllora chiederne
•etisie a Claeoo nell' Infbmo e chiamarli
mmime piA nenì Altri intendono qneste
Mi per nna ironia. If a almeno l' episo-
fio di fteinata ( Jf/. X) non sembra con-
iertare qaeet' opinione, la qnale Bono,
chiama penUus faUa, « quia licet sint
dannati propter aUqna vlcia enormia,
tamen sont laodabOes et flunosi mnndo ».
84. ADDOLCIA : consola colle sne dolces-
■e. -ATTOSCA : amareggia ooUe sne pene.
85. SKRB: colpevoli.
86. AL FOVDO : dell' Inferno. Il peccato
è separaclone dell' anima da Dio. Qoanto
pift gmve la colpa, tanto più grande la
lontanansa. Onde Lucifero è laggiù nel
ponto mi qual H trctggon d' ogni parts %
peti, cioè nel panto che in tatto quanto
fl cfcato ò il più lontano dalla sede di Dio.
Ed i peccatori gli sono più o meno vldni,
secondo ta gravità delle loro colpe.
ST.TAJrro: «quanto essi son ginso»t
Boee.
88. Douae: paragonato con quel mando
tméro che è l' Inferno.
lo stesso desiderano pure
altri dannati. Inf. XUI, 65; XV, 110;
XVI, 85, ecc. « Privi del vero bene, ne
desiderano almeno l' ombra, la quale da-
gli detti e da qne' che sono nel Purga-
torio non ò desiderata »i T. Tatso,
91. TOBBB: per dolore, pensando al dolce
mondo, alla morente ogià mortasuafSDMoa
ed alla sua miseria attuale ed etema.
92. CHIKÒ : anche questo ò un atto dt
dolore. Nuovo dolore, nato dal tacito pa-
ragone tra la sua e la oondisione del-
l' interlocatore.
98. BBSA: testa. -A pab: a livello dei
suoi compagni. ~ ciechi : avendo chinato
la testa prima di cadere, era di necessità
caduto per dinanri colia feccia nel fengo,
in coi giace come tutti gli altri di questo
cerchio. Avendo il viso volto In giù nel
fengo, non possono naturalmente veder
nulla; sono quindi ciechi. L'allegoria è
qui chiara. Il goloso ò cieco per tutto
ciò che non ò fengo.
V. 94-116. Detta condimlone dei dan-
nati dopo ta rÌ9urre»ton€, Caduto
Ciacco nel fengo. Virgilio dice a Dante,
ricordandogli con ciò ohe è tempo di con-
tinuare il viaggio: « Costui non si rialza
più sino al dì del giudizio 9. Mentre at-
traversano questo cerchio, Dante chiede
se dopo il giudizio finale i tormenti del
dannati resteranno gli stessi, o si au-
menteranno, o si feran minori. « Si fa-
ranno maggiori > , risponde Virgilio, se-
condo le dottrine scolastiche. Chò « san-
ctarum animarum felicitas in solis bonis
spiritualibus erit; poma vero animarum
damnatarnm post resorreotionem non
solam erit in malia spiritualibus, sed
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58 tcBBcmo terzo] tm. Vi. 94-108
[dannatiJ
94
97
100
103
106
E il duca disse a me : « Più non si desta
Di qua dal suon dell'angelica tromba,
Quando verrà la nimica podestà ;
Ciascun ritroverà la trista tomba,
Eipiglierà sua carne e sua figura,
Udirà quel che in etemo rimbomba. >
SI trapassammo per sozza mistura
Dell'ombre e della pioggia, a passi lenti,
' ^ Tpccando un poco la vita futura.
Per ch'io dissi: «Maestro, esti tormenti
Cresceranno ei dopo la gran sentenza,
0 fien minori, o saran si cocenti ? »
Ed egli a me : « Ritorna a tua scienza,
Che vuol, quanto la cosa è più perfetta.
Più senta il bene, e cosi la doglienza.
etiam pcmM oorporeM Babstìnebnot > ;
Thom. Aq., Oomp. theol. P. I, o*p. 179.
Così parlando arrirano là doTO ai diaoende
al quarto oerohio, sol coi ingresso rodono
Fiuto, il domonio delle riccbesEe.
94. DISTA : non sì alca più da giaoere.
95. DI qua: prima. - tromba: ofìr.
Jfott. XXIV, 81. I, OorifU. XV, 62, I,
Tettai, IV, 15. Elueid. e. 70 1 « AngeU
crnoem eins ferentes praelbant, mortnos
tnba et tooo in occnrsam eios exdta-
bant ».
90. PODE6TA : podestà, possanza. Cristo
nemico ai reprobi, ooUa podestà di gin-
dice eterno.
97. trista: rinohlodendo qnel corpo
che fa causa della loro perdizione. Op-
pure: «Che chiude un corpo dannato a
pena la quale dopo la risurresione s'ag^
grava»; Tom.
99. QUEL: la sentenxa finale, MaU,
XXV, 41: €Via da me, maladetti, al
fbooo eterno, che fu preparato pel dia-
volo, e pe* suoi angeli».
101. OMBRE: SOSIO anch'esse, e perchè
lordate da sozzo vizio, e perchè giacenti
nel fango.
102. TOOCAHDO: ragionando un poco
della vita futura. Cflr. Oonv. II, 9.
103. S8TI: lat. itti, questi.
104. SENTENZA : finale, al di del giudi-
zio universale.
105. s): cosi come sono ora.
106. SCIENZA : aristotelica, secondo la
quale l'anima in corpo più perfetto me-
glio ooaosoe; in corpo coi alcon organo
manchi, manco è l'intendere. Ifa Fài\f.»
« Perchè Virgilio dee chiamare teitTiza
tua, parlando a Dante, la Filosofia ari-
stotelica f e che cosa poteva avere di
autorità la Filosofia aristotelica nel ri-
solvere nn dubbio appartenente a dot-
trina cristiana? Tua teiema pertanto mi
par da intendersi la Teologia, la qaftle
ben da Virgilio è detta tua, non potendo
egli pagano dirla nottra mai » . Conosce-
va Virgilio la teologia cristiana f E non
scioglie egli il dubbio di Dante accura-
tamente conforme la filosofia aristoteli-
caf Ctr. Inf. XI, 80, nel qual luogo Vir-
gilio, parlando dell' Etica di Aristotile,
dice la tua Etica, e Inf. XI, 101 : la tua
Pitica.
107. PERFETTA : « anime magia cmcia-
buntur post resurrectionem oorporis qui a
emnt perfectiores ratione compositi, non
ver» perfectione sed mala et damnosa > ;
Beno. - « Anime nunc in Inferno sunt
separate a oorpore et sunt dne carne :
quando isti resurgent, tnnc anime emnt
coninncte corporibns, et tnnc isti emnt
perfectiores quantum ad esse essentiale,
quia perfectior est composltio ex anima
et corpore, quamanimasolnm, velcorpna
solnm ; et ideo post resurrectionem, quia
isti emnt animalia perfectior» et habe-
bnnt oomplexiones suas, tunc dampnati
habebont et sentient maiorem penam,
et salvati maina gaudlnm » ; Serrat.
108. DOGLI ENZA: da doglieiUt per do-
UnUf lat. dolentia. Dolore, Atto del do-
leial, Ai&iiione, Angosci» e slmilL
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r^
tCBSCmO TBBZO]
IKF. VI. 109-116
tDlNNlTl] 59
IM
m
115
Tutto che questa gente maledetta
In vera perfezion giammai non vada,
Di là, più che di qua, essere aspetta. »
Noi aggirammo a tondo quella strada,
Parlando più assai eh' io non ridico ;
Venimmo al punto dove si digrada:
Quivi trovammo Fiuto, il gran nimico.
lU.viiA: dmltuondat^angèHeatr^m"
te. - nesBX: fai perfbsiaiie, doè in per-
ftooo di tormento, alle pene dell' anima
acstaa^endoel dopo il gran giadixioqnelle
del corpo rìaorto.
1 11. ▲ TORDO : in circolo, da deetra a si-
aiMza. « Dopo pariate con Ciacco, non
tadarono per nMsao il cerchio, ma sol-
redo»; Tom,
Ut, PASLAHDO : della vita fkitora.
114. DiOBADA: discende.
115. Putto : lUo^o^ il Dio delle rio-
deUa mitologia antica, Aglio di
e di Cerere. Cfr. Arittoph.,
Pha., 90. 727. H£9ù>d.,Tluog,,9W. Eom.,
OdysM, V, 125. AL Platone, IDoérayr,
PhOo, Dit, figlio di Satomo, impera-
tore dell' Ayemo. Ma qaeeti ò Loci-
fero, coi Dante chiama eepreasamente
IHU (- Di*) In/. XXXIV, 20. Se DiU è
laggiù confitto neDa ghiaccia etema, non
poteyano troTarlo qni all'ingreeao del
quarto cerchio. - imaoo: della pace e
ibUdtà dell' nomo. Cfr. Eeel. V, 12. I,
Tim. VI, 9. Xoiit6..« Onde aPlato stesso,
come delle ricchesse dlstribntore, grida
Timocreone: Per te omnia ifUer hond-
ncM mala ».
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60 tCBRCniO QUABTO]
INP. VII. 1-2
[PLUTO]
CANTO SETTIMO
OEBCHio quarto: avabi e peodighi
(Voltali pesi col petto e ai oltraggiano a vioenda)
PLUTO, PENA DEGLI AVARI E PRODIGHI, LA FORTUNA
CEBCHIO QUINTO: IBACONDI
(Immersi nelle aoqne ftmgose dello Stige)
€ Pap^ Satariy papi Satan aleppeli^
Cominciò Flato oon la vooe ohioccia; <
V. 1-15. Pioto, a custode del quarto
cerchio. Ad ogni cerchio trorano un
essere mitologico, simbolo del vizio quivi
punito. Cerbero sta sn i golosi, Fiuto su
gli avari e prodighi. I demoni custodi
de' singoli cerchi si sforaano di impedire
il viaggio del Poeta. Plato lo fa, sfo-
gando la soa rabbia in accenti strani ed
inintelligibili. Virgilio gli rammenta 11
volere sapremo ; quindi Pluto nell'lmpo-
tonte sna rabbia cade a terra.
1. FAPÈ: dal V. 9 risalta, che queste
sono parole espresse dal furore ; dai vv.
6-6 e 10-12 risulta, che Io scopo delle pa-
role ò d'intimorire il Poeta. Dal v. 8
sembra dorerai inferire che Virgilio in-
tese questo strano linguaggio di Plato,
e se lo intese, ciò vuol dire che ò o vuol
essere nn linguaggio amano qualunque.
Di più non ne sappiamo. H voler indo-
vinare il senso di questo gergo di Pluto
ò fatica gettata, e lo provano le parec-
chie dozzined'interpretasioni, delle quali
non due sono d' accordo. « Hoc est di-
cere, o satan, o satan demon, quale mi-
rare et novum est istud quod isti novi
hospites hnc acoedunt U ; Bambgl. - « In-
lingaa ebrea, ed ò tanto a dire quanto :
maraviglia, maraviglia » ; An. Sei, In lin-
gua ebreasi potrebbe leggere, oollo/Se^ter
{Suppl, dee Com. dela D. C. Dresda, 1885):
nanSn joto -«a nfì itafe^ ^b ns
TTV-'tT • -»TT • —
cioè : Vomita, bocca di Satanatto, vomita
fiamme! Se soltanto Dante avMse sapato
di ebraico I - « Pape ò irUeriectio admira-
tionit; quasi a dire ohe, quando Plato
vide Dante vivo, chiamòe Satan demo-
nio sotto voce di maravigliarsi e dicendo
veh! veh! •-, Lan. - « Pape,,., è.... una .
parte di grammatica, che ha a dimostrare
quella affezione dell'animo, ohe ò con
stupore, e maravigliarsi; e due volte il
disse, per più esprimere quello maravi-
gliarsi: Satan è il grande Demonio:
Aleppe ò una dizione, che ha a dimostrare
r affezione dell' animo quando si duolo » •
Ott. - « O Satan, o Satan, caput et prin-
ceps Dffimonum, quid est hoc vldoret
Nam papcf interiectlo est admirantia ;
aleph vero prima lltera est Hebrsoo-
ram » ; Pctr, Dani. - « Ma questa ò cosa
molto incerta, e, secondo mio parere,
niente ò altro che indovinare » diceva
in altra occasione Leonardo ^runi. -Re-
centemente L, Monti (Nuova lezione ed
inUrpretcuione, ecc., Vercelli, 1894, nuo-
va ediz. ampliata, Milano, 1896) propose
di leggere: Pape tatàn, pape eatàn,
a leppe, che sarebbe II greco HanaT
aaxày, nanai aaxày, à \{ik, cioè : Oh !
ribelle, oh ! ribelle, ah ! vàtUne. Se sol-
tanto Dante avesse saputo di greco I O
dettò egli forse tutto nn verso in nna
lingua a lui ignota t Lo affermano, ma
noi noi orediamo. Ctr. Sndct, 1424-29.
2. CHIOCCIA: ranca, aspra di snono.
Dal verbo éhioedare e crocciare, latino
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[CnCHIO QUARTO]
iNF. VII. 3-17
[PLUTO] 61
E quel savio gentil, che tutto seppe,
Disse per confortarmi : € Non ti neccia
La tua paura, che, poder ch'egli abbia.
Non ti terrà lo scender questa roccia. »
Poi si rivolse a quella enfiata labbia,
E disse: «Taci, maledetto lupo;
Consuma dentro te oop. la tua rabbia.
Non è senza càgion Pandare al cupo: /• /
Vuoisi nell'altoTà, dove Michele
Fé' la vendetta del superbo strupo. »
Quali dal vento le gonfiate vele
Caggion avvolte, poi che Palber fiacca.
Tal cadde a terra la fiera crudele.
Cosi scendemmo nella quarta lacca.
Pigliando più della dolente ripa,
ghein, fnn96%e glùutser, eec. Confronta
Di€z, WdrL I*. 124. Con questa vooe il
Poeta aoo^ma, che il grido di Plato con-
Ita di accenti natarali, non di parole
nmane eapiimenti logicamente nn con-
cetto qualunque.
8. GKXTIL: nobile, oorteee. Al. paga-
no (!). - TUTTO 8EPFX: anche il lingnag-
S*9 ài Pinto, o il aigniflcato del ano grido
4. soocia: non laeoiarti vincere dalla
paara.
5. abbia: per qnanto potente egli aia.
6. TOBBÀ: impedirà. - EOOCIA : baleo,
dal terso al quarto cerchio.
7. KHFLATA : gonfia d' ira. - labbia :
&eeU; In/. XIV, 67; XIX, 122; XXV,
a. Purg. XXIII. 47.
8. LUPO : « bene Tocat avarum lapum,
qnia in primo capitnlo vocaverat arar
ridam Inpam » ; Benv. - « Lo chiamò lupo
per dare ad intendere eh*egli ò posto per
lo demonio deU* avarixia; la quale di so-
pra cap. primo, chiamò lupa » ; Btdi. -
* È bellis^mo qnel tnaUdetto lupo all'ur-
laate demonio che presiedo al castigo
dsU'aTarizia. Olii sirammentadella Lupa
del primo canto ne vede tosto Tallusio-
BS»; S^u.
10. CAOiOK : voler divino. - cupo : prò-
Coado Infèrno,
t 11. ALTO : dolo. - Michele : dall' ebr.
7X3*^0 — €hi è come Dio? Kome di uno
- T •
dd sette Arcangeli che rappresentano il
Popolo eletto dinanri al Trono di Dio ;
I>anM. X, 13, 21 ; XH, 1. Apoe. XII, 7-9.
12. 8TBUPO: metatesi di stupro: ribel-
lione contro Dio. Altri derivano la voce
dal basso latino f(ropiM«-iun branco di
pecore. Il diavolo ed i suoi angeli nn
branco di pecore?! E un tuperbo branco
di pecore?!
14. FIACCA : Nentr. si rompe, si spezza.
Al.: poi che il vento lo rompe.
V. 16-M. ^vari e prodighi. Giun-
gono al quarto cerchio. Qui una gran
moltitudine di anime, le quali, in due
opposte schiere, voltano pesi col petto,
si cozzano contro, s' oltraggiano e gri-
dano altercando. Gran parte fhrono papi
e cardinali e chierici e persone dotto, ma
non si riconoscono più. In questo cerchio
i peccatori sono distribuiti secondo il
principio che « ciascuna .... virtù ha due
nemici collaterali, cioò vizi, nno in trop-
po e un altro in poco » ; Oonv. IV, 17.
I massi rotolati ricordano le gran somme
di denaro che gli avari ammassarono
e conservarono troppo gelosamente, e
1 prodighi sperperarono. Credettero di
fkrsi un nome, gli uni colle loro ricchezze,
gli altri colla loro liberalUà, ed invece si
resero non conoscibili a segno, che non
nno solo è nominato.
16. LACCA: fossa, cavità; lat. loctts;
ted. lach«. Cfr. Enciel. 1096.
17. PIGLIANDO: compassi; inoltrandoci
vieppiù giù per la ripa infernale. - bipa:
balzo infernale.
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62 [CBECHIO QUARTO] INF. VII. 18-85
[AVABI B PRODIGHI]
19
22
25
28
31
34
Che il mal deironiverso tutto insacca.
Ahi giustizia di Dio ! tante chi Btipa . ' -
Nuove travaglie e pene quante io viddi?
E perchè nostra colpa si ne scipa?
Come fa Fonda là sovra Cariddi,
Che si frange con quella in cui s'intoppa,
Cosi convien che qui la gente riddi.
Qui vid4o gente più che altrove troppa,
E d'una parte e d'altra, con grand' urli
Voltando pesi per forza di poppa :
Percotevansi incontro, e poscia pur li
Si rivolgea ciascun, voltando a retro.
Gridando : € Perchè tieni? » e : € Perchè burli ? »
Cosi tornavan per lo cerchio tetro,
Da ogni mano all' opposito punto,
Gridandosi anche loro ontoso metro;
Poi si volgea ciascun, quando era giunto
Per lo suo mezzo cerchio all'altra giostra.
18. dell' uinvBBSO: anche degli angeli
mali.-iifBàCCA: contiene.
10. STIPA : ammassa, dal lat. it^fxuré.
20. M uovB : inaudite. - viddi : ridi, for-
ma regolare antica.
21. SCIPA: straxia, lacera, malmena.
22. L'oiTDA: che Tiene dal Mare Jonio.
-LÀ: nel Faro di Messina. - Cajuddi:
lat. Oh€^rybdi», gr. Xàpvfibi^, voragine
nel Faro di Messina, incontro a Scilla ;
cfr. Virg., Aen. Ili, 420 e seg., 668 j VII,
802. Oulex, 331.
23. CON QUELLA : Che vien dal Tirreno.
24. BiDDi: faccia la ridda; giri\ ton-
do. Ridda, dal vb. riddare, danzare in
giro, derivato dal ted. ant. ga-ridan, ted.
medio r(<i«n »> volgere.
25. PIÙ : r avarlsia ed 11 sno contrario
sono i visi più diffhsi nel mondo. - trop-
pa: nnmerosa.
26. d' U9A PARTE : avari. - d'altea :
prodighL
27. PESI: lericcheiBe aoonmnlate e scia-
paté. -POPPA: qnl per petto in generale.
Voltano i pesi col petto, non colle brac-
cia, essendo il petto il ricettacolo del
onore, che agognò tanto le ricohesze.
28. INCONTRO: quando le dae schiere,
degli avari a sinistra, e dei prodighi a
destra, s* incontravano. - pur li : sul
ponto medesimo dello scontro. La pro-
nunzia pur li (invece di pur A) ò licenza
poetica comune ai poeti. Licenza consi-
mile Inf, XXX, 87.
20. VOLTANDO : forse gli stessi pesi ohe
avevano voltati sin qui; più probabil-
mente gli nni i pesi degli altri, gli avari
quelli dei prodighi e viceversa. I beni di
qnesto mondo, figurati nel pesi, girano
continuamente; dalle mani del prodigo
vanno in quelle dell' avaro, e dalle mani
dell'avaro In qnelle del prodigo.
80. TIENI : tu avaro. - burli : tu prò-
digo. Burlare significò appresso gli an-
tichi gettare, spargere, tparpagìiare e
simili. Cflr. Nannueei, Verbi, 610. « Burli,
idest proiicis, et est vulgare lombar-
dum • ; Benv, È dal proveoz. burlaire,
spagn. burlar. Cfr. Bneicl, 276 e seg.
81. TORNAVAN : giravano. - tetro : te-
nebroso.
32. MANO: parte; i prodighi dàlia de-
stra, gli avari dalla sinistra dei due PoeU.
33. ANCHE: parimente, nel medesimo
modo. - METRO : il Perchè Heniì e Perchè
burlil
35. GIOSTRA : incontro, nrto nel pnnto
opposto, n gran cerchio ò occupato Tona
metà dagli avari, V altra dai prodighi ; o
stando in continuo moto non posson però
mai questi passare nel mezzo cerchio di
quelli, o viceversa. S' incontrano nei due
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[CnCHIO QUABTO]
iNF. YII. 86-54 [AVABI X PRODIGHI]
Ed io, ch'ayea lo cor quasi compunto^
Dissi: «Maestro mio, or mi dimostra
Che gente è questa, e se tutti far cherci
Questi chercnti alla sinistra nostra. »
Ed egli a me : < Tatti quanti fur guerci
Si della mente in la vita primaia,
Che con misura nullo spendio fèrci.
Assai la voce lor chiaro l'abbaia,
Quando yengono ai duo punti del cerchio,
Ove colpa contraria li dispaia.
Questi far cherci, che non han coperchio
Filoso al capo, e papi e cardinali,
In cui usa avarizia il suo soperchio. »
Ed io : < Maestro, tra questi cotali
Dovre' io ben riconoscere alcuni
Che furo immondi di cotesti mali. »
Ed egli a me: < Vano pensiero aduni :
La sconoscente vita che i fé' sozzi,
Ad ogni conoscenza or li fa bruni.
mtì del oerchio, 8* inginrlaiio, e gli
x^aH Toltan Ciocia, rotolando i peai ro-
teisti ifaio a qoal ponto dai prodighi, e
1«sti Toltan &oeia, rotolando i pesi alno
* <^ ponto rotolati da qnelli. Onde 1
P^ tono in OH etemo movimento droo-
Ure • passano in eterno dagli nni agli
M. OOMPURTO : profondamente afflitto,
t<irt)ato; o forae tormentato di corìoeità,
^^ ST«ndo anoora rioonoscinto che qoe-
^ «ano gli avari ed i prodighi.
^ 6ISTB: daose, o genere di pecca-
^-CHiMCi : plor. di eherco, sincope di
'^^«rtM, dal gr. xXi\pix6^ lat. eìerieut^
^^BNoa eedeaiastica, aacerdote cosi se-
<*i*n come regolare} oAr. ▼. 46. Inf.
IV. i(l«; XVin, 117.
% CHEBcun i sincope di chmieuH, ton-
"intt, ohe hanno o portano oherioa. -
^Ua tonsTKJL: gli avari.
*•• TUTTI: avvi e prodighi. - GincBCl :
i^Toltì dell* mente, non avendo rloo-
•««iato il vero valore dei beni della
^f^ né Toso da fame. Ouéreio, dal
**• barb. guéleu», e qneeto probabil-
*>>(« dal ted. ant. twer, o dvereh, prò-
^'**> guer, propziam. Che ha la guar-
^^toa torta per difetto dei nervi del-
V occhio, Che patisce di strabismo. Qoi
ò nsato figuratamente.
42. 8PSNUIO : dispendio. - FÉBCi : d fe-
cero, cioè nella vUa primaia, o terrestre,
avendo speso gli nni troppo parcamente,
gli altri soverchiamente.
43. VOCE : Perohi tisni f e Perchè burli ?
-ABBAIA: grida, manifesta.
46. dispaia: separa.
46. QUESTI: a sinistra; avari. - coper-
chio ! capelli ; che hanno la tonsura.
48. SOPERCHIO : eccesso ; c(^. Inf, XIX,
112 e seg.
52. ADUNI : accogli nella tna mente.
53. BC0N08CRNTR : privA di conoscenza,
dissennata ; non avendo riconosdoto né
il vero fine dell* nmana vita, nò 11 vero
oso da flarsi dei beni terrestri. Altri spie-
gano : vita ignobile ed oscnra. Del eksrei,
papi e cardinali fi - i: li, come Inf. V,
78 e spesso. Cfr. Z. F., 45 e seg. Far\f.,
8tud., 149. - BOZZI : lordati del Visio di
avarisia o di prodigalità.
54. BRUNI: irriconoscibili. Credettero
gli ani ammassando riccheese, gli altri
spendendo largamente, di rendersi cele-
bri nel mondo, ed invece si resero tali, ohe
ninno li conosce ed il lor nome è perdato.
JSfionotdvH in vita, tconowiuH morti 1
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64 [CERCHIO QUARTO] InF. VII. 55-67
[AVARI E PRODIGHI
55
58
GÌ
64
67
In etemo verranno alli duo cozzi ;
Questi risurgeranno del sepulcro
Col pugno chiuso, e questi co' crin mozzi.
Mal dare e mal tener lo mondo pulcro
Ha tolto loro, e posti a questa zuffa :
Qaal ella sia, parole non ci appulcro.
Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
De' ben che son commessi alla Fortuna,
Per che l'umana gente si rabbuffa;
Che tutto r oro, eh' è sotto la luna
E che già fu, di queste anime stanche
Non poterebbe fame posar una. »
« Maestro, > diss' io lui, « or mi di' anche :
55. COZZI : desoriUl nei versi 28 e seg.
56. QUESTI: arari. Risorgeranno come
morirono, ancora in atto di avari. « Sini-
stra oompressis digltis tenaci tatem atqoe
avaritiam signiflcat » ; Diod. SicuL.
67. COL PUOHO CHIUSO : Al. CO* PUGin
CHIUSI.- K QUESTI : prodighi. - MOZZI : per
avere, secondo an proverbio italiano, di^
tipato tino a* eapelli.
58. FULCRO : bello ; il cielo. Il falso nso
che fecero de' beni terrestri li ha esolasi
dal cielo e precipitati in qaesto oerohio
dell' Inferno.
59. ZUFFA : dei duo cozzi ai dae oppo-
siti ponti del cerchio.
60. AfPULCBO; non lo descrivo con
belle parole; ta stesso lo vedi. Cfr. Z.
F., 47 e seg. Fan/,, 8tud., 150 e seg.
61. BUFFA : vanità, instabilità, come
di nn soffio di vento. Altri, invocando il
passo Jf^.XXII, 133. spiegano: glaoco,
barla, scherzo. La voce ha ambedue i si-
gnificati. Ma qni non si tratta di nn
giaoco, anzi di cosa ben seria. IH Siena:
« Or pnoi, figliaci, vedere quanto breve
duri l'aara della fortuna, onde si gon-
fiano i petti umani ».
03. PKB CHE: per amor dei quali beni.
- RABBUFFA : SÌ prende pei capelli e viene
a contesa. « U significato di questo voca-
bolo rabbuffa, par eh' importi sempre al-
cuna cosa intervenuta per riotta o per
quistione, siccome ò 1* essersi l' uno nomo
accapigliato con l' altro, per la qual capi-
glia i capelli sono rabbuffati , cioè disor-
dinati, e ancora l vestimenti talvolta ; e
però ne vuole 1* autore In qneste parole
dimostrare le quistioni, i piati, le guerre
e molte altre male venture, le qnali tatto
U dì gli uomini hanno insieme per gli cre<
diti, per l'eredità, per le occnpacioni, e
per i mal regolati desideri. » Boec,
65. FU : consumato. Il tempo ed i oasi
ne hanno sottratto non poco all'uso do-
gli nomini. Senso : Tutte quante le ric-
chezze terrestri dei tempi passati e pre-
senti non varrebbero ad acquistare ad
una sola di queste anime on unico istante
di requie.
Y. 67-96. Xa JPortuna. Avendo Vir-
gilio accennato alla Fortuna, Dante lo
prega di dirgli, onde avvenga ohe essa
tiene 1 beni del mondo in sua ba&a. Per
bocca di Virgilio egli ritratta quindi una
opinione da lui espressa nel Convivio,
dove aveva detto (lY, 11) dei beni di
questo mondo « che la loro imperfbaione
primamente si pnò notare nella indiacre-
zione del loro avvenimento, nel quale
nulla distributiva giustizia risplende, ma
tutta iniquità quasi sempre ». La For-
tuna ò anzi una intelligenza celeste, ordi-
nata da Dio al governo delle sorti umane;
essa distribuisce i beni terrestri giusta-
mente, secondo il volere del Supremo, e,
beata, non bada alle accuse e bestemmie
che gli nomini le lanciano contro. « Slo«
come nella protasl è dotto ohe Dio ha pro-
posto una intelligenza motrioe. o delle
intelligenze motrici, a tutti 1 cieli, eolia
legge di muoverli perpetuamente in cir-
colo, cosi nell'apodoei deve intendersi ohe
similmente egli abbia dato in potere di
una intellljienza i'vari beni di quaggiù
sifibttamente, che distribuendoli tt% le
genti debba &r loro percorrere un giro
perpetuo ; cioè, da prima farle più e più
progredire nell'acquisto di quei beni, fin*
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UencHio Q91BT0]
iNF. VII. d8-85
[LÀ FORTUNA] 65
Questa Fortuna, di che tn mi tocche, ^_. 1. -
Che è, che i ben del mondo ha si tra branche? »
79 £ quegli a me: « 0 creature sciocche,
Quanta ignoranza è quella che vi offende !
Or vo' che tu mia sentenza ne imbocche.
^ Colui lo cui saper tutto trascende,
Fece li cieli, e die lor chi conduce,
Si che ogni parte ad ogni parte splende,
n Distribuendo egualmente la luce:
Similemente agli splendor mondani
Ordinò general ministra e duce,
n Che permutasse a tempo li ben vani
Di gente in gente e d'uno in altro sangue,
Oltre la difension de' senni umani:
33 Per che una gente impera e l'altra langue,
Seguendo lo giudicio di costei.
Che è occulto, come in erba l'angue.
£ Vostro saper non ha contrasto a lei:
eUsrriTino Jkl enlminedella terrena prò-
«gelila, e poi cUr volta, e di infortunio in
JBfortnnio ritornare alla piimitlTa miae-
liaeeqiiallore, e eoéì sempre »; PraneioH,
Sopfa qnmU Tersi ofr. Borni nelle Prote
FivrtnHné, Flrenxe, 1727, II, i, p. 91-120.
Bmnmm&i, Diteono deUa Fortuna, Fi-
nnse, 1572. SiUvini, IHteorti Aaeadem.,
Flraue. 172S, I. 97 e seg.
tt. TOOCHX: tocchi, fai cenno.
C9. CHS ft CHS : è il lat. 9u<d e«e 9U0<i -i
pemàè mai, onde è che. - tba bbarcbk :
selle sue mani. Termine esprimente di-
ipcesao. Qoìndi la riprensione di Virgi-
lio T. 7«^n.
79. (XiATUBB : « drissa qoi lo sermone
a tatti tt nomiiii » : ButL - sciocchi ;
poiché T'immaginate i beni terrestri ee-
sete neDa potestà della Fortuna come
suoi, mentre eDa ne è soltanto ministra
io disMoitirlI*
12. nfBOCCHS : imbocchi ; colga coli' in-
telletto, accolga, riceva, Ihccia propria.
7S. COLUI: Dio. - TUTTO: conosccndo
non solo latte qneOe cose che hanno nna
MJsttmra reale, ma esiandio tatto quelle
ebe hanno semplloemente nn* esistensa
ideile e possibile.
74. ME : assegnò. - cm : le Intelligense
■stridi sfr. Oowo. n, 2. Pmr. XXVJULi,
TIeseg. AHade aOa simnltanea creaadone
5. — Div, Oomm., 4» ediz.
dei déU e degli angeli, insegnata dalla
scuola tomistica.
75. OGNI PABTi: del delo immateriale,
ossia ognuno dei nere cori angelici. - ad
OGNI PASTK: dd cido materiale, ossia
delle nove sfere celesti. « Ambedue gli
emisferi di dasonn delo, girando, si fkn-
no Tcdere suocesdTamente ad ambedue i
corrispondenti emisferi terrestri»; Pau.
76. DiBTRiBUXHDO : Ogni parte del ddo
immateriale.
77. SFLENDOB : di ricchossa, di onori,
di bellexsa, di forza, di capadtà, di po-
tere, di gloria, di Cuna, ecc.
78. MiNiSTBA: la Fortuna, amministra-
trice generale degli umani splendori.
79. ▲ TBMPO : di quando in quando, se-
condo il suo giudlsio.
80. aKNTB: nazione. - bahoub: liuni-
glia, stirpe.
81. OLTBK : Senza che forza od ingegno
umano possa fervi difesa.
82. L*ALTBA: Al. SD ALTRA.
84. OHB È: Al. CHID fe. per riguardo
all'elidono, della quale del resto gli an-
tidii non si curarono molto. - ahoub :
serpe } ofr. Virg,, Bdog, m, 98 : « Frigi-
dus (o pueri, ftigite bine) Latet anguis
in herba».
86. ROH HA OOHTRASTO : non può OOn-
traatare; cfr. Barn. XX. 19.
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66 [CEBCHIO QUINTO] INF, VIL 86-101
[DISCKSi
88
91
04
97
100
Questa provvede, giudica e persegue
Suo regno, come il loro gli altri Dei.
Le sue permutazion non hanno triegue :
Necessità la fa esser veloce ;
Si spesso vien chi vicenda consegue.
Quest' è colei eh' è tanto posta in croce
Pur da color che le dovrian dar lode,
Dandole biasmo a torto e mala voce.
Ma ella s'è beata, e ciò non ode:
Con l'altre prime creature lieta
Volve sua spera, e beata si gode.
Or discendiamo omai a maggior pietà :
Già ogni stella cade, che saliva
Quando mi mossi, e il troppo star si vieta. »
Noi ricidemmo il cerchio all'altra riva
Sovra una fonte, che bolle e riversa
86. FSB8KQUB: esegoiBoe nel regno ano
ciò ohe ha provveduto e gladioato. * Pro-
vede, oioò col ano sapere pensa e discerné;
giudica, come ha provedaio, e prosegue,
oioò mette In eeeensione » ; BtUi.
87. DKI : « intelligenie, le quali la vol-
gare gente chiama Angeli.... e chiamale
Plato Idee, ohe tanto ò a dire, quanto for-
me e nature universali. Li Gentili le chia-
marano Del e Dee ; avvegnaché non oosl
Ulosofioamente intendessero quelle, come
Plato >; Oonv. II, 6.
88. pkbmutazion: passaggio de' beni
terrestri da uno ad un altro. - tbirgur:
riposo, cessazione, Mntermittenza.
89. MKCBSsrrl : volere divino ; ofr. Ho-
rat., Od. I, 85, 18. La Fortuna è veloce,
dovendo tener dietro alla Neeeisiià ohe
le corre innansi.
90. BÌ : per tal motivo. - vien: avviene. -
VICENDA : mutazione di stato. « Sono tanti
che devono passare alla volta loro, ohe
poco spaxio resta a ciaschedano » ; Tom,
91. POSTA iir CBOCB: bestemmiata.
92. PUR : anche. - COLOR : dagli uomini,
che esperimentano le sue permutazioni. -
DAR LODE: perohò inesorabilmente giusta.
93. MALA voCb: chiamandola deca, In-
giusta, eco.
94. s' ft: è, Ben vive. - non ode: non
se ne cura.
95. CREATURE: intelligenze, angeli,
creati contemporaneamente coi deli;
dunque prime oreatTn*e.
96. sua: de' beni terrestri, a lei afll
data da Dio.
V. 97-108. IHàeeaa al quinto ew
ehio, È passata la metà della notte, «
incomincia il secondo giorno deirasiom
del poema. Arrivano idla palude Stigc
regione degl'iracondi.
97. A if AOOIOR: in più miserabile luogo
ove son maggiori tormenti, il cui aspetti
è più aflluinoso e oompassionevole.
99. MI MOSSI: Irif. I, 186 e II, 1. Sii
qui il viaggio ò durato sei ore. - troppo
una notte sola nell' Inferno, come Enea
Lomb.: * Allude all' insegnamento degl
Ascetici, che nella oonsiderazlone de' vizi
non si fermi la mente di soverchio, mi
solo quanto basta a conoscere la brut
tessa loro e pemisie »(!).-« Virgilio nel
rammentare il cammino degli astri vuol
significare che quantunque Dante fosse
nelregnodell'etemitÀ, pure per lolch'en
vivo, il tempo soorrea. £ più d'una volti
fkrà dò, e sempre con questa arcana in*
tenzione. Infetti nel Purgatorio si ve-
dranno sempre il sole, o le stelle ; perchè
il Purgatorio non ò luogo etemo, oone
l'Inferno ove Vaere è tenxa Helle; ma è
luogo che dovrà finire » ; Boee,
100. RICIDEMMO: traversammo.
101. RIVERSA: trabocca le sue aoqne;
si versa o volge giù per un fossato, n
quale ò ftitto da essa fonte. Sulla origine
di questo e degli altri fiumi infernali,
ofr. Ir)f. XrV,ai2-188.
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[CUCHIO QUnfTO]
iNF. YII. 102-116
[IRACONDI] 67
la
19S
m
m
li:
Per nn fossato che da lei deriva.
1/ acqua era buia assai pid che persa:
E noi, in compagnia dell'onde bige.
Entrammo giù per una via diversa.
Una palude fa, che ha nome Stige,
Questo tristo msoel, quando è disceso
Al piò delle maligne piaggio grige.
Ed io, che di mirar mi stava inteso,
Vidi genti fangose in quel pantano,
Ignnde tutte e con sembiante offeso.
Questi si percotean non pur con mano.
Ma con la testa, col petto e co' piedi,
Troncandosi coi denti a brano a brano.
Lo buon maestro disse : « Figlio, or vedi
L'anime di color cui vinse l'ira;
192. rosBATO: « per un oanale ohe con
I* Hotrer deDe Mie «eque ella stesM ti
IM. nù: dunque nera. - pebsa: ofr.
^ V, 89 nt.
IN. or OOMPAOHIA: Inngo le onde
^Ka», nella direxioiie della corrente.
1^. IHTEBSA.: straordinaria, insolita,
*^m^ orrida, malagevole.
W«. PALUDB: cfr. Virg., Attn. VI, 3?8.
-3n6B: lat. atyx, gr. Zrv^, flome ohe
crooMU la città di Dite.
118. MALiosis : malageroUi sooscese. Al.
«ìltaoe. lesione ohe U Moore, Orii., 292
* Wf.. inclina a ritenere orìgìoale. Ma
^ >9fie-i|^ non sembra roba di Dante.
-<:uei: ffDsefae, tetre.
V. 109-130. GH irwxmM. NeUe nere
^ lagose acque dello Stìge stanno som-
^^ gli iracondi, qnal pib qnal meno,
^<<ondo la gravità della loro colpa. In
)?rtii parte resi quasi Irriconoadbili dal
^>ge che li ricopre. Qnelli ohe sono
*^>9us«TsÌ solo in parte, si percuotono e
■i Addentano tra loro ferocemente; i
^^Baend del tutto gorgogliano parole e
*>^piri. Lo Stìge figura la passione del-
^if*; il percuoterti e raddentarsl sono
^ conthioasione del ikre terrestre di
?^ pecoatori, e eoA pure il gorgo-
giitrsde^ intieramente sommersi. L'ira
'^ all' nomo l'uso della ragione e la
^<»lt* di dire con parola inUgra,
Owrraado ohe accidia, invidia e «u-
f''^ non si trovano altrove nell'In-
^ dantesco, 1 piti credettero di tro-
vare in questo cerchio anche accidiosi,
invidiosi e superbi. Ha nell' Inferno di
Dante si puniscono soltanto peccati at-
tuali. L'aocidiaconaiste nel non flur nnlla,
né bene uè male, onde gli accidiosi morti
impenitenti hanno il loro posto nel Ve-
stibolo. La superbia e l' invidia in atto
sono le radici di quasi totti 1 peccati
che si puniscono dal sesto cerchio in giù ;
ofr. It\f. XII, 49 e seg. È dunque fktica
gettata il chiedere, dove siano gli invi-
diosi ed I snperbi. Nel Porgatorio poi,
dove si tratta, non di panire 11 peccato
attuale, ma di estirpare le radici del
male, lì caso ò diverso. Ne riparleremo
a luogo debito. Cfr. BartoH, LétU ital.
VI, I, p. 62 e seg. FUomtui Guelfi, La
gtruUura morale dell'Inferno di D„ nel
Oiom, Dani. I, p. 841 e seg., 429 e seg.
Eneiel. 12 e seg.
109. nrrsso: intento; mirava attenta-
mente.
110. PAifTANO : la sopradctta palude.
111. OFFESO: sdegnoso e cruccioso,
proprio di chi ò vinto dall'ira.
112. QUKSTi : dannati. Al. questk, doò
anime. -ex peecotran: vicendevolmente.
« È conveniente che nell' Inferno si per-
cotano coloro, che nel mondo s* hanno
percosso, e straocinsi con li denti a pexxo
a posso, come hanno stracciato nel mondo
lo prosdmo e ancora sé medesimi; imperò
ohe molti irosi si percuotono, emordonsi
le mani»; Buti.
116. vniBB l'iba : è dunque chiaro, che
In questo cerchio sono soltanto gVlraoon-
BRCHIO QUINTO] INF. VII. 117-130
[IBICONOI
Ed anco vo' che tu per certo credi,
Che sotto r acqua ha gente ohe sospira,
E fanno pullular quest'acqua al summo,
Come V occhio ti dice, u' che s'aggira.
Fitti nel limo dicon: " Tristi fummo
NelPaer dolce che dal sol s'allegra,
Portando dentro accidioso fummo :
Or ci attristiam nella belletta negra. „
Quest'inno si gorgoglian nella strozza.
Che dir noi posson con parola integra. »
Cosi girammo della lorda pozza
Grand' arco tra la ripa secca e il mézzo,
Con gli occhi volti a chi del fango ingozza :
Venimmo al piò d'una torre al dassezzo.
, avrebbe detto che altri furono
Eksaperbla, altri daU'inyidia, eoo.
iBDl: creda.
TTO : schiavi aaaolnti della fé-
passione. Al.: «Coloro ohe ohin-
lutriscono Vira nel fondo del
snore, ira tanto più terribile,
ih rattenuta; onde la prima di-
r altra fhma ». Ma osano qnei
ommersi del tatto altro modot
«rmentano vicendevolmente? H
n risponde.
LLULAR: gorgogliare, sorgere
Ino alla snperfioie. « Per lo fla-
i l'acqna venivano li bollori sn-
i. - AL SUMMO : snlla superficie.
CHB: dovnnqne l'occhio tao si
ifo : fango, poltiglia.
LCE: vita terrestre; cfr. If\f.
DAL : Al. DEL. « Dal risponde
»rep. d o de lat. che significa e
tempo ; siochò dal tol varrebbe
one del Sole, e dopo che il Sole
» ; Di Siena,
ITBO : nel onore. - accidioso : o
are tristo e affannoso, entram-
«ti dal lat. aeedia, « Aecidioto
fummo non vuol dir altro che lenta ira
perchè r ira presta e sabita (con dò sii
ohe i primi moti non sono in potestà dj
noi medesimi) non è peccato » ; Dan. •
« Con la traae aeddioto fummo il Poeti
significò vivamente il di^tto che cova
reno noli' animo i tristi d' ira repressi
nel trattenersi dallo sfogo della loro col-
lera » ; Todetehini.
124. BELLETTA : forma varia di lne^
UUa't melma, pantano, fhngo; deposito
delle acqne torbide.
125. limo : per ironia, lamento. - gob-
OOGLIAN: barbagliano.«6^or90{7<iarée8pri-
me il remore che ano & gargarissandosi :
pronnnsiare indistintamente come flueb-
he ano che avesse dell*acqaa nel!» gola»;
Blane. - strozza : canna della gola.
126. NOL P0B80N : essendo immerai nel
pantano.
127. POZZA : dal ted. lyutté -«• pozEO,
gora.
128. ABCO': gran porxione diqnel quinto
cerchio. - mézzo : con l' a stretto e le x
aspre: 11 fradicio della palude.
129. A CHI: a qaelle povere anime.
130. AL DASSEZZO: (dal lat. da'tequivsf)
da ultimo. Cfr. Bneiel. 528 e seg.
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QUIBTO]
Im?. YIII. 1-S. [LB DUE PIIMMETTB] 69
CANTO OTTAVO
cEBcmo quinto: ieaoondi
FLEGIÀSy FILIPPO ARGENTI, LA CITTÀ DI DITE
OPPOSIZIONE DEI DEMONI
Io dico, seguitando, ohe assai prima
Che noi fassimo al pie dell'alta torre,
Gli occbì nostri n'andar snso alla cima
Per due fiammette che i' vedemmo porre,
£ un'altra da lungi render cenno
Tanto, che appena il potea l'occhio tórre. ' *
Ed io mi volsi al mar di tatto il senno :
Dissi: « Qaesto che dice? E che risponde
V. 1-30. n evstode dèi quitUo cer^
cU*. Andando ir» la ripa secca e la mei*
QSt dopo mrvr girato grand' arco di quel-
la lorda possa, con gli occhi volti a quei
fhtb iogoattno del fimgo, i dne Poeti sono
giutlapiò d*an'a2ta torre; ma prima
ueofa ebe ri siano, il loro sgoardo viene
kttfrato aSlA cima di essa da dae fiammet-
U die Ti rodono porre, alle qoali on' al-
tra, d'aaaai lungi, rende cenno. Dante,
nallaeompr^idendo di quel segnali acam-
MUi, ne domanda a Virgilio, il quale gli
i^ODde: «Lo vedrai a momenti . » Pib re-
lo«e d*ana saetta che corre via per l'aere
aetts, viene per V aequa una piccola na-
rt, guidata da un solo nocchiere che vo-
aitaparcdedl ardentissima ira. Disingan-
nato da Virgilio, ma come costretto da
osa forza superiore, Flegiàs accoglie i
àw6 pellegrini nella sua barchetta, e li
tragitta ali* altra riva, dove ò l' entrata
della dttA di Dite.
L BsourrAKDO: continuando e compien-
do il racconto incominciato ed interrotto ;
cfr. Ariotio, OrL XVI, 6; XXII, 8, ecc.
4. 1*: ivi. Lo due 'fiammette, poste
sulla sommità della prima torre, sono
il segno del Atto straordinario, che
un' antma viva discende nel profondo In-
ferno ; « siccome far si suole per le con-
trade nelle quali è guerra » ; Boee. 0 « ad
imitazione di quello ohe si (k tra gli no-
mini, quando nei tempi sospetti Tuna
air altra terra di di fa cenno col ftimo,
e di notte, come era allora, col Ihooo » ;
Land.
6. DA LUNGI: onde fu necessaria una
grande aggirata, v. 70. La fiammetta da
lungi ò nella città di Dite, probabilmente
suU'atta torre alla dma rovente, mensio-
nata Inf. IX, 86. - bkndeb cnm o : ri-
spondere ai segnali delle due fiammette.
6. TANTO : da lungi. - tórri : scorgere ;
è il virgiliano : « locum capies oculis » ;
Georg, lì, 280. Confr. Luean., 1. IV, 19
eseg.
7. mar: Virgilio; cfr. Inf. VII, 3.
8. QUR8TO : fuoco delle dne fiammette,
V. 4. Oppure : Che vuol dire questo porre
di qua dne fiammette?
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70 [CERCHIO Qunrro] Ihf. yui. 9-2
[FLBGll
10
18
10
10
22
25
Quell'altro foco? E chi son quei che il fenno ? »
Ed egli a me : « Su per le sucide onde
Già scorgere puoi quello che s'aspetta,
Se il fummo del pantan noi ti nasconde. »
Corda non pinse m^ti da sé saetta
Che si corresse via per l'aere snella,
Com'io vidi una nave piccioletta
Venir per l' acqua verso noi in quella,
Sotto il governo d'un sol galeoto.
Che gridava: € Or se' giunta, anima fella? »
« Elegiàs, Elegiàs, tu gridi a voto, »
Disse lo mio signore, < a questa volta I
Più non ci avrai, che sol passando il loto. >
Quale colui che grande inganno ascolta
Che gli sia fatto, e poi se ne rammarca,
Fecesi Flegiàs nell' ira accolta.
Lo duca mio discese nella barca,
E poi mi fece entrare appresso lui ;
9. FBNHO: ohi Bon coloro ohe mifleio
ftiori quelle fiammettet
10. BuciDS: nere e Cuigose; 7f/. VII,
124, 129.
11. b'abpktta: tta per accadere, in
oonsegnenta dei dae segni.
12. IL FUMMO: la « nebbia folta »;
Inf, IX, 6.
13. FiirsK : spinse ; da jnn^^tf — lat. im*
pingere. Cfr. Virg., Aen. XII, 856 e seg.:
« Illa Tolat oeleriqae ad terram turbine
fertar: Non seoas ao nervo per nubem
impnlsa sagitta, eto. ». B X, 247 e seg.:
« Fugit illa per nndaa Ocior et iacalo et
▼entos eeqaante sagitta » . Orid.,Met.yil,
776 e seg.: « Non ocior ilio Basta, nec
excnssiB contorto verbere glandes, Keo
Gortyniaco calamas levis exit ab aron ».
IO. Uf QUELLA; sottintesovi ora ; d'oso
frequente; qui vale: In quel medesi-
roo momento che Virgilio rispondeva a
Dante.
17. OALBOTO : gftleotto, come Baco per
BaceOf ajige per ajigge, futi per futH,
»ana per tanna, ecc. « Galeotti son chia-
mati quo* marinari, i quali servono alle
galee; ma qui, licenza poetica, nomina
galeotto il governatore d'una piccola bar-
chetta » ; Bocc. Le due flammette dettero
il segno di qualche novità; i demoni di
Dite risposero con una flainmetta d'aver
inteso; mentre Flegtàs, nella sua piodo
letta nave, viene velocissimo come saet
ta, a vedere quale sia la novità annuo
aiata, ed a fieramente minacciare Tassa
Utore.
18. OB : avverbio di tempo, ora, essen
do in prima vita. Parla a) solo Danlq
come fece Caronte, JnA III, 88 e seg.i
più intendono che parli a Virgilio,
qnal caso però l'avverbio or non avrebtj
senso alcuno, tranne quello di ftnaln
come se Flegiàs avesse aspettato Vii]
Ho da un peeso ! - oiukta : arrivata.
19. Flkgiàs: <I>Xcruaq, personag
mitologico. Irato contro Apollo, che j
avea violata la figlia Coronide (madre |
Esculapio), mise fboco al tempio di ]
e lo arse ; cfr. Pind., Pi/th. IH, 8 Fw
Aen. VI, 618. 8tat., Theb. 1, 718. Val J
II, 193 e seg. Alcuni lo dicono presidenl
della città di Dite, i più custode ('
quinto cerchio.
20. A QUR8TA VOLTA : alla volta X
verso di noi. Al.: Per questa volta.
21. PIÙ : per maggior tempo. - avbiI
in tuo potere. - loto : tengo dello Stig^
24. ACCOLTA : addensata in petto, n4
potendo sfogarla a modo suo. « Concepì
mente et facie » ; Btnv, < Collecta fetigi
edendi Ex longo rabica *\Virg., Aen. Ul
63 e seg.
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^msBso Quurro]
IHF. Vili. 27-82 IriLTtìTO IBOBNTl] 71
E sol quand'io fui dentro, parve oarca.
Tosto che il duca ed io nel legno fui.
Secando se ne va l'antica prora
Dell'acqua più che non suol con altrui. '
Mentre noi correvam la morta gora.
Dinanzi mi si fece un pien di fango.
n. CABCLk: per 11 peso del coipo di
Dote.
3*. PBO&A : nave ; 1» parte per il tatto.
M. ALTBU1: Flegìàa, cfir. v. 13 e seg. I
fife ^ie^BDO «oOe omftrtf e dicono ohe Fle-
pie abbia l'iiffieio di barcaiaolo destina-
ta a tngjiefctare Bolla palode Stige tutte
^Mte le anime condannate al baaeo In-
fase.lCa le aBime, appena adita da Mi-
wamB la lora aentenza, ion giù volte (In/.
T, ISì, cadono (Jnf, XIH, 07), piovono
iJbtf.XXJT,122),ruinano(Inf.XXXUI,
tStftl eerèhio ore sono oondumate, op-
pn» Ti Tengono portate dal diavolo, It\f.
XXT. 29 e seg.; danqoe non vengono tra-
pttste da Fle^U^. Infatti Dante non dice
nij die esse si raccolgano alla riva di
S^B; sa qaella spiaggia di cai i doe Poeti
pcieomwo gnntd'arco, non vedono una
•^ <nibrm ehe vada pel sao cammino.
Dvre sarebbero donqne le moltitodlnl
*s iaceesantemente si radunano sulla
nrìera d' Acheronte (Inf. lU, 70-120;!
Lo ifmon spettacolo dovrebbe di neces-
ésk ripetersi qui, se Fieglàs dovesse tra-
nsitarle, né la sua piceioUUa nave ba-
nexebbe a tanto. Qai il viaggio dei due
Poeti è everso da quello delle anime
éaamaie, appunto come altrove; cfr. p.
t*.l^r. XVI. 106 e seg.; XVII 142 e 7«-
134; XXXI, 112 145. Per tutto ciò Cfr.
r«p. del CHpoUa, Il poeto dello Stige, Ve-
resa, 1891.
T. 81-M. PUippo Argenti, Mentre
passano la morta palude, ecco Filippo
Argenti, TirMO e bizzarro fiorentino che
tnìa di offendere Dante, il quale da ma-
{Bsalmo \o ribatta, onde è lodato da Vir-
gili» e vendicato dagli altri spiriti che
4acno addoeso a quel bestiale. Questi dal
canto sao, non potendo sfogare Tira sua
entro altri» «t wAge coi denti contro so
IL MOBTA : la cai superficie non pullu-
kfa, tir, Inf. VII, 110. Benv.: « Bum
tnodremas per iUam vallom stygiam,
csios aqoa erat mortaa» idest immota ».
82. ox: Filippo Argenti, oftr. v. 61. «Fuit
nns ex potentibos popolaribos Civltatis
Fiorenti» * ; Bivmlbgl. - « IXegli Adimari
di Flrenie, oava(i<«ré) » ; An. Al. - « Un
ohavaliero fiorentino nominato ICesser
Filippo Argienti degli Adimari si traeva
il qualle iraohundlsimamente vivendo si
resse » ; lae, Dant. - « Kon ebbe mai al-
cono atto di vertude nella sua prima vita,
ma sempre fu superbo ed arrogante » ;
Lan, - « Degli Adimari di Firenze, ca-
valiere di grande vita, e di grande bor-
bansa, e di molta spesa, e di poca vir-
tade e valore » ; OU. - « De Adimarìbus
de Florentia, hominem multum iam sa-
perbum et arrogantem • ; Petr. Dant. -
« Fa questo Filippo Argenti de' Cavlc-
dnli (uno de* rami degli Adimari), cava-
liere ricchissimo, tanto che esso alcuna
volta fece il cavallo, il quale usava di
cavalcare, ferrare d'ariento, e da questo
trasse il soprannome. Fu uomo di per-
sona grande, bruno e nerboruto e di me-
ravigliosa forza, e pih che alcuno altro ira-
condo, eziandio per qualunque menoma
cagione : nò di sue opere si sanno che
queste due > ; Boce, - « Fu costui messer
Filippo Argienti degli Adimari di Firenze
arroghante e superbo e nimico di Dante
peroh* era di parte nera e Dante era di
parte bianca • ; Faleo Boee. - « Habebat
summe odio popnlum florentinum, habe-
bat unum equum quem vocabat equum
popnli Florentife, quem promittebat om-
nibus petentibus eum mutuo ; de mane
equus erat paratus tempestive et daba-
tur primo venienti; postea aliis super-
veniontibus dioebatur: tarde, tu fuisti
pneventus, et sic eludebat spes multo-
mm, et de hoc habebat solacium et ri-
som »; Benv, - « Fu uomo molto arro-
gante et iroso e diffiunato del vizio del-
l'ira ; e fta chiamato Argenti, perchè fftcea
ferrare lo suo cavallo coi ferri d'ariento »;
Buti. - « Una volta, avendo questione con
Dante, diede uno schiafib a Dante, per-
chè erano di diverse e contrarie parti. £
sempre fu inimicizia massima f^ loro
due»; Anon. Laur, XLII, 14. -L'-An.
Fior, copia il Boce. ; 1 comment. poste-
riori non aggiungono nulla di nuovo. -
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Hlò QUINTO] IKF. VIU. 88-54 [FILIPPO ÀBGBlITlJ
E disse : « Chi se' tn, che vieni anzi ora? »
Cd io a lui: « S'io vegno, non rimango;
Ma tu chi se'i che se' si fatto bratto? »
Rispose : « Vedi che son un che piango. »
Dd io a lai : « Con piangere e con lutto,
Spirito maledetto, ti rimani;
Ch'io ti conosco, ancor sie lordo tutto. »
Lllora stese al legno ambo le mani ;
Per che il maestro accorto lo sospinse.
Dicendo : « Via costà con gli altri cani! *
iO collo poi con le braccia mi cinse,
Baciommi il volto, e disse : « Alma sdegnosa,
Benedetta colei che in te s'incinse !
(uei fu al mondo persona orgogliosa;
Bontà non è che sua memoria fregi :
Cosi s'è l'ombra sua qui furiosa,
'uanti si tengon or lassù gran regi,
Che qui staranno come porci in brago,
Di so lasciando orribili dispregi I »
Id io : « Maestro, molto sarei vago
Di vederlo attuffare in questa broda,
Prima che noi uscissimo del lago. »
notivo anello a nna novella FUa è incinta in uno fanciullo, ciò ò el-
^, 8), è segno che l'Argenti l' ò gravida > ; An. Fior,
itinto per 11 vizio dell' ira- 46. oboogliosà : dnnqne iraconda per
orgoglio. Keir Inforno dantesco è punito
JL : prima di essere morto ; per V ira, della quale >a superbia fìi la
radice.
D : come tu. Sembra ohe 48. così : itaqw, perciò, per tal motiva
lesse di avere in Dante nn 49. lassù : nel mondo. - gbait rboi :
gno di pena. personaggi di gran conto.
: lordo, pieno di fango. 50. drago: prov. brac, frano, ant.
Segna nominarsi; cfr. It\f, orai; fango, melma, mota, poltiglia; ofir.
Purg, V, 82.
ancorché. 51. labciakdo : nel mondo. - dibprkgi :
per offendere Dante. memoria di anioni orribili, a commettere
) : della rea inteneione di le quali farono trascinati dall' ira.
stl. 52. VAGO : bramoso, desideroso. « Se-
LA : altera, gentile. « Bene qnitnr antor hamannm appetitom quasi
>pone lo sdegno del Poeta dioat : slont delectabatnr dlstradare et
iurbanza [meglio: aXl'ira] ladiflcari àlios, ita vellem anteqnam re-
nnlla sondo a cotall uomini cedam hinc, fieri destraoium et ludibriom
» che l'altrui disprezzo » ; de eo » ; Benv,
53. ATTUFFARB: qui in senso intr. pas-
tua madre; cfr. Lue. XI, slvo per M««re attu/oto. Desidera il Poeta
»guitando U volgare antico, di vedere più chiaramente come il vizio
)lti d'una donna gravida: dell'ira porti in sé il proprio gasUgo, e,
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paBCnO QUIHTO]
iNF. yni. 55-70
58
«7
n
Dopo ciò poco vidi qySsIitò strazio
Far di costui alle fangose genti,
Che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
Tatti gridavano : < A Filippo Argenti ! »
£ il fiorentino spirito bizzarro
In sé medesmo si yolgea co' denti.
Quivi il lasciammo, che più non ne narro;
Ha negli orecchi mi percosse un duolo,
Per ch'io avanti intento l'occhio sbarro.
Lo buon maestro disse: < Ornai, .figliuolo,
S'appressa la città che ha nome Dite,
Co' gravi cittadin, col grande Eftuolo. »
Ed io: «Maestro, già le sue mesciute •
i i^.
TBteto elò, ne lingrasia Iddio. - bboda :
pttDtmo»
57. OOHTXBRl: AL OOHYUUf CIDC TU TI
S8. quxLLO: tale.
Si. ALLi: dalle.- Gixn : iracondi nella
patade.
61. ▲: addoaso a.
f2. S IL nQBSRTraO: Ai. LO VIOBXHTI-
tOiL»mb. ooSÌANidob, quel FioRomifo.
- RZZASBO : stizzoso, iroso. Sopra l' eti-
BMlogfAdi qoesi«Tooe oft*. Diez.t Etym,
ITifi, P, pag. 71. e Credo questo Toca-
bolo hitzarro al* solo de' Eiorentfaii, e
saona sempre in mala parte; perciocché
noi tegnamo bizzarri coloro che snbita-
BMute e per ogni plocola cagione corrono
la ira, nò mai da quella per àlcnna di-
■HMlracione rinraorere si possono » ;
•S. IV sÈ: non potendo ofllsndere altri.
GrU altri lo straziano colle loro grida, eg^
straala aè steaso coi denti.
M. CHife : onde, per la qnal cosa. Dopo
STernarrato come r ira ha il suo inferno
in sé Btensn, non ci rimanera altro da
dire.
V.65-81. 14» città ehe ha nome JHts,
Dante ode nn grido di dolore e spalanca
gli oedd gnardando aranti. « ft Dite >
gii oaaorTa II doee. « Veggio già le soe
Termiglie meadiite, che sembrano ibrro
roTeBta>. •dò deriva dal faoeo eter-
no ebe axde là dentro». Arrivano ai
Talli della dttà infernale. Ilegiàs addita
r entrata, intimando loro di uscire dalla
sna barchetta.
65. DUOLO : doloroso lamento, fl qnale,
come si ha da quel che segae, yeniva da
Dite. Intende per arventora di nn grido
dolente di qnei tanti demoni, t. 83, al
Teder arrirare alla porta dalla loro dttà
nn* anima viva, o è fl doolo dei dannati
(IX, lU)f
66. SBABBO : spalanco. « Apro per ve-
dere quello che fosse cagione di quel
duolo > ; BtUi.
68. Dite : la parte inferiore dell* Infer-
no, che prende il nome da DiteOat. IH$),
o Lucifero, l' imperator del doloroso re-
gno; ctrJf^. XI, 66; Xn,39; XXXIV,20.
60. OBAVi : di colpaedi pena. -STUOLO:
moltitudine, e Est enim ista civitas po-
pulosa et piena gentlbns totius mundi
qu» habltant in Sversis viois » ; Senv.
70. mscHiTB : moschee; così chiamansi
i templi del Mussulmani. Sembra che le
fortezze della dttà tnfemale avessero la
medesiffla forma. Forse vuol dire con dò,
^e la religione di Maometto trae sua
origine dall' Inferno. « La barca si è già
tanto accostata all' altra riva di Stige
^e Dante comincia a vedere nelle fos*
sate esterne della città le soe torri info-
cate, eh' ei chiama meiehiu, forse per al-
ludere ai ndseredenti che là sono ; poiché
con un tal nome i Saraeenl chiamano 1
templi del falso lor culto > ; Bo$§.
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74 [CIECHIO QUINTO] iNF. TIII. 71-88
[LA OITTl DI DITB]
78
7«
79
82
Là entro certo nella valle cerno
Vermiglie, come se di foco uscite
Fossero. » Ed ei mi disse : « Il foco etemo
Ch'entro le affoca, le dimostra rosse,
Come tu vedi in qaesto basso Inferno. »
Noi pur glognemmo dentro aìP alte fosse
Che yallan qaella terra sconsolata:
Le mnra mi parean che ferro fosse.
Non senza prima far grande aggirata,
Venimmo in parte, dove il nocchier forte
« Uscite ! » ci gridò: « Qui è l'entrata. »
Io vidi più di mille in su le porte
Da' ciel piovuti, che stizzosamente
71 . CKBTO: ohianmeiite. - CBBNO: vedo,
distiiigiio. ChUunft valìe U eesto cerchio,
il quale sembra giacere sopra lo stesso
riplano del quinto, ma ne è separato
dalle fosse, mora e me$ehUe, onde offre
r aspetto di nna città fortificata.
72. VKBMIOUB: affocate, come le arche
là dentro.
76. BABBO : in col ai puniscono 1 peccati
di malizia e di bestialità (la xama e la
^i\pt6Ti\q di Aristotele), mentre nell'alto
Inferno, faori di Dite, sono puniti i pec-
cati d' InoontinenKa, come il Poeta espor-
rà pib tardi nel canto XI.
76. PUB: finalmente. -ALTI: profonde.
77. VALLAN: circondano, difendono.
« Tallo, secondo il suo proprio signifl-
oato, è quello palancato, il quale a'tempi
di guerre si fa d' intomo alle terre, ac-
ciocché siano più foni, e che noi volgar-
mente chiamiamo steccato ; e da que-
sto pare Tenga nominata ogni cosa la
quale fuor delle mura si fa per afforza-
mento della terra ; e perciò dice l'autore,
che giunse nelle fosse che vallano, cioè
fanno piti forte quella terra » ; Boce,
78. FOSSK : /osterò ; il verbo accordato
al nome più vicino. La lezione cbb fkubo
POSSE è della gran maggioranza dei codd.
Alcuni pochi hanno CUR fusseu posse.
Ma le mura non potevano parergli /o«*e/
Cfr. Moore, Crit,, 293.
79. AOQIOATA: giro. Nella tuire piccio-
Utta avevano dunque percorso un lungo
tratto del cerchio.
80. KOOCRiRR: Flegiàs. E che fu poi di
luil Rimase H nella sua navet O tornò
indietro f O entrò n«Ua città ! Il primo
sembra più probabile, e pare cho Ilegiàa
abbia 11, all' entrata di Dite, il soo posto,
che abbandonò eooeiionalmente, corno
più tardi fsrà Gerione. L*opposisione dei
dmnoni all' entrata di Dite mal s* accorda
eoli* idea, ohe Flegiàs vi entrasse, e mol-
to menocon quell'altra più reoente,ohe ne
fosse il presidente, poidiè Flegiàs sapeva
già, vana essere ogni opposisionoi I Tersi
1-18 di questo canto vietano di supporre
ohe Flegiàs, sbarcati i due Poeti, ritor-
nasse indietro. - pobtb: fortemente, co-
me sogliono fkre gl'iracondi.
81. l' entrata : di Dite. Come n Pur-
gatorio propriamente detto, così anche
il basso Inferno ha una sola porta, o
entrata.
V. 82-130. OppoaUione dei demoni.
Come altrove, anche qui i diavoli proca-
rano di impedire il viaggio del Poeta. Ma
questa volta l'impedimento si fa più se-
rio. Non è un sol diavolo; sono più di
mille. Non cedono alle parole di Virgilio,
come fecero Caronte e gli altri, ma Io
costringono a tornare indietro. L'amanik
ragione non basta a vincere l'eresia. Onde
Tlrgflio non può qui nulla; ci vuole il
Messo del cielo.
83. da' : Al. DAL ; ma i cieli sono nove,
più l'Empireo, Conv. II, 3, e corrispon-
dono colle Gerarchie degli Angeli, <w,II,
6. In tutte le Gerarchie vi fhrono Angeli
ribelli. Dunque gli Angeli mali caddero
DAI CIELI, e non dal cielo. Leggendo
DAL ciEL si dovrebbe intendere che Dante
parli del Paradiso complessivamente; ma
la lezione dal cibl ò troppo sprovvista di
autorità. - piovuti : caduti giù dai deli
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[OBOHIO QVIHTO]
IHP. Vili. 84-103
[DBMONI] 75
»
91
M
97
190
193
Dicean: < Chi è costui, che, senza morte,
Va per lo regno della morta gente? >
E il savio mio maestro fece segno
Di voler lor parlar segretamente.
Àllor chioserò un poco il gran disdegno,
E disser : < Vien tu solo, e quei sen vada,
Che si ardito entrò per questo regno.
Sol si ritomi per la folle strada;
Provi, se sa; che tu qui rimarrai,
Che gli hai scorta si buia contrada. »
Pensa, lettor, se io mi sconfortai
Nel suon delle parole maledette ;
Ch'io non credetti ritornarci mai.
« 0 caro duca mio, che più di sette
Volte m*hai sicurtà renduta, e tratto
D'alto perìglio che incontro mi stette.
Non mi lasciar » diss'io, « cosi disfatto ! : ^
E se il passar più oltre ci è negato,
Kitroviam Torme nostre insieme ratto. »
E qael signor, che li m' avea menato,
aeD' Inlbroo, come cadono le goodole
Mia pioggia sallatem; cfr.Irti«.X,18.
84. MOsnc: o s'intende della morte
corporale, e allora il senso è : prima di
morire; o della spiritoale, e allora yo-
gllone dire: non essendo dannato.
85. MOBTA : corporalmente e spiritnal-
87. scaErrAMBMTB : poiché parerà fos-
sero sdegnati solamente della venota di
Dante e non di quella di Virgilio, questi
spera placarli più fiu)ilmente, trattando
seooloro in segreto. « Hio aotor osten-
dit qnomodo Virgilius tentaverit primo
per se intrare, qnia aodiebat qood illi so-
lommodo conqnerebantnr de ipso qnl tì^
Tens erat » ; Beìiv.
88. CHIUBSRO: raffrenarono; probabil-
mente soltanto in apparenza, per isco-
raggiare Dante tanto pib ; c/r. i rersi
segoenti.
90. AKOITO: Ycrità diavolesca. Vi entrò
titobando.
91. FOLLB: snlla quale si è messo te-
merariamente. È sempre linguaggio di
disToU.
n. raoYi : vada solo.
98. SCOSTA : mostrata. Al. : CHR scosto
L* HAI, che lo hai guidato.
98. BiTOBMABCi : ritornar qui, in que-
sto mondo.
97. SBTnc: qui pel numero indetermi-
nato, come sovente nella Bibbia; ctc.
Ptw. XXIV, 16. Eeel. XI. 2. Volendo,
si potrebbero poi annoverare nove volte:
Inf. 1. 91 e seg.t II, 180. Ili, 94; IV, 16 e
seg.: V, 21 ; VI, 22; VII, 8; VIII, 19.41.
99. ALTO : grave, grande. - btkttb: che
dovetti affrontare.
100. DISFATTO : ridotto a mal partito,
in angustie, dinaDiroato, perchè privo di
aiuto ed in grande pericolo. « Non pare
improbabile che dibatto qui non valga
né tmarrUo, o tema aiuto t e VihperdtUo
o rovinato, ma piuttosto ttaneo e loito,
non solo del cammino, ma del combatti-
mento ed abbattimento dell' animo suo,
per aver veduti tanti dannati e ora so in
lA grave ih)riglio. Infatti alle parole del
nostro Poeta fanno risposta quelle altre
del suo Duca, v. 106-107»; Di Siena.
101. IL PASBAB: Al. L'AHDAB. -ci è:
Al. m' È; cfr. Z. F,, 55 e seg.
102. RATTO: ritorniamo tostamente in-
dietro insieme, per la via che slam venuti.
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76 [CEBCHIO aUINTO] INF. Vili. 104-125 [DEMONI]
Mi disse: < Non temer; che il nostro passo
Non ci può tórre alcun: da Tal n'è dato !
106 Ma qui m'attendi, e lo spirito lasso
Conforta e ciba di speranza buona,
Ch'io non ti lascierò nel mondo basso. »
109 Cosi sen va, e quivi m' abbandona
Lo dolce padre, ed io rimango in forse ;
Che il si e il no nel capo mi tenzona.
112 Udir non potè' quel che a lor si porse ;
Ma ei non stette là con essi, guari.
Che ciascun dentro a prova si ricorse.
115 Chiuser le porte que' nostri avversari
Nel petto al mio signor, che fuor rimase,
E rivolsesi a me con passi rari.
118 Gli occhi alla terra, e le ciglia avea rase
D'ogni baldanza, e dicea ne' sospiri:
< Chi m'ha negate le dolenti case ! »
121 Ed a me disse: < Ta, perch'io m'adiri.
Non sbigottir, ch'io vincerò la prova,
Qual ch'alia difension dentro s'aggiri»
124 Questa lor tracotanza non è nuova,
Che già l' usare a men segreta porta,
105. TÒBRS: impedire. ~ Tal : Dio, al demoni si ritirò, più velocemente che
cai Tolere nessano pnò resistere ; cfr. potè, dentro dell» porta.
Rom, YIII, 81. 115. AWEBBARi : « il diavolo vostro av-
106. LASSO : « faticato per la panra » ; versarlo » ; I, Pietro Y, 8.
Boce. 117. RARI: lenti, come qnegli ohe tor-
107. BUOHA: sicura; vi è anclie nna nava indietro di malavoglia, non avendo
speranxa falsa e fallace. potnto consegnire il sno scopo.
108. NiL MONDO BABBO t nell' Inferno; 118. rabb: prive, spogliate. «Oli era
lo stesso che batto Inferno, v. 75. cadnta o sparita dagli occhi qneir ala-
no. IN FOBBB t in dnbbio. crità o franchezza che fa fede d*an animo
111. IL BÌ B IL NO: ritornerà sì o nof forte e slcnro * ; Br. B,
Che i demoni hanno detto: Tu qui rimar- 120. chi : parole di sdegno e di dolore.
rai, Virgilio invece: Io non ti lateerò. Vedi chi m' ha vietato V erUrart! Vedi
Oppure : Oli riescirà di vincere la resi- tracotanza I Al. che m*han ; cfr. Z. F,, 58.
stenza di quei diavoli, s) o no f - tbnzona: Fan/., 8tud., 151 e seg. - case : gli avelli
si combattono nella mia mente. infocati, dentro ai quali gli eretici e mi-
112. CHB A LOB RI POBBB: che da Tir- scredenti dimorano come in casa loro,
gilio fb detto a quei demoni. Al. cbb a 122. la pbova: la lotta per entrare
LOB POBBB, che Virgilio disse loro. Non dentro alla città di Dite ; ofr. Ir^, IX, 7.
potè ei udire a motivo della lontananza! 123. qual : chiunque sia che dentro si
O perchè parlò con voce sommessaf Nato- opponga ai nostro entrare. « Benché den-
Talmente Virgilio disse su per giù quanto tro s' aggiri intomo alle mura per quelli
avea detto a Caronte, III, 98 e seg., a Mi- dentro alladifensione, come si te dalli as-
noose, y, 22 e seg., a Fiuto, VII, 8 e seg. sediati nelle castella e nelle cittadi»;Jiuti.
lU. A PBOVA! a gara. Ognuno di quei 126. pobta: d'Inferno, III, 11. All'en-
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[n^l DI DITE] IHT. Vili. 126-180 - IX 1-2 [SGOMENTO] 77
ir
130
La qual senza serrarne ancor si trova.
Sovr' essa vedestù la scritta morta :
E giÀ di qua da lei discende l'erta,^
Passando per li cerchi senza scorta,
Tal, che per lai ne fia la terra aperta. »
tnte di qoMte porta dell* Inibnio i de-
moni ai oppoMiro, secondo nn' antie» tr»-
didone. aU* disoeea di Cristo aLLimbo,
osde Cristo spesso la porta, che d'allora
la poi riaiase aperta. Quindi la Chiesa
esBta: HùdU portai mortit §t ttraapch
rittr Balvator nowtér dirupU,
IM. tMKZA SKBBAMB: « Nootos atqoo
diee patet atri ianna Ditis »-, Virg., Aen.,
VI, 127.
It7. TSDBnrù: rodesti to. -mobta:
che sanmiala morte eterna. Al.: di color
■orto, oeearo (f). -Bitn.: « Serìptnram,
qm est tot mortoa» (T). Questa §eritta
morta è la terrìbile Iscrisione In/, III,
leseg.
128. DI QUA : essendovi gii entrato. -
un : porta. - l* ebta : rispetto al Inogo
in eoi si ritrovano i dae Poeti ; eìdna o
tee$a per qnel tale ohe veniva. Come lo
sapeva Virgilio, non iscorgendosene sn-
cora nolla, oome risulta dal C. IZ, 6-6?
Pare ohe sia nna parola di ferma speran-
sa, iSnidata sopra nna promessa fettagli;
ofr. JriA IX, 8'. tal ne t' offerte,
129. BKRZA SCOSTA t sonsa aver bisogno
di ohi Io goidL A differenza di Dante,
scortato da Virgilio; dnnqne nn Essere
sovrumano.
180. TAL: nn tale, del dal metto ^ IX,
86, che ben ci aprirà le porte della terrai
cioè della dttà di Dite.
CANTO NONO
ALLA POETA DI DITE
LO SGOMENTO, LE TBE FURIE ED IL MESSO DEL CIELO
CERCHIO SESTO: ERETICI
(Giaodono dentro avelli roventi)
LA REGIONE DEGLI ERESIARCHI
Quel color ohe viltà di fuor mi pinse,
Yeggendo il duca mio tornare in volta,
V.l-83. Xo offomento. Vedendo la sua
gidda, respinta dai demoni, ritornarsene
sdirata indietro, Dante impallidisce per
loapavento, onde Virgilio si sforza di mo-
■truH impavide, sen» poter però sop-
inimere alcune parole sospirate, ohe riac-
eendeno SI terrore del Poeta. D quale,
tanto per naseondere la paura sua, chiede
se qnàloheduno discenda mal giù dal
Limbo nel profondo Inferno. B Virgilio
gli dice di esservi disceso già altra volta,
confortandolo a vincere 11 suo terrore.
1. QUEL t primo caso, -colob : pslUdo.
- VILTÀ: paura. -puiss: mi spinse (op-
pure : mi dipinse) sul volto.
2. VX volta: alla mia volta ; Indietro.
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78 [PORTA DI DITE]
iNF. II. 8-16
[8OOMBNTO3
10
13
16
Più tosto dentro il suo nuovo ristrinse. * - -
Attento si fermò com*uom che ascolta;
Che l'occhio noi potea menare a lunga
Per Paer nero e per la nebbia folta.
« Pure a noi converrà vincer la punga, » ^
Oominciò ei, «se non.... Tal ne s'offerse!
Oh, quanto tarda a me ch'altri qui giunga! »
Io vidi ben si com'ei ricoperse
Lo cominciar con l'altro c^e poi venne,
Che fur parole alle prime diverse.
Ma nondimen paura il suo dir dienne,
Perch'io traeva la parola tronca
Forse a peggior sentenza eh' ei non tenne.
< In questo fondo della trista conca
8. nù TOSTO : ohe non avrebbe fotte, se
mi avesse veduto men pauroso. - dentbo:
di sé; nel suo in temo. - suo : color pal-
lido. - muovo : insolito. Sin qni Virgilio
non gU si era anoor mostrato perturbato.
- BiSTRnf SR : represso. Senso : Il mio pal-
lore feoe s), ohe Virgilio ricompose pih
presto a serenità il proprio volto. « Vir-
gilio, vedendo Dante impanrito, oeroò al*
piti presto che potè di serenar la fronte
per non isgomen tarlo maggiormente; per
coi restrinse in so 1 segni del eno risenti-
mento in vedere in Danto qnei dello sbi-
gottimento ; onde il timor del guidato
prodnoendo la prudenza del duca, parve
ohe il pallor dell' uno, figlio della paura,
quasi respingesse internamente il roasor
dell'altro, figlio dello sdegno. Il modo con
cui Dante si ò qui espresso mi sembra
troppo lambiccato » ; Bott.
6. ▲ LUNGA: da lontano. Non potendo
veder lontano per l' oscurità, Virgilio
ascoltava attentamente se alcuno ve-
nisse.
6. KIBBIA : il fummo del pantano, ri-
cordato W. Vili, 12.
7. PUKGA : pugna ; come ipunga per
ipugna, vengo per vegno, rimanga per
rimagna, eoe. H Betti: « Punga non vuol
air pugna, ma sforso, contrasto, gara »(f)*
Senso : ad onta dell* opposisione dei de-
moni, noi dovremo pure entrare.
8. SB ifOH: reticenza, dalla quale sem-
bra iktica gettata voler trarre senti-
mento positivo. Dante volle qui pennel-
leggiare una reticenza e non altro, come
si ha dal /oth del v. 16, « il qnal /&rH
dice espresso che non seppe neppur egli
ohe cosa Virgilio volesse Inferire, doè ohe
noi seppe, in quanto, nel metter quelle
parole in bocca a Virgilio, non avrà pen-
sato neppur egli a nulla di determinato»;
Faììf.,Stud. 61e seg. E noi diciamo tutto-
giorno : te no... esprimendo una semplico
reticenza, nò pensando menomamente i^
cosa determinata. - tal : un personaggio
che vuole e può aiutarci (Beatrice f). Di
un angelo (B/.) fin qui non si feoe un cen-
no. -MB s*ofpbb8b: ci si oflferse in aiuto ;
cfr. Inf. Il, 70-74. Alcuni leggono tal nb
SOFFEB8B, e, osservando che Beatrice
non s'ò offerta a nient* afflitto, spieguio :
« Tate, sì potente (cioò Iddio) eofferee, per-
mise che noi venissimo fin qui, che «q/*-
frirà, permetterà pure che noi possiamo
procedere più oltre ». Cfr. Z. F., 57 e seg.
Se Virgilio aspettava che ottri giungesse,
ne segue di necessità che gli era stato
promesso, dunque o/'erto.aiuto superiore
in caso di bisogno.
9. ALTBi : più possente di me ; il Jfetto
del cielo, v. 85.
10. BICOPEB0B: moderò la frase inco-
minciata : te non. . . . colle parole seguenti:
fai ne t'offerte.
12. DiviBSB : di fiducia, mentre le pri-
me erano di dubbio.
13. HOiTDiiCEN ; nonostante le ultime
parole esprimenti fiducia.
14. PAROLA TRONCA : quel M fion. ... del
V. 8, che Dante dice di aver forse preso in |
un senso assai più infausto che Virgilio
non avesse avuto in mente proflTerendola :
16. FONDO : semtok che r^te oredease
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[POETI DI DITB]
iNF. IX. 17-84
[600M1NTO] 79
Discende mai alcun del primo grado,
Che sol per pena ha la speranza cionca ? »
19 Questa question fec'io ; e quei < Di rado
Incontra » mi rispose, < che di nui
Faccia il cammino alcun per quale io vado.
» Ver è ch'altra fiata quaggiù fui
C Congiurato da quella Eritpn cruda,
Che richiamava l'ombre a' corpi sui.
35 Di poco era di me la carne nuda,
Ch' ella mi fece entrar dentro a quel muro.
Per trarne un spirto del cerchio .di Giuda.
28 Queir è il più basso loco e il più oscuro,
£ il più lontan dal ciel che tatto gira :
Ben so il cammin; però ti fa' sicuro.
31 Questa palude che il gran puzzo spira,
Cinge d'intorno la città dolente,
U' non potemo entrare omai senz' ira. »
M Ed altro disse, ma non l' ho a mente ;
» qiie«t»r ultimo fondo dell* Inferno.
-oo«CA : 1* cavità dell* Inforno, che ha la
isma d' Imbuto, o di cono roTesciato, o
di OMte conchiglie univalve.
17. FRIMO GRADO: Limbo, cfr. If^f,
IT, 42. INnte Tool sapere le Virgilio ala
esperto del Tiaggio; ma inveoe di chie-
ine: Oi mi già «ta<o f domanda più ve-
latamente: Oidi»cenda mai alcuno di voi
attri ehs titU nelLimboì La risposta di
Virgilio mostra che il maestro intese as-
aai bene.
IS. dOVCA: monca ostorpla. « Cionco —
ebe è impedito delle gambe o de' piò, in
maaiev» ohe non possa andare eguale e
diritto, onde cammini fuor della naturale
pentora » ; BianchinL
19. quiSTlOH: domanda.
23. OOHOIUUATO : soonglurato.-EBiTON:
'E^KX^, flimosa maga di Tessaglia, che
ftce rivirere un morto per predire a Se-
sto Pompeo l'esito della battaglia di Far-
sele ; cfr. Lue,, Phart. VI, 608 e seg. Ciò
fo 99 anni prima della morte di Virgilio.
ODaate errò qui nellacronologia, oppure
eg^ suppone ohe Britone sopraTTivesse
a Viri^tto e fli cesse già vecchia rivivere
■a altro morto, il ohe ò ignoto alla mi-
telsgia aatiea. Cfr. Encid, 708 e seg. -
CBUDA : turbando i sepolcri. Fera^ efera,
tri§lii la ehiama Lucano.
26. VUDA : dell* anima; io era morto
da poco tempo. Per evitare 1* anacro-
nismo accennato nella ni. antec. 11 Rott.
suppone ohe la maga Eritone scongiu-
rasse Virgilio tnttor vivente e spiega:
e Per lo spazio di poco tempo la carne
mia tuttora viva era lasciata nuda di me;
perchò ella mi foce entrare dentro a quel
muro, ecc. » (f).
26. iruBO: della città di Dite.
27. CKBCHio: Giudecca,of. Jnr.XXXIV.
Aveva questo cerchio tal nome già prima
della nascita del traditore di Cristo?
20. CTBL: Primo Mobile, che tutto quanto
rapcL'aUro universo tecof Par. XXVIII,
70-71. Cfr. Oonv, II, 15.
81. SPIBA: esala. «Emittit ex se ma-
gnnm fcetorem sicut vallis mortua»; JB^v.
33. IRA : o dei demoni custodi (—colle
buone), odi Virgilio stesso, ctr.In/.YJIl,
121, o, forse meglio, del messo del cielo,
cfr. V. 88.
V. 84-80. Ze tre Furie, Mentre Dante
ascolta le confortanti parole di Virgilio,
egli ò ad un tratto atterrito dalla subita
apparisione di trePurie infornali di aspet-
to spaventevole suiralto della torre. Le
Porle fanno atti di rabbia foroce, vedendo
un vivente ohe osa penetrare nelle regioni
di laggiù. Virgilio difonde sollecito il Poe-
ta contro le arti malefiche delle Parie.
84. ▲ MBICTB : non me ne ricordo più,
non avendovi Catto attenxlone.
80 [POETA DI DITE]
iNF. II. 85-50
[FTJRIK]
37
40
43
46
49
Però che Foooliio m'avea tutto tratto
Vèr l'alta torre alla cima rovente.
Dove in un ponto foron dritte ratto
Tre furie infemal di sangue tinte,
Che membra femminili aveano ed atto,
E conJdre.vórdissime eran cinte;.
Serpentelli e ceraste avean per crine,
Onde le fiere tempie erano avvinte.
E quei, che ben conobbe le meschine
Della regina dell' etemo pianto,
< Guarda » mi disse, < le feroci Enne.
Questa è Megera dal sinistro canto ;
Quella che piange dal destro, è Aletto ;
Tesifone è nel mezzo » ; e tacque a tanto.
Con l'unghie si fendea ciascuna il petto;
Batteansi a palme; e gridavan si alto.
Vu.--
36. TRATTO : ftToa riToIta tntto quanta
la mia attendone a ciò ohe mi mostrò
soli' alta torre, onde non feci piti atten-
zione a Virgilio.
36. ALLA ; esprime il panto, al qnale
erano attesi gli occhi del Poeta. I piti
spiegano aUa — dalla ; ma Ti starebbe
faori di luogo.
87. DOVI : Al. OVE ; snlla cima rovente
della torre. -PtmoN: Al. vidi. Cfr.Z.P.,
59. -RATTO : sabitamente. Tutte e tre si
rizzarono in un punto.
38. TINTI : < quia istis operantibns de-
venitar ad sangninis efftasionem» (Y) Benv.
« Erano sanguinose » ; BuH,
39. ATTO: portamento,attitudine.«Non
solamente avevano forma di femmina, ma
atti e maniere femminili ancora ; percioo>
che le femmine plh sovente ohe gli nomi-
ni s* adirano e maggiormente lasclansi
trasportare dal furore » ; Dan.
40. IDRE : «in orbe terramm pulcherri-
mnm anguium genus est, qnod in aqna
vivlt : hydri vocantnr, nullis serpentium
inferiores veneno »; Plin., HUt. natttr.
XXIX, 4. - cnrra : alla vita.
41. OERABTB: gr. ytBpàoxnq, serpenti
cornuti; eh. Frano. Saeeh., Op.div., 182.
« SerpenUUi e ceratU dee valere quanto
serpenti pUoioK e gro$H: ì piociott per
crine sciolto, i grossi avvolti in trecce»;
Lomb. - « Avean tevpenUUi per crine, e
esTMfe per treooe* (!)} Eom. Al. siRPiar-
TKLLi CERASTE, «doè Serpentelli, U quali
erano ceraste » ; OaH. Cfr. Z. F., 69 e seg.
48. QUEI : Virgilio. -HESCHniB: anoaUe,
serve; prov. e frane, ant. meichine; <A.
DUi, JÓym. Wdrt. P, p. 274 e t»g,
44. REGINA : Proserpina, moglie di Pla-
tone re dell' Inferno ohe è il regno del
pianto etemo. « Sembra che Dente ae-
cordi a Satanno una moglie di coi que-
st' Brine fosser le serve, il ohe non è
a£Dstto ; poiché nna tal diavolesse Impe-
ratrice non si trova per ombra nel suo
Inferno » ; Roti. Dante d attiene sem-
plicemente alla mitologia; ofr. If^. X, 80.
45. ERINB: (*eptvve^ plur. regcdaredi
Brina, anticamente anche in prose; oggi:
Brinni. Le Erinni figurano i rifiBOial doU*_
coscienza. . ~
46. Megera : cfr. Virg., Aen. XII, 846.
MéYotpa» la nemica. -CANTO : lato della
torre; « quia est peior quantum ed soan-
dalum in foro dviU » (T) ; Benw,
47. Albtto : 'AXi\KT(&, che non ha mai
reqnie ; « Allecto luctifloa » ; Virg., Aen,
VII, 324. « Ab iste emanat omnia oausa
planctns > ; Btnv.
48. Tesifone : Tt<n<póvn la voidlea-
trioe dell'omiddio; cfr. Virg,,€féarg. UT,
562. Asn. VI, 555, 571 ; X, 761.- A TANTO:
dò detto.
49. CON l'unghie: ofr. Virg., Asn. IV.
672-8.
50. A PALICE : ooUe palme deUe mani.
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[roiTA DI DITE]
iNF. IX. 51-63
[FURIE] 81
52
55
5é
Ch'io mi strìnsi al poeta per sospetto. ^ -
« Venga Medusa ! Si '1 farem di smalto. »
Dicevan tutte rìguardando in giuso :
« Mal non vengiammo in Teseo l'assalto. »
< Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso ;
Che, se il Gorgon si mostra e tu il vedessi,
Nulla sarebbe di tornar mai suso. »
Cosi disse il maestro; ed egli stessi
Mi volse, e non si tenne alle mie mani,
Che con le sue ancor non mi chiudessi.
O voi che avete gl'intelletti sani,
Mirate la dottrina che s'asconde
Sotto il velame degli versi strani I
51 . 80SPRT0: spaTonto; cfr. Voe. Or. a. v.
63. Mbddba : U minore delle tre Gorgo-
ni, cbe eonvertìv» in pietra obi la rlgnar-
dATa;efr. Hom,. II. V,741;Vni,M9. Hé-
jw^.2%eo9.270e seg.-SMALTO: «Lo smal-
to è pietea, però che di pietra si fa »; BuU,
54. MAL: per noi. Mal fi^cemmo a non
reodiearei dell* assalto di Teseo*, faceia-
dofte vendetta, nesaono avrebbe più osa-
to di Tenire quaggiù. Secondo la mitolo-
gia Teseodisoeee con Pirotoo nell'Infèmo
per rapire Proeerpina. Pirotoo ftx divorato
da Cerbero; Teeeo rimase laggiù prigio-
niero, finché fti liberato da Ercole; cft*.
Virff., Aen. VI, 393, 017. La lez. mal MOif
è della ^ran maggioranza dei oodd. ed ò
seasa dubbio la vera. Alooni codd. hanno
MA moa, ohe dorrebbe forse leggerti ma'
non. Cfir. Moore, Orit., 294 e seg.
55. LO T180: gli OOehi.
58. GOBOOH: la teeta pietrificante di
Medusa.
57. SULLA : nessuna speranza o possi-
bilità. - 6UBO : nel mondo.
58. msai: stesso; desinenza orria
negli antichi.
59. Ttammi contento, non fidandosi
troppo 4i °>0*
00. CHI UDISSI: chladesse gli occhi. Pare
che Medosa simboleggi il dubbio, lo scet-
ti^smo, eid l'oomo non deve guardare in
ùhceia se non mole impietrare.
V. 61-108. n Jfesso del eUHo. Un fra-
casso sparentoTole su per la palude dello
Stige annnnzia alounchò di straordin»-
rio. Arrira un Messo del cielo, che passa
lo Stige ooUe piante asciutte, sgrida i
detBoni, iqire la porta di Dite con una
0. — Di9, Comm., 4^ odia.
verghetta, quindi ritoma tacito indietro
per la lorda strada. Secondo tutti gli an-
tichi commentatori ed il più dei moderni,
questo -3^**0 ^*^ '^^ ^ Mr '^"g**^** Al-
ódBl pòchi elicono cne e invecejlercario.
Michelangelo Caetani, DacaTtTSemb-
nota, voleva che costui fosse Enea. Ci
pare che Metto del cielo non possa chia-
marsi che un angelo del cielo; cfr. Ot-
poUa, Il Metto eelesU del O. IX deWInf.,
Kovereto, 1894.
63. STBAKi : misteriosi, allegorid. I più
riferiscono questa terzina ai versi ante-
cedenti, cioè all'allegoria di Medusa e
delle tre fùrie. Dante suole però richia-
mare in tal modo l'attenzione del lettore
a ciò che sta per dire ; cfr. Purg, VIZI, 19
e seg.; IX, 70 e seg. Par. II, 1 e seg., ecc.
Se la terzina si riferisce a quello che se-^
gue, il senso potrebbe essere: Mirate
quanto è piccolo e folle il più orgoglioso
potere, quando vuol resistere al principio
d'ogni vero potere, ohe è l'Essere etemo !
Meglio sombra però il riferirò la terzina
a tutto il racconto, e la dottrina sarà al-
l' indroa la seguente : Nella città di Dite
sono puniti gli eretici, cioè i peccatori
contro la vera fede. Il peccatore mes-
sosi sulla via della conversione (Dafite)
vuol entrarvi per «considerare il fine
di coloro, » Sol. LXXII, 17, ed arrivare
mediante questa considerazione alla con-
trizione, e dalia contrizione alla conver-
sione. Virgilio procura di persuadere i
demoni, custodi della città, colle-buone,
cioò con ragioni filosofiche, ad aprime
r ingresso ; ma ò respinto oon beffe, poi-
chò i miscredenti hanno sempre argo-
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'.■^.'
82 [PORTA DI DITE]
iNF. IX. 64-74
[MESSO DEL CIBI.OJ
64
67
70
73
E già venia su per le torbid'onde
Un fracasso d' un saon pien dì spavento.
Per coi tremavano ambedue le sponde,
Non altrimenti fatto che d'un vento
Impetuoso per gli avversi ardori,
Che ijer la selva, e senza alcun rattento
Li rami schianta, abbatte e porta fuori;
Dinanzi polveroso va superbo,
E fa fuggir le fiere e li pastori.
Qli occhi mi sciolse, e disse: € Or drizza il nerbo
Del viso su per quella schiuma antica,
menti in pronto da opporre agli argo-
menti, e Io Bohemo è e fti sempre la loro
arma prediletta. Alla conyersione del
peccatore si oppone inoltre la mala co>
soienza (U Brinni)^ e vi si oppone pare
il dubbio, ohe ha la yirth di render 1* qo«
mo insensibile come pietra (Meduià). Per
« drissare gli nomini alla temporale feli-
cità secondo gli ammaestramenti filoso-
fici » (Z>e Mon, III. 16), r autorità impe-
riale (VirgUio) esorta l' nomo di fore at-
tenaione alla mala cosciensa (Guarda le
feroci Brine), e di non volgere lo sgnardo
al dubbio petrifioante (Volffiti indietro,
e Hen lo vieo ehiueo); inoltre, affinchè
Tnomo non al lasd cogliere nelle reti def
dubbio e della miscredensa, l'autorità
imperlale gli viene in soccorso coU'opera,
V. 58-60, cioè colle leggi contro gli eretici.
Sennonché l'autorità imperiale non basta
per sé sola a guidare l' uomo alla contri-
zione in merito a peccati concementi la
ibde. Ma l'autorità ecclesiastica le viene
in soccorso (tal ne t'oferte) ministrando
la divina illuminaEione (il Meeeo del cielo)
che vince e le obbiezioni de' miscredenti
col loro scherno (demoni), e gli ostacoli
della mala coscienza (Erinni), e i pericoli
del dubbio (Meduea), ed apre così una via
attraverso tutte le dlffióoltà. - Una inter-
petrasione allegorioo-politica assai inge-
gnosa e degna di essere consultata, in
Rote., Oom, I, p. 253-61. Cft*. OaXanti,
Lea, tu D, Al., ser. II, lett. II e III,
Ripatrans., 1882. Negroni, L'aUeg, dant.
del Capo di Medusa, Bologna, 1882.
64. OMDB: dello Stige.
65. FEACA880: « Et factus est repente
de cobIo sonns tamqnam advenientis spi-
rltus veheroentis» ; Aet, Apott. II, 2. Cfr.
Stat., TMb. VII, 65.
66. OPOHpB: rive di Stij^e.
68. ABDOBi: per il disequilibrio di ca-
lorico néll* atmosfera. « Secondo Aristo-
tele i calori vengono da parte avversa a
quella dov'è la materia propria de' venti :
questa di sotto, quella di sopra » ; Oo-
vemi. Cfr. Yirg., Aen. II, 41619.
69. FiBB : ferisce, percuote. « Interdnm
rapido percurrens turbine campos Arbo-
ribus magnis sternit montisque sapre-
mos Silvifragis vexat flabris » ; Lueret,,
Rer. nat. 1, 274-76 ; cfr. Luean., Pkare. I,
389 e seg. - battbiito : rattenimento.
70. FUOBi: della selva; cfr. Virg.,
Georg. II, 440 e seg.: «.... sìItas Qaas
animosi Euri adsidue franguntque fe-
run^jne». Al. i fiobi; per portar i fiori
non ci vuole un vento impetuoso, e por-
tare non pizlia mai il significato del lat.
au/erre, se non aggiuntavi la partloella
ne, o l'avverbloy^ri. H passo cit. di Virg.
è decisivo, e non meno decisiva ò V auto-
rità dei codd., i quali hanno generalmente
POSTA FUOBI, mentre posta fiosi è le-
zione di i>ochlssimi e poco autorevoli ;
cfr. Moore, Orit., 296 e seg. In quanto
ai comment. antichi, dice bene il Moore
che essi «are almost ali so vague or brief
bere that it ia difficnlt to he aure of the
readlng they followed ». In ogni caso les-
sero POSTA FUOBI : Boce., Ben»,, Serrav.,
Oelli, eco. BuU ha: abbatte fsomdb b
FIOBI. La lez. posta fiobi non si trova
presso vemn Quattrocentista.
72. FA fuggib: « Miserie, hen, prtesola
longe Borrescnnt corda agricolis » ; Tirg.,
Aen. XII, 452 e seg.
73. mi SCIOLSE: Virgilio, allontanan-
done le mani colle quali me li tenea chin-
si, V. 60. - NERBO : il muscolo locomotore
deiroochio.Al.rac<Moetttort«mdei latini.
74. BCHIUMA : acqua schiumosa dello
Stige.
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[PORTA DI DITK]
Int. IX. 75-87 [messo del cielo] 83
Per indi ove quel fammo è più acerbo. >
76 Come le rane innanzi alla nimica :
^., »/ Biscia per l'acqua si dileguan tutte, /
Fin che alla terra ciascuna s'abbicaj
79 Vid'io più di mille anime distrutte
Fuggir cosi dinanzi ad un, che al passo
Passava Stige con le piante asciutte.
83 Dal volto rimovea quelP aer grasso, •* ^- * •
Menando la sinistra innanzi spesso ;
E sol di quell'angoscia parca lasso.
85 Ben m'accorsi ch'egli era del ciel messo,
E volsimi al maestro; e quei fé' segno
Ch'io stessi cheto, ed inchinassi ad esso.
75. FKB nvDi : da quella parte. -fummo:
eaalamkme dèi pantano. - acsbbo : denso,
e però piti moleeto agli occhi.
77. BISCIA : « Dice qni T Antere la nimi-
ea biteia, osando questo Tocabolo gene-
rale quasi di tutte le serpi, per quello
drila idra, la quale ò quella serpe ohe sta
ndl'acqoa, e che inimica le rane, siccome
quella efae di loro si pasce » ; Boec. - si di-
LBODAW: « Et modo tota cava submergere
aembra palude»; Ooid., Met. VI, 871.
78. B* ABBICA : atteggia il corpo a foggia
di bica. « Ba bùM, quel monte de* covoni
d^ grano di forma conoidea, ohe fanno 1
eontadini ne* campi dopo segatura, per
dlfienderle intanto dalle pioggie. finché
BOB ala portato a battersi sull'aia. Se al-
cuno oeserTasee il modo come la si pone
a terra, giù in fondo del bosso, una rana
impaurita, direbbe, anohe sensa pensare
a Dante, ch'ella fa di so una bica, o ch'ella
t'abbica, cosi solleva il dosso e si racco-
gUe tntta racoosciandosi e serrandosi al
petto le braccia » ;^Mmt. Al.: si so-
frappone, s'attacca, si ammucchia. « Li-
moeoqne nove salinnt in gurgite ran» » ;
(Md., Met. VI, 381.
79. i>iSTBUTnc : degli iracondi, < che si
struggevano, mordevano e laceravano a
brano a brano » ; Dan. Forse qui per dan-
naie. 11 Bslti: « Ayvilite, vinte da spa-
vento, prostrate da spavento, o.oosa si-
mile: come appunto fanno le rane che
non per altro fuggono, allorché veggono
venir la serpe. Bd inflitti 1* orgoglio di
queste anime, che ora ftiggono cosi di-
strutte, era molto; confronta It\f«mo
VUI, 83 ».
80. AL PA8B0: di passo, CO* suoi piedi ;
non sorvolandovi colle ali, né passandolo
colla barca. Al.: al varco dello Stige.
82. GRASSO : denso, caliginoso, causa il
ftimo e la nebbia.
88. BTKT8TRA: nella destra portava la
verghetta, v. 89.
84. AMOOSCIA : del rimovere dal volto
queU'aer ffratto che rendeva grave il re-
spiro ; del resto non era oppresso né dalla
pletA dei dannati, né dalla paura dei de-
moni, né dagli orrori dell'Inferno; ofr.
iTkf. II, 91-98. « Solummodo ex ilio ma-
gno labore ftagandi ftimnm videbatur fos-
sas, quia maxime laboriosnm est adda-
oere veritatem in lucem » ; Benv. - « Le
quali cose son dette da lui, giudicandolo
come corpo umano, e non come spirito o
come angelo. Perciò che s* ei lo avesse
giudicato cosi, egli non avrebbe detto
che quello aere per la sua grassessa e
caliginitA sua lo avesse oflTeso o alterato,
non possendo né i corpi né le qualità
loro operare nelle sustanee spirituali e
negli angeli » ; OtUi. Secondo Dante an-
ohe le anime, cioè i corpi aerei, respi-
rano {Tnf. Ili, 22; IV, 26; Vn, 118;
Vili, 119; XXni, 113; XXXIV. 83.
Purg. VII, 29 e seg. ; XIX, 74 ; XXV,
104. Par. 1, 100, ecc.), benché alcuni passi
sembrino supporre che il respiro sia pro-
prio di ohi ha seco di quel d'Adamo (Inf.
XXIII, 88. Purg. II, 07 e seg. ; V, 81).
85. DSL CIBL: Al. DAL ciKL. Se veniva
dal cielo non era né Enea (Inf. lY, 122),
né Mercurio, ma un angelo di Dio.
87. CHBTO: tacessi. -urcHiNASSi: fa-
cessi riverensa al Messo^ celeste.
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84 [PORTA DI DITE]
INP. IX. 88-103
[MESSO DSL CIELO]
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Ahi, qnanto mi parea pien di disdegno !
Venne alla porta, e con una yerghetta
L'aperse, che non ebbe alcun ritegno.
« 0 cacciati del ciel, gente dispetta, »
Cominciò egli in su l' orribil soglia,
« Ond'esta oltracotanza in voi s'alletta?
Perchè ricalcitrate a quella voglia,
A cui non puote il fin mai esser mozzo,
E che più volte v'ha cresciuta doglia?
Ohe giova nelle fata dar di cozzo ?
Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
Ne porta ancor pelato il mento e il gozzo. »
Poi si rivolse per la strada lorda,
E non fé' motto a noi ; ma fé' sembiante
D'uomo, cui altra cura stringa e morda,
Che quella di colui che gli è davante ;
80. yKROHBTTA : « gli Angeli Tenivano
spesso dagli antichi rappresentati con
nna verga d'oro in mano, come yedesl in
vari dipinti * ; Frat. I^ vergheUa è, come
Io scettro, segno di autorità e di comando.
00. NON EBBE. Al. HON V'BUBB.
01. DI8FBTTA : Spregevole dinanzi a Dio
e dinanzi agli nomini.
03. OLTRACOTANZA: Orgoglio con cni
resistete ai voleri supremi. - si alletta :
si accoglie, alberga; oh. Inf, II, 122.
94. VOGLIA : voler divino ; « Darà cosa
ò per te 11 ricalcitrare contro il pungolo »;
Mii IX, 5.
05. MOZZO : tronco, Impedito. < Volun-
tati enim eins qnls resistit \*\ ad Rom.
IX, 10.
06. PIÙ VOLTE : Ogni qualvolta voleste
opporvi al divln volere. -cresciuta: se-
condo gli Scolastici le pene dei dannati,
e specialmente del demoni, sono aumen-
tabili sino al dì del giudizio finale. Se-
condo il Berih., « allude il Poeta special-
mente alla vittoria di Cristo nel Limbo ».
Aumentò questa vittoria la dogliaà^X de-
moni? Forse piuttosto la rabbia ed il fti-
rore. E poi Cristo discese una sola volta
nel Limbo, mentre qui si parla di piò
volte,
07. FATA: fataU, immutablU decreti di
Dio. « Falwn ét^/ari'=^parlare, è la pa-
rola dell*Bnte immuUbile scritta in dia-
mantini caratteri nell* etemo libro » ; Di
Siina. - « Fatum est in ipsis caosls orea-
tis, in quantum sunt ordinat» a Deo ad
aliquos efR&otos produoendos » ; Tkom.
Aq.t Sum. tA. I, 116, 2. - dar DI cozzo :
urtare, percuoter contro.
00. PELATO : quando Cerbero volle op-
porsi air entrata di Ercole nell' Inferno,
voluta dal Fato, Ercole gli mise nna ci^
tona al collo e lo trascinò sin fuori della
porta ; cfr. Virg., Aen, VI, 802 e seg.
100. STRADA LORDA: palude Stige.
101. NON fb' : non d disse parola. H
Messo del cielo non fia che eseguire quanto
Dio gli ha ordinato, e ciò nel presente caso
non è ohe di aprire la porta di Dite. Onde
egli non ha nulla da dire nò a Virgilio, né
a Dante. « Non feoit verbum nobis, quia
nobis serviverat opere » ; B^nv,
102. ALTRA CURA : di ritornare in do-
lo ; cfìp. J7>/. II, 71, 84. - STRINGA : • Ani-
mum patriie strin:dt pietatis imago » ;
Yirg., Aen. IX, 234. -MORDA: « Bi lurls
materni cura remordet»; Fir^.,ilen.VII,
402. - « Coi quali due esempi di Virgilio si
spiega come nel Messo di Dante il pon-
dero di tornare al dolo da ad un tempo
e affetto ohe stringe, e acuto dedderio
ohe morde » ; L. TenJt,
103. QUELLA : di aprire ai due pelle-
grini la porta di Dite.
V.104-183. La rtgUme degli ereHar-
chi. Entrano senza incontrare oramai il
menomo ostacolo. I più di mUle demoni
(Vin, 82), ìe/eroei Brine, Jfedtt«a- tutto
ò sparito; il Poctot^non ne vede pih tnio-
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iNF. IX. 104-118
[BBESIÀRCHI] 85
E noi movemmo ì piedi invèr la terra,
Sicari appresso le parole sante.
106 Dentro v'entrammo senza alcona gaerra;
Ed io, ch'avea di riguardar disio
La condizion che tal fortezza serra,
109 Compio fui dentro, l'occliio intorno invio;
E veggio ad ogni man grande campagna,
Piena di duolo e di tormento rio.
U2 SI come ad Arli, ove Bod^o stagna.
Si come a Fola presso del Quamaro,
Che Italia chiude e suoi termini bagna,
115 Fanno i sepolcri tutto il loco varo ; ryyoM ^*
Cosi facevan quivi d'ogni parte.
Salvo che il modo v'era più amaro;
118 Che tra gli avelli fiamme erano sparte,
da. GoArdandoai intorno non scorge che
mt TMto e sflenzioeo cimitero. OTonqne
avelli, e tra on areUo e l'altro ftaochl che
fiume ^ areHi etemameiite roventi. I
lero coperchi eono levati in alto, onde si
odono 1 dari lamenti di qne* ohe dentro
Ti seno. Chiestone, Virgilio insegna al
Poeta, essere questa la r^one infernale
degli eresiarohi. Ctt, Proto, Gli eretiar-
cài, Flr.. 1897.
104. txbba: città di Dite.
195. AFPRisso : dopo aver ndito le pa-
role del messo celeste v. 91 e seg.
106. gubera: ostacolo, oppodxione.
198. oosDiziOM : lo stato e la qualità
dei peccatori e delle pene.- che : quarto
rinchinde dentro le sue
110. AD OGHI MAX : da tatto le parti, a
deste» ed a sinistra. - giandb campagna:
sa vasto spaaio; dnnqne gli eretici non
Mao coQooati sdtanto lungo le mnradella
triste città, come alcuni suppongono.
US. Amia : Arles, oittà4lella Provenza,
sa la sponda sinistra del Bedano. Vi fti
Bel settimo aecolo una gran battaglia tra
Ssradni e CMstlani. - btaoma : forma
OBlago.
U8. Fola : città deU' Istria, la PieUu
/«Ka dei Bomani. - Quabrabo : Oamaro
o QuoriMro, golfo del mare Adriatico fra
r Istria e la costa di Dalmasia.
116. VASO : vario (come awertaro per
irrstaailo, Purg. VITI, 96j eontraro per
, Purg, XVIII, 16 ; maUra per
, Pwg. XVm, 97, eoo.), di so-
perflde ineguale per la terra qua e là
ammucchiata. « La cagione perohò ad
Arli siano tanti sepolcri, si dice che
avendo Carlo Magno combattuto quivi
con infedeli et essendo morta grande
quantità di Cristiani, fece priego a Dio
che si potessino conoscere dall'infedeli,
per poterli sotterrare; e fatto lo prego,
l'altra mattina si trovò grande molti-
todlbe d'avelli et a tutti li morti una
scritta in su la fronte, ohe dioea lo nome
e il soprannome ; e cosi conosciuti li sep-
pellirono in quelli avelli » ; BiUi, - « Sed
qnidquid dicatur, credo quod hoc sit va-
nnm et fiibulosum ; et credo quod erat
ex consuetudine patriie sepelire mortoos,
slcut vidi apud alias multas terras in
partibus illis, licet non in tanta moltitu-
dine.... Inxta Polam oivitatem est etiam
magna multitudo arcarum ; audio qnod
sunt quasi septiogentce numero, et fer-
tur quod dim portabantur corpora de
Sclavonla et Histria sepelienda ibi iuxta
maritimam » } Benv,
116. cosi : così vario fikcevano tutto 11
luogo gli avelli oh'eran quivi.
117. PIÙ AMARO : più doloroeo che non
ad Arli ed a Pda. Qui gli avelli sono ro- <
venti e qne'che vi giacciono sono tormen-
tati. Credettero ohe l' anima morisse col
corpo; onde le anime loro giacciono in
queir avello da essi vagheggiato. Hanno
trovato nel moudo di là per l'appunto ciò
che volevMio trovarvi : l' avello ! Ma nn
avello rovente, in coi non è requie t
118. TRA GLI AVELU: COSÌ leggono, si
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86 [CSBCHIO SESTO]
INP. IX. 119-132
[EBBSTARCHl]
Per le quali eran si del tutto accesi,
Ohe ferro più non chiede verun'arte.
121 Tutti gli lor coperchi eran sospesi,
E fuor n' uscivan si duri lamenti,
Ohe ben parean di miseri e d'offesi.
124 Ed io : < Maestro, quai son quelle genti
Ohe, seppellite dentro da queir arche,
Si fan sentir con gli sospir dolenti ? »
127 Ed egli a me : « Qui son gli eresiarche
Oo' lor seguaci, d' ogni setta ; e molto
Più che non credi, son le tombe carche.
130 Simile qui con simile è sepolto,
E i monimenti son più e men caldi. »
E poi eh' alla man destra si fu volto,
può dire, tutti. Ma, osservando che nel
canto seg., y. 87 e seg., Dante dice che
Virgilio lo pinte tra le sepolture a Fa-
rinata, il che non si comprende se tra
gli avelli erano sparte fiamme, Z. F.
vaol ohe si legga : ch' entro agli avel-
li, osservando: « Il musaico d'alcuni
oodd. OKètragli fu risoluto in Ohe tra gUj
laddove, tenendo conto della lineetta so-
vrapposta all'è, volea risolversi in Oh'en-
ir' agli ». Dove sono i oodd. ohe hanno
Chùtragli, con « lineetta sovrapposta al-
1*0 »? B come fece il Poeta, appena en-
trato in questo cerchio, ad accorgersi ohe
entro agli avelli erano fiamme sparte f
Del resto anche Qdli legge Cu' entro li
AVELLI, e così pare che abbia letto Oatt.
e qualche altro. Anche il Campi difende
questa ledone. Poi. legge tra e spiega:
« Qui <ra non ha il senso che prende al
V. 28 del C. seg.; onde, non già tra l'ano
e r altro degli avelli,... sibbene intra gli
avelli, onde le fiamme gli accendevano ».
119. ACCESI: roventi.
120. NON CHIEDE : quegU avelli erano sì
accesi, che nessun 'arte di fabbro o di fon-
ditore esige che, per lavorarlo, il fbrro da
più rovente. -Betti: * Chò verun'arte
non chiede che il ferro, per ben lavo-
rarlo, sia rovente così ».
121. SOSPESI: aleati; cAr. Ii\f. X, 8.
126. ARCHE : avelli; cfr. Jnf. X, 29.
127. RRS8LA.UCHE: (pluT. autioO di «Ttf-
9iarea, oggi ereHarchi), principi, o capi
di eresia. Cfr. Nannuc,, Voci, 86 e seg.;
Komi, 284 e seg. « Brealarche vuol dire
Principe di resìa, et didtnr ab arco$
greco quod wtprine^s, et heretit quod
est eretia »; An.ìHor,-*^ A.utorflngitqaod
quilibet heresiaroa habet hio arcana m»-
gnam, in qua sunt simni seoam in poena
omnes sequaces eius qui pertinadter te-
nuerunt, defenderunt et seminaTernnt
dpinionem eius erroneam »; Benv.
128. MOLTO : in ogni avello vi sono as-
sai più anime che tu non credi. « La ciM
era malamente corrotta di resia, intra
l'altre della setta degli Bpicurei per visio
di lussuria e di gola, cera sì grande parte,
che intra' cittadini si combatteva per la
fede con armata mano in più parti di
Firenze, e durò questa maladiaione in
Firenze molto tempo » ; O. ViU, IV, 30.
180. SIMILE: ad ogni classe di eretici
è assegnato un luogo speciale in queeta
regione infornale, ed ogni singolo avello
accoglie que' che più si somigliarono
in vita.
131. M0NIM&N11 : sepolcri. -Più B MKN :
secondo la -qualità dell* eresia ed il grado
dell' ostinazione.
132. DESTRA : sono venuti sempre a si-
nistra; per attraversare il cerchio d^
verno di necessità fare nna volta a destra.
Nel loro viaggio per l'Inferno i due Poeti
volgono sempre a man sinistra. Soltanto
due volte e* imbattiamo in una eooezione
a questa regola. La prima volta si vol-
gono a man destra entnunlo nel cerchio
degli eretici, la seconda quando vanno
verso Geriooe, simbolo della frode, Imf,
XVII, 81. Senza dubbio questo fatto ha,
secondo la mente di Dante, il suo aenso
allegorico. Ma quale questo senso sia, Don
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tenmo sb^to]
Inf. II. 18ft - X. 1-2
tfiBESIABCHlj 8?
1» Passammo tra i martiri e gli alti spaldi.
è htSk tadorinare. Potrebbe dani obe
Hi pTMBate lango il Poet* voglia inae-
gMrd, die i primi pam sulla vita, 11 oui
teslae è la miaeredensa, non^sono per
tè imnwwriiiori, la lord radiee eesendo
oidiaariaBMnte la Mto naturale di sa-
per». iMltn eia miseredeiiBa e la frode
Mao i dne peccati, le oid anni eogUono
«Mce jwrob/oZw o parole ipocrite, #<•
«alate. L^andare a aian deetra aimbo-
bggia la dirittura, la sincerità, la sobiet-
tesn. S qneate sono per l' appunto le
■n^ori armi per combattere e la mi-
leredeDia e la frode. Onde Tolle il Poeta
pcrarraótaraiAéegnaTc!, die, cbi voglia
■ftdare iacoakt» alla nffsoredensa ed alla
fruddeasa, debba armarsi di sincerità
« di sohiétteasa f ITorse. S forse la dot-
trina ohe si asconde sotto il Telarne de-
^ reni strani è tatt' altra. Cfr. Blane,
Yen,, 99 e aeg. H Land,: « Qui pone cbe
Virgilio volse alla man destra, et poi di-
mostra, ohe poco dopo alquanto viaggio
si volse a sinistra, il ohe dinota, che '1
viaggio prese a man destra, perehò an-
davano per aver cogniaion del peccato,
e non ooinquinarsene, ma purgarsene,
la qual aaione è virtuosa. Poi volse alla
sinistra a dinotar ohe benché l'operaaion
sia virtuosa, nondimeno la materia e il
suggetto ò Visio.» B YAndr.: « Di co-
siflktta eccesione io credo non si possa
dare altra ragione cbe questa, che avendo
i Poeti dovuto fsre una grand* aggirata
(C. ym, 79) per isbaroare alla porta di
Dite, nell'entrare poi si trovassero aver
già percorso più della solita nona parte
del cerchio} e perciò questa volta, per
trovare U punto prefisso alla loro tra-
. versata nel cerchio seguente, invece di
procedere a sinistra, avessero dovuto re-
trocedere a destra. »
183. mabtIbi : avelli roventi. - sfaldi :
parti superiori delle mura; In/, X, 2.
CANTO DECIMO
OEEOHio sesto: eeetioi
PARIKATA DEGLI UBEBTI, OAVALOAKTS CAVALCANTI
E FEDERIGO II IMPERATORE
Ora sen va per un secreto calle.
Tra il mnro della terra e li martiri,
V. l-n. JMmanda a rispotia* Cam*
idBando tra il muro ed i sepolcri, Dante
^iede a Virgilio, che gU vainnansi, se sia
pwiibile di vedere coloro cbe giacciono
Beg^ avelli roventi, osservando che tutti
1 oeperchi sono sospesi. Virgilio risponde,
che dopo il gran di del gindisio tutti gH
*mh saranno serrati in eterno; quin-
^ flàe là dove si trovano, sono sepolti
^ae' cbe negarono in vita l' immortalità
WiBima, Xpicaxo co* snoi seguaci.
Aggiunge poi, che a Dante verrà subito
Iktto di appagare il suo desiderio, non
espresso che in parte.
1. BBOBETO : separato, distinto. Virg.,
Aen. VI, 448 : < Secreti oelant calles. >
Al. STRBTTO. Virg,, Am. IV, 405 : « Con-
vectant calle angusto. » - In ftbvore di
questa Ica. si potrebbe anche addurre il
tetto che Dante e Virgilio vanno l' uno
dietro l' altro, v. 8.
a. MABTÌBi: cfr. If\r. IX, 183.
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88 [CERCHIO SESTO]
iNF. X. 3-21
[BRESIABCHI]
10
13
16
Lo mio maestro, ed io dopo le spalle.
€ 0 virtù somma, che per gli empi giri
Mi volvi, > cominciai, <: come a te piace,
Parlami e satisfammi a' miei desiri.
La gente che per li sepolcri giace,
Potrebbesi veder? Già son levati
Tutti i coperchi, e nessun guardia face. »
Ed egli a me : « Tutti saran serrati.
Quando di losafàt qui torneranno
Coi corpi che lassù hanno lasciati.
Suo cimitero da questa parte hanno
Con Epicuro tutti i suoi seguaci.
Che l'anima col corpo morta fanno.
Però alla dimanda che mi faci,
Quinc' entro satisfatto sarà tosto.
Ed al disio ancor che tu mi taci. >
Ed io : « Buon duca, non tegno riposto
A te mio cor, se non per dicer poco ;
E tu m' hai non pur mo a ciò disposto. »
3. DOPO : il calle è così stretto, ohe non
possono camminare V ano accanto air al-
tro. Così pure altrove, cfr. It\f. XXIII, 2.
4. YlBTÙ SOMMA: Sommamente yir-
tooso. - GIRI : cerchi dell'Inferno, ripieni
di empietà.
5. VOLVI : gnidi discendendo in giro.
6. a' miki : non è forma ellittica né pleo-
nasmo, ma retto dal tcUiifammi, che
come il lat. BcUiifacere va costrutto col
terso caso.
8. GIÀ: riempitivo, non aw. di tempo.
- LKVATI : in alto ; sospesi ; confr. It\f.
IX, 121.
9 GUARDIA : cfir. Ii\f. Vili, 82 e seg. -
KACK: fa; ÙA faccre.
11. losAFÀT: valle presso Gerasalem-
me, dove si credeva ohe si terrà il gio-
dizio finale. « Congregabo omnes gentes,
et dedacam eas in vallem Josapbat: et
disceptabo cum oÌs ibi.... Consargant,
et ascendant gentes in vallem Josaphat :
qnia ibi sedebo nt iudioem omnes gentes
in circuita »; Joel III, 2, 12.- «Valile Josa-
phat dicitar valila iudicii. Vallis est sem-
per iaxta montem.Vallis est hic mnndas,
mons est ooclam. In valle ergo fit jadi-
cium, i. e. in iste mando, scillcet in isto
aere, nbi Insti ad dexteram Christi nt
oves stataentar, impii antem at hoodi ad
sinistram ponentnr » ; Elucid,, e. 75. Cfr.
TAom. iig. , i9um. tA. in. Sappi., 88, 4 ; 89.
13. suo: loro; cft. Inf. XXII, 144.
14. Epicuro : 'Eirixovpoq, filosofo gre-
co, fondatore della soaola degli Epico-
rei. Fa da Atene, e visse dal 334 al
363 a. C. Di lai cfir. Diog, Lasrt., X, 1,
9. 26. Oicer., De Nat. Decr, I, 26. J>e
Fin. I, 19. Gasscndi, De vita, moribue
et doctrina Epieuri, Leida, 1647. Chnv.
IV, 6, 22. De Mon. II, 6.
15. FANNO: affermano ohe l'anima
mnore col corpo. La negazione del so-
prannaturale, qnindi dell' immortalità
dell'anima, ò il centro e pernio di tatto
le eresie.
18. Disio : di vedere Farinata degli
Uherti, cfr. In/. VI, 79.
20. PER DICRR POCO : per non importu-
narti con molte parole, non già per te-
nerti colati i miei pensieri.
21. NON PUR MO' : non éoltanto ora 5
cfr. In/. Ili, 76 0 seg. Mo', voce dell'an-
tico dialetto fiorentino, dall' avv. latino
modo. « Virgilio avea non pur ora dispo-
sto Dante al silenzio, ma altra volta an-
cora ; ora, quando alla vista del celeste
messo gli /e' tegno che ttetee chilo, e nel
terso canto, quando domandò delle ani*
me ch'erano salta riviera d'Acheronte»;
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rCSCHIO 8I8T0]
IKF. I. 22-82
[farinata]
€ 0 Tosco, che per la città del foco
Vivo ten vai cosi parlando onesto,
Piacciati di restare in questo loco.
La tna loquela ti fa manifesto
Di quella nobil patria natio,
Alla qual forse fui troppo molesto. »
Subitamente questo quono uscio
D'una dell' arche; però m'accostai,
Temendo, un poco più al duca mio.
Ed ei mi disse : « Volgiti : che fai ?
Vedi là Farinata che s'è dritto :
Sm. Akani lbgg(mo hok fub ora ; ctr.
V. 22-61. rarinata degii JTberU,
ABi friae noupw mo* uno spirito ha ri-
eowtehito Dsnte per Fiorentiiio, «i spor-
K« hotì del eoo avello, invita Dante a
^ABunit lo squadra, e, non rioonoscen-
dolo, gli chiede ohi si fossero i suoi ante-
utL Uditolo, U dichiara saoi nemici, van-
tMdosl di averli dJsoaociaU dae volte.
I)*ate risponde che i suoi ritornarono
unbedoe le volte, mentre i oorreligìo-
uri • diioendenti del dannato, nna volta
^acMdati, non seppero ritornare più.
22. TOSCO: toscano..- del foco: ofr.
IV. XI, 73.
23. OK0TO: onestamente. Lo spirito
b« udito le modeste parole dette da Dante
«Virgilio, T. l».2l. Sembra ohe da qne-
^puoIeegliindovinasseparocheDante
"'» era anoor morto. Rammenta il par-
i»e o%e$tù del canto H, 113.
21 ROTARs : Sitié gradum, viator ! La
rooe ft qui le ved dell'epigrafe ; più ol-
^ Zìi 7 e seg., Tepigrafe senza voce.
2& LOquKLA : linguaggio. « Loquela tna
n>*nifertum te fadt»; MaU. XXVI, 78.
26. KOBiL : Firenxe. « la bellissima e
^^»o«i«dma figlia di Boma »; Qmv, I, 8.
* Considerando 1* nobiltà e grandezza
^U Bestia città »; O. Vm. 1, 1.
27. roBU: confessione da dannato.
' Onesto modo dubitativo di parlare si
trorò qoi, per usare la dottrina di Cato,
>l qule dice : ITon ti lodare e non ti biasi-
»M«; [ss] sensa qnello/or«e avesse detto,
«i Uashnava fortemente »; Ott. - « Dice
«rredotamente qui questo spirito, forge,
PM«loodiè se asgerUve avesse detto sé ee-
<^ stato troppo molesto alla sua città,
*i aarebbe fieramente biasimato »; Boee,
-«Dies/Mrtf, però che, secondo il parere
suo, non fu molesto ; ma secondo il parere
di coloro che l' arcano cacciato ftiori di
Flrense, et teneano il reggimento della
terra»; An, Fior, - molesto: combat-
tendo contro i Guelii di Firenze, cflr. O.
TtU, VI, 74-88.
80. TKMKiTDO : pcrohò « res animos in-
cognita turbai » ; Virg., Aen. I, 515 ; e
fora* anche per 1* ambiguità delle parole
udite, V. 24.
31. CBB FAI: « quasi dloat: quid ftigis
timide illum, ad quem deberes avide ac-
cedere? »; Béfiv.
32. Farinata : della nobile famiglia
degli liberti, nato nei primi del Dugento,
capo della sua famiglia, e per conse-
guenza di parte ghibellina sino dal 1239,
cooperò alla cacciata dei Guelfi nel 1248.
Ritornati i Guelfi nel 1251. Farinata
« fidandosi troppo del riso della fortuna,
e volendo quasi solo governare la re-
pubblica » (FU, Vili.), Al cacciato co'snoi
nel 1258 (O. ViU. VI, 65) e riparò a Siena,
e di là addimandò ed ottenne aiuto dal re
Manfredi, onde soonfisse nel 1260 Teser-
cito guelfo a Mont' Aperti presso il fiume
Arbia «?. 702. VI, 78), rientrò trionfante
in Firenze, d'onde i Guelfi furono discac-
ciati, e si oppose solo nella dieta di Em-
poli al consiglio di disfore la città di Fi-
renae «?. Ftfl. VI, 81). Morì nel 1264. « Fu
di statura grande, fiaccia virile, membra
forti, continenza grave, eleganza solda-
tesca, parlare civile, di consiglio saga-
cissimo, audace, pronto e Industrioso in
Catti d'armi. Fiorì vacante l'imperio per
la morte di Federigo II, e di nuovo cac-
ciato e fatto rnbello morì in esilio »; Fil.
ViU., Vite. - * Imitator Epicuri non cre-
debat esse allum mundum nisl istnm;
unde omnibus modis studebat ezcellere
in ista vita brevi, quia non sperabat
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00 [CSBCHIO SESTO]
iNF. I. 83-42
[FABlNArrAj
84
37
40
Dalla cintola in su tutto il vedrai. »
l' avea già il mio viso nel suo fitto ;
Ed ei s' ergea col petto e colla fronte,
Come avesse lo Inferno in gran dispitto.
E l' animose man del duca e pronte
Mi pinser tra le* sepolture a lui,
Dicendo : « Le parole tue sien conte. »
Com'io al pie della, sua tomba fui,
Guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
Mi dimandò : e Chi fur li maggior tui ? »
aU«m meliorem »; Benv, Cfr. Sncid. 756
e eeg.
83. TUTTO: « rinattesa oompana di 7a-
linaU soli» scena è appareochlata in
modo ch'egli è già grande nella noetra
immaginaxione, e non l'abbiamo ancora
né veduto né ndiito. Farinata ògià grande
per rimportansa che gli ha dato il Poeta
e per l'alto posto che occapa nel sno pen-
siero. E non lo vediamo ancora e già ee
lo figuriamo colossale dalle parole di Vir-
gilio ; Dalla dfUola in tu tutto U vedrai*
Volevi vederlo : eccolo tutto innansi a
te. » i>0 Sancii»,
Zi. Oli : appena adite le parole : vedi
là Farinata, e prima che Virgilio avesse
finito. -VISO: occhi; lo lo riguardava
già fiso.
35. s' IBOKA : per alteresxa e grandea-
sa d' animo.
86. DISPITTO: dispetto, disprezEO. Vivo
negò la vita futura, morto la disprezza.
« Fuit enim Farinata superbus cum tota
sua stirpe »; Benv,
88. PiNSBR : spinsero. - LUI : Farinata.
89. CONTE: o dal lai. cognitue, o da
oemptiu, I più intendono Parole diiare,
precise e amili; altri Parole contate,
numerate ; altri Parole ornate e cortesi.
I pih antichi {Bambgl., An. Sei.» lae,
DanL, Lan., OU., Petr. Dani., Oats.,
Folto Booc., An. Fior.) non danno ve-
runa interpretazione. Boee.: « Composte
e ordinate a rispondere; quasi voglia di-
re; tu non vai a parlare ad ignorante ».
- Benv.: « Quasi dioat: loquere cum iste
fàmillariter dare, quia iste novit ea de
quibus tu vis sdre et faoere memoriam ».
- Buti: « Parla apertamente e ordinata-
mente ». - Serrav.: « Loquere modeste et
honeste ». - Barg.: « Sien chiare, ben in-
tdligibili. Parlerai apertamente sena' al-
cun rispetto ». 'Land.: « Chiare et aperte;
perchò chi vuol esser ftior d' eresia, deve
scrivere et parlare senz' alomui ambl>
gaità».-V«U..«Maniftste et chiare, et
non confuse et cacare ». - Tal,: « Loqoa-
ris dare secum ». - Qelli: * Accarata-
mente, come si conveniva ikr con nn
nomo simile ». - Dan.: « Manilbste e chia-
re, e non ambigue e dubbie, perdo ohe a
parlare con Heretid, bisogna esser naolto
accorto e riguardoso ». - Oaat,: « Virgilio
dice questo a Dante e perchò avea detto :
Btum duca, non Ugno ripotto mio dir, te
non dieer (de !) poeo, e perchò Virgilio
aveva veduto ohe temeva » (f). - VarU,:
« Manifeste e chiare ». - Oet.: « Alto e
ridso.... E forse anche conte ò Invece di
contate, doò numerate, qnad dicesse:
Kon le a£hstdlare alla rinfusa, ma ben
pesale per singula ». - BetH : « Modo poe-
tico per dire: Fa' eh* egli sappia le tne
parole, doò dò che tu vuoi ». - E099.:
« Fa' che i send tuoi den noti. Conta ò
sincope di cognite ». - Ton^.: « Chiare e
nobili ». - Br. B,: « Aperte e fkwiche ».
- Andr.: « Adorne Oat. comptcs), nobili,
com' ò degno di tanto collocutore ». -
Oom,: « Nobili e degne di memoria ». -
Campi: « Parla chiaro e palesa libera-
mente le tue politiche opinioni 9,'Berth.:
« Ordinate, dal lat. comptue ». - Poi. sta
col BuH. Con Farinata Dante parla nn
linguaggio flranco, chiaro e predso, ma
nò particolarmente breve, nò particolar-
mente ornato e cortese (v. 61, e 85 e se-
guenti !).
40. COM' 10 : Al. TOBTO CH' AL PIE.
41. OUARDOMMI : per riconoscermi. -
BDBGNOso : Dante non era nd suo este-
riore un uomo imponente. « Sono vile ap-
parito agli occhi a molti, che forse per
aloona foma in altra fotma mi aveano
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[CnCRlO 8S8T0]
iNF. 1. 48-53
[FARINATA] 91
Io ch'era d'ubbidir desideroso,
Non gliel celai, ma tatto glieP apersi;
Ond'ei levò le ciglia un poco in soso.
Poi disse : € Fieramente furo avversi
A me ed a' miei primi ed a mia parte,
Si che per due fiate li dispersi^ »
€ S' ei fur cacciati, ei tornar d' ogni parte, »
Eispos'io lui, € Tona e T altra fiata,*
Ma i vostri non appreser ben quell'arte. »
Allor sarse alla vista scoperchiata
Un'ombra lungo questa infino al mento:
» ; nel cospetto de' quali... mU
i inYfho »; Oonv, I, 3. Cfir. Boee.,
TSte di D., § 8. Trenta, Chi fur gli mag-
giar imi Caatroearo, 1890.
4Sw UBBIDIB: a Virgilio, t. 38f o a Fa-
tiBata, T. 421
U. qukl'apbbsi: gli manifestai aper*
tuaeste e pienamente ciò che egli deal-
darava di sapere, doò chi si fossero i miei
maggiori.
i5. LEVÒ: atto di olii s'ingegna di ri-
ehiaaiare qoalche cosa alla memoria. -
B soao: in so, in alto. Forma orvia
pissBo gtt antiolii.
46. FUBO: i taoi maggiori.
47. rumi : antenati. - pabtb : ghibel-
Maa.
48. DUB: la prima volta nel 1248, colla
Ama ddl'imperaiore Federigo II, ofir.
Q.Tia.Yl, 83; 1* seconda nel 1260, dopo
U battaglia di Mont' Aperti, cftr. Q. ViU.
VI, 79. - DI8PKB8I: soaodandoli da Fi-
reoxe e mandandoli in esilio.
49. n'OGXi PABTS: d'ogni luogo ove si
erano rieoTorati.
50. L'UVA: nel gennido 1251, dopo la
■ooBiHta dei Ghibellini a Fegghine, cA*.
0. YitL VI, 88. e dopo la morte di Fede-
rigo II e di Biniero di Montemerlo suo
psdflstà a Firenze, cfr. O. TiU. VI, 42. -
L'AL-nu. : nel 1266 dopo la morte di Man-
fredi, cfr. a. ViU. VII, 13 e seg.
51. TOSTRi: Ghibellini. -AirTK: di ri-
ivniare a Firenze dopo esseme stati di-
seaodaa. « Cacciati a pasqua del 1267 al
Tsaire di Gaidognerra, mandatori da
Cario d'Angiò, nessuno ne tornò per al-
Isn; ma taluni nel febbraio del 68, per
iateresssione del legato apostolico. Lo
iA^gno di Farinata muove Dante, mal-
gnìio la riverenza, ad acerba risposta.
Forse voli' egli rimproverare ai compa-
gni d' esilio, che non sapessero riacqui-
stare la patria »; Tom.
V. 52-72. CavalcatUe CavàieanU.
Simile qui con timUe è tepoUo. Mentre
Dante parla con Farinata, sorge dallo
stesso avello un' altr' ombra, e dimanda
al Poeta, perchè suo figlio non sia seco.
Dante risponde : « Forse perohò ebbe a
disdegno Virgilio. » « Ebbe 7 Ma non vive
egli dunque più ? » Dante esita un istante
a rispondere, onde l'ombra ricade né più
si rialza. È l'ombra di Cavalcante Caval-
canti, guelfo, padre di Guido. Di lui lac.
Dani.: «Con simigliante credenza viven-
do si ritenne ». - Boee. : « Leggiadro e
ricco cavaliere, seguì l'opinion d'Epi-
curo, in non credere che l'anima dopo la
morte del corpo vivesse, e che il nostro
sommo bene fosse ne' diletti carnali ».
- Benv.: « Iste omnino tenuit seotam epi-
cureorom, semper credens, et suadens
aliis, quod anima slmul moreretur cum
corpore ; unde s»pe habebat in ore istud
diotum Salomonis : Tlnue est interitus ho-
minis etjumentorum, et aqua utriueque
eonditio ». - BtOi : « Fu della setta di mes-
ser Farinata in eresia, e però lo mette
seco in un sepolcro; e non mostrò l'ere-
sia sua si palese, come messer Farinata,
e però finge che non si mostri tanto ftiori
del sepolcro; e non fti ancor si superbo,
e però finge che si levasse in ginocchia,
e non ritto, come messer Farinata».
52. VISTA: apertura, oboQoa dell'avello,
cfr. Purg. X, 67. Cfr. Far\f., 8tud., 199-
200 e 205-6. - soopkrchiata : tutti i co-
perchi essendo levati, v. 8-0.
53. LUMQO ! accanto all'ombra di Fari-
nata. - MKNTO : venne dunque fuori con
tutta la testa*
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92 [CBBCHIO SESTO]
Inp. X. 54-68
[CAVALCANTI]
58
61
Credo che s'era in gìnocchie levata.
D'intorno mi guardò, come talento
Avesse di veder s'altri era meco;
Ma poi che il sospecciar fn tatto spento,
Piangendo disse : « Se per questo cieco
Carcere vai per altezza d'ingegno.
Mio figlio ov'è? E perchò non è teco? »
Ed io a lui : € Da me stesso non vegno :
Colui che attende là, per qui mi mena^
Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno. >
64. CRBDO: poiché non la vedeva che
dal mento in sn, mentre Farinata, eh' e-
rasi rissato, si vedeva dalla cintola in sa.
-Iir GIKOCCHIB: Al. IN OINOCCHION.
55. TALENTO : vogUa, desiderio ; come
se bramasse.
56. ALTBi: Guido suo figlio.
67. soBPBOCLàB: sospetto, debbio, Aal
lai. tutpicari. Al. bospiojlb. Cft-. Purg.
XII, 12».
58. CIECO: privo di luce e di cono-
Bcesza.
00. FIGLIO: Qoido Cavalcanti, nato a
Flrenee verso il 1260, morto ivi nell' ago-
sto del 1300, « qaegli cai io chiamo pri-
mo de'miei amici » ; Vita 2f., 8. - « Era co-
me filosofo, virtadioso nomo in più cose,
se non ch'era troppo tenero e stizzoso » ;
G. ViU. Vni, 42; cft-. Boce., Dee. G. VI,
nov. 0. FU. Vili., Vite. Oiceiaporei, No-
tizie intorno dUa vita ed alle opere di
Guido O., Fir., 1813. Ercole, Guido O.
e le tue Rime,' ttudio atorieo-letterario se-
guito dal testo critico delle Rime con eom-
fnento,ÌAvotno,1885.Finii,Dantee Guido
O. nei suoi Saggi Danteschi, Tor., 1888.
-TKCO: compagno del viaggio e parte-
cipe della gloria.
61. DA MB: Cavalcanti sappone che
per fare nn viaggio di tal natura basti
y altezza d'ingegno; nella soa risposta
Dante accenna che ci raol altro ancora.
03. BOBE: il motivo del disdegno di
Gnido per Virgilio ò nn enimma. Alcuni
spiegano: Perchò G nido non amava il la-
tino, cfr. Vita Jf. § 80. Al. : Perchè Gnido
stimava pih la filosofia che non la poesìa
(egli stesso poeta !). Al.: Gnidoebbe in di-
spetto Virgilio, non come poeta, o filoso-
fo, ma come cantore entosiastioo dell'im-
pero (fti Virgilio ghibellino ?>. Al.: Porche
all' epionMo Gnido, Virgilio era troppo
religioso (t). Cft. D'Ovidio, Saggi oriHei,
Napoli, 1878, p. 312-29. - Al. riferiscono
il disdegno di Guido non a Virgilio, ma
a Beatrice. Ctr. Del Lungo, Il disdegno
di Guido, Roma, 1889. G. Mazzoni, Sul
disdegno di Guido OaoaloanH, Bergamo,
1894. Bull. II, 1, 179 e seg. 192 e seg. II, 2,
29 e seg. Lan. : « Guido.... non seppe Vir-
gilio ». - Ott.: « B dice l'Autore, che forse
Gnido ebbe a disdegno questo libro di Vir-
gilio (VBnside) e 11 altri suoi». - Oass.: « Dl-
cit qnod dedignatus (taerat stndere saper
Virgilio ». - Boee. : « Perolooohò la filo-
sofia gli pareva, siccome ella è, da molto
pih che la poesia, ebbe a sdegno Virg:ilio
e gli altri poeti ». - Falso Booe.: « Guido
dispregiò Virgilio, cioò poesia ». - Benv, :
* Iste Guido non est delectatus in poo-
tlcis,... non dignabatur legere poetas,
quorum prìnceps est VirgiUus ». - BuH:
«Gnido dispregiava li poeti, e Virgilio
come li altri ». - An. Fior, : « O perchè
Guido gli paresse che la sdenxia aua
fosse sì alta ch'ella avanzasse molto
quella de' poeti, o ch'egli non leggessi
inai loro libri, parve ch'egli sdegnasse
il libro di VlrgiUo ». - Serrav. : *Non ftiit
delectatus in poesi.qnamvispbilosophns
magnus ». - Barg. : « Non si dilettava
de' poeti, de' quali Virgilio ta principe ».
- Land. : « Datosi tutto alla filosofia, non
degnò i poeti ». - Tal. : « Non vacavit
circa poésim ». - VeU. : « Non curò dc-
gl' ornamenti poetici, et quelli voler imi-
tare». - Gelli: «Guido aveva avuto la
poesia a disdegno, cioè non vi aveva mai
dato opera, nò stimatola ». -Don.: «Dmi-
do opera alla filosofia, non gli erano pia-
ciuti i poeti ». - Cast.: «Troppo sdegnoso
parlare è il dire avere a sdegno alcuno
per significare di non curarlo ». -- Come ai
vede, tutti quanti gli antichi vanno qui
d'aocordo (i non citati tacciono) ; oaddero
tutti in errore f
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[CBCHIO SESTO]
INP. I. 64-81
[FÀBINATA] 93
Le sae parole e il modo della pena
M'avean di costai già letto il nome ;
Però fa la risposta cosi piena.
Di sabito drizzato gridò : € Come
Dicesti: " egli ebbe „? Non viv'egli ancora?
Non fiere gli occhi saoi lo dolce lome? »
Qaando s'accorse d'alcana dimora ^^
Cli4o faceva dinanzi alla risposta,
Snpin ricadde, e più non parve faora.
Ma qnell' altro magnanimo, a coi .gosta yt^^a^i^^^
Restato m'era, non mntò aspetto,
Nò mosse collo, nò piegò sna costa.
«E se > continnando al primo detto,
« S'egli ban quell'arte » disse, « male appresa.
Ciò mi tormenta più che questo letto.
Ma non cinquanta volte fia raccesa
Lia faccia della donna che qui regge,
Che tu saprai quanto qaell'arte pesa.
/o
Ci. MODO : CaTAleante CaTftlcaiiU Ai
epicmeo notorio.
S5. LBTTO : maolfoetato. Al. dktto.
Cfr. Moort, Orit, 208 e Mg.
ۤ. riDiA : eompiata in ogni aaa parte.
67. nazaLATO: fin qai a* era soltAnto le-
dilo g^noceMone, t. 64 ; adesso ai rizza
ia piedi.
m. FnsB: feriaoé; ofr. Inf. ÌX, 60.
Purf. XXVIII, 8. - LOMK : lame, laoe
ad mìe ; efr. Bea, XI. 7.
Tt. inifOKA : indugio; il motivo del ano
ia^io Io dice poi ▼. 04 e aeg.
71. ]»KAVZi : prima di riapondere.
73. BICADDK : il preferito ebbe, t. 63,
*à a brere silenzio di Dante, t. 70, Tin-
li—ii ij a erodere ohe il ano Guido foeae
ri aMrto. Morì (cflr. nt. al v. 60) pooo do-
;« r«poe» lltti^B della riaione danteaca.
V. 73-93. Ancora Parinata* La aoe-
la ^ Cavalcamte non ha oommoaao me-
I il gran Farinata. Continoa,
I del tutto l'intermeszo, la co-
tiiBite dei aool emergli più grave ohe
)•« le pene d' Inferno. Yatioina quindi
«Daete Teelglio, e chiede perchè i Fio-
^tsO^ oontinnino tattoraad incradelire
'«atro I raol. Dante risponde : « A motivo
^«Ca aaa^ninoea Iwttaglia di MonVAper-
^ •. 2 Tarinate : < A Hont' Aperti non ftii
fot solo a salvar Firense >.
73. A CUI POSTA : alla eni diapoaizione ;
ofr. Inf. XYI, 81. AI., forae meglio, a
oni richiesta. Infatti ofr. aopra v. 24. -
Boee.: « A oni richiesta ». - Benv.: « Ad
oaina reqaisitioQem ». - BuU: « A posta
del qoale ». - Serrati.: « Ad ooiaa peti-
oionem ». - Cait.: « Ad iatansa ».-JSom.;
« Alla coi richieata ».
74. NON MUTÒ: benché Gnido Cavai-
oaoti foaae ano genero.
75. MOBSB: Al. T0B8S; cfir.Z.F.,€6 eseg.
76. DETTO : 11 diaoorao interrotto dal-
l' ombra del Cavalcanti.
77. IGU : eglino, cioè qnei voetri dol
V. 61. - ABTS: di ritornare a Firenze
dopo eaaeme atati abanditi.
78. LETTO : avello rovente. Il aao letto
di morte dell'anima è terribilmente di-
verao da quello aognato mentre viveva.
80. DONNA : Proaerpina ( » Lana), mo-
glie di Platone, il Dio deirinfemo ; cft*.
Ir^. IX, 44. Senao: non paaaeranno cin-
quanta plenilanii (quattro anni e dne
mesi) che tn eaperimenterai quanto dif-
floile sia il ritornare a Firenze a chi ne
è abandito. Infatti nel 1304, epoca a cui
ai allude in queati verai, Dante lo sapeva
troppo bene, vani essendo riusoiti tutti
gli sfòrzi dei Bianchi di rientrare in Fi-
renze; oft. O, YiU, Vili, 60, 60, 72, eco.
Bartoli, Leu. Hai. V, 141 e sog.
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94 [CEBCHIO 8B8T0]
iNF. X. 82-97
[PABIUATA]
82
85
88
01
94
07
E se tu mai nel dolce mondo regge,
Dimmi, perchè quel popolo è fA empio
Incontro a' miei in ciascuna sua legge ? »
OndMo a lui : « Lo strazio e il grande scempio,
Che fece VArbia colorata in rosso,
Tali orazion fa far nel nostro tempio. »
Poi eh' ebbe sospirando il capo scosso,
€ A ciò non fui io sol, » disse, < né certo
Senza cagion con gli altri sarei mosso.
Ma fu' io sol colà, dove sofiFerto
Fu per ciascun di tórre via Fiorenza,
Colui che la difesi a viso aperto. >
€ Deh, se riposi mai vostra semenza, >
Prega' io lui, « solvetemi quel nodo,
Che qui ha inviluppata mia sentenza. ,^\t^^^^ - * \
E' par che voi veggiate, se ben odo, /
82. 8R: deprecativo: oos) ta possa. -
BKOGR: ritorni; da reggere per riedere;
otv. Nannue.,Man. Il", p. 815 nt. 7. Al.
derivano regge da reggere, spiegando : Se
tu eserdti qnalche infloenEa sai governo
di Firenze.
S3. POPOLO: Fiorentino.- EMPIO; -cru-
dele, spietato.
84. a' MIRI : agli Uberti. - lrggb : « qaia
semper quando fltaliqnareformatioFlo-
rentisQ de exnlibas rebanniendis exoln-
dnntnr Ut>erti, Lamberti et qnidamalil»;
Benv.
86. ROSSO t di sangue. Allude alla bat-
taglia di Mont' Aperti suirArbla, 4 set-
tembre 1260 i cfr. a. Vili VI, 78-70.
87. ORAZION: rescritti, leggi, decreti.
« Persuasioni nel Senato fiorentino, il
quale ci chiama per traslazione tempio,
orandosi in tal luogo agli nomini, come
si tA ne' tempii a gli Dii »; OelH.-TRU-
pio : chiesa di san Giovanni, dove sole-
vansi Care le adunanze popolati. Secondo
altri Dante parla qui in modo vago e
traslativo per significare ci /a aefop^rar
eo«i; ctr, Fanf., Btud., pag. 63 e se-
guenti.
88. soflPnuKDO : per il dolore nell* udi-
re che i Fiorentini, dimentichi di Empoli,
non serbano ohe la memoria di Mont' A-
perti, cioè soltanto del male da lui fktto
alla dttÀ.
89. A OEÒ: alla battaglia di Mont'A-
pertL
90. CAOION: era esule perseguitato,
combatteva contro i suoi nemici, -altri :
Ghibellini. -MOSSO : a combattere oontro
Firense.
91. COLÀ: a Empoli; cfr. O, Vm. VI.
81. Aquarone in Dante e U iuo see., 898 e
seg. e Dante in Siena, 21 e seg., 84 e Beg.
V. 94-120. J{ vedere del dannati.
Farinata ha predetto a Dante il ftituro ;
Cavalcante si ò mostrato ignaro d^ pro-
sente. Quest'ò per Dante un enimma, che
e* prega Farinata di sciogliergli. Qnefiti
risponde: «Veggiamo poco chiaramente
r avvenire, ma non conosciamo il pre-
sente H. Qnindi Dante lo prega di dire al
Cavalcanti che il suo Guido vive ancora,
come pure di nominare i suoi compagni.
M Siamo >^ risponde Farinata, « pih di
mille; tra gli altri e' ò qui Federigo II e
il cardinale; degli altri non vo'dir nulla».
Cfr. Arexio, Sulla teoria danleeea della
preeeiema, Palermo, 1890.
94. BR: deprecativo: così possa riposa-
re una volta la vostra discendenza! Al.:
Se mai rimisi (ripoei da riporre) in pa-
tria, eoo. Quali discendenti di Farinata
(Guido Cavalcanti non era tale) fbrono
da Dante richiamati dall' esigilo t
95. MODO: dubbio, difficoltà.
90. SKXTRKZA : giudizio : che mi ba con-
fusa la mente.
97. VROOIATR: va unito col dinan^ del
V. seg. : preveggiate. Se ho ben inteso,
mi pare che voi prevedete le cose ftitme.
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[CIBCHIO SESTO] lUF. X. 98-120 [PABINATA] 95
Dinanzi quel che il tempo seco adduce,
E nel presente tenete altro modo. »
100 « Noi veggiam, come quei ohe ha mala luce,
Le cose > disse, « che ne son lontano ;
Cotanto ancor ne splende il sommo Duce.
103 Quando s'appressano o son, tutto è vano
Nostro intelletto; e s'altri non ci apporta,
Nulla sapem di vostro stato umano.
106 Però comprender puoi che tutta morta
Fia nostra conoscenza da quel punto
Che del futuro fia chiusa la porta^ »
109 Allor, come di mia colpa compunto,
Dissi : € Or direte dunque a quel caduto,
Che il suo nato è co' vivi ancor congiunto.
112 £ s' io fui dianzi alla risposta muto,
Fat' ei saper che il fei, perchè pensava
Già nell'error che m'avete soluto. >
115 £ già il maestro mio mi richiamava :
Per eh' io pregai lo spirto più avaccio.
Che mi dicesse chi con lui i stava.
U8 Dissemi; e Qui con più di mille giaccio ;
Qua dentro è lo secondo Federico,
E il Cardinale ; e degli altri mi taccio. »
%
Aidie (Sacco gli avea predetto il ftatoro, y. 67-72, e coeì tenoto in ambascia 11 uno
/V* "^I. 64 e aeg. cuore di padre.
90. ALTEO MODO : Don Conoscetele cose 110. caduto : Cavalcante, ricaduto nel
presenti. suo avello, t. 73.
100. HOl : dannati. O forse -^ noi eretici t 11 1 . nato : figlinolo ; Ir^, IV, 60. Par.
Qaceo sembra vedere anche il presente; XXII. 142; XXIII, 2. Cfr. ut. al t. 60.
efr. J^f. VI, 73 e seg. - ha: è presbite. 112. dianzi : poco fa. - muto : tardai a
101. LONTANO: future: 1' aTTonlre. rispondergli, v. 70 e seg.
102. cxrrANTO : « Iddio cotanto di spien- 113. fat' ri : fategli. Al. fatk i.
dorè ancora dà a noi dannati, che noi 114. nrll' ebror; all' error. Pemare
sappiamo le cose future per le loro ca* in usarono sovente gli antlcbi. L* errore t
gioBi > ; BuH. era il dubbio circa il vedere dei dannati. \
103. a' APPEBBBANO : quindi Cavalcante HO. avaocio : lo pregai quello spirito ■
non sa nulla della morte glÀ vicina del con maggior fretta; cfr. Jf\f. XXXIII,
suo Onido. •• bon : in atto, presenti. 106.
104. ALTki : dannati, che arrivano di 117. con lui: nello stesso rovente avel>
freseo. - AFPOSTA : novèlle del dolce mon- lo ; cfr. I^f, IX, 120.
do, V. 82. Al. NOL ci apporta. 119. Federico : l'imperatore Federi-
106. vobta: estinta ; « Scieniia de- go II. Fu accusato di grave eresia, anzi
stmetur»; I ad Cor. XlIT, 8. di ateismo ed incolpato (a torto) di essere
107. PUNTO: dopo il giudizio finale, autore del famigerato libro: De tribut
quando non d sarà pih tempo avvmlre. impoHortbxte.
109. COLPA : di avere indugiato a ri- 120. Cardinale : Ottaviano, o Atta-
alla dimanda di Cavalcante, vlano degli XJbaldini. Fiori verso il 1260,
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[CERCHIO SESTO] InF. X. 121-131
fCONFORTO]
121
124
127
130
Indi s' ascose ; ed io invér l'antico
Poeta volsi i passi, ripensando
À quel parlar che mi parca nimico.
Egli si mosse; e poi, cosi andando,
Mi disse: « Perchè sei tu si smarrito? »
Ed io gli satisfeci al suo dimando.
« La mente tua conservi quel che udito
Hai centra te ; » mi comandò quel saggio :
« Ed ora attendi qui I » e drizzò il dito.
€ Quando sarai dinanzi al dolce raggio
Di quella il cui beli' occhio tutto vede,
e fta poro poeta volgare; ete.NannuCtMan.
I>, p. 862. Fu yesooTO di Bologna dal 1240
al 1244, eletto cardinale nel 1246, morto
nel 1273. - < Non oredìa che anima fosse ;
e quando venne a morte disse : Se ani-
ma fosse, direi ohe per gli ghibellini io
r avessi perduta > ; An. 8d. - « Fa nn
mondano nomo, lo qnale ebbe tanta cara
di queste mondane cose, ohe non par
oh' elli credesse ohe altra vita fosse ohe
questa : fu molto di parte d' imperio e
foce tutto quello ohe seppe in suo aiut-o-
rio. Avenne eh' egli avendo bisogno soc-
corso di moneta, dimandoUa alla parte
ghibellina, overo d' imperio, di Toscana :
folli vietato ; slchò costui lamentandosi,
disse quasi conquerendo d* essi: Io pos-
so dire, se ò anima, che 1* ho perduta
per parte ghibellina, e un solo non mi
soccorre. Siche mostrò in questo suo par-
lare, quando disse te ^ anima^ ch'olii
non fosse certo d' avere anima » ; Lan,
Lo stesso ripetono OU., Ocut,, Boce., ecc.
- « Fuit virvalentissimns tempore suo,
sagax et audax, qui curiam romanam
versabat prò velie suo, et aliquando te-
nuit eam in montibnsfloreutifein terris
snorum por aliqnot menses; et sojpe do-
fendabat palam rebelles ecclesi» centra
Papam et Cardinales ; fuit magnns pro-
tector et fantor ghibelinornm, et quasi
obtinebat quidquid volebat. Ipso feoit
primum Archiepiscopum de domo Vìce-
comitum Mediolani, qui ezaltavit stir-
pem suam ad dominlnm illius civitatìs,
et altam potentiam in Lombardia : erat
mnltnm honoratus et formidatus; ideo,
quando dicebatur tuno: - Cardinalis di-
zit sic ; Cardinalis feoit sic ; - intellige-
batur de cardinali Ottaviano de Ubal-
dinis per exoellentiam. Fuit tamen epi-
oureusex gestis et verbis eius»; Jienv.
- « Quasi regebat totam onriam roma-
nam, fiftvebat Imperatori et detrahebat
Pape, fsvebat parti gebelline et perse-
qnebatur partem guelfam >; Serrav, Ctr.
JTbaldini, Storia déUa Casa degli XTbal-
dini, Fir., 1588, p. 116 e seg., 131.
V. 12M86. Conforti di VirgiUo, La
nuova predizione dell'esigilo, nonché
della vanità dei tentativi di rimpatriare
rende Dante tadto e pensieroso. Virgilio
lo conforta, predicendogli ohe Beatrice
gli svelerà a suo tempo i suoi casi ven-
turi (il che non fk poi Beatrice, ma Cac-
daguida, Far. XVII). Quindi 1 due Poeti
continuano il loro idaggio.
121. s' ASCOSE : nel suo avello, ricaden-
do, o riponendosi a giacere.
123. PABLAB : alle parole di Farinata,
V. 79 81 ; parlare nimico, perohò annun-
ziava venturi infortuni.
125. SMABfiiTO: sbigottito, assorto in
cupi pensieri.
126. BATI8FXCI: gli manifestai i miei
pensieri: otr. v. 6.
127. CONSERVI: non dimenticare dò
che hai udito ; ma per intanto non ba-
darci troppo, dovendo attendere ad altro.
129. ATTENDI QUI: fa' at tensione a qoan-
to ti si mostra in questo luogo. Al : At-
tendi a quello che io ti vo'dire. Ma la
oontempladone delle pene dei dannati è
il fine salubre del mistico viaggio di Dan-
te, più importante assai che non la ven-
tura sua sorte in terra. ~ drizzò : verso
la regione in cui si trovano, dinotata dal-
l' avv. qui. Al. verso il cielo (I). Betti :
« E drissò il dito al cielo, dovendo parlare
di Beatrice, ch'era lassh ». Pare che in
tal caso avrebbe dovuto dire : AtUndi id.
131. QUELLA : Beatrice.- vkdb: Virgilio.
§a tutto t doè omanammite, li^, VII, 8 ;
Beatrice vede ogni cosa in Dio.
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[CnCHIO 8S8T0]
IN7.X. 182-186 -XI. 1-8 [PAPA ANASTASIO] 97
US
m
Da lei saprai di tua vita il viaggio. »
Appresso volse a man sinistra il piede :
Lasciammo il moro, e gimmo invèr lo mezzo
Per un sentier che ad una valle fiede,
Che infin lassù facea spiacer suo lezzo.
1S2. DA umi'. indirettamente. Beatrice
gii è ^oid* nel Fanidieo, e lo eaorta ad
ìBteraosara Caodagnida, Par. XVn, 7
e tegaeatL.
13i. MUBO : della dttà di Dite. - UBZZO :
ed oerohU>. Sbi qui erano andati lon^
k Buira, ▼. 2.
135. niDK: va, mena alla ripa ohe
scende nel settimo cerobio.
136. LAB6Ù: dove eravamo. A para-
gone dei oerohi InCsriori, erano ancora in
atto. « Et ftunni tormentomm eomm
aeoendet in sflMmla ■eonlorom » ; ^p<h
e(U, XrV, 11. -UCESO: passo.
CANTO DECIMOPRIMO
CERCHIO sesto: eeetici
TOMBA DI PAPA ANASTASIO
DIVISIONE BELLA CITTÀ INFERNALE
In SU r estremità d'un' alta ripa
Che facevan gran pietre rotte in cerchio,
Venimmo sopra più crudele stipa;
V. 1-9. Xa tomba di papa Anatta-
•<•. I due Poeti contlnnano U loro viag-
pe verso il messo per discendere; ma il
poso enorme che vien sa dall'abisso li
iadnee a raoeostarsi ad nn sepolcro, ohe
è quello di nn papa eretico.
L KSTRSlflTÀ : orlo. - BIPA : che ter-
BEsa il cerchio degli eretici e gaarda
mipok il segnente, che è dei violenti.
2. CBK; qoartb caso; la qoale ripa.-
PACK VAX : formavano.- BOTTS: la ripa era
catta intorno intomo sooecesa in grandi
rottamL IH qoesta roina parla più tardi,
/V. XU, 31 e seg.
3. vTtFA. : congerie, ammassamento di
•psztti piti erodelmente tormentati.* Que-
sta Toee atipa <qnando ella è nome, co-
7. — 2Hs. Ofmm., 4f^ edis.
m'ellaò qoi) signi&ca ona massa di sterpi,
come sono i proni, ginestre e altre cose
simili, tagliate e ìnvìloppate insieme a ca-
so, e ikttone fastella per la comodità del
portarle, per arderle di poi nelle fornaci,
o adoperarle a riempiere fosse, o bastioni,
o altre simili macchine. Onde è presa qui
questa tal voce, metaforicamente o per
traslaxione, dal Poeta per la moltitndi-
ne delle anime raochlnse in qaesto bara-
tro infernale. » OMi. - « Sopra moltitu-
dine, che aveva maggiori peccati, e più
gravi, ohe non avevano coloro, de' quali
infine a qui ha parlato»; Cout.- Diver-
samente BxUi: « Siepe che chiude e cir-
conda ». - Benv.: « Cavea slve gabia in
qua oontinentur pulii ». - B^ti : * Siìpa,
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98 [CEBCHIO 8B6T0]
IlfP. XI. 4-16
[PAPA ANASTASIO]
10
18
16
E quivi, per V orribile soperchio
Del puzzo che il profondo abisso gitta,
Ci raccostammo dietro ad un coperchio
D'un grande avello, ov*io vidi una scritta
Che diceva: < Anastasio papa guardo.
Lo qual trasse Fotin della via dritta. »
« Lo nostro scender conviene esser tardo,
Si che s'ausi prima un poco il senso
Al tristo fiato ; e poi non fia riguardo. > **^
Cosi il maestro ,* ed io € Alcun compenso »
Dissi lui, « trova, ohe il tempo non passi
Perduto. > Ed egli: «Vedi che a ciò penso. »
« Figliuol mio, dentro da cotesti sassi »
doò serraglio, claasnra, eoo. Nò d vnol
tanto ad indovinarlo. I«a ripa, sa oni
Dante venne, dominava tntto un gran
recinto, dove più crudeli tormenti erano
a vedersi ». -Bott.: * Lnogo che contiene
piti dolorosa intensità di pene ». Cfr. In/.
VII, 19; XXIV, 82.
4. SOPERCHIO: eccesso.
6. PUZZO : simbolo del peccato. « Bona
fama bonus odor, mala vero foetor »; 8,Ag.
dt. dal PotL Oati. Cfr. Eed. VII, 2.
6. RACCOSTAMMO : riparammo, -coper-
chio: levato; cfr. In/. IX, 121 ; X, 8-9.
7. GRAKDB : per poter contenere 11 gran
numero di monoflsiti. La scritta nomina
soltanto nn papa, capo della Chiesa.
8. ANASTASIO: secondo di questo nome,
papa dal 496 al 498. Viveudo al tempo
dello scisma tra le due chiese, orientale
ed ocddentale, ed amando assai la pace,
spedì nel 497 due vescovi legati all' Impe-
ratore greco, pregandolo di togliere dai
sacri Dittid il nome di A cacio, eretico,
già vescovo di Cesarea in Palestina. Verso
lo stesso tempo venne a Roma Potino,
diacono di Tessalonica e seguace di Aca-
cie. Anastasio II Io accolse amorevol-
mente e comunicò con lui, 11 che eccitò
l'ira del clero di Roma. Quindi Gradano,
Deeret. ditt. XIX, 8-9, disse, falsamente,
Anastasio II condannato dalla Chiesa, e
tutti quanti gli storid eodeslastid duo
al secolo XVI, chiamaronlo a torto ere-
tico ; ofr. Lib. ponti/, detretum Oratiani
I, Diot. 19, 9.DoeUing€r,Pap9tfabeln, Mo-
naco, 1863, p. 124 e seg. Dante seguì in
questo luogo la tradisione erronea che ai
suoi tempi aveva il valore di storia esatta.
- GUARDO : onstodisoo.
9. LO QUAL: quarto caso.-FOTDT: dia-
cono di Tessalonica, da non confonderd,
come fecero molti, i quali accusarono per
ignoransa il Poeta di anacronismo (« nd
buio ddle oognidoni storiche interven-
ne a Dante d'avvicinare il Fotino, ere-
siarca del secolo IV, ad Anastado II ohe
visse nel secolo V »; BartoHni, Studi dant.
I, Siena, 1889), col molto più oonosciato
sabelUano Fotino, vesoovo di Sirmio, con-
dannato come eretico dai condili di An-
tiochia (345), di Milano (847) e di Sirmio
(351). - VIA DRITTA : della fede ortodossa.
V. 10-66. JXHsione del baswo It^fer-
no. Devono soffermarsi per awesaare il
senso al gran pusso. Per non perdere
inutilmente il tempo, Virgilio disegna a
Dante come è fatto il basso Inforno. Vi
sono tre altri cerchi : l' uno de' violeaU,
distinto in tre gironi (violenti contro bò
stesd, contro il prossimo e contro Dio) ;
il secondo dei frodolenti, distinti in dieci
classi e puniti in died food ; l' ultimo e
più profando dei traditori, distinti in
quattro classi.
10. TARDO: ritardato, lento.
11. s'ausi : s'awoKd all'orribfl puEzo.
-8KH80: l'odorato.
12. FLATO: eaaladone. - non fia : oon>
tinueremo francamente il nostro viaggio,
sensa badare alla pestilensiale esaladone.
14. LUI : a lui. - TEMPO : « Tutte le no-
stre brighe, se bene vogliamo oeroare li
loro prindpi, procedono quad dal non co-
noscere r uso del tempo »; Oonv. IV, 2;
cfr. Furg. in, 78; XVH, 84. Par. XXVI,
4 e seg-
16. DENTEO : al disotto della dnta for-
mata dalle gran pietre rotte, r. 2.
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[CtÈCmO SESTO]
IHF. XI. 17-83
[BASSO IHTBBKO] 99
Cominciò poi a dir, € son tre cerchietti
Dì grado in grado, come quei che lassL
1» Tatti son pien di spirti maledetti;
Ma perchò poi ti basti par la vista,
Intendi come e perchè son costretti.
22 D' ogni malizia, eh' odia in cielo acqaista,
Ingiaria è il fine, ed ogni fin cotale
0 con forza o con frode altrai contrista.
s Ma perchè frode è dell' uotn proprio male,
Più spiace a Dio; e però stan di satto
Gli frodolenti, e più dolor gli assale.
28 De' violenti il primo cerchio è tatto ;
Ma perchè si fa forza a tre persone.
In tre gironi è distinto e costratto.
31 A Dio, a sé, al prossimo si paone
Far forza, dico in sé ed in lor cose.
Come adirai con aperta ragione.
17. CBRCHum: il dfminativo per ri-
fnrdo ai oerolii dell'Inferno snperiore,
o Aioci di Dite, ohe sono assai maggiori.
18. m GmADO : digradantiai, ristringen-
tiil. come i lei già percorsi.
19. BPisn MALiDim: diaroU e dan-
nati. « Diwedite a me, maledioti, in ignem
«teruiuu qui prs¶tns est diabolo et
angetls eins »; MaUh. XXV, 41.
20. TI BAflTi : per sapere qua! sorta di
peeeatori si trova in ogni cerchio, sensa
più ^mandarmene. Inflitti dimando co-
me Zn/l in, 83, 73; IV, 74; V, 50-51;
VII. 37-38; IX, 124, non si fiuino più.
21. OOMK: in qnal modo e secondo qnal
ordine gU tpirti maUdeUi sono eottretti,
cioè Btreiti insieme, stipati. Alenai rifb-
rtaeono eo«frett» ai eerekieUi e spiegano :
Sodo stretti, serrati l'on dentro l'altro;
efir. Bianc, Vertueh, 103 e seg.
22. odio: « Odisti omnes, qai operan-
tnr iniqnitatem » ; Ptal. V, 7. - « Cam
aatem doobns modis. Idest vi ant fraade,
fiat ininria, firaos quasi vnlpeeal», vis
leoBis videtor: ntromqne alienissimnm
hmiiDe, sed frana odio digna malore » ;
Oeer., De Of, 1, 13. - « Kalla [ooea] è da
odiare, se non per soprawenimento di
autizU»: Oonv. IV, l.
23. «aiUBLà: ifi/hMtio iurii, vìda-
sfam di diritto ; « ingìnstizia, parola so-
» d'Aristotele ») 2V>B». - mcB: r ea-
I di qualsiasi malizia è ingiustizia, o
centra Dio, o oontra li proesimo, o centra
so stesso.
24. CON FRODI : « per fbrza o per flran-
de » ; Oonv. IV, 11.
25. FBOPBIO : tatti gli animali possono
osare della forza ; ma soltanto l' nomo
pnò offèndere altrid colla frode, la qaale
nasce di^'iU>nBo dell'intelletto, di cui
Tnomo solo è dotato. « Frans magis pro-
prie pertinet ad ezecntionem astati»,
secnndom qaod flt per tactH • ; TJiom,
Aq.. Sum. théol. II, u, 55, 5.
26. BUTTO: sotto; ò il lat. ttibttu.
28. PRIMO : dei tre cerchietti, v. 17. -
« Cioè, nn solo cerchio, come i prece-
denti, diviso in tre spartimenti tatti ad
nn solo livello; e i tre spartimenti son
tre aree circolari concentriche, nna den-
tro l'altra ; e quindi la prima cinge la se-
conda, e la seconda la tersa, oh' ò la pih
piccola »; Roti, - TUTTO: pieno ; occupato.
29. PKRBONS: sorto di persone: Dio,
prossimo, sé stesso.
31. A Dio : « comincia dal più grave
peccato eh' ò contro Dio, e termina col
meno grave eh' è contro il prossimo : qui
sotto invertirà » j B099. - puomk : può,
come fene per fe^, eco. ; forme dell' uso
toscano.
32. m BÈ : nella persona, -in lob cosr :
nella roha.
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100 [CERCHIO BE8T0] InP. II. 84-50
[BASSO INFERNO]
34
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43
46
49
Morte per forza e forate dogliose
Nel prossimo si danno, e nel suo avere '7
Buine, incendi e toilette dannose; , , v^ v a.
Onde omicide, e ciascun che mal fiere,/) ,\ ^^.
Guastatori e predon, tutti tormenta \
Lo giron primo per diverse schiere.
Puote uomo avere in sé man violenta
E ne' suoi beni ; e però nel secondo
Giron convien che senza prò si penta
Qualunque priva so del vostro mondo.
Biscazza e fonde la sua facultade,
E piange là dove esser dee giocondo.
Puossi far forza nella Deiiade,
Col cor negando e bestemmiando quella,
E spregiando natura e sua bontade ;
E però lo minor giron suggella
Del segno suo e Sodoma e Oaorsa
84. FORZA: 1» fon» bì abasa contro il
proMimo: o nella persona, noddendo e
ferendo ; o nella roba, guastando, inoen-
diando, rubando, predando. - fkbute :
ferite; da >ruto, part. di /er^ra.
86. TOLLKTTK: usare. « TcllMUk è lo
stesso ohe (otto, verbale di tdiT«, per fòrrt
ad usura » ; Faf^.» 8tud. 69-00. Al. COL-
LKTTB; ofir. Z. F., 69 e seg. Betti, Scritti
Dant., 17 e seg. l£azzoni-To$eUi, pag. 84.
- DANNOSI : rovinose, da mandare in ro-
vina; cfr. It\t. VI, 58.
37. OMICIDE: piar. ant. di omicida j
oggi omicidi. La lesione omicidi ò cor-
rezione di chi non conosceva la lingaa
antica. - mal fiere : ferisce per malida
e per mente determinata al male, non
per impeto o per difesa.
38. GUASTATORI : Colpevoli di mine ed
incendi. -PREDON: ladri ; che fsnno preda
della roba altrui usando violenza.
39. SCHIEBB: secondo la qualità della
violenza fatta.
40. IN Bit: contro so stesso, ucddendod.
41. BENI: dissipandoli.
43. PRIVA sÈ: ò suicida.
44. BISCAZZA: (da Bisca è bitcazza —
Luogo dove si tien giuoco pubblico), dis-
sipa gli averi nelle bische, al giuoco.
« Questa voce biscazza significa nella no-
stra lingua un luogo nel quale si ritenga
il giuoco, ma non ooài pubblicamente co-
me nelle baratterie', perciò che nelle ba-
rcUterie va a giuocare chiunche vaole,
scusa esservi conosciuto e sensa aver oo-
nosoenza di quei che vi giuocano ; e neUe
bische vanno a giuocar solamente quei
che vi hanno pratica e conoscenza » ; Oel-
li. Cfr. Mazzoni'ToseUi, p. 82. - fonde :
scialacqoa. 1 prodighi del canto VII non
peccarono che di mal dare, VII, 58 ; que-
sti qui scialacquarono i loro beni nel giuo-
co, o in spese smodate e passe.
46. LÀ DOVE : « e cosi quelle cose che a
ciascuno dovrebbero essere cagione di
gioia e scala al paradiso, come la vita e le
ricchezze bene usate, quelle stesse gli
sono cagione di pianto e di dannasione,
usate male »; Fat\f,, Stttd, 60. Al.: Nel
mondo, dove doveva, vivendo bene, stare
giocondo ed allegro (1).
46. NELLA Beitadb: coutro Dio.
47. COL COR : con intimo deliberato sen-
timento. « Dlxit insipiens in corde suo:
Non est Deus >; Psal, XIU, 1; LII. 1.
48. SPREGIANDO: commettendo peccati
contro natura, come i Sodomiti. - sua:
della Deitade, cfr. più sotto v. 96-96.
49. MINOR: il terso, più stretto degU
altri due. -suggella: imprime loro U
suo suggello; li dichiara suoi; cfr. Apih-
cai XX, 3.
60. Sodoma: i sodomiti, cosi detti da
Sodoma, cfr. Oenes. XIX. - Caorsa: gU
usurai, cosi detti da Oahors lat. Oadur'
oum, già capoluogo dell'alto Queroy. nel
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[COCTIOBSSTO]
Int. XI. 51-67 [basso ihtibho] 101
55
58
64
«7
E chi, spregiando Dio col cor, favella.
La frode, ond' ogni coscienza è morsa,
Pnò l'nomo nsare in quei che in Ini fida,
Ed in quei che fidanza non imborsa.
Qaesto modo di retro par che uccida
Pnr Io vinco d'amor che fa natnra;
Onde nel cerchio secondo s'annida
Ipocrisia, Insinghe e chi aflFattnra, ^^ . -i^' '
Falsità, ladroneccio e simonia,
Rnffian, baratti, e simile lordura.
Per l'altro modo quell'amor s'obblia
Che fa natura, e quel eh' è poi aggiunto,
Di che la fede speziai si cria;
Onde nel cerchio minor, ov'ò il punto
Dell'universo in su che Dite siede.
Qualunque trade, in etemo è consunto. »
Ed io : € Maestro, assai chiaro procede
Medio •▼• nido di orarsi. « Urandi qui
Camiid dfeutiir >; Bmmbgl. - « Come
TvoM diee d^alemio : egli è Oaortiito, eoA
•* iatmde di* egli sia nsaraio » ; Boee,
Ctt. Todéfckini, II, 301-12.
51. PAvnXuà : bectemmiMido e negando
Dlo;cfr.T. 47.
52. oom : eeeendone tatti rei; « omnee
decfinaTemst : limai inntilee ùtcU sont:
am ei* qol fludat bonam, non est nsqoe
ad annm. Se|Ni]<niim patens est gottnr
eoma, Ungoia sola doloee agebant»; ad
AmmwIII, 12-IS.-«Soaoalcone fhiadiche
MB rtBOxdoDo la coedensa (f), perchè
non eon peceato » (?) ; Land, - mobsa : ri-
mana, offees. « Intendi, o che la frode
è tei Tizio che le eoedenie più dare
n*h«ino rimorao; e de.: Boa qutmqué
frwm9, twu timor mortali vexat; o che
Virgilio Toglia rimproverare i oontem-
pereael di Dante eome i più meoohiati
di frode»; Tom,
53. nr qun: Al. n colui chs si ftoa.
Al. DT COLUI CH'nr LUI TIDA.
Si. imbobba: rieere in sé— non ai fida,
S6. QUISTD: Tnaar frode eontro dii
non ai fida. - uccida: tronchi.
M. PUB: aoltanto Tamor natoraIe.« Cia-
aeon nomo a ciaaean nomo è nataral-
mento amico »; Orna. I. 1.
68. uosanm : adolaaloni. - chi avfat-
TUEA: maghi, malloaL
€0. BARATTI: baratterie, oppure ba-
rattieri.
Clnadro de* rei
maaai In oorrlspondenaa ai Canti
dove partitamente ae ne raclona
. ifocriti taf. XXm
" XVIII
XX
XXIX
XXX
XXIY
XIX
XVIII
XXI
XXII
. hatng\ieri . . .
on AFT ATrmu . maghi, maliardi
JkXMnX ftìmtori i
. ìadfom
. ttmoniaci ....
. rugkmi.
. baraltUri ... .1
61. PER L* ALTRO: aaando frode eontro
ehi ai Ada, ai rompe non aolo U vincolo
natorale, ma e quello di parentado, e di
amiciaia, e della data flBde, eco.
63. Bi CRIA: ai crea, naoee tra gli no-
mini la fidanaa apedale.
64. ruHTO: il centro della terra e del-
Fnniverao ; efr. Oonw. Ili, 5. Farla nata-
ralmente accendo U aiatema Tdemafco.
65. DI BU CHE: aal qoal centro Loci-
fero ha il ano aeggio.
66. TEADR: tradiace;i traditori di ogni
genere.
Y. 67-90. IdmntMU fuori deOmeiUA
éU IMie. Dante interroga il Maeatro, per-
chò non aian ponlU nella città di Dite ^
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102 [CEBCHIO SESTO] Inf. XI. 68-83
[DAHNÀTI]
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73
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79
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La tua ragione^ ed assai ben distingue
Questo baratro e il popol che il possiede.
Ma dimmi : quei della palude pingue,
Che mena il vento, e che batte la pioggia,
E che s'incontran con si aspre lingue,
Perchè non dentro dalla città roggia
Son ei puniti, se Dio gli ha in ira ?
E se non gli ha, perchè sono a tal foggia? »
Ed egli a me € Perchè tanto delira »
Disse, « lo ingegno tuo da quel che suole ?
Ovver la mente dove altrove mira?
Non ti rimembra di quelle parole.
Con le quai la tua Etica pertratta
Le tre disposizion che il ciel non vuole,
Incontinenza, malizia e la matta
Bestialitade ? e come incontinenza
iracondi, i loMariosi, i golosi, gli arari ed
i prodighi. Peccarono d'incontinenza, ri*
sponde Virgilio, e l'incontlnenEa offende
meno Iddio e procaccia minor infamia,
ohe non la malizia e la bestialità. Onde
gV incontinenti sono separati dagli altri
dannati e puniti ftiori della città di Dite.
68. RAOIOKB : ragionamento, discorso ;
cfr. V. 33.
69. BARATRO: dal gr. pdpa^pov, lat.
barathrum ; laogo profondo, oscnrissimo
e cavernoso ; qui per T Inferno. - chb il
POSSIEDE : che lo abita, che lo empie. Al.
CHE FOBSIBDE.
70 . FiNGUB: fangosa; If\f, VII, 106 e seg.
71. MRMA: lossariosi. -batte: golosi.
72. s'iivcOKTRAN: avari e prodighi. -
ASPRE LINGUE : ontoso motro ; cflr. If\f.
VII, 80, 33.
73. ROGGIA : rovente. « Tre colori ab-
biamo: roiio ch'ò qnello del cinabro;
vermiglio eh' ò del verzino e della lacca ;
roggio eh* è del ferro rovente e che tende
al colore della ruggine, il ohe manifosta-
mente si vede nelle pere per questo colore
chiamate Bogge »; Borghini. Cft-. Pwrg.
Ili, 16. Par. XIV, 87.
75. HON : se Dio non gli ha in ira. - A
TAL: tormentati in tal modo.
76. DELIBA: devia dalle sue solite nor-
me nel gindioare, esce dalla via e qaasi
dal solco diritto del vero. « Lira, Uree si
è il solco il qnale il bifolco arando mette
diritto co' suoi buoi, e quinci viene deliro,
delirai ^iì qnale tanto viene a dire, quanto
usdredel solco, e perciò, metaphorieé par-
lando, in ciascuna cosa uscendo della di-
rittura e della ragione, si può dire e di-
oesi delirare »; Boee.
78. DOVE : o è forse la mente tua ocoti-
pata da altri pensieri? Ài. la mente tua
ALTROVE; forse Correzione di ohi si ac-
corse che quel dove aUrove non suona ve-
ramente troppo bene.
80. TUA : d'Aristotele, ohe facesti tua
studiandola. -pertratta: Int. pertradtU,
trattadlstesamente; cfr. Xmt., £Cft. VH,
1 e seg.
81. DiBPOSiziON: dello spirito, visi.
82. INCONTINENZA: la dxpam'a di Ari-
stotele» la quale consiste nel godimento
di quei piaceri ohe sono dilettevoli per so
stessi e che hanno per loro fondamento o
bisogni corporali, come il mangiare, il
bere ed i piaceri carnali, o la propria de-
siderabilità, come la vittoria, la gloria,
le ricchezze, ecc. Onde la distinziOBe : in-
continenza semplice, àn\S>q dxpacn<x,
ed incontinenza aggiunta, xatà npóa-
^otv. - MALIZIA: il vizio: xaxto, di
Aristotele, ohe consiste nel mal uso della
ragione. - matta bestialitade: la dt\-
ptÓTi\(; di Aristotele, che consiste nella
BoddiBfìizione di quelle voglie ohe non
sono dilettevoli per sé stesse; crudeltà»
antropofagia» peccati contro natura» eco.
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[ClSCSiO SESTO]
IKP. XI. 84-101
pJSTTBA] 103
Men Dìo offende e men biasimo accatta ?
' ss Se tu rignardi ben qaesta sentenza,
E rechiti alla mente chi son quelli,
Che sa di fnor sostengon penitenza;
88 Ta vedrai ben perchò da questi felli
Sien dipartiti, e perchò men cmcciata
La divina vendetta li martelli. >
91 « 0 sol che sani ogni vista turbata,
Tu mi contenti si, quando tu solvi,
Che, non men che saper, dubbiar m' aggrata.
u Ancora un poco indietro ti rivolvi, »
Diss'io, « là dove di' che nsura offende
La divina boutade, e il groppo svolvi. >
97 < Filosofia, » mi disse, « a chi la intende,
Nota non pure in una sola parte.
Come natura lo suo corso prende
iM Dal divino intelletto e da sua arte;
E se tu ben la tua Fisica note,
84. ACCATTA : si tir» addosso. La colp*
deirineontlnente eonaisie nel non porre
fr«Bo ali» ecncopisoenza. la qaale è un
moTimeiito nalarale; quindi sono minori
• la colpa e l'inCtmia.
85. BiouABDi: oogli oooM dell' intellet-
to; Ti rffl«tti sopra.
87. 6U : nei oerèlii superiori. - m fuob :
della dttà di Dite. - sosTiif gon : sono
tormentati.
M. TKrDSTTA : cosi il maggior numero
dei plft aatoreroli oodd. Al. giustizia.
Poò stare l'nna e l'altra lesione. Cfr.
Moore, Orit., 299 e seg. - li mastelli,
U ponisca.
V. 91-115. CSsme V usura offenda la
hsmtA diHna, Dante dimanda, come mai
roBiiT» offenda Dio, mentre essa sembra
ofbadere soltanto U prossimo. « La prò-
posta qoistiono soIts qoi Virgilio e pro-
eede in questo modo ; la natura praide il
eono suo da Dio; ond* ella ò un' arte da
Dio, eioè suo ordine, e processo naturale;
e dò die procede dalla natura, e segui-
tala, potremo dire che sia figliuolo di na*
tara ; 1* arte naturale procede da natura
e lei come suo maestro seguita; sicchò
questa arte è quasi nipote di Dio. E da
queste due, doò da natura e arte, con-
▼iene ehe l'uomo prenda sua rita e ch'elli
a'aranai. B perchè rnsurlere non seguita
natura, nò arte naturale, ma tiene altra
Tia partita ds questa ; adunque dispregia
elli natura figlinola dì Dio, e arte natu-
rale, ctie è nepote di Dio ; e pone in al-
tro la speme sua, cioè nelle cose tempo-
rali »; OU.
91. o SOL: ofr. If\f. I, 82. « D sole na-
turale cacda yia le tenebre della notte et
disA i nuToli et la oeohitA della nebbia :
oo<A Virgilio nello Autore dissipò et spen-
se ogni ceohità d' ignoranza ; et pertanto
per similitudine chiama Virgilio sole »;
An. Fior.
92. SOLVI: sdogti le mie qoistioni ed
i miei dabbi.
98. m' agguata : mi ò grato l' essere in
dubbio non meno del sapere, il dubbio
procurandomi il diletto de' tuoi discorsi.
94. TI BIVOLYI : rivolgiti, toma indietro
ancora un poco.
96. DI': dici; ofr. v. 48.
90. BVOLVi: sviluppa il nodo; sdogli
il dubbio. Al. SOLVI ; ma così leggendo si
avrebbe due volte la stessa voce in rima.
97. LA IHTKlfDB: Al. L'aTTEMOB, CÌOÒ,
vi presta attendono.
98. MON PUBE: in pih d' un luogo.
100. ABTB : dalle sue stabiUte leggi» che
sono l'arte di Dio.
101. TUA : la ITidca d' Aristotde da te
studiata; cftr. v . 80. - kotb: noti, consideri.
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104 [CBBCHIO SESTO] INP. XI. 102-115
[U8UBA]
103
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109
112
115
Ta troverai, non dopo molte carte,
Che Parte vostra quella, quanto può te,
Segue, come il maestro fa il discente ;
Si che vostr'arte a Dio quasi è nipote.
Da queste due, se tu ti rechi a mente
Lo Genesi dal principio, conviene
Prender sua vita ed avanzar la gente.
E perchè Fusuriere altra via tiene,
Per sé natura e per la sua seguace
Dispregia, poi che in altro pon ]a spene.
Ma segnimi oramai, che il gir mi piace ;
Che i Pesci guizzan su per T orizzonta,
E il Carro tutto sovra il Coro giace,
E il balzo via là oltra si dismonta. »
102. IION DOPO: quasi al principio»
n, 2 : « Ars imitatar Dataram in qnan-
tam potest».
103. QUELLA : la natura. L'arto segne
la natnra, oome il discepolo segue 11
maestro.
105. QUASI : l'arte è figlia della natnra ;
questa è figlia di Dio. Quindi per simili-
tudine l'arte può dirsi nipote di Dio.
106. DUE: natnra ed arte.
107. PRIHCIPIO : II, 15 : « Tnlit ergo
Dominns Deus hominem, et posnit eum
in paradiso voloptatis, ut operaretnr, et
onstodiret illum. » - III, 10 : « In sudore
Tnltus tui Tosoeris pane. * - Conviene
che la gente si nutrisca ed aumenti le
fhooltà per mezeo della natnra (agricol-
tura) e dell'arte (industria e commercio).
100. ALTRA : che non è quella prescritta
da Dio. L' usuriere non ricava il vitto nò
aumenta le sue focoltà per mezso del-
l'agriooltura, dell'industria o del com-
mercio, ma col metallo e coi sudori altrui.
110. PER 8È: in lei stessa. - SEGUACE :
r arte ; cfr. Oonv, IV, 9. Volendo ohe il
denaro fimtti denaro e rubando gli altrui
sudori, l'usuraio offènde la natura, figlia,
e r arte, nipote di Dio.
111. nv ALTRO : nel denaro e nell'altrui
credulità.
112. ORAMAI : SÌ erano fermati presso
la tomba di papa Anastasio, v. 6.
113. PESCI: zodiacale; la costellazione
dei Pesci, lontana 80 gradi dall'Ariete,
in cui il Sole si trovava. Accenna qui U
principio deir Aurora. Ctt. Della VaUe,
8en$o geogr.-aHron. dèi luoghi della D. O.
Faenza, 1869, p. 9 e seg. - orizzonta :
OTÌttonie, come Atena, Penteeotta, Comvn
na, eco. per Atene, PenteeoHe, Comune;
ctt. Nannue., Voci, p. 41 e seg.
114. carro : di Boote, cioè l'Orsa m&g.
giore. - Coro : il Oawnu o Ooru* del la-
tini, vento ohe spira tra ponente e tra-
montana, ed anche la parte d'onde spira.
« Allorchò il Segno dei Pesci si trova sul-
l'orizzonte all'Oriente, l'Orsa maggiore o
il Carro giace tutto sulla diresione di que-
sto vento »; DellaVaUé, - « Il vento (3oro,
lat. Ckturus, ta dai Greci detto Arge9te,
voce che coir andar dei secoli si è stupi-
damente trasformata in MaeHro. Baso
spira fra Settentrione e Ponente, quindi
verso la sinistra della stella Polare. I
Pesci si trovano in perfetta opposizione
col Carro, cioè con l'Orsa Maggiore,
mediante la stella Polare. B trovandosi
i Pesci ad oriente, doò a destra, il Carro
si trova verso la sinistra della stella Pe-
lare, e quindi verso il punto donde spira
il Coro. Or 1 Pesci precedono di due ore
l'Ariete, non ancora spuntato. E, stante
l'equinozio, essendo la notte di ore 12, ne
segue che in Jerusalem sono ore 10 » ;
IfociH, Orario deUa D. <7. Cosensa, 1894,
p. 6.
116. BALZO : l'alta ripa, -via là : molto
lontano di qui. - dismohta : si discende.
Dove sono nell'Inferno dantesco gli ao-
oidiosi, i superbi e gli invidiosi 1 1 primi
sono da cercarsi nel vestibolo, gli altri
nei diversi scompartimenti del settimo,
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renaio 8I8T0]
lS9.U.
[USUBA] 105
flttiTD e Bono oerdiio. Le pene infenall
BM baiiBo altro seopo, che di eei^aie il
■aleoommeMo, il qiule è retribuito ooUa
pett ehe il nude oorrispoade. Vi d oe-
aerv» lo e§tUrapa$to, doò U leggo del
t^tbue (efr. JV. XXTm, 142), secondo
li qaale tutte le pene seno distribolte.
K» teeoado qneet» legge non ti ponisee
eiw fl male posttìro e reale, la oattiva
■dose effrtttramente oommesaa, come
aoke n giudice in terra dere assolata-
B«Qte Hmltani alla poniaione dei delitti
flfistttrmmente commessi, e non pnò pn-
■in né fl pensiero del delitto, nò l'in-
àHamka» ad esso, nò il delitto meditato
• forse ragb^ggiato, non però messo in
efctto. Or Vaeeidia non consiste nel fkre
fl male positiro, si nel non far nnlla,
BÀ fl Baie nò il bene, nel vivere terua
^9U e $*Ma lodo (Inf. Ili, 86). Quindi
gii oeddioH non potevano oocnpare un
posto qoalanqne nel profondo Inferno,
ioTs li panisoono ovnnqne eattive astoni
*ftttiTamente oommeeee. Onde essi sono
^ eerearai nel vestibolo, non già in quat-
ta slfifo cerchio dell*Infemo.Hedesima-
■Moto, tuperbia ed invidia sono sensa al-
eni dubbio passioni, incUnasioni, affetti,
*PP^iU, qnalità perverse e peccaminose,
IRBìdlmomdeUttì e peccati attnalL Ma
K il dsUtto, il peccato, non si commette
itteilmente, non vi pnò essere nn posto
per U nperbo e per Tinvidioso nell'Infer-
no dantésco, ove, come dicevamo, non si
PBBiieoQo che i peccati e delitti tUtudlL
U superbia e 1* invidia in atto producono
tatti qnei peccati che sono paniti nel set-
timo, ottavo e nono cerchio. Or le pene
dell* Inferno essendo eteme, ò chiaro che
corrispondono al delitto attuale. Chi dalla
snasaperbia Ita trascinato allavioleniao
alla frode, trova naturalmente n soo po-
sto in ano dei gironi del settimo, o in nna
delle bolge dell' ottavo cerchio. Chi dalla
sna invidia ita trascinato al tradimento,
se ne andrà gih a stare coi traditori. Lo
aflbrma il Poeta medesimo là dove dice,
che la deca cupidigia e la folle ira stimo-
lano r nomo nella vita temporale, e nel-
r etema lo immergono nell* abisso del
dolore. In/. XII, 40 e seg. Dante non
poteva, per consegueuEa, creare nel suo
Inferno cerchi speciali per i superbi e
grinvidiosi, ed ò Attica gettata il cercarli
qua o là in un luogo speciale tra qaei
tanti che nelle didassette regioni dei tre
ultimi cerchi soffrono la pena dd delitti
attuali, che la loro superbia o la loro in-
vidia li trascinò a commettere. Tutte
queste didassette regioni sono popolate
da superbi ed invidiod. Vedi però Bar-
toU, Lea, ital, VI. l. p. 45 96. FOomiui
Oueljl, La etrtUtwra morale dtVL'Inf, di
l)a!nXe, nel Qiom, Dani. 1, 341-67, e 429-47
e la letteratura colà citata, la quale d ò
poi considerevolmente aumentata in que-
sti ultimi anni; cfir. Oiom. Dani. II-V,
peueim. Dal canto nostro anche adesso
non sappiamo modificare la data Inter-
pretadone ; ma 1 giovani studiosi non
trascorino di confrontarne altre, in parte
1 divergenti.
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106 [CBRC. 7. GIB. 1] iNF. XII. 1-6
[MmOTAUBO]
CANTO DECIMOSECONDO
CERCHIO SETTIMO
GIRONE primo: VIOLENTI CONTRO IL PROSSIMO
(Attaffkti nellA riviera di sangue bollente)
IL MINOTAUBO, LE BOVINE DELL' INFEBNO
IL FLEGETOKTE ED I CENTAURI, DIVEB8I VIOLENTI
Era Io loco, ove a scender la riva
Venimmo, alpestre, e, per quel ch^vi er'anco,
Tal, eh' ogni vista ne sarebbe schiva.
QuaVè quella mina che nel fianco
Di qua da Trento l' Adice percosse,
0 per tremaoto o per sostegno manco;
V. 1-30. Il Minotauro, I dne Poeti
sono gionti dove per una mina al scende
dal sMto al settiino cerchio. Custode di
questo cerchio ò il Mjjiot&iicOj, sìmbolo
della violenza bestiale. Virgilio ne spegne
la rabbia con le savio sue parole; quindi,
superata eziandio la difficoltà della ro-
vinosa scesa, arrivano giti alle rive del
Flegetonte.
2. guBL: il Minotauro; v. 11 e sog.
3. TAL: talmente erto ed aspro, e tal-
mente schifoso e spaventevole per causa
della bestia, v. 19, che vi stava a guardia.
4. auiM A : frana. Secondo gli uni Dante
allude al varco apertosi dall'Adige a tra-
verso le folde del monte Pastello nel luo-
go detto la Chiusa, e che ò chiamato li
Slavini di Marco; secondo altri alla ro-
vina di Monte Baroo presso Kovereto.
Banibgì: «quemadmodum est ripa dirup-
ta cuiusdam montanee tridentine quam
tangit et percutit aqua cuiusdam fiumi-
nis veronensis qui vocatur Ladesé (VA-
dice) qui prodncit pisces qui Lasche vo-
oantnr • . - Petr.Dant.: « In qnadam mina
slmili illi minse qnse est Inter dvitatem
Veronro et dvitatem Tridenti super fln-
mine Atids, in centrata qnadam qnae dl-
citur Marcomodo ». - Benv.: « Illa via rai-
uosa per quam erant descensuri, erat
tali qualis est illa quo est in ripa Atheais
Inter Trìdentum et Veronam ; Illa enim
ripa, anteqnam fleret istud prfisdpitiam
maximum, erat ita recta et repens in roo-
dum muri, qnod nullus potnisset ire a
summo ripsD usque ad fbndum fiumana)
inferioris; sed post ruinam fkctam poseet
nunc aliqualiter iri ». Cfr. Memorie an-
tiehe di Rovereto e de' luoghi dreotiìfieini,
Ven., 1754, p. 74 e seg. Persico, Deseri-
none di Verona, Verona, 1820, voi. II,
p. 176. Oiovaneili, Der eingestiirzte Serg
bei dem Dotfe Marco unter Roveredo, i
Slavini di Marco genannt, Innsbmck,
1832. Todeschini, I, 442 e seg. Ferrazzi,
IV, 379; V, 320. Lorenzi, La mina di
qua da Trento, Trento, 1896. BuU, II,
4, 10 e seg. Ejusd., La leggenda di JOatUs
nel Trentino, Trento, 1897. Bassermann,
p. 419 e seg. e 649.
6. MANCO: mancato, causa 1* asaidao
rodere dd fiume; /V* XXXIV, 181.
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naiB. 1]
IiTF. XII. 7-2
[MTNOTAUBO] 107
19
13
16
19
Che da cima del monte) onde si mosse,
Al piano è si la roccia discoscesa,
Ch'alcuna via darebbe a chi sn fosse;
Coiai di quel burrato era la scesa; .
E in su la punfca della rotta lacca . t^-^ ^ ,v^
L'infiunia di Creti era distesa, '
Che fu concetta nella falsa yàcca^
E quando vide noi, sS stesso morse,
Si come quei, cui Tira dentro fic^cca.
Lo savio mio invér lui gridò : « Porse
Tu credi che qui sia il duca d' Atene,
Che su nel mondo la morte ti porse ?
Partiti, bestia, che questi non viene
Ammaestrato dalla tua sorella.
Ma vassi per veder le vostre pene. »
Qnal è quel toro che si slaccia in quella
Che ha ricevuto già il colpo mortale.
Che gir non sa, ma qua e là saltella ;
Vid'io lo Minotauro far cotale;
E quegli accorto gridò : « Corri al varco :
7. Bi MOflSi: qnélla rnioa.
8. AL PiAHO: sino al piano. - DlscoflCB-
SA: Tottft ed ini^ombra dalle sne stease
nwìa»
9. ALcmiA: mia qualche via, benohò
malaferole, per diaoendere. Al. Nesanna.
Ma lUeuno non rigniflca mai nesmno, e
w idoe Poeti diaoeaero per Tappanto 1),
vaa ila qoalonqne o* era. Ctr. Dionisi,
Amedd. U, 11. Blandim./un., 114 e mg,
Blane, Vertueh, 107 e eeg. Eneid, 57 e
10. BUBBATO: predpisio, luogo eco-
Keeo, dirupato e profondo. Cfr. It^f.
XVI. lU. X
IL ruKTA; orlo, -lacca: foena, oa-
Tità; cfr. JnA Vn, 16. Purg. Vn, 71.
12. nrFAMiAt Mlnotaaro; cnstode del
cerehie dei Tiolentl, perchè, come qaeeti ,
d pMoera di carne umana. - Crbti : r Ì8o-
laéi Creta, oggi CandJa, detU dai nostri
«rtidìl Oretiì cfr. Oonv. IV, 27, - Dl-
RKA: sdraiata. ,t
IS. FAIAA : di legno, in eoi entrò Fa- '
itfsper fkrsi copriro dal toro. Cfr. Pttrg. '
XXVI, 41 e seg.
U. là smso: per la gran rabUa. Al.
BÈBTIBaA.
15. FIACCA : Tince e straxia, togliendo
Toso della ragione.
16. LO SAVIO : così i più ; àlooni oodd.
leggono invece: lo savio mio Virgilio.
Cfr. Moore, Orit., 800 e seg. II Betti:
« Con qaesta variante si toglie qnell' in-
vér lui, detto di nna bestia ».
17. DUCA: Teseo, figlio di Egeo re di
Atene, che accise 11 Minotanro.
20. 80HKLLA : Arianna, figlia di Minos,
re di Creta, e di Pasife ; amante di Teseo,
al qoale insegnò il modo da tenere per
nooidere il Hinotanro.
21. VAB8I: ci va. Al. viiirsi. Cfr. Z.
F., 73 e seg. - fer vbdrr : e non per far
danno a chicchessia, come Teseo s* intro-
dnsse nel Laberinto.
22. TORO: ottimo paragone del figlio
col padre. Virg., Aen. II, 223 e seg. : « <;^a-
Us mngitns, fbgit cam saacins aram Tau
ms et incertam excQssit cervice secnrim»
- IN QUELLA : in qaeir ora, in qnel mo-
mento «t ilaeeia, cioè rompe il sno laodo.
25. COTALS: il somigliante.
26. quRou : Virgilio. - accorto : del
momento opportuno per passare il varco,
cioè il passo diansi oocnpato dal Mino-
tanro, il qnale, saltellando qna e là, non
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108 [CKBO. 7. om. 1] iNF. III. 27-42 [bovine nmsRHALi]
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Mentre eh' è in furia, è buon che tu ti cale. »
Cosi prendemmo via giù per lo scarco
Di quelle pietre, che spesso moviensi
Sotto i miei piedi per lo nuovo carco.
Io già pensando; e quei disse: t Tu pensi
Forse a questa rovina, eh' è guardata
Da quell'ira bestiai ch'io ora spensi.
Or vo' che sappi, che l'altra fiata
Ch'io discesi quaggiù nel basso Inferno,
Questa roccia non era ancor cascata.
Ma certo poco pria, se ben discemo,
Che venisse Colui che la gran preda
Levò a Dite del cerchio superno.
Da tutte parti l'alta valle feda
Tremò si, ch'io pensai che l'universo
Sentisse amor, per lo qual è chi creda
attenderà in questo istante al ano uffizio
di guardare qnel passo. - gobbi : aflRret-
tati a passare.
27. TI CALE: ti cali, discenda.
28. SCABCO: scarioo, od ammasso di
quelle pietre, « le quali erano dalla som-
mità di quello scoglio cadute, come cag-
giono le cose che talvolta si scaricano »;
Boce,
80. CABOO: carico, peso insolito, oioò
di persona vira, «non essendo solite soen*
dere in tal luogo, se non ombre che non
pesano *; €Mli,
Y. 81-45. Le r&vine infernali. Dan-
te procede oltre, assorto in pensieri. « Tu
pensi * gli dice Virgilio, « a questa rovi-
na. La non o* era ancora V altra volta che
discesi quaggiù (cAr. Inf, IX, 22 e seg.).
Ma, se ben mi ricorda, poco prima che
venisse il Possente (Cristo) a liberare
tante anime dal Limbo, tutto quanto Vln-
femo tremò in modo, che mi venne in
mente V ophiione di Bmpedocle, il quale
si avvisava che il mondo fosse formato
dalla discordia degli atomi, la cui con-
cordia tirerebbe dietro a sé la confusione
del tutto. Quell'insolito terremoto (cfr.
Matt, XXVII, 61) fu causa delle rovine
infernali. » Il GeUi: « Io vi addussi già,
per provarvi che la selva, nella quale il
nostro Poeta si ritrovò esaere smarrito
^«I mezzo del cammin di noHra vita, non
fd altro ohe un certo cominciare ad aver
qualche dubbio degli articoli della reli-
gion cristiana, intra le altre ragioni que-
sta : che Virgilio, il quale era mandato da
Beatrice (intesa da lui per la Teologia) a
/kr tale offizio, pigliava ad arte, ogni volta
ch'ei poteva, occasione d'accertarlo di
qualcuno d' essi articoli. E ne vedete lo
esempio particolarmente in queeto luogo;
ove ei piglia occasione, da la rovina di
questa scesa, di mostrar che ella cadde,
quando ei tremò la terra nella morte di
Cristo, e eh* egli scese dopo quella all'In-
ferno, e cavò i Santi Padri dal Limbo. »
88. IBA bbstial: bestia irosa, che è il Mi-
notauro. - SPENSI : resi impotente a nno-
oerci, focendolo diventar matto di rabbia.
37. POCO PBIA : pochi momenti avanti.
Il terremoto avvenne allo spirare del Be-
denterò, il quale dùcen agVif^eri SDbito
dopo la sua morte. - bb ben : se mi ricordo
bene. Al. se non pigilo errore. Come pa-
gano, Virgilio non è troppo sionro del
fletto suo.
38. CoLm: Cristo; cfr. Inf. IV, 53 e
seg. -.fBSDA : di anime tratte dal Limbo.
40. ALTA : profonda - feda : fetida,
sozza, schifosa.
41. TBKMÒ : MaU. XXVII, 61: «La ter-
ra tremò, e le pietre si schiantarono »,
anche neir Inferno, suppone il Poeta, cfr.
In/' XXI, 112 e seg.
42. BENTissE AMOB: cho gli elementi
tornassero in oorcordia. - È chi creda:
lat. est qui eredat. Dante conosceva pro-
babilmente l'opinione di Bmpedocle dalle
opere di Aristotele, il quale la combatte
come falsa.
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iNF. xn. 48-58
[CBMTAXTBl] 109
58
Più volte il mondo in Caos converso ;
Ed in quel ponto questa vecohia roccia
Qui ed altrove tal fece riverso.
Ma ficca gli occhi a valle; che s'approccia
La riviera del sangue, in la qual bolle
Qnal che per violenza in altrui neccia. >
0 cieca cupidigia, o ira folle,
Che si ci sproni nella vita corta,
E nell'eterna poi si mal c'immollo!
Io vidi un'ampia fossa in arco torta.
Come quella che tutto il piano abbraccia,
Secondo ch'avea detto la mia scorta;
E tra il pie della ripa ed essa, in traccia
Correan Centauri armati di saette,
Come solean nel mondo andare a caccia.
Vedendoci calar, ciascun ristette,
43. 00HTSB8O : ritornato in oonftaaione.
45. ALnoTB : efr. Ji^. V, 34. 1 pih in-
tendono del ponti che oopnmo 1* bolgia
deg& ipoertti, ete. If^, XXT, 106 e seg.
Ha di questa rovina Virgilio non ne sa
«Bear nolla^ onde si lascia gabbare dai
damooi; cfr. I^r. XXIII. 130 eseg. Val-
tron è dnnqoe d* intendersi in generale»
wsa allosione speciale ad on dato luogo
àétì* Inferno. - FBCB uviseo : si rovesciò
ìb tal modo.
V. 46^. n Wlegetonte ed i Ceniau-
rL >eeo il gjyetontoy riviera di sangne
\^mS^JfS~^ sono attoffisti, qnal più,
qui aeno, i violenti contro il prossimo,
Moondo la sentensa: « Fosti assetato di
«agae, bevilo I » Il BttU dice che aUegorl-
eaaentes'intendedi quelli del mondo che
coptfmismsnto bollono nel sangne per
•Meadimento d' ira. Intorno alla riviera
corrono Ceotaori armati di saetto, e loro
eapitSBo è Chirone. Saettano chiunque
per sUeggerimeoto di pena si sporge
^Mci del boUento sangne pih che la sua
ootpa non gli permetta. Virgilio chiede
s CUione, il quale si è già aceorto ohe
I)*Bte è aneor vivo, che gli dia uno dei
MoiCentanxi, per mostrare ai dne Poeti
^ Kttde, e portar Danto sulla groppa.
(^Urone dà loro per gnida il Centaoro
Hetto.
4S. FIOCA: guarda laggiù - b' aftboo-
<^: ri approssima.
, 47. MifìMMA : n yiegetonto, terso fiume
^>>Kud», in coi sono attoflM 1 violenti
sitibondi di sangne umano; Jnf, XIV,
180 e seg.
48. Quu. : ohinnque nuoce al prossimo
con violensa.
40. CUPIDIGIA : la oni^digia e l' ira sono
le passioni motrici della violensa. - o
IRÀ : Al. e con loro Bambgl.: b ula. Al. m
BLA B FOLLB. Quest'ultima lesione vuol
essere scartoto ; l' ira è una delle princi-
pali fonti della violensa, ed è veramento
/oUe, come la cupidigia ò eisca.
61. c'iMMOLLB: ci immolli «i maU,
tanto dolorosamento, nella riviera del
sangne ohe bolle.
52. FOSSA : la riviera del tangué, v. 47,
ohe circonda il settimo cerchio. - n aboo
TOBTA: circolare.
54. DBTTO: Jnf. XI, 28 e 34-391 Op-
pure XII, 46-48 f O ambedue f
55. bssa: fòssa. -m tbaocla: in fila,
r uno dopo r altro, di modo che l'uno se-
guiva le tracce dell' altro, e dò per essere
il sentiero assai stretto. Al. : In cerca di
anime da saettore; intorpretasione eon-
fortata dai v. 73 e seg.
56. CBHTAUBi : esscri mitologici, dalla
vita sensa legge, che non conoscono al-
tro diritto se non della fona. Simboli
della violenza ed appunto per questo tor-
mentatori dei violenti, a visio essendo
neU' Inferno dantesco il suo proprio ca-
stigo. Cfr. Ovid., Mei. XII, 210 e seg.
58. VBDBNDOCICALAB : giù per lo scaroo
delle pietre rotto ; v. 28 e seg. Ctt. Virg.,
Aen. VI, 381 e seg.
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110 [CBBC. 7. GIB. 1] iNF. XII. 59-76
[OENTAUBI]
61
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73
76
E della schiera tre si dipartirò
fx*^ Con archi ed asticciuole prima elette.
E l'un gridò da lungi : « À qual martlro
Venite voi che scendete la costa?
Ditel costinci; se non, l'arco tiro, x^
Lo mio maestro disse : t La risposta
Farem noi a Chiron costà di presso :
Mal fu la voglia tua sempre si tosta. »
Poi mi tentò, e disse : « Quegli è Nesso,
Che mori per la bella Deianira,
E fé' di so la vendetta egli stesso;
E quel di mezzo, che al petto sì mira,
È il gran Chirone, il qual nudrl Achille ;
Quell'altro è Eolo, che fu si pien d'ira.
D'intorno al fosso vanno a mille a mille,
Saettando quale anima si,gvelle a^ y.
Del sangue pia che sua colpa sortille. »
Noi ci appressammo a quelle fiere snelle ;
59. TBR: Nesso, Chirone e Folo, y. 67
e segaenti.
60. ASTICCIUOLE: freooe. - BLKTTR : Scel-
te prima di staocATSi da' loro compagDi.
« Tendnnt nervis melioribns arons; Co-
ra ftiit lectis pliaretras implere sagittis »;
Luean., Phar», VII, 141 e seg.
61. l' un ! Nesso, V. 67. - martìbo : a
qaal genere di pena, e tra quali pecca-
tori.
68. COSTINCI: da costì e il suffisso eif
di costi, dal luogo dove siete, sensa far
più passo ; altrimenti tiro l' arco, tì saet-
to; cfr. Purg. IX, 85.
65. COSTÀ : giunti ohe vi saremo vicini.
Chirone, capo dei Centauri, fti, secondo
la mitologia, di essi tutti il piii giasto,
onde Virgilio vuol parlare pure alni, non
solo come al capo, ma e come al men fu-
rioso della maledetta brigata.
66. MAL: per te; alcuni pochi codd.
MA FU, lesione inattendibile; cfr. Moo-
re, Orit., 802. - tosta: precipitosa. Volle
rapire Deianira moglie di Ercole, il quale
lo uccise.
67. TENTÒ : toccò leggermente per ren-
dermi attento t mi fece volgere a so. -
Nesso : il Centauro che tentò di rapire
Deianira, moglie di Ercole, onde questi
lo feri mortalmente con una fìreoda av-
velenata. Cf^. BmìoI, 535 e 1322.
69. Kou STESSO : benché vinto emoroi-
te. Lasciò la sua veste insanguinata a
Deianira, dandole ad intendere, ohe eeaa
avesse la virth di far innamorare ohi la
vestisse. Deianira gli credette, e volendo
conservarsi o riguadagnarsi l' amore di
Ercole, gliela mise indosso, onde egU in-
furiò e mori.
70. SI MIKA: assorto in pensieri, es-
sendosi accorto che Dantf ò tuttor vivo,
V. 80 e seg. «
71. Chironb: Xetpov, figlio di Satur-
no e della ninfa Fillira. Secondo la mito-
logia fu famoso medico, indovino, astro-
logo e musico; fti pure aio, educatore di
Achille, Bsoulapio, Ercole, eoe Cfr. Purg,
IX, 37.
72. FOLO : figlio d'Iasione; nelle noaae
di Piritoo con Ippodamia, riscaldato dal
vino, volle far violenza alla sposa ed aHe
altre donne dei Lapiti. - « In Nesso è flu^-
rata la cupidigia violenta ; in Folo, il vio-
lento furore »; Tom.
73. VANNO : i Centauri, dai quali i tre
nominati ai sono dipartiti per venire in-
contro ai due Poeti, v. 59.
74. SI SVELLE: si alzi, esca fuori del
bollente sangue.
75. SOETILLE: le diede in sorte, le de-
stinò.
* 76. FiEBE: Centauri, fiere dall' ombe-
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[etsc. 7. 0IS. 13
IKF. XII. 77-90
[CENTAUEI] 111
S3
S5
Chiron prese tino jtiale, e con la cocca
Fece la barba indietro alle mascelle.
Quando s'ebbe scoperta la gran bocca,
Disse ai compagni: « Siete voi accorti,
Ohe quel di retro move ciò ch'ei tocca?
Cosi non soglion fare i pie de' morti. »
E il mio baon duca, che già gli era al petto,
Ove le duo nature son consorti, -: c*^^^^ •■
Rispose: «Ben è vivo, è'ff Coletto ^
Mostrargli mi convien la valle buia :
Necessità il c'induce, e non diietto.
Tal si parti da cantare alleluia,
Che ne commise quest'ufficio nuovo;
Non è ladron, né io anima fuia.
lieo in giù. - BHSLLB: rtHool ; ne' piedi e
nelle gambe nrerano iiDnn» di onTAlIo.
77. ooocA. : taoo» o pleoolo solco nelln
pute pocteriore deUn freccia.
78. FBCB: ai peMnò la bariM indietro
Teno le m ancelle per fare la fyran bocea
libem e parlare in modo da eeaere inteeo.
81. QUEL: Dante. - move: le pietre;
88. AL PETTO : non gli arrivaTa più an,
taalo Chirone era grande. - e Idest qoi
iaa perTenerat ad pectoe eqoi. Ita qnod
«mcapHeattingebatpectiiseqai »{Ben«.
- « Dae petti aono nel centauro, l'uno del*
r WNDO e r altro del cavallo »; Out.
M. uuo : dell* nomo e del cavallo. -BOir
COKSOBTI: si oonginngono.
fó. VIVO: «quasi dlcat: verevivitet
beale, quia nulli qosrit nocere, Immo
oaurfbos prodeaee; non est vir sangui-
nufli sioat voe foistis, est ecce quare ve-
niaoa non ad martìrium, siout Hessus
petabat paolo ante, imo ut videat pcenas
alionun»; Benv,
87. KECEseiTÀ: di flato e della sua sa-
iuta. - n. c'iMDUCB: Io conduce qoi. AI.
EECBBITA. 'L COHDUCB. - DILETTO : di
vana eorioaità.
9S. TAL: Beatrice. - da cartabe: dal
Paradiso, dove al cantano le lodi del Si-
88. MB: ano! due; Al. Mi: cfir. JV< II«
87 a seg. - UPfidO: di andare per i regni
della morta gente; oppure, leggendo mi,
di goidare un vivo per qaesti regni. -
VUOTO: straordinario, inusitato.
90. LADBOSs violento rapitore dell' al-
trui avere, quali sono i dannati di questo
girone. -FUIA : i più spiegano ladra, da
/iuro, mutata la r in i, come paio per pa-
ro, danaio per danaro, eco. Al.: Fuggita,
fuggitiva; AI.! Nsaoosta, celata; cfr . IHez,
E^, WdH. n*. p. 82. OU.: « Anima di
ladrone ». - Boee.: « Qoasi dica, nò io al-
tresì son ladrone, perciocché noi quelle
femmine le quali son fare, noi chiamiam
ftiie ». - Benv.: « qoasi dicat : nec ipso est
violentus, nec ego frandolentus. Latro
enim est qui violenter et patenter spoliat,
ftir vero fkaodulenter; ideo non snmos
puniendi aliqua pcena in civitate ista, in
qua panitur violentla et fraadnlentia ».
-fiuti: « Questo si pone impropriamente
per loladrone ».- jSnrae.: «iVta, idest fu-
riosa; vel fora, idest anima faris ».- Barg.:
« Che per ladroneccio, o farto sia degna
di rimanere in questo cerchio, o dismon-
tar più giù a pena alcuna ». - Land.:
« Foia, cioè farà ». - Tal,: « Et ego non
som fhr ». - Veli.: « Anima fora». - G«Ui:
« Fura e ladra, espone il Landino, e il
Qiamballarl, nera e macchiata, onde ve-
nissi in qael luogo per esservi punita ».
- Dan.: « Fora e ladra ». - Oatt.: « La-
drone è chi ruba per forza ed apertamen-
te, e conviene che Fida aigniflobi questo
stesso; altramente non sarebbe da punire
sotto la guardia de' Centauri. E si stima
ohe sia voce oosl fatta di Fura, e perciò
significhi la mbatrloe ». Oli antichi non
danno veruna spiegasione, forse perchò
la voce non sembrava loro oflUre alcuna
difficoltà. Secondo il Betti, fuio vale e*-
ìato, « sicché Dante vuol dire che Virgl-
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112 [OBBC. 7. QIE. 1] iNF. XII. 91-107
[TIBAHNI]
01
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Ma per quella virtù, per cui io muovo
Li passi miei per si selvaggia strada.
Danne un de' tuoi, a cui noi siamo a pj:a9yo,
Che ne dimostri là ove si guada, ^'^^^'
E che porti costui in su la groppa ;
Che non è spirto che per Taer vada. >
Chiron si volse in su la destra poppa,
E disse a Nesso: < Toma, e si li guida,
' E fa' causar, scaltra schiera v'intoppa. »
Noi ci movemmo con la scorta fida
Lungo la proda del boiler vermiglio,
Ove i bolliti facean alte strida.
Io vidi gente sotto infino al ciglio ;
E il gran Centauro disse : € Ei son tiranni
Che dier nel sangue e nell' aver di piglio.
Quivi si piangon gli spietati danni ;it- r j, \
Quivi è Alessandro, e Dionisio fero.
Ilo non era on nomo, che andasse naeoo-
samente celando sé ». Ma è possibile nel-
r altro mondo, come in questo, di andare
nateotamenU edando tè t Virgilio doveva
saperlo.
91. VIBTÙ: divina.
93. TUOI: Centauri. -A pbuovo: ap-
presso, a lato; forse dal lat. adprope.
94. Bi GUADA : il flnme del sangne bol-
lente.
96. PEB l' A£a: dnnqne gU spiriti, udita
la sentenza di Minosse, non vengono tra-
gittati da FlegiÀs, nò portati da Gerione.
97. POPPA: mammella; sul destro lato;
efr. In/". XVn. 31.
98. TOBMA: indietro. Erano venuti in-
contro ai due Poeti, dunque bisognava
tornare indietro. - si: come Virgilio ha
detto.
99. CAN6AB: dlscostare.-scBiKBA: di
Centauri, of^. v. 78. -v'intoppa: v'in-
contra. Al. 8* INTOPPA : s' imbatte in voi.
Cfr. InT' XXV, 24. Z, F„ 76 e seg.
V. 100-139. IHvwi violenH contro
il prossimo. Guidati da Kesso, i due
Poeti continuano il loro viaggio lungo la
riviera. Trovano i tiranni che diedero di
piglio nel sangue e nell'avere e stanno
in quel bulicame sino al ciglio. U Cen-
tauro mostra loro Alessandro, Dionisio,
Assolino, Obizso da Este e, a parte, Gui-
do da Monteforte. Racconta loro che dal-
l'altra parte nel profondo del bulicame
sono puniti Attila, Pirro, Sesto ed t la-
droni Binler da Corneto e Blnier passo.
Passato il guado. Nesso ritoma indietro.
100. fida: sicura. BtUi: «Parla quivi
per lo contrario, che non fh fido a Deia-
nira » (t). - Barg.: « Con Nesso, alla fede
del quale eravamo raocomandati ». - In-
vece di NOI CI MOVKMMO alouni testi
hanno OB a movbmmo, les. difesa da
Z. F., 7«.
104. GRAN: Nesso; cfr. V. 71.
108. SPIETATI : crudèli. - danni : recati
altrui.
107. Alkssandbo: il Grande o quel di
Feref I pih intendono del Macedone,
veramente meritevole di stare co' vio-
lenti e tiranni ; ott. Ltiean., Phar». X, 19
e seg. Benv. mostra a lungo (I, 405-408)
che Alessandro Magno fbsse vi(àento« in
Deum, in se, in proximum, et peius in
soos quam in extraneos ». È vero ohe
Dante ne parla flsvorevolmente altrove,
DéMon. II, 9. Conv, IV, 11 ; ma ciò non
ò di molta importanza. Altri intendono
di Alessandro di Fere, ohe flhoeva ve-
stire gli uomini di pelli ferine e gettarli
così ai cani, e (ìsceva pur sepp^Ure viva
la gente ; cfr. JHod. Sieul. llb. XV e XVT;
PltU., Pelop., 27-29. Oom, Nep.» Pdop,, 5.
Gli Alessandri essendo tanti, « cum di-
dmus Alexander (senza più) debet Intel-
ligi per exoellentiam de Alexandre Ma-
gno »; Btnv. Curiosa poi la chiosa del
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fCMC. 7. GIR. 1]
iNF. xn. 108-114
[TIRANNI] 113
IW
112
Che fé' Cicilia aver dolorosi anni;
£ quella fronte o'ha il pel cosi nero,
È Azzolino; e quell'altro che è biondo,
E Obizso da Esti, il qual per vero
Fa spento dal figliastro sn nel mondo. »
Allor mi volsi al poeta, e quei disse:
< Questi ti sia or primo, ed io secondo. >
BamJbffl^ « iste ftiit Alexander rex lern-
talem et tinuinat eradelleeimiis, de quo
diflitar qnod oetingentoe viioe enm nzo-
lilme et filile on* vice neoari fiMit». -
An. 8tl^ « Qoi &meiixione d* Aleesandro,
e non mi distondo a dire chi e* Ita, e come
eonqidatò tatto il mondo ». - lae, Dant.:
« n grande Alleflaaidro di Manoedonla il
qnalle tirane^^iando aignoieggiò le dne
parti del mondo, doò Asia e AMcha».
-Xon..* « Qneeto Alemandro fta nn ti-
raano il quale vinse tntto il mondo, fé*
molto cnideiitadi. oom* è soritto nella sna
Tita ; ft« le qnali n* ò scritto nna che sof-
fioae a fan morire di quelli di lerosalem
ad imo tratto LXXX milia nomini colle
sue fiunij^ » (f).-Bo0e.? «Non dice Taa-
torv qnatotConoioesiaooeaehò assai tiranni
■tot! at«io, 1 qnali questo nome hanno
arato; e perocohò nel maggiore si con-
tengono tatti i mali Catti da' minori, credo
che sia d* intendere, ohe egli abbia vo-
lato dire di Alessandro re di Macedonia » .
-In OroHc, da loi studiato, Danto leg-
gera, III, 16 : « Inde profeotams ad per-
sienm bellam, onmes oognatos ac prozi-
moe anoe intorfedt ». B m, 18: «Non
minor eios in saos cmdelitas, qnam in
hostem rabies ftait». E inoltre III, 18:
« Fnmsaii sangninis enezsatorabiUs, sive
hoattam sive etiam sodomm, recentom
tamen semper sitiebat craorem ». E di
nuovo m, 20 : « Cam adhuc sanguinem
sttiens, mala castigato aviditoto, mini-
stri insidiis venenum potasset, intorilt ».
Gembra pwtanto foor di dubbio cheDanto
abbia inteso d^ Macedone. Cfr. Betti,
SerUH Dani, 102 e seg., Siane, Vertueh,
llOeaeg.-DiovisiO; tiranno difflraousa,
probabllmento il seniore, considerato da-
gli antichi qual tipo dei tiranni inumani
e crudeli; eonfr. Diod, SU, XTV, XV,
74. Val. Max. 1, 1 ; IV, 7 ; IX, 19. Pìut.,
Dion,, 5. Cfic., Tìue.Y, 21 e seg. Del resto
andie Dionisio il giovine fta asMi crudele ;
cfr. JWorf. 8ie, XV. 16. Iwtin, XXI, 5.
108. CicnjA: SidUa; cfr. Val, Max,
IX, 16. atoJt., Aeha, I, 80.
8. — 2>i9. Oomm^ 4» ediSe
109. fronte: sola visibile, essendo co-
storo immersi infino al ciglio, v. 108. - il
fkl: il orine.
110. AzEOLUio: Bseelino da Bomano,
conto di Onara, morto in prigione nel
1259. « Fu il pih crudele e ridottoto ti-
ranno che mai fosse fra' cristiani, e si-
gnoreggiò per sua forza e tirannia....
grande tempo tutto la Marca di Trevigi
e la città di Padova e gran parto di Lom-
bardia ; e' cittadini di Padova molto gran
parto consumò, e acceoonne, pur de' mi-
gliori e de*pih nobili, in grande quantito,
e togliendo le loro possessioni, e mando-
gli mendicando per lo mondo, e molti al-
tri per diversi martirii e tormenti iisoe
morire, e a un' ora undicimila Padovani
fece ardere, eoo. »; Q. YiU, VI, 72.
111. Obizzo: Opisxone II da Esto,
marchese di Ferrara e della Marca d'An-
cona, morto nel 1298. - peb vbbo : sin
d' allora se ne dubitova, nò l' autorità di
Danto basta ad accertare il fatto.
112. FI0LIA8TB0: flgUo Snaturato. Si
raccontava che A sso Vili, figlio di Obls-
EO, avesse soffocato il proprio padre con
un piumaccio. Gfr. Bioohald./err. in, Mtt-
rcUori, Ber. Bài. Script, IX, 268. MaeetH,
in Omaggio a Dante, Boma, 1866, p. 680
e seg. De Leva in DanU e Padova, Pado-
va, 1866, p. 237 e seg. Sardi, HiH. Ferr,,
pag. Ii3. Del Lungo, Dante ne' tempi di
Dante, Bologna, 1888, p. 386*96, 407 e seg.
118. MI VOLSI : meravigliato, chiedendo
collo sguardo o la conferma, o la confta-
tadone di quanto aveva or ora udito.
114. PBIMO : Nesso, che ne sa in pro-
posito più di me. « Dicit Virgllins : Iste
Centaurus preoedat to et ego acquar to »;
BiHnbgl. - « Lassavano andare Nesso in-
nanzi, che era primo a Danto, e Virgilio
venia dlrleto a Danto, si eh' era Virgilio
a Danto secondo »; Lan. - « Vuole in que-
sto affermar Virgilio, ohe al Centauro sia
dadarfedeaquelohedioe»; Boec-^Yvàt
brevitor dicere : nunc Centaurus pnBoe-
dat, et tu stes in medio, et ego stabo
post to, ita quod ero tibi secundas et
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114 [CERO. 7. GIB. 1] iNF. XH. 115-127
[OMICIDI]
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127
Poco più oltre il Centauro s'affisse
Sovra una gente, che infino alla gola
Parca ohe di quel bulicame uscisse.
Mostrocci un'ombra dall' un canto sola,
i, Dicendo : « Colui fesse in grembo a Dio
^ ' Lo cor che in sul Tamigi ancor si cola. »
Poi vidi gente, che di fuor del rio
Tenea la testa ed ancor tutto il casso;
E di costoro assai riconobb'io.
Cosi a più a più si facea basso
Quel sangue, si che cocca pur li piedi ;
E quivi fu del fosso il nostro passo.
€ Si come tu da questa parte vedi
Ule erit tibi primos »; Bent. - Si tratte
di an dubbio di Dante, ed il modo d' an-
dare qui non c'entra. Bene VAn. Fior.:
« Nesso.... aveva detto alI'Aattore assai
cose dell* anime di coloro ohe erano in
quel sangae. Onde l'Anttore, dabitando
che Nesso non dicesse la verità, si volse
a Virgilio per dimandarlo et chiarirsi;
onde Virgilio gli rispose: Questi ti fla
primo, ciò è Nesso ti dica testé ogni coba
innanzi a me, et io secondo, ciò è poi te lo
conterò io ; qoasi voglia dire : Non dobi-
tore, che dò che Nesso t' ha detto, é la
verità».
115. b'àffibsb: si fermò.
116. GBNTB: omiddi, meno rei dei ti-
ranni, quindi meno fitti nel htdieame,
doè nel flame di sangue bollente.
118. SOLA: per l'enormità del sno mi-
sfatto.
119. PB88B : da fendere, trafisse. - m
ORRMBO : nel tempio, e nell'ora del sacri-
ficio solenne.
120. SUL TAHIGI: a Londra. - si COLA:
si venera. « Anchora onorato si chnra »;
lae, DarU. - « Oolitnr »; Benv. -•Si eola,
cioè si onora, e viene da colo, eolie ; e per
tanto dice che egli s'onora, in qaanto oon
reverensa e compassione, avendo riguar-
do alla benignità e aUa virth di colai di
cni fti, è da tatti quelli che per quella
parte passano, riguardato »; Boee, -^Si
eola, doè si onora; imperò che tutti l'In-
ghileei ohe vi passano fanno onore aqnella
statua, et è vocabolo grammaticale e vie-
ne da eolo, eolie » ; BuU. Cosi intesero
tatti gli antichi. Di eola da colere, usato
anche da' provenzali, ofr. yannuc., Verbi,
337. L* interpretaaione «Versa ancora il
sangue agli occhi dei connaaionali, oioò
tien viva in essi la memoria dd delitto e
il desiderio della vendette », è del tatto
inattendibile. - H fatto, a cui si allade,
avvenuto nel 1272, è cosi raooonteto da
O. Fin. Vn, 89: «Basendo Arrigo, fWitello
d' Adoardo figlinolo del re Bicoiardo d'In-
ghilterra in una chiesa (a Viterbo) alla
messa, celebrandosi a qaell* ora U sacri-
fido del corpo di Cristo, Guido conto di
Monforte, il quale era per lo re Carlo vi-
cario in Toscana, non guardando reve-
rensa di Dio, nò del re Carlo sao dgnore,
uccise di sua mano con ano stoooo il
detto Arrigo per vendette del conte Si-
mone di Monfbrte suo padre, morto a sua
colpa per lo re d'Inghilterra.... Adoar-
do... il cuore del detto sno flratdlo in una
coppa d' oro fece porre in su una colon-
na in capo del ponto di Londra sopra il
fiume Tamigi, ecc. ». Ctr. Ptol. Lue. in
Murat., Ber. Hai. Script. XI, 1164, 1195
e seg.
121. GENTE : i rei e oomplid di ferite e
di estorsioni.
122. CASSO: busto, petto.
124. A PIÙ: di più in più. «Qaanto più
siandava in là, più d trovava mancare
r altessa del sangue nolla fossa, e meno
vi stevano fitti i peccatori »; BuU.
125. cocKA ; ledono della gran maggio-
ranza dei codd. Parecchi hanno copbia,
chesi potrebbe accettare, sel'autoritàdei
codd. non fosse per l'altra; cfr. Moore,
Orit., 802 e seg. - PUR: solamente, appena.
126. PASSO : vdico. «B questo iti 11 luo-
go dove noi valicammo il fosso »; Betti.
127. DA quKSTA : dalla parte onde dar
mo venuti.
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[CnC 7. GIR. 1]
Inf. XII. 128-139 [OMICIDI s predoni] 115
U9
133
IM
1»
Lo bolioame che sempre si scema, >
Disse il Centauro, « voglio che tu credi
Che da quest'altra a pid a più giù prema
Lo fondo suo, infin eh' ei si raggiunge
Ove la tirannia convien che gema.
La divina giustizia di qua punge
Quell'Attila che fu flagello in terra,
E Pirro, e Sesto ; ed in eterno munge
Le lagrime, che col boUor disserra,
A Binier da Comete, a Rinier Pazzo,
Che fecero alle strade tanta guerra. »
Poi si rivolse, e ripassossi il guazzo.
138. csKOi : credA ; fonn* osata Borente
dagli antichi.
130. pmnfA t rada sempre jih crescen-
do la soa profi»ndità. « Vnol dire, ohe di
passo in passo va crescendo la profbn-
flti del san^e, ilnchò si ra^^onge al
laego doTO sono tormentati i tiranni,
■onnDersi nel sangue bollente infino al
d|^»; Btuy.
133. Di QUA: da quest'altra parte. -
ruvQB: tormenta.
134. Attila : il fiunoeo re degli Unni,
àetAo/lmgeUum Dei, regnò dall'anno 433
deU*èfra volgare sino al 458. Cfr. Klemm,
AStOa uach dar (hsehiehU, Bage und Le-
gntdé, Lips., 1827. Haage, Oétehichte At-
ta^*, Celle, 1883. Thiarry, RiUoire HÀir
(Os, 4» edix. Par., 1874.
135. PiBno: re d*]^Ìro n. 819, m. 272
a. C, goerreggiò contro i Bomani e con-
tro i Ored ; fa terribile non solo a' snoi
nemid, ma agli stessi snoi sadditi. Cfir.
Htrtìberg, Bom und Koénig Pyrrktu,
Halle. 1870. Al. intende del figlinolo di
Achille e di Deidamia, sul quale cfr.
Vbrg., Atn. K, 526 e seg. BneUl,, 1523.
-Sano: figlio di Pompeo il Grande, fa-
moso corsale ; efr. lAuon., Phar§. VI, 118
e seg. Seeoodo aL Sesto Tarqoinio, figlio
di Tarqoinio attimo re di Soma. - MUHOB :
spreme in eterno per messo del tormento
del sangoe bollente le lagrime, eoo.
137. BmsB DA CoBHrro : ai tempi di
Dante ladrone limoso delle spiagge ma-
rittime di Boma. - Kunss Pazzo : della
noUI fc-iigH^ dei Passi di Firense. Cor-
rerà le eootrade di VaMamo spogliando
ed aasssdnando. Nel 1209 fa soomnmlcato
da Clemente IV, ed a Firenze ni fecero
leggi contro lai e i suo! segnaci. « Riniero
fti da Cometo, e l' altro Rlnieri Passo fa
da Firenze, grandi robatori di strade »;
An. Sei. - « Per li qnali le strade gran
tempo di Toschana ftirono chorse e ra-
bate »; Joo. DarU. - « Questi due Banìeri
furon grandi robbatori, l'uno fti daFlren-
ae, l'altro del contado di FIrense »; Lan.
- « Rlnieri da Cometo molto fsmoeo ruba-
toro fb nel suo tempo, e molta gente som-
messe, e uccise.... Binieri Paszo fta uno
cavaliere de' Passi di Valdamo, del con-
tado tra Firenze e Areszo, antichi uomi-
ni; questi fu a rubare li prelati della
Chiesa di Boma per comandamento di
Federigo H imperadore delli Bomani,
circa li anni del Signore liCCXXVUI ;
per la qual cosa elll e li suoi discendenti
ftiron sottoposti a perpetua scomunica-
zione, e contro a loro ftir fotte leggi mu-
nìdpaU in Firenze, le quali li privarono
in perpetuo d' ogni beneficio » ; Ott. -
« Raynerius Pazzus de Valdamo, et iUe
de Cometo, magni ssoaraoi et derobato-
res strataram »; Petr, DarU. - « Haximi
predones »; Cote. - < Hesser Binieri da
Cometo, uomo oradelissimo e di pessi-
ma condizione, e ladrone famosissimo
ne' suoi di, gran parte della Marittima
di Boma tenendo con le sue perverse
operasioni e ruberie in tremore.... Hes-
ser Binieri de' Pazzi di Valdamo, nomo
similmente pessimo e iniquo, e notissi-
mo predone e malandrino »; Boec,
139. FOi : detto questo, Nesso voltò in-
dietro, ripassando la riviera làw>e»i gua-
da, V. 94. -GUAZZO: dal latino eodtm»;
guado, quel punto del fiume, il quale po-
teva esser pasAato. Cfr. Ir\f. XXXII, 72.
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116 [CEEC. 7. GIE. 2] InF. XIII. 1-6
[SELVA]
CANTO DECIMOTERZO
CEEOmO SETTIMO
GIEONE SECONDO: VIOLENTI OONTBO SÉ
(Conrersl in alberi)
LA DOLOROSA SELVA, PIER DELLE VIGNE,
I SUICIDI KEL MONDO DI LÀ, LAKO DA SIENA,
GIACOMO DA SANT'ANDREA, UN FIORENTINO SUICIDA
Non era ancor di là Nesso arrivato,
Quando noi ci mettemmo per un bosco,
Che da nessun sentiero era segnato.
Non frondi verdi, ma di color fosco;
Non rami schietti, ma nodosi e involti;
Non pomi v'eran, ma stecchi con tosco.
Y. 1-21. Xa dolorosa aelvo. Fatti po-
chi pasai di là dal flame di sangue, en-
trano in nna bratta e deserta selva, nella
qaale nnlla ò ohe Tordeggi e dove le
bmtte Arpie fknno il loro nido. Virgilio
dice a Dante che sono noi secondo gi-
rone, dove vedrà cose che non credereb-
be, se non le vedesse co' propri occhi.
Cfr. Federzoni, Il Canto XIII dell' Inf.
commentato', Bologna, 1896.
1. DI Li: del guado. In/. XU, 139.
8. Il B88UM : non vi era mai venata per-
sona viva, di coi si potessero vedere le
vestigie. « Non pare che fosse molto fre-
quentato da viandanti, sicché non era nò
strada, nò sentiero, nò carreggiata, nò
battuta di cavalli »; Lan. - «E per que-
sto si può comprendere, il bosco dovere
essere stato salvatico, e per conseguente
orribile t poichò alcuna gente non anda-
va per esso ; perocché se alcuni per esso
andati fossero, era di necessità il bosco
avere alcun sentiero »; Booc, - «Non ha-
bebat àliqaam oertam viam, sed oporte-
bat Ire ad fortanam »} Benv. - «Non avea
alcun segno di via »; Bute*. > « In quo ne-
more nullam erat aigaum alicuiussemite,
sive vie »; Serrav. - « Da nessuna vi» »•
Land, - «Non aveva segno alcuno di
via, o di sentiero »; Barg. - « Nò stra-
da, nò sentiero alcuno si scorgeva in es-
so p; Dan.
4-8. N05 FBONDi: nou SÌ vedevano quivi
frondi verdi, come negli altri boschi, ma
soltanto frondi di odor foeeo, doò nero ;
i rami della selva non erano diritti e Ilaoi
(fcàietti), ma pieni di nodi e intoeooiati
(nocIo«i e invoìii)\ nou vi si vedevano
ftutti (pomOi ma spine velenose {0Uoehi
con totco) in laogo di frutti. È una telva
edvaggia. Bruttissimo, orrido, spavente-
vole il luogo di dimora di coloro, ai quali
questo mondo non fii bello abbastanta,
avendolo abbandonato arbitrariamente,
prinuk che Iddio dicesse loro: « Ritorna-
te, o figliuoli degU uomini ».
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rCBC. 7. 0IB. q
INP. xin. 7-21
[SBLVA] 117
Non han si aspri sterpi né si folti
Quelle fiere selvagge che in odio hanno
Tra Cecina e Comete i luoghi colti.
Quivi le brutte Arpie lor nido fanno,
Che cacciar delle Strofade i Troiani
Con tristo annunzio di futuro danno.
Ali hanno late, e colli e visi umani,
Piò con artigli, e pennuto il gran ventre;
Fanno lamenti in su gli alberi strani.
E il buon maestro < Prima che più entro.
Sappi che se' nel secondo girone ; »
Mi cominciò a dire, < e sarai, mentre
Che tu verrai neirorribil sabbione.
Però riguarda ben, e si vedrai
Cose che torrlen fede al mio sermone. >
7. tnon : eespngU. «Sterpi sono primi
•t alM ^oooU arboscelli i quali sono mol-
to iilti et iBTolti insieme neUa detta ma-
nana, che d chiamano maoehie »; BvU,
& FBu; « Gli animali che etan nelle
Bseebie tra Cecina e Cometo, e sfuggono
I laoglii eoltirati freqnenUti daU* nomo,
BOB hsono in qne* loro nascondigli più
Mti « spinosi cespugli di questi »; Pau,
9. Ckdia. : piccolo fiume ohe scorre per
Is proriada i^terrana e sbocca nel Me-
dftwraneo al mcxiegiomo di livomo. -
Comro : taccola dttà presso Ciritareo-
chia neUa If M«mma romana. « I due flu-
tti Cecina e ICarta (sul qoide slede Cor-
/tféto) fonnano ali* incima i confini della
f KsFeBuna toscana, luogo insalubre, dove
udie oggidì non si redono generalmente
dw boschi e maodiie foltissime »; WitU,
10. AbpIb : esseri ikvolosi, raffigurati
eoa Tolti di donne e corpi di uccelli fforse
rfmh^ìiftj^ '•^Tlpr^ della eoscienBa,e1^è
inosgine dell* uomo imbestiato. Cfr . É^
« Li Arpi die so Ti strano si è la ragione,
^e della memoria loro no si spegne, la
<q«Ue sempre si tormenta, e ricordasi di
quello ohe ha latto, ora di una cosa, ora
d'altra »; An. iSsI. -« Le triste richordanze
e nemorie di loro propria prlTaaione si-
gnificano, le quali cbosi figurate Arpie
peetsado ai chiamano »; lae. DarU.-^Jje
Axplshsnno qui a aigniflcare,chele rioer-
daase triste, e memorie di quelli che sé
•teasi prtTano della Tita, sono corrose e
dOacorate da possolente infkmia »; OU,
Secondo Pe^. DatU., Oout., Benv,. eco. le
Arpìe figurano rararizia.
11. oacciIb t insossando le mense ; cfr.
Virg,, Aen. Ili, 210 e seg. - Strofade:
isole Tidne alla costa della Messenia, di-
mora delle Arpìe.
l2.Ainruirzio: Cdeno, un'Arpìa, an-
nunziò al Troiani i loro futuri danni o
la fiame crudele che li costringerebbe a
mangiar le mense; cfr. Virg., Aen, III,
247 e seg.
13. LATE: larghe.
15. STBAKi: può riferirsi agli alberi, o
ai lamenti. Meglio agli alberi, 1 quali, se-
condo i TY. 4-6, erano Tcramente assai
strani. Cfr. Virg., Aen. Ili, 29fi e seg.
Ifi. EMTRE : entri : prima che tu ti^
più addentro nella soIts.
18. MEHTBB: finché.
19. SABBIONE: del terzo girone; cfr.
JV. XIV, 13. 28 e seg.
20. sì : così, riguardando bene. Al. be-
ve, sì VEDRAI; BEN E TEDERAI; BENE SE
TEDRAI, ecc. Cfr. Ifoor^, Orit., 803 e seg.
21. TORRlEN: incredibili; ohe non crede-
resti, se te le dicessi. Al. daran fede ; ma
a qual ter mone f Cfr. BetH, Poet. I, 72 e
seg. - Foec (U, 126) : « Virgilio aUude
alla meraTiglla narrata da esso (Aen. Ili)
de'giunchi ohe, srelti da Enea, stillaTano
sangue, e del lamento che di sotto al
mirto usciTa dal tumulo di Polidoro ».
V. 22-78. Pier dette Vigne, Dante non
sa ancora che negli alberi di strana forma
sono incarcerate le anime dei suicidi. Da
totte le parti ode gemiti e sospiri, e non
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118 [CEBO. 7. om. a] Inp. xiii. 22-42 [pieb dbllb vigne]
22 Io senti a da ogni parte traer guai,
E non vedea persona che il facesse;
Per ch'io tutto smarrito m'arrestai.
25 Io credo ch'ei credette ch'io credesse,
Che tante voci uscisser tra que' bronchi
Da gente che per noi si nascondesse.
2d Però disse il maestro: « Se tn tronchi
Qualche fraschetta d'una d'este piante,
Li pensier e' hai, si faran tutti monchi. »
81 Àllor porsi la mano un poco avante,
E colsi un ramicel da un gran pruno;
E il tronco suo gridò: «Perchè mi schianto? »
84 Da che fu fatto poi di sangue bruno,
Ricominciò a gridar: € Perchè mi scerpi?
Non hai tu spirto di piotate alcuno ?
87 Uomini fummo, ed or sem fatti sterpi :
Ben dovrebb' esser la tua man più pia,
Se state fossim' anime di serpi. »
40 Come d'un stizzo verde, ch'arso sia
Dall' un de' capi, che dall'altro geme
E cigola per vento che va via;
Tede persona. « Cogli anm frasofaett», » gii da noi »; BuH. - « Per non lasdarai ye-
dice Virgilio, « e vedrai come stanno le dere da noi »; JBctrg.
cose ». Bgli coglie nn picoiol ramo, e dal 29. d*bstk : di qneste.
tronco escono sabito sangne e parole. 80. momcri: manchi, difettosi csaraniio
Parla 1* anima di Pier delle Tigne, la- smentiti dal fatto.
gnandosi prima dell' offesa testò fattagli, 88. schiantb: schianti, mi smembri;
e raccontando poi, ai conforti di Virgilio, cfr. Virg., Aen. Ili, 87 e seg. « Però ohe
della sna vita, della soa fedeltà, del torto T Anttore non era ministro posto dalla
fattogli da altri e del maggior torto che divina giastisia a tormentarli, però ai
e' fece a so stesso disperandosi. Conchlnde dacie il tronco »; An. Fior,
colla preghiera a Dante di rivendicare 85. BlCOUlNCiò: il tronco. - sobbpi:
sa nel mondo il leso sao onore, predi- rompi, schianta.
oando la saa innocenza. Cfr. Bneiel. 1507 37. btbrpi : piante silvestri, v. 100.
e seg. 38. PIA: pietosa.
22. TBAEK: gemere, mandar lamenti. 40. comb: come esce Tomore e lo atri-
Al. TRAOOKB; TBABRK; cfr. Z. F., 77 e seg. dorè. « Comparatio est propria ex crani
2i. su ABBITO : confuso. - MI ARRESTAI : parte sui, qoia de ramo ad ramnm, de
per iscoprire dove mai si celasse qaella hnmore ad sangninem, de stridore rami
gente che da ogni parte traeva guai. ad damorem rami, de violentla ardoria
25. CBRDO : artifizio di parole, creduto ad violentiam doloris »; Benv. Cfr. Omd.,
bello dagli antichi. - ckrdbssb: credessi. Met. IV, 122 e seg. : « Non aliter, qnam
26. BBONcni: grossi sterpi, tronchi ra- cara vitiat4> fistola plambo Sdnditar, et
mosi ed ispidi. Dal lat. hrocchu», ohe in tenaes strìdente foramine longe Blacn-
alcani codd. trovasi scritto hronehu». latar aqnas ». B IX, 170 e seg.: « Jpae
27. PRB NOI: o per timor di noi, o per crnor, gelido cen quondam lamina oan-
non essere da noi veduta. « Ut sdlicet deus Tincta lacn, stridei coqoitarqae
•poUarent noe »; £dfiv. - « Non ai vedesse ardente veneno ».
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tene t. eiB. 4
tmp. xiu. 48-58 t?im dilli tigni} Ud
63
56
68
Si della scheggia rotta usciva insieme
Parole e sangue; ond'io lasciai la cima
Cadere, e stetti come Fnom che teme.
€ S'egli avesse potato creder prima, »
Rispose il savio mio, € anima lesa,
Ciò e' ha veduto por con la mia rima,
Non averebbe in te la man distesa;
Ma la cosa incredibile mi fece
Indurlo ad opra che a me stesso pesa.
Ma dilli chi ta fosti, si che, in vece
D'alcuna ammenda, tua fama rinfreschi
Nel mondo su, dove tornar gli lece. »
E il tronco: « Si con dolce dir m'adeschi,
Ch'io non posso tacere; e voi non gravi.
Perch'io un poco a ragionar m'inveschi.
Io son colui che tenni ambo le chiavi
43. 0CBBoaiA: fraadMtU tdilaatate. -
tMCiTA: iMOtyano. Al. ubcibio, iMioneohe
■anbbe da preferini, se «Tesse per sé
Tsntorità di eodd. primitiTl. Al. ubcibo.
- « Dante Taole hi questo loog o diplM-
fere aieniTlgUosanieBte sH'intelIetto del
leitofe come le parola t il $anffU0 erano
«B* eosa in due, o due in nna osoenti
nel medesimo tempo dalla scheggia, quasi
dlcsssB ohe il snono delle parole nsetra
Testfto di saagne, ehe il soono non nsdra
prima del sangue, né questo prima di
qpeOo, ma ohe eiò arTenira in nn pnnto
•ole »; I>. O. ed. Pa$tigli, p. 0e6-«M.
44. cniA: del ramo schiantato.
46.TSifB: «Hihifrigidns horror ICem-
hra qnatit gelidnsqae eolt fsrmidine san-
gali »; TWg,, Aen. IH, 29 e seg. - « Non
determjnando eiò ohe Tnomo teme, né
deeerirendo gU eflTetti deUa panra di Ini.
qnella brere eomparaaione comprende
nella gneratttà deU'idea infiniti oggetti
spavento^, e laeda che 0 lettera imma-
gini a ano talento non solo la eoea più at-
ta ad iaooter timore, ma anche Taspetto
paIBdo, e la Agora tremante, sbigottita
di edni dU tenu •; L. Yent,, aimU., «1.
47. eATlO: Virgilio. - LESA: ofTesa, ma-
tUafca. n ramieelìo, r. tS, era per cosi
dire na membro del corpo di quell'ani-
ma dannata.
48. PUB: solamente. -SIMA: parola, e
propriamente parola poetloa} se aTcese
peioto fliBJMu solla mia sola parola dò
ohe ha redoto, non arrebbe distesa la
mano contro te, cogliendo de' tool ramo-
scelli. Alcnni credono ohe le parole jmr
eoUa mim rima siano da riferirsi a ciò
che Virgilio racconta nel ni dell* Eneide.
Non è necessario di rioorroro per I*inter-
pretadone di questo Terso 9XC Bfwidéj
cfr. T. 21, e 28 e seg.
61. OPBA : di toecaro con mano. - pbba:
inoreece ; ignoraTa forse Virgilio che il
tronearo un ramoeoello cagionasse doloro
allo spirito f E se non lo IgnoraTa, perohò
glipesaf
58. ammuida: compenso al doloro a
te cagionato. - eihtkischi: rlnnuoTl in
bene. Dante lo Ca nel presente canto,
T. «1-76.
64. ou liok; gli ò lecito, essendo an-
cor tIto.
66. m'adeschi: mi lusinghi, mi alletti ;
ofr. Purg, XXVI, 140 e seg.
68. NON ORAVI: non tì sia grave, non
v'increeoa.
67. FBBCH* IO : se mi trattengo un poco
a ragionar con toI. - m'invibohi : « m'in-
trighi nel parlar, comeftMino comunemen-
te li uomini, quando dell'una novella en-
trano ndl'altn»; Birti.CfrJ>ar.XVII,82.
68. COLUI: Pier delle Vigne, capuaoo,
nato da bassi genitori sol flniro del sec.
XII, studiò a Bologna e fu poi cancelUero
di Federigo II imperatoro, lungo tempo
suo confidente e di grande autorità, fin-
éhè fki, secondo Dante ed altri a torto
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120 [CEBO. t. Qm. 2] Inf. XIII. 59-66 [pisb delle tignkJ
«1
64
Del cor di Federigo, e che le volsi.
Serrando e disserrando, si soavi,
Che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi:
Fede portai al glorioso uffizio,
Tanto ch4o ne perdei lo sonno e i polsi.
La meretrice che mai dalP ospizio
Di Cesare non torse gli occhi patti,
Morte comune, e delle corti vizio,
•ooaaato di tradimento, onde nel 1248 Fe-
derigo II lo léoe Inoarcerare ed «bbftoi-
nare. Vintod*! dolore e dall'accoramento,
Pier delle Vigne si uccise nel carcere nel
1240. Fa celebre per la sua eloqaenita, di
coi fanno prora le sne lettere (pnbbÙcate
dair7«0ltw«, 2 voi. Basilea, 1740). Ctt. D4
BloHi», Della vita « delle opere di Pie-
tro della Vigna, Napoli. 1861. Humard-
BrihoUee, Vie et eorreepondance de Pier-
re dee Vignee, Par., 1865. Preeta, Pier
ddle Vigne, Mil.. 1880. Oapaeeo e Jan-
neUi, Pietro deUa Vigna, CaserU, 1882.
Giordani, Studi euUa D. O. Napoli,
1884-86, Voi. I, 0. 9. Eneid., 1507 e seg.
- « Lo 'mperadore fece abbacinare il savio
nomo maestro Piero dalle Vigne, il beone
dittatore, opponendogli tradigione; ma
ciò gli fu &tto per invidia di suo gran*
de stato; per la qnal cosa il detto savio
per dolore si lasciò tosto morire in pre«
gione, e ohi disse oh' egli medesimo si
tolse la vita »; (?. ViU. VI. 22. Nel Regi-
etro dei privilegi dell' Oepedale nuovo di
Piia si legge: « Incolpato d'aver mancato
di fede al sno signore Federigo II, Pier
delle Vigne, che tro varasi con Federigo a
Sammi^to, fu fittto abbacinare, e qoindi
tradarre a Pisa per esservi lapidato. Lo
che Pier delle Vigne prevenne, precipi-
tandosi a terra da nn molo sn cai era
tratto, e sfracellandosi disperatamente le
cervella. D'onde fti che morisse nella chie-
sa di Sant'Andrea in Brattolaia ». - An,
Sei.: «Fa tanto innansi a lo'nperadore
Federigo, che tatti saoi segreti sapia, e
il tatto di lai fkcea e dis&CM. B i baroni
saoi di ciò ebbero invidia, e accosarollo
a torto ; ma furono tanti e tali, che lo 'n*
peradore lo fìsce abbacinare. E qaesti es-
sendo in Pisa aportato, por disdegno e
credendo col morire acquistare fiuna,
tanto percosse il capo al maro, che esso
uodBe eè medesimo ». - lae, Dani,: « Me-
nato alcuna volta presso da Samlniato del
Tedesco a Pisa in alohano sno borgho
nominato Amonicho per isdegnio di aè
perchotendosi il chapo a on moro, final-
mente se accise ». - Benv,: « Nimia feliol-
taa provocavit eom in invidlam et odlmn
mnltorom ; nam ceteri qnasi ooriales efe
consfliarìi rldentes ezaltationem iattas
vergere in depreesionem ipeonim, ooep»-
rant, coninratlone fisota, oertatim aoon-
sare ipsom flctis orlminibas. Unoa dioe-
bat, qaod ipse erat f!sctas ditior principe;
alios, qaod ascribebat sibi qaicqold im-
perator fecerat pradentia sna ; alias di-
oebat, qaod ipse revelabat secreta ro-
mano pontifloi, et sic de aliis (« e ohi
dice ohe li fb apposto disonestà della Im-
peradrice »; Butti. Imperator saspeoins
et credolns fiscit ipsom exooolail, et ba-
cinari, et tradì carceri ; in qao ip«e non
valens fbre tantam indlgnitatem,... se
ipsam interfbcit ». - TKifin : ftd padrone.
-AMBO: del volere e non volere j del-
l'amore e dell'odio.
60. suuuxDO : chiadendolo a dò che io
non voleva, ed aprendolo a ciò che a me
piaceva. - soavi : con tanta doloesaa che
egli non se ne accorgeva. Indica le arti
piacevoli, onde seppe insinnarai presso
il monarca.
61 . TOLSI : allontanai ; feci A, che io solo
fossi messo a parte do' saoi segreti. Pro-
babilmente ciò fb la principale cagione
della soa raina.
68. LO SONNO: il riposo. - 1 POLSI: la
vita. O, forse meglio. Perdei il riposo da*
rante la notte, e di giorno il vigore e le
forze mentali. Al. lb vbnb k i polsi, cioè
la persona, la vita ; ctr. Ir\f. 1, 90. Salle di-
verse lesioni ed interpretasioni di qnesto
laogo cflr. Jfoor«, Orit., 304-7. Z. F., 78-80.
64. MEEBTBICB: l'invidìa, cflr. r. 78. Al.
laCorte di Roma; è forse la corte romana
nwrte comune, e dette corti vitiot! - ospi-
zio : corte imperlale.
66. PUTTI: meretrici, rendereod; cfir.
Purg. XI, 114.
66. MORTB: « Patredo oasiam, invi-
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[CIBC. 7. eiB. 2]
IHF. XIII. 67-80 [PUB DBLLB VIGNE] 121
Sì Iii£ammò contra me gli animi tatti;
£ gl'infiaminati infiammar si Augusto,
Che i lieti onor tornare in tristi Intti.
70 L'animo mio, per disdegnoso gusto,
Credendo col morir fuggir disdegno,
Ingiusto fece me contra me giusto.
n Per le nuove radici d'esto legno
Vi giuro che giammai non ruppi fede
Al mio signor, che fu d' onor si degno.
7« £ se di voi alcun nel mondo riede,
Conforti la memoria mia, che giace
Ancor del colpo che invidia le diede. »
79 Un poco attese e poi « Da ch'ei si tace, »
Disse il poeta a me, « non perder Torà;
£ft»; Frwmò. XrV, 90. « InTldU dla-
Ml man introivlt in orbem temram »;
SapiémL H, 24. - COMUVK: « tic; y^ ow
oSbs fdr marcar, &n tov; pJkv ^d<n
sSorr hmavi nq ii xXetoov n iAdrroov
9Mvoq: » Demotth., De Coron., p. 3;t0,
JBe»tft.-oo«Ti : «or* ella tiene il ano mag-
gior aegglo »; I>ai».
•S. DanAMMATi : animi de* cortigiani.
- Auecnro : l'Imperatore Pederigo n.
0. TOBHABO: ai oonTortirono.
70. GUSTO : per isfbgare il mio sdegno.
7L MBDBOMO : altmi ; Tolendo sottrar<
BiaU*aItrai apregio, alla vituperosa fluna
di tndltore ed al proprio mio sdegno, in-
nocente delle appoetemi colpe, mi reei
colperoie di inginatLda contro me eteaso,
73. BiK>vx: pnò valere reeenU, non es-
■andò paawaff che 51 anni dalla morte di
Piar delle Vigne ; oppnre vale Mtrané, co-
me il lat. noxu9. TX ginramento di un dan-
nato per aè ateeso non vale molto; ma
qneeti veral provano che Dante lo cre-
deva innocente.
75. DBQHO : come principe, gran capi-
tano, gran poUtìco, corteee, generoso e
ecrito, amico delle lettere, ansi letterato
egH stesso (efr. Tulg. Sloq. I, 12) ; come
eriatìano no; Ji^. X, 119. Alla sepoltura
dì Federigo « volendo scrivere molte pa-
role di so» grandexsa e podere e grandi
cose flrtte per Ini, nno cherìco Trottano
fine qoeati brievi verai, i quali piacquero
motto a Manfredi e agli altri baroni, e
iBoegU intagliare nella detta sepoltura,
gli qaaU diocanoi
Si probltM, leasiM, ▼irtoiam gratta, aessas,
NobiUtat orti, poraent mUt&n morti,
Non foret extlnctos Pederimia. qui jM«t lati». >
a. VULTURI.
76. 8K : Virgilio gUel'aveva detto, v. 54;
ma quel povero spirito stenta a crederlo.
Imprigionato nel tronco, vedere non pnò.
77. COHVOBTI: rivendicandole l'onore. »
OLàCB : vilipesa dall* accusa di traditore.
V. 79-108. 1 »uioidi awtnH € dopo la
rUurreoione» Lo spirito tace. « Diman-
da, se vuoi udirne di piti » dice Virgilio al
Poeta. « La compaasione mi toglie l' uso
dalla parola ; dimanda tu I » risponde que-
sti. S Virgilio: e Come avviene che le
anime di voi altri suicidi entrano In que-
sti tronchi e vi sono incarcerate f Ed una
liberazione ò possibile f» E lo spirito:
« L' anima del suicida, appena udita la
sentenza di Hinosse, cade, senza potere
scegliere il luogo di sua dimora, in que-
sta selva, qual seme, e vi germoglia come
pianta, delle cui foglie si pascono le Ar-
pìe. Al ^ del giudizio finale prenderemo
il nostro corpo risorto e lo appiccheremo
ciascuna ai suo albero ». - « L' anima se-
paratasi violentemente dal corpo, non lo
riavrà pih mai, e riman chiusa in un corpo
estraneo di natura Inreiiore, in una pian-
ta, e la pianta sentirà ad ogni ora la tra-
fittura che il suicida si fece in vita. La
separazione è etema, la ferita è eterna ;
r inferno dei suicidi ò il suicidio ripetuto
eternamente in ogni istante. »i>e Saneti».
79. ▲TTBSB : per vedere se qnell' anima
volesse dire altro.
80. l'ora.: il momento opportuno. Qnél-
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122 [CRBC. 7. GIR. 2] JVT. XIII. 81-100
[ainoiDi]
82
85
91
94
97
100
Ma parla e chiedi a lui, se più ti piace. >
Ond'io a lui: « Dimandai ta ancora
Di quel che credi che a me satisfaccia;
Gh' io non potrei, tanta pietà m' accora I »
Perciò ricominciò: < Se l'nom ti faccia
Liberamente ciò che il tao dir prìega,
Spirito incarcerato, ancor ti piaccia
Di dime come l'anima si lega
In questi nocchi; e dinne, se tu puoi,
Se alcuna mai da tai membra si spiega. »
Allor soffiò lo tronco forte, e poi
Si converti quel vento in cotal voce :
« Brevemente sarà risposto a voi.
Quando si parte l'anima feroce
Dal corpo ond'ella stessa s'è divelta,
Minos la manda alla settima foce.
Cade in la selva, e non l'è parte scelta;
Ma là dove fortuna la balestra.
Quivi germoglia come gran di spelta.
Surge in vermena ed in pianta silvestra:
le anime non ponno parlare, se non ver-
sando sangue, onde, indugiando troppo,
sarebbe stato necessario rompere on al-
tro ramicello.
81. TI PIACE: se più ti piaoe di chiede-
re ; se vuoi adire da Ini alonn' altra cosa.
83. CREDI : Virgilio conosce i pensieri
di Danto.
84. m'accoba: mi commuove.
85. L* UOM : Dante vivente ; tali non
sono gii spiriti, Ir^. I, 67.
86. CIÒ : rinfrescare nel mondo la tuA
memoria e discolparti ; e ciò Uberamentt,
sensa ostacolo di passione opposta.
87. INCABCBRATO: in qucsto tronco:
carcere ben duro.
89. Moocm : tronchi nodosi. - puoi : m
lo sai e se ti ò concesso di parlare nlte^
riormonte.
00. DA TAI : da questi noeehi, in cui ò
incarcerata, e che Canno qui le veci di
membra corporali. - bpiboa : scioglie, li-
bera.
01. SOFFIÒ : questo soffio ò un sospiro,
il sospiro di ohi rammenta le sue pene.
Kon avendo altri organi da esprimere
r immenso dolore, il sospiro diventa un
soffio. - VOBTB: fortemente.
92. cohvebtI: il tojlo diventa parola
articolata per V uditore.
94. FKBOCK : « imperò che come fiera in-
crudelisoe contro sé mededma »; BuH.
97. SCELTA: stabilita; non le è pre-
scritto di fermarsi in un dato luogo della
selva.
98. fortuna: doveU caso la porta. But-
tarono via il proprio corpo, onde vwi^no
esse medesime buttate via dal feto. « Dice
ohe a caso hanno l' anime quelli luoghi,
notantemente per mostrare ohe la despe-
rasione non ha gradi ; imperò ohe in pari
grado ò ognuno che si dispera »; BtttL
Sulla punteggiatura e costrusione di
questa tercina cfr. Z, F», 80 e seg. Fat^.,
Stud., 163 e seg.
99. SPELTA : « è la spelta una biada, la
qual gittata in buona terra cestisce mol-
to, e perciò ad essa somiglia il germo-
gliare di queste misere piante »; Baco,
100. vermema: giovane ramoscello,
cespuglietto. Vien su in forma di piccolo
ramoscello, cresce adagio come le piuite,
e si fa poi pianta iilvettra, grosso pruno.
- pianta bilvbbtea: albero selvatico.
« Slcut anima in humano corpore ezeroet
diversas potentias et virtutes per diversa
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fetta T. eiB. i]
IhF. ITU. 101-118 [8CI1L1€H)U1T0BI] 123
m
IM
109
m
116
US
L'Arpie, pascendo poi delie sue foglie.
Fanno dolore, ed al dolor finestra.
Come l'altre, verrem per nostre spoglie,
Ma non però clie alcuna sen rivesta;
Che non è giusto aver ciò eh' noni si toglie.
Qni le strascineremo, e per la mesta
Selya saranno i nostri corpi appesi,
Ciascuno al pmn dell'ombra sua molesta. »
Noi eravamo ancora al tronco attesi,
Credendo ch'altro ne volesse dire,
Qaando noi fummo d'un romor sorpresi,
Similemente a colui che venire
Sente il porco e la caccia alla sua posta.
Ch'ode le bestie e le frasche stormire.
Ed ecco duo dalla sinistra costa.
Nudi e graffiati, fuggendo si forte
Che della selva rompiòno ogni rosta. »
Quel dinanzi : « Ora accorri, accorri, morte I »
Beabn Tel orgmna. Ita nmio in wbore
•e rwolrit por divenos ramoa » j Benv.
101. VABCtSDO: paaoendoai.
lOS. FDmrsA: apertura onde escono
n pianto ed i goal.
103. ALTSB: anime. - tsrbix : nella
▼lOedl GkMaiftt al di del giudiaio; ofìr.
Iitf, X, 11. -SFOQLU : a riprendere i no-
iftri eorpi, efr. Jnf. VI, 07-98.
104. aoir PBBÒ : ma non per questo. I
Mrpi li refendono, ma non ri rientrano.
Hanno aeparato violentemente dò che
Iddio aveva congionto, e Dio noi oon-
gionge la seconda volta. Restano qoindi
■spante dai loro corpi in etemo.
108. AL PEI» : ov*è rinohinsa 1* anima,
meUtia, cioè molestata già daUasaa ipo-
glia. Apponto pereliè queste anime si
ersdetfeero motestate dal corpo, se ne
privarono. Al. : Molesta, cioè odiosa al
eerpo. Kon è il corpo che odia V anima,
il raaima ohe odia il corpo; non è il corpo
che si priva dell'anima, A questa ohe
ti priva di qoello ; dunque l'anima fti mo-
ksij^ dal oorpo, e non viceversa.
V. 10»-129. rioienU eonero aè netta
refra.* Lana da Siena e Giacente da
Sant'Andrea, Booo due spiriti nudi e
graffiati Aiggire insegniti da nere cagne
bnuBose e offrenti I L'uno si appiatta in
on osspngtfo, le cagne lo lacerano e ne
portan via le membra. « La pena degli
scialacquatori corrisponde a quello che
essi fecero in vita alle proprie sostante :
le divisero, le sperperarono, le distrus-
sero»; Romani.
100. ATTI8I: intenti, attenti innand al
tronco che racchiudeva V anima di Pier
delle Vigne.
IH. SOBFRBSI : « Constitit Aeneas stre-
pituque exterritus btesit»; Virg., Aen,
VI, 569.
112. A COLUI : « a quel cacciatore appo-
stato nella selva ad aspettare il passag-
gio delle fiere, mentre altri uomini è cani
cercano la selva »; Lomb.
113. POBOO : selvatico, cinghiale. - cac-
cia : i cani cacciantf . - posta : alla sua
volta, verso il sito dove è potiate.
Ili. 8T0BMIBB t rumoreggiare ; le bettie
orlando, le frcuehe movendosi.
116. HUDi : avendo scialacquato persin
gli abiti. - GRAFFIATI: dalle cagne e dai
pruni della sdva.
117. sosta; opposizione di frasche.
JRo9ta ò ingraticdamento di rami ; cfr.
DtnantaH, Ooìtioaz. XUI, XLVII.
118. QUIL ! Lano ( Arcolano) Maooni da
Sima, il quale del resto non sembra fosse
poi quel grande scialacquatore. Conflr.
Aqiiarone, DanU in Siena, 41 e seg.;
lùteoni, BaeeoUa di doeumenU etoriei.
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124 [CBEC. 7. GiB. 2] Inp. xiii. 119-180
[SCIÀLÀCQUATOBI]
121
124
127
130
E l'altro, a cui pareva tardar troppo,
Gridava: < Lano, si non foro accorte
Lo gambe tue alle giostre del Toppo ! »
£ poi che forse gli fallia la lena,
Di so e d' un cespuglio fece un groppo.
Diretro a loro era la selva piena
Di nere cagne, bramose e correnti.
Come veltri che uscisser di catena.
In quel che s' appiattò, miser li denti,
E quel dilaceraro a brano a brano ;
Poi sen portar quelle membra dolenti.
Presemi allor la mia scorta per mano.
Lirorno, 1876 ; p. 01-114. Si gittò a morto
fllcnr» nella battaglia del Toppo del 1287,
nella qoale i Senesi furono sconfitti dagli
Aretini gnidati da Bnonconto di Monte-
feltro. « Iste Lanos taìt qnidam Dami-
cellns et Jnvenis de CiTitato senaram
qoi Inter oires alioe dltisaimns erat • ta-
men fbit oonsomptor dissipator omniom
bonomm snomm - sed ante mortom na-
turalem defioeret ipso Jnvene exeonto (?)
mortnoB Aiit in qaodam oonfliotn ad lo-
oam plebis del toppo »; Bambgl. - « La-
Boiollo il padre molto ricoo, e fb sì pro-
digo che Tenne in tanto poTcrtà e mi-
seria, ohe essendo egli con altri sanesi
in nna parto ohe si chiama il Toppo, e
sconfitti dagli Aretini, potendo Aiggire
la morto, volle ansi morire qaivi che tor-
nare in tanto povertà a Slena •; An. Sei,
119. l'altbO: Giacomo da Sant'Andrea
da Padova, ftunoso sciiUaoqnatore, fstto
aooidere, come si crede, da Ezzelino nel
1239 ; cfìr. Salvagnini in Dante e Padova,
p. 29-74 ; Barozzi in DanU e il tuo eteolo,
p. 796 e seg. « Fnsis omnibus sois bonis
nt desperatns obiit »; Petr. DatU. - « Ut
aodivi a fide dignis de torra soa, fecit
mnltas ridendas vanitotes. Semel com
non posset dormire, mandavlt, nt por-
torentnr plores petiie pignolaii oipriani
fftoti cnm colla, et lacerarentnr a fkmi-
liaribns in camera, nt ad illnm stridn-
lam Bonum provocaretnr «ibi somnns....
Alia vice cnm iret de Padaa Venetias
per flnmen Brente in navi cum aliis, in-
venibns sodis, qoomm aliqni polsabant,
allqni cantobant, iato fktnns, ne solas vi-
deretor inntilis et otiosns, ocepit aceipete
peonniam, et denarios singnlatim deiice-
re in aqoam oom magno risa omninm....
Cnm semel esset In mre sno, andivit,
qnemdam magnatom cnm comitiva ma-
gna nobilinm ire ad prandinm secnm ;
et qnia non erat provlsns, nec potorat
in brevissimo temporis spatio providere,
secnndnm qnod sn» prodigalitatl vide-
bator convenire, subito ei^egia cautela
usns est i nam fecit stotim mitti ignem
in omnia tngnria vili» snas satis apta
incendio, quia ex paleis, stipuUa et oana-
lis, qnalia sunt commnniter domicilia ra-
sticorum in torritorio padnanomm ; et
veniens obviam istis, dixit, quod feoerat
hoc ad festnm et gaudinm proptor eorom
adventum, nt ipsos magnifioentios hono-
raret »; Benv, - tabdab : correre troppo
lentomento rispetto a Lano che, correndo
più veloce, gli era entrato innansi.
120. NON PUBO: non fuggisti si veloce
là presso la Pieve del Toppo, quando ug-
gendo avresti potuto salvare la vita e
fors' anche l' anima.
121. 0108TRB: la battagliatila Pieve del
Toppo si fece quasi a corpo a corpo, come
nelle giostre. Forse è qui detto per boria.
122. fallU: mancavaa Giacomo la for-
za per continuare a fuggire.
123. GBOPPO: gruppo, si aggrappò in
nn cespuglio per nascondersi.
126. CAQNB: figurano probabilmente
creditori importuni. « Canea peraeqaen-
tes eos et devorantos sunt creditore», eea
indigenti» supervenientes post lapanni
facnltotum, nude ut desperati fàgiant
homines et se occultant »; PéCr. Dant.
126. VKLTBi: «Bontà propria.... nel
veltro ò bene correre »; Conv. 1, 12.
127. QUKL: Iacopo da Sant'Andrea,
y. 130-151. Un VimretMno «utoicio,
L'anima imprigicmato nel cespuglio pian'
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[CBBC 7. eiB. 1]
I5F. mi. 131-147
[UN SUICIDA] 125
133
198
U»
143
145
E menommi al cespuglio, che piangea,
Per le rotture sangoìnenti, invano.
< 0 GKacomo » dicea, « da Sant'Andrea,
Che t' è giovato di me fare schermo?
Che colpa ho io della tua vita rea ? >
Qaand(J^|estro fa sopr'esso fermo,
DissS^^ft fusti, che per tante ponte
Soffi liPRngae doloroso sermo ? >
£d elli a noi: < O anime, che ginn te
Siete a veder Io strazio disonesto,
C'ha le mie fronde si da me disgiunte,
Baccoglietele al pie del tristo cesto I
Io fui della città che nel Batista
Mntò il primo padrone ; ond' ei per questo
Sempre con Tarte sua la farà trista ;
E se non fosse che in sul passo d'Amo
Bimane ancor di lui alcnna vista,
fé. «Chi ÌMtit»doiiuuid*Virfflio.Koii
4k risposte preoisJ^ m» dice aottanto
che fti Ftorenthio e pari* deD* statua di
Marte tal Fonte VeoehSo, aggiungendo
di ei'iffri impioeato nelle proprie oaae.
È Luetul, Beeofodo i più {Baf$tbgL, Lan.,
Om«., Fmlto Boee., An. Fior., Serrav.,
rU^0tW,eee.), Lotto degli AgU^gioriata,
« ^ date ma sentMitia fidaa irit domnm,
et stetlm se ampendit »; Bénv. Altri di-
cono inreee che Ambo Bocce de' Mossi,
« fl qnale fa motto ricco, e per cagione
ebe la compagnia loro ftJIk, renne in tante
porectà, eh* egli steseo s* impiccò per Is
gela nella soa eaea »i An. Sei. {eoA pare
Ott^ BuH, Barff., eoo.). Ottimamente
Btuv.: « Non potest bene ooniectarari de
qao aator loqnatar hìc, quia molti ftae*
ront fiorentini, qoi soapenderont se la-
qneo eodem tempore.... £t crede, qnod
aator de indastrla sic fsoerit, at poeset
inteOigl de anoqaoqae taliam •XUBoee.:
«Kè è eostoi dal]*aotore nominate, eredo
per r ona delle doe cagioni, o per ri-
goardo de* parenti che di questo cotale
Tioiasero, 1 qnaU per «Trentarasono ooo-
reroli nomini, e perdo non gli mole ma-
ealare deHa infiunia di cmì dÌ8(weste
morte; orrero perdocchò in qoe* tempi,
qoad come nna maladisione mandate da
Dio iMbùm citte nostra, pih se ne impio-
cscSBO; aodocohè dascan possa apporto
a qoal più gii pisee di qoe* molti ».
181. cnpuGuo: dove orasi riftigiate
Giacomo da Sant'Andrea.
132. BOTTURi : fatte dai oandemoni di-
lacerando Oiaoomo. - invano : non gio-
rando il pianto a diminnire Q ano dolore.
183. Saxt'Akiwka : di Codiremo, a
sette miglia da Padora.
134. FABK BCHKRMO : ripararti nel mio
cespoglio, le osgne ayendoti dò non<^
stante dilacerato.
185. colpa: da esser rotto e stracciate
per canea toa.
13e. bopb' bso : il oeepngtlo era dun-
que assai basso. - firmo : ibrmato.
137. PI7XTK : rettore dd rami « Per tot
punctnras dentium canlnorum et mpto-
ras »; Benw.
188. SOFFI: mandi fbori sangue e do-
lorose Tod. - BSBMO : sermone.
139. Amm : non redo, onde non sa cbe
Dante è viro.
140. DiBOHUTO: scondo, bratto; cflr.
Virg., Atn. VI. 487.
142. CBSTO; cespugUo.
148. CITTÀ : Firense. -Batista : S. Gio-
▼anni Batista, patrono di Flrenxe.
144. FBiif o : Marte. - fbb gunro : per
rendette del ripudio.
145. ARTI: gnerra.
146. PASSO: Ponte Vecddo.
147. ALCUNA VISTA : la sua statua smos-
sioata. Firense pagana ebbe per suo pro-
tettore Marte, si coi
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flB. 2] iNF. XIU. 148-151
[UN SUICIDA]
dttadin, che poi la rifondamo
ra il cener che d'Attila rimasei
ebber fatto lavorare indarno,
giubbetto a me delle mie case. >
jrìstUmesimo, 11 tem-
GioTanni, e Ift statua
Bopra un'alta torre
ViU, I, 60. Quando
,, la statua cadde nel-
SiedlfioaU ai tempi
liceei ohe gli antiobi
, ohe di rif3»rla non
ima non fa ritrovata
agine di marmo, con-
qì edificatori pagani
Marti, la qnale era
mo dalla dlstmdone
quello tempo ; e, ri-
>ro in su uno pillerò
etto fiume, ov* ò oggi
Yecohio»; G. ViU.
ide inondazione del
1 Arno la statua di
ul pilastro a piò del
io di qua. B nota di
chi diceano e lascia-
e quando la statua di
sse mossa, la città di
ran pericolo e muta-
li 1.
;eso distruttore di Fi-
l; in, I.
161. GIUBBETTO : fbroa, patibolo ; prov.
e Arano, ant. giUt ; ctr. Biez, Wòri. I*,
214. «In domo sua oum quadam oori-
gia eins dioto loco se ipsum suspendit.
Bt propterea dioit: Io feci Juheh, etc.
quia looos in quo suspenduntur homines
in partibus Francis, Tooatnr Jttòeth, et
ipso idem de domo propria oonstitait
sibi i\iroa8 »; Bcimbgl. - « QivMfeUo ò in
Parigi una casa nella quale si Ca la giu-
stizia per la pubblica Signoria: li si ta-
glia le teste, U si impicca, B ai procede
nella persona de'maliìfcttori per la ragiono
pubblica. Or dice l' anima del cespuglio
eh' elli fece delle sue case a sé giubbetto,
cioè che si appiccò so stesso » ; Itan. -
« Giubettum est quedam turris Parisuis
(Parlsilsf) ubi homines suspenduntur »;
Oa$8. - « Giubbetto, cioò forche »; Boee. -
« Gibeth in lingua gallica idem est quod
forca, sive locus ubi fdres suspendun-
tur »; Beno. - « Questo giubbetto ò to-
cabolo fhmoesco, e significa luogo delle
forche, perohò ooA si chiama a Parigi »;
Buti. - « Ginbetto sono chiamate le for-
che in Francia »; An. Fior. - « lubettum
Parisiis dioitur forea, locus snapendii,
si ve patibuli »; Serrav. Confr. Bncid.
916.
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[one. 7. oiB. 8]
IkP. ut. 1-9 [PIOGGIA DI FUOCO] 127
CANTO DECIMOQUARTO
CEBOmO SETTIMO
GIBONE TEBZO: VIOLENTI OONTBO DIO
(Sapini e immobili, tormentati d«Um pioggia di ftaooo)
CAPAHEO, IL VEGLIO DI CRETA , I FIUMI INFERNALI
Poi che la carità del natio loco
Mi strinse, raanai le fronde sparte,
E rende' le a colui eh' era già fioco.
Indi venimmo al fine, ove si parte
Lo secondo giron dal terzo, e dove
Si vede di giustìzia orribil arte.
A ben manifestar le cose nuove,
Dico che arrivammo ad una landa
Che dal suo letto ogni pianta rimuove.
V. 1-48. Zapiooffia di fuoco. Arri-
Tono al terso girone, che è de* riolenti
eontro Dio, nna ignuda campagna sn
eoi i^re linoco. Qoe' ohe sono ooIpevoU
di Tiolenxa diretta ed immediata contro
Dfc», gìaodonoin terra enpini ed immobili;
i riotonti contro natura (sodomiti) corro-
no eontinnamente; i violenti contro natu-
ra ed arte (usurai) siedono raccolti. L' idea
dcOa pioggia di fiioco fu ispirata a Dante
dal Oeneii XIX, 24. La pena più grave
rhanno i rei di violenza diretta contro
Dk>, eoatrettl a star supini ed immobili
sotto la tremenda pioggia; la piti leg-
gera i sodomiti, che possono sehermirsi,
raadorano la &tÌoa del correre, trovando
un ristoro nel moto continuo.
1. cabitI : amor patrio, e... Samum bi-
beriaus ente dentes et Florentiam adeo
dfllgami», ut quia dileximus, ezilium
patiamnr ininete » ; De Vtdg. doq. I, 9,
Lo spirito, fiorentino ; Dante anche.
2. 8TBIN8E: Spinse, incitò, -fbondx:
del cespuglio; ett. Xin, 12g e seg.
8. kxhdb' lb : le roidei. Al. rutdkilb ;
RBMDKLLB. - A COLUI: allo spirito di qucl
fiorentino che aveva testò parlato col due
Poeti. - FIOCO : stanco dal trarre guai.
Al. BOCO. Ma « qui non si tratta di rau-
Cèdine, bensì di ftanduzza, di rijlnimento,
ecc. »; Z. F.,Sle seg. Del resto fioco ò
lesione dei più e più autorevoli codici.
4. Fiiot: confine, termine. - ovx : Al.
OHDB. - PABTX : divide.
6. OBBiBiL: spaveutovole magistero
della divina ginstisìa. Orribile il peccato,
orribile la pena.-ABTB: modo, artifizio.
7. HUOVB: strane, insolite, non mal
viste; lat. novut,
8. làhda: pianura incolta e senza àl-
beri. « Landa è vo<»bolo fhmcesco, ò
propriamente la via che va lungo ^cuno
fiume »; An. IHor. - « A una Umda, doò
a una campagna ; chò così significa que-
sta voce, e sì usava molto in quel tem-
pi »; OeUi. Cfr. Diez, Wdrt. 1», 242.
0. LKTTO : Buolo, che ò inlbcato, onde
piante non vi possono crescere.
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IB. 8] Inp. xiy. 10-24
[PIOGGIA DI FUOCO]
iorosa selva Pè ghirlanda
mo, come il fosso tristo ad essa :
7Ì fermammo i passi a randa a randa,
kzzo era un'arena arida e spessa,
d'altra foggia fatta che colei,
fa da' pie di Caton già soppressa,
ietta di Dio, qnanto tu dèi
)r temuta da ciascun che legge
che fu manifesto agli occhi miei !
ne nude vidi molte gregge,
piangean tutte assai miseramente,
irea posta lor diversa legge,
giaceva in terra alcuna gente ;
ma si sedea tutta raccolta,
iltra andava continuamente.
[jidi. -l'èghirlah-
i landa, come la rl-
LI, i7 e seg., oiroon-
lorosa selva ò quasi
>oichò la cinge ; sio-
11 sangue fa flJIa sel-
etonte.
1. Rand. Orlo, Mar-
( a randa per Ra-
aogo riloTato. « Ra-
ta, perchè in sa la
10 scendere, perchè
, Confr. Diez, Wort.
^Hitium — lo spazio,
nda.
della Libia, calcata
L*lTtioa, quando per
condusse i residui
leo al re Giuba ; cfr.
382 e seg. « Colei, la
«io pronome si rife-
ta. Tuttavia esempi
yent., SimU., 689.
il primo a mettervi
dnas lugrediar, pri-
ilvere ponam »; Lu-
l. - SOPPRESSA : oal-
istixia retributrioe;
seg.
loro situaKione era
role. Naturalmente
inde; ma il Poeta ri-
questa oircoetanaa,
quando vuol desorivere U loro abbando-
no, la loro miseria, in tutta la sua esten-
sione; ctr.Iftf,lll, 100; Xni, 116; XXHI,
118; XXIV, 02; XXX, 26. - GBSGOB:
schiere.
21. PABEA : dai diversi loro atti e modi
di stare, appariva, si vedeva, che qnelle
anime erano sottoposte ad una legge di-
versa, essendo ad ogni schiera imposto
un particolar modo di stare al supplizio
del fuoco.
22. BUPIN: supina, supinamente, eoi
viso volto in su. - qkrtk: rei di violenza
diretta ed immediata contro Dio. Volle-
ro detronare V Iddio onnipotente, e non
possono neppure muover sé stessi ; vomi-
tarono bestemmie contro Dio, e queste
bestemmie ricadono, quali fiamme ar-
denti, sulla loro propria persona.
23. sbdsa: violenti contro natura ed ar-
te, o usurai. Sono qui come nel mondo: in-
vece di lavorare colle proprie mani, vol-
lero vivere del frutto del denaro, sedere e
conteggiare : qui hanno tutto il comodo
di farlo. -RACCOLTA: essendo gente n<m
compagnevole, non ad altro intesa che
al guadagno. « Stretta, per toooare meno
della rena » ; JkUi.
24. ALTRA: violenti contro natora, o
sodomiti. Trascinati, anche loro malgra-
do, dalle proprie sozze passioni, sono co-
stretti a muoversi continuamente, come i
peccatori carnali del e. V, ma sopra un
terreno più tristo e sotto orribile pioggia.
E il terreno e la pioggia sono contro nsr
tura, oome ta il loro peccato.
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•J
iMw, Alv ao-4u LJ^iuuttiA ui Fuuvuj lav
Qaella che giva intorno, era più molta;
E quella men, che giaceva al tormento.
Ha pia al duolo avea la lingua sciolta.
Sovra tutto il sabbion, d'un cader lento
Piovean di fuoco dilatate falde,
Come di neve in alpe semsa vento.
Quali Alessandro in quelle parti calde
D'India vide sovra lo suo stuolo
Fiamme cadere infino a terra salde ;
Per eh' ei provvide a scalpitar lo suolo
Con le sue schiere, acciò che lo vapore
Me' si stingueva, mentre eh' era solo;
Tale scendeva l'eternale ardore;
Onde l'arena s'accendea, com'esca
Sotto focile, a doppiar lo dolore.
Senza riposo mai era la tresca
2S. qvELLA: Mdomitl. MoKIssiiDi so-
<lMiltì, la pfh parte letterati. XV, 106 e
Mg.; ■eoo amraì ed ancor meno beetem-
■iatorl. Stetiatica morale del eeeolo di
Buie.
27. AL DUOLO: ai lamenti: l'ebbero
*eMU nel mondo alle beeteromie, Tban-
00 qui alle strida. O pfottoato : le bestem-
mie 8000 strida di un'anima ohe si sente
n. CADBX: < Dominos plnit soper 8o-
^"nam st Gomorriiam snlphor et ignem
• Domioo de cesio»; Oemt. XIX. 24.
* Igneo et solphnr ploam saper enm » ;
^Mcà. XXXVUI. 22.
^* oom: < oome noTica la neve a fUde
Adi' alpi, quando non ò vento; imperò
eb« quando ò Teato» la rompe, e nerica
pikainQta»; BtOi.
31. QOAU: ilamme. Kella preteea epi-
«^ di Alessandro il Grande ad Aristo-
tel« tebe si pnò vedere pnbblieata in
•PP. sn'edis. di JvUui VaierUu carata
<U B. KwbUr, Lipsiae. Tenbner, Ifm,
PP- 190-221) si raoeonta che neUe Indie,
J^ ana terribile tempesta, la neve oa-
*«••• in nodum v^ierwn, e efae Ales-
"**^ Is flieesBO oalpeatare a' soci sol-
uti nt autra eummUtrtfUur. Alla neve
atra m$bi$ tubàteuta ut viécequé nubet
«ninMM da ecOo tamquam/aee» déeidara
^ taemra eatrum totua eampua arde-
^"' /usti.... mOOst aciaaaa vaataa oj^
*-iNo. fkmm., 4* «dia.
ponete ignibua. E poi nox aarena con'
Hnuo reddtta eat nobia orantibua. Tum
ignaa ax intagro aecanduntur et a aeeu-
ria apula eapivntuir. Cflr. AI6. Magn., De
Metaor. lib. I. tr. IV, o. 8. Nyrop, Star.
deWBpapaa frana, trad. da Qorta» p. 240
e seg. Blana, Varaueh 1 , 120 e seg. Mejfar,
Ala», la grand dona la littér./ranf. du
m&gan dga. Par., 1880. - pabti: regioni di
clima caldo.
88. 8ALDB: intatte, intere, cbe non si
estingoevano neppor cadute a terra.
84. A BCALPITAB: fiMwndole premere
coi piedi da' suoi soldati.
30. BTIRaUKVA: Al. STB1H6KVA; cfr. Z.
F., 82 e seg. • bolo: prima cbe cades-
sero altre fiamme, e prima cbe le cadnte
ibasero accresciate da qnelle appreae al
terreno.
87. TALI: « gU accenti gravi del verso
esprimono l'incessante e interminabile
pioggia di ftaoco »; L. Vent., BtmU., 580.
80. FooiLK: pietra focaia percossa dal-
Tacciarìno. « Ac primom silici sdntlllam
ezcodit Achates »; Virg., Aan, 1. 174.
40. TBE8CA : trescone, ballo molto agi-
tato, saltereooio, senza regola e tempo,
che si osa ancora nelle campagne. Me-
navano or qoa, or là l' una o l'altra mano,
a palme aperte, scotendo e schiaffeg-
giando via via qaelle fiUde dal luogo del-
U persona ove si posavano. Cfr. Fat\f,,
8tud. p. 02 e seg. Diaz» Wdrt. I', 424 e seg.
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46
40
52
Delle misere mani, or quindi or quinci
Iscotendo da sé F arsura fresca.
Io cominciai: € Maestro, tu che vinci
Tutte le cose, fuor che i demon duri
Che all'entrar della porta incontro uscinci.
Chi ò quel grande, che non par che curi
Lo incendio, e giace dispettoso e torto
Si, che la pioggia non par che il maturi? »
E quel medesmo, che si fue accorto
Ch'io dimandava il mio duca di lui,
Qridò: < Qual io fui vivo, tal son morto.
Se Giove stanchi il suo fabbro, da cui
Crucciato prese la folgore acuta.
Onde l'ultimo di percosso fui;
0 s'egli stanchi gli altri a muta a muta
In Mongibello alla fucina negra.
Chiamando: ^^Buon Vulcano, aiuta, aiutai „ ,
42. FRB8CA: IIQOVft.
V. 48-72. Capaneo, Tra' violenti ood*
tro Dio ei diitingue imo spirito il quale,
pur giacendo tetto la pioggia del ftioco,
sembra sfidare, anche in tol misera posi-
Eione, la poteasa divina. « Chi è costai f *
dimanda il Poeta. Lo spirito si affk«tta a
rispondere con parole insaltanti alla di-
vinità. E Virgilio : < La toa superbia e
la tna rabbia sono il tao maggior tor-
mento. » Quindi a Dante: « È ano dei
sette di Tebe; tuttora indomito. Ma
glierho detto: il suo furore ò il suo
maggior tormento. »
44. DURT : alla porta di Dite ; ofr. Inf.
Vili, 82 e seg.
46. uaciNCi: ci osoinno («osolrono).
46. QUEL: Capaneo, v. 68, Kamxvsv^
figlio di Ipponoo e di Laodioe, ano del
sette re deJla Grecia confederati con Po-
linice contro Tebe. Salito salle mora della
città assediata, sfidò empiamente Giove
a difenderla ; onde il Nome sdegnato lo
colpi colla folgore e lo uccise ; cflr. «Sto!.,
Théb. X, 485 e seg. ApoUod. UT, 7, 1. Sta-
aio lo chiama magnatUmui e Suptrum
eonUmptor et aqui.
47. TORTO: torvo, bieoo.
48. MATUSI: ammolli, renda mite ed
umile. « Acerbi dioonsi gli orgogliosi ;
acerbo è contrario di maturo; e la piog-
gia ammolUaoe le fhiUa cadendo»; Tom,
Al. MABTUBi: da marturiare ^ marto-
riare, « Videtnr quod ignis plnens non
molliflcet duritiem eins, et placet eini
pertinacem insaniam »; Benv. Ctt. Moo-
re, Orit, 807.
61. QUAL: non temetti gli Dei in vita,
non li temo morto.
62. Giove : è rimasto pagano anohe nel
mondo di là. -fabbro: Vulcano, il quale,
secondo la mitologia, fabbricava le saette
di Giove. Capaneo bestemmia laggiù eo"
me bestemmiava quassù.
68. CRUCCIATO : perchè schernito e sfi-
dato con parole anperbe.
54. l'ultimo dì : della mia vita su nel
mondo.
55. ALTRI: suoi fkbbrl, cioè i Cidopi. -
A muta: a vicenda, l'uno dopo Taltni
dando loro la muta.
66. IN Mokqibello: neirstna in Si*
cllia, dove, secondo la mitologia, era la
fucioa di Vulcano. - niora: per la gran
fuliggine.
57. CHIAMANDO; gridando come fece
nella guerracoi Giganti VtV^.,ii«n., Vili,
430 e seg.
** ToUits eoacts „ inqoit "cfliptotqns axifln>U
[Ubsres.
ìGUmbì CTolopet, et bue advertits insotem.
Arma acri fttclanda viro. Nuao viribos usua.
Nano manlbut rapidi», omnl Boao arte magl«
FMolpItats meras. „ [stra.
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[OBc. 7. om. 8]
Inf. xiy. 58-75
[ClPAlfEO] 131
5è 8i com'ei fece alla pugna di Flegra,
E me saetti con tutta sua forza,
Non ne potrebbe aver vendetta allegra. »
Si Allora il duca mio parlò di forza
Tanto, ch'io non Pavea si forte udito:
€ 0 Capaneo, in ciò che non s'ammorza
u La tua superbia, se' tu più punito :
Nullo martiro, fuor che la tua rabbia,
Sarebbe al tuo furor dolor compito. » ^ .
«7 Poi si rivolse a me con miglior labbia, ** U / T
Dicendo : « Qael fu l'un de' sette regi -
Che assiser Tebe; ed ebbe e par ch'egli abbia
70 Dio in disdegno, e poco par che il pregi;
Ma, come io dissi a lui, li suoi dispetti
Sono al suo petto assai debiti fregi.
73 Or mi vien dietro, e guarda che non metti
Ancor li piedi nell'arena arsiccia;
Ma sempre al bosco li ritieni stretti. »
&8. Flxo&a: valle in Teaaagli», dove
Mcadde fl combaltìmeiito fra GHoTe ed 1
GisntMqoali avevano sovrapposto mon-
t« a Boote per dare la scalata al delo.
60. ALLXGKA: non avrebbe mai la aod-
(iidinooe di vedermi amillato ed avvi-
liso ; rimarrei aempre il eoo superbo di-
61. Di FORZA: eon grande veemenxa,
«degnato di odire le soperbe bestemmie
di qnel dannato.
03. st FOBTK: io non lo aveva ancor
adìt4> p«riare eon tanta veemenxa. Vir-
Icilio è odepiato ohe Capaneo si vanti
détta sua empietà.
83. JKMI b'ammobza: non d spegne.
Ammorzar* non sì toova che in rima.
64. PIÙ : « perciò ohe la tnaostinaxione,
sfglaat* alU pens che ta toflM, ti dà
doppio martire e tormento »; Dan.
6ft. ooiOTro: adeguato al tuo itarore;
« qoia talis oppressos et deiectos non
pcÀest l&abere maina tormentam in mnn-
do iato qnarn rabieni saam, qoa se mor^
dot»; BcMf.
92. labbia: viso, aspetto; It^. VU, 7.
Si rivolse a me eon viso più soeno e con
pfb miti parole.
<8w scm: Capaaeo, Adrasto sno sno-
eero. Tideo, Ippomedonte, Anflarao, Par-
tenopeo e Pottaioe.
60. ABSIBBU : assediarono. - kbbb : vi-
vendo. - PAS : sembra, qui nell' Inferno.
La flora sua superbia non è altro che
vana apparenza. Vorrebbe fkre il grande,
l'indomito, ma ha la coaoiensa di non es-
sere ohe ano sere. Immagine parlantis-
sima di quella classe di peccatori, di cui
egli ò il rappresentante.
70. DIO: parlò di Oiove, v. 52; ma il
nome non importa. I Gentili chiamarono
Giove V ente supremo. Dante dà questo
nome al Bedentore, Purg. VI, 118; cfr.
JV. XXXI, i»2. - m DisDBOlf o : in dispre-
gio. -PAB : vana apparensa. Quantunque
parli con dileggio delle sue pene, egli sa
troppo bene quanto sono terribili.
72. FRBGi: ornamenti. Parlare ironico.
V. 73-93. H FlegHtnUe, « Basti di que-
sto insano! Seguimi, e guarda di non
mettere 1 piedi noli' arena infocata, ma
tienli stretti alla triste selva del secondo
girone. » Così Virgilio. Vanno avanti ed
arrivano là dove sgorga il Fleget<pte,
fiume orribile, perchò di sangue. E Vir-
gilio : « Dacchò entrammo nell' Inferno,
non vedesti oosa più notabile di questo
fiumioello. » Dante gliene dimanda il
perchè.
7i. AHOOB: guarda pure, venendomi
^Uetro. Al. Guarda intanto, per adesso. -
ABMOCIA: infocata, ardente.
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132 [CKBC. 7. Om. 8] INP. XIV. 76-91
[FLEOBTONTB]
76
70
82
85
91
Tacendo divenimmo là ove spiccia
Fuor della selva un piociol fiumicello.
Lo cui rossore ancor mi raccapriccia.
Quale del Bulicame esce ruscello
Che parton poi tra lor le peccatrici,
Tal per P arena giù sen giva quello.
Lo fondo suo ed ambo le pendici
Fatt' eran pietra, e i margini da lato ;
Per ch'io m'accorsi che il passo era liei.
« Tra tutto l'altro ch'io t'ho dimostrato,
Poscia che noi entrammo per la porta
Lo cui sogliare a nessuno è negato,
Cosa non fu dalli tuoi occhi scorta
Notabile, com'è il presente rio.
Che sopra so tutte fiammelle ammorta. >
Queste parole far del daca mio :
76. DIVENIMMO: arrivammo, giangem-
mo ; dal lat. devenire ohe vale spesso il
sempUoe venlre.Cfr.InAX VIII,68. Purg.
IH, 46. -SPICCIA: sgorga, soatorisoe.
76. R0880BR: sangae; ofr. Ir^f. XII, 47.
75, 101.
70. Bulicame: laghetto di aoqna mi-
nerale hoUente, sitaato a due miglia da
Viterbo, da cai usciva an msoello, l'acqua
del quale le meretrìci a una certa distanza
dalla sorgente, quando ò già ra£h^data
alquanto, si dividevano tra loro, volgendo
cìasonnadi esse alla propria stanzaqnella
quantità che le era necessaria. Nel libro
delle riforme di Viterbo, all' anno 1469,
11 maggio, si legge : « Item alium bandi-
nientnm che nessuna meretrice ardisca
nò presuma da bora nanse bagnarsein
alcuno bagno dove sieno consuete ba-
gnarse le cittadine et donne viterbese,
ma si vogliono bagnarse, vadino diete
meretrici nel bagno del Bulicame, sotto
pena, ecc. ». - « Laoittàdi Viterbo fa fatta
per li Romani.... E gli Romani vi manda-
vano gl'infermi per cagione de* bagni
eh' escono del bulicame, e però fti chia-
mata Vita Erbo, cioè vita agl'infermi,
ovvero dttà di vita»; O. ViU. 1, 51. Al.
intendono : Kel modo stesso oome si parti-
va dal Bulicame o Flegetonte, d' onde si
derivava. Cfr. 1 lavori citati dal De Bat.
I»539; inoltre Ciampi, Un municipio ita-
liano neU'età di Dante AL, Roma, 1865.
Lanci, n BtUieame e la Chiarentana
nella Div. Com., Roma, 1872. SearabelH.
La Chiarentana e U Bulìeame nella
Div. Com., Boi., 1872. Blane, Yerguck I,
122 e seg. Ferrazzi IV, S82; V, 826-28.
Sdutermann, 291 e seg. Murari, Note
Dantesche II, Reggio Rmllia, 1895. BuU.
II, 2, 103 e seg.
80. PABTOM : dividono. - PBCCATRia :
meretrici. Al. Anime dannate. Alcuni
leggono PRXATBici o rRZZATRlci — > ma-
ceratrici della canapa, lezione del tutto
sprovvista di attendibili autorità.
81. ABKKA : infocata del terso girone.
-QUELLO: quel fiumicello.
82. pendici : le sponde pendenti, o in-
clinate.
83. fatt' eban : lui. facta erant, si era-
no impietrite per virtù del fiumicello.
« Anco nel bulicame di Viterbo le sponde
erano impietrite » ; Tom. - MABOun : i
dorsi delle sponde.
84. m' accorsi : per non essere quei
margini coperti di arena infìiocata, co-
me tutto l'altro suolo. - pabso : per at-
traversare il girone. -Lia: U, in quel
luogo. Liei, quid, cottici, eco. dissero gli
antichi anche in prosaper ti,quit cosA,w».
87. BOOLIAKK: soglia della porta infer-
nale; Inf. m, 1 e seg.
90. AMMORTA : spegne tatto le fiam-
melle che vi piovono sopra. Cfr. It^.
XV, 2 e seg.
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tenc.T. GiB. t]
IXF. XIT. 92-102 [TSOLIO DI OBKTA] 188
97
IM
Per che il pregai ohe mi largisse il pasto,
Di ccd largito m'aveya il disio.
€ In mezzo mar siede nn paese guasto, »
Dìss'egli allora, « che s'appella Creta,
Sotto il coi rege fa già il mondo casto.
Una montagna t'ò, che già fd lieta
D'acque e di frondi, ohe si chiamò Ida;
Ora è diserta, come cosa vieta.
Bea la scelse già per cuna fida
Del suo figliuolo, e, per celarlo meglio,
Quando piaogea, vi iacea far le grida.
n. LABOUBB: mi dicesM per minato,
•asfteasere avaro di parole, perchè qnel
Tk» fioaae cotm, tanto mirabile. - pasto: la
wieiisa è detta altrove il pan d^gli an-
geU. Pmr. U, 11. Ckmv. 1, 1.
99. IL Disto: me ne aveva invogliato
eoo quel eoo oenno.
V . M- 120. li VégUù di Creta. Rispon-
de Virgilio: « In Creta, dentro il monte
Ida, sta ritto nn gran Veglio che ha le
apaUe Tòlte verso Damiate in Bgitto, e
faarda verso Boma come in nno spee-
eUo. Ha il capo d'oro, le hraoda ed il
petto d'argento; di lA sino alle ooece ò
di rame ; le oosoe, le gambo ed i piedi
tiBo di ferro, tranne il piò destro, sul
qasto piti che snl dnistro sta appog-
giato, e d»e è di terra eotta. Da tutte le
partì, salvo ohe dal capo, gocoiano la-
grime le qoali vanno giù a formare i
quattro Homi infernali : Acheronte, Sti«
gè. Flegetonte, e giù in fondo Cocito, di
osi non ti dSconnlla. chèle vedrai. » Il Ve-
glio è tolto quasi di peso dal profeta Da-
aule, n. 81 e aeg. La statua nel sogno di
Sebncadneear flgorava le quattro grandi
BOBarcliie, cfir. Don. II, t7 e seg., ed an-
che il g^mV^liodMiteeco potrebbe figu-
rare'SnBffll&chia; secondo altri esso
igora le diverse età del mondo, e lo
soorrere d^;ti Mini, o l' omauità da cui
valgono le colpe, i dolori e le lagrime,
0 la vita del mondo, od altro ancora.
< Per bone senem rignifioatnr et figura-
tur tota etas et decnrsus mundi ao etiam
regni Saturni osque ad hoc tempora : po-
Bitor autem iste senex ereotus in monte
Tda, quod ipslas mentis et insule Satur-
But ftdt primns reetor et dominne » ;
Bmmbgl. Ctt. Stane, Vernteh, I, 123 e
Mg. VaetktH e BtrtauM, Il gran Va-
fKo dd MomU Ida tradotto nel senèomo-
rale détta Div. Oomm., Ter., 1877. Po-
letto, Alcwfii Studi, 191 e seg.
Il profeta Daniele II, 81 e seg. cosi de-
scrive la simbolica figura del Veglio:
« Tu, rex, videbas ; et ecce quasi statua
una grandis: statua illa magna, et sta-
tura snblimis stabat centra te, et intui-
tns eius erat terribilis. Huius statnie
caput ex auro optimo erat, pectus au-
tem et brachia de argento, porro venter
et femora ex »re. Tibiae autem ferree,
pedum qmedam pars erat ferrea, quidam
autem flctilis. » Vedi pure V interpreta-
sione datane dal profeta, ivi, v. 87 e seg.
94. MSZZO: cflr. Ftr^., Aen. III, 104 e
seg. - MAR: Mediterraneo, detto nel me-
dio evo il mare per antonomasia. - gua-
sto: rovinatesi credeva ohe anticamente
avesse cento città, 7tr^., Aen. III, 106.
96. RIOB: Saturno. > casto: puro, senea
visi. Era 1* età dell' oro, cfir. Yirg., Aen.
VIII, 819 e seg.
98. Ida : oggi Ptdory, PtUoriti, o Mon^
té Giove, monte nel centro dell'isola di
Creta, la cui sommità è per lo più co-
perta di nevi, sul quale, secondo la mi-
tologia. Giove fu allevato da' Corlbanti.
99. VIETA : « vecchia, fracida e siappa ;
onde si dice saper di vieto una cosa,
quando è divenuta vecchia »; Dan.
100. Rba: *Péo^ *Pe{a, Rhea e Cibele,
moglie di Saturno e madre degli Dei
olimpici ; cfr. Tir^., Aen. III, 111 e seg.
101. FIOLIUOU) : Giove. - cblablo : a
Satomo; cft*. Hetiod., Theog., 488 e seg.
102. FAB: ai Cureti suoi servi .Volendo
render vana una profesia, che i suoi figli
lo detroDorebbero. Satomo se 11 man-
giava r uno dopo r altro. Nato GHove,
Bea lo fece trasportare a Greta per sal-
varlo, ed afiinchò Saturno non ne udisse
le grida, comandò ai Cureti di fsrgU un
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BC. 7. 6IB. 8] ÌXF. XIY. 103-120
[YEOLIO DI XIT&BTÀ]
Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,
Che tien yòlte le spalle inyèr Damiata,
E Roma gaarda si come sno speglio.
La sua testa è di fìn oro formata,
E poro argento son le braccia e il petto,
Poi è di rame infino alla forcata;
Da indi in ginso è tutto ferro eletto,
Salvo che il destro piede è terra cotta,
E sta in su qael, più che in su T altro, eretto.
Ciascuna parte, fuor che l'oro, i rotta
D'una fessura che lagrime goccia,
Le quali accolte foran quella grotta.
Lor corso in questa valle si diroccia:
Fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
Poi sen van giù per questa stretta doccia
Infin là ove più non si dismonta :
Fanno Cocito; e qual sia quello stagop,
Tu il vederai; però qui non si conta. »
re attorno oon spade, acndi,
altri atramentl.
rao : pone il Veglio in Creta,
ri fiorì sotto Satamo Tetà
perchè si credeva che Creta
lo nel messo alle tre parti del
oscinto, opperò il centro e
el genere nmano.
lATA: in Egitto, la più splen-
monarchie antiche.
U)A: essendo Roma Tanica
Bir avvenire della monarchia
cfr. De Man. II. Oonv. IV, 5.
A : monarchia di Saturno, etÀ
forse Dante intende del sc-
isto, ofìr. Ckmv, IV, 5. De
EHTO: seoondaetà; principio
msa della monarchia romana.
ATA: il punto del corpo nmano
1 partono le cosce : tersa età ;
iella monarchia sino alla sna
opo la morte di Teodosio.
:to : non misto con altri me-
» età, che per Dante era il
rate, n piede di ferro ò l' im-
de di terra cotta ò il papato;
, qnesto assai fragile. Ctr. Qio-
SIU, 28 e seg.
?K : della statua. - fuor che :
Pelici non piangono, e tali fu-
rono nell'età delKoro ed ai tempi di An-
gusto.
114. ACCOLTK: radunate insieme ai
piedi del Veglio. - grotta: dentro dal
monte, dove il gran Veglio sta dritto,
V. 103.
115. DIROCCIA : scende di roccia in roc-
cia giù neir Inferno.
116. ACHEROKTS : cfr. If^f. 111,71, 78. -
Stiqr : cfr. Ir^f. VII, 106. - Flkoetobta :
Flegetonte (cflr. It^. Xll, 47j, come oriz'
tonta per orissonte, Inf. XI, 113.
117. DOCCIA: dal lat. barb. </o^— ca-
nale, condotto; ott. Inf. XXIII, 46.
118. LÀ : al fondo dell' Inferno, punto al
qual si traggono d' ogni parte i peai Ir^,
XXXIV, 110 e seg., oltre il quale più
non si scende, ma si sale all' uno od al>
tro dei due emisferi.
110. FANKO: tutte quante quelle lagri-
me vanno giù a formare il Cooito, sede
della causa prima di esse, cioò di Luci-
fero: cfr. Inf. XXXII, 28 e seg.
120. NON SI CONTA : uon ne parlo. > « Le
lagrime che il Veglio, figurante V nman
' genere, piove da tutte le fessure ond' ò
vulnerato, fbor che dal capo d' oro, sono
l'universalità dei peccati commessi da
tutu gli nomini delle tre ultime età -vi-
siate, e colanti nel gran baratro Ohe U
mal dell' univerto tutto ineaecailf^^YU^
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[CI&C. 7. eiB.S]
IHP. XIV. 121-131 [FIUMI IHFEBNALl] 186
m
131
127
130
Ed io a lai: e Se il presente rigagno
Si deriva cosi dal nostro mondo,
Perchè ci appar pur a questo vivagno? >
Ed egli a me: « Tu sai che il luogo è tondo,
E tutto che tu sii venuto molto
Pur a sinistra, giù calando al fondo,
Non se' ancor per tutto il cerchio vòlto ;
Per che, se cosa n'apparisce nuova^
Non dee addur maraviglia al tuo volto. »
Ed io ancor : « Maestro, ove si trova
Flegetonta e Lete? Che dell' un taci,
18); • fiwBO dapprima fi flome nonuito la
iriMm risiera d'AehMnmU; U qiuUe flimie
poi riooBpttre ìmio mollo più ehe perso
Bel ceraio degH arari; «i dilaga nella
pilade SUgé, ove stanno attoflkt! gì' ira-
condi; fone. nella intonzlone del Poeta,
è fl medeoimo ohe, trasmntato in sangne
boOeeto, erooeia i Tiolenti del primo gi-
rone, poiooefaè roteo e bollente spiccia
toati alquanto sotto, ossia dalla trista
•etra del soiddi col nome di FlegetorUe-,
e perrointo al fondo che divora Luci-
fero C9H €fiuda, si rappiglia la nna im-
Bisnsa spera di ghiaecio denominata Od-
etto. Codesto finroe derirato da si rea
fonte, die percorre le diverse regioni
dell' Infinno sotto quattro nomi, ò il con-
trapposto di qnell* altro che pnllola dal
messo e irriga la divina/oretta del Par-
gstorio, ai Wparte in Bnfrate e Tigri che
poesia mntano nome, quello in Xi0l« eqne-
•to in Bmncè, H dame infernale ò origi-
nsto dalla eormsione dell*innan genere,
eresee in malignità di mano in mano che
STSBsa nel corso, fonesta la dimora de'
preedti, ossia del secolo malvagio, ed è
•tramenio di pnnlsione dei medesimi;
qoeOo della. diTina foresta
^ens da fostsas eslds • sorte
Che taato de voler di Dio riprende
Qosat'caM verse de doe parti sperta;
{Purg. XXYIII. It4-26)
floSsee con onda limpidissima ad abbel-
lire la Chiesa di Dio, acqalsta correndo
▼irtti dall' nna parte di astergere ogni
memoria delle passate colpe, dall'altra
a coniìBrire ogni doTÌsia*di beni spiri-
tnsU. In una parola, il primo è l' em-
blema della colpa, il secondo della gra-
tis; qnello del male, questo del rimedio. »
BvraU,AJUg,dèUaIHv,OoiMn,,90e9^.
y . 121-142. 1 fiumi infemaU. « Ha se
questo flomo discende giù dal nostro mon-
do, perchè si vede soltanto qui, e non
nei cerchi superiori t » « H luogo ò ro-
tondo, e non ne hai ancora percorso l'in-
tiera circonferenza, onde non devi mera-
vigliarti se, oontinoando il nostro viaggio,
ti si mostrano cose non ancor vedute. »
« Ha dove sono dunque Flegetonte e
Lete?» « Il Flegetonte è per V appunto
queeto, e lo avresti dovuto indovinare
dal suo bollore. Lete lo vedrai, ma al-
trove, nel Purgatorio. Ed ora, avanti I »
121. RiQAOiro: picciol flumioello, cfr.
T. 77.
122. cosi : come tu dici. - irosTBO : dei
viventi.
123. PUB : solamente in questa ripa e
non altrove. -VI VAGHO : propr. l'orlo del
panno; qui per l'estremità della selva.
124. LUOGO: l'Inferno. 1 Poeti percor-
rono durante il loro viaggio laggiù la
nona parte di ogni cerchio, onde non
hanno percorso l'intiera circonferenza,
se non giunti al fondo dove ò Lndfbro.
Sono adesso nel settimo cerchio, hanno
dunque peroorso ""/loo della drconferenza
del gran baratro.
126. PUB: sempre a sinistra. Al. riCr
A SimSTBA ; PUBK BIKISTBA. Cfr. Z. F.
83 e seg. ifoore, Orii., 307-10.
127. VÒLTO; non hai ancora col tuo gi-
rare compito il cerchio. « Quasi voglia
dire : e però non ti maravigliare, se an-
cora veduto non hai lo scender di qne-
st'acqna, perciocché tn non eri ancora
pervenuto a quella parte del cerchio,
della quale ella scende •; Booe.
129. ADDUB: nel volto si esprime la
meraviglia dell' animo.
131. LBTfe: cosi Gliménè, Par. XVII, 1.
Al. LETto, lesione da non accettarsi, dao-
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Ià6 [CBBC. 7. OIB. 8] iNF. XIV. 182-142
[FIUMI IKFEBNÀLll
133
186
180
142
E l'altro di' che si fa d'està piova. >
« In tatte tue question certo mi piaci; »
Rispose, « ma il boUor dell'acqua rossa
Dovea ben solver l'una che ta faci.
Lete vedrai, ma faor di questa fossa,
Là ove vanno l'anime a lavarsi,
Qaando la colpa pentnta è rimossa. »
Poi disse: « Ornai è tempo da scostarsi
Dal bosco ; fa' che diretro a me vegne :
Li margini fan via, che non son arsi,
E sopra loro ogni vapor si spegne. »
ohò LeUo ò aggettivo. « Se poi Dante vo-
leva dire a quel modo, poco gli costava Io
scrivere : Flegetonte e U Leteo »; Z. F.,
84. - DKLL*uif ! dì Lete. H fiame dell' ob-
bllo non paò natoralmente essere nel-
r Inferno cristiano (come era nei paga-
no), non essendo concesso ai dannati di
dimenticare ì peccati commessi e i meesi
di grasia negletti.
132. l'altbo: il Flegetonte. -piova:
le lagrime del Veglio di Creta.
134. IL BOLLOR: Flegetonte venendo a
dire fiame bollente (da <{>XéYO) -» ardo,
ofr. Virg., Aen. VI, C50 : « Qnto rapidns
fltunmìs ambit torrentibus amuis Tarta-
reasPhlegethon».iSlrfT., Ad Aen. ^ 1,265,
dove ò detto che Virgilio « Phlegethonta
vocat ignem »), il bollore di questo fiume
doveva flirti accorto clie esso ò per l' ap-
punto il Flegetonte. Per accorgersene
non occorreva sapere di greco ; bastava
avere in mente il verso di Virgilio e co-
noscere la glossa di Servio. Ctr. Cave-
doni, 09terv€txioni critiche intorìio alla
questione te Dante tapeite di greco ; Mo-
dena, 1860. Blanc, VertueAI, 127 eseg.
185. l' una : la questione ; ove H trova
Flegetontaì Eccolo IL « Ta bene debebas
conieoturare ex evidentissimissigiiia qui
flavias erat Phiegethoniqaando vidisti ar-
dorem et raborem aqate balUentia, nam
Phlegethon interpretaturardens»; Benv,
136. VEDRAI : cfr. Purg. XXVm, 121
e seg. -FOSSA! cavità infernale.
137. LÀ: nel Paradiso terrestre aolla
sommità del Purgatorio.
138. PSHTUTAt dall' ant. penter», scon-
tata per peni tenui; e A*. Purg» XXXI, 85-
87. « Qaando la colpa, dicui si ò avuto pen-
timento in tempo, dalle pene dtA purgato-
rio ò rimotsa, cioè tolta, lavata »; Sftti.
140. DAL BOSCO: dalla dolorosa aelva
del secondo girone. - veoke: venga ; vicn
dietro a me.
141. ARSI : coperti di arena infocata.
142. VAPOR: fiamma; cfr. v. 86. - BI
SPEGNE: per il motivo già toccato nel
V. 90, e spiegato poi in Ii\f. XV, 1-3.
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[CnC. 7. dlB. 8]
IlW. XT. 1-4
[SODOMITI] 187
CANTO DECIMOQUINTO
CERCHIO SETTIMO
GIBONB terzo: VIOLENTI CONTRO NATURA
(Corrono eontiiìiuuiieiito tonMDtoil dalla pioggia di fbooo)
BBUKETTO LATim, FBÀHCE8C0 D* ACCORSO
ANDREA BE' MOZZI
Ora cen porta Fan de' duri margini ;
E il fammo del rascel di sopra adnggìa
SI, che. dal faoco salva l'acqaa e gli argini.
Quale i Fiamminghi tra Guizzante e Bmggia,
T. 1-21. Lm regionB dei aodamitL I
due Poeti oonttnoano il loro viaggio «àun-
■HmbmIo aorra Timo dei margiiii che tono
laago Q aabbtone infocato. Si deacrivono
iautfgiai eon due aimìUtadini tolte dagli
ad del tempo. A lunga distanaa dalla
•eira dei violoiti contro so stessi inoon-
tano ima schiera di violenti contro na-
tora, che guardano i doe insoliti vian-
danti eoo grande meraviglia, la qaale è
dipinta con doe belle similitudini.
1. DUBi: pietrificati e non coperti di
3. ADVoaiA'. f^ ombra o nebbia al di-
sopra di so, nella qnale le fiamme ai eatin-
S. BALTA : « Dice che *1 vaporo oh' nscia
dsl detto fiume temperava le sommitadl
dsDe fiamme die asciano del fhoco, a tal
modo che l' argine ai conservava, e per
e9»»equéta l'acqua si conservava per
Targiae dal fuoco»; X«n. -«Questo è
nstmate che il fhmo qienga il ftioco,
«Bse vegglamo che, poeta una candela
scoesa sopra ano ftuno, incontanente si
•fegae »; 3vH. - l'acqua e au ABom :
bdonedel più dei codd., tra* qnaU totti i
qaattndel Witte ; cosi lae, Dani., Lan„
OlLfBoce-,FàUoBocc,B*nv ,BwU,8errav.,
Tal., VeU., OtOi, Catt., eco. Come legges-
sero Bambgl., An. SeL, Petr. Dani., An,
Fior., Land., ecc. non si poò indovinaro.
Al. SALVA l'acqua OLI ABOIKI, doè: il
ftimo del msoello Da ombra, e così il va-
pore, spegnendo le cadenti &lde, salva
gli argini dal taooo. Così Oom. ed alcuni
altri oodd., prime 4 edlz. Barg., Foie.,
BéUi, Z. F., ecc. « Dal Aioco, il qoal cade
da alto, l'acqua salva gli argini, che
sono dalle ripe »; Barg. TX Viv. difende
questa lezione, aflìftrmandola del Bartol.,
dopo averne cancellato arbitrariamente
Ve! Cfr. Fiamnuizzo, Cod. Friulani deUa
D. O. I, p. 12. Il Foee.: «All'acqua non
necessitava d' ossero difesa dal fuoco ; e
per dò appunto eh' era bollente, esalava
ftimo che ammorzava le fiamme innanzi
che cadesser sovr'essa, com'ò natura
d'ogni vaporo. Cod l'esalasionl di Flege-
tonte preservavano 1 sud margini, ch'al-
trimenti d sarebbero infocaii e consunti ».
4. GuizzANTS: AI. GuzzANTB: chi in-
tende di Wittand o Weiseand, cfr. O. VUl.
XII, 68, villaggio della Fiandra vicino
al maro; chi di Cadeand, isola e dttà
di contro le isole della Zdandta verso il
nord ; cfir. Dalia Vedova in D. e Padova,
p. 80 e seg. Lanci, Bulicarne e Chia-
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BC. 7. GIB. 3]
Inp. XV. 5-18
[SODOMITI]
Temendo il fiotto che vèr lor s' avventa,
Fanno lo schermo, perchè il mar si fìiggia,v
E quale i Padovan lungo la Brenta,
Per difender lor ville e lor castelli,
Anzi che Chiarentana il caldo senta;
A tale imagine eran fatti quelli.
Tutto che né si alti né si grossi,
Qual che si fosse, lo maestro fèlli.
Già eravam dalla selva rimossi
Tanto, ch'io non avrei visto dov'era,
Perch'io indietro rivolto mi fossi;
Quando incontrammo d'anime una schiera,
Che venian luugo l'argine, e ciascuna
Ci riguardava, come suol da sera
ma, 1872, p. 29 e seg. - Bkug-
», dal t«d. dù Brilcke, città
a Fiandra occidentale. «Tro-
esant verso il confine occi-
[a Fiandra Dantesca, Brag-
dentale, apparisce cbe Dante
ò nomi volle indicare la diga
la an capo all'altro del paese,
de* due Inoghi ò presso a 120
) 65 miglia geografiche ita-
fa Vedova, 1. e, p. 90.
: flusso del mare. - s'aamtkn-
ro addpsso impetooso.
[O : argini e dighe. - fuogia :
ontano. Fuggia conginnt. di
iggire. « Nano rapidns (pon-
que a>flta revoluta resorbens
litnsqoe vado labente relin-
, Aen. XI, 627 eseg. - Da qne-
ini inferiscono cbe Dante ab-
la Fiandra. Cfr. Boss., 12-13.
B : fanno Io schermo.
INTANA: Cflriuzia, la Claren-
scrittori latini, che anche il
I ben ondici volte Ohiaren-
[nasi tatti gli antichi (anche
Benv.). Secondo altri Dante
Panzana, o Carenzana, monte
> tra Valvignola e Valflronte,
ide lango la riva sinistra della
mdoaltri (7/iùzrenfana deriva
) e vnol diro : parte del cielo
nnvole siano scomparse la-
sereno. Altri di nnovo si av-
Dante intenda del lago di
In ogni caso il senso ò : Pri-
Bvi disciogliendosi al caldo di
primavera, facciano gonfiare la Brenta.
Sopra qnesti versi cfr. la letteratura ci-
tata dal De Bat. I, ^39 e seg., 724. Lu-
nelli, SuUa voce Chiarentana di J>. ^I.
Ven., 1843 e Trento, 1864. Scolari, La
Chiarentana, Ven., 1865. Lanci, Del Bu-
licame e della Chiarentana, Roma, 1872.
Searabelli, La Chiarentana e il Bulica-
me, Boi., 1872. Ferrazzi, V, 829 e aeg.
Dalla Vedova, loc. cit., p. 83 e seg. Pa-
lesa, Dante-BaceoUa, Trieste, 1865, p. 16.
Bat*., 428 e seg.
10. A TALK : gli argini del rascello erano
fatti a similitadine dei ripari che i Fiam-
minghi oppongono al mare, ovvero come
gli argini che i Padovani fanno lungo la
Brenta, benché di minor mole.
12. QUAL: chinnque ne fosse il ooetmt-
tore. « Mostra di dubitare se, come alla
terra creata da Dio hanno gli nomini ag-
giunto delle opere, così all' Inferno, pnr
fatto dalla divina Potegtate (It\f. Ili, 6)
abbiano i demoni aggianto alcnna ooea»;
Lomò. Al.: Qnal ohesifMse l'altenca e
la grossezza degli argini. Lo Z. P., 87 e
8® j^- I<)SRO : QUAL CnS 81 F068BR, e Spiega :
« A tale imagin eran fatti qaelli (argini
in/emali), tatto che (iebbene) qaal che si
fossero (in qttalunqtte modo fotnero, sot-
tintendi /atti), il maestro non li fece nò
sì alti né sì grossi (come sono i ripari
Jlamminghi e padovani). » Cfr. Monti,
Opere, V, 239 e seg.
14. Dov' RRA : la selva dei sniddi.
18. BiGUARDAVA : per l'inaudita novità
del fatto; cfr. Virg., Aen. VI, 268 e seg.
450 e seg.
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[cnc. 7. ont. 8]
Ivt. X?. 19-26 [BBUKETTO LATINI] 189
if Guardar Vxm l'altro sotto nnoya Iona;
E si vèr noi agnzzavan le ciglia,
Come il vecchio sartor fa nella cruna.
22 Cosi adocchiato da cotal famiglia,
Fui conosciuto da un, che mi prese
Per lo lembo, e gridò: e Qual maraviglia f »
ss Ed io, quando il suo braccio a me distese.
Piccai gli occhi per lo cotto aspetto
19. mvorA: quando mand» più debole
Q fame. « Kam cam lima eet nova, ik«
pnBstatDoWa lumen, qnia est coninDota
•ott.^ lati ergo tamqnam aob noete re-
qietant, quia eoram obeooriHima colpa
fagit onóilno Inoem. * Bcn«. Cfr. VWg,,
Am, TI, S68 e aeg., 452 e wg.
V. nSé. Srunttto ZoHni. Uno di
qQefU 8|iiritl, adocchiato Dalite. eaprime
BefaTigtia e gli stende il braccio. Dante
lo rieonoece; è Brunetto Latini, col qoale
Dante hA mi aflbttiioeo oolloqnio.Nacqne
Branetto da lllastre CunigUa fiorentina
reno il 1330. e morì a Firenze nel 12M.
U«ao politico, preee parte a molti ayre-
BiiMati d«na dttà eoa. Fa notaio, onde
fl titolo di Mre ; poi aegretarlo capo del
eoBBtte di Firente. Venne mandato aro-
baidatore ad Alfoneodi Castlglla nel 1260
(cfr. G. FTU. VI. 73). e, ritornando, seppe
dei riToIgimenti della patria In oonse-
goensa della sconfitta de'Gaelfl a Monte
Aperti (4 aeU. 1260). onde andò in Fran-
cia e rirapAtrIò, inneme c<^Ii altri On<*lfi,
dopo la battaglia di Benevento <26 feb-
braio 1366). Nel 1269 era notortiM n#e non
»eriba cuntOiorwn communig Florentiee,
e scriba era tottavia nel 1278. Nel 1280
iaterrenne nella oondnsione del compro-
BMaBO tra Guelfi e Ghibellini ; nel 1287
fti priore e nel 1280 aningatore nei con-
dili geoOTalS di Firense. Ctt, G. Fi».
VI, 7S, 79 ; Vili. 10. FU, ViU., Vite. Non-
mtat^ Man, l*. p. 422 e seg. SwnàJby^Bran,
Xat.i;«meto^^ftiÌ/tM>«Kop6nbagen,1869,
trad. itaL di R. BenUr, Fir.. 1884. Im-
briani. Scritti dant., 831-80. Fawriel,
MitL UtUr. de la Framet, XX, 284 e
t^. ScherSUo, Alcuni eap. della bioifr.
di D., Tor.. 1896, p. 116-221. Non ta mae-
stro di Dante, ma suo aatorevole consi-
^iatare negli studi. Del idaio di che Dan-
te Io la colpevole, non s* ha altra prova
ehe le parole del Poeta ; ma, data l' indole
deUacdpa, si capisoecome non sia fftdle
trorarae ttacda in cronache oin altri do-
cumenti. Cfr. SekcriUo, o. e. p. 185. « Fu
grande filosofo, e fta sommo maestro in
rettorìca, tanto in bene saper dire, quan-
to in bene dittare. Fu mondano nomo....
oomindatore e maestro in digrossare i
Fiorentini efkrgli scorti in bene parlare,
e in sapere guidare e reggere la nostra
repubblica secondo la politica. » G. Vili,
VUI. 10. - «Brunetto Latini de'nobiU da
Soamiano fu di professione filosofò, d'or-
dine notaio, e di fiama celebre e nominata.
Costui quanto della rettorica potesse ag-
giungere alla natura dimostrò ! nomo, se
eoa! è lecito a dire, degno d'essere con
quelli periti e antichi oratori annumera-
to.... Fu motteggevole, dotto e astuto, e
di certi motti piacevoli abbondante, non
però senza gravità e temperamento di
modestia, la quale faceva alle sue piace-
volesxe dare fede giocondissima, di ser-
mone piacevole, il quale spesso moveva a
riso. Fu oflBcioso e costumato, e di natura
utile, severo e grave, e per abito di tutte
le virtù felicissimo, se con più severo
animo le ingiurie della furiosa patria
avesse potuto con sapiensa sopportare. •
FU. ViU., VUe. Vedi più sotto ai versi
82 e 110. ecc.
22. COTAL: «sdlioet tam infami »ìBenv.
- FAMIGLIA: Schiera, brigata.
24. LEMBO: della veste, perchè, essendo
giù nella rena, rimaneva assai più basso
di Dante ohe era snll' argine. - maravi-
glia : di vederti I e qui 1 e vivo ancora I
« Nota quod iste Brunettus. ultraadmira-
tionem generalemquam habebant omnes
de videndo eom vivum in tali loco sine
pcena, etiam miratur particulariter, quia
videbat eum appulsam ad tantam glo-
riam quod faciebat in vita, in medio iti-
nere vite human». Istud mirabile iter
per Infernnm, et istud nobile opus per
quod qoeerebat salvare se et silos, qaod
non erat simile suo vili Thesaoro •; Benv,
26. FIOCA] : lo guardai nel viso abbru-
stolito dal fuoco.
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f^T
140 [CEBO. 7. GIB. 8] - InF. XY. 27-85 [BBUHSTTO ItÀTim]
28
81
34
Si, che il viso abbruciato non difese
La conoscenza sua al mio intelletto;
E chinando la mano alla sua faccia,
Risposi: e Siete voi qui, ser Brunetto? »
£ quegli : « 0 figliuol mio, non ti dispiaccia
Se Brunetto Latini un poco teco
Ritorna indietro, e lascia andar la traccia.
Jo dissi a lui: « Quanto posso ven prece;
E se volete che con voi m'asseggia,
27. DinsB: Don m* impedì di rìoono-
soerlo.
29. LA MAKO : eoA i più. Al. L£ MIA ;
così leggendo si dorrebbe intendere: Chi-
nMido 1» mia tàociAveno la sua, non già
per rioonoaoerlo meglio, ma per oaeeqnio.
ifi diffioile decidere qnale sia la lesione
antendca. Il Viv. falsificò la les. del Bar-
tol. leggendo la mia (voi. I, p. 181), men-
tre il ood. ha LA MAKO (ctr. Fiammoito,
Ood. FHid., 1, 12 •. Cfr. Z. F„ 88 e seg.
Moore,OrU.,l05 nt.20.« Uttangerem eum
in fkx^nte. qusB erat mìhi magie vidna, Si-
on t ipse ceperat me per infimam vestem
qaie erat sibi magia vicina, quia ego
eram altos et ipso bassas »; Bénv, Cfr.
V. 24.
30 QUI : sembra esprimere maraviglia
di rivederlo In tal loogo. « A voler te-
ner conto dell'esclamazione di Dante,
nel riconoscere in nn sodomita ser Bro-
netto, e dal fatto ch'ei non richiese an-
che di ini, come invece fece del Basti-
cncci e di Tegghiaio, a Ciacco, sembra
potersi sopporre o che la colpa non ne
fosse generalmente nota e U Poeta per
caso la venisse a sapere qualche anno
prima o dopo del 1300, 9 ohe da prin-
cipio ei la credesse nna calunnia, e solo
più tardi, magari qoando già il notaio
era morto, avesse modo di sincerarsi
essere invece qnella voce conforme alla
verità. » Seherillo, o. e, p. 136.
32. Latini: così i più; alcuni oodd.
JjAnvo ictr.Vérnon.Reading», 1, 533-86.
- e Fnit optimas astrologos physica et
moralitate preclams»; Bambgl. - cFa
vicino di Dante, e molte cose gì' inse-
gnò »; An. Sei. - « Fae valorosso e na-
turale persona > ; Joo. DarU. - « Fa nn
tempo maestro dt Dante, e fti sì intimo
domestico di lai, ohe li volle giudicar per
astrologia, e predisse per la sua natività
eom' elli dovea pervenire ad eccelso
grado di sclensa •; Lan, - « L'autore pre-
se da lai certa parte di sdenaa morale » ;
Ott. - « Avendo in un contratto fktto per
lui errato, e per quello essendo stato acca-
sato di fialsità, volle avanti esser condan-
nato per ftUsario, ohe egli voleeae con-
fessare d'avere errato.... Mostr» 1* au-
tore il conoscesse per peccato contro a
natura»; Bo^.-Etn già tempo oh' elli
fa maestro di Dante, ma par mostra ohe
di tal vieio, cioè di soddomito, egli fosse
pecchatore »; FaUo Boce. - « Da questo
ser Brunetto Dante imparò molte cose,
e però li f% grande reverenaia » ; BuU. -
« Fu grande rettorico, et nomo moralia-
simo.... mentre oh' elli vìmo, singolare
amico dell' Aottore»; An. Fior. - « Ultra
istud vitium sodomie, in quo fùit invo-
lotus, etjam in hoc defldebat, qnod nlmis
presumebat de se ipso » ;8errav. - « Uomo
di gran sciensa, col qnale assai praticò
Dante per imparare da lui »; Barg, Cfr.
TodéacKini, I, 287 e seg. Zantumi Stor.
deìl'Aecad. della Onuca, 106 e seg. Im-
hriani, loc. cit.
88. INDIETRO: per ragionar teco.~ TRAC-
CIA : la comitiva dei compagni che anda-
vano in diresione opposta. Confr. It^.
XVIIl, 79. Boce. legge e punteggia:
« Non ti dispiaccia Ser Bronetto Latini
un poco teco ; Bitoma indietro, eoo. »;
cioè, non ti dispiaccia d'avere me al-
quanto teco; eco. Ctr. Z. F., 86 e seg.
Ha chi ritoma indietro, è Brunetto, non
Dante.
34. PBBco : è il lat. precor -» prego.
86. m'abssggia : mi metta a sedere con
voi. Ha dove? Come? Mazg.t « Prendia-
mo quel verbo nel significato di Iroite-
nerai, ed ogni dubbio sparisce.» ilMedern
non ha mal il significato di tratUnerH^^i
ctr. Voe. Or. I*, 766 a. Bisognava addurre
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teac. 7. 0IB. 8]
iNF. XV. 86-51 [BBUNETTO LATINI] 141
Faròl, se piace a costui; che vo seco. >
« O figliaci, > disse, e qnal di questa greggia
S'arresta ponto, giace poi cent'anni
Senza arrostarsi, quando il fuoco il foggia.
Però va' oltre; io ti verrò a' panni,
E poi rigiugnerò la mia masnada.
Che va piangendo i suoi etemi danni. »
Io non osava scender della strada
Per andar par di loi ; ma il capo chino
Tenea, com'uom che reverente vada.
Ei cominciò : « Qual fortuna o destino
Anzi l'ultimo di quaggiù ti mena?
E chi è questi che mostra il cammino ? »
« Lassù di sopra in la vita serena »
Bispos'io lui, « mi smarri' in una valle.
Avanti che l'età mia fosse piena.
qaaldìe esempio. Benv. legge Mi beo-
GU; BuHz «m'asskoou, doò » «edere
ai ponga »; e eoci Barg, eoo.
36. VO: sono lo SQfteompftgaiA e non
pisto separarmi da Ini.
37. omBGOiA : compagnia dei sodomiti.
39. ABBOSTAR8I: affifttlcarsl con furia
nflìMtn-ma per sohermirai oome ohe sia
dalla pioggia di foooo. Nel Casentino
dicono, p. e.: « Pensa ohe il tn' babbo,
Il mi*marfto, e tntti ei arrottiamo giorno
e notte per raccattar qnalohe cosa. » Cfr.
dseem» s. t. Senso : Chi si ferma nn mo-
mento solo, è condannato a giacere poi
immobOe cento anni, sensa potere soher^
mirri dal fooco; cfr. Inf. XIV, 40. Al.
6CKZA BOeTARSI, BXSTAB8I, BIBTABSf , 000.
Cfr. Z.F..90 9 seg. Moore. Orit., 811 e eeg.
-PB06IA: ferisco secondo alcuni da fie-
dert, secondo altri dal rerbo antiquato
fegyiare ■— ferire.
40. a' PA3fin : appresso ; < ita qnod onm
4»pite attingebat pannos antoris, et ag-
ger iste videtar esse altos per statnram
Qsins hominis »; Beno,
41. MASHADA : anticamente questa voce
non arerà cattlTo senso ; la osarono so-
▼ente H ViOani e il MaeMavOU. E Bm-
ne^o Latini la usò più roKe nel senso di
fittBiglia (Tré»., p. 257, 258, 833, eoo.), co-
me Dante ohisónò poco tsk famiglia que-
,, sta ^pmpagnia di sodomiti.
* 42. DAHia: p«»e eteme.
48. vov OSAVA : per paura delle fiamme
cadenti e dell'arena infocata.
44. PAB : di pari con lui. -CHnco : o per
roTerenza, o soltanto per udir meglio. -
« Hoc aotem flgorat qnod debemus ho-
norare virtotem in istìs talibns infami-
bns, et loqni oum eia per transitum, ne
eorum nimis propinqua et freqnens con-
Torsatio redderet nos in&mes »; Benv.
46. POBTUif A : « qnal celeste influsso, o
qnal divina provvidenza T »; Téli.
41, ANZI : prima di morire : oftr. Virg.,
Aen. VI, 531 e seg,
48.M08TBA: ti guida i>elmondode'morti.
49. SBBENA : paragonata a quella di lag-
giù neir Inferno.
50. VALLB : selva oscura ; cfr. Ir^. I,
1 e seg.
51. PIENA: compiuta: prima di avere
n^gianto Tetà di trentadnque anni, ohe
secondo Dante è V età piena, o compiuta;
cfr. Oonv. IV. 23, ed anche Wf» IV, 18.
A trentaoinque anni si accorse di essersi
smarrito nella selva oscura, Ij\f. 1, 1, e
seg. Ma vi ò entrato, senza accorger-
sene, alcun tempo, in realtà probabil-
mente qualche anno prima; oi^. Purg.
XXXJ, 34 e seg. « Sarà sempre una gran
conftisione, se questo verso non si spie-
gherà, avanti che foae compita la mia
età ; cioè avanti ohe io avessi piena qnel-
V età, ohe la provvidenza mi ha conce-
duto di vivere»; BeUi.
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ERC. 7. GIB. 8] iNF. XY. 52-63 [BRUNETTO LATINI]
Pur ier mattina le volsi le spalle :
Questi m'apparve, tornand'io in quella,
E riducemi a ca' per questo calle. »
Ed egli a me : e Se tu segui tua stella,
Non puoi fallire al glorioso porto,
Se ben m'accorsi nella vita bella;
E s'io non fossi si per tempo morto,
Veggendo il cielo a te cosi benigno,
Dato t'avrei all'opera conforto.
Ma quello ingrato popolo maligno,
Che discese di Fiesole ab antico,
E tiene ancor del monte e del macigno.
i : soltanto. - volsi : procuran-
ire il dilettoso monte.
E8TI : neir Inferno non nomina
[ilio, forse per reverenda, come
na mai nò Dio, nò la B. Vergine,
. Lo nomina in tntto il poema
s : la prima a Staxio, per esor-
li Virgilio stesso, Purg. XXI,
;. ; la seconda a Forese, Purg.
130. Virgilio dal canto sno non
aia che a Ulisse ed a Bordello.
LLA : valle, o selva osonra ; cfr.
1.
:a' : a casa. Si pnò intendere :
ndaoe al mondo di sopra; » op-
iii gnida al cielo » che ò la ea'
eir nomo ; o£r. Ebrei XIII, U:
jemns hic manentem civitatem,
■am inqnirimns ». - callk : via,
straordinario.
9 Vicende dinante. Set Bm-
dioe a Dante e la ventura sua
le prossime sue sventure, causa
i operare e la bestiale ingrati ta-
inoi concittadini. « Vi sono pre-
risponde il Poeta, « nò tale va-
ò nuovo. Purché non mi rimor-
densa, avvenga ciò che vuole ! »
o: «Sta bene cosi; tienlo bene
! »
:lla: nacque Dante quando il
ttGemini,Far.XXII,110e8eg.,
ologhi dei tempo credevano che
>sse « significatore di scrittura,
za e di cognoscibilitade »; OU.
XXVI, 23 e seg. Al. : Se oolti-
i lo studio e la meditosdone l'in-
l che sei dotato, te ne verrà
loria. Cft*. CoUigro»»o, La pre-
i Brunetto Latini, Roma, 1896.
AOCOBSX: si deduce da questi
versi che, nascendo Dante, Brunetto
gliene figusesse V oroscopo. È vero che
nn astrologo non congettura, ma spac-
cia per inflnllibili le sue predizioni. Per
altro laggiù nel settimo cerchio Ser Brur
netto aveva forse imparato a d abitare
alquanto della propria infsllibilità. - bel-
la: del mondo. Z. F. legge ooìTAnt. e
con qualche altro cod. in la vita no-
vella, il che « vale anzi tutto : neUa tiut
gioventù i.... ma significa inoltro : Per
quanto potei giudicare da quel tao liber-
colo, cui titolasti Vita nuova ».
58. PEB TEMPO : in riguardo a Dante.
Brunetto morì vecchio.
&9. VKGQSNDO : Brunetto ta « optimna
astrologus »; Bambgl.
60. OPEEA : politica e letteraria.
61. POPOLO : fiorentino. « Cioò quei che
reggevano la città, che si reggeva in
quel tempo a popolo, il quale egli chia-
ma ingrato, perchò gli renderebbe male
per bene, e maligno, perchò giudiche-
rebbe a mal fine tutto quello che Dante
facessi a buono *; OeUi.
62. Fiesole : lat. Fcetulm, antica città
d' Etmria a tre miglia circa da Firenze,
della quale si credeva madre; cfr. G.VìU.
I, 7, », 35 e seg,; II. 2; III, 1, ecc. Cfr.
Com. Lipt. V, 241 e seg. Lami, Lezioni
di antiehUà toscane, Fir.. 1766, 1, 278-
84. Sdlvini, Discorsi Aeead., Fir., 1725,
I, 351 e seg. Eneid. 783 e seg.
63. TIENE: ò ancora rozzo e scostumato.
Lo dice Dante. «Del monte, in quanto ru-
stico e salvatico, e del macigno in quanto
duro e non pieghevole ad alcuno liberale
e civil costume »; Boee. - « Unde homi-
nes nati, durum genus »; Virg., Georg, h
63. - «Multaque per ccelnm solis volven-
tia lustra Volgivago vitam traotabant
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7»
Ti
Ti si farà, per tao ben far, nimico:
Ed è ragion; ohe tra li lazzi sorbi
Si disconvien frattare al dolce fico.
Vecchia fama nel mondo li chiama orbi,
esente avara, invidiosa e superba:
Da'lor costumi fa' che ta ti forbi.
La tna fortuna tanto onor ti serba,
Che runa parte e l'altra avranno fame
Di te; ma lungi fia dal becco l'erba.
Faccian le b^estie fiesolane strame
Di lor medesme, e non tocchin la pianta,
Se alcuna surge ancor nel lor letame,
1 ImctH., Ber. wU, V,
•n • Mg. - « Geni» domm snmos expe-
ritDsqne l«bonuD, Bt docnmente damnt,
qoa «batti origine ii*tÌ9; Ovid., MtLl,
414 e Mg.
•4. BKV FAB: mA oppote sU» renato In
FifVMe di Cnrlo di VaIoìb. HelU sen-
tcaca éel 27 Gennaio 1302: « Vel qnod d»-
mt, ilTe ezpenderen» oontn.... dom{-
Boi KATolnm prò renitenti» sai adven-
tm », - Mn è però tempre Dante ohe qui
porla. - nxioo: «oioètibandiràetiooa-
tKfaerà i beni, e ti persegoiterà a mor-
te»; Oui.
tf. LAizi : aspri, di sapere aere. I lazsi
terH sono i Florentioi, Dante ò il dolee
/h$. Sfivgo di orgoglio oflfeso.
M. Al. DOLCE: Al. IL DOLCE) Cfr. Z,
F., 02.
«7. OBBl: soQ'origfne di qnesto prorer-
bio li hamiodiie tradisionL e.FOI.II. 1:
«Totile mandò a' Fiorentini che Tolea
ttiMr loro amico, e in loro lervigio di-
staogget^ la città di Pistoia, promet-
tendo e oKMlrando loro grande amore,
e di dare loro fnndiigie con molti larghi
patti. I Fiorentini malayTedotl (e però
terono poi sempre in proverbio ohiamatl
eieefaU eredettono alle ine Iblee losin-
gbe, eoo. » Secondo Taltra tradisione, i
FlMeotiai si lasdarono gabbare dai Pi-
maii, ^e oflbraero loro dne colonne di
Porfirio goaate dal fbooo e perdo coperte
di aearlatto, le qnall i Fiorentini prese-
re, non «vreid^doil ehe troppe tordi del*
r inganno. Ooil 1 oomm. ant. Bumbgi,
ereée inreoe ebe Danto ehiami orbi i FhH
rentlrt « ex vitlo superbie, aTarltle et
iBTiae».
68. AVARA: cfr. Jf^. VI, 74 e seg.
69. n forbì s ti forbisca, ti conserri
poro.
70. FOBTUiiA : « disposislone de'oieli »}
An,Fiar.
71. PARTR : Bianchi e "Svtì, - fahr : de-
sidereranno di arertl dallaloro.CosI qoasi
tutti. InreoelVxteseA.: «Ambedue leparti
dei tool concittadini ti odieranno amorto,
ma non potranno riuscire nel loro inten-
to; si strazino fra loro, eco. » Ma non ò
▼ero che fame abbia sempre un senso
odioso e nemico. La prima intorpreta-
xione merito la preferensai per Taltra
▼. Par. XVn. 61 e seg. Cfr. OipoUa, Inf.
XV, 70 é tegg. Aorereto, 1800.
72. LUNGI: non potranno sodisfare 11
loro desiderio. - « Ha tal desiderio non
Tenne ne' Fiorentini, se non poiché Danto
Al morto. S allora fri Teramento Z'«r6a
Umgi dal béeco ; e invano domandarono
a* Kavignanl le ceneri sue. » BetU.
78. BI8TIB : chiama cori i suoi concitta*
dlnl, ohe egli vuole, o crede discesi da
Fiesole. - strame : « storquilinlnm et
leotom, di lor medeane, quasi dicat:
fftoiant dlstraolum de se ipsis, et dlmit-
tant virtoosos, qui desoendemnt a ro-
manorum sanguine generoso » ; Benw.
74. PIANTA : pare che Danto voglia qui
vantorsi di discendere degli antichi Ro-
mani ohe fondarono Firenie. Vanito uma-
na! «Lui pare volere in alcuni luoghi i
suoi antichi essere stoU di quelli Somsni
che posero Firense. lia questo è cosa
molto incerto, e, secondo mio parere,
niento è altro che indovinare. » Leon.
Brwni, Vita diD.-* Danto si pretondea
disceso dal seme Romano e non dal Fie-
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144 [CBBC. 7. OIB. 8] INF. XV. 70-8»
LBBUVBTTO LÀTmj
70
70
85
In cui rivìva la Bementa santa
Di quei Boman, ohe vi rimaser, quando
Fu fatto il nido di malìzia tanta. »
e Se fosse tatto pieno il mio dimando, »
Bisposi lai, e voi non sareste ancora^
Dell'umana natura posto in bando;
Ohe in la mente m' è fitta, ed or m'accora
La cara e buona imagine patema
Di voi, quando nel mondo ad ora ad ora
M'insegnavate come l'uom s'eterna:
E quant'io l'abbia in grado, mentre io vivo,
Oonvien che nella mia lingua si scema.
Ciò che narrate di mio corso scrivo,
£ serbolo a chiosar con altro testo
loUno, da'qiiali insieme congiunti la oit-
tadlnanE» fiorentina era nata »; Ro§§.
76. 8AHTA : « popnlas ille aanotas, pina
et glorioena »; De Mon, II, 5. l^fel Òonv.
IV, 6, Roma ò la §anla città, \ Romani
divini cittadini ; cft*. If^ II, 22 e se?.
77. B1MA8BB : ad abitarvi ; ofr. 0. ViU,
I, 88.
78. NIDO : Firenie. « E nota, perchè i
Fiorentini sono sempre in gaerra e in
dissensione tra loro, che non è da ma-
ravigliare, essendo stratti e nati di doe
popoli oosi contrarii e nemici e diversi,
come ftirono gli nobili Romani virtndiosi,
e' Fiesolani mddi e aspri di guerra »;
a. vm. 1, 88.
70. piEvo: esandito. - dimando: pre-
ghiera. Se ogni mia preghiera fosse esau-
dita, voi sareste ancor vivo; ofr. v. 58
e seg.
82. ACCORA: vedendo cotto il vostro
aspetto, abbruciato U vostro viso, v. 26
e seg.
84. QUANDO HBL MOKDO : Al. KKL MON-
DO, QUANDO; Cft- Z. F., 92. -AD ORA AD
ORA sovente : di quando in qnando.
85 s'etrrna: per messo della sdenea,
acquistandosi fama, cf^. In/, II, 58-60.
Si parla qnl di gloria ed immortalità let-
teraria.
86. ABBIA: Al. ABBO. - MINTRK: fin-
ché io vivo.
87. LINGUA : parole. - si sckbna t si ri-
conosca. Ma non contradice il Poeta a sé
stesso, cacciando la cara « buona imagine
patema di Ber Brunetto tr« i fodomlti
nell' Inferno e tramandandone così il no-
me coperto d' infamia alla posterità f Al
Littré, che s'era maravigliato di tale
oontradisione così rispondeva il D'Ovi-
dio (cit dallo SeheriUo, o. o , p. ISA) :
« E non pensa [il Littré] che è appunto
nella dottrina cattolica, a coi Dante non
poteva ribellarsi, questo, ohenn peoo»to
mortale, anche isolato, se non è «menti-
to col pentimento almeno deirnltim*ora,
danna irreparabilmente anche raomo
più virtuoso e nobile in tntto il resto.
Non pensa che è ansi da ammirare la
magnanimità e la relativa spregiodica-
tessa di Dante, ohe, sensa ribellarsi, ed
ansi facendosi banditore della divina gin-
stisia verso tali nomini, mantiene però
intatto il sno ossequio alle vere virtù
che li ornarono. Non considera l' efTetto
morale che Dante certo si proponeva di
oonsegnire dimostrando come V uomo
quasi in tutto virtuoso non debba però
gittarsi spensieratamente in un grosso
Visio con la speransa che questo restì
neutralissato dalle virtù : avvertimento
non inutile al cerio, in una età selvag-
gia qnal era quella, in cui tanto fsoil-
mente il tratto gentile, Talta coltura
della mente, il ooragirio a tutta prova,
si trovavan uniti nella stessa persona
con qnalcAe abito rosso e barbaro. » Si
etr, anche Oom. Lipe., I*, p. 244-5.
88. CORSO : vita Altura. - scrivo : nella
mia mente i cfìr. Pron, VII, S.
89. càiOBAB: farmelo spiegare. - al-
TBO: le parole adite da Ciacco, It^, VI, M
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[CISC. 7. eiR. 8]
In?, xy. 90-104 [bbuivbtto latini] 145
:»3
A donna ohe saprà se a lei arrivo.
Tanto vogrio ohe vi sia manifesto.
Pur ohe mia oosciensa non mi garra,
Che alla Fortuna, come vuol, son presto.
. Non è nuova agli orecchi mìei tale arra;
Però giri Portana la sua mota
Come le piace, e il villan la sua marra ! »
Lo mio maestro allora in su la gota
Destra si volse indietro, e rigaardommi ;
Poi disse : « Bene ascolta chi la nota. »
Nò pertanto di men parlando vommi
Con ser Bronetto, e domando chi sono
Li snoi compagni più noti e più sommi.
Ed egli a me: « Saper d'alcano ò buono;
Degli altri fia laudabile tacerci,
• Mc^ e dft farinaU d«gU Uberti, Ji^.
X. 7» e mg.
W.dosxa: BeaMoe, dalla quale saprò
éi Mia vita U viaggio, Ifkf, X, 182. - 8B:
•e Dio mi ooooede di tonniiiare qaeato
Aio Tia^glo.
01. Tauro : Iftt tantum, soltanto. Sap-
piate eoltaato cito, soloofaela aiiaoosolen-
naeii mi rimorda, né le Tioende ed i oolpi
a Fortona, né le perseonsioni del mal-
ragi non potranno mai atterrarmi, sfln-
teaiiomi ben Uragano ai eoìpi di ven-
tmrm (Por. XVII. 19-24).
92. GABBA: garrisca, riprenda oome
estperoto delle mie ayyersità) efr. It^.
XXVUI, 116 e 8eg.«Qaanto pih V nomo
•eggiaee allo intelletto, tanto meno sog-
giace alla Fortoaa»; Oone. IV, 11.
93. FBBrro : appareceblato a sostener-
nei ocrfpi.
94. ABBA: pagamento, mercede (ofr.
Uaoi9mi-Tomm, Tati t patti di D., p. 66
• S8g.|. Bronetto gli ha predetto qoal
wksretdé agili avrà del ano benfare, ▼. M,
eDanieriaponde: «Konmièoosannora
die arre t«l mercede. > Al. : arra'—eth
farmi qoi predizione, la qoale, se Te-
rse», è ▼ommente una caparra del bene
• del male annamdato.
95. ona : veltea eoa epera, efr. J/^.Yll,
n. Bartaèi, Rag. aead. H, 25: « Oli an-
fcièU flgvrwone la Cortona ohe ella gi-
nase sempre nna nota per mostrare la
ma tnataliiUtà. »
9t. MABBA : «qoasl dloat : omnia fiustant
^ktem aonm, et ocelom et homines mn-
10. — JH9. Oomm., 4» ediz.
tent vices soas, quia ego non matabor »;
Benv. - cF^Miia la Fortona e ihodano li
nomini, come piace loro, eh' io sono per
sostenere»; ^ii<». Cfr. Virg., Aen.Y, 710.
98. dbbtba: arendo adito un'ottima
99. bbhb: Virgilio gli ripete con un
prorerhio ciò che aveagli detto, Inf. X,
127 e seg. Al.: Hai ben badato al miei
detti; ofr. Virg., Aen. V, 710. Al.: UUl-
mente ascolta ohi ben imprime nella
mente le parole dei sari. Benv.: «quasi
dioat : n<m dlxisti sardo ; magna laos est
ista et bene ralens eris, si feoeris hoc ».
Cfr. Blane, Vere%ieh 1, 186 e seg.
V. 100-124. ZetteraHeodomiti, Dante
dimanda a Ser Bronetto : « Chi sono i pih
Cimosi de* vostri oompagnif » « È bene
oonosoeme alcono ; di tatti il tempo non
concede di parlare. Tatti furono cherid
e oelebri letterati. Vedi là Prisciano e
Franoesco d'Accorso; se ruoi, puoi an-
che ▼edervi il tcscovo Andrea de' Mozzi.
ICa non posso allungarmi di pih, che viene
in qua una schiera con la quale non mi
è lecito di stare. Ti raccomando il mio
Ttioro, né ti domando altro Ciò detto,
ritoma indietro veloce a raggiungere la
sua masnada Suppone il Poeta questi
dannati divisi in schiere secondo la gra-
vità della colpa. Passare dall' una all'al-
tra non è loro concesso: ciascuno deve
rimanere in etemo nella eua schiera.
100. PKBTAiiTO : benché Virgilio si fos-
se volto indietro.
102.Mon:perteBia.-BOifiq: pcrdi^nità.
iitizedbyV^OOgle
^^.
146 [osBC. 7. GIR. 8] Int. xt. 105-118
[ALTBI SODOMITI]
106
109
112
115
Che il tempo saiia corto a tanto suono.
In somma sappi che tatti far cherci,
E letterati grandi e di gran fama,
D' an peccato medesmo al mondo lerci.
Priscian sen va con quella turba grama,
E Francesco d'Accorso anche ; e vedervi,
Se avessi avuto di tal tigna brama,
Colui potei che dal Servo de' servi
Fu trasmutato d'Amo in Bacchigliene,
Dove lasciò li mal protesi nervi.
Di più direi ; ma il venir e il sermone
Più lungo esser non può, però eh.' io veggio
Là surger nuovo fummo dal sabbione.
105. ▲ TANTO: a ooil lunga storiai tanti
i letterati e oherid aodomitt I
106. CHEsa: oherici. La masnada di aer
Brunetto si compone parto di nomini di
chiesa, oome Andrea de' Moxzl, parto di
nomini di lettore, oome Franoesoo d'Ao-
oorso, parto di nomini di chiesa e nello
stosso tompo di lettore, oome Prisoiano.
108. LKBCi : lordi tutti dello stesso peo-
cato di sodomia.
100. Pbisciah: PrUcianut Ocetarim-
m, celebre grammatico della 1* meti^
del 60 secolo dell' èra volgare. « Fa nn
grande maestro in gramatica, e fece ano
utile libro per imparare gramatica »;
An. Sei • « Prisdanns ponltnr hic tam-
quam clericns, qnia monachos tait et
apostotovit nt acqoireret sibi maiorem
famam et gloriam.... Ponitar etiam tom-
qaam magnas litoratas in genere elo-
qaenti», qnia ftiit doctor, regolator et
correotor grammatio», Tir yere excel-
lentisslmns, princeps in hao arto primi*
ti va, magnas orator, historicas et aato*
rista. » B&nv. Prisdano dettò la migliore
grammatica latina antica (Inttitutiones
grammoHcm, ed. Krehl, 2 voi. Lips.,
1810 20: ed. HerU. Lips., 1855-60) ed
altri lavori filologici di minor mole ; inol-
tre si hanno di lai dne poemi : De laude
in^>erat9ri§ Aiuutaeii e Perisgeeie (ed.
Bcehren» in PoeUe latini minore», voi.
V, Lips., 1888).
110. Accorso: Fiorentino, figlio del
celebre giurista Accursio ; insegnò il Di-
ritto a Bologna, andò nel 1978 con Edoar-
do I in qualità di professore a Oxford, ri-
tornò nel 1280 a Bologna, dove mori nel
l»i. «Fu giudice in legge valentissimo,
e chiosò tntt'i libri di legga»; Ai». BeL-
« Lesse in cattedra a Bologna nel gea»
rale Stadio tatti U dì della vita sua >|
OtL - « Fue.... maculato ancora di qussU
risio deUa sodomia » ; An, Fior,
Ul.TiONA: gento sodicla, di viaiigno*
bili. Voce dell' uso. Senso: Se tu avessi
desiderato di oonoecere sì lorde persone^
112. COLUI : Andrea de' Mossi, flittd
canonico di Firense nel 1872 ; vescoT«
ivi nel 1887 ; trasfsrito dal vescovado dj
Firense a quello di Vicenaa nel 1895]
morto a Vicensa tt 38 agosto 12M. •JA^
cesi costui essere stoto un messer An-
drea de* Mossi, vescovo di Firense, H
quale e per questa miseria, nella qasl«
forse era disonesto peccatore, e per molM
altre sue sciocchesse che di lui si rso<
contano nel vulgo, per opera di messel
Tommaso de' Mossi, suo fratollo, il qusk
era onorevole cavaliere, e grande ne]
cospetto del papa, per levar dinansi ds<
gli occhi suoi e de' suoi cittadini tanta
abominazione, fu permatato dal papa di
vescovo di Firense in vescovo di Vt
cenxa »; Boec. B delle aeioochéu* ci hs
lasciato alcuni saggi Ben», ohe racconta
oome costui « saepe pnbllce praBdioabat
populo dioens multo ridiculosa. Inter
alia dioebat quod providentia Dei erst
similis muri, qai stana super trabe vi-
det qneecumque geruntur sub se in de
mo et nomo videt eom etc » - POTti :
avresti potuto. - Skbvo : Bonifodo VITI.
118. AbnO: Firense: -^CcmouoifB:
Vicensa. I fiumi per le città.
114. LASCIÒ: morendo.
117. FUMMO : polverìo, per la rena mos-
so dallo soalpi$ar di gento.
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rene 7. on. 8]
lS¥. Xy. 119-124 [BBtmiTTO LATINI] 147
118
m
124
Ghente vien, con la quale esser non deggio :
Siati raccomandato il mio Tesoro,
Nel quale io vivo ancora; e più non cheggio. >
Poi si rivolse, e parve dì coloro
Che corrono a Verona il drappo verde
Per la campagna; e parve di costoro
Quegli che vince, non colui che perde.
118. 6K9TI: « è un* iltra achie» di
émmati, aD* quale Brunetto non dee mi-
Khiani, quantunque rea e eondannata
per riiituMn oolpa di sodomia, essendo
s daaevno de' Tiolenti contro natura as*
wynstio il proprio drappeilo, seoondo la
eoadSsiooe ch'ebbero nel mondo » ; Post.
119. Tbsobo: titolo deir opera prtnoi-
pste di Brunetto Latini, dettato in Un-
san franeeee. Al. intendono del Taoretto,
pfeeolo poema allegorico-morale, dettato
tu ItBgva italiana. II Tetoro del Latini fu
pabbtteato neU' originale franoeee dallo
Ckuèmiae, Par., 1863. Fu volgariss. da
B«o Giamboni, cflr. Il Tssoro di Bru^
•etto Laiimi, wàgarixzato da B. Oiam-
hmd, iOattraio da L. GaUér, 4 toI. Bo-
kfaa, 1878-83. Del TetwreUo e FavoUUo
m haaaoedixioni dello Zanmoni, llil . , 1 824.
« di jS. Wieee nel periodico ÉeUtehrift fUr
rmtami9eh€ PhUolof/iA, 1883, (ksc. 10e20
Sol Tmaretto ofr. BartoU, Leu. Ual., II,
291>3M: «ol Tesero, ivi, III, 27-32. Do-
hdU, Il Tesoro nette opere di Dante»
Vene»., 18M. Altre opere del Latini o
a Ini attribuite : L'Btiea di Aristome ri-
dotta in compendio, ed. del OofbinéUi,
Lione, 1588; ed. del Manni, Ftrense,
1786. Deffinvomions rettoriea di Oice-
rone, trad. da B. Lat.f Roma, 1540. Il
Pataffio, frottola piena di soherso e di
riso, non sembra roba sua. Vedi il bel
lavoro del Sundby, più addietro dtoto
(sopra i ▼. 22-64 del pres. canto).
120. VIVO: nella fiuna di quest'opera.
- CHEGGIO : chiedo.
122. IL DRAPPO: spettacolo popolare
istituito nel 1207, che solea fbrsl ogni
anno la prima domenica di quaresima.
Negli 8UU. Veron.: « Esponi debentqna-
taor bravia, qnorum primom sitVl bra-
chlornm panni virldis sambagatl et fini;
ad quod corretor per muliereshonestas,
etiam si esset una. » Cfr. Parenti in Ood.
Obus,, p. LUI. Barozzi in D. e il euo eec.,
p. 811. Belviglieri, In Albo Dant. Veron.,
p. 153.
124. vnics: tanto correva veloce.
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148 [CKRC. 7. GIB. 8]
IHP. XVI. 1-7
[SODOMITI]
CANTO DECIMOSESTO
GEBOHIO SETTIMO
GIBONE TEEZO: VIOLENTI OONTEO NATUBA
GUIDO GUEBBA, TEGGHIAIO ALBOBBANDI E IACOPO BUSTICUCCI
CATEBATTA BEL FIUME, GEBIONE
Già era in loco ove s'udla il rimbombo
Dell'acqua, che cadea nell'altro giro,
Simile a quel che l'amie fanno rombo;
Quando tre ombre insieme si partirò,
Correndo, d' una torma che passava
Sotto la pioggia dell'aspro martire:
Venian vèr noi, e ciascuna gridava:
V. 1-27. AUra schiera di BodomiH,
Procedendo Ian|^ 1' argine, incontrano
an' altra schiera, dalla qnale tre si sco-
stano per parlare a Dante. Virgilio esorta
questo ad essere loro cortese, perchè gi4
nomini di grande affare. Secondo Petr.
DaìU. ò questa la schiera dei sodomiti
che peccarono agendo eum bettiii, vel eum
mulieribui et uxoribiti tuie alio modo
quam tMtura dieposuerit. Ma di qaesto
principio di dÌTÌsÌone non e' è indillo nel
poema. Il principio della di visione sembra
essere piuttosto la qualità e professione
dei dannati : prima i oherìd e letterati,
poi i guerrieri e gif uomini di Stato. Così
Oa., Biag., ecc.
1. Qìk : appena congedato da Brunetto.
2. omo: cerchio ottayo.
8. ABiriE : le cassette delle api ; qui per
le api stesse, roncanti intomo agli al-
veari. II rimbombo dell'acqua cadente
era simile a quel rombo ohe Duino le api.
ABHIB leggono colla gran maggioransa dei
oodd. quasi tutti i commenti (Bambgl.,
An. 8d., Lan., Oaee., Boee,, Folto Boco.,
Benv., Bvti, An. Fior., Serrav., Land.,
T<a., VeU.,Dan., Oatt., ecc.) e quasi tutte
le edis. lae. DanU legge con pochi codd.
l'api, il Barg. l'abvie fui rkl bombo e
VOtt. l'abmb, lezione difesa dal Oelli e
da Z. F., 94 e seg. I codd. avendo ordi-
nariamente antte è difficile decidere se
s' abbia da leggere amie oppure arme,
Ctt. Moore, Orit., 813 e seg. - bombo t
Tooe onomatopeica, esprimente quel re-
more oonfìiso che fanno le api. Del rombo
delle api Yirg., Georg. lY, 260-68:
« Tnm •ODO» auditor gravior iraetim^us aa-
[larrant.
Prlfl4at ut quondam «llvit lamnrmorat anater.
Ut mare lol liei tnm atrld t raOnaatlboa oadla.
Asatuat nt olaoalt rapidoa formaclboa ignia. »
4. TBK : Guido Guerra, Tegghiaio Al-
dobrandi e Iacopo Rosticucci. - si pab-
TIBO: si staccarono da' loro compagni.
6. COUBRNDO : non è lor concesso di fer-
marsi, ctt. lT\f. XV, 87 e seg. - tobma:
truppa di persone. Voce usata dagli aat.
anche in prosa. Al. tubma ; AL turba.
7. vknìan : la reiasione sintattica di
questo coi versi pi!$o«d. non ò ben chiara.
qTc
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[cnc. 7. eis. 3]
INP. IVI. 8-23 [TRB PIOBENTIHI] 149
€ Sostati ta, che all'abito ne sembri
Essere alcan di nostra terra prava I >
le AHimò, che piaghe vidi ne' lor membri,
Recenti e vecchie, dalle fiamme incese !
Ancor men daol, por ch'io me ne rimembri.
13 Alle lor grida il mio dottor s'attese;
Volse il viso vèr me, e « Ora aspetta ! »
Disse; « A costor si vuole esser cortese;
i< E se non fosse il foco che saetta
La natura del loco, io dicerei
Che meglio stesse a te, che a lor, la fretta. »
19 Ricominciar, come noi ristemmo, ei
L'antico verso; e qaando a noi far giunti,
Fenno una rota di sé tutti e trei.
23 Qual sogliono i campion far nudi ed unti,
Avvisando lor presa e lor vantaggio,
Akoid : Quando dm uba tonna, ohe pas-
■era «otto la pioggia dell' aspro martiro,
■ partirò tee ombre inneme correndo.
TeBiTano, eoe. AI.: Quando tre ombre
yastinmo insieme da nna torma ohe pu-
lara aoito la pioggia dell' acpro man irò,
e eorrendo. Tennero vereo noi. U Bot$.:
* (Quando da qoella «tessa torma ohe co-
•ciiase Braneito a partire, la qnale pas-
saraaotto la tormentosa pioggia di ftioco,
A partirono insieme correndo tre ombre,
per Tenire incontro ai Poeti. »
8. BÒOTATX : fermati. - all' abito : al
vestire. « Anticamente il loro Testlre ed
auto (dee Fiorentini) era il più bello e no-
bOe e onesto che di niona altra nasione,
s mododi togati Bomani > ; a FiU. XII, 4.
9. TB8BA : Firenze. - p&ata : perohè
dirisA in fazioni. O si riferisce forse al-
rabìto ? « Per natura siamo disposti noi
Toi <dttadini delle mutazioni de' nnoTi
aUtif e i strani oontrafiGue oltre al modo
fi ogni altra nasione, sempre traendo al
«aonesto e a vanitade >; O. VUl. XII, 4.
10. HXMBSI: « si paò intendere di tatti
i membri, et ancora de' membri genitali,
i qoali areano male osati, doò eontra
tatara»; Bufi.
11. I9CS0S : accese dalle fiamme. Ineeté
n lìferisee ^piaghe. Al.e Fatte dai vapori
bceai. Bene Benv,: « impresse carni eo-
roB ab inoMidìo flammarom ». - « Le
Isaraie apriran la piaga, poi la bmoia-
Taao»; Tom.
12. PUB : solo che me ne ricordi ; cfr.
Inf. I, 6; XIV, 78; XXXIII, 5-6, eco.
13. s'attesi : si fece attento, OTvero:
si fermò.
14. OBA : cosi i pih ; Al. DIBSJt ASPET-
TA : DISSI ORA ASPETTA DISSE, 000. Cfr.
Moore, Orii., 813 e seg.
15. cortese: aspettandoli ed ascoltan-
doli con riyerenza.
16. SE NON : ti esorterei a correre tn
incontro a loro, se la pioggia di ftaoco non
te lo vietasse, trattandosi di personaggi
tanto raggnardevoH.
19. ET: eglino. Al. heiI obkt! l'an^tco
veruo che ripetono oontinnamente. Coȓ
il piti dei com. ant. Non sembra facile
decidere se qnell' ei sia pronome o in-
teriezione. Cfir. Blane, Vernteh I, 130
e seg.
20. TERSO : o queir bei ! oppure i soliti
lamenti interrotti un istante per parlare
al Poeta.
21. BOTA: girando intorno sopra so
stessi, essendo loro vietato di arrestarsi
mai ; otr. Inf, XV, 37 e seg. - thbi : tre.
22. SOGUOMO : Al. BUOLEN, 0 può stare;
Al. SOLISNO, o SOLSANO; ma il passato
non può stare col pres. tien di tutti i cod.
e com. -CAMPIOK : lottatori. Pugili e Pa-
lestriti. - NUDI KD UNTI : per dar meno
presa. « Exeroent patrlas oleo labent-e
palflsstras Nudati sodi »; Yirg., A«n., III.
281 e seg.
23. AVVISANDO: badando al modo '
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150 [CERO. 7. Gnu 8] Int. XYi. 24-87
[TBB FIOBBNTim]
25
31
34
87
Prima che sien tra lor battuti e punti:
Cosi, rotando, ciascuna il visaggio
Drizzava a me, si che in contrario il collo
Faceva a' piò continuo viaggio.
€ E se miseria d' osto loco soUo
Rende in dispetto noi e nostri preghi, »
Cominciò l'uno, « e il tinto aspetto e broUo,
La fama nostra il tuo animo pieghi
À dime chi tu se', che i vivi piedi
Cosi securo per lo Inferno freghi.
Questi, l'orme di cui pestar mi vedi,
Tutto che nudo e dipelato vada.
Fu di grado maggior che tu non credi.
Nepote fu della buona Gualdrada ;
prender l' aTTersarìo con ranUgglo. «ITt
aese permenai ooaUe, et aterqae prìorem
Sperayere looom eto. »; Stat.t Theb. VI,
758 e leg.
24. OHS BiEN: prima di yenlre all' at-
tacco, di percaotersi e lottarsi.
26. BOTAifDO : girando in oerohio. - Yi-
BAOGIO: riso; forma antica.
26. VX CONTRARIO : correndo in oerohio,
per poter rodere in tLbo Dante, fermo
snir argine, erano costretti a volgere sem-
pre il collo in direxione contraria ai pie-
di. « Atto libero ò, qnando nna persona
va volenUerì ad alcuna parte, ohe si mo-
stra nel tenere volto lo visp in quella:
atto sforsato ò, quando contro a voglia
si va, che si mostra in non guardare nella
parte dove si va »; Oonv. 1, 8. Benv. leg-
ge : sì CHR CONTRARIO, 000. V An. Fior.:
sì CHR CONTRARIO AL COLLO FaCRANO I
Fife, ottima lesione, alla quale non manoa
cho r autorità dei oodd. e di altri comm.
antichi. Ctr. Z. f., 95 e seg.
V. 28>45. 2Vo BlorenUni iUustrL
Parla l' uno degli spiriti in nome dei tre :
«Qoand' anche il luogo dove siamo ed il
nostro aspetto scorticato ci renda spre-
gevoli, la nostra fiuna t'induca a dirci
chi tn sei. Questi che mi precede, è Gnido
Guerra ; quest* altro ohe mi vien dietro, ò
Tegghiaio Aldobrandi, ed io sono Iacopo
RnsticuccL. » Del secondo e del terzo
Dante aveva dimandato a Ciacco, cfir.
If\f, VI, 7» e seg.
28. R BR : anche dato ohe. I tre non po-
tevano ancora saperlo. Al. : sebbene (?) ;
Al. R, BR—B l'uno oominciò: se mise-
ria, eoo. Al. Eh, Deh, br; ofr. Z. 1^., 96. -
BOLLO: forse dal lat. tupum; cedevole,
arenoso. Al.: dal Brettone $ol\ iMuiao,
profondo. Più probabile la prima inter-
pretasione.
29. «BNDR: oi ftk parer degni di di-
sprezco.
80. TINTO : perohè cotto ed abbraciato,
Inf. XV, 26 e seg. -brollo : nudo e dipe-
lato, V. 85 ; scorticato, cfr. Inf, XXXIV,
69 e seg. Purg. XIV, 91. Cfir. Eneicl , 263.
83. FRROHi: stropicci — cammini vivo
I>er l' Inferno sensa abbrooiarti. I dannati
non hanno che l' apparenza de' piedi ;
Dante piedi vivi.
35.DIPRLATO: «qniasoiliceterattotiis
spoliatns capillis, barba, et omnibus pi-
lis »; Benv. Al. ditrllato. Br» forse
sensa pelle?
37. Gualdrada: figliuola di moaser
Bellindone Berti de' Bavignani, oh* era
il maggior e il più onorato cavaliere di
Firenze (cfir. Por. XV, 112 e seg.), moglie
del conte Gnido il vecchio, da cui disce-
sero tutu i conti Gnidi ; cfV. Q, Vili, V,
87. Ammirato, Albero e Storia éUUa fa-
miglia de* conti Ouidi, Flr., 1640. Fuma-
dredt quattro figliuoli, tra' quali il padre
di Gnido Guerra, ohe O, ViU. (loo. oit.)
ohiama Ruggero, altri Maroovaldo oonte
di Dovadola. « Guido vecchio prese per
moglie la figlinola di Messer Belllncione
liberti de'Ravigniani... la quale ebbe no-
me Gualdrada, la quale egli tolse per mo-
glie per una leggiadria, che le vidde
fare nella cattedrale Chiesa di Firense
ad una festa, alla qnale era Otto IV im-
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[enc t. oiB. 8]
IH^. XYI. 38-50 [TBfi FlOEKNTlNl] 151
CKiìdo Gaerra ebbe nome, ed in sua vita
Pece col senno assai e con la spada.
L* altro, che appresso a me l'arena trita,
È Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce
Nel mondo sa dovria esser gradita.
Ed io, che posto son con loro in croce,
Iacopo BnsticQcci M, e certo
La fiera moglie più ch'altro mi nnoce. >
S'io fossi stato dal foco coperto,
GKttato mi sarei tra lor di sotto,
E credo che il dottor Pavria sofferto.
Ma perch'io mi sarei bruciato e cotto.
Vinse panra la mia baona voglia.
Xr» la fiuoiaTU in compagnia
dì doiima, ed era molto bella; il Conte
la Mfflttoggiò di volerla 1>adare ; la fiui-
oaBa dlaie, ohe né elU, né altri potrebbe
dò tea. ae suo marito non fosse; onde il
Caste, oondderata la savia rispoeta, per
BSBO dell* Imperadore la sposò »; OU.
Lo staaso raccontano pure O, ViU,, Bocc.,
38. Guido Oukrra : valoroso e prode
sotdato, duce dei gnelfl di Flrense, che nel
1S5 seaedsrono i ghibellini da Areszo,
6. vm. VI, 61. Bandito poi da Firenze,
G. HZt, VI.T7,capitenò i gnelfl nsciti di Fi-
reaze, ebbe molta parte nella battaglia di
Benevento, e rientrò nel 1267 coi gnelfl
ìb firenae, O. ViU., VII, ». Cfr. Fil,
Ym.,VU. eoo. a.v.Ot>m. Lipt. V 255. Del
sono suo vlsio tocca il solo Dante ! « Gni*
do Gnerra de' Contt da Modigliana, che
fa capitano de* Gnelfl di Firense e di
totta Toscana, qnando ftarono cacciati di
flroue. S egli, loro capitano, tornò con
kro in Firenze •; An. M. - « De chonti
Gnidi »; lae. Dant. - « Fra V altre cose
ohe si narran del detto Gnido, si dice
ehe *1 detto re Carlo per lo suo senno e
predessa vinse in Pnglia lo re Hanfire-
dì»; Lan,
4B. TETTA: oalpesta; cammina e gira
calcando la rena.
4L Tboohiaio: della ftmiglia degli Adi-
nsrl, cavaKere valoroso e nomo piace-
Tole, savio e prode in armi, e molto anto-
revole; cfìr. O. ViU.Vl, TI. Anche di costai
Dante è V unico accusatore. « Fa floren-
ttao de* Caviooinli, e allora era de* mi-
giiort cavalieri di Toscana »; An. Sei, -
« Dsg^ Aldobrandeechi, li qnall sono
gentili nomini di Firenze ; fa valorosa e
savia persona »; Lan. - voci: se i Fio-
rentini gli avessero dato retta, non avreb-
bero sofferto la terrìbile sconfitta di Mon-
t'Aperti.
43. POSTO : tormentato: confi*. Inferno
XXXIir, 87.
44. Rusncuoa : ricco ed onorato cava-
liere Fiorentino. Dicono che avesse mo-
glie ritrosa, dalla qnale si separasse per
darsi poi al vizio di sodomia. Giova con-
frontare quanto in proposito raocontaoo
Petr. Dant., Benv., ecc. Confr. Enei-
a. 0P6.
46-90. Corruzione di Forense. Dante
risponde alia dimanda fattagli <v. 82 e
seg ): « Sono vostro concittadino ; ho sem-
pre ndito e raccontato con afTetto le opere
vostre ; faccio qnesto viaggio per conse-
guire la salvazione. » « Dinne, come stan-
no le cose a Firenze! Gaglielmo Boreiere
ne recò testò novelle che ci attristuio. »
« Firenze ò del tutto corrotta I » € Sai
rispondere ottimamente. Rinft^sca la De-
stra fama sa nel mondo. > Ciò detto, fig-
gono via veloci.
46. COFBBTO: riparato dalla pioggia
infocata di laggiii.
47. DI BOTTO : daUa ripa, nel sabbione,
e ciò per reverenza ; cfr. Inf. VI, 81. Da
questi versi l'An. Fior, dice che alcuno
inferisce « T Anttore essere stato macu-
lato di questo vizio » (!!).
48. CBEDO : inferendolo dalle parole di
Virgilio. V. 16 e seg.
50. pauba: di essere bruciato per le
fiamme, e ootU> per l' arsione del sabbio-
ne.-voglia : di gittarmi tra lor di sotto,
bramoso di abbracciarli.
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152 [CERO. 7. GIR. 8] Inp. IVI. 51-69
[TRE FIORENTINlJ
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67
Che dì loro abbracciar mi facea ghiotto.
Poi cominciai: «Non dispetto, ma doglia
La vostra condizion dentro mi fisse
Tanto, che tardi tutta si dispoglia,
Tosto che questo mio signor mi disse
Parole, per le quali io mi pensai
Che, qual voi siete, tal gente venisse.
Di vostra terra sono ; e sempre mai
L'ovra di voi e gli onorati nomi
Con affezion ritrassi ed ascoltai.
Lascio lo fole, e vo per dolci pomi,
Promessi a me per lo verace duca;
Ma fino al centro pria oonvien ch'io tomi. >
« Se lungamente l'anima conduca
Le membra tue, » rispose quegli allora,
< E se la fama tua dopo te luca.
Cortesia e valor di' se dimora
Nella nostra città si come suole,
0 se del tutto se n'è gita fuora;
52. DISPETTO: come yoi sembrate eap*
porre, otv, t. 28 e sog. - doglia : oom*
pAssione.
63. CONDIZION : il misero vostro stato
in qaesto spaventevole laogo. - fisse:
destò nel onore.
54. dispogua: si dilegua. La doglia
della vostra condizione darerà lango
tempo a dileguarsi dall'animo mio.
55. TOSTO : sablto clie adii dire da Vir-
gilio che voi foste persone raggnarde voli.
56. PABOLE : qaelle dettegli da Virgilio,
V. 15eseg. -PBK8AI : inrerii che venissero
nomini ragguardevoli quali voi siete.
58. TKBBA : Firense. Bisponde alla di-
manda fattagli da Bosticucci, v. 82 e seg.
59. l' ovra : le vostre opero pubbliche
e politiche.
60. ritrassi : raccontai, cfr. Ir\f. II, 6 ;
IV, 145. -ASCOLTAI : raccontate da altri.
61. FKLB: del male. -POMI: del bene;
cfr. Purg. XXVII, 115; XXXII, 78 e
seg. Risponde alla dimanda contenuta
implicitamente nei v. 82 e seg.
62. PROMESSI: cfr. If\f. 1, 112-123.
68. CENTRO : dell' universo, dove è Lu-
cifero. - tomi : cada, discenda. Tomars
significa propriamente cadert a capo in
giù, ciò che Dante, arrivato al centro,
deve in certo modo fare: cfr. Ii\f. XXXrv,
76 e seg. «Qaesto dice l'autor moralmente;
cioè ohe lascia la viziosità, significata per
r Inferno, ohe è amara più che fiele, o v»
per le virtù promesse a lai per la rag:io-
ne, significata per Virgilio, la qual guida
1* uomo nelli atti virtuosi, li quali sono
dolci ; ma prima li oonvien vedere ogni
distinzione e partioolaritA di peccati, in-
nanzi ohe se ne possa o sappia guardare,
et andare alle virtù »; BulU.
64. SK : deprecativo ; cosi tu viva lon-
gamente, e corà risplenda la tua Hama
dopo la tua morte.
65. QUEGLI: che aveva sin qui parlato,
cioè il Rnsticncci.
67. cortesia : onesto e virtuoso opera-
re. « Cortesia e onestode ò tntt* uno ; e
perocché nelle corti anticamente le vir-
tndi e li belli costami s'usavano (A come
oggi s' usa il contrario), si tolse questo
vocabolo dalle corti ; e fh tanto a dire cor-
tesia, qaanto uso di corte »; Oonv, II, 11 .
-VALOR: «avvegnaché valore intender
si possa per più modi, qui si prende va*
loro quasi potenza di natura, ovvero
bontà da quella data »; Oonv, lY, 2.
68. città: Firense -SUOLE: soleva ai
tempi nostri ; cfr. Purg. XVI, 115 e seg.
69. orrA: estinta. Al. orro. Paò stare
r una e l' altra lesione.
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lCXEC. 7. 6IB. 8]
IHF. XYI. 70^0 tTBE PIOBIHTINI] 153
TB
Che Guglielmo Borsiere, il qaal si dtK>le
Con noi per poco, e va là coi compagni,
Assai ne craccia con le sne parole. >
« La gente nnova, e i sùbiti guadagni,
Orgoglio e dismisura han generata,
Fiorenza, in te, si che tu già ten piagni ! »
Cosi gridai con la faccia levata;
E i tre, che ciò inteser per risposta,
Guatar Pun l'altro, come al ver si guata.
« Se l'altre volte si poco ti costa»
Bisposer tutti, « il satis&re altrui,
7t. BofWSOMM : nloroeo e gentile oera-
Bne floreatino ; ofr. Boce., Deeam. I, 8.
* Fa imo maestro fiorentino, che dimo-
nra a Ba^renna e era morto di qne* dì »;
ÀM. 8èL " « Alohnno raloroteo homo di
eherte »; lac Jkmt. - « Ta oavalier di
eofte, oomo ooetomato molto e di laa-
ienà. maniera; ed era il eoo esercizio,
e de^ altri suoi pari, il trattar pad tra
gamàl e gentili nomini, trattar matrl-
aoBi e parentadi, e talora oon piacevoli
§ oneste noréDe reoreare gli animi de' £»-
tkstl, e confortargli alle cose onorero-
1 »; Bcce. - « Fnit quidam oivis florenti-
los, fiMiens bnrsas. Tir secondam fÌMnl-
tatem soam pUoibilis et liberalis; qni
tneto temporis babens odio offidnm bnr-
amra, qoibiis olaoditar peonnia, facto*
est homo onrialis, et ocBpit visitare ca-
lias d<»ninornm et domos nobiUam * ;
Bmw. Vedi pure Marmi, Storia del De-
eam., p. 177-81. Eruicl,, 352 e seg.
71. rsB POCO : da pooo tempo in qna.
«Par che morisse vecchissimo verso il
laoo »; Tom. Cfr. Ir\f. X, 100-108. Al.:
Per poca colpa ; così p. es. Booo. « Istod
san vldetor veram, quia est de grege
iftomm, qni gravine dellqaemnt qnam
primi de qnibns dletnm est in prteoe-
deati capitalo »; Benv. La lei.: B kon
Fn POCO è inattendibile, benché patro-
cinata e difesa a modo sno da Z. J*., 97 e
seg. ; cfr. Fort/., Stud., p. 154 e seg. - COM-
PAon: non si era separato dalla torma,
come i tre, per venire incontro a Dailte.
72. CRUCCIA t Al. cbucià; d affligge
ansi con le sne parole ohe d dipingono
eorrotta la nostra dttà.
73. xuovA : o venuta di pooo ad abitare
Firease, come i Cancellieri trapiantativi
nel 1800 da Pistoia; cfr. G. ViU, Vili,
38 ; oppore venati so da piccolo stato, cfr.
Par, XVI, 49 e seg. Più probabile la pri-
ma interpretasione. Confr. Del lAtngo,
Dante nt^ tèmpi di DarUe, p. 1-182. - su-
Bm ! ricchexse aocnmnlate in breve tem-
po nelle dvili torbolense. « S che altro
ootidianamente pericola e nodde le dttà,
le contrade, le slngnlari persone, tanto
qaanto lo nnovo rannamento d'avere ap-
po alcnnot»; Oonv, IV, 12.
74. OBOOGLio X DiSMUORA : il contrario
della eortstia e del valore, v. 07. Salia die-
mimra cfr. Par. XV, 97-129.« SuMH gua-
dagni neacoennal'aoarizta; orgoglio èsi-
nonimo di ntperhia ; e dismieura è qnello
oltrepassare la giosta emnlas. che declina
all'tavùfia »; Boee. Cfr. Inf. VI, 74 e seg.
75. GIÀ: nel 1800; ofr. G. ViU. VIU,
30. - TUf riAOin : te ne duoli.
76. LEVATA : in alto, verso la diresione
di Firenze. Inoltre « fuit signnm dolorls
et irm. Dolebat enim autor quod rustìd
venissent ad ci vi tatem, et ipso et aUi no-
biles exularent > ; jB^no. - « Dignitosa-
mente levò il capo, come avviene a ohi è
per dire qualche gran sentenza »; Betti.
77. DfTKSKB: compresero che la mia
apostrofe a Firense era la risposta alla
loro domanda.
78. ouatìb: dolorosamente stupefatti.
- COME : come ohi ode una novità impor-
tante che gli par Incredibile, ma della cui
veritÀ non può dubitare. VerU.: • Facon-
dosi coir occhio e col volto quel segno di
approvazione che suol farsi all'udire una
cosa ohe si tiene per vera e degna di ri-
sapersi. » - « UH obstipnere silentes Con-
versique ooulos Inter se atque ora te-
nebant > ; Virg., Aen. XI, 120 e seg. -
«Fizosque ooulos per mutua panlnm
Ora tenent » ; Stat., Theb. II, 178 e seg.
80. BATISFABS: il rispondere in tal modo
alle dimando che altri ti te.
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154 [CKBC. 7. OIB. 3] INP. XVI. 81-94
[TRfi FIORKUTINl]
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85
91
94
Felice te, che si parli a taa posta!
Però, se campi d'esti lochi bui,
E torni a riveder le belle stelle,
Quando ti gioverà dicere " Io fui „ ,
Fa' che di noi alla gente favelle. »
Indi mpper la mota, ed a fuggirsi
Ale sembiàr le gambe loro snelle.
Un ammen non saria potuto dirsi
Tosto cosi, com'ei furon spariti;
Per che al maestro parve di partirsi.
Io lo seguiva ; e poco eravam iti,
Che il suon dell'acqua n'era si vicino,
Che per parlar saremmo appena uditi.
Come quel fiume c'ha proprio cammino
81. POSTA : a tao tolento. In poche pa-
role Dante ha dato piena risposta alla di-
manda Cattagli, ▼. 67-69, e nello stesso
tempo indicate le canee e le oonsegnense
delle condixioni di Firense. Secondo altri
le parole contengono an elogio della sin-
cerità del Poeta ed una predizione, che
tal libero parlare non gli sarebbe sempre
costato sì poco, come questa volta. Ma
per disgraxia il parlar liberamenU è di
rado atto a iatùffare aUrui, • Parendo
loro, ch'egli avesse trovata veramente
la causa per la qnaie era tanto peggio-
rata Firenze ne' costami e nel modo di
vivere, e dipoi espressola con A brevi
parole e con modo tanto efficace di dire,
gli risposero tatti insieme a nna voce,
ohe la sua era nna grandissima felicità,
se egli soddisflAceva oon sì poca Attica a
tatti quegli che lo domandavano di qual-
cosa si volesse, e parlava in oosì &tta
maniera a tua potda e qualunque volta
ei voleva »; QtUi.
82. 8B: deprecativo, -camfi: ti salvi
da questo buio Inferno.
84. DiciBB : il poter dire di aver veduto
ed udito ciò che ta vedi ed odi in questo
mistico tao viaggio; Tirg,, Aen. I, 203:
«Forsan et bssc olim memlnisseiavabit.»
86. FAVKLLE : parli. I dannati sono bra-
mosi di fama nel mondo e si manifostano
al Poeta nella speranza che egli ne rin-
f^^eohi la memoria; i soli traditori dea!-
deraoo di essere del tutto dimeotioati,
If\f. XXXII, 94, onde non si manifesta-
no che nella speransa di fkr infornare i
loro nemici; cfr. Inf, XXXin, 7 e seg.
86. BUPPSB: sciolsero il cerchio ohe fa-
cevan di sé, v. 21, e fuggirono oon tanta
fretta, come se le veloci loro gambe fba-
sero state slf.
87. ALB : € Pedibus timor addidit alas» ;
Yirg., Aen, Vili, 224.
88. AMMKN: « In un ammen osasi tut-
tora da tutti per in un aUxTno, in brevU-
Hmo tempo»; Fai\f, Senso: Scomparvero
in un istante, dovendo anche essi rigiu-
gnere la loro masnada, cfr. Ir\f. XY , 41 e
seg., ] 21 e seg. € Sic ait et diete dtins tu-
mida aequora placat»; Virg., Aen. I, 142.
90. PABVB: è il lat. vieum eHi giudicò
opportuno.
y . 91-136. La c&rda di I>ante, ««yno
a Gerione, Giungono sull' orlo dell* alta
ripa, dove si ode 11 romore del Flegetonte
che si precipita gih noli' ottavo cerchio.
Quivi Dante si scioglie da nna corda che
aveva cinta intomo, e la porge a Virgilio,
il quale la butta gih neir ottavo cerchio.
A tal segno vien su nuotando per 1* aere
un orribile mostro, che è Gerione, il oa-
sto'ìo del gran regno dei firodolentl.
93. PBB pablab: parlando ci saremmo
appena uditi l' un l' altro, tanto grande
essendo il fracasso della cascata del Fle-
getonte.
94. FIUME : il Montone, o piuttosto nn
ramo di esso che nomasi Acquacheta. -
PBQrBiO CAHMIMO: che vada direttamente
al mare, poiché tutti i fiumi tra il Po ed
il Montone dalla sinistra parte di Apen-
ntuo, entrano in Po e non hanno proprio
oorso. CfV. Pareto in D. e U tuo tee. pag.
566 ; Barlow, Oontnb, pag. 183; Bertii^
"OQlC
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[OnC. 7. 0IE. 9]
IHF. in. 95-107 [COEDA DI DANTE] 155
lOS
m
Prima da monte Veso invèr levante,
Dalla sinistra costa d' Apennino,
Che si chiama Àcqnacheta snso, avante
Che si divalli già nel basso letto,
Ed a Forlì di qnel nome è vacante,
Rimbomba là sovra San Benedetto
Dell'Alpe, per cadere ad una scesa,
Ove dovria per mille esser ricetto;
Cosi, gìii d'una ripa discoscesa.
Trovammo risonar quell'acqua tinta,
SI che in poc'ora avria l'orecchia offesa.
Io aveva una corda intomo cinta,
E con essa pensai alcuna volta
JRpte MOdarativa, Torino, 1871. Kadiani,
Inttrpt wlaHone dei vergi di Dante iul fiu-
Bw Momione, Hi!., 19U. BuU. U, 2, 105 e
ng. Ban. 178 e seg .
95. MOXTB Vk80: lat. Mon* Vendue,
aggi JfonvMO, nelle Alpi Hsrittime, dorè
BaaeeUFo.
97. 6UBO : in alto, prima ohe oada nella
T^le.
S8. LETTO : pianora doHa Romagna.
9t. È. VACASTI: perdendolo, per pren-
der quello di Montone. Ctr. Purg. V, 1)7.
Tit|^, del Torero, Aen, VUI, 382:
e Anint Tonun vetna Albnla nomen. »
K Locano, del flnme laara, Phare, I, iOO:
« Ad aqnoreos nomen non pertnlit nn-
daa.»
100. Saji BKjrKOVTro: monaatero snl
flasdii dell'Appennino, al disopra di
Fotfi. Dipenderà ai tempi di Dante dai
conti Gnidi.
101. 0CsaA: principio, dove il fiume
precipita dal monte giù In nna ralle.
Wt. ori: nel monattero di San Bene-
detto dell'Alpe. - dovrIa : a motiro delle
ne rieeho rendite, olie soltanto poclil si
godono.'- « Io fui già lungamente in dnb-
bio di cfò che l' autore volesse in questo
Tttto dire ; poi per rentara trovatomi
nel detto monisterio di san Benedetto
ÌDaicme con l* abate del luogo, ed egli
ni disse, ehe fti già tenuto ragionamento
per quelli eonti, i quali son signori di
quella Alpe, di rolere assai presso di
questo loogo dove quest'acqua cade, sic-
come in Inogo molto comodo agli abi-
tanti, fare nn castello, e ridncervi entro
BoHe riUate da tomo di lor rassallit poi
asti colui ehe questo, più che alcun de-
gli altri, metterà innansl, e cori il ra-
gionamento non ebbe effetto: e questo
ò quello che l'autor dice»; Boee. Cosi
pure Benv. SI comprende che quell'abate
non disse : La Badia è grande, i monaci
son pochi. €Dorea esser ricetto, cioè
ricettacolo per mille monaci, attendendo
le grandi rendite di quel monastero; »
Barg. Cfr. Serrav., p. 210, col. 2. Blanet^
Vertuch I, 141 e aeg. Solitro, Huova di-
ehiarazione, ecc. Trieste, 1865.
104. TROVAMMO : cosi i più ; Al. BXK-
TIMMO, UDIMMO, RITROVAMMO, FACXrA
RIBOMARK, ecc. Ctt, Moore, OriUe,, 315.
-TINTA: di color sanguigno, cfr. In/.
XIV, 78, 184.
105. sì CHB: quel fracasso era tale,
che in poc'ora ci avrebbe storditi.
106. corda: il cordone dell'ordine di
S. Francesco. € Dante.... fti fìrate minore,
ma non vi fece professione, nel tempo della
sua fencinllezsa »; BtUi, I, 438. - « Per
questo appare che '1 nostro autore infine
quando era garzone s' innamorasse de la
s. Scrittura; e questo credo che ftasse
quando si fece Arate dell'ordine dis. Fran-
cesco, del quale osoitte inanti che fecesfle
professione»; J?uM, II, 785. Gli antichi
(Bambgl,, Àn. Sei,, lae. Dani., Lan.,OU.,
Petr. Dant., Caee,, Benv,, An. Fior., eoo.)
accusano a questo luogo Dante di frode
usata verso le donne, di cni vogliono che
la eorda sia simbolo. Per il più dei mo-
derni la eorda simboleggia nna qualche
virtù che Dante buttò vial ! Cfr. Com,
JApt. I', 264 e aeg. Vemon, Readinge I,
567-76. - H eingoio di Dante in Serrav.,
p. 218.
167. PUiBAl: se la lon»» figura la Ina-
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156 [CEEC. 7. GIR. 8] Inf. xyi. 108-126
[CORDA DI DANTB]
109
112
116
118
121
124
Prender la lonza alla pelle dipinta.
Poscia che l'ebbi tatta da me sciolta,
Si come il duca m'avea comandato,
Persila a lui aggroppata e ravvolta.
Ond'ei si volse invèr lo destro lato,
Ed alquanto di lungi dalla sponda
La gittò giuso in quell'alto burrato.
« E' pur convien che novità risponda »
Dicea fra me medesmo, < al nuovo cenno,
Ohe il maestro con l'occhio si seconda. >
Ahi, quanto cauti gli uomini esser denno
Presso a color, che non veggon pur l'opra,
Ma per entro i pensier miran col senno I
Ei disse a me: « Tosto verrà di sopra
Ciò ch'io attendo, e che il tuo pensier sogna
Tosto convien eh' al tuo viso si scopra. »
Sempre a quel ver e' ha faccia di menzogna,
De' l'uom chiuder le labbra quant'ei puote,
Però che senza colpa fa vergogna;
saria, il senso sarà : Vestendo rabito di
S. Franoesoo mi lusingai di poter vincere
le tentasioni della carne. Dato poi ohe
la lonsa figari, come nella Bibbia, l'in*
credoiltà, U PoeU direbbe: Credetti di
farmi credente, tìnoendomi Francescano.
108. LONZA: cf^. Inf, I, 32-48.
100. sciolta: avendo sedato molti
cherei nel centro dei sodomiti, cfr. Ifìf.
XV, 100, riconobbe che l'abito ecclesia-
stico nalla giova contro le tentasioni,
onde se ne sciolse del tatto.
111. agokoppata: fattone on gomitolo,
per poterla gettar gih nel barrato. Do-
Tera danqae ben essere ana vera corda.
112. DBSTBO: dovendo scagliare la cor-
da colla destra.
113. LUNGI: perchò non si appiccasse a
qnalche scoglio o sterpo prominente dalla
sponda, ma cadesse giù dove eraGerione.
114. BURBATO : ofr. Ir^f. XII, 10. « In
aliad fossam obscaram et baram » ; Benv.
Altrove bar (Uro ; cfr. Ir^. XI, 69.
116. NOVITÀ: aloon che di strano ed
insolito.
110. NUOVO: anche qai nel senso del
lat. fiovui ■- insolito, non mai visto. È la
prima e V onica volta che Virgilio ao-
oenna col gettare un oggetto. A si inso-
lito cenno, Dante ai aspetta con ragione
di vedere cosa insolita.
117. SBCONDA: segae ooU' occhio per
vedere se il cenno sia intenso.
118. CAUTI : persino ne' loro pensieri.
119. OPRA : atti esteriori e parole prof-
ferite.
120. MIRAN: penetrano con l'acome
della mente entro l' altnil pensiero, qaa-
si partecipi della potenza di Dio il qaale
tatto vede.
122. SOGNA : vede qaasi per so^o.
Dante si aspettava alcan che di insoUto,
ma di Gerione non sapeva ancor nnUa.
124. FACCIA : aspetto, apparensa. « Tal
veritade dòi dire ohe ti sia oredata; altra-
mente ti sarebbe repatata per boscia »;
Albert, Qmd. da Brescia in Nannue.,
Man. II*, p. 49. « La veritade ha molte
volte facce di menzogna » ; JBono Oiamb,
in Nannue., ibid., p. 425.
125. CHIUDER: tacere. Non si devono
raccontare cose incredibili, benché vere,
poichò « la veritade non creduta, bnsciA ò
tenata ; » Aìbert. in Kannrte., ibid., p. 49.
- PUOTB : in date droostanze non pnò ;
anche Dante qaesta volta non paò. Al.
FINCH' EI PUOTB.
120. VERGOGNA : passando per bugia.
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[cmc 7. OIB. 8]
IHF. ITI. 127-186
[onioHi] 157
U7
110-
m
139
Ma qui tacer noi posso; e per le note
Di questa commedia, lettor, ti giuro,
S'elle non sien di lunga grazia vote,
Ch'io vidi per quell'aer grosso e scuro
Venir notando una figura in suso,
Maravigliosa ad ogni cor sicuro,
Si come toma colui che va giuso
Talora a solver àncora, che aggrappa
0 scoglio od altro che nel mare è chiuso,
Che in su si stende, e da pie si rattrappa.
L'iBereAUle è qui, ohe la iotza imagine
a fnda sale aU'iiiTitD del eordone di
127. HOTB : parole in rina, yerai ebe ai
eaataM» Cfr. Inf, XIX, 118. Farad.
XIX, W.
128. oomocDià: eoU* aooento aoU' i alla
Sreea. H ginranMiito è : Poiaa perire qoe-
■te mio poema, ae non dico il rero ! Si
giara per le eoee aante, oppare per le
«ote die aono più care. Il ano poema era
a Dante non par oaro, ma aaoro; cfr.
P». XXV, 1.
129. 8* XLLX ; ood poetano le note, eco.
pieeere a hmgo.
180. OBO08O : « aiocome pieno di fetidi
viveri, 1 qnaU non aveano onde svapo-
nn di qnel log^ »: Boee,
181. BOTAKMu 9tr quM'aer grosso e
satro, come nwÉatore nell'aeqna. Cfr.
VÌrg,,Aem.Yl^ Ueeeg.-FieuRA:OerionA.
182. 1IABAV1OLI08A: di qnelia marami-
^ ebe ineote apavento. - bioubo : co*
raggioeo, ardito. < Li nomini, aionri, preti
dalla frande, ae ne maravigliano »; Buti,
- « La aionrtà ò non dnbitar delle ooee
ohe Bopravrengono »; Bono Qiamb. in
Tom. - « Simnlaora modia pallentia mi-
ria Vita tnb obtenmm noctit ; » Virg.,
Georg. I, 477 e aeg.
183. COLUI : il marangone. - Qiuso : al
fondo del mare. Ctt.Lwan,^ Phars. Ili,
687 e aeg.
184. BOLYKB: Al. saoousB, cho èia
cbiota. - AGOBAPPA : t' inerpica oo' raffi a
aoogUo o altro, né ai poò talpare te indi
non eia prima divelta.
185. CHIUSO: natooato, celato.
188. IN BU : nella parte toperiore, vale
a dire col petto e colle braccia, -ai btkn-
i>K ; < manna ampiiat et extendit supe-
rint, et pedes rettringit tnferiut»; Benv.
-< Kella parte taperiore, cioè nel capo
e nelle braccia, distendett, e nella info-
rior parte, cioè nelle coeoe e nelle gam-
be, xipiegÌMi»; Lomb.
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158 [CEBO. 7. GIB. 8] iNf . ITH. l-«
[aSBIOKK^
CANTO DECIMOSETTIMO
CERCHIO SETTIMO
GIRONE terzo: VIOLENTI CONTRO l'ARTE
(Siedono rMooIti, tormenttttt dalla pioggia di ftioco)
gebione, 8cb0vign0, buiamonte
diboèba al cerchio ottavo
« Ecco la fiera con la coda aguzza,
Che passa i monti, e rompe ì mori e l'armi;
Ecco colei che tatto il mondo appozza!»
Si cominciò lo mio duca a parlarmi ;
Ed accennoUe che venisse a proda,
Vicino al fin de' passeggiati marmi.
V. 1-33. Oerioiie, Ecco Qerione, la
tozza imagine di/roda! Ha faccia d'oom
giasto, dae branche, il corpo dipinto di
nodi e di rotelle, la coda agaxsa e vele-
nosa. H Qerione della mitologia, 6gIlo di
Crisaore e dell'oceanica Calinoe, fa on
gigante a tre te«te {Huiod., Theog, 287,
280 e seg. Dtonù. XXV, 236), o a tre
corpi {BtehU., Agam., 807. Eurip,, Her-
e%d. far., 428. Lxter., JUr, wU. V, 28.
Virg., Am. Vili, 202. Horat., Oarm.
II, 14, 8. Ovid., Heroid. IX, 01. 8eMe.,
Agam., 884, ecc.). Descrivendo la fignra
di Qerione, Dante al scosta dalla mito-
logia. Il sao Qerione somiglia alle locaste
infernali, o piuttosto bIV Angelo deU'abiM-
to loro re : « Bt slmilitadines looostanun
slmiles eqnis paratia in prcBliam, et sa-
per capita eamm tamqaam ooronsB sl-
miles aaro, et ftusies earom slcnt fÌMsies
hominom. Et habebant oapillos slcnt ca-
pillos mnliemm, et dentes eamm slcnt
dentes leonnm erant. Bt habebant lori-
oas ferreas, et vox alamm eamm slcot
TOT oorraam eqnomm mnltomm onr-
rentinm in bellnm. Et habebant oandas
simlles scorpionnm, et aoalei erant In
oandis eamm. Bt poteatas «amm nooere
hominibas mensibas qslnqae. Bt habe-
bant snper se regem Angelam abyssi { »
Apoeal. IX, 7-11. Cfr. Lanci, DeUa for-
ma di Qtrione, ecc. Eoma, 1868. Betti,
Scritti Danteechi, 170-82. Eneielop. 886
e seg.
1. AGUZZA : appuntata Cfr. r. 26 e aeg.
2. PAB8A: oni nulla resiste; che ra
in ogni luogo, rincendo ogni ostacolo.
Contro la frode poco o nulla valgono le
difese della natura (monti) e dell'arte
(t muri é l'armi), - 1 kuri : Al. b bompb
MURA BD ABMi. « Avendo il Poeta dato
l'articolo a' monti, non so poi vedere co-
me dovesse negarlo a' muri ed alle ar-
mi»; Betti,
8. TUTTO : cfr. Ifkf. XI, 52. Som. III,
12, 13. -APPUZZA: ammorba e corrompe.
6. AOOKNNOLLB : alla jUm, o bestia mal-
vagia ; cfr. T. 1, 28, 80, 87, 183. -APBODA:
all'estremità superiore del barrato, dove
erano i due Poeti.
6. PAS8BQOIATI : da noi attraversati. -
KABui: argini impietrati, del flome.
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r
I [cnc
[cnc. T. on. t]
Isw. xra. 7-19
[oniONs] 159
7 E qaella sozza imagine di froda
Sen venne, ed arrìvò la testa e il basto;
Ma in sa la riva non trasse la coda.
10 La faccia saa era faccia d'aom giasto.
Tanto benigna avea di faor la pelle,
E d'an serpente tatto l'altro fasto;
13 Dae branche avea pilose infin l'ascelle;
Lo dosso e il petto ed ambedae le coste
Dipinte avea di nodi e di rotelle.
i« Con più color, sommesse e soprapposte
Non far mai drappo Tartari né Tarchi,
Nò far tai tele per Aragne imposte.
u Come talvolta stanno a riva i barchi, ^. -
7. rmoDAt frode, oome loda per lode,
W.n, 108. Cfr. Beco., GeneaL deor, 1.21.
g. ABKITÒ: Aoeootò alla sponda, mite
■opra U ilTA, la tmta • H butto,
%. vov TBAMK: « però obe aonpre cela
eBaaeoodo U rao fine il froddente»; OU.
19. VAOCU : cfr. Apooia, IX, 7. Arioito,
Ori XrV, 87. « Primo dat Gerioni fk-
deBlunBaBaai. per qnam taagit primam
■pefliem fraodis, qam oommittitar Terbo,
qaia loqoi eet proprimn homlalt, e( lete
frana eominitlltar benigno vnlta, stoni
1!mì«»( pT»TÌ oonsnltores, adnlatores, le*
BODSs»; Brmr. - «La ftoda è il principio
4sl eorpoi U flasto èil measo; laeodaè
H termbM. La Frode comincia eon lo spi-
rarti fldoel* (ftuda éfuom giutlo); tesse
ia sepiito i sooi inganni (fusto di tuhtto
ttrpemM; rlbra finalmente il colpo fiitale
(eoda aguxsa). Questa figura donqne pre-
ssata quasi onA storia risibile del prind*
pio, measo e temdae della Frode S si
■oti che le frasi di tramare inganni, or-
din ingidio e tettor frodi, daran sabito •
Inofo a doe simiUtodlni desante da tes-
ifttai ed applicate al ftisto serpentino. »
Jlesf.
11. LA PBLLB: 1* apparensa estemn.
«La primn apparensi« dell' astuzia par
booa*. e p*re procedere con semplicità,
ma sempre va con malisia e callidità »;
U. tmrEjrr»; cfr. Gené$, m, 1. II
Oir.XI. 8. -FUSTO: il resto del corpo.
• SsenBda frana conmilttitar in re ipsa,
ilsot In onmlbas artibos et merdbns.
Idee dat slU corpus serpentis rarinm
st dlfcisoium eoioram; perserpentem
qoidem, qaia serpens est astotissimnm
animaliom ; per yarinm. quia frandes
snnt innnmerabiles etinflnitm»; Btnv.
18. BBAifCHB: comc fiera rapace. -ik*
wa : fin sotto le ascelle.
14. oosnt lati.
16. HODI : awiloppamenti di ftini ; figu-
rano i laodnoli.-BOTELLi: cerchietti e
scudi ; qui figuratamente per macchie ro-
tonde. Le rotelle figurano le arti con ohe
la frode procura di coprirsi.
10. CON PIÙ : costr.: né Tartari né Tur-
chi fecero mai drappo con più colori,
con più sommesse e con più sopmppo-
ste. -soPBAPPoera : < toprapposta si dice
quel disegno a rilievo che spicca sai ftm-
do, o sommeMO, de' drappi rabescati »;
Post.
17. MAI: Al. ma' VK^mai inf onde la
costr. sarebbe : nò Tartari nò Turchi, abi-
lissimi tessitori, fbcero mai in drappo
sommosse e soprapposte eon più colori.
Confr. ;;. F., 101. Siane, Tertueh, 145
eseg.
18. TKLi: le tele figurano gli orditi in-
ganni e le insidie tessute i cfr. 09Ìd.,Met.
VI, 19 e seg. - ASAOMK : la celebre tessi-
trice di Lidia, di innerva cangiata in
ragno i cfr. Ovid., Met. VI. 6 e seg. Flin,
VU, 58. Purg. XII, 43. - impostb: ab-
bossate. « Disegnando l' abbosxo, il ohe
alcuni chiamano imporre»; Tatari, AJLx
messe sul telsio.
19. BURCHI : burohiellf , pieoole barche
a remi; < navigli che hanno il fondo pia-
no, e son propriamente da navigare per
fiumi »; Ba^g. -< La specie per il genere,
doè i burchi per ogni naviglio »; Dan,
160 [CBBC. 7. OIB. 8] iNF. XYII. 20-88
[0EBIOMS3
22
23
28
Che parte sono in acqua e parte in terra,
E come là tra li Tedeschi lorchi
Lo Jbivero s'assetta a far saa gnerra;
Cosi la fiera pessima si stava
Sa Porlo che, di pietra, il sabbion serra.
Nel vano tutta sna coda guizzava,
Torcendo in su la venenosa forca,
Che, a guisa di scorpion, la punta armava.
Lo duca disse : « Or convien che si torca
La nostra via un poco infino a quella
Bestia malvagia, che colà si corca. >
Però scendemmo alla destra mammella, ^
E dieci passi femmo in su lo stremo,^ t'^ *
Per ben cessar l'arena e la fiammella.
20. SONO : Al. STAllHO ; cft. Moore,
OrU., 816.
21. LUBcm: beoni e ghiotti «oonbmt-
tezzft »; An. Fior. Del G^ermani, Tacito :
Dediti iommo eiboque. Dante non oono-
soeva per avTentara ohe qael Tedeachl
mandati da Manfredi in soooorao dei fào-
msdtdFiorentini e che ai lasciarono ineb-
briare da Farinata degli liberti : cfr. G.
Vm. VI, 76. Serrav.i « Una patria eet
in partibos Alamanie, qne vocatnr Lnr-
ca » (f).
22. BiviBO: castoro. « Dici tur de bi-
vero animali, qaod onm caoda piscatnr
mittendo ipsam In aqnam et ipsam agi-
tando, ex coios pingnedine resnltant
gntt» ad modnm olei, et dom pisces ad
eas veniont, tono se rcTolrendo eoe oa-
pit > ; Petr. Dant. - s'assetta : s* atteg-
gia. « Si noti come Dante coi burchi di>
pinge il solo atteggiamento materiale di
Gerione ; e col hewro, il fine insidioso di
cotesto atteggiamento. Ck>si resta com-
piata l'immagine del mostro, nel qoale
il Poeta simboleggia la Frode •; L. Yent.,
8imU. 859. - oukkba : ai pesci.
24. srbra: cinge d' intomo T ardente
sabbione del settimo cerchio.
26. NBL VANO: nell'aria, cflr. y. 9. -
CODA : « Tertla fraos oommittitor Cacto,
ideo bene dat caudam scorpionis pesai-
mam, yenenosam, quia pongit, penetrat,
inilcit, sicnt latrones, baractarli, simo-
niaci, proditores»; JBéno.
36. FOBOA: ooda biforcota, potendo
r nomo nsar frode in chi si Ada e in chi
non si fida ; ofir. JV* 2I> ^^ o Mg.
27. OHI: OMO retto. - soorpioh: àtt,
Apoeol. IX, 8, 6, 10. Kon poò pertanto
oflbndere 1 Poeti oon quella eoa eod*,
secondo la promessa: « ecce dodi Tobia
potestatem caloandi saprà serpente* et
scorpiones, et sapra omnem firtatem
inimici, et nihil vobis nooebit»} Lue,
X, 19.
28. TORCA: « Non si potea per diritto
calle andare alla frode, anzi per tor-
tuoso ; nalla ria mena a lei diritto »; OU,
80. OOBCA : ò coricata, giace là.
81. DISTRA: néir Inferno ranno sem-
pre a sinistra, perchò di male in male
peggiore. Dae sole ecoesioni, qni e Ir^,
IX, 183. I primi passi verso la mi-
Bcredensa non sono peecaminosl, ori-
ginando di solito dal naturai desiderio
di sapere. La dirittura, la lealtà, la sin-
cerità, la sohiettessa son 1* armi da op-
porre alla fkode, alla soa doppiesta ed
alle sue male arti.
88. DUCI: dieci passi, disc» comanda-
menti, diéoi bolgie, ecc. « Dante ha vo-
luto a suo modo esprimere che giunto
all'estremità dove 1* Violensa fluisce e
la Frode oomincia, per accostarsi alla se-
conda si allontanava dalla prima, e quin-
di dall'arena e dalla fiammella che ne son
la pena. Dieci sono i generi delle frodi
ohe quei mostro in sé concreta, e poco
al di là deUe dieci è l'usura affine. Dicci
poeti, eccoli alla Frode, e poi ohe a lei
son giunti, poco più oltre è l' usura. *
Uose. " STUMO : r Orio del cerchio, v. 24.
88. oissAB: causare t efr. Por. XXV,
188. - FiAMULLA^pioggla di (tacco.
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[GBC 7. 6IB. 8]
iNF. XTU. 34-46
[USURÀI] 161
34 E qnando noi a lei venuti senio,
Poco più oltre veggio in sa l'arena
Gente seder propinqua al loco scemo.
37 Quivi il maestro: « Acciò che tutta piena
Esperienza d'esto giron porti, »
Hi disse, < va', e vedi la lor mena.
tf Li tuoi ragionamenti sian là corti :
Mentre che tomi, parlerò con questa*. '.
Che ne conceda i suoi omeri forti. »
i3 Cosi ancor su per la strema testa . - ' ^
Di quel settimo cerchio tutto solo
Andai, ove sedea la gente mesta.
46 Per gli occhi fuori scoppiava lor duolo: -'
V. 34-75. GU umtraL L'usura ò ri-
^fyj— r alla frode. Pooo distante dal
ìaago doTe al stara Gerione, vede Dante
gS wmral. Virgilio gli dice di andare a
Tederii, per arare piena oonosoenxa del
giroBe in eoi al trorano ancora, esortan*
Uo però alla fretta. Bi ra, e redo gli
warai éhe, aedoti a terra, come cani si
■«ftffti^fK» le fiamme. Sdegnarono di man-
gisr p*oe gnadagnato eoi sudore del
lere rc»lto e ool laroro delle proprie ma-
si; e qui quelle mani derono mnorersi
e larormre oonttnnamente. Ciascono ha
pendente dal collo nna tasca -il sao-
detto dei denari, che qnl è srentorata-
BMBte moto ! - e la tasca mostra ano
■i^Miifca. dal qnale Dante può riconoscere
fl poaseasore. Al loro aspetto, senza ca-
rattere come a loro operare, non sono ri-
esDoacfbili (efr. Ii^f. VII, 53 e seg.) ; non
M riconoaoono che al loro nobile stem-
ma, dipinto sulla loro tasca, affinchè reg-
gano li tnrfeme tatto dò che appressa-
reno in rtta ed abbiano in pari tempo
sempre aott'ocdiio fl oon^tuto tra il loro
•temma, segno di nobiltà, ed il loro igno-
bile operare. AiEstto trirlali, qnesti no-
bili onutd non oonosoono altra conrersa-
sione òhe la makUcensa. Un Padorano
perla al Poeta di dne ikmosi asarai ri-
Tsntl, U eoi posto laggiù ò già pronto.
Tengono tatti lo sguardo sempre alla
borsa, come ftoero in rita.
84. ▲ LU: alla bettia malvagia, r. 80.
35. Axax: del terzo girone. Gli osa-
mi sono ridienti contro 1* arte, figlinola
di Dio. ma il loro peccato è li lì sui con-
fini della frode.
11. — Di9. Oomm,, 4^ odia.
86. BBDBB : come feeero in rita, Uscendo
larorare 0 denaro, inreoe di larorar essi,
e rirendo degU altrni sadori. - bcsmo :
« la discadata eh* area dal fin del settimo
al prineipio dell'ettaro cerchio, ohe la
montagna era tagliata et molto alta » ;
Don.
89. rA' : Al. OR rA ; cfr. Z. F.» 101. -
MBMA : il dimenarsi che Aumo, r. 47 e seg.
oonfr. Inf. XXIY, 88. « Qala altra p<B-
nam generalem faabebant pcenam specia-
lem manaam, qoas impaasabiUter mi-
nabant continuo » ; Benv. Al.; La condì-
sione, lo stato, la sorte loro (f). < Qoal
ftisse la lor sorte e il loro stato ; che così
significa questa roce, osata in qoesta ma-
niera >*; QeUi.
40. COBTI : « con cotali poco si mole
parlare, perchè sono senza ragione, e
con li nomini fuor di ragione non si deono
perdere le parole > ; BvlH. - « Perdooohò
conosdoto che abbiamo la natora del-
l' osnra, ci dobbiamo di sabito partire
da tal considerasione >; Land,
41. QUESTA: bestia malvagia. Dante
si reca da solo ad osserrare gli oso-
rai, e dorante la soa assenxa Virgilio
parla a Gerione; per questo Dante non
può udire dò che Virgilio dice alla fiera ;
cfr. InS. Vili. 112.
42. COKCEDA: d presti le forti sue spalle
e ne porti giù nell'altro cerchio. -fosti*.
< quia totus mundus est ftindatos sopra
fraode » (?) ; Jfonv.
43. AMCOB: dopo arer attrarersato il
rimanente del girone. - testa : soli' ul-
tima parte di esso girone e del settimo
cerchio.
40. scoFFiArA: in lagrime.
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162 [CEBC. 7. GIB. 8] InF. XVII. 47-64
[Q8UBÀI]
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62
56
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GÌ
6i
Di qua, di là soccoriien con le mani
Qaando a' vapori, e quando al caldo suolo.
Non altrimenti fan di state i cani,
Or col cefifo or col piò, quando son morsi
0 da pulci 0 da mosche o da tafani.
Poi che nel viso a certi gli occhi porsi.
Ne' quali il doloroso foco casca,
Non ne conobbi alcun; ma io m'accorsi
Che dal collo a ciascun pendea una tasca.
Che avea certo colore e certo segno,
E quindi par che il lor occhio si pasca.
E com'io riguardando tra lor vegno,
In una borsa gialla vidi azzurro.
Che d'un leone avea faccia e contegno.
Poi, procedendo di mio sguardo il curro,
Vidine un'altra, come sangue rossa.
Mostrare un'oca bianca più che burro.
Ed un, che d'una scrofa azzurra e grossa
47. soccoBRÌBir : soocorrovano. H verbo
soccorrere ò qui preso nel primitivo ano
significato: correr toUo, e per analogia:
correr di eontro.
48. VAPORI : flaoime ardenti. - suolo :
sabbione infocato.
49. CANI: ai qoali gli nsorai somi-
gliano. Cfr. Arlotto, Ori. X, 106.
62. POBSi: drizsai; lat. octUo» inten-
dere, ftxit ooulit intueri,
64. CONOBBI: pel motivo detto altrove,
Jtkf. VII, 53 e seg. I vistosi debiU con-
tratti da Dante appunto verso il 1300
potrebbero far crédere che in vita ne
conoscesse purtroppo alonno.
56.TABCA : boTta, V. 69; eacehetto, v. 65.
In vita non mirarono che alla borsa, onde
la portano seco nel mondo di là, affin-
chè possano riguardarla in eterno, vuo-
ta! Cfr. Ecel, II, 26.
66. OOLORK! ogiii taeca mostra i colorì
e r arme della famiglia, alla quale U suo
possessore appartiene. « Ingegnoso per
dare a conoscere qne' dannati sensa lun-
go discorso, e per portare in Inlbmo lo
scherno della sndioia nobiltà »; Tom,
67. PASCA : prenda diletto, la borsa es-
sendo per questa genìa n fine ultimo del-
r uomo. « Kec satiantur oculi eins divi-
tiU >: EccUe. IV, 8; oft. Luca XII, 84.
68. RiQUARDAMDO: il colore e il segno
deUe tasche.
60. FACCIA K coifTEOiio: forma e sem-
biansa. L' arme dei Oianflgliassi di Fi-
rense era un leone assorro in campo
giallo, 0 d' oro. I Qianflgliasxi erano
guelfi, furono esigliatl dopo la battaglia
di Mont' Aperti (O. ViU. V, 29; VI. 35,
79), ed erano più tardi tutti di parte
nera (G. ViU. Vili, 29); € li quali tono
grandissimi usurarli » ; Lan. Sono! Fiori-
vano ancora a Firense quando il haneo
scriveva! Cfr. Q. ViU. Xn, 3. « Uno ne
pone per tutti loro ; acquistò d*osuk« : di-
ce alcuno oh* egli intende chi questi sia » ;
OU, Chi è questo alcuno f Banibgl.: « Iste
qui habebat hanc bursam ad collum ftiit
quidam de Oiamfigliasis de Florentia. »
61. CUBSO: il corso, lo scorrere; guar-
dando oltre.
62. ALTBA: borsa. L*oca bianca In
campo rosso era 1* arme degli Ubriachi,
nobili ghibelUni di Firenze, cfr. Q. ViU.
V, 39; VI, 38, 66. « Iste fhit quidam de
Ubriatis, maximus fenerator »; Bambgl'
Cfr. Vemon, Inf. II, 697 e seg. -«Questi
ch*avla l'oca bianca nel rosso è Ciappo
Bbriachi di Flrense, grande usuraio »;
An. Sei.
63. PIÙ CHI BUBBO: Al. PIÙ CB* BBUR-
RO, cioè pih che avorio ; cfr. Z, F., 101
e seg. Blanc, Vertrtch I, 146.
64. GROSSA : pregna. La scrofa asturra
in campo bianco era l' arme degli Boro-
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[CBC. 7. OIB. S]
IKP. XYII. 65-76
[USUBAI] 163
Segnato avea lo suo sacchetto bianco.
Mi disse: € Che fai tu in questa fossa?
Or te ne va' ; e perchè se' vivo anco,
Sappi che il mio vicin Vitaliano
Sederà qui dal mio sinistro fianco.
Con questi Fiorentin son Padovano ;
Spesse fiate m'intronan gli orecchi,
Gridando : " Vegna il cavalier sovrano,
Che recherà la tasca con tre becchi ! „ »
Qui distorse la bocca, e di fuor trasse
La lingua, come bue che il naso lecchi.
Ed io, temendo no '1 più star crucciasse
yjga! di Padova. Alonoi credono ohe
Dante parli qni di Beginaldo Sorovlgoi,
Baaraio famigerato; cfr. 8al9<Uieo in D.
« Pad. p. 107 e seg.; 181 e aeg . Jlforpurgo,
iUd., p. 103 e aeg. ~« Fa padovano, padre
éì BBCuam- Arrigo Scofrigni, anche grande
Bsvraio »; An, Sd,
M. cu FAI : ancor tìto e non colpe-
Tile di neara.
«8. TIC» : concittadino. - Vitaliamo:
j^ antJehi eomm. dicono preasochè ana-
lisi <^ie ooatui ibeae Vitaliano del Dente,
«icftto podeatà nel 1307. Cosi lae. Dani,,
Lam,, OU., Càt»,, FaUo Boee., Benv.,
B^ An. Fior, (d* Asdente), 8$Trav., eoo.
iBawtb^., An. Sei., Petr. Dant., ecc. tac-
óooo). Il Mòrpiurgo si avvisa invece che
Dante parli di certo Vitaliano di Iacopo
"ntaHanf. osando marcio ; Dante e Pad.,
p. 213 d oeg. Che tntti gli antichi abbiano
preso OB granchio?
tOL Hinmiiuo: perchòpiù oolpevoledi me.
70.PADOVAKO: «il dannato che con qae-
■Ce psunie chiude l'iracondo dlsooreo non
precìsa di o^rto eenxa motivo i luoghi
liore gli ospiti del settimo cerchio sor-
firoBP i natali ; ma mira a mettere in
loco il primato poco losinghiero ohe le
doe ritta Tantano in quell'epoca snlle so-
nOe della penisola »; Motpwrgo, 1. e, 205.
71. m' UITBOICAK : qnesti Fiorentini.
73. CAVAUKK: Oiovanni Bolamonte, il
^ fnfloDa osaralo, dlcetl, d'Earopa.
8eM 6<mlUoniere di giustizia nel 1203,
ed ebbe poi le oase distrutte nel fiunoso
beeuUo soseitato dalla perfidia di Keri
Abati nel 1304. -sotkano : degli nsnrai ;
dt. In/. XXII, 87.
71. BBOCifl: rostri; Al.; Capri. «L'arme
A fasifeo ooaraiodipintaneU'antiooPrìO'
rista dell'Archivio delle Biformagioni di
Firenze colla data del 1298 ha tre capri
veri e reali in campo d'oro »; D. 0. ed.
Panigli, p. 700. «Se Pietro flgUuolodi
Dante dicendo, lUé a tribù» hireis /uU
dominus Jeanne* BuiamorUe de Biccit
de Florentia, nota bene in quanto al no-
me, erra per altro notando che l'arme
della famiglia Buiamonti portasse tre ca-
pri, mentre gli autentici documenti la
danno con tre teste d' aquila • i Vemon,
Inf. II, 433.
74. DIBT0R8E: atto sconcio di scherno;
cfr. Isaia LVII. 4. Al. quindi stobsb. Nei
codd. quidietoree e quldittorte. - bocca :
Al. FACCIA; trasse costai la lingua fuor
della bocca, o fuor àeWti/eteciafl
75. LA LIM QUA : come per leccare ; « atto
che fknno i marinoli dopo aver altrui lo-
dato per beflfa »; Gei. - « Super quem In-
sisti»? Super quem dilatastis os et eieci-
stis Hngnamf Numqnid non vos filli sce-
lesti, s«men mendax? »;i«a»a LVII, 4.
* O Jane, a tergo quem nulla ciconia
pinsit Kec manne auricnlas imitata est
mobilia albas, Nec Ungo» qnantom sitiat
canis Appaia tantum » ; Pers., Bai. I,
62-A. Cfr. Blane, Vertuch I, 147 e seg.
V. 76-136. IH$eeaa aW ottavo cer-
chio. Ritornato indietro. Dante vede
Virgilio già salito sulla groppa di Gè-
rione e che sena' altro lo invita a mon-
tar dinansi, esortandolo ad essere forte
ed ardito. Monta spaventato e con ri-
bresxo. Gerione nuota e discende lenta-
mente con cento ruote. Giunto al fondo,
depone i Poeti e si dilegna. I due Poeti
vanno nel regno della frode, portativi
dalla tozxa imagirte di froda.
76. MO 'i. : non il : temendo ohe il mio
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164 [OEBC. 7. GIB. 8] Inf. xyii. 77-90
[DISOESAj
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88
Luì ohe di poco star m'avea ammonito,
Tornarmi indietro dall' anime lasse.
Trovai lo daoa mio eh' era salito
Già su la groppa del fiero animale,
E disse a me : € Or sie forte ed ardito !
Ornai si scende per si fatte scale :
Monta dinanzi, ch'io voglio esser mezzo,
Si che la coda non possa far male. »
Qual è colai e' ha si presso il riprezzo
Della quartana, e' ha già l'anghie smorte,
E trema tutto, pur guardando il rezzo ]
Tal divenn'io alle parole pòrte;
Ma vergogna mi fér le sue minacce.
Che innanzi a buon signor fa servo forte.
fenn*rmi plh langamente presso gli usu-
rai non crnodasse Virgilio. Cfr. It^. Ili,
80. - PIÙ BTAB : Al. PIÙ DIR, lesione difesa
dal Betti. Ma se il Poeta non aveva qui
anoor detto nna sola parolaf
77. AMMOinTO : T. 40. Al. MONITO ; nei
cod. matfeamonito e maveamonito. Come
si deve leggere? I migliori antichi lessero:
m'ave' ammonito'^ m'avea ammonito.
81. BIE : sii ; « Viriliter agite et confbr-
tàmini »; I ad Cor, XVI, 13.
82. OMAI : qui, salta groppa di Qerione ;
dall'ottavo al nono cerchio, calati da An-
teo, Ir\f. XXXI, 180 e seg., e finalmente
arrampicandosi giù e sa pel corpo di La-
cifero, Inf. XXXIV, 73 e seg.
83. MBZZO : fra te e la coda velenosa di
Grerione. È affido dell'aatorità imperiate,
rappresentata da Virgilio, difendere l' uo-
mo dalle insidie della frode. Invece Tom.:
«Fra l'aomo e la ft-ode si pone la sciensa
onesta. » - Benv.: « Per hoc tacite autor
dat intelligi quod vir sapiens dìoit illi
cai habet oonsnlere: Fili mi, tu debes
semper pr»cavere fhiadalentum flnem,
quando habes faoere oum Gerione vnl-
pone, fellone.»
84. FAB MALE: a te.
85. qual' è t Al. QUALE. -COLUI : Il feb-
bricitante. - BIPRRZZO : ribresso, il bri-
vido e battimento di denti che precede
la febbre. Al. ch'è b1 pbesbo al biprkz-
zo; forse meglio: per evitare la ripeti-
sione del che ha nel v. seg.
87. BEZZO: orexzo, laogo ombroso e
ftresco ; cfr. IHez, Wórt, 1», 89. « Chia-
masi In Toscana, e credo per tatto, retxo
ove non batte sole, e tiare al rezzo, ove
non sia sole » ; BorgMni. -* Il reggia,
idest rigidam frigas t-Benv. - « Il freddo,
ogni cosa gelata »; An. Fior. - « Primnm
rigorem»; 8errav.~ *Qnéi rigore ohe vede
venire per lo smorire delle unghie •;Bttr9.
- « L'ombra ; » Land., VM., Dan., ecc. -
«U paUoredeirunghieall' appressarsi del-
l'accesso febbrile »i ToreUi, Cfampi, ecc.
Cfr. Inf. XXXII, 76. Blano, Torewh I,
148 e seg.
88. pòste: dettemi da Virgilio, v. 83.
Cfr. Inf. II, 135; V, 108; VIU, 112.
89. VKBGOQNA ! Al. VBROOGHAB. - IQ-
N ACCE : parole stimolanti, cioò qnelle det-
tegli da VirgiUo v. 81, 82. Al.: diversa-
mente. Ott.: « Deesi qui sottointendere
che VirgiUo disse: Se tu ti lasoiera' ca-
dere, io non t'aiuterò rUevare, e fla eter-
na caduta ; ti«itl beneadunqae.»-jBtnv.:
« Dicebat ergo Virgilius oum fkoie tur-
bata, irata: Ah 1 miser, infslix, vilis, pa-
sillanimis, numquam habebis honorem,
non flimam perpetuam, non gloriam SBter-
nam, et perdideris tot labores, tot vig^
lias.> -Bui» .'«Convenientemente possia-
mo pensare che dicesse : Se tu non monti,
io me ne andrò e lascerotti qui.»-< Yma-
ginandnm est, quod Virgilius, vidensBan-
tem timidum, sibi dixit: Ah vilis perso-
na! miseri iam tantum opus fboisti; tu
ita acutus es et tam eruditus: ideo non
deberes temere»; Serrav. Ha di tutte
queste belle cose il testo non dice nulla.
U Barg.i « Quali fossero quelle minacce,
di Virgilio, ciascun lo pensi a suo modo. »
90. CHE : la qua] vergogna.
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[CESO. 7. OIB. S]
IFP. ITU. 91-107
[DI8018A] 165
U
V7
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1«3
IM
Io m'assettai in sa qaelle spallacce:
SI volli dir, ma la voce non venne
Com' io credetti : € Fa' che tu m' abbracce I :►
Ma esso, che altra volta mi sovvenne
Ad altro fortOi tosto ch'io montai,
Con le braccia m'avvinse e mi sostenne;
E disse : € Gerion, muoviti omai I
Le mote larghe, e lo scender sia poco:
Pensa la nuova soma che tu haL »
Come la navicella esce del loco
Jn dietro in dietro, d quindi si tolse ;
E poi che al tutto si senti a giuoco.
Là 0 v'era il petto, la coda rivolse;
E quella tesa, come anguilla, mosse,
E con le branche l'aere a so raccolse.
Maggior paura non credo che fosse
Quando Fetonte abbandonò li freni.
91. 8PALULCCK : la btttbi Msendo tanto
{rade. « Perchè enmo disordinate et
aeoaee »; An, Fior,
•a. al: ToUi dire eoA : Fa* che tu m'ah-
ifueeét ma a dir ciò mi mancò la Toce,
nObeate dalla paura.
96. AD ALTRO FOSTE: ad altri difficili
P«hL Forte Tale qui U forte, cioè U dif-
fteile, la eoaa, fl ponto difficile. Al. ad
ALTO, FOBTK (1). AL AD ALTRO FORSK
émè, ad altro ponto periglioso. Cfr. Z.
F^ 104. Moore, Orti., 816 e seg. Senso:
'Vli^gitio, ehe già altre Tolte, in altri
ponti difflcili mi soTrenne, nd sTrinse
e sostenne coUe sae braccia, subito che
fid montato solle spalle di Gerione.
96. LE KOOTK : i giri che tn farai, siano
larghi, e scendi lentamente, a larga spi-
rale. « Quasi dioat : non est hic cnrren-
dnm, sed lente incedendnm com magna
dsiiberstione circa istom primom introi-
tnm fraodiom »; Benv,
99. HVOVA: insolita, doò di nn nomo
Tiro. « Pensa che sulle spalle hai soma
hisolit», che dee meritar riguardo. Tanta
iiDeerft4 è toma reramente nuova per
la Frode »; Boee, Da questo Terso si pe-
rebbe inferire, essere Oerione solito a
portar g\h le anime dei dannati ; se non
che i Poeti non ne Tsdono una sola, nò
le anime arrecano seco una corda, od
altra eosa qualunque con che Aire un
cenno a (oerione, affinchè salga a pren-
derle per portarle gih.
100. DSL LOCO : del porto. Al. di loco.
101. nr DiRTBO IH DiKTBO : « mostra
Tatto gradatamente continno del ritirar-
si »; L. YenL, Sim. 962. - « Gerione, nel
discendere nelTottaTo cerchio, principiò
a Tolare a poco a poco aW'indietro ; ma
poi che fh uscito dalla strettessa della
bocca del cerchio, rÌTolse il petto là ove
era la coda, cioè si pose STolsre di fronte,
come fanno gli animali »; Betti. - quimdi :
dall'orlo del settimo cerchio. - tolsi:
allontanò.
102. A giuoco : in comodo; quando Tide
il tempo opportuno. « Diciamo l'uccello
essere a giooco, qoandoòin luogo ti aper-
to, che può Tolgend oTunqne »; Land.
104. TESA: distesa in lungo, mentre
fin qui la torooTa in su, v. 26. - mobsk :
con quel gulsso con che si muovono le
anguille nell'acqua.
105. RACCOLSI: come ISs chi nuota. Ge-
rione nuota noli' aria.
107. Fetonti : ente mitologico, figlio
di Elios, ossia del Sole, e di Olimene, volle
guidare temerariamente i cavalli patemi,
onde precipitò noli' Eridano; cfr. Otmf.,
Met. II, 47 324, specialmente 178 e seg.
Sneiel. 777 e spg. - abbahdomò : « Men-
tis inops gelida formidine lora remisit »;
Ovid., 1. e, 200. - PRKKI : del carro solare.
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166 [CEBO. 7. OIB. 8] IKF. XVII. 108-122
[DISCESA]
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Per che il cìel, come pare ancor, si cosse ;
Né quando Icaro misero le reni
Senti spennar per la scaldata cera,
Gridando il padre a lui : € Mala via tieni I »,
Ohe fu la mia, quando vidi eh' io era
Nell'aere d'ogni parte, e vidi spenta
Ogni veduta, fuor che della fiera.
Ella sen va nuotando lenta lenta ;
Ruota e discende, ma non me n'accorgo,
Se non che al viso, e di sotto mi venta.
Io sentia già dalla man destra il gorgo
Far sotto noi un orribile stroscio ;
Per che con gli occhi in giù la testa sporgo.
AUor fu' io più timido allo scoscio,
Però ch^o vidi fuochi e sentii pianti;
108. PABB : appare, si vede ancora nella
Galassia, o Via Lattea. - cobsb: abbruciò.
« Cnmqae diem pronnm trans^erso limite
dacens, Saccendit PliAdthon flag^rantlbua
iBtbera lori» ; » Luean., Phar». II, il2 e
seg. L'opinione di Dante satla Galassia
Tedila Oonv. H, 15. Qai si attiene alla mi-
tologia, secondo la quale la Galassia ap-
parve, quando U carro del sole, mal gui-
dato da Fetonte, arse una parte del cielo.
109. IGABO : 'lxapo(;, figlio di Dedalo,
il quale per fuggire da Creta fece a so ed
al figlio ali di penne, appiccicate insieme
con la cera. Icaro volò troppo alto, con-
tro U comando del genitore ; la cera si
liquefece, le ali si staccarono ed Icaro
cailde net mare ; ctt. Ovid., Mei. VIII,
208 e seg. Hot»., II. II, 146. Herodot.Yl,
95. Horat., Carm. I, i, 15.
111. GRIDANDO : « At pater infellx, noe
iam pater: Icaro, dixit, Icaro, dixit, nbi
es? qua te regione reqnlram, Icare? di-
cebatj p Ooid., Met. VIII, 231 33.
112. MIA : paura. Temeva o di cascare
neir abisso, o di esservi gettato giù a
bolla posta da quella »ozxa i^nagine di
froda.
1 13. K ell'aerb : dunque Gerione nuo-
tava nell'aria, non nell'acqua, come pre-
tendono f^o. ed altri. -8PRNTA: Gerione
si era allontanato già tanto dalla proda,
ohe la non si vedeva pih. Giù nell'ottavo
cerchio non poteva vedere causa l' oscu-
rità. Non vedeva dunque che il vastis-
simo vano del bnrrato e la fiera con la
coda aguzza.
116. ELLA: la fiera, Gerione. - nuo-
tando : nell'aere. Al. botando. Del ro-
tare si parla nel verso seg., ove si dice
che Gerione discese facendo larghi giri,
come Virgilio gli aveva ordinato, t. 07
e seg.
116. ACOOBGO: Dante indovina in qne-
sto luogo ciò che oggidì gli areonaatl
sanno, che, cloò, chi discende dall'alto
per il gran vano dell* aria, non si ao-
corge di calare, se non in quanto 1* aria
di sotto, che egli man mano viene rom-
pendo, gli soffia incontro.
117. AL VISO : perchè Gerione discende
pigliando larghi girl.
118. GORGO: l'acqua del Flegetonte,
cadente giù dal settimo nell* ottavo cer-
chio. Gorgo, lat. gurgìit, ò propriamente
quella fossa che fa ed empie l'acqua ca-
dendo dall'alto.
119. BTBOScio: strepito «suono del ca-
dimento d'acqua»; jBar^. Cfr. Dicx, Wbrt.
Il», 76 s. V. Troicia.
120. sroRQO : « passa da teniia a sporgo,
come ai v. 68-62 da regno a vidi. Passaggi
fh)quenti in Virgilio »j Tom,
121. ALLO SCOSCIO : all'aspetto del pre-
dplsio. Così i più. Al.: Pib cauto a non
allargare le cosce per non uscir di sella.
« Scoscio viene da coscia, ed è il sostan-
tivo fatto da scosciarsi. Nell'uso toscano,
di una ballerina si dice che ha bello sco-
scio, quando allarga e stende molto le
gambe nei far l' arte sua »; Marino in
Ferr. V, 834. Ma W Betti colla Or.: * Forse
da scoscendere, minare. »
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tene t. euL a]
IHP. ITU. 128-136
[DI8CBBA] 167
m
ir
IJO
1»
las
OndMo tremando tutto mi racooscio.
£ vidi poi, che noi vedea davanti.
Lo scendere e il girar, per li gran mali
Che s'appressavan da diversi canti.
Ck)me il fdcon, eh' è stato assai sull'ali,
Che, senza veder logoro o uccello.
Fa dire al falconiere : € Cime tu cali ! >,
Discende lasso onde si mosse snello,
Per cento rote, e da lungi si pone
Dal suo maestro, disdegnoso e fello ; ^ '
Cosi ne pose al fondo Oerione
A piò a pie della stagliata ròcca ;
E, discarcate le nostre persone,
Si dilegaò come da corda cocca.
122. mAixXMCio : mi ristringo aernuido
le eoaee. Atot» alhiBgato il collo per
{Mvdaare giù al fbodo, ▼. 120.
Ili. Twiz BOB s'erm accorto del ano
eilaia, r. 116 ; adeeao se ne accorge, ve-
Irmiìnd man mano aTricinare i soppliai
don* ottano cerefaio. £ Tedendo questi
s^pttsi aTTidnarsi da diverse parti, si
aecarge elie cala girando. Al. K udì' poi,
CBB lOV L*UD1A DATAIITI ; cfr. Z. P., 104
• tsg. Mal al comprende come si possa
tiélre lo §e0ndere < il girare di ohi nuota
aefl'aria.
128. LOOOBO ; « stromento di dne ali
d'aeeello legate insieme con nn filo pen-
dente, ohe al c^po estremo porta nn nn-
cteeOo di eomo •; FOal. Col girare di
qossto stramento il fiOooniere soleva ri-
cbtamare Uteloone. Qai ! sensa aspettare
d'smer rkthiamato e sensa arer fktto
12i. FA DIRB: calando aeosa preda. -
CAU: « qoaai dica: Io mi dolgo che tn
ssHi gasato non è sansa cagione, o d'in-
fermità, o di stanohessa. o desdegno ; per
le qnali cose si guasta il flUcone e Tnccel-
latore niente piglia poi quel dì »; BuU.
130. ONDE: il fidcone discende stanco a
quel luogo donde tutto pronto e reloce
si è mosso. - 81 M068B : Al. 01 MUOTl.
Cfr. Stane, Vertueh, 161 e seg.
181. BOTB: giravolte, appunto come
era disecco Gerione.
182. MAismo: fUconiere.- FELLO: cor-
rucciato, perchè sansa preda.
133. così : disdegnoso e fello, perchè i
dne, Dante e Virgilio, non erano sua pre-
da. - ni PO0B : ci depose, si scaricò di noi.
134. A PIE ▲ PIE: Al. A PUEDB A PIE;
ci depoee rasente rasente l' ardua ripa,
la itagUata ròcca. - Al. : Ci depoee in
piedi, appiè del balao dirupato.
136. DiLiGUÒ: si allontanò colla velo-
citA di una freccia scagliata dall' arco. -
COCCA; propriamente la tacca della frec-
cia, nella quale entra la corda neir arco ;
qui ^T freccia, la parte per il tutto; cfr.
Inf. XII, 77.
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e. 8. BOLG. 1] IKF. XTHL 1-4 [MlLBBOLOBj
CANTO DECIMOTTAVO
OEEOHIO OTTAVO
)LGiA prima: euppiani e seduttori
(Perooesi àtk diftYoli oon sferse)
VENKDICO CACCIANIinCO, GIASONE
BOLGIA seconda: ADULATORI
(Immersi nello sterco umano)
iUogo è in Inferno^ detto Malabolge,
Tutto di pietra e di color ferrigno,
Come la cerchia che d' intorno il volge-
rei dritto mezzo del campo maligno
I
'aìeboiffe.Votihvo cerchio, postiglio, et seno, et golfo et ricettaci!-
« la fraadolensa contro ohi lo; il perchè è conveniente nome, che
scompartito tn dled gran ha chiamato mal ripostiglio, et rìoet-
i e concentrici, detti Male- tacnlo U Inogo della firande • ; Iiand. -
ono imaccati (cfr. Tr\f. VII, Così pure VeU., Dein., ecc. Tal, invece,
» peccarono per malixla (cfr. copiando probabilm. Benv.: « Kotandnm
Il nome Malebolge è com- qaod MaUbolge est locos conoaTos et ca-
I e bolgia, specie di bisaccia pax, nt vallis, lacuna, lama. » L'interpre-
fr. Disz, WóH. 1', p. 72 e tastone di Benv. si potrebbe accettare ;
è sacca »; Lati, - « Bulgia ma gli antichi commentatori toscani di
rentino est idem qnod vallifi qoel volgare fiorentino non sanno nulla,
ipax »; Benv. - « Bolgia cioò Cfr. Eneiel. 1186 e seg.
o vero ripostiglio »; BuH. - 2. B di colob : Al. di colob. - fkbbi-
go è chiamato Malebolge, omo : grigio nerastro come fbrro greggio.
Die dire qnanto Male sacca, 8. csucHlà : cerchio, la « stagliata ròo-
Male valige »; An. Fior. - oa, » Ir^. XVII, 134. « Dico eerehio lar-
alam, Malibolgie, est prò- gamente ogni ri tondo, o corpo o snper-
alum anctoris, qaia nnm- flcie; » Oonv. II, U. - vomì : lo dnge,
>cabnlam in aliqao loco.... gli gfni intomo.
rav. - « Bolgia significa ri- 4. DRITTO : precisamente nel messo. -
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[GaC. 8. BOtG. 1]
Inp. iviii. 5-17
[MÀLBBOLeE] 169
Vaneggia an pozzo assai largo e profondo^ _
Di cui suo loco dioerò T ordigno. ^^^^cTIIu.' ^^
Qnel cinghio che rimane, adunque, è tondo
Tra il pozzo e il pie dell'alta ripa dura,
Ed ha distinto in dieci valli il fondo.
Quale, dove per guardia delle mura
Più e più fossi cìngon li castelli,
La parte doVei son, rende figura;
Tale imagine quivi facean quelli ;
E come a tai fortezze dai lor sogli
Alla ripa di fuor son ponticelli^
Cosi da imo della roccia scogli
Movien, cIjljb ricidetin gli argini e i fossi
CAMPO : VottftTo oerddo. - mauoho : per-
chè ^fanora dei maUgni.
S. TAXSOOIA : a* i^pre TQoto. - pozzo :
eaao eenddo, più stretto degli altri.
8. tuo LOCO: • Inogo sao dirò com'è
fatto. AL IH suo LOCO; AI. A 8UO LOCO.
-DICS8Ò: AL COHTIBÒ. La les. dicerà,
rwiiià aembrano errore di chi non hi'
ìtm U frase latina tuo loco. - l'obdioho :
fot&Mt e la forma, la struttala.
7. cnnsHio: spasio droolare. Coetr.:
« Adonqoe quel cinghio che rimane tra U
posse e il pie dell'alta ripa dora, è tondo
ed hs, eoe. » O, forse meglio : « Quell'area
ciieolate (cinghio) che ai estende tra *1
posso e '1 pie dell'esterna parete petrosa
iripa dura) adnnqne è rotonda, e ha di-
•tlato il fondo in died bolge. »
t. ALTA nPA : della ttagliata ròeea {Inf,
Xm, 13^ ohe accerchia Malebolge.
9. iwiui'io : acompartito. - valli : non
è fl ^or. di vàUo [Vent,, Lowh., eco.) ma
di «sBe; ohe ognuna delle dieci bolge non
i OD ^oXlo, ma una wMe, e gli argini, che
▼«■mente potrebbero dirsi vaVLi piar, di
tsOs, erano nore, non diect Infatti ofr.
T. n, dove la prima bolgia è detta voXIa;
Tedi pare XIX, 133; XX, 7 ; XXIU.
136; XXV, 187; XXIX, »; XXXI, 7. Cfr.
filane, Ytrwuak I, 167 e seg.
19. QUALE : qoei foesi, oioè quelle bolge
isfanaU, averano on aspetto simile a
quello che ha la parte, dove sono i foesi
dte cingono nn castello.
IS. FiouRA: aspetto. Al. risdok si-
ccftA, lesioiie erronea. Cfr. Moore, Orit.,
m e seg. n Blane e L. Tont., Sima., 349,
TJwwdanoassai apropoaito il passo Oonv.
IT, 7 : « Nevato è si, che tatto caopre la
neve, e rendè una figwa in ogni parte,
sicché d'alcnno sentiero vestigio non si
vede. » Costr.: « Qnale flgnra oflke (rende)
qneUa parte dove sono pih e più fossi,
colà dove cingono 1 castelli per gnardia
delle mura, tale immagine fooevan qnivi
quelle valli droolari che accerchiano il
posso. » Cfr. Blanc, Yertueh 1, 150 e seg.
13. QUBLU: qnei dieci valli concen-
trici; V. 9.
14. spoLl; piar, di toglio — ioglia, 11
solifcre. Ola porta. Cfr. Purg. X, 1. Co-
str.: « B come dalle soglie di tai fortesze
vi son de' ponti ohe vanno sino alla ripa
estema della fosaata, così dall'imo della
petrosa parete {da imo détta roccia) prò-
cedeano allineati (movien) scogliosi ponti
Iteogli) che attraversavano le mora e le
bolge (e^ ricidean gli argini s i fossi) in-
sino al posso centrale ohe li tronca e li
raccoglie. » Cfr. Rose. II, 107 ; Siane,
Yertueh I, 160 e seg.
16. DI FUOB: dell' nltlmo fosso, ÌI plh
lontano dalla fortezza.
16. DA IMO : «dal basso della balza on-
d'erano stati calati da Qerione » ; Lomh.
- SCOGLI : sassi che servono di ponti. Kon
nn solo (Dion., Aned.Y, e. 10, p.60 e seg.),
ma pih ordini di ponti alle bolge (cfr.
V. 18; XXI, 106, 136; XXUI, 68, 133 e
seg.), forse dieci, come dieci sono le bolge
(Filal.)t forse più, forse meno.
17. HOVIRN : mnovevano, procedevano,
si partivano. « Dal pie del mosso si par-
tono scogli che qossi ponti accavalcian
le bolgia e le tagliano a traverso e met-
tono al posso il qnal pare li tronchi e
raccolga»; Tom,- aiciDKAHt traversa-
vano; ofr. Ir^. vn, 100.
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170 [CEBO. 8. BOLO. 1] INP. ITOI. 18-80
[BUFFI AHlj
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Infino al pozzo che i tronca e raccògli.
In questo loco, della schiena scossi
Di Gerion, trovammooi ; e il poeta
Tenne a sinistra, ed io retro mi mossi
Alla man destra vidi nuova piòta,
Nuovi tormenti e nuovi frustatori,
Di che la prima bolgia era repleta.
Nel fondo erano ignudi i peccatori :
Dal mezzo in qua ci venian verso il volto,
Di là con noi» ma con passi maggiori.
Come i Roman, per V esercito molto.
L'anno del giubbileo, su per lo ponte
Hanno a passar la gente modo colto ;
18. I: li; cfr. Inf. VII, 63. MonH,
Prop. Ili, II, 184. - BACCÒGLI : gli racco-
glie; cfr. Nannue., Verbi, 788 e seg. Gli
scogli o ponti convengoDO «Ila circon-
ferensa del pozzo, al qnale ginn ti non
vanno pih in là. Malebolge offre la Agora
d' ana mota, il pozzo è come Tasse obe
raccoglie i raggi e 11 tronca, sì che non
passino nella cavità centrale, ov' entra
l'asse.
19. B0088I: deposti.
V. 22-39. I ruffiani. Laggih nella
prima bolgia Dante vede in prima i se-
dattori di donne per conto altrui, che gi-
rano in direzione opposta ai seduttori di
donne per conto proprio. Sono percossi
da diavoli con sferze. I diavoli sono cor-
nuti per rammentare tremendamente a
questi dannati le fedi tradito do* mariti,
cui una volta chiamarono sbeffeggian-
doli becchi cornuti. Circa la ragione della
pena cfr. Levit. XIX, 20 : « Vapniabunt
ambo. » - T<ie., Oerm., 19 : « Nodatam....
expellit domo maritns ac per omnera vi-
cum verbere agit. » Il precipitoso loro
correre rammenta ad essi come in yita
fecero correre donne e fanciulle nella via
del disonore.
22. DESTRA : andavano a sinistra, t. 21 ;
dunque aTevano la bolgia a destra. -
NUOVA PIETÀ : non mal veduta compas-
sionevole cosa.
23. PBU8TATOBI : dlavoH che da questo
luogo in poi tormentano i dannati.
24. REi»LBTA: ripiena: latinismo usato
dal Boee. e da altri antlchL C/ìp. Pura,
XXV. 72. Par, XII, 58.
25. lOMUDi : « Dante accenna la nudità
della ombre sol quando le voglia dipin-
gere nel più miserando abbandono, prive
d'ogni schermo, p. ea. Ili, 65, lOO : VII,
111 : XIII, 116 ; XIV, 19, ecc. » ; BUme,
26. DAL MKZZO: dalla metà del fondo
verso ntrf. Questa bolgia è divisa in dne
zone concentriche; nella zona di qxta,
cioè dalla parte dell'argine «aperiore
dove sono i Poeti, corrono i mezzani
con la fietocia volta ai due osservatori,
dunque a destra, poichò questi ultimi
tenevano a sinistra, v. 21 ; nella zona di
là, cioè dall' altra metà, corrono i sedut-
tori in direzione opposta, cioè a ainistra.
-VKBSO IL VOLTO: inoontro a noi.
27. CON NOI: nella stessa diresione dei
nostri passi, cioè a sinistra, ma correndo
più rapidamente.
28. R8RRCITO : folla del popolo accorso.
« Al continuo in tutto l' anno dorante,
avea in Koma oltre al popolo romano,
duecentomila pellegrini, sanza quegli
ch'erano per gli cammini andando e
tornando; » G. YiU. VUI, 86.
29. ANNO : 1300. Molti biografi si av-
visano che anche Dante assistesse al
Giubileo, ed U Balbo, lib. I, o. 10, ne
trova in questi versi una « prova spe-
ciale. > Cfir. Satier., 10 e seg. - ponti:
di Castel Sant'Angelo.
30. COLTO : preso provvedimento. AI.
TOLTO. Lnngo il mezzo del ponte fti po-
sto un assito, o muro, affinchè la gran
moltitudine avesse al camminare meno
d' impaccio, e andassero gli uni per un
lato a San Pietro, e tornassero gli altri
volgendo il viso verso il monte Giordano
che sorge a pochi passi da esso ponte,
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[CSBC 8. BOLO. 1]
INP. XYIII. 81-42
[BUFFIANI] 171
37
Che dall' un lato tutti hanno la fronte
Verso il castello, e vanno a Santo Pietro;
Dall'altra sponda vanno verso il monte.
Di qua, di là, su per lo sasso tetro
Vidi demon cornuti con gran forze,
Che li battean crudelmente di retro.
yAhi, come facean lor levar le berze
\ Alle prime percosse I Già nessuno
Le seconde aspettava, nò le terze.
Mentr'io andava, gli occhi miei in uno
Furo scontrati ; ed io si tosto dissi :
€ Di già veder costui non son digiuno. »
V
TOgUono altri, reno U
motOe Glanioolo. Cfr. Beumont nel Dan-
U-Jahrhuah lU, 898 e aeg.
12. CASTELLO : S. Angelo.
34. DI QUA, DI LÀ: in ambedue le zone
nelle qaaU qaesta bolgia è divisa. - bas-
so: fbodo della bolgia, cfir. v. 2.
35. ferzb: afone, flagelli; o(^. End-
d9p. 776.
87. LKVAB: correre. - bkbzb : le calca-
gna, dal ted. JVrw, etr. Diez, Wórt.
I*, i42. « Le gambe e le calcagna » ; Lan.
- < Calcaneos, qaasi dicat, faciebant eos
tam Télociter oarrere, qaoa non yide-
bantnr tangere terram * ; Benv. - « Le
gambe a correre » ; Buii. - « L0 beru,
vocabolo antico et volgare, et vnol dire
le calokgna *; An. Fior. - « Faciebant eoe
levare b^rzas, ideet calcaneoe » ; Serrav.
- « Levar le gambe e i calcagni ; come li
Ihoean correre alle prime percosse ! » {
Barg. - « Le gambe » ; Land. -•Le herze^
idest tolos » ; Tal, - e Alsar le piante > ;
TéU. - « Le bolle et le Teeoiche per sa te
carni, battendoli forte et crudelmente. In
alcon testo antico si legge non berze, ma
Urze, cioè le gambe >; Dan, Gli altri an-
tichi non danno vemna interpretasione.
V. 40-66. VeneéUeo Oaceianitnieo,
Dante rode laggiù tra' ruffiani nn tale,
die erede di conoscere, e Perchè sei qni f •
« Per aver fatto il ruffiano tra Ghise-
labella e il marchese [da Sste]. Slamo qui
Bolognesi in gran numero. «Mentre parla
ancora, un diavolo lo sfersa via. Di co-
stai An. Sd.'. « Ebbe una figliuola (f) bel-
Uasfana ch'ebbe nome Ghisota, de la quale
s'innamorò Marchese Obiszo da Bstì, e
qoMtJ per moneta la fece consentire a
luL » - lac. Dami. : < Per derta quantità
di moneta la sirochia ohamale alla vo-
glia del marchese Obisso daEstiohamal-
mente chondusse. » - Lan. : - e Aveva una
sua sorella nome Ghlsola bella; roffia-
noUa a messer Opizio marchese da Esti
di Ferrara, promettendo a lei che 1* areb-
be signoria e grandezza: dopo Io fiitto
ella si trovò a nulla delle promesse » -
OoMt. : « Lenociniando submisit domnam
Ghisoiam bellam eius sororem et uxorem
Nicolai Clarelli de Bononia Marohioni
Aczonl de Este. » - Benv. : « Fait valde
potens in Bononia favore marchionis
Estensis, qni fuit Azo III.... Habnit
unam sororem pnlcerrimam, qnam con-
duxit ad servieodum march ioni Azoni
de sua pulcra persona, ut forti us pro-
mereretnr gratiam eius. » "VAn.Fxor. cir-
costanzia, forse di propria fantasia, senza
aggiungere in fondo nulla di rilevante.
Cfir. MazzùniToielli, Voci e paeH di D.,
p. 121 e seg. La famiglia de' Caccianimici
stava a capo della fazione de' Gereraei o
Guelfi di Bologna, contro i Lambertazzi
o Ghibellini. Venedico fa podestà di Mo-
dena, d' Imola e di Milano, dove nel 12S6
dovette difendersi dall' accusa d' aver ri-
cattato nn malfattore. Sbandito dalla pa-
tria il 14 agosto 1289, non si hanno pih
notizie di lui.Pare che morisse poco tempo
dopo. Ctr.Gozzadinh Delle torri gentilizie
di Bolognat p. 212 e seg.
41. DI88I: a Virgilio, affinchè si fer-
masse nn momento.
42. DI GIÀ VKDRB: Al. GIÀ DI VEDRR;
cfr. Mao re, Orit., 319 e seg. Vaol dire :
Non è questa la prima volta che io veggo
costui. ^ ,
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172 [CEBO. 8. BOLO. 1] INP. XVIII. 48-57
[CACCIIKIKICO]
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Perciò a figurarlo i piedi affissi;
E il dolce duca meco si ristette,
Ed assenti che alquanto indietro gissi.
E qnel frustato celarsi credette
Bassando il viso ; ma poco gli valse,
Ch'io dissi: « Tu che l' occhio a terra gotte,
Se le fazion che porti non son false,
Venedico se' tu Caccianimico ;
Ma che ti mena a si pungenti salse ? »
Ed egli a me: < Mal volentier lo dico ;
Ma sforzami la tua chiara favella,
Che mi fa sovvenir del mondo antico.
Io fui colui che la Ghisolabella
Condussi a far la voglia del Marchese,
Come che suoni la sconcia novella.
43. I pncDi: mi fermai. Al. oli occhi;
ma Virgilio: meco $i Hitette, il ohe non
8i tà cogli occhi. PIEDI è les. del piti dei
codd. e oomm. antichi.
44. DOLCE: e il duca è detto dolce per-
chè fa compiacente nel riBtarst e permet-
tere che Dante andasse alquanto indie-
tro»; Rott,
45. nrDiETKO : il dannato essendogli già
passato innansi.
47. BASSANDO: credette nasconderei
chinando la faccia, vergognandosi di aver
egli, nobile cavaliere, commesso tal de-
litto e di trovarsi a tal pena. - foco :
« qnia tantnm recognovi enm ; per qaod
notat qnod qais non potest ut! tanta
arte, quod non oognoscatnr tale vitinm,
qnia cito infomia taborat centra antorem
talis firandls, et est maxima pars so»
poBDte » ; Benv,
48.aBTTE: getti.abbassi gli occbiaterra.
40. fazion : fattezze del tuo volto. -
FALSE : somigliando troppo alle fattezze
del volto di un altro.
51. CHE: il fatto non era accertato,
e Altri vaol dire che *1 fae non con sa-
puta del ditto, ed altri dice che non ta
nulla ; » Lan. Al. chi. - salse : pena
acerba, tormento {OU.tBvtitBarg^Land,t
VeU.,Dan., VétU., 'roI.,Lom&.,ecc.);laogo
aspro e rovinoso (Maz.-Toi., 1. e, p. 22 e
seg.); nome di certa valle angusta, sterile
e deserta, a circa 16 miglia da Bologna,
ovegittavansi i corpi de* suicidi, dei mal-
fattori e di quelli che morivano in conta-
mada della Chiesa (^n., Phr.Tal., Boee.,
Benv., Tom., Bl., Br,, B., ecc.). H senso
è in ogni caso: Per qoal peccato s^ qoif
52. LO DICO: Al. TEL DICO.
53. CHIABA : precisa, che Venedico si
mostra bene informato delle cose di Bo-
logna. Al. : Distinta, al contrarlo delle
voci delle ombre ohe parean fioche. AL :
L* idioma toscano ohe ta parli. « Dante
riconobbe Venedico alle sue ftettesse: e
Venedioo invece lo riconosce a quella
favella, che lo rendè si ft^moso »• Betti.
54. FA sovvENiB : ricordandomi le eolie
e chiamandomi per nome. - antico : il
mondo di lassù, per me passato. Al.: H
mondo degli antichi Bomani ai qaali ta
mi pari rassomigliare (?).
55. IO FUI: Al. IO BON; cfr. Moore,
Orit,, 321. - Ghisolabella : « Alconi di-
cono che costei fi co^ nominata per es-
sere stata bella ; io però ne dabito. per-
chè ondici anni dopo il sao matrimonio
ella dettò il suo testamento nominan-
dosi QhieolabéUa quondam Alberti de
Ckizzanemioie, mentre forse non era più
bella»; Mazz.'Toe.
57. SUONI : la cosa si raccontava in più
modi. « Bt perchè parea forte a credere
che messer Venedioo avesse consentito
questo della sirocchia, chi dicea la novella
et apponevala a ano, et ohi a on altro;
di che ora messer Venedioo ohiarisce a
Dante>;An.. Pior. Ma d'onde seppe Dan-
te il vero t - scoNaA : turpe, scandalosa e
fora* anche gaasta, falsificata, essendoché
0 non si voleva o non al ardiva dire il
vero, tratt«ndoaÌ di fiuniglla potente.
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[CIEC. a. BOLG. 1]
INP. XVIII. 58-67 [CACOIINIMICO] 173
SS
«7
E non por io qui piango Bolognese ;
Anzi n'ò questo loco tanto pieno,
Che tante lingae non son ora apprese
A dicer sipa tra Savona e Beno ;
£ se di ciò vuoi fede o testimonio,
Bòcati a mente il nostro avaro seno.> ^
Cosi parlando il percosse un demonio
Della sua scuriada, e disse : < Via,
Bnffian ! Qui non son femmine da conio. »
Io mi raggiunsi con la scorta mia;
co. APTEMBE: ammaettrate. Più Bolo-
gnesi qui ehe laash nel mondo. « UniTer-
■ahneote i Bologned tono oaritateToU di
tali doni, doè di rofllanare parenti e oo-
gnoaoenti ohi meglio meglio » ; Lan,
61. NPA : idtoUnno tiologneae per Ha;
▼Ito ancora nrila campagna, menare in
città è direnato teppa eft. Tattoni, Sec-
dUa rap, XII, SO.-Satkna: tra 1 dae
ftaml nominati siede Bologna con parte
àtSi ano territorio. Ctr. Bau., 208-217.
€3. sfican A MKHTB : ricordati dell* ava-
zixiadi noi alM Bologned. «Bononienais
aatoralitor eioommoniter non est avams
in retineddo, aed in capiendo tantum.
nU enim, qoi sont Titiosi, ibi prodiga-
Uter expeadimt nltra rires Cscoltatis rei
laeri : ideo Cacinnt torpia Inora, aUqnando
enm India, aUqnando cnm ftartis, aUqnan-
do eom lenoniciìs, exponentes Alias, so-
rorea ei oxores libidini, eco. » ; Bewi,
«5. BCUUAOA : frusta, lat. tcutiea, pro-
priamente la sferza di caoio, colla qoale
si sogliono frustare i oayalU.
06. oosio : lat euneut, frano, ant. quin ;
posso d' acciaio nel qoale è intagliata la
figura che ai ha da imprimere nella mo-
neta, o in una medaglia; Torsello, Pun-
sono. Nel nostro luogo i più intendono :
Femmine da prostituire per danaro. Così
lac. Dani.: « Per cierta quantità di mo-
neta. » - han.: « Conio, cioò moneta ;
qnaai a dire: Tu non eri da altro se non
da rofllanare femine per moneta. » -
Oms»* « Apte ad emeodnm. > Così pure
BewB., Serrav., Land., YéU., OeUi, Dan.,
Cast., Or., TotU., Lomb., Pori.., Pogg.,
Biag., Oto., Wagn., Tom,, Br. B., FreU,,
Àxidr., Oamer., Bennat., Lub., Campi,
f^., Bigutini, Bl., eoo. Ha madonna
GhjoolnbeUa de' Caccianemici non era
i^unina da tu copia di sé per denari;
htMaai ingannata e tradita dal fratello,
L
il quale la moneta ricevuta tenne per
sé. Quindi altri intendono : Femmine da
ingannare. OU.: « Quando uno inganna
altro, quello si dice «ontors ; mostra uno,
ed è altro. Ooniar§ è mutare d' una for-
ma ad altra forma, e Tiene a dire ingan-
nare, fEtfe fkiso conio, (Usa forma: trae
il nome dalla moneta che piglia stam-
pa. » - BuH : « Da essere coniate et in-
gannate con le ine sedniioni. » - An.
Fior.: « Da poterle coniare et ingannare
per danari o per altro illioito modo. »
- Betti : «da essere ingannate e sedotte. »
Accettando essensialmente questa se-
conda interpretax., alcuni, ricordando il
senso dell' antico finsno. Coigner, vedono
nella frase Femmine da eonio una scon-
cia àllnsione, ohe in bocca ad un demonio
fooilmente si comprende. Così Mazzoni-
Totem, Fan/., Berth., eoo. - Bamògl.,
An. Sei., Petr. Dant., Folto Boeo., Barg.,
Tal., Bott., Com., eoo., non danno ve-
runa spiegazione. Cfr. Mazzoni-ToteUi,
Voci e patti, 116 e seg. Fat^. nel Borghi-
ni, II, 264 e seg., 274 e seg., 811 e seg.
RiguHni, Del vero tento della maniera
Dantetea ' Femmine da eonio ', Firenee,
1876. Ferrazzi, V, 886-40. Luri da Pat-
tano nel Propugn. di Bologna XII, ii
(1870), p. 208 e seg. Bianchi neWAreh.
gUUol. àeWAteoli, VII, i (1880), p. 180
e seg. Dei Lungo, D. ne' tempi di D.,
107-270. Encicl., 480 e seg.
y. 67-81. I seduttori. Dopo aver co-
steggiato l'alto muro a sinistra, arrivano
ad uno di quegli scogli, o ponti ohe acca-
valciano le bolge ; lo salgono e si partono
dalla stagliata ròcca. Giunti sulla som-
mità dell'arco del ponte, Dante vede lag-
giù i seduttori di donne per conto pro-
prio, i quali corrono in diresione opposta,
sforzati essi pure dai demoni.
67. EAGOiuKai! ritomai da Virgilio ch<'
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174 [CBBO. 8. BOIKJ. 1] INP. XVIII. 68-84
[8BDUTT0RI]
70
73
76
7»
82
Poscia con pochi passi divenimmo
Là Ve ano scoglio della ripa ascia.
Assai leggeramente quel salimmo,
E, vòlti a destra sa per la soa scheggia,
Da qaelle cerchie eteme ci partimmo.
Quando noi fammo là, doy' ei vaneggia - . '
Di sotto, per dar passo agli sferzati,
Lo daca disse : « Attienti, e fa' che foggia
Lo viso in te di quest' altri mal nati,
Ai qaali ancor non vedesti la faccia.
Però che son con noi insieme andatL »
Del vecchio ponte guardavam la traccia
Che venia verso noi dall' altra banda,
E che la forza similmente scaccia.
n buon maestro, senza mia dimanda.
Mi disse : € Guarda quel grande che viene,
E, per dolor, non par lagrima spanda.
8* era fermato, t. 44, mentro io era an-
dato alquanto indietro, v. 45.
68. CON POCHI : dopo aver fatto pochi
passi. - DiVBmMMO : arrivammo.
69. LÀ. 'VB: Al. DOVB. - U8CÌA: cfr. T.
16-17.
71. scHSGOLà: dorso aspro e mal ta-
gUato.
72. STBRNK: Al. ESTSiUfs. Dan.', ccen-
tinove, perchè abbracciava a tomo a
tomo tatto le bolge. » -FeU.: « si partirono
da tatto le sponde, tanto di qaesto quanto
de* saperiori cerchi ; perchò onesta, ohe
lasciavano ora a dietro, era r altima. »
Eterno è tatto V Inferno, qalndi ogni
cerchio.
73. RI : lo scoglio. - YANBoaiA : fa arco,
lasciando sotto dì sé on vano per dar
passo ai fhistati giù nella bolgia.
76. ATTiiENTi: soflèrmati. Al. attendi,
lev. difesa da Z. F., 107 ; cfr. Foto. II,
183.-Fitaou: ferisca, cfr. In/. XV, 3».
Nannuc., Verbi, 336, nt. 4. -«Fa' che la
vista di qaesti altri malnati venga a col-
pirti, a posarsi aalla taa persona » ; Pan,
76. ALTRI: la masnada dei sedattori
per proprio conto, la quale corre par
sempre a sinistra, come erano andati i
Poeti sino allo scoglio.
79. VBCCUIO: cfr. In/. Ili, 7.-LA TBAO-
01 A: la schiera di qoei di là, r. 27.
81. BiuiLHKNTB: nello stesso modo ohe
I ruffiani- se AOCLA : Al. sobiaogla. I de-
moni eaeeiano quei miseri, facendo loro
levar U beru. v. 87, onde fuggono aema
appettar le eeoonde né U terze, percosse,
V. 39. « Il Tooabolo eehiaeeiare e il suo
significato paiono fredde caricature doli*
pittnra.... Benid da eeaeciare scoppia il
disprexxo meritato da quo' ribaldi, e nel
vedersi dlspressati anche dal diavolo
sta il più acuto dolore della lor pani-
sione » ; Fo$c.
y. 82-99. Giewtne, Ecco Giasone,
figlio di Esone re di Tessaglia, dnoe de-
gli Argonauti, seduttore di Isiflle. figlia
di Toante re di Lemno e regina di Lemno
dopo V uccisione dei maschi ; e seduttore
exiandio di Medea, la bella figlia del re
dei Colchl, la quale egli abbandonò per
amor di Creusa. Cfr. Par. II, 18. Ooùf .,
Metam., VII, 1-158. Qui paga il fio deUe
sue seduzioni, benchò sia altiero ed in-
flessibile, quasi oome Capaneo, ofr. If^,
XIV, 46 e seg.
82. SENZA : Dante non avrebbe potuto
diatinguere Giasone che correva oogli
altri, se Virgilio non ne lo avesse reso
attento.
88. QUBL OBANDB: ofr. Inf. Xiy, 48.
84. PRS DOLOR : per grande ohe aia il
dolor suo. Non plùge per grandesaa e
magnanimità di cuore. Alcuni intendo-
no: Kon piange per eooesso di dolore.
Ma l'epiteto quel grande e V affetto reale
sembrano escludere tale interpretaaioiie.
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[cne. t. BOLO. 1]
IHF. xvin. 85-100
[GIA80NB] 175
86 Quanto aspetto reale ancor ritiene I '
QueUi è Giason, che per core e per senno
Li Colchi dei monton privati fene. ^ /
88 Egli passò per l'isola di Lenno,
Poi che le ardite femmine spietate
Tatti li maschi loro a morte dienno.
n Ivi con segni e con parole ornate
Isifile ingannò, la giovinetta
Che prima avea tutte l'altre ingannate.
M Lasciolla quivi gravida e soletta :
Tal colpa a tal martire lui condanna;
Ed anche di Medea si fa vendetta.
97 Con lui sen va chi da tal parte inganna :
E questo basti della prima valle
Sapere, e di color che in so assanna. »
100 Già eravam dove lo stretto calle
89. AXCOB: anche quaggiù nell'abisso
del dolore. - Birnnx: eonaer^
88. QUXLU: quegli, oomB Òli per egli.
-COKI: coraggio e valore. -BENHO: aa-
Tiena e prodenza.
87. Moarov : U vello d* oro. - fere : ne
fé\ o aampUoemente/tf', come éne per è,
ìuntt per ha^/aru per/a, van* per va, eoo.
Cfr. jrànnuc.. Terbi, 821.
89. AEDITB : perchè ncoisero tutti i m»-
tdil.-anKTATB: non avendo risparmiati
i padri, ifrateUi. gli spod edi flgU. IraU
contro le donne di Lemno, perchè non la
veneravano più, Venere le pani con un
adarhirtisnutt onde I toro mariti ed amanti
le evttAvano; perciò le donne oongiara*
rono insieme ed ncoisero tatti i maschi
deU'isoU; cf^. ApoUod. I. 0, 17. ecc. Ey
gin , Fob., 15. &Ac2. ad Pind. Fyth. IV,
449.
91. SBGKi: da innamorato. Al. ssiiEO.
Cfr. Moore, Orit,, 321 e seg. -oiutate:
loiinghevoH; ùtr. It^. n, 87.
92. Isifile : ^Y^xuXi^, figlia di Toante,
regina di Lemno dopo rnooisione dei ma-
sofaL Cflr. H&m,, H,, VII, 489. Ovid.,
Mdatm, Xm, 399. Conv, IH, U.
98. DroAHSATB : Iboendo loro credere
a avare ocdso il re Toante, sno padre,
che eOa aveva salvato ; cfr. ApoUod. Ili,
8. 4; ApoUon,, Argon. I, 823. ApoUon.,
Bkod, I, 823; Hjfgin., IW>., IS.
9|. lasciolla: sec<mdo la mitologia
dopo Avotla potata e dopo ohe essa
gli ebbe partoriti due figli; cfr. Pind.,
Pyth. IV. 252. Simonid., Schol. IV, 450.
Apollod. I, 9, 17. Stai., Th^b. VI, 836.
Dante segue un'altra tradizione, secondo
la quale Oias., che aveva promesso a
Isifile di sposarla, la abbaodonò sleal-
mente dopo alquanti mesi, essendo essa
gravida di lui. « Lasciolla gravida di dae
figli, e promettendole di vivere con lei
in matrimonio alla ritornata sua, navigò
in Golchlde »; Barg. Di Isifile cfr. anche
Purg. XXII, 112; XXVI, 95.
98. Medea : cfr. Ooid., Met. VII, 1-158.
«Ed anche si fa veudettadeirabbandono,
che egli fece di Medea »; Betti,
97. BA TAL PAETE : in tal modo, sedn-
cendo le donne per proprio conto ed in-
gannandole con lusinghe, con false pro-
messe di matrimonio, eco.
98. valle: bolgia; cfr. v. 9.
09. ASSAKKA: propriamente, prende
colle sanno, o sanno ; qui per metafora,
contiene in so per tormentarli.
V. 100-114. Gli adulatori, 1 Poeti so-
no arrivati sull'argine che separa la pri-
ma dalla seconda bolgia. Laggiù v'ègente
ohe si duole e si percuote, attuflkta in
uno sterco che sembra umano, indisio
dello sporco servilismo al quale costoro,
che sono gli adulatori, si abbandona-
rono. Lo sterco è simbolo parlantissimo
delle loro lusinghe.
100. CALLE : scoglio formante il ponte.
«B ponte sul fosso s* inciocioohla col-
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[CEBO. 8. BOLG. 2] INF. XYIII. 101-115
[ADULATOSI
Con l'argine secondo s'incrociochia,
E fa di qaello ad un altr* arco spalle.
Quindi sentimmo gente che si nicchia
Nell'altra bolgia, e che col muso sbuffa,
E sé medesma con le palme picchia.
Le ripe eran grommate d' una muffa,
Per l'alito di giù che vi si appasta,
Che con gli occhi e col naso facea zuffii.
Lo fondo è cupo si, ohe non ci basta
Loco a veder senza montare al dosso
Dell'arco, ove lo scoglio più sovrasta.
Quivi venimmo ; e quindi giù nel fosso
Vidi gente attuffetta in uno sterco.
Che dagli uman privati parca mosso.
E mentre ch'io laggiù con l'occhio cerco.
e, perchè il medosimo scoglio tra*
sii argini tatti, e & aovr'eflti tanti
L'argine ò spalla che regge gli
> Tom.
QUINDI : dal crocevia. -Bi MicxmiA :
piegano, si dolgono, si lamentano,
gendo ohe nieehiare dicesi pro-
nte dei gemiti che manda la don-
le doglie del parto. Al. ! Si rannio-
I accoscia tofbta, e bisogna che
eiso per essere rafflgarata. Al. di-
le nicehiart vale sonare la nieehia,
[oale esce nn suono tremolante ed
K Si ha il proverbio nieehiare a
anco, sinonimo di qnèll* altro do-
i gamba tani, cioò lamentarsi del
itare. Cftr. Oavemi, Voci e modi
K 0,, p. 87-80. Dicono che in alcani
si usa pare nicchiar t per puzzare,
dei cadaveri. Dante dice che tenti
[ilare di quella gente, non ohe lo
1 od4>rò. « Nicchiare significa nella
nostra quel cominciarsi a ramma-
)ianamente, che Canno le donne
e, quando incominciano loro le
doglie ; onde si dice di loro, qaan-
ngon a tal termine : eUe incomin-
a nicchiare*; OeUi. Cfr. Enciel.,
seg.
MUSO : usa questa voce perchè gli
>ri leccano a mo* di cani. -SBurPA:
lìscit porcus in coeno, et bene di-
lla vitium adulationis stat in la-
Benv.
PICCHIA: batte, percuote.
OROMMATB: le ripe inteme della
seconda bolgia erano incrostate quasi d
grama; cfr. Par. XII, 114, il qaal ver«
è commentato dal proverbio : Il buon vi»
fa gromma e U eattivo muffa.
107. ALFTO : esaladone densa e paxio-
lente che vien dal fondo e si appiastriceli
alle ripe o muri laterali della bolgia.
108. ZUFFA : nauseante a vedere e ad
odorare. Per gli occhi alla vista delle lor
dure si aggiungevano le pontore aoat«
deir ammoniaca esalante da questa bol-
gia, che aveva proprio l' aspetto ed il ca*
ratiere di una latrina.
109.cui'O: come il cuore dell'adolatore;
« le profondità di Satana ; » ilj>oc. II, 2i.
110. LOCO : Al. L'occmo. « Convien sa-
lire nel più alto del ponte, giacché per
poco che il raggio visaàle si fosse scostato
dalla perpendicolare, sarebbe ito a ferire
no 'l fondo, ma Y ana o l'altra sponda del
fosso. Significa forse, che per bene osser-
vare certi vizi e' bisogna allontanarsene;
l'adulasione segnatamente, cupa insieme
e schifosa »; Tom.
113. STERCO : loro elemento in vita. Cfr.
Giobbe XX, 7: «Quasi sterqnilinium in
fine perdetur.»- Thren. IV, 6 : « Ample-
xati sunt storcerà. »
114. FBiVATi: cessi. Parca calato lag-
giù dai cessi di questo mondo. « Facit
mentionem potius de steroore humano,
quam alterins animali, quia adular! est
proprinm hominis, non àlterius anima-
lis » ; Benv.
V. 116-126. Ale9$io JiOermineW da
JÀicea, Dante vede laggiù uno tutto lor-
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(tee. 8. BOLO. 2]
iNF.XyiII. 116-131 [AL. INTBBMINBLLI] 177
m
121
134
127
1»
Vidi un col capo si di merda lordo,
Che non parea s'era laico o cherco.
Qaei mi sgridò: < Perchè se' tu si ingordo
Di riguardar più me che gli altri bratti ? »
Ed io a lui : € Perchè, se ben ricordo,
Già t'ho veduto coi capelli asciutti,
E se' Alessio Intermiuei da Lucca :
Però t'adocchio più che gli altri tutti. »
Ed egli allor, battendosi la zucca :
< Quaggiù m'hanno sommerso le lusinghe,
Ond'io non ebbi mai la lingua stucca. »
Appresso ciò lo duca « Fa' che pinghe »
Mi disse, < un poco il viso più avante,
Si che la faccia ben con gli occhi attinghe
Di quella sozza e scapigliata fante.
Che là si graffia con l'unghie merdose.
is, appunto sembrm più che non gli altri.
«TttÀè sei ta tasto «yido di rlgnmrdar
se ^ che non gii altri! > « Perohò mi
fOB dì ooDO0oerti ; tn se' Alessio Inter-
ttòeOi da I«aooa. > Il dannato si peroDote
9 ca^, datante ed adirato di essere rioo-
MM^te, e oonfeaaa ohe le soe adnlaxloni
10 precipitarono in tale abisso. Coetoi fa
eooteaporaneo di Dante. Gli IrUemUnsi,
óeope di InierminelU (o AnUlmineUi),
enae di parte Bianca. Alessio era ancor
Tire nel deeembre del 1296. «Non lasciò
sasM di aè, né forse sarebbe stato mal
ricordato aensa 1 versi dell'Alighieri»;
VmuteU in D.gUtuo §ee., p. 200 e seg.
Lq dioono sommo adalatore ed inganna-
tole dì donne (Lati., BuH, lae. Dani.,
i)aa., eoe.)* « Sx mnltis blanditiis colo-
ntm et verbis ipsins mnltas mnlieres
^eespit »; Sofnbgl, - * Tenne bordello di
psttane »; An, Sei. - «Meravigliosamente
ingnoÈàe lusinghiero»; 2^n.-«Fn nomo
▼atentisaimo baie ohe fosse involto in si
btto Tirio »; Faito JBoce. - « Sx prava
ecasaetodine tantum deleetabatnr adn-
Utfone, qnod nnllom semumem sdebat
ho&n, qnem non oondiret deo adnla-
tkmte: omnea ongebat, omnes lingebat,
etóa» Tflisslnios et meroenarios fiminlos ;
eiateitodicaaB, totns oolabat, totns fiod-
t«bat adulatione »; Benv,
Ili. LOBDO! efir. Mauomt, Difesa d. O.
a 2>. n. p. 639. Oom. Ups. l\ 808.
117. rxnzA : appariva ; tanto era lordo,
12. — Div. OonuM., l»^odis.
che non si poteva distìnguere se fosse
tonsurato o no.
124. ZUCCA : capo. Secondo VOtt, voce
del dialetto lucchese. È invece dell' oso
popolare anche non lucchese, dicendosi
zucca pelata, zucca vuota, ecc. La voce
ò qui usata per dlspresso. Quel batterti
la zucca potrebbe anche essere atto di
ohi vuol risovvenirsi di cosa o persona
dimenticata.
126. stucca: stanca, annoiata; voce
dell'uso popolare toscano.
y. 127-180. Za meretrice Taide. Vir-
gilio mostra a Dante un' altra di quelle
povere creature che, anche in tal luogo,
pur graffiandosi per il dolore, non cessa
di fkre atti meretrìci. È Taide, la me-
retrice rappresentata da Terenrio nel-
l'atto III àéiV Eunuco, tipo di certe
donne ohe, loslgando In diversi modi,
ingannano gl'incauti; onde Dante la
dipinge tanto schifosa.
127. PINOHB: pinga, spinga; guarda
un po' più in là.
129. ATToroHi: attinga; giunga cogli
occhi a veder bene la Ctocia di quella
sossa e scapigliata /ante, doò bagascia.
Sulla voce fante pet donna di abietta
condizione e di vile presensa etr. Monti,
Prop. n, 1, p. 05.
131. 81 GRAFFIA : di Anna, sorella di
Didone Virg., Am. IV, 078 e seg.: - Un-
guibus ora soror fcedans et poeterà pn-
gnis, Per medios mit.>-MBBDOSK: « Certe
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e. 8. BOLO. 2] INP. ITIII. 132-136
[TA1D«;
Ed or s'accoscia, ed ora è in piede stante.
?aide è, la puttana che rispose
Al drado suo, quando disse '* Ho io grazie
Grandi appo te ? „ : " Anzi meravigliose ! „
li quinci sien le nostre viste sazie. »
Dterat meliiiB loqol, conside-
de qnaloqnitnr, quia Mrroo-
mandi seoimdain sabieotam
Bmiv. -« Omnia Terba saia
etiam 84)rdida dioantor pro-
fumo.
)6CiA: si pone anlle ooeoe.
toofldaase, e ora stesse in pie
igoria ; ma mejclio è lasciare
iella soa oscarìtà qnello ohe
non si pnò esplicare > ; Land,
: il soldato Trasone, quando
dato in dono ona schiava.
Eun, A. Ili, so. 2 : tO Thais
aaviam, qnid agitnrt eoqnid
fldicina istac f » E Taide :
merito tao. » Cfir. Beccaria
, an. 1876, p. 324. Ordinaria-
>riscono questi versi ali* A.
Magnas vero agere gratiaa
< Ingentee,» eoo. Ctr. Blanc,
B9. Il BeUi. SeritH darU., 25
risa che Dante, non avendo
io, attingesse al seguente
rone. De Amieit., 26: « Knlla
0 amicitia, onm alter vemm
audire non vult, alter ad mentiendun
parafeus est. Keo parasftorum in oomofr
diis assentatio nobis fiuseta videtar, nis
essent miUtea gloriosi : Magna* vere ag&
re graHat Thait mihit Satis erat re-
spondere magnati ingenUs inqolt. Sem-
per auget assentator id, quod la, ouioi
ad volnntatem dioitur, vult eaae ma-
gnum. » B il BeUi osserva: « ITsò Dante
nella Div. Oom. la rioordansa di questo
bel passo ; e tolto (koilmente, aiooome è
chiaro, il nominativo Thaii per un voca-
tivo, tenne che 11 vano soldato parlasse
quelle parole non al parassito Qnatone,
ma alla donna: e ch'ella rispondesse a
lui quella insoflHbile piaoenteria. » Diffi-
cilmente si può ammettere che Dante
abbia introdotto Taide nel suo poema
sensa conoscere VEunuehut di Terenxio.
-GRAZIE: meriti.
135. AFFO: lat. apud, appresso.
186. QUINCI : di qui : gli occhi nostri
siano sasi di quanto abbiam Teduto di
queste sporche creature. Dant4) fk qui
un' eccesione, non dedicando che pochi
versi a questa rassa di peccatori.
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[CB8C. 8. BOLO, t]
IKF. XIX. 1-8
[8IM0HTACI] 179
CANTO DECIMONONO
OEBCHIO OTTAVO
BOLGIA TEBZA: SIMONIACI
fCosifltti oapoToltl deotro ftnri, oob le piante dei piedi
PAPA KIOOOLÒ III
O Simon mago, o mìseri segnaci,
Che le cose di Dio, che di bontate
Deono essere spose, voi rapaci
Per oro e per argento adnlterate ;
Or convien che per voi snoni la tromba.
Però che nella terza bolgia state.
Già eravamo alla seguente tomba
Montati, dello scoglio in quella parte
T. 1-30. Xa boiffia dei 9ÌmimiaH,
Sefia Uentk bolgia aono poniti i limo-
Biad o traffleatori delle eoee taore. Sono
eeofitti, eapoToltl, in fori, oon le gambe
&Ofrieeon le piante accese; ma, al io-
pnggiangere di nnorl dannati, cadono
gih nella feasora della pietra. CapoTol-
Mfo Tordine stabilito da Dio, e qoi glae-
dono essi medesimi oapovoltl ; inyece di
peasare al delo noD ebbero che la terra
ia Mira, e qoi sono costretti a tener gli
oedd giù nella terra; i metalli che la
tecra nasconde nel suo seno forono il
loro idolo, e qoi vanno giù dove è l'idolo
loro; non rcUero die riempire la borsa,
s qoi la riempiono odle lor proprie per-
sone, ▼. 72; calpestarono sotto i piedi la
isata flanma dello Spirito (efr. Atti n,
3 e seg.), e qni la fiamma, U contrario
éeO'aoreola, cnoee loro continnamente
IpiedL
1. Snios : di ocetoi, che voleva compe-
Tire con denari da 8. Pietro doni spiri-
tosH, cfr. ititi Yin, 9 e seg. I S. Padri lo
Hmtm capo di una setta eretica (Olem.
ÀL,»rmm,n, ìli YU, 17. Orig., OmK.
Oeli. I, p. 67). and antere di ogni eresia
(Tren, Adv. Hatr. 1, 23, 24. Bpiph., Haer.
21). Da Ini d denomina il liitr mercato
delle cose sacre.
8. DiONO: Al. DKimo. Le cose sacre,
come gli nflBsi ecdedastid, devono es-
sere oongionte dia bontà, date d buoni ;
cfr. I, Tim. m. 212. TU. I. 6-9. - voi:
Al. « VOI : voi d contrario. Cfr. Blatte,
Ver$ueh I, 169 e seg. Mo<n-é, Orit., 323
e seg.
4. ADULTERATI: prostitnite, vendendole
e comperandole come nna merce. Ad/ulU-
rio chiama la Bibbia l'idolatria; cfr. Ge-
remia ni, 9; Xin, 27. Buek. xxin.
I dmoniad non adorano dtro Iddio ohe
il YiUOo d^ùfo.
6. TBOMBA: dd banditore che strom*
bassa i misfktti dei condannati a pub-
blica ponirione. Al. : La tromba epica.
Ma Dante chiama il sno Poema Oomme-
dia, non ^opea.
7. TOMBA : qoesta tersa bolgia è nna
gran tomba, o dmttero, dove sono se-
polti i dmoniad. Del resto ogni bolgia
è sepdtora dd dannati.
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180 [CEEC. 8. BOLG. 8] INF. XIX. 9-18
[SIMONIACI]
10
13
16
Ohe appunto sovra mezzo il fosso piomba.
0 somma Sapienza, quanta è V arte
Che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,
E quanto giusto tua virtù comparte !
Io vidi per le coste e per lo fondo
Piena la pietra livida di fori
D'un largo tutti, e ciascuno era tondo.
Non mi parean meno ampi, nò maggiori
Ohe quei che son nel mio bel San Qiovanni,
Fatti per loco de' battezzatori ;
0. 80VBÀ MEZZO IL F0880 : Al. BOTRI. 'L
MEZZO FOSSO. -PIOMBA : Sovrasto « piom-
bo, perpondioolMnneiite. Erano montotl
Balla parte piò alto dell' arco, o ponto,
come In/. XVIII, 110-111, «e propria-
mento in qaella parto yerticale dell* ar-
cuato scoglio da coi la perpendicolare
va a piombo alla metà della sottoposto
cavità >; Xoti,
11. MAL MONDO ! rinfbmo.«Che il mal
deirnnlverso tatto insacca»; Jr^. VII,18.
12. GIUSTO : giostomento; « Vera et iu-
sto iodicia tna »; Apocal. XVI, 7 ; « Vera
et iaato iadioia sant elas, qai indicavit
de meretrice magna, qaeo corrapit tor-
ram in prostito tiene eoa > ; ibid. XIX, 2.
- OOMPAKTB: distriboisce premi e casti-
ghi corrispondentomente alle virtii ed al
visi. Avendo torti gli occhi dal cielo,
per rivolgerli del tatto alla terra, ò giu-
sto che la torra gì' ingoi. « At non tibi
videtnr a Terra derorari ille qal sem-
per de Terra cogitati Qni semper torre-
nos habet actoa, qai omnem spem soam
ponit in torra, qai ad coelam non respi-
cit, qni fatnra non oogltot, qai lodiciam
Dei non metait, nec beato eias promlssa
desiderat, sed semper de prs&sentibas oo-
gitot, et ad setoma non saspirat; talem
qaam viderit*, dicito qaia deverà vìi eam
Terra »; Orig., Homil. i9 in LevU.
13. COSTE : ripe, o falde degli argini, ohe
non sono perpendicolari, ma inclinati.
14. LIVIDA : di color ferrigno, etr. Iti/,
XVIII. 2.
15. d'un: tatti di ana medesima lar-
ghessa e circonferenza.
17. BEL : battistoro di Firenze ; cfr. Par.
XXV, 8. < chiamslo bel San Giovanni
però cbo la cappella di santo Giovanni
è delle belle et notobili cappelle del mon-
'lo»; An. Fior.
18. BATTRZZATOBI: plUT.CdbottSZZOt&re,
preti che battezsano. Cosà i più. Al. òcU-
tezzatòrj, piar, di battettatòrio, cioè per
servir di battisterio, intorpretacione poco
verosimile. Cfir. Dioniti, Anedd. V, 120-27.
Migliore, Firenze iUxutrala, Fir., 1684,
p. 98 e oog. Z. f*., 109 e seg. Blane, Ver-
$uch 1, 171 e seg. Il Fonto batteidmale
co' fori non esisto più, essendo stoto di-
stratto, quando ta preparato il tempio
al solenne battesimo del principe Filippo,
figlio di Francesco I e di Giovanna d* Aa-
stria nel 1577. Del resto il Battietorto di
Pisa non dlfierisoe panto da quello di
S. Giovanni a Firenze. Or ecco la pianta
del primo, la qaale bastorii a render
chiare le parole del Poeto.
a, Menta dell'tltare. - 6, Pori o ponettl. -
e. Ponte l>atto»im«le riempito d'acqua. -
d, Rlointo marmorso. • e, Colonaa centrale.
Cfr. Temon, Inf. voi. IH, p. 137-141 ed
ivi le tov. Liii-Lvi. VirgiH, Dei Batte*-
zatoi 0 BatUtiatorii negH antichi fonti
batteHmaìi, Fir., 1892. Encid. 189 e seg.
JUeci, Div. Oomm. 124-29.
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[CnC 8. BOL0. 3]
IHP. XII. 19-27
[SIMONIACI] 181
L'on delli quali, ancor non è moli' anni,
Bnpp'io per nn che dentro vi annegava:
E qnesto sia soggel che ogni nomo sganni !
Fuor della bocca a ciascnn soperchiava
D'nn peccator li piedi, e delle gambe
Infine al grosso; e l'altro dentro stava.
Le piante erano a tutti accese intrambe ;
Per che si forte guizzavan le giunte.
Ohe spezzate averian ritorte e strambe.
20. FKB UH : « dkle l' Autore che ride
in ima baca il dì di Sabato (Mfito) qiMDdo
ri dà il ftioeo benedetto, in questa buca
■I Ti si seonrolee Antonio dì Baldinacdo
de'CaTaecSoli di lìrense per eii&tto mo-
do, ebe eonvenne ehe quella buca ai di-
tbeease, e foe l'Autore a disfarla^ An.
mL Vem., 1848, pag. 148, nt. - BawibgL,
Ime DanL, Lan.. OU., Petr, DanL, Fat-
to Boce., Buti^ An, Fior., ecc. non rac-
eontano in proposito nulla di positiro.
Ma Bffitv..- « Qui casus fnit talis: cum in
ecclesìa prsdìota circa Baptismum eoi-
ladertnt quidam poeri, ut est de more,
«aaseomm ftirioflioraUis intrarit unum
istorum foramiBnm, et ita et taUter im-
pticarit et inrolTit membra sua, quod
BuUa arte, nullo ingenio poterat inde
retrahi. Clamantibua ergo puerìs, qui U-
Inm iurate non poterant, futos est in
psnra bora magnus ctmeursos populi;
et breriter nullo solente aut potente sue-
earrere puero periclitanti, superreiiit
Daotes, qui tunc erat de Prioribus re-
geatibaa. Qui subito tìso puero, clamare
«Bpit : Ab quid fìMdtis, gens ignara I por-
tetnr una seeoris. St omatinuo portata se-
curi, I>aates manibus propriis percussit
Ispideos, qui de marmore erat, et £MilÌter
Ikegit: ex quo puer quasi reTirisoensa
■Mrtcds liber eraait. » E Serrav.: * Semel
in UBO Sabato Sancto erat tanta molti-
todo pneromm, qui portabantur, quod
^opter nnum fàrioenm, qui Indeoenter
CQBprtmebat alioe, unus puer enrt ibi in
equa, qui suAioabator, nisi quia Dantes,
qui erat ibi, accepit unum maleom, et
fr^git lapidem, et sic liberavit puerum
a saffiocatioae. » Confr. Dionisi, Antdd,
V, 120-27.
21. SIA : Al. FIA. ~ SOAIIHI : « idest quod
certtoret omses sino aliqoa deeeptione,
quod iste lapis fractns ftiit a me bono ani-
»e et booesta de causa, silicet prò libe-
xtliaa pHori ; qaod prò taate dieit ne Ti-
deretur riolasse rem sacram et sic com-
misisse crimen saeiilegii »; Beiw. -« Al-
cuni Toglion dire che Io rompesse come
eretico, per dispregio »; FeU. -« Non po-
trebb* essere che, essendo stata fktta
quella rottura senza testimoni, Tenisse
poi attribuita ad altri che ne fu dai preti
yessatot e che Dante, per pietà di quel-
l'innocente, seriresse in fluxda al mondo :
Ruppi io e non altri; e questo sia suggello
che disinganni ognuno. Ciò panni {rfù na-
turale: poiché, essendo viro il liuieiullo,
aTrebbe potuto Dante recarlo in testi-
moniansa del Catto, se il sospetto (bsse
caduto su lui: e ciò sarebbe bastato a
giustificarlo. » Rou,
22. bocca: imboccatura di ogni foro.
- sopKBCHlAyA : soperchiavano i piedi.
23. U Pncm, B DBLLB GAMBE : « A che
si redeano li piedi e le gambe infino al
polpaccio »; BuU. Al. on (o di) pikdi b
OELLB OAMBB, les. evidentemente fkisa ;
ctT. Mùcre, OrU., 325.
24. OBoeso: polpaccio. - l'altbo; il
rimanente del corpo. - dbhtbo : dal foro.
25. ncTBAMBB: ambe le piante de'piedi.
20. PBB CHB: e perciò. Per la grande
arsura le giunture, ossia i colli de' piedi,
si contorcevano talmente, che avrebbero
rotto qualunque più forte legame.
27. BiTOBTB : vermòoe verdi, ehe attor-
cigliate servono per legami di fìMtella o
cose simili. - stbambb: « ooel chiamano
in Val d' Ema quelle vette di albero ri-
torte da legare Ciscine od altro, dette per-
ciò altrove ritortole »; Oaver. Ma quale ò
allora la differenza tra rUorU e itran^ 1
Al. spiegano «trombe per foni latte con
erbe intrecciate ma non ritorte. Il OtìXi:
« 12iforte son quei legamenti de' rami d'ar-
bori attorti, con che i villani legano le fa-
stella della sUpa ; «tratnòd son quelle fu-
ne, fatte d' erbe secche e nervose, con le
quali vengon legate le cuoia di verso la
Barbetia. »
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182 [CBBC. 8. BOLO. 8] IhF. XIX. 28-42
[NICCOLÒ III]
28
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34
37
40
Qaal suole il fiammeggiar delle cose onte
Muoversi pur su per V estrema buccia,
Tal era 11 da' calcagni alle punte.
< Chi è colui, maestro, che si cruccia,
Guizzando più che gli altri suoi consorti, »
Diss'io, « e cui pia rossa fiamma succia? »
Ed egli a me: « Se tu vuoi ch'io ti porti
Laggiù per quella ripa che più giace,
Da lui saprai di sé e de' suoi torti. »
Ed io: « Tanto m'è bel, quanto a te piace :
Tu se' signore, e sai ch'io non mi parto
Dal tuo volere, e sai quel che si tace. »
Allor venimmo in su l'argine quarto:
Volgemmo e discendemmo a mano stanca
Laggiù nel fondo foracchiato ed arto.
28. QUAL: «Ecce levis snmino de ver-
tioeTisusIoU FanderelomeD apex tacta-
quo innoxia molila Lambere flamma oo-
mas et droam tempora pasci »; Virg.,
Asn, n, 682-4. - « Keo onm eabeiliimt
ignee ad tecta domoram Bt celeri flam-
ma degastant tigna trabeeqoe» ; Lueret,
Ber. noL II, 191-2.
29. FUB: solamente. ~ buccia: snper-
flce; cftr. Purg. XXIII, 26.
30. TAL: cori movevasi lì il fiammeg-
giare per latta la pianta de* piedi volti in
so, da' calcagni fin alle ponte delle dita.
V. 81-78. Papa Niccolò IH. Dante
Tede ano che gaiesa coi piedi pih degli
altri. Aiotato da Virgilio, gli si accosta e
gli dimanda: « Chi sei! » Il miserabile
crede che Dante sia Boni Cado Vili, 11
qaale, giA morto, venga ad occupare il
miserando posto, fi papa Niccolò III, che
confessa le eoe colpe e dichiara a Dante
la condizione della bolgia. Sopra questo
papa cfk*. Pertz, Mon. Germ. XVIII, 669
e seg., 687 e seg. Muratori, Script, III,
606 e seg., XI, 1176 e seg. BaynàlduM,
AnnaX. eccLjèà a. 1277-80. Poithaat, Ro-
ggia PorU%f, Rom, p. 1719 e seg. Po$$et
AtMUeta VcUie. p. 71 e seg.
32. QUizzARDO : contorcendo i piedi. -
OOKSORTI: nella colpa e nel sappllsio.
33. BUCCLà: « perocché la flamma di
oose ante, quale era questa, pare quasi
non ardere la materia soggetta, ma sog-
gere la natura fuori della detta mate-
ria »] Barg,
84* roBTi : « quia ipso cum oorpore non
poterat Ire per ripam arduam > ; Benv.
La ripa era per Dante troppo scoscesa. I
versi nascondono per avventura un'al-
legoria qualsiasi. U rimproverare, coma
fa U Poeta, al già capo della Chiesa i visi
suoi e de' suoi pari è assai pericoloso ; ma
Dante è portato da Virgilio, cioè dalla sa-
prema autorità secolare.
85. BIPA : inferiore, ohe jnù giace, cioè
è pih inclinata, essendo pih bassa deUa
superiore, poiché Malebolge tutta pende ;
Inf, XXIV, 87 e seg.
86. DA LUI : egli stesso ti dirà ohi egli
da e qual sia la sua colpa.
87. m' è bkl: mi ò grato; ofr. Purg,
XXVI, 140.
88. BIQNOSS: cfr. Jf^. II. 140. < Ta
maior ; Ubi me est nqunm parere ; Tirg.,
Bdog, V, 4. - PABTO: allontano.
89. QUEL: ciò che io penso e non ester-
no ; otr. Ifsf. X. 18; XVI, 118 e seg.
40. VENIMHO : Dante portato da Virgi-
lio. La dimanda, come un'ombra potesse
portare un corpo reale, è oaiosa. Oli spi-
riti sono dotati, secondo la credensa po-
polare, di forse fisiche, onde possono por-
tare la gente non meno del diavolo, ohe
è lui pure incorporeo. - quabto : come
quello che separa la tersa dalla quarta bol-
gia; il primo argine è la roceia, dal cui imo
si muovono gli scogli; J^A XVIII, 16.
41. voLOEBf MO : dal ponte verso la bol-
gia. - stamca : sinistra.
42. FORACCHIATO : oomo le ripe pieno di
fori con eutrovi un dannato capovolto ;
ofr. V. 18 e seg. - abto : stretto. JBm9.s
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tCIBC. S. BOLO. 8]
IN7. XIX. 48-56
[NICCOLÒ III] 188
i 43 Lo baon maestro ancor della sua anca
' Non mi dipose, si mi giunse al rotto
I Di quei che si piangeva con la zanca.
46 <0 qual che se', che il di sa tien di sotto,
Anima trista, come pai commessa, >
Comincia' io a dir, « se paci, fa' motto. »
49 Io stava come il frate che confessa
Lo perfido assassin, che, poi eh' è fitto,
Biohiama lai, per che la morte cessa ;
63 Ed ei grìdò : « Se' ta già costi ritto.
Se' ta già costi ritto, Bonifazio ?
Di parecchi anni mi menti lo scritto.
» Se' ta si tosto di qaell' aver sazio,
Per lo qaal non temesti tórre a inganno
no fnnuninibns mrotit » ; contro 1a
1. : Arto, porche tatto le
9 Stretto (!). Al.: Arto, perohò/o-
tmerhitito, mentre tao to ▼! perde» U fonclo,
qoaBto ▼' era di rtaio (T). Confesaiamo di
aoa poter dire con eertessn di oootìii-
titme per^è chiami gtretta qoesto bolgia.
Forse il contrario, 1* earieatara delia via
Mtrttta iMaU. YII, 19)1
44. sì: AL 8», aischè. - MI oiinras : mi
eUie apprestato. - al botto: al foro di
qoe^ die più degU altri si dibattova
eo* piedi, ▼. 92.
tf. FLurasv A : pianffOTB è qni adope-
rato nel senio proprio del ìàX. pìang&ré
— hattore, pereootore. Al.: Dava segni di
dolore, frane. mpìaiginaU, - zanca: gam-
ba, a ain^. per il piar. Al.: Piedi. « È voce
viva àancm, cangiate la x in 0, come nella
frase Asulare a danehs larghe, per dire a
gaosbe larghe. Zanca o danea è dauqoe
la gamba, non, come aletmi dicono, il pie-
de >; OMMrai. Cfr. In/. XXXIV, 79.
47. ooifMUSA : piantoto come nn palo ;
fitta in sBodo da combaciare in ogni parto
ed foro»
48. SE PUOI : « hoc prò tanto didt, quia
non Tidebatnr bene Tcrisimile, qaod ilio
posset bene legni, qni hal>ebat os reple-
tam terra, ideo antor stebat mnltom at-
teatos >; Biii9. Ma e T. Mf
49. FBATS : lo Statato municipale di Fi-
reaae preseriTeva : « Assassinns trahatnr
ad eaadam mnll sea asini nsqne ad looom
iastitto, et ItildMn plantotnr capito deor-
aam. Ite qnod moriator. > La propaga
assism era pena connine nd medio evo.
« Aliqoando contingit.... qnod nnns pes*
simus sioarins damnatns.... ad plantatio-
nem corporis, poetqnam est podtns in
fossa com capito deorsnm, revocatoonfes-
sorem snnm nt conflteatar dbi aliqnid
peccatam, et dicat sibi aliqnid de novo.
Tono confessor necessario inclinai anrem
snam ad torram et attonto ansenltet il-
Inm »; Bonv. - « Assassino è colai che
ncdde dtmi per danari, et ò comnne-
mento condannato in ogni luogo del mon-
do a tei pena; doò trapiantato in torre.
B veramento li simoniad sono dmili dli
assassini ; imperò che, come li simoniad
Tendono la grada, cod li assasdni ven-
dono lo vincolo dell'amor natnrde per
danari, quando uccidono li nomini per
danari »; BuU.
SI. CR88A: tien lontana da sé, differisce,
ritarda. « L'assassino talvolta, a ritarda-
re d' dcun poco la morto, che operavasi
col diiq|ere il foro per messo di terra,
richiamava il frate, fingendo diro pec-
cato da confessargli »; L, Veni., 8im. 214.
54. SCRITTO : libro dd futuro, nel qude
i dannati leggono l'avvenire ; cfr. Ifif. X,
100 e seg., e nel qude Niccolò III aveva
letto che Bonilissio VI II doveva venire a
surrogarlo non prima dd 12 ottobre 1303.
65. AVKB: ricchesse md acquistate;
cfr. O. Vm. Vili, 6, 64.
66. maANNO: d racconta cheBonira-
do vm inducesse con inganno Celesti-
no V a rinunciare d papato, cfr. Mttrat,,
Ann. d'Jt. di' a. 1204, e con inganno d
facesse quindi deggere papa ; cfr. O. VUL
VIU,6.
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184 [CKRC. 8. BOLO. 3] InF. XII. 57-72
[NICCOLÒ in]
58
64
67
70
La bella donna, e poi di fame strassio ? »
Tal mi fec'io, quai son color che stanno,
Per non intender ciò eh' è lor risposto,
Qaasi scornati, e risponder non sanno.
AUor Virgilio disse : < Digli tosto :
^^ Non son colai, non son colni che credi ! ,
Ed io risposi come a me fu impesto.
Per che lo spirto tutti storse i piedi ;
Poi, sospirando e con voce di pianto.
Mi disse : < Dunque che a me richiedi ?
Se di saper ch'io sia ti cai cotanto.
Che tu abbi però la ripa corsa,
Sappi ch'io fui vestito del gran manto;
E veramente fui fìgliuol dell' orsa.
Cupido si, per avanzar gli orsatti, '
Che su l' avere, e qui me misi in borsa.
57. DONNA: ChieM; ofr. ^fei. V, 27.
KelU famoM bolla Tlnam tanctam Boni-
fazio Vili cita le parole: « una est oo-
Inmba mea, perfecta niea » , Oant. VI, 8,
riferendole alla Chiesa. - stbazio : simo-
neggiando.* Nollo maggiore strazio pnote
nomo fsre della sna donna, cb' egli ha
sposata, ohe sottometterla per moneta a
chi più ne dà »; Ou\ Di Bonifazio Vni
Sem. Ouido, Vita Boni/, in MuraL, Script.
III, 1, 670 : « Inccepit aatem qnadam via
Boam potentiam et papalem magniflcen-
tiam dilatare. Coias praodeceesor CcBle-
stìnos miraonla operatos ost In vita soa
et post mortem. Ipso vero Bonifiboias fe-
cit mirabilia malta in vita sna, sed eius
mirabilia in fine mirabiliter defecerant. »
E Ptol. Lue., Ilist. 6ecl. XXUI, o. 36 :
« Faotns est futnosus et ancone, ac
omnium contemtivns » ; con&. Murat.,
Script. XI, 1203.
68. TAL : rimasi 11 come chi, non avendo
compreso dò ohe gli fa risposto e creden-
dosi scornato, non sa ohe debba replicare.
62. NON SON : avendo Niccolò ripetato '
la domanda : 8€^ tu, eoo. v. 62 e seg., Vir-
gilio dice a Dante che ripeta lai pare la
risposta.
64. Tirm: affatto; Al. tutto. Cfr.
Moore, Orit., 825 e seg. In/. XXXI, 15.
. 8T0B8B : « In qoesto atto Ditto per papa
Kicoola si mostra, ohe si pentisse delle
parole dette di papa Bonifazio ; a dare
ad intendere, che Tnomo non dee essere
presantnoso a dire male d' alimi »; Ott.
- « in signam irte et dolori^. Doloit enim
qaod iste, non esset Bonifhoias, qaia in
adventa eios erat cooperlendas ab eo >;
JB«nv. Così pare B^Ui', Barg., ToA,, VéU ,
CMli, eoo. « Per Tergogna d' aver par-
lato ad altri che a complice sao »; Tom.,
Poh, eoo. Forse ha ragione il Rù$9.: « Il
papa Orsini all'adir da Dante eh' ei non
era qael Bonifazio da lai si avidamente
atteso, nella speranza di scemare al ve-
nir di lai la propria pena (poiché a co-
lor che van sotto si spegne la fiamma
delle piante [?]). tatU distorse i piedi nel .
suo dispetto. »
67. TI GAL: se ti preme tanto di sapere
ohi io sia, che ta abbi per questo scorsa
la ripa che ò tra l'argine e questo fosso.
68. COB8A: Al. SCORSA.
60. MANTO : papale ; cfr. In/, II, 27.
70. dkll' obsa : degli Orsini, che se-
condo VAn. Fior, si scrivevano « de filila
ar8«Q. » - « Allegoricmnente vaole signi Q-
care che fu avarissimo, come l' orso, ohe
è ingordo animale, e mai non si sazia» (t);
BuH.
71. AVANZAU: mandare avanti, fv gran-
di, accrescendone gli averi e la potenza.
-OKSATTi: la famiglia degli Orsfaii.
72. su : nel mondo imboriud desari, qol
nell' Inferno la mia persona. Di KiooolòUI
G. VUL VII, 54 : «Mentre ta giovane ohe-
rico e poi cardinale, fa onestissimo e di
bnona vita, e dicesl ch'era il sao corpo
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rCIBC. S. B0L6. 3]
INP. XII. 73-85
[CLEMSNTB T] 185
82
Di sotto al capo mìo son gli altri tratti,
Ohe precedetter me simoneggiando,
Per le fessure della pietra piatti. ,
Laggiù cascherò io altresì, quando
Verrà colui ch'io credea che tu fossi,
Allor eh' io feci il sùbito dimando.
Ma più è il tempo già che i piò mi cossi,
E eh' io son stato cosi sottosopra,
Oh' ei non starà piantatp coi piò rossi ;
Chò dopo lui verrà di più laid' opra
Di vèr ponente un pastor senza legge,
Tal, che convien che lui e me ricopra.
Nuovo lason sarà, di cui si legge
v«rgliie; ma poi che fin éhìAmato papa
Nìeeola tono» (ta magncnimo, e per lo
caldoée* suoi eonaorti imprese molte ooee
per flv|^ fraudi, e fa de' primi, e il pri-
ma papa» Bella eoi oorto e* niewa paleee
rtmoiiia per gh saoi parenti; per la qnal
eo« ^ aggraa^ molto di poesemionl e
« metoUa e di moaeto eopra tatti i Bo-
■lai, ia pooo teaqM> oh* egli vivette. »
Fa alette papa ael dicembre 1277, e mori
ilB acoeto 1280.
73. m sonot gih per la feeeara della
pietra. - ALTU : papi; « et neoiinem ao-
, ^aia nollna feerat aate eam ita
jnftmefoe de etmonJa » ; Bene.-
TiATri: xaeeolti, cfr. It^f. ni, IM. Al.:
TSreti gib. Koa ftirono HraH, ma spinti
già dai loro eaoeeeeori.
75. PIATTI: appiattati, aaeooeti.
77. COLUI: BODifiuio Vni.
78. atraiTO: prematoro. - dimakdo:
« ee* ta già eoetl ritto, eco. » v. 52.
V. 7»-87. rapa CiemmUe Y, Nieoo-
lAIU, eha ei eoeee i piedi già per rent'an-
ni, pradtee «he Boaifludo VHI (m. 12 ot-
tobre 1803) atarà lì meno di ▼ent'amii a
eaoeerai 1 eooi, perohò Terrà prima Cle-
seato V <m. 20 aprile 1314) a Culo oaeoar
già. Kieoolò deeeriTe quindi il carattere
iateM di demente V, il qoale « fti aomo
metto eapido di moneta, e simoniaco,
che ogni beaefldo per danari e' aToa in
■aa eocto; e fa toeeorioeo, die paleee ti
dieea, che tenea per amica la eonteeea di
relegerga, beHieeimadonna. aglioola del
eoBto di Voed»: Q. Tm, IX, SO.
70. in 0000: ooel propaggiBato.
SI. OM nft: AL V COI nà.
82. VE3UUL : quaggiù a star piantato coi
pièroesi e &r oaecar giù BoniCuio Vili,
n enoceeeore immediato di Bonif. Vili,
Benedetto XI (m. 27 loglio 1 303) « Ita bnono
nomo, e onesto e giasto, e di santa e re-
ligioaa Tita, e area voglia di fkre ogni
bene » ; Q. Vili. VIII, 80, onde non andò
in Inferno. B ohiaro che abbiamo qui on
vaHcinium post sv&ntum, e ohe qnesti
▼ersi furono scritti dopo il 20 aprile 1314.
88. poimrrs : Bertrando del Gotto, ar-
eìTeeooTo di Bordeaux, ohe ta poi Cle-
mente V, era Gaasoone, e la Goasoogna
è al ponente di Boma. - aixzÀ liooe :
che non bada a remna legge, né divina
né omana. Clemente V comprò inAune-
mente il grsn manto, cfr. O. TOZ., Vm, 80;
trasferì la sede papale in Avignone; fa
vile schiavo delle Colpevoli voglie di Fi-
lippo il Bello, etr. J?ayna2., AnnaU ad a.
1807. Guid., VU. CUm. in Murai., Script.
Ili, 676; soppresse ingiostissimamen te
r ordine dei Templari, ingannò perfida-
mente Arrigo VU. efir. Par, XVII, 82,
J2ayfia2. ad a. 1812, e ne fece tante altre
deUesae, da meritarsi anche troppo l'elo-
gio qui fettogU dal Poeta. Cfr. Endd. 387
e seg.
84. LUI : Bonifasio Vm. - ricopra :
qoi, oocnpsndo l'imbooostara di questo
foro; e so ael mondo, commettendo tali
e tento infamie, da hr dimenticare, o al-
meno parer piociole, quelle commesse da
me e da Bonifasio VHI.
85. IA80H: figlio di Simone II e fra-
tello di Onia III eommi pontefici giudei.
CoBBprò il pontificato dal re Antlooo, in-
trodoMe nella aanto città ooetxmii pa-
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186 tC'SBO. fi. BOLO. 8] InF. XIX. 86-100
[INVOTT. DI DANTK]
01
04
07
100
Ne' ' Maccabei ' ; e come a qael fu molle
Suo re, cosi fia lai chi Francia regge. »
Io non so s' io mi fai qai troppo folle^
Ch'io pur risposi lai a questo metro:
€ Deh, or mi di' : quanto tesoro volle
Nostro Signore in prima da San PietrO|
Ch' ei ponesse le chiavi in sua balia ?
Certo non chiese se non : '' Viemmi retro.
Nò Pier nò gli altri chiesero a Mattia
Oro od argento, quando fu sortito
Al loco che perdo l'anima ria.
Però ti sta', chò tu se' ben punito ;
£ guarda ben la mal tolta moneta,
Ch'esser ti fece centra Carlo ardito.
E se non fosse che ancor lo mi vieta
gani, eoo. ; ofr. n, Maecah, IV, 7-26; V,
6-10.
86. ▲ QUBL: a iMon. - MOLLI : oondi-
soendenfce, favorevole.
87 BBS Antioco, re di Sirla. - cht: Fi-
lippo il Bello, di coi Clemente V fti crea-
tura; ofr. Mwra;t.,aeript. IX, lOlS, Jfitrat,
Ann. air a. 130S.
V. 88-117. Inv€tHva contro ipapi
simoniaeL Arde 11 Poeta di sdegno, e
dice gravi parole oontro 1' avari£ia dei
papi, identifloandoli oolla meretrioe dei-
l'Apooalieae e deplorando la donasione
di Costantino.
88. FOLLB : stolto a perder qnl 11 tempo
nel fftre rimproveri ad nn dannato. Al.:
Temerario, osando tal lìngoaggio verso
Sna Santità.
80. MBTBO : di qoesto tenore : « a qne-
sto modo posto in versi » ; BuH, Ctr. lT\f,
VII, 88.
00. DI* : dimmi nn po': quanto denaro
richiese Cristo da San Pietro prima di
dargli le chiavi del regno dei dell ; ofr.
Matt. XVI, 10.
03. viBUMi: ofr. MatL IV, 10. Marc.
I, 17. Oiov. XXI, 10.
04. ALTBI: Apostoli, compagni di San
Pietro. - CHIBSBBO: Al. TOLBEBO, loS.
che al Foac. pare « pih oalsante, ove si
parli di sirooniaoi potenti e di Papi ohe
rappresentando San Pietro non chièdono
ma jrigìiano. » Vedi pare Z. F., 11 1 e seg.
- Mattla. : eletto apostolo in luogo di
Qioda il traditore; ofr. AUi I, 16-26.
07. TI STA*: stai a te, non fiatare ; oppu-
re : statti costì; ohòta sei punito A dovere.
08. OUABDA: custodisci. Amar» Ironia.
« Pecunia tua teoum sit in perditioaem » ;
Act, Vin, 20. - MOMBTA : forse « può in-
tendersi partioolarmente quella che fa
detto aver Niccolò Orsini ricevuta da
Giovanni Precida, per consentire alla
rìbeUione di Sicilia, ordite dal Procida
centra Carlo, la quale scoppiò poi col
fìftmoso Vespro Siciliano. » JSom.
00. Cablo : d' Anglò. Quasi tutti inten-
dono dell'oro bizantino recato da GHo-
vanni di Procida a Nioodò III per com-
perarne l'assentimento nella congiura
oontro Carlo I d'Angiò ; ofr. Q.Tia.Ta,
64, 67. Ma Niccolò « fa bene ardito con-
tro Carlo pria del 1280, epoca supposta
della corrusione. L'avea spogliato della
dignità di Senatore di Koma, e di Vi-
cario in Toscana ; battuto ed attraver-
sato in mille guise fin dal primo istante
che pose piede nella cattedra di S. Pie-
tro : onde l' ardimento oontro Carlo friat-
tosto si deve intendere di questi tetti
certi, che del supposto disegno della oon-
giura, che per certo non ebbe effotto
dalla parte di Niccolò, morto nel 1280. X
le parole mal toUa tnoneta, meglio si ri-
feriscono alla non dubbia approprlasione
delle decime ecclesiastiche, e del ritratto
degU Steti deUa Chiesa, che alla baratta-
ria »; Amari, Vctp, Sic. Appena,
100. AHOOB : anohe adesso ohe ti trvro
qui tra' dannati.
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[ente. •. BOLO. 3] IVF. XIX. 101-111 [IHTXTT. DI DASTt] 187
m
IM
La riverenza delle somme chiavi,
Ohe tn tenesti nella vita lieta,
T oserei parole ancor più gravi ;
Che la vostra avarìzia il mondo attrista,
Calcando i bnoni e sollevando i pravL
Di voi, pastor, s'accorse il Vangelista,
Quando colei, che siede sopra l'acque,
Fnttaneggiar co' regi a Ini fd vista;
Qaella che con le sette teste nacque,
£ dalle dieci coma ebbe argomento,
Ein che virtute al suo marito piacque.
1«S. lotta: tele Mnlm tà dannati,
/V. VI, 51; X, 60, 83; XV. «. 67.«C'è
aaehe «a po' di sucmbio, qoMi toonwo
1» défate della Mia Tite p<mtifleid6»;B0Cf<.
19S. UHBn: e le naa TeimBiente nel
Tcni tegqenti,
IM. vonsA: di Tiri pastori. - il moh-
DO: lammeata le m^fte genti ohe la lapa
/«' §ià viotr gram»! i»S- I. 51. - attei-
■ta: «eebeattroootidiaiuuiieiiteacdde
6 perieola le eHU, le oentrade, le dnga-
lari poraone, tento quanto Io dooto rao-
niieirto d'arere appo akimof » Onmm,
IV. 11.
It6. CAUCAHDO : « eooo la eagkme, per*
ebè H paatorifliiDOiiiaai deUa aantoChieea
iaaao triato fl nondo, per eh' ellino oal-
euM i Umniì non accettandoli a* henillci,
perette non hanno che dare; et inalsino
li rei per danari, aocettendoli a' benefici :
e eoli danno materia a* cherki d'essere
tiktt, e non carare se non d* aTore da-
nari, sperando per quelli d'ottoMr» ogni
grasia » ; Bitfi. - sollktajido : AL su
LKTA3UIO, les. inattendibile, benché di-
fesa da Z. F., 113.
106. B' Aoconn: «Ti scorse e giudicò
prsMsndo» ; Tvm^ - Vanoeusta: S. Oio-
Tanni neU'iipoealiMt XVH, il qoal capi-
tolo mol esser letto per intendere qoeetl *
▼end di Dante. H Vangelisto parla di
Roma pagana; Dante, con tanti altri,
intende di Boma cristiana, papale.
107. OOLBI ; Soma, 4po«. XVn, 18 ; per
Danto la S. Sede. -aoqub: popoli, genti
• lingve; Jpoe. XVII, 15.
108.PI7RAHICGGIAB: • Bsssr» a totte le
Tokmtà del re. Matteo Villani (Ub. I,
eap. 01) dice del oonto d'ATclUno, che
•SMd's^Mi porte jncttBfKjryioto»; SeCK.
106. Tnrn: monti, Jpe«. XVU, 0. -
lULOQUS: il Vangeliste la ride sin da prin-
cipio a cavallo deUa bestia daUe sette te-
stoedieoiooma; «Md., 3. Seeondo alconi
interpreti, la bestia e la donna sono in
sostansa la stessa eosa. «Onde fl Poe-
ta, confondendo Insienie la donna e la
bestia, scorse nel loro complesso nna
figura della Chiesa ai re prostitoite »;
J2o«f.
110. K DALLE : il BtUi TwA die si leggat
u> HA LB DOECi CORNA, fondandosi sol
passo ApwML XVn, 7: « Et dicam tibi
sacramentom molieris, et bestiJD qo«D
portet eam, qoje kahti capite septem et
eomaa decem. » Ma la les. ò del tatto
priradt autorità. - coBif a : dieci re, Apoc,
XVII, 13. Cosi interprete VA^ocàliMm sé
stessa. Danto sembra però ayere inteso
dlTorsamento. Bomò^ rode nella mere-
tricelaranlte mondana ; nelle setto tosto
1 setto peccati mortali ; nelle dieci corna
died fiMaoirioalUonM, o trasgressioni dei
died precetti del decalogo, eoe MegUo
P«<r.I>aYtf..- «Meretrix gnbematìo eede-
sin est; bestia corpus ecdesi» est; septem
capita, septem virtates, sea septem dona
Spiritos saacti; decem comoa, decem
pnecepte legis Mosaics.... A qoibas eor-
nibos donee pastor Bodeei» habolt or-
pwmentttm, id est nonnam et modnm
gnbemandi, plaenit d rirtoa. » Secondo
Btnv* la meretrice è la earia romana;
la bestia che ella caralca, la chiesa mi-
litanto; le setto testo sono i doni dello
Spirito Sento, oppure le setto virtù car-
dinali ; le died coma I died comanda-
menti; 0 mwnU> ò il papa, Ticario di
Cristo, eco. Secondo altri antichi le setto
testo figurano i setto sacramenti; cfr.
Cbm. JAf, n, 760 e seg. - abqomshtoi
freno.
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188 [CEBO. 8. BOLO. 3] InF.,XIX* 112-122 [fNVKTT. DI DANTE]
112
115
118
121
Fatto v'avete Dio d'oro e d'argento:
E che altro è da voi agi' idolatre.
Se non ch'egli uno, e voi n'orate cento?
Ahi, Oostantin, di quanto mal fu maire,
Non la tua conversion, ma quella dote
Che da te prese il primo ricco patre ! >
E mentre io gli cantava coiai noie,
0 ira 0 coscienza che il mordesse.
Forte spingava con ambo le piote.
Io credo ben che al mio duca piacesse.
Con si contenta labbia sempre attese
112. DIO: « Simalaora gentlam argon-
tam et «nrom » ; FmoI. GXIII, 4. - « Ar-
gon tmn snnm, et aamm snam feoeront
8ibi idolft » ; Oiea Vm, 4. - « Ayarns....
e«t idolorom servitna > ; Bpheè. V, 5. -
« Ayarltta est aimalaorornm serritns»;
Oolo: ni, 5.
113. CBB ALTBO : qaal' altra differensa.
-IDOLATBR: ant. plnr. regolare di idola*
tra; oggi idolatri ì ofir. Nannuec., Teor.
de' N'orni, 140 e sog., 284 e sog.
114. BGLl: eglino, gì* idolatre. - UNO:
idolo. - OBATB: adorate. Per altro i pa-
gani non adorano un solo idolo. Onde il
(kioU (Nuova inUrpr, d'unv. di Dante
Veroelli, 1855) apiega : « Voi fate peg-
gio di qnanto facesse il popolo d'Israele
quando volse ad idolatria, poich' egli ai
accontentò di un idolo d'oro onioo {E-
eod. XXXII, 4, 8, 1», 20, 24. Sol. CV,
19), mentre voi fote deità d' ogni pezzo
d' oro e d' argento. » - 8erra9.: . « (jaot
florenos habetis, tot Deos honoratis. »
- Alooni leggono : BR NON ch'eoli è uno,
e Z, jP., 112 osserva: « Per questa nao-
Ta (?) e splendida (f) lez. la satira scop-
pia amariflsima oltre ogni dire; perchò
torna a qnello di chi dicesse ad altri:
qnal di£ferenEa fra te ed nn assassino,
se non ch'egli uccide e tu ammazzi?
Ninna differenza. E ninna pare trai si-
moniaci e gì' idolatri : perchò dee notarsi
che qui non vnol già inferire il Poeta
che passi tale o tal altra differenza fra
costoro, come sarebbe dall' uno al dae
ecc., bend che non ve ne corre alcn-
na. » Invece Foto.: «Cinque codd. della
Chr.: 8B NON ch' kgli ò UNO, nò mi gio-
vano a chiarire il verso che per me fa,
ed ò, e sarà, temo, oscurissimo. Certo
gì' idolatri, non che orare ed adorare nn
wlo Dio, sacridcavano a pih di cento. »
A noi pare che il senso sia: Per nn Dio
che adorano gì' idolatri, voi ne adorate
cento; dunque il cento per ano, e toì
cento volte peggiorL
116. iiATBB : madre, cagione. Matre an-
ticam. anche in prosa.
116. C0NVRB8I0N: al crisUanesimo. >
DOTE : la famosa donazione di Costantino
a papa Silvestro, ai tempi di Dante cre-
duta un fatto storico ; cfr. De Mon. II,
18 ; in, 10. Ifkf. XXVII, 94 e seg. Purg,
XXXU. 124 e seg. Par, XX, 55 e se^.
Oom, Dipi. 1\ 328. II, 753 e seg.; Ili,
548 e seg. EneicL 640 e seg.
117. PATBB: padre, papa Silvestro, i
cai predecessori non possedevano nulla.
V, 118-138. BUorno sullo 9eoglio,
All' adire le parole di Dante, Sua Santità
guizza co' piedi, dando come de* calci
nel vano, a dò spinto o dall' ira o dai
rimorsi della oosdenza. Virgilio sembra
approvare con lieto volto l' ardire (t.
88) del suo allievo, cui egli prende e
porta su sino a mezzo il ponte che at-
traversa la quarta bolgia.
118. cantava: diceva apertamente
tali note, cioò tali parole.
120. 8PINOAVA : agitava, scoteva i pie-
di. Al. 8PBIN0AVA. Cfr. Z, F., 114. Siane,
Vereuch I, 181 e seg. - piotb : piante
dei piedi. «Cnm ambabus plantis pe-
dum, quos duoebat et exagitabat altra
modum solitum.... interim dum dictarem
sibi talea contnmelias, ita quod cantns
poeticus erat sibi plus amarus, quam can-
tns ftierit unquam dulcis, quem audiaset
in choro vlvens»; Ben9,
121. PIACESSE: il cantare ootai noie a
Sua Santità.
122. i^ABBiA: aspetto, volto; JnA VII,
7 ; XXV, 21. Pwrg. XXUI, 47. -ATTESE :
ascoltò attentamente; fece attensione.
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[CEEC. 8. BOLO. 8]
iNF. Iix;i23-133
[RITORNO] 189
Lo SQon delle parole vere espresse.
i2i Però con ambo le braccia mi prese,
E poi che tatto sa mi s' ebbe al petto,
Rimontò per la via onde discese ;
1^ Kò si stancò d'avermi a sé distretto,
Si men portò sovra il colmo dell' arco,
Che dal quarto al quinto argine è tragetto.
^ Qaivi soavemente spose il carco,
Soave per lo scoglio sconcio ed erto.
Che sarebbe alle capre duro varco :
i^ Indi un altro vallon mi fa scoperto.
123. viRB: Toraci (cfr. Jr\f. II, 135),
bacile ardite. - EBFBxaaM: pronnnciate
chittimente.
HL mò : « esprime V aito ooneegnente
^' adon precedente; vale a dire oheVir-
gOio tatto contento del dieooreo &tto da
I>uit« (fero) lo prese con ambe le braccia,
òoè eoD istrettiaaimo amplomo»; Bos9.
U6. HI 8* KBBS : m* ebbe levato sa di
PMo al 800 petto.
126. PKB LA. VLA.: soir argine.
127. DI8TSBTTO: Strettamente abbrac-
ciato. AI. BisTRBTTO. Kon al stancò di
t«D«nni stretto al sao petto, finché mi
ebbe portato sol colmo, ecc.
128. sì : Binchò, come v. 44. Al. sì MI
fonò e sì US poetò.
120. È TBAGETTO : ò passaggio, attra-
versa la quarta bolgia.
130. QUIVI : sol colmo dell' arco. - aro- *
SE: depose. Al. Foss; c£r. Z. F., lU e
seg. Fitn/., Stud, 157 e seg.
131. SOAVE : avv.: depose il carico della
mia persona soavemente, perqhò lo sco-
glio era sconcio ed erto. Secondo altri
toaveò qoi agg. —il soave carico (t!) della
mia cara persona. Si depone an carico
jmr nno scoglio)
132. DUUO: difficile; vi passerebbero
a fatica le capre. Veramente quegli sco-
gli non erano £atti per persone vive.
133. niDi : da qnel laogo, cioè d' in snl
colmo deir arco si offerse agli occhi miei
an altro vallone, ohe ò la quarta bolgia.
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190 [CEBO. 8. BOLO. 4] IlfP. fx. 1-9 [INDOVINI]
CANTO VENTESIMO
CEBCmO OTTAVO
BOLGIA QUARTA : INDOVINI
(Hftnno U o*po linkTolto e firn ritroso calle)
ANPIABAO, TIBB8IA, ARONTA, MANTO, ORIGINE DI MANTOVA,
EURIPILO, MICHELE SCOTTO, ASDENTE
ED ALTRI INDOVINI MODERNI
Di nuova pena mi convien far versi,
E dar materia al ventesimo canto
Della prima canzon, eh' è de' sommersi.
4 Io era già disposto tutto quanto
A riguardai^ nello scoperto fondo,
Che si hagnava d'angoscioso pianto;
7 E vidi gente per lo vallon tondo
Venir, tacendo e lagrimando, al passo
Che fanno le letane in questo mondo.
Y. 1-30. La pena degl'indovini. colmo dell'arco, ofr. Inf. XIX, 128. In-
Laggiù nella qaarta bolgia ò ona gente vece B^nv.: «Hoc prò tanto dioit, quia ai-
che va piangendo a passi lenti e misn- moniaoi in tertla bnlgia snnt ooopertì
rati, il capo stravolto, guardando i^l'ln- snb terra, et adnlatoree in secnnda bnl-
dietro e facendo ritroso calle. Sono gli già snnt cooperti snb steroore ; sed divi-
indovini ohe pretendono di vedere il ta- natores ibant apparenter per ftindum
turo, e non vedono nemmeno il presente; ipsins vallis ». Ma qni parla solo del sito,
vollero vedere troppo davanti, e sono co- non degli abitatori,
stretti agnardare indietro. Dante piange 6. bi baohava. : tanto copiose essendo
di compassione ; ma Virgilio gliene fk le lagrime degli indovini,
acerbo rimprovero, essendo tal compas- 8. tacendo : sembra che a motivo dello
Siene quasi nn biasimo della divina gin- strano stravolgimento, gli indovini Ab.
stilla. biano perduto la facoltà della fAvella :
1. HUOYA pmA : singolare castigo. iniktti nessuno di essi parla. Vollero par-
8. OANZOH: la cantica dell' Inferno, che lar troppo, e qui non posson parlare. «
tratta dei dannati. - sommessi : nella vo- laori mando : d' Inutil pentimento,
ragine infernale. 9. lrtans: gr. Xtrdwiat, lat. UianUm,
i. disposto : m'era già posto a rignar- oggi comunemente litanie, SuppUcaiioni,
dare colla massima attensione. ^piasioni; qni per Processioni. Vuol dir«
5. acOPiBTO : per i Poeti, che erano sul che venivano lentamente e tacitamente .
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[CnC. 8. BOLO. 4]
iNF. XX. 10-28
[INDOVINI] 191
28
Come il viso mi scese in lor più basso,
Mirabilmente apparve esser travolto
Giascuq. tra 'I mento e '1 principio del casso;
Cbè dalle reni era tornato il volto,
Ed indietro venir gli convenla,
Perchè il veder dinanzi era lor tolto.
Forse per forza già di parlasia
Si travolse cosi alcxm del tutto ;
Ma io noi vidi, nò credo che sia.
Se Dio ti lasci, lettor, prender fratto
Di toa lezione, or pensa per te stesso
Gom'io potea tener lo ^so asciutto,
Quando la nostra imagine da presso
Vidi si torta, che il pianto degli occhi
Le natiche bagnava per lo fesso.
Certo i' piangea, poggiato ad un de' rocchi
Del duro scoglio, si che la mia scorta
Mi disse : < Ancor se' tu degli altri sciocchi ?
Qui vive la pietà, quando è ben morta.
« Questo loro andare piodno.... è per op-
paitle del (raeeorrere eh* eglino fedone
eolio Intelletto In gindieare le ooeedi long!
et lontane, et in qoeeto modo perderono
et non aeppono le preeenti »; An. Fior,
le^TBO: oeeliL-BAeeo:« Stando Dante
in hiago elemto, e tenendo aempre gli oe»
eU IÌbA ta quella gente, la qoale nel eot-
ttpeato Tallone Toniva alla aaa Tolta, è
BMaifeato ebe gU era bieogno di abbae-
«rii a mano a mano ehe qnella aTridna*
tmì a lai; onde la fraae equivale a dire:
qaaado eed furono più preaeo, più sotto
mB»iBr. B.
11. MTiKABiuiJarTB: In golaa da prodnr
BararigUa, oome cosa non mai vedata.
12. TRA *L MUTO: AL DAL MBITrO. -
CAflSO: testo, pettof ofr. Jfir. Xn. 123.
Dal mento al prindpio dd easso è lo
•pado di tutto il ooUo, meato della to-
so, onde nsdroMO le stolte ^edid<ml.
IS. BAua WMKi: solle reni, dalla parte
dalle reni - tobmato : straToIto, girato ;
ofr. Purg. XXYin, 148.
14. au: loro. Al.: A daaeono, t. 12.
15. TOLTO : non aTondo il tìso davanti,
ma di dietro. « Kox vobis prò visione
siit, et tenebr» toWs prò diTÌnatione »;
Mìa. ni, 6.
16. rAiMBÌA: paraHaia, morbo obe
storce le membra amane, o ne impedi-
sce il n^to uso. ParkuHa ò forma ant.
oome p<Hietico per paraletico, o parali-
tioo. Cfr. Bncid., 1488.
18. HE CRKDO : nd credo ; non credo cbe
alcuno d travolgesse eod. Secondo FikU.
tali travdgimentl per pardld non sono
inandiy.
19. FBUTTO : trar profitto. « Fmetos
bnins lectlonis est, qood leotor discat
ezpensis istorom, non inqoirere vane fb-
tora, et dioere malta mendada cnm per-
ditione aaimie et irridono sai »; Benv,
20. LiziOHB : lettura del poema.
32. HOSTRA : umana, in quel dannati.
24. FUSO : fessura delle naticbe.
25. Kocxmi : plur. di roeekio « peazo di
legno, o di sasso, o di simil materia, il
quale non ecceda una certa grandessa,
spiccato dal tronco, e di flgm che tiri
al dlindiico »; Pa^f, Qui intende di uno
dd masd prominenti da quello scoglio
sul qoale erano 1 due Poeti} cfr. Iisf,
XXVI. 17.
27. AiicoB ! anche tu ; oppure sei ancor
sempre, dopo quanto vedesti t Al. SK* tu
AHCOK, lezione che ikvorisoe la seconda
interpretadone.
28. vivs: qui, nel basso Inferno, ò devo-
done il non sentir compasdone. Qìvoef
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192 [CERC. 8. BOLO. 4] Inf. XX. 29-37
[INDOVINI ANTICHI]
31
34
37
Chi è più scellerato che colai,
Che al giudicio divin passion comporta ?
Drizza la testa, drizza, e vedi a cui
S'aperse agli occhi de* Teban la terra !
Per ch'ei grìdavan tutti: " Dove rui,
Anfiarào ? Perchè lasci la guerra? „
E non restò di minare a valle
Fino a Minos, che ciascheduno afferra.
Mira che ha fatto petto delle spalle :
di parole, come Par. IV, 105. Dante mo-
strò oompassione di Ciacco, di France-
Boa, di Pier delle Vi^e, ecc., nò Virgilio
gliene fé* rimproTcro, anzi egli pare mo-
strò compassione, In/. IV, 19 e seg.
Qae* che peccarono per inoontinensa, son
degni di compassione ; gli altri no. Ma,
non soggiacciono anche i primi al giusto
gindisio di Dio? - « Quelli eh' ò pietoso ò
giusto ; e giustida vele, secondo che l'uo-
mo aopera, abbia merito di bene e di male.
Adunque, non dee uomo esser pietoso di
vedere punire i malfattori de la giustizia
che vuole Iddio »; An. 8el. - * Non aver
pietà delli infernali ò esser pietoso » ;
BtUi. - «L'anime de' beati sono concorde
alla volontà di Dio, altrimenti non sareb-
bono beate ; et pertanto conviene che in
quel grado che Iddio le pone, o basso o
alto ohe 'I grado sia, in quello sieno con-
tente. Onde seguita che di quelle anime
che la giustizia di Dio condanna allo In-
ferno, che ciascheduno debba esser con-
tento di tale giustizia; et chi contradi-
cesse coir animo, discorderebbe dal vo-
lere di Dio » ; An, Fior. - Dante segue
qui S. Tommaso, secondo il quale « Sancti
de pcenis impiorum gaudebunt, »non già
delle pene « per sé stesse » ma « per aoci-
dens, considerando in eis divinie institi»
ordinem » ; Sum. th.. Ili, Sappi., 04, 3.
Cfr. Ingug'uUo, Nota al v. 28 del canto
XX deU'In/., GHrgenti, 1891. Della Tor-
re, La piHà nelVIf\femo danUico, Mi-
lano, 1893.
30. PASSION COMPORTA: COSÌ i più; Al.
C0MPAB8I0N POBTA ; Al. PASSIOIf POBTA.
Oft. BeUi, Scruti Dani., 20 e sog. Z.
F., 116. Moore, Orit., 82« e seg. Blaw,
Veriuch I, 183 e seg., Quale sia la vera
lezione, ò difficfle, e forse impossibile de-
cidere. In ogni caso il senso è: Chi ò
più scellerato di colui che soffre movi-
menti di compassione nel cuor suo, mi*
mudo gli effetti della divina giustizia!
Ma si può aver oompassione di un mi-
sero, pur riconoscendo che Iddio è giu-
sto e che il misero miete ciò ohe ha semi-
nato. L'enigma contenuto in questi verti
itrani aspetta ancora il suo Edipo. Cfir.
Bozzo, Ragionamento critico intorno ad
un luogo famoso della Div, Oom,, Pa-
lermo, 1830. Marvffi., Sopra un luogo
della Oomm. finora non bene interpre-
tato, Aquila, 1895.
V. 31-39. Anfiarào» Mostra Virgilio a
Dante e gli nomina alcuni de* più fiunosi
indovini dell' antichità (sino al v. 114) e
dei tempi che per Dante erano moderni.
Il primo ò Anflarao, 'AjiKptdpaoq, figlio
di Oideo e di Ipermnestra (ApoUod. I,
8, 2. Paui. II, 21. Pind., Ol, VI, 20),
uno dei sette re ohe assediarono Tebe
per rimettervi 11 re Polinloe. Co' suoi
indovinamenti conobbe ohe, prendendo
parte alla spedizione dei sette, avrebbe
perduto la vita, onde si tenne nascosto.
Tradito da sua moglie (ApoUod. I, 9, 13.
Paus. II, 6) dovette però andarvi anche
lui. Bd un giorno, mentre armeggiava
sul suo carro. Giove aperse la terra eoo
un fùlmine, ed Anflarao ne venne inghiot*
tito sotto gli occhi dei Tebani {AfoOod,
III, 6, 8. Pind.. Nem, IX, 51 e seg. Paut.
IX, 8. Stai., Theb. VII, 690 e seg.). Al-
cmeone suo figlio ne vendicò la morte uc-
cidendo la madre ; cfr. Purg, XII, 50 e
seg. Par, IV, 103 e seg.
88. BUI: lai. rui$t dove rovini f « Qui
pneceps per inane ruis t » Parole deri-
sorie dei Tebani assediati, Ueti della di-
sgrazia di Anflarao.
35. A VALLI: sin giù nell'Inferno, i
cui cerchi sono detti tante volte valli;
cfr. Slot., 1. e.
86. Mncos : cfr. J^A V, 4. - affbrba:
nessun dannato potendo sottrarsi al suo
gindisio ; cfr. It^. V, 4 e seg.
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ICEBO. S. BOLe. 4]
iNF. XX. 38-52 [INDOVINI ANTICHI] 198
M
Perchè volle veder troppo davante,
Dìretro guarda e fa retroso calle.
Vedi Tìresìa, che mntò sembiante,
Quando di maschio femmina divenne,
Cangiandosi le membra tutte quante ;
E prima, poi, ribàtter gli convenne
Li due serpenti avvolti, con la verga.
Che riavesse le maschili penne.
Aronta è quel che al ventre gli s'atterga,
Che ne' monti di Luni, dove ronca
Lo Carrarese che di sotto alberga.
Ebbe tra' bianchi marmi la spelonca
Per sua dimora; onde a guardar le stelle
E il mar non gli era la veduta tronca.
E quella che ricopre le mammelle,
S8. DAVAHFB: imD* ftTTflnire. Booo la
nglooe delift p«iift in questa bolgia.
SS. FA BBTBoeo CALLE : è Olat. re^ror-
ma» iUrfaeU.
V. 40-45. Tir^tUu U seoondo indovino
antioo è Tireda, TetpeouK;, figlio di Ere-
ro e d^la alnik Cartolo (Hom,, Odyi, X,
491 e aeg.), Q celebre indorino dell' eser-
dio greoo dorante la gnerra di Tebe,
padre di Manto. Tra molte altre coee la
■dtologift raoconta di Ini, ohe, avendo vo-
lato Mparam colla eoa verga dae ser-
penti aaaoroeaniente congiunti, divenne
fomminft, e non potè tornare allo stato
waerhlks ae non qoando sette anni dopo
giaaae con la stessa verga a ribattere i
dae sottti serpenti ohe gli si olTersero
dinaasi assnfflkti mentre passeggiava;
efir. 09id., Mèi. IH, 824 e seg.
4A. wrmnàWTK : apparensa e Agora.
4S. eu: a Tiresia oomo; AI. lb, cioè
a Tlreaia (bounlna.
45. FimuB: barba; qoi U parte per il
tatto; le membra di maschio. «Forma
pcior lediit, genltivaqoe venit imago »;
OvML. L e, 831. In qoel f/tn^ta imagti
vedi la barba virile, che Dante espresse
oca la frase wiatéMki penne. Cfr. Purg,
I. 43.
V. 46-61. Artmta. Tene indovino del-
l' antishitè d Aronta. Ikmoeo arospice
etrusco, che al tempi delle goerre cìtìU
tre Oesam e Pompeo abitava 1 monti
deOa Lonigiana e vatldnè U goerra d-
▼ile e la vittoria di Cesare ;ofr.l>u0«fi.,
PkMre. I. 580 e scg.
18. -> 2Kv. Onnni., 4» edia.
46. qubl : Al. quu ; cfr. Z. F., 116. -
ou 8' ATTXBOA ; aocosta il tergo al ventre
di Tireaia. Essendo travolti hanno ambe-
due il ventre di dietro e il tergo dinanzi.
47. Lum: Lttean. 1. e: « Armns Inco-
loit desertiD mcenla LonfiB», Al.: Luea.
Dante leeseXttmr, e intese di Loni, dita
presso laft>cede]lalfagra(cfr. e. yia.1,66),
ohe diede il nome alla Lonigiana; cfr.
Baee. 845 e seg. Eneid. 1165. Par. XVI,
73. -borca: coltiva. «Ma forse arron-
care ha qoi il dgnifloato di arromare,
vooe viva in molte parti del nostro pae-
se, e fra qoeste n^la Lonigiana, a si-
gnifloare essere ono aflhtioato o intento
e assidoo al lavoro » ; Oavemt
49. MABMi: le cave nel Carrarese.
50. LB 8TBLLB! ofr. Lueun,, Phari. I,
5B2 e seg.
51. TROHCA : troncate, impedite. Dal-
l' alto loogo dove abito va, poteva vedere
le stelle ed il mare per le soe specola-
idoni e divinazioni.
V. 62-57. Manto, Ecco ona donna ohe,
avendo travolto il capo, copre le mam-
melle colle chiome. È Manto, l' indovina
Tebana, figlia di Tiresia, la qoale, m'>r-
tole il padre, per sottrarsi aUa tirannia
di Creonte, foggi da Tebe, venne in Lom-
bardia e si stebill colà, dove ta poi fon-
data la dttà di Mantova ; cfr. Virg., Aen.
X. 108 e seg. Ovid,, Met, VI, 157. 8UU.,
Theb. IV, 463 e seg.; VU, 758 e seg. Di
ona apparento contraddidone vedi so-
pra Purg. XXn, 118; cfr. Oom. Hp§.
n, 431 e seg.
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194 [CERO. 8. BOLO. 4] Inp. IX. 53-65
[Mantova:
55
58
61
64
Che tu non ve(ìi, con le treccie sciolte,
E ha di là ogni pilosa pelle,
Manto fu, che cercò per terre molte;
Poscia si pose là dove nacqu' io ;
Onde un poco mi piace che m' ascolte.
Poscia che il padre suo di vita uscio,
E venne serva la città di Baco,
Questa gran tempo per lo mondo gio.
Suso in Italia bella giace un laco
Appiè dell'alpe che serra la Magna
Sovra Tirali!, e' ha nome Benaoo.
Per mille fonti, credo, e più si bagna.
Tra Garda e Val Camonica, Apennino
54. DI LÀ: di dietro.
^5. CRRCÒ : Tisitò, percorse ; ofr. li^,
XXI, 124. Fuggita da Tebe, andò errando
per molti paeei prima di fermar sua di-
mora in Lombardia.
56. Li: a Mantova. Virgilio nacque
ad Atidee presso Mantova.
V. 58 W. Origine di Maniava. La
menzione di Manto indnoe Virgilio a
fare nna digressione, raooontando le ori-
gini di Mantova sna patria. Descrive il
Iago di Garda, dal qnale deriva il Min-
cio, ohe forma una palude, nel oni messo
Mantova ò sitoata. Racconta come ap-
punto lì si fermasse a fervi sue arti
Manto, dopo essere fuggita da Tebe ed
andata errando in piti parti del mondo»
e come dopo la sna morte fosse ivi fon-
data la città che da Manto fti denominata.
« Qui Dante per bocca di Virgilio attri-
buisce alla Tebana Manto, figlia di Ti-
reeia, quello che fti detto della Italiana
Manto, madre di Ocno, il quale, secondo
alcuni, fondò Man tua, denominandola
dalla sna genitrice profetessa » ; Roti,
Sopra t versi 61 e seg., dei quali si è
tanto e tanto variamente disputato, cfr.
PeriiM, Deteritioru di Verona, Vero-
na, 1820. II, 210 e seg.. 216. 285. eoe. -
Scolari, Lettera iui confini Veroneti $
Trentini, Treviso, 1827. - Aiquini, Sugli
antichi confini dei territorio deUaprovin'
da Voroné9«, Verona, lS2fÌ.-Tiboni,Quàl
luogo tul lago diOarda oeeennaDanté nei
veni 6769 dèi O. XX deU' If\f., Brescia,
1868. - Ferr€uH, IV, 889 e seg.; V, 844
e seg. - Blane, Vernich I, 185 e seg.
58. PAOBB: Tiresia. - uscio : mori
58. SERVA : del tiranno Creonte. - Ba-
co: Bacco, come galeoto per galeotto,
JnA Vili, 17 ; Enne per Erinni, Inf,
IX, 45, ecc. Tebe era sacra a Baooo, Ivi
partorito da Semole.
60. QUESTA : costei. Manto, andò lan-
go tempo errando per il mondo.
61. LACO : lago, come preeo per pre-
go, ecc. n lago di Garda.
62. LA Maona : 1* Allemagna, detta an-
ticamente la Magna. I piti scrivono Xm-
magna e Benv. Alamagna. Il eerrala-
magna del piti del codd. si può leggei*e
in questo modo o in quello.
68. TlRALLi: Tirolo. Alcuni vogliono
che si scriva JSroUo, trovandosi in do-
cumenti del medio evo TiroHi o TiroiHe.
Ma TiKALLi o TiBALLO ò les. del più del
codd. eoosl hannoLon , Ott , Benv., Bufi,
An. Fior., Serrae., Barg., Land., Tal.,
VeU., OeUi, Oatt, ecc., mentre Tiroli i
non si trova in nessuno degli antichi,
tranne nel Dan. -Bbnaoo : Benaeut, no-
me antico del lago di Garda.
64. SI bagna: r Appennino, A^psf pomo,
uno di quei monti della catena tra Garda
e Val Camonica, al cui piede scorre il
Toscolano.
65. Val Camonica : una delle maggiori
valli della Lombardia; si estende piti di
50 miglia dai gioghi di Tonale, e da quello
dei monti a messodì di Bormio Ifaio al
lago d' Iseo. La formano due bracd delle
ramifloadoni delle Alpi Betlohe, e dal suo
fondo scorre il fiume Ogllo, ohe scende a
formare 11 lago d* Iseo. Al. Val di Mo-
nica, lesione troppo sprovvista di auto-
rità. Ctt. Z. F., 117 e seg. Lwria, L'Ita-
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■PJI't*
[CSBO. & BOLO. 4]
iNF. II. 66-80
[MAHTOYA] 195
S7
?0
n
78
Dell'acqua che nel detto lago stagna.
Loco è nel mezzo là, dove il trentino
Pastore, e quel di Brescia, e il veronese
Segnar potria, se fèsse quel cammino.
Siede Peschiera, bello e forte arnese
Da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,
Ove la riva intorno più discese.
Ivi convien che tatto quanto caschi
Ciò che in grembo a Benaco star non può,
E fassi fiume giù pei verdi paschi.
Tosto che l'acqua a correr mette co'.
Non più Benaco, ma Mincio si chiama
Pino a Governo, dove cade in Po.
Non molto ha corso, che trova una lama.
Nella qual si distende e la impaluda,
Ua nétta Die. Oom. Hant.. 1868, p. 00.
Bau., 404 e aeg. Lorenzi, La leggenda
éi DanU, Trento. 1897, p. 18 e aeg. -
AFxaoraiO: Al. Pbnuiho monte delle
Alpi Pwmfaie, da non oonfonderoi, con
Ben», ed altri, colla catena degli Appen-
nini che divide per il longo l' ItaUa. Cfir.
Lorwnzi, La ruina di qua da Trento,
Trento, 1896, p. 49 e aeg.
67. LOCO : Al. LUOGO ; l' isola dei Frati,
ora teda Lecchi, dicono gli uni ; il Cam-
pioae, dioono altri ; e di nnovo altri pre-
tendono che qneeto ponto comnne aia o
Féechiera, o qaalche altro laogo; cfr.
BèbngHeri in Albo Dante$eo Veronese,
153 e aeg. - ZotU, Vieita di P. Al. nel
Trentino, Trento, 1864, p. 58. - Kandler
ad Oon^pon. detta Soe. Min. di Triéète,
p. 80 e seg. Oom. Lip. I*, 334. Ferr.,Han.
TV, 3£9; V. 314 e seg. Baet., 409 e seg.
CU deeldet-«Conianqne ala, il Poeta
ha volato deacrivere il lago nella ana
hmgheaaa dall' Alpe al Mindo in coi
sbocca, e accennare per qnella via le
principali città trameazo alle qoali ei
giace » ; Br. B.
68. PJLBTOBB: Tcaooyo.
09. sioHAB : benedire, il ohe non è le-
cito al veacoTO ohe entro 1 confini della
soa dioeeai. Donqne: o il Inogo di col
paria Dante d li confine delle tre dioeeai,
o an «oggetto eodeaiaBtioamente a tntti
e tee I TeecoY! qui menslonati.- potbìa :
Al. fobU. -> FÈ88B: Csoeaae. Cfr. Non-
mtc.. Verbi, 630, 666, 668 e aeg. Al. %ìl
fOflMj cfr. JCoor^ OriL, 827 e aeg.
70. SUEDI: 070 la riva intomo è dire*
nata più bassa è sitoata Peschiera. - ab-
Nsai: gli antichi spiegano: Ornamento,
cioè della contrada; 1 moderni : Baluardo,
rocca (dal ted. RamiMehf o dal celtico
Barn -> ferro f). La Or.: « Forteaza o al-
tro Ediflslo. »
71. FBONTKGOIAB : Ux fronte. « In qne'
tempi agevolmente Bresciani e Berga-
maschi doyeano esser oongianti insieme
contro 1 aignori della Scala»; Dan,
72. BIVA: del Benaco. - discbsb: di-
scende, è più baasa.
73. TUTTO: tatta l' aoqoa ohe non pnò
easere con tonata nel Iago, conviene ohe
trabocchi In qaeato laogo.
76. PASCHI: le verdi pastore veronesi.
76. MBTTB co*: mette capo, oominoia il
ano corso. « Il Po non aarebbe Po, ae
l'Adda e il Tioln non d metteaaer co' »;
Frov, toso.
77. Mincio: fiame che col nome di
Saroa o Mincio aaperiore diacende dai
monti di Tonale, entra a Biva nel lago
di Garda, e ne eace a Peaohiera ; ginnto
a Kivalta, ai dilata nel lago di Mantova
che cinge intomo la città, indi prose*
gae il 800 corso e si getta nel Po a Qo-
vemolo dopo 65 ohil. di corso.
78. GovEBiro: oggi Govemolo, borgo
alla destra del Mincio, nel ponto dove
qaeato flome ai aoarioa in Po.
79. LAMA: pianara dove ai formano
stagni: laguna.
80. IMPALUDA : rende paludosa, ne fia
nna palade.
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196 [CBBC. 8. BOLO. 4] Imf. XX. 81-98
[MANTOVA]
82
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01
04
07
E suol di state talor esser grama.
Quindi passando, la vergine cruda
Vide terra nel mezzo del pantano,
Senza cultura e d'abitanti nuda.
Li, per fuggire ogni consorzio umano,
Ristette co' suoi servi a far sue arti,
E visse, e vi lasciò suo corpo vano.
Gli uomini poi, che intomo erano sparti,
S'accolsero a quel loco, ch'era forte
Per lo pantan che avea da tutte parti.
Fèr la città sovra quell'ossa morte,*
E per colei che il loco prima elesse,
Mantova l'appellar senz'altro sorte.
Già fur le genti sue dentro più spesse.
Prima che la mattla di Casalodi
Da Pinamonte inganno ricevesse.
Però t' assenno, che, se tu mai odi
Originar la mia terra altrimenti.
81. GRAMA: tristo, infelice, «qolasci'
licei modica aqaa et inflrma est ibi; ex
modica enim aqaa corrampitar palasi
deinde aer»; Beno.
82. vsBGimc: Manto, ancor denteila
qaando venne in Italia; cfr. Stat.» Theb.
IV, 463 e seg. - cruda : orndele.
84. mjDA: spogliato, deserto.
86. SBRVi : nomini ! Ma. se voleva fug-
gire ogni consorxio amano, i »ervi sa»
ranno stoti spiriti abbidienti a lei. -arti:
magiche.
87. VANO : vnoto, privo dell' anima ;
morto. Cfr. Purg, V, 102.
01. OB0A: snlla tomba di Manto.
03. 80RTK: « anticamente si nsava,
qaando si dovea ponere nome ad alcuno
loogo, di gittarne sorte, e secondo qaello
che le sorti diesano, cosi avevano no-
me » ; Lan.
04. 0PE8SB! Mantova ta già piti po-
polato.
05. MATTÌA: mattetsa, balordaggine. -
Casalodi: conti gaelfi, g\k signori di
Mantova, scacciati nel 1269 per opera
di Pinamonto, la coi signoria darò sino
al 1201. « Costoro, non parendo loro
avere ne la citto baono stoto, o forse per
Boprastare loro vicini, o fiare vendette, fe-
ciono lega con ano barone del paese che
si chiamava PinamonU, e presero la si-
gnoria, e molti ne cacciarono e aeciso-
no. B poco stante Pinamonto caodò an-
che loro con molti altri, e rimase la
signoria tatto a Pinamonto. Questi me-
nomò molto la citto tà. ohe mai non tornò
in primo stoto >; An, Stl, - « Ad qaod
soiendnm est qaod Casalodi est oastel-
lam in territorio brixlensi, andeAiernnt
nobiles oomites, olim domioatorea oivi-
totis mantoanse, qnos PinanMnte de Bo-
nacosis, civis mantoanos, fallaoiter et
sagaciter sednzit. Krat siqaidem Pina-
monto magnas et aadax, habena ma-
gnam seqnelam in popnlo. Bt cnm Man-
tate essetmaltonobilitasodiosaet infesto
pepalo, Pinamonto persnasit corniti Al-
berto tane regenti, at mitteret oertos
nobiles, prasoipne snspectos, extra per
castella ad certnm tompas, et ipee inte-
rim plaoaret Airiam plebelomm irato-
ram. Qao facto cam magno tamoltn et
plaasa popoli, ipso invasit dominiom
Manta»; et continne cmdelitor exter*
minavit qaasi omnes fiunilias |iobUea et
famosas ferro et igne, domos evertens,
viros maotons et lelegans, eto.»; Benv,
Cosi in sostanza anche gli altri com.
ant. Cfr. Murai., Ser^. XX, 728 e seg.
07. t' ASBUiifO : ti istroisco, ti avverto.
-ODI: potova leggerlo nell'JTnéùfs dello
stesso Virgilio, X, 108 e seg.
08. ORioucAS: racoontor di versamento
la storia dell' origine di Mantova.
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[CIEC. «. BOLO/4]
IXT. XX. 99-114
[BUBIPILO] 197
109
103
1C6
1C9
113
La verità nulla menzogna frodi. >
Ed io : « Maestro^ i taoi ragionamenti
Hi 8on si certi, e prendon si mia fede,
Che gli altri mi sarian carboni spenti.
Ma dimmi, della gente che procede,
Se ta ne vedi alcon degno di nota ;
Che solo a ciò la mia mente rifiede. »
AUor mi disse : € Qael che dalla gota
Porge la barba in sa le spalle brune
Tu, quando Grecia fu di maschi vota
Si, che appena rimaser per le cane.
Augure ; e diede il punto con Calcanta
In Aulide a tagliar la prima fune.
Euripilo ebbe nome; e cosi il canta
L' alta mia tragedia in alcun loco :
Ben lo sai tu, che la sai tutta quanta.
90. Fsooi : nulla mensogiift fiicda torto
•1 ▼«ro; non orederìa.
V. lM-1 14. BuHpOo. Dante al mostra
pHi bramoso di considerare i dannati lar-
gita nella bolgia, che non di ndirsi raccon-
tare la storia della fòndasione di Man-
tera. Onde dice a Virgilio: « Ti presto
lède assolata ; ma parlami adesso di quel-
la gente laggiù, se vedi alcono degno
& essere nominato, che non penso ad al-
tro. » Virgilio gli addita on altro Indovi-
no éen* antichità, Boripilo, EópóxvXo^
daini escntcato Jan. II, 118 e seg.«Aye-
▼SDoiOreeinn altro augure, chiamato
£aiipflo, a eoi diedero Calcante per com-
pagno a snerifieare e divinure ciò che
dorerà saceedere secondo le coee occor-
renti, e oomandare dò ohe conoscevano
«ssere riconta de' loro Del. Furono dun-
que XoTff^lo e Calcante quelli ohe pla-
eamao giù Dei, e nel punto che loro par-
re p4à prospero, fecero levare proietti
ed ÉEBcore dalle navi del greco porto di
Anlide, e mettere in viaggio V armata di
Grecia, ebe ivi era congregata»; Barg.
!•!. rsxHDOH: si acquistano così la
102. ALT» : ragionamenti. - spium :
|»eapsel di riscaldarmi il onore.
103. PBOCXDK: si STausa nella bolgia.
105. BiFiKmt: il mio spirito non mira
né si ferma che a dò. MiJUde da rifedir*:
tonare a fedire, o fe^re. Al. siBiVDi ;
€fr. Z. #*., 120.
107. FOBGB: stenda latino porW^. -
BPALLB: essendo travolto.
108. VOTA : perchè andati tutti alPas-
sedlo di Troia.
109. CUNE: vi rimasero appeua i bam-
bini in culla. Oana, lat. eunm, per culla,
è VOGO dell'uso.
110. AUGURB: lat. auQur. Colui che
presso gli antichi, osservando il volo e
il canto degli uccelli, il beccare dei pol-
li, ecc., pronosticava il futuro. - dibdc :
sognò r ora fovorevole al Air vela. - Cal-
CAMTA! Rd^x<K} d* xoXxaCvcD, comune-
mente Calcante, sacerdote ed augure
greco ^al tempo della guerra troiana la
cui lunga dorata egli predisse; ett Hom,,
II. I, 68 e seg. ; II, 800 e seg. Virg., Atn.
li. 114 e seg. Ovid., Mei. XII, 10 e seg.
Di Oakanta per Calcante ofr. Nannuc,
Nomi, 237 e seg.
111. AULIDS: AvXù;,, città della Beo-
sia, dove Agamennone radunò V eserdto
greco. Cir. Uom., II. II, 804, 496, ecc. -
TAQUAR: a sciogliere la fune alla nave
e fer vela.
113. tbagbdìa: alla greca,, invece di
tragèdia ; V Eneide. « Per tragoediam sn-
periorem stilum induimus, per cornee^
diam inferiorem » ; De Vulg. El. II, 4. -
ALCUN LOCO: II, 114 e SOg.
V, 116-180. Ifidóvini moderni. Dopo
avergli mostrato e nominato alcuni anti-
chi, Virgilio mostra e nomina a Dante
alcuni indovini del suo secolo ; qnindi lo
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198 [CEBO. 8. BOLG. 4] IMF. XX. 115-128 [INDOTINI MODEBKl]
115
118
121
Qaeli' altro, che ne' fianchi è cosi poco,
Michele Scotto fa, che veramente
Delle magiche frode seppe il gioco.
Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,
Ohe avere inteso al cacio ed allo spago
Ora vorrebbe, ma tardi si pente:
Vedi le triste che lasciaron l' ago.
La spola e il faso, e fecersi indovine;
Fecer malie con erbe e con imago.
inTite a Mgairlo, facendosi già mattiiia.
Abbandonano la quarta bolgia e si arri-
olnano alla qnlnt*.
116. POCO: magro, strntto, sottile.
Al. : ohe ha l'abito si attuiate. Ma nel-
r Inferno le anime non hanno abiti ; cfr.
Jnf, m, 100.
116. Micheli Scotto : sooesese di na-
sione, celebre medioo ed astrologo di
Federigo n imperatore. Dicono vi resse
oltre il 1200. Scrisse nn commento sopra
Aristotele ed altri libri di filosofia, astro-
logia ed alchimia. Lo si credeva un grande
stregone, e come tale il nome sdo si è con-
serrato nella bocca del popolo in Isoor.ia.
Di lai Q. ViU, X, 104, 140; XII, 19, 92.
Boee., Dee. Vili , 9 . - « Fuit valde perìtns
in magids artibns et scentia angari qni
temporibns snis potissime stetit in onda
Federici Imperatorie > ; Bamhgl. - « Fu
di Scozia grande maestro d* arte magica,
e insegnonne tanto agli Scotti, che an-
che non fanno passo che arte magica
non segniscano. B insegnò loro portare
calce bianche e gonelle con maniche on-
scite insieme » ; An. Sei. - « Si ragiona
ch'essendo in Bologna, e usando con
gentili uomini e cavalieri, e mangiando
come s'nsa tra essi in brigata a casa
r uno dell' altro, quando venia la volta
a lui d'apparecchiare, mal non faceva
fare alcuna cosa di cucina in casa, ma
avea spiriti a suo comandamento, che li
fkcea levare lo lesso dalla cucina dello
re di Francia, lo resto da quella del re
d' Inghilterra, le tramesse di quella del
re di Cicilia, lo pane d' nn luogo, e '1
vino d' un altro, confetti e frutta là onde
li piacea ; e queste vivande dava alla sua
brigata, poi dopo pasto 11 contava: del
lesso lo re di Francia fi nostro oste, del
resto quel d'Inghilterra, ecc.»; Lan.
Lo stesso raccontano pure BuH ed altri.
"Ifr. la lunga nota del Filai, a questo
luogo. Anche nei tempi moderni si lis-
veleggia nella Soosia, e non poco, di que-
sto ikmoso mago. Cfr. HiaL littér, de la
Franee, XX, 48 e sQg. Matml, Slor. dH
Deeam., 511 e seg.
117. GIOCO : arte vana ; « magioarum
artium ludi »; Arnob,, Adv. gmd. I. Cflr.
Tertul., ApoL, o. 28.
118. BoHATTi : da Forlì ; celebre astro-
logo e molto affezionato al conte Guido
da Montefeltro. Viveva verso la fine del
secolo XIII. Scrisse « Decem traotatas
astronomie » ohe gli acquistarono il ti-
tolo di principe degli astrologhi. O. ViU,
VII, 81 lo dice « ricopritore di tetti. » Di
Bonatti scrive a lango l' anonimo autore
degli Annales ForoliviemU t otr. Murat ,
Script, XXII, 150, 233 e seg., 237 e seg.
- « Usava costui di stare nel campanile
della mastra chiesa, e faoea armare tutta
la gente del conte da Montefeltro, poi
quando era l' ora, e questi dava alla cam-
pana, e tutti sallano a cavallo e uso&aao
verso li nemici •;Lan. Cosi pure OU., eoo.
Bmv. racconta di costui alcune partico-
larità, copiate in parte dall' autore degli
Annoi. Foroliv.' ABVS.WTE: «il calzolaio
di Parma > ; Oonv. IV, 16. > « Dimissa arte
sua dedit se totum dlrinationi, et saepe
multa ventura pr»dixit qu» ventura
erant, cum magna hominum admin^
tiene; credo ego potlus a natura, quam
a literatura, cum esset llterarum igna-
rus»; Benv.
119. nmtso : Al. ATTK80. Si pente trop-
po tardi di non aver badato a fare il cia-
battino, lasciando stare l'arte deU' in-
dovino.
121. TBISTS: streghe. Non ne nomina
nessuna particolarmente.
122. INDOVINB: Al. DIVIKB; oflP. Z. F,,
121 e seg.
123. KBBB: con estratti di erbe parti-
colari e con imagini di cera. « Puossi fkre
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r^
tene. & BOLO. 4] Inf. rz. 124-130 Tindovini modkrni] 199
m
m
138
Ma Vienne ornai, che già tiene il confine
D'ambedae gli emisperì, e tocca Tonda
Sotto Sibilia, Caino e le spine,
E già iernotte fa la lana tonda:
Ben ten dee ricordar, che non ti nocqae
Alcona volta per la selva fonda. »
SI mi parlava, ed andavamo introcqae.
Bi&e por virtù di certo erbe mediaotl
•kone parole, o per imegine di cere o
i'tàkn iktto in certi ponti, et per certo
nodo che, tenoido qneeto imaginl al ftao*
co, ofteeeedo loro epilletti nel capo, oooi
pan ebo senta ooloi a eoi imagine elle
Meo fiate, come imagine ohe al atmg-
ga ai foooo »; An. Fior,
lU. covnvB : dei due emiaferl, oioò
^ Porgatorio e di Oeraaalemme, ohe è
att'Mtremità della peniaola Itpanica, doe
Sndi di là da SirigUa.
128. Cinto : la luna. Il volgo credeva,
k naeehio della lana essere Caino che
faniaba una forcata di spine; ofr. Par.
n, 50. Conp. n, 14.
127. TOHDA : piena. - « Vuoi dire ohe
It Iona al trova al zenit di Oade (così
^te appella Cadice, Par, XX VII, 82).
A Gado fl pnnto ove finisce 1* emisfero
^cmatre ohe ha per centro lerosalein,
e eoododa remisfero acqneo che ha per
^^>^ 0 Purgatorio. Il ponto opposto
« Gado è il Gange {Purg. II, 15). So la
hua fosso piena, avremmo :
Ifesaodì in Oange . . . ore 18
If attino in lernsalem . ore 12
Mexsanotto in Gade . . ore 6
Sera in Porgatorio ... ore 24
Ma avendo la Inna ritardata drea un'ora,
poiché si trova al sedicesimo giorno, bi-
sogna a quelle ore aggiungere qaest'al-
tra ora. Onde segno che in lernsalem
sono ore 18. » Nociti,
128. NON TI KOCQUB: ti gioVÒ COl SUO
lume rischiarandoti la via.
129. ALCUXA VOLTA: di tratto in tratto f
0 VQol forse accennare con qnesta frase
che passò ben piti di nna sola netto nella
selva profonda In coi era smarrito!
130. IHTBOCQUB: intanto, mentre Vir-
gilio corà mi parlava: Introcque è il lat.
inter hoc. Nel De Vulg. El, Danto cito
questo voce come esempio di brutto par-
lare (I, 12). Ma nel suo Inferno il Poeto
usa non poche voci che in altre circo-
stanae egli sarebbe stoto il primo a con-
dannare. Il linguaggio è adattoto alla
materia.
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200 [CEBC. 8. BOLO. 6] InP. XXI. 1-9
[BABÀTTIBKlJ
CANTO VENTESIMOPRIMO
OEECHIO OTTAVO
BOLGIA quinta: BABATTIEBT
(Immersi nella pece bollente)
UN MAGISTRATO LUCCHESE, I MALEBRANCHE^ MALACODA
COMICA INFERNALE
Cosi di ponte in ponte, altro parlando,
Che la mia commedia cantar non cura,
Venimmo ; e tenevamo il colmo, quando
Ristemmo per veder P altra fessura
Di Malebolge e gli altri pianti vani ;
E vidila mirabilmente oscura.
Quale nell'arsenà de' Viniziani
Bolle l'inverno la tenace pece
A rimpalmar li legni lor non sani,
V. 1-21. La bolgia dei baraUieri.
Nella qnlnta bolgia è an lago di pece, nel
qnale sono immersi i barattieri ohe pian-
gono e enfolano. Cercarono in vita di ope-
rare nelle tenebre, per meglio ricoprire i
loro perfidi intrighi, e qui sono così nasco-
sti e coperti da non poter esser vednti.
Non si curarono della ginstitia, della ve-
rità e della lealtà, onde sono qni in preda
a diavoli bugiardi e senea legge, sleali
e cradeli.
1. DI PONTI: da qnel della quarta a
quello della quinta bolgia. - altro : di
altre cose che qui non si registrano ; cfr.
Jr\r. rv, 104 e seg.
3. TEinvAMO: eravamo sul punto pih
alto dell'arco quinto.
4. FESSURA : bolgia, quasi fenditura di
terreno, detta altrove /owa.
6. YAKi: perchè nulla giovano.
7. ABSENÀ : corà con piti codd. Bambgl.
ed altri. I più ahzahà ; cfr. Z. F., 122 e
seg. « Che debba dirsi anenà e non ar-
tema. Io si rileva da molti documenti e
dall' antica pianta di Venesla.... ot* è
scritto chiaramente Arsenà »} BaroMxi,
D. € il 8U0 8ee,, p. 801. Invece B€Ui J,
105: « Arzanà è una voce da usarsi, sic-
come quella che viene da ananar, ohe
in venexiano vuol dire arginare. Onde si
ò fatto l' arxar^à, cioè 1* arginato. » Cfr.
Blane, Veriueh 1, 189 e seg. Dante intende
dell'arsenale vecchio, eretto nel 1104,
ingrandito verso il 1808, considerato ai
tempi del Poeta come uno dei più impor-
tanti dell* Baropa. Cfr. Sedarit LàUeté
filologiche di marina, Ven., 1844, p. 45
e seg. Boti., 454 e seg. Soli* etimologia
della voce (dall'arabico ddrfanah^omaa
d'industria) cfr. Diez, Wort, I*, 34.
9. A RIMPALMAR: destiusta a rfmpe-
dare i navigli rotti o maloonoi.
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[CIBC* 8. BOIG. 5]
lOT. XII. 10-26
[BABATTIERI] 201
18
19
Cbè navicar non ponno, e in qnella vece
Chi fa il sao legno nuovo, e chi ristoppa
Le coste a qnel che più viaggi fece ;
Chi ribatte da proda, e chi da poppa;
Altri fa remi, ed altri volge sarte ;
Ohi terzemolo ed artimon rintoppa ;
Tal, non per fuoco, ma per divina arte.
Belila laggiuso una pegola spessa.
Che inviscava la ripa da ogni parte.
Io vedea lei, ma non vedeva in essa
Ma' che le bolle che il boUor levava,
E gonfiar tutta, e riseder compressa.
Mentr'io laggiù fisamente mirava.
Lo duca mio, dicendo : € Guarda, guarda ! »,
Mi trasse a so dal Ioqo dov'io stava.
Allor mi volsi come l'uom, cui tarda
Di veder quel che gli convien fuggire.
19. CMk: perchè d* inverno 1 Veneziani
non poMono narigare. AL CRK senza ac-
eeato, cioò « ohe (— i legni lor non sani)
aaa pomionaTieare > ^interpretazione ohe
rende la eoatmaione troppo intricata. -
▼KB: inrreoe di navigare. Al.: E in qnel-
reeoaafone, in qnel tempo (i).
U. UBTOPPA: oala&ta; ritnra le Iìbs-
sare eoUa atoppa.
13. coerrs: lati della nave.
13* smain: oon chiodi.
14. TOU3X : attortiglia la canape ftM)en-
io mrte, ohe sono i oocdsmi delle navi,
laveee di va ... . volob parecchi oodd.
baaaio fax .... volooh ; oonfr. Moitré,
15. TKSZKBUOLO : la Véla minore della
nave, la qoale« porta tre vele : nna gran-
de, che al chiama ortfmontf; nna mezsana,
la quale tH chiama la tMizwna, ed nn' al-
tra mteore, ohe si chiama tenemoìo^;
Arti.- BiKTOrpA: rattoppa, rappezza,
mette nnore toppe.
17. PBOOLA: pece densa.
It. nrvncAVA: intonacava.
19. LEI : la pece. « Il barattiere al può
ben vedere, ma non la ftrande che ti vnol
«are, che qneeta sta nel ano seereto »;
y«a.
20. MA'CHV: ftiorohè; ofr. Inf, IV, 26.
HeDa pece non vedeva ohe le bolle levate
dall'iatemo bollore sulla snperfleie, e ve-
deva la pece tutta gonflarri e riabbaa-
sarai allo scoppiar delle bolle.
21. RiSKDBB; « linde tremor terria,
qua vi maria alta tnmesoant Oblcibna
mptia mraasqne in se ipsa reddant »;
Virg., Georg. II, 479-480.
V. 22-57. 1/anmian di Santa SSita.
Viene nn diavolo con nn barattiere Ino-
cheae che egli bntta giù dal ponte nel
Iago di pece. Attnlfatosi, il barattiere
toma an convolto, e i diavoli lo adden-
tano, aohemendolo, coi loro rai&. Avendo
il Poeta taciato il nome di coatnl, il vo-
lerlo indovinare aarebbe fiatlca gettata.
Ne tacciono il nome Bambgl., An. 8el.,
lae. DavU., Lan., OU., Fetr. Dant., Oaa.,
Folto Boee., Benv., ecc. « Altri voglion
dire che fosse Martino Bottiao, il quale
mori nel 1300, l' anno che 1* autor finge
che avesse questa fantasìa, il venerdì
santo la notte sopra il sabbato santo,
intendendosi del primo venerdì di mar-
zo t e fti costui nn gran cittadino in Lucca
al tempo suo, e oonoorse con Bonturo Dati
e con altri nomini di bassa mano, che reg-
gevano allora Lucca »; BvH. Cfr. Minu-
toli, in Dante e il tuo tee., 211 e aeg.
23. GUARDA: guardati.
24. LOCO: sponda del ponte.
25. TABDA: pare miir anni, perchè de-
sidera ardentemente ; è sommamente an-
sioso di vedere ; cflr. J^A IX, 0.
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202 [OEBO. 8. BOLO. 6] IH7. XXI. 27-89
[ANZIAN DI 8. ZITA]
81
34
87
E coi paura sùbita sgagliarda,
Che, per veder, non indugia il partire ;
E vidi dietro a noi un diavoi nero
Correndo sa per lo scoglio venire.
Ahi, qoanto egli era nell'aspetto fiero!
E quanto mi parea nelF atto acerbo,
Con l'ale aperte, e sovra i pie leggiero !
L'omero suo, ch'era acuto e superbo,
Carcava un peccator con ambo l'anche,
E quei tenea de' piò ghermito il nerbo.
Del nostro ponte disse : « 0 Malebranche,
Ecco un degli anzian di Santa Zita !
Mettetel sotto, ch'io tomo per anche
27. BGAOLlARDAt toglie le fone; « Vi-
res snbtnhit ipae timor »; Ovid,, Heroid,
XIV. 182.
28. CHB : il quale, sebbene gnmrdl, non
rista però di fuggire, ma guarda e fugge
nello stesso tempo, stimolato dalla curio-
sità e dalla panra ; guarda faggendo.
88. APKBTE : per volare. - lkooi£RO :
camminando e volando insieme. Qaeeto
demonio è dipinto quale appunto oel mo-
strano infinite opere d'arte del medio
evo. Cfr. Or(^f, Demonologia di D., p. 20
e seg.
84. L* omBO : quarto caso. - acuto :
appuntato e rialsato.
36. CASCAVA : gravava. - peccatoh:
primo caso. « H peccator carcava l'omero
del dimonio ; et il dimenio, avendolo in
sullo omero a guisa che fk il lupo la pe-
cora (7), et tenealo, avendo fitto gì' un-
ghioni ne' nerbi che sono sopra' piedi,
tra' piedi e le gambe •; An. Fior, - « TTn
peccatore con ambo io sue anche cari-
cava e premea l'omero del diavolo ch'era
acuminato e sollevato per superbia di
ricca preda; e quella brutta bestia gli
tenea ghermito oon quelle unghiaoce un-
cinate il collo del piede; o sia un pec-
catore era a cavaldoni sull'omero d'un
diavolo, che lo tenea strettamente af-
ferrato pei piedi »; Sou, Ad onta di
quanto ha detto altrove, If\f. TU, 121 e
seg.. Dante si attiene qui (e Ir\f. XXV II,
121 e seg.) alla comune credensa de' tempi
suoi, secondo la quale le anime malvage
sono porute via dai diavoli, e qualche
volta anche i corpi.
87. DBL HOSTSO : d'in sul ponte, dove
eravamo io e Virgilio, il demonio diaae.
Altri punteggiano: « Dkl hostbo por-
ti » DISSI, « o Malkbbanchi, » doè t
« O Malebranche del nostro ponte. » Kon
pare però che ogni ponte abbia i saol
diavoli, o Malebranche, spedali, ansi dal
versi 115 e seg. come pure dal C. seg.
sembra risultare indubbiamente il con-
trario, poichò i McUebranehé vanno coi
due Poeti, nò questi incontrano altri Ma-
lebranche Un modo simile If\f. XXIV,
97: da nottra proda, doò dalla proda
ov' eravamo Virgilio ed io. Cfr. Blane,
Vertuch, 102 e seg. - Malkbrakcbb : no-
me generico dei demoni di questa bolgia,
così chiamati dai loro unghioni ed uncini,
e dair esser custodi di qne' ohe abbrat^
careno con branche maU, doò ingiuste.
88. ANZIAN: magistrati supremi di
Lucca, come i Priori a Firenie. - Santa
ZfTA: Lucca, co8\ chiamata dalla protet-
trice della città. Santa Zita fti oriunda di
un villaggio su quel di PontremoU, nata
nel 1218 da poveri genitori, morta il 27
aprile dd 1287. Essa ò « la Pamèla de la
legende ; c'était une pauvre servante quo
son maitre vonlait sòduire »; Ampère, -
« La famiglia dei Fatindli, nella quale
avea vissuto oon officio di fkntesoa, ne
conservò il corpo nella cappella gentili-
■ia che possedeva nella chiesa di S. Fre-
diano a Lucca »; Vemon, Ii\f. voi. IH,
p. 153 ; cfr. ivi tav. LXm. Otrini, Mem,
degli eeriUori della Lunigiana, Massa,
1829. II, 222 e sog. MontreuU Sara, Ti4
de SainU Zita, Par., 1845.
89. PKB ANCHE: per altri, a prenderne
degli altri. AL: Io tomo da capo.
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[CDC. 8. BOLO, ff]
IHF. XXI. 40-49 [Anzuiv di s. ziti]
A quella terra ch'io n'ho ben fornita:
Ognnn Ve barattier, fdor che Bonturo;
Del 'no' per li donar yi si fa 4ta'. »
Laggiù il buttò; e per lo scoglio duro
Si volse ; e mai non fd mastino sciolto
Con tanta fretta a seguitar lo furo.
Quei s' attuffÒ, e tornò su conyolto ;
Ma i demon, che del ponte avean coverchio,
Oridàr: € Qui non ha loco il Santo Volto!
Qui si nuota altrimenti che nel Serchio !
città, eioè Loooa. - ob' io
K*BO :« lo sono per addortene Msai di ita
tUo, Imperò cb* ho bea fornita qneU*
tenm éi tal eondlsUme »; Lan, Qoesto
ttugiuifglo & sentire rarrogaoM di po-
tare e U gloift maUgna de* diavoli. AL
CME ■* t BKS VOBHITA.
41. BOBTUBO ; Bontoro Dati, capo della
parte popolare di Locca, nomo anai an-
torerole. DI Ini cfr. MwrtU,, Setifi. XY,
m e ee^.; X. 6M. O, YiU, VII. 122. Mi-
wOàU ìnD.eil avo $te., 212 e seg. Oom,
lÀpi, I*. 849 e eeg., Eneid., 260. I più
lo dicono U peggiore tra' barattieri lao-
ebeii del tempo, onde si ayrebbe in que-
sto Terso un'amara ironia. « Fnit ma-
gane popnlaris in dvitate predicta »;
Bamògl. -«Sasendo rloho mercatante
per goadagniare nel presente modo in
ebomane i' esser mercatatesco dimise » ;
Tee. DattL - « Fn lo maggior barattieri
di palagio obe fbese o si sappia in quella
«ittade »; Xtf». - « Qoi mazimns est »;
Ous. - « Fait arebibaratarins, qoi saga-
eìter dncebat et yersabat illnd oommn-
ne totnm, et dabat officia qnlbns Tole-
bat ; slmUiter ezdodebat qnoe Tolebat > ;
Bmuf. > « Fn grandissimo barattiere e ta
grande cittadino di Locca, et ogni barat-
tarla fdoe per denari »; BvH, - « Ynol
dire eli* è II maggiore barattieri di to-
roao »; An. Fior, Oli altri Trecentisti
tacciono. Alcuni posteriori poi si ayri-
ssBO die Bonturo non fosse colpevole di
baratteria, e cbe qui si parli propria-
mente e non per ironia. Cfr. LueeheMini,
Open, Locca, 1B82, 1, 4i»^62. Todetehini,
n, 370 e seg. Z. F„ 128 e seg.
42. ita: ■). Ita ut, ita tutor, ita exo-
fumtìir, fbrmole giudiziarie di attestati,
mandati, sentense, ecc. di qoe* magi-
stratL > « In Lucca.... a obi de* esser
detto di no neUi offid è detto di si; et
a obi non ba ragione, è Ibtto cbe Tabbia
per li denari »; BuH.
46. Fimo : ladrone ; aatlcam. aaobe in
prosa. Su questa roce cfr. Dies, Rom,
eram. I*, p. 24. 82. Fort. I*, p. 102. Co-
str.: Can inastino disdetto non ta mai
si veloce ad inseguire il ladro, come Ai
veloce qnd diavolo a tornare indietro.
Al.: Mastino non là mai sdolto con tanta
fretto. Ha qui si tratta ddla fretto nd
correre.
46. ooirvoLTO : « coIIa scbiena in su, si
cbe testo e gambe restarono nella pece.
Tale atteggiamento, che pare in parto
d'uno che adori, stusdoai demooi al sar-
casmo : If on giova qui 1* adorasione del
Santo Volto, cui tanto aveto in pregio
voi altri Luoched ; gli ò troppo tordi » ;
Blane. Secondo altri eonvoUo vale qoi
imbrodolato. Molti codd. hanno COL vol-
to, e ood leesero Bonv., BtUi, Barg., eoe.
Dal V. 48 risulto che questo les. è falsa.
J^tono, Vertwh 1, 105 e seg.
47. AVEAN: stovano sotto il ponto, il
quale era loro eovorehio.
48. KON HA LOCO : non giova invocarlo.
-VOLTO: famoso dmulacro cbe si con-
serva in uoa oappdla chiusa della cat-
tedrale di Lucca, fi un Crodflsso di legno
aero, che d mole portoto da Costantino-
poli verso r ottovo secolo, quando molto
imagini, per scamparle alla perseoudone
degli Imperatori Isaurioi, ftarono recato
io Ooddeoto. I^ leggenda Inccbeee at-
tribuisce quest'opera a Nioodemo, ed in
particolare il volto a mano oeleeto, obe
l'intagliò, mentre Nioodemo s*era in dol-
ce contomplaxione addormentoto presso
suo lavoro. Cfr. VeriMn, Inf. voi. III,
p. 155. ed ivi la tov. LXIV. MimUoli in
Dante e il tuo tee., 2j0 e seg.
40. Sebchio : fiume ohe corre a breve
distonsa da Lucca, noto dn presso gli an-
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204 [CERO. 8. BOLO. 6] Inp. III. 50-66
[AKZIAN DI 8. ZITA] '
52
56
58
61
64
Però, se tu non vuoi de' nostri graffi,
Non far sovra la pegola soverchio. »
Poi r addentar con più di cento raffi,
Disser : < Coverto convien che qui balli,
Si che, se puoi, nascosamente accaffi. >
Non altrimenti i cuochi a'ior vassalli
Fanno attuffare in mezzo la caldaia
La carne cogli uncin, perchè non galli.
Lo buon maestro e Acciò che non si paia
Ohe tu ci si), » mi disse, « giù t'acquatta
Dopo uno scheggio, che alcun schermo t'àia;
E per nulla offension che mi sia fatta,
Non temer tu, ch'io ho le cose conte.
Perchè altra volta fui a tal baratta. »
Poscia passò di là dal co' del ponte ;
E com'ei giunse in su la ripa sesta,
Mestier gli fu d'aver secura fronte.
tiohi Btroachi e Romani col nome di
Aesftr. Cfr. Minutoli» 1. o. - « La state
comunemente ogni Lnocheae vi si bagna
entro »; Lan.
50. QRAFPi: graflBatnre de' nostri nnoinL
51. MON PAB: non soyerohiare; non
Tenire a galla.
52. POI: poichò. - RAFFI: stromenti di
ferro con denti nnoinati, detti vannini
o xmcini.
53. covsRTO : sotto la pece. - balli :
« per derisione appellano qne' demoni
baUo il dimenarsi di quegli sciagurati
nel bruciore »; Lomb,
5i. AOCAFFI : arraffi, pigli con male arti
come facesti l'altrui denaro, lassù ntl
mondo. Ecco che la pena corrisponde al
peccato.
55. VASSALLI: fìuiti, guattcri, serri.
57. GALLI : galleggi, venga a galla. Da
gallare « galleggiare. Cfr. Purg. X, 127.
V. 68-75. VirgiUo e < Malebranche.
Virgilio esorta il suo alunno a tenersi
nascosto dietro uno scheggio, intanto ohe
egli andrà a parlare coi Malebranche, e
di non temere per qualsivoglia offesa gli
sia fatta, conosoendo egli come vanno le
cose laggiù. Infktti i demoni, appena ve-
dutolo, corrono addosso a Virgilio coi
loro graffi; ma egli si schermisce, invi>
tandoli a spedirgli incontro uno di loro,
con cui possa parlare ed esporgli la ra-
gione del suo viaggio oolaggiù.
58. SI PAU : apparisca, non si vegga.
Cfr. JnT. Vili, 106 e seg.
50. t'acquatta: chinati per terra.
Sembra che né i Malebranche sotto il
ponte, né il diavolo nero avessero an-
cora veduto i due Poeti, chò altrimenti
questo giù C'ae^uo^ -> abbassati e na-
sconditi, non avrebbe vemn senso.
60. DOPO : dietro, lat. poet, come Par.
n, 100, ecc. Cfr. Virg., Ecl. IH, 10^20.
- cuBt il quale scheggio ti nasconda alla
vista dei demoni. - ÀIA: abbia i antfoam.
anche fuor di rima. Cfr. Par. XVII, 140.
Kannue., Verbi, 507 e sog.
62. coNTB : Cognito ; « quasi dieat : bene
novi fraudes istorum baratarionnn »;
Senv., essendovi già stato, cfr. Ittf. IX,
22 e seg.
63. BABATTA : baruffi^ contrasto, con-
tesa. « Quando due vengono a contesa
insieme e se le danno a vicenda, si dice
ohe se le son barattate. E si dice barai-
fartele anco di parole ingiuriose dette a
vicenda. » Oavemi. In questo luogo ba-
ratta è detto « forse con qualche allu-
sione al luogo ove si puniscono i barata
tieri, e ai diavoli che vi stanno a guar-
dia »;0.
64. co* : capo, cfr. If\f. XX, 76. Purg,
in, 128. Par. ni, 96.
65. SESTA : che partiva la quinta dalla
sesta bolgia.
66. BBCUBA FBORTB: coraggio.
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fBMMC t. BOLO. S]
IVP. TU. 67-^ [MALKBSÀHCHB] 805
^ 74
78
71
82
Con qael foror e con qaella tempesta
Ch'escono i cani addosso al poverello,
Che di sabito chiede, ove s'arresta;
Usciron quei di sotto al ponticello,
£ Yolser oontra Ini tatti i roncigli;
Ma ei gridò : € Neasan di voi sia fello !
Tnnaniri che l'oncin vostro mi piglif
Traggasi avanti l'on di voi che m'oda,
£ poi d' arronci|^iarmi si consigli »
Tatti gridaron: «VadaMalaeoda!»
Per che on si mosse, e gli altri stetter £armi,
£ venne a lai dicendo : « Che gli approda? >
« Credi ta, Malacoda, qoi vedermi
£sser venato, > disse il mio maestro,
« Secare già da tatti i vostri schermi,
Senza voler divino e ùÀo destro?
Lasciane andar, che nel cielo è volato
C7. TWMrWBTA : « St qilMÌ tlìWpMtM
roueieoetni fliaai •; Domid. XI. 4».
M.CBiiDB: donaadAMiis'attcorele-
wwiin « Affociiaa il Poeta eoa» ebe per
MpMlwie è nota ad ognaao, cioè tAnb ai
pltoeeU, «sai Tolta che M •Kmetfiwmn a
qmlffcn eaaa per me it t ii-e. (hrioaiawite
i caai ■iarTeiitaiio»;X#ai>.- « Baiatarìi
Bcrita eoBpartBtar eaaibaa»;i{m9.
72. FKU/>: cradde, malrafio.* JUZ* è
c^4bì «ha peoaa dì tax mal» ad attrai »;
£M£. Coafr. Diez. Wdri. 1*. p. 174 e
fc«. /V. XVU. 132; XKVm. 8L Pmr,
IV, 15.
7S. H OOSBIGU: qoando Tuac di toI
mi arra adito, solo allora tara teiapo
di delibeiare tea toì m lia da aiTOB«i-
ftiand. *
V.7V-87. rirgilUeMmimeodéuh'ét^
stoae ak fi aaaaa dJwrwwiono e eenaa op-
poaitkma I diaroU raano «abito d' ao-
oerdo.«aTada Malaeoda! »fridaoo tatti
ad aaa ▼oee. B V eletto awctto dal caato
no aeaia eMorfle e M aTTidaa a Vif^gilio,
il qaale lo oBilia lieordande^ la to-
7C. Malacxwa: taloBo crede cfaeooUo
» Daato abUa aaeeoeta qoal-
0, Galla di Valoie. a Cono
Dsaati. SofarfliieMfinta ingefaooo. « 11
Bene è preeeglo che la eeaa uadrebbe
a Mal tao ^ 2Va».
78. CBB OLI AfTSOJ>A: qoal pto gli fiif
eoea gli gioTat Dica pna ciA ebo Taele,
aoa gli giorecà malia. Jjyredarw ia qae-
■to mederiMO aeaao è aaeto fWp. XIII,
67. Altri iateadoBo diveneneata. < Cbe
lo ooadace qai 1 » B^tti, rna., eoe. lAp'
proéan — ▼eaira a proda). « Cbe Taole,
cba deeideraf » OM«ei. AMbedoe diaao-
de eaperfloe. cbè Virgilio lo bacbiaoMito
appoato per dirgli ciò ^e egli raola e
ciò ^e qai lo eoodoee. Altre ka.: au
TI ArpBODA (cbe raoi f); cai t'appbodaI
(eooM aei qai capitato f); ch'sou Amo-
DA <cbe e* è di booto r>, eoe Cfr. Z. F.,
12Seeeg.
81. ecexBMi: dilsee; qai per impedi-
menti^ opposiiioai. I demoni B<m baane
0 potere di oflendere Virgilio, fl qaale
noa è giodieato da Miaoaee; /V- XII.
M. Ficfy. I, 77. Ktmmwiteadn 0 volere
sapremo ^i vìBoe g)i oetecoU ; cfr. /V.
lU, M e oeg.; V. 21 e oeg.; VII. 10 eseg.
1 soUgaaidiaai del cercbio dog» eretici
aoa eedoBo. litf. vm. 8 ! e eeg., emaaiin
eoei i rappreeentaati di cbi aoa crede in
na Toler sapremo.
82. Disrao: proplsio. lavorerole; cfr.
yy§., Aen. V. 66 e seg. Altre Tslte Vir-
gilio aoa raauaeata ai diavoU cbe U vo-
ler divino ; qai Ti aggioage fl /kt», al
qaale oeooDdo la mitologia soao asito-
poeti gli stessi Dei; cfr. OfM., MU. IX,
42» e oeg.
83. LABCiAXs: Al. Liariàwi.
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206 [CBBC. 8. BOLO. 5] Inf. XXI. 84-99
[MILBBBÀNOHRJ
85
01
M
97
Ch'io mostri altrui questo cammin silvestre. »
AUor gli fìi l'orgoglio si caduto,
Che si lasciò cascar Pancino ai piedi,
E disse agli altri : € Ornai non sia feruto* »
E il duca mio a me : € 0 tu che siedi
Tra gli scheggion del ponte quatto quatto,
Securamente omai a me ti riedi. »
Per ch'io mi mossi, ed a lui venni ratto;
E i diavoli si fecer tutti avanti,
Si ch'io temetti non tenesser patto.
E cosi vid'io già temer li fanti,
Che uscivan patteggiati di Caprona,
Veggendo sé tra nimici cotanti.
Io m'accostai con tutta la persona
Lungo il mio duca, e non torceva gli occhi
Dalla sembianza lor, ch'era non buona.
84. ALTBUi : a Dftiite nascosto. - Sil-
vestro: selvatico ed orrido.
85. CADUTO : a Malacoda venne meno
Tarroganza, testé tanto grande ; cfr. It\f,
VII, 13 e seg.
87. PBBUTO : ferito. Cfr. Nannue., Ver-
bi, S97. nt. 1.
V. 88-105. Spavento di Dante. Spenta
colle sue parole Ja tracotanza di Mala-
coda e de' suoi Malebranche, Virgilio
chiama Danto a sé. Bsaendosi egli mosso
per raggiungere 11 maestro, 1 demoni si
fiuino avanti, e con parole sconce si ec-
citano l'an l'altro ad offenderlo, onde
Danto é tatto spaventato.
89. QUATTO QUATTO : « chinato e come
spianato in torra, e come fis la gatta
qoando accolla, che si stiaccia in torra
per non esser veduta »; Borghini.
98. PATTO: la promessa fatta, v. 87.
« Et nota qnod anctor palerò hoc fingi t,
qnla raro vel namqaam isti baratorii
servant qnod promittant, nisi sit eis
nncta manns »; Benv, Al. temetti cu' ei
TENB88RB PATTO, cho risponderebbe al
)at. verter ut. Cfr. Jfoort, Orit., 830 e seg.
94. vid'io: ci fti dunque presento. L'opi-
nione ohe egli vi sia andato non come mi-
lito, ma per semplice ooriosftà (Bartoli»
Leu, ital, V, 94 e seg.), é del tatto
inattendibile.
95. PATTBGOUTi: sotto fede di oapito-
laiione.-CAPBOXA: castello dei Pisani,
preso dai Fionntiiii e Lucchesi nell'ago-
sto del 1289; cfr. G. ViU. VII, 137. Il BuU
pisano e che leggeva il sao commento a
Pisa, racconto! « Questo castoUo er» A
forto che per battaglia non si potova ave-
re, onde avvenne che. Catto poi capitano
di guerra per li Pisani il conto Guido da
Monto Feltro, acquisto a' Pisani tutto
ciò che avevano perduto, et ancora Ca-
prona; imperò che, spiato per alcuno
secreto modo che quelli dentro non avea-
no acqua, si mosse un di' da Pisa et asse-
diò Caprona; e non avendo più che bere,
benché avessono assai da mangiare, i
fttnti che v' erano dentro s' arrenderono
a patto d'essere salve le persone. E
quando uscirono fuori del castello et an-
davano tra' nimici, v'erano di quelli ohe
dioeano e gridavano: Jppieea, appieeat
imperò che il conto Guido li avea fsttl
legare tutti ad una ftine, acciò che non
si partissono l' uno dall' altro, et andan-
do spartiti non fossono morti da' con-
tadini; e facevali menare inverso Pisa,
per conducerli in una via che andava
diritto a Lucca, pih breve che alcun' al-
tra ; e pertanto elll ebbene paura che '1
patto che era loro steto fktto, non fosse
attenuto. » Guido da MontefUtro ta ca-
pitano de' Pisani dal marco 1389 sino
al 1293; cfk». a, Vm, Vn, 128; VIU. 2.
BiU8., 114 e seg. Kram», 86 e seg.
98. LUHOO: rasento, presso, cf./nf.X,58.
99. 8KMBIAMZA: dal lOTO
aspetto.
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[Cna B. BOLO. 5]
InF. XXI. 100-1 12 [BU01X DI MALÀCODA] 207
193
«
169
111
Ei chinavan li raffi, e € Vuoi clie il tocchi »
Diceva Tun con l'altro, € in sul groppone? >
E rispondean: € Si, fa' che gliele accocchi! »
Ma quel demonio, che tenea sermone
Gol duca mio, si volse tatto presto,
E disse: « Posa, posa. Scarmiglione! »
Poi disse a noi : € Più oltre andar per questo
Scoglio non si può, però che giace
Tutto spezzato al fondo Parco sesto.
£ se l' andare avanti pur vi piace,
Andatevene su per questa grotta;
Presso è un altro scoglio che via face.
ler, più oltre cinqu'ore che quest'otta,
100. ctnmAYÀX: AbbMsaTano I loro
melili yeno di me, e l'uno ohiedeva al-
raltro:« Vaol ta cheli peKniotftf»-TOO-
cm: « al dtoe tpeofalnieote a* Tettiuiiil
del perenotere i oavalli, ohe Tadano più
Telod, Tocca, tooea: via, yla»; Cfavemi.
101. OBorPOHR: la parte posteriore del
102. GUKLB: InrariabilmeDte per tatti
i generi e niimerì, invece di glielo, gliela,
^UetL - ACCOCCAI : « aeeoecarla a uno,
nodo basso. Fargli qualche danno, di-
spiacere o beffo; onde l'adagio: TaX H
ride im bocca, eìU dietro te Vaeeoeea, cioè :
1^ fii r amico in fMoia, e dietro t* Ingan-
aa e opera contro di te »; Far^.
108. QUEL: Halacoda.
105. POSA: sta' quieto. -ScARUOUOinE :
scarmigUatore, arruffatore; « quasi cupi-
do di scarmigliare» soompigliaro persone
e cose »; Tom.
V. loe-114. Le bugie dèi diavolo.
Vdendo ingannare i due Poeti quel dia-
volo di Halacoda mischia, da pari suo, il
Tero col lalso. « Qui non potete oontl-
Boare U voatro -risggio, l'arco sesto e»-
seodo tatto rovinato»; dò era vero.
• Ieri, cinque ore più tardi di adesso, si
semptorono 1366 anni che lo scoglio ro-
vinò »; anche qneeto era vero. « Se pur
voMe oentinaare il vostro viaggio an-
date oltre sa per questo argine, e non
hingi troverete un altro scoglio che (a
via. » Qoeata era una bugia, tutti I ponti
della steass bolgia essendo rovinati, cfr.
h»/. XXIII, las e seg. ft naturale che il
diavolo sia bagiardo, efr. Qiov. Vin, U ;
ma il sorprendente ò che Virgilio gli
inda 6 ai laad gabbare.
107. Booouo HOH SI PUÒ: COSÌ molti
ottimi oodd. lucendo eeogUo trisillabo.
Al. IBOOOUO MOK BI PUÒ, che è pUTO los.
di buoni oodd. La comune ledono : sco-
glio NOH SI POTBÀ, involge un certo
dubbio che qui sembra del tutto fuor
di luogo.
110. okottà: rupe, argine. La voce
grotta fb comunissima agli antichi anche
in senso di rupe, ed è in tal senso viva
ancora.
112. IKB: Cristo mori l'anno 84 del-
l'ere volgare, come si credette nel me-
dio evo il 26 di marso, verso le tre dopo
meszogiorno, cfr. MatH. XXVII, 40-50.
Al momento della sua morte, quando
« la terra tremò e le pietre si spezza-
rono» (Ifatt. XXVII, 51), ebbero luogo
le rovine nell'Inrerno, e rovinarono pure
l ponti sopra la bolgia degl'ipocriti. Da
quel momento, dice MalsMda, sono pas*
sati 1266 anni e un giorno, meno cinque
ore. Siamo adunque nel 26 roarsodel 1800,
ciroa alle dieci di mattina. Ma questo cal-
colo è tott' altro che indubbio ; cfr. Poì^
ta. Orologio DarUeeeo, ed. Oioja, Città di
Castello, 1802. Blaiu, Verewh I, 197 e
seg. Agnelli, Topo- Cronografia del viag-
gio Danteeco, Mil., 1891. Detta VaUe,
Senso geogr, attton. dei luoghi della D.
O., Faenza, 1860, p. 12-15, 68-69. SM^fpl,
a questo libro, p. 60. Bueoaino Camipo,
Studi Danteschi, Trapani, 1891, p. 40 e
seg., 117 e seg. AngditH, Suda data
del vieiggio danUtco, Napoli, 1897, p. 16
e seguenti, ecc. Sulla ledono di questi
verd oonfr. Moorc, Crit., 881 e seg. -
OTTA: ora; le 7 anUm. Confronta Inf»
XX, 127. ^ .
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208 [CBRC. 8. BOLO. 5] INP. XXI. 118-123
[DIECI DEMONI]
118
121
Mille dagento con sessantasei
Anni compiè, che qni la via fa rotta.
Io mando verso là di questi miei
A riguardar s' alcun se ne sciorina:
Gite con lor, ch'ei non saranno rei. »
€ Tratti avanti, Alichino, e Galcabrina, »
Cominciò egli a dire, € e tu, Gagnazzo ;
E Barbariccia guidi la decina.
Libicocco vegna oltre, e Draghignazzo,
Oiriatto sannuto, e Graffiacane,
E Farfarello, e Bubicante pazzo.
V. 115-189. Xa compagnia del d&'
tnoni, Malftooda si mostra molto gene-
roso Terso i due Poeti. La generosità
del diavolo ! « Mando colà, Terso quello
teoglio che via face (e che in realtà non
esiste) alcuni di questi demoni a me sot^
toposti: andate con loro, ohe non tì fa-
ranno del male. » E li chiama per nome,
- nomi grotteschi , infernali , - e parla loro
in modo ambiguo, da bugiardo. Dante si
accorge dell'inganno, e ne rende aTrer-
tito Virilio, il quale lo conforta a stare
di buon animo. I diaToli si mettono in
Tlagglo in modo sconcio, da loro pari ;
i Poeti Tanno loro dietro.
116. ALCUN : dannato. - sciORUf A : met-
te fuori della pegola il capo od altra
parte della persona, per avere un po' di
refrigerio al bruciore che lo tormenta.
117. BKi: a Toi molesti.
118. AucHiKO: da chinar le ali f Ve-
ramente questo diavolo si mostra pronto
a chinarle, cfir. Ij\f. XXII. 112 e seg. -
Calcabbina: « Est iUe qui calcavit de
duro et molli »; Benv. - « Come suona il
vocabolo, tanto vuol dire quanto Scal-
pitatore di brina, ciò è visio invecchiato
assai tempo et pratico ; come volgarmen-
te si dice: quéUi hae aealpitiUo quante
nevi, ciò ò, quelli è pratico et saputo »;
An, Fior, - « Ille qui calcavit, idest diu
ezpertus est in baractarla »; Serrav. -
« Calcante la brinata, la quale nelle Let-
tere Sacre significa la divina graiia »;
Land,
119. Caonazzo: lo stesso ohe Cagnac-
cio, pegglor. di cane,
120. Barbariccia : « inveterata dieram
nequitia : nam orìspedo barbe et capil-
lorum slgnum est malao malitias •; Benv,
- « Usato et invecchiato a fikre male, et
barbuto in quell'arte »; An, Fior. - db-
cufA: compagnia di dieci demoni, Jf|f.
XXn. 13.
121. Libicocco : « ardens et ooquens »;
Benv, Forse meglio: il LlMco, da LOria,
ne* ooi deserti si credeva che dimorasseTo
molti demoni, e dove mugge 11 Ubéceio,
uno dei pih furiosi venti della terra. -
Draghignazzo : « magnus serpens mali-
oiosus, venenosus, .... quasi magnus dra-
00, vel draoo ignitus »; Benv.
122. CiRUTTO : forse da xotpoq -■ por-
co ; cfir. It\f. XXII, 56. « Congrunm no-
men a eyrot, manus, quasi dicat, armatas
mann ad rapiendum »; Benv, - « Poroo
ohe ferisce con due sanno : Tnna offende
la persona, l'altra l'avere »; BuU, -
Qrapfiagans : che si diletta di graffiare
1 peccatori col suo uncino; oonfr. It^,
XXII, 84 e seg. Cani sono detti i dan-
nati Inf. VI, 19; Vin, 42.
128. Farfarello : cianciatore ; « nnoa
infirascator qui continuo omnes imbrat-
tat »; Benv. - Bubioantb: dal lat. ruber
— rosso ; « furioso e iracondo »; OéiU, -
PAZZO: bestiale, furibondo. HJBom. II,
161 e seg. suppone che questi nomi siono
« parte alterazioni e storpiature, e parto
anagrammatid stravolgimenti de* nomi
stessi de' Priori e de* Sindaci Neri » ohe
erano in ufficio nel 1808. quando il Car-
dinal da Prato venne a Flrense. Quindi
MaUbranehe per Manno Branca, allora
podestà; Qrc^^lacans—Raffaoani, priora;
Barbariccia — Iacopo Bicd; Bubicante
U pazzo — Passin de' Passi; Alichino —
Allotti, priore; lfota«oda— Corso Dona-
ti ; Draghignazzo *>- Botto BmneUesohi ;
/SSoarmt^totM —Bosso della Tosa; Oatca-
&rina » Maroccio Cavalcanti; OiriaUo
— Geri Spini, eoe. Troppo ingegnoso!
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124
134
U3
136
139
In?. XXI. 124-139 [dieci dkmoni] 209
Cercate intomo le bollenti pane ;
Costor sien salvi inaino all'altro scheggio,
Che tutto intero va sovra le tane. >
« Omè! Maestro, che è quel ch'io veggio?»
Diss'io ; € Deh, senza scorta andiamci soli.
Se tu sa' ir, ch'io per me non la cheggio.
Se tu se' si accorto, come suoli.
Non vedi tu eh' e' digrignan li denti,
E con le ciglia ne minaccian duoli? »
Ed egli a me: € Non vo' che tu paventi:
Lasciali digrignar pure a lor senno,
Ch'ei fanno ciò per li lessi dolenti. »
Per l'argine sinistro volta dienno;
Ma prima avea ciascun la lingua stretta
Coi denti verso lor duca per cenno ;
Ed egli avea del cui fatto trombetta.
124. PAHX! per panie, oome Utane per
lie««i0, «Mitora, per malaria, eoo. Chiama
eoil la paee bollente di quella bolgia,
peRbè TiaooMu
135. Bcasooio : oatona di ponti olie at-
trareraa le bolge.
13S. TUTTO laTBBO : mensogna : on tale
echeggio non o* era. STidentemente l' in-
tensione em di guidare i Poeti fàori della
▼la, fl»rae in eerahio. « Bt hie nota qaod
ILalaeand» mandat impoaaibiUa iatia;
Baia, nt patebit eeqaenti capitnlo, iati
dmonea non poiaont exire de eoa bol-
gia quinta, et per hoc flgorat autor,
qood irTftg""" magisterbaiataricBiemper
iwntitnr se poeae plura quam poesit vel
TBfit eereare, ut do oontlnno yeniant
aanara et peounl» » (f ) ; Benv, - tane :
Wge.
129. •▲* IB: te ooaomA la via, oome già
■i dioeati, W- IX, 80. Ha l'altra volta
. Ae Virgilio andò laggiù, lo eooglio non
I «a anoora apeisato al fondo. - ohbq-
410 : dal oanto mio non chiedo una soorta
|4i queato genere.
I 132. oov UE (SOLIA: eoUo sguardo bie-
ie; «nel torcere le ciglia degli ocelli
[«gUso fluino aegnale di Toleme ingan-
e » ; Barg, - duoli: qui probabilmente
dal lat. dolu*, per inganni. Al.: Dolori,
guai t e può anche stare.
185. LESSI: lessati, cotti nella pegola.
Così quasi tutti i oodd. della prima metà
del Trecento. Al. lesi*, ma i barattieri
non sono UH, cioè offesi a torto ; sono
giustamente puniti. Le lesioni lassi, il-
lesi, eoo. sono inattendibili. « DIoendo
ohe i demonU, guardiani de' barattieri,
incerano visi ed atti di minaoda pei lessi
dolenti, Virgilio tuoI dire, ohe quei dan-
nati non solamente mostrayano le oste*
riorità del dolore, oome i lessi de' Oreoi
e de' Romani, ma erano dolenti dav-
vero » (T) ; Negroni, Viso, erit, stU * lessi
dolenti ' deU'Inf. Novara, 1884, p. 45. Ctr.
Blane, Versueh I, 200 e seg.
187. STRETTA : beflkndosi scondamente
di Virgilio, ohe pareva non essersi ac-
corto delle diaboliche loro intensioni.
138. CENNO: di segreta intelUgensa.
189. EGU: quel diavolo di Barbaricola
imita in modo sconcio per sé stesso, ma
conveniente alla qualità ed al carattere
di questi demoni, il trombettiere ; e i suoi
demoni marciano al snono di questa trom-
ba degna di loro. Dante descrive qui co-
stumi diabolici, e lo stile suo corrispon-
de pienamente alla materia trattata.
14. - J>tt. Comun., 4^ edis.
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210 [GBRC. 8. BOLO. 5] InF. XXII. 1-8
[FIBRA compagnia;
CANTO VENTESIMOSECONDO
OEBOHIO OTTAVO
BOLGIA quinta: BABATTIEBI
CIAMPOLO NAVABRE8E, FRA GOMITA, MICHEL ZANCHE
ZUFFA de' demoni
Io vidi già cavalier muover campo,
E cominciare stormo, e far lor mostra,
E talvolta partir per loro scampo;
Corridor vidi per la terra vostra,
0 Aretini, e vidi gir gualdane.
Ferir torneamenti, e correr giostra ;
Quando con trombe, e quando con campane,
Con tamburi e con cenni di castella,
V. 1*15. Jm fiera tfompagnia, I dae
Poeti Tanno coi dieci diavoii, 1 quali
marciano nello boodoIo modo descritto
alla fine del canto antecedente. Qnesto
strano modo porge a Dante occasione di
rammentare marcie ed esercitaiioni mi-
litari da lai yedate.
1. MUOVRB CAif PO : mettersi in marcia;
lat. Castra movere,
2. STORMO: dal ted. Sturm, combatti-
mento, battaglia; attaccar battaglia.
Benv. : « tomnltam et romorem contra
terram obseseam, oppngnandam, qni ao-
tns etiam habet fieri sub certo signo. » -
Mazz.'To»,: «Cominciare la mnsica mi-
litare. » - MOSTRA t rassegna, eseroisio,
rivista.
8. PABTIB : fare la ritirata per salvarsi.
4. GOBBI dob: drappelli che scorras-
sano per sorprendere il nemico. « Homi-
nes cnrrentes in farore popolari »j Bénv.
Al.: Gente ohe ftigge correndo. Al . : Gente
ohe U, scorrerie. Al.: Piccoli drappelli di
cavalleria ohe scorrazzano il paese ni-
mico per riconosoer1o(t). Ofr. Z, F., 12ff-3€
-VIDI : nella battaglia di Campaldino d«
1289! Cfr. O. YiU. VII, 181. Leon. Aret.
Vit. Dani. O in altra occasione t Cft
Krau», 35.
5. GUALDANB : Schiere, o stadi di gent
armata; « cavalcate le qnali si fiknno a]
cana volta in sai terreno de' nlmioi a ra
bare et ardere e pigliar prigioni » ; Buti
Ctr. Eneiel. 958.
6. TOBNKAMBim : tomel, snflb di no
mini a cavallo. « Ferir tomeanunU, eom
battere ne' tornei, sqaadra con squadra
e correr giostra, nomo oontr' nomo »
L. Vent., SimU, 852.
7. CAMPANB : al saon di campana, oonu
osavano i Fiorentini di goidaìe le equa
dre al snono della Marinella appesa a
Carroccio. Cfr. Q, TUL VI, 76. Ma
ehiaveOi, Sior, Fior,, II, 6.
8. CBNin: fumate di giorno e ftiochl
di notte. - Fae». : « Segnali di gaem
fktti con bandiere o con ftioohi dalh
torrL »
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[CVBO. S. BOLO. 5]
INP. XXII. 9-27 [FIKBA COMPAGHIA] 211
16
19
E con cose nostrali e con ìstrane ;
Né già con si diversa cennamella
Oavalier vidi mnover, né pedoni,
Né nave a segno di terra o di stella.
Noi andavam con li dieci dimeni ;
Ahi, fiera compagnia! Ma nella chiesa
Co' santi, e in taverna co' ghiottoni.
Pnre alla pegola era la mia intesa,
Per veder della bolgia ogni contegno
E della gente ch'entro v'era incesa.
Come i delfini, qnando fanno segno
Ai marinar con l'arco della schiena.
Che s'argomentin di campar lor legno;
Talor cosi, ad alleggiar la pena.
Mostrava alcun dei peccatori il dosso,
E nascondeva in men che non balena.
E come all'orlo dell'acqua d'un fosso
Stanno i ranocchi pur col muso {hori.
Si che celano i piedi e l'altro grosso;
9. wnLAMKì farerttore, Introdotte da
Franoort e Tedoochl.
10. mk eiÀ: ma gfammiiL - divxbsa :
■tnoft, btesArr», quale la trombetta di
Baitarleela. XXI, 139. - cbnnamblla :
rrobaWfaDento dal lat. eaianuOuB, dimi-
aoi. di tmÌMwmtit pror. emlanul e «ara-
md, frane, ani. c^mmsan» e ehaiemelt
totnuBOBto mnaieale, ctie aonavaai col
flato, e ehe avera preeto a poco la forma
di «a elariaetto. Al. oemmamblla, ceri.-
¥111.*, CIALAIOELLA, CUEAMKLLA, CAH-
SAXiLLA, eoo. Confr. Tatola BUonda
ed. PoUdwri I, «4, 517; n, 38. Kannuc.,
jroa.I*. S\9.Mazzoni-Tot€Ui, VoeiepoMti,
m. Sedi, Open, MUano, 1809. I, 236
e Mf. Z. r„ 130 e aeg.
13. mTSBKA : che ai sonopre da lungi.
•DiSTBLLA.: che M mostri incielo. «Keo
ridoB regione ▼!» Utnere fotbllit » ; Yirg.,
Àm, VU. 216, nel qoal laogo tidat è U
Mgne di stella, mu di terra.
14. cmoBA : qoeato prorerbio popolare
Tool dire che la compagnia corrisponde
tempre al loogo in coi 1* nomo si trora,
onde nell' Inferno non poterà aspettarsi
compagnia migUore.
V. 16-30. (hme i banttHeri «ergano
mOimm. Confortato da Virgilio, XXI,
133 e aeg., Dante non bada pih ad altra
che alla bollente pece. Cercando nn istan-
te di Bolliero, i peccatori sporgono chi
il dorso, chi il mnso ftior della pegola;
ma air apparir di Barbariooia e de' sooi
diajon si ritirano tosto sotto.
, 16. urruA : attenxione ; ai demoni per
intanto non badava più.
17. coimoiio : oondisione, partìoolari-
tà. Al.: Cosa oontenata ; cosi Beno., BuH,
Dcm., OaH., ecc. Ma Dante dice : Per ve-
der deUa bolgia ogni eonUgno JB déUa
genie, ecc. Voleva egli vedere la condi-
:rione, il modo di essere di quella gente,
oppare dò che qoella gente conteneva f I
18. DfCBBAt abbmciata, bollita.
19. DKLFnn : « Et circom argento olari
delphines in orbem ^nora verrebant
caadis osstnmqae secabant»;7<fv.> A#n.
Vin, 673 e seg.
21. s'aboomkmtih : 8* ingegnln di sal-
vare la loro nave dalla minacciante tem-
pesta, della quale i delfini danno segno
saltando e mostrandosi ftaori dell* aoqna.
22. ALLEOGiAB: alleggerire.
24. K A8COHDBTA : OSSO dosso, attnflkn-
dosi nella pece.
26. PUB! soltanto; cfr. Jf/. XXXII,
31 e seg.
27. CELAVO : noli* acqua. - OBOseo : il
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212 [CEBO. 8. BOLO. 6] InF. XXII. 28-37
[CIAMPOLO]
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Si stavan da ogni parte i peccatori;
Ma come s' appressava Barbariccia,
Cosi si ritraean sotto i bollori.
Io vidi, ed anco il cor me n'accapriccia,
Uno aspettar cosi, com'egli incontra
Che una rana rimane ed altra spiccia.
E Graffiacan, che gli era più di centra,
Gli arroncigliò le impegolate chiome,
E trassel sa, che mi parve una lontra.
Io sapea già di tutti quanti il nome,
80. COBÌ : in men òhe non halenat y. 2i.
" BOLLOSI : dell» pece.
V. 31-75. Ciantpoio yavarre$e. Uno,
non essendo lesto a nascondersi sotto la
pece, ò acchiappato dai demoni, ohe ne
fanno strado. Dà contessa di so, dicen-
dosi Kayarrese, già seryitoie del re
Tebaldo, ma non si nomina. Di costui
Sambgl., An.Sel, lae. Dant., OU., Petr,
Dani., 009$., ecc. non danno notisia. Gli
altri antichi Io chiamano Ciampolo, o
Giampolo. « Il detto peccatore fa nno
ch'ebbe nome Giampolo, lo qaal nacque
per madre d*nna gentil donna di Na-
varra.... Come fu un poco grandicello,
fh messo per sna madre a servire un
signore, in lo quale ofiSoio elli seppe sì
proflcaro cb* elli montò a essere famiglio
del re di Kavarra, il quale ebbe nome
Tebaldo e fu yirtnoslssima persona e re
da bene. E fa lo ditto Giampolo tanto
in grazia del predetto re Tebaldo, ed
ebbe tanto stato in sua corte, eh' elli
avea possansa di dispensare de' beneficii
e grazie in molta quantitade, li quali ba-
rattando per pecunia, elli dispensava in
modo illidto e Inonesto» ; Lan. - « Giam-
polo da Na varrà, il quale fh grandìseimo
barattiere » ; Falso Boee. - « late infellx
fuitnatlonehispanusde regno Navarri»,
natus ex nobili matre et yilissimo patre.
Qai cum prodigallter dUapidasset omnia
bona sua, ut audio, tandem desperate su-
spendit se laqueo, ita quod debet esse ar-
boriflcatus in circulo yiolentorum centra
se. Iste ergo filius yocatus est nomine
Ciampolus, quem mater sna nobilis do-
mina posult ad standum cum qaodam
nobili; qui soivit ita sagadter se habe-
re, quod Ciotns est llli in brevi carissi-
mus ; et sic Ikma prosperante et favore
domini coadiuvante, iste intra vit ouriam
regia Thebiadii... et sunima sagacltate
tam mirabiliter ad^tos est gratlam et
fayorem regia t qui rez amoratos deeo
commlsit totam ouriam regendam ma-
nibns eins. Ita quod oonferebat beneficia,
et omnia minlstrabat. Tuno ocnpit astu-
tissime baratare et accumulare; et licet
esepe fleret querela de eo, rez nihil ore-
dorè yolebat; et sic continuo oresoebat
audacia audacissimo»; Benv. -«Fu sa-
puto uomo secondo il mondo » ; BuH.
Gli altri antichi non aggiungono notiaie
rilevanti. Filai.: «Se la tradizione non
lo chiamasse Ciampolo, io supporrei ohe
costui fosse il siniscalco Goffk^o di Beau-
mont, cui Tebaldo durante la sua assen-
za affidò il Governo di Nayarra. »
83. RIMANR : fuor dell' acqua, o del pan-
tano. - SPICCIA : salta yeloce nelV acqua,
-«luvat esse sub undis, Et modo tota
cava submergere membra palude. Nono
proferre caput, summo modo gurgite
nare, Saepe super ripam stagni oonsi-
stere, s»pe In gelidos resilire laous » ;
Ovid., Met. VI, 870 e seg.
84. DI COMTRA: dirimpetto, di fkooia,
di fronte; cfr. Par, XXXH, 188.
85. AKBOXCIOLIÒ: prese col ronciglio ;
o: tirò su coli' uncino.
86. lontra: Mra; « animale tutto pi-
leso e nero ; hae quattro piedi ed ò lungo,
ed ha una lunga coda; yive e fk sua
pausa la maggior parte del tempo in
acqua »; Lan. - « Chi abbia yeduto que-
sto animale conoscerà quanto yiya ala
la similitudine tra il dannato tratto so
dalla pece, e la lontra, la quale ha pollo
untuosa e color quasi nero, e ohe oayata
fuori dell'acqua con le gambe spenao-
late e grondanti presenta Ibnne appro-
priate all' atto ohe il Poeta descrive »;
i. Ytnt., SimU. 417.
87. TUTTI: i dieci demoni ; ciò dice «
schiarimento did^. 34.
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IHT. XXII. 88-59
[CUMFOLO] 218
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S8
SI li notai quando furono eletti,
E poi che si clìiamaro, attesi come.
« 0 Bobicante, fa' che tu gli metti
Oli unghioni addosso, si che tu lo scuoi I »
Orìdavan tutti insieme ì maladetti.
Ed io : € Maestro mio, fa', se tu puoi.
Che tu sappi chi è lo sciagurato
Venuto a man degli avversari suoi. »
Lo duca mio gli s'accostò allato ;
DomandoUo ond'e' fosse, e quei rispose :
€ Io fui del regno di Navarra nato.
Mia madre a servo d'un signor mi pose,
Chò m'avea generato d'un ribaldo,
Distruggitor di so e di sue cose.
Poi fui famiglio del buon re Tebaldo ;
Quivi mi misi a far baratteria.
Di che rendo ragione in questo caldo. »
E Ciriatto, a cui di bocca uscia
D'ogni parte una sauna come a porco,
Oli fé' sentir come l' una sdrucia.
Tra male gatte era venuto il sorco ;
Ma Barbariccia il chiuse con le braccia,
n. si: oofli bene. - kLirm : cfr. IV-
XXI, IIS-IW.
i9. ATTm : fed ftttensione al nome
ea ebe ri ehlatiuiTftBo.
41. uvomoin: artigli. - scuoi: eeortt-
^; àm teuoiaré — tor tIa il cuoio, scor-
45. A MAS: in potere. - AWBBSARI :
« Adveraariofl reeter diabolos tamqnam
lee m^iOTia etrcnU, qncrene qnem deyo-
ret;»I PHr. V, 8.
4S. VATO: dal lat. gnatus, natio; op-
pmn/^ nolo è un tatiniemo per nacqui,
wmb l'9^. T, 97, ma allora dovera dire
ad re^BO.
M. CHE: perdoeehè. Adduce il motivo
peniU aiw madre Ita costretta a met-
terle al oerrlsio d' nn barone del re Te-
Udo. - UBALDO; boia, oamefioe, come
4fiCr^9<ror «fife. Cfr. JVa Qiord,, Vrtd.
{■«d. td. Kvrdwci» p. 429 : « Qnando l' no-
ae tf Ta a 'mpiecare, già non ha egli
fai edlo e non mol male al rOndio che
to'mpkica. » AL: Goardlano della persona
èli Ee (1). Al.: Uomo devoto a signore (f).
Buti; «ribaldo tanto viene a dire, quanto
rio baldo, cioè ardito e rio nomo ».
61. DISTBUOOITOB: dal basso lat. de-
itruttor, qni figuratamente per Dissipa-
tore de' snoi beni e saicida. Cfr. la notixia
di Benv, citata plh addietro t. 31-76 nt.
62. PAiiiOLiO: famigliare, servo. Al.
PAMIOLU, ohe ha lo stesso senso, doò
fiunigliare. Cfr. Fanfani, 8tud. edois.,
67. - Tebaldo : Tebaldo li, conte di
Sciampagna, che nel 1263 sncoedette nel
regno di Kavarra a Tebaldo I ; citato
da Dante come poeta nel De Vuig. EU 1,
9; II, 6, 6. Cfr. Mariana, Stor. di Spa-
gna, 1. xm, e. 9.
64. BENDO BAQIONB: pago il flo; cfr.
Lue, XVI, 2. - CALDO: pece bollente.
67. l'una : delle dae sanno. - sdbucU :
stracciava; da tdrueire e idrueeire: sca-
ciré, aprire, fendere, spaccare, eco.
68. sOBCOi sordo, topo. Soreo osò
l'Ariosto fuor di rima. Cfr. Jf annue..
Nomi, p. 107. 740.
69. CHIUSE: circondò e strinse, ab-
bracciò con forca, « tamqnam dnx sape-
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214 [CEBO. 8. BOLO. 6] INF. XXII. 60-75
[OUMPOLO]
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E disse : < State in là, mentr'io lo inforco ! »
Ed al maestro mio volse la faccia:
€ Domanda » disse, € ancor, se più desii
Saper da luì, prima ch'altri il disfaccia. »
Lo duca dunque: € Or di': degli altri ni
Conosci tn alcun che sia Latino
Sotto la pece ?» E quegli : « Io mi partii.
Poco è, da un, che fu di là vicino ;
Cosi foss'io ancor con lui coverto,
Ch'io non temerei unghia né uncino I »
E Libicocco « Troppo avem sofferto t »
Disse ; e presegli il braccio col ronciglio,
SI che, stracciando, ne portò un lacerto.
Draghignazzo anco i volle dar di piglio
Giuso alle gambe ; onde il decurìo loro
Si volse intomo intorno con mal piglio.
rior eonim, qui potent eia pneoipere »;
60. mniUE : flnohò. -INFOSCO : lo chio-
do con le brftoolft. Al.: Fino a tanto che
non lo piglio io coli' oncino. Ma Barba-
liccia non lo pigliò con l'andno. Ctr,
Blane, Vertxuh I, 201 e seg.
63. ALTRI : gli altri demoni, i qnali
ardevano di brama di disfarlo, cioè la-
cerarlo co' loro nndni.
64. DUMQUK: ossendo invitato a do-
mandare. Al. ooatmisoono : Lo Duca:
Dttnqué or di', ecc., cfr. Fai\f., 8tud. ed
Ot9., p. 67-69. -RU : rei di baratteria tnoi
compagni.
65. Latino : italiano ; latino per ita-
liano anche Convivio IV, 28 - « Dante
agl'italiani non degeneri dai noetri an-
tichi applica con ispeaialità il nome di
latino.... In qneato luogo egli chiede di
alcan barattiere italiano, chiamandolo
per ironia latino »{ Di Siena. Troppo in*
gegnoeo! Otr. Inf. XXIX, 88, 91.
67. UN : lo nomina pih tardi, v. 81. -
di là : di qaelle vicinanze, cioè dell'isola
di Sardegna, vicina all'ItaUa.
68. covKBTO : sotto la pece. Più della
pece bollente teme lo soiagnrato le on-
ghie e gli nndni dei demoni nelle cni
branche è capitato.
70. soFTBBTO: aspettando; abbiamo
già avnta troppo pasiensa. Nell'ardente,
oradel brama di offendere, ogni piccolo
indugio è per questi demoni ona soy«-
tema, un martirio.
72. STRACCIANDO: Stracciandogli il brac-
cio. - LACERTO : brano, peuo di carne ;
lat. lacerto: « Lacerto è propriamente
congiunxi<nie di più capi di nervi Insie-
me, et è in alcune parti del bracdo ; ma
comunemente s'intende per la parte dt
sopra del braccio »; BuXi. - « Lacerto non
è vocabolo speciale, ma generico, pro-
prissimo nel caso nostro, come quello
che nasce dal verbo lacerare t e vale pu-
ramente qualunque brano staccato da
un tutto, referibile di preferensa a parti
molli e carnose »; Fanf», 8tud., p. 70.
78. i VOLLB: volle mettergli le mani
addosso. Al. anch' si vollb.
74. QiUBO: volle prendergli le gambe
col ronciglio per l'appunto come Libi>
cocco gli aveva preso il braccio. Al. oiù
DALLB GAMBE ; cf^. Z. F„ 132 C Seg. -
DBCURio: decurione, capo delia decina,
doè Barbariccia; ctt. Inf. XXI, 120.
76. MAL nouo: sguardo crucciato e
minacdoeo.
V. 76-90. Vra Grnnita e MiehM
Zanche, Sedata un poco la fbrla dei
diavoli. Ciampolo, richiestone da Vir-
gilio, parla de' snol compagni laggiù
nelle pece, nominando frate Gomita e
Michel Zanche. Il primo fti di nasione
sardo, frate non si sa di qual ordine. Di
Itti, d'accordo con Bamhgh, An, Sd., Toc.
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[(»IC a. BOLO. 6]
Ih», vai. 76-85
[FBA GOMITA] 215
Quand'olii no poco rappaciati foro,
A liti, che ancor mirava sua ferita,
Domandò il duca mio senza dimoro:
« Chi fu colui, da coi mala partita
Di' che facesti per venire a proda? »
Ed ei rispose : < Fa frate Gomita,
Qael di Ghillura, vasel d'ogni froda,
Oh' ebbe i nimici di sao donno in mano,
E fé' si lor, che ciascun se ne loda.
Donar si tolse, e lasciolli di piano.
OU., Pttr. JkmL, Bewf, e
fli atei MitidiJ, il YeU^' « Fq «ppreMo
M HiDO ViMonti di Ftea (U quaU Unné
U fkmMtmto ài OaUwm dal i27S al i296)
• dfnora del giadUsato di Ganan In Sftr-
dlfiadl gnade Mrtorità. E beiiehè di lid
tane» ft Hino referti e dimostrati molti
▼ili, e le baratterie ohe maya nel go-
Tano, nondimeno poteTa tanto nna in-
TWTlitata impreeiione ohe arerà di Ini,
flbe iMee Vqobo e giusto nomo, ohe a
iieaenno Totera in qaeeto preetar oree-
«Uè, giudicando ohe tutto fosse detto per
inridia, fino a tanto ohe, arendo frate
Gomita lasciato andare per denari al-
enai nesoici di Nino ohe gli erano Te-
nati nelle mani, fa fktto chiaro del tatto,
e Ibeelo appiccar per la gola. » - « Fu
eaoeellieve del Giudice di Gallura, e fii
molto mallatoso e grande trabakUere per
danari »; An. Al.
Michele Zanche ta siniscalco di Buso
re e gorematore di Logodoro, una del*
le quattro Gindioature della Sardegna.
Morto Saao, Michele Zanche si foce
signore di Logodoro, spoeando Bianca
Laasa, madre di Suso (Benv., Land.,
Tea., ecc.), o, come pare veramente, la
▼sdora di Suso, Adelasia, marcheeana
di Massa (Petr. Dani,, ecc.). < Don Mi-
ebde Zanche, essendo cancelliere di Giu-
dice Nino di Gallura, subitamente si co-
mindA a recare per le mani le tenute
e Ave rirenderle peggio ohe Don Go-
mita. K al suo tempo mori Giudice Nino,
eod*egli si tenne tutte le tenute che potè
per sé, e Taltre rivendè a' Pisani, e ac-
enaciossi con T erede di Giudice Nino, e
a loro niente rispose. X in quello tempo
mori il Giudice de Logodorì, onde Don
Mldiele prese moglie, la moglie che fti
del Giudice, e ebbe da lei una figlino-
la ^, An, 8tL'* Essendo fattore della
madre del re Buso, figliolo dello 'mpe-
radore Federigo, per sua rivenderla in
tanta ricchesxa divenne, che dietro alla
morte della detta donna Giudice, dee si-
gnoredd detto paese si flsoe »{ JocDont-
« Mortuo rege Buso, eins nxorem cepit in
ooniugem, et ludicatum Gallur» aoeepit
sua fidlada et baratteria ; et ex ea habuit
flliam, quam postea maritavi t domino
Branche Auriie de Genua, qui ad men-
sam post eum proditorie interemitti
Petr. Dani. - Fu ucciso nel 1275 \ ctt.
Jnf. XXXUJ. 137 e seg.
70. SLU : eglino. - rappaciati : che-
tati. -FOBO: fàrono.
78. DIMORO : indugio ; in questo senso
anticamente anche in prosa.
79. MALA partita: partcusa in mal
punto, per tua sventura.
82. Gallura: nomedeiruno de*qoattro
Giudicati di Sardegna, nella pule nord-
est dell' isola. Quando i Pisani nel 1117
ebbero conquistata la Sardegna dai Sara-
ceni, la divisero in quattro Gindioature :
di Logodorot o delle Torri ; di Oaluri, o
Cagliari ; di OcMura e di Arborea, Cft*.
Ifuroe., Script. XV, 077 e seg. - vaskl :
vaso. « Brat totus confiatus ex omui
genere fhradium, armarìum omnia ma-
liti» »; Btnv,
83. DOMNO: signore, cioè Ugolino o
Nino di Giovanni de' Visconti di PIm,
signore della Gallura dal 1238 al 1276.
« Per (hradulentlam et pecnnlam quam
accepit, inimicos Indiois, quoe carcera*
toe habebat in partibus Sardine relasea-
vit »; BamJbgl.
84. fr' sì LOR: Al. FR* LOR SÌ ; li trat-
te in maniera, che dascun di loro se ne
chiama contento, avendoli lasdatl fàg-
glre.
86.DI PiAHO' pianamente, occultamente.
Al.: Bensa proceeeo (f). Bene./ «ex paolo
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Si6 tcrBC. 8. BOLO, si Inf. xiii. 86-102
tllrCHELE ZANCHK]
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Si com'ei dice; e negli altri uffici anche
Barattier fu non picoiol, ma sovrano.
Usa con esso donno Michel Zanche
Di Logodoro ; e a dir di Sardigna
Le lingue lor non si sentono stanche.
Ornò! vedete l'altro che digrigna:
Io direi anco; ma io temo ch'elio
Non s'apparecchi a grattarmi la tigna. »
E il gran proposto, volto a Farfarello,
Che stralunava gli occhi per ferire,
Disse : « Fatti in costà, malvagio uccello ! »
« Se voi volete vedere o udire »
Ricominciò lo spaurato appresso,
€ Toschi 0 Lombardi, io ne farò venire.
Ma stien le male branche un poco in cesso.
Si eh' e' non teman delle lor vendette;
Ed io, sedendo in questo loco stesso.
facto; nò oredas qaod isti aliter evaae-
rint rampendo caroerem yel oorrampen-
do oostodes, sioat solet aliqaando oon-
tingeT«. »
86. oom'ki DICK : « ciò ai riferifloe al di
piano, frase sarda. B qui Dante l' ba po-
sta per oaouliare frate Gomita in una
espressione sarda. Sì eom' ei dice, doè
come ò osato dire nel sao dialetto»;
Beffi. -ALTRI: non solo nell' afbre della
liberazione del prigionieri.
88. UBA: pratica, conversa. - donno :
Don, Messere.
89. A DIB: non si stancano mai di par-
lare della Sardegna, e ciò naturalmente
non per amor di patria, ma per raccon-
tarsi le baratterie e ribalderie colà fatte,
« qoia qoilibet libenter confort de arte
sna »; Benv. Ma come mai facevano a
parlare laggih sotto la bollente pece! O
parlavano soltanto quando riusciva loro
di star pur eoi muto fuori, v. 26f
V. 91-132. JcUarol^ ingannaH. Par-
lando al Poeti, l'astuto Navarrese ha
stndiato tra so e so 11 modo di liberarsi
dai demoni. Purché si scostino un poco,
el promette di far nsdre molti dannati
ola a nn sognale convenuto.
'opposizione di Cagna uo,
r astuzia, i diavoli si ap-
lampolo snello salta gih e
l lago, lasciando i diavoli
rarlati.
91. L'ALTRO: demonio; Farfiareno, v. M.
92. ANCO: ancora; oontinaerei a par-
lare. - BLLO : egli, doè VàUro.
93. GRATTARKi: a maltrattarmi. Orai-
tare la tigna, modo basso, anche nell' aso
vivente, significa peronotere, battere
sensa misericordia. - tigna : ofr. Ir^f.
XV, 111.
94. PROPOSTO : pra^poiihtM ; diavol Bar-
bariccia, capo della dedna.
96. UCCELLO: avendo ali; ofir. v. 115,
127, 144; XXIII, 85.
08. SPAURATO : Impaurito. Al.: Tolto di
panra, rassicnrato. Ma Ciampolo non era
rattictirato, nò tpaurare significa rassi-
curare.
100. LK MALR BRANCHB: i diaVoU dagli
uncini nelle branche. Al. scrivono Male-
branche, nome collettivo di quel diavoli.
Ma quando Dante usa Malebranche col*
lettivamente, il termine si fk di genere
mascolino, e qui è invece femminino. ~
IN CESSO: in disparte.
101. E' : quei Toschi e Lombardi che
Ciampolo vnol (ài venire, -non tbman:
sperino, non vedendo i diavoli, di poter
venir impunemente a proda. AI. st ch' io
NON TEMA, lezione evidentemente errata.
Cfr. Moore, Orìt., 838.
102. SEDENDO: promessa ingannevole
per indurre i diavoli ad appiattarsi, af-
flnchò egli possa liberarsi da* loro un-
cini.
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BOLO. 6] InP. XXII, 103-118 tl>IAVOLI INGANNATI] 217
1&3
IM
180
113
115
113
Per un ch'io son, ne farò venir sette,
Quando snfolerò, com'è nostr'nso
Di fare, allor che fuori alcun si mette. »
Cagnazzo a cotal motto levò il muso,
Crollando il capo, e disse : € Odi malizia
Ch' egli ha pensata per gettarsi giuso I »
Ond'ei, ohe avea laocinoli a gran divizia,
Rispose: € Malizioso son io troppo,
Quand'io procuro a' miei maggior tristizia! »
Alichin non si tenne, e, di rintoppo
Agli altri, disse a lui : « Se tu ti cali.
Io non ti verrò dietro di galoppo.
Ma batterò sovra la pece l'aU:
Lascisi il colle, e sia la ripa scudo,
A veder se tu sol più di noi vali. »
O tu che leggi, udirai nuovo ludo I
m. SKnm: nMdtì; U numero detonni-
Bsto per rindetenninAto. « Vnlt dioere
|iro uno hiwiMino tentaiio sani
tMcl et lombMdi, et ha de aliis
IM. mo: I pili eredoBO ohe CUunpdo
perii sol eerlo, e ohe yemnente, qnendo
alooDodiqneeti eonunenl nellA peoe met-
teoèo fiMrl fi muso si aoeorge ohe non yi
■Otte éeoMml h vietno, arreria gà altri
umpBfnì eon mi fiaohio, affinohè poetano
nàtm aneh*eeei a pnodere nn po' di aol-
Hero. Ko(B aembraohe tale amor del proa-
itBo abbia hiogo nel basso Inferno. Piat-
toato (Saaspolo dke qni nna mensoicna
per tegannare i diaroU e liberarti dalle
bro maì€ branche.
100. LAC»uou: astoaie, flrodi.
110. MAuaoeo: la rooe malirioto ha
dapplo etneo, astuto e maUagio, Cagnaa-
10 ha detto flMoKMa per astuzia; Ciam-
poi» fiage di aver inteso per soMeratetza,
mtUas^là, e risponde: « JS Toro, sono
troppo Budisioso {malvagio), quando per
dare spasso a toì mi CmcÌo traditore dei
«M eempagni di pena. »
liL MAOOIOB: ebe non hanno laggiù
Ootte la pegola. Al. a mia maooiob tbi-
RiziA, contro la regola: Solatium ut mi-
teris «ecios hab$ro p<Bnarum. Del resto
tA ma del eodd. fior. Ta letto a' mia,
|i ebe non ynol dire né pib né meno ohe
aiM. - TBionaA: tormento.
U2. Tiarys : non resse alla tentaaione
di veder venire ftiori altri per avere la
gioia fsrooe di tormentarli. - di biictop-
PO: oppoetamente agli altri diavoli ohe
non volevano dare assolto alle parole di
Cfampob. Ott. Eneiel,, 1078 e seg.
116. BATTBBÒ: seta ti getti gibnella
peoe, io non ti verrò dietro oorrendo, ma
volando, onde ti raggiongerò sansa fiUlo,
prima ciie tu sia tnflbto. Dunque non
procurar di fuggire, ohe nnlla ti giova.
116. IL OOLLB: la sommità dell'argine.
Al. IL COLLO, ohe vuol dire lo stesso.
Parlando a' suoi degni compagni, diavol
Aliohino dice: « Abbandoniamo la som-
mila dell' argine e scendiamo alquanto
daU* altra parte, si che la ripa ci na-
sconda ai chiamati dal Kavarrese. » -
« Supponete il lago di peoe starsi in mezeo
alla bolgia, di modo che rimangano due
larghi margini di qua e di là al passaggio
de* diavoli ohe vi girano. Sopponete ch'ai
due lati s'alxino due alti orli di pietra,
affinchè la pece rimanga in messo; la
sommità di ciascun rilievo chiamatela
coUo, e il pendìo chiamatelo ripa ; subito
allora comprenderete che vuol dire : La-
tetti U eolio, e la ripa ei Ha di scudo,
A che olii sorge dal lago non veda noi
che ci acquattiamo al pendio estemo. »
Boss. Lo stesso ripete il Tomm,
117. A VEDBB: per vedere se tu vali
più di noi altri e nelle astnale e nella
velocità.
118. LUDO: lat. Utd%iS, soherso, gioooo.
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218 [CBRC. 8. BOLO. 6] InF. XXII. 119-186 [DIAVOLI IHOÀNNÀTl]
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186
Oiascon dall'altra costa gli occhi volse;
Quel prima, che a ciò fare era più crudo.
Lo Navarrese ben suo tempo colse;
Fermò le piante a terra, e in un punto
Saltò, e dal proposto lor si sciolse.
Di che ciascun di colpa fu compunto,
Ma quei più, che cagion fu del difetto;
Però si mosse, e gridò: € Tu se' giunto ! »
Ma poco i valse; chò l'ale al sospetto
Non poterò avanzar: quegli andò sotto,
E quei drizzò, volando suso, il petto:
Non altrimenti l'anitra di botto.
Quando il falcon s'appressa, giù s'attuffa,
Ed ei ritoma su crucciato e rotto.
Irato Oalcabrina della bu£h.
Volando dietro gli tenne, invaghito
Ohe quei campasse, per aver la zu£b;
E come il barattier fìi disparito,
119. voLBi : per ritirarai e oMoooderai.
Avrebbero anche pototo maoyersi » mo'
del gambero, ma pare ehe non d abbiano
pensato.
120. QUEL : Cagnaszo, cflr. t. 106 e seg.
-CBUDO! reetìo, ritroso.
123. PROPOSTO : proposito, disegno ohe
i diavoli avevano di Carne strasio. Al.: Dal
loro o^^ìif^ propotto, v. 94, cioè da Barba-
riccia. Ma questi si era senxa dubbio ri-
tirato oogli altri demoni. - si sciolbb : si
liberò. AI. si tolse, che vale lo stesso.
124. DI COLPA : oiasoano si accasò col-
pevole di averlo lasciato scappare. Al.
DI OOLPO, cioè, oiasonno fa compreso da
sabito dolore. Ctr, Z. F., 133.
126. QUSI : Allchino, v. 112 e seg. -Più :
Al più companto. - dìrtto: maooa-
meoto, Callo. Aliohlno Uì cagione che i
demoni avessero oramai difetto, cioè man-
canaa di ona vittima da lacerare.
126. SI MOSSK: volando ; egli primo, co-
me fa il primo a ritirarsi, -oeidò: trop-
po presto. - GIUNTO : raggionto.
127. I VALSE: gli giovò. Al. MA POCO
VALSE. -SOSPETTO : paora. La panra rese
Ciampolo più veloce che non AUchIno il
sao volare. « Pedlbos Umor addidit alas »;
Viry., A«i. Vili, 224.
139. QUEI : Allchino volse il petto al-
asti, volando verso l'argine.
180. di dotto : di colpo, in un sabito.
Paragona Ciampolo all' anitra ohe sta
naotando e vagando a fior d'aoqoa, Ali-
chino al Calcone.
132. EI : il Calcone. - botto t scornato e
perciò di mal talento. Al.: Stanco, spoa-
sato. Per ana piccola volatati « Qaam
Caolle aodpitor sazo sacer alee ab alto
Conseqaitar pinnis sablimem in nabe
coiambam »; Virg,, Aen, XI, 721 e seg.
Cflr. Inf. XVII, 127 e seg.
V. 133-161. Zuffa del demonL Caloa-
brina vola dietro ad Allchloo per assof»
Carsi secolo! ; vengono alle mani e cadono
ambedue nella p«ce boUeote. Appena ca-
dati, si lasciano andare, e dasoan pro-
cara di ri volare io sa, ma non possono,
essendosi invischiate le ali nella pegola.
Gli altri demoni vanno giù a proonrar
di liberare co'. loro ancini i compagni.
Comica diabolica, degna del luogo e dei
personaggi.
183. irato: contro Allchino. - buffa :
baruiTa. Al.: Burla, gioco ; cfr. Mot-Tot.,
Voci e patti, 86, 87. Oavtmi. 86 e seg.
136. qUEi; Ciampolo. - aveb: con Ali-
chino. « I malvagi si volgono l'uno con-
tro l'altro, quando non hanno più deboli
da danneggiare » ; Tom,
136. ooMEt non appena Clamp<do tu
•otto la pegola.
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[osto. «. BOLO. 6j IHF. XXIL 187-151 [ZtJm DEI DKMONl] 219
139
142
145
148
151
Cosi volse gli artigli al sao compagno,
E fa con lai sovra il fosso ghermito;
Ma l'altro fa bene sparvier grifagno
Ad artigliar ben lai, ed ambedae
Cadder nel mezzo del bollente stagno.
Lo caldo sghermitor sabito fae;
Ma però di levarsi era niente,
SI aveano inviscate l'ale sae.
Barbariccia, con gli altri saoi dolente,
Qaattro ne fé' volar dall'altra costa
Con tatti i raffi, ed assai prestamente
Di qaa, di là discesero alla posta:
Porser gli ancini verso gì' impaniati,
Gh'eran già cotti dentro dalla crosta;
E noi lasciammo lor cosi impacciati.
137. così: torto OAloabrlna toIm le
grimfle ad Alieliliio.
138. ¥U,... OBKBMITO : fti aggmiflAto
, fl fooso; e tnttf e dae si
. Fu ghermito, oome fa nato,
a limili; ett. Nannuc., YerH, p. 163.
138. L*ALTBO : Allohino. - BANI : Tora-
Mmte. - OBIFAGSO : Atto ad allbmre.
«ChiaiBWio opanrlere nidiace, quando
f4fitfif*fiK* è preoo nel nido, die ancora
BOB può volare. Bt ramingo, quando co-
Mìaeia a Telare, et sta sa i rami. St yri-
fégmo, poi elie è mutato in selya, et qoe-
sti aitimi, beneliè oon più diAeolU si
eeadiio, nondimeno sono piii animosi
silo Beeellare »; Land, Cosi pare Benv.,
QeOi, eoo.
148. AxnoLUB : prender cogli artigU.
141. soHKRMiTOR: verbale da egher*
mire, efae è li contrario di ghermire, t.
138, dimqae partitore della rissa, sepa-
ratore della soflk. Senso: Il caldo della
pece eghermH, separò sobito qae' dne dia*
ToU che 8* erano ghermiti. Al. bcbkbmi*
TOB; Sehtrwtititre è chi fli o insegna Tarte
della seherma, ed il caldo nò schermi
qae' due diayoli, nò Insegnò loro la scher-
ma. Cfr. Moore, OriL, 883 e seg.
148. KTEKTEi Tano era ogni loro sfbrto
di lerarti e Tolar soao.
144. SUB: loro, come JnA Z, 13. Pwrg.
Vili. 27, ecc.
145. ALTRI: sette diaroli, spettatori
della zafib. - dolemtb : forse più della
foga del Kavarrese, che della syentora
dei compagni.
145. QUATTRO : de* saoi ottri sette, ai
qnali ordina di rolsre all'altra ripa della
bolgia, mentre egli cogli altri tre rimane
di qoa.
147. OOK TUTTI: armati tatti de' loro
ancini.
143. ALLA POSTA: al posto assegnato
a ciasoono.
149. IMPAHIATI: impiastricciati nella
pegola.
150. CROSTA : pelle ; erano gii cotti non
solo alla superficie, ma entro. I più : Den-
tro dalla crosta che fsceva la densa pece.
Che la pece fiusesse ona crosta, Dante non
dice : dalla soa descrislone sembra Inve-
oe risaltare ohe la crosta non esLstera,
giacchò la pece bolliva continnamente.
151. IMPAOCIATI: imbaraasati, gli oni
procurando di liberare so stessi, ^ altri
l compagni.
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220 [CKBG. 8. BOLG. 8] InF. XXIII. 1-4
[FUGA DBI POETI]
CANTO VENTESIMOTERZO
OEBOHIO OTTAVO
BOLGIA SESTA : IPOCRITI
(Oppressi da pesanti cappa di piombo, dorate all' esterno)
FRATI GODENTI, OAIFA880, FRA CATALAKO
Tacitii soli, 6 senza compagnia
N'andavam, l'un dinanzi e l'altro dopo,
Come frati minor vanno per via.
Volto era in sa la favola d'Isopo
V. 1-67. rttga dei PoeU, Mentre i
diavoli sono intenti ai loro due compagni
invescati nella pece, Dante e Virgilio si
allontanano da essi e oontinnano a cam-
minare sa per l'argine. Dante, tatto paa»
roso, prega Virgilio ohe trovi modo di
sottrarsi ai demoni, e Virgilio lo prende
e si cala sopino per la pendente ripa giù
nella sesta bolgia. Vi sono appena giunti,
ohe i diavoli arrivano a qael panto del-
l'argine dove si sono calati ; ma, non es-
sendo concesso ai demoni di abbandonare
il loro posto, restano scornati, ed i Poeti
sono salvi.
1. TACITI : ambedue essendo assorti in
gravi pensieri. - boli: Ì demoni sono ri-
masti indietro, dannati non se ne vedono.
- comuGNiA : dei dieci diavoli. « Dante
per £ar vedere che non eran più con quei
maligni pei qaali gridò : ahiflera compa-
gnia ! non contento di dir toH, vi aggiun-
ge tema eompoffnia »; Bott, Alla comica
infernale del precedente canto segae su-
bito la solenne serietà colla quale Dante
e Virgilio continaano il loro cammino sa
per lo scoglio che divide la quinta dalla
sesta bolgia.
2. l'un DmAifZi: come sogliono an*
dare, Virgilio primo e Dante secondo;
'^. If^. I, IM; II, 189} IV, 16; X, 8;
XT, 112 ; XIV, 140; XV,»7eteg.; XVI,
91; XVIII, 21, ecc.
8. COMB : così raccolti e a capo chino.
AL: « È nsansa de' Frati minori.... an-
dare l'uno innanai, quello di più anto-
rìtÀ, l'altro dirletro et seguitarlo »; An,
Fior. - « Il qaale costarne ei dovevano
avere in qnel tempi, perchè oggi osono
eglino di andare al pari »; Otiti,
4. d' Isopo : la favola non ò di Esopo,
ma passava per tale in quei tempi. BiiH
e Benv. affermano che si leggeva « In un
libello ohe si legge a' fiuicialli che Impa-
rano Grammatica. » La favola è questa :
« Quando colloquebantur animalia bruta,
mns rane amlcus fikctus ad cosnam eam
invitavit, et, abdncta in penarium diritis
ubi molta comestibillaerant, Oom$de,in'
quit, amica rana. Post epulationem et
rana mnrem in snam invitavit ocenatio-
nem ; 8»d ne d^atigcre, inquit, notando,
filo Unui tuumpedemmtc aUigaJbo, Atquo
hoc facto saltavi t in paludem. Eam an-
tem minata In (f) proftindum, mnssuffooa-
batur, et moriens alt : Ego qxddem per te
nunrior, ted me vindicabU maior. Super-
natante igitur mure in palude mortao,
devolans aquila huno arripnit, cum eo
aatem appensam una etiam ranam, et
sic amboe devoravit. » Questa fkvola al
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[OEBC. 8. BOLO. 8]
iNF. XXIII. 5-25 [FUGA DEI POETI] 221
Lo mìo pensier per la presente rissa.
Dovrei parlò della rana e del topo ;
Ohe più non si pareggia 'mo' ed Mssa',
Che Pnn con l'altro fa, se ben s'accoppia
Principio e fine con la mente fissa.
£ come l'nn pensier dell'altro scoppia,
Cosi nacque di quello un altro poi.
Che la prima paura mi fé' doppia.
Io pensava cosi: € Questi per noi
Sono scherniti, e con danno e con beffa
Si £Bitta, ch'assai credo che lor nòL
Se l'ira sovra il mal voler s'aggueflfa,
Ei ne verranno dietro più crudeli
Che il cane a quella lievre ch'egli acceffa. »
Olà mi sentia tutti arricciar li peli
Della paura, e stava indietro intento,
Quand'io dissi: € Maestro, se non celi
Te e me tostamente, i' ho pavento
Di Malebranche: noi gli avem già dietro ;
Io gl'imagino si, che già li sento. »
E quei: < S'io fossi d'impiombato vetro,
I«Sge nelU VUa di Btopo, dettata dal
"MUCO Uaasimo Planade il quale tìb-
>B a Coetaotinopoli nel secolo XIV. Una
&7oIft eonalmile, Mut et rana, ai trova
tra quelle di Fedro, e forse Dante ac-
<*BBa a qoeet*.
5' PBB8XXTI : « non vuol glk dire la
Titta poc'anzi vedata, ma benal quella
^'efa attente al ano animo, mentre
^to ivi pensava » (f) ; Son. - bissa :
^ diavoli; ofr. Itkf. XXII, 188 e seg.
7.PAKBoaiA: rassomiglia.-MO : adesso ;
tfoneamento di modo. - issa: adesso;
^<>M popolare dell* uso, dal lat. hoc ipta
Ws.
8. 8' ACCOPPIA : SÌ oonfironta il caso della
'«OS e del topo con quello di Aliohino e
Cdcsbrina.
9. ntiaofPio : la rana macchinò contro
u topo, come Caloabrina contro Aliohino.
'tos: rana e topo preda del nibbio, Cai-
^f^niùM ed AUchino preda della pegola. -
»»a: attenta.
^«ooppu: vlen fuori, nasoe. Un pen-
••'» »e produce un altro.
ILquiLLo : dal pensiero alla Csvola ed
ma OiictasU dei due dUvoli.
12, paiMA: ofr. Iikf. XXI, 127-182.« Pen-
sa Dante a una cosa paurosa avvenuta, e
corre col pensiero ad altra, paurosa non
meno, ohe poteva avvenire»; L. Yent.,
8im, 325.
13. PER KOI : per cagion nostra, avendo
aspettato ohe fosse appagata la nostra
curiositi. Al . intendono da noi; ma Dan te
e Virgilio non pensarono di schernire 1
diavoli.
15. MÒI : rechi noia, offenda ; da noiare.
le.s'AGOUKFFA: SÌ aggiunge; ofr. Iv/.
XXXI, 56. Purg, V, 112. •Aggueffare
è filo a filo aggiagnere, come si Cs po-
nendo lo filo d^ gomito alla mano, o in*
naspando con V aspo » ; Buti. Senso :
Se alla natarale nu^gnità dei demoni si
aggiunge V ira di essere stati gabbati e
danneggiati per causa nostra.
18. ACCEFFA : afferra col ceffo e coi
denti; abbocca.
1». TUTTI: Al. TUTTO.
20. INTENTO : attento se mai quei dia-
voli ci corressero dietro.
22. PAVENTO : paura, spavento. Al. io
PAVENTO— «io temo.
25. d' IMPIOMBATO VETBO : uno speo-
222 [ciBC. 8. BOLG. 6] Inp. xiiii. 26-44
[FUGA DBl POETI 3
28
31
U
87
40
43
L'imagìne di faor toa non trarrei
Più tosto a me, che quella dentro impetro.
Par mo venlan li tuoi pensier tra i miei
Con simile atto e con simile faccia,
Si che d' entrambi nn sol consiglio fei.
8' egli è che si la destra costa giaccia,
Che noi possiam nelF altra bolgia scendere,
Noi faggirem Immaginata caccia. »
Già non compiè di tal consiglio rendere.
Ch'io li vidi venir con l'ali tese.
Non molto lungi, per volerne prendere.
Lo duca mio di subito mi prese,
Come la madre che al remore è desta,
E vede presso a sé le fiamme accese.
Che prende il figlio e fugge e non s'arresta,
Avendo più di lui che di sé cura,
Tanto che solo una camicia vesta;
E giù dal colle della ripa dura
Snpin si diede alla pendente roccia,
Ohio, ohe è « Tetro terminato con piom-
bo», Cfonv. Ili, 0. S* io fM0i uno specchio
non riceverei l'immagine toa eeteriore
piti presto di quello ohe io ritragj^ ed
imprima nell* animo mio 1* immagine del-
l' animo tno, i tuoi pensieri. « Qnomodo
in aqois reeplendent vnltos prospicien-
tiom, sic corda hominum manifesta sont
pmdentibns »; Prov. XXVII, 10.
20. TBARRli: riflessa.
27. impietro: «attraggo e stampo in
me qaasi in pietra >; Br. B.
28. PUK MO : in questo stesso momento,
Io andava per l' appunto pensando quello
stesso che tu pensi e mi dici.
29. ATTO : dì paura, temendo come te.
- rACCiA: essendo del tuo avviso, cioè di
celarci ambedue tostamente.
80. D'nmuMBi: i tuoi pensieri com-
binandosi perfettamente coi miei, si sono
tutti risoluti in una medesima determi-
nasione, cioè di ftagglre.
81. s'bgli è: se è vero. - giaccta:
penda d, che possiamo sdrucciolare già;
cfr. Inf. XIX, 86.
83. CACCIA: la caccia che ambedue im-
maginiamo e temiamo non siano per dard
i diavoli. « Et disse caccia per aver detto
di sopra Cane et Lepre»; Dan,
34. GIÀ : non aveva ancora fluito di ma-
nifestarmi questo suo consiglio.
35. LI : i demoni Malebranche. - tesr :
correndo e volando come gli strussi.
36. LUNGI : da noi. - frkitdkiue: come i
Poeti temevano. Il loro timore era dun-
que pur troppo fbndato.
88. COME LA MADRE: VlrgiUo mi preee
e ftigg^ meco come quella madre ohe,
scossa dal rumore e destatasi, si vede vi-
cine le fiamme di un incendio, e prende il
figliuoletto tra le braccia, e, avendo cura
plh di lui che del proprio pudore, aen
fogge via con esso senza indugiare nep-
pur tanto tempo che basti a mettersi
indosso il vestimento. -AL ROMORB: dal
crepitar delle fiamme o dalle grida della
gente. Al. A romorb.
40. PRENDE : cfr. Yitg., Aen, XI, 544
e seg.
48. COLLE : Al. COLLO { Ofr. If\f. XXII,
116 nt. Intende della sommità dell' ar>
gì ne, dura, perchè di pietra.
44. 81 DIEDE: locuEione latina e Virgi-
liana, M dédUf ofr. Virg., Am, XI, 566 ;
XII, 227, ecc. Virgilio « si adattò con
tutta la deretana parte del corpo, alUi
pendente roccia, rupe (cfir. Tnf. VII, 6),
per scendere sdnicololando a quel modo
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[CRC. 8. BOLO. 6]
IHP. XXIII. 45-57 [FUGA dbi pobti]
Che Pan dei lati all' altra bolgia tnra.
Non corse mai si tosto aoqoa per doccia
A volger rota di molin terragno,
Quand'olia pib verso le pale approccia,
Come il maestro mio per quel vivagno.
Portandosene me sovra il sao petto
Come suo figlio, non come compagno.
Appena far li piò suoi giunti al letto
Del fondo giù, ch'ei furono in sul colle
Sovresso noi; ma non gli era sospetto;
Che l' alta Provvidenza, che lor volle
Porre ministri della fossa quinta,
Poder di partirs'indi a tutti tolle.
wAtaoào, portendo me aopnfl petto»;
Lmb.
45. l' UH : il snperiore. -àltba : M«ta. -
TUIA: «biade. Bm9^ ch'è l' uh dh* lati
ALL'aLT&A ]IOljOlATUBA.IIOt«Ildoohe « frol-
fù a holffiaiura idem eet. » Potrebbe for-
■• ftTer ragione.
«. DOCCIA : oaoftle ; cfr. Jt\f. XIV, 117.
47. MOLiH TKBKAGHO : ooIIa doooia al di
«pia ed una plooola mota aotto, pian-
tato sulla pla&a terra e meeeo in moto
àaBt aeqne che cadono dall* alto, a dlfllb-
icata del eoel detto muliTio /ranceico,
^ ba la mota grande e da Iato, e quindi
b gora in fondo.
48. APPBOoaA: si arviclna; ofr. Tr^f.
ni, 46. > Per la peodensa, la Telocità
^' aoqoa ereeoe a mieara che easa si
srvidna alle pale della mota.
49. TiTAOsfO : orlo o ripa della seetabol-
S^ « VÌ9«ffno ò propriamente la estre*
■Ita o cimosa della tela ; similmente le
rtpe aon le oimoae della bolgia, e però
dice qui Tiracrno » ; Barg. Cfr. Ir^f. XIV,
m. Purg. XXIV, 127. Par IX. 136.
Si. HOH OOm : Al. ■ HOH 00MB ; « SoOÌOS
mia in tali timore non iorat sooium in
bga Bill Terbis.... Vel si invat eom, non
levai ipenm anpm se neo cmn tanta af-
fcstiooe»; Benv,
93. roHDO: deUa sesta bolgia. - u: 1
^«■raBÌ.-BUL OOLLB: solla sommità del-
Fngiae. Qni la les. colli ò indiscati-
bOs; dmiqne s* ba da legger collb e non
COLLO aoobe r. 48 e W^ XXII. 116.
94. soTBBseo : per V appunto sopra noi.
- 8U: avverbio — vi ; ma non vi era più
nìhàM^otpettare, oeaia da temere.B0nv.
legge addirittara : hoh vi bra. Alconl in-
tendono : Non era a Virgilio più sospetto
e oagion di tema. 11 Betti: «Non era loro
vemn sospetto » ; interpretasione più
oecnra del verso da interpretarsi.
57. PODBK : potere, faooltà. - indi : dal-
l' argine che separa la qolnta dalla sesta
bolgia. -TOLLi: toglie, vieta; dal lat.
toìUre, La divina prowidensa. ohe pose
quel diavoli a guardia della qointa boi-
già, non permette loro di lasciare il pro-
prio poeto.
V. 68 72. P9Ha degU ipocriH. Lag-
giù nella sesta bolgia sono gì* ipocriti,
gente dipinta, che vanno attorno lenti
lenti e tristamente piangendo, oppressi
da pesantissime cappe e cappnod di piom-
bo, che di ftiori è dorato. Pittura stupenda
dell' ipocrisia. H passo lento e misurato,
a capo chino, è appunto quello degl' ipo-
criti ; onde si vedono qui costretti ad an-
dare come amarono di andare nel mondo.
La doratura di ftiori ò l' apparenza di
virtù e santità; il piombo, il vìkIo ohe
coltivano di dentro ; il peso enorme è la
gran ISftticaohe durano a conservarsi Tap-
parensa di virtù, di pietà e di religiosità,
mentre appunto questa genìa suol essere
più avida che non altra gente dei godi-
menti peccaminosi del mondo. Il quadro
rammenta quello che Cristo Ca dei Fa-
risei; Matt, XXIII, 27 e seg.: « Simfles
ostia sepnlchris dealbatls, qn» aforis pa-
rent hominibus speciosa, in tua vero piena
sunt ossibns mortuoram et omni spur-
dtia. Sic et vos aforis qnidem paretis
hominlbuB insti, intns autem pieni ostia
hypocriai et Iniqultate. »
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224 [CERO. 8. BOLO. 6] Inp. xxin. 58-6
[PENA DEGLI IPOCRITI]
61
64
67
Laggiù trovammo una gente dipinta,
Che giva intorno assai con lenti passi,
Piangendo, e nel sembiante stanca e vinta.
Egli avean cappe con cappucci bassi
Dinanzi agli occhi, fatte della taglia
Che per li monaci in Cologna fassi.
Di fuor dorate son, si ch'egli abbaglia;
Ma dentro tatte piombo, e gravi tanto
Che Federigo le mettea di paglia.
0 in etemo faticoso manto I
Noi ci volgemmo ancor pure a man manca
Con loro insieme, intenti al ti*isto pianto ;
58. DirufTÀ : dal viso dipinto, lisciato
come nsayano in qaei tompt a Firenze
non pure le donne, ma anche gli nomini ;
cfr. Far. XV, 114. Al. : DagU abiti di-
pinti. Ma gli abiti non erano dipinti,
erano dorati.
60. riANOiHDO : amando di stralonar
gli occhi e mostrarsi piagnolenti. « Cam
aatem ieionatis, nolite fieri siont hypo-
critfB trlstes, exterminant enim facies
saas nt appareant bominibos ieionan-
tes » ; Mail. VI, 16. - stanca : per il gra-
vo peso che sono costretti a portare in
etemo, cfr. v. 67. - vimta : per l' ango-
scia intema; cfr. Inf. Ili, 83.
61. BASSI: tirati sogli occhi.
62. taglia: taglio, foggia; dal lat. to-
lta, onde nel medio eyo si disse taleare
per ahicinderé.
63. CoLOONA: città d*Alemagna sul
Reno. Cosà tatti quanti gli antichi senza
eccezione. Tra* moderni chi pensa a Co-
logna sai Veronese, e chi legge Cluomi,
che sarebbe la rinomata abbazia dei Be-
nedettini nella Borgogna. Cfr. Com.Lipi.
1", 331 e seg. « A Cologna è ana Badia di
monaci molto ricchi e nobili. £ montare
in tanta snperbia, che il loro Abate con
baona compagnia di monaci farono al
Papa, e ohiesono di potere portare di
scarlatto 1 cappacci orati ; e 'I Conoestoro
de' Cardinali col Papa, vedendo questa
arroganza, comandaro ohe portassero
sempre cappe di panno non gualcato,
vilisslmo, albagie, e sì corti, che non
toccassono terra. S tanto panno per uno
in cappuccio, quanto coprìsse il capo di
quello medesimo panno. E cosi fu loro
fatto per la loro Ipocrcsia. » An. Sei. Su
per gih lo stesso raccontano pure Lan.,
Buti, An. Fior., eoe. Invece l' Ott.: «Dice
eh' erano della taglia delle cappe òhe ai
fanno In Cologna per li monad, le qaali
sono smlsoratisslme di larghezza e di lun-
ghezza, e qnasi nel cappnodo ha ona
gonnella; questo fanno per onestade. *
Cf^. Encicl., 898 e seg.
6i. KOLi: l'oro della parte esteriore.
Al.: Il eolore dell'oro. Al. vogliono ohe egli
sia qui impersonale. AI.: L'essere dorate.
66. CHB Fbdbbigo : in paragone di que-
ste, le cappe che Federico II imperatore
metteva agi' incolpati di lesa maestà, sa-
rebbero parse leggiere come di paglia.
Di Federico II : « Faciebat fieri nnam
tonicam ex piombo grossieri quasi unins
unoiie, qua faciebat illnm indnl, ita qnod
ad modum cappao tegebat totom corpus'
a capite usque ad pedes ; deinde fkoiebat
ipsnm poni in unum vas, sicnt in calda-
riam, et ignem subUoi, ita qood ealor 11-
quefftoiebat plombum, et homo ftmdeba-
tur simnl oum piombo, carne fhistatim
cadente » ; Benv. Circa lo stesso, con qual-
che variazione, raccontano An. 8él., lae,
Dani., Lan., Ott., Fetr. DanL, Oasi.,
Falso Boec., Buti, An. Fior., Sérrav., eco.
Sembra però non essere questa che una
calunnia inventata dai nemici dell'Im-
peratore. Ctr. Vigo, D.ela SieUia, Pa-
lermo, 1870, p. 10 e seg. La concordia dei
commentatori antichi potrebbe sembrare
prova che il fittto era generalmente cre-
duto; ma le non poche variazioni mo-
strano, che lo si raooontava in diverse
maniere, onde il tetto stesso ridiventa
alquanto buio.
68. ANCOB ruBK : anche questa voltai
come di solito.
69. uisiiME: nella modosima dircsioDe
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;;i — ^m »-■—
[CnO. S. BOLO. 6]
Ik?, mn. 70-82 [fbiti godenti]
76
79
&
Ha per lo peso quella gente stanca
Venia si pian, che noi eravam nuovi
Di compagnia ad ogni muover d'anca.
Per ch'io al dnca mio : e Fa' che tu trovi
Àlcon ch'ai fatto o al nome si conosca,
E gli occhi, si andando, intomo muovi. »
£d nn, che intese la parola tosca,
Diretro a noi gridò : « Tenete i piedi,
Voi che correte si per V aura fosca I
Forse ch'avrai da me qnel ohe tu chiedi, »
Onde il dnca si volse, e disse: € Aspetta;
E poi secondo il suo passo procedi. »
Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta
> gli kypoorUiB tritteSf come
GUrto U chiama. MaU. VI. 16.
7L VUOTI: ad ogni paaao d Toderamo
a Iato persone nuove, poiché gli ipooritl
andavano tanto lentamente.
V. 79-108. I>ue froH Godenti. 8' im-
httloBo in due che si meravigliano di ve*
dete on vivo laggih e chiedono a Dante
dd egli aia. Dato loro conto di aè, chiede
di loto, i quali ai nominano. Sono Cata-
lano de* Malavolti e Loderingo degli An-
dato, Botogneal. il primo gnelfo, l'altro
gUbiellino. eletti nel 1266 per podeatà di
llreii£e.«l8ti doofaemnt fratreaganden-
tea de magnia domibnacivitatiaBononiae,
Tiri ntiqoe magne adentie et indoatrie,
qniVas attributa foit potoataa pacificare
popolani et Clvitotom Florence. Cam
aoiam norentiam perveniaaent, ibidem
neepti ciun honore maxime nt per eoa
tamqoam per Ibreoaea et mediatores re-
oMtoa diaoordie Civiam aedarentur.... in
dvitate Jlorentie non concordiam aed
^Boordiam tractavemnt »; Bambgl. -
• Qoeati dna frati per Io popolo di Sl-
reiuBe faremo Catti venire, e miaongli nel
palagio del popolo d' incontro alla Badia,
(^adendo che per l' oneatà dell'abito foa-
Moe oomnni iimparzialS), e gnardaaaono
flComonedaaoperchleapeae; i quaU, tat-
to^è d'animo di parto foaeon diviai . aotto
coverta di iUaa ipooriaia furono in con*
eordia più al goadagno loro proprio che al
baae eoiaaiie » ; O, ViU. VII, 13. Cfr. Am»
mirtao,lMt^Fior., 1. II. Machiav,j9LFior.
n, 8. Fed4TÌei, ItUria dt* Cavalieri Gau-
àmid, t voL Ven., 1787. Manrd, Otterva-
2ÌMa «opra » fidisi. Fir..l7i6. XVn.9-38.
15. — Dio, ikmum., 4f^ edia.
74. AL FATTO : di eoi aia noto il nome
o qualche azione famosa. Al. al fatto
IL NOME. Cfr. Z. F., 188 e aeg. Coal leg-
gendo il aenao aarebbe : e Fa' ohe tn trovi
alcuno, il nome del qoale aia oonoednto
per qualche opera fiunoaa tetto da Ini. »
E potrebbe atare, ae la lezione foeae me-
no aprowiato di autorità.
75. sì AH DAHDO : mentre proseguiamo
il nostro cammino come facciamo adesso.
Al. R l/OCCHIO, si IN ANDANDO. Cfr. Jf^.
XXVn, 129. Virg,, Edog. IX, 24.
76. PABOLA TOSCA : il parlare, o I* ac-
cento toscano di Danto. Toioa per Toteck-
na, come Ir\f. X. 22; XXII. 00, ecc.
77. TKNETX: fermatovi, non cerreto
tanto.
78. COBBETK: cfr. V. 71 e sog. Gl'ipo-
* oriti andavano ai lentamento, che ad eaai,
avvezid a vedere aol questo lento moto,
pareva ohe Danto e Virgilio corressero
veloci. - FOSCA : 9eìua tempo Hntat come
la chiama altrove, Ir\f. HI, 20.
70. AVBAI : volge la parola al aolo Dan-
to, perchò ei aolo aveva eapreaao il desi-
derio ohe gli fossero mostrato persone di
fama.
80. 81 VOLSE: perchè andava dinanzi. -
ASPETTA: formati; e poi, quando colui
ohe ha parlato ti aarà giunto al fianco,
cammina aeoolui a pari pasao.
81. SECONDO IL suo PASSO: con passo
pari al suo.
82. MOSTRAB: atteggiare 11 sembianto
in modo da rivelare il desiderio intenso
di raggiungermi. Cfr. Petrarca, In Vita,
San. 186 (167) : « Ma apeaao nella fronto
il cor ai legge.»
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226 [CERO. 8. BOLO. 6] Inf. xxut. 83-99
[FBÀTI OODBHTI]
85
01
04
07
Dell' animo, col viso, d'esser meco;
Ma tardavagli il carco e la via stretta.
Quando far giunti, assai con l'occhio bieco
Mi rimiraron senza far parola ;
Poi si volsero in sé, e dicean seco :
€ Costui par vivo all'atto della gola;
E s'ei son morti, per qual privilegio
Vanno scoverti della grave stola? >
Poi disser me : « 0 Tosco, che al collegio
Degl'ipocriti tristi se' venuto.
Dir chi tu sei, non avere in dispregio. »
Ed io a loro : € Io fui nato e cresciuto
Sovra il bel fiume d'Amo alla gran villa,
E son col corpo ch'i' ho sempre avuto.
Ma voi chi siete, a cui tanto distilla,
Qaant'io veggio, dolor giù per le guance?
E che pena è in voi, che si sfavilla? »
83. DSLL' ANIMO, COL VISO: OOA ì più;
salle diverse altre lez. ofr. Moore, Orit,,
386 e seg. - COL viso : « cam appftrentU
faciei »; Beìiv. ~ « Che altrimenti non la
poteano mostrare, ohe non poteano uscire
dal passo concednto loro »; BuH.
84. STBBTTA : perohè lar/g^be le oappe e
grande la moltitudine degl'ipocriti. «Ma
se la cosa è così, come Virgilio e Dante
camminavano senzarìoever i mpedi mento
dalla via stretta? »; Catt. Non è detto in
verun luogo ohe non ne ricevessero im-
pedimento, ed inoltre Dante e Virgilio,
non avevano quelle tali cappe.
85. BUCO : storto, come sogliono guar-
dare gli ipocriti, e, fors' anche, dolenti
ed invidiosi vedendo ohi va seusa cappa
per la loro bolgia. Al.: Perohè i cappucci
abbassati impedivauo loro di guardare
dirittamente. - R più ancora di guardare
stortamente.
87. w afe: l'uno verso l'altro. Al. nr-
siBME, cioè ad un tempo ; ofir. Z. F., 139.
88. all' atto : al moto della gola pro-
dotto dalla respirazione! cflr. Purg. II,
«7 e seg. Al.: Al deglntire, atto della vita
orgaiUca <t). « Bt allegorioe qnia autor
non «rat mortnus in isto vitlo, nec lo-^
qnebator ad modum hypocrit», imo aa-
daoter, ita qnod s»pe in vita fiiit repu-
tatus nimis rigidns »; Benv.
00. STOLA! cappa di piombo. Stola per
veste in generale, dissero sovente gli
antichi ; cfr. Voc. Or, Qui la voce è per
avventura scelta con intensione, volendo
alludere all'abito fhitesoo.
91. MB: a me. Al. DISSKBMI: Al. MI
DiBSEB. Nei codd. dwtertn^. -oollboio:
adunanza, luogo dove sono raccolti (eoj-
leeti) gli ipocriti.
93. NON AVBEB : uou disdegnare di diro]
chi tu sei. Al. DI' CHI tu 8B' ; BOB b'a VK-
BB ne DISPREGIO. Dante risponde soltanto
di esser Fiorentino e vivo ; quindi, Inveoe
di dire chi egli è, domanda loro chi es«i
sono.
94. Fin NATO : « nel dolcissimo seno di
Fiorenza fbi nato e nndrito Ano al colmo
di mia vita »; Oonv. I, 8.
95. VILLA! città; grande, perchè la mag>
giore delle cittA sull'Amo.
98. dolob: lagrime. Andavano pian*
gendo.
99. CHB PBNA : anche ammesso ohe e' ai
fosKO già accorto che le cappe erano di
piombo, non poteva ancora saper nulla
dell'enorme peso delle mede^e. ìdM
probabilmente non si era ancora accorto
della natura di quelle oappe, come sem-
bra risultare dai presenti verd. Bidioolo
è r opporre i versi 04 e seg. pei qnali le
oappe si descrivono; quel versi Dsntenoa
gli scrisse nella sesta bolgia. Raccontando
la cosa, era naturale ohe facesse suo prò
delle cognizioni acquistate non a prima
vista, ma pur dopo. - sfavilla : « si mo»
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[aiG. t. BOLe. 6]
INP. XXIII. 100-108 [FBATI GODBIITI] 227
IM
2<3
IM
£ l'an rispose a me : € Le cappe rance
Son di piombo si grosse, che li pesi
Fan cosi cigolar le lor bilance.
Frati Godenti fummo, e Bolognesi;
Io Catalano e questi Loderingo
Nomati, e da tua terra insieme presi,
Come saole esser tolto on nom soUngo,
Per conservar sua pace ; e fummo tali.
Che ancor si pare intomo dal Gardingo. »
Iti» per U oeehi likTilUuitl e le fiMwe
roH» »; BmK. - « Che ai Ik rodere ootan-
te»; XÓai6. -«Che mand* tante flkTille,
teak» Inee »; Bfg. — Si riiiBriece »! v. 04
ìb die. parlandosi delle cappe di costoro,
il dice : Di fuor dorate ton ti, eh'egK<ib-
iogUm, Pare che lo indichi ancora la ri-
■poeta, ohe fk qui Catalano, quasi Togtta
din, ebe le cappe sono ftiori sfiiTiUanti
d*eco (rone^ ; ma dentro son di piombo.
B eerto dorea Dante maraTigliarsl non
paco di vedere per V Inferno tatto quel-
Fero »; Betti,
IM. EiJKCS: di color d'arando, essen-
do éi.Mor doraU, t. M.
101. rmsi : « agguaglia qaesU peccatori
sBe bOanoe, et i pesi, i qoati si adoprono
di contro a qoalche merce che si pesa,
aOe cappe di piombo »; Rumarmi.
103. cioOLAB : gemere, sospirare i pec-
catori ebe portano tali pesi.
103. FBATI OoDBim : caralieri dell' or-
dàie di Santa Maria, istitoito da Urba-
no !▼ in Bologna nel 12<n. per com-
battere contee gì' infedeli ed i violatori
della giasysia. Fnrono soprannominati
Q^dmH, perchò intendevano più a go-
dere die ad altro. « Le robe aveano bian-
ebe e imo mantello bigio, e l'arme il
campo bianco e la croce Termiglia con
dae stelle, e doveaoo difendere le vedove
e* papim, e intramettersi di pad ; e altri
ocdiBi, come religiod, aveano »; O. VUl.
▼n. 18. CCr. I^nUri^, op. dt. Qozzadini,
Oro», di Ronzano e mem. di Loderingo
é^ Andato fraU godente, Bologna, 1861.
Yemon, Jnf. voi. Ili, p. 161 e seg. ed
ivi la toT. LXVm.
104. Catalano : deUa femiglia guelfe
dd Ifalavdtì da Bologna, nato verso il
1210; nd 1343 podestà in Milano, nd 1250
in Parma, nd 1280 in Piacenza, ecc. Fa
ad 1305 capo del governo di Bologna, nel
1200 di qadlo di Jlrense, nel 1267 nuova-
mente di qadlo di Bdogna. Mori nd 1385.
-■ QUESTI: Al. B COSTUI. -LODKBOIOO:
deUa femigUa ghibdlina degU Anddò di
Bologna, nato verso il 1315, fti podestà
in parecchie dttà dell' Emilia e di To-
scana, collega di Catdano nd governo
di Bologna e di llrense, fondatore del-
rOrdinedei frati Godenti, morto nd 1203.
Cfr. Benv, II, 176-78. Gozzadini, Delle
Torri gentUieie di Bologna e delle Fami-
glie alle qualiprima appartennero, Bolo-
gna, 1875, p. 76 e seg.
105. TKBRA : Fircnsc. - Piuui : detti ad
on tempo ali* ntfisio di podestà.
106. SOUMGO: solo; i Fiorentini sole-
vano eleggere un solo podestà, questa
volta ne dessero due. Al.: Solitario,
seosa compagnia, perchè forestiero. Al.:
Bitirato daUo strepito de' partitt. Al.:
Un frate, un uomo religioso. Al.: Un
uomo singolare ed eccellente.
107. COHSKBVAB: d podcstà di Firenze
d dava il titolo di Ooneervatorpacie, eoa
cura principde dovendo essere di man-
tenere la pace ndla città. - tali : con-
servatori ddla pace.
108. 81 PARK: appare, d vede. -Gau-
DINGO: contrada di Fireose in vidnansa
del Palasse Vecchio, dove erano le case
degli Uberti, ohe i due podestà, corrotti
dd Gndfl, fecero ardere e disfere. Cfr.
e, ViU. I, 38.
T. 100-123. Caif<UBO ed il tuo buo-
cero. La parola che il Poeta incominda
a rivolgere d frati Godenti , parola di rim-
provero o di duolo, gli muore sulle lab-
bra dia vista di uno, che con tre pali
è crodflsso in terra, su cui tutto quanto
il popolo deve passare e ohe porta quindi
tutta ripocrisia dd mondo. È Cdfesso, il
grande ipocrita, che condgliò a' Giudei
r ncdsione di Cristo. Fra Catalano lo no-
mina, aggiungendo che nello stesso modo
sono puniti in quella bolgia e Anna, aco-
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228 [CBBC. 8. BOLO. «] Inf. XXIll. 109-122
[CAIPÀS80]
109
112
115
118
121
Io cominoiai : « 0 frati, i vostri mali.... »
Ma pih non dissi; ohe all' occhio mi corse
Un, crocifisso in terra con tre pali.
Quando mi vide, tatto si distorse,
Soffiando nella barba co' sospiri :
E il frate Gatalan, che a ciò s'accorse,
Mi disse : « Quel confitto che tu miri,
Consigliò i Farisei, che convenia
Porre un uom per lo popolo a' martiri.
Attraversato e nudo ò nella via.
Come tu vedi, ed è mestier eh' e' senta
Qualunque passa, com'ei pesa, pria:
Ed a tal modo il suocero sì stenta
In questa fossa, e gli altri del concilio
cero di CalAMso, e gli altri saoi ooUeghi
del gran sinedrio giudaico.
100. MALI: si può sopplire: « vi stanno
bene; sono ben meritati »; oppnre, pren-
dendo mali nel sodso di colpe: « fbron
causa della rovina della mia patria ». -
Buti, Land., eoo. si avvisano che Dante
volesse esprimere la sua compassione. No-
nostante Ifkf, XX, 27-30?! -n Cait^'^lSon
veggo ohe cosa volesse dir Dante. I ft-ati
avevano sotto ipocrisia ingannati i Fio-
rentini ed nocellati i ghibellini e distrutte
lo case intorno del Guardingo, e d'averlo
fìttto sotto ipocrisia qui l'avevano confes-
sato. Adunque Dante, come fiorentino ed
nomo leale, non può dire che gli rincre-
sca e doglia de' loro mali ; nò sta bene
che dica, che ne prenda piacere, usando
essi cortesia verso lui. »
110. MI COBSR: mi si presentò; mi
venne veduto.
111. CROCIFISSO: egli ed 1 suol degni col-
leghi, che fecero crocifiggere Cristo, qui
sono crocifissi. - trb: mani, e i due piedi
insieme, -pali : invece de' chiodi, che nel
terreno non possono fare ninna forea.
112. SI DISTOBSS: per il dolore di esser
veduto in tal situazione da un vivente
ohe poteva riportarne novelle su nel
mondo. Oppnre : « perobò vedea Dante
cristiano, salvato per la passione di Cri-
sto, per la quale e^ era dannato»; BuH,
114. s'accossb: del motivo per onl
aveva interrotto il parlar seco.
116. coNSiOLiò : « Bxpedit vobis ut nnus
moriatnr homo prò popnlo et non tota
gens pereat »; loh. XI, 50. « Brat aatem
Caiphas qnl oonsiliom dederat Iiid»ÌB,
quia expedit unum hominem mori prò
popolo >; ibid. XVUI, li.
118. ATTUA VERSATO : posto a tniTerso,
un intoppo agli altri. < Posnisti ut ter-
ram oorpus tuum, et quasi viam tran-
senntibus »; Itaia LI, 28. -mudo : di so-
lito Dante dice nude le anime, qiuuido
vuol porre in evidenaa la miseria di loro
condizione. Ma in questo luogo le altro
anime non sono nude. Ognuna ha la sna
cappa I soltanto Caifìuso ed i snoi ooUe-
ghi non hanno cappe proprie, ma de-
vono sentire senza cessa il peso di tutto
quante le altre.
120. QUALUNQUE: chiunquo passa di
qua, deve calpestarlo.
121. suocKUO: Anna, sommo ponte-
fice ; Cfr. OÌ€fV. XVIII, 18. - 81 8TEHTA :
ò tormentato.
122. CONCILIO: de' Pontefloi e Farisei,
ohe condannò Cristo; ctr, loh. XI, 47.
Costoro, che dovevano essere i primi ar-
chitetti del tempio spirituale, dispren*-
rono quella pietra destinata ad essere il
capo del cantone' (cfr. Faàtm. CXVII,
22. Matth. XXI, 42. Act. Ap. IV. 11. I
Petr. II, 7) ; e perciò essi médesinii sono
rigettati e disprezzati. S'intopparono «in
lapidem offansionis et petram scandali »
{ad Rom. IX, 83), e perciò sono qnl essi
medesimi un intoppo agli altri. Vollero at-
traversare il progresso della verità ; onde
essi medesimi sono qui attraversati n^la
via. Fecero spogliare Gesh Cristo delle sne
vestimenta {MaU. XXVII, 28); e perdo
essi medesimi sono qui spogliati e nodi.
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ICEBC. 8. BOLO. 6]
iNF. xxin. 123-140
[USCITA] 229
134
m
m
133
Ì3S
1»
Che fu per li Giudei mala sementa. »
Allor vid' io maravigliar Virgilio
Sopra colai ch'era disteso in croce
Tanto vilmente nell' etemo esilio.
Poscia drizzò al frate cotal voce :
« Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci,
Se alla man destra giace alcuna foce,
Onde noi ambedae possiamo uscirci
Senza costrìnger degli angeli nerì,
Che vegnan d'esto fondo a dipartirci. »
Rispose adunque: «Più che tu non sperì,
S'appressa un sasso, che dalla gran cerchia
Si muove, e varca tutti i vallon ferì.
Salvo che a questo è rotto, e noi coperchia :
Montar potrete sa per la mina,
Che giace in costa, e nel fondo soperchia. »
Lo duca stette un poco a testa china;
Poi disse : < Mal contava la bisogna
133. maImà,: il Mmgne di Criito ricadde
is di loro e fratto U loro rovina ; cfr.
ìùm. XXVU. 26. Luca, XI. 60-61.
V. 124-148. tr9eUa dotta Besta bolgia.
Kichteslone d» Virgilio, Catalano rispon-
de ai dn^ Poeti, essere 11 vicina la mina
A uno dei ponU, sa per la quale potranno
umtaxe per uscire dalla bolgia degl'ipo-
ciitL Virgilio ai accorge dell' inganno del
Halebranobe.
124. MARAV1GLLAB: « ex 00 quod iste
taa mirabiliterqaam Ignoranter prophe-
tarit, non intelligens se ipsam »; Benv. O
p« arer parlato in alcnn laogo sa per gì h
eome Cai£ueo, dicendo : « Unam prò mal-
tìs dabitor capat »; Aen. V, 815 f O per
la novità del supplizio, da lai l'altra volta
MB veduto t - « Omnes, qnì viderint te in
gntnms, obstopescent saper te »; Ezeeh.
XXVm, 19.
126. vtLMBMTB: calpestato da tatti
«loanti i peccatori della bolgia. «Ego
aatem snm verrnis, et non homo ; oppro-
brinn bominmn, et abiectio plebis»;
PtàL XXI, 7. 1 S. Padri videro in queste
parole nn» profesia di Cristo dinansi ai
sod gindiei. CaifiAsso ò divenuto lai in
eterno dò che volle fhre di Cristo. - sai-
uo: rinlbmo, dove le anime sono di-
■fwiate in eterno dalU patria celeste ;
cfr. Pwg. XXI, 18.
120. destba: vanno a sinistra, t. 68;
hanno dunque l'argine tra la sesta e la
settima bolgia a destra. - foci: varco.
131. C08TUIN0KB: ricordando loro il
voler supremo. Ma dopo il timore avuto
testé degli angeli néri, preferisce di far-
ne senza.
133. RI8P08R: Catalano. - aduhque:
allora; )at. ad tune. «,
134. 8A680: uno di quegli scogli che
rioidono gli argini e le bolge. - cerchia :
che circonda tutto Malebolge, cfr. Inf,
XVIII, 8 e seg. - Sopra questi versi cfr.
Dioniii, Anedd. V, 61 e seg. JBlane, Ver-
tuek, I, 21416.
130. A QUK8T0: vallon fbro. Al. cnx
QUR8T0 rma era forse il vaUone che era
rotto? ! - È ROTTO : il sasso, cioè Io sco-
glio; tutto ipetzato al /ondo, come l'al-
tro ; cft*. It\f. XXI, 106 e seg. - coper-
chia: non vi fJA ponte sopra.
138. che: la qoal ruina. Al.: Perchè
essa mina giace. - in costa t su per la
ripa dell'argine i sassi giacciono rovinati,
e gih nel fondo della bolgia essi formano
nn rialzo, quasi scala a salire.
189. CHINA: accorgendosi dell'inganno
i3»ttogli; cfir. In/, XXI, 109 e seg., 125
e seg.
140. CONTAVA : raccontava, esponeva.
- LA BISOGNA : la cosa.
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280 [CBBC. 8. B. 6] Int. xxiii. 141-148 -xxit. 1-2 [soomxhto]
142
145
Colai che i peccator di là uncina. »
E il frate : « Io ndi' già dire a Bologna
Del diavol vizi assai, tra i quali udi\
Ch'egli è bugiardo, e padre di menzogna. »
Appresso, il duca a gran passi sen gì,
Turbato un poco d'ira nel sembiante;
Ond'io dagl'inoarcati mi parti'
Dietro alle poste delle care piante.
»LUi : Malaooda. Cft>. It\f. XXI,
|[. - DI LÀ: nell'altra, quinta
>i' : ndii. - À Bologna : ofr. ▼.
gamentam est a loco, qoia Bo-
Italia est mater stadi!, et na-
iiam soientiamm »; Bénv.
roiARDO : sentensa tolta di peso
Viti, 44: « Il diavolo ò men-
Adre della menson^a. »
145. APPRK880: dò detto, dopo dò. -
A ORAH PASSI: dopo essore andato un
poEso con Dante secondo il passo lentla-
simo dd due frati; efr. v. 81 e seg.
146. d'ira t per l'inganno fattogli.
147. iNGAROATi : caricati delle cappe di
piombo. Al. INCAPPATI.
148. POSTB: orme, pedate; Al. PRSTS.
- PIANTI: de' piedi di Virgilio, il « caro
duca mio ^; Jnf. VIII, 97.
CANTO VENTESIMOQUARTO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA settima: LADEI
(Morsi da serpenti inceneriscono e ridirentano nomini,
poi tornano a tramntarsi)
VANNI PUCCI
parte del giovinetto anno,
sole i crin sotto l'Acquario tempra,
onforto, Aven- i>ol bestiame, che, desto nn bel mattino
;are a tosta ohi- di febbraio, vede la campagna tutta bian-
mbiante, Dante cbeggiare e si sconforta assai, credendo
de apprendono, il snolo coperto di neve. Ma ben presto
sento di Virgilio la brina, che il rillanello credeva fosse
Don poter nsdre neve, si sdoglie, e, tntto racconsolato,
lo però Virgilio egli gnida le pecordle al pascolo,
sguardo, riprese 1. aiovmRTTO: ancor novdlo; Terso
osse da questo la metà di febbraio,
in nn magnifico 2. crin: raggi; « Crinitns Apollo»;
tanca il foraggio Virg., Aen. IX, 638. - tbmpra : dà la tem-
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[GRC. 8. BOLO. 6]
Inf. XXIY. 3-21
[CONFORTO] 231
U
If
19
E già le notti al mezzo di sen vanno;
Quando la brina in su la terra assempra
L'imagine di soa sorella bianca,
Ma poco dura alla eoa penna tempra;
Lo villanello, a cni la robEi manca,
Si leva e guarda, e vede la campagna
Biancheggiar tatta, ond'ei si batte Tanca;
Bitoma in casa, e qua e là si lagna.
Come il tapin che non sa che si faccia;
Poi riede, e la speranza ringavagna,
Veggendo il mondo aver cangiata faccia
In poco d'ora; e prende sno vincastro,
E fuor le pecorelle a pascer caccia;
Cosi mi fece sbigottir lo mastro,
Qaand'io gli vidi si turbar la fronte,
E cosi tosto al mal giunse l' empiastro.
Che, come noi venimmo al guasto ponte,
Lo duca a me si volse con quel piglio
Dolce, eh' io vidi prima a piò del monte.
pfm. ùkpitt tepidi, rìwaldA. Al.: Hod«ra,
Bitigm ; mm dò STviene in aatimno, non
in priflMTerm. « Ciinem temperai »; 8UU.,
mu. Ub. I. Oarm. II, 14 e wt>%.
S. AL HBZZO DÌ: Tanno diventando
■^BaU al giorno nella durata; si procede
Terso l' eqoinosio di primavera.
4. aamcMPHA : ritrae, rioopia. riproduce
l'imagiDe della nere, cioè sembra neve.
t. POCO: non può ritrarre a lungo,
esMS non si pnò scrivere o disegnare
Imgo tempo, se la tempera della penna
non dura. La brina presto si liquefa al
raf^ del sole. « Urebant montana ni*
ves, campoeqne iacea tes Kon dumtar»
eoospecto sole pruin» »; Lucan., Phar»,
IV, 52-68. - PKITHA : « personificando la
brina. Il Poeta le attribnitoe nna penna
eoQ cni ricopia, e dà alla penna nna
Umpra, temperatora, che poco resiste »;
Z, Temi., Sim, 289 Al. ■ LA bua pkna
TtMFKk^ che Land, spiega: « Struggen-
dosi, diminaisee il freddo, il qnale qaiuido
è eeeessivo per le gran brine, è p*na a
ogni cosa ebe ba anima vegetativa. »
7. LA SOBA : il foraggio, ofr. v. 14 e seg.
9, mAJtCBMOQlAB : « Kec prata oanis al-
bieant pminjs »; Horat., Od. I, iv, 4. -
XATTB: per dolore, credendo che sia ne*
12. RiNOAVAGNA: ripiglia; propHa-
mente Rimette nel gavagno, cioè nella
eetta o nel paniere. Qavagno o Oawagno
è deli' uso vivente, non soltanto in qual-
che dialetto toscano, come dicono Tom.,
Far^. ed altri, ma anche nell' alta Lom-
bardia e nella Sviszera italiana. Al. bik-
CAVAGNA; ofr. Z.F., 142. Blane, Yenwh
I, 219. Eneiel., 1671 e seg.
18. CANGIATA: non più bisDCo, già es-
sendosi disoiolta la brina.
14. VINCA8TB0 : scudiscio, bacchetta.
16. MASTRO: maestro; Virgilio.
18. così TOSTO : come al villanello. -
L'KMPiAS^rRO : il rimedio, il conforto ; oft*.
Petr., Trionfo della/ama, II, 129. Ariottc,
Ori. VI, 46. La voce non aveva nel Tre-
cento il senso materiale che ha adesso.
« Traslasione presa da' ripari che si fan-
no a' luoghi dove sia dolore, per ciò che
impiattro significa propriamente quei ri-
pari lenitivi, che si usano porre ne' luo-
ghi ov* è dolore *; Oelli,
19. GUASTO: rotto. - FONTE: Io scoglio
meneionato XXIII, 133 e seg.
21. A Pia: prima di entrare nell'In-
ferno ; lu/. I, 61 e seg.; cfr. III, 20.
V. 22-6J. iSalllasuU'ar^rine. Virgilio
osserva la rovina dello scoglio, e medita
fra sé circa il modo di salire per essa;
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BOLO. 8] iNF. xinr. 22-88
[8ALITA3
raccìa aperse, dopo alcun conaiglio
etto seco, rìgoardando prima
m la raina; e dìedemi di piglio.
me quei che adopera ed estima,
LO sempre par che innanzi si provveggia;
»sl, levando me su vèr la cima
i ronchion, avvisava un'altra scheggia,
cendo: « Sovra quella poi t'aggrappa;
\ tenta pria s'è tal, ch'ella ti reggia. »
era via da vestito di cappa,
lè noi a pena, èi lieve ed io sospinto,
itevam su montar di chiappa in chiappa.
non fosse che da quel precinto,
h che dall'altro, era la costa corta,
>n so di lui, ma io sarei ben vinto ;
lerchè Malebolge invér la porta
)1 bassissimo pozzo tutta pende.
il anno, ambedue s' ar-
ia rovina dell' argine
li ponte, e, per meglio
Boir argine ottavo.
. Riguardando prima
0 eletto Beco alcun con-
raceia e diedemi di pi-
> di peso. Virgilio os-
atamente la mina per
Bsere ingannato da Ca-
i Malebranche ; qnindi
'ca 11 modo di montar
Qo partito, abbraccia
> per sospingerselo in-
È la terza volta che
, lo braccia, cfr. Ir^.
XXm, 87 e seg. Per
laci, barattieri ed ipo-
gli * ammaestramenti
i. Ili, 15, ma ci vDolo
dell'aatorità secolare,
«pera con le mani. -
ignisce u n lavoro volge
dopo. « Sclt praeterita,
at »; Sapient. Vili, 8.
re che non badi a ciò
) dovrà fare in seguito,
ccrescitivo di rocchio,
JCXVI, 17 ; un grande
pozRo di pietra spor-
>N ; ma nel v. 62 quasi
HI060. Senso : Mentre
in alto per posarmi su
di un prominente e grosso macigno, egli
poneva mente ad un altro grosso sasso,
dicendomi : < Prova prima colle mani, «e
quel sasso è s\ fermo da sostenerti, e poi
afferrati ad esso e montavi su».
30. REGGIA: regga, sostenga; come
provveggia per provvegga, v. 26.
31. cappa: degl* Ipocriti, XXIII, 61 e
seg. « Allegoricamente vuol dimostrare
che li ostinati non si possono partire dal
peccato, e litteralmente dimostra che,
benché olii e Virgilio n'uscissono, non
era possibile alli ipocriti d' osdme »; PuM.
32. lirvk: perchè spirito. - BoenKTO :
da Virgilio.
33. DI CHIAPPA: di pietra in pietra,
ovvero di scheggia in scheggia. « OAioppa
est pars tegulas oulmse, qua tegnntnr
tecta domomm. Sicut enim qui vadlt i)er
tecta domorum, vadit valde lente et mo-
rose, quia de facili poaset cadere et fnxa-
gore albi collum, ita hic autor Ibat valde
piane et commode, quia fkoiliter i>oto-
rat mere deorsum propter asperitatem
loci »; Benv.
34. PRECINTO: argine che cin^^e le bol-
ge sesta e settima.
36. VINTO : dalla fatica, onde non avrei
potuto salire. Sarei vinto per tarei ttato
vinto, come nel v. Zi fotte ^r fotte ttato,
87. PORTA: apertura, buca; cfr. If\f.
XXXIV, 85.
•38. TUTTA: AI. TUTTO.
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[OE&C. 6. BOLO. 6]
IHF. xxnr. 89-55
[SALITA] 233
52
55
Lo sito di ciascuna valle porta
Che l'nna costa sarge e l'altra scende:
Noi pur venimmo alfine in sn la punta,
Onde V ultima pietra si scoscende.
La lena m'era del polmon si munta,
Quando fui su, ch'io non potea più oltre;
Anzi mi assisi nella prima giunta.
« Omai convien che tu cosi ti spoltre, »
Disse il maestro ; « che, seggendo in piuma,
In fama non si vien, nò sotto coltre;
Senza la qual chi sua vita consuma,
Cotal vestigio in terra di sé lascia,
Qual fummo in aere ed in acqua la schiuma.
E però leva su! Vinci l'ambascia
Con l'animo che vince ogni battaglia.
Se col suo grave corpo non s'accascia!
Più lunga scala convien che si saglia;
39. FOBTA CHS: richiede, ò di tal na-
tara die, eoe. ; lat. feri tif. Se il terreno
pende, la costa inferiore di ogni bolgia è
tanto meno alta della «nperiore, quanta
i la pendenza. Cfr. Oom. Lipt. 1*. 407
« eeg. Venum, Irtf., toI. Ili, p. 168 e
iri tar. IiXIX. Fiammatzo, Sul Piano
diMaiapotge,Jjonìgo, 1890. Alcuni el av-
Tiaano ébe gU argini delle bolge radano
naBO mano scemando d* altezza, nel qaal
caao andie le bolge andrebbero di ne-
eearità mano mano scemando di profon-
dità. Ma Dante di qaesto andar sceman-
do nen l!a il menomo cenno.
49. L* UVA : l' estema. - subos : è pili
<a.>L*ALTBA: l'interna. -SCENDE: è
ptà baasa.
41. PUB: malgrado la grare difficoltà
deOa aaUta. > fuhta: sommità dell* ar-
gine settimo, di eoi r ultima pietra dello
aeogtto o ponte roTinato si sporge in ftiorl ,
43. MUBTA: esausta; non avoTO quasi
piallato.
45. orovTA: appena giunto sulla som-
■Uà deU* argine.
49. 8P0LTBV: spoltronisca, vinca la pi-
grizia.
47. noamsDO: rlTondo nell^ozio. Al.
ouiaoDO, buona lesi<me, ma troppo
sproTTista di autorità. Cfr. Z. F„ U2 45.
48. BOTTO COLTRE: dormendo. Costr.:
Saggtndo in piuma non ti vieruim fama,
né (d viene in fama stando o giacendo)
toUo eoUre. Cosi i più. Al. per coltre in-
tendono baldacchino e spiegano : Non si
viene in fama né sotto baldacchino ; non
si può acquistare nò £ama nò ricchezza.
Cfr. Horat., Ars poet., 412 e seg.
49. LA QUAL: fama.
50. COTAL: nessuno.
51. FUMMO: « Deficientes quemadmo-
dumftimnsdeficlent»; P«a<. XXXVI, 20.
- « Sicut de6cit ftamus, deflciant»; ibid.
LXVII, 3. - « Tamqnam fomns, qui a
vento diffasuR est »; SapierU, V, 15. -
SCHIUMA : « Tamquaro epuma gracili^,
qn» a procella dlspergitur » ; Sapient.
V, 15. - « Quasi spumam super fadem
aqu» » ; Otee X, 7.
52. AMBASCIA: difficoltà di respirare,
unita a un senso di oppressione. Buti :
« La fiitioa ».
53. ANIMO: volontà energica che su-
pera ogni difficoltà; - BATFAOLIA: osta-
colo, contrasto; cfr. Purg. XVI, 75-78.
64. s' ACCASCIA : «s* accuflk et lascia an-
dar giti insieme col suo gravo corpo * ;
Dan.- «Chiamasi una persona cucateia-
ta, quando per vecchiezza o infermità ò
molto mài condotta e quasi non si reg-
ge»; Borghini.
55. scala: su per 1 bald del Pnrgn-
torio. « Scala Pargatorii longissima, quia
pertingit a terra usque ad coalnm > ;Bm«.
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234 [CKBC. 8. BOLO. 7] iNf . XXIY. 56-66 [SUL PONTI DBLLÀ 7* BOL.]
68
61
64
Non basta da costoro esser partito :
Se tn m'intendi, or fa' si che ti vaglia. »
Leva' mi allor, mostrandomi fornito
Meglio di lena ch'io non mi sentia;
E dissi: € Va', ch'io son forte ed ardito! »
Sa per lo scoglio prendemmo la via,
Ch'era ronchioso, stretto e malagevole,
Ed erto più assai che quel di pria.
Parlando andava per non parer fievole ;
Onde una voce ascio dall'altro fosso,
A parole formar disconvenevole.
67. M*nmifDi: m tu vooi arrivare a
veder Beatrioe, non basta pattini da co-
storo e percorrere l' Inferno. Non basta
lasciare il male, bisogna par fbr il bene.
- TI vaglia: ti giovi qaesto avverti-
mento.
68. LSVA*Ml: mi levai da sedere, v. 45.
60. FOBTR! a sostener la fìfttioa.-AB-
DITO : per afrh>ntarla : « Formolache com-
prende la forza del corpo e la flnuioheasa
dell' animo » j Biag.
V. 61-96. iMdri e loro pmia. Usciti
ftaor della sesta bolgia, i Poeti riprendono
la via per lo scoglio e vengono sulla bol-
gia settima, che è dei ladri, i qnali laggiù
bestemmiano e parlano o safolano, se-
condo la loro forma. Sono morsi da orri-
bili serpenti ; si inceneriscono e ripren-
dono quindi la figura umana ; si tramu-
tano in serpenti e ridiventano nomini
per tornar di nuovo a tramutarsi. « La
serpe è astuta, e cod il ladro. La serpe
strisciando entra per ogni buco, il ladro
s' assottiglia per entrare per ogni luogo.
La serpe è in odio a ognuno, il ladro il
simile, l^ serpe ascosa tra 1* erbe pugne,
il ladro di nascoso nuoce » ; Land. - « Poi-
ché 1 ladri disconobbero i vincoli di quella
proprietà su cui si regge 1* edificio sociale,
sembra che in pena sentano venir loro
sottraendosi ogni proprietà, perfino la
pia intima a noi, quella del nostro corpo,
e corrano In disperate fhghe con la paura
di perdere la radice stessa della proprietà, '
cioè la personalità umana, eh' ò il vero
fondamento del me e del aè, del mù> e del
»%io, e perciò d'ogni proprietà, il cui di-
ritto non ai può concepire là dove non
è individualità e persona intelligente»;
Perez. Cflr. Mauro, Concètto e forma della
Div, Oom. Napoli, 1862, pag. 186 e seg.
62. BOKCHIOSO: pieno di ronchi, sterpi
e spini ; scabroso, aspro ed inegoale. Al.
Boocmoeo.
63. QUBL DI PBIA: per il quale i due
Poeti erano venuti sino alla sesta bolgia.
Dunque pi ti ordini di ponti, ma non eguali.
Al . CHK QUII DI PRIA. Ma iooglio non è nn
sol ponte, è un ordine di ponti.
64. AH DAVA : io. - FncvoLE X abbattuto,
debole, timido.
66. OMDB UNA : Al. ED UNA. - F0860 :
settima bolgia.
66. dibconvknbvolk: inabile, disadat-
ta. « Bo quia latrones cnm sunt ad fqran-
dnm, sibilant ut non cognoscantur ad vo-
cem, et eodem modo isti hio sibilabant, et
ideo non videbatur vox aota ad loqaen-
dum » ; Poitil. Oa$. - « Inhonesta, qaalia
decent vimm infamem »;B0n9. -« Non
conveniente a formar parole, ohe ai pò-
tessono intendere » ; BuH. - « Fu la voce
si alta che a formare parole ftt ftiori
d' uso et non convenevole » ; An. Fior.
-«Adverba formandnm disconvenevo-
lis, idest inepta. Vox ista, ita turpis,
fùit vox nnias magni latronls, soilicet
Vannis Fuoci de Pistorio. qui blaaphe-
mabat Deos et Sanctos vite eteme »;
Serrav. - « Parole di dolore e di bestem-
mia, tali che io non le intendeva > ; Barg,
- « Non conveniente, et non atta a for-
mar parole, perchò era confusa et mal
distinta, come interviene a quelli, ohe
sono accesi d' ira > ; Land. - « Sconvene-
voli a uomo » ; Qelli. - « Voce sconvene-
vole a formar parole è quella, di ohe
parla Aristotele nella Poetica, come è
quella delle fiere » ; Oa»L {Arittot., Poet,
IH, 22: « Siementum est vox indivisa»
non tamen omnis. sed ex qua poteat
intelligibilis fieri vox; nam bestiarum
sunt indiviste vocee, quarum nnllam dioo
elementum >).
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[CXBC. 8. BOLO. 7]
In?. XXIY. 67-^ [PBHÀ DEI LlDBl] 285
(7 Non 80 che disse, ancor che sovra il dosso
Fossi dell'arco già ohe varca quivi;
Ma ohi parlava, ad ira parca mosso.
19 Io era vòlto in giù, ma gli occhi vivi
Non potean ire al fondo per T escare;
Per ch4o: «Maestro, fa' che tu arrivi
73 Dall'altro cinghio, e dismontiam lo moro;
Che, com'i' odo quinci e non intendo,
Cosi giù veggio, e niente affigaro. »
76 « Altra risposta » disse, < non ti rendo.
Se non lo far ; che la dimanda onesta
Si dee seguir con l' opera tacendo. »
7» Noi discendemmo il ponte dalla testa.
Dove s'aggiunge con l'ottava ripa,
E poi mi fu la holgia manifesta;
n E vidivi entro terribile stipa
Di serpenti, e di si diversa mena,
Che la memoria il sangue ancor mi scipa.
67. DOSSO : sommità dell* «reo che fi»
peate BOpra qoella bolgU.
O. MOSSO : a parlare ; j^areva un grido
f ira, anaiehè di dolore o d' altro. Al.
às> BK, les. accettata e difesa da Fate.
ni, 245 e aeg.). Z, F. (145 e seg.) e da al-
tri, ma «die il Betti chiama «lezione stolta,
■i**nmh^ quella eh* è contraria a ciò ohe in
•agoìto al dice. » E il Bettih». ragione da
7é. TÒLTO : gnardaro giù nella bolgia.
-Tin : corporali. Gli occhi di persona vi-
vcttta non diseemevMionoUa laggiù. Al.:
69 eeehl non poitevano andar viri al fon-
do; efr. Inf, XXIX, 64.
73. djlIX'altbo: air altro. -aNomo:
argine efa« separa la settima dall' ottava
Mgja, più basso del ponte sa cai stanno
i Poeti. - MUBO : r arco oponte. Al.:L'ar-
rae. Ma i Poeti non discesero giù per
Inglae neU* settima bolgia.
75. xFTXGtJUO: rafflgoro, disoemo. Odo
T9CÌ, ism non intendo parola ; vedo 0 goar-
4« giù, ma non distìnguo gli oggetti.
Tt . altka: non rispondo cho fluendo ciò
die Tooi, perchè, qaando la dimanda è
g»sÉiB, ottBTìensi rispondere co' fktti pio t-
teeto A« con parole, operando come ò ri-
78. n DKK 816U1B: «forse si dk' esk-
Kna»; Beiti, ft chiaro cho qai i oodd.
non deddoito. I più, o veramente qoaai
tottl, leggono SI drr skguib.
79. TKSTA: estremità. « Da quella parte
del ponte che si aggiunge con V ottava
ripa, ctoò con quella che cinge intomo
l'ottava bolgia»; Dan.
81. K roi: quando fummo giunti sul-
l'orlo dell'argine. Al.: E poi scendendo
per queir argine. Ma i Poeti non disce-
sero in questa bolgia, la quale brulicava
tutta di serpenti ; rimasero ansi a guar^
dare sotto il capo del ponte, in uno spor-
gimento del muro su cui discendono, per
messo di alcune pietre prominenti, chia-
mate più tardi (XXVI, li) borni. Essi
discesero nella sesta bolgia, perchè vi
furono costretti dall' essere spesaati al
fondo tutti gli scogli che la traversa-
vano.
82. STIPA ; congerie, folla. < <SKtpa edotta
ogni cosa che ò calcata et ristretta insie-
me, et questo è detto stipato » ; An. Fior.
- « Caveam si ve gabiam, quse alibi dici-
tur ttia » ; (!) Bénv.
83. BRRPRMTi : « Caput aspidum suget,
et ocoidet eum lingua viperse »; Job XX,
16. - « Serpentes ad vindictsm creati
sant » ; EceL XXXIX, 85-36. - mkna :
specie, razta, qualità; cfr. Inf. XYII,
30. Eneid., 1220.
84. 801PA : agghiaoda. « La ricord ansa
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236 [CEBO. 8. BOLO. 7] Inf. xiiy. 85-94
tPB»A DEI LÀDBll
85
88
01
04
Più non si vanti Libia con sua rena;
Ohe, se chelidri, iaculi e farèe
Produce, e ceneri con amfisibena,
Né tante pestilenze, nò si ree
Mostrò giammai con tutta F Etiopia,
Nò con ciò che disopra il Mar Rosso ée.
Tra questa cruda e tristissima copia
Correvan genti nude e spaventate,
Senza sperar pertugio o elitropia.
Con serpi le man dietro avean legate;
di quelli serpenti ancora mi divide il san-
gue da' luoghi snoi, e fallo tornare al
onore come tà la paura » ; BttH.
85. Libia: provincia dell* A flHca al po-
nente dell' Egitto, con deserti arenosi in-
festati da serpenti ; cfr. Lucan., Phart, I,
867; U, 417 ; IX, 705 e seg. Della Libia
Ovid.,Met. rv, 617 e seg.: « Cnmqne sa-
per Libycasyiotorpenderetartftuit, GOT-
gonei oapitis gnttte oeoidere omentn,
Qaas hnmos exoeptas rarios animavit
in angnes: Unde ft«qnens illa est info-
staqne terra oolnbris. »
86. CHE, SB: oos) la gran maggioranaa
dei oodd. e oom. ant. Al. chebsi, che-
LIUai, lACUU B FARÈB PBODUCSR, CKN-
CEi, ecc. Ma nna sintassi tanto barbara
non è certo roba di Dante. Cfr. IHoniti,
Blandim. funebri, Pad., 1704, p. 74 e seg.
Blane, Vértuch, I, 224 e seg. Barlmo,
CorUribtOiont, 146 e seg. Z, F„ 146-49.
CUKLIDBI, serpenti velenosi che stanno
in terra ed in aoqna. « Sed qnis erit no-
bis Incri pndort inde petnntnr Hoc Li-
byofe mortes, et feclmas aspidameroem.
At non stare snam miserie passnra cmo-
rem, Sqnamiferos ingens Bcemorrhois
explioat orbes; Natnset arobignfe cole-
ret qni Syrtidos arva Cher^dros, trao-
tiqne via fumante Chelydri ; Bt soraper
recto lapsnrns lìmite Cenchris; Plarìbns
ille notis variatam pingitnr alvnm, Qaam
parvis tinctns macolis Thebanae Ophi-
tes ; Concolor exnstis atqne indiscretns
arenis Hammodytes; spinaqne vagi tor-
qnenteCerastfe; EtSoytalesparsis etiam
none sola pminis Eznvias positara snas;
et torrida Dipsas; Et gravis in gemi-
nnm snrgens capnt Amphisbiena ; Et Na-
trìx violator aqn», lacnliqne volncres ;
Et contentns iter oanda snlcare Pha-
reas»; i>uean., Phar». IX, 708-721. - ia-
culi: «lacollserpenteesubeantarbores,
e qnibns se vibrant et qaad missili evo-
lant tormento» ; Bolina, 40. PUn, VIU,
23.-PABÀB: serpenti ohe trasdnandoai
Csnno nn solco per terra colla coda; ofir.
Bneicl., 754.
87. CBBCEi : serpenti di vario colore del
qnalisidioe ohe vanno sempre torcendosi
nò mai camminano diritto. - amfisibk-
NA: da dfi<p{^ e Batvco, serpente con due
teste. « Amphisbcana consargit in capnt
geminnm, qaorom altemm in loco ano
est, altemm in ea parte qua canda » ;
Solino, 40. Plin. Vin, 23.
88. PBSTILRHZE : qnali erano in quella
bolgia; « Sed malora parant Libyco ape-
stacnlapestes» ; Lucan., Phart. JX, 805.
« Koxia serpentnm est, admixfo aaa-
gnine, pestis »; ibid,, 614.
90. DiBorBA : meneiona i tre deserti
ohe circondano V Egitto : quello della Li-
bia alla sinistra del Kilo; quello del-
l'^t'opta al meseod) dell' Egitto ; e quello
AeW Arabia alla destra del Nilo disopra
il Mar Bono'. *■ èb : per i usarono sovente
gli antichi anche in prosa. Ctr, Nannue.,
Verbi, 43i e seg. Tav. Bit. ed. Polidori,
II, 73.
01. COFIA : di orribili serpenti di varie
specie.
03. pebtuoio : foro, bnoo, da nasoon-
dervisi. - klftbopia : pietra presioea di
color verde, simile a quello dello sme-
raldo, ma cbiarj'^ita e tempestata di goc-
ciole rosse, alla qaale si attribuivano
virth miracolose contro ogni sorte di ve-
leno, e specialmente contro il morso dei
serpenti, come pure la virtù di rendere
invisibile chiunque la portasse. « Entro-
pia, pietra di troppo gran virtù, per ciò
che qualunque persona la porta sopra di
sò.mentrelatiencnonèdaalcnnapersona
veduto, dove non ò » ; Booe., Dee. Vili, 8.
94. LROATE: perchò non selelasciaron
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[C1£C. 8. BOLO. 7]
Inp. iiiy. 95-108 [vanni fucci] 237
97
100
103
IM
Qaelle ficcavan per le ren la coda
E il capo, ed eran dinanzi aggroppate.
Ed ecco ad on, ch'era da nostra proda,
S'avventò on serpente, che il trafisse
Là dove il collo alle spalle s'annoda.
Né 'o' si tosto mai, nò 4' si scrisse,
Com'ei s'accese ed arse, e cener tutto
Convenne che cascando divenisse ;
E poi che fa a terra si distratto,
La polver si raccolse per so stessa,
E in quel medesmo ritornò di butto.
Cosi per li gran savi si confessa
Che la Fenice more e poi rinasce.
Quando al cinquecentesimo anno appressa :
legare dal preeeUo dlTino : Nonfwrtuv^
fa9i€9, né dalle leggi amane. O. Mazzoni:
« PrattoaU), perchè le tennero troppo fa-
cOmente sciolte Terso la roba altrui. »
1^ tennero gdoUe apponto perehò non
M le laMlaron legare dalle leggi divine
ed amane.
05. QDXLLB : serpi ; non legano par le
mani, stnunenti del peccato, ma vanno
alla radice di esso, al caoie. - kkn : reni ;
troDcamento deU*aso. Ctr, Nann., Nomi,
US e tatto il oap. XVII.
V. 97-18». Vmnni Pued. Ad ano si
avventa on serpente, Io traflgge^ed egli
■'inoeserlsce, qoindi riprende sabito la
Agora umana. È Vanni Facci, figlio na-
torale di Faccio de' Lasxeri, nobile Pi-
•toieee. Si ani verso il 1203 con Vanni
della Honna e Vanni Mironne pistoiesi,
per rubare il tesoro di San Iacopo. Ma
i ladri non riasdrono pienamente, fagati
da qoalelie rumore che intesero. Diverse
persone Itarooo arrestate come sospette
del dritto, tra altri Bampino di Ranoo-
eio, che Ita h lì per perdere la testa. Fi-
nalmente Vanni confessò la verità del
&tto e scoperse i complici dell'impresa.
Cfr. aav^. Notizie ined, ddUk Sagri-
ttia pistoiése de* Betti Arredi, Vìr, 1810, e
Lettera euU'itUerpretaz, d'un verso di D,
nOaOmntieaXXlVdM'Jn/. Pisa, 18U.
Pr^essione, Nuovi documenti su Vanni
Fucci, nella OuUura del 21 febbr. 1801.
CkioppéQi, Dante e Pistoia» ivi, 20 mar-
te 1803. Bae<i, Dante e Vanni Fucei
utonds una tradizions ignota, Pistoia,
lan.
07. N06TKÀ: « dalla ripa et costa della
bolgia dove noi eravamo»; Dan,
00. lJL: nella gola.
100. ME ' o ' : « queste dae lettere * o ' et
* i* ai scrivono a ano tratto di penna ; et
pertanto si scrivono più velocemente che
l'altre, ohe con più tratti di penna è dato
loro forma »; An, Fior. - « Mostra la cele-
rità del fstto con ano del modi schietta-
mente proverbiali della Ungaa»; L,Vent.,
Sim., 401.
101. s'aocbsk: come ladro delle cose
di Dio; e « Dominas Deus ignls oonsa-
mene est »; DeiOer. IV, 24.
108. DISTHUTTO: disfktto.
105. MKDBSMO : ohe era prima di es^re
trafitto dal serpente: riprese l'emana
forma. - di butto : di botto, sabito. Virg.,
Georg, lY, 440 e seg.: «Ille (Proteus)
sasD centra non immemor artis Omnia
transfbrmat sese in miracnla rerom,
Ignemqne horribUemqae feram fiavium-
qae liqaentem. Veram obi nalla fbgam
reperit fUlada, viotas In sese redit atqae
hominis tandem ore locatos » ecc.
106. SAVI: Erodoto, li, 76; Filoetrato,
Vit. ApoU.Tyan. Ili, 14; Pomponio Mela,
Dese. Orbis, III. 8 ; Achille Tazio, Amo-
ree Leueippeset Olitoph. III, 25; Olaudia-
no, BidyU,, 42; Plinio, HUt. nat. X. 2;
Seneca, Epiet, 42; Oìfidio, Metam, XV,
802-402 ; Brun. Latini, Tee. volg. da Bo-
no Oiam,, VI, 26 ; e forse Dante allode
ad altri ancora. - si coirirBSSA: si asseri-
sce. La descrizione ò tolta da Ovidio 1. e.
108. CUfQUBCKHTKSUlO: « HiBC obi qoln-
qae soie oomplevit s»cala vite [Uloet] in
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238 [CKBC. 8. BOLO. 7] InP. XXIV. 109-125
[VAKia PUCCI]
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124
Erba nò biado in sua vita non pasce,
Ma sol d'incenso lagrime ed amomo;
E nardo e mirra son l'ultime fasce.
E qnal ò quei che cade, e non sa comO|
Per forza di demon eh' a terra il tira,
0 d'altra oppilazion che lega l'uomo,
Quando si leva, che intomo si mira
Tutto smarrito dalla grande angoscia
Ch'egli ha sofferta, e guardando sospira;
Tal era il peccator levato poscia.
0 potenza di Dio, quanto se' vera !
Che cotai colpi per vendetta croscia.
Lo duca il dimandò poi chi egli era :
Per eh' ei rispose : « Io piovvi di Toscana,
Poco tempo ò, in questa gola fera.
Vita bestiai mi piacque, e non umana,
Si come a mul ch'io fui; son Vanni Facci
ramis tremalieqae oacomine palm» Un-
gaibaset paro nldnm albi oonttrult ore»;
OHd„ Met. XV, 395 e seg.
110. L AGRI MB : gocce dell' inoenso. - SD
AMOMO: Al. K d' AMOMO. Ma T amomo
non lagrima. È l' O^idiano : e Sed turis
lacrimls et succo vivit amomi •; Met,
XV« 394. Questo loogo di Ovidio ò de-
cisivo, ad onta di Z. F., 140 e seg.
111. PASCE: nido. « Accenna alla vita
novella a coi la Fenice rinasce »; Tom,
112. COMO: come, lat. quomodo; forma
usitatissima presso gli antichi. Dante
r osa soltanto dae volte In rima, qui e
Furg. XXIII, 86.
118. DI DBMOMr 80 ossosso; cfr. Mare. I,
so ; «Et discerpens enm spiritns imman-
das.... » - Lue. IV, 35: « Et com proie-
cisset illad dwmoniam in medium.... »
114. OPPILAZION: ri taramento e riser-
ramento de' meati del corpo. « Oppilare
ò ano verbo latino, ohe significa serrare
e chiedere. Laonde son chiamati dai me-
dici qoegli che hanno di sorte chiuse e
serrate, per essere ripiene di vapori gros-
si, le vene, ohe gli spiriti e la virtù nu-
tritiva non posson passare e andare per
le parti del corpo dove fs di bisogno
loro. E se si fa per sorte tale oppilazione
in quelle vie che hanno a passare gli spi-
riti ohe vanno dal cuore al cervello, l'uo-
mo cade subitamente senza sentirsi in
terrai e da questo nasce 11 mal caduoo e
le sincope, chiamate da noi venirti tneno,
e altri accidenti simili »; OeUi, - uega :
« parola solenne, trattandosi di magÌA o
d' altra forca straordinaria »; Tom.
119. POTENZA: Al. GIUSTIZIA. - 8E*VK-
BA: Al. QUANT* È SEVERA. Cft. Z. F., 150
e seg. La subita trasfbrmasione di quel
dannato mostra sì la giutUzia di Dio. ma
forse più ancora la Sua potenza, mentre
la divida gituiizia appare in tutte quante
le pene dell'Inferno dantesco. E questa
potenza di Dio ò certo tevera, ma, quel che
più monta, ò anche vera, cioè giusta, ca-
stigando ognuno secondo i suoi meriti.
120. PER VENDETTA : per gastigo. - CBO-
BCIA : scarica, vibra, « con empito per-
cuote » ; Dan. - « Metafora tolta da le
ploggie e da r acque, che si dicono ero-
tciare, quando piovono e si versano ab-
bondantissimamente »; OelU.
122. PIOVVI: caddi, piombai; ofir. Inf.
Vili. 83; XXX, 96.
123. i*oco : da circa cinque anni. - go-
la: bolgia.
125. mul: perchè bastardo. Al.: Perchè
ostinato come il mulo. Di costui An. Sei.:
« Fu uomo molto arrogante e superbo
e dileggiato[re]. E rannate con altri di sua
compagnia, in una chiesa che si chiana
s. Iacopo, imbolarono tutt* i paramenti,
calici, reliquie, e dò ohe vi trovare; e
poi le impegnarono per le mani di un
prete di loro, e poi l'aposono a uno no-
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[esse. 8. BOLO. 7]
Inp. xxiy. 126-188 [tanni pucci] 289
1X7
lao
133
13«
Bestia, e Pistoia mi fu degna tana. >
£d io al daca : « Digli che non mucci,
E dimanda qual colpa quaggiù il pinse ;
Ch'io il vidi uomo di sangue e di cniccL >
E il peccator, che intese, non s* infinse,
Ma drizzò verso me l'animo e il volto,
E di trista vergogna si dipinse ;
Poi disse: « Pia mi duol che tu m'hai còlto
Nella miseria dove ta mi vedi,
Che qaando fai dall'altra vita tolto.
Io non posso negar quel che tu chiedi:
In già son messo tanto, perch' io fui
Ladro alla sacrestia de' belli arredi ;
tak», e maBdarono nelt* o«n sii» a Aure
oereare, dioendo e iafamandolo ch'egli
TaTte ftirate. » - An. Fior.: « Et perchè
9^ era bestiale, fo chiamato Vanoi
hertia. » Secondo il Baed (o. e, 16) la
« torir^iite prima ore attlnaero totti i
chkieatori di Dante» è il aegnente rac-
conto ebe ai legge in on antico codice:
«Vaa«eePoccÌ Della Dolce, Vanne* Della
Monna et Vannee Mlronne pistorlenMO,
dvee Dophandi et hominee male conrer-
aationla et rito, contraete vemnt Inter ae,
deUberatione habiu et iottlgatione dia-
bolica, theeaaram beati lacobi demba-
re; qniboa de caoeis et enormitatibaa
AoHl et attqoi ftieront male Infamati et
iaealpaU. laier qooe tr^ Bampinut Alias
domisi Ranoeci de Forensibaa porteGui-
donia, et Senna oorregiarins et Paooloa
Giawiua Tectarine fberont agguati per
mnlta genera tormentorom. tjnns de
eia Karnupinus Alias domini Ranoeci ad
I dicebator dapmnari et tandem
I equi Tel mali et ad (tarcas
Orationibas faoiis ex parte et
prò parte ipsins, et Vannes Della Monna
predietiie ex delieto predicto ftdt captos
ia sacra septa maioris ecclesie qnadam
die prima quadragesima tune temporis et
hi fertia potestetis, tridelioet Giani Della
Bella de jnorentia, et eommonis Pistori,
qni iioaiinaTitmalelbotores,qai ad dictam
fartom eonsenseront; et flMere intende-
baat ezoepto AUo dlctl domini Rannooi
exeasando eandem qaod incolpabiUs ftie-
rat de peocatts dietis, onde gratia Dei et
Virglais eztiterat Uberatas. » La les. è,
^eete eolia fine, scorretta ed escara.
126. TÀMÀ. : àMtadone. La chiama cosi,
avendo chiamato so stesso bestia, la col
abitazione è ana tana. E la dice degna,
perchè albergo di aomini egnalmente be-
stiali : cfr. In/. XXV. 10 e seg.
127. MUCCI : scappi. « Dicesi tmueeiare
di una cosa ohe per la liscexsa esce di
mano, e ohe non si pad teiere forte, ansi
quanto più si stringe, più sguscia e scap-
pa, e fogge di mano »; Buonanni.
128. DIMANDA: Al. DIMAX DAL. - QUAL
COLPA : la domanda soppone ohe il fìirto
commesso dal Facci non fosse notorio ;
onde non sembra probabile che fosse im-
piccato, come affermano alcuni antichi.
129. DI CRUCCI: sanguinario e rissoso,
onde dovrebbe trovarsi non qui, ma nella
settima bolgia. Fu Vanni Facci parti-
giano furibondo di parte Nera, congiurò
contro Focaccia Cancellieri, uccise il ca-
valier Bertino e commise molte altre rio-
lenze. Al. UOM Qlk DI SAMOUK K DI COR-
BUCCI: cfr. Z. F., 151 e seg.
130. icoic s'iMFiHSi: non si dette ve-
mna cura di celare la cosa, né fa lento a
dirla senxa veran riguardo. Al.: Non Anse
di non aver bene inteso la mia domanda(f).
131. DKizasò : mi guardò attentamente.
« Con vertere animos acris oculosqoe tu-
lere Cnncti ad reglnam »; Tirg., Aen.
XI, 800 e seg.
132. TRISTA : diversa da quella « che Ik
l'uom di perdon talvolta degno », Purg.
V, 21. Non 8Ì vergogna del male, ma sol-
tanto di essere scoperto.
186. TOLTO : accenna per arventora a
morte violoita.
138. ROM POSSO: avendomi tu vedoto
qai nella bolgia dei ladri.
188. db' bblu t chiama la sagrestia di
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240 [CEBO. 8. BOLO. 7] InF. XXIV. 139-149
[VANNI PUCCI]
180
142
145
148
E falsamente già fa apposto altrui.
Ma, perchè di tal vista ta non godi,
Se mai sarai di fuor de' lochi bui,
Apri gli orecchi al mio annunzio, e odi :
Pistoia in pria di Neri si dimagra.
Poi Fiorenza rinnova genti e modi.
Traggo Marte vapor di Val di Magra
Gh' è di torbidi nuvoli involuto ;
E con tempesta impetuosa ed agra
Sopra Campo Picen fia combattuto ;
Ond'ei repente spezzerà la nebbia,
San Iacopo di Pistola, doTo si onstodir
▼ano 1 predoai arredi, ioeretHa de' beUi
arridi, oirooaorivendo con questa frase il
nome di Tetoro ohe essa sagrestia aveva.
Al. oostmisoono : J^ ladro é$'hiUi ar-
redi aUa mureetia. Cfr. Ciampi, loo. oit.
139. ALT&ui: a Rampino di Banacdo
Foresi.
V. 140-151. Sventura del Bianchi»
A sfogo della saa rabbia, Vanni Fncoi pre-
dice a Dante le calamità dei Blandii di
Firenze dal 1800 al 1302, o 1306. e dò
nell'intento maligno, e malignamente
espresso, di addolorare il Poeta.
140. TU : Bianco, oo' taci correligionari
politici. - GODI : goda ; cfr. Nannue., Ver-
bi, 289 e seg.
141. LOCHI: luoghi infernali; cfr. If\f.
Vin,93; XU, 86; XVI, 82.
143. DIMÀGBA: spoglia, spopola. Kd
1300 ayrenne ta divisione di Pistoia in
Bianchi e Keri; cfr. <?. ViU, VUI, 38.
Quindi nel maggio 1301 « la parte bianca
di Pistoia coli' aiuto e favore de' Bianchi
ohe governavano la città di Firense, nò
cacciarono la parte nera, e disfedono le lo-
ro case »; Q. ViU. VIU, 45. Cfr. Del Lungo,
Dino Oomp, 1, 190 e seg.; II, 115 e seg.
144. POI : nel maggio 1301 i Neri furono
discacciati da Pistoia ed il di d'Ognissanti
dello stesso anno Carlo di Valois entrò in
Firenze ; G. ViU. Vili, 49. - uinnova :
Corso Donati, sbandito, ritornò a Firen-
se, con alquanto seguito di certi suoi
amid e masnadieri a piò ; la parte bianca
ta invece cacciata da Firenze; O. ViU.
Vm, 49-50. Cfr. Del Luìigo, Dino Oomp.
I, 268 e seg.; II, 103 e seg. - modi : il go-
verno passò dalle mani dd Bianchi a
queUe dei Neri; O. VUI. Vili, 49.
146. Mabte : ca«o retto. - vatou : quar-
to caso. Moroello Malaspina, marchese di
GiovagaUo in Lnniglana, detto capitano
e duce dd Neri ^ Firenze nella loro
guerra contro Pistoia. - Vjll di Magra. :
ndla Lunigiana; d estende dalle valli
della Vasa sino al fiume Serohio.
140. CHI : qud vapore ; Moroello. - nu-
You : soldati Neri, turbolenti, da lai ca-
pitanati. - ihvoluto : droondato.
147. agra: orudde. « Chinnqneera pre-
so.... all'uomo era tagliato il piò, e Alla
donna il naso »; O. ViU, Vm, 82.
148. Campo Picbm: l'a^r^rPiMnia men-
zionato da Sallustio {OatU. o. 67), ohe
Dante, con altri suoi contemporanei,
identificò erroneamente coll'agro pistoie-
se. Cfr. Ba$i., 55-69 e nel Oiom. Dant. U,
390-94. Allude probabilmente aUa spe-
dizione dd Neri Fiorentini e Lnocbesi
contro Pistoia nel maggio del 1302. ohe
finì colla presa di SerravaUe, Q. ViU, VII l.
52. Baes., 159 e seg. Altri riferiscono
questi verd all' assedio ed alla presa di
Pistoia nel 1305 e 1306 ; Q. ViU. Vili, 82.
Altri affermano che nel 1302 Moroello
combatto contro i Bianchi e li disfece nel
campo Piceno o Pitoenu, - « Campo Pi-
ceno si ò luogo, ov' ò ora Firenze, ohe
cod d solia chiamare, e fiftceavid il mer«
cato e anche d dioea campo di Marte. B i vi
combatto messer Carlo con messer Coreo
Donati, e cacdonne ftaori i Cerchi oorae
Bianchi » (t); An. Sei. - « Picenns appel-
latus est campus apnd Pistorium, in quo
olim fuit debellatus Catilina » ; Benv.
Cfr., oltre i lavori dt. dal Base., Ola-
ricini Dornpaeher, A che /atto aUude
DanU nei vern 142 Bi dd 0. XXIV
deU'Inf., Padova, 1894.
149. Ki : il vapore ; Moroello. - bpkz-
ZRBÀ : romperà dalle sue nuvole awen-
tandod sopra i nemici in modo, che tutti
quanti i Bianchi ne avranno gran danno.
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[CBBC. 8. BOLO. 7] InP. XXIV. 150-151 -XXV. 1-7 [BESTEMMIA] 241
Si ch'ogni Bianco ne sarà forato.
151 E detto l'ho, perchè doler ti debbia ! »
160. FXBUTO: forlto; forma dell' oso 151. drbbia: debba, «quia ta es Al-
1^ antichi. Cfr. Nannue., Verbi, boa »; Ben». Al. tbn dkbbia. Cfr. Z. F„
383 e seg. 153. Nannue., Terbi, 598.
CANTO VENTESIMOQUINTO
OEBOHIO OTTAVO
BOLGIA SETTIMA: LADRI
CACO, CXHQUE LADRI FIORENTINI E LORO TRASMUTAZIONI
Al fine delle sue parole il ladro
Le mani alzò con ambedue le fiche,
Ondando: « Togli, Iddio, eh' a te le squadro ! »
4 Da indi in qua mi fur le serpi amiche,
Perch' una gli s' avvolse allora al collo.
Come dicesse : « Io non vo' che pia diche > ;
7 Ed un'altra alle braccia, e rilegoUo
Y. 1-0. Bestemmia punita. Appena 3. lk squadbo : le pongo in isqoadra,
tormifiato il maligno ano Tatioinio, Vanni le indirizzo, le fo a te. « Et aperait os
Faed et volge contro Dio stesso con un sanm in blaspberoias ad Denm, blasphe-
atto dlaoneeto di soherao, acoompagnato mare nomen elns » ; Apocal. XIU, 6. -
da parole sacrileghe. Immantinente an « Nello statato di Prato ohianqne fteas
serpente gli si avvinghia al collo e nn al- /ecerit tei montlraverit notes versus eoe-
tro alle braccia; quello gì' impedisce di lum vel versus figutam Dei o della Ver-
parlare. questo di tsx gesti si sconci. gine, paga dieci lire per ogni Tolta; se
2. FiCHS: atto sconcio e villano che si no. i^'ostato * ; Tom.
fs in dispregio altrui, ponendo il dito i. amiche: avendo prontamente pa-
groiso tra T indice e il medio piegati, e nito il sacrìlego bestemmiatore. «Idem
sporgendo il pngno ooA chioso verso chi velie atqne idem nolle, ea demnm firma
si vnd ingiariare. « In sa la rocca di amicitìa est », dice CatUina; in SaXhist,,
Carmignaoo {eatUOo dei territorio Pisto- De eoniur. OcitU., 20.
iese) avea una torre alta settanta brac- 6. dicbk; dica; forma antica, usata
da, e Ivi sa dna braccia di marmo, che anche in prosa, Cfr. Nannue,, Verbi, 577.
fiMeaoo le mani le fiche a Firenze » ; (7. 7. RiucaoLLO : lo legò di nnovo, come
FiB.yi, 5. Ctr.Narmue.fVerbi, 134 nt.4. ora giA legato prima di incenerirsi per
m.,Ver$.,230.Mazz.'Tos.,Voelepassi,12B. ridiventar uomo; cfir. Ir^. XXIV, 94.
^. — iXo. Oomm., 4» 9^,
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242 [CEBO. 8. BOLO. 7] Inf. XIV. 8-21
[CACO]
10
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Eibadendo so stessa si dinanzi,
Che non potea con esse dare un crollo.
Ahi, Pistoia, Pistoia, che non stanzi
D'incenerarti, si che pid non duri,
Poi che in mal far lo seme tuo avanzi?
Per tutti i cerchi dello Inferno oscuri
Non vidi spirto in Dio tanto superbo,
Non quel che cadde a Tebe giù da' muri.
Ei si fuggi, che non parlò più verbo :
Ed io vidi un Centauro pien di rabbia
Venir chiamando: « Ov'è, ov'è l'acerbo? »
Maremma non cred' io che tante n'abbia,
Quante bisce egli avea su per la groppa,
Infin dove comincia nostra labbia.
8.KIBADKND0 : fonuido 0 attraversando
le reni colla coda e col capo (ofr. Jf|A
XXIV, 05 e seg.) è aggruppando ooda
e capo dinanzi. Al. bibattbndo ; ofr. Z.
F., 153. Moore, Orit., 336 e seg. Una serpe
gli stringe il collo, peroliò pib non erotti
insolti; un'altra gli rilega le braooiat
perchè più non faccia le fiche.
9. ESSE: braccia, -dabb: fkre il me*
nomo movimento.
V. 10-15. Int>etHva contro Pistoia,
L' orrendo sacrilegio del Facci trae Dan-
te ad inveire contro Pistoia, patria di
esso Facci, esortandola a ridarsi in ce-
nere, piuttosto che produrre uomini sì
bestiali, che nemmeno nell' Inferno non
hanno pari.
10. CHE: perchè. -STANZI: determini,
risolvi. Cosi tutti, o quasi tutti i codd.
e oom. ant. La lez. che nok stai anzi
D'iMOBNBBARR (—perchè non cessi di
propagarti, condannandoti a perpetuo
celibato?), è inattendibile. Vedi però Fer-
rari, neir J5<rttria, febbr. 1851, p. 70.
12. SBMB: secondo la tradizione, Pistoia
fu fondata dagli avanzi dell' esercito di
Gatilina. Cfr. G. Vili. I, 82. Benv. Land.,
ed altri osservano, questa non essere che
una fftvola. Sta bene. Ma ai tempi di
Dante alla favola si prestava fede. -
AVANZI : superi, vinci. « ^tasparentum,
peior avis, tulit Nos nequiores, mox da-
tnros Progeniem vltiosiorem » ; Horat,,
Od, ni, VI, 46 e seg.
14. IN Dio: contro Dio. -TANTO: quan-
to Vanni Pucci.
15. NON quBL: è U lat. n« ilU <ruidem,
nemmeno colui, cioè Capaneo; cfr. Jt^.
XIV, 46 e seg.
V. 16-83. Caco, Beco un Centauro mo-
stro, tutto coperto di serpenti, che corre
dietro al Focoi, affocando chiunque in lui
si abbatte. È Caco, il figlio di Vulcaao,
l' uomo-satiro che abitava in una grotta
del monte Aventino e che con astuzia
rubò quattro buoi e quattro vacche della
greggia di Ercole. I muggiti delle vacche
rubate fìirono guida ad Ercole, il quale
andò alla grotta ed uccise il brutto la-
drone ; cfr. Virg., Aen. Vm, 193-267.
Questo Caco figura il ladroneggio ese-
guito colla forza e coli' astuzia. Virgilio
lo disse mezzo uomo; Dante ne fa un
orrido Centauro.
16. Bi: egli; Vanni Fncd. Al. quri. -
fuggì: vedendo da lungi venir corren-
do l'arrabbiato Centauro. Alcuni met-
tono r accento sul ti e spiegano : Quegli
se ne fuggi coA malconcio dai due ser-
penti, che non ebbe più modo di dir
parola.
18. L* ACERBO : r indomabile e superbo
nemico di Dio. Vanni Fuod e fa acerbo
et duro et salvatioo nomo » ; An. Fior.
« Tunc pater .Sneas procedere longius
iras Et scevire animis Entellum band pas-
sns acerbis » ; Ftr^., Aen, Y, 461 e seg.
19. MAREMMA: cfr. Jnf, XIII« 9 nt.
« Questa è una contrada di Pisa (0, po-
sta presso al mare, ove abbondano molte
serpi, intanto che aVadaè un monasterio
bellissimo, lo quale per le serpi si dice es-
sere disabitato » ; Buti.
21. iNFur : fino al basso delle reni, dov^
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[CSBC. 8. BOLG. 7] InF. XXY. 22-41 [LADRI FIORENTINI] 243
S3 Sopra le spalle, dietro dalla coppa,
Con Tale aperte gli giacea un draco;
E quello affoca qualunque s'intoppa.
35 Lo mìo maestro disse : « Quegli è Caco,
Che sotto il sasso di monte Aventino
Di sangue fece spesse volte laco.
28 Non va co' suoi fratei per un cammino,
Per lo furar frodolente eh' e' fece
Del grande armento, ch'egli ebbe a vicino;
SI Onde cessar le sue opere biece
Sotto la mazza d'Ercole, che forse
Gliene dio cento, e non senti le diece. >
u Mentre che si parlava, ed ei trascorse,
E tre spiriti venner sotto noi.
De' quai né io né il duca mio s'accorse,
37 Se non quando gridar: « Chi siete voi?»
Per che nostra novella si ristette.
Ed intendemmo pure ad essi poi.
40 Io non li conoscea; ma ei seguette,
Come suol seguitar per alcun caso,
flniMe U fomiA di ostaUo ed inoomincia lo. - bikck: bieche ; prave, ingiuste. Cfr.
qoello di noma- LABBIA: la forma umana. Nannuó., Verbi, 280, nt. 1.
23. COPPA : occipite, nnca. 33. CKNTO : percosse. - non sentì : es-
24. QUELLO : drago. > affoca : abbra- sondo forse già morto sotto i oolpi tre-
da. - s'intoppa : s'imbatte nel Centauro. mondi prima di averne ricevuti pur dieci.
-«Saper omnia Caci Spelnnoamadicinnt V. 3Ì-151. iMdri PiorenHni o ioro
■pi rantemqae ignibus ipsum»; Virg.,Aen. traaìnuttuHoni, Vengono tre «piriti Fio-
Vili» 803 e seg. routini : Agnello Brunelleschi, Buono de-
27. LAGO: sparse spesso tanto sangue gli Abati e Puccio Sciancato. Viene quindi
(degli armenti che rubava d'intorno e un quarto, Ciaufik Donati, in forma di ser-
quindi scannava) da formarne un lago. penteasei piedi, e s'incorpora in Agnello.
28. FBATEi : Centauri nel girone de' ti- Viene finalmente Guercio Cavalcante in
ranni; cfr. I/^. XII, 55 e seg. forma di serpentello, e trasmota natnra
29. FUBAB: Al. FUjrro. Per avere m- con Booso degli Abati. Cinque ladri Fio-
bato con astuzia le vacche ed i tori di routini, io cui trasformasloni sono incom-
Rrooie. Gli altri Centauri, mai /ratei, parabilmente mirabili ; ctr. v. 94 e seg.
Bon osarono astusia, ma soltanto forsa 81. parlava : Virgilio. - n : Caco. -
e violenaa. ~ frodolente : tirando il be- teascobsb : passò oltre.
I rubato per la coda, lo fsce oam- 35. tre : Agnello, Buoso e Puccio. -
asinare all' indiètro, aflincliè Ercole non sotto noi : sotto quel punto dell'argine,
polease aeguime le orme e scoprire il ove eravamo Virgilio ed io.
fiirto. Al. CHE FSODOLENTE FECE; cf^. 36. s'accobbb: non avendo ihtto at-
Z. F., 154 e seg. tensione che a Caco.
30. ARMENTO: che EroolecondusoedaUa 38. novella: il discorso tra noi due
Spagna dopo avere ucciso G^rione. - a cessò ; tacemmo per llsr attenzione agli
YicisO: in vidnansa. spiriti laggiù nella bolgia.
31. ONDE: per U qual ftirto fh>dolente, 40. bbguettk: segui, avrenne.
ebe indusse Sroole a oereario ed nodder- 41. sequttaìi: avveniro.
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244 [GEBC. 8. BOLG. 7] InF. XXV. 42-63 [LÀDBI FIOBENTINI]
Che r un nomare un altro convenette,
43 Dicendo : « Gianfa dove fia rìmaso ? >
Per ch'io, acciò ohe il duca stesse attento.
Mi posi il dito su dal mento al naso.
46 Se tu se' or, lettore, a creder lento
Ciò eh' io dirò, non sarà maraviglia.
Che io ohe il vidi, appena il mi consento.
49 Com'io tenea levate in lor le ciglia.
Ed un serpente con sei piò si lancia
Dinanzi all'uno, e tutto a lui s'appiglia:
52 Coi piò di mezzo gli avvinse la pancia,
E con gli anterior le braccia prese ;
Poi gli addentò e l'una e l'altra guancia;
55 Gli diretani alle cosce distese,
E misegli la coda tra ambedue,
E dietro per le ren su la ritese.
58 EUera abbarbicata mai non fue
Ad arbor si, come l' orribil fiera
Per l'altrui membra avviticchiò le sue.
61 Poi s'appiccar, come di calda cera
Fossero stati, e mischi&r lor colore ;
Nò l'un nò l'altro già parca quel ch'era;
42. UN ALTRO : Al. ALL* ALTRO. Al. l'uh 55. DiRKTANi : i piedi di dietro, Ticini
MOMUfAR l'altro. alla coda.
43. CiAiiTA: della nobile famiglia del 56. ambidue: le oosoe di Agnolo.
Donati (Petr. DarU. Io dice degli Abati). 58. bllrra : non vi ta mai oliera al te-
« Fa grande ladro di bestiame, e rompla naoemonte abbarbicata ad albero, come
botteghe e vaotava le camette > ; An. Sei. qaell' orribile serpente avvitiochiò le
Secondo 11 F«U., Cianfa ed i saoi compa- eoe membra a quelle dello spirito» « Ar-
gni, avendo in mano il governo della re- tins, atqne hedera procera adstringitar
pubblica, convertirono in nso privato le ilex, Lentie adhierens braohiis »; Horat.,
pabbliche entrate, onde qaesti Fioren- Epod. XV, 5. Cfr. Petr., 8on. 277 (li,
tini non sarebbero ladri ooranni. Cianfa 50). 7 e seg. Ariotto, Ori. VII, 29.
s* era trasformato in serpente a sei piedi. 59. fibra: «Omnia transformat seee
44.PBRcn'io:adendocbiederedi Cianfa in miracnla rerum, Ignemque horribi-
argomentò costoro essere Fiorentini, on- lemque feram »; Virg , Georg, IV, 441
de desidera di saperne di più. e seg.
45. su : atto naturale di chi chiede si- 61. s'appiocIr: s'attaccarono, sMnoor-
lensio. « Premit vocem digitoque silentia porarono come due pesci di cera riscal-
snadet » ; Ovid,, Mei. IX, 692. data. « Colla capntqoe flunnt ; oalido non
48. oomiBNTO: possa appena crederlo octus Austro Nix resolntacadit, nec so-
lo ohe r ho veduto. lem cera sequetur » ; Lncan,, Phan. IX,
49. OOM* IO t mentre io era tutto attento 781 e seg.
a riguardare quegli spiriti. 63. l'altro : colore. Dante dà agli splri-
^0. serpbntb : il trasformato CianCs. ti dannati non pur la /orma, ma anohe il
51. all' imo : ad Agnolo Brunelleschi, colore del corpo umano. « Bgliono si mi-
V. 08. sokiarono si 1 colori, il serpente collo api-
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[cna 8. BOLe. 7]
INF. XXV. 64-78 [LADRI FIORENTINI] 245
n
Come procede innanzi dall'ardore
Per lo papiro suso un color bruno,
Che non è nero ancora, e il bianco more.
Gli altri due riguardavano, e ciascuno
Gridava : « Ornò, Agnèl, come ti muti I
Vedi che già non se' né due né uno. »
Già eran li due capi un divenuti.
Quando n' apparver due figure miste
Li una faccia, ov'eran due perduti.
Fèrsi le braccia due di quattro liste ;
Le cosce con le gambe, il ventre e il casso
Divenner membra che non fur mai viste.
Ogni primaio aspetto ivi era casso :
Due e nessun Pimagine perversa
Parca; e tal sen già con lento passo.
zito • lo s^rito ool aerpente, ohe feoiono
QB tonu> colore » ; An, Fior.
64. rsocBOB: non altrimenti sa per la
carta eoi aiaai applooato il foooo, nn co-
lor brano precede man mano la fiamma.
6S.PAFIBO : oarta bambagina. Al.: IllO'
d^Mlo. Coil Ott., BuU, Land.,yeU., eco.
Ta^o fli^nifioa 1* ano e V altro {pavèr,
fmfèr per lucignolo yive tattora nei dia-
letti dèU* alta Lombardia). La aimiUta-
dàae aembra qui più evidente, prendendo
Tapiro nel aenao di carta.y edi però Mazz.
- Tm., Vod • poifi, 26 e aeg. Orete§mi,
AgrieoUura, 1. VI, o. 05. Oom. Lipt. 1',
431. n Mo9t.: « O oarta o Incignoio, la
iiaiiiitadlne va sempre bene. » Cfr. Ovid.,
3UL IV, 390 e aeg.
60. MOBX : aranisce, ai perde; non ò più
Umeo e non è ancor nero.
68. OMÈ: <rfmè.- Agnèl : Agnolo, Agno-
Mie. Dicono cbeoostai foaae Agnolo Bro-
■eaeeehi, di nobile famiglia fiorentina, il
quale, aalito ai primi onori della repnb-
Uica, ne distrasse le rendite a proprio
yvtttmgi^. UAn, 8eL ba alcane partico-
btfltà ohe non saranno di sna invensio-
ne: « Qoesto Agnello fU de' Branelleschi
di rinate i e inilno picciolo rotava la
bocsn al padre e a la madre, poi votava
la fnanntta a la bottega, e imbolava. Poi
da graade entrava per le case altrui, e
v«stiaai » modo di povero, e faciasl la
barba di Toochio, e però il & Dante così
tratfonDnre per H morsi di qaelio ser-
pente come fece per ftirare. »
69. Kft DUB: « oon dae, perchè on sol
oorpo ; né ano, perchè non avente figura
e individoalità o di solo serpente o di
solo nomo »; Di Siena,
72. PEBDun : misti, oonfbsi insieme in
modo da aver perdato la propria som-
biansa. Al.: Due dannati. Sra proprio
necessario di dirlo I
78. VÉB8I : si fecero, divennero. - di
QUATTBO: delle due bracda di Agnolo e
dei dae piedi anteriori del serpente. La
oonfbsionedei dae in ano incomincia dal
capo e si continoa giù per il corpo. lA'
tta, propriamente Inngo e stretto peaxo
di checchessia, chiama le braccia del-
l'aomo ed i i^edi del serpente.
76. PBiMAio: di prima, amano e ser^
pontino. - 0A86O : cassato, cancellato.
77. DUB: si scorgevano e non si scor-
gevano le due nature, dell' nomo e del
serpente. - pbbvkbsa : tramutata.
78. TAL : oofli orribilmente trasformata.
- D Diritto Bomano distingue tre specie
di ferto : in prima esso stabilisce una dif-
ferenaa tra le cose divine ed umane ;
quindi suddivide le cose umane in pubbli-
che e private. « Somma reram divisio in
doos artioulos dedudtur : nam ali» sunt
divini inris, alia» humani.... Qu»dam
naturali iure oommunia sunt omnium,
qusedam univerdtatis, qusedam nnllius,
pleraque singulorum.» Sembra che Dante
si sia tenuto a questa triplice pariisione.
Vanni Fucd, il ladro alla sagrestia, rubò
oose divine. Cianfa ed Agnolo occuparono
a quel che pare cariche pubbliche a li-
rense, rubarono quindi negli uflloi, cioè
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246 [CEEC. 8. BOLO. 7] Inf. XXV. 79-98
[LADRI FIOBBNTIKI]
70
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91
Come il ramarro sotto la gran fersa
De' di canicalar, caDgiando siepe,
Folgore par, se la via attraversa;
Cosi parea, venendo verso l' epe
Degli altri due, un serpentello acceso,
Livido e nero come gran di pepe.
E quella parte, donde prima è preso
Nostro alimento, all'un di lor trafisse;
Poi cadde giuso innanzi lui disteso.
Lo trafitto il mirò, ma nulla disse;
Anzi coi piò fermati sbadigliava.
Par come sonno o febbre l'assalisse.
Egli il serpente, e quei lui riguardava ;
L'un per la piaga, e l'altro per là bocca
Fumraavan forte, e il fummo si scontrava.
cose pabbliobe. GH altri tre Fiorentini,
ricordati in questo canto, ftirono, per
quanto ne sappiamo, ladri di cose pri-
vate. Qnindi la diversità della pena.
Vanni Facci arde al morso del serpente,
s' incenerisce e ridiventa nomo per su-
bire di nuovo il medesimo supplizio. La
sua pena ò per cosi dire un olocausto
etemo, ma senza espiazione. Cianfa ed
Agnolo si uniscono, si abbracciano, si
fanno uno in due ; figura stupenda degli
impiegati infedeli che si uniscono per de-
rubare lo stato. Oli altri rubano l'un
r altro r unica cosa che posseggono an-
cora, r umana figura ; ecco i ladri di cose
private, che rubano dove e ciò che pos-
sono ! Altri diversamente. Classe 1^ : La-
dri abituali, che rubano dove possono e
tutto ciò che capita loro nelle mani, nò
lasciano mai V abito di rubare. Classe 2^ :
Ladri « che eleggono quando donno fare
alcuno flirto, e alcuna fiata dubitano,
perchò distinguono lo male a che elli in-
corrono 9 : Lan., OU. e Classe 8^ : Ladri
che non sono abituati e non eleggono, ma
senza distinzione alcuna rubano quando
capita loro il destro, e non si pentono mai,
mai del ftarto commesso (f).
70. RAMABBO : specie di lucertola. « Ba-
marms est serpens communis in Italia,
qui alibi dicitur marro. alibi ragano: Bo-
noniffl vero dicitur liguoro, qui serpens
secandom quosdam appellatur stellio, a
quo denominatur orimen stellionatns in
iure oiTili, idest eztraordinarinm ; ideo
bene oompetit Airi » ; Benv, - fbbsa : dal
lai. ferveo, ardore. AL: Dal ]ai.fenUa,
fersa, o sferza.
80. CANTCULAB: giomi d' ostato, drca
dal 21 luglio al 21 agosto, nei quali la
costellazione australe detta Canicola, o
Cane maggiore, nasce col sole. - cah-
GiANDO: saltando da una in altra siepe.
81. PAB: attraversa la via con tanta
velocità che sembra una folgore. « Rum-
pat et serpens iter institutum; Si per
obliquum similis sagitt» Termlt man-
nos » ; Horat., Od. Ili, xxvn, 5 e seg.
82. L' BPR : le pance.
83. BREPBKTBLLO : Francosco Qneroio
Cavalcanti, v. 151. - acceso : d* ira, in-
furiato.
85. PABTR : 1* ombelioo ; per cui il feto
riceve alimento nel seno materno.
80. ALL* UN : a Buoso degli Abati { cfir.
V. 140.
87. CADDE : il serpentello cadde giù di-
steso davanti al trafitto.
89. FERiiATi: fermo sui piedi. - sbadi-
gliava: dioesi che il morso dell' aspide
addormenti prima di uccidere. Cfr. A»-
son negli Atti dell* Imp, Jt. litit. Veneto
di Scienze, ecc., tom. VI, sor. Ili, p. 864
e seg.
92. l' UK : il trafitto. - l' ALTBO : Il
serpente.
93. FUM MAVAN : « quod didt de fumo,
significat obscnritatem teraporis, qnam
ut noctem appetunt»; Petr, Dant, Ma
questo fumare potrebbe anche alludere
airincendio intemo della cupidigia, come
il riguardarsi vieendevolmente potrebbe
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tCBBO. 8. BOLO. 7]
InF. XXV. 94-108 [LADRI PIOBBNTINI] 247
9i Taccia Lacano ornai, là dove tocca
Del misero Sabello e di Nassidio ;
Ed attenda a udir qael eh' or si scocca.
97 Taccia di Cadmo e d' Aretnsa Ovidio ;
Che, se quello in serpente, e quella in fonte
Converte poetando, io non lo invidio ;
100 Che dae nature mai a fronte a fronte
Non trasmutò, si ch'amendue le forme
A cambiar lor materia fosser pronte.
103 Insieme si risposero a tai norme,
Che il serpente la coda in forca fesse,
E il feruto ristrinse insieme l'orme.
io« Le gambe con le cosce seco stesse
S'appicc&r si, che in poco la giuntura
Non facea segno alcun che si paresse.
•nodere allo sgnardo cupido del ladro
alla roba alimi. Inflitti il ladro Inco-
mineia dal trasfn^dire 11 precetto Non
e^mcnpUeeM e continua trasgredendo an-
che l'altro Furtum non/aeiea. - si scon-
trava : passando scambievolmente dal-
l' ano nell* altro ed operando così la tra-
■formasione delle dae natore.
04. LÀ. : Phar». IX, 761 e seg., dove
Locano racconta dei due soldati dell'eser-
cito di Catone, che nei deserti della Libia
farono morsi da serpenti : Sabello dal
serpente Sep$, il coi morso lo ridnsse in
cenere (1. e. 701-788) : Ksssidio dal ser-
pente Preater, il cai veleno gli gonfiò il
eorpo in modo, ohe gli scoppiò la cerasta
tUnd., 780 804).
96. SI BCOOCA : si racconta, si espone.
- « Quello che manda ftiori del sao arco,
parlando metaforicamente, lo ing^no e
Tarte saa»; GtUi.
07. Cadmo: cangiato in serpente; cfr.
09Ì<i.,JIM. IV, 563-603. -Abktuba: tra-
sformata in fontana ; <Md. Y, 572-661.
00. ROlC LO IHVIDIO: la metamorfosi che
io sto per descrivere, essendo di gran
Innga più stopenda che non qnelle da
lai descritte. ITn confÉ^nto accorato mo-
stra però, che Dante si giovò, e non poco,
di Lacano e di Ovidio.
100. DUK : r nmana e la serpentina.
« Oià s' intende che /orma nel llnygaaggio
scolastieo non significa l'esteriore con-
tomo e rilievo e apparenza de* corpi, ma
l'intima sostansa che tik essere gli oggetti
materiali e gli oggetti spirituali oiasche-
dano nella sna specie, quello appunto
eh* egli è. Intende dunque il Poeta: nelle
trasformasioni cantate da altri, l'una
forma, per esempio l' anima vìyente del-
l' nomo, prende la materia d' animale o
di pianta ; ma qui la forma del serpente
piglia il corpo dell' nomo, e a vicenda la
forma dell' nomo piglia il corpo della
serpe. Cotesto baratto subitaneo, cote-
sta concisione dalla quale riesce un di-
stacco si nuovo, è la terribilità del mi-
rabile che qui vuoisi notare »; Tom.
103. SI RISPOSRBO: si inflairono reci-
procamente, corrisposero l'una all'altra.
-A tai kobmb: nell'ordine seguente.
104. FR8BB: divise In due parti che
dovevano diventare le gambe e i piedi
d' un nomo. La confusione di Clanfo e di
Agnolo incomincia dal capo ; la trasfor-
mazione di questi due qui dalla coda e
dai piedi.
105. FRRUTO : forlto nell'ombelico, v.85.
e seg. DI/ctiUo per ferito cfr. Nannxtc.p
Terbi, 807.-l'obme: i piedi, l'effetto per
la causa, come i Lat. diÌBsero vettìgia per
pedet. Prima si uniscono 1 piedi, quindi
r anione si continua nelle gambe e nelle
cosce, in breve l' unione è compiuta;
piedi, gambe e cosce hanno preso la figu-
ra delia coda del serpente, la giuntura
delle gambe non si distingue più, nò ò
più possibile discemere ohe quella coda
ò formata da dne liste.
107. IK POCO: tempo; in un momento.
108. SI PARKSSS: apparisse, si potesse
discemere.
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248 [CBBC. 8. BOLO. 7] InF. XXV. 109-125 [LADRI FIORENTINI]
109
U2
116
118
121
124
Togliea la coda fessa la fignra
Che si perdeva là, e la sua pelle
Si faoea molle, e quella di là dora.
Io vidi entrar le braccia per T ascelle,
£ i due piò della fiera, eh' eran corti.
Tanto allongar, quanto accorciavan quelle.
Poscia li piò diretro, insieme attorti,
Diventaron lo membro che Puom cela,
E il misero del suo n'avea due pòrti.
Mentre che il fummo l'uno e l'altro vela
Di color nuovo, e genera il pel suso
Per l'una parte, e dall'altra il dipela,
L'un si levò, e l'altro cadde giuso.
Non torcendo però le lucerne empie.
Sotto le quai ciascun cambiava muso.
Quel eh' era dritto, il trasse vèr le tempie,
E di troppa materia che in là venne.
109. naURÀ : di piedi, gambe e ooeoe
d* nomo.
110. 81 PBRDBVA: 80omp*rÌY« per dar
luogo alla coda serpentiiia. - LÀ : nel-
r nomo. - SUA : del serpentello.
IH. MOLLK: oomo romana. - quella
DI Llt la pelle dell'uomo. - duea: sca-
gliosa, come quella de' serpenti.
112. BRACCIA: dell* nomo ; si accor-
dano entrando dentro le ascelle di lui»
e ne resta fuori solo quanta è la lun-
ghesxa de* piedi anteriori del rettile. Dal-
l' altro canto i piedi del serpente si allun-
gano alla misura delle braccia dell'uomo.
« Combibit 08 maculas, et qua modobra-
chia gessit, Crura gerit ; oauda est mu-
tatis addita membris »; Ovid., Met. V,
455 e seg.
115. PIE: del serpente. Continuando
la reciproca metamorfosi, 1 piodi di die-
tro del serpente si attorcono e prendono
la figura del membro virile ; nello stesso
tempo il membro virile dell' uomo si fen-
de in due parti, le quali pigliano la figura
dei piedi di dietro del rettile.
117. DUB : due membra, per formarne
le gambe di dietro serpentine. - pòrti :
sporti.
118. FUMMO: cfr. V. 03. «Il fumo, ema-
naxione dell* una e dell' altra natura, dà
U colore del serpe all' uomo, dell' uomo
al serpe •! Tom.
119. PEL: umano; capelli, barba, ecc.
121. L* UN : il serpente divenuto aomo.
- l' ALTRO : r uomo divenuta serpe.
122. NON TORCENDO : nou oosoando tut-
tavia di riguardar fissamente l'im l'al-
tro, Cfir. V. 01. - LUCERNE: OCOhl; «I«U-
oema oorporis est oonlus » ; Jfott. VI,
22. Degli occhi intendono tutti quanti
gli antichi sensa eccezione. Invece Bo$m^
« L' immagine è tratta da quelle laoeme
di cui valgonsi gli orefici nel saldar me-
talli, dalle quali traggono solchi di vam-
pa fbmosa di grande attività, come le
già descritte. Tutti intendono per lucer-
ne empie gli occhi empi ; ma a che prò
dire che nessuno di que' due torceva gli
occhi dall' altro f Indispensabile era però
r esprimere che nel loro duplice moto,
di cadere e sorgere, le correnti ftimose
non aveano perduto il preso cammino;
perchè sotto la loro attività ciascun de'
due cambiava muso; il quale muso, o
sia volto, resta solo in esso a cangiarsi. »
- EMPIE 1 « gli occhi crudeli del serpente
e scellerati del peccatore »; Barg.
128. MUSO : aspetto. « La faccia del-
l' uomo diveuìa muso di serpente, e '1
muso del serpente diveuìa fncoia d'uo-
mo » ; An, Fior.
124. QUBL : il serpente divenuto uomo.
-IL: il muso; ritirò il muso serpentino
verso le tempie, riducendolo alla fignra
del capo dell'uomo.
125. IN LÀ: verso le tempie.
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[CEBC. 8. BOLO. 7]
IHF. XXV. 126-141 [LADBI FIORENTINI] 249
127
130
1^
U«
1S9
Uscir gli orecchi delle gote scempie :
Ciò che non corse indietro e si ritenne
Di qnel soverchio, fé' naso alla faccia,
E le labbra ingrossò quanto convenne.
Qael che giacea, il mnso innanzi caccia,
E gli orecchi ritira per la testa.
Come face le coma la lomacoia;
E la lingoa, ohe avea unita e presta
Prima a parlar, si fende, e la forcuta
Nell'altro si richiude, e il fummo resta.
L'anima ch'era fiera divenuta.
Si fogge Bufolando per la valle,
E l'altro dietro a lui parlando sputa.
Poscia gli volse le novelle spalle,
E disse all' altro: « Io vo' che Buoso corra,
Com'ho fatt'io, carpon per questo calle. >
126. «J ORECCHI: AL LB OBBOOHIA. -
■csMPis : le gote serpentine non ayeyaao
oreechie. AL lilérràdo totmpie a ortc-
tkié iatendono: divise dalle gote, sporte
in toaA, come sono le ornane.
127. cab : la materia del mnso serpen-
ttoo 4die non al raooolse indietro a for-
mare le orecchie, si fé' naso umano.
128. ALLA FACCIA : Al. LA FACCIA. Ma
te/oma non fece il naso, ansi ciò eh*
non certe indUtro foce il naso dell' oma-
na ftoeia. JX r. seg. è prora provata che
qaeeto è l'intendimento del Poeta; che
non la faeda, A la maUria, ciò che non
oorm imdittro, ingrossò le labbra quanto
li csnTenne per prender figura di lab-
bra di nomo.
130. QX7B. : r nomo trasformato in ser-
122. FACS : fii. Cfr. Nannuo.» Terbi, 005
e aeg. -ujmaocia: lumaca; anticamente
andie in proea.
133. avba: l'uomo trasformato in serpe.
134. FOBCUTA : secondo le opinioni del
tempo. «lUe quidem rult plura loqoi,
sed lingua repente In partee «et fissa
daaa, nee verba yolenti Suflidunt, qno-
tiesque aUquoe parat edere questua, 8i-
bilat j hanc illi yocem natura reUquit »;
Oeid,, UéL rv, 680 e seg.
135. ALTBO: nel serpente trasformato
in nomo. > uchjudb! riunisce. - bista :
cessa, la duplice metamorfosi essendo
ormai compiuta.
187. SUFOLAHDO : fischiando a mo' di
serpe che ò diTcntato. B snfolando i la-
dri sogliono darsi Ticenderolmente il
Mgno.
188. SPUTA : atto proprio dell' uomo.
Al.: Manda bava dalla bocca, sputa la
▼elenosa bava di serpente oh' ei fo.
« Dante col contenersi alia proprietà del
serpente che wffÀanào JuQge, e a quella
dell'uomo chepar<<»fido epvJLa caratteris-
sa e dipinge con due semplicissimi tocchi
la natura dell' uno e dell' altro » ; Jfonti.
130. GU : al nuovo serpente. - hovel-
LB: testé formate.
140. all' ALTBO: al teno de' tre, Poe-
ciò Sciancato, che non era ancora tra*
sformato. - Buoeo : gli uni lo dicono de-
gU Abati Un. M., Lan„ Petr. Dnnt.,
<70lK, ecc.), gli altri dei Donati (Ott., FoZtfo
Boec.,Benv„Buli,An,Fior.,sèrrav,, ecc.)
da Tirense. Alcuni antichi non ne di-
cono nulla (Banthgl., Jae. Dant,, Ckut.,
Bwrg., ecc.), mentre i moderni Io cre-
dono degli Abati, supponendo che gli
antichi scambiassero questo Buoso cou
quel Buoso de' Donati, che Ai folsato da
Gianni Schicchi; cfr. Jt^, XXX, 82 nt.
Ma se Buoeo Donati era un ladrof - « In
ufficio et altrove, ayendo fatto dell'altrui
suo, non possendo più adoperare, o forse
compiuto r ufilolo, misse in suo luogo....
meeser Francesco, chiamato Ouerdo,
de' Gayalcanti » ; An. Fior.
141. CARPON : da serpente. « Super pe-
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1
250 [CBRC. 8. BOLO. 7] INF. IXV. 142-151 iLkDUl PIOBBNTINl]
142
145
148
151
Cosi vid^o la settima zavorra
Matare e trasmutare; e qui mi scusi
La novità, se fior la penna abborra.
Ed awegna ohe gli occhi miei confusi
Fossero alquanto, e V animo smagato.
Non poter quei fuggirsi tanto chiusi,
Ch'io non scorgessi ben Puccio Sciancato;
Ed era quei che sol, de' tre compagni
Che venner prima, non era mutato ;
L'altro era quel, che tu, Gaville, piagni.
otom tnnm gradleris »; Oen. Ili, 14. -
CALLB: bolgia.
142. ZAVOBBA: ghiaU meaoolata con
rena, ed anche altra materia pesante
ohe d mette nella sentina àella nave per
farla immergere quanto è necessario nèl-
r acqna, e renderla più stabile. Qui per
bolgia. Cosi Toc, Or. col pih. Ma la bol-
gia non si mata e trasmuta. Meglio Buo-
nanfU: « Dice zavorra il contenuto, cioè
gli spiriti ed i serpenti. » £ il GeJU: « La
tettima zavorra, cioò quegli spiriti che
sono in questa settima bolgia ; i quali ei
chiama zavorra, perchò ei sono il ripieno
del fondo di questa settima bolgia, e per-
chò la savorra di ohe si riempiono le na-
vi, ò sempre quella mercanzia, della quale
non è fistto mai troppa stima, e i ladri
sono sempre in obrobrio a ciascuno ».
144 PIOB: un poco; oft'. Purg. Ili,
185. -ABBOBaA: mette borra, una super-
fluità di parole. Al.: , Se il mio stile non
è fiorito; lo stile ò fiorito anche qui co-
me altrove. Al.: Se il mio linguaggio al-
cun poco erra; contro ▼. 94 e seg. Al.:
Se la penna abborre gli allettamenti
della fantasia. Sogni I Ha parlato di que-
sta bolgia assai più a lungo che non
delle altre; qui scusa la prolissitA colla
novità della cosa. La nuova Or. (Oloa.,
7b) : « Abobbabb e abbobb&br, Neutr.
Aberrare, Errare, Smarrì re,Confondersi.
Dal lat. abhorreré, ohe trovasi presso Ca-
tullo e Cicerone in un significato simi-
gliantissimo. » E il Betti : « Il Monti vuo-
le ohe abborra, o aborra, stia per aberra.
Ed ha ragione. Eccone un esempio nel
IHUamondo, Uh. V, cap. 12 : Loda U bat-
Ufmo, ed odi e' egli abobba: JHoe che
quatto V uomo /a peccato. Oh' al fiume
per lavarti toHo eorra. » Cfr. Blanc, Ter'
tueh, I, 233 e seg.
145. CONFUSI: per la vista di cose al
strane e spaventevoli.
146. SMAGATO : Smarrito, scemato dalla
sua attività ; cfr. Purg. X, 106 ; XZVII,
104.
147. QUEI: due rimasti. - CHiUBi : oc-
culti, nascosti.
148. Puccio Sciancato: de' Oaligai
da Firenze. « Fu cortese fhro.... 1 suoi
farti erano di die e non di notte, e se
era veduto, si si gabbava » ; Ood. Ma-
gliab. I, 30. - « Non erat bene aptns ad
fagiendum quando ibat cum aliis ad fti-
randum, quia erat dandus»; Benv.-
« Questi fh cavalieri e fu fiorentino co-
me li altri » ; BuH. Cfr. Vemon, Inf. II,
p. 478.
161. l*altbo: il serpentello che ferì
Bnoso e gli rubò la figura umana. Gner-
oio de' Cavalcanti « il quale dagli uomini
d* un castello di Firenae, nominato 6a-
ville, finalmente fu morto. Per la cui
vendetta molti del detto castello da quelli
di casa sua procedendo poi ne sono morti,
onde cotale pianto procede » ; lae. Dani.
- «Gaville è uno castello nel contado di
Firenze : or avenne che passando per
quelle contrade lo predetto messer Fran-
oesoo Cavalcanti di Firenee, ed avendo
odio verso quelli di quello luogo, elli tras-
seno a lui, e si r anciseno ; per la qual
morte tutti i Cavalcanti hanno odio a
tutti li Gavillesi, cioò quei di quello luo-
go, e funne morti infiniti, ed ancora non
ò stagnata tale onta » ; Lan. - « Questi
ò il detto messer Franoesco Cavalcanti,
che fa morto da certi uomini da Gaville,
ob'ò una villa nel Val d'Amo di sopra nel
contado di Firense, per la qual morte i
consorti di messer Francesco motti di
quelli da Gaville uccisone et disfbciono ;
et però dice TAnttore che per lui quella
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lesto. 8. BOLO. 8]
IKF. Ìr?T. 1-7 [CONTRO fibbnzb] 251
TQla «neor ne pUgne, et per le acoiue et
teetiuMudaiige et oondannAgioiii et acoi-
wmi di loro, che per qn«lla cagione ne
aegnitoTono, ohe bene piangono «noor»
ianorte di measer Francesoo » ; An,Fior,
Le Btease cose ripetooo altri oomm. antj-
^chi ; ofr. 3twiel. 874« -PlAONl! « non per
bene ohe ta gli volesti, ma per cagione
di tanti de' tool nomini, ohe ftirono morti
per Tendetta sna » { OMi.
CANTO VENTESIMOSESTO
CEKCraO OTTAVO
BOLGIA OTTAVA : CONSIGLIEBI PRODOLENTI
(Ciroonvoltl da nna fiamma)
ULISSE E DIOMEDE, VIAGGI E MORTE DI ULISSE
Godi, Fiorenza, poi che se' si grande,
Che per mare e per terra batti V ali,
E per lo Inferno il tuo nome si spande I
Tra li ladron trovai cinque cotali
Taci cittadini, onde mi vien vergogna,
E tn in grande onranza non ne sali.
Ma, se presso al mattin del ver si sogna,
T. 1-12. Invettiva contro JPirerufe,
Con amarissima ironia} Dante apostrolk
FI remxa, predicendole grave sventara ed
aogarandole che il male le piombi ben
presto addosso.
2. BATTI : voli famosa per mare e per
terra. « Erano allora i Fiorentini sparti
metto fìior di norenxa per diverse parti
del mondo, et erano in mare et in terra,
A che forse li Fiorentini se ne gloria-
vano • ; BuH.
3. n spjJTDK: Fiorentini se ne trovano
in qoasi totti i oerehi dell' Inferno I
4. cnrQUS: dei quali parlò nel C. an-
tecedente. Tre ne apparvero da prima :
Agnello Bmnelleschi, Baoso degli Abati
e dei Donati, e Pooolo Sciancato, dei quali
H solo che non fa cangiato di forma, era
PBoeio Sciancato. Gli altri due sono
Cianfì» Donati e Guercio Cavalcanti. I
Donati e Brunellesohi erano dei Neri,
gii Abati e Cavalcanti de* Bianchi ; efr.
O. ViU. VIU, 89; onde Dante mostra
anche qui, come tante volte altrove, di
aversi flktta parte per so stesso.
5. VKBGOOiCA : essendo lo pure Fioren-
tino. Cfr. Oonv. IV, 27.
6. ovBAifZA: orransa, onoranza.
7. DSL VRB: credettero gli antichi che
i sogni prMso al mattino annunciassero
infallibilmente l'avveniro. «Kamque sub
auroram iam dormitante Lucina, Tem-
pora quo cerni soronia vera solent » ;
Ovid., Heroid. XIX, 196 e seg. « Venit
ad me tali voce Quirinus, Post mediam
noctem visus, quum somnia vera»; Ho*
rat.. Sol l, X, 82 e sog. Cfr. Purg. IX,
19 e seg. Sembra ohe Dante finga qui
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252 [CEBO. 8. BOLG. 8] InF. XXVI. 8-16
[CONTRO FIBBNZEl
10
13
16
Tu sentirai di qua da piociol tempo
Di quel ohe Prato, non oh' altri, t'agogna:
E se già fosse, non saria per tempo ;
Cosi foss'ei, da che pur esser dee!
Che più mi graverà, oom' più m'attempo.
Noi ci partimmo, e su per le scalèe
Che n'avean fatte i borni a scender pria.
Rimontò il daoa mio, e trasse mee;
E proseguendo la solinga via
di arer veduto In sogno sai mattino le
calamità da Ini vatioinate alla patria.
8. BXirmui: prorerai. «Celestum vis
magna inbet. Bez ipee Latinns, Ni dare
ooningiom et dioto parere Attetnr, Sen-
tiat et tandem Tnmnm experiator in
armls »; Virg,, Am, YII, 482 e s^. -
DI QUA: in breve, tra non molto.
9. QUBL: male. - Prato : 1 più inten-
dono dei Pratesi, allora sndditi dei Fio-
rentini e malcontenti del loro governo ;
altri del cardinale Kiooolò di Prato che
nel 1304 scomunicò e maledisse 1 Fioren-
tini { ofr. <?.7<I{.VIII, 69. - ALTBI : i tuoi
nemici, « dcnt pisani, aretini, et alU mol-
ti »; Benv. Al. intendono del cardinale
Kapoleone degli Orsini, il quale nel 1800
scomunicò e maledisse da capo i Fioren-
tini; cfr. G. Vm. Vni, 86.
10. SB Oli : se le sventure ti avessero
sin d' ora colpita non sarebbe troppo pre-
sto. Allude forse alla micidiale rovina del
ponte alla Carraia, O. YiU. Vili, 70 ; al
terribile incendio del 1304, O. VOI. YIU,
71, e ad altre sciagure che colpirono Fi-
rense dopo il 1800.
11. così: fosse già avvenuto, essendo
inevitabUe!
12. m' attempo : invecchio ; « quia peo-
oatum impnnitum multiplioatur et au-
getur » ; Benv. - « Certo mi graverà mag-
giormente col crescer de' miei anni ! Per-
chò, crescendo ancora le mie disgrasie, io
mi troverò più inabile d'ora a sopportare
questadisgrasia grandissima, essendo già
abbattuto fieramente dalle altre » ; Betti,
Cfr. Blane, V^rnteh I, 236 e seg.
y. 18-^8. Za pena dei consiglieri
frodoìenH* Per )a medesima via onde
discesero, i Poeti risalgono sullo scoglio,
lungo il quale proseguendo il cammino
giungono all' ottava bolgia che tutta ri-
splende di fiamme, ciascuna delle quali
diiude un peccatore, ohe fta malvagio
consigliere. I loro consigli ftarono scin-
tine che produssero più o meno grandi
incendi. Le fiamme sono aoate in punta,
figurando quelle loro lingue ohe prodoa-
sero scintille, le quali si feoero poi in-
cendi. «Bcce qoantus ignis qnam ma-
gnam silvam inoendit f Et lingua ignis
est»; Bp. S. lac IH, 6-6.
18. PARTIMMO ; dalla riva dell'argine
ottavo, dove eravamo discesi per poter
discemere gli abitatori della settfana bol-
gia, cfir. I^f, XXrV, 70-81, e dove ave-
vamo le ombre »oUo noi, XXV, 86. -sga-
LÈB : ordine di scale. Rimontammo sa per
quelle sporgense di scoglio che ci ave-
vano servito di scala a scender giù.
14. 1 BOBNi : le sporgense, i rilievi dello
scoglio. Così i più. «Borni propriamente
sono cose sporte in fuori, A come erano
quelle pietre sporte flxori della ripa » ;
Cast. Alcuni diversamente. Leggendo
raoBNi Lan. e Coti, spiegano: Freddi e
stanchi; l'An. Fior,: Gombi e chinati,
come va chi a tentone scende. Leg-
gendo BORNI, Benv.: Abludnatos; Land.,
FeU.: AbbagUati et di cattiva vUta ; per-
ciocchò borni in Bolognese significa que-
sto (f). Secondo lo Stigliano la voce fromfo
vale bemoeeolo, bitorzolo ; e Dante vuol
dire ohe nello scendere si era ftttto dei
bitorsoli e dei bernoccoli per le mani e
per li piedi e per altre parti del corpo.
Butif Barg. Br. B., ecc. leggono: chi
IL BUIOB (il gran buio, ctr. XXIV, 70 e
seg.) m'avrà fatto bckmder pria. Cfr.
ParenH, EteràJUu. fiiol. XII, 28. Z. F„
159 e seg. Tiani, Lettere filol. e erit., Bo-
logna, 1874, p. 812 e seg.
15. MBK: me; forma antica e dell' uso
poetico. Cfr. Nannue., Yoei, 66 e seg. -
« Mehe quoque prò me apud antiquos,
tragedlarum precipue scriptores, in ve-
teribus libris invenimus »; Quintiliano,
I, 6.
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[CBEC. 8. BOLO. 8]
iNF. XXVI. 17-82 [C0N8. FRODOLBNTI] 253
Tra le schegge e tra' rocchi dello scoglìO|
Lo pie senza la man non si spedia.
19 Allor mi dolsi, ed ora mi rìdoglio,
Qoand'io drizzo la mente a ciò ch'io vidi ;
E pi& lo ingegno affireno ch'io non soglio,
a Perchè non corra che yirt& noi gnidi :
Si che, se stella buona o miglior cosa
M'ha dato il ben, ch'io stesso noi m' invidi
25 Quante il yillan che al poggio si riposa,
Nel tempo che colui che il^ mondo schiara.
La faccia sua a noi tien meno ascosa,^
38 Come la mosca cede alla zanzara.
Vede lucciole giù per la vallea,
Forse colà, dove vendemmia ed ara;
n Di tante fiamme tutta risplendea
L'ottava bolgia, si com'io m'accorsi.
efr. Fwrg, IV, 88. - hon bi
1 ai ttoòvm pMso senuT Aiuto
. Sempre più «rti e malagevoli
gH aeog:!! quanto più Tieini al oentroi '
efr. In/. XVIU, 70; XTX, 180 e a^.j
XXIV, 81 e seg.
18. MI DOLSI : alla vista. - MI BIDOOLIO :
rfeordmiifdomfliie. - < Fa attento il lettore
eoa queste parole della novità e della
paadecaa della pena, che dee dire d*aver
veduto in questa ottava bolgia, dicendo
cbe egli feee e fi» profitto ano dell' altra!
male» in utmr maU la bontà dello 'nge-
g»9 infiiao in lai dalle stelle o da Dio »;
OuC I>oveva, e probabilmente voleva
dtre in moh tMor nuUé.
21. AFnuENO : tengo in freno più del
soBto, avendo veduto come sono puniti
eoloro ebe, dando astuti e mali consigli,
feeetro àbneo dell'ingegno. « Fatto esper-
to dal male altrui, mi studio di volgere
r ingegno al bene »; Pom.
2S. STKLLA : influenza de* pianeti. - mi-
oooK: la grasia divina.
24. BEM : ingegno. ~ mvmi : abusan-
« Qui sfbi invidet, nihil est ilio
et base redditlo est maUti» il-
i>;JBM. XIV, 6.
25. QUABTS: Al. QUALI, QUANDO; ofr.
Moon, OrU., 837 e seg. « H sentimento
q«i espresso è il seguente: Quante luo-
cteie vede il villano in tempo di state,
e sai far della sera, dal eolie in cui si
riposa, giù nella valle ove ha forse la
sua vigna e il suo eampo; tante fiam-
me io vidi splendere in tutta l' ottava
bolgia, siooome io mi accorsi, tosto ohe
fai alla sommità del ponte, da dove il
fondo era visibile. Ha per dir ciò si vale
il Poeta di vaghe perifrasL Seco le sosti-
tosioni; in tempo di state: nàl tèmpo
eks eolui ehé U numdo iohiaru (il sole)
la faceia ttta a noi Hen meno anosa. -
Come fa sera : Cfome la motea cedo alla
zanzara; perchò in quell'ora quest'in-
setto sbuca e quello si ritira. - Ove ha
forse la sua vigna e il suo campo :/or«0
oolà dove vondommia ed araj perohò dai
residui della trebbia e della vendemmia,
impinguati di umidità, sogliono svilop-
parsi molte lucciole »; Roet.
23. TEMPO : solstlsio estivo. - COLUI :
il sole; efr. Purg. XXUI, 120.
28. COMB: sull'imbrauire, quando le
mosche si ritirano e vengono le «an-
sare.
29. YXDB: CkMtr.: Quante.... vede.... Di
tante.,.. "YALLtULi vallata.
80. FOBSB : ooiA tutti. Z. F. aSO e seg.),
deridendo questa les., vuol leggere far-
si. - vendemmia ED ARA: le due princi-
pali opere del contadino; oonfr. I^f,
XX, 47.
81. BiBFLENDEA: lucova. « Cetcra con-
fnsieqne ingentem dedis aoervum Keo
numero nec honore cremanti tunc un-
diqne vasti Certatim crebris oonluoent
ignibus agri »; Virg., Acn, XI, 207 e sog.
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254 [CEBO. 8. BOLG. 8] INF. XXVI. 83-48 [PENA DEI C0N8. FROD.]
34
37
IO
43
40
Tosto ch'io fai là 've il fondo parea.
E qual colui che si vengiò con gli orsi.
Vide il carro d'Elia al dipartire,
Quando ì cavalli al cielo erti levòrsi,
Ohe noi potea si con gli occhi segaire,
Che vedesse altro ohe la fiamma sola,
Si come nuvoletta, in su salire ;
Tal si movea ciascuna per la gola
Del fosso, che nessuna mostra il furto.
Ed ogni fiamma un peccatore invola.
Io stava sovra il ponte a veder surto
Si, ohe s'io non avessi un ronohion preso,
Caduto sarei giù senza esser urto;
E il duca, che mi vide tanto atteso,
Disse : « Dentro dai fochi son gli spirti :
Ciascun si fascia di quel ch'egli è inceso. »
33. Li : tair arco del ponte. - fondo :
dell' ottava bolgia. - paria : appariva.
84. COLUI : il profeta Eliseo. « Camqae
aaoenderet per viam, paeii parvi egreesi
sont de oivitate, et illndebant ei, diceo-
toa: Asoende calve, aaoende calve. Qui
oom re«pexi8aet, vidit eoe, et maledixit
eis in nomine Domini: egressiqae snnt
dao urei de salto, et laceravenmt ex eis
qaadraginta daos paeros »; IV Reg. II,
23-24. -VBNQIÒ: vendicò.
85. CABRO: « Ecce oorros Ignens, et eqni
ignei divisemnt atmmqne : et ascendit
Elias per torbinem in ooelam. Blisens aa-
tem vldebat et clamabat: Pater mi, pa-
ter mi, cnrms Israel et aariga eins»;
IV Beg. IT, 11-12.
36. LBVÒB8I: si levarono.
37.8BauiBB: « Ooalisqaeseqanntnr Pai-
veream nnbem »; Virg., Aen, VIII, 592 e
seg. « Perlegere anlmis ooaliaqne seqaa-
cibna aoras »; Stat., Theb. Ili, 500.
89. iruvoLETTA: ofr. VUaK., 23. Oam,
II, 57 e seg.
40. TAL: qual Eliseo vide il carro. -
CIASCUNA: di quelle fiamme, y. 81.
41. IL FUBTO : il peccatore che vi ò
dentro. Colla prima simili tadine vnol mo-
strare quanto grande fosse il nomerò
delle fiamme ; colla seconda come gli ap-
parivano. Come Eliseo non vedeva altro
che la JUamma Boia, v. 88, così il Poeta
non vedeva che fiamme ; e come qnella
fiamma veduta da Eliseo nascondeva il
profeta Elia, cosi le fiamme ohe Baule
vedeva nascondevano ognuna un pecca-
tore. « L'esser nascosti gli spiriti, Tea-
ser profonda la bolgia, talché Dante do-
vette porsi al sommo dell'arco per ve-
derne il fondo, esprime il solito oonoetto
di fh>de cupa e celata »; Rou.
48. 8UBT0 : ritto sul piedi e sporto col-
la persona In su la bolgiaf onde, se non
mi fossi tenuto ad un masso dello sco-
glio, sarei cascato gih, sensa esser urto,
cioè urtato, spinto da altri ; cftr. v. 69.
46. ATTESO: attento a mirare quelle
fiamme, o fochi,
48. SI FASCIA t « ciascuno di quegli spi-
riti ò fasciato da quella fiamma che l'arde,
fa. ohe ciascuno ha una fiamma che il cir-
conda, separata dalle altre »; Barg. -
QUEL: fuoco. - iNClfiSO ; acceso.
V. 49-75. xnU8€ 0 IHomede, Ecco
una fiamma a due punte! Là dentro
sono puniti due eroi greci della guerra
di Troia: Ulisse, re d'Itaca, e Diomede,
figlinolo di Tideo. Sono in nna fiamma
medesima « perchè uniti all'agguato e
alla strage di Reso (Virg,, Aen, I), e al
furto del Palladio, violento insieme e sa-
crilego e fìrodolento (ibid. H). Ma la
fiamma va divisa in due punte, siccome
quella che arse i cadaveri de' due fra-
telli per il regno nemici ; e questo per-
chè gli uomini acuti al male si dividono
tosto o tardi in so stessi, e, se forsaU
a star pure insieme, cotesto è oonttnno
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[CRC. 8. BOL0. 8]
Inf. xxyi. 49-62 [ulibsb e Diomede] 255
56
58
« Maostro mio, » rìspos'ìo, « per udirti
SoD io più certo ; ma già m' era avviso
Che cosi fosse; e già volea dirti :
Chi è in quel fuoco, che vien si diviso
Di sopra, che par surger della pira,
0 v' Eteòcle col fratel fu miso ? »
Bisposemi : « Là entro si martira
Ulisse e Diomede, e cosi insieme
Alla vendetta vanno come all'ira;
E dentro dalla lor fiamma si geme
L' agnato del cavai, che fé' la porta
Ond'usci de' Romani il gentil seme.
Piangevisi entro V arte, per che morta
Deidamla ancor si duol d' Achille,
toniMBto. Il «omo della iUunma ove gd-
me UliMe è maggiore, perehò Diomede
più violento partecipò a Udane delle
trame di qv^lo ; ma Ulisee, ohe da Virgi-
lio è por ehiamato diru$ e itumu, ordiva
le trame : e altre ne ha di ene proprie, co-
me la morte di Palamede ( Virg.. Aen. Il),
e l'ingaano con coi scoperse Achille, ve-
stito da donna, e lo tolse ali* amore di Dei-
damla per oondnrlo alla guerra»; Tom.
49. PKB UDIRTI: dopo aver ndito le
tue parole.
50. M*KBA AVVISO: lat. miM v(»um
enUi m'era già immaginato.
58. DIVISO : « Eooe iteram tntrea : pri-
mo* at conUgit artos Ignis edax, tre-
moere rogi, et novos advena bnstis Pel-
Btar; eznndaat diviso vertice fiamme,
iUtemoaqae apioes ahrapta luce ocra-
■eaat -, Btat., Theb, XII, 43i) e seg. -
« Seinditar te partes, geminoqne caca-
mia» sargit, Thebanos imitata rogo* »;
Luean,, Phars. I, 551 e seg.
63. DI SOPILA: in cima. -piRi: rogo.
64. pbatbl: Polinice. Fratelli gemelli,
Agii di Sdipo e di Oiooasta. Costrinsero
Edipo ad esiliare da Tebe, onde qaesti li
m siedi ime, augurando loro nimidsia eter*
na iApoUod, III. 5, 9. Paut. IX. 5). I dne
geneUi si accordarono di regnare cla-
■oiuM alla sua volta per nn anno; ma.
soorao H primo anno, Eteòcle non volle
cedere 0 regno al fratello (ApoUod, III,
«. 1. FoMf. IX, 6. £urip,, Phaen., 71).
Polteiee si recò qnindi nell*A.rgolÌde, vi
spofld Ar^, Hglia del re Adrasto, i itomò
oon dnqne re Argivi ad assediar Tebe,
s'incontrò col fratello e si acdBero 1* nn
l'altro. Posti i cadaveri snllo stesso rogo,
la fiamma si divise in dae. Cfir. Diod. 8ie.
IV, 6, l.EuHp., Phcm,, 65-80 e 1368-1433.
8t4U„ Theb. XII, 439 e seg. -uibO: mesAo,
posto, collocato. MUo per imito osarono
gli antichi anche in prosa; otr. Nannuc.,
Terbi, 391 nt. 7. Yoei, 67 e seg.
57. vbnubtta: divina; alla pena.- al-
l'ira: divina. Furono oniti a provocate
l'ira di Dio, sono uniti ad esperimentarne
gli effetti. Al. intendono della propria
ira dei due, a sfogare la qnale corsero
insieme. -« Vanno insieme alla pena, co-
me insieme corsero alla colpa, poiché la
vendetta divina non divide coloro che da
ira dolorosa furono congiunti a danno al-
trui •; Rose.
58. SI OBMB : si piange. « Amyci casum
gemit»; Virg., Aen. I. 221.
59. GAYAL: di legno, per cui i Greci
entrarono in Troia ed Enea co' suoi com-
pagni ne uscì per recarsi poi nel Laido e
fondarvi Boma; cfr. Virg., Aen. II. Dante
sembra supporre, ciò che Virgilio non
dice, che Enea uscisse da Troia per la
medesima apertura per la quale fta intro-
dotto il cavallo di legno. Comunque siasi,
l'astuzia del cavallo di legno fu la cansa
ohe Enea lasciò Troia e venne in Italia.
02. Dbidamìa: eglia di Llcomede re
di Sciro, sposa di Achille, che grazie alle
astuzie di Ulisse e Diomede, la abban-
donò per prender parto alla guerra di
Troia, Cfr, Par^. XXir 114.
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256 [CEBC. 8. BOLO. 8] InP. XXVI. 63-76 [ULISSE E DIOMEDE]
64
«7
70
78
76
E del Palladio pena vi si porta. »
« S' ei posson dentro da quelle faville
Parlar, » diss'io, € maestro, assai ten prìego
E ripriego, che il prìego vaglia mille,
Che non mi facci dell'attender niego,
Fin che la fiamma cornuta qaa vegna:
Vedi che del desio vèr lei mi piego. »
Ed egli a me : « La tua preghiera è degna
Di molta lode, ed io però l'accetto;
Ma fa' che la tua lingua si sostegna.
Lascia parlare a me, ch'io ho concetto
Ciò che tu vuoi; ch'ei sarebbero schivi,
Perch'ei fur Greci, forse del tuo detto. »
Poi che la fiamma fu venuta quivi.
68. Palladio : nctXXdbtov, statoa di
Pallade Atena oonserrsU a Troia, dalla
coi custodia ti credeva che dipendesse
la salate della dttà, rapita poi con asta-
sia da Ulisse e Diomede; ofr. QuirUui
Sm^m, X, 855 e seg. Virg., Aen. n, 166
oseg.
66. BIPBIKOO: lat. etiam atqué etiam
rogo. Al. psboo - bipbbgo - hbgo ; cfr.
Z. F.f 162. -VAGLIA: mi valga presso te
per mille prieghi.
67. Niioo: negativa} ohe noQminle-
ghi di aspettare.
69. VEDI: come ta vedi, il gran desi-
derio dì udirla parlare mi spinge a pie-
garmi verso quella fiamma. Dai versi
seguenti risalta ohe Dante aveva il de-
siderio di interrogare Ulisse sulle ultime
sue vicende.
70. dkoma: perchè nata dal naturai
desiderio di sapere; Oonv. I, 1.
72. SI BOSTKOif A : si astenga dal par-
lare; doè, taci.
78. HO CONCBTTO : ha già compreso ciò
che ta desideri da loro.
74. SCHIVI I sdegnerebbero per avven-
tura di ascoltarti e di risponderti. Cau-
sa t Perch*éi /ur Gredl « E come Greci
superbi, e come nemici ddla città da cui
sorse r impero che il Ghibellino vagheg-
già »; Tom. Ma allora avrebbero dato
molto meno ascolto a Virgilio, non Greco
e cantore per l'appunto di quell'impero.
OU., Beno., An. Fior., ecc.: Perchè Vir-
gilio sapeva di greco, Dante no. Ma Vir-
gilio parlò lombar4o, non greco; ofr. Inf.
XXVII, 20-21. Lan.: « Sili furono per-
sone di grande stato nel mondo; Ibrse
che dlspregerebbeno te, però mai non
ebbene ragione alcuna d'esserti dome-
stici; ma io che scrissi nel mio volame
di loro, meritai per quello sua amlsta-
de. » Interpretazione confermata dalle
parole che Virgilio dirige ai due Greci,
V. 79 e seg. - Serrav.: « Isti erant obli-
gati Virgilio, quia ipso scripserat de ipeis,
et dederat eis perpetuam flunam.»~F«tit.:
« perchè, siccome greci dotti ed altieri,
avrebbero forse sdegnato di rispondere
e soddisfare all' interrogaadoni fitte da
Dante, uomo allora né per letteratura
né per altro pregio ftamoso. » CoflI pure
Lomb. e parecchi altri moderni.
V. 76-142. Vioffgi « morte di ÌTlUse.
Avendo indovinato V ardente desiderio
di Dante, Virgilio scongiura l'ombra di
Ulisse, nascosta dentro dalla fiamma, di
narrare la storia della sua morte. Segue
qnindi il relativo racconto, diverso assai
dalla tradisione omerica; cfir. Hom., Od.
XI, 121 e seg. Sembra che Dante attin-
gesse ad un'altra tradisione, accettata
da Plinio e da Solino ed accennata già
nell' 0<2i«#sa (XI, 110 e seg.), seoondo la
quale Ulisse intraprese un seoondo viag-
gio e fondò la città di Lisbona, detta per
ciò CnUtipo. I particolari poi del via^j^io
e della misera fine di Ulisse sono proba-
bilmente propria invenslone del Poeta.
Cfr. Blane, Vertuch, 241 e seg. Orion nel
Propugnatore III, i (1870), p. 67 e seg.
Sopra alcune idee moderne cfr. Qrmxia-
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[ODO. 8. BOLe. 8]
Inf. xivi. 77-94
[ULI88E] 257
SS
88
91
Dove parve al mio duca tempo e loco,
In questa forma lui parlare anelivi:
« O voi ohe siete dne dentro ad un foco,
S'io meritai di voi, mentre ch'io vissi,
S'io meritai di voi assai o poco,
Qnando nel mondo gli alti versi scrissi.
Non vi movete; ma l'nn di voi dica,
Dove per Ini perdnto a morir gissi »
Lo maggior corno della fiamma antica
Cominciò a crollarsi, mormorando,
Pur come quella cui vento affatica;
Indi, la cima qua e là menando.
Come fosse la lingua che parlasse,
GKttò voce di fuori, e disse : « Quando
Mi diparti' da Circe, che sottrasse
He più d' un anno là presso a Qt^ta,
Prima che si Enea la nominasse ;
Né dolcezza di figlio, nò la piòta
ni. Allégoria, 238 e Mg. PorUa, Nuovo
ttferimento, 131 e aeg. Oomrn. Lipt. I',
451.
77. Dovx: bastantemente vioina.
78. AUDiTi: adii; forma antica del-
r oso. Cfr. Ifannue., Terbi, 161 e seg.
81. MBftiTAi: mi acquistai qualche me-
rito mppo voi. È il Virgiliano: « Si be-
ne qoid de te memi »( Aen, IV, 317. -
FOCO : « loqnitar yereconde, cnm tamen
maltum memerit »; Bent. - « Kon sem-
pre Vir:gilio parla odiosamente di loro ;
ad ogni modo li rese immortali »; Tom.
82. TBB8I: VBneide, detta altroye aita
tragedia, XX, 118. H Tàego : « Credo io
ebe Virgilio inganni qni Ulisse fingendo
di essere Omero. » Ha Virgilio non parlò
greeo, parlò lombardo ; XXVII, 20-21.
83. L*inr: inisse. La dimanda non am-
metterà eqnlYOCo.
84. PES LUI : come Iikf, 1,126. Do7*egli,
SBoarritosi, andò a finire 1 saoi giorni.
86. MAoaiOB : Ulisse, più fismoso di Dio-
mede. - AHTICA : 1 due ai troTayano là da
oltre ventiquattro secoli.
86. CBOLLABai : « qola Hngna latens in-
tednfl primo morebatar sed non Tideba-
tar , et ibciebat animi confosom sonom »;
Beno,
87. AnrATiOA: agita e combatte; come
se soffiando e risoffiando la aflktioaase.
17. — iXf . Oomm., 4» ediz.
«Aqoilonibos Querceta Qargani labo-
rant »; Horat., Od. II, ix, 6 e seg.
91. CiBCH : Kt'pxn» figUa del Sole e di
Persa, la ftunosa maga, presso la qaale
Ulisse ai formò an anno intiero; cfr. Hom.,
Od, X. 210 e seg. Virg.,Aen. VII, 10 e seg.
Horat., Epod. XVII, 15 eseg. Purg. XIV,
42. - S0TTBAB8B; mi celò, mi nascose.
92. Li: presso il monte Gircelo, tra
Gaeta e Capo d'Anzio.
93. FRIMA : Enea la cbiamò Gaeta dalla
saa nndrice Oaieta, qaivi morta e sepolta.
« Tu qaoqae litorlbas nostrìs iBneia nn-
trix, ^temam moriens fomam, Caleta,
dedisti; Et nnncserratbonos sedem toas
oasaqoe nomen Hesperia in magna, si qoa
est ea gloria, signant »; Virg,, J^n. VII,
1 eseg.
94. DOLCEZZA : il desiderio di acquistar
esperlensa del mondo la vinse sai tre più
forti affetti di natara: amor figliale, amor
coniogale, amor paterno. « Kec mihi iftm
patriam antiqaam spes nUa videndi Neo
dnloes natos exoptatamqae parentom »;
Virg., Aen. II, 187 e seg. Cfr. ibid. IV, 82.
Secondo la tradizione omerica, Ulisse rim-
patriò, ma lasciò poi di nuovo Itaca per
intraprendere nuovi viaggi; cfr. Hom.,
Od, XI, 119 e seg. - piìta : la pieta.
« Quid est pietas, nisi voluntas grata in
parentes? » Oieer., Pro Planeio.
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258 [CBBC. 8. BOLO. 8] l5F. IIYI. 95-109
[ULISSE]
97
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109
Del vecchio padre, nò il debito amore
Lo qoal dovea Penelope far lieta,
Vincer poter dentro da me l'ardore
Ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto,
E degli vizi nmani e del valore :
Ma misi me per l' alto mare aperto
Sol con nn legno, e con qaella compagna
Picciola, dalla qoal non fni deserto.
L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna,
Fin nel Morrocco, e l'isola de' Sardi,
E l'altre che quel mare intomo bagna.
Io e i compagni eravam vecchi e tardi.
Quando venimmo a quella foce stretta,
Ov' Ercole segnò li suoi riguardi,
Acciò che l'uom più oltre non si metta:
OS. DEBITO: la pietà Ogliale e TaiDor
paterno sono natarali ; l'amor ooniogale
d nn dovere. « Ha^ps filiis, inde patri,
post«a uxori inclinamnr»; Petr. Dani.
96. LIKTA : « liete vivono le donne,
quando vivono con li loro mariti »; ButL
" « Pone tre amori : uno, che scende in
giti, che è del padre verso il Ofclioolo, ed
uno, che monta in so, che è quello del
figliuolo verso il padre, ed un altro, che
va pari, che è quello del marito verso
la moglie »; Ouf.
97. l'ardobb : rardent« brama di oo-
nofloere per propria esperienza il mondo,
gli nomini, i loro vizi e le loro virtù.
100. MARK: il Mediterraneo, più <xper-
to, cioè più spazioso del mare Ionio ; cflr.
Virg., Georg. IV, 527 e seg. « Qnforis,
TJlixes ubi erra veri t, potiua qnam effi-
elafi, ne noe semper erremns? Non vacat
rum inter Italiam et Sicillam
lit, an extra nntnra nobis or-
nee., Ep. LXXXVIII, « e seg.
etiara scriptum Aiit... Utrum
ire mari Ulixes erraverit iaxta
lum, aut in exteriore inxta Cra-
OHl, Noct. AU. XIV, 6. Con-
ìndi. IV, 1. Ewitat., In Odyt.
CPAONA: compagnia ; forma an-
tiseima; oonft*. Purg. Ili, 4;
127. « Compagna significava
gli antichi propriamente l'a-
li quei soldati che taglieggia-
movano in contribuzione i pae-
per traslato passò a signifl-
care qualunque oompagnia »; Kanmae.,
Voci, 58.
102. DB8KBT0 : abbandonato. Non oo-
noeoendo la tradizione omerica che di se-
conda o tersa mano, Dante suppone che
Ulisse non fosse mai abbandonato da
tutti i suoi compagni.
103. l'uh : l'Europeo. - l'altbo : T Af-
fricano. - iNFnr: dall'una parte fin nella
Spagna, dall'altra sino al Marocco.
104. MORBOCCO : forma antica. AL Ma-
BOcco, forma moderna. - l'isola. : Sar-
degna.
105. ALTBB: isole; Sicilia, Corsica, le
Baleari, eco.
106. VBCCHi: erano in età avanxata,
quando Intrapresero 11 viaggio, ed inol-
tre vuol forse accennare che impiega-
rono più anni nel viaggio pel Mediter-
raneo. « Steterantenimper Wginti annoe,
decem in bello troiano et decem in pere-
grinatione»; Benv. - « Lungo tempo met-
temmo in cercare questi luoghi mediter-
ranei, sicché già eravamo vecchi di età e
tardi neir operar nostro »; Barg, > « Pre-
suppone che passassero molti anni in cer-
care ohe fecero i liti e V isole del mare
mediterragoo •; Ocuit. - tardi : negli atti,
per eflfotto dell'età attempata. Al.: Tardi
d'anni. Ma l'eaeer MoeAio e tardo d'anni
è lo stesso.
107. pocb: lo stretto di Gibiltenm.
108. riguardi : segni ; le colonne d'Er-
cole : Calpe in Europa, Abila in AflHca,
col Nec pltu uUra, avviso al naviganti
di non avanzarsi più dtie.
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[CnC. 8. BOLO. 8]
Ikp. XXVI. 110-126
[ULI88B] 259
112
115
118
m
124
Dalla man destra mi lasciai Sibilla,
Dall'altra già m'avea lasciata Setta.
*' O frati, „ dissi, '' che per cento milia
Perìgli siete giunti all'occidente,
A questa tanto picciola vigilia
De' vostri sensi, eh' è del rimanente,
Non vogliate negar l'esperienza,
Diretro al sol, del mondo senza gente I
Considerate la vostra semenza :
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e conoscenza. „
Li miei compagni fec'io si acuti,
Con questa orazion picciola, al cammino.
Che appena poscia gli avrei ritenuti.
E, vòlta nostra poppa nel mattino.
De' remi fSeu^emmo ale al folle volo.
Sempre acquistando dal lato mancino.
UO. SmuA: SlTigUa; oonfr. Ji|A XZ,
128.
111. Svita : U 8epta dei Rom«nl, oggi
Gmtey «iOà e fortozM d'Afric*, dirim-
petto » OiMltorr». Dice ohe ayer» già
toKlAto SeU« priiBA di lasdare Siviglia,
pec^è Sette Ò meno oooidentale.
113. FRATI: fratelli; qui per Corapa-
gfà. Cfr. Virg., Aéti. 1, 108 e seg. lAtean.,
Phan. I, J09 e aeg. Hwrat., Od. I, vii, 25
e Mg. - muA : lat. millia ; fonna antioa ;
aggi mila. Cfr. NannucYtriti, 376 nt. 1.
Dùz, Gratn, U*, 459.
113. all'occidbhtie: all' eeIremitÀ 00-
cUeatala déL mondo allora oonoaoiato.
« E qoanto all' età loro, ohe erano già
Toecfai »; VOL
Ili. nsiUA : il pooo Tivere che an-
cata Ti resta; la vita senaitiva; confir.
(km», m, 3.
115. CB* t DEL RiMANKim: che ancor
▼1 rimane ; ^a de réliquo 4$t. Al. CH* È
IH EOUkSKm; ctr. Z. F., 263. Blane,
YermuA, 241.
117. DtBSTBO : aegnitando il Sole ; pro-
cedendo da oriente ad ooddente. AI.:
Oltre a dorè 0 Sol cade. Benv.i « ad
aliad Iwiiiiaperiiim infarina, ad qnod eoi
aeeedit quando reoedii a nobis. » - bxziza
eorrs: aeeondo V opinione del tempo. I
geogiafl dioerano l'altro emiafero easere
tatto ecvperto d'aoqna.
118. SBfBHZA: la dignità dell'umana
natura; ofr. Cbnv. III. 2. Al.t Penaate
che voi siete Greci.
120. CONOSCENZA : aolensa, ohe è « l'ol-
tima perfezione della noatra anima, nella
quale età la nostra nltima felicità » ;
(hn9. 1, 1. - « Homo, oom in honore ce-
set, non intellexit: comparatns est in-
mentis insipientibas, et similia (kctos
est illis »; P9<U. XLVIII, 21.
121. ACUTI : inrogUati, bramosi di con*
tinoare il yiaggio.
124. NBL MATTINO : a leranto; donqne
la prora a ponente, -viaggiando Terso oc-
cidente, come ha detto y. 117. « Il Poeta
accenna la diresione ^tW^poppa» ansichò
della prora, sapendo qael che si lascia,
ed ignorando in quali luoghi sarà per es-
ser condotto dalla fortuna »; Di Siena.
125. ALE: movemmo i remi yelooemen-
te come ali al volo. Virg., Aen. Ili, 520 :
« Temptamusque viam et velorum pan-
dimus alas. »- P^op^r. lY, 6: * Clasais
oentenis remlget alis. » - al folle volo :
allo sconsigliato viaggio. FolU, perohò
ebbe esito infelice.; volo, per aver chia-
mato ale i remi. Cfir. Par. XXVU, 83.
120. ACQUISTANDO : piegando sempre a
sinistra, dalla parte del polo antartico.
« n Poeta facendo giungere Ulisse alle
viste del monte del Purgatorio, supposto
sotto il meridiano di Gerusalemme, biso-
gnava sempre tener la sinistra, chi mo-
ò da Gibilterra, doè appoggiar som-
260 [CBBC. 8. BOLG. 8] Inp. ixvi. 127-189
[ULI8SS]
127
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133
136
139
Tutte le stelle già dell'altro polo
Vedea la notte, e il nostro tanto basso,
Che non sorgeva fuor del marin snolo.
Cinque volte racceso, e tante casso
Lo lame era di sotto dalla luna,
Poi ch'entrati eravam nell'alto passo.
Quando n' apparve una montagna, bruna
Per la distanza, e parvemi alta tanto.
Quanto veduta non n' avea alcuna.
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto ;
Che della nuova terra un turbo nacque,
E percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fé' girar con tutte l'acque;
pre a lerante, quanto oomportavano le
ooBte oooldentali dell' AfHoa, per rigua-
dagnar la distansa che separa le colonne
d' Ercole da Genualemnie. B ooei viene
a dirci anco la diresione di ostro leyante,
che dovevano aver quelle coste, accioc-
ché, secondandole, si avanzasse sempre
a mancina. Quante cose in on verso I »;
ArUonàUi.
127. ALTBO POLO: antartico.
128. VKDBA: io. - LA KOTTB: di notte.
Al. LÀ MOTTX VBDKA. > NOBTBO : il polo ar-
tico era sceeo tanto, ohe non sorgeva più
faori del mare nò più si vedeva. Erano
pertanto arrivati all' Equatore. « Viene
a dirci con mirabile esattessa astrono-
mica, che Ulisse era giunto alla linea
equinoziale, cioò all'Equatore; ove al-
cuno trovandosi, avrebbe ambedue i poli
della sfera sull'orluonte. Cosi ci descrive
le parvenze astronomiche che dovrebbe
incontrare chi da' nostri paesi s' indiriz-
zasse agli antipodi nostri, in virtù di
quella situazione della sfera che appel-
lasi retta *\ AfUoneUi.
120. SUOLO: la superficie del mare.
130. BACCKSO : cinque volte erasi fatto
il plenilunio, e cinque il novilunio ; erano
cioè trascorsi già cinque mesi, dacchò,
partendo da Gades, efavamo entrati nel-
l'oceano. - CASSO : cassato, mancato.
131. DI SOTTO: «a denotare i cinque
mesi di navigazione d'Ulisse dopo uscito
dal nostro mare, ricorre alla fase del ple-
nilunio; e, da vero astronomo, accenna
alla parte lunare ove ha luogo il raccen-
dlmento, cioè la parte che il nostro Sa-
tellite tien sempre volta alla terra. Sen«a
tale determfaiasione non poteva stare
r imagine del rince«ìid»rti, giacché ri-
spetto al Sole che sempre la illomina,
la luna ò sempre acoesa, tranne i oasi
d' ecdissi lunare »; An/UmeUi,
182. PASSO: « cfr. JnA XII, 126 »(?):
Beta.
138. MONTAGHA: 1 più intendono di
quella ove Dante colloca il Purgatorio.
Altri di una montagna dell'Atlantico,
menzionata da Platone e dai geografi
antichi. Altri di una montagna sempli-
cemente finta dal Poeta. Cfr. DMa Val-
le, Seneo, 16 e seg. Suppl., 28 e aeg. -
BBUNA : ci appariva oscura a motivo della
gran distanza ; cfr. Virg., Atn. IH, 205 e
seg., 521 e seg.
13i. ALTA: cfir. Purg, III, 14 e seg.;
IV, 40 e seg., 85 e seg. ecc.
130. CI ALLEGRAMMO : « sicut cst de mo-
re, qnod terra primo visa pnustat Isoti-
tiam marinariis, qui din navigaveront »;
Benv. - TOBNÒ : la nostra allegrezza.
137. NUOVA : scoperta recentemente. -
TUBBO : turbine, sùbito vento impetuoso
e vorticoso; cftr. I^f. Ili, 30, 133.
138. CANTO : la prora della nave. « Fran-
guntnr remi, tnm prora avertit et undis
Dat latus »; Virg., Aen. 1, 104.
139. CON TUTTE: la violenza del tur-
bine tu. tale, che esso non pur fece girar
tre volte la nave, ma anche le aoqne in
modo da generare un vortice. « Ingms a
vertice pontns In puppim ferit: excutltor
pronnsque magis^r Volvitur in oi^at;
ast illam ter flnotus ibidem Torqnet
agens circum et rapldus vorat a^qaore
yortex »; Virg., Aen. 1, 114 e seg.
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[oxBC. s. BOL0. 8] Int. xxYi. 140-142 -xxYii. 1-6 [coks. fbod.] 261
Alla quarta levar la poppa in suso,
E la prora ire in giò, com' Altroi piacque,
142 Infin che il mar tu. sopra noi richinso. >
140. ALLA quabta: tUA qxurta TottA.
- LiTAB: 1« quarto volto il turbine iboe
lerar I» poppa in ra e fé' Ire la prora
in giù nel pTofimdo delle aoqae.
141. Altbot : a Dio, il qnale non vuole
che nom Tiro ponga fl piò nel regno della
morto gente ; oonfir. Pvrg. J, 131 e seg.
Ulisse pagano non profferisce per rive-
renza il nome di Dio; il oristiano Vanni
Facci Io proflSBrisoe irrirerentemento,
aggiongendori le JUket cfr. If^. XXV,
1 e seg.
CANTO VENTESIMOSETTIMO
CERCHIO OTTAVO
BOLGIA ottava: CONSIGLIERI PRODOLENTI
GUIDO DA MONTEPELTRO
Già era dritta in sn la fiamma e quota
Per non dir più, e già da noi sen già,
Con la licenza del dolce poeta ;
Quando un'altra, che dietro a lei venia,
Ne fece volger gli occhi alla sua cima,
Per un confuso suon che fuor n'uscla.
V. 1-30. Guido dm KontefèUro. Ulis-
se ha appena terminato il «no racconto,
ed eceo neoiTe da nn* altra fiamma nna
Toee che dimanda di Romagna. Quella
fiamma imwòla Guido da Hontelbltro, no-
mo d* anni, « il piti sagace e più sottile
nomo cho a qnei tempi fDSse in Italia #;
6, ym. VII, 80. Per maggiori notizie
sa Goido da KontofDltro cftr. y. 67 nt.
1. qawTki arendo cessato di parlare.
Parlando si eroUaya, Inf. XXVI, 86 e
seg.; il quotarsi era l'eAtto del tacere.
ATendo risposto pienamento alla diman-
da di Virgilio, Ulisse non aveva più ohe
dire, nò Virgilio dimandò altro.
3. ucxhza: qnesto licenza non ò an-
cora meosionato; si menziona più sotto.
Terso 21.
5. KR FiCB: cfr. I^f, VITI, 3-4.
6. PKR : a ntotivo di nn suono oonAiso.
La Tooe umana delle ombre rinchiuse
nelle fiamme ò sulle prime simile al
mormorto delle fiamme agitoto dal ven-
to; poi, come il moto della lingua nma-
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[CKBC. 8. BOLG. 8] INF. IXVII. 7-21 [GUIDO DA MONTKFELTBO]
10
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Come il bue cìcilian, ohe mugghiò prima
Col pianto di colui, e ciò fu dritto,
Che Pavea temperato con sua lima,
Mugghiava con la voce delP afflitto,
Si che, con tutto eh' e' fosse di rame.
Pure e' pareva dal dolor trafitto;
Cosi, per non aver via né forame
Dal principio del foco, in suo liuguaggio
Si coDvertivan le parole grame.
Ma poscia eh' ebber colto lor viaggio
Su per la punta, dandole quel guizzo
Che dato avea la lingua in lor passaggio,
Udimmo dire : € 0 ta, a cui io drizzo
La voce e che parlavi mo lombardo.
Dicendo: " Issa ten va', più non t' adizzo „ ;
na 8Ì è oomnnioato alla punta defla fiam-
ma, quel monnorìo ai converte in parole
articolate.
7. BUB: il toro di rame coetmito da
Perillo d'Atene e regalato a Falaride,
tiranno di Agrigenti in Sicilia, o deilia,
come dicevano gli antichi. Era costrutto
in modo, ohe, essendo arroventato, le
grida degl' infelici, postivi dentro ad es-
sere arrostiti, si convertivano in mug-
giti di toro vivent«^F^aride vi ibce en-
trare primo Perillo stesso a fame Tespe-
riensa, onde il toro mugghiò la prima
volta, e ben a diritto, col pianto di colui
che lo aveva costruito coll'arte sua ; cfr.
Plin. XXXIV, 8, Val Max,, Memorabil,
1. IX, e. 2. Oicer., In Verr. 5.
8. FU DRITTO : ta giusto ; gli stette be-
ne. « Neque enim lez sqnior uUa, Qnam
necia arti ficee arte perire sua »; Ovid.,
Art. am. I, 655 e seg.
10. MUGGHIAVA: PeHllo a Falaride:
« Protinus indosum lentie oarbonibns
nre: Mugiet, et veri vox erit Illa bo-
vis »; Ovid., TrUt. XI, III, 47 e seg.
11. E* : il bue. Al. SL, troncamento di
elio -» egli.
13. via: onde uscire.
14. DAL PRDfciPio: dall'elemento del
fhoco; Lan., Veli., Dan., Ce:, ecc. Da
principio che proferivansi dall'anima;
Biag., De Rom , ecc. Dalla cima, o lin-
gua ; Tom. Là dove prima le parole in-
contravano il fuoco (t); Cfreff. AI. leggo-
no: DAL PBUCCIPIO NEL FUOCO — COSÌ le
parole grame non trovando da prima nel
fioco via nò forame, si convertivano nel
linguaggio di esso flxooo, - interpretaz.
che trova appoggio nel v. 16. Ma la lea.
HSL FUOCO è troppo sprovvista di auto-
rità. « Non avendo le parole del dannato
nò via, nò foro per uscire, pigliavano dal
principio, dalla sommità della fiamma la
forma del suo linguaggio, doò del naor-
morìo eh' essa suol fkre agitata dal ven-
to »; L, Veni., 8im. 575. -« Le parole del-
l'anima che era racchiusa in questa fiam-
ma, non trovando alcuna uscita nel fbooo,
parvero, sulle prime, muggiti •{ Pass,
15. GRAME: meste, dolenti.
16. COLTO : trovato la loro via sa per
la punta della fiamma, imprimendole
quel gnisEO dat-Me dalla lingua umana
nel proferirle.
20. MO: or ora. - lombardo: tale es-
sendo Virgilio ed avendo usato il lom-
bardismo ista per adesso; cfr. Inf. I, 68.
Al. prendono lombardo per italiano.
Parlò Virgilio italiano con Ulisse f « La
differensa tra* dialetti italiani ò radicata
neir antichità, per avventura più die
spesso non si crede »; Filai.
21. I88A: ora, adesso; cfr. In^.XXIlI,
7. Purg. XXIV, 65. EnHd., 1085 e seg.
Assuefatti sin dall' infianzia a udir sem-
pre dire issa per ora, adesso, mal sap-
piamo comprendere le dispute sn questo
verso. Il senso ò chiaro. Virgilio aveva
detto ad Ulisse : « Vattene ora, cbò non ti
stimolo più a parlare. > Viv. dice ohe issa
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[ente. 8. BOLO. 8]
Inf. XXVII. 22-38 [Romagna nel laoo] 26S
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Perch' io sia giunto forse alquanto tardo.
Non t' incresca restare a parlar meco:
Vedi che non incresce a me, ed ardo I
Se tu pnr mo in questo mondo cieco
Caduto sei di quella dolce terra
Latina, onde mia colpa tutta reco,
Dimmi se i Bomagnuoli han pace o guerra ;
Ch'io fui de' monti là intra Urbino
E il giogo, di che Tever si disserra. »
Io era in giuso ancor attento e chino,
Quando il mio duca mi tentò di costa,
Dicendo : « Parla tu ; questi è Latino. »
Ed io, che avea già pronta la risposta.
Senza indugio a parlare incomiuciai :
< 0 anima che se' laggiù nascosta,
Romagna tua non è e non fu mai
Senza guerra ne' cor de' suoi tiranni ;
non è lombardo. MiUnese no, lombardo
A; secondo il BuH anche laccbese; se-
condo il Ocut. anche napoletano. Cfr. Z.
F., 163-69. BUme, Vertueh I, 244 e seg.
Uoor^, Orit., 388 e seg. - t'adizzo : ti
•edto, «tiniolo a parlare. Al. t'aizzo.
23. RWTARB: AI. DI 8TABB; di fermarti.
34. ABDO: benché io braci in qnesta
fiamma. « Crndor in bao fiamma •; Luca
XVI. 21.
26. PUB MO: pnr ora; otr. Ir^. X, 21;
XXni, 28; XXXIII, 186. Purg. Vili,
28; XXI, 68. Crede di parlare ad nno
■pMto che ar^Ti dal mondo de' viventi
e se ne rada più giù nel basso Inferno.
- CUOO : otr. Inf. IV, 18 ; X, 58, eco.
27. UkTUfA: italiana. Altri intendono
del Laaio. Si parla forse nel Lazio lom-
bardo (▼. 20)? -TUTTA t nnlla essendomi
giovato il pentin^ento, nnlla la oonfes-
«lono (▼. 83), nnlla V assoluzione papale
(V. 10) e sog.), perchò ricaduto nel vec-
diìo vizio.
26. cn* IO FUI: ti chiedo nnove de' Bo-
magnooli, perchè io fhi Bomagnnolo. -
nrnuk Ubbiho : tra Urbino e le sorgenti
del Tevere, che scaturisce appiè del Mon-
te Coronaro, è situata la città e contea
di Montelbltro, posta sopra un monto.
80. GIOGO : dell'Appennino. - 81 DI8-
bkbba: scaturisce.
y. 81-64. Za Jiomoffna nel 1900.
JdSottAto da Virgilio a rispondere lui,
Dante espone all'ombra del Montefel-
trano lo stato di cose nella Romagna.
Guerre palesi non ve ne sono attual-
mente, ma covano sotto, come di solito
in quelle regioni. Parla di Bavenna, di
Forlì, dei Malatesta, di Maghioardo Pa-
gano da Susinana, e di Cesena. In pochi
versi un quadro magistrale della Bo-
magna all'epoca della visione.
81. m GiUBO: verso la sottostante bol-
gia; Jr\f, XXVI, 48 e seg.
82. TKNTÒ: toccò col gomito legger-
mente nel fianco; cfr. 1»^. XII, 67. -
« - Nonne videe - aliquis cubito stantem
prope tangens Inquiet >; Horat., Sat.
U, V, 42.
33. Latiìio: italiano.
8 i. PBOM TA : appena udita la dimanda,
V. 28, aveva subito pensato alle condì-
sioni della Bomagna, e alla risposta.
86. LAGGIÙ : sotto il ponte della bolgia.
- NASCOSTA : nella fiamma.
87. TUA : patria. Secondo alcuni, la dice
tua, perchè Guido da M ontefeltro (b capo
della lega de' Lambertazsi. Ma Dante
non sa ancora con chi parla, cfr. v. 66
e seg.; quindi non può aver detto tua
in questo senso. - B mok : AI. me non.
- MAI : « postquam coepit habere tyran-
nos>; Benv.
88. nb' cor : sempre ebbero ed hanno
guerra nel cuore, sempre si odiarono e
si odiano. In ogni città per lo meno due
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264 [CEBC. 8. BOLO. 8] Inf. xxyii. 89-47
[ROMAOHÀ NBL 1800]
40
43
46
Ma 'n palese nessuna or vi lasciai.
Ravenna sta, come stata è molti anni:
L'aqnila da Polenta la si cova
Si, che Cervia ricopre co' suoi vanni.
La terra che fé' già la lunga prova
E di Franceschi sanguinoso mucchio,
Sotto le branche verdi si ritrova.
E '1 Mastin vecchio e '1 nuovo da Verrucchio,
Che fecer di Montagna il mal governo,
partiti : m Bologna Lambertazsl e (Hre-
mei ; a Forlì Ordelaffl e Calboli ; a Imola
Alidosi e NordoU ; a Faensa Zambraai e
Manfredi; a BImini Farcitati e Malate-
ata, e coai Tla ; ofr. MwrtU,, Script. XXII,
140 e seg. Veramente nel 1800, epoca
della visione, guerre palesi nella Roma-
gna non c'erano. Ha c'erano gli odii,
e' erano le dissensioni ed inimidzie ohe
oovayano sotto, onde il Poeta dice che la
guerra ò nei coori, ma non palese.
40. MOLTI ANMi : venuta in potere dei
signori di Polenta nel 1270, questi ne ri-
masero signori sino ài 1441.
41. l'aquila : V arme dei Polentanl era
un'aquila vermiglia in campo giallo. Si-
gnore di Bavenna era nel 1300 Guido il
Vecchio da Polenta, figlio di Ostasio e pa-
dre di Francesca da Bimini, il quale se
n' era insignorito nel 1276 ; cfr. Mumt.,
SeHpt. XIV, 1104; XXn, 139, 163, 166.
« Uli de Polenta portant prò insignio aqui-
lam, cnius medietas est alba in campo
axsnrro, et alia medietas est rubea in
campo aureo >; Benv. - la si cova: se
la cova, se la tiene sotto la saa prote-
ssione, e cara, come la gallina le nova
che cova. Al. hk si cova; tiene colà il
suo nido, n Betti ; « Là ha messo cosi la
sua cova l' aquila da Polenta, che rico-
pre anche Cervia colle sue ali. >
42. CxBVLà : borgata sulla costa del-
l'Adriatico, a mecsogiomo di Bavenna,
importante nel medio evo per la produ-
sìone del sale, sotto la giurisdizione dei
Polentani; ofr. Murat., SeHpt. XXII, 161.
- VAKin : ale.
48. TKRBA : Forll, della quale poco pri-
ma del 1800 s'insignorirono gli Orde-
lai& i cfr. Mwrat., Seript, XIV, 1 16. - pro-
va: sostenne il lungo assedio nel 1282,
quando Martino IV papa spedì contro i
ghibellini della Bomagna un esercito di
francesi ed italiani, comandato da Gio-
vanni d*Appia e pienanente sconfitto
da Guido da Kontefeltro; ofr. Murai,,
SeHpt. XXIT, 149 e seg.; XTV, 1105.
VOL VH, 80 e seg. B^ei, H tangui-
noto mucchio (Estratto dal Giornale Let-
tere e Arti, TS. 49-50, anno H).
44. MUCCHIO :«nam.... cornea Johan-
nes habuit in isto proelio droa ootingen-
toe equites, de quibus fttota est miseranda
strages » ; Bonv. - « Dante fingendo di
ricordare quel iktto a Guido àk Monte-
féltro, mette ne* versi suoi un senao di
complimento e d' ammiratone ohe vale
una lusinga per l'anima del celebre ca-
pitano chiusa dentro la fiamma »; Ried,
1. e, 6. Come poteva Dante fsr questo,
se non sapeva ancora quale anima fosae
chiusa dentro la fiamma? La stessa do-
manda vale pure per le altre pardoola-
rità, che il i2ioci crede di avere sooperte
in questi versi.
45. BBAUCHB VEBDI : gli OrdeUffi por-
tavano per insegna « leonem viridem a
medio supra in campo aureo, oum qui-
busdam Ustis a medio infra, quarum tres
sunt virides, et tres aurece »; Benv. Sin
dal 1206 era signore di Forlì Scarpetta
degli Ordelaffl (cfr. Murat., SeHpt. XTV,
116), presso cui dicono che Dante si fer-
masse nei primi anni del suo esigilo in
qualità di segretario.
46. Mastdi VECCHIO: Malatosta da
Verrucchio, padre di Paolo e di Gian-
dotto, fatto signore di Bimini nel 1895,
dopo esseme stati soacdati 1 ghibelttni,
morto nel 1312. - nuovo : Malateetino,
figlio primogenito e successore di Ha-
latesta. - Vebbuccìuo t castello donato
dai Bimineai al padre del moHin vecchio»
onde i Malatesta si ebbero poi il titolo.
47. Montagna : « nobllis miles de Par-
ti tatis de Arimino, prinoeps partis gbi*
beUlnsB ; quem oaptom cum quibusdam
aliis Malatesta tradidit cnstodiendam
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[CBC. S. tOLO. 8]
INP. XXVII. 48-62 [COKVIBSIOHB] 265
Là, dove soglion, fan de' denti succhio.
Le città di Lamone e di Santerno
Conduce il leoncel dal nido bianco,
Che muta parte dalla state al verno ;
E quella a cui il Savio bagna il fianco,
Cosi com' ella sie' tra il piano e il monte,
Tra tirannia si vive e stato franco.
Ora ohi sei, ti prego che ne conte:
Non esser duro più ch'altri sia stato,
Se il nome tuo nel mondo tegna fronte. >
Poscia che il foco alquanto ebbe rugghiato
Al modo suo, Faguta punta mosse
Di qua, di là, e poi die cotal fiato:
€ S'io credessi che mia risposta fosse
A persona che mai tornasse al mondo.
^CalatetUno flUo. Poeto* pettrit ab eo,
^ hetam eoNt de Montegnft. Cui iste
^**paMlik: Domine, eet snb fida onstodim;
^qood 4 TeHet se snflbcare, non posset,
Vnn^M dt ioxta mare. Bt dom itonun
•tftinimpetoxel, etreplloaret, dlxitt Cor-
te Wto, qood neeeies Ipenm oastodire.
^(*l«tottfauit, notalo verbo, fecit Mon-
tigaam msetari com qnibnsdam aliis »;
^tw- Ott. Mwrat., Seript, XV, 894 e seg.
^U : a Bimini e nelle terre loro sog-
S*^.-FiB: adoperano i denti come
">NtikOo, dilaniando secondo il solito.
tt* arri : Vaensa, snl Lamone ; Imola,
f»w» il Santerno.
St. ooiDUCB : governa. -LBONCIL : Ha-
sUottdo Pagano da Sosinana, la oni ar*
■9 era un leone aszorro in campo bianco.
«ort nel 1802. Cfir. Murai,, 8eri0, XIV,
1111. G. Fili. VH, 14».
SI. wju,: in Bomi^a ghibellino, in
^^■mugoelfo, come raccontano O.VUl.,
'■ e, Afw., Bufi, eoe. - dalla statb : ai
Poè Intendere in senso geografico: ttaJte
*J^J««iia{ verno — Romagna (oorà Lan.,
^*^; Me.); oin senso temporale— da nna
*■«*«• ill'altr» {BuH, An. Fior., eoo.).
n. quiLLA: Cesoia, bagnata dal fin-
»»8STlo.
^MB': siede; ofr. Nannue.j Verbi, 798.
'^ «Qa è sitnaU tra n monte ed il
^*"». cosi aneora parte vive sotto ti-
!fi^ et parto libera »; Dan. Nel 1800
^'•'•"^ «i reggeva in forma di libero co-
J*^ ed STeva ogni anno nn nuovo po-
^*^ BOB di rado due nello stesso anno.
Chi si rendeva sospetto di voglie tiran-
niche, eradiscaooiato. Cfr. Murat.,8eript.
XIV, 1121.
y. 55-84. CXonverKone nella vee-
chiaiiM» Avendo risposto {rfenamento alia
domanda di Guido, Danto, ohe non Io
conosce ancora, lo prega di manifestorsi.
Credendo di parlare i^ ano spirito dan-
nato, Guido non esita a soddisforio, rac-
contando come, già vecchio, si fosse riti-
rato dal mondo e convertito, e come la
conversione, benché tarda, gli sarebbe
giovata, se U gran préts non lo avesse
sedotto e rimenato sull'abbandonata via
del peccato.
65. COHTS: conti, racconti; ofr. Nan-
nue.. Verbi, 284 e seg.
68. ALTRI: spiriti da me intorrogaii
quaggiù nell'Inferno.
57. TSGNA VBONTE: faocia contrasto
air oblio; duri lungamento.
58. BUGGHIATO : fatto il solito romore
di quelle fiamme, dimenando la punta
qua e là, segno della voce ohe doveva
uscire; cfr. v. 18-18; Ir\f. XXVI, 85-90.
60. DIE: espresse cotali parole. « Lin-
guaque viz talee icto dedit aere voces »;
Ovid., Met. IX, 684.
61. CRBDI88I: avvolti nelle fiamme,
queeti spiriti non possono vedere, onde
Guido da Montofeltro non si accorge,
come si accorsero altri dannati (cfr. Ir^.
VI, 40, 88 ; Vni, 88 ; X, 68 ; XV, 24, 46 j
XVI, 82; XVn, 67; XXin, 88), che
Danto ò tnttor vivo. Questi versi suppon-
gono però che gliene naecesee il sospetto.
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266 [CKBC. 8. BOLO. 8] InF. XXVII. 63-72
[CONYERSIONE]
64
67
70
Questa fiamma starla senza più scosse ;
Ma però che giammai di questo fondo
Non tornò vivo alcun, s'i' odo il vero,
Senza tema d'infamia ti rispondo.
Io fui uom d'arme e poi fui cordigliero,
Credendomi, si cinto, fare ammenda;
E certo il creder mio veniva intero,
Se non fosse il gran prete (a cui mal prenda !),
Che mi rimise nelle prime colpe ;
E come e quare, voglio che m'intenda.
63. PIÒ : oltre quelle gi4 datole, y. 10
e seg.; non parlerei di più.
66 VIVO : morti tà, poiché al tempi di
Danto si credeva ad apparizioni di anime
dannato. - odo : da compagni ohe abita-
vano già da secoli quella bolgia in oni
Gnido era piovuto dne anni prima.
66. TEMA : panra di procacciarmi in-
fàmia sa nd mondo, confessando a to
le mie colpe. Pare che fossero poco noto
nel mondo.
67. d'abicb: gnerriero. È qnesti, come
dicemmo, il ghibellino Gnido. conto di
Montofeltro, « invictas Capitonens Com-
mnuis Forlivii, et generalis gnerrse prò
parto dicti Comnnis • (Murai., Set^,
XXII, 141). Lo dicono nato nel 1250 (cfr.
Arrivabene, 8ec. di D., 86 1 ); ma se nel 1296
era già vecchio, v. 70 e seg., era nato pa'
recohi anni prima del 1250. Nel 1274 fa
fatto capitano del Ghibellini o Lamber-
tazxi di Romagna (Murat., o. e. XXII,
137). n 18 giugno 1275 sconfisse al ponto
a San Procolo i Guelfi e Bolognesi ((7. Vili,
VII, 48. Murai., o. e. IX, 140, 718, 788;
XVIII, 125; XXII, 136, ecc.), e di nuovo
nel settombre dello stesso anno a Re-
versano (Murai,, o. e. XXII, 138), e s'im-
padronidi Cesena (Jlfurat.o. C.XI V,1104) .
Nel 1275 assediò e conquistò Bagnaca-
vallo {Murai., o. e. XXH, 139). Nel 1282
sconfisse Giovanni de Appia, detto Gian-
ni de'Pà, presso Forlì {Murai , o. e. XIV,
151, 152, 1105; XXII. 149 e seg. Q. VUL
VII, 81), ed occupò la Romagna « centra
voluntatoro Ecclesiss » (Murai., o. e. XI,
1204). Si riconciliò colla Chiesa nel 1263
(Murai., o. o. XIV, 1106; XXII, 153), o,
secondo altri, noi I2fi6 (O. Via.Yll, 108), e
ta confinato ad Asti. Eletto dai Pisani a
loro capitano noi 1288 (Murat, o. o. XI,
1297 e seg.), ol280 {Murat., o. e. XV, 080),
« ruppe i confini che avea per la Chiesa,
e partissi di Piemonte e venne a Pisa »
(Q. yiU. VII, 128), onde s'inimicò di nnovo
col papa, il qnale lo scomunicò con tntta
la sua fluniglia ed interdisse Pisa (Murai,,
o. e. XV, 080). Nel 1200 difese Pisa contro
i Gaelfl, « che i'arebbono avnta, se la
bontà del detto conto non fosse ohe la
liberò • (Murai., o. e. XI. 200. 080 e seg.
G. vai. VII, 128). Nel 1202 s'impadronì
d'Urbino (Muural., o, e. XXII, 162), eh©
nel 1204 egli difese contro Vesercito di
Malatestino, podestà di Cesena (Murai.,
o. e. XIV, 1 1 00) . Nello stesso anno 129 4 fti
scacciato da Pisa (Murat., o. e. XI, 200 ;
XV, 083. G. ViU. VIU, 2) e si riconciliò di
nuovo colla Chiesa (jliural., o, o. XIV,
Ilio). Entrò neir Ordine de' Francescani
nel 1296 {Murat, o. e, IX, 144. 743 e sej^.;
XI.180. XIV.1114: XV,083. 0. Vitt.VIII,
23) e mori nel 1208, alcuni dicono a Ve-
nezia (Murat, o. e. XI. 180). altri ad An-
cona (Murat, o. e. XIV. 1114). ed altri in
Assisi (WitU). Nel Oonv. IV, 28 Danto lo
loda, qui lo condanna. Cf^. Encicl., 975
e seg. -COODIGLIBRO : fk*ato dell'ordine di
San Francesco. I itancesoani fhrono chia-
mati eordelien, cordiglieri, dalla corda,
onde andavano cinti.
68. PAEB ammrnda: espiare le mie
colpe, cingendomi del cordone di S. Fran-
cesco.
69. VKNiVA DI TESO : sarebbe stoto in-
teramento attuato ; avrei fatto penitenxa
ed espiato le mie colpe.
70. PBETE: Bonifacio Vili, che gli
venga il malanno ! Solle relazioni tra
Guido e Bonifacio Vili cfr. ToHi, Stor,
di Boni/. Vili, II, 268 e sog.
71. RIMISE: fece ricadere ne' vecchi
peccati, de' quali mt ero pentito; confi*.
V. 83.
72. QUABE : latinismo : perchè; in qnal
modo e per qnal motivo.
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. ik BOLO, q
LfF. xxrn. 78-89 [cohtersioni] 267
7«
»
&
Mentre ch^io forma fui d'ossa e di polpe,
Che la madre mi dio, l' opere mie
Non fnron leonine, ma di volpe.
Oli aocorgimenti e le coperte vie
Io seppi tatto ; e si menai lor arte,
Ch'ai £ne della terra il snono nscie.
Quando mi vidi giunto in quella parte
Di mia etade, ove ciascun dovrebbe
Calar le vele e raccoglier le sarte,
Ciò che pria mi piaceva, allor m' increbbe;
E pentuto e confesso mi rendei,
Ahi miser lasso!, e giovato sarebbe.
Lo principe de' nuovi Farisei,
Avendo guerra presso a Laterano,
E non con Saracin, nò con Oiùdei,
Chò ciascun suo nimico era Cristiano,
E nessuno era stato a vincer Acri, .
73. IO: è r anima ohe parla. -FORMA:
%A mtH aenao aoolaatioo; ioformai 11 cor-
p* rieeTnto dalla madre mia. Secondo la
ÈDobmtàai V anima umana è il principio
tafematiTD del corpo.
75. DI TOLPB: non d'nom forte, ma di
•oBO frodolento. Gnido fu però nno dei
^ valenti ^oerrlerl del sno tempo; ve-
4aà qaéi ehe s* è detto di lui nella nota
•1 T. 67, a inoltre cfr. il Oomm. Lipt.
P, 470.
77. SKFn: eonobbi ogni sorta di tnàe
e d'inganno, e ne feci tal uao da rendermi
ktaotÈO in tutto il mondo.
7é, AL FIBB: Al. AL7INB, cÌoè : Che final-
Beate 1a Cuna delle mie aetuxie, de* miei
■aneggi, nacì delle provincie d* Italia.
Ott, Z. F., 108 -TKREA : latina; cfr. y. 26
• aeg. - uscìk : uscì ; eh. Murai., /Script.
XI, 188. Sahn. XVIU, 4.
79. PABTB: qoarta età dell' uomo ; cfr.
Co«#, IV, 24.
81. CAL.AB : « la naturale morte è quasi
porto a noi di lunga navigaslone e ri-
poaD. S eoe! come il buono marinaro,'
eene caso appropinqua al porto, cala lo
ne relè, e aoaremente con debile con-
iodmento entra In quello; eoA noi do-
Ttao ealare le Tele delle nostre mon-
dane operazioni, e tornare a Dio con
tinto nostro intendimento e cuore; sic-
ché a quello porto ai vegna con tutta
sosritA e con tutta pace»; Conv. IV, 28,
dove tra coloro che «calaron le Tele delle
mondane operaslonl » è per V appunto ri-
cordato « 11 nobilissimo nostro Latino
Gnido Montefeltrano. »-BABTE: corde
delle vele; cfr. Jnf. XXI. 14.
83. PBNTUTO : pentito ; mi penili e con-
fessai i miei peccati. Così Tav. Rit. ed.
Polidori, 1, 537: « Ma io me ne rendo bene
pentuto. * Secondo altri mi rendei vale :
mi feci frate, dò che ha già detto t. 67
e seg. Di pentuto per péntUo etr. Nan-
nw.. Verbi, 883 e sog. - MI rendei : mi
feci cordigliero.
V. 85 111. Unpapageduttore. Guido
racconta come, sedotto con parole men-
sognerò da papa Bonifazio VIII, rica-
desse nel vecchio peccato, dando al pon-
tefice il malvagio consiglio come gettare
a terra Preneetino : promettendo e non
mantenendo la promessa. Il Setti s* avvi-
sa che tutto ciò sia una mera invenzione
di Dante, il che non sembra in verun
modo ammissibile.
85. PHmciPK: Bonifkzio Vili. -Fari-
BBT, cardinali e cherid cristiani.
86. GUBBRA : coi Colònnesi nel 1297, che
abitavano presso San Giovanni in Late-
rano; cfr. Murai., SeHpt. IX, 144, 069;
XI, 1218 e seg.; XIV, 1115; XV, 3U;
XVIII, 801; XXn, m.G.ViU, VIII, 21.
87. Saracix: Saraceni; non guerreg-
giava per zelo di religione.
89. Acri: San Giovanni d'Acri, dttà
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[CBBO. 8. BOLO. 8] INF. XXVIl. 90-104
[PIPI 8BDUTT0BE3
91
94
07
100
103
Né mercatante in terra di Soldano;
Nò sommo ufficio, né ordini sacri
Guardò in so, nò in me quel capestro,
Che solca far li suoi cinti più macri :
Ma come Costantin chiese Silvestro
Dentro Siratti a guarir della lebbre;
Cosi mi chiese questi per maestro
A guarir della sua superba febbre :
Domandommi consiglio, ed io tacetti,
Perchò le sue parole parver ebbre.
E poi mi disse : '* Tuo cor non sospetti;
Fin or ti assolvo, e tu m'insegna fare
Si come Penestrino in terra getti.
Lo ciel poss'io serrare e disserrare.
Come tu sai; però son due le chiavi.
dellaSiriA,iiltimapo88e88ionedei Oristiaiii
in PAlestina, oadata in mano ai Saraceni
nel 1291. Benso: neasono dei nemici di
Bonifazio VJJUL era dei Saraceni conqui-
statori di Acri, o dei Giudei mercanteg-
glanti nei paesi d'Oriente; erano ansi
tutti amici della religione di Cristo.
92. GUARDÒ : non ebbe riguardo né alla
propria dignità di Sommo Pontefice, nò
alla sua qualità di Sacerdote cristiano,
né all'abito di San Francesco che lo ave-
Ta yestito.- CAPESTRO : cfr. Par. XI, 87.
93. BOLSA: ne' tempi anteriori i Fran-
cescani erano più estenuati per digiuni
ed astinente; cfr. Par. XU, 112 e seg.
94. COME: aJlude alla notissima fovola,
creduta allora storia, della guarigione e
conversione di Costantino imperatore per
opera di papa Silrestro I; ett. Erueb.,
VU. Oofut. IV, 24. Graf, Roma nella mem.
é fuUó immaginaz. del medio evo, II, 81
e seg.
95. Siratti : Monte Soratte, oggi San-
t' Oreste, nella Sabina, non molto lungi
da Boma, dove Silvestro, secondo la &-
Tola, si teneva nascosto. - lebbre : leb-
bra, come ale, fortune, tempre, ecc. per
a>la, fortuna, tempra. Cfr. Nannue.,Voci,
69 e seg. Nomi, 54 e seg. Monti, Prop.
III. I, 24. Blano, Versueh 1, 249.
90. MAESTRO: anticamente questo ti-
tolo si dava ad ogni medico ; qui la voce
sembra scelta a bella poeta per il suo du-
plice senso.
97. FEBBRE: brama superba di abbas-
sare l Colonnesi. Di Bonifazio Vni O.
Vm. Vm, 64 : « Molto ta altiero, e sa-
perbo, e crudele contro a' suoi nomici
e avversari. »
99. EBBRE : da nomo ebbro di superba
brama e di desiderio di vendetta.
100. MI DISSE! Al. RIDISSE.- NON SO-
SPETTI : non tema di cadere in peccato.
101. FIN OR: fin da ora; anticipata-
mente.-m'insegna: come maettro, t.
96. Al. M'INSEGNI.
102. Penestrino: Al. Pellestriho.
Penbstino, ecc.; Paleatrina nel territo-
rio dell'antica Premette, ai tempi di
Dante fbrteesa dei ColonnesL « Nel 1298
nel mese di settembre, essendo trattato
d' accordo da Papa Bonifìazio a' Colon-
nesi, i detti Colonnesi cherid e laici
vennero a Bieti ov' era la corte, e git-
lArsl a piò del detto papa alla miserioor-
dia, il quale perdonò loro, e assolvettegli
della scomunicajsione, e volle gli rendes-
sono la città di Pilestrino ; e cosi fedono,
promettendo loro di restituirgli in loro
etato e dignità, la qual cosa non attenne
loro, ma fece disfare la detta città di Pi-
lestrino del poggio e fortesza ov' era, e
focene rifare una terra al piano.alla quale
pnose nome Civita Papale ; e tutto que-
sto trattato faàèo e frodolente fboe il papa
per consiglio del conte da Monteibltrò,
allora frate minore, ove gli disse la mala
parola: lunga promessa ooll'attkn-
DBR corto » ; Q.VUl. Vin, 23 ; cfr-. Mu-
rat., Script. IX, 741, 969 e seg.
108. SERRARE : cfr. MoU. XVT, 19. If\f.
XIX, 92.
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[CBEC. 8. BOL0. 8] IKF. XXYII. 105-121 [LOGICI DIABOLICI] 269
IM
1«9
112
115
118
in
Che il mio antecessor non ebbe care. „
Allor mi pinser gli argomenti gravi
Là Ve il tacer mi fa avviso il pcj
E dissi : '' Padre, da che tu mi la^
Di quel peccato ove mo cader deggii
Lunga promessa con l'attender corti
Ti farà trionfar nell'alto seggio. „
Francesco venne poi, com'io fni morto,
Per me; ma un de' neri cherubini
Oli disse: '' Noi portar; non mi far torto !
Venir se ne dee giù tra' miei meschini,
Perchè diede il consiglio frodolente.
Dal quale in qua stato gli sono a' crini ;
Ch'assolver non si può chi non si pente,
Né pentére e volere insieme puossi.
Per la contradizion che noi consente. „
O me dolente ! Come mi riscossi.
Cele0ttnoV,o£r.Jf^.
105.
m. 59 ut.
100 FomiB: m<M8ero.-oBAVi: perchè
•tiittm^ll. Le ragi<mi del p»p* mi Iìmwto
credere, il disabbidii^ euer peggio ohe
•OD il dwgii un mal oondglio.
107. MI FU ATTUO : mi paTTO; lai mihi
108. DA CHB : poiohò. - LATI : « amplios
Ut» me ab inlqoitate mea, et a peooato
meo nranda me. LaTabla me, et saper
aiTem dealbabor»; PtiU. L, 4, 9.
100. PSOCATO: ohe M troppo bene di
oiwni<tttare,dando 11 oonsIgUo frodolento.
110. unroA ; promettendo molto e man-
«^■yt**^*" poco, trionferai de* tuoi nemiol.
Alciml dubitano della storicità di qneato
raeeonto. Tatto sta, che Bonifludo Vm
agi preelsamente secondo il fraodolente
Consilio, rinnovato piti tardi dal Segre-
tario iWentino ; cfr. Maeh., Prine. 18.
G. YOL Vni, 23. Jrtirot., SeHpt, IX,
741, 009 e seg., ecc.
111. smaaio : nel pontìAoato. « Guido
porge qui a Bonilkiio un ammaestra-
mento, non solo per goremarsi nel ro-
tiaare i GoUmnesi, ma per esser Tind-
tofe in tutte le imprese del suo ponti-
ficato»; BttU,
V. 112-183. nUoriadèlMavoio, Con-
tlwnando,Qnido racconta che,al momento
ddla sua morte, San Francesco venne
per prenderne l'anima e condurla in Pa-
radiso. Ha nello stesso tempo venne un
diavolo, pretese quell'anima esser sua,
lo provò logicamente, e se la portò giù
a Minosse, ohe la condannò all'ottava
bolgia. Un contrasto simUe Purg. Y,
103 e seg. Cfr. Orqf, Demonologia di !>.«
p. 37 e seg.
112. TKinnc : le anime sogliono andare
da so al luogo loro, confr. Ir^. UE, 123.
Purg. V, 108. Le anime dei due Mon-
tefeltranl vengono angeli e diavoli per
prenderle, forse perchè al momento della
loro morte il loro destino etemo non era
ancora definitivamente deciso.
113. CHXBUBnn: « gli ordini degli angio-
li sono nove, et di ciascuno ordine cadde
in Inferno ; et ciascuno ordine ha la sua
proprietà. Questi cherubini, che tengono
il seoondo grado degli angioli, sanno per
natura tutto '1 senso delle Scritture, ben •
ch'egli abbino perduta la scienza, onde
non sensa cagione l'Auttore tolse uno
cherubino a disputasione » ; An, Fior.
115. MsscHnri : servi; cfr. Tt\f. IX, 43.
117. DAL QUALI: dacchò lo ebbe dato,
r ho tenuto, per così dire, pei capelli, af-
flnohò non mi scappasse.
110. PBNTÉBB : pentirsi ; cfr. Nantwc.,
Yerld, 836, 341 e seg. Non si può pen-
tirsi di un peccato e nello stesso tempo
Tolerio commettere. Logica stringente.
121. MI RISCOSSI: tremai di spavento
all' udire quella logica terribile, al ve-
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270 [CKBC. 8. BOLO. 8] INP. XXYII. 122-136 [TITTOBU DEL DIAT0I.O]
Qaando mi prese, dicendomi : " Forse
• . Ta non pensavi ch'io loioo fossi I „
A Minos mi portò ; e quegli attorse
Otto volte la coda al dosso duro ;
E poi che per gran rabbia la si morse,
Disse: " Questi è de' rei del foco foro „ ;
Per ch'io là dove vedi, son perduto,
E, si vestito, andando mi rancure. »
Quand' egli ebbe il suo dir cosi compiuto.
La fiamma dolorando si partio.
Torcendo e dibattendo il corno acuto.
Noi passammo oltre, ed io e il duca mio,
Su per lo scoglio infino in su Paltr'arco
Che copre il fosso, in che si paga il fio
A quei che Scommettendo acquistan carco.
124
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136
dermi sobernlto, preso e portoto tU da
quel diavolo.
123. LOico: logioo, capace di ragio-
nare fllosoAcamente ana questione.
125. OTTO : ofr. Itif. V, 4 e seg. - dubo :
non piegandosi mai per alcano.
126. MOBSB: Minosse ò il simbolo della
coscienza; il mordersi la coda simboleg-
gia i rimorsi della coscienza, tormento
principale dei dannati; la rabbia di Mi-
nosse simboleggia 1* ira dei dannati con-
tro chi, sedacendoli, fa canea della loro
dannazione. Il Tom.: •rabbia, di tale
reità. » Ai demoni la reitÀ non ò cagione
di rabbia, ma di malvagia gioia.
127. DI88B : coirattorcersi otto volte la
coda al dorso lo condannò all'ottavo cer-
chio, colle parole all'ottava bolgia del
cerchio. - fubo : ladro, involando e na-
scondendo gli spiriti, ctr. Inf. XXVI,
41-42.
128. PBB ch' 10 : per la colpa che ti ho
narrata.
129. VESTITO: avvolto in qnesta fiam-
ma che gira senza posa, cfir. v. 2 e seg.
- MI BAiccuBO : mi lamento e rammarico;
cfr. Purg. X, 133.
131. DOLOBANDO: dolendosi ed espri*
mondo il suo dolore non più con parole,
ma col torcere e dibattere il corno acuto,
cioè la punta di essa fiamma; ctr. v. 16 e
seg. ; Inf. XXVI, 86-88. - 81 PiJiTÌo : si
parti, se ne andò; ofir. 2f annue,, Verbi,
176 e seg.
182. IL COBNO: la pnnta; oonflr. Jtif.
XXVI, 85-88; XXVII, 16 e seg.
V . 133- 1 36. PasBOffffio atta nona bol-
gia» Terminato il colloqnio oon Guido,
i dne Poeti continnano il loro viaggio sa
per lo scoglio, finché si trovano sol ponte
che attraversa la nona bolgia, ove sono
paniti i seminatori di discordie civili e
religiose, pabblicho e private.
133. PASSAMMO: andammo avanti.
135. no: fendo, trlbnto. Pagare Ufio
di alcuna cosa, vale anche nel lingua^
gio del popolo, soffHre il danno o la pen«
meritata; cfr. Purg. XI, 88.
136. A QUBi: Al. DA QUEI, les. difea*
da Z. F. (170) il quale chiede : « fi la già-
stizia divina che paga tributo ai pece»-
tori, e non questi a quella? » Risposta:
« Nella nona bolgia sì dà la pena {ti pa-
ga il fio) a coloro che, dividendo gli animi
(scommeUendo) con far nascere dissen»
sioni e scismi, acquistan maggior carico
di peccato de' precedenti, per cui sono
alquanto più giù ». - bcommeitbndo : di-
videndo, separando. Seemmettere ò il
contrario di eomnMtters — unire, oon-
ginngere; ott.Voe. Or. ad, v. - OABCO:
carico di colpa e di pena.
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[CSEC. B. BOLO. •]
INP. XIVIII. 1-8
[SCISMATICI] 271
CANTO VENTESIMOTTAVO
CERCHIO D'ATAVO
BOLGIA NONA : SEMINATORI DI DISCORDIE
(Di ooBtliioo tagUlti dalle spade dei demoni In ogni parte del eorpo)
MAOMETTO, PEA DOLCINO, PIEE DA MEDICINA, CURIO,
MOSCA, BEBTBAM DAL BORNIO
Chi poria mai pur con parole sciolte
Dicer del sangue e delle piaghe appieno,
Ch* i' ora vidi, per narrar più volte ?
Ogni lingua per certo verrla meno
Per lo nostro sermone e per la mente,
C hanno a tanto comprender poco seno.
S' ei s'adunasse ancor totta la gente,
Che già in su la fortunata terra
y. 1-21. Za pena dei Btminaiori
ài diteordie. Dal ponte delia nona bol-
gia i dae Poeti oeserrano lo strazio de-
gli scisoiatloi e seminatori di scandali,
i quali Tengono motìlati e fessi dalla
spada di an diavolo, clascnno In relasione
al eoo speciale peoeato, avendo flato al-
trettantodei membri della sodetà umana.
Cfìr. a. Galvani, Lez. aead. Modena, 1840,
p. 3 e aeg. del toI. II.
1. fobLl; potrebbe.- pur: anche in
prosa, noncfaò in rima. - sciolti : non
obbligate alle leggi del metro e della
rima. « Yerba soluta modis > ; Ovid., TriaL
IV, 0. - « Qois oladem ilUns nootls, qois
Ansia tmdo Explioet ant posslt lacrimis
fleqoare laboies f »; yirg.,Aen.llfi%l eseg.
3. FIB KABBAB : per qosnto rinnorasse
n raeeonto, tentando di migliorarlo e
snperare la difficoltà della materia.
4. oom ldtoua: « Non, mihi si lingain
oeatiim sint oraqae oentnm, Ferrea toz,
óomprendere fonnas,
Omnia pcenamm percnrrere nomina pos-
slm »j Yvrg., Aen. VI, 625 e seg.
6. BBBMOXB ! a motivo del nostro ama-
no lingaaggio insnffioiente a descrivere
adegnatamente lacoea. -hbntb: ragione,
intelletto, incapace, come il lingaaggio,
di rappresentare tale spettacolo ; confr.
Oonv, III, a.
6. BKNO : « la capacità o tasca formata
dalle vesti e specialmente dalla camicia
dalla cintola in sn avanti il petto »; Oa-
temi. Qai per capacità mentale.
7. 8* Ki 8' ADUHASSB : SO tatti gli nomini
cadati nell'Italia meridionale dai tempi
delle guerre sannitiohe e paniche ai tem-
pi delle gnerre normanne ed angioine, si
radunassero insieme a tàv mostra delle
loro ferite e mutilasioni, non offrirebbero
ano spettacolo da agguagliarsi a quello
ohe mi si offerse nella nona bolgia.
8. CHB GIÀ: Al. CHB oiACB, leggendo
poi nel V. seg. b fu invece di ru : ofr. Z.
F„ 171. - fobtuhata: fortunosa, soggetta
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272 [CXBC. 8. BOLO. 9] Inf. xxyiii. 9-22
[SCISMÀTICI]
10
13
Itf
19
Di Puglia fu del suo sangue dolente
Per li Troiani e per la lunga guerra,
Che dell' anella fé' si alte spoglie,
Come Livio scrive, che non erra;
Con quella che senti di colpi doglie
Per contrastare a fioberto Quiscardo,
E V altra il cui ossame ancor s' accoglie
A Ceperan, là dove fu bugiardo
Ciascun Pagliose, e là da Tagliacozzo,
Ove senz' arme vinse il vecchio Àlardo ;
E qual forato suo membro, e qual mozzo
Mostrasse, da equar sarebbe nulla
Al modo della nona bolgia sozzo.
Già veggia, per mezzul perdere o lulla.
alle Tioende della fortonA; cfr. Ir\f.JUL3Li,
115. Dion., Aned. n, Verona, 1786, p. 12.
9. FU : senti il dolore delle ferite per lo
sparso suo sangue.
10. Troiani : venati in Italia con Bnea.
Al. BOMAMI, ohe pare oorredone di co-
pisti. Coi suoi coetanei Dante credeya
ohe i Bomani disoendessero dai Troiani
che Tennero con Enea in Italia, onde
anche nelle sae opere in prosa chiama
alonne Tolte Troiani ì Bomani; confr.
Moort, Orit., 840-33. Siane, Vertueh, 250
e seg. Allade alle guerre sannitiche e
alle paniche, nelle qaali perirono mi-
gliaia d'uomini ; cfr. TU. Idv. X, 0 e seg.
- LUHOA : la seconda guerra punica durò
quindici anni, dal 218 al 202 a. C. 2W.
Liv, XXII e XXm.
11. ANSLLÀ : tratte dalle dita de' Ro-
mani, uccisi nella battaglia di Canne,
delle quali Annibale fece un cumulo di più
moggia ; cfr. TU, Liv. XXII, 6 ; XXUI, 7.
Folib. Ili, 255 e seg. Oonv. IV, 5.
12. NOH SBRA : dò SÌ credcTa ai tempi
di Dante; oggi no.
18. QUSLLA: con quella gente, doò coi
saraceni uccisi nelle guerre sostenute
contro Boberto Guls<»rdo, fratello di
Ricciardo duca di Kormandia; cfr. O.
ViU. IV, 18. 19. H. Leo, Qeeeh. der Ual.
Staaten I, 448 e seg.
15. l'altba : l' altra gente, cioè le rit-
ti me delle guerre angioine dal 1266 al 1268.
16. A Ckpbbah : aUude alla battaglia di
BeneTcnto, conseguensa del tradimento
dei Pugliesi che erano alla guardia di
Ceperano e lasdarono libero il passo a
Carlo I d'Angiò; cfr. Q. Via. VII, 5, 9.
Murai., Seripl. IX, 185 ; XÌ, 158 e 1284.
jSlattmb., Ofcron., 246 e seg.Dante non igno-
raTa che Manfredi cadde a Benevento ;
cfr. Purg. in, 128. Forse egli nomina
qui Ceperano con intensione di aUndere
al tradimento del conte di Caserta.
17. Taouaoozzo: castello néll'Abroaso
Aquilano, presso il quale a di 23 agosto
1268 Corradino fu sconfitto e distrutta
la potensa degli Stctì.
18. Alardo : di Valéry, consigUeze di
Carlo d'Angiò ; cfr. Q. ViU. VU, 26 e 27.
Saba Malaep. IV, 8 e seg. Salimb,, 248
e seg.
20. DA BQUAB: cfr. Virg., Aen. II, 862.
Al. D'AEquAB. Al. d'adiquab. Al. d'ao-
OUAOLIAB. Cfr. Z. F., 171 e seg. Senso:
Tutte quelle genti e le loro ferite sareb-
bero nulla accanto alle genti e aUe fb-
rite della nona bolgia.
21. sozzo : « rare, e non osiose, inlHnte
le traspoaixioni. Questa è delle più po-
tenti; che l'epiteto eozxo separato da
modo e posto alla fine del Terso chiude
r immagine, raccogliendo quasi in un sol
tratto a pennello tutte le deformità del-
l' orribile scena »; L. Vent., SimU., 468.
V. 22-51. JfoomeMo. Beco uno che è
spaccato dal mento sino al basso. È Mao>
metto, fondatore dell'Islamismo. Lo pre-
cede Ali col capo fosso. Maometto espone |
la ragione delle spaTentcToli foiite e mo*
tìlazioni; quindi chiede a Dante ohi egli
sia, alla qual dimanda risponde Virgilio.
22. olì: costr.: Una TCggla, per per-
dere messule o luUa, non si pertugia i
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[€S2C. 8. BOLO. 9]
iNF. XXVIII. 23-37
[UAOMXTTO] 273
ComMo vidi tm, cosi non si pertugia,
Rotto dal mento infin dove bì trulla :
Tra le gambe pendevan le mìnagia;
La corata pareva, e il tristo sacco,
Che merda fa di qnel cbe si trangugia.
Mentre che tutto in lui veder m' attacco,
Guardommi, e con le man s'aperse il petto,
Dicendo : « Or vedi come io mi dilacco !
Vedi come storpiato è Maometto I
Dinanzi a me sen va piangendo Ali,
Fesso nel volto dal mento al ciuffetto.
E tutti gli altri che tu vedi qui,
Seminator di scandalo e di scisma
Pur vivi, e però son fessi cosi.
Un diavolo è qua dietro, ohe n' accisma
eail eome lo ridi uno rotto, eoo. - yeo-
&A: botto; Toco d'orìgine Ignota; efr.
Dia, W9rL !!•, 78. Vezza e veMxia per
toctf rircno nel Bergamasoo. - hkzzul :
«fi tmdi deDe botti fono di tre pessi :
^«eOo di mesco ò detto mezuU, e li
«atcenl hanno nome tutte * ; Lan. Se-
eondo Benv., v%€zxul è la parto media
4d fimdo daD* botto, dorè essa si apre,
e Mia « para fondi vegetie inxto extre-
esa ad raodnm lane. »
34. BOTTO : pertugiato, fbseo.- trulla :
Beit9^ « Sde«t ab ore nsqne ad anam >.
Cfr. O^mm, XApt. P, 482.
3$. lavuoLA: interiora, budella; da
■Mtffss; cfr. IHét., WdrL II*, 47. Nan-
«K.. jr^ni, 318e757.
M. COSATA : onore, fegato e milza. -
tASMVAi apparirà, si vedeva. - tbisto :
ìorte, Mente. « Distilnit stringens nto-
nm membrana, flaontqne Viscere ; noe,
qmatom tato de oorpore del>et, EflBoit
k tflcns; aspwom led membra venenum
Deooqnlt : In minimum mora pontrahit
^»fa Tiroa. Vlneula nervoram, et la-
lenim testura.... efBuunt »; Lutan.,
F%mr9. XK, 773 e aeg. - bacco : dello sto-
aaao • d.^ intestino.
27. TBASOUGIA: 8i manda giù, man-
giaado • bevendo.
28. m'aitacoo: m'affisso, sto miran-
4oto att»itam«nto. « Dnm stnpet, obtn-
tafue bmret deilzns in uno »; Virg.,
Am,l, 495.
m. DCLAOOO : propr. mi tagUo le lacche;
q«i per estena. mi lacero, mi smembro.
1$. — Dip. <kmm., 4* edi9.
81. STORPIATO : guasto nelle membre. •
ÀI. SCOPPIATO, SCBMPUTO 0 8CIPAT0.
Cfr. Z. F., 172. -Maoiotto: il fonda-
tore dell'Islamismo n. a Mecca 6<K), m. a
Medina 683. Al. Maoomktio. Ha 11 corpo
fesso, per aver seminato scisma nel po-
poli. Cfr. EneM., 1108.
82. Alì : Ali Bbn AH Talid, cognomi-
nato Atiad Ollah èl AJuUib, oioò Leone
del Dio vincitore, e Murtadhi, doè Greto
a Dio, cugino e genero di Maometto, ed
uno de' primi suoi seguaci, n. 697, ucci-
so 060. Discordando in alcuni punti dalla
dottrini di Maometto, tdot una setto da
sé, onde egli ha fessa appunto quella
parto del corpo che Maometto ha ancora
intiera.
83. FISSO: Al. BOTTO. - CIUFPBTTO:
ciocca di capelli sulla fronto; qui per
firorUe,
85. SCARDALO: discordie cidli, scissu-
re, inimicizie. - scisma : separazione dal
corpo e dalla comunione della Chiesa cat-
tolica ; da ox^fia (divisione), e questo da
oX^'CetY (scindere, dividere).
36. VIVI: mentre vivevano su nel
mondo.
87. QUA DIETRO: in uu punto della
bolgia, il quale, essendo essa circolare,,
resto di dietro dal luogo, ove si trovano
Danto e Virgilio, onde non possono ve-
dervi. - accisma : acconcia; cfr. BUz,
Wórt. I", 164. Ocdvani, Ltz, Aecadem.
n. 81-60. Nannuc., Verbi, 81, ut. 8. Al.:
Adoma, abbiglia; Al.: Divide e toglia;
Al.: Piaga.
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274 [CEBO. 8. BOLG. »] INP. XXVIII. 88-52
[MIOMSTTO]
40
43
46
49
S2
Si crudelmente, al taglio della spada
Bimettendo GÌascnn di questa risma,
Qaando avem vòlta la dolente strada ;
Però che le ferite Bon richiase,
Prima ch'altri dinanzi gli rivada.
Ma tu chi se', che in su lo scoglio muse,
Porse per indugiar d'ire alla pena,
Ch'è giudicata in su le tue accuse? >
« Né morte il giunse ancor, né colpa il mena »
Rispose il mia maestro, « a tormentarlo ;
Ma per dar lui esperienza piena,
A me, che morto son, convien menarlo
Per lo Inferno quaggiù di giro in giro;
E questo é ver cosi, com'io ti parlo. »
Più fur di cento, che, quando l' udirò,
80. BiHBTTENDO: Sottoponendo di nuo-
vo oiasoono di noi al taglio della spada,
ogni qaal volta abbiamo oompinto il giro
circolare della bolgia. - bibma : qai per
eiurma, turba, ecc. Si nsa tuttora è della
stetta ritma per è della ttetsa indole,
Ctr. Eneiel., 1680. « Angelos Dei, aooepta
sententia ab eo. soindet te medinm »;
Daniele Xin, 55.
40. VÒLTA : aggirata a tondo, -btrada:
giro della bolgia.
41. BiCHiusK: rimarginate. Dnrante il
giro della /o«9a le ferite si rimarginano ;
ma poi il diavolo le riapre ; onde il tor-
mento ò etemo.
43. MUSE: masi, da miiMr»— tenere il
muso (per viso, cfr. Purg. XIV, 48) fisso
verso nn luogo, appunto come faceva
Dante, confronta v. 28. Nannue., Verbi,
63 e seguenti. Maometto non si è accorto
che Dante è ancor vivo ; confronta lt\f.
XXVUI, 61.
45. GIUDICATA : che ti ò stata data per
sentensa del giudice Minosse, secondo le
colpe delle quali ti confessasti reo dinan-
si al suo tribunale, cfr. If\f, Y, 7 e seg.
46. IL oiuiiBi: lo colse. Non è ancor
morto né va ad ona pena.
48. DAB LUI: dargli piena conosoensa
delle pene che aspettano nell'Inferno chi
vive nel peccato.
50. DI oiBO : di cerchio in cerchio ; cfr.
Inr. X,4;XVI, 2.
51. COM'IO! è la verità, com'io ti dico,
y. 62-63. :Fra DoMno, All'udire che
Dante ò ancor vivo, più di cento restano
lì a guardarlo Incantati. Maometto parla
di nuovo in prò di un par suo, non per
carità, che laggiù non ha luogo, ma per
la gioia infernale di veder continoato lo
scisma. Parla dunque in prò di Doldno
Tomielli di Novara, discepolo di Gerardo
Segarelli di Parma, ohe sin dal 1260 aveva
fondato la setta degli Apottoli ofrateUi
apottoliei, della quale Doloino divenne il
capo, dopo che il Segarelli iti arso vivo
nel 1296. Dolcino si spacciava per apo-
stolo e profeta, predicava la carità e la
comunansa di tutte le cose, anche delie
donne; cfr. Murai., Script. IX, 434-435,
457. A Trento si guadagnò a compagna
una Tridentina, giovane, bella e ricca,
di nome Margherita, che fece sua con-
cubina, chiamandola torcila in Oritto;
Murai., ibid., 459. Nel 1305 o 1806 ai ri-
dusse con cinquemila seguaci sopra il
monte Zebello nel Vercellese e vi «t for-
tificò in modo, che la crociata, bandita-
gli contro daClementeV, sarebbe andata
a vuoto, se la fame non lo avesse costretto
ad arrendersi (13 marzo 1807). lì 2 giu-
gno 1307 fu arso vivo a Novara con Mar-
gherita e più altri della sua setta. Cfr.
Murat.,Seript.lX,436ea»g. <7.F<tt.VIII,
84. Baggiolini, Doleino eiPatartni, No-
vara, 1838. Krone, Fra Dolcino Und die
Patarener, Lipsia, 1844. Oallenga, Pra
Doleino and hit Hmet, Lond., 1853. Bmw.
II. 358-62. Taliee I. 882 e seg. Com. lApt.
V, 485 e seg. Eneiel., 629-82.
62. PIÙ : cfr. Ir{f. XII, 80 e seg. Purg.
n, 67-75. Non avevano fino «d ora vedo tp
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[CSEC. 8. BOLG. 9]
Inp. iXYm. 53-69 [pba dolcino] 275
Sd
61
e?
S'arrestaron nel fosso a rìgnardarmi
Per maraviglia, obbliando il martiro.
< Or di' a fra Dolcin dunque che s'armi,
Tu che forse vedrai lo sole in breve,
S' egli non vuol qui tosto seguitarmi,
Si di vivanda, che stretta di neve
Non rechi la vittoria al Noarese,
Ch'altrimenti acquistar non saria lieve. »
Poi che l'un pie per girsene sospese.
Maometto mi disse està parola ;
Indi a partirsi in terra lo distese.
Un altro, che forata avea la gola
E tronco il naso infin sotto^ le ciglia,
£ non avea ma' che un'orecchia sola,
Restato a riguardar per maravigUa
Con gli altri, innanzi agli altri apri la canna,
Ch'era di fuor d'ogni parte vermiglia;
m iiMDO Tivente e non dannato peroor*
nre qaelle regioni.
56. VOBSB: aembraohe non prestasae
4el tatto fede a dò ohe Virgilio gli disse.
Oppvire il fm§e ò da oonglnogerai con
w hTe€4, onde Maometto sarebbe « sol»-
BMnta dabbloao del tosto o del tardi »;
56. N yrrAiTDA: ti armi di vivanda,
doè si provregga di TettovagHa. -stret-
ta : nemta, gran cadata di neve.
59. AL KoAKisc : ai KoTaresi e ai loro
eompagnl della crociata.
60. ALTBOCBNTi : « a nomine expagnari
poteraat, nec aliqoem hominem timebant,
dammodo tamen faaberent Tiotoalia »;
Mwat., Script. IX, 432.
61. soapESB; disse le ultime parole,
ATendo già alsato un piede per andar-
sene oltre, ed appena Unito, compio l'in-
comlndato passo.
62. BTA : questa t qui il singolare per
fl plonUe.
V. 6Ì-90. P<er da Medieina. Parla
sa altro, <die ba la gola forata, reciso il na-
so ed on orecchio, e predice il tradimen*
to di Kalatestfaio. Ècostoi Pietro dei Cat-
tasi da Medicina, grossa terra matildioa
nel piano tra Bologna e la bassa Boma-
gaa, nomo « valde maledicna » {PoiHl,
Oau.) e « morditor » (Pttr, Dafd.), « Fa
étl contado di Bologna, e commise la
goena da Slorenza a Bologna, e da Bo-
logna agli Ubaldini; poi per sne male
opere fu cacciato, e stette in Fano, e
commise la guerra tra qne' di Fano e i
Malatosti » ; An, JM, - « Fa molto cor-
rotto in qael vizio, A di seminare scan-
dalo tra li nobili bolognesi, come ezian-
dio tra li romagnoli e' bolognesi » ; Lan.
-« Fait pessimas seminator scandali, in
tentam qnod se aliqaandla magniflcavit
et ditavit dolose iste arto infami *; Benv.,
il quale illnstra la sna sentenza con esem-
pi parlantissimi, tradotti poi e ripetati
daUMn. Fior, Ctt. Oozzadini, Torri gerir
tilizie, 874 e seg. Bneieh, 1223-25.
64. GOLA : per la quale mentì, rirendo.
Virg., Aen. VI, 494 e seg. parlando di
Deifobo: « AtqnebicPrlamlden lanista m
oorpore toto Deiphobam vidlt, lacerum
crudelitor ora, Ora manosqae ambas,
populataque tempora raptis Auribas et
truncas inlionesto volnere naris, »
65. MABO: che amava in vite ficcare
ne' segreti idtmi.
66. MA' cai ! non pih che ; ofr. Ji^. IV,
26. ITna gli ò mozza.
67. RISTATO : con quei pia di eerUo del
T. 52. « Kec vidisse semel satis est i iavat
usqne morari £t conferre gradum et ve-
niendi discere cansas »; Virg,, Am, VI,
487 e seg.
68. OAHNA: della gola; parlò.
69. vsEMiauA : sangoinanto per le fe-
rite.
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276 [CBBC. 8. BOLO. 9] Inf. xiviii. 70-84
[PIER DÀ MEDICINA]
70
73
7«
7»
E disse: « Ta, cui colpa non condanna,
E cui io vidi sa in terra latina,
Se troppa simiglianza non m'inganna,
fiiinembriti di Pier da Medicina,
Se mai torni a veder lo dolce piano,
Che da Vercelli a Marcabò dichina.
E fa' saper a' due miglior di Fano,
À messer Quido e anco ad Àngiolello,
Che, se l'antiveder qui non è vano,
Gittati saran faor di lor vasello,
E mazzerati presso alla Cattolica,
Per tradimento d'un tiranno fello.
Tra l'isola di C^pri e di Maiolica
Non vide mai si gran fallo Nettano,
Non da pirati, non da gente argolica.
71. VIDI : « Ad domnrn istoram perrenit
Mmel Dantee, ubi ftiitegregie honormina.
Et intorrogaiaa qald sibi videretnr de
oorfa iUa, reapondit. ae non vidisae pnl-
oriorem in Komandlola, ai ibi eaaet mo<
dioom ordinia »; Bmiv. -tkrra: Italia;
ofr. IfiT. XXVII, 2«-27.
72. TBOPPA : ae to non aomigli troppo
ad altra persona da me rodata nn dì an
in terra latina. « Si nnroqoam fallit ima-
go »i Yirg., Edog. II, 27.
74. BR MAI: non è pienamente per-
snaao neanche Ini della veritÀ di qoanto
ha detto Virgilio, v. 46 e aeg. Proprio di
qneata gente, per cni il linguaggio è
principalmente nno stromento d' ingan-
no. - PiAKO: la Lombardia; dolce, para-
gonata col luogo dove adeaso ai trova.
75. Mabcabò: oaatello ooatmito dai
Veneslani ani territorio di Bavenna, non
langi dalle foci del Po. distrutto da Ram-
berto da Polenta il 28 settembre 1300,
non risorse pib, nò al luogo rimase il
nome. Cfr. Ricci, Rifugio, 12. SMntende
però che il nome non si spense ad un
tratto, onde Dante poteva menzionare
Marcabò anche alcnni anni dopo il 1809.
InfotU BcM,, BiUi ed altri antichi pai^
lane di Marcabò in modo da renderci
sicari ohe il nome non era ancora spen-
to nei tempi loro. Ckmf^. Endcl., \\W
e seg.
76. inouoB: più nobili e valoroai. -
Faho : città aoU' Adriatleo, distante nove
miglia da Peaaro e trenta da Rimini.
77. Guido : del Caaaero. - Anqiolello :
da Carignano. Ambedue nobili di Fano*
Invitati da Malateatino Malatesta a ve-
nire a parlamento con lui alla Cattolica,
borgo suir Adriatico tra Bimini e Pe-
saro, furono annegati da' marinari, per
ordine di Malateatino. Ciò avvenne poco
dopo il 1812 ; cfr. Tonini neirJSeettemen-
to, 1858, p. 681 e aeg. Dunque Dantedettò
questi versi dopo quell'epoca.
78. QUI : come suol eaaere su nel mondo.
-VANO: fallace. Cfr. I^f. X, 100 e aeg.
Tirg., Aen. 1, 802 : « Ni firustra anguiiom
vani docuere parentes. »
70. VASELLO: nave; ofr. Purg, II, 41.
Al., Land., VeU., ecc.: il corpo, vasello
dell'anima. Voi.: Città, patria. Farono
gittati fuor del lor naviglio, e Purg, II,
41 mostra che Dante diaae vasello per
nave, naviglio.
80. MAZZERATI: •mazzorore è gittare
l'uomo in mare In nno aaoco legato con
una pietra grande ; o legate le mani et i
piedi, et uno grande aaaso al collo »; BuH,
81. FELLO: iniquo, aleale. Cfr. però
Murai., Script. XV, 896, dove ai dice ohe
Malatestino « tanto fti aavio et ardito e
da bene, quanto mai fosse nomo. »
82. TEA! in tutto il Mediterraneo, di
cui Cipro ò r isola piti orientale e Maio-
lica, o Maiorca, la più occidentale. Hot-
tuno, H Dio del mare, non vide mai oom*
mettere nn aimile delitto, né da ladri di
mare, né da gente greca che anticamen-
te aoleva corseggiare pel Mediterraneo.
83. Kbttuko: Al. KBSBUaO; oonfr.
Moore, Orit,, 343^ .
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IKF. iXYiii. 85-98
[cuBio] 277
85
88
91
»4
97
Qael tradì tor che vede pur con V xmOf
E tien la terra, che tal è qui meco »
Vorrebbe di veder esser digiunoi
Farà venirli a parlamento seco;
Poi farà si, che al vento di Focara
Non farà lor mestier voto nò prece. >
Ed io a lai: « Dimostrami e dichiara.
Se vuoi eh' io porti su di te novella,
Chi ò colui dalla veduta amara. >
AUor pose la mano alla mascella
D'un suo compagno, e la bocca gli aperse,
Gridando : « Questi ò desso, e non favella.
Questi, scacciato, il dubitar sommerse
In Cesare, affermando ohe il fornito
86. QUK.: Hitoteatiiio. «lilsaerKa-
Itttosto ebbe tre donne: de la prima
nacque Malateetino dell' Oeohio, perchè
era Mance di on occhio.... De la accenda
naeqoe Oianne Scianoado (€Haneioito,
wmrito di Franeuca da Bimini) e Paolo.
De la tersa, che Ita figlinola di MiMcr
Biglietto, nacque Fandolfo, il qnale fti
molto Tirtooco. B da Paolo predetto di-
•cecero i conti da Ghiasdo »; Murat,,
aoHpi. XV, 896.
86. TiMH : signoreggia Rimini, che nn
mk» compagno qui vorrebbe non avere
mai rodata, arendoTi eommcMO il mi-
elktto che lo oondniee qui. -tal: Cario,
cfr. T. 01 e eeg.
89. FocAKÀ : « monte altìBsimo appree-
■o la Cattolice, onde Tenti terribili Bo-
rimi lerani »; Dan,
9Q.PSKG0: preghiera; ctr.Nannue.t F«r*
N, 87 nt. 6 ; 294. Nomi, 146. Kon avranno
Weogno di votarsi e pregare che I>io gli
■campi dal vento di Vocara, perchè ac-
ciai prima di arriTarvi. Passando presso
Vocerà 1 naviganti si votavano e prega-
vano. Si aveva pore il proverbio: «Ca-
stodiat te Deas a vento Vocarieosi I >
V. 91-102. CurUK Dante deriderà di
■•fere ohi aia qael compagno che non
vorrebbe mai aver vednto Bimini. Be-
•olo qai : è Cario, o Catione, U tribano
romano, partigiano prima di Pompeo, e
poi vendatooi per denaro a Cesare. Cfr.
YM. Paure, U, 46. Andò nel 705 di So-
ma (40 a. Cr.) da Boma a Bavenna ad
iaAnrmare Cesare dello stato di coae a
Boma, dove ritornò con lettere di Ceaare
•1 Senato. PabbUoato U decreto del Se-
nato che diohiaraTa Cesare nemico della
Bepabblica, qualora non lioensiaaae il
ano eaeroito e sgombraaae la provincia,
Carlone fttgg) cogli altri tribani a Ba-
venna e, accendo Lncano, eaortò Ceaare
a non indngiare. Sennonché all'arrivo
di Curione, Ceaare aveva già paaaato il
BaMcone, onde il racconto di Lncano,
aegnito qai da Dante, pecca contro la
atoria.
01. DtMOflTRÀMi! iunmi vedere cohii
di cai ta parli, e dimmi perchò vorrebbe
non aver mai vedato Bimlai.
06. N OM FAVSLLA : avendo tagliata nella
itrotta quella ana llngoa venale ; cfr. v.
101. « Aadaz venali oomitatar Curio lin-
gua»; Luean., Phart. I, 260.
07. SCACCIATO i da Boma, v. 102. «Pel-
limar e patoiis larlboa, patimnrqne vo-
lentea Bxailinm: tua noe fiMslet Victoria
etwM»; Luean,, Phare. I, 278 e aeg. -
BOMMSBflC: apenae in Ceaare ogni dub-
bio che tenevalo irreaoluto, ae dovesse
o no paaaare il Bublcone ed incominciar
la guerra civile.
08. AFrBBMAH do: « Dum trepldant nullo
firmata robore partea, Tolle moras : sem-
per nocuit differre paratls»; Luean.,
Pkar§, I, 280 e seg. IS^' Intelligenza,
attribuita a Dino Compagni:
A Rlmin« glagaendo i oaTallerl.
Dipinto T*è ehe tae di notte Mura:
Trombotto e ooral •onaTan lì fleti,
Cho i Bimiowi tnmAr di paura.
Curio tribano parlò piimiorl.
B dlsM : « lo son por to di Roma fora ;
Nostra fkanohigla è nella tua rperania:
Cavalea, Cwsr, lonca diaoranza;
I tao! nómioi bob avraano dora.
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278 [CEBO. 8. BOLG. 9] IKF. XXYin. 99-111 [MOSCA DEI LAXBEBTl]
100
103
106
109
Sempre con danno l'attender sofiPerse. »
0 innante mi pareva sbigottito
Con la lingua tagliata nella strozza
Curio, eh' a dir fu cosi ardito I
Ed un ch'avea l'una e l'altra man mozza,
Levando i moncberin per l'aura fosca,
SI che il sangue facea la faccia sozza.
Gridò : « Ricorderà' ti anche del Mosca,
Che dissi, lasso ! , '^ Capo ha cosa fatta „ ,
Che fu il mal seme per la gente tosca. »
Ed io gli aggiunsi: « E morte di tua schiatta! »;
Per ch'egli, accumulando duol con duolo,
Sen gio come persona trista e matta.
101. BTBOZZA, : gorgOBsnle, canna della
gola.
102. A DIB: Al. A DICEB.
V. 103>111. Mo9ea dei Lamberti,
£oco il Moeca, ohe Dante areva deside-
rato di vedere, Ir^f. VI, 80, quegli ohe
feoe risolvere gli Amidei ed i loro pa-
renti ed amici a vendicarsi di Baondel-
monte Decidendolo (ott. Par. XVI, 186
e seg.), - « B stando tra loro in consiglio
in che modo il dovessero offendere, o di
batterlo o di ferirlo, il Mosca de' Lam-
berti disse la mala parola: eo$a/aUa,
capo ha, cioè che fosse morto : e cosi fa
&tto»; O. Vm. V. 88; cflr. Mach., Ut.
Fior. II, 3. TiUari, I primi due tecoM
della Storia di Firenze, Fir., 1893 ; 1, 155
e seg.; II, 283 e seg. Eneid., 1292 e seg.
103. MOZZA: si servi non pare della
lingua a seminare scandali, ma altresì
delle mani, spargendo sangue, onde le
ba mozze.
104. l'auba: Al. l'abia.
107. CAPO: « cosa fotta non può di-
sfarsi ; riesce ad un capo, ad un fine, a
un effetto ; e perciò si uccida addirittura
Bqondelmonte, senza pensare troppo co-
m' andrà a fluire; basta oh' e' muoia»;
Del Lungo, Dino Oomp, II, 15. -« Qual-
che volta non si trova chi voglia esser
capo d' una cosa, che dee farsi ; ma il
capo si trova sempre di una cosa, che
già si è fotta » ; Betti. Gfr. Ammirato,
Jet, Fior, lib. I, p. 56. Nannue., Man.
11», 18, nt. 16.
108. bkmb: tper la morte del detto messe-
re Buondelmonte tutti i legnaggi de' no-
bili e altri cittadini di Firense se ne par-
tiro, e ohi tenne oo' Buondelmontl che
presero la parte guelfo e fbronne oaiio,
e chi con gli Uberti che fhrono capo de*
ghibellini, onde alla nostra città segai
molto di male e mina »; G.Via, V, 88. -
« Di tal morte i cittadini se ne divisono,
e trassonsi insieme i parentadi e l'ami-
stà d' amendua le parte, per modo ohe la
detta divisione mai non fin) ; onde nao-
quero molti scandoli e incendi e batta-
glie cittadinesche » ; Dino Oomp, I, 2.
109. b mobtb: e quella tuapart^ito
pure la rovina della tua schiatta. I Lam-
berti fhrono cacciati da Firense nel 1258 ;
otr. Q. ViU. VI, 65. Nel 1266 ftironodei pri-
mi ohe cominciarono a levarsi contro i
trentasei, ott.Q. ViU. VU, U. Nel 1268fa-
rono tutti dichiarati ribelli, senza distin-
zione di sesso e di età, il qual bando di
ribellione fti confermato nel 1280. Quindi
essi scompaiono quasi del tutto dalla
storia fiorentina. L' ultima notizia che
di essi si abbia nelle carte fiorentine, è
che i Lamberti si posero sotto le hèse.-
diere di Arrigo VII, quando venne a por-
re assedio a Firenze, sperando potervi
tornare per forza delle armi ; cfr. Far-
non, In^. voi. II, p. 612. Questo verso
non lascia verun dubbio che Dante scri-
veva quando i Lamberti erano già spenti,
dunque dopo la morte di Arrigo VII.
110. duol: al dolore della sua pena si
aggiungeva il dolore cagionatogli dal sa-
pere spenta, o lì per ispegnersi, la sua
stirpe.
111. qìo: g^, andò ; cfr. ì{awMu„Yerhi,
176 e seg. - TBI8TA: mesta e foori deX
senno per l' eccesso del dolore.
V. 112-142. :BeitiM^m, deU Bemio.
A Dante si oflRre uno spettacolo spaven*
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[CSEC. 8. BOLG. 9] tV¥. XXVUI. 112-124 [BBBTB. t>. BOBHIO] 270
112
U5
118
121
194
Ma io rimasi a rigaardar lo stuolo,
E vidi cosa, ch'io avrei paura,
Senza più prova, di contarla solo ;
Se non che coscìensa mi assicura,
La buona compagnia ohe Fuom francheggia
Sotto l'osbergo del sentirsi pura.
Io vidi certo, ed ancor par ch'io '1 veggia,
TJnj3U8to senza capo andar si come
Andavan gli altri della trista greggia*
E il capo tronco tenea per le chiome.
Pésci con mano, a guisa di lanterna,
E quel mirava noi, e diceva: « 0 mei >
Di so faceva a sé stesso lucena,
toTOÌ«^ Viene uno che ha redso n capo,
e U» porte in nuuio, e U capo parla, e d
BO■ljlu^ e diee qual peccato lo oonduase
a tal martirio. Qaeeti ò il celebre trova-
tore Bertrando de Bom, -rleoonte nel
Perigord» eliniore del castello di Haate-
fort(efr. /i^.XXIX, 29), lodato da Dante
nel De Vvlg. SI. II, 2. Visse neUa seconda
BsetA del secolo e fa « boon cavaliere, buon
gaerriero, buon amante, buon trovatore ;
bene istanito nell'arte dpi bel dire, sapera
sopportare la buona e la malvskgia Tor-
tona » ; Saifnouard, Ohokt d. Poét, orig.
d. Troub. V, 7d. Istigò Enrico, detto U
re giv9ane, primogenito di Snrieo II re
d*Iagliiltem, a ribellarsi al padre. Morto
ilfwpioMUM nel 1183, Enrico assediò Ber-
trando a Hantefort; ma poi, presolo, gli
restUnì castello e dominio. Seminò parec-
chie altre discordie, e snl finir de' soci
giorni si fece monaco. Cfr. Raynouard,
L e MiOat, HUt. d. Troub. I, 210. DUz,
Leben u. Werke der Troub. 1» ed., 179-
233; 2* ed., 143-192; SHmming, Bertr,
de Bom, 9. Leben u. $. Werke, Halle, 1879 ;
jr. SeheriUù, Bertram dal Bornio, Bo-
na, 1897.
112. STUOLO : schiera dei seminatori di
114. fbota: esperimento; senza eepe-
rimentarla ulteriormente. Al.: Sens'altra
oonferma ohe le mie parole. Ma qaal mai
altra eot^ertna del sno racconto ha il
Poeta, tranne le eoe parole f - bolo : avr.
solamente; temerei soltanto di racoon-
tarìa. AL: Io solo ; ma non è Dante pro-
prio tutto solo soletto a raccontar la
eosaf O è forse la sua ooicienza il se-
condo? La ooscienxa non racconta nulla,
né è un soggetto diverso dall'individuo
che ad essa si riferisce.
115. A88ICUBA : sapendosi pura, mi ren-
de testimoniansa che io non ho nulla a
temere di quelle pene che vidi e descrivo,
checché ne dicano i miei nemici.
118. FRANCHEGGLà: rende franco, di-
chiarandolo scevro di colpa. « Conscia
mens ut cuique sua est, ita conoipit in-
tra Pectora prò fiMto spemqne metum-
que suo» ; Ovid., Fast. 1, 486-6 « Hic mn-
rus aheneus osto : Nil conscire slbi, nulla
paUescere culpa»; Horal., Bpitt. I, i, 60
e seg.
118. CERTO: riprende qui il racconto
poetico, interrotto dai w. 118-117. Aven-
do detto che l'aura laggiù enk/otca,
V. 104, ed essendo ciò che qui descrive
cosa strana ed incredibile, il Poeta di-
ce : Io vidi CBBTO, per acquistar fede al
suo racconto, come se volesse dire: Non
mi parve soltanto di vedere; vidi certa-
mente,
119. sì COME: nello stesso modo, colla
medesima sicuressa degli altri seminato-
ri di discordie, i quali avevano la testa
sul busto.
122. PÉSOL: sospeso, pendulo, a quel
modo che, camminando nell' oscurità,
un nomo tiene innansi a sé la lanterna
per rischiararsi la via.
123. QUEL: il capo tronco. Al quei.
Cfr. Z. F., 176. - O ME: oimè.
124. DI sÈ : di parte di sé, cioò del suo
capo. - LUCERNA : « oogli oochi del capo,
11 quale egli aveva in mano, guidava i
suoi propri! passi»; Tom.
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280 [CKEC. 8. BOLO. 9] IHF. XXYIII. 126-139 [BBETBAM DAL BORNIO]
127
130
133
136
139
Ed eran due in uno, e uno in due;
Com' esser può, Quei sa che si governa.
Quando diritto al pie del ponte fue,
Levò il braccio alto con tutta la testa,
Per appressarne le parole sue,
Che furo: « Or vedi la pena molesta
Tu che, spirando, vai veggendo i morti!
Vedi se alcuna è grande come questa 1
E perchè tu di me novella porti.
Sappi ch'io son Bertram dal Bornio, quelli
Che diedi al re Giovanni i mai conforti.
Io feci il padre e il figlio in sé ribelli:
Achitòfel non fé' più d' Ansalone
E di David co' malvagi pungelli.
Perch'io partii cosi giunte persone,
125. DUB: erano due, il capo essendo
diviso dal busto; uno, le dee parti con-
tinoando le loro ftinsioni organiche e vi-
vendo nna sola e medesima vita. Un solo
individuo in dae parti separate.
126. Quei: Dio che così punisce; ofr.
If\f, XIX, 10 e seg.
127. DIRITTO : aw., precisamente a piò
del ponte. Cft>. Itkf, XVni, 4.
128. TUTTA: riempitivo, come Boee.,
Dee, X, 9: «Il letto con tatto messer
Torello fu tolto via. »
181« BPiBAifDO : respirando, essendo an-
cor vivo; cfr. 2f^, XXm, 88,Par^. V,
81 ; Xm, 182.
132. VIDI : « O vos omnes, qui transitis
per vi«n, attondito, et videto si est do-
lor sioat dolor mens » ; LamerU. Jer, I,
12; cfr. Vita N. VII, son. 20.
188. POSTI: sa nel mondo.
185. Giovanni : cosi si può dire tatti 1
oodd. e tutti quanti i oomm. antichi (il
Giovane di Benv. sta per Oiovannit che
Johannet è nominato il re giovane nel
Gomm. n, 376). Evldentomento tutti i
commentatori antichi confusero Enrico
primogenito con Giovanni quartogenito
di Enrico II re d' Inghilterra, e sembra
che anche Danto sia cadnto nel mede-
simo errore. La lez. al re giovane sa-
rebbe certo una correzione ottima ; ma
r autorità dei codd. e dei comm. ant. non
permetto di introdurla nel testo. Cfr. Z.
F.» 176. BarUno, The Toung King and
Bertrand de Born, Lond., 1862. Oontrihu-
tiont, 158-57. Blane, Veriueh, I, 251 54.
Moore, Orit,, 844-61. Vemon, Beadingm
on the InS' H* 475 e seg. Vedi pure 1
lavori citati dal De Bai, J, 865 e se^.
Ferrar. IV, 896 e seg.; V. 288. Quando
Danto avesse voluto scrivere giovane in-
vece di Giovanni, gli sarebbe costato
ben poco il dire: «Che diedi al giovan re
i mai conforti. » - 1 mai conforti : cattivi
suggerimenti ; suggerendogli di ribellarsi
al proprio padre. Cfr. Com. Lipe. 1\ 408.
136. FECI : « metia tot son senno en
mesoiar guerras, e fes mesciar lo paire
e '1 fllh de Englatorra »; Baynouard,
Ohoim, V, 76 ; cfr. anche Stimming, Bertr.
de Born, 104 e seg. - ne sÈ : T uno contro
r altro. , .
187. Achitòfel: 7^^nK <—^*»-
• -I
tono della stoltizia), da Gilo nelle regioni
meridionali della tribù di Giuda, onde d
detto U OUcnUa, fiuoaoso consigliere di
Davide re d' Israele, &vorì la ribellione
di Absalone, col detto il oonsiglio di ao-
ddere il re Davide, suo padre; cfr. II,
Reg. XV, 12 e seg.; XVI, 15 e seg.; XVII,
1 e seg. - Ansalone : cosi, o Aeealone,
dissero gli antichi per Absalone. Al. Ab-
salone.
138. pungelli : consigli malvagi. Aohi-
tofele non seminò peggiore discordia tra
padre e figlio, di quella che per me fti
seminata.
189. PARTO: divisi. - giunte t congiunte
dal vincolo di natura.
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[eiBC. 6. BOLO, d] InF. XITIII. 140-14^- XXlX. 1-8 [AlfMONIZ.] 281
Partito porto il mio cerebrO| lasso ! ,
Dal suo principio, ch'ò in questo troncone.
M2 Cosi s'osserva in me lo contrapasso. »
140. CBBIBBO: eerrello; qui per capo, 142. cohtrapasbo : lat eontra puti;
la pftrto per il tatto. la legge del taglione, Tigente in tatto
141. PKUicino: dalla midolla spinale, di l' Inlbmo danteeoo. la qaale eelge che tal
coi il eerreDoè oredatofda Aristotele, dal sia panito qaal fece t cfr. Efod. XXI, 24.
GaUe e da Fisiologi moderni) essere ri- UvU. XXIV, 20. DtvUr, XIX, 21. Màtt.
geaflaai«ato e arer origine da essa. Y, 88; VII, 2.
CANTO VENTESIMONONO
CEBCfllO OTTAVO
BOLGIA nona: seminatosi di DISOOBDIA
gerì del bello
CEBcmo ottavo
BOLGIA decima: FALSASI D'OGNI GENEBE
1*" FALSATORI DI METALLI
(Coperti di lebbre, paasolentì, si graffiano ibrooemente oon le angliie
e sono morsicati da altri spiriti)
OBIFFOLIHO E CAPOCCHIO
La molta gente e le diverse piaghe
Avean le laci mie si inebriate,
Che dello stare a piangere eran vaghe;
y. 1-12. Amm&nimione di VirgiUo. 2. LUCI: ocelli: of. Pwrg, XV, 84; XXXI,
Dante ò ancora tatto intento a gaardare 79. Par. 1, 08; XVIII, 66; XXII, 126. eoe.
gUi nella nona bolgia. Virgilio gliene fi» - DfEBRiATi; pregne di lagrime per il
paterno rimproTero, ricor^uidogll esse- dolore cagionato cUk qaella rista miseran-
reomai tempo di continuare il viaggio. da. « Inebriabo te laoryma mea »; Jbaia
1. molta: dir. JV* XXVIII, 7-21. - XVI,9.-«Bbrietate*et dolore repleberis»}
wrtam strane, inaodite. £feh, XXUI, 83. Cfr. Oont, lY, 27.
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282 [CEBO. 8. BOLO. 0] INF. XXIX. 4-12
[ÀMMONIZIONK]
10
Ma Virgilio mi disse : « Che pur gaate ?
Perchè la vista tua par si soffblge
Laggiù tra l'ombre triste smozzicate?
Ta non hai fatto si all'altre bolge:
Pensa, se tu annoverar le credi,
Che miglia ventidne la valle volge,
E già la lana è sotto i nostri piedi :
Lo tempo è poco omai, che n' è concesso.
Ed altro è da veder, che tu non vedi. »
4. OHB: a ohe, a qaàl fine. Al.: Che
ooMt Era ben neoesaario di chiederlo!
- GUATB : guati, miri con attensione. Cflr.
Nannue., Verbi, 68 e seg., 278 e seg.
6. 81 BOFFOLGS : dal lat. aufuldre ; s'ap-
poggia, 8i ferma, si posa; confr. Par.
XXin, 180.
6. SMOZZICATE! mntilate, tagliate a
pezzi ; cfr. InA XXVIII, 19, 108 e seg.
7. sì: cosi; non hai mostrato rincre-
scimento di allontanartene.
8. SB TU : se tn credi di potere osser-
rare tatte le ombre di qoesta bolgia.
9. yoLOBt gira, ha nn cirooito di yen-
tidae miglia, onde immenso è il nomerò
delle ombre che vi sono dentro.
10. E GIÀ : sono le ore 1 ^/s pom. Cfir.
Agnelli, TopoOron., 109. -botto: ne'ple-
nilani {ctr. Inf. XX, 127) la lana è a sera
sali' orizzonte, a mezzanotte nello zenit,
il mezzodì segaente al nadir, cioè per
r appunto sotto i piedi di chi è posto nel
mezzo della terra; oonfir. Della Valle,
Seneo geogr. aetron,, 20 e seg. Ponta,
Orolog. Dani., Novi, 1846, p. 217, ed.
O. Gioia, CittÀ di CasteUo, 1892, p. 58
e seg. Lanci, Spini, tre regni I, 24. No-
citi. Orario, p. 7.
11. POCO: dovendo compiere il viag-
gio per 1* Inferno in 24 ore, quindi nsoir-
ne la sera di questo stesso giorno (confr.
Ir\f. XXXrV, 68), non gli rimanevano
oramai pih che circa 6 ore per arrivare
al fondo.
12. VKDi : Al. CRKDi, lez. del tntto fkisa,
non avendo Dante mai fotte tre rime con
dne parole di agaal senso. Cfr. Quattro
Fior. U, 113. Blane, Vereueh I, 256 e
seg. Lomb. ad h. 1.
V. 13-39. €Mr{ tM Bello, Dante si sca-
sa a Virgilio dell'indagio, dicendo di aver
guardato tanto attentamente giù nella
bolgia, perchè crete che in essa ci aia
nn suo parente. Virgilio gli risponde ohe
quel tale ò già passato oltre sotto il pon-
te, e che lo odi nominare €tori del BeOo.
Questi fh figlio di Bello, che fti fratello
éi Bellinoione, nonno di Dante. Cfr.
PeUi, Mem., 88. Paeeerini in DatOe e
U euo teooHo, 60. FraHAneUi, Vita di D.,
40. Rewnnonl nel DanU-J'ahrbueh U, 836.
« La sua storia è variamente narrata da-
gli antichi commentatori : bratta ad ogni
modo. Uccisore a tradimento, e dopo avo-
re con una menzogna fletto posar 1* ar-
me al suo avversario, egli stesso è poi
ucciso a Fncecchio da nn parente di que-
sto : ohe fEuniglie fossero, non è ben chia-
ro. E notisi ! Geri aveva acdso, dicendo
all'altro: Meeeere, ecco la famiglia del
Poteetà, ripone Varm»\ e l'nocisore
suo fft la vendetta, essendo davvero nf-
flciale di Potestà e mostrando di cercar-
gli arme addosso »; Del Lungo, Arehir
vio etor. ital, 1886; XVIII, 880.-«l deZ
Bello sono consorti di Dante, ansi saoi
stretti congiunti, perchè derivati dames-
ser Bello giudice, figlio di Alighiero e fra-
tello di Bellinoione suo avo. Questa Si-
miglia fa gnelfk, e vien rammentata tra
quelle che ebl>ero atterrate le case nel
1260, dopo la disotta di Montaperti.
Geri del Bello, che i commentatori di
Dante ci dipingono come gran semina-
tore di divisioni, fti nodso da uno dei
Sacchetti; e la sua violenta morte non
ancora vendicata, quando Dante finge
discendere all'Inferno, lo fti più tardi
da nn nipote dell'ucciso, ohe dell'onta
era consorte. Quando Firenze si divise
nelle fazioni Bianca e Nera, i del B0UO
aderirono alla prima : laonde ftirono co-
stretti ad abbandonare la patria. J\ loro
esilio durava tuttavia nel 1311. e tn con-
fermato per sempre nella famosa rifor-
ma degli Ordinamenti di giustizia, fiotta
per opera di Baldo d' Agnglione. Bra al-
lora questa casa rappresentata da Lapo
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[(ne 8. BOLO. 9]
iNF. XXIX. 18-80 [OBBI DEL BBLLO] 288
« Se tu avessi > rìspos'io appresso,
< Atteso alla cagion per ch'io guardava,
Forse m'avresti ancor lo star dimesso. »
Parte sen già, ed io retro gli andava.
Lo duca, già facendo la risposta,
E soggiungendo: «Dentro a quella cava,
Dov'io teneva gli occhi si a posta.
Credo che on spirto del mio sangue pianga
La colpa che laggiù cotanto costa. »
Allor disse il maestro : < Non si franga
Lo tuo pensier da qui innanzi so vr* elio:
Attendi ad altro, ed ei là si rimanga;
Ch'io vidi lui a piò del ponticello
Mostrarti, e minacciar forte col dito.
Ed udi'l nominar Gerì del Bello.
Tu eri allor si del tatto impedito
Sopra colui che già tenne Altaforte,
Che non guardasti in là, si fu partito. »
e^agU altri flgU di m«8Mr Cioiie, nei
quU probAbUmente rimase eetlnta»;
^«»«a, I^r,, Td. n, p. 225. Boriolan,
^ M Baio, Ven., 18tl. Sanui, La
''•endenM di GwH dd BeUo, Piatola,
M». Bufi. II, 2, «5-70.
U. Amiamo: adito il rimproyero di
^' miiBso: dal lat. dimitUré, per-
***•<> 41 fermarmi aneora un poco.
!•• PAKTX : mentre, intanto elie ; men-
"• ebe Virgilio ae ne and*Tn in atto di
2*^1» boeem per riapondermi, lo gli
ll^BeTa dietro aoggiongendo alle già dette
f^yenti parole. Oppure : io lo aegair»
^'^^dogli la riapoeta e aoggiongendo.
^^^"^'V'IoDe non troppo ohiam.
^' CATAt IbasA, bolgia.
^' A PotTA: appostati, afflasati; efr.
^- CBl un : AL CREDO UVO 8PIBT0 ;
*• 2- K 17«.
^- COLPA: dei aerainAtori di aoandaU.
^- nAHOA: non ai ricetta; non pen-
"*• Pi^ a InJ. AL: Non aMntenerisca e
J2*^^a. AL: Non ai distragga ed in-
•JJ**»?*. Probabilmente franger* ba
'^nlore a ri^^wv**** — riflettere.
«Prtide l'immagine dai raggi, i quali,
^^ '^ frangono aopra una persona,
**'» liillnmlnaiio. Dloe : non »i franga,
doè non ai sparga sopra Ini »; BtiH. -
«Kon te firangat ista rea»f II iZr^.XI, 25.
23. bovb'kllo: sotts Ini.
86. MOSTEABTi: agli altri spiriti, sco-
tendo II dito, oome f)a chi, adirato, mi-
naccia altml.
27. UDI'L: Al. UDIL; Ofr. Z. F., 176.
28. IMPEDITO t eri tntto intento alla
▼Ista ed alle parole del signore di Han-
tefort, o Altaforte, doè Bertram dal
Bornio, né ad altro badayi.
80. IH LÀ: Terso il luogo ore Geri pas-
sara. - si fu : sino a che si fa allonta-
nato ; chif Bertram dal Bornio, o Oerif
Non è troppo chiaro. Dei commentatori
1 pih tirano yia o si esprimono In modo
da non lasciar intendere se riferiscano
il-«i /tt parato a Bertramo o a Qtvcì
(Banibgl., An, Sei., lae. Dani,, Lan,,
Ott., Petr. Dani,, Oatt., Fal$o Boce.,
Benv,, An. Fior., Land., TaL, Veli.,
Port., Tom., Br. B., Oom., ecc.). Al-
cuni invece, e noi slamo con loro, rifori-
scono il H/u partUo a Bertramo (Andr.,
Poi., ecc.)} altri a Geri (BtUi, Serrav.,
Barg., Dan., Cast., Veni., Lomb., Biag.,
Oet., R/ou., FnU,, Oom., ecc.). Ma non
pare ohe Geri si formasse poco o tanto,
mentre invece Dante non cessò di tener
fisso lo sguardo su Bertramo, finché que-
sti/u partito.
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284 [CBBC. 8. BOLO. 0] IKF. XXIX. 81-48
[OBBI DSL BBLLO3
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40
43
< 0 duca mio, la violenta morte
Che non gli ò vendicata ancor » diss'io,
€ Per alcon che delP onta sia consorte.
Fece lai disdegnoso ; ond' ei sen gio
Senza parlarmi, si com'io estimo:
Ed in ciò m'ha e' fatto a sé più pio. »
Cosi parlammo infino al loco primo,
Che dello scoglio l'altra valle mostra.
Se più lame vi fosse, tatto ad imo.
Qaando noi fdmmo in sa l'oltima chiostra
Di Malebolge, si che i saoi conversi
Potean parere alla vedata nostra,
Lamenti saettaron me diversi.
82. VENDICATA : « oam omoes homines
nataraliter tendant ad vindiotam, fio-
rentini maxime ad lioo sont ardentiadmi
et pnblioe et priyatim >; Benv, Geri del
Bello «fti molto scismatioo, et per tal
Visio ta nodflo da ano de' Saoohetti, né
se ne fe' vendetta, se non dopo trent' an-
ni, et allora nn flgUnolo di meeser Clone
nodse ano de' Saoohetti sa la porta della
oasa soa » (f); Land,
88. PER: da alonno ohe, come parente,
è parteoipe dell'ingiuria. La vendetta
privata, permessa dalla legge moeaica
(oe^. Num, XXXV, 19 e seg. II Bsg.
XIV, 6 e seg.) e considerata dai Oreoi
come nn diritto e insieme nn dovere
(ofr. Hom., n. IX, 628 e seg.; XVIII,
498 e seg. Paia., ercse. deicr. V, 1. FUU.,
De Leg, IX), era ai tempi di Dante au
diritto legalmente rloonoscinto e si rite-
neva dovere d' onore di tatti i conean-
gninei dell'offeso. Brunetto Latini, Te-
$oret„ 18 : « Lenta, o ratta. Sia la ven-
detta fatta. » Cfr. Santini in Areh. $tor.
iua,, 1886, XVIII, 162 e seg.
85. OOM'IO ESTIMO: oome credo. Al.
oom'io stimo.
86. M* HA e' fatto : mi ha egli fatto.
Al. M'HAE FATTO. Al. M'HA FATTO ELLI.
C/ir. Z. F,, 177. « Qaasi dioat: in hoo ma-
gis doleo et oompatior, quia puloram et
piam videtar fsoere vindictam de pa-
renttbos in isto mando »; Benv. Andan-
dosene disdegnoso, sensa rivolgermi la
parola, mi ha mosso a maggior compas-
sione di lai, sapendolo non pure tormen-
tato oome gli altri seminatori di scan-
dali, ma altresì cracolato per non essere
ancora vendicato da qualcuno del sao
parentado.
87. PARLAMMO : andammo parlando in-
aino a quel primo luogo dello scoilo,
donde, se vi fbsse maggior lume, si ve-
drebbe sino al fondo della dedma ed ul-
tima bolgia.
89. TUTTO AD IMO : totalmente inaine
al fimdo.
V. 40-51. Za decima bolgia. Ani-
vati sul ponte dell' ultima bolgia. Dante
ode laggiù diversi lamenti, come di uba
immensa quantità di ammalati, e dati*
bolgia esce un puszo insoflHbile. Laggiù
sono tormeotati 1 fUsatori di cooe, di
persone, di monete e di parole, ogni
schiera in modo diverso, oortispondente
alla qualità del peccato.
40. CHIOSTRA: luogo chloso, e tali erano
le bolge chiuse tra gli argini ; tali tatti i
oerohi infernali, Purg, VII, 21.
41. ooicvEESi: claustrali. Chiama cosà
gli abitanti della bolgia, per aver olìia-
mato la bolgia ehiottra, olie vale anche
monastero. Al.: OMioerfi — trasmutati;
ma gli abitanti di questa bolgia non so-
no trasmutati. Lan,: « 0(mverii, doà ter-
mini, » interpretaaione accettata dal .BM-
ti, il quale intende « ohe quando Dante
e Virgilio ftirono pervenuti snll' ultima
chiostra, poterono d' un'occhiata vedere
i converti, cioò le girate de* cerchi, le vol-
tate, i termini di tutta la Malebolge. »
42. PAEEBE: apparire, essere veduti
da noi che eravamo sul ponte.
48. SAETTABOH : mi Colpirono, mi pun-
sero le orecchie. Al.: Mi punsero U onoro
di pietà.
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[CSBC. 8. BOLO. 10]
INP. XXIX. 44-58 [FAL8. DI METALLI] 285
49
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58
Che di pietà ferrati avean gli strali ;
Ond'io gli orecchi con le man copersi.
Qnal dolor fora, se degli spedali
Di Valdìchiana, tra il luglio e il settembre,
£ di Maremma e di Sardigna i mali
Fossero in nna fossa tutti insembre;
Tal era quivi; e tal puzzo n'usciva,
Qual suol venir delle marcite membro.
Noi discendemmo in su l'ultima riva
Del lungo scoglio, pur da man sinistra ;
Ed allor fu la mia vista più viva
Gi& vèr lo fondo, là 've la ministra
Dell'alto Sire, in&llibil Giustizia,
Punisce i falsator che qui registra.
Non credo che a veder maggior tristizia
44. pnrrl: potrebbe qui Teiere dolora,
«ade 11 aeoeo avrebbe, die qael lamenti
eniio reepreMione di immenso dolore.
Oppim Tool dire, ohe quei lamenti ave-
▼an tanta fona da pongere il onore' a
pietà ; « fai luogo di punta la qaal saol
eeaer di ferro, arenano la pietà » i Om.
45. COFBBSI: forse si tnrò le oreoolite
per non essere commosso a troppa pietà
e non meritarsi di nnovo i rimproTeri di
VirgiUo, oome se gli era meritati altra
TsHa; efr. Inf. XX, 27 e seg.
40. DOLOB: doolo, lamento; la oansa
per r effetto. - foka : sarebbe ; cfr . Nan-
wmc^ Verbi, 475 e seg. Al. fuor moB,
tBcm FUOR, eco.; cfr. Mocre, Orit., 851
e seg. Il dolore qoiri raccolto era tale,
qnale sarebbe, se in nn sol loogo fossero
rioniti tatti quanti i morbi ohe infestano
■ett'eetate le regioni palodose della Val-
dkhiana, della Maremma e della Sarde-
gna. Questo paragone è affine a qnello
die si ba in In/, XXVIII, 7 e seg.
47. VALDICHI4KA : la valle delle Chia-
ne, t>a Areaso, Cortona, Chinai e Mon-
tspoloiano, ai tempi di Dante paludosa e
malsana. « luxta aotem rallem istam
era! iOo tempore hospitale de Altopassu,
ubi solebant esse multi pauperes infir-
mantes, et per oonaeqoens magnus do-
lor»; Bme.
48. MiBianfA : la Maremma toscana
(ofr. W. XTTT, 7 e seg.; XXV, 19. Purg,
V, 184), in allora quasi spopolata ed as-
sai insalubre; cfr. Loria, L'Italia nella
Z>. 0., 434 e seg. - Sabdioha: Sardegna
« isola molto inferma, oome sa dascuno
ohe t' è stato »; Buti.
49. niSEMBBB! insieme, dal pror. en-
§emble, lat. in HmtU, anticamente anche
fuor di rima; cfr. IHsz, Wdrt. I*, 238.
Nannue., àùin, I*. 188.
51. VENIE : Al. U8CIB. -DBLLB : Al. DAL-
Lp. Cfr. Z. F., 178. - MBMBRB t membra.
« Spirftns ore foras tietmm volvebat odo-
rem. Bandda quo perolent proiecta ca-
davera ritn »; Lucret., Ber. nat, VI, 1152
e aeg.
V. 52-72. JfaUatori di melaìU e loro
pena. La prima classe è dei falsari in
cose, in metalli (alchimisti). Sono rico-
perti di lebbra, o tormentati dalla scab-
bia o paralitici. La febbre arde loro il
cervello, del quale abusarono, e puseano
per l'immondessa del vizio.
52. DncBif DEMMO : per poter beo di-
stinguere il fondo della bolgia. - biva :
argine; questo è l'ultimo, perchè confina
col profondo pozzo, Inf. XVIII, 5, dove
lo scoglio fluisce.
54. VIVA : chiara ; cfr. Pwrg. XXIV, 70.
56. BlBB: signore, Dio; cfr. Purg, XV,
112; XIX, 125. Par. XIII, 54. eco.
57. QUI: in questo mondo. Invece
Beno,: « quos punit in ista bulgia de-
cima; quando enlm sententia datur cen-
tra reum, tunc registrari solet. » (?) -
beoistea: nei libri delle colpe; cfr. Da-
niele VII, 10. Apoeal. XX, 12. Al.: 0>n-
flna in questa bolgia (f).
58. NON CREDO: costr.: Nou credo che
a vedere in Bgina n popolo tutto infor
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286 [GBBC. 8. BOLO. 10] INF. XXtX. $9-72 [FAL8AT0BI DI METALLI]
61
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Fosse in Egina il popol tatto infermo,
Qaando fu l'aer si pien di malizia,
Che gli animali, infino al picoiol vermo,
Oascaron tutti, e poi le gente antiche,
Secondo che i poeti hanno per fermo,
Si ristorar di seme di formiche ;
Ch'era a veder per quella oscura valle
Languir gli spirti per diverse biche.
Qual sovra il ventre, e qual sovra le spalle
L'un deir altro giacea, e qual carpone
Si trasmutava per lo tristo calle.
Passo passo andavam senza sermone,
Guardando ed ascoltando gli ammalati.
Che non potean levar le lor persone.
mo.... foMe maggiore trlstUlA ch'era a
veder, ecc. La dmilitudine ò tolta da
Ooid., Met. VII, 523-660; ofr. Lueret.,
Ber. noi. VT, 1118 e seg.
59. Egiha: Jsoletta vicina ad Atene.
La fiAvola in breve è qneeta: Uinnone,
adirata perchè la ninfa Egina (ohe diede
il nome all' isola) era giaciota con Giove,
mandò nell'isola la peste, ohe fece morire
gli animali prima, qoindi gli nomini. £a-
00, figlio di Bgina e signore dell'isola, ri-
masto solo vivo, essendo assiso sotto nna
qaeroìa, pregò Giove di ridooare all'isola
tanti abitanti, quante formiche vedeva
a' snoi piedi. Giove Io esand), ed i nnovi
abitanti dell'isola fbrono denominati dal-
la loro origine i Mirmidoni.
60. l'asb: « A6r inimicas serpere coe-
plt »; Laeret., 1. e, 1117. - « Letiferis ca-
lidi spiramnt flatibns Austri »; Ovid., 1.
e, 582. - MALIZIA: germi di pestilensial
corrasione; cfr. Ovid., ibid., 5i8.
61. ANIMALI: cfr. Ovid.t ibid., 586 e
•eg. - VBBMO: dei vermi Ovidio non fa
menzione.
62. CABCABON: morti ; cfìr. Inf, XXXIII,
71. « Strage cannm primo volucmmqne
OTinmqne bonmqae Inqne feria sabiti de-
prensa potentia morbi est » ; Ovkf., I. o. ,
536 e seg. - oemtI: ofir. Ovid., ibid., 552
e seg. - AMTiCHB : cosi chiama anche Ovi-
dio gii abitanti di Bgina distrutti dalla
peste, e r^enH le genti novellamente
create, ibid., 652 e seg.
68. I POETI: Ovidio non ta il solo a
raccontare il fatto, o piuttosto la favola ;
'^. par ea. ApoUod. III, 12, 0. Ma Dante
non attinse che ad Ovidio, come ai vede
dalla sua descrisione.
64. 81 bibtobIb: si rinnovarono, ri-
nacquero; ofk-. Ovid., ibid., 664 e seg.
66. LANGUIR : cfr. Ocid., Ibid., 547. - Di-
VBB8B : quattro classi o mucchi. - bichk :
mucchi; propr. i covoni del grano } qal
per Macchi di languenti, e £ide cater-
vAlm morbo mortiqne dabantor »; Lt&-
eret, l. e, 1142. « Omnia languor habet;
silvisque agrisque viisqae Corpora foeda
iacent »; Ovid., ibid., 547 e seg.
67. quAL: gli alchimisti, tutti lebbrosi
o scabbiosi o paralitici, sono distesi ool
ventre a terra (cfir. Ovid., Met. VII, 669),
o addossati l' uno alle spalle dell' altro, o
vanno carponi.
69. 81 TRASMUTAVA : 8i trascinava qua
e là per quel tristo luogo. Al. ai tra*
MUTAVA: cfr. Ovid,, ibid., 574.
70. PASSO: noi andavamo lenti e tadtl
su per l'argine, guardando ed ascoltando
qne' peccatori laggiù, 1 quali, oppresai
da ai gravi morbi, non potevano tenervi
diritti sulla persona.
V. 73-120. OTiffoUno d'Armvù. Dante
vede due dannati seduti l' uno contro le
spalle dell'altro, da capo a pie coperti di
schianse e che si grattan la scabbia con
le unghie. Virgilio chiede loro se vi ala
alcun italiano laggih. Son italiani ambe-
due, li primo che si manifesta, è Capoo-
chic Aretino, 11 quale racconta le sne
colpe. « Iste Aretinns vocabatnr Bai, ma-
guus et subUlissimus arohimista. qui
vero dum esset ilomosticas caiasdam flUi
episcopi Senansis, qui vooabator Alber-
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P»BC. a. BOLO. 10]
INP. xxir. 73-89
[OBIFFOLINO] 287
73
S
&
Io vidi dae sedere a so poggiati.
Come a scaldar si poggia teggliia a tegghia,
Dal capo al piò di schianze maculati ;
E non vidi giammai menare stregghia
Da ragazzo aspettato dal signorso,
Né da colai che mal volentier vegghia;
Come ciascun menava spesso il morso
Dell'unghie sopra sé per la gran rabbia
Del pizzicor, che non ha più soccorso;
E si traevan gib l'unghie la scabbia,
Come coltel di scàrdova le scaglie,
0 d'altro pesce che più larghe l'abbia.
« 0 tu ohe colle dita ti dismaglie, »
Cominciò il duca mio all'un di loro,
« E che fai d'esse talvolta tanaglie,
Dinne s' alcun Latino ò tra costoro
Che son quinc' entro, se l'unghia ti basti
tas, dixit dicto Alberto : Bgo tcirem vo-
lare, n veUem. HI» Mitom Albertas ex fi^
ciU^td SII* hoe credens, rogarlt diotom
de Aretìo u% dooeret ipeum Tolare; et
eom non potniaeet hoo fkoere, aocnsavit
eem episcopo Senenti patri «ao, ex quo
dictos Bai combustaa fàit »; Bambgl. Sa
per giù lo steeso racoontano pare gli al-
tri anttchi. J/An.Sel. dice che Grlfifolino
« motto fi»Iaò le monete, > e ohe Albero
lo àeeoaò « a T inquisitore de'Paterini di
certi peecati contro a Fede. » Secondo
lae. DarU. « ripatandoei il detto Alberto
da lai ingannato, a no certo inquisitore
de'Paterini in Ftrense ardere lo foce,
0 qnale inqniattore padre del detto Al-
berto certamente da molti era tonato. >
Si crede che il &tto sacoedesse al tempo
di Bonflglio, che ta rescovo di Siena dal
1216 al 1252. Ctr, AquaroM, DaiUe in
Suna, 59 e seg.
73. A sft: Tono a ridosso dell'altro.
74. tbgghia: teglia. Taso di cocina.
75.8CHIAHZB: macchie della scabbia.
« Sckiame o ttianu chiamano a S. Gi-
mignano le macchie del legno »; Oavemù
Al.: Le croste delle piaghe disseccate.
76. btbboohia: striglia, stromento
composto di più lame di ferro dentate,
eoi qoale si fregano e lipolisoono I ca-
▼alU e simiU aoimaU.
77. BAOAZZO ! qoi per mosxo, o fluni-
glto di stali». - 8IQS0II80: siipore sno,
Forma deirnso antico, cfr. Diez, Oram.
Il*, 467. Al. DA stQNOBSO, cho sarebbe
la forma regolare secondo Fofkf., Stud.,
71, 160.
78. VKOOHIA: veglia; mena la striglia
addosso al cavallo con impeto, sia per di-
scacciare il sonno, eia per terminare il
suo lavoro ed andarsene a letto.
79. MOBSO : « qaasl i denti dell'unghie,
cioè l'acota e trinciante loro panta »;
Lomb.
80. BABBIA: prorito della scabbia, tan-
to acato da non trovare altro sollievo che
tale graffiarsi. Al.; Smania feroce.
81. Fiù SOCCORSO : vemn altro sollievo,
che quello del graffiarsi.
82. s sì: le unghie traevano glh le
scbianxe della scabbia, come il coltello
del cuoco leva via, raschiando, le squame
della scàrdova o di altro pesce che le
abbiaancor più larghe; cfr. Horat, EpitL
I, xn, 12 e seg*
83. bcAbdoya : pesce d'acqua dolce con
molte scaglie, a levar le quali occorre il
coltello, il Oyprinut latus del Linneo.
85. TI DiBiiAOLlE : ti dlsmagli, scrosti
colle unghie. Dismagliare — disunire,
disfare le maglie.
87. Vài : adoperi le dita come tanaglie,
afferrando e tràendoti di dosso le croste.
88. LATDfO: Italiano; cfr. Inf, XXII,
66;XXVII. 27, 38.
89. quiMo'KKTBO : dentro la bolgia ; cfr>
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288 [CEBO. 8. BOLG. 10] InF. XXIX. 90-110 [GBIFFOLINOl
Etemalmente a cotesto lavoro. »
91 « Latin sem noi, che tu vedi si guasti
Qui ambedae; » rispose l'nn piangendo:
< Ma tu chi se', che di noi dimandasti ? »
u E il duca disse: < Io son un che discendo
Con questo vivo giù di balzo in balzo,
E di mostrar lo Inferno a lui intendo. »
97 Allor si ruppe lo comun rincalzo ;
E tremando ciascuno a me si volse
Con altri che l' udiron di rimbalzo.
100 Lo buon maestro a me tutto s'accolse,
Dicendo : < Di' a lor ciò che tu vnoli. »
Ed io incominciai, poscia ch'ei volse:
103 « Se la vostra memoria non s'imboli
Nel primo mondo dall'umane menti.
Ma s'ella viva sotto molti soli,
106 Ditemi chi voi siete e di che genti:
La vostra sconcia e fastidiosa pena
Di palesarvi a me non vi spaventi. »
109 < Io fui d' Ai*ezzo ; ed Àlbero da Siena >
Rispose Tun, < mi fé' mettere al foco;
If^. X, 17. -BB l'unghia.: se l'anghia ti rentora ▼«dere lo spAvento dd fiUtari
serva in eterno a graffiarti, sensa mai aoopértl.
spuntarsi. Deprecazione che ha del di- 99. di BilfBAT.zo : per riperonssione,
leggio e della befb. Invece Benv.: « de- indirettamente, non avendo Virgilio par-
leotabile enim vldetnr soabioso scalpore ; lato ad essi direttamente.
ideo optat sibi instrumentum indefidens 100. s* accolse : attese con tutto Tani-
quo possit semper delectari , quad dioat : mo a me, dopo aver fktto attendono ai due
si Deus dot semper tibi ad laborandnm. dannati. Al.: S' accostò tutto verso me.
Hoc enim snmme appetit Alchimista, 102. volsk: volle. *
nnde totum et mundi consumerete ut 103. imboli: involi.Cod la vostra memo-
satlsfoceret isti appetì toi canino. » ria non d cancelli dalle umane menti, eoo.
94. 80N UK t ctr, It\f, XXVIII, 46 e seg. 104. pbimo : in terra, dove Tnomo vi v«
95. DI BALZO : « di cerchio in cerchio e la sua prima vita,
di ripa in ripa »; Buti, 105. sotto : per molti anni; ctt, Iitf,
97. BUfCALZO : il vicendevole appoggio. VI, 68.
I due stavano appoggiati l'uno all'altro, 106. dicrbobnti: di quali dttadlnaaxe,
V. 73 ; ma, all'udire che l'uno dei due vi- o di quale tra' diverd popoli lati$U, r. 91.
sitatori è ancor vivo, si scostano ciascuno 107. scorcia : qud' è la lebbra. - fa-
dalle spalle ddl' altro, per movimento stidioba: molesta per il prurito,
prodotto dalla gran maraviglia, e d voi- 109. Albebo : o Alberto, come leggono
gono tremando verso Dante. altri ; forse quel mededmo di cui paria il
98. tbbmakdo : « quia non poterat unus Sacchetti, Nov, XI-XTV ; secondo i più
se substdnere dne adhtedone alterius so- figlio dd vescovo, secondo altri ben To-
di »; Bénv. Fors'anche per lo spavento lato dd vescovo, ma figlio di un Bernar-
di essere veduti da un vivente in € d dino del popolo di S. Martino. Di lui d
sconcia e fiMtidioea pena, » v. 107 e seg. hanno notide dd 1288 d 1304. Aqtta-
In 9uesto tremare ai potrebbe per av- rone, o. e, 01.
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BOLO. 10] IlTF. XXIX. 111-127 [VANITÀ DEI 8ANB8I] 289
U2
115
IIB
in
124
127
Ma quel per ch'io morii, qui non mi mena.
Ver è ch'io dissi a lai, parlando a gioco :
" Io mi saprei levar per V aere a volo „ ;
E quei, che avea vaghezza e senno poco,
Volle ch'io gli mostrassi l'arte; e solo
Perch'io noi feci Dedalo, mi fece
Ardere a tal, che l'avea per figlinolo.
Ma nell'ultima bolgia delle diece
Me per l'alchimia, che nel mondo usai,
Dannò Minos, a cni ftdlar non lece. »
Ed io dissi al poeta: < Or fu giammai
Gente si vana come la Sanese?
Certo non la Francesca si d' assai ! »
Onde l'altro lebbroso, che m'intese,
Bispose al detto mio : « Trammene Stricca,
Che seppe far le temperate spese ;
E Niccolò, che la costuma ricca
111- QUKL: non sono diuinftto per quella
edlp» òhe mi fti imputate, e per U quale
fid ano, ma per altra, cioè come alchi-
mista, ▼. 119.
112. A GIOCO : « quia habebat solatinm
de eiiis fittnitate »; Benv.
114. VAGHEZZA: curiosità di cose nuove.
« Dleesl ohe quello Alberto era molto va-
go di ootali tmiTe, e avevavi consumato
del suo, e però avea poco senno »; Ott,
115. ABTS: di volare.
116. Dedalo: ohe sapeva volare; efr.
InA XVn, 109 e seg. Ovid., Met. VIU,
203 eseg.
117. A TAL : da tale, cioè dal vescovo di
Siena, òhe lo tenea in luogo di figliuolo ;
« Heet Ibrte non esset, quia genitus ex
laeieiiiee ; et si erat, non audebat di-
cere, quia sepe saoerdotes fllios dizere
nepotes »; Bms.
119. ALCHOfiA ; arte di tute oro, dal-
l'arabo tO-Kimid, ott, Diez, Wdrt. I*. 13.
Qui intende dell* alchimia illeoita, che
iidaa I metani; ofr. Tkom. Aq., 9um,
tÀsoL n, 8.. 77 e l'Ott. a questo verso.
190. KOS LBCB: Minosso non può fal-
lare, come ùàìò il vescovo di Siena.
V. 121-182. VanUù del Arnesi. Il
ricordo deUa Iktnità di Alberto da Sie-
na tniuee Dante ad un'invettiva con-
tro la vanità dei Sanesl, maggiore della
vanità ftanoese. Capocchio lo seconda
con amara ironia, aominando alcuni 8a-
19. — Dio. Oammu 4^ odia.
ned che si resero (kmosi per la loro
vanità.
128. Fbamobbca: francese, ofr. Ii\f,
XXXn. 115. « Galli sunt genus vanis-
simum omnium ab antiquo, siout patet
siepe apud Inlium Celsum (Cassaromf)
et hodie patet de Cscto »; Ben».
124. l'altbo: Capocchio, v. 180.
126. TRAHMBNS: Al. TEAim E LO; parlare
ironico, come Ii\f. XXI, 41.-Stoioga:
probabflm. Stricca di GHovannl de* Sa-
limbeoi, podestà di Bologna nel 1270 e
1286; ofr. Mazz.-Tot., Voci « pa$H, 184.
Secondo altri Stricca de' Tolomei ; e di
nuovo, secondo altri, del Haresoottl. Cfr.
Borgognoni in Propugnatore I, 97-824,
678-592, 045-864. e LasdoUo Q padre ricco
e ogni cosa distrusse in passie, e in selce-
chesee cattive »; An. Sei. - « Homo de
Curia »; Potr, Dant.
120. TEMPERATE: Continua 1* ironia i
temperato per: smoderate.
127. Niccolò: secondo alcuni, de' Sa-
Hmbeni, fratello di Stricca; secondo altri,
de' Bonsignori. «Fnit primus qui docuit
poni garofknos in saporibus »; Banibgl,
Lo stesso ripetono altri, come An, Sei.,
Lan., Ott.» Petr. Dani., ecc. « Aliqui di-
ount, qnod iste Kioolaus fkdebat fiunu-
lum assistentem mundare sibi gariofllum,
sed istud est vanios dioere, qnam fnerit
ikcere. AUi dicunt qnod fisdebat poni ga-
liofllos in assatis; sed ista non ftiisset
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290 [CBBC. 8. BOLO. 10] INP. XXII. 128-136
[CAPOCCHIO]
130
133
180
Del garofano prima discoperse
NelPorto dove tal seme s'appicca;
E tranne la brigata in che disperse
Caccia d' Ascian la vigna e la gran fronda,
E l' Abbagliato il suo senno proferse.
Ma perchè sappi chi si ti seconda
Centra i Sanesi, aguzza vèr me l'occhio,
Si che la faccia mia ben ti risponda;
Si vedrai ch'io son l'ombra di Capocchio,
nova inventio, neo ezpenu magna. Alii
dioant, qnod finoiebat aasari phasianos et
capones ad pminas fMtas ex gariofllie; et
hoc credo yeram, qaod iota ftiit expensa
maxima vaniesima, noviasime adinven-
to»; Benv. Nel 1311 Niccolò de' Salimbeni
era In Lombardia tra' Grandi ohe fiuwTan
corona ad Arrigo di Loseembargo; ett.
Del Lungo, Dino Oomp., II, 696 e seg.
Mcutellat Intorno a quel Nicolò a cui
Folgore da 8. Cfemignano dedicò la co-
rona dei Monetti d4i meei; Veo., 1898,
Bull. II. 1, 31-35.
120. nell' osto: « mise tale aso tra 11
ghiotti e golosi »; Lan. Al.: A Siena. Al.:
Nell'oriente, dove il garofano cresce in
pianta indigena (?).
130. BRIGATA : detta godereccia o tpen-
dereccia, di dodici giovani Senesi ricchis-
simi, formatasi in Siena nella seconda
metà del secolo XIII nell' intento di vi-
vere lietamente in conviti e feste. Cfr.
Benv. II, 411 e seg. AqtMr, o. e, 45 e seg.
Borgognoni, o. e, 306 e seg. - dispbbsk:
dissipò, sprecò. « Habebat iste paloerri-
mam et praeclaram possessionem, quam
vendidit et consampsit in Ista brigata &•
taa •; Benv. Lo stesso commentatore af-
ferma ohe la brigata non darò pih di venti
mesi, « nam cito devenerant ad inopiam,
et fticti snnt fkbala gentiam. »
131. Caccia: degli Soialenghi, del ramo
dei Cacciaconti. «Consampsit omnes pos-
sessiones et alia bona in dieta brigata »;
Banibgl. - fronda : Al. fonda ; le sae
ricche possessioni.
182. l'Abbaqliato: Bartolommeo dei
Folcaochieri, nel 1278 multato perchè
trovato a bere In una taverna, ebbe in
segoito nCBci onorevoli nella saa patria;
cfr. Matti, Folcacehiero Folcaochieri, Fi-
rense, 1878. 9 e seg., 21 e seg. Al. abba-
gliato, attributo del senno di Cacda
Sdalenghi. Cfr. Z. F., 180 eseg.-PRO-
FKRSK: pioftise. Oli altri proftiaero gli
averi; costai, « povero, ma saputa per-
sona » (Lan., OtL), il senno.
V. 1 88-180. Capocchio, Dopo aver par-
lato della brigata spendereoda, il dannato
si nomina. S costai Capocchio da Siena,
come dioono gli uni (Lan,, Buti, Land.,
Veli., Dan., eoo.), o da Firenee, come af-
fermano altri (lac. Dani., An. Sei., OU„
Petr. Dant., eco.), arso vivo a Siena nel
1293. «Fnit magnos alchimista, et sobtì-
lissimos inventioois et immagbiationis
artifex »; Bambgl. - « Questo Capooohio
fh fiorentino, e molto fklsò i metalli con
alchimia, e però ta arso in Siena; e an-
che intendia in arte magica »; An. Sei.
" « Per eccellente operacione d' alchimia
finalmente in Siena ftae arso»; lac. Dant.
-«Semel die qaodam Veneris sancU oam
staret solus abstractns in qaodam olan-
stro, effigiavit sibi totum prooessum pas-
sionis Domini in unguibus mira artificio-
sitate ; et com Dantes supervenlens qnie-
reret : * Quid est hoc qnod fecisU f * iste
subito cum lingua delevit quidquid com
tanto labore ingenii fabricaverat. De quo
Dantes multum arguit eum, eoe.»; Bene."
«Fu sanese e Ai di grande ingegno, e studiò
con Dante in ano studio in filosofia natu-
rale e valsevi molto » ; BuH. - « Fu oono-
scente delPAuttore, et insieme studio-
rono; et fu uno che, a modo d'uno uomo
di corte, seppe eontraflkre ogni nomo
che volea, et ogni oosa, tanto ch'egli
parca propriamente la cosa o l'uomo
ch'egli contrafl!àoea in ciascuno atto;
diessi nell' ultimo a oontrafiC&re i metalli,
come egli facea gli uomini »; An. Fior.
Cfr. Aquar. 1. e. FerroMgi, TV, 898.
188. seconda: nell' inveire contro la
Tanit4 dei Sanesi.
184. AGUZZA : guardami attentamente,
tà ohe il mio volto, da te riconosdnto, ri-
sponda alla dimanda fittami da te, v. 100.
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" W' - ■ — ^^ '
[CBIC S, BOI.e. 10] iNF. XXIX. 137-189 - XXX. 1-2 [àtàmantk] 291
Che falsai li metalli con alchimia;
E te dee ricordar, se ben t'adocchio,
1» Oom'io fili di natura buona' scimia. »
138. BB BEH : 06 rooohio nùn m' ingaon» 189. bodoa : oontraflkttore perfètto di
t ta ni Tgnrmmeata oolol ohe mi eembri, nomini e di ooee. «SnbtUia et nnivenalis
efr. JV- 3LX.VJL11, 72. Dante lo avoya magiiter, rioat eet aoimia, qoe flM)ere ge-
iuqne eonoaoiato personalmente. stlt qnoe (qood f) fÌMere Tldit » ; Bambgl.
CANTO TRENTESIMO
OEEOHIO OTTAVO
BOLGIA decima: falsabi D'ogni genebe
2*» FAL8AT0BI DI PEB80NB
(Corrono disperati e rabbiosi, mordendo gli altri)
GIANNI SCHICCHI, MIBRÀ
3' FALSA TOBI DI MONETE
(Patiscono d'idropisia ed hanno sete continoa)
MAESTRO ADAMO, CONTI DI ROMENA
4* FALSATOSI DI PAROLE
(Sono consumati da oontinna acuta fèbbre)
8IN0NE DA TROIA
Nel tempo ohe Gionone era crucciata
Per Semelò centra il sangue tebano,
T. 1-13. jUanumie fttrioao. Volendo dere la moglie co' dne figlioletti, oome
dare un'idea adeguata del fbrore e del- fossero la leonessa ed i leoncini} quindi,
rtnnanis deUa seconda classe di fUsarl, preso il figlio Learco, lo sbattè contro un
dee dei fiilsatori di persone, IHCnte rioor- sasso, onde Ino sua moglie si gettò dispe-
xe aOa mitologia, prendendo due esempi rata coli' altro flgUo Melieerta nel mare
da Ovidio, n primo è di Atamante, re di vidno. Ote. Ovid,, Met. IV, 416-662.
Tebe, ehe, divenuto furibondo per opera Rom., Od, Y, 883. ApoUod. I, 9, 1-2.
di Qìnnoiie, léce tendere le reti per pren- 2. Sbmblè : figlia di Cadmo, primo re
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[CEBO. 8. BOLO. 10] IKF. XXX. 8-21
[BCUBÀ]
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16
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Come mostrò una ed altra fiata,
Àtamante divenne tanto insano,
Che, veggendo la moglie con due figli
Andar carcata da ciascuna mano,
Gridò: < Tendiam le reti, si ch'io pigli
La leonessa e i leoncini al varco ! »;
E poi distese i dispietati artigli.
Prendendo Fan ch'avea nome Learoo,
E roteilo, e percosselo ad nn sasso;
E qaella s'annegò con l'altro carco.
E quando la Fortuna volse in basso
L'altezza de' Troian, che tutto ardiva.
Si che insieme col regno il re fu ccusso.
Ecuba, trista, misera e cattiva.
Poscia ohe vide Polissena morta,
E del suo Polidoro in su la riva
Del mar si fu la dolorosa accorta,
Forsennata latrò si come cane;
Tanto il dolor le fé' la mente torta.
di Tebe, amata da Giove ; cfr. Ovid., Met,
III, 263-815. Scriviamo ooi più SmntHèt
qnantanqae, come osserva il BetU, « il
verso corra egregiamente con Semde ».
Ma l' aso medievale era di accentare si-
mili parole snll* ultima sillaba. - sanqub :
stirpe, progenie.
8. UNA SD ALTEA FIATA : ptù volte. In-
gannò Semelò, per farla uccidere dallo
splendore di Giove ; fece lacerar dai cani
Atteone, nnloo figlio d' ona sorella di Se-
mole; fece che Agave, altra sorella di
Bemelò, nccidesse U figlio, credendolo un
cinghiale I che Ino, sorella anch' essa di
Semelò, si gettasse nel mare, ecc.
5. CON DUE: Al. CO* DUS; Learoo e
Helioerta.
6. AKDAB: Al. VENIE; cfr. Z. F., 181. -
cabcata: condacendoli, l'ano a destra,
l'altro a sinistra. Al.: Portandoli in collo.
Porta forse la Uonetta i ìeoncini in collo f!
0. AETiou: le mani che egli adopra
colla fleressa di sparviere grifftgno.
12. QUELLA : Ino. - l'alteo : Helioer-
ta; ctr. Ovid., Mtt. IV, 622-630.
V. 13-21. J^ouda foraenna*a, H se-
condo esempio ò quello di Ecnba, moglie
di Priamo re di Troia, che, fatta schiava
dai Greci, dopo aver veduto uooideie sua
figlia Polissena sulla tomba d'Achille e
trovato il cadavere di suo figlio Polidoro
sui lidi della Tracia, usd di senno, e,
convertita in cagna, empì tutta la Traci»
de' suoi latrati. Cfr. Ovid., Met. XIII,
899-675.
18. VOLSE: cfr. If^, VII, 96.
14. l'altezza: potenza superba; ofk>.
If^. I, 75. - TUTTO : anche soelleratosse,
come lo spergiuro di Laomedonte ed il
ratto di Elena.
16. INBISMK: « Troia simul Priamn-
sque cadunt »; Ovid,, Met, XIII, 404. -
BB: Priamo. - casso: spento, nooiso;
« Nullum cum victis oertamen et ethere
oassis »; Virg., Am. XI, 104.
16. cattiva: prigioniera dei Greci.
« Tatti tre epiteti convenienti ad espri-
mere e il dolore e l'infelicità resa pth.
grave dalla cattività, in cui Souba ve-
niva condotta»; L, Yent., Sim. 581.
18. E DEL SUO: Al. B 'L BBL SUO; ofr.
Moore, OrU., 352 e seg.
20. latbò : « latravit cenata loqui »;
Ooid., MeL XHI, 669. - « Sed torva Oft-
nino Latravit rictn, qu» post hono vi-
xerat nxor »; luven., 8<U. X, 271.
21. TANTO IL DOLCE : Al. TANTO DOLOB.
- TOSTA: le travolse la mente.
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te. «. BOLG. 10]
Iifv. XXX. 22-32 [oiAKKi scmcoHi] 298
»
Ma né di Tebe fdrie, nò troiane
Si vider mai in alcun tanto cmde,
Non punger bestie, non che membra umane,
Qnanf io vidi in dne ombre smorte e nude,
Che mordendo correvan di quel modo,
Che il porco, quando del poroil si schiude.
L'una giunse a Capocchio, ed in sul nodo
Del collo Tassannò sì, che, tirando.
Grattar gli fece il Tentre al fondo sodo.
E FAretin, che rimase tremando.
Hi disse : « Quel folletto è Gianni Schicchi,
Y. 23-45. FùìtmHri dK
«iMMti SdUeeM e J«rrik Più fonea-
B«ti e fluiboiidi ehe non AUmante ed
Bcnbn, i fiklMri in atti, ofUaatorideU*
pfTfi?"^^t eorrono laggiii neUn bolgU e ■!
srmiteno fkiribondam«nte gli uni ragli
tttxi^ eari tteni ùUaati in eterno, per
srer nel mondo ftlasto U propri* e l'ml-
tnd penonn. Dante Tede dne di costoro
eonere Mnortienndi; e rnnoaaaannaCa-
M€^o ani nodo del collo e lo fo cadere.
X l'orabra di Gianni Schicchi che falsò nn
testaoMnto; l'altra è l'ombra di Mirra,
Viaceetooaa figlia del re di Cipro.
23. MA VÈ: ma non d videro mai fti>
reri, né in Atamante né in Benha, nò
ìb helm nò in nomo, coca omdeli come
io Tidi in dne ombre, eoe.
25. a DUX : Gianni Schicchi e Hirra.
AL TIPI DUS ; ma « il quanto del t. 25
i aasolntamente, e deve easere relativo
éel tornio del t. 23. Sicché avendo detto
teato emdo in aUttno, ragion Tn<^ ohe
qni d dica quanto crude in duo ombre » ;
Betti, CCr. Z. F„ 182.
2t. IM QUKL: come il maiale affiunato,
al qnale aia aperto il porcile, ai getta
fimi aaaannando ogni ooaa ohe trova.
« Similitadine agginnta, degna del Inogo
e di quei dannati »; L, Veni., Sim., 581.
28. L*UHA: Tombradi Gianni Schicchi.
-Capocchio : tir. InJ, XXIX, 136. - mo-
do: Tertebre oerTicali, per le qnali il
capo d congionge al busto. Cfr. Oavetid»
lode modi, 80.
29. L'AflSAHHÒ : « lo prese sol nodo del
eoOo con le sanno, stando ne la dmiUtn*
dine dd porco, del qoale le sanno sono » ;
80. ou FSCK: ttraodok» e trascinan-
dolo per SI dnro fondo della bolgia. -
SODO: dnro, essendo tutto di pietra ; efr.
JV- XVJLU, 2.
31. L'AsmH: GrifbUno; confr. JV.
XXIX, 109. - TBKMJjrDO : oonfr. Inf.
XXIX, 98.
82. FOLLETTO : propriamente nome di
oerti spiriti maligni, ehe la raperetisione
eredoTae crede Tadanoerrando per l'aria,
e inquietando le abitasioni degli nomini.
Qni chiama per similitodine/oUdfo l' om-
bra irasvolante dello Schicchi. - GLUiin
SCHiocHi : forse Bticcki come scrive T An.
JPior., il quale racconta: «Questo Gianni
Stioehi fu de' Cavalcanti da Firense, et
diced di Ini che, essendo messer Buoeo
Donati (cfr. Inf, XXV, 140) aggravato
d* una InfermitA mortale, vdea fare te-
stamento, però che gli parca avere a ren-
dere assai dell'altrui. Simone suo flgliaolo
[o piuttosto fhitello, figli ambedue di Fo-
rese il vecchio] il tenea a parole, per-
ch' egli noi fM)esse; e tanto il tenne a pa-
role, ch'olii morì. Morto che fh, Simone
il tenea celato, et avea paura eh' elli non
avesse fatto testamento mentre eh' egli
era sano; et ogni vicino dicea eh' egli
r avea fatto. Simone, non sappiendo pi-
gliare oondglio, d dolse con Gianni Stìo-
ohi et chiesegU condglio. Sapea Gianni
oontraflGare ogni uomo, et coUa voce et
eogli atti, et masdmamente messer Buo-
so, ch'era uso con lui. Disse a Simone:
Fa' venire uno notaio, et di' ehe metser
Buoeo voglia/are teetamento: io enterrò
nel letto tuo, et eaceeremo lui dirietro, et
io mi/aeeerò bene, et metterommi la cap-
pellina tua in capo, et/<urò U teetamento
come tu vorrai; è vero che io ne voglio
guadagnare. Simone fh in concordia con
lui: Gianni entra nd letto, et mostrad
appenato, et contrafllk la voce di messo'
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294 [CBBC. ^ BOLO. 10] iNF. XXX. 33-44
[XIBBA]
34
37
40
43
£ va rabbioso altra! oosi conciando. »
« Oh, > diss'io lui, « se P altro non ti ficchi
Li denti addosso, non ti sia fatica
A dir chi è, pria che di qni si spicchi ! »
Ed egli a me: « Qaell'ò l'anima antica
Di Mirra scellerata, che divenne
Al padre, fuor del dritto amor, amica.
Questa a peccar con esso cosi venne.
Falsificando sé in altrui forma.
Come l'altro, che là sen va, sostenne.
Per guadagnar la donna della torma.
Falsificar in so Buoso Donati,
Baoao ohe pare» tatto lai, ot oominoiA
a testare et dire : Io lateio ioidi XX al-
l' opera di Santa Rqtarata, et lire einqus
a' Frati Minori, et einqtie a' Predicatori,
et ooBÌ viene distribaendo per Dio, ma
pooliisflimi danari. A Simone giovava del
fatto. Et lascio, soggianBO, cinquecento
fiorini a Gianni SHcehi. Dice Simone a
messer Baoso : Questo non bisogna met-
tere in testamento; io gliel darò come voi
lascerete. - Simone, lascerai /are del mio
a mio senno : io ti lascio H bene, che tu
dèi essere contenfo.- Simone per panra si
stava cheto. Qaesti segae: Et lascio a
Gianni Stiochi la mula mia-, chò avea
messer Baoso la migliore mala di To-
scana. Oh, 9ii««Mr fuofo, dioea Simone,
di eoteHa mula si cura egli poco et poco
Vavea cara. - Io so ciò che Qianni Sticehi
vuole meglio di te. Simone ai comincia
adirare et a consumarsi ; ma per paara si
stava. Gianni Sticohi segno ; Et lascio a
(Hanni Stiechi fiorini cento, che io debbo
avere da tale mio vicino ; et nel rimanente
lascio Simone mia reda universale, con
qnesta olaasola, oh' egli dovesse mettere
ad esecasione ogni lascio fra quindici dì ;
se non, che tatto il reditaggio venisse
a' Frati Minori del Convento di Santa
Croce; et fatto il testamento, ogni nomo
si partì. Gianni esce del letto, et rimet-
tonvi messer Baoso, et Hevono il pianto
et dicono oh' egli è morto. » Lo stesso rao«
contano iln. Set., lae. Dani., Lan., Ott.,
Benv., Buti, eoo. Aloani {Oass., Petr.
Dant.) dicono che Simone e Io Schicchi
stroxzassero messer Baoso ; ma tal mi-
sflktto era Ignoto a Dante e agli altri snol
commentatori. Ctt. Encid., 896 e seg.
88. coNCUirDO: maltrattando.
84. BE: partio. depreoativa— eoA. -
L* ALTRO : fblletto, dei dae mensionati al
V. 16.
86. spicchi: si allontani.
87. ANTICA: vissuta molti secoli prima
degli altri attori comparsi sin qol so qae-
sta spaventevole scena; etr. Ittf. XXVT,
85. Pare che Dante non potesse nemmeno
distinguere il sesso al quale appartene-
vano le due ombre, essendo esse totte
deformate dal gran furore.
88. MmRA: figlia di Clnlra, re di Ci-
pro, arse di violento amore per il pro-
prio padre. Coli' aiuto della sua natrice
e delle tenebre le riuscì di soddisfiare le
sue voglie, fingendosi altra giovane don-
na. Essendo stata scoperta, fhggì In Ara-
bia e vi fu trasformata in pianta, cioè
in mirra. Ctr. Ovid., Met. X, 298-502,
Pind., Pyth. n, 15. Tae., HiH, U, 8.
39. DRITTO: figliale.
40. ESSO: padre.
41. FALSIFICANDO : spacciandosi per al-
tra donna ; ctr. Ovid. 1. o., 439. Per Dante
la fiilalficazione ò colpa più grave del-
l'amore pel padre.
42. L' altro : lo Schicchi. -806TENNS :
assunse.
48. LA DONNA: la mala di Buoso Do-
nati, il qaale dicono la chiamasse ma-
donna Tontna. -TORMA: armento, bran-
co. « Torma si dice propriamente la mol-
titudine de' cavalli, donna significa fiia-
dre, però cavalla da figliare » ; Buo-
nanni.
44. FALSIFICAR : Al. FALSIFICANDO ; ofr.
Moore, OrU„ 854. - IN SÈ : Mirra potè
fingersi altra donna qualunque ; lo Schio-
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[CIBO. 8. BOLO. 10]
InF. XXX. 45-58 [MASflTRO ADAMO] 295
58
Testando e dando al testamento norma. »
£ poi che i dne rabbiosi far passati,
Sovra cu' io avea T occhio tenuto,
Bivolsilo a guardar gli altri mal nati.
Io vidi un, fatto a guisa di liuto,
Pur ch'egli avesse avuta l'anguinaia
Tronca dal lato che l'uomo ha forcuto.
La grave idropisia, che si dispaia
Le membra con l' umor che mal converte,
Che il viso non risponde alla ventraia,
Faceva a lui tener le labbra aperte.
Come l' etico fa, che per la sete
L'un verso il mento, e l'altro in su riverte.
€ 0 voi che senza alcuna pena siete,
thì iaveee, dorendo spaodarei per Boo-
■o DoiMiti, fo oostretto a tramatare, per
eoil dire, in sé l' identità di omo Bnoeo.
45. DAKDO: sapendo fare ai bene la
parte di Bnoeo, che II notaio ne fti in-
gannato, ed il testamento fti dettato a
nonnA delle leggi ed approvato dopo
V. 46-90. PalsaUyri di moneta: Mao-
afro Adaimo ed i eonti di Romena.
Perchè immisero immondisla nella mo-
neta, qneeti fiilsarl hanno i'immondiaia
nella propria persona, essendo gravati
dall' idropisia. Bd lianno recato la loro
insasiabile sete anche nel mondo di là,
onde la loro immondizia e la loro sete
sono loro tremendo ed insoffHbile tor-
mento. Tipo di questa classe di ftUaari è
Maestro Adamo da Brescia, l'idropico
fatto a goisa di liato, che maledice I
eonti di Romena, snoi seduttori.
46.DUB : Gianni Sohioohi e Mirra, i dne
rappreeentanti del falsatori di persona,
che corrono furibondi per la bolgia.
47. 80TBA CUI: Al. SOVBl I QUALI. -
TE9UTO: gnardandoll attentamente.
48. MAL HATI: cfr. II^. V, 7 ; XVm,
76. Al. AMMALATI; Ofr. Z. F., 182.
49. UH : Maestro Adamo, ▼. 61. -fatto:
dal ventre rigonfiato in modo ohe, pur
che gU fosse stata troncata V anguinaia
(le eoeee nel solco ingninale), sarebbe
parso on Unto, poiohè la ventraia sa-
rebbe stata oome la cassa dello strumen-
to ; e la testa, il collo e il petto come il
manico di esso.
66. rum CHB: Mio che. - ahouihaia : -
«qnella parte del corpo umano ohe ò tra
la cesoia e il ventre, allato alle parti
vergognose»; Or. Il Barg. legge la ih-
ouiNAiA. les. difesa da Z. F., 182 e seg.
il quale vuole che languinaia s'abbia
da leggere la'nguinaiaf perchè dal lat.
inguen. Gli esempi addotti dalla Or. mo-
strano che gli antichi dissero anguinaia,
e b«i8ta.
51. LATO: dove si biforcano le gambe.
52. OBAVK : « quia reddit hominem gra-
veni, ita ut mover! non possit » ; Benv. -
DISPAIA : disforma con la linfa non ela-
borata le membra in tal modo, che alcune
intumidiscono ed altre dimagrano, onde
il volto dimagrato non ò plh proporzio-
nato alla gonfi ezsa del ventre; cfr.^t^on,
AUideWUlif. Ven., v. VI, ees. Ili, p. 851.
56. A LUI: Al. LUI.-APKRTB: «per be-
vere l' aria che rinfreschi e ristori le ar-
denti sue fauci * ; Anon, 1. e.
57. l' UN : labbro. - kivertb : rivolge ;
r un labbro in su, l'altro In giù. Al. Biif-
VERTE; cfr. Z. F., 183 e seg.
58. o voi : cfr. Qerem,, Lament. 1, 12.
If\f. XXVIII, 132. - SKifZA : « viderat
enim ille spiritas, quod Isti duo non la-
borabant allqno morbo, siout cietorl de
bulgla Illa, non lepra, sicut duo primi
sodi, non furia, sicut alii duo sooii, non
siti, sicut ipso, non febre, sicut alii duo
sodi.... et.... nesoiebat quod Dantes vi-
vus Iret ex gratta per Infemum sub du-
catu Virgilii » ; Benv. Sembra ohe Mae-
stro Adamo non avesse udito dò che
Virgilio aveva detto a Grufolino, It^f.
XXIX, 94 e seg.
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296 [OBBC. 8. BOLO. 10] Inf. XXX. 59-77
[MABBTBO ADAMO]
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76
E non so io perohè, nel mondo gramo, »
Diss' egli a noi, < guardate e attendete
Alla miseria del maestro Adamo !
Io ebbi, vivo, assai di quel ch'io volli,
Ed ora, lasso !, un gocciol d'acqua bramo.
Li ruscelletti che de' verdi colli
Del Casentin discendon giuso in Amo,
Facendo i lor canali freddi e molli.
Sempre mi stanno innanzi, e non indamo ;
Che l'imagine lor vie più m'asciuga
Che il male, ond'io nel volto mi discamo.
La rigida giustizia che mi fruga.
Traggo cagion del loco ov' io peccai,
A metter più li miei sospiri in fuga.
Ivi è Romena, là dov'io falsai
La lega suggellata del Battista,*
Per ch'io il corpo su arso lasciai.
Ma s'io vedessi qui l'anima trista
Dì Guido, 0 d'Alessandro, o di lor frate,
69. ORÀMO: dolente, cioè rinfarno, il
moDdo del dolore.
61. Adamo : « Iste magieter Adamns
ftiit de CMentìno et stabat in loco qui
dioitar Bomena, et ibi IMaiflcavit fiori-
noe et aliam monetam, et propter banc
(klaitatem monete bio ponitor » ; Banibgl,
Falslfloò il fiorino d' oro fiorentino, bat-
tendone « sotto il oonlo del comune di
Firenze, cb' erono baoni di peso ma non
di lega.... Di qnestl fiorini se ne spesone
assai » ; An* Fior. - « Già Tiniqna moneta
lordava la Toscana, qnando T incendio
della casa degli Anchioni a Borgo San
Lorenzo In Mngello fece scoprire grosso
numero di qnei fiorini. Conosciato l'an- J
toro fb arso tìto sulla ria cbe di Firenze
conduce a Bomena » ; Traya, Veltro cMeg»
di D., 25. n fktto accadde nel 1281. Cfr.
EncUH., 26.
63. UN oocaoL: una gocciola; oonfr.
Luca XVI, 2324.
64. BUSCBLLBTTI: « magis conqueritur
et punitnr de memoria qnorundam rl-
Yolorum aque discurrentium per Casen-
tinnmt qnod sittebatslU inextinguibili,
aquam ailbctabat insatiabill siti. Et boc
dlgnissimum erat; quod, siout pecca verat
in loco ilio, per illlus lod memoriam be-
nemerite torquebatur » ; BamJbgl, Cfr.
Loria, L'Italia nella D. O.» 1* ed., 213.
66.FBKDDI : freschi ; « Hio gelidi fonte*,
bic molila prata»; Virg., EcL X, 42.
68. AsauGA : asseta. « St sic in isto Te-
rificatur illnd dictnm : Nettun maggior
dolore, ecc. » {Inf. V, 121 e seg.); Benv.
69. MALE : r idropisia. - mi diboaric o :
perdo la carne, mi dimsgro.
70. RIGIDA : severa. - giustizia : di Bio.
- FBUOA : punge; cfr. Purg. IH, 8. t Che
mi stuzzica il senso della sete »; BetH. ->
La divina giustizia trae cagione a &rmi
sospirare pib dolorosamente, doè ad au-
mentare le mie pene, per il ricordo del
luogo, dove io, peccando, la ofifosi.
73. IVI : nel loeo ov' io peccai, cioè nel
Casentino. - Komena : castello dei conti
Guidi da Modigliana, dal quale s' inti-
tolarono.
74. LA LEGA : dei fiorini d* oro fioren-
tini, « i quali fiorini, gli otto passarono
un* oncia, e dall' un lato era la 'mpront«
del giglio, e dall' altro il San Giovanni »;
O, VUl. VI, 63. S' incominciò a coniarli
nel 1262. - buggrllata: improntata del-
l' Immagine di San Giovanni Battista,
patrono di Firenze.
77. Guido: secondo di questo nome.
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[Cnc. 8. BOLO. 10]
iNF. XIX. 78-89 [MAESTRO ADAMO] 297
Per fonte Branda non darei la vista.
Dentro c'è l'ona già, se l'arrabbiate
Ombre, che vanno intomo, dicon vero;
Ma che mi vai, e' ho le membra legate?
S'io fossi por di tanto ancor leggiero.
Ch'io potessi in cent'anni andare nn' oncia,
Io sarei messo già per lo sentiero,
Cercando lai tra questa gente sconcia,
Con tatto eh' ella volge ondici miglia,
£ men d'on mezzo di traverso non ci ha.
Io son per lor tra si fatta famiglia;
£i m'indosserò a battere i fiorini
BsBo di Guido I conte di Bomena. -
•^uaunnu): primo di qaeetonome, flr»-
^di Guidone muito di CatoriiMdei
^toiiid di FaenxA; ancor TiTente nel
1116.. nuTB: Agioollb, fratello dei dae
^^*^ marito di Idana di Boggero da
^^SueaTiUo, cugina di Caterina, mo-
^ di Guido Norello da Polenta ohe
^M Dante a Bayenna. Teetò nel 1388.
Cfr. Titdetekini, SerUti Dani. I, 211-68.
^I^atgo, Dino Oomp. U, 693.
7S. rosm Bbaitda: di Bomena, ora
*"J^ da non confondersi con Fonte-
■^ada di Siena, come fecero i oomment.
'^'^iefai, incominciando dal BambgU, e co-
^ kaao pare molti moderni. Maestro
^0 pula di Bomena, e Siena nel ano
*»wno non c'entra ; cfr. Blano, Venueh
l3S4eieg. BarUno, Oaraributiom, 158
*««. ymum, Im/. rol. in, pag. 215 e
*!• e iri le taT. 95 e 96. He Balinet, I,
^ e ieg. Oom. Lipt. I«, 529 e seg. Fer-
"«^ IV, 398; V, ZOO e seg. Ampire,
^ ^riee, Rome et DanU, 268 e seg.
^w«., 257 e seg. Boti., 81 e seg. B fti-
'"•^Maestro Adamo è d terribile, che,
« osta dell» sua sete, preferirebbe la tÌ-
•* ^' «noi seduttori nello stesso tormen-
^^ Pbeere di dissetarsi ad una fonte.
'*. DiKTso: a qoeeta bolgia. - l'uha :
* Snido, poichò nel 1800 gU altri dne
^**^ vireTano ancora.
M. oioiu: dei fislsatori di persone.
^ USATI: per V infermità, onde non
P"** moorermi per andare a redere
^'«»*iia trtfte.
2' U96I110; agfle, spedito.
«• DfOBOA: la dodicesima parte di
^ piede. Bq taU desiderii dei dannati
*• *«*o, Bueldein ton der WeiiheU,
eap. IX, dove e' è nn passo affine a que-
sto di Dante. Secondo 11 Suto i dannati
dicono : « Wir begehrten nichts anderes,
denn wiire ein Mfihlsteln so breit als
allea Erdrelch and nm sich so gross,das8
er den Himmel allenthalben beriilirte,
nnd k&ne ein kleines Vdgleln Je iiber
honderttansend Jahre nnd bisso ab dem
Stein so gross, als der sehnte Thell ist
einee Hirskomleins, nnd aber iiber hon-
derttansend Jahre so viel, also dass es
in tehnhanderttaasend Jahren so yiel
ab dem Stein klanbte, als gross ein Hirs-
kdmleinist : vir Armen begehrten nichts
anderes, denn, so dee Steines ein Ende
w&re, dass aach dann nnsere Marter ein
Ende hfttte; and das mag nioht sein ! »
84. BARii : mi sarei già messo in cam-
mino per il fondo della bolgia.
85. LUI : Qoido II, conte di Bomena,
y. 79. - SCONCIA : resa deforme per il ca-
stigo ad essa infitto.
86. ELLA: la bolgia. Altri: La gente
sconcia. Le dae misure, della lunghezza
e della larghezza, mostrano che Maestro
Adamo parla della bolgia, la quale ha
undici miglia di circonferenza e mezzo
miglio di larghezza, cfr. lf\f. XXIX, 9,
quindi l'ottava 44, la settima 88, la se-
sta 176, ecc.
87. E MEN: e la larghezza non sia mi-
nore d'un mezzo miglio. Al. E più d'un
MEZZO, lezione inattendibile ; cfr. Blano,
Verruchl, 265 e seg. - non ci ha : licenza
poetica, come Tnf. VII, 28. Purg. XX, 4.
88. famiglia : di falsari, colpevoli dello
stesso delitto e consorti alle medesime
pene ; cfr. Inf. XV, 22.
89. Ei: i tre conti Guidi suddetti, cfr.
V. 77.
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[OEBC. 8. BOLO* 10] iNF. XXX. 90-102
[sinonb;
01
94
97
100
Ohe avevan tre carati di mondiglia. »
Ed io a lui : « Chi son li due tapini
Ohe fumman come man bagnate il verno.
Giacendo stretti a' tuoi destri confini ? »
4c Qui li trovai, e poi volta non diemo, >
Rispose, « quando piovvi in questo greppo
E non credo che dieno in sempiterno.
L'una è la falsa che accusò Giuseppe;
L' altro è il falso Sinon greco da Troia ;
Per febbre acuta gittan tanto leppo. »
E V un di lor, che si recò a noia
Forse d' esser nomato si oscuro,
Gol pugno gli percosse V epa croia.
90. CARATI: earato dioeyasi la Tenti-
quattresima parte di un* oncia d* oro. -
MONDIGLIA: rame mescolato all'oro. I
fiorini fiorentini erano di ventiqaattro
carati d'oro pnro.
V. 01-129. Falsatori deUa parola:
Sinone da Troia e la moglie di Fu-
Hfarre. La qaarta classe di falsari è dei
bugiardi fraudolenti, i qnali sono oppres-
si da ardentissima febbre cbe arde loro
il oerTcllo, e per l' immondensa del loro
vizio mandano forno puzzolente. Anche
laggiù continuano ad abusare della pa-
rola, oltraggiandosi vicendevolmente e
dicendosi cose sconce e laide.
92. fumhan: il calore naturale della
mano discioglie l' acqua, ond' è aspersa,
in vapori che d' inverno, condensati dal
freddo, si fanno visibili e sembrano fumo.
< Fuma come d' Inverno nna mano ba-
gnata » è modo proverbiale vivente in
Toscana ed altrove.
93. BTRiCTTi: « unum inxta alinm, quia
laboravernnt pari morbo, scHicet eadem
specie Cftlsitatis »; B^nv. - a' tuoi : alla
tua destra, vicino a te.
94. POI : dacché fui precipitato in que-
sta bolgia e 11 trovai qui, non si mossero,
e credo ohe non si moveranno in etemo.
86. GREPPO : altura di terreno brulla e
pietrosa ; qui per bolgia, Cflr. Endel., 951 .
97. LA FALSA : la moglie di Pntifarre ;
volle sedurre Giuseppe, figlio del Pa-
triarca Giacobbe, che se ne ftiggì via da
lei, onde lo accusò (Usamente di averle
voluto far violenza; otr.OeMti, XXXIX,
6-23. - GiUBEPPO t per Giuseppe, antica-
mente anche in prosa; cfr. Betti, 1, 138
e seg. Nannue.t Nomi, 171 e seg. V€>ei,
61 e seg.
98. SiKOM: colui ohe colle soe hng^e
persuase i Troiani ad introdurre nella
loro città il cavallo di legno; cfr. Virg.,
Aen. II, 67-194. Ir^. XXV I. 69. Era gre-
co, ma non fkmosoche pel suo tradimento,
e perciò si cognomina dal luogo dove Io
commise; cfr. Virg., Aen. H, 147 e seg.,
ove Priamo dice a Sinone: « Quisqnia es,
amissos hinc iam obli viscere Graioa ; Po-
ster eris. »
99. LBPPO : « è puzza d'arso unto, come
quando Io fuoco s'appiglia alla pentola o
alla padella; e colà dice che putivano co-
stoi-o, come putono alcuna volta coloro
che sostengono si fatta passione »; SuU.
100. l'un : Sinone. - Bi recò : se l'ebbe
a male, se ne sdegnò.
101. OSCURO: con vergogna del eno
nome, avendolo Adamo detto/oZto, v. 98.
O forse per averlo detto da Troia, ben-
ché avesse tratto origine da Grecia. Il
Rote, suppone che da Troia possa forse
significare : « nato da nna troia » (f).
102. l'epa: la pancia, il ventre, cfr.
If\f. XXV, 82 ; propriamente la rotondità
del ventre ; oonfr. JHee, WóH. II«, 26. -
CROLA: dura, cruda, non arrendevole;
forse dal lat. eruditu, JOiez, WdH. II»,
28, o forse meglio da eorium, quasi in-
onoito; cfr. Nannue., Verbi, p. 878 e
seg. - « L'epa croia.,,, è da spiegare per
la pancia dell'idropico, ohe pel troppo
umore si è indurata e tesa, e non è più
cedevole, ma si è nella propria tensione
irrigidita siccome onoio ; » CMvani, Areh.
stor. itoL, XIV, 848.
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[eoe. & BOLO. 10]
IHF. IH. 108-120
[8IK0NB] 299
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Qaello sonò, come fosse nn tamburo ;
E mastro Adamo gli percosse il volto
Col braccio suo, cbe non par.ve men duro,
Dicendo a lui : < Ancor che mi sia tolto
Lo muover, per le membra che son gravi,
Ho io il braccio a tal mestiere sciolto. >
Ond' ei rispose : < Quando tu andavi
Al foco, non V avéi tu cosi presto ;
Ma si e più l' avéi, quando coniavi. »
E r idropico : « Tu di* ver di questo ;
Ma tu non fosti si ver testimonio.
Là 've del ver fosti a Troia richiesto. >
< S' io dissi falso, e tu falsasti il conio ; »
Disse Sinone, < e son qui per un fallo,
E tu per più eh' alcun altro dimenio ! >
€ Ricorditi, spergiuro, del cavallo, »
Eispose quel eh' aveva enfiata V epa,
« E sleti reo che tutto il mondo sallo ! »
105. COL BRÀCCIO : Al. COL PUORQ. -
iCBi IHJBO: del pagno di Sinone.
107. LB BnofBRA : cflr. y. 52 e eeg., 81 e
8^. - ORAVI : per 1a graye idropisia.
108. MKSTIBRB : di peroQotere alimi.
110. AL FOCO : al rogo. Quando ta an-
davi al snpplizio per eaaere arso vivo, ta
non avevi le braccia coA spedite, aven-
dole Iellate. - avAi : avevi ; cfr . Nannue.,
Terbi, 404 e seg. - presto: agile.
111. MA 8): ma avevi il braccio co^
spedito, e più ancora, quando battevi 1
fiorini fidai. « Et sic vide qaomodo iste
gnecoa loqnacissimas retorqnet in inte-
mSara iOnd de qao Ule videbatnr gloriarl,
icilioet motom braolìionini ad vlndiotam,
quwl velit dicere : bene credo qnod ha-
beaa braohia solata ad omnia mala, sicnt
ad fiilsandam monetam, ex qno mernisti
habere ea Ugata, qaando foistl dootos ad
ignern »; Beno.
114. LÀ * VB : qoando Priamo ti richiese
di manifostargli il vero sol cavallo di le-
gno; ofr. Yirg,, Atn. Il, 160 e seg.
115. B* io : ognuno dei due miserabili
8* ingegna di attenuare la gravesza del
proprio fiUIo aggravando il reato dell*av-
versarlo. Questo vilissimo procedere si
conA assai l>ene alla viltà delle persone.
n Carducci, 8tud. UU., 103. ricorda a
proposito la rispoeta di Cecco AngioUeri
ad nn sonetto di Dante: «SMo praneo
con altri, e tu vi ceni ; 8' io mordo il
grasso, e tu ne succhi il lardo. » È natu-
rale che nessuno dei due aveva una ra-
gione al mondo di rinfiaociare all'altro
la sua colpa ; ambedue sono falsari, e olii
ò capace di una falsificasione, lo è pure
dell'altra, -il conio: dei fiorini d'oro.
« Quasi dica : Peggio ò a falsare, che a di-
re il fftlso ; ma questo non ò vero ; im-
però che s' attende a quello che ne se-
guita poi: del folsar della pecunia non
si disftuino le città, come del dire la ùd-
sita che disse Sinone »; BtUi, Su per giù
ripetono lo stesso Tom. ed altri.
110. UN : per una sola bugia frodolenta,
quella del cavallo. Ha i peccati non si
eontano, si peeano.
117. DIMONIO: non solo più di alcun altro
de' dannati, ma più di qualsiasi diavolo.
118. BPKBQIURO: cfr. Virg., Aen. II,
154 e seg.
119. QUBL: Maestro Adamo dal ventre
sì gonfiato, V. 49 e seg. Al. riferiscono
« oh'avea enfiata l'epa » al cavallo e apìe-
gano : Kicordati del cavallo eh' avea 11
ventre pieno d'armati. Evidentemente
enfiata l'epa è sinonimo di epa eroia,
V. 102, onde questa seconda interpreta-
sione non può aver luogo.
120. BEO: siati amaro a pensare ohe
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300 [CBBC. 8. BOLO. 10] InF. XXX. 121-187
[BIMPBOYBBO]
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< A te sia rea la sete onde ti crepa >
Disse il GFreoo, < la lingua, e l' acqua marcia
Che il ventre innanzi agli occhi si t' assiepa ! »
Allor il monetier: < Cosi si squarcia
La bocca tua per dir mal come suoloi
Che, s' io ho sete ed umor mi rinfarcia,
Tu hai V arsura, e il capo che ti duole ;
E per leccar lo specchio di Narcisso,
Non vorresti a invitar molte parole. »
Ad ascoltarli er'io del tutto fisso.
Quando il maestro mi disse : « Or pur mira !
Che per poco è, che teco non mi risso. »
Quand'io '1 senti' a me parlar con ira,
Volsimi verso lui con tal vergogna,
Ch' ancor per la memoria mi si gira ;
E quale è quei che suo dannaggio sogna.
Che sognando desidera sognare.
tutto U mondo conosce per Cuna il tuo
misfatto.
121. TI CREPA: ti screpola; metafora
tolta dal legno, in oni V aridità genera
orepatare. Il Greco la dà oramai vinta
al Bresciano, in quanto concerne l'enor-
mità del misfatto ; onde, non sapendo che
dire, gli rinfaccia la sua infermità.
122. l'acqua : la linfa gnasta, v. 53, che
ti fa rigonfiare il ventre sino a fartene nna
siepe agli occhi ed impedirti qnasi la vista.
123. CHS: la qnal acqua. - il ventre:
quarto caso. - t' assiepa : ti fa siepe.
« D'idropico o di donna gravida i To-
scani dicono che ha la pancia agli ce-
chi »; Tom.
124. SI SQUARCLà : si spalanca : « DUata-
verant saper me os suam»;P«aZ.XXXIV».
21. - «Dilatat labia sna »; Prov. XX, 19.
125. SUOLE: come ta nsa nel mondo,
quando fisamente sparlavi di que' tuoi
Greci; cftr. Virg,, Aen. II, 162 e seg.
126. EiNFABCiA: riempie ed ingrossa,
dal ÌAt. farcire ■» otturare, empiere. Se io
ho sete, tu hai T arsura; se io ho rigon-
fiamento d' umori, tu hai lo stordimento
della febbre, nò ti faresti pregar molto a
bere dell'acqua.
128..BPECcmo: acqua, nella quale si
specchiò Narciso; cfr. Ovid., Met. Ili,
407-510. « A un Greco rammenta favola
greca; al brutto dannato uno specchio,
e specchio d'acqua limpida; egli ohe sa
quanto sia tormentosa la memorift del-
l'acque neir arder della sete »; Tofn.
V. 180-148. Vn rimprovero aliante,
n Poeta ò tutto intento ad ascoltare le
sconce parole del Greco e del Bresciano.
Virgilio ne lo sgrida adirato, onde Dante
ò tutto vergognoso. Questa vergogna, gli
dice Virgilio, ò piti che sufficiente a la-
vare la tua colpa. Non dimenticartene
in avvenire, imperocchò ò bassezsa il
compiacersi della barufiìa de' vili.
131. OB PUB uiEA: parole di rimpro-
vero: Guarda un po' I Al.: Parole di fina
ironia : Ben fai ! Sta' pur cosi mirando !
132. PKB FOCO : poco manca, per poco
mi tengo che io non me la pigU teoo per
codesta tua attensione a cosa tanto igno-
bile. - BISSO: faccio rissa, mi adiro.
134. VEBOOGNA: d' essersi dilettato
delle sooDce parole dei dae miserabili.
135. AMCOE: pensandovi me ne ver-
gogno ancora; otr, Inf, I, 6.
136. DAKMAG610: danuo; voce usata
sovente dagli antichi ; Dante non la nsa
che qui; cfr. Diez, Gtam. li*. 630. H
Kannucci, Verbi, 860, nt. 4 afferma ohe
dannaggio non sia lo stesso che danno;
ma nel Ifan. H*, 416 egli chiosa poi:
« Dannaggio lo stesso che danno, »
137. DESIDEBA : che la sventura della
quale sogna non sia realtà, ma un sem-
plice sogno, come se tale non fosse ve-
ramente.
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[me. 9, BOLG. 10]
INV. XXX. 138-148 [RIMPBOTEBO] 801
m
145
Ub
Si che qnel eh' è, come non fosse, agogna;
Tal mi fec'io, non potendo parlare,
Che desiava scasarmi, e scasava
Me tuttavia, e noi mi credea fare.
< Maggior difetto men vergogna lava, »
Disse il maestro, « che il tuo non è stato;
Però d'ogni tristizia ti disgrava.
E fa' ragion ch'io ti sia sempre allato.
Se più awien che Fortuna t' accoglia
Ove sien genti in simigliante piato;
Chò voler ciò adire è bassa voglia. »
U9- VOH pommo : per la yergogna
«laeoDfkiaione.
Ite. acusAKia: pttriando. - bcubaya :
^•«Bdo per TergognA.
10. CUDKA : io non oredeva, ohe il mio
^Ken per Torgogna del fiidlo oommeaso,
A>M già aoa wasa agli ooohi del mio
ioM. FuAcre euìpa nùntdtiur.
lU. MAGOiOK: minoT vergogna della
tu beati a lavare, cioè a scusare, nna
nlpa maggiore ohe non sia stota la tua
«1 ^nettarli della bamflk e delle scon-
eene di qae' vili.
lii TUBTiziA: dolore, meetiala ; « Nudo
C">^i non qoia contristati estis, sed
90Ù MBtiisUti estis ad pcenitentiam :
^oatiiitsfcl enim estla seoondam Deam,
^ in nello detrimentnra patiaminl ex
^'^ Qq» eoim secnndnm Boom tri-
^i^nì. pcenitentiam in salotem stabi-
^ «perator» ; II, Ocr, VII, ©-10. - ti
DiKUYA: aUontana da te. « Trlstitiam
loaceiepdleate»} JBeel, XXX, 24.
146. fa' BAOiOM t fk' conto, non dimen-
ticare; ofr. Par, XXVI, 8. Se mal ti ac-
cada per arrentora di trovarti un'altra
volta a slmili contrasti, ricordati ohe ti
son sempre vioino per riprenderti come
ho fiitto adesso.
146. t'aocoolia: ti lìMCia capitare. AL:
Ti colga, ti trovi. La Fortuna non co-
glie r nomo in flagranaa di colpa ; bensì
lo fo capitare in alcon luogo, dove sia
per lai gran tentasione di rendersi ool-
pevole.
147. PIATO : propriamente Lite agitata
innanxi ai giadioi, dal Ui.placUum; ofr.
Diet, Wdrt. I', 817 ; qui per Contrasto in
genere, e specialmente di parole ingia-
riose.
148. BASSA VOGLIA: « gosto indegno
d' una mente elevata e d'nn mio segua-
ce» ; £r. B. Cfr. Prov. XVn, 4; XX, 8.
n primo di qaesU paesi saona: «Maine
oboedit llngaae iniqnae, et Cftllax ob-
temperat labiis mendacibas. »
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802 [DISCESA AL GERO. 9] InF. XXXI. 1-8
[GIOAVTI]
CANTO TRENTESIMOPRIMO
DISCESA NEL NONO CEECHIO
I GIGANTI INTOBNO AL POZZO
KEMBROTTO, FIALTE BD ANTEO
Una medesma lingua pria mi morse,
Si che mi tinse V una e l' altra guancia,
E poi la medicina mi riporse :
Cosi od' io che soleva la lancia
D'Achille e del sno padre esser cagione
Prima di trista e poi di buona mancia.
Noi demmo il dosso al misero vallone
Su per la ripa che il cinge d'intorno,
V. 1-6. La Uinetad^AéhiUe.Swìonào
la mitologia. Achille aTova ereditato da
800 padre Peleo una lancia miracolosa,
lo coi ferite non si sanarano ohe oon la
raggine della landa medesima, raschiata
dal ferro e sparsa salla piaga ; otr. Ovid.,
Met. XIII, 171 e seg. Tritt. V, 2 e seg.
Rem. am,, 47 e seg. I nostri poeti antichi
amaron quindi paragonare alla lancia di
Feleo lo sgoardo ed il bado della donna.
Qui Dante paragona ad essa landa la lin-
gua di Virgilio, che dapprima lo morse
ool rimprovero, quindi lo riconfortò, ri-
sanando oort con aflbttuose parole la
piaga Oftttagli nell* animo.
1. UKQUA: di Virgilio. - morse : pun-
se ; « mordadter me reprehendit >; Benv.
- « Un rimprovero mordente ò più che
uno pungente ; ma lingua e morde non
hanno tn loro piena corrispondensa » ;
L, Vent,, Sim., 674.
2. MI TiNSS : di rossore ; ofr. If\f. XXX,
184 e seg.
8. LA MBDiciNA : « Bgo ooddam, et ego
vivere fsoiam t peroutiam, et ego sana-
bo»; DeiU0r. XXXII, 89. «Tu flageOas,
et salvas»; Tob. XIII, 2.
6. TRISTA: ferendo. -BUONA:
do. - MANCIA : dono, regalo ; « Una manos
vobis vulnus opemque feret»; Ovid.,
Sem, am., 44. Cfr. Par, V, M.
V. 7-45. I giganti in gensraie. La-
sciano V ultima bolgia e s'avviano verso
il nono cerchio, ohe è un gran posso,
in fondo al quale sono i traditori. S'ode
il suono spaventevolmente forte di ud
corno. Dante guarda verso il luogo
d' onde viene il suono, e crede di vedere
una terra Ibrtlficata da molte alte torri
Virgilio io disinganna, dicendogli esser
quelli i giganti, 1 quali, avendo creduto
di poter superare Dio ed osato fkr fon*
contro di lui. sono collocati qua e lA
intorno alle pareti del posso, in modo da
aver ricoperta dalla ripa la metà infe-
riore del corpo. Alcuni sono incatenati;
r uno parla un linguaggio conftiso. Sui gi-
ganti in generale cfr. JETom., Oditi, VII,
69, 206; X, 120; Rttiod,, Théog. 186;
ApoUod, I, 6, 1 e seg.; Ovid,, MUtam, h
161; Foit, V, 85.
7. DEMMO : voltammo le spalle alla de-
cima bolgia.
8. su: per poter vedere la oondisione
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ìtmcm
tmnak al csbc. 9]
INP. XXXI. 9-21
[OIGAMTl] 808
Attraversando senza alcun sermone.
10 Quivi era men che notte e men che giorno.
Si che il viso m'andava innanzi poco;
Ma io senti' sonare un alto corno,
13 Tanto ch'avrebbe ogni tuon fatto fioco,
Che, centra so la sua via seguitando,
^^^ Dirizzò gli occhi miei tutti ad un loco.
]6 f Dopo la dolorosa rotta, quando
V Carlo Magno perdo la santa gesta,
X^,^^^^ Non sonò si terribilmente Orlando.
1» J?oco portai in là volta la testa.
Che mi parve veder molte alte torri ;
Ond' io : < Maestro, di', che terra è questa ? >
dèa* oltlnui bolfU, 1 Poeti erano andati
{là sa la acarpa dell* argine che la se-
para dal nono cerchio, JV* XXIX, 52 e
■eg. Ora rtiomano in ra ed attraversano
taeltì (oonie W- XXm, 1) l' argine per
dMeeadare giù nell' oltimo oerohio, cen-
tro dell'Inferno. -chi il cinoB : Al. ch' el
ciMQB, cioè « la qnale (ripa) egli vallone
cinge d'Intorno»; VelL, Z. F., 188, eoo.
La ripa cinge d'intorno il vallone, non
Tìeeversa. I voUotU, doè le bolge, sono
date, non cingono.
9. ▲TTBÀTBBflAHDO: andando per ritto
e non in giro.
10. Kur: « erat oreposonlam, qnod
ideai est qood dabia Inz, quia tenet me-
diom Inter diem et noctem ; ex qao antor
Boa potarat mnltnm videro a longe, sed
sndire aio » ; Bme.
12. MA: benofaò io non potessi molto
vedere, nn soono di corno co^ alto ohe
avrebbe saperato qnalnnqoe più mi|io-
Toeo toono. fisoe volgere ad nn sol punto
tatta Tattenaione de' miei occhi, ohe se-
goittivano la dlreaione contraria a quella
del saoBO. -alto: corno ohe aveva al-
to, forte SQono.
13. TASTO : « fii oomparaaione del snono
del corno al toono ; e dice ohe tanto era
maggiore lo soono del corno ohe quel del
toono, ohe il toono sarebbe parato flo-
ce»i Atf<.-«ComaqQe reoorvo Tarta-
ream inoeadit vocem, qoa protinns omne
Contremnit nemns et ailv» insonnere
profkmdn » ; Virg^ Aen VH, 513 e seg.
•VATTO FIOCO: flitto sembrar fioco, al
paragone.
14. SBOUTTAXDO: sogoitanti. Come i
ProTeaaali,anohe Dante naò talvolta il
gerandio nel senso del participio pre-
sente, ofir. p. es. Vit. N„ 8 ; Purg. IX, 38 ;
X, M. Par, XVni, 45. Così pure Petr.,
Bocc., Ariosto ed altri; cfr. Nannue.,
Verbi, 421 e seg. Del resto qai si pnò an-
che intendere col J^st.; « Dirìgendosi
dietro la traccia del snono. »
16. BOTTA : di Bondsvalle, dove furono
troddate migliaia di Cristiani ivi lasciati
da Carlo Magno sotto il comando di Or-
lando; ofr. La Okanson de Roland, ed.
T, imUor, Gdtting., 1836. Eginard, An-
noi, ad a. 778. Vita Caroli M., e. IX,
F.BajnaiìeX Propugn. lU, 2, p. 384-409;
IV, 1, p. 52-78, 833-890 ; IV, 2. p. 63-133.
17. QBSTA : schiera dei paladini combat-
tenU per la fMe ; cfr. Diez, Wdrt. 1«. 207.
Fai^., Stud,, 72 e seg. Rajna, 1. e, III, 2,
p. 384 e àeg.Oautier, Bpop./rane. 1, 890 e
seg. Barteeh, Ohreet. provenf., 2» ed. . 505.
Del Lungo, nella Nuova AntoL del 16 mar-
ie 1800, p. 295 e seg. PoUtto, Oom. 1, 679.
18. BONO t « Tono tanta virtote tanta-
qne fortitadlne taba snaebameasonait,
qaod vento oris eias tuba Illa per me-
diam scissa et ven» colli elns et nervi
ftiisse refenintor, ita ut vox tane osque
ad Caroli aures, qui erat hospitatus oum
proprio ezercitu in valle Caroli.... an-
gelico ductn pervenit»; Twyin,, Okron.
0. XXIV. Al tempi di Dante le fiivole
del preteso Tnrpino si credevano sto-
riche.
10. nr lJL I verso la parte ond' era ve-
nato il suono. - VOLTA : Al. alta. Cfr.
Z. F., 180.
21. tkbba: città. Dante rammentan-
dosi la città di Dite, ofr. In/. VUI, 82 e
seg., crede di vedere le meeohiU di una
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804 [DISCESA AL CEBO. 9] INF. XXXJ. 22-41
[OIOANTI]
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Ed egli a me : « Però che tu trascorri
Per le tenebre troppo dalla lungi,
Awien che poi nel maginar abborri.
Tu vedrai ben, se tu là ti conginngi,
Quanto il senso s'inganna di lontano;
Però alquanto più te stesso pungi. >
Poi caramente mi prese per mano,
E disse: « Pria che noi siam più avanti.
Acciò che il fatto non ti paia strano,
Sappi che non son torri, ma giganti,
E son nel pozzo intomo dalla ripa
Dall' umbilico in giuso tutti quanti. »
Come, quando la nebbia si dissipa.
Lo sguardo a poco a poco ra£Sgura
Ciò che cela il vapor che l'aere stipa;
Cosi, forando l'aura grossa e scura.
Più e più appressando invèr la sponda,
Fugglemi errore e cresce'mi paura;
Però che, come in su la cerchia tonda
Monteroggion di toni si corona,
nuora oittà, Inf. Vm, 70 e seg.; quindi
la saa dimanda.
22. TBASGOBRl: oogU ooohi. Volendo
goardare troppo innanai in qoeet' aere
tenebroso, giudichi erroneamente di dò
che vedi.
24. magihab: immaginare, qni per
gindioare, estimare, ecc.; oflr. Gherardi-
ni. Voci e man. II, 368. - abbobri : dal
lat. abhorrere; aberri, ti allontani dal
vero, t' inganni Immaginando ; cfr. It^,
XXV, 144. CJàvemi, Voci e modi, 7.
26. coNGiUMGi: ti accosti, ti avvicini|
se tn giungi là.
27. PUNGI: ad affrettare il passo, af-
frettati, n desiderio di veder tosto ciò
che da qni non paci ben disoemere ti
stimoli ad accelerare i tnoi passi.
28. MI PBI8R : « ad iirmandom se da-
biom, vel centra timorun nasdtnram ex
terribili conspectn istoram »; Benv.
82. INTORNO : sono intorno intono alla
sponda del posso, col piedi posati sovra la
ghiaccia di esso; dall' ombelloo in sn so-
vrastanti all' argine ohe cinge Intorno il
posso; dall'ombelico in giù dentro al
posso stesso.
85. EAmouRA : va man mano disoer*
nendo più chiaramente 1 contorni d^e
cose, prima nascoste dalla nebbia.
86. STIPI.: addensa, aocamnla,* ofr.
Ifkf» Vn, 19. « Qnesto verbo in senso
proprio vale Circondare di quei minati
sterpi che si dicono itipa,- quindi, in
traslato. Condensare, cioè ammassare
come Csstello di stipa. Più in oso og^^
è stivare»; L, VmU., Sim., 118.
87. FORANDO : penetrando odio sgnar-
do. Dice /orando « per la malagevolessa
e fiitìoa die dava all'occhio raiim groMéa
é tcurat e però egli agnssando la vista,
qaasi con snochidlo la /orava »; Ou,
88. APPRESSANDO : via via ohe io pro-
cedeva verso la sponda del posso.
89. FUGotcMi: Cfr. Z. F., 188 e seg.
Kannw,,VerH, 140 e seg., 206 nt. 8. Ai,
FUGGUm ERRORI R CRB8CKAMI PAURA.
Al. rUGGIMMI ERRORE E CRESOEMMI PAU-
RA. Al. FUGGÌMI errore e OIUGNfaa
PAURA. L'erronea opinione che qoeUe
fossero torri si dilegoava ; ma la paura
avuta all' ndire le parole di ViigOlo, e
già prima, si aomentava alla vista dei
giganti.
41. MONTRRBGOION : cottrum Mentis
r^Qionit, antico castello senese in Val
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[OISCESÀ AL CEBC. 9]
iNF. XXXT. 42-52
[SEMBROTTO] 805
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Cosi la proda, che il pozzo circonda,
Torreggiava!! di mezza la persona
Gli orrìbili giganti, coi minaccia
Oiove del cielo ancora, quando tuona.
Ed io scorgeva già d'alcun la faccia.
Le spalle e il petto e del ventre gran parte,
E per le coste giù ambo le braccia.
Natura certo, quando lasciò Parte
Di si fatti animali, assai fé' bene.
Per tórre tali esecutori a Marte;
E s'ella d'elefanti e di balene
d' Eh* a Mi mi^ia da Siena, oofltratto
nel 1213, distratto nel secolo XVI. Ele-
TATsti sopra una collinetta isolata, in
forma di pan di snoehero; la sna dnta
cfreolare di oltre mesto obflometro era
eonmata di dodici altissime torri; ofr.
AqwÈTcnM, D. in Sten'*, 73-78. - si CO-
BOHA : « Mnros cinxere oorona » ; Virg.,
Aen. X., 122.
43. POZZO s « chiama posso lo nono cer-
diio, perchè a rispetto deUi altri tanto
▼suda stretto, che parca nno posso »iButi.
Costr.: Cod^ orribili giganti, oni Giove,
tiwnsmdo, minaccia ancora, soverchia-
▼ano come torri colla metà della loro
smisurata persona (dall' ambilico in so,
T. 32 e seg.) la proda o sponda che dr-
eonda il posso.
43. TOUBMoaiÀYAXi clngeTSDo a somi-
gUansadl torri.
44. MDiAOCiA: in memoria dell'antico
oltraggio.
45. QUAHiK) TUOHA: perchè ftirono tal-
minali nel campi di Flegra; ofr. Irtfèmo
XrV, 58.
V. 4S-81. Kemnhrotto, H primo dei gi-
ganti nominati appartiene alla mitologia
giodaiea. fiKembrotto (^«^j^^— fermo,
: •
Corte; gr. Ne^pcbò e NG^p<&òn<;>t il «apo
dei discendenti di Cam e primo re di Ba-
bilonia, crednto autore del pensiero di
edificare la torre di Babilonia; cfr. S.Auff. ,
09. Dei. XVI, 4. Brun. LaL, Tt». 1, 26.
Gtn. X, 8, 10. « PraMnmpsit ergo in corde
soo incorabilis homo, sab persuasione
GHgantis, arte sua non solnm superare
Katoram, sed et ipsum Katurantem, qui
Deus est; et ccBpit »dÌfioare turrim in
Sennaar. qu» postea dieta est Babel,
hoc est confosio, per quam ocDlum spe-
30. — IH: Oomm., 4» edis*
rabat ascendere: intendens insdus non
equare, sed snum superare Faotorem»;
De Yulg. El. I, 7. Kembrotto parla un
linguaggio conftiso che non è noto a
nessuno.
47. TXNTBB: i giganti della mitologia
greca hanno ordinariamente serpenti in-
vece di piedi. Eixov hk xà^ fiàtseu; 90-
Xìba^ òpaxÓYTOv; ApóOod., BiU, I, 6. -
ApaìcoYxóitobaq xai polKrirevetov^ xal
fia9v%axxaq ; Tzetz. ad Lyeophr. AUx.,
63. - « Angnipedee »; Ovid., Met. 1, 184. -
« Serpentipedes »; Ovid», Tritt. IV, 7.
Cfr. LucU., Aetn., 46 e seg. Apottin,
Sidon IX, 73 e seg. Dante dà ai suoi gi-
ganti jnedi ofr. In/. XXXII, 17, ma non
dice che questi piedi fossero serpentini,
attenendosi probabilmente slla mitologia
biblica, che di piedi serpentini non tà ve-
runa menxione.
48. oiù : le braccia che cadevano già
lungo i fianchi.
49. NATUBA. : Dante si attiene qui alla
mitologia greca, iecondo la quale i gi-
ganti Airone figli della terra, mentre in-
vece secondo la mitologia ebraica essi
naoquero dal commercio dei « figliuoli di
Dio», cioè degli Angioli, colle « figlinole
degli uomini »; cfr. Qen. VI, 1 4. - l'ab-
TB: di produrre giganti.
60. AifiMAU : esseri animati ; cfr. If\f.
II»,2; V, 88. « Nec de te, Natura, que-
ror: tot monstra ferentero, C^entibus
ablatnm dederas serpentibns orbem»;
Lucan., Phart. IX, 855 e seg., dove si
parla delle serpi che infestano il suolo
Africano.
51. PKB TÒSRB TAU : Al. PBB TÒB 00-
TALI. Al. PBB TOLLBB TALI. - B8BCUTO-
Bi : guerrieri si spaventevoli, ohe avreb-
bero oppresso tutti gli nomini.
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w^
806 [DISCESA AL CEBO. 9] InF. XXXI. 53-67
[NEMBROTTO]
^
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61
64
67
Non SÌ pente, chi gaarda sottilmente,
Più giasta e più discreta la ne tiene ;
Che, dove P argomento della mente
Si giunge al mal volere ed alla possa,
Nessun riparo vi può far la gente.
La faccia sua mi parca lunga e grossa,
Come la pina di San Pietro a Roma ;
Ed a sua proporzione eran l'altr'ossa:
Si che la ripa, ch'era perizoma
Dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto
Di sopra, che di giungere alla chioma
Tre Prison s' averian dato mal vanto ;
Però ch'io ne vedea trenta gran palmi
Dal loco in giù, dov'uomo affibbia il manto.
€ Rafel mai amech izabi almi >
53. PBMTB: Al. PBNTÌ, PKIITÌO, PENTE.
Cfr. Z. F., 191. « PoBnitnIt Deom qaod
hominem fecisset in terra»; Gene». VI, 6.
La Natura oontinna a prodarre elefanti
e balene ; deve qni dunque atare il pre-
sente.
54. DIBCBBTA : mostrando essa di saper
dùcernere che elefonti e balene, benchò
di corpo e foree giganteschi, non rie-
scono nocivi come quei colossi umani.
55. L'àBGOMENTO: il raziocinio, la ra-
gione. « Sicnt homo, si dt perfectus vir-
tute, est optimus animalium, sic, si sit
separatus a lege et iustitla, est pessimns
omnium, cnm habeat arma rationis »;
ArxBtoU, PolU. I, 9.
56. Bi oiuifGB: si oonginnge all'inten-
zione di fere il male ed alla forza di at-
tuarlo. AI. b' AGGIUNGE. Cfr. Inf, XXIII,
16. Purg. V, 112 e seg.
58. BUA: di Nombrotto.
59. pina: di bronzo, ai tempi di Dante
sotto il portico del Vaticano, adesso nella
sala del nioehione di Bramante nel giar-
dino ohe sta in mezzo a' musei, e che da
quella ha nome di giardin deUa pigna.
Ora essa è alta dieci palmi (— braccia SV») ;
ma sembra che ai tempi di Dante fosse
più alta. Il Manelti e Gal. Galilei la di-
cono alta braccia 5 */«. Land. 5 •/». "^«0. 6
« prima ohe ne la sua cima fosse rotta. »
Cfr. Vemon, Inf., voi. Ili, p. 217 e seg.
ed ivi la tav. 97. BaBi. 13 e seg.
60. A BUA: in proporzione alla fiiocia.
L'altezza di Xembrotto è secondo il Man.
n Gai. braccia 4ii l^and. 43 « o più »; VfU.
54 ; FiUa. 54 piedi di Parigi. Altri 20 me-
tri, ecc. Queste cifre mostrano T incer-
tezza del oaloolo.
61. BIPA: sponda del pozzo. - PBB1ZO-
MA : greoo iceptl^oaiMi — grembiale. Dante
prese la voce dalla Gen. Ili, 7 (feeerunt
tibip&riiomata), dove essa indica i grem-
biali di foglie che si fecero Adamo ed Bva.
Vuol dire, che la ripa nascondeva a* suoi
occhi il gigante dal mezzo, cioè dalla cin-
tola, in giù. Cfi*. Ifkf. X, 83.
64. Feibon : « tre uomini di Frisia (che
in quel paese hae grandi uomini) 1* uno
posto sopra l'altro, non avrieno ag^nnto
alla chioma »; An. Fior.
65. OBAN : trenta palmi vantoggiati.
«Dicendo Dante trenta gran paìmi...,
conviene prendere il palmo architetto-
nico; e ponendo che dalla clavicola, do-
v'uom t'affibbia il manto, al vertice del
capo corra uno spazio che sia droa V« del-
l'umana statura, si trova che Nembrotto
sarebbe di braccia 6orent. 45*/ io alto, os-
sia di m. 26 e mm. 806 » (f ) ; Antonelli.
67. Rafel : dai vv. 81 e 101 risulta che
questi accenti non sono inteUigibiU a
▼erun uomo; onde 1 tentativi di inter-
petrarli col sussidio di lingue semitiche
sono più vani della stessa vanità. Cfr.
Chm. Lip9. I*, 515 e seg. DI una di queste
sedicenti spiegazioni il Betti dice ohe « è
veramente da ridere », il ohe vale di tutte.
€ Mentre il Poeta dice, ohe tal Ungnaggic
a nuUo è noto, ò leggiadra cosa udir com-
mentatori che diMuo: è noto a me, -è
l^ggiadrisaima cosa udirli spiegare - 0
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[mSCBSA AL OEBC. 9] InF. XXXI. 68-
[NEMBBOTTO] 307
70
73
79
Q
Cominciò a gridar la fiera boooa,
Cui non si convenian più dolci salmi.
E il daca mio vèr luì : < Anima sciocca,
Tienti col corno, e con qael ti disfoga,
Qoand'ira o altra passion ti tocca!
Cercati al collo, e troverai la soga
Che il tien legato, o anima confasa,
E yedi lai che il gran petto ti doga. »
Poi disse a me: < Egli stesso s'accnsa;
Qaesti è Nembrotto, per lo cui mal ceto
Pnre un linguaggio nel mondo non s'usa.
Lasciamlo stare, e non parliamo a voto ;
Che cosi è a lui ciascun linguaggio,
Come il suo ad altrui, che a nullo è noto. »
Facemmo adunque più lungo viaggio.
Millo è ndù — non era noto a ohi lo prof*
ferlT», ed ft chi rMcolUr*»! TorrieOli,
99. SALMI: pwole, aocenti; qol forte
per treni*, oome Inf, VII, 135. A obi fti
oaoM principale dell* eoofoeione delle
Ungne, t. 77-78, non doonveniva an lin-
puifq;jk» umano, si nn grugnire di gola,
moto dal)* rabMa, non dalla ragione.
70. scnoocA : sfogando in tal m^o l'ira,
ofr. Prw. XU, 16, e parlando un liagnag-
gjk» ebe neaenn nomo intende.
71. TDorn: anoB* il ino oomo, se mei
sfogare la tu* passione.
73. SOQA : fono, oorda. Viro in pareoohi
dialetti settentrionali. Cfr. Biez, W9rt.
1*. 386:
74. oovFmà: « allude alla conftisione
di Babamiia>;JB^tt<.
76. LUI: il corno. AI. vedi lei, doò la
toga. La soga è al ooUo ; al petto, il cor-
no. Cfr. Moore, Oril., 8M e seg. - ti do-
OA: ti doge, ti segna d'nna striscia;* qnia
tenebat oomn per trans versnm pectoris» ;
Bm9. Dogare, propr. porre o rimettere
le dog be. Al. Ti toga, « ed è pessima
Tarlante, e pnò solo difmderla ohi non
sa nnll* delle «ntiohità della lingua. È
cosi certo die gli antichi arcTano U verbo
dogare, per llstace, ohe ne fa fiitto anche
addogato, per listato »; Betti. - Di dogare
ad dgnlileato di Cingere, Fasciare, an-
che la nuora Or. non arreca che questo
adoo esempio di Dante.
76. s'accusa: mostrando coir hilntelU-
gibile suo linguaggio ohi egli da e quale
sia 1* so* oolpft.
77. COTO : pondero di edifloare la torre
di Babele. Sulla Tooe eoto, usata anche
Par. Ili, 26, ofr. Diez. Wdrt. 1». p. 182 e
seg. Nannueci, Oeeervas. sopra laparola
eoto, ecc. Flr., 1889. Eiued., Verbi, 119,
nt. 8. Pare che agli antichi la Tooe Ibsse
fkmigliare, poiché 1 più (Bambgl.,An.8el.,
lae. QaiU., OU., Petr. Dant, Oats., Paleo
Boee., eoo.) non d curano di dare Torana
interpretadone. Il Lan. parafrasando:
« Per lo cui consiglio. » -Benv.i « Propter
cuius malum oogitamen. » Il Buti leggo
MAL VOTO e spiega « mal dedderio. » -
An. Fior.: « Coro idest cogito, dò ò per
lo cui mal pensiero nacquono i linguaggi
nel mondo: et è pariare sincopato che
trae la lettera et la sillaba dd messo il
nome; che, dove doverrebbe dire eogito,
et elli dice eoto. » - Serrav.: e Halnm co-
tum, ideai oogitamen et mdas operatio-
nes. » Barg. legge voto e spiega come
il BtUi. Così pure Land., ecc.
78. UN: come prima dell' ediflcadone
della torre, cfr. Gen. XI, 1.
79. LASCIAMLO : Al. LASCULO ; cfr. Irsf.
m, 51. - A VOTO : inutilmente, non in-
tendendo egli l'altrui parlare; cfr. I^f,
Vili, 19.
80. ft A LUI: non lo intende. Ma perchè
Virgilio parlò a lui, v. 70 e seg., se sa-
peva di non essere inteso t
81. A NULLO : a nessun uomo.... tranne
ad alcuni dotti del secolo XIX.
V. 82-111. ViaUe, Continuano il loro
viaggio, volgendod oome di solito a sini-
stra. A un &t di balestra trovano un al-
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808 [DISCESA AL CBRC. »] INF. XXXI. 88-98
[FIALTEj
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91
07
Vòlti a sinistra; ed al trar d'un balestro
Trovammo T altro assai più fiero e maggio.
A cinger lai qual che fosse il maestro,
Non so io dir; ma ei tenea saccinto
Dinanzi l'altro e dietro il braccio destro
D'ana catena, ohe il teneva avvinto
Dal collo in giù, si che in sa lo scoperto
Si ravvolgeva infino al giro quinto.
« Questo superbo voli' essere sporto
Di sua potenza centra il sommo Giove; >
Disse il mio duca; « ond'egli ha cotal morto.
Fialte ha nome ; e fece la gran prove
Quando i giganti fèr paura a' Dei:
Le braccia eh' ei menò, giammai non move. »
Ed io a lai: « S'esser puote, io vorrei
Che dello smisurato Briarèo
tro gliTMite, pih fiero • pth grande di
Kembrotto, legato con nna catena, fi
Fialte, o Efialte ('E^tdXn^q), figlio di
Nettuno e di Ifiinedia, giurante di ami-
anrata grandexKa, nno dei pfh forti ed
arditi nella pagna contro Giove; cflr.
Jlom., n. V, 385 e aeg. Odyn. XI, 804
e 8©g. Apoìlod. I, 6, 6; I, 7, 4 e «eg.
XHod. 8imd. IV, 87. Pau»an. IX, 29.
Apollon. lihod. I, 484. Hygin., Fab. 28.
Horat, Od. Ili, iv, 40 e aeg. Dante ester-
na il sno desiderio di veder pnre Brlareo;
ma Virgilio gli dice obe è troppo lontano
e che vedrà invece Anteo. In questo men-
tre Fialte ai soaote di rabbia.
83. VÒLTI: sin qnl avevano percorso
r argine in senso trasversale.
84. MAOGio: maggiore; Anticamente
voce deirnso; cfr. Tav. Hit. ed. Poli-
dòri I, 180. 241. ecc. Tnf. VI, 48. Par.
XXVI. 29; XXVIII. 77; XXXIII, 55.
85. QUAL: cfr. Ir^. XV, 12. « Chi fosse
il maestro a cingerlo, dice di non sapere,
per esser leggier cosa intendere del som-
ma e giusto giudice »; YeU. - « Hoc non
est aliud dioere, nisi qnod f alt Deus inoo-
gnoecibilis, inoomprebensibilis artifex »;
Bervo. - « Tu Dens dednces eos in puteum
Interitns »; P$al. LIV, 24. c-Ad alligan-
dos reges eomm in compedibus, et no-
biles eomm In manids ferreis »; Ubid.
CXLIX, 8.
86. SUCCINTO : legato il braccio sinistro
sul petto e U destro a tergo. «Questo fin*
gè r autore, per dare ad intendere ohe
l'opere spirituali, diritte e buone ebbe
di rietro, cioè le pospose; e lesinlatre,
cioè le ree corporali, ebbed'innansi, ohe
le elesse e seguitone » (?) ; BvH. Secondo
altri, il modo con cui è legato aooenna
all'abuso ohe face della fona.
89. BCOPKBTO : su quella parte del suo
corpo non coperta dalla ripa, doò dal-
l' umbilico in su, si vedevano cinque giri
di catena.
91. BB8SRR BPRBTO; Sperimentare, fax
prova della sua fona contro Giove.
92. SOMifO: cfr. Purg, VI, 118. Qui
Giove per la Divinità in generale.
93. MKBTO : merito, mercede ; dJ essere
legato e del tutto impotente.
94. PROYS: di sovrapporre monte a
monte per assalire Giove.
95. QUANDO: nella pugna di Flegra;
cfr. If\f. XIV, 68. - FÈR paura: « Ma-
gnum Illa terrorem intnlerat lovi Udens
iuventus horrida brachiis, Fratreaqne
tendentes opaco Pely on impocnisse Olym-
pò »: Horat., Od. IH, IT, 49 e seg.
97. s'bsbrb puotb: se ò possibile.
98. BRiARfto: uno dei tre "Exccrór*
xetpe<;, figlio di Urano e della Terra,
gigante con cento mani, obe opponevano
a Giove cinquanta spade ed altrettanti
scudi, e con cinquanta teste, da dascnna
bocca delle quali gittava fiamme. Prese
parte alla guerra dei Titani contro gli
Dei, e fu trafitto da Giove. Cfr. Hesiod.,
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[IHBC^À AL CBBC. 9] INF. XXXI. 99-112
[PIALTK] 309
Esperienza avesser gli occhi miei. »
Mo Ond'ei rispose: « Tu vedrai Anteo
Presso di qui, che parla ed è disciolto,
Che ne porrà nel fondo d' ogni reo.
I 103 Quel che tu vuoi veder, più là è molto,
I Ed è legato e fatto come questo.
Salvo che più feroce par nel volto. >
loe Non fu tremoto già tanto rubesto,
Che scotesse una torre cosi forte,
Come Fialte a scotersi fu presto.
109 Allor temetti più che mai la morte,
E non v' era mestier più che la dotta,
S'io non avessi viste le ritorte*
U3 Noi procedemmo più avanti allotta.
Theog., 147 e aeg. Virg,, Am. X, 665 e
atg., lo ftyea deseritto : « Aegaon qnaUs,
eentam coi braodiia dionnt CentenaBqae
BM»u»q«iiiqiiagi]itAoribiisigiiem Poeto-
riboaqae arwMe, lovis oom falmina con-
tn Tot pKribiu streperei olipeis, tot
•kiiiigeret enaes. >£ Stai., Theb. H, 605 e
mg,z « Ufota aliter Getio», ai fi» 6«t ere-
d«re, Phlegi», Annatom immeiiaiia Brift-
leoa atettt »tliera oontra. »
00. X8PKBIXHZ1.: Torrel vederlo eoi
Bùel ocohl.
100. n: Virgilio. - Amtèo : *AYTaio<;,
gigante ftlto aeaaanta braccia (Philoutr.,
le, II, 23), figlio di Nettuno e dell» Ter-
I la dimUcd. II, 6, 11. Hygin., Fab., 81).
/SB\ natriTft di carne di leone e dormiva
'xfnÙM nad* terra, dalU qnale, come dA
^ Mia madre, riceveva sempre nnovo forxe
> {AfoUod,, %bid,). Cfr. Yirg., Aen. I. 181
' e 610; XII, 443.
101. pabla: an linguaggio intelligibi-
le, a diffarenza di Nembrotto, il coi rag-
gito non è un llngoaggio ornano. - ft oi-
. moLTO: a diftbrensa di Fialte legato.
J Hato più tardi, Anteo non prese parte
inaila lotta dei giganti oontro gli Dei;
cfr. T. 118 e seg.
' ^ 102. POHDO i>'ooHi UBO : « doè del laogo
\i d'ogni reo; il fondo basaiaaimodi quel ba-
^^ retro che il mal dell' oniTorso tatto in-
\ Vaaoea»; So$9.
.N^ 103. QI7BL: Brlarèo.
^ r^\ 104. VATTO : della stessa statara e (br-
enna, come Fialte; non ba dunque nò le
canto braccia, né le cinquanta teste attri-
bttitegU dal poeti e dallo atesao Virgilio
ntU' SnHdé, VI, 287, nel qual luogo è
detto cefUMimgeminus BriareuM,
105. FBKOCB: forse perchè costringeva
gli stranieri che capitavano nel suo regno
a lottare con lui, e poi li trucidava ; otr.
Diod. IV, 47. Lucan., Fhart. IV, 606. -
PAB: appare, si mostra.
106. GIÀ: mai.-KUBiSTO: quasi robu-
sto—veemente, impetuoso ; Purg. V, 126.
Non vi fu mai terremoto ohe scotesse
con tanta violenza la pih forte torre, con
quanta Fialte si scosse all'udire le parole
di Dante e di Virgilio. La sua rabbia ò
mossa dali* aver udito che Briaròo ò più
feroce; Fialte vorrebbe avere il vanto
della ferocia sovra tutti l giganti.
HO. KON v'bba: la sola paura mi
avrebl>e ucciso, se non avessi veduto le
catene colle quali era strettamente lega-
to.-dotta: paura. Invece Cavtrni:
« momento, occasione del tempo. È voce
viva fra' nostri contadini, uno de' quali ti
dirà, richiesto per es. d' alcun servigio :
La mi comandi pure: a tutte le dotte ton
pronto » (7). Meglio JSenv.: « Dotta Idest
timor; nam dottare est tlmere. »
V. 112-145. Anteo, Vanno avanU ed ar-
rivano 14 dove è Antòo (cfr. v. 100 ni.),
ohe ebbe la sua spelonca nella valle di
Bagrada presso Zama(cfr.Xuean., Phare.
IV, 600 e seg.) e che fta poi ucciso da Er-
cole. A preghiera di Virgilio, Anteo pi-
glia i due Poeti colle sue mani, si china
e li posa gih nel posso; quindi si lera
come albero in nave.
112. ALLOTTA : allora ; cfir. if^. V, 68.
Diez, Wìirt, II», 60.
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810 [DISCESA AL CEBO. 9] InF. XXXI. 113-125
[AOTÈO]
115
118
121
124
E venimmo ad Anteo, che ben cinqu'alle,
Senza la testa, nscia fuor della grotta.
4c 0 tn che nella fortunata valle,
Che fece Scipion di gloria reda,
Quando Annibal co' suoi diede le spalle,
Secasti già mille leon per preda,
E che, se fossi stato all'alta guerra
De* tuoi fratelli, ancor par eh' e' si creda
Che avrebber vinto i figli della terra;
Mettine giù, e non ten venga schifo,
Dove Cocito la freddura serra.
Non ci far ire a Tizio né a Tifo :
Questi può dar di quel ohe qui si brama;
118. ALLB: «oOaèaiiamisnrftinFUii-
dr», come noi didamo qai emnna, eh* ò
intorno di bntooi» 2>/> >; An. Fior. Coflì
pure Benv., eco. « AUa ò nome di mi-
sara inglese, di dae braccia alla fioren-
tina»; Land, e con lai Tom., Filai,, eco.
«È impossibile determinare qual dimen-
sione Dante dia a qaesta misnra » ; Bl.
114. bbkza: Bensa contar la misoradel
capo. -QBOTTA : roccia formante l'argine
tra r ottavo ed il nono cerchio ; cfìr. I^f.
XXI, 110.
115. FOBTUNATA : « nn latino doyeya
certamente chiamare /ortunoto la valle,
dove Scipione vinse il maggior nemico
del popolo romano, e salvò Roma e l'Ita-
lia dalle devastazioni nemiche > ; Betti. -
YALLB: di Bagrada, presso Zaroa, dove
Scipione riportò la vittoria sopra Anni-
bale. Colà dimorava Anteo ; cfr. Luean.,
Phar$. IV, 500 e seg., 656 e seg.
116. REDA: erede ; Al. kreda ; cfr. Ifan-
nue., Teor. dei nomi, 22, 217. Per la vit-
toria di Zama Scipione ebbe il titolo di
Africano.
118. MiLLB: ofr. Luean., Phart. TV,
601 e seg.
110. GUERRA: dei giganti contro Gio-
ve ; « Ooslo pepercit Qaod non Phlegneis
Anteenm snstolit arvis.... latnisse snb
alta Bape fernnt, epnias raptos habnisse
leones »; Luean., Phart. FV, 696 e seg.
120. FRATBLU: tatti i giganti essendo
figli della Urrà, -par : è ancora opinione
di alonno; cfr. In/. Xll, 42; XVII, 108.
Con queste lodi Yirgilio vuol conciliarsi
la benevolensa del gigante ed indarlo ad
esaudire la preghiera di calare! due Poe-
ti nel fondo di Codto.
182. iroN TEN TENGA : non avere a ade-
gno di renderci questo servigio, « Uoet
tu videaris tam magnos, et iste tam par-
TUS >; J5^«. Al. GIÙ E NON TI YSQHA; ofr.
Z, F., 108.
123. CociTO: quarto caso ; calaci al fon-
do del posso, dove il freddo congela le ac-
que del Cocito ; cfr. If^. XXXII, 22 e seg.
124. NON CI FAR : sii tn colui che d met-
te giù, e non volere ohe andiamo a richie-
dere di questo servigio alcuno degli altri
giganti che stanno intomo al poaco; sii tu
in pari tempo colui che si merita quella
&ma su nel mondo che tn ed i tuoi pari
bramate e che questi può dare. -Tizio:
gigante folgorato da Apollo per aver ten-
tato Latonia; cfr. Virg., Aen. VI, 606 e
seg. Ovid., Met. IV, 457 e seg. Luean.,
Phart. IV, 566 e seg. - Tifo : Tifeo <ofr.
Par. Vili, 70), gigante fulminato da
Giove e sepolto nell' Etna ; cfr. Ovid.,
Met. V, 346 e seg. Lucano {loe. eU.) no-
mina Tifeo insieme con Tisio, aggìan-
gendo che Anteo era più forte di loro.
Onde Virgilio ricorda questi due per
lusingare l'orgoglio di Anteo.
125. QUBL: fisma su nel mondo. < È in-
dole del superbo il cercar fkma, e Vir-
gilio prende Anteo pel suo deb^e, per-
chè gli sia compiacente. S si badi che neA.
dire, quetti può dar di quel ehs qui si
brama, intende di tutti coloro ohe aon
colà, poiohò tutti superbi, e tutti perciò
avidi di rinomanza: Spiritut tuperbùe,
amor proprice lauditi Ugo da S. Vitt-. » ;
Eott. - QUI: nell'Inferno ; cfr. /nA VI, 80 ;
XIII, 76 e seg.; XV. 110 e seg.; XVI, 8S
e seg.; XXVIU, 106, eoo. È qaesta 1* idti-
ma volta ohe tale lasinga produce 11 nh
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tDiBCESA AL cxRa 9] Int. xixi. 126-142
[ANTEO] 811
127
IM
133
136
139
142
Però ti china, e non torcer lo grifo.
Ancor ti pnò nel mondo render fama;
Ch'ei vive, e longa vita ancor aspetta,
Se innanzi tempo grazia a sé noi chiama. »
Cofid disse il maestro; e quegli in fretta
Le man distese, e prese il duca mio,
Ond' Ercole senti già grande stretta.
Virgilio, quando prender si sentlo,
Disse a me: < Fatti in qua, si ch'io ti prenda »;
Poi fece si, che un fascio er'egli ed io.
Qual pare a riguardar la Carisenda
Sotto il chinato, quando un nuvol vada
Sovr'essa si, che ella incontro penda;
Tal parve Anteo a me, che stava a bada
Di vederlo chinare, e fu tal ora,
Ch'io avrei volut'ir per altra strada:
Ma lievemente al fondo, che divora
loto eflbtto; i traditori non bramano ik-
BiA, 0l r oblio; efr. If^, XXXn, 94.
129. HON TOBCUi: per soperbo diado-
SBO.-GSifO: muso. Pare ohe il gigante
toroesae Teramente il maso all' adir Vlr*
giUo, oiò che indoase questo a rinfiMciar-
gli La eoa bectiale saperbia ed a ripetere
più a Inago ohe Dante, tìto, gli dMebbe
Ikma aa nel mondo.
138. UJHOA : altri 85 anni ; efr. Ifìf, 1, 1.
Ovwt. rV. 23 34.
189. niK Airzi : prima del termine natu-
rale delli^ vita umana; ofr. Oonv. IV, 28.
- GRAZIA : diTina; cfr. Oviw. IV, 28.
132. ohd'Bbcoli: dalle quali mani Er-
eole si senta fortemente afferrare quando
lottò eon Antòo. « Consemere manus et
multo braehia nexu. Colla dia graribus
fruste tentata laoertis, Immotumqne ca-
put flza oom fronte tenentur ; Mirantnr-
qne habuisBe parem »; lAUMa,^ Phart,
IV. 617 e seg. Al. ohd' bi d' Bbool sen-
tì. Cfr. Z. F., 133-95. Com. Lip: P. 666.
Fai^., Stttd. td Om., 73 e seg. Bktne,
Ytrtuék I, 374 e seg.
185. FBCB: mi abbracciò s), che era-
Tamo come legati insieme in un solo Ur
sdD. « Qoaai dicat: astrinzit me sibi>;
136. Cabictuda t una delle due ftonose
torri di Bologna, edifloata nel 1110 da Fi-
lippo e Odo dei OarisendL Al presente
ha un' àlteisa di metri 47,51, e verso le-
vante uno strapiombo di m. 2,87, deri-
vato da un abbassamento del terreno. At
tempi di Dante era assai più alta, essen-
do stata moscata verso il 1855 per ordine
del tiranno Giovanni Visconti da Oleg-
gio, onde fa poi detta Torrénxozta, Quello
che ne rimane al presente ha tuttavia
la pendenxa che s* ò detto. Cfr. Temon,
In/, voi. III, pag. 219 ed ivi Uv. 08.
« Quando le nuvole vanno all' opposita
parte del piegare delia torre, a ohi vi
guarda par oh' ella si chini • ; Lan. -« Sl-
cutOarisenda curvata videtur cadere su-
per respicientem, et tamen non cadit, ita
Antheus velut alta tnrris cnrvatus vlde-
batur nunc cadere super Dantem respi-
cientem eum, et tamen non cadebat » ;
Bsnv.
137. SOTTO : dalla parte ov' essa pende.
189. STAVA A BADA! guardava attenta-
mente; cfr. Nannue,, Verbi, 295.
140. s FU: e fh un momento cosi spa-
ventevole per me, che per la paura avrei
voluto essere per qualsiasi altro cam-
mino.
141. ch'io avbki volut'ib: Al. che
AVRKI VOLUTO AlfDAB; Ofr. Z. F., 195.
142. UBVxmifTB: sensa stringerò! co-
me strinse Broole, v. 182. - divoba : con-
tiene nelle sue buche, ingoia, chiude in
sé i traditori e Lucifero.
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312 [CERO. 9. Q, 1] iNF. IZXI. 143-145 - XXXII. 1-2
[esordio]
Lucifero con Qinda, ci sposò ;
binato, 11 fece dimora,
bero in nave si levò.
«e, dal Torbo arboris navis » ; Benv. Confr. L, Veni.,
on confondersi Simil., 368.
wed^tpondeo. 145. comb albebo: € Questa simiUtu-
dine dell'albero non possiamo intendere
e a lungo cosi di nave grossa di mare ; ma di galee, ed
rialfiaxai «con altre magre fiiste, e ben ancora di navi
ohe si ilzxa al- d'acqua dolce, che sogliono levare, e ca-
Bt est oompa- lare l'albero secondo die mestier lor & » ;
Anthens erat Barg. - < Pittura vivissima a ohi si è tre-
bilis in modnm vato sopra naviglio in ^rrasca > ; RotM.
TRENTESIMOSECONDO
FRODE IN OHI SI FIDA, 0 TEADITOKI
oaina: traditoei dei OONGIUNTI
[hiaooia fino al capo, con la fsccla volta in gih)
: MANGONA, OAMIOiON DE* PAZZI
lntenoba: traditori della patria
(Medesima pena)
)£GLI ABATI, BU080 DA DUEBÀ
IL CONTE UGOLINO
le rime aspre e chiocce,
converrebbe al tristo bnco,
endo trattare 1. abpbb : cqnsnto al snono del dettato
lale, che è la che a tanta materia non conviene eaeer
ole di tutte, e lene » ; Oonv. IV, 2. - CHIOOCB : ranche ;
a non basti a ofr. If^. Vn, 2. Diex, WbH. I», 12i.
Purg. XXIX, 2. buco : nono cerchio, detto bvco e
e, e prorompe per rispetto sgli altri cerchi e per ri-
irò i traditori spetto al fondo dove è Lucifero ; cfir. Xt^.
^. XXXIV, 131. Par. XXIX, 56 e seg.
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[cime. 9. eiBo 1]
iNF. xiin. »-16
[esordio] 313
10
13
16
Sovra il qoal pontan tutte V altre rocce.
Io premerei di mio concetto il suco
Più pienamente; ma perch'io non Tabbo,
Non senza tema a dicer mi conduco;
Che non è impresa da pigliare a gabbo
Descriver fondo a tutto runiverso.
Né da lingua che chiami mamma e babbo:
Ma quelle donne aiutino il mio verso.
Che aiutare Anfione a chiuder Tebe,
Si che dal fatto il dir non sia diverso.
O sovra tutte mal creata plebe.
Che stai nel loco onde parlare è duro,
Me' foste state qui pecore o zebe !
Come noi fummo giù nel pozzo scuro
t. vowtÀM: s'appoggiano oome sol loro
ponto o eentio oomane, tatti gli altri
tetiéhi InAnali. « Quia ad oentrom tor-
ne tantent omnia poodora graTitatam »;
4. FBSfiRn : eaprìmerei pih oompinta-
menta. Prtmen qui ^spremere; quindi
eaptluioio con parole. Cfr. Par, IV, 112.
-IL SUGO: la MMtansa.
5b AMBO-, iK»; dal lat. hàbéo; efr. Fan-
iMHu, Ytrki, 4M e aeg.; non ho lo rime
aapie e ebiooee oome Torrei arerò.
7. ▲ GABBO : a ginooo, in iaohemo.
8. FcnrDO: fl fimdo; omesso l'artioolo,
oome osarono alle Tolto gli antiehi ; ofr.
Stnuuti., Voci, 63 e seg. Kon è fkoile im-
presa fl deeeriTere U Ibndo o oentro del-
r «nirerso ; cfr. Con9. Ili, 5.
9. LOiouA : dell* oso oomone, doò vol-
gare, nella qoale ò dettato il poema; dir.
Vo^. .R. u, 7. 4>. JCani, 10. Al.: lingoa
4a bimbo. Sra Toraniento necessario di
Urti, ohe la lingoa del bimbo è insoffi-
dento n descrivere U centro dell' oni-
vene! AL: lAngoa ancor bambina, oome
ai teaDpt di Dnto era la volgare. Per
Dsmto fl volgare italiano non era ona
Hngoa ancor bambina. Il BetU-, « doè la
Bngon nmana. » Kon intraprende Danto
41 dcferiwr fondo a tutto Vvmibterto per
l'appanto in Ungoa omanaf
10. DOHXB : le Mose, già invocato Jf^.
11.7.
11. Annoxv: figlio di Giove e di An-
tiope. Soonava maestrevcdmento la oe-
toa; e, volendo cingere di mora la dtta
di Tabe, né avendo a dò altro measo,
sonò la soa cetra e le pietre vennero
giù dal numto Citerone, d accostarono
al hiogo loro aseegnato, d sovrapposero
aoeondamento da sé Tona all'altra e
ibrmarono U moro; cfr. Hom., Odffs, XI,
280 e seg. ApoOon. Bhod, I, 740 e seg.;
IV, 1000. Horat,, Art Poet., 80i e seg.
Proper, HI, 2, 2.
12. sì CHB: ood ohe le mie parole dono
adegoato al soggetto ; cfr. If\f. IV, 147.
18. MAL : « o popolo proditorom male
et infelidter nato oltra omnes damn»-
Um^iBonv.
14. DURO : diffldle. La condizione dei
traditori è A tremenda, ohe a descriverla
adegnatamento mancan modi alla lingoa.
15. MB*: meglio per voi; cfr. MaU,
XXVI, 24. - QUI : nd mondo. - zbbb : ca-
pre ; voce tattora Tivento. « Zebe sono li
capretti saltanti ; et sono detti ube, per-
chè vanno EebèUando, doè saltando »;
Lan,
V. 16-30. ikiina, la r^gion^ 4M tra^
dUoridt^eongiuiiUL U nono ed oltimo
cerchio è on gran lago gelato, che pende
verso U centro, ed è spartito in qoattro
giri concentrici, in ognono dd qoali ò
ponita ona desse spaiale di traditori.
I qoattro giri non sono distinti che per
la maggiore o minore gravita ddla pena.
Nel primo, ohe ha il nome da Caino, 11
primo fratridda, sono i traditori de' pa-
renti, fitti nd ghiaccio fino all'angoinaia,
lividi, battondo i denti, la CMsda rigata
di lagrime. Il ghiaodo, in coi i traditori
sono confitti, è la vera immagine della
doressa e freddeisa de' loro onori. Nella
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814 [CBBC. fi. oiBO 1] Inf. XXIII. 17-81
[caimta]
Sotto i piò del gigante, assai più bassi.
Ed io mirava ancora all'alto muro,
10 Dicere adimmi: < Onarda come passi !
Fa' si, che tu non calchi con le piante
Le teste de' fratei miseri lassi I >
22 Per ch'io mi volsi, e vidimi davante
E sotto i piedi un lago, che per gelo
Avea di vetro e non d'acqua sembiante.
25 Non fece al corso suo si grosso velo
Di verno la Danoia in Ostericch,
Nò Tanai là sotto il freddo cielo,
28 Com'era quivi; che, se Tambemicch
Vi fosse su caduto, o Fietrapana,
Non avria pur dall'orlo fatto cricch.
81 £ come a gracidar si sta la rana
fórma aggfaUodftta ooafliuuio ooi mine-
rali per la loro infima degradaiione.
17. PIÙ BA88I : avendoli Antòo deposU
a una certa distansa dalla parete del
posso, il cai fondo pende, e va digra-
dando e rettringendoei come nn imbato,
finchò Tiene ad appantarsi nel centro,
dove è fitto Lncifero.
18. HIBAVA : ete. Jnf. I, 20. Al. OUAB-
DAVA; oAr. Z. F,, 196. - MUBO: dal quale
il gigante gli avea calati.
19. UDIHMI : Al. UDIMMO. - COME PABSI :
invece di mirare all'alto muro.
20. va' bI : Al. va' sì. Si è qneir om-
bra accorta ohe Dante ò ancor vivo! O
teme di eseere calpestata da nn'ombrat
Anche dò sarebbe possibile. cBtiam mi-
seria animsD derivabltnr ad oorpora dam-
natomm.... Emnt igitor oorpora damna-
tomm integra in sai natura, non tunen
illasconditioneshabebnnt, qa» pertinent
ad glorìam beatomm: non enim emnt
snbtilia et impassibilia, sed magis in sna
grossitle et passibilitate remMiebant, et
angebantar in eis; non emnt agilla, sed
vfx ab anima portabilia; non emnt darà
sed obscnra, ut obscoritas anim» in cor-
poribns demonstretnr *',TKom.Aq.,09mg^
theol, P. I, 0. 17«.
21. FBATBI ; di nd dae che ftimmo fra-
telli nel mondo. Al.: Dei dannati di questo
posso in generale. Come se questi tradi-
tori eseroitassoro laggiù la carità frater-
na I Quest'ombra non teme che per sé.
28. LAGO: Il Codto, sull'origine del
quale ofr. In/. XIV, loa e seg. Sol.
LXXXVn, 6, 7. Prov, 1, 12. limia XIV,
15. Oérem, VT, 7.
24. AVXA: pareva vetro, non acqua;
cfr. Oanz. « Io son venuto », v. 69-61.
25. VBLO : crosta di ghlaodo ohe vHa le
acque che scorrono sotto. « Concreaoimt
subit» currentl in fiumine orastee »; Yirff.
ewrg. m, 860.
26. Damoia : Danubio. - Ostebioch :
Austria. Al. Austbrrich. Anche Gio-
vanni Villani scrive costantemente OmU-
Hccht cfr. VII, 27, 29. 42. eoo.
27. Tanai: Tanas lat. Tanait, oggi
Don, .fiume della Bussia.
28. Tambbbnicch : Al. Tabbbhiooh. %
incerto di qual monto Danto volesse fiar-
lare. Gli antichi intendono di nn monto
della Schiavonia; co^ Bwmbgl., Lan,,
Peir. Dant., Beno., Land., ecc.; BuH di
un monto altissimo nell'Armenia; VeU.
di un monto in Dahnasia; Al. del Ta-
bemicch nella Camicia, ecc. Probabil-
mento Danto intonde dello lavomik (—
Monto degli àceri) presso Addsberig nella
Carniola; ofr. Ba$$., 464 e seg.
29. PiBTRAPAMA ! Petra Apuana, grap-
po di montagne tra il Serchio a la Ma-
gra; oggi la Psnia.
80. PUR : non avrebbe fkfeto alcun se-
gno di screpolature, nemmeno all'orlo
esteriore dove era meno grosso. - CBlocn :
suono naturale di ghiaodo o vetro nd
rompersi. « Far erieehé d dioe anche nd-
r uso comune per dgnlflcare suono di cosa
dura che d rompa, ed anche 1* atto dd
romperd essa; ed è ddl'nso»; Jb^.
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[CBSC. 0. OIBO 1]
lN7. xixn. 82-47 [oohti di màhgonà] 815
Col muso fuor dell'acqua, quando sogna
Di spigolar sovente la villana ;
u Livide insin là dove appar vergogna,
Eran l' ombre dolenti nella ghiaccia,
Mettendo i denti in nota di cicogna.
37 Ognona in giù tenea vòlta la faccia :
Da bocca il freddo, e dagli occhi il cor tristo
Tra lor testimonianza si procaccia.
40 Qoand'io ebbi d'intorno alquanto visto,
Volsimi a' piedi, e vidi due si stretti.
Che il pel del capo avieno insieme misto.
43 € Ditemi, voi che si stringete i petti, »
Diss'io, « chi siete? » E quei piegare i colli;
E poi di'ebber li visi a me eretti,
46 Oli occhi lor, eh' eran pria pur dentro molli.
Gocciar su per le labbra, e il gelo strinse
82. quAHDO: 11611* astate. « layat mìo
■ab ondis, Kt modo tota cava sobmeège*
Te membra palude, Kanc profene eapnt,
sommo modo gargite nare, S»pe saper
ripam stagni eoosistare.... Vox qaoqae
iam raoca eet »; Ovid., i£«(. VI, 370 e seg.
34. LIVIDI : le ombre livide e dolenti
erano Atte nella gfaiaceia sino al viso,
dorè si mostra la rergogna eoi rossore.
Onesta Interpretasione ò resa indisontl-
bile dalla precedente similitadine delle
rane. I«e altre interpretasioni sono inat-
tendibili ; cfr. Oom, Lip$. V, 501 e seg.
88. MsmoiDO; battendo i denti per il
freddo e CMendoli sonare al modo che
crepita n roetro della cicogna. « Ibi erit
fletos et strider dentinm »; MaU. XIU,
42. - « Ipaa sibi plandat crepitante doo-
nla rostro »; Owid., Jfirt. VI, 97.
87. n Qit: non Tolendo esser vedati
e riooaoadati ; cfr. v. 04.
38. DA BOCCA: col batter de' denti la
bocca rende testimoniansa del gran fred-
do che soflh>no qoei miseri ; coUe lagrime
gli oodd loro rendono testimoniania del-
rintemo dolore.
V. 40-00. leanUM MangatM e Co-
mMoH 4e^ PmmrL Ai saoi piedi Dante
▼ede due ombre eoe) strettamente anite,
che le loco chiome sono insieme conftise.
Domanda chi sono. I dae lo guardano,
poi abbassano di nnovo il viso, e, invece
di rispendere, cosaano instane. Un terso,
tradttora anche laggiù, li nomina ingia-
riandoli, e nomina tre altri soci vicini, e
Analmente sé stesso, aggiungendo che
aspetta laggiù Carlino de'Paui, più nero
traditore di hd.
41. VOLSIMI : per vedere chi flMse que-
gli ohe mi aveva indirissata la parola,
▼. 19 e seg. - BTBRTTi : « non credas hoc
ex aflÌBctione vel dileetione. . . . ssd ex ama-
rltodioe et acerbiute odii, quia sic se
invicem strinxerant quando se mutuis
vnlnerìbus Interfecemnt »; Benv,
42. IL PKL: e i Tani peli del capo le-
gano in Inferno, cui nella vita bella non
avvinsero i forti vincoli ohe fb natura.
Come se Domeneddio afferrasse insieme
pel cioffo, e tuflÌMse in Cocito, i fratelli
che si tradirono. » Di 8Una,
48. iTRiMaBTB: crauo nella ghiaccia
sino al capo; ma il ghiaodo era toaspa-
rente come vetro, v. 24. sicché si poteva
vedere anche il petto.
44. fugabo: indietro, per guardare
in su.
48. PUS DKHTBO: pregni di lagrime,
che però non versavano.
47. BU: Al. GIÙ. Cfr. Moor4, Orit,» 865
e seg. - LABBRA : non sembra veramente
necessario di intendere delle palpebre,
labbra degli occhi ijjomb.» Togg,, ecc.).
che le palpebre non si chiamano mai
labbra e 1* equivoco sarebbe qui troppo
forte e tntt' altro che dantesco. JB^nv.:
< emisemnt laerymas, et sic vi apenie*
mnt oouloa ut viderent aactorem. »
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316 [CEBC. 9. oiBO 1] Inp. xxxii. 48-68 [CÀMiciON DE* Pazzi]
49
52
55
58
61
Le lagrime tra essi, e riserrolli.
Con legno legno spranga mai non cinse
Forte cosi ; ond' ei, come due becchi,
Cozzare insieme, tanta ira li vinse 1
Ed un, ch'avea perduto ambo gli orecchi
Per la freddura, pur col viso in giùe.
Disse: « Perchè cotanto in noi ti specchi?
Se vuoi saper chi son cotesti due.
La valle onde Bisenzio si dichina,
Del padre loro Alberto e di lor fue.
D' un corpo uscirò ; e tutta la Caina
Potrai cercare, e non troverai ombra
Degna più d'esser fitta in gelatina;
Non quegli a cui fu rotto il petto e l' ombra
Con esso un colpo per la man d' Artù;
Non Focaccia; non questi che m'ingombra
48. E80I: occhi. Quando al ftirono pie-
gati col capo indietro per mirare il Poeta,
le lagrime scoppiarono fnori, onde gli
occhi si apersero nn istante; ma le la-
grime gelarono subito e rlchinsero loro
gli occhi.
49. CON LBOirO : Al. LEGNO CON LEGNO.
Spranga non tenne mai dae pesai di le-
gno stretti insieme cosi fortemente, co-
me il ghiaccio teneva chinai gli occhi
di quei dne.
61. cozzABO: « Inter se adrersls lactan-
tar comibns badi »; Virg., Qtorg. IT, 526.
- UUL: l'essersi veduti nn momento rin-
novò per avventura le antiche loro ire.
63. PUB: il freddo non gli concedeva
di alsare il vdto.
64. n SPECCHI : ti rimiri come in uno
specchio; e vuol dire: Perchò ci guardi
co^ a lungo e con tanta attentionet
66. BiBBNZio : piccolo fiume di Toscana
che passa vicino a Prato e sbocca nell'Ar-
no sotto Firenze di contro alla Lastra.
67. Albbbto : degli Alberti, conte di
Hangona, fece testamento nel 1260. - di
LOB: di Alessandro e di Alberto, suoi
figlinoli. € Sempre tradì l'uno l'altro ; e
uccise l'uno l'altro a tradimento » ; An.
SeL - < L'uno con l'altro sempremal si
tradirono » ; lae. DatU. - * Questi due
fratelli frirono il conte Napoleone, et il
conte Alessandro de' conti Alberti, l
quali furono di si perverso animo che,
per tórre l'uno aU'altro le fortesae che
avevono in Val di Bisenslo, vennono a
tanta ira et a tanta malvagità d' animo,
ohe l'uno uccise l'altro, et cod insieme
morirono »; An. Fior. Così pure Bambffl.,
Benv, ed altri antichi. Il fatto sembra
avvenuto dopo il 1282. Napoleone era
ghibellino, Alessandro guelfo; si odia-
rono tuttavia pia per interessi privati
che per ragioni politiche. - fub: appar-
tenne, essendo signori dei castelli di Ver-
nio e di Oerbaia in Val di Bisenslo e di
Mangona in Val di Sieve.
68. usciBO : nacquero d'una stessa ma-
dre, la contessa Gnaldrada, che partorì
al conte Alberto parecchi figlinoli, tra I
quali questi due. • Di lor padre, e d'un
eorpo iueiro mostrano che qne' due eran
nati dagli stessi genitori, il che vale ad
aggravare la colpa di quo* Caini òhe ai
scannarono scambievolmente»; Eou,
60. IN GELATINA: < in istsm glaeiem
gelatam » ; Benv.
61 . QUBOU: Mordròc, figlio del re Artù,
volle togliere il regno al padre ed ucci-
derlo a tradimento ; ma Arth gli passò il
petto oon un colpo di lancia da parte a
parte, e Bt dit l'yatoire que appròs Ton-
verture de la lance passa par my la playe
un ray de soleil si óvidemment, que Gir-
flet le veit bien »; Laneelot du lae, o. 21.
-OMBBA: qui nel senso proprio. Cfr.
Blane, Vértueh, I, 280 e seg.
63. Focaccia : de'CaneelUeri di Pistoia
edl parte Bianca, « il quale era prode e
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[CBBC. ». CIBO 1]
Ine. xmi. 64-72 [camicion dk'pazzi] 817
64
67
70
Col capo si, ch'io non veggio oltre più,
E fu nomato Sàssol Mascheroni:
Se Tosco se'y ben sai ornai chi fa.
E perchè non mi metti in più sermoni,
Sappi ch'io fai il Camicion de' Pazzi;
Ed aspetto Carlin che mi scagioni. »
Poscia yid'io mille visi, cagnazzi
Eatti per freddo ; onde mi vien riprezzo,
E verrà sempre, de' gelati gaazzi.
gffflMtòo molto di sua penon», del quale
Ibrte temorano qoeUl deHa parte Nera
per le aae perrersttà, perchè non atten-
dea ad altro, eh' ad nocisioni e ferite » ;
JÉvrot., SeHpi. XI. 870. TTcoiae a tradi-
Bflnto I>etto de* Cancellieri ano cugino,
e dal 1288 al 1295 oonimi«e parecchi al-
tri deHtti; efr. Murat., Script. XI, 871 e
»9g. BrnmbgL, Petr. Dant. ed altri dicono
che noolae il proprio padre ; Lan., OU,,
Aj^FSor. e molti altri lo aooomno dJ aver
■edao a tradimento nn sao aio; Bmv.»
Lomd., TeU., Dan., ecc. lo (knno antere
del taglio della mano di Dorè Cancel-
Herì nel 1288, che fa invece opera d' nn
soo parente; cfT.G.Vm.Ylll, 88. Murai.,
Script. XI, 808 e Mg, Eneid., 811 e seg. -
M'EraoifBKA: mi sta innanzi e m' impe-
disce id. eh* io non posso veder oltre.
65. SiasOL MASCBBRom : de' Toschi
da Firensa, nocise a tradimento 1* nnico
figlio d' on eoo sio per snoeedergli nel-
r eredità; Po9t. Oa—., An. Fior., Bcnv.,
Barg., eco. VAn. ScL: « JUmase tntore
del ano avolo sopra i snoi fhitegll, e fé-
eegii noddereper aversi il loro. » Secondo
r OtL, Sàasol era a tntore del fiocinilo da
lai proditoriamente ncdso. < Infine il
fitto ai scoperse; fu preso costai, et con-
feasato il maleficio, fti messo In una hotte
d'agati, et fa strascinato rotoUmdo la
hotte per la terra, et poi gli Ita mosso il
capo. Fa qnesta novella al palese, che
per tntta Toscana se ne parlò i et però
dice l'Anttore: Se tn se' di Toscana, to
a del sapere»; An. Fior.
ae. BB3C SAI OMAI: AL BEN DEI 8APBB.
• CHI FU : AL CHI B* FU.
67. mm ; metta ; affinchè tn non mi
molesM plh con altre tae domande.
68. CAinciov: Alberto Camidone dei
Passi di Taldamo. Uccise proditoria-
mente Ubertino de' Pasai (Btmbgl.), o
pintiosto degù Ubertini (Del Lungo, Di-
no OowHpoifni II, 29), suo consanguineo
(Bambgl, Lan., Ott., Bsnv.), chi dice
cngfno (An. Fiat.) e chi sno sic (B««).
60. Cablim: Orlino de' Pacai di Tal-
damo. Tradì nel 1302 per denari U ca-
stello di Piantrevigne ai Neri, poi lo ri-
vendette ai Bianchi ; cfr. 6.FiZl.yin,53.
-SCAGIONI: scusi, essendo egli assai più
nero traditore che non fhi io.
Y.ld'lW.Anien^ra, ìareffùmedH
traditori détta patria^ Boeea degli
Abati, n secondo giro del O>cito è de-
nominato Antenora, da Antenore prin-
cipe Troiano, che nei poemi omerici è
descritto come nomo savio ed eloquente,
il quale, consigliando di restituire Elena
ai Greci, procacciala la salvesxa della
patria ; cfr. Hom., TI. Ili, 148 e seg., 203
e seg., 262 e seg.; VII. 845 e seg. Altri ne
ibcero invece nn traditore che consegnò
ai Greci il Palladio (cfr. Serv., Ad Am. I.
242. Suid. ad v. noXXdòtov), diede loro
il segno mediante nna lanterna ed aperse
il cavallo di legno; otr.Tzct^., ad Lyeophr.
840 ; Strab. XHI, 1 , 53. Paw. X, 27. Nel-
r Antenora le ombre dei dannati hanno
solo parte della testa fhori della ghiaccia,
Dante nrta col piede nna di queste spor-
genti teste, e indarno vnole che si nomini:
il dannato latra ed nn terso lo nomina.
È Bocca degli Abati, U traditore di Mon-
t'Aperti, il quale feri e tagliò la mano a
Iacopo Naoca de' Passi di Pirense, che
portava la bandiera della cavalleria Fio-
rentina; dal qual fkitto derivò il disor-
dine, lo scompiglio, la disftttta dei Guelfi
nel 1260. Cft. 0. VUL VI, 78.
70. CAONAZZi! canini, fatti per soper-
chio freddo grinsi a modo de* mostacci di
cane; Benv.,VeU., Dan., ecc. AL: Lividi
(Bufi) ; oppure paonassi, quasi neri.
71. BIPRKZZO: AL BIBBBZZO; qui in
senso traslato per orrore, spavento.
72. GUAZZI: stagni, aoque stagnanti;
qui per le acque de* fiumi infernali, sta-
gnanti e ghiacciate in Oocito,
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818 [OBBC. 9. GIBO 2] INF. XXXII. 73-95 [BOCCA DEOU ABATI]
73 E mentre che andavamo invèr lo mezzo,
Al quale ogni gravezza si raona,
Ed io tremava nell' etemo rezzo ;
76 Se voler fa, o destino, o fortuna,
Non so; ma, passeggiando tra le teste.
Forte percossi il pie nel viso ad una.
79 Piangendo mi sgridò : € Perchò mi peste?
Se tu non vieni a crescer la vendetta
Di Mont' Aperti, perchò mi moleste? »
82 Ed io : € Maestro mio, or qui m'aspetta.
Si ch'io esca d'un dubbio per costui;
Poi mi farai, quantunque vorrai, fretta. »
85 Lo duca stette; ed io dissi a colui
Che bestemmiava duramente ancora:
€ Qual se' tu, che cosi rampogni altrui? »
88 « Or tu chi se', che vai per l' Antenora,
Percotendo > rispose, « altrui le gote.
Si che, se fossi vivo, troppo fora ? >
91 € Vivo son io, e caro esser ti puote, »
Fu mia risposta, < se domandi fama.
Ch'io metta il nome tuo tra l'altre note. >
04 t Ed egli a me: « Del contrario ho io brama:
^M Lòvati quinci, e non mi dar più lagna ;
74. AL QUALE ! cfr. Inf. XXXFV, 111. 86. BKSTBlonAVA : ofr. ApoeoL XVI, 9,
75. TREMAVA ? di freddo e di spavento, 11. - dukambnte : rabbioaamento.
V.71. - REZZO: gelo; ofr. Diez, WórU 1\ 89. 87. così : mensionando Mont' Aperti.
76. VOLER: divino. - DESTINO : del Ikto. Invece Poi.: « In siffatto modo di ira
- FORTUNA : caso fortoìto. Per il wolm-e al- e sdegno. »
cani intendono la libera volontà di Dante, 88. or tu : alla domanda di Dante, qnel
e spiegano : Non so se fa il mio volere, o traditore risponde con altra domanda,
il destino di Dio, o nn caso fortaito. Ma proprio per le rime. A.1 QtuU §e' tutti'
se Dante lo volle, come poteva egli dnn- sponde con on Or tu ehi te't ; al Sanato-
qne dire di non saperlo! gni altrui risponde con nn Pereotsndo
78. NBL viso : Al. NBL CAPO. altrui, quasi volesse dire : Se io ti ram-
80. A CRESCER : ad aumentare contro pogno, ta mi perootesti, il ohe ò troppo
di me. peggio del rampognare.
81. Mont' Aperti: villaggio nella Val 89. percotendo : ofr. v. 78.
d'Arbla vicino a Siena, ove nel 1360 fri 90. se rossi: la percossa sarebbe troppo
il celebre combattimento tra i Ghibellini forte persino se tn fossi viro. Bocca cre-
di Siena ed i Onelfl di Firenze e di Lacca. de di parlare ad nno spirito dannato.
88. DUBBIO : all' ndir mensionare Mon- 93. note : della mia Commedia; oonfr.
t'Aperti, il Poeta sospetta che costai fos- In/. XVI, 127.
se per awentara Bocca il traditore e de- 94. del oontbaeio : dell'obblìo, per ti-
sidera accertarsene. more dell' infkmia.
84. QUANTUNQUE ! poi mi fisrai quanta 95. levati : vattene pei fatti taci. Non
mai ftetta ti plaoda, a seguire di nuovo mostrando veruna sorpresa all' udire ohe
le traooe tue. Dunte è vivo, sembra avorio già preseli-
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[cnc. 9. omo s] Inf. xxxii. 96-115 [bocca degli abati] 819
Che mal sai lusingar per questa lama ! >
07 Allor lo presi per la coticagna,
E dissi : « E' oonverrà che tu ti nomi,
0 ohe capei qui sa non ti rimagna ! >
100 Ond'egli a me: € Perchè ta mi dischiomi,
Né ti dirò ch'io sia, nò mostrerolti,
Se mille fiate in sol capo mi tomi »
103 Io avea già i capelli in mano avvolti,
E tratti glien'avea più d' una ciocca,
Latrando lai cogli occhi in giù raccolti ;
106 Qaando an altro gridò : « Che hai ta, Bocca ?
Non ti basta sonar con le mascelle,
Se ta non latri? Qaal diavol ti tocca? »
109 < Ornai » dissMo, « non vo' che ta favelle.
Malvagio traditor 1 Che alla taa onta
Io porterò di te vere novelle. »
113 « Va' via, » rispose, < e ciò che ta vaoi, conta ;
Ma non tacer, se ta di qaa entr' eschi.
Di qaei eh' ebbe or cosi la lingaa pronta.
115 £i piange qui l'argento de' Franceschi:
tHo, efr. ▼. 00. - LAOWA : motitro di !•• latrati di qnest' ultimo e si arrlBaMe ohe
gnarmi. mokatia, Ikatldio. e' foaae tormentato da qualohe diavolo.
96. LUBUiGAE : promettendo fiuna, men- 100. chb tu : Al. ohe più.
tre noi tatti, qoanti siamo in qoeeto oer- 110. alla tua onta : a tao dispetto e
ehio, desideriamo V obbHo. - lama : ofr. ad infamia di te.
If\f. XX, 79 ; Purg. VII, 90 ; ohiama cosi V. 113128. Buo»o da Ihtera ed aU
fl Oocito. « Intendi eamminando per que- fri IrcuttfoH. Alle grida di Boooa, quel-
ito cavUà » ; JMU, V aliro, chiedendogli che cosa aTesse e
07. cuncAGHA: la cotenna del capo chiamandolo per nome, lo ha manifestato,
nella parte di dietro, soli' occipite. Bocca si ▼endica, rivelando dal canto sno
100. putCHft : benché, ancorché ta mi il nome dell* Interrogatore e di altri suoi
strappi i capelli, non ti dirò chi sodo, e yIcìbì. Il primo é Bnoso, della famiglia di
non te lo ftirò vedere levando in sa il viso, Daera, o di Dovara, ohe col marchese
qnaado pare ta mi satti mille volle sai Uberto Pallavicini tenne lango tempo la
capo per ikr ladibrio di me con le mani e signoria di Cremona. Nel 1306 i Ghibel-
eoi piedi. lini di Lombardia lo posero con baon
101. ME n: Al. VOH TI} cf. Z. f., 197 e seg. esercito ne' laoghl verso Parma per im-
103. MI TOMI ; mi piombi. « Se mille fiate pedire 11 passaggio dell' esercito francese
mi peroaoH sai capo, come hai fatto co* di Carlo I d'Anglò; ma, corrotto con de-
tBoi piedi » ; Betti. nari, non fece vernna realstenaa, e lasciò
106. latbahdo : mentre oontinaava a passare liberamente i Francesi i oftr. O.
gridare Irosamente, cogli occhi sempre ViU, VII, 4. Murat.» Seript. IX, 700.
bassi per non esser rioonoeciato alaandoli . 118. ischi ? esca; ove mai ta esca di
107. 80HAB: battere 1 denti per 11 fred- qaa e hcoìA ritomo al mondo.
do, cfr. T. 86. 114. DI Qun : di costai che ta così lesto
108. QUAL DIAVOLO : pare che Baoso a palesare il mio nome.
non intendesse 11 oolloqalo avvenato tra 115. aroehto : denai^; ofr. Par. XVIT,
Dante e Bocca, ma ohe adisse soltanto 1 Si. - F&AHOiaoBi : Francesi.
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[CEBC. 9. GIBO 2] INF. XXIII. 116-122
[BUOSO DA DTJEBA]
118
121
" Io vidi „ potrai dir " quel da Daera
Là dove i peccatori stanno freschi. „
Se fossi dimandato, altri chi v'era,
Tu hai da lato quel di Beccheria,
Di cui segò Fiorenza la gorgiera.
Gianni del Soldanier credo che sia
Più là con Oanellone e Tebaldello,
117. 1 PIOCATOBI : AI. I TRADITORI, Im.
troppo sprovvista di aotorità.-BTAifiro
FEJCSCHi : sono tormentati dal freddo e dal
ghiaccio. Da qaesto verso si crede origi-
nata la frase proverbiale, ironica, Aor
fretco't cfr. Fanf., Tocah. dell' tuo tote.,
p. 400. Ckivemi, Voci é Modi, 00.
110. QUEL: Tesanrodel Beccheria, pa-
vese, abate di Yallombrosa, legato per
papa Alessandro lY in Tosoana.Scacoiati
i Ghibellini daFirense nel 1258, « del me-
se di settembre prossimo del detto anno,
il popolo di Firense fece pigliare l'abate
di Yallombrosa, il quale era gentile nomo
de' signori di Beccheria di Pavia in Lom-
bardia, essendoli apposto ohe a petizione
de* Ghibellini asciti di Firenze trattava
tradimento, e quello per martiro gli fé»
cero oonfbssare, e scelleratamente nella
Fiasza di Santo Apollinare gli feciono a
grido di popolo tagliare il capo, non guar-
dando a sna dignità, nò a ordine sacro;
per la qnal cosa il cornane di Firenze
e* Fiorentini dal papa ftarono soomani-
cati; e dal comune di Pavia, ond'erall
detto abate, e da* suoi parenti i Fioren-
tini ohe passavano per Lombardia, rice-
vevano molto danno e molestia. E di vero
si disse che '1 religioso uomo nulla colpa
avea, con tutto ohe di suo legnaggio fosse
grande ghibellino.» 6^. Fifi. YI. 65. D'ac-
cordo con Dante, tutti gli antichi suoi
commentatori credettero oh e l'abate fosse
veramente colpevole. « Yolult per prodi-
ctionem subvertere statnm CivitatisFlo-
rentie » ; Bambgl. - « Egli con Gloanni
Soldanieri da Fiorenza fecero fare chiave
false, e di notte tempo, essendo essi in
Fiorenza, aprirò la porta e miservi den-
tro e' Bianchi con molti Ghibellini di To-
scana, e anco co' gli Aretini » ; An. Sei. -
« Col seguito d'alcuno Fiorentino la parte
guelfa di Firenze tradlo » ; Jae. Dant. -
« Essendo per la Chiesa in Firenze, volle
tradir Firenze e trarla dalle mani de'
Guelfi, e darla ai GhibelUni»; Lan. -
* Avea trattato con li Ghibellini di Fi-
renze di tradimento della città »; Ott, •*
« Prodere volai tFlorentlam » ;Peir,l>ant.
- « Deoapitatos propter quemdam eioa
traotatum proditorium centra oommnne
Fiorenti» Ikctum »; Oau. - « Menava
nn trattato e tradimento per tradire in
Firenze » ; Fal$o Boee,
120. QOROISRA: propriamente qaella
parte dell'armatura ohe copre la gola;
qui in senso traslato per la gola, il cono.
121 . Gianni : di antica e nobile fluniglia
ghibellina di Firenze (ofr.<7. ViU, IV, 12 ;
Y. 89; YI, 38, 05), U quale dopo il go-
verno de* due fkati gaudenti (cfr. Ir^.
XXni, 103 e seg.), levatosi nel 12eo il
popolo a tumulto, lasciò il suo partito
ghibellino e « si iÌBce capo del popolo per
montare in istato, non guardando al fine,
ohe dovea riuscire a soondo di parte ghi-
bellina e suo dannaggio » ; O. Vili. YII,
14; XII, 44. - « Yolto in foga dovè per
sempre abbandonare Firenze. Bipara-
tosi in Prato con messer Pipino suo fra-
tello, vi prese domicilio, e vuoisi ohe
desse vita alla possente casa dei Binai-
deschi, da out con molta probabilità de-
rivarono i Naldini, ora dimoranti in Fi-
renze » ; Vemon, If^., voi. II, p. 680.
122. Gankllone: G^no (Ouenet e lat.
Oando), il tipo del traditore nei romanzi
cavallereschi del dolo carolingio, il cui
tradimento fu cagione della rotta di Bon-
cisvalle; cfr. W. XXXI, 10. OcmUer,
Ep. Franf. II, 660 e seg., 020 e seg. -
TsBALDKLLO: tale, e non Tribàldkllo,
era il nome del personaggio. Fu de* Zam-
brani di Faenza, tradì la sua patria per
vendicarsi di una burla fottagli dai Lam-
bertazzi (ghibellini) di Bologna» ohe nel
1274 rifogiarono in Faenza. Cfr. G. VUL
YH, 80. Murat., Ser^. XIY, 1105 e seg.
Morbio, Storia dH Munie^ Ttàl. Hil.,
1837, n, 181 e seg. Mazz.-Toe., VoH e
p€uti di J>., 41 e seg. Vàlgimigii, Tébol-
dello Zambrati, Faenza, 1866. 1 partioo-
lari del fatto sono raccontati in nn poe-
metto volgare anteriore alla DÌ9. Oom-
media; cfr. Rime dei poeti Bologn, del
$ee. 2Uir» Bologna, 1881.
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e ». OIBO S]
iNF. xxxn. 128-188 [Ugolino e kuoo.] 821
ÌU
127
18«
133
136
Che apri Faenza, qaando ai dormla. »
Noi eravam partiti già da elio,
Ch'io vidi duo ghiacciati in una buca.
Si ohe r nn capo all'altro era cappello ;
E come il pan per fame si manduca^
Cosi il sopran li denti all'altro pose,
Là 've il cervel si giunge con la nnca.
Non altrimenti Tideo si rose
Le tempie a Henalippo per disdegno,
Che qnei faceva il teschio e l'altre cose.
< 0 tu che mostri per si bestiai segno
Odio sovra colni che tn ti mangi,
Dimmi il perchè, » diss'io, € per tal convegno,
Che, se tn a ragion di lui ti piangi,
Sappiendo chi voi siete e la sua pecca.
Nel mondo soso ancor io te ne cangi.
m. apb) : tà Bolognesi. - «uakdo : di
notte. « Bt note, qood iito proditor In
pnemiom tn» pndltionia Adi flMstnt mi-
loo m oommoni bononlenal; Md non din
hBtotM 6ot iste -vletoria. Nam post mo-
dioom tempos ftiit tmeldAtas fai strage
gaOoran fiiete npod ForiiTlnm per oomi-
tem Ooldonem de Montolbltro. » Benv,
V. 124-189. I70wlino e JBM^j^ferl. Pr»-
dsMuente n sol confine tr» il leoondo è Q
tarso giro, Danto Tede chie gUaoslatt In
mia bnoa, l' nno dei qnali si rode II to*
leliio dall'altro. (L'opinione che alano
tntt' e due nell* Antenora è al postutto
inatteodlbUe). A qaello ohe rode, e ohe è
confitto nella ghiaooia del secondo giro,
Baata diaanda ohi egli sia e perchè roda
qnell' altro, confitto nella ghiaccia del
terso giro. H rodente è 11 oonte Ugo-
Uno della Oherardeaea; Il reso è Bnggieri
dagli UbaUHni, ardresooTO di Pisa, come
si dirà nel canto segnente.
124. DA ILLO: da Ini, Bocca, sansa de-
gnarlo di nna risposta.
126. l'uh! il capo dell* nno (UgoUno)
stara sopra a quello dell' altro (Bnggio-
ri), slcehò parerà gli fosse cappello.
127. oom : colla stessa avidità. cDcto-
caat ptabem mearn sient escam panis »;
PtàL T'^TfT^ 4. . icAKDUGA : mangia.
120. LÀ '▼«: di dietro, cfr . Ir^ JCXXUI,
S. - ai annoi : Al. s'aooiujios.
130. TiDSO: re di Oaledonia, nno dei
setto re che assediarono l?ebe. Earito a
21. — Dh. (hmm., 4» edia.
morto dal tobano Henalippo e rlnsdtogU
di uccidere 11 feritore, pregò 1 compagni
di recaiglie&e il capo, e, arutolo, oondn-
dò, moribondo, a roderlo ftiriosamento
coi denti; cfr. Stai,, Thèb. Yin. 740 e
seg.; Hom., 11. IV, 871 eseg.-0Ì : «riem-
pitiro, ma che rlnoalaa»; 2VfN. AL si
BOBK: cfr. Z, F„ 100 e seg.
182. ALTBB OOBB: il corrello e le parti
carnose del capo.
188. BiBTiALi rodendo un tasrtìlo nm*-
no. Le bestie sfogano l'odio e l' ira assa*
lendo co' denti, colle coma, oogli arti-
gli, eco. Quindi il mordere e rodere è atto
bestiale; cfr. 8UU., Theb. IX, 15 e seg.
186. IL PBKCHÈ: il motivo del feroce
tuo odio. -PBB TAL : a qucsto patto. Con-
vegno è il Oonvonium della bassa latinità
— Convensione.
ISfi. TI PiAMOi : ti duoli, hai motivo di
querelarti ; « si insto petis talem vindio-
tam de eo »; Bonv,
137. BÀFPJESUO : Al. SAPINDO. - FIOCA :
oolpa, peccato, cfr. If\f. XXXTV, 116.
Purg, XXII, 47.
188. OAHQi; to ne renda il cambio su
nel mondo, dove tornar mi lece, divul-
gando le tue ragioni ed i torti di lui.
Danto hA imparato da Bocca degli Abati
il « lusingare per questo lama », onde non
prometto fema, come altrove, ma ven-
detta. - « Si noti ohe oonM^iio per oon-
venaione, ti piangi per ti lagni, tappitn-
4o per sapoido, pocea per pesoato, suso
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322 [GBEG. 9. 0. 2] IKF. XXXII. 139 -XXXIII. 1-2 [MOBTB DI UGOLINO]
130 Se quella con ch'io parlo non sì secca. >
per sopra, U ne cangi per te ne oontrao-
oambi, eon eh' i' per con cai io, sono tatti
vocaboli e modi distintivi del dialetto an-
tico Fiorentino »; Bo$$.
189. QUELLA : la lingua. - si secca : mo-
rendo. « Quasi dicat : si lingua non deficit
mihi: et beneserrayitpromissum»; Benv.
- « Qui Ugolino non è il traditore, ma
il tradito. Certo, anche il conte Ugolino
è un traditore e perdo si trova qui : ma
per una ingegnosissima oombinasione,
come Paolo si trova legato in etemo a
Francesca, Ugolino si trova legato in
etemo a Bnggiero, che lo tradì, legato
non dall'amore, ma dall'odio. In Ugo-
lino non parla li traditore, ma il tradito,
r uomo offeso in so e ne' suol figli. Al
suo delitto non Ik la più lontana allu-
sione; non è quistione del suo delitto:
attaccato al teschio del suo nemico, istru-
mento dell'eterna giustisia, egli è là, ri-
cordo vivente e appassionato del delitto
ali* aroivesooTo Buggiero. H traditore
e' ò, ma non è Ugolino ; è quella testa
ohe gli sta sotto a' denti, che non dà un
grido, dove ogni espressione di vita è can-
cellata, l'ideale pih perfetto dell'uomo
petriflcato. Ugolino è il tradito ohe la di-
vina giustisla ha attaccato a quel cranio ;
e non ò solo il carnefice, esecutore di co-
mandi, a cui la sua anima rimanga estra-
nea! nui è insieme l' nomo offeso che vi
aggiunge di suo l' odio e la vendetta. Il
concetto della pena è la legge del taglione
o U contrappasso, come direbbe Dante :
Boggiero diviene il fiero patto di un uo-
mo per opera sua morto di fkme, lui e i
figli. » De aaneUt: V (Tgolino di DanU,
Nuova Antologia, voi. XII, p. 668; e
Nuovi Saggi erit, 51 e seg.
CANTO TRENTESIMOTERZO
OEBOHIO NONO : FRODE IN OHI SI FIDA, 0 TBADITORI
GIEO SECONDO -ANTENOBA: TBADITOBI DELLA PATKIA
LA MOBTE DEL OONTB UGOLINO
GIBO TEBZO - TOLOMEA: TBADITOBI DE' OOMMENSAIil
(Immersi nella giiiaoda fino al capo,
cogli occhi coperti da un duro stt«tOw4i lagrime congelate)
FRATE ALBERIGO E BltANOA &\ORIA
La bocca sollevò dal fiero pasto
Quel peccator, forbendola a' capelli
T. 1-78. La morte di XTffoHno. Al-
lettato dalla speransa di infunare il suo
nemico su nel mondo, Ugolino solleva la
bocca, e parla, e dice chi egli è, e chi è
colui il cui teschio egli rode; racconta
poi la dolorosa e oommoventissima sto-
ria della sua tragica morte; ma, »|»peiia
r ha finita, ripigtta il teschio di Raipglerl
e Io rode oon raddoppiato ftirore.
1. LA BOCCA: < Caput spnmantlAqQe
ora levavit»; Luoan., Phart, VI, 71©. -
SOLLEVÒ: Al. SI UEYÒ.
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0. OIBO 8]
Int. XXXIII. 8-18 [morte di Ugolino] 828
10
13
Del capo, ch'egli avea diretro guasto.
Poi cominciò: € Tu vuoi ch'io rinno velli
Disperato dolor che il cor mi preme,
Qià pur pensando, pria oh' io ne favelli.
Ma se le mie parole esser den seme
Che frutti infamia al traditor ch'io rodo,
Parlare e lagrimar vedrai insieme.
Io non so chi tu se', nò per che modo
Venuto se' quaggiù; ma Fiorentino
Mi sembri veramente quand'io t'odo.
Tu dòi saper ch'io fui conte Ugolino,
4. TUOI: « Infludiim, Reglii*, labe*
Maorare dolorem »; Virg., A*n. II, 8. -
imoTXLU; fiMXsU rivivere nella mi*
■mori*. Vioeverea IV". Vt 121 e seg.
5. KSPSSATO : non confortato da tpe-
raaxa, né acquetato dalla feroce, etema
«. aiÀ: al aolo penaarrl.
7. mui : demo, devono (cfr. Nanmtù,,
T^rbi, 59S); conforme la promessa Inf.
XXXQ, 185 e seg. -bkms: eie parole
Mno qiuMi acme d' operasione »; Oonv.
IV, 2.
0. vxDBAi; Al. vxdba'mi. Conflr. If\f,
V, 136.
\%. non SO: TTgoiino non si cura di chie-
dere a Dante chi egli sia, non avendo che
on mA pensiero, quello della sua sven-
Una; ed una sola brama, d'iniSunare il
traditor cb*ei rode.
11. FiOBBamio: lo riconobbe per tale
sUa fiàveOa, cfr. IV* X, 26e seg.; XXXII.
138 nt. Mazzom-ToulH, Voci e poiti, 42
t Mg.
13. FUI: neirinfemo non vi sono conti ;
cfr. Par. VI, 10. Al. ch' i' fui 'l.-TToo-
uso: eonte di Donoratioo, figlio dlGnelfo
della Gberardeeca, nato nella prima metà
del see. Xm, signore di molte terre nei
pieni della Haremma e di Pisa. Sua mo-
glie Margherita de' Pannccchieechi, con-
tasse di Hontingegnoli, lo fece padre di
più AgUooU: Gu»{fo,Lotto,Matt«o, CHmOOo,
Ugueeione, BmiHa, Oherardeaoa, eoo. H
primogenito Guelfo II sposò Blena, figlia
natorale del re Eneo, e n'ebbe Lapo, Èn-
rieo, Ifino detto il Brigata ed Anatl-
wmeHOf 1 tre primi del qnali ereditarono
l diritti materni solla Sardegna, la Lnni-
gfana ed altri paesi. Coratore de* snoi ni-
poti, Ugolino aadò nel 1374 nella Sarde-
gna, e ^ accordò oon Kino Visconti, suo
genero, e coi conti di Capraia per trama-
tare a guelfo il reggimento ghibellino di
Pisa.Il disegno andò follito: Nino Visconti
Al scacciato da Pisa, Ugolino imprigio-
nato. Questi, liberato, si rifogiò a Lucca,
si ooUegò coi guelfi di Toscana, combattè
nel 1270 contro 1 Pisani, U sconfisse, rieb-
be i suoi giudicati nella Sardegna e seppe
poi cattivarsi la stima dei suol oondtta-
dlni in modo tale, che a Ini fu affidato il
sapremo comando della fiotta armata a
diflMa contro Genova. Soon fitto nella san-
guinosa battaglia navale alla Meloria, il
6 agosto 1284, Ugolino ritornò a Pisa, mi-
nacciata dai Guelfi, assunse il governo
della cittA (18 ottobre 1284) e la salvò con
astuiia dividendo i nemici (cfr. O. VUl.
VII, 98. Murai., Script. VI, 588 e seg.;
XI, 1294 e seg.; XV, 976; XXIV. 648 e
seg.). Ck>n Ugolino Visconti, suo nipote, si
fo^ quindi signore quasi assoluto di Pisa.
Ha r anione col nipote non durò Inngo
tempo. Essendo l'avolo ed 11 nipote in
oontinne gare tra loro, i Ghibellini, gui-
dati dall'arcivescovo Ruggieri degli Ubai-
dini. ripresero animo e nel giugno del 1288
sconfissero Ugolino, lo focero prigione, Io
gettarono con due figliuoli e due nipoti
nella torre de' Gualandi alle Sette Vie. e
ve li lasciarono morir di fome, mentre
l'arcivescovo Ruggieri, che per riuscire
ne* saoi disegni crasi finto amico di Ugo-
lino, e poi lo aveva accusato di tradimen-
to, Ài gridato signore, rettore e governa-
tore del Comune. Cfr. G. YiU. vn, 121,
128. Murat., Script. XXrV,656. Roneiord,
Tttor. pit. X, XI. ì^orta. Dante $ i Pita-
ni, 85-132. Dal Borgo, DUtertai, topra
rittoria Pttana, 1, 1. Pisa, 1761, p. 1-148
e 822-412. Oom. Lip9. V, 581-584. Del No-
M, Il conte Tfgolino deUa Oherardeeea,
Roma, 1889. /^ j
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324 [CEBO. 9. GIBO a] iNF. XXXIII. 14-26 [MaBTE DI UOOUNO]
16
1»
22
25
E questi l' arcivescovo Boggieri:
Or ti dirò perchè i son tal vicino.
Che per T effetto de' saoi ma' pensieri»
Fidandomi di Ini, io fossi preso
E poscia morto, dir non è mestieri.
Però quel che non puoi avere inteso,
Ciò è come la morte mia fu cruda»
Udirai, e saprai s' e' m'ha offeso.
Breve pertugio dentro dalla muda.
La qual per me ha il titol della feone,
E in che conviene ancor ch'altri si chiuda,
M'avea mostrato per lo suo forame
Più lune già, quand'io feci il mal sonno
14. B QUESTI: sottiint. fu. Al. ■ QUB-
STI È ; ma nell' Inferno noMnno ò pib u>
oivMooTo. Cfir. Z, F., 200 e seg. Blans,
Yertueh, 283 e «eg. -Bugoduli: degli
XTbàlcUni di MageUo, eletto •rciveeooy-o
di Pisa nel 1278, m. nel 1295, fa colai ohe
Bollevò il popolo contro al conto Ugo*
lino e lo fbce poi morir di fkme.
15. 1: a lai. Ora ti dirò perohò gli sono
vicino oifOntto, doò ooéi oradele e rab-
bioso.
16. MA* : malvagi. « L* arcivescovo or-
dinò di tradire il conto Ugolino »; O,
ViU, Vn, 121.
18. MON È MBSTIEBI : la ftma dell' avve-
nimento eesendoai sparsa per tatto To-
scana e faori, sarà pervenuto anche a to.
20. MOBTE: «notisi bene che disse di
voler narrare come ta crxida ìa morte. Or
se si fosse cibato de' figli, sarebbe stoto
invece cruda la vita. S poi dove avrebbe
narrato la sua morto! In qaesto canto
no certo »; BttU.
22. PKBTUGio : baoo» flnestrello del car-
cere, -muda: la torre de' Gualandi alle
Setto Vie, dove le iofelid vittime furono
incarcerato nel luglio del 1288 (dopo es-
sere stoto tonato venti e più giorni nel
palasse del popolo) e dove morirono nel
maggio del 1289. Qaesto torre continuò
a servire di carcere sino al 1318. Sor-
geva snir odierna piassa dei Cavalieri.
« Muda è luogo chiuso ove si tengono li
uccelli a mudare; muda chiama l'autore
quella torre, o forse perchò cosi era chia-
mato (come affermano Bambgl, OU.» An,
Fior., Benv., ecc.), perchè vi si tenes-
sono r aqutte del Comune a mudare, o per
trnnounrione ohe vi fti rinchiuso il conto
e li figliuoli come li uccelli nella muda »;
Buii.
23. PIB MS: per esservi io morto di
fune. « B da inde inansi la dicto pregione
si chiamò Pregione e Torre della ùaae »;
:MuraL, Seript. XXIV, «56. Cfr.iWd. XI.
290. (7. YiU. VII, 128.
24. ÀLTBi : esprime forse una soa vaga
immaginaaione, e forse allude alla se-
guento tradisione, fondato sopra un fletto
storico : « ITn figlio del conto Ugolino fa
dalla nutrice sottratto al comune destiiio
de* suoi. Fatto grande e si^uto il caso, ne
prese si disperato dolore, che da Luooa,
ove fti cresciuto e dimorato, recossi a Pi-
sa, dicendo che egli era colà venuto a cor-
rere la sorto comune di sua gento. Udito
dò, i Pisani lo ebbero per passo e lo ao-
stonnero in carcere. Dopo un anno ]a
donna che lo aveva allevato, domandò di
essere messa a' servigi di lui. Le fa oon-
ceduto la domanda a patto di seco starsi
rinchiusa. Per tale comunione di vita non
venne meno la prosapia di cento XTgoUiio.
Carlo lY, che passò di colà, mise in li-
bertà que' due. » Cosi in un ood. Chlg.
Cfr. D. O. ed. Pattigli, 713. La tradi-
sione ò pure ricordato in Marat., Script.
XI, 299 e seg.
26. PIÙ LUME: pih volto il ritorno della
naova luna ; io eia in prigione già da più
mesi, oioò dal luglio 1288 al maggio 1289 ;
cfr. MuraL, Script. XI, 1297 j XXIV, 655
e seg. Al. PIÙ I.UMB. Cfìr. Z. F., 208 e seg.
Bkìne, Vertuch, I, 285 e seg. Barlow,
Oontributiont, 163 e seg. Jfoore, OrU.»
357-62. - FECI IL MAL BOHKO : vidi in So-
gno la sorto ^aventovole ohe mi «ra
preparata.
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fonc. ». Gito s]
Inf. XXXIII. 27-88 [mobtb di t700LiK0] 825
OS
31
34
37
Che del fotnro mi squarciò il velame.
Questi pareva a me maestro e douuo,>
. Cacciando il lupo e i lupicini al monte,
Per che i Pisan veder Lucca non ponno.
Con cagne magre, studiose e conte :
Gualandi con Sismondi e con Lanfiranchi
S'avea messi dinanzi dalla fronte.
In picciol corso mi pareano stanchi
Lo padre e i figli, e con V aguté scane
Hi parea lor veder fender li fianchi.
Quando fui desto innanzi la dimane,
Pianger sentii fra il sonno i miei figliuoli.
». KASsno: delift oftMift. - Domrot
dùwniwtt», ilgiioin dellft Mgato.
Si. UTFO: UgoUliO. -LUFlCim: 1 flgU.
- MOXTB : San Ginllano. « Che dalle oa^e
fBMe eaoelato Teiw» fl moale, altoato tra
Pfea e Laoo», ■ignifleaTa, oh' egli ayera
■«a aperaaca di toeeorao in LaooheeI, ai
qaali aTera date molte oaatella ia pre-
gtndixio della Patria propria » (D ; Barg,
M. FR CHKt per il qaal monte. « Se
BOB ibeae U monte pifaoo in mesto tra
Pfme I^BOoa, eono tanto preeeo, ohe Tnaa
dttà redrebbe Tattra »; Butt.
ti. OAOirs : i Plaani legnaot dell' Arol-
feeeoro, Ghibellini, per oontrappoeto ad
Ugottno ed i snoi ohe erano Onelfl (da
eSf/b^^Wm^f, lapo). Al. diTersamente ;
« Per eaaea maeUentee slgnifloatnr ft^
maa qua perienmt •; Bambgl. Coél pare
Benv., eoo. « Qaeeti sono Io popolo mi-
nata efae oomnnemente è megro e po-
vero »; Boli. - oovn : arreasate a a
SS. GuALAHDt: < Qoeate tono tre eaae
di gmtllnomini della olttà di Pisa, di
grande onore e di grande potenzia nel-
l'antloo ; e benché aooora aleno, par sono
molto mancate »; BhH, - < Goalandi, 81-
BOBondi et Lanfraaehi ad ipslos Arohiepi-
aeofi inatanttam aeonsarenint et inU»-
maT«rant donlnnm eomltem XTgolinnm,
ex quo tpoe et AHI flnaliter perierant in
torri »f Bamft^.
33. a'ATSA: l'Aro, gli area posti in-
naa^ agtf altri. «Di loro area fitto bol-
eloiie oontro il conte »; Bufi. - < Ad exon-
aationem ani tamqnam Ikntoree et facto-
raa hninsrei ad svi defisnalonem»; Bénv,
84. Oi noaoL; dopo brere insegai-
mento. Preaeatlments della Tieina morte.
85. PADRI: lopo. - nou: hipieini. « H
sogno è nn velo, dietro al qoale è Ibdle
Tederò le agltaaloni della veglia : U reale
si rivela sotto al fkntastioo. Roggero,
Gaalandi, Sismondi, Lanfrtnehi stanno
presenti innanai al prigioniero, oradeli
In sé e nei flgU, e ora gli apparlseooo In
sogno cacciando il lapo e i loplciai ; l' oo-
Ohio vede animali; ma l'anima sente oon-
fosamente ohe si tratta di sé e de' saoi
flgliaoU, e qael lapo e qaei lapidai si
traslbrmano con rocabolo amano in imi-
drttUgH, » IH SanetU, I. e. - scark: le
prese ; « tcané sono 11 denti pi agenti del
cane, ch'élli ha da ogni lato col qoali olii
afferra »{ BvH. Al. siint : -xsanne, come
ffoléUo per galeotto, In/. Vili, 17, eoo.
Cfr. e, F., 204.
M. LOB: al padre ed ai 6gli. « Et hio
nota, leotor, qnod si veram ftalt qaod Co-
mes sic somniaverit, mirabile somninm
ftiit; si non Bit veram, pnloram flotionem
fàdtaator valdeoonvenientem fkcto. Non
enim poesomos sclre verltatem halns
fhoti, qoia oomes inclasas nnlli loootas
est postea et mortoae est. » Brtio.
87. LA DTMAMB : l'alba. Danqne nn so-
gno presso il mattino ; cfr. Inf, XXY 1, 7.
SS. PBA IL BomfO: piangono e doman-
dan pane sognando. Non dice die tatti
fiwossero lo stesso sogno; ma tatti so-
gnarono In qaella aotte, ed a dasche-
dnno il sno sogno annan sfava morte, e
morte di fune. - fiouuoli: due, Gaddo
ed Ugaooiooe, eraao saoi figli: il Bri-
gata ed Anselmacoio erano saoi nepoti,
figli del sao primogenito Gndfo II; cfr.
MwraU, Script. VI, 605 ; XXIV, 686. ViU.
YII, 121, ecc. Che il nonno chiami saoi
/ifUifU ì nipoti, figli dd sao primoge-
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[CEBO. 9. OIBO 2] InF. XXXni. 89-50 [MOBTB DI UGOLINO]
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46
49
Ch' eran con meco, e dimandar del pane.
Ben se' oradel, se tu già non ti duoli,
Pensando ciò ch'ai mio cor s'annunziava;
E se non piangi, di che pianger suoli?
Già eran desti, e l'ora s'appressava
Che il cibo ne soleva essere addotto,
E per suo sogno ciascun dubitava;
Ed io sentii chiavar l'uscio di sotto
All'orribile torre; ond'io guardai
Nel viso a' miei figliuoi senza far motto.
Io non piangeva, si dentro impietrai;
Piangevan elli; ed Anselmuccio mio
ulto, ò ooM Assai natarsle, né yaol dire
« alterare la storia >, come alcani aoco*
sarono Dante di aver fatto. Il Bvii, che
leggera il suo commento per l'apponto
a Pisa nel 1375, chiosa t « presono il detto
conte eon qtuUtro iuoi/lgliuoli, e rinohia-
sonli in nna torre ohe oggi si chiama la
torre della teme. » E nn anonimo cronista
Pisano del seo. XIV : cKel 1388 Rnggierì
delli Ubaldini, e 1 Goalandi, e Lanfran-
chi, e certi delll Orlandi, e qnelli di Ri-
pafratta, e molti altri Cittadini caccia-
rono lo conte Ugolino di signoria, e pre>
sono Ini, e li JlgliuoU, e missenll in pre-
gione, e feoenli morire tatti di fame in
una Torre in snlia Plassa degli Ansiani,
che poi ò chiamata la Torre della fkme, e
morì eon quattro Jlgliuoli di fame, e
fame seppelliti nella chiesa di San Fran-
cesco »; Murat., Script, XV, 970; cfr.
Oom, Lip$. I*, 587 e seg.
89. CH* BBAM CON MECO : Al. CB' BRAHO
UBCO ; cfr. Z. F., 205. - DiliàKDAB : < Par-
▼oli petieront panem, et non erat qui
fhmgeret eis » ; Lam. Jer, IV, 4.
40. GIÀ : sin d'ora, prima di udire la
continuasione del mio racconto.
41. CH* AL MIO : Al. chb'l MIO ; « bella
variante e sentimento vero, profondo del
onore che annuncia a sé i soci dolori ; ma
qui ridiiedesi semplicità di discorso»;
Fo$e. Nel caso presente è il iogno che
annunzia al cuore dell* infelice padre
r imminente sciagura.
48. IRAN : i quattro figlinoli. Al. SRAM
DKSTi. Al. SRA DRSTO. Nel V. 87 Ugo-
lino ha detto ohe egli, già desto, sentì 1
figliuoli dormendo dimandar con pianto
drt pane, qui dunque non parla ohe del
rtsveglio de» ilgUuoU. - e' apprmsava.
Al. TEAPA88AVA. QoéUa notte non dor-
mirono certo oltre il solito. Non il tra-
pattar dell'ora, ma il sogno, fsoe naaoero
il tremendo dubbio.
46. CBUVAB: dal basso lat. datare, e
questo dal lat davut — chiodo, fermare
con cbdodi, inchiodare ; cfr. Purg. Vili,
187 e seg. Par. XIX, 105. Mazzcni-To-
ietti, Voci e pani, 45 e seg. Altri dice
che l' uscio fti murato. Altri vuole ohe
chiavare valga qui $errare eon chiave,
come se durante la notte l'uscio fosse
rimasto aperto! < Intellige cum davis
ferreis, ut amplius non aperiretur. Kam
lam clavatum fuerat cum davlbns, quse
abiectfls fuerat in Amum »; Benv. B O.
ViU. VII,128: «Feeionochiavarela porta
della detta torre e le chiavi gittare in
Amo. > Se la noUsia è storica, converrà
supporre che la porta fosse inchiodata
la mattina dopo, come sembra inflatti
che voglia dire Benv, O. forse meglio,
si può credere che « inchiodata la porta,
già prima chiusa a chiave, quo' ferod le
chiavi gittassero in Amo per ultimo
sfogo di vendetta, a significare che Ugo-
lino e i suoi di là non sarebbero usdtl
più mai > ; Poi.
47. GUARDAI : « Vorrebbe dire : Poveri
figli! S noi dice: lo dice il suo sguardo.
Lo strado ò tale che gli toglie la parola
e le lagrime. Tutta la sua vita ò raccolta
in quello sguardo. » De Sanotit.
49. DKKTRO : « Emortuum est cor eius
intrinsecus, et factus est quasi lapis»;
I Beg. XXV, 87. - impiktbai : una frase
simile O. ViU. VIU, 68 : « il dolore im-
pietrato nel core di papa Bonifioio. »
50. Akselmuocio : il più gioTÌne di
tutti, figliuoi minore di Guelfo lì.
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[oso. •. eiBO s] Inf. xxxin. 51-65 [morte di Ugolino] 827
52
58
61
Disse : '^ Ta guardi si, padre : che hai? „
Però non lagrimai, né rìspos' io
Tutto quel giorno, né la notte appresso,
Infin che l' altro sol nel mondo uscio.
Come un poco di raggio si fu messo
Nel doloroso carcere, ed io scorsi
Per quattro visi il mio aspetto stesso,
Ambo le man per lo dolor mi morsi ;
Ed ei, pensando eh' io il fessi per voglia
Di manicar, di subito levorsi,
E disser: '' Padre, assai ci fia men doglia
Se tu mangi di noi : tu ne vestisti
Queste misere carni, e tu le spoglia ! „
Queta'mi allor per non farli più tristi;
Lo di e r altro stemmo tutti muti :
51. b\ : coA atterrito e disperato. < An-
wdmnorio non m definire nò spiegare
qnel modo di guardare; quel «i significa
in modo coti fuori del naturaie « del-
f ordinario. Che hail domanda il fan-
daUo. Lo siracio ò tatto nella oosoiensa
di quello agnardo e nell' innooensa di
qaello che kuif accompagnato con lacri-
me. » Do SaneHt.
52. mò : nonoetanto il loro pianto e
la loro domanda. Più terrìbile che non
n piangere, qaello stor U impietrato ; piti
terribile che non lo sfogare il dolore in
parete, quello star li dlensioeo, sensa
profferir parola.
54. iVFDf : fino all'alba del giorno se-
goento. Bimaae danqoe lì ventiqaattro
ore in capo silensio, impietrato dall'in-
tenso dolore.
65. 00MB: sabito ohe. - un poco: quanto
poterà Mitrare per il breve pertugio. « In
qneUa notte di silenxlo la fame avea la-
Tormto e trasformato il tìso del padre e
del figli, e quando, fatto un po' di luce,
quella visto lo coglie impreparato, in un
momento natarale d'oblio l'uomo si ma-
nifSeste e prorompe in an atto di rabbia
tanto più ferooe e bestiale, quanto la
compressione fo più riolento, e più ina-
spettato e più Tira è l'impressione di
quella -risto. » De Sanetit,
57. FKB QUATTRO: dai voltl trasfor-
mati de* quattro giovinetti dedusse qual
doreese essere il proprio.
58. MOBn: « Quest'uomo ohe in un Im-
peto istantaneo di Aurore dà di morso alle
sue mani è già In antioipasione colui che
nell'Inferno ò fissato ed ete'matoco'den ti
nel cranio nemico, come d'un can forti.»
DeSanctie.
59. EI : 1 quattro figliuoli. Al. i quii.
60. MAKiCikB: mangiare; fiorentinismo
rimasto salia bocca del popolo che l'usa
per lo più a significare un mangiare in-
gordo, e 11 rifinirsi delle sostanze per 1
risi. « Loqoantur Fiorentini et dicant :
Manichiamo introoqoe. - Noi non fSftO-
ciano atro »; Vulg. Eloq. I, 13.
62. DI NOI : della nostra carne. « II pa-
dre che per fame si mangia le mani è tal
cosa, li percuoto di tale spavento, che ad
un attore intolligento farebbe compren-
dere tatto ciò che si chiude in quel grido :
Padre! accompagnato col sabltoneo le-
varsi in pie di tutti e qaattro, essi che
stovano a terra esausti per fame. Qnel
grido, quel levarsi in piò ha virtù di ar-
restore il padre, di restituirgli la padro-
nanza di sé, tolto per forza a queir istanto
di obbno, di fkrgli ricordare che ò padre,
e non gli ò permesso di essere uomo. Qael
loro offrirsi in pasto al padre non ò già
sublime sacrificio dell'amor figliale, sen-
timento troppo virile ne' teneri petti : ò
un' offerto trasformato immediatamente
in una preghiera, come di cosa invocata
e desiderato. » De Sanetie.
6i. quieta' MI : mi qaetol per non accre-
scere il loro dolore ; « Ut primum cesslt
fhror et rabida ora qulerunt »; Virg.,
Aen, VI, 102.
65. LO DÌ : Al. QUKL DÌ ; il secondo dopo
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[CSBC. 9. OIBO 8] iNF. XXIflI. 66-75 [MOITE Di TTOOLIVO]
67
70
73
Ahi, dora terra, perchè non t' apristi ?
Poscia che fummo al qoarto di vennti,
Gaddo mi si gettò disteso a' piedi,
Dicendo: '< Padre mio, che non m'aiuti? „
Quivi mori; e come tu mi vedi,
Vid'io cascar li tre ad uno ad uno
Tra il quinto di e il sesto ; ond' io mi diedi,
GHà cieco, a brancolar sovra ciascuno,
E due di li chiamai, poi che far morti:
Poscia, più che il dolor, potè il digiuno. >
rinohtodameoto della pori*.- l'altro :
il teno. - Tum : anche i figli, ohe nel
primo giorno pare non isteesero mnti. Si-
lenzio spaTentevole I lia per^è non prò-
cnrayano di confortarti TioendeTohnentet
Pare tuttavia ohe non rimaneesero asso-
Intamente moti. « Ha prima (di morire)
domanduido oon grida il detto conte pe-
nitenza, non gli concedettono frate o
prete ohe '1 confessaeae. B tratti tatti e
cinque morti insieme della torre, vilmen-
te ftirono sotterrati. » O. Vili. VH. 128.
66. DUSA : oradele, che non ti apristi ad
inghiottirmi per sottrarmi a tanto stra-
do j ctr. Virg., Am. X, 674 e seg.; XII,
SSleseg.
67. QUARTO: 1 giorni sono compatatl
dsl mattino che s*era sentito inchiodare
la porta della torre. Il primo giorno Ugo-
lino serba nn capo silenzio, mentre 1 figli
piangono ed Anselmnccio gli fa quella
strasiante domanda, v. 49*54. La mattina
del secondo giorno Ugolino si morde le
mani, qolndi T offerta dei figli, v. 55-63;
il rimanente di quel secondo e tatto il
terzo giorno osservano tatti an tremendo
silensio, v. 66. Nel qaarto giorno morì
Gaddo, V. 67-70 ; nel qninto e nel sesto
morirono gli altri tre, v. 70-72; nell'ot-
tavo giorno mori il conte, v. 73-75. Il
nono giorno la torre fti riaperta e tatti
Airone trovati morti. « Dopo li otto di
[donqae il nono] ne ftirono cavati e por-
tati inviloppati nelle staoie al laogo de*
Frati minori a San Francesco e sotterrati
nel monimento ohe è al lato alli scaloni a
montare in chiesa alla porta del chiostro,
coi ferri in gamba; li qnàli ferri vid' io,
cavati dal detto monimento »; BuH.
68. Gaddo : figlinolo maggiore di Ugo-
lino, ohe aveva già assanto il titolo di
conte, cfr. Murai., Script. XXIV, 666.
LtUa, Fam. eel. Ual., tav. V.
70. OOMS: determiiia la verità e realtà
delfetto: e cosi proprio come tavedi ora
me, cosi vid* io àllor cascar 11 tre ad ano
ad ano.
71. u Tsc : Ugaccione, Brigata ed An-
selmnccio. - AD UNO : « qnello spettacolo
di morte si ripete qnattro volte, e a lan-
ghi intervalli, entro tre giorni, e fa pos-
sibile che on padre vedesse qaesto, e
starsi qnieto, tener chioso in sé il sno
martirio, snatararsl, dismnanarsi. » De
Sanetit.
73. CIECO: tanto indebolito e già mo-
ribondo. - BRANCOLAR ! andare a tastone ;
cfr. Ovid., Met. VI, 274 e seg.
74. DUE: il settimo e 1* ottavo. Al. s
TRE DÌ, che sarebbero n sesto, settimo
ed ottavo; cfr. Moore, OrU., 863 e seg.
Air opinione che Ugolino vivesse anoora
qnando la torre fa aperta {Biag.)t non
giova badare, fhoendo cesa a' pugni coOa
storia.
75. POSCIA : passati i dae dì, il digiuno
potè ciò che non aveva potato il dolore :
mi accise. Inattendibile è V interpreta-
zione : La fame Ai piti forte del dolore e
m' indosso a cibarmi delle carni de* figli.
Qoesta antropofegia del conte non è
del tatto ignota alla storia; ma, dopo
otto giorni di digiano, 1* uomo non poò,
anche volendolo, addentar cadaveri per
cibarsene. La storia dell* tnotile, Innga e
noiosa controversia è ritessnta diligente-
mente da O. I^orza, Dante e i Pitani, 75
e seg. Una quarantina di scritti relativi
alla fkmosa controversia registrano De
Bàt. I, 787-40; Ferrai. IV, 401 e seg.;
V, 367 e seg. Recentemente ChUavHiMt,
II, 4) : « U digiano tanto mi esaninì da
impedirmi che io piti li toccassi e li chia-
massi. > Secondo il Poi., Ugolino vuoi di-
re « non già che abbia mangiato la carne
de* soci, ma che, tratto dall' istinto e co-
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[ente, f . GTBO 2]
In?. xxxTii. 76-85 [\mn. cohtbo fisa] 829
Quand'ebbe detto ciò, con gli occhi torti
Kiprese il teecfaio misero co' denti,
Che faro all'osso, come d'un can, forti.
Ahi, Pisa, -ntnperio delle genti
Del bel paese là, dove il sì snona;
Poi che i vicini a te pnnir son lenti,
Mnovansi la Caprara e la Gorgona,
E faccian siepe ad Anu) in sn la foce.
Si eh' egli anneghi in te ogni persona !
Chò se il conte Ugolino aveva voce
BM fkior di sé» n'abbia fMto come im
t«BtadTo. » XJgoHiko Tiiol raooontare eomé
<a morte wum fu cruda ; ond», dopo arer
dtwjimo le apaTenteroll sofferenso degli
«Ittml suoi éu coachiode col dire: nti
potflDte èbe non il dolore Ita il digiuno,
il qaale mi oondoaM a morte.
7S. Tovn s bleohi. Il racconto delle me
pene riimoTò in Ini la disperadone del
dolor» e riaooeoe Tira immensa contro
eU ne fti r aotore.
77. HiBKBO : « ch*egU area diretro gua-
sto », T. 8. Mlmté le carni de' figli, y. 63 ;
mitero andie 11 teeohio del traditore. Mi-
•erta per mieeriaf
78. CHX FUSO : che nel rosicohlaf^ il
craoio di Boggleri ftarono forti come
qiMlU d* un cane. Al. chv forIr l' osso.
Cfr. Z. F., 908. Mioore, OrU.. 304 e seg.
y.79-91Llmpreea»ioneeoniroPÌ9a,
Uditele narrasione orribilmente dolorosa
delle morte di Ugonno, Dante prorompe
in nne tremenda imprecadone contro
Pise, «Dgnrendo a' suoi cittadini totale
sterminio. Non ailbrma e non nega ohe il
eonte TJgoUno Ibese ooIpoTOle del tradi-
mento appostogli; ma accasa i Pisani di
srer tonnentato cosi sparentevolmente
gioraai innocenti, qnali erano i figli e
nipoti di Ugolino. Qoesta impreoaaione
rmmmente quella contro Pistoia, If\f,
XXV, 10 e seg.
70. Aja: « La teneresxa e la pietà pa-
terne direntano ftrooia e rabbia, le la-
grime direntano morsi, con infinito ter-
rore e orrore degli spettatori. Lo stesso
senttmeato guadagna Dante, ^inferocito
anche lui j diresti quasi, che se li aresse
ianaasl, 11 prenderebbe a morsi, quei Pi-
■ani, vituperio delle genti. » D$ StmetU,
30. VAXSE : Italia. -IL sì t la lingua ita-
liane; e^, Yulg. Bloq, I, 8.
8L yicixi: Fiorentini e Lucchesi. -
uorn: a punirti di A orrenda crudeltà.
« Questo peccato commesso per li Pisani
non rimase impunito » ; O. TUl. VII, 128.
« Iste Tindiota, qu» lidebatur terdari
tempore antoris, videtorfìsota diebusno-
stris. Kam opera norenttnorum iste ci-
Tites antiqulssima et olim potentissima
mari et terra, dednota est ad inflmum et
inflrmum statum, licet din ante istud
peccetum fhisset fhicte tnsolentia Pisa-
norum, et libertas conculcata ylrlbns
Januensium»; Benv,
82. Càpràra ; Al. CiPftiJÀ. Caprani
e €k>rgona sono due isolette nel maro
Tirreno non lungi dalla foce dell'Amo,
ambedue ai tempi di Dante sotto il do-
minio dei Pisani. « Cette Imagination pent
paraltre bisarre et forcée si l'on regaide
la carte ; car l'ile de la Gorgone est assez
loln de l'embonohure del' Amo, etJ'aTais
tonjours pensò ainsl Jusqu'anjonr, oh,
étant montò sur la tour de Pise, je ftis
frappé de r aspeot quo, de là, me présen-
tsJt la Gorgone. Bile semblalt fermor
l'Amo. Je oompris alors oomment Dante
arait pn avolr natnrellement cette idée,
qui m'avait seroblée étrange, et son ima-
gination fht Jastiflée à mes yeux»; Am-
pére, La Ortce, Rome et D., 8^ ed., 237.
Cr. ifanni, .9I^UIII,109.Ba««.,119 eseg.
83. 8IIPK: chiusura, A che TAmo, il
quale trarersa la città di Pisa poco prima
di ▼crearsi nel mare, si ritorca indietro,
allaghi la dttà e sommerga ogni persona.
«Non so se sia più feroce Ugolino che hn
i denti infissi nel cranio del suo traditore,
o Dante, ohe per yendicare quattro inno-
centi condanna a morte tutti gì* innocenti
di una intera città, i padri e i figli e i figli
dei figli. Furore biblico. » De Sanetii,
85. YOCB : fluna. Dante non decide se
la voce fòsse rera o frisa. Ugolino ta tra-
ditore del nipote Nino Visconti e fa ac-
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880 [CEBO. 0. G1B0 8] IHF. XXXIII. 86-93
[TOLOMBA]
88
91
D' aver tradita te delle castella,
Non dovei tu i figliaci porre a tal croce.
Innocenti facea l' età novella.
Novella Tebe, Ugaocione e il Brigata,
E gli altri due che il canto suso appella.
Noi passamm' oltre, là 've la gelata
Ruvidamente un'altra gente fascia,
Non vòlta in giù, ma tutta riversata.
onuto d'aver tradito la patria; onde U
Poeta lo mette lì proprio ral oonfine del-
l'Antenora e della Tolomea ; di modo ohe
non ò troppo ohiaro ae ri eia oome tra-
ditore ddia patria, o oome traditore dei
oommenaalL
88. CABTBLLA : cedette reramenteBien-
tina, Ripafratta e Viareggio ai Fioren-
tini ; 8. Maria in Monto, Fnoeoohio, Ca*
stolfranco, S. Croce e Montocalvoli al
Lncoheai, e dò per dlafore la lega dei
nemici di Pisa e salvare la patria ; ctr,
Murat., Script VI. 688eseg.,XXIV, 649.
G. FiZZ. VII, 98.Man2taràlmento, passato
il pericolo, l'opinione pobblica.fomentata
da' saol nemici, aocosò Ugolino d' av^r
ceduto le castella per tradimento, e lo
stosso Danto non seppe naotere contro
la corrente.
87. DOVEI : dovevi. -noLiuoi : flgliaoli.
- CBOCB : tormento, snppUcio.
88. HOVEU^: giovane; cfr. Conv.IV,
19, 24. Erano giovani totti quattro; An-
selmnooio non potova avere più di quin-
dici anni. « Di questa crudeltà furono 1
Pisani per lo universo mondo, ove si sep-
pe, forte biasimati, non tanto per lo con-
to, che per li suoi difetti e tradimenti era
per avventura degno di A fatta ^lorto, ma
per li figlinoli e nipoti, ch'erano giovani
garRoni e innocenti»; G. Vili. VII, 128.
89. Tkbb: « Assomiglia Pisa alla città
di Tebe, la quale nel tempo de'Poeti ebbe
tra dalli suoi concittadini et altri di ftiori
molte percussioni • ; Lan. - « Exolamando
centra civitetem Plsanam, vocando eam
novellam Thebam, ex eo quod secnndum
Ugutionem fundato fnit per quosdam
Grsecos, qui venerunt de quadam terra
Thebarnm qu» dicebatur Pisa »; Petr.
Dant. - « Quasi dicat tacite : 0 natio vipe-
rea ! Kam primi, ex quibus Cadmus con-
didit Thebas, flngnnt^r nati ex serpen-
tibns, quia semper gesserunt bella civilia
Inter se nimis omdeliter » ; Benv. - « Im-
però che di Tebe, città di GrexU fti
l'edificatore di Pisa.... B oome quelli
Tebani furono crudeli tra loro,... oosi
sono stoti i Pisani intra loro e ftuino e
sono nel detto caao. » Bufi. * « Le atro-
cità commesse a Pisa contro Ugolino e
la sua schiatto rioorduio quelle oommeaae
a Tebe contro la schiatto di Cadmo »;
Oom, Lipi. I«, 696. Cfr. Inf. XXVI, 63 e
seg.; XXX, 4 e seg. -Uouccionk: figlio
di Ugolino, ancor giovane nel 1288. - Boi-
GATA : Ugolino o Nino, figlio di Guelfoll,
e nipote di Ugolino ; non era più tanto
giovane nel 1288, perchò i Ghibellini vo-
levano associarlo al governo di Pisa;
cfr. Murai., Senpt. XXIV, «61.
90. DUE: Gaddo figlio ed Anselmacdo
nipote di Ugolino. - suso : v. 60, 68. ~
APPELI.À: nomina.
y« 91-108. Tolomea, la regione d&i
traditori d^ cotntnenealU II terso giro
dell'ultimo cerchio si denomina Tolomea,
probabUmente da quel Tolomeo ebreo,
ohe a splendido convito ncdse prodito-
riamento il proprio suocero e due suoi
cognati; (cfr. I, Maceab. XVI, 1M6): se-
condo altri da Tolomeo re d'Egitto, l'oe-
cisore di Pompeo. In questo giro 1 tradi-
tori degli amici e commensali son con-
fitti neUa ghiaccia, distesi supinamento
col volto in modo da guardare in alto e
non hanno neppure il conforto delle la-
grime, che air uscire si ragd^elano e ri-
tornano dentro per maggior tormento.
Qui Dante incomincia a sentire il vento
mosso dalle ali di Lucifero.
91. OLTRE: dall' Antonora nella Tolo-
mea. - GELATA : acqua gelato o ghiaccio ;
altrove g€laiÌ7\a, XXXII, 60.
92. BirviDAHEKTB: aspramento, in mo-
do tormentoso. - fascia : avvolge.
93. VÒLTA IN GIÙ: come nella Caina:
cfr. Iì\f. XXXII, 37, 62. - BIVKB8ATA :
oolla faccia volto all' insù. Porse perchè
costoro fecero i loro tradimenti goar-
dando amichevolmente in fàccia alle loro
vittime.
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^r
Ione n onte t]
Ikp. xxxiu. 94-108
[TOLOMIA] 881
109
iva
103
LiO pianto stesso li pianger non lascia,
E il duci, ohe trova in su gli occhi rintoppo,
Si volve in entro a far crescer F ambascia;
Che le lagrime prime fanno groppo,
E si, come visiere di cristallo,
Biempion sotto il ciglio tutto il coppo.
Ed awegna che si, come d'nn callo,
Per la fireddora ciascnn sentimento
Cessato avesse del mio viso stallo,
Oià mi parca sentire alquanto vento ;
Per ch'io: « Maestro mio, questo chi move?
Non è quaggiù ogni vapore spento ? »
Ed egli a me : < Avaccio sarai dove
Di ciò ti farà l'occhio la risposta,
Yeggendo la cagion che il fiato piove. »
M. BOH LA0CU.: « però ohe, oome le
lifriae nseiTono ftiori, ghiacdavoDo in
■B ^ oooU, r altre lagrime non avero-
•0 ÌBogo et per eonteqvent non poteono
■•eìre fuori » ; An. Fior, - « £t questo
ftoge, perchè qui al panìaoono quelli ohe
•otto specie di benevolenza e d'amore
haoBo tradito. Hanno adunque dimostro
«fDo di carità, perchè meno si guardi
^ TOf Uono tradire. St questo esprime
le star supino, che è guardare in so in-
verso il cielo; ma non stanno In forma
che le lacrime possano uscire, perchè
tal carità è finte. Adunque il pianto non
laicia piangere e cresce l'ambascia, per-
chè quelle Ante carità accresce il tradi-
Bsnto, onde merita maggior suppliaio. »
Lmnd.
•6. DfUOL: lagrime; la cagione per l'ef-
fetto. - Burroppo : propr. urto in contra-
rie; qui per impedimento materiale, cioè
di altre lagrime gelate.
97. PBiifS: primieramente Torsate. -
OBOPPO: on nodo di ghiaccio.
1». tisibbk: toU, bende, cfr. y. 112.
AL: Qoasl oochiaU: Benv,, Land., FsU.,
Dtm,, Fai^., ecc. Gli occhiali si adopra-
Bo per reder meglio; qui invece le la-
grime, fotte ghiaccio, impediscono la vi-
sta. Le visiera dell* elmo poi, ohe ouopre
Q vtoo del guerriero, non ha qui ohe Csre.
«Cervix Dirignit, saxoque oculomm in-
domit humor >{ Ovid., Mei. V, 232 e seg.
- « Fri gidoa ventus aqiAlo flavit, et gela-
vit crystallus ab eque,... et sicut lorica
iadnet se aquis»; £ecUt. XLIII, 22.
90. COPPO: apertura concava; qui per
la cavità dell' occhiaia. « Coppo, in To-
scana, è vaso di terra cotta da rlporvi
liquidi. La cavità dell' occhio è oome un
coppo o una coppa, che tien dentro di
sé e conserva gli umori dell'occhio. »
Oa verni.
100. AvvcoifA CHK: quantunque per il
fireddo il mio viso avesse perduto ogni
sensibilità, oome se fosse stato una parte
callosa, tuttavia giè mi pareva di sentire
alquanto vento.
102. STALLO: dal basso lat. itaUum,
luogo di abitasione. Oeeear «(aUo— ces-
sare di stare in un luogo ; quindi — si
fosse allontanato dal mio volto.
103. VKNTO: ohe veniva dalle ali sem-
pre mosse di Lucifero; confr. Injtriìo
XXXIV, 61.
104. QURSTO: vento.
105. QUAGGIÙ: AI. QUAGGIUSO. <Ven-
tus est aSris flnensunda.... Nasoiturcnm
ferver offendit hnmorem , et impetus frao-
tionis exprìmit in spiritus flatum » ; Ti-
truv. Quindi la domanda: Come può es-
sere vento qui, dove non è sole che dilati
e sollevi in vapore una parte dell* ariaf
106. AVACCIO : in breve, tosto ; cfr. I^f,
X, 116. Par, XVI, 70. Encid., 162.
107. FARÀ : vedrii co' tuoi occhi onde
questo vento derivi.
108. VKOOKMDO: cfr. Jf|A XXXIV, 46
e seg.
V. 100-150. Frate Alberigo e Bran-
ca d'Orla, Uno spirito prega i Poeti,
ohe crede anime dannate all' ultimo giro
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388 lene. 9. eiBO 8] Int. xxxm. 109-119 [FttATB àlbbbfbo)
109
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115
118
E un de' tristi della fredda crosta
Gridò a noi: « 0 anime crudeli
Tanto, che data y' ò l' ultima posta,
Levatemi dal tìbo i duri veli,
Si eh' io sfoghi il dolor che il cor m'impregna,
Un poco, pria che il pianto si raggeli. »
Per ch'io a lui: « Se vuoi ch'io ti sowegna,
Dimmi chi sei ; e s'io non ti disbrigo,
Al fondo della ghiaccia ir mi oonvegnal »
Rispose adunque: « Io son frate Alberigo,
Io son quel delle frutta del mal orto.
dell* Intèrno, di togUexgU il ghUu)CÌo da-
gli occhi, affinchè e' possa sfogare nn mo-
mento, piangendo, il sno dotore. Danto
gli domanda ohi egli sia. « Sono Prato Al-
berigo.» «Oh, sei ta già mortof »<I>el
mio corpo non so nella. Appena ef-
fettuato il tradimento de* commensali
r anima piomba quaggiù, ed il corpo,
che iMSù nel mondo pare ancor tIto, è
animato da nn diayolo. Qni Ticino è da
molti anni Ser Branca d' Orla, nel coi
corpo sto pnre nn diarolo, » Lo spirito
rinnova quindi la preghiera di aprirgli
gli occhi, ma Danto non lo esaudisce per
non accrescergli pena.
109. CROSTA: gùacda del Cocito ; cflr.
Jf^, XXXIV, 75.
110. o ANIMB: 1 più intendono: O ani-
me, tanto crudeli (scellerato), che sieto
condannato alla più profonda regione del-
rinfemo. Altri: 0 anime crudeli (della
greggia de* traditori, dunque nostre si-
rocohie), tanto che (mentre che) siete con-
dotto giù nell' ulthno giro. Altri : O ani-
me crudeli che pototo mirare questo mio
tormento sensa piangere, ecc. La prima
intorpretaxione merito la preferensa.
111. POSTA: posto, luogo; cioè la Gin-
deooa.
112. TBU : le lagrime ghiacciato, detto
pure « visiere di cristallo », y. 98, e « in-
retrlato lagrime », ▼. 128.
113. BPOGR] : col pianto. - M* imprbgka :
mi gonfia; mi riempie 1* animo.
lU. pbia: prima che il pianto si con-
geli nuoramento sugli occhi.
110. CHI BEI : Al. CHI POSTI ; cfr. Z. F.,
210 e seg. - disbrigo : s' lo non ti levo da-
gli occhi 1 éhtH véli,
117. MI oonvboha: Dante doveva in-
fittii pervenire sino al fbndo della ghiac-
cia, al centro dove sto LucKIsro, ma per
uscire dan*Inl!Bmo, non per restarvi,
n dannato, che crede di parlare con
un' anima dannata, prende le parole per
un giuramento, onde si manifesta.
118. Alberigo: figlio di Ugolino dei
Manfredi, fhito gaudento sin dal 1267»
uno del capi di parto guelAt a Faenaa.
« Ift fluna òhe firato Alberico de* Manfre-
di, cavaliere gaudente, ardentissimopftr^
tigiano di chiesa, ed uno de* più spetta-
bili di sua ftmilglia, venuto a contesa per
gara di dominio col consanguineo Man-
fredo, nel calore di quella rliMRtoase dal
costui figliuolo, nomato Alberghetto,iina
solenne oeflkto. Concepì Alberico per
qnell* «nto odio si mortale contro Toffea-
sore, che, malgrado degli uffici adoperati
dagli amici, giammai s' indusse nei cuor
suo a perdonargli, e solo scorso aHnm
tempo fÌB* mostra di arrendersi e di pie-
garsi a' consigli di pace, mentre a meglio
colorire l'iniquo disegno, che andavagit
per la mento, invitò Manfredo e Alber-
ghetto ad un pranto che segni a* 2 mag-
gio del 1286 nella villa o castoBo'di Fran-
cesco Manfredi, posto nella pieve di Ce-
sato, e detto la Òastolllna ; ove, lecondo-
chè Alberico erasi indettato con idcunl
sicari, quando H convito fu In sul termi-
nare, disse : Vmgano lefntUa; ed ecco In
uno subito Ugolino, figliuolo di lui, e U
prenominato Francesco, ad una coi na-
scosi scherani, scagliarsi co' pugnali ad-
dosso a que* due miseri e barbaramento
uccideril. » VàlffimiifK. Cfr. Ferm, V,
868-871. e. Vm, X, 27. Murat., Script.
XVIII, 181. Bneid., 52 e seg,
119. DELLB PRUTTA: Al. DBLLB PEUT-
TB; Al. DALLB PB^TTE. « Dloltor prOVOT-
bium : de le frutta di Fra Alberigo » t
Jfwrof ., 1. e. - MAL OBTO : oresduto nel-
1* orto del male, perchè ftarono 11 segnato
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[GJUC. 9. 9IB0 »] IkF. XXXIIL 120^134 [FBATB ALBSBIGO] 383
lU
124
127
130
138
Gha qui riprendo dattero per figo. »
€ Oh, » disgi lui» € or «e' tu ancor morto? i»
Ed egli a me: < Come il mìo corpo atea
Nel mondo so, nulla soienBa porto.
Cotal vantaggia ba queeta Tolomea,
Gbe apeeae volte V anima ci cade,
Lmanii di'Àtropòs mossa le dea.
E perchè tn più volentier mi rade
Le invetriate lagrime dal volto.
Sappi che tosto che V anima trade,
Come fec'ioy il corpo ano l'ò tolto
Da un dimenio, che poscia il governa
Mentre che il tempo suo tutto sia vòlto :
Ella mina in A fatta cisterna;
E forse pare ancor lo corpo suso
deltndlnMiito. Altri intendono di I^mium
eho prodnee fonte A perrena. Bmv. rl-
oord&imA teftdiiione, eeoondo la qnnle il
oonTtto del 2 maggio 1285 si sarebbe flitto
neU*orto deUa TiQa dei Manfredi. «iPVuttf
del mai orto è proverbio toeoano »; Tom,
120. BirBBROO: mi è «endoto pan per
lòoaooia; vioevo qui la pena del mio tra-
dimento. - noo: floo ; ;l^ si diaae in tutte
le Uogoe Tomanie. Cfr. Nawme., ToH,
Me aeg.
121. OH! nel mano del 1800 Fra Albe-
rigo Tireva ancora ; quindi la meraviglia
di Dante di trovarne l'anima neU' In-
famo. - AMCon : già, non eaeendoeene sin
9111 udita la notìda.
128. HI7LLA ecuHZA: del mio oorpo
laaeti nel mondo non so nnlla. Giova
rioordarsl ohe i dannati ignorano le cose
presenti; efr. W. X, 103 e seg. Quindi
Alberigo ignora se il sno oorpo e quello
di Branca d* Oria sembrino ancor rivi
en nel mondo.
124. YAHTAOOio : prerogativa. Gli altri
eerehi infornali non accolgono le anime
obe dopo la loro separaalone dal corpo;
la Tolomea già prima.
125. CI CAHB: qnagglb nella Tolomea.
«Deeeendant in Infomnm viventes»;
PmL LIV» 1«.
126. ATBoròa: qoella deUe tre Parcbe
ohe ba Toflolo di recidere lo stame della
▼ita. Ma perchè racconta II dannato qne*
ste eseef Se ^U oiede di parlare con
nn* anima dsnnsts alla Giodeeoa, pare
Qbo 4mffik\» iivpocre che quell'anima
se lo sappia già. Si rispose: « Potrebbe
anche sopporre che quell'anima non se
lo sappia.» &, Uau. Ha si stenta a
crederlo. Alberigo non poteva sapere
se queste anime non fossero esse pare
di qnelle che scendono giù nell'Inferno
prima di essersi separate dal oorpo per
morte.
127. BADI: rada» tolga le lagrime
ghiaooiate.
120. TKÀDK: tradisoe; da triidÉre per
tradir», come Inf. XI, 00.
130. COME : dunque non a tatti i tra-
ditori, ma soltanto ai più neri tocca tal
sorte. 0 forse solamente a quelli della
Tolomea f Dal verso 124 sembra vera-
mente che sia cosi. Ha avendo Dante
evidentemente preso il suo concetto da
San Giovanni, XXU, 27 (• St post hoc-
oellam, tane introivit in iUnm [Giuda]
Satanas »), si dovrà supporre che anche
la Giodecca abbia eottU vantaggio,
181. GOviiufA: facendo le veci del-
l'anima.
182. Mornut: per tutto quel tempo
che, secondo il destino, quel corpo deve
vivere. « Breves dies hominis snnt, nu-
menu mensinm eius apud te est; con-
stìtulsti termiaos elus, qui pneterlri non
poterant »; Job, XTV, 6. - vòlto : pas-
sato; ne sia compiuto il giro.
183. ut si: In queste posso infornale,
che è così flatto come tu redi.
184. lOBSK: il dannato non lo sa; cfk*.
V. 128 nt.-PASS: appare, si mostra.
BUSO : nel mondo.
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884 [CBRO. 9. GIRO 8] InF. XXXIII. 185-150
[SBANCA D'OBIA]
136
139
143
145
148
Dell' ombra che di qua dietro mi verna.
Tu il dèi saper, se ta yien par mo gioso :
Egli è ser Branca d' Oria, e son più anni
Poscia passati, ch'ei fa si racchiaso. »
«Io credo » diss'io lai, « che ta m'inganni;
Che Branca d' Oria non mori anqnanche,
E mangia e bee e dorme e veste panni. »
< Nel fosso sa » diss'ei, « di Malebranche,
Là dove bolle la tenace pece.
Non era gianto ancora Michel Zanche,
Che qaesti lasciò an diavolo in sua vece
Nel corpo sao, ed an sao prossimano.
Che il tradimento insieme con lai fece.
Ma distendi oramai in qna la mano;
Aprimi gli occhi! »; ed io non gliele apersi;
E cortesia fa in lai esser villano.
185. MI MCBNA: è qui dietro a me nel
Terno infernale, cioè nel ghiaccio della
Tolomea.
136. PUB MO; in questo momento,
or ora; cfr. Inf. X, 21; XXVn, 20.
137. Bbakoa d'Oria: cavaliere geno-
vese, genero di Michele Zanche signore di
liOgodoro in Sardegna; ofr. If>/. XXII, 88.
« Avendo diritto l'occhio alla signoria di
Logodoro, invitò a mangiare seco a nno
SQo castello qneeto sno snocero, et ivi
finalmente il fe' tagliare per peisi lai et
tntta sua compagnia »; An. Fior» Il fktto
avvenne nel 1275. Secondo on' antica tra-
dizione, Dante avrebbe scritto qaesti
versi per vendicarsi di nn* ingiuria fat-
tagU dal D'Oria; cfr. Fa/panH, 151-58.
- PIÙ : venticinqne.
140. UNQUANCHV : lat. unquam — non
mai; non è ancor morto. Visse infktti
sin dopo il 1800 ; confr. MwiU., Script,
XVII, 1023. Vedi però D0I Lungo, Di-
no Oomp. II, S82 ni. 12.
HI. MANGIA: non ò ammalato; man-
giare, bere e vestirsi sono operazioni
della vita corporea ri, ma di persona non
colpita da grave malattia.
142. VO88O : bolgia de' barattieri, Inf,
XXn. L'anima di Branca d'Oria andò
a casa del diavolo prima di avervi man-
dato il snocero.
140. XD UH : e on eoo prossimano (nipo-
te. An. Fior., Bonv.g o cogino, Ott.) fece
lo stesso, lasciò cioè nn diavolo in sua )
vece nel oorpo sno. Al. e d' un suo : fti
forse Branca d'Oria che lasciò an diavolo
nel corpo di qoel sao parente!! 0 prese
lo stesso diavolo possesso di dne oorpf,
faoendo le veci di dne anime f I oodd.
hanno edun, aloani e< unf Voéun ò da
leggere ed un,
148. ORAMAI: Al. OMAI, OOOIMAI, eOO.
Ora che ho fistto qnanto chiedesti e più
ancora, ote. v. 115 e seg.
149. APBIMI: levandomi dal viso i dori
veli, V. 112. -GLiKLi: così dissero infinite
volte gli antichi invece di glieli, come al-
enai leggono; cfr. Oinonio, Fartió., 122.
OortieeUi II, 18.
150. COBTBSIA: risparmiandogli la pena
di veder che Dante era vivo e poteva
riportare sne novelle nel mondo. AL:
Atto di cortesia, cloò di gratitndine ver-
so Dio; cfr. If\f. XX, 28. « Onesto si In-
tende che il non fkr cortesia a frate
Alberigo fa cortesia: imperò ohe non si
dee fftre villania al maù;iore, per fkre
cortesia al minore ohe non la merita;
aprir li occhi a colai era seoondo la fin-
itone di Dante fare contro alla giostisia
di Dio, la qaal cosa sarebbe stato grande
villania, e però non Carlo ta. cortesia »;
IBuH. - IN LUI: contro di Ini; Al. lui. -
VILLANO : non muitenendogli la promes-
sa, V. 115 e seg.
V. 151-157. InvotHva Cóntro i Oohù-^
v€9Ì. Ripensando al tradimento di Branca^
d'Oria, Dante invoisoe contro 1 Oeno-
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[CIBO, f . 6IB0 8]
iNF. XXXIII. 151-157
[INYBTTIYI] 835
151
IM
157
Ahi, Genovesi, aomini diversi
D'ogni costarne, e pien d'ogni magagna,
Perchè non siete voi del mondo spersi ?
Che col peggiore spirto di Romagna
Trovai di voi un tal, che per sna opra
In anima in Codto già si bagna.
Ed in corpo par vivo ancor di sopra.
T0ai ed ingarm loro lo tterminlo, perchè
gente alien* d* ogni buon ooetame. Dello
stato e dei ooetnml di C^enova yeno
il ISOO Iacopo d^Oria torive: « QnamTle
bie temporibae oivitas lano» in tante
eeeet enbUmitate, potentia, divitiis et
bottore, nibllominns tamen im civitate
ei extra homioide, malefiMtores, et in-
ttìtim eoiitemtoree moltiplicare ccepe-
rant. "Sam tempore dieti Poteetatie ma-
leArotoreo qoamplarimi i^adiie et laonlis
ad InTieem die noctoqne perentiebant,
ao etiam perlmebant. » ilùnU., Script.
VI. 608; efr. Yirg., Aen, XI, 700 e seg.
151. DiYKBSi : estranei ad ogni ooetame
onesto. « Alieni ab omnibus alUs boml-
nibos In moribns, pneoipne in onpidi-
tafee qn»rendi et pardtate servuidl.
Ham «ilm itaUd Ttront misertns, Uoet
in apparata et ornata exterlorl aint splen-
didi »; B€nv. Cfr. Ferraz, V, 872 e seg.
16S. MAOAOHA : tIsìo. « Uno Noflb
Del.... pieno d' ogni magagna »; O. YUL
Vni, 02.
153. BPIB8I: dispersi, sterminati; cfir.
Ifkf. XXV, 10 e seg.
154. BPIBTO: Alberigo dei Manfredi,
da Faenza In Komagna.
155. DI VOI uir TAL: Branca d'Oria,
▼ostro concittadino. - opba : malTagla ;
in pena del sno tradimento.
156. BAGHA : \k doTc I peccatori stanno
freschi, Iftf, XXXU, 117. Bagno freddo,
nello stagno gelato del Ckxdto.
157. PAB: appare, ai mostra. - di so-
pra : nel mondo. « Perchè secondo la fin-
alone dell' A., ancora era vivo quanto al
corpo»; Buti,
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386 [CBBC. ». OIBO 4] IHF. XXXIY. 1-7 [LUCIFSBO]
CANTO TRENTESIMOQUARTO
CEBOHIO NONO : FEODB IN OHI SI FIDA, O TBADITOBI
anto quabto-giudbooa: tbaditobi db'bbnbfattobi
(Intaramente ooBflttt ietto la ghiMoU in quattro dly«ne potitnze)
LUOIFBBO B LA SUA 8T0&IA
(Immerso nella ghlaoda da messo il petto in giù, e di ftmna mostrooea)
BOOOHB DI LUOIFBBO: TBADITOBI DBLLA MAB8TÀ
(Madollati dai denti di LnoiliBro, e Giuda anche 80ortioato>
QIUDA I8CABI0TT0, B&XJTO E 0A88X0
DAL centbo dell' UNIVEBSO ALL'ALTBO BMISPEBO
€ Vexilla Regia prodeunt Inferni
Verso dì noi ; però dinanzi mira, »
Disse il maestro mio, < se tu il disoemi. »
4 Come qnando una grossa nebbia spira,
0 quando l' emisperio nostro annotta,
Par da lungi un molin che il vento gira;
7 Veder mi parve un tal dificio allotta.
V. 1-9. La prima vitta di iMdfèro. 8. Bi tu : se roscnrità non Vimpedisoe
Passando nell' attimo giro, Virgilio ar- di distingaerlo.
verte Dante che sono oramai Ticini a i. obossi.: fitta. -spnu.: esalai oibrse
Dite, adattando al caso le prime parole « appropria lo spirare che è delibarla alla
dell'inno alla croce di Fortunato di Ceno- nebbia, perciocché è dall'aria portata e
da, TCSCOTO di Poitiers, del sesto secolo : mossa »; Lomb.
e Vexilla regie prodeunt, Folget cracis 6. ankotta : quando incombe la seia.
mysterium. » Dante leva gli occhi e l'or- 6. pab : appare, si mostra. - onu. : un
rida figura di Lucifero, che agita le sue mulino a Tento,
sei ali enormi, fk su lui l'impressione d'un 7. DmoiO: ordigno, macchina. « Di-
mulino a Tento, quando l'aria è offuscata fteio, che il popolo ora dioe pia Tolenttsri
da fi tta nebbia o dall'oscurità della sera. diftko o dejiio, significa una fisbbrioa con
1 . TKxiLLA : i ve9t%Ui del re dell' Inferno maoohinamenti mossi per lo più dall' ao-
vengon fuori. I TessilU sono le sei ali qua e ora anche dal Tapore, e Insomma
di Laoifero che STolassando muovono il un mulino »; OavenU. - allotta : allora ;
vento, di che Oocito s'aggela. ott.If\f. V, 63; XXI, 112 j XXXI, 112.
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[CEBC. ». orso i]
Iirp. xxxiY. 8-20
^wf
[LUCITBBO] 337
d
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Poi per lo vento mi ristrìnsi retro
Al dnca mio; chò non v'era altra grotta.
Già era, e con paura il metto in metro,
Là dove l'ombre tutte eran coperte,
E trasparean come festnca in vetro.
Altre sono a giacere; altre stanno erte,
Qaella col capo e quella con le piante;
Altra, com'arco, il volto a' piedi inverte.
Quando noi fummo fatti tanto avante,
Che al mio maestro piacque di mostrarmi
La creatura ch'ebbe il bel sembiante,
Dinanzi mi si tolse, e fé' restarmi,
€ Ecco Dite, > dicendo, « ed ecco il loco.
8. POI : anendo inrooedato on pò* più
tiuiMiai, procurai di ripararmi dal renio
■wttcndoBii dietro aDe tpaUe di Vir-
fOio.
9. OBOTTA: argine, riparo, sdiermo
al Tooto; ate. Inf. XXI, 110.
V. 10-15. GhtéeotM, ia regione dei
irtidU&H de^benefattoH. IfeU'nltimo
giro la anime sono intieramente conUtte
aetto la ghiaoeia in quattro diverte po-
etare. « Qoeete quattro diiferensie pone,
perdiè qnattro sono le differensie di qne-
bU ^aditori: imperò ohe altri aooo ohe
osano Cadimento alll benefuttori suoi
pari, e questi Hoge che stiano parimente
a giacere; et altri sono ohe l'usano cen-
tra li maggiori benefattori tanto, come
•soo i signori e maggiori e maestri e
qoalnnque altro grado di maggioria, e
questi stanno col oapo in gih e eo*piedi
in SU; et altri sono ohe l'usano oontra li
minori ohe sono loro benefitttori, come li
signori oontra H sudditi, e questi stanno
col capo in su e co' piedi in gih ; et altri
sono che 1* osano oontra li minori e oon-
tra U maggiori parimente, e questi stan-
no inareooohiati eoi capo, e coi piedi pa-
rimente in già nella gbiaocia; e totti
stanno rireni, doò roresdo, perchè sfko-
datamente sansa alcuno ricoprimento
hanno osato lo tradimento »; Buti,
10. COH PAURA : « horrosco referens » ;
Yirff., Aen. U, 204. Cfr. Inf. XXH, 81.
12. TBA8PABSAH: AI. TBAAPASftX. -
FiaTDQA: pagliussa. « In liquidis trana-
loeet aquis, et ebomea si quis Signa te-
ga* elaro tcI candida lilia ritoo >; Owid.,
Mei, IV, 354 e seg.
32. — JHe. Oamm., 4* odia.
13. BOHO - STAinrO: AI. BONO - BONO;
AI. BTAimo - STAHVO, coc. Cfr. Mòore,
OriL, 805 e seg.
14 QUELLA - QUKLLA : Al. ALTBX •>
ALTRI^.
16. IL VOLTO : Al. IL COLLO. - IMYEBTB :
oonvolge, rivolta; « come fi» uno arco,
che r una dma d *piog* Terso 1* altra,
ood il oapo d'uno peccatore d piegava
et tornava sotto i piedi, fÌM>oendo arco di
sé »; An. Fior. - « Parvns erat gurges,
eorvos sinuatus in arcua »; Ovid., Mei.
XIV. 51.
V. 16-54. J>e9crÌMt4me di Zueifèro.
Ecco Ditet Bsce fuori ddla ghiaccia da
messo il petto ed è più che smisuratis-
almo gigante. È una figura orrida e ter-
ribile. Ha tre fiMoe: una vermiglia, una
gialliccia, la tersa nera. Sotto ciascuna
tsoda escono due grandi ale, dmili a
quelle del pipistrello, ohe fìuino il vento,
onde Oocito s* aggela. Piange con sd oc-
chi, e le lagrime colano gih pei tre volti
e al mescolano colla sanguinosa bava
oh' esce dalle tre bocche. Ctt, 0r<tf, De-
menoìogia di D., 22 e seg.
18. USL: si credeva che, prima della
sua caduta, Ludfero fosse il più bello e
più eccellente degli angeli; ofr. Pwrg.
Xn, 25. Farcid. XIX, 47. Thom. Aq.,
aum. theol. I, LXUI, 7. Petr. Lomb.
II. 3, 4.
19. DIXAHZI : ofr. V. 8 e Beg. " fb' hb-
BTASMi: mi f;»ce fermare.
20. DlTR: ott. W. XI, 05; XII, 3».
Chiama coal, seguendo Virgilfo, Aen. VI,
127, 200, 387; VII, 668; XU, 199, ecc..
Satanasso, il prindpe dei diavoli.
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838 [CBBC. 9. onto i] Inf. xxxit. 21-35
[LUCIFBBO]
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Ove oonvien che di fortezza t'armil »
Com' io divenni allor gelato e fioco,
Noi dimandar, lettor, ch'io non lo scrivo,
Però ch'ogni parlar sarebbe poco.
Io non morii, e non rimasi vivo ;
Pensa oramai per te, s'hai fior d'ingegno,
Qnal io divenni, d'nno e d'altro privo.
Lo imperador del doloroso regno
Da mezzo il petto nscla fnor della ghiaccia;
E più con nn gigante io mi convegno.
Che i giganti non fan con le sue braccia:
Vedi oggimai qnant' esser dee qnel tntto,
Che a cosi fatta parte si confaccia.
S' ei fa si bel, com' egli ò ora bratto,
E centra il suo Fattore alzò le ciglia,
21. FORTEZZA : d'animo; di coraggio
por soetenerne 1» Titta, e per dipartirsi
dall'Inferno giù e sn per il corpo dello
•paventevole demonio.
22. DiVKNNi : pei; lo spavento. - ob-
lato : « però ohe per la paura manca il
caldo naturale, et pertanto divengono
le membra gelate ; ohe *1 sangue è corso
verso il cuore. Fioco diviene, perchè lo
spirito che sospigne ftiori la voce, diviene
debole, si che mancando viene meno la
voce, et non è cosi chiara et così so-
nante *; An. Fior,
24. POCO: insaffidente ad esprimere
tanto spavento.
26. NON MORII : sentii lo spasimo della
morte, pnr conservando U coecienxa
della vitalità. Confr. Pier VettoH, Var.
Lect. XXXI, 21. Fèrraz. V. 878.
26. FIOR: un poco d'ingegno; ofr. If\f,
XXV, lU. Purg. Ili, 185.
27. d' uno : della morte. - D* ALTRO :
della vita. Né vivo, né morto.
28. LO IMPRRADOR: « si noti la spaven-
tosa maestà di qnesto verso »; L, Veni.,
Sim., 626. Lucifero ò detto imperador dH
doloroeo regno per essere 1* antitipo AtA-
V imperador ohe Uueù regna, cioè di Dio;
cft. If^, 1, 124.
29. DA MBZZO: «Cum [Orion] pedes
incedit medii per maxima Nerei Stagna
viam scindens, nmero supereminet un<
das »; Virg,, Aen, X. 764 e seg.
80. ■ Fiù: e la sproporsione tra me
•d un gigante è minore ohe non tra un
gigante e le braoda di Ludfero.
82. QUKL TUTTO : 1* intiero corpo di
Lucifero.
88. PARTI : braoda. - si covpaccia :
stia in proporzione. Fondandod su oal-
odi approsdmativi, la Inaghessa deHe
braoda d disse di m, 410 e 116 milHm.
(AntonelH), l'altessa ddl' orrendo mostro
di 200 {Land., ManetH, Oalilett, o 800
braoda (VOL)-, oppure di 1468 piedi di
Parigi (Filai )i di 2106 braoda (Anio-
n«UO, ecc. Il Poeta non fbmlsee dati
bastevoli ad nn compoto di eeatteasa
matematica.
84. FU ! prima ddla sua ribellioiie e ca-
duta. « Dictos est autem Lndfer, quia
prfB csteris luxlt, suseque pulcritadinis
condderaUo eom excsDcavit •; Bonarei^
tura, Comp. theol. veritaHi II, 28. -« La
sua deformità e turpitudine mostra bene
che ogni male dee procedere da esso, oon-
dderando la superbia, in laqualeelli s'In-
viluppò centra lo sno creatore, il quale
l'avea creato in tanta bdlesMk, quanto
è contraria la sua sossessa »; Lat^ e,
quad con le medesime parole. Ott, -
« S' egli, essendo si bello come or» è al
brutto, tuttavia d ribellò al sno Fattore :
conviene ben dire oh' egli sia veramente
la fonte d'ogni neqnida e d'ogni danno »;
BetH.
86. ALZÒ : d rivoltò superbamente al
suo Fattore. « Non solnm autem vddt
esse »qnalis Deo, quia praMumdt ha-
bere propriam voluntatem, sed etlam
maior volnit esse, volendo, quod Deot
illum velie nolebat, quoniam Tolontatem
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[CKBC. 9. 6IB0 i]
Inf. xxhy. 36-51
[LUcmBO] 839
i3
46
49
Ben dee da Ini procedere ogni Intto.
Oh, quanto parve a me gran maraviglia.
Quando vidi tre facce alla sua testa!
L'nna dinanzi, e quella era vermiglia;
L'altre eran due, che s' aggiungiòno a questa
Sovresso il meszo di ciascuna spalla,
E si giungièno al loco della cresta;
E la destra parea tra bianca e gialla ;
La sinistra a veder era tal, quali
Yengon di là, onde il Nilo s'avvalla.
Sotto ciascuna uscivan due grand' ali,
Quanto si convenia a tanto uccello :
Vele di mar non vidi io mai cotali.
Non avean penne, ma di vipistrello
Era lor modo; e quelle svolazzava.
Si che tre venti si movean da elio.
•ouB sapn Tolaatatein Dei posoft »;
Anml., IH etuu DiàMi, o. 4.
36. BOI DKK : è ben giosto. - lutto:
« Quid praTins, quid maHgniiu, quid tA-
▼enario nostro neqoinst qal posoit in
eoBlo bellam, in paradiso frandem, odiom
Inter priuMM fk»tres, et in omni opere
nostro sisaoia seminaTit.... Omnia mala
mandi soa snnt praritate oommixta » ;
JS. Avg,, in SeripL eom. Ser., 4.
88. TBK FAOCK: evidentemente Lnei-
fero è 1* orrendo aatitipo della SS. Tri-
nità. Dubbia è tatuala l' aUegoria deUe
eoe tre tÈOOt. Si dice che esse Ugnrano :
Igaoransa, Odio ed Impotenia; Ott.,
Oas»., Ah, Seim., Petr, Dani., Benv., ecc.
ATariaia. Invidia ed Igaoransa; Anon.
Fior., eoe. Ira, Avarisla ed Invidia;
BvUt Land., Véli., eoo. Cononpisoensa,
Ignoranxa, Impotenza; TorrieeHi, Di
Siena, eoe. Soperbia, Invidia, Avarizia;
Dom. Mauro, eoe. Empietà, Superbia,
Invidia; BardK, eeo. Le tre parti del
mondo allora conosciute; Lomb, ed il
più dei moderni. Roma, Firanse e Fran-
aia(1); Bo$t., Aroux,, eeo. Se Lucifero
è r antitesi deUa SS. Trinità, la quale è
Podestate, Sapiensa ed Amora (fV. Ili,
S-0) le tre flioce figurano 11 contrario,
doè Impotenxa, Tgnoransa ed Odio. Cosi,
oltrel già citati. Io», Dani., BambgL, eoe.
89. VKBmoUA: odlo.
40. ALTBK KBAS: Al. DKLL'ALTKK DUK.
-a'AOonnioiàKOt si ergevano ciascuna
sopra una delle spalle, e tatto tre si ri-
oongiungevano sul vertice del capo.
42. CRK8TA t vertice ; ma dice eretta ao-
oennando alla superbia di Lucifero.
48. DK8TEA : feccia. - TKA BTAHCA K
GIALLA: gialliccia; denota l'impotensa.
44. TAL : nera, come gli Etiopi ; denota
rigooransa.
45. DI LÀ: dair Etiopia. - ohdk: Al.
OVK.-B' AVVALLA : sceudo nelle valli del-
r Egitto.
46. ciASCim A : delle tre fecce.
47. QUANTO: propora. alla grandezza
del mostro. -uocKLLO: ott. Ir^. XXII,
96. Par. XXIX. 118. Lucifero ha sei ali,
giusto come i quattro animali che stanno
intorno al trono di Dio, Apoeal. IV, 8»
48. COTALI: di si enorme grandesia.
40. VIPIBTRKLLO: AL V18FISTKBLL0 ;
cfr. Z. F., 213.
50. MODO: forma, materia, colore e
struttura. « Slcut enim vespertilio prò*
ditor spoliatos plumis suis missns est in
tenebram nooturnam ab aquila iuzta fe-
bulam Aesopi, unde non audet apparare
in luce ; ita recto ipso Lucifer, qui prodÌ>
dlt Dominum Deum suum, et velut tran-
sfuga deseruit coelum, privatus gloria et
luce sua, damnatns est ad tenebram eter-
nam Inferni » ; Bene. ~ svolazzava t di-
batteva, agitava. AL n suso alzava.
Al. m su LAHCtAVA.
51. TRK : da dasoun paio di ale. - da
SLLO: da Lucifero.
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840 Tbocche di luci?.] Inf. xxxiy. 62-66
[LUCIFEEO]
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6i
Quindi Oocito tatto s'aggelava;
Con sei ocelli piangeva, e per tre menti
Gocciava il pianto e sanguinosa bava.
Da ogni bocca dirompea co' denti
Un peccatore, a guisa di maciulla,
Si che tre ne facea cosi dolenti.
À quel dinanzi il mordere era nulla
Verso il graffiar, chò talvolta la schiena
Eimanea della pelle tutta brulla.
« Quell'anima lassù che ha maggior pena, >
Disse il maestro, « è Oiuda Soariotto,
Che il capo ha dentro, e fuor le gambe mena.
Degli altri duo e' hanno il capo di sotto.
Quel che pende dal nero ceffo è Bruto :
Vedi come si storce e non fa motto!
63. CON BRI- PER TBK: Al. CX>N BRI -
COH TRB; CON BOI OCCHI - B FBR TBB;
cfr. Moore, Orit., 866. - SBI: dae per
faoofa. - PiANQBVA : di dolore e rabbia
impotente.
64. gocciava: «Hic rei ad Elei metaa
et maxima campi Sodabit apatia et spu-
mas a^et ore omentas »; "Virg., Oeorg:
XII, 202 e seg. - « Ecce antem doro fa-
roana sob vomere tanros Conoìdlt et
mixtam spamis vomit ore craorem » ;
ibid., 516 e se;;. - il pianto : AI. al
rKTTO 8ANOUINOBA BAVA; Cfr. Z. F,, 212
e seg. Parenti, SsereitagUmi /Uologichs
VII, 23 e seg. - bava : che nsdvn dalla
bocca; iangtUnoia, perchè dirompea i
tre peccatori.
V. 65-67. I tradiiori detta MaeatA
divina ed umana : Oiuda Iseariotto,
fJasHo e Sruto, Da ognana delle sne tre
enormi bocche.Lnoifero dirompe coi denti
nn peccatore: da quella di mezeo Giada
Iscariotto, il traditore di Cristo, ossia
della Maestà divina, il qnale ha li capo
nella bocca di Lnoifero; Brato e Cassio
dalle altre dne, i traditori di Cesare, os-
sia della Maestà nmana o imperiale. Se-
condo il sistema dantesco, Tantorità im-
periale è volata da Dio e necessaria al
benessere dell'amanita (of^. De Mon.
III, 16) ; onde non può recar meraviglia
che egii condanni cosi tremendamente i
duo capi della congiura contro Giallo
Cesare. Ben ftirono spinti dall' amore di
libertà, ma per Dante U Ubertà ò Indi-
visibile dall' aatorità imperiale. E per
loi Cesare non fti tiranno, avendolo effli
posto nel Umbo tra gli eroi iUostri, I^f,
IV, 128.
66. MACIULLA ; « oosl ohiamuio in To-
scana quel che altrove chiamano gra-
mola, cioè quello stromento di legno da
dirompere I calami del lino » ; Oavemi.
68. QUBL: Giada Iscariotto, traditore
di Cristo.
59. VBRBO: in confironto del graffiare
delle mani. Gli altri dae st^tanto dirotti
co* denti ; Giuda inoltre terribilmente
graffiato colle unghie. Il traditore della
Maestà divina è più severamenta punito
che non i traditori della Maestà nmana.
Verto usa Dante nello stesso wa^oPurg.
Ili, 61; VI, 142; XXVin, 80. -TAL-
volÌ'a : riveste di nuovo la pelle, onde
il tormento si rinnova In etemo, come
Ir\r. XXVIII, 87 e seg.
60. bbulijl: spogliata, ignuda; ett.
Iftf, XVI, 80. JHez, F5ft. H», 15.
68. MBNA : questa positura del discepolo
traditore rammenta quella de' aimonìad,
Inf. XIX, 22 e seg.; pena consimile, na
plh tremenda, avendo egli mercanteg-
giato la sacrosanta persona di Cristo.
61. DI botto t spenaolone ftaori d'una
bocca di Lucifero.
66. Bi BTORCB: per il dolore, che egli
per grandecsa d'animo sopporta tacendo,
senta piangere e sensa trar guai, non dis-
simile da Farinata, Inf» X, 86 e seg. e da
Capaneo, Inf. XIV^ i9 e seg.
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[lOCCHB m LUCIf SBC] IHF. XXXiy. 67-70 [USCITA DALL' JNF.] 341
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70
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76
79
E l'altro è Cassio, che par si membrato.
Ma la notte risurge; ed oramai
È da partir, ohò tutto avem veduto. »
Come a lui piacque, il collo gli ayyinghiai ;
Ed ei prese di tempo e loco poste;
E quando l'ali furo aperte assai,
Appigliò so alle vellute coste;
Di vello in vello gi& discese poscia
Tra il folto pelo e le gelate croste.
Quando noi fummo là dove la coscia
Si volge appunto in sul grosso dell'anche,
Lo duca con fatica e con angoscia
Volse la testa ov' egli avea le zanche,
il luogo opportuno per appIgUani, cioè
le Teliate ooete.
78. VELLUTI: TolloM, penose. « Lento
il moto dell'Ale. Virgilio s'apposta in
modo ohe, mentre LnoiliBiro le soUera e le
abbassa, e' possa scendere per le coste
di lui»; Tom.
74. VILLO : grappo di peli.
76, TRA IL FOLTO: tra 1 pelosi fianchi
di Ladfero e la ghiaccia del Goeito. -
CBOsn : inorostatore del ghiaccio che ri-
veste r intemo della cavità.
76. lA: dove la coscia di Ladfero si
piega sporgendo in Ihori dai flanchi. Co-
str. QwMido noifwmmo in nU grotto dd-
Vanéhe, appunto là dove la cotcia Hvolge.
77. AHCiut flanchi.
78. COH FATICA: cssendo arrivato in que-
sto momento al centro dell' onlverso, oioò
a quel ponto, dove, secondo la credenza
del tempo, la forca centripetale è mas-
sima. «Cam ipso VirgiUos pervenisset et
desoendisset ad centrum, et sic nlterias
descendere non valebat, volens ad aliad
emisperiampervenircoportoitipsam ad-
soendere hoc modo, qood ipso VirgiUas
volvit Cadem versus anchas et tibias Lu-
ciferi, et pUos ipsius capiens per eoe
ascendit oum Dante versus aliud eml*
sperium, et ad id postea emisperiom per-
venerunt>{ Bambgl. - ahoobcia: diffi-
coltà di respiro per la gran fìAtica. Al.:
Panra; ma Virgilio non d mostra pau-
roso. I due Poeti sono in procinto di
osdre « Ihor del pelago alla riva », e lo
fiukno nataralmente «con lena affanna-
ta », If\f. I, 22 e seg.
70. volse: d capovolse. -SAECBS: gam*
bejcft. Jf^.XIZ,i6.
Digitized by VjOOQIC
67. MKMBBUTO: oomo tale è accennato
L. Cassio da Gioerone. CkOU, ni; invece
raarfir Longino, il traditore di Cesare,
era pallido, magro e di gracile corpo ; cfr.
Pivi,, 3ntL, 20; Ott,, 62, eoo. Sembra
che Dante oonfendossei due personaggi.
Cfr. Blamc, Vèrtmeh I. SOI e seg.
V. 68-87. UseU» daiP Inferno» I
Poeti sono giunti davanti a Ladforo.
Sorge la notte. Son oiroa le 6> di sera
dd secondo giorno. Dante d avTinghia
d oeUo di Virgilio, U qade ooglie il mo-
mento in eoi le ali sono sollevate, e, ap-
pigltetod alle vellute coste di Lucifero,
scende di vello in vello, finché, giunto a
measo il corpo, che è il centro della terra,
d capovolge, e comincia a salire su per
la parte inferiore dd corpo di Lucifero.
Ced arrivano di' emisfero australe.
68. BISUBGE: Inoominda. «Koxruit»;
Virg., Aéu, VI, 530. A percorrere i nove
cerdii tnfemdi i due Poeti impiegarono
24 ore. ~ < JCs la notte riturgt vuol dire:
La notte risorge soli' emisfero Terrestre,
doè vi & il primo passo, peroorre la pri-
ma vigilia Bopra Gange. S sull'emisfero
Terrestre d avansa la sera. Al contrario
il giorno risorge sull'emisfero Aoqueo, e
fii il primo passo sotto Gade. B sull' emi-
sfero Acqueo d avansa il mattino. Da
tatto dò risulta che in Jerusalem sono
ore 20 dd Sabato Santo. B qui finisce
V orario riferito a Jerusalem, non essen-
dod ancora varcato il centro della ter-
ra. > KoeUi, Cft. Fonia, OroL Dani., ed.
€Koia, 46 e seg. DeUa VatU, B$n$o, 21
• seg. Aviptaii., 84 e seg.
71. PBBSB: oolse il tempo opportuno,
quando le ali flnrono ben aperte, e colse
842 [SALITA AL PUBO.]* ImF. XXXIY. 80-98 [CENtSO DELL^UKIT.]
82
85
01
Ed aggrappossi al pel come uom che sale,
Si che in Inferno io credea tornar anche.
€ Attienti ben, che per si fatte scale »
Disse il maestro, ansando come nom lasso,
€ Gonviensi dipartir da tanto male. >
Poi usci fuor per lo foro d'nn sasso,
£ pose me in sa Porlo a sedere;
Appresso porse a me l'accorto passo.
Io levai gli occhi, e credetti vedere
Lucifero com'io Pavea lasciato;
£ vidìli le gambe in su tenere.
£ s'io divenni allora travagliato,
La gente grossa il pensi, che non vede
Qual è quel punto ch'io avea passato.
80. COMB: in atto di Mblire, spingendo
innanri le mani, non più i piedi. Saliva
infÌAtti Teno l'altro emisfero, avendo
passato il ponto oentrale, oltre il quale
non si pnò più discendere ; ciò che Dante
finge di avere ignorato.
81. AMOHi : di nuovo. Credeva che Vir*
gilio si fosse capovolto per ritornare in-
dietro; « perciocché invece di discendere
tornò di nuovo a salire, avendo passatoli
centro della terra, ed essendo divenuto
antipode all' altro inferiore emisferio » ;
Betti.
82. ATTUEMTi : al mio oollo, V. 70. - sì
FATTE; Al. COTAU} ma la brutta asso-
nanza di aU-alé non sembra roba di Dan-
te.-scalb: qui in senso traslato per qual-
siasi messo onde si salga o scenda, ete.
Inf. XVn, 82; XXIV, 66. Come là sul
principio del viaggio per Tlnfemo, Jf|/'.
V, 20, abbiamo qui, alla fine del viaggio,
un' eco di quanto si legge in Virgilio,
Aen. VI, 126 e seg.: «Fadlis descensns
Averne; Koctes atque dies patet atri
ianoa Ditls; Sed revocare gradum snpe-
rasque evadere ad auras, Hoc opus, hio
labor est. Fauci, quos »quus amavit
lupplter aut ardens evexit ad lethera
virtus, Dis geniti potuere. »
86. POSB: mi depose sull'orlo di quel-
l'apertura.
87. POBSK: saltò destramente dalle
gambe di Lucifero all'orlo, dove mi ave-
va deposto. -a mb: verso di me; venne
dov' era io. - aooobto : passo avveduta-
mente fiatto.
V. 88-08. Xwei/ero eapovoUo, Dal-
l'orlo, ove Virgilio lo depose. Dante ai
volge indietro a rimirar lo passo, If^,
I, 26, credendo di vedere ancora Sata-
nasso come lo aveva visto test^, v. 28 e
seg., ene vede invece legambeed i piedi ;
di che si maraviglia molto, non sapendo
ancora qual punto aveva or ora passato.
00. IN su: Satana, terribile a ohi gli ai
avvicina, v. 22 e seg., diviene una figara
comica per chi da lui si allontana, come
fumo adesso i Poeti.
91. TRAVAGLIATO : perplesso, non aa-
pendo spiegarmi il fatto.
92. GB088A : ignorante. Cosi secondo la
fisica del tempo; ofr. Blane.Vm'tuch, I,
804. Oom, Lipt. I*, 617. - HON vedb: non
comprende che, avendo passato il punto
centrale, lo non poteva più disoendere,
ma doveva salire.
98. PUNTO : « al qual si traggon d'ogni
parte i pesi », v. 111.
V. Oi-126. Caduta di JÀieifero ed
origine dell'Infermo. Alla domanda di
Danio, dove sia Cocito e perchè Lucifero
sia capovolto, Virgilio risponde che sono
oramai giunti sotto l' emisfero australe e
gli spiega il ffttto dell'essere Lucifero oa<
povolto, ammaestrandolo intomo alla ca-
duta di Satana e all'origine dell'Inferno.
« Dante imagina che dalle acque emer-
gesse in prima la terra abitabile dalla
parte del nuovo emisfero sulla quale era
giunto (uscendo dall'Inferno); ma ohe,
cadendo dal oielo Lucifero, per paura del
mostro si ritirasse avvallandosi, onde le
acque marine la ricoprissero, e di quanto
si avvallasse in qneU' emisfero, venissea
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f
tSALITA AL POBO.]
IhF. XXXIT. 94-110 tCADUTA DI LUCIF.] 843
N « Levati su » disse il maestro, « in piede !
La via è lunga, e il cammiDO è malvagio,
£ già il sole a mezza terza riede. »
91 Non era camminata di palagio.
La V eravam, ma naturai burella,
Ch'avea mal suolo e di lume disagio.
iM « Prima ch'io dell'abisso mi divella,
Maestro mio, » diss'io, quando fili dritto,
€ A trarmi d'erro un poco mi favella.
los Ov'è la ghiaccia? E questi come ò fitto
Si sottosopra? E come in si poc' ora
Da sera a mane ha fatto il sol tragitto? »
iM Ed egli a me : € Tu imagini ancora
D'esser di là dal centro, ov'io mi presi
Al pel del vermo reo che il mondo fora.
iM Di là fosti cotanto, quant' io scesi ;
Quando mi volsi, tu passasti il punto
■bQswsì nel iMwtro, AO(Md«Ddo,tra acqua
• ten, qiuMi on oamblo di equlralenBa ;
iaafiBa inoltre ehe la terra centrale dalla
fwte del noforo emisfero, per foggfre U
«naeriM dU il mondo/óra, tA aoUeTasae
MO'eaila(bro medeelmo, ooéi lasciando il
▼osto eh' è adito ai doe Poeti per il qoale
ritornare alla luce, e formando qa^* al-
torà eii'è il monte della espiaaione »; An-
tvnéOL Cfr. QwfMim, D. et laphU. eathol.,
1M6, p. 143 e seg. AgneìU, Topo-Oronogr,
lleseg., SSeseg.
H. LftvATl: efr. Jn/. XXIV, 62. « Sed
isB age, ottrpe Tiam et SQSceptnm perflce
>naos; Adoaleremiis, alt »; Vùrg., A§n,
TI,iS8eseg.
K. ujHOA : dovendosi risalire dal cen-
tro alla soperfloie della terra. - malva-
gio: diffldlet il calle essendo stretto,
osearo ed ineguale.
M. KBZA TIBIA: gli antichi divide-
vano il giorno in quattro parti: Tersa,
Sesta, Nona e Vespero. La Terza aveva
principio dalla nasdta del Sole. Sonodnn-
qos drea le 8 di mattina nell* emisfero
•astrale, le 8 di sera nel boreale; ofr.
^gnétU, 110. Della VaOé, Sento, 21 e
•sg. DeUa VaUe, SuppL, 84 e seg. Pon-
te, Oroiog., 904 e seg. Blane, Vertueh,
M« e ssg. Oon9. IH, 8; IV, 23. NocUi,
Orwio, 8 e seg. Sull'apparente contra-
diiioDe col y. 68, cfr. v. 108 e seg.
87. CAMMDIATA: « Sala spasiosa > i J>afi.
- « B questo dice, perchè le sale de' palagi
de' signori sogliono essere ben piane e
^ben luminose »; BuH, Inattendibile è
l'opinione ohe Dante intenda qui di una
eaminata da fueeo,
08. BURiLLA: da hwo-^ìniio, luogo
oscuro, carcere stretto e tenebroso. « Da-
vasi questo nome specialmente ai sotter-
ranei dell'anfiteatro florentino.do ve si cu-
stodivano le fiere per gU spettacoli > ; Or.
08. MAL: ineguale, erto e ronohioso. -
DISAGIO : mancanza ; « Arcta via est, qu»
dudt ad vitam »; MaU. VII, 14.
100. ABISSO: Inferno; cft*. JnA IV, 8,
24 ; XI, S. Purg. 1, 46. - divella : diparta.
102. KBRO: errore; forma vivente, co-
me tcwrpio per scorpione, eermo per ser-
mone, eoe. L'errore è quello già accen-
nato, V. 88 e seg.
103. GHIACCIA: Codto. - QUIBTI : Lu-
cifero.
104. poc' ora : il tempo impiegato a
scendere e a sslire per il corpo di Dite.
106. 8KBA : cfr. T. 68. - MAMB : cfr. V. 06.
107. DI LÀ : nella regione boreale. - mi
.PBi»i : mi aggrappai. Al. m' appresi.
108. viRMO : Lucifero, cfr. If^, VI, 22.
Termo si disse anticamente di ogni fiera
schifosa. - FORA: passa da una parte all'ai-
tra,essendo confitto nel centro della terra.
100. scisi : lungo il corpo di Lucifero,
T. 7i e seg.
110. FURTO: il centro della terra» il
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à44 tSALITA AL PUBOj InF. XIIIV. 111-124 [CADUTA DI LtCtFBRO]
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124
Al qoal si traggon d'ogni parte i pesi;
E se' or sotto l'emisperio giunto,
Oh' è contrapposto a qnel ohe la gran secca
Coverchia, e sotto il coi colmo consanto
Fa l'aom che nacqae e visse senza pecca :
Ta hai li piedi in sa picdola spera,
Ohe l'altra faccia fa della Gindecca.
Qai ò da man, qnando dì là è sera;
E qaesti, che ne fé' scala col pelo,
Fitto è ancora si, come prim'era.
Da qaesta parte cadde giù dal cielo;
E la terra che pria di qoa si sporse,
Per paara di lai fé' del mar velo,
E venne all'emisperio nostro; e forse
quale, eeoondo le opinioni del tempo, è
pure U oentro deUa gravi tasione ; cfr. JV*
XXXII, 7S e aeg. Ariit., De Ooelo IV, 1,
p. 807 e Mg. « Ea, qoie ee( media et nova
tellns, neqae movetar, et infima eet, et
in eam femntar omnia suo nata ponde-
ra » ; Oioer,, Somn. 8eip., 17.
112. noBFBUO: remlafsro anatrale.
118. CH'È COmUFPOeTO: Al. CHU> È
0FP08T0. Ai. CH* k 0FP08IT0. - QUEL:
emisfero boreale. - bkoca: terra; « Vooa-
TitDeosaridam.Terram»; Otne$,l,ìO.
lU. COLMO: ponto cnlminante dell'emi-
sfero boreale, dove, fondandosi sopra A0-
ehiele V, 6 (« Ista est Jernsalem ; in medio
Oentiom posai eam, et in droaita eios
terras ») si credeva ohe fbsse sita C^ero*
salemme ; cfr. Purg. II, 1 e seg. « Dà in tre
▼ersi tre idee della soiensa, qaol'era
a' suoi tempi ; eh' egli è ora nell' emi-
sfero opposto alla saperflde abitata da
noi ; ohe qaesta saperflde è la metà del-
l'area terrestre; e ohe Gerasalemme,
ove il Verbo incarnato tìsso e mori come
nomo, ò nel messo di qaesta soperfide
abitabile, come affermavano Martino Ba-
nado e pih antichi geografi »; AntoneUi.
- CONSUNTO : crocifisso, aodso.
115. l'uom: Cristo. -NAOguB: senza
peccato originale. - visse : senxa peccata
attuale, -pecca: forma ant. ptr peccato,
osata esiandio nella Ungaa provensale ;
oft. Bartech, Chrett. prov,, 170 : « NniUs
hom no fU m%jor pecca. »
116. FiociOLA: essendo in proesfanità
del oentro.
117. FA: oorrisponde al piccolo spasio
oiroolare ohe nell'altro emisfero forma la
Giadeooa.
118. QUI: sotto l'emisfero aostrale;
de. Par, I, i8 e seg. - di lì : sotto l'emi-
sfero boreale. Qoalohe eod. legge: di max,
« ma per intenderne U valore è da sorl-
▼ere dì num, il die» mtme (A ddaio
de' latini e diee tera) giorno tardo sol tra-
monto »; Feee, II, 886 e seg. Qaindi Z.
F,, 218 vorrebbe leggere : « Qid è dà man,
quando làèéi sera. » £ le aatorltàt
119. Qunri: Ladftoo. - bgala: ofr. t.
78 e seg., 81.
120. PBiMA t « 00 modo stat qao tu vi-
disti primo enm, neo est matatos in ali-
quo, sed tu mutasti locum. Bt ad dedara-
ttonem diotorum desoribit oasum diaboli,
per quem fkotns est Infemus. » J5^«i9.
121. QUESTA : dalla parte ddl'emisfero
australe. -CADDE: « Quomodo ceddiati
de code, Ludfer f »; leaia XTV, 12. - « Vi-
debam Satanam dout ftilgur de code ea-
dentem »; Luca X, 18. - « Sataaas prole-
ctus est in terram »; Apocal, XII, 9.
122. PBiAt prima che LudAro cadesse
dal dolo. - 81 8POB8E : d mostrava in so-
perfide foorl dd mare.
128. VE' : d ritrasse figgendo sotto le
acque verso l'emisfero boreale.
124. NOSTBO : AJ. VOSTRO. La terra e il
limbo (dove ò Virgilio) sono sotto lo stes-
so emispeiio. Dunque noetro, •* E fobab t
oostr. S queUaterraehe appar di qua, ohe
d sporge fuori dd mare e forma la mon-
tagna dd Purgatorio, laeeiò fitrm qui U
loco voto, lasdò questa cavità dove aiamofe
per /uggir ha, per evitare il oontatto di
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faiLITA AL PUBOj
Inp. xxxiy. 125-189
tusciTA] 345
1T7
130
133
130
130
Per fuggir lai lasciò qxii il luogo voto
Quella che appar di qua, e su ricorse. »
Luogo ò laggiù da Belzebù rimoto
TantO| quanto la tomba si distende,
Che non per vista, ma per suono ò noto
D'un ruscelletto che quivi discende
Per la buca d'un sasso, ch'egli ha roso
Col corso ch'egli avvolge, e poco pende.
Lo dooa ed io per quel cammino ascoso
girammo a ritornar nel chiaro mondo ;
IfPbenza cura aver d' alcun riposo,
Salimmo su, ei primo ed io secondo,
Tanto ch'io vidi delle cose belle *
Che porta il del, per un pertugio tondo ;
E quindi uscimmo a riveder le steUe.
(
Lodino, 0 ricoTM tn tv. Il lanciò oon in»*
peto Tono la laperflde deU'emiBfbio «a-
ffenle, ionMtBdo 1* monUgna del Pnr-
V. 127-139. 8<Mta aU'mmUfm^ om-
ifc^fe. I doe Poeti escono per una oa-
Tità dM laggiù per l'oeciuità non ai
vede, SB* che è atteatata dal romoiio
dhm maeelletto che dlacende per eaaa)
nlgono aa all' emiafero anatrale, e rive-
doK» U dolo e le stelle.
127. LAGGIÙ: neO* intemo della terra.
OlDT^^lga-J
U Zeix; 'AxÓHVto<;
del Greci) nome dato nel Nnovo Te-
stamento ai prindpe del demoni, cfr.
UaU. Xn. 24, 27. Jforeo lU, 22. Luom
XI, 15, 18.
128. TASTO : dal centro dov' è Lodano,
la carità ai diatende dalla parte deU'emi-
■fero anatrale tanto, quanto discende nel-
la parte dell'emiafisoro boreale la carità
«nfwTiali'' alno a Lodfero. - tomba : l'In-
fènio, detto altrove /osmi, If\f, XIV,
136; XVn, 66. «Mortone est antem et
divea et sepnltna est in Inismo »; lAtea
XVI, 22.
129. TUTA: non al può Tedere per la
grande ceenrità.
130. XUBCSLLRTO: Lete cbc toglie alle
anime parificate la rioordansa del pec-
cato, Fyirg, XXXII!, 91 e seg.; e tra-
Tdge i peccati giù nd centro, come
flmno dall'altra parte i flnml infernali ;
onde totti qnanti l peccati ritornano final-
mente al loro prindpio che è Ladfero.
181. BUCA: il foro flttto da Lodfero
cadendo dal delo.
182. AVVOLGE: ttk awolgendosL - pkx-
DB : è poco indinato, e per questo è poe-
dbile di salire contro il eoo corso, qaad
per nna scala a chiocciola. Ma la salita
è dò nonostante assai malagevole, cfr.
V. 95 e seg.
188. ASCOSO: privo di loco e trovato
da pochi; cfr. Ifott. VU, li.
184. A BITOBNAB: Al. PER TOBNAE -
MOHDO: emisfero anatrale.
186. SKBZA CUBA : scBsa riposare, ben*
che la via fosse Innga e malagevole.
187. COSE BELLE: il solc e Ic Stelle;
cfr. /V« Il 87 e seg. « Anche prima d'es-
sere in dma del sotterraneo ascendente
cammino, vide il Poeta all'apertura del
sasso sdntillar qualche stdla. B dicendo
eh' egli usd a riveder le stelle, dice in-
demo ohe allora era notte, e ben prepara
alla letida della luce. » AiUoneUi,
188. PEBTUOio : la ìmoa del v. 131.
189. QUINDI: per quel pertugio tondo.
- STELLE t tutte e tre le cantiche dnisooDO
con questa parola; cfr. (hm. IAp$. Ili,
888. Vedi pure la noU a Pwg, XXXIIl,
146.
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LA
DIVINA COMMEDIA
CANTICA SECONDA
PURGATORIO
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LA
DIVINA COMMEDIA
CANTICA SECONDA
PURGATORIO
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r
CANTO PRIMO
PROEMIO DEL PDBGATOBIO.
UE QUATTRO STELLE, CATOKE CUSTODE DEL PUAGATOBIO
Per correr miglior acqua alza le vele
Ornai la navicella del mio ingegno.
Che lascia dietro a sé mar si crudele :
E canterò di quel secondo regno.
Ove l'umano spirito si purga,
E di salire al ciel diventa degno.
Ma qui la morta poesl risurga,
0 sante Muse, poi che vostro sono ;
E qui Calliope alquanto surga,
V. 1-12. rréludU «I invoMutUmé.
PreoMSM 1« propofMone dell'Argomento
da trattarli. Dante invcoft )e If nae in gè-
B«rale ed in partlool*re Calliope*, la
Jfnaa della poesia epioa.
1. rwBL COKBBB: per trattare materia
più aereiia. - miouob : meno orrida delia
iaferaale. Ai. MiouoBi acque. - lk tblk:
« Vela traham et terris feietinem adyer-
tore proram »; Virg,, Georg. IV; 1 17. Oonv.
Il, 1 : « Lo tempo ehiama e domanda la
■dia Bare nedre di porto; per ohe, dris-
salo l'artimone della ragione all'Ara del
mio deddetio, entro in pelago con ispe-
nnsa di dolce cammino e di saloterole
porto e laodabile. » - « Booe etenim nnnc
magni maria flnoUbns qnatlor, atqne in
nmrì meotta tempeetatU ralid» proceOii
inidor »; 8. Oreg,, Diol,, proem.
2. HAVlOBLLA : < Hofi est ingenii (^ymba
graraoda toi »; PntperL, BUg, III, 8.
t. DIRBO: Al. HBTBO. -MàB: materia
mH onida,coaie qoella dèlia prima oaatioa.
i. BKOiro: del Purgatorio. I dottori
della Chiesa lo immaginarono nelle re-
gioni sotterra, eonflnante all'Inferno;
ofr. Petr. Lomb, IV, 45. Thom. Aq,, Bum,
lU, Suppl, 69, 1-6. Elucidar., 02 e seg.
Dante creò nn Purgatorio più poetico e
piti ridente: nna isoletta nell'ooeano, e
in qnell'isoletta nn monte ohe, sul meri-
diano, ma in diretta opposlsione di Qem-
salemme, s' alca a gnlsa di cono troncato
alla cima, dove flnisoe in on'amenissima
piannra, ohe ò il Paradiso terrestre. Cflr.
AgneiU, Topo-Onm., 62 e seg.
7. MOBTA: ohe sinora cantò il regno
della morta gente, If^, Vili, 86. Così i
più. Al.: La poesia, allora negletta, e per-
ciò morta ; dò è contro la storia. - pobsì:
per pouia, anticam. anche in prosa ; cfr.
Nanfwbo.t Nomi» li e seg.
8. VOBTBO : vostro devoto, come poeta ;
cfr. Purg. XXIX, 87 e seg. Horat., Od.
Ili, IV, 21 e seg.
8. CaluopÈ: Al. Oaluopba ; la 1
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850 [PROEMIO]
PUBG. I. 10-20 [LB QUATTRO 8TKLLB]
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19
Seguitando il mìo canto con qnel suono.
Di cui le Piche misere sentirò
Lo colpo tal, che disperar perdono.
Dolce color d' orientai zaffiro,
Ohe s'accoglieva nel sereno aspetto
Dell' aer, puro infino al primo giro,
Agli occhi miei ricominciò diletto,
Tosto ch'io uscii fuor dell'aura morta.
Ohe m'avea contristati gli occhi e il petto.
Lo bel pianeta che ad amar conforta,
Faceva tutto rider l'oriente,
delU poesia epica. « Voe, o Caniope, pT»>
cor, adsplraieoanentl »; Virg., Aen, IX,
525. - ALQUiirro : relattro alla Cantica
antecedente. - iuboa : al elcTl nn poco,
nobilitando la mia poeeia; ofr. Ovid,,
Met, y, 838 e aeg. Sai preteeo paganesimo
dell'inrocasione cfr. Oianam, Purg., 87.
10. SBOUiTAKDO: aooompagnando. -
SUONO: soave.
11. PiCHB : le nove figlie di Pierio, re di
Tessaglia, ohe, avendo sfidato al canto le
Mose, ftarono da queste vinte e trasfor^
. mate in piciie ; cfr. Ovid., Met. Y , 302 e seg.
12. dispkrIb: non vollero darsi Tinte
né chieder perdono alle Mase ; cfr. Ovid.,
MU, y, 003 e seg. « Potrebbe anco dire
lo testo : che ditpettar perdono, cioè ebbe-
ne in dispetto che ftasse loro perdonato »;
BuH. I oodd. non conoscono la lezione
dibpbttIb. « Knroqoam postes poesant
sperare nt restitoantur ad primam fb-
mam, qaam prìas intempestive e indi-
gno osnrpare sibi oonabantnr »; Bentf. -
PRBDONO : riparo, rimedio. Di perdono in
questo senso non mancano altri esempi
presso gli antichi; cfr. Betti li, 8.
y. 13-27. Le quaUro eMte. UsciU
dall'aura morta, i due Poeti si dilettano
dell'aspetto che loro ai offre. Ecco l'aere
puro di color di safflro ; ecco la luce, il
pianeta d'amore e quattro stelle non vi-
ste mai da altri che da Adamo ed Bva.
Indubbio è che le quattro stelle hanno an
significato simbolico e figurano le virtù
cardinali : prudensa, ginstisia, fortezza e
temperanza ; cfr. Purg. XXXI, 100 ; in-
dubbio ò pure che Dante intende parlare
di stelle reaU { cfr. Purg. Vili, 91 e seg.
Dovrebbero dunque essere le quattro
stelle che formano la Croce del Sud. Ha
sapev» Dante della loro esistenza t O im-
«n^lnò egli poetioamente queste quattro
stellet n non vUU mai sembra allndere a
stelle meramente simboliche. Per altro la
Oroce dH Sud ò accennata da Tolomeo
nell' J.{ma^Mfo, tradotto In latino sin dal
1280 e non ignoto al nostro Poeta. Cfr*.
Peeehel, Abhandlungen J, 57-70. Oom,
Lip$, II, 8 e seg.
18. colob: asznrro, simbolo della spe-
ranza ; cfr. Tnnceent. Ili, Ep. 8. - oriem-
TAL: « sono due specie di safiirl; Tnna si
chiama 1* orientale, perchò si trova in
Kedia eh' è nell'oriente, e questa è mei-
liore che l'altra e non tralnoe; l'altra si
chiama per diversi nomi com* è di di-
versi luoghi >; BuU.
14. s'aocoqlibva: si adunava, si con-
teneva. « Altri avrebbe detto tpandeva;
ma noli' immensità il Noetro vede T uni-
tà »; Tom.
15. oiao: cerohfo, o circolo ; roriszoote.
Al.: D cielo della luna. Al.: Il primo e
più alto giro delle stelle, cioè il pruno
mobiU. Cfr. Anitonetti, Studi partieoiari
euUa D. O., p. il e seg.
10. diletto : non pih gustato dopo ee>
sere entrato nell'Inferno.
17. morta: oscura, caliginosa.
18. OLI OCCHI: i sensL - IL priTO:
r animo.
10. PIANETA : Venere ; secondo altri il
Sole (cfr. Baiti, Commento td verte di
Dante • Lo bel pianeta che ad amar
eof^orta, » Modena, 1808. Biutd,, Com-
menti dantetehi, Lucca, 1894}, opinione
inattendibile. Neil' emisfèro, ove i Poeti
sono giunti, sono circa le 4 V> antimeri-
diane del quarto giorno del loro viaggio,
n terso giorno fu impiegato nel risalire
dal centro della terra fino alla superficie,
ove sorge la montagna del Purgatorio.
- AD AMAR: cfr. Conv. II, 0. Par, Vili,
1 6 seg.
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[nOBMIO]
Puro. i. 21-38 [lb quattro stilli] 851
Velando i Pesci ch'erano in sua scorta.
Io mi volsi a man destra, e posi mente
All'altro polo, e vidi quattro stelle
Non viste mai faor eh' alla prima gente.
Goder pareva il ciel di lor fiammelle :
O settentrional vedovo sito,
Poi che privato se' di mirar quelle !
Com' io dal loro sgoardo fui partito,
Un poco me volgendo all'altro polo
Là, onde il Carro già era sparito,
Yidi presso di me nn veglio solo.
Degno di tanta reverenza in vista,
Che più non dee a padre alcun figliuolo.
n. TKLASDO: mO* tOA hioe. - SCOS-
TI: fa eoBghmskme ool phuiete di Ve-
nne.
n. rarnu.: reree il polo «ntartloo.
34. PSiMA GBRTit Adftmo ed Br», d1-
Borando nel Puvdlao terreetre; dacché
u tarono dieeeoofatl, neesano le ride
pift. AL liitendoDO degli oodiIdì dell'età
delToro; Benv, degli antichi Romani che
pntlearono le Tirtù cardinali. «Bront
Mtem e» atoll». qnaa nQmqoam ex hoc
loee Tìdimos ; et e» magnitadlnee om-
■loiB, qnas eeae nomqnam raspioati ra-
ra »; Ole., Somm, 8eip., 16. Cfir. Ma-
cnb., in Somn. SoSp. I, 10.
2S. TKOOVO : diaerto di Tirtù, cfr. Purg.
XVI, 58 e eeg. QqÌ le qoaWo atelle aem-
hrano pfreee in aeneo tatto allegorico i
Dante ài doole che 11 noetro emisfero let-
tentrionale eia privo delle qoattro Tirtù
cardinali.
V.28-48. Catone Ueugiode del Pur-
geUfrie. Beco nn venerando Tecchio su
la eoi ftMoSa le quattro «telle mandano il
loco lame. È Catone d'Utlca, n. IK(, m. di
propria mano 40 a. C., l'entoslaeta pala-
dino della Uhertà romana. Come pagano
ioTiehbe eeaere nel Limbo, come Boidda
nel «eeondo girone del aettlmo cerchio
éett'Infemo. Ha insieme con tottaranti-
eUtà e con non pochi Padri delIaChiesa,
BsateaTeTa Catone in grandissima rl-
▼«renaa; efr. Oonv. Ili, 6 ; IV, 5, 6, 27,
n. Ih Mpn, II. 5. Onde non Tolle met>
torio nel eoo InCsmo, non soflbrendolo il
eaer eoo ; né volte passarlo sotto silendo,
eoa sogeieudolo la sua ammirasione. Lo
Bise dnnqoe come eastode aU* ingresso
del Porgatorio, condannandolo ed in pari
tempo assolvendolo. Tatto quante le al-
tre anime non dannale possono ire a fkrsl
belle e salire quindi alle beate genti , men-
tre darà tuttavia il tempo. Catone inve-
ce, ei solo, è condannato a star D, ali* in-
gresso del Purgatorio sino alla consama»
done de' secoli, cioè sino al giudlsio finale.
Allora, ma non prima, la saa veste sarà
chiara sopra altre, e Catone potrà en-
trare nella gioia del Paradiso. Cfr. Pro-
Ug,, 408 e seg. DwUéHandh,, 487 e se-
guenti. Sulla letteratura concernente Ca-
tone custode del Purgatorio cfr. Wolff,
nel DanU-Jakrìtueh II, 2?&-83. Détta
Giovanna, L'ABegoria di Catone ne'raoi
Frammenti di Shidi Dantsàehi, Piaoen-
aa. 18^8. Vannueeki, Catone, nel suo
Ifuovo Commento ai pa$H più oeeuri
della JHv. Com, Lucca, 1888. Bartoli,
Leu. ital. VI. 1, 103 200. Oreecimanno,
Figure Danteeehe, Venesia, 1803, p. 00-
120. Kraui, p. 425.
28. com' io : tosto che lasciai di riguar-
dare le quattro stelle e mi volsi a si Distra
verso il polo artico, dove l'Orsa mag-
giore non appariva più.
30. Gli: l'Orsa maggiore restava sotto
l' orissonte.
31. VIGLIO t Dante sembra avere igno-
rato il fatto che alla sua morte If . Perciò
Catone Utieense non aveva che 40 anni.
O si deve fbrse intendere che Catone
invecchiasse noli' altro mondo f
82. IN VISTA: all'aspetto; cfr. v. 70.
Pttrg, X, 81 1 Par, IX, 08.
33. PIÙ: cfr. Luean., Pkan. IX, 001.
De Mon. ITI, 8.
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852 [PBOiHio]
PURO. T. 34-48
[CATONE]
84
87
43
46
Lunga la barba e di pel bianco mista
Portava, a' saoi capegli simigliante.
De' qoai cadeva al petto doppia lista.
Li raggi delle quattro loci sante
Fregiavan si la sua faccia di lume,
Ch'io '1 vedea come il sol fosse davante.
« Chi siete voi, che contro al cieco fiume
Fuggito avete la prigione etema? »
Diss'ei, movendo quell'oneste piume:
€ Chi v' ha guidati ? O chi vi fu lucerna,
Uscendo fuor della profonda notte
Che sempre nera fa la valle inforna?
Son le leggi d'abisso cosi rotte?
0 ò mutato in ciel nuovo consiglio,
Che, dannati, venite alle mie grotte? »
84. MISTA: canata: ofr. Dan. VII, 0.
Secondo Locano {Phar§. II, 878 e seg.),
dal tempo ohe scoppiò la gnerra dvfle.
Catone non si rase pih la barba, né si
tagliò i capelli. « Intonsos rlgidam In
iVontem desoendere canoe Passns erat,
moBstamqne genìe SQccrescere barbam. »
85. A' BUOI : Al. K 1 SUOI. I capelli mi-
sti di bianco e di noro come la barba.
86. DOPPIA : dne Inngbe ciocche di ca-
pelli grigi, cadenti snl petto.
37. LUCI: stelle, cfr. ▼. 23. - SARTI:
perchò simboleggiano le rirth. Le qnat-
tre virtù cardinali « rlsplendevano in
Catone via pih che in alcnn altro»; Dan.
39. coiCK IL : come se io avessi avnto 11
noie a me dinanzi ; cfr. Dan. XII, 8. Al.:
Come se il sole gli battesse in fkccia.
Benv.: «ao si esset dies clara, qo» tamen
non erat adhoc, sed olarltas Catonis adia-
vabat clarltatem anrorae, et reddebat
ipsam visibilem olare. »
40. CHI: non conoscendo i dne Poeti,
Catone li crede anime (uggite dall'Infer-
no, onde parla tra sdegnoso e maravi-
gliato. - CONTRO : risalendo 11 corso del
rutedUtto già descrìtto, Inf. XXXIV,
130.
41. LA PBiofONR: Tlnfemo, dal qnale
sembra cbe Catone li vedesse uscire. Im-
perocché, appena usciti fuor deU' aura
morta, I dne Poeti si fermarono a guar-
dare le qwUtro HeOe; quindi, volgendosi
airàltro polo. Dante vede U veglio presso
di sé. Pare quindi ohe Catone fosse lì non
lungi dal pertugio tondo, per U qnale
Dante e Virgilio nsdrono a riveder U
tUiUe, onde potè vederli usdre.
42. PIUMB: la barba; « Insperata tose
quum veniet piuma superbi», Bt, qnss
nunc humeris involltant, dedderint co-
m» ; » Horal,, Od, IV, z, 2 e seg.
48. LUCKBNA : chi vi fé' lume ad uscirò
fuori della profonda notte infernale t
46. LKooi : che impongono ai dannati d i
rimanere in etemo nel luogo loro asse-
gnato dalla divina glustisia; cfr. I9|f.
Ili, 0. Matt, V, 28.
47. MUTATO: o forse che in delo ai ò
fstta nuova legge, la quale concede ad
anime dannatb di uscire dall'Inferno f
BéUi: « O il cielo ha mutato nuovamente
consiglio, cambiando le mie grotte In
luogo di dannatone f »
48. DANNATI: tali li suppone, perchò
usciti or ora dall' Inferno. - oboitk : non
* alla mia spelonca » {Lomò.), né alle
« rocce che sono Intorno alle fMde del
monte » {Biag.), ma grott* chiama 1 cer-
chi del Purgatorio, cbe sono dlmpi e
bald, su per i quali la montagna s* in-
grada. Grotta in senso di rupe fa. voce
comunissima agli antichi ed è tnttoca
viva; cfr. Inf. XXI, 110. Oaoemi, Voci
e Modi, 64 e seg.
V.49^4. Preghiera di Fiiyilto. Vir-
gilio, dopo aver fstto inginocchiar Dante
e Invitatolo a chinar il capo, risponde a
Catone che non sono anime dannate, e
spiega la osglone del viaggio e chi lo
vuole. Bammentatagli quindi la sua già
diletta Mania, lo prega di lasciarli aadar
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CPionno] PuBO. i. 49-69 [catoni] 858
«9 Lo duca mio allor mi die di piglio,
E con parole e con mano e con cenni
Reverenti mi fé' le gambe e il ciglio.
s Poscia rispose Ini : € Da me non venni ;
Donna scese del del, per li cni preghi
Della mia compagnia cosini sovvenni
55 Ma da eh' è tuo voler che più si spieghi
Di nostra condizion, com'ella ò vera,
Esser non pnote il mio che a te si nieghi.
^ Questi non vide mai l'ultima sera;
Ma per la sua follia le fu si presso,
Che molto poco tempo a volger era.
a Si come io dissi, fui mandato ad esso
Per Ini campare ; e non v' era altra via
Che questa, per la qnale io mi son messo.
M Mostrato ho lui tutta la gente ria ;
Ed ora intendo mostrar quegli spirti
Ohe purgan sé sotto la tua balla.
67 Com'io l'ho tratto, sarla lungo a dirti :
DeU'alto scende virtb, che m'ainta
Conducerlo a vederti ed a udirti
sa per i gironi del Purgatorio, promet- 68. hoh vidi: non è snoor morto. «Lit-
teodogli di lodanene poi nel Limbo oon teralmente dice dell» morte corporale, et
l'aflbitaoeft Mania. allegorioamente s'intende della morte
48. iOD^:mÌ aflbrrò ; cfr. iV* IX, 68 spirituale > ; BuU, Cfr. Oonv, IV, 7.
e eeg.: XXXV, 24. 60. FOLLÌA t abbandonando la verace
50. OOM PAXOLB: « omnibos modis qni- vìa, partendosi dall' oso della ragione e
boa potait in tam breri pnnoto; qoia non considerando né il fine della sna
Osto erat dJgniis tanta reyerentia, qnod vita né il cammino che "doveva dare j cfr.
fiUiia plus non debet patri >; Bénv. Conv. IV, 7. Itkf. 1, 1 e seg.
51. LB OAMBB: tacendomi inginocchia- 60. poco: in breve tempo e* sarebbe
le e chinare gli ocehi; cfr. v. 100. stato perduto; cfìr. Ir\f. I, 01; n, 61-66.
51. DA MB : di mio arbitrio, spontanea- 61. dissi : v. 62-68. - mandato t da Bea-
mente. Al.: Per virtù mia, colle mie forze. trice ; cfr. Jt^. II , 68 e seg.
58. DOHNA : Beatrice; cfr. If\f. II, 62 e 62. hon v' kba : Al. non o' era. Per
seg.; XII, 88 e seg. Prima di rispondere salvarlo non v' era altro modo ohe gol-
Idia domanda : ehi tieU voi t, Virgilio prò- darlo attraverso 1 regni della morta gen-
eora di calmare lo sdegno di Catone ri- te; cfr. I^f. I, 91 e seg., 112 e seg.
spendendo all'altra sna dimanda; ehi 64. tutta: non ogni singolo dannato,
9' ha guidati f ma tatto le diverse classi di dannatL -
56. BPiBaai : si esponga nlteriormente obhtb bxa : i dannati. Bio per no anti-
quate aia la nostra ootàislone. camente anche in prosa.
56. VBBA; veracemente; conflr. Cane. 66. spibti: le anime del Porgatorio
Amor, daeehè eonvim, st. 8 : « La nemica « qui mondantar a peccatis in Porgato-
flgoraw... Vaga di sé medesma andar mi rio, coios ta es cnstos »; Ben»,
&ne Colà, dov'eUa è vera. » 68. alto : cielo. Non avrei potato gol-
57. IL MIO: volere; sono pronto adi- darlo sin qoi senxa alato del delo.
eUararti meglio la nostra condizione. 60. udikti : a sapere da te in qual modo
88. — «•. Oomm,, 4» edU. oigitized by GoOgle
854 [PBOEMIO]
Puro, l 70-85
[CATOWJ^
70
73
76
79
Or ti piaccia gradir la sua venuta :
Libertà va cercando, eh' ò si cara,
Come sa chi per lei vita rifiata.
Tu '1 sai, che non ti fu per lei amara
In ntica la morte, ove lasciasti
La vesta ch'ai gran di sarà si chiara.
Non son gli editti etemi per noi guasti ;
Che questi vive, e Minos me non lega;
Ma son del cerchio, ove son gli occhi casti
Di Marzia tua, che in vista ancor ti prega,
0 santo petto, che per tua la tegni:
Per lo suo amore adunque a noi ti piega.
Lasciane andar per li tuoi sette regni:
Grazie riporterò di te a lei,
Se d' esser mentovato laggiù degni. »
« Marzia piacque tanto agli occhi miei,
debbft preparanl «1 Tlagglo per II m-
eondo regno, dove V umano tpirito gì pur-
ga: cfr. V. »4 e seg.
71. UBKRTÀ: morale, cioè dello spirito,
la quale ò il fondamento di ogoi libertà
umana, anche della civile; ofr. Giov.
Vili, 36. Rom. Vni. 2. II Oor. Ili, 17.
Ifkf. XVI, 61. Purg. XXIV , HI; XXVII,
116. Par. XXXI, 86, eoo.
72. cm: come tn. - pbb lbi: per non
perdere la libertà. - rifiuta: sacrifloan-
dosi o aoddendosi; cAr. De Mon. II, 6.
76. LA VESTA : il COrpO. Al. LA VESTE. -
OBAN DÌ : della retnrresione e del gindixio
finale. - chiara! nella gloria celestiale.
76. NON SOM : risponde alla domanda di
Catone, v. 46. Essendo oostni anoor vivo,
né io essendo tra' dannati soggetti a Mi-
nosse, non ò per noi guasta, doè violata
alcuna delle leggi infernali.
77. MiKOS: cfr. Inf, V, 4 e seg. - kon
leoa: non sono sotto la suagiuri^sione,
la quale incomincia al secondo cerchio
dell' Inferno.
78. cerchio : Limbo, otr. It\f, TV, 80. -
OCCHI: per cattivarsi l'animo del severo
Utioense, Virgilio ricorda Marcia Ohe si
trova nei Limbo, la descrive come fe-
dele, ancor laggiù, al suo Catone e gli
promette ohe riporterà grasie a lei, ri-
tornando in qncÀ luogo.
79. Marzia: ofl:. lT\f. IV, 128. «Mar-
ila ta vergine, poi venne a Catone, fece
allora flgU, e partissi da Catone e mari-
tossi ad Ortensio { face figli da questo aof
che. Mori Ortensio; e Marsia, vedova
fetta, tornò dal principio del ano vedo-
vaggio a Catone, e richiese Ini e pregollc
ohe la dovesse riprendere. B dice Marzia:
Dammi li patti degli antichi letti, daminl
lo nome solo del maritaggio. Due ragioni
mi muovono a dire questo : l'una si è, che
dopo me si dica oh'io sia morta moglie di
Catone ; l' altra si è, ohe dopo me si dica
die tn non mi scacciasti, ma di buon ani-
mo mi maritasti »; Conv. IV, 28; oAr. Xt«-
ean,, Phan. II, 341 e seg. - nr vista : ool
sembiante e negli atti.
80. SAifTO PETTO: « o saoratissimo petto
di Catone, chi presumerà di te parla-
re! »; Oonv. IV, 5. - TUA: moglie.
81. PER LO SUO AMORE: SÌ pnò inten-
dere : Per l'amore che tn portasti e porti
a lei ; oppure : Per l' amore ohe ella portò
e porta a te. - ti piega : condiscendi.
82. regni: cerchi del Purgatorio, affi-
dati alla tua vigilansa; ofr. v. 66.
83. ripobterò : ti ringraderò insansi
a Marcia. Ofr. If\f, II, 78 e seg.
84. LAGGIÙ; «in Inferno, quasi dloat:
si salvati onraat sibi de laudibus damna-
torum ; vel hoc ferte dlcit, quia teste Sal-
lustio, Cato semper speriiebat gloriam
hnmanam »; Bentf,
V. 86-111. JMirpMto di Catone. H cu-
stode risponde flsoendo ansi tatto quasi
nn delicato rimprovero a Virgilio. Dice
ohe amò Marcia teneramente finohò vis-
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;PROS1UO]
PUBG. I. 86-97
[CÀTOHS] 855
Mentre ch'io fai di là, > diss'egli allora,
« Che quante grazie volle da me, fei.
Or che di là dal mal fiome dimora,
Più muover non mi può, per quella legge
Che fatta fu quando me n'uscii fuora.
Ma se donna del ciel ti muove e regge,
Come tu di', non c'è mestier lusinghe:
Bastiti ben che per lei mi richegge.
Va' dunque, e fa' che tu costui ricinghe
D'un giunco schietto, e che gli lavi il viso.
Si che ogni sucidume quindi stinghe ;
Chò non si converria, l'occhio sorpriso
M; mft, orm die 68U dimora di là d«l mal
fiume, «k>A dall'Acheronte (ofir. Ji^. Ili,
78 e aeg.)* no& lo P^ interessare punto
par quella legge ohe fti da Dio impoeta,
qaaad* egli asd ftiorl del Limbo. Se però
Virgilio ha intrapreso il viaggio per yo-
iere eeleate, non ocoorrono altre losinghe.
Gli ingiunge quindi di rioingere Dante
eon ano di qnei gionehi schietti, ohe ore-
•cono soU* orlo dell' isola, e di lavargli il
viso, aflBnohò non sia indegno di compa-
rire dinanzi al portiere del Pargatorlo,
che è an angdo del dolo.
86. DI lA : nella vita terrestre, ofr. It^,
XXVIIX, 70 e seg. Oonv. IV, 28. Beno,
edsL: Nel limbo tra gli illostrl ; interpre-
tazione che sembra confortata dal r. 88.
89. mJOVKB: non pad più piegarmi a
Cirle rerona graxia. - lbooe t che separa
in modo assolato i dannati dai salvati.
Catone morì droa 80 uini prima della
morte di Cristo, qoando « spiriti umani
non ersm salvati » JV. IV, 63, e nessano
uidava ancora in Pargatorlo, ma tatti
nel Limbo ad aspettare il tempo della re-
deuione. Vi sarà per oonsegaensa an-
dato anche Catone, e vi sarà rimasto,
finché venne il Possente a tramelo ftaori,
cioè sino alla discesa di Cristo agi' inferi ;
cfr.iV.rV, 46-63.
90. ■' UBcn : il fM non pnò riferirsi
grammaticalmente che alla regione di là
<iàl mal /lume; danqae Catone parla
di quella legge che fti fatta, quando egli
usd dal Limbo ; e la legge sarà, non do-
verci qoindi innansl essere più verona
Tslasione tra qae' che Cristo trasse dal
Limbo e gli altri che vi rimasero. « In-
ter noe et vos chaoe magnom flrmatam
e<t»;X«c. XVI, 26. I più intendono
invece: Qoando morii. Ka qoal mai
nuova legge divina ta flitta aUa morte
di Catone?
91. DOHV A : cfr. V. 58. - MUOVE : fli an-
dare. - BSOGK: guida.
92. LUBUfOUB: preghiere; ofìr. Perti-
cari, Difeta di Dante, e. 17.
98. BASTITI : « quasi dica :... per lei non
mi moverei, che è dei dannati ; ma per
li celestiali ii, ai quali per vera carità
sono disposto a compiacere »; BvH. - ri-
CHiooB: richiegga; forma dell'uso an-
tico.
94. va' dunque : « Et quia, ut alt Se-
neca, eirtut eine fruetu $ui ette non po-
tette introdadt auotor iste nunc se a Ca-
tone, ut a virtute et honestate, instrui
ad id, quod scribit Bemardus dicens:
primum oput virtutit ett doeeri, et cum
AumiUtote et evm labore quoti, et ewn
amore haberi. Ideo dirigitur per enm ad
ascensnm mentis, ubi est labor ; item ad
laudandum (lavandwn\) et dngendum
ipsum a Virgilio, idest a ratione. de i an-
co, idest de hnmilitate »; Petr, Dant. -
Bicni OHE : rioinga ; forma dell' uso anti-
co, come richegge e ttinghe, per richiegga
e ttinga.
96. SCHIETTO: puUto, seua foglie; 11
contrario de' rami nella dolorosa selva,
Jf^. XIII, 6. 1 comm. dicono ohe questo
giunco figura l'umiltà semplice e pazien-
te, cfr. V. 135. Ma forse intende una umil-
tà tutta speciale, cioè qnellaobe mena alla
fede, opposta a quell'orgoglio filosofico
del quale il sno coetaneo e vicino Giov.
Villani accasa il Poeta, Oron. IX, 136.
96. BuaDUMB: depositatovi sopra dal-
l'aria infemale.-BTfNOHK: stinga, levi via.
97. L'oocmo : ablal. assol.; con l'occhio
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PuBG. I. 98-112
[CATONE]
lobbia, andar davanti al primo
h' è di quoi di Paradiso,
ta intomo ad imo ad imo,
à dove la batte P onda,
ponchi sopra il molle limo,
mta che facesse fronda,
e, vi puote aver vita,
[e percosse non seconda,
a di qaa vostra reddita ;
lostrerà, che sarge omai,
monte a più lieve salita. >
i io sa mi levai
Etre, e tatto mi ritrassi
LO, e gli occhi a lai drizzai.
< Figliaci, segai i miei passi :
lAl nebbia. femom, idMt yìUb a qoibiu leoessit »;
, Nannue., Benv.
107. mobtbbbJL : ofr. If\f. 1, 18. 1 Poeti
tre del Por- devono salire il monte girando da levante
. AL: L'an- a ponente secondo il giro del sole. - sur-
seg. Ma nò gb : ofr. v. 19 e aeg. « La oonkemplasione
[Unanzi, nò del cielo, il oolloqaio oon Catone» averan
mto a loro. già preso tanto di tempo, eh' era orroiU
A8so,lango spnntata l' aurora, e al volger del Sole
ISO vivit et mancava poco »; Antonia,
mpetosad- 108. pbkndbb: cosi oon molti oodd.
ia »; Benv, Beno., Serrav., Lomb,, eoe. I più : pbkn-
DBTB ; efr. ifoore , Orit; 308. - A Più us-
I è il solo VR : dove il monte ha asoesa men rlpid» ;
. per le al- ctt. In/. XIX, 35. Purg. in, 70.
irtù, come 100. così: detto qaeeto, scomparve,
tessa, che Kon sembra necessario ammettere che
;>i delle av- Catone si rendesse invisibile, come sop-
ir la pianta pongono Lomb. ed altri. - io lbvai:
aperbo: et dallo star in ginocchio; ett. v. 61.
dori o fac- 110. ui bitrassi : mi strinsi; cfr. Ittf.
laogojdò XXI, 97.
)er le fì-on- 111. drizzai : « qoasi dicerem : ecoe me
> dimostra- paratnm Atcere obedienter omnia impe-
i, o che di rata »; Benv.
limo et di- V. 112-136. IhinU riHnto e lacoto
erelnoga» da Virgilio, Scomparso Catone, i dae
se all'orto Poeti si accingono seni' altro ad eeegnire
ciò ohe egli ha loro imposto. Vanno don-
de, V. 101, qae giù verso la spiaggia, Virgilio lava
, 137 e seg. colle soe mani il volto del soo alonno e lo
igandosi. cinge con on giunco eekieUo, scegliendolo
rà cinto e di messo agli altri ginnchL II giunco rlna-
qoia homo sce subito là, di dove Virgilio Io ha svelto.
; pcsaiten- 112. kiuliuol, 8BGUI: Al. SZGUidCl LI
versosln- mibi passi.
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(FBOEMIO]
PuBe. 1. 118-125 [DurTB b yiBdiLio] 857
118
m
m
Volgìamci indietro, ohe di qua dichina
Questa pianura a' suoi termini bassi. »
L'aJba vinceva l'ora mattutina,
die fuggla innanzi, si che di lontano
Conobbi il tremolar della marina.
Noi andavam per lo solingo piano,
Com'nom che toma alla perduta strada,
Che infino ad essa gli par ire invano.
Quando noi fummo dove la rugiada
Pugna col sole, per esser in parte
Ove, ad orezza, poco si dirada;
Ambo le mani in su V erbetta sparte
Soavemente il mio maestro pose :
lia.DrowTBOs erano «rriTati all'lso-
klta in direzione della parte meridionalei
dt. T. 19 e seg., 29 e aeg. - dichdta : de-
eUna, o dlaeende reno il mare.
Ili. TBBifDn BAflsi: la Spiaggia, il
fango ad ime ad imo dell' isoletca.
US. l'alba : oaao retto. - l'ora : l'an-
la. « L'allw oaodAva daTaoti a sé quel
▼aatereOo ohe aaol mnoTerai innaiiKi al
sole, e ohe Inorespando la marioa, la Ai-
oera tremolare »; Gst. Al. diveraamente.
Bvti: « Lft biaoohesia che appare nel-
l'orieitte, quando incomincia a venire lo
A, WaeMNS Vara mattutina, cioè l'ora del
nattìno, che ò l'nltima parte della notte,
chtfugiia innanzi, cioè a l'alba. » Se-
condo lo StroceM, Dante osa qni ora in
aenao di ombra, onde il sento sarebbe:
l'ombra mnttatina, o dell'ultima parte
della notte, fbgglva davanti all'alba, ohe
vlttorioa* l'inealEava; cCr. Virg., Am.
m, 589; IV. 7. Qnalohedono interpre-
ta: L'ora mattatina precedeva l'alba, ed
era boio. So qneeto passo cfr. A. v. Hum-
boldt, Kosmot, odia. orig. n, 59, 120.
Siane, Vertueh II, 5 e seg.
U7. TRBMOLAB: movimento leggiero
delle onde; efr. Yirg,, Aon, VII, 9.
118. SOUHGO : non o' era che Catone,
ed anch' egli già scomparso.
119. PKBDUTA: Al. SMAIBITA.
120. nrvAiio; gli pare che fiusoia nn
cammino inutile, finché non sia giunto
solla buona via. « La similitudine, con
tanto semplice immagine, simboleggia
il profondo desiderio d' un bene lunga-
mente impedito, e Iktto dai contrasti più
presiooo •% L. Vont., 8(m., 267.
122. FUOHA : resiste pih lungamente ai
raggi del sole. - col solb, pkb : quasi tutti
leggono : COL BOLI, ■ FSB I88BBB, OOC. Ci
sono proprio codd. che hanno solb Bf
Sembra di no. In ogni modo quasi tutti
hanno eoi iole por, né si vorrà leggere *ol,
è por (eoi tol!J)' « Q Poeta ha voluto si-
gni Ocare : Quando io e Virgilio scendem-
mo verso la riva del mare, dove la ru-
giada resiste ai raggi del sole per essere
fai parte dove essa può - ad oretta, ossia
al venticello o all' aria fresca ed umida
del mare - mantenersi pih a lungo, Vir-
gilio stese le mani snll' erba, ecc. » Rio-
ei. Ad oretta. Nota danteeea (Estr. da
Lettere ed ArU, n. 19).
123. AD 0BKZ2A; al vento, all'aria fre-
sca. Oretta da aura, per soffio leggiero,
ven tioello, usa Dante anche Purg, XXIV,
150. Tutti, o quasi tutti, leggono: ovb
ADOBBZZA : e Spiegano : Ove è rosso, om-
bra, spira il reszo. Ma dove o' è un solo
esempio di un verbo adorettaret B qual
mai oggetto fiM>eva ombra là dove si tro-
vavano i due Poeti? B come mai poteva
la rugiada pugnare col sole, se essa era
all' ombra? Si pugna forse con un assen-
te? I oodd. hanno adoretta, adauretta,
oderete, ooc. secondo V uso di scrivere
quasi costantemente le parole attacca-
to, il qual uso non basta poi a creare il
verbo assolutamente ignoto adorettare.
Del resto anche Benv. legge ad oretta e
spiega : « ad umbram, ad friscum. » -Cfr.
O. Riod, 0. e, Eneiel,, 88. - pibada: di-
legua.
124. 8PABTB:' aperte, distese, per ba-
gnarle di quella rugiada, con che doveva
lavare il viso di Dante, v. 96.
125. SOAVBMBNTB: cfr. Jf^. XIX, 130.
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358 [pBOBino]
PiTBO. 1. 126-1S6
[Diim E tibohjo]
127
130
183
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0nd'Ì0| ohe fili accorto di su' arte,
Porsi vèr lai le guance lagrimose:
Quivi mi fece tutto discoverto
Quel color che P Inferno mi nascose.
Venimmo poi in sul lite diserto,
Che mai non vide navicar sue acque
Uomo, che di tornar sia poscia esperto.
Quivi mi cinse, si come altrui piacque:
0 maraviglia! Che qual egli scelse
L' umile pianta, cotal si rinacque
Subitamente là, onde la svelse.
120. ABTS: intensione; mi aoooral ohe
yoleva lavarmi il volto. Perohò ei feoe
Dante lavare il volto da Virgilio invece
di lavarselo da sé t
127. LAOBIMOBB: dovo erano ancora i
segni delle lagrime versate durante il
viaggio per l'Infemo. Alcuni si avvisano
che Dante piangesse in questo momento,
o di penitenca, o di teneressa, o di gioia.
Sembra però ohe, uscito dall* Infèrno,
e* non versasse più una sola lacrima,
tranne Pwg. XIII, 67 ed all'udire i rim-
proveri ftittigU da Beatrice; cfir. Purg.
XXX, 145; XXXI, 20, 84.
128. PECB!«mi rendo, lavandomi, il
naturai colore, ohe fino allora era rimasto
coperto sotto la infornai faligine •; Br. B.
129. COLOR : naturale, coperto dalle so-
vrapposizioni caliginose dell' Inferno.
Taluno affermò avere Virgilio lavato il
Poeta da ogni terrena sossnra. Sarebbe
stato un po' troppo presto ed avrebbe
reso inutile il viaggio su per il monte
della purificazione; ofr. Purg. XXXIII,
142 e seg.
130. DISBBTO: cfr. v. 118.
132. TOBifAB: indietro nell'emisfero
abitato. Il lido dell' isoletta, dove sorge
11 monte del Purgatorio, non vide mai
approdar navigando uomo alcuno, ohe
fosse poi ritornato indietro, ohe Ulisse
non ritornò più; oonfr. I^f. XXVI,
136 e seg.
138. CINSE: con un giunco tekietto. -
ALTKUi : a Catone ; cfr. v. 94 e seg. Cort
i più. Il BuH legge a lui e spiega : « A
lui, doè a VirgUio. »
134. SCBLBB: oolse, scegliendola tra
altre.
185. RINACQUE: « Primo avulso non
deficit alter Aureus et simili fiwndeaolt
virga metallo »; Virg., Aen. VI, 148 e seg.
- « Qui mostra che non si scema la gra-
zia di Dio per avere più possessioni, ma
cotanto come n'è tolto, altrettanto ai ne
rinnovella »;Lan.Cot^ puTeOtt.,OiMt.,eoc.
- « Non vuol dire altro, se non che la
scienzia et la virtù, ben eh' ella si dia o
s' insegni altrui, non scema et non manca
al donatore, ma quella ch'egli dona, et
più , se ne truova »; An, Fior. - « Per hoc
autem flgurat quod ex uno actu humili-
tatis nasci tur alius, et virtns est oommu-
nis offerens se unicuique volenti eun
amplecti, et transftmditur ex uno in
alium, nec recipit dimlnutionem »; Bmw,
Così pure Serrav., Land,, VeU„ ecc. Me-
glio forse : La grazia divina, onde pro-
cede all'uomo la virtù dell'umiltà, ò ine-
sauribile.
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[àSm. I80LBTTA]
PUSG. II. 1-7
[IL MATTINO] 859
CANTO SECONDO
AKTIPUBGATOBIO : ISOLETTA
L' AHQELO KOOOHI£BO| AKIME CHE ABBIVAKO,
GABELLA, DI HUOYO CATONE
Già era il sole all' orizzonte gionto,
Lo cai meridian cerchio coverchia.
lemsalèm col suo più alto ponto ;
E la notte, che opposita a lai cerchia,
ITscia dì Ghmge fnor colle bilance,
Che le caggion di man, quando soverchia;
Si che le bianche e le vermiglie gaanoe.
Y.l-^IiwHMinoéMqumriOffiomo*
Sono drea le 8 ^/t di matttiift del quarto
ftomodel misttoo viaggio. Spanto fl sole»
oMutre 1 Poeti sono ancora al mare.
1. OBIZZOHTB: di Oerosalemme, comn-
ne aoobe al Purgatorio, i dae Inoghi ea-
tendo antipodi; cfr. DèOa Valle, Struo,
n e aeg. ; 82 e aeg. A9!p{., 80 e aeg. Ponto,
Ore!. DttiK. ed. «<•««, p. 48 e seg. iTocM,
Ormrio, p. 11 e aeg.
3. COTBBCHIA : lo senit opurUopiù aito
del droolo meridiano del detto orissonte
■ta aopra alla città di Gernsalemme.
4. LA HOm: < Qui Dante personifloa
la notte, e Unge ohe abbia le mani. Saaa
gira per In Tolto celeete diametralmente
oppoetn al ade, e però non yì d trova
ad nn tempo in tatti 1 ponti, sebbene
infloend e eopra più o meno tatti i
ponti dell' emisCero, in coi domina, col '
eoo -relè ombroso. H Poeto la fk osdr
fboti dd Gange, perchè colà egli pone
r orissonte orientde di Gerasdemme.
Ciò poeto, se dia tiene in mano le bi-
lande, dò è perdio d trora nd segno
delle Wlainde o della Libra; e le tiene
OB mese, perohè sto nn mese ndla Libra,
oome anche tì sta il sde ndl' eqolnodo
di Mrtonno. Bd è i^onto in qoest* in-
terrano di tempo eh* essa viene di mano
in mano allangandoai, o $overehUmdo il
giorno. Ma questo allangamento, e ec-
cesso sopra il giorno, non diviene gran
Iktto sendbile, finché il sole non passa,
o non è vidno a passare nd segno dello
Scorpione. B qoi d noti bene, ohe il
Poeto, quando dice che la notte Bover-
ehia, sappone, come tra parented, che
il sole non da già ndl* Ariete, come d
era allora, ma nella Libra ; e se non lo
dice espressamente, lo lasda però sottin-
tendere, dlorchè dice qtuindo toverchiap;
DéOa VaUé, Sento, 35, cflr. Sappi., 36 e
seg. Spada, Ardita ma giusH/UabUe con-
gèUura éké nd «Mondo eatUo dA Pwrg.
Dante abbia potuto eerivere U tetto torto :
Chb lb caooion di mah quaxd* n so-
YEBCHIA, Boma, 1860.
6. DI Oakob : d credeva che, quanto
allalongitodine, Gerasdemme fosse equi-
distante dalle sorgenti dell* Ebro e daUe
fod del Gange, e che tra questi dee
punti della terra fosse una distansa di
180 gradi, onde rorisaonte orientde di
Gerusalemme fosse una stessa cosa col
meridiano delle fod dd Gange. Cfr. Jiog,
Baeon., Oput Mniut, dist. 10.
7. BiAMOHB: accenna d tre odori dd
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360 [ANTiP. isolbtta] Pubq. II. 8-ld Ungblo KOCCHIKRO]
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13
16
10
Là dove io era, della bella Aurora,
Per troppa etate divenivan ranco.
Noi eravam langhesso il mare ancora,
Come gente che pensa a ano cammino,
Che va col cnore, e col corpo dimora:
Ed ecco, qual suol presso del mattino
Per li grossi vapor Marte rosseggia
Già nel ponente sopra il saol marino ;
Cotal m'apparve, s'io ancor lo veggia,
Un lume per lo mar venir si ratto,
Che '1 muover suo nessun volar pareggia;
Dal qual com'io un poco ebbi ritratto
giorno DMoente : le guance bianeks, doò
Talba ; le vermiglie, osala 1* aurora ; e le
gtMnce ranee, doè il colore arancio che
accompagna l'apparire del sole.
0. PEB TBOPPA: perohò era passato
già tanto tempo che il sole si mostrava
sull'orinonte. - rtatb: Al . btadb. « Etate
A dica, togliendo quel de di oosì vicino e
insofIHbUe>;B0<t».
V. 10-61. Uangélo noocAiero* Men-
tre i Poeti sono ancora Inngo la marina,
appare di lontano on lame che rapido
si avvicina, e ohe mostra qualcosa di
bianco a destra, a sinistra e sotto di sé.
È an angelo che in ona barca mena le
anime, trattando l'aere con le eteme
penne. Kella barca sono più di cento
spiriti ohe cantano un salmo di ringra-
Eiamento. L' angelo & loro il segno della
croce ; essi sbarcano ed egli tornasi vo-
loce come venne.
11. A suo : Al. CHB PBlfSA SUO CAM-
MINO ; nell'incertezsa di ohi, non esperto
del Inogo, cfr. v. 50 e seg., desidera di
andare ed intanto sta fermo. « La simi-
litadine mostra lo stato di ohi desidera
procedere per cammino sconoscioto, e
nel dubbio di errare sta férmo pensan-
do »; X. Tent., 8im., 286.
13. BD ECCO: mi apparve sabito ano
splendore laminoso, come quello del pia-
neta Marte, quando nell' aurora appare
rosseggiante, verso occidente, per i densi
vapori che lo circondano. - suol presso :
ALsuL PRESSO; sull' avvicinarsi; ma quale
scrittore antico usò mai pretto come so-
stantivo! « Quel prMfo a modo di sostan-
tivo non è roba nò antica nò da Dante ;
ma da gaseettieri e cavalocchi del secolo
XIX»; FanT.ln nota all' An.i^ior., 11,25.
Le obbieaioni del Beeearia (Di aieuni
luoghi difieUi e controt&rei deUa 2>. C,
Savona, 1889) sono inattendibili. Al.
SORPRESO ; ma forse che il mattino •or-
prende il pianeta Marte fi Al. sofrbbbo,
SOPPRBSSO, eco. Ctr. Moore, Orit,, S69 e
seg. Blane, Vere, n, 6 e seg.
14. VAPOR : « Ut veniens deztmm latoe
adspiciat sol, Lavum discedens oami
ftigiente vaporet »; JHorat., Epiti, I, xvi,
6 e seg. - ROBSROOIA: per rotteggiare;
r infinito tronco dell'ultima sillaba, co-
me si usò anticamente in verso ed in
prosa; cfr. Qherardini, Voci e ifanisrtf
I, 661 e seg. Nannue,, Veròi, 857 e aeg. -
• Marte dissecca e arde le cose, perohè
il suo calore ò simUe a quello del fuoco ;
e questo ò quello per che esso appare
affocato di colore, quando più e quando
meno, secondo la spessessa e rarità delti
vapori che '1 seguono ; li quali per loro
medesimi molte volte s' accendono, sic-
come nel primo della Meteora è determi-
nato »; Conv, II, 14.
15. GIÙ : nelle parti occidentali. « At-
talante abitò in Africa giù nel ponente,
quasi di contro alla Spagna »; G. Vili, 1,
7. Al. QUI IfEL PONBNTR.
16. S'IO ANCOR: COSÌ possa lo vederlo
un' altra volta I Cioò dopo la mia morte.
Dan, ed al.: « Come s' io lo vedessi ades-
so »; ma Dante non dice che il lume gli
apparve come se ancor lo vedesse, sa
come Marte rosseggiante nell'aurora. >
VB60IA : vegga ; forma dell' uso antico ;
ctc, Nannuc,, Verbi, 758.
17. LUME: per la gran distania non
può ancor distinguere che ò un angelo.
18. PAREGGIA: pia veloce che uccello
non possa volare ; oflr. I^. Vili, 13 e ae^^.
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[AITIP. I80LBTTA]
PUBG. II. 20-88 [ANGELO KOCCHIBBO] 861
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L' occhio per dimandar lo duca mio,
Rividil più lucente e maggior fatto.
Poi d'ogni lato ad esso m'appario
Un non sapea che bianco, e dì sotto
A poco a poco nn altro a Ini n' uscio.
Lo mio maestro ancor non fece motto,
Mentre che i primi bianchi apparser ali ;
Allor che ben conobbe il galeotto,
Gridò : « Fa', fa' che le ginocchia cali I
Ecco V Angel di Dio ! Piega le mani I
Omai vedrai di si fatti officiali
Vedi che sdegna gli argomenti umani.
Si che remo non vuol, né altro velo
Che l'ali sue, tra liti si lontani.
Vedi come le ha dritte verso il cielo.
Trattando l'aere con l'eterne penne,
Che non si mutan come mortai pelo. >
Poi come più e più verso noi venne
L'uccel divino, più chiaro appariva;
20. DDCAHDAB: ohe lame si foste qnéUo.
21. BivroiL : lo riTidi più lucente e più
grande, perehò già assai più Ticino.
22. ULTO: alla destra ed alla sinistra
del Imne mi apparre nn non so ohe di
Uanoo (eloè le ali dell'angelo) e di sotto
a qoel bianco si moek^ a poco a poco
on altro bianco (la veste dell'angelo). -
ii*AFPABk>: mi apparre; ofr. Narmue.,
Verbi, 176 e seg.
26. KBrnui: Virgilio non pariò, flnchò
non ebbe conosointo la natura di quel-
r appaxìalone, ignota anche a lai, perchè
nel gectndo rwgno non era ancora etato.
- 1 FUMI: d' ogni lato al lame, cioè alla
fiieela dell* angelo, ohe era appanto qael
lame. - afpjUBER: si dimostrarono es*
sere att. AL àjpwumr l' au, lesione di
molti oodd. ed odia. Ka Bbìprimi Mon-
e&» erano le ali dell' angelo, come mal si
poò dire: «le ali ^pentito le alif»Cfr.
Jfoor*, OrU., 871 e seg.
27. 6ALB0TT0: il celestial nocchiero,
T. a; efr. Irtf. Vili, 17.
28. CAXis a terra — inginocchiati ; cAr.
Purg. L, 61 ; ma vedi anohciipM. XIX, 10.
29. fisoa: giungi le mani in atto di
prei^iem. Seme.: «in signom reveren-
ti»»; r inginocddarsi era segno di ri-
yerensa; il giungere le mani è atto di
preghiera e non segno di riverensa.
80. OMÀi : d' ora innansi, dorante il tuo
mistico viaggio, vedrai molti di questi
ministri di Dio ; con ohe non è natural-
mente detto che questo fosse il primo
angelo veduto dal Poeta; ofr. In/. IX,
86 e seg.
SI. 8DKOMA : non fli vorun uso di quelli
strumenti, di cui gli uomini si servono
per navigare e governare le navi, come
remi, vele, alberi, sarte, ecc.
38. l' aìa : ohe gli servono di remi e di
vele; «Bemigium alarum»; Virg., Atn.
VI, 19. - LOiTTAHi : dall'uno all'altro emi-
sfero, dalla foce del Tevere all'isola del
Purgatorio, v. 100 e seg.
84. DBITTB: «accennando il luogo ove
intende rivolgere le anime ch'ei cmiduoe
a questo alto monte»; QitUiani,
85. tkattaudo : agitando l'aria colle
eteme penne, non Mdnohe né soggette
a cambiamenti, come qudle degli uo-
oelli della terra, ma eternamente le me-
desime.
88. l' uockl : r angelo, cui Dante chia-
ma ttoeel divino per averne mensionate
le ale, come chiamò uceeUi anche i diavoli
alati, Inf, XXU, 96; XXXIV, 47; co^
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862 [AMTIP. I80LBTTÀ] PURG. U. 89-51 [ANOBLO K0CCHUBO3
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Per che rocchio da presso noi sostenne,
Ma ohinail gioso; e qaei sen venne a riva
Con un vasello snelletto e leggiero
Tanto, che F acqua nolla ne inghiottiva.
Da poppa stava il celestial nocchiero,
Tal, che farla beato pur d escripto;
E più di cento spirti entro sediero.
€ In exitu Israel de ^gypto >
Gantavan tatti insieme ad una voce,
Con quanto di quel salmo è poscia scripto.
Poi fece il segno lor di santa croce ;
Ond' ei si gittàr tutti in su la piaggia:
Ed ei sen gì, come venne, veloce.
Stasio chiama Mercurio: «Volnoer Te-
geatlcas» ; SUv. 1. 2, 102, ecimpiger alea» ;
Th€b, I, 292.
89. l'occhio : mio, ancor mortale.
« Gerii [corpi] sono tanto vincenti nella
parità del diafuio, ohe diventano el rag-
gianti, che vincono l'armonia dell'oc-
chio, e non ai lasciano vedere sema fk-
tica del vi8o»i Oonv. Ili, 7.
40. CHIHAIL: chinai l'occhio a terra.
41. VA8RLL0! vascello, navicella {forse
il più lieve Ugno di ohe aveva parlato
(Caronte, In/. Ili, 93. -snkllietto : « »nel-
lo dice la forma e il ratto moto ; leggiero il
non toccar le aoqne, tattoohò tanti fSoasero
i naviganti sovra esso » ; Tom, Le acque
le avrà par toccato, ma come se non
fosse carico; cfr. Inf. Vili, 29 e seg.
42. tanto : sfiorava appena le acqae.
43. CELI8TIAL: quest'angelo è Tanti-
tesi di Caronte, il noeehiér deUa livida
palude. L* uno mena le anime alla salva-
Elone, r altro alla dannasione ; T uno na-
viga colle ali dritto verso il delo, l' altro
batto col remo qualunqne anima si ada-
gia ; r uno ùk il segno della croce, V altro
s' adira e bestemmia ; l'aspetto dell' uno
ò beatiflcanto, quello dell' altro spaven-
tovole, ecc.; cfr. I^f. Ili, 82 e seg. L' an-
titesi non è certo casuale, ma meditota
e voluta.
44. TAL: in aspetto ed atto si divino,
che non pur a vederlo, ma soltanto de-
scritto Ikrebbe beato chiunque ne udisse
la descrisione. Al. parsa beato fkb
isonriTO, ohe suolsi intorpetrare: Tal
che pareva avere scritto in viso la bea-
titudine. Ha non pareva soltanto. Leg-
gendo pareva bisognerebbe intendere:
Tale ohe gli si vedeva in fronte la beati-
tudine, come se ve la avesse avuta scrit-
ta. Cfr. Sarlow, CknUrib., 188. Moare,
OrU., 872 e seg.
45. cmro : « quasi dioat, multi t tamen
Charon habet maiorem multitudinem In
sua navi continuo, quia prò uno qui ten-
dit ad poenitentiam, mille sunt qui ten-
dont ad peccandom » ; Bmw. - skdibbo :
sederono ; qui forse per eedevano. Sali*
forma tediero ott.Kanniuc., FerM» 190 e ag.
46. IN KZiTUt è il principio del Sal-
mo CXIII : « Quando Israele usci di
Egitto, e la casa di Giacobbe d' infra il
popolo barbaro : Giuda fh conseorato al
Signore, ecc. » H Salmo solevasi cantare
dai preti durante il trasporto di un corpo
morto alla Cliiesa. « Spiritualmente a* In-
tonde che nell' uscite dell' anima del pec-
cato, essa si è fatte sante e libera In sua
podestote»; Oonv. II, 1 : cfr. Spiti. Kani,
\ 7.' ìEorPTO : Al. .Sgttto e Somo,
quindi anche DitscRmo, scritto, ma in
latino si dice .Mgypto, e deeoripto, sori-
pto, ecc. sono forme ovvie agli anttohi.
48. CON QUANTO: cantarono dunque
tutto intiero il Salmo.
49. FBOS: benedicendoli e lioensian-
doli; cfr. If^r. XX, 69.
50. 81 oittIr: abbandonando la na-
vicella; cfr. W. IH, 116.
61. SI : Al. KL. - GÌ t Al. o)o. Quest'an-
gelo, nel cui sUendo e nei cui atti è tutte
la maeste della sua natura e del suo uf-
flxio divino, rammento il meno dèi eido
che, aperto la porte di Dite, ritoma In-
dietro veloce oome ò venuto e sensa de-
gnare di una parola i due Poeti ; Ii^. IX,
100 e seg.
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[AXTIP. I80LSTTA]
PuBe. II. 52-69
[AKIMS] 863
53
68
61
e4
«7
La torba che rimase U, selvaggia
Parea del loco, rimirando intorno.
Come colai che nuove cose assaggia.
Da tatto parti saettava il giorno
Lo sol, ch'avea colle saette conte
Di mezzo il del cacciato Capricorno,
Qaando la nuova gente alzò la fronte
Vèr noi, dicendo a noi : € Se voi sapete.
Mostratene la via di gire al monte. »
E Virgilio rispose: « Voi credete
Forse che siamo esperti d' osto loco ;
Ma noi siam peregrìn, come voi siete.
Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
Per altra via, che fu si aspra e forte.
Che lo salire omai ne parrà gioco. »
L'anime che si far di me accorte.
Per lo spirar, che io era ancor vivo.
Maravigliando diventare smorte ,*
V. 52-75. Xe anitne novatmente ar^
rimmte. GU spiriti or ora gionti si mo-
strano Inesperti del loogo e chiedono ai
due Poeti che insegnino loro la via per
eoi si sale il monte. Virgilio risponde ohe
neppure essi la sanno, essendo anch' essi
testé arrlTati. sebbene per altra ria. In-
tanto gti spiriti si accorgono ohe Dante ò
Tiro, gli si aflbllano intomo e Io mirano
eempgesi di stopore e di meraTigUa.
52. 8KLTAC10IA : mal pratica, inesperta.
Cfir. Oedvani, Poegis dei Trovai., 469.
« Ardita estensione del senso proprio;
ma efficace e giusta, in quanto l'idea ohe
si unisce alla yoce telvaggio va oongion-
t* con quella d'ignoranza»; L. VetU.,
SSrnU,, 294.
53. BiMiRAKDO: per conoscer lo loco
dorè fosse, If^. IV, 6, e per rodere
qoal ria doresse prendere per salire il
monte, t. 50 e seg.
54. .ABBA60IA: € Cs saggio di nuore co-
se »; Betti. - « Ascolta, o rode; traslato
dal gusto agli altri sensi»; Br. B.
55. IL GIOBRO: quarto caso; il sole
diflbndera i suoi raggi su tutte le parti
deU* emisfero australe, dorè si trorarano
i Poeti.
66. BASTTB: raggi. - ooRTBt ohiarei
efir. Ii^. X, 89. « Xt sic ride quod, sicut
prssdixerat ete Cato, sol oriens oetende-
bat eis iter, et ascendebat panllatlm, si-
cut et ipsi asoendent panllatlm >; Benv.
57. DI MEZZO : il sole arerà spinto ol-
tre il meridiano il segno del Capricorno,
quindi era salito 9 gradi s<^ra l'orisson-
te. Era dunque poco più di mess'ora ohe
il sole era nato nel Purgatorio. Conft*.
DeUa Vaile, Seneo, 36. AgneUi, Topo-
Oron., Ili e seg. NoeiH, Orario, 12.
68. NUOVA: arrivata or ora, quindi
nuova in questo stato; Ii\f. IV, 52.
62. KSPKBTi: conoscenti, pratici del
luogo. Al. SPBRTIl Al. SPIRTI.
63. PKRBOBUf ! stranieri. < È peregrino
chiunque ò fhori della suapatria » ; Vit. N.,
§ 41 ; cfr. Purg. XIII, 96. Par. VI, 185.
65. ALTRA: diversa dalla vostra. -
ASPRA: malagevole ed orrida; cfr. Ir\f,
I, 5; n, 142.
66. GIOCO: facile e piacevole, in pa-
ragone colla via da noi sin qui percorsa.
68. LO SPIRAR : il respiro, « 1* atto della
gola>/n<. XXin. 88.
69. MARA VIGLIANDO : maravigliandosi e
temendo al vedere un uomo viro. - smor-
ti : le anime ohe ranno a purificarsi sono
restite di xm quasi nuore corpo, ossia di
un nuore termine corporeo o tale ohe
tenga reoe di corpo, su oui esse possano
operare ; ofr . PereM, Bette Oerehi del Pvrg,
ài D., 22 e seg.
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864 [ANTIP. ISOLBTTA] PURG. II. 70-82
[CÀ8BLL1]
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82
E come a messagger che porta olivo,
Traggo la gente per udir novelle,
E di calcar nessun si mostra schivo ;
Cosi al viso mio s'affiss&r quelle
Anime fortunate tutte quante,
Quasi obbliando d' ire a farsi belle.
Io vidi una di lor trarresi avante,
Per abbracciarmi, con si grande affetto.
Che mosse me a far lo simigliante.
0 ombre vane, fuor che nell' aspetto !
Tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
E tante mi tomai con esse al petto.
Di maraviglia, credo, mi dipinsi ;
70. OLITO : antloamente per segno di
pace; otr, Virg,, Am. Vili, 116 ; XI, 101.
Stat,, Thsb, II, 880; al tempi di Dante
per segno di buone novelle in generale;
cft. <7. TiU, XII, 105. MwnU,» SeHpt. IX,
128; XVIII, 462.
71. TRAGGB: accorre, gli si affolla in-
torno.
72. CALCAR: nessuno prende cura, af-
follandosi, di non calcar l' altro.
74. FOBTUVATB: cperohò speran di ve-
nire, Qoando ohe sia, alle beate genti»;
Jf\f, 1, 110 e seg.
76. OBBLLIKDO: cfr. If\f. XXVIII, 52
e seg. - FABSi bellb: parificarsi.
V. 76-117. CtuéOa, Uno spirito si fk
innanzi per abbracciar Dante, e questi
vuol abbracciar lui, ma invano, essendo
qaegli incorporeo. Dopo un breve collo-
quio, Dante lo prega d'intonare un canto;
e Casella canta sì dolcemente, che tutti
stanno li ad udirlo, senza pensare ad al-
tro. Di questo Casella si hanno poche no-
tizie. Nella Vaticana trovasi un madri-
gale di Lemme da Pistoia, che fiorì circa
il 1800, con questa intitolazione: «Casella
diede il suono » , il che vuol dire che le
parole di Lemme erano state messe in
musica da Casella ; cfr. ^adrio, Poetia,
III, 821. Lan. (e Ott.): «Fu nel tempo del-
l'autore finissimo cantatore, e già intonò
delle parole dell' autore. » - An, Fior. :
«Fne CaseUa da Pistoia {PotHU., Ooi.,
Benv., JButi, Land., Veli., eoe., lo dicono
invece fiorentino) grandissimo musico, et
massimamente nell'arte dello 'n tonare;
et fa molto dimestico dell'Auttore, però
ohe in sua giovinezza fece Dante molte
canzone et ballate, ohe questi intonò; et
a Dante dilettò forte 1* udirle dp^ lui. » Bd
il Falso Boec.: «Era istato finissinko mae-
stro di canto e di suono, intanto ohe aasai
volte diede a Dante di gran piaceri e di-
letti. B ta costui di quelli ohe ai indugiò
a pentere inaino alla fine de* saoi di per
lo diletto di canto. »
76. TBABBB8I: fiumisi incontro. AL
TBABSI DAVANTB, TSAGOKB8I AVAMT!, ecO.
78. A VARi a correrle incontro per ab-
bracciarla.
70. VANK: hanno forma corporea, ma
non sono palpabili ; cfr. Pwrg,, XXV, 70
e ^g. Secondo la dommatica del medio
evo i corpi de' beati non sono palpabili
che dopo la risurrezione: cfr. Thom. Aq.,
Sum. theol. Ili, sappi. 80 e seg. Oomp,
tfuol, I, cap. 168. Elucid., 60, eco.
80. tbb : « Ter conatus ibi collo dare
braochia circum, Ter frustra comprensa
manus effogit imago, Par levibus ventis
volucrique simillima somuo» ; Virg., A£n.
VI, 700 e seg. - « Neil' Inferno non aveva
tentato d'abbracciar ombre; ma Virgi-
lio, ombra anch' esso, l' aveva portato in
ispalla. Or perchè questa difibrensa di
Virgilio, di Bocca al quale e' strappa i
oapegli, e dell'Argenti ch*el respinge
nel fongo, da Casella e dagli altri t Porse
perchè qui, come più pure, le ombre aon
meno gravate della mole terrena, hanno
più sottili apparenze. Matelda però trae
Dante e Stazio per l'onda di Lete, e Vir-
gilio oon Sordello s' abbracciano. Il Poe-
ta, a quel che pare, & l' ombre de' non
probi (?) ora palpabili, ora no, come Cri-
sto risorto: l'ombre de' dannati, palpa-
bili sempre.» Tom.
82. MI DIPINSI: « Lo viso mostra lo oo-
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[AMTIP. I80LBTTA]
PUBO. n. 83-95
[CÀSBLLA] 865
85
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94
Per che l'ombra sorrìse e si ritrasse,
Ed io, seguendo lei, oltre mi pinsi.
Soavemente disse ch'io posasse:
AUor conobbi chi era, e 1 pregai
Che, per parlarmi, un poco s'arrestasse.
Bisposemi: < Cosi oom*io t'amai
Nel mortai corpo, cosi t'amo sciolta;
Però m'arresto : ma tu perchè vai ? »
€ Casella mio, per tornare altra volta
Là dove son, fo io questo viaggio ; »
Diss'io: < ma a te com'è tant' ora tolta ? >
Ed egli a me : < Nessun m' è fatto oltraggio,
Se quei che leva e quando e cui gli piace.
lor dtà 0GV6, Cli6, tmnoftondOf domn-
qoe 8* appo!»»; VUa Nuova, ^ 16.
85. 0ORBIBB : del mio «tapore. - n bi-
ntAMB : ai «nontanò un poco da ma.
84. MI PlNBl : mi apinai, ofir. Purg, Xn,
120; mi aranaai, aeoottandomi a lei.
86. POeABSB : poaasal, mi ibrmaesi e non
ripetead gU InatiU tentetiTl di abbrao-
darla.
86. ALLOm: Al. CONOBBI ALLOB. - B'L
FBEOAI: Al. B PBBQAI.
89. BBL mobtal: TiFendo. - aacLTA :
separato dal oorpo.
90. pbbchè VAI: perohò fai qoeeto
Tiaggio ohe non snol ikni se non dai
morti?
91. FSB TOBNABB: Ikooio qaesto Tiag-
gio per ritornare qui, in Inogo di salate»
d<^o la mia morte.
93. tajtt'oba: perchè mai arrivi sol-
tanto adesso qni nel Pargatorio, essendo
morto già da tanto tempo? Come mai per-
desti un tempo tanto predoso per ire a
farti héUaf Cosi Lan., Ott„ Petr. Dant.,
Pona. Oas., Benv., BtUi, Land., Vett,,
Dan,, eoe. Al. com'bra tanta tbbba
TOLTA: eloè, come mai ti era impedita,
dno a pooo fli e\ gran terra e marayi-
gUosa, quanto ò questa di Purgatorio?
Coti DoL, Lomb., Partir., ecc. L' An,
Fior, oonoeoe le dne lesioni e non sa de-
eidersi. In ogni caso Danto esprime qoi
la sua marariglia che Casella, morto da
nn peno, arriri soltanto adesso al Por-
gatorio. Cfr. AnUmeUi, 8Udi partic.
tvUa Di». Oom., Firenze, 1871, p. 42-56.
jr«or«, OrU., 873 e seg. n BetU: « Ke-
ititoisco la les. cornane : JMm' io: ma a
teeomstanforaètoltafBgfidgotma a
te, o Casella, eome dopo morto è stoto
tolto tanto bel tempo per purgarti delle
toe colpe e per andare al cielo? Chi mai
ha tanto ritardati i momenti delle tao
etome beatitndlni ? I momenti d* andarti
a Air bella? Par certo che Casella fosse
morto aloan tempo innansia qaesto viag-
gio di Danto, se non ynolsi dare ana sti-
racchiato intorpietasione alle parole del
testo, e non yoglia dirsi ohe Danto abbia
Iktto a Casella la puerile domanda: per-
chè sei to morto si tordi? B non voglia
anpporsi ana paerile risposto in Casella '
94. OLTBAOGIO: torto.
95. QUBi: r angelo nocchiero. - LBVA t
prende le anime per tragittarle al Pur-
gatorio. « Secondo il Poeto, quei che
maoiooo riconciliati con Dio, per pas-
sare al Purgatorio convengono alla foce
del Tevere ; ma 1' angelo destinato a
trasportarli sulla sua navicella, prende
primi quelli che vuole, e gli altri nella
sua giustisia lascia ad altro tompo. A
Casella era stato negato più volto il pas-
saggio; ma flnalmento, nel tompo del
Giubileo, avendo V angelo tktto graaia a
chiunque ne lo richiedeva, raccolse lui
pure, mentre si stova desiosamento guar-
dando il mare. La flnkione del ritardo è
tolto dalla mitologia, da cui si ammetto
che le anime siano più o meno trattenute
sullo Stige, prima di essere tragittote al-
l' altra ripa, verso cui tendono bramosa-
mente le mani; cfr. Virg., Aen. VI, 813
e seg. »; Berian, Le più belU pag. dMa
D. O., 182. CCr. AntonelU, lue. oit.
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366 [INTIP. ISOLBTTA] PUBQ. II. 96-112
[CA8BLLA]
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100
100
112
Più volte m'ha negato osto passaggio;
Che dì giosto voler lo suo si face;
Veramente da tre mesi egli ha tolto
Chi ha volato entrar, con tutta pace.
Ond'io, che era ora alla marina vòlto,
Dove l'acqua di Tevere s'insala,
Benignamente fui da lui ricolto
A quella foce ov'egli ha dritta l'ala;
Però ohe sempre quivi si raccoglie,
Qual verso d' Acheronte non si cala. »
Ed io : «Se nuova legge non ti toglie
Memoria o uso all'amoroso canto,
Che mi solea quotar tutte mie voglie.
Di ciò ti piaccia consolare alquanto
L'anima mia, che, con la sua persona
Venendo qui, è affannata tanto. >
€ Amor che nella mente mi ragiona >
96. PIÙ VOLTE : « erano pmmU più mesi
oh' egli er» morto » ; An. Hor.
97. VOLKB: divino. - 8U0: dell'angelo.
L'angelo vuole ciò che Dio vuole.
98. VK&AUKifTB: nondimeno, per altro.
- DA TRE usai : dal natale 1299, in cai era
cominciato U Oiahileo di Bonifiuio Vili,
secondo la cai Bolla anche le anime dei
deftinti partocipayano per modutn «v/-
fragU alle indalgense delGtabileo; cfìr.
Boéhmer, Chrp.jur. ccm. II, 1192. Baur,
Kirehengeaeh. III, 446 e seg.
99. CON TUTTA PACE: i* angelo ha ac-
colto nella sua nave le anime sensa fare
alcuna scelta, nò opporre verona diffi-
coltà.
100. BEA.... VÒLTO: stava attendendo
alla marina. « Per qaod intolligit quod
erat oonrersos ad oboedientiam roman»
eoolesiiB » (f) ; B$nv,
101. Tevero: Al. Tevere. - s'insa-
la t irUrat salutn, entra in mare e si fii
102. BIOOLTO; preso dall' angelo nel va-
sello per essere tragittato al Purgatorio.
103. FOCE: del Tevere. - ov'egli : otr,
V. 51. Al. A QUELLA FOCE HA EGLI OB
DRITTA l'ala. - Tatto le anime desti-
nato ài Purgatorio convengono da ogni
parto del mondo alla fi>ce del Tevere. Ma
Casella dovette aspettare alcun tompo,
ohò r angelo non volle prenderlo nella
sua nave; pare ansi ohe avrebbe dovuto
aspettare ancora di pita, se non Ibsse stftto
il Oinbileo. Il perohò di questo aspettare
alla foce del Tevere non ci vien detto.
Ctr. Virg., Ati. UI. 202; V, 836e seg.
106. NUOVA LEGGE: prescrisione ine-
rento alla tua nuova oondisione; oonfir.
Pwrg. I, 85-90. Se non ti ò proibito, se
non r hai dimenticato, o se, avendo per-
duto gli organi della voce, non perdesti
assieme con essi l'uso del canto.
108. QUETAR : « la musics trae a sé gli
spiriti umani, che sono quasi prinoip*l-
mento vapori del cuore, siochò quasi ces-
sano da ogni operasione ; ^ ò l' anima in-
tera quando l' ode, e la virtta di tutti (gli
tpiriti) quasi corre allo spirito sensibile
che riceve il suono >; Conv. II, 14. H
Boce. nella Vita di D,: cSommamento
si diletto in suoni ed in canti nella sua
giovanesaa ; e a ciascuno ohe a que' tem-
pi era ottimo cantatore o sonatore, fa
amico ed ebbe sua usanxa. > Cfir. Fém,
Mem,, § 6.
109. DI CIÒ: di un tuo canto.
110. PERSONA : peso del corpo.
111. AFFANNATA: dopO SVOT SOSteOQto
€ la guerra Si del cammino e ai della
piotato > Inf. II, 4 e seg., ed esser ve-
nuto qai percorrendo l' Infèrno.
112. AMOR! co^ incomincia una can-
sone di Danto, composta verso il lt94 e
commentata nel trattato terso del (kmvi-
Pio. Probabilmento Casella l' aveva i
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[AJmP. I80LBTTA]
PUBG. II. 113-130
[CATONE] 367
U5
US
121
IM
127
I3d
Cominciò egli allor 8i dolcemente,
Che la dolcezza ancor dentro mi snona.
Lo mio maestro ed io e qnella gente
Ch'eran con lai, parevan si contenti,
Com'a nessun toccasse altro la mente.
Noi eravam tutti fissi ed attenti
Alle sue note ; ed ecco il veglio onesto,
Gridando : < Che è ciò, spiriti lenti ?
Qoal negligenza, quale stare è questo ?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio,
Ch'esser non lascia a voi Dio manifesto. >
Come quando, cogliendo biada o loglio.
Li colombi adunati alla pastura,
Queti, senza mostrar V usato orgoglio.
Se cosa appare ond' elli abbian paura.
Subitamente lasciano star V esca.
Perchè assaliti son da maggior cura;
Cosi vid'io quella masnada fresca
n in Biiiie^ eome aflbnnano Lan., OU.,
114. ABCOB: oonfr. Pmr. XXIU. 128
6 WBfi.
115. GKSTB: gli spiriti or or» «rriTfttt
iademe eon Casella; efr. r. 45.
117. oom'a: eome ae neesnno aveese
avuto altra eora che di atteadere a quel
dolca eanto. Le anime dimenticano di ir€
a /àrsi UOe, i Poeti il loro viaggio.
V. 118-133. mappdrimione di Cb-
fane. Mentre tatti quanti ad altro non
flmno attensione che al doldMimo canto
di Casella, si mostra d'improvviso Ca-
tone, ohe sgrida le anime, e le stimola
ad aArettarsi alla puriflcasionei onde
tatti ai allontanano rapidamente e pren-
dono 1* via Terso la montagna.
118. KSAVAM: cosi con molti codd.
Lan., JVsJso Boce,, Bmo., eoo. Al. 8»-
DBVAM: BuU, Land,, ecc. Non sembra
die gU spiriti e Dante e Virgilio si fos-
sero aaaial. Al. con mc^ti codd. amdavam,
Owff., Ott.. va., Dan , eoo. Dai versi 85,
87, 90, 121, 126, eco. risalta ohe gli spi-
riti ed i doe Poeti non andavano, ma
tlavano, o erano, A fermi; cfr. Oom.
Lips. I, 24. Moùr9, Orit., 375.
119. IL VBouo: Catone. - ONBSTOt
grave, maestoso; oflr. Purg, I, 42.
121. HÌJAIA STAAR : AL QUAL USTARS.
122. oOBBrrJB: «Festinate, viri; nam
qae tam sera moratar Segnittes f •; Yirg.,
Atn, II, 873 e seg. - lo sooouo : la scor-
sa, l'integomento del peccato; « Expo-
liantes yos veterem hominem oom actibas
eius, et indnentes novnm, eam qoi reno-
vatar inagnitionem secandum imaginem
elas qoi crea vit illam »; CoIom. Ili, 0-10.-
«Deponendam saxam et onas vitioram,
qnod pergravat animam ad ima »; Benv.
123. KOR LASCLk: vi priva della vi-
sione di Dio. « Iniqoitates vestr» divi-
semnt Inter vos et Deam vestmm, et
peccata vostra abscondemnt fiuriem eins
a vobis ne exaodiret •; Itaia, LIX, 2.
124. OOMK: oostr.: Come i colombi,
adunati alla pastura, mentre stanno co*
gUendo granelli di biada o di loglio, qneti
e Bensa roteare né mormorare, come so-
gliono (are quando non beccano, se ap-
pare cosa alcuna che li spaventi, lasciano
sabito il cibo e non si curano che di met-
tersi in salvo; oosl, eco.
126. Quvn : « senxa il mormorio e sensa
quella vivace aUegressa eh' è consueta
al oolombL Sono i loro due abiti specia-
lissimi »; L. Vvnt., Sim„ 429.
128. l'esca: il cibo.
129. CUBA: di salvarsi dal pericolo.
180. MASNADA: fomiglia. La rooe ma-
snada, propriamente la Ikmiglia di un
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368 [ANTIP. ISOL.] PUBG. II. 131-133 - III. 1-8 [DANTE B VIRGILIO]
133
Lasciar lo canto, e gire invèr la costa,
Com'nom che va, nò sa dove riesca:
Né la nostra partita fu men tosta.
m€Mto o podere oonoesso da un signore,
non areva anticamente il sento odioso
ohe ha oggidì; ofr. It^. XV, 41. Diez,
FSft. P, 258. 1 più dicono ohe matruida
Tale compagnia. Ma il Betti : « Mamada
sta qni piattosto in senso di fluniglia;
di ohe abbiamo belli esempi nel trecento.
(Mi viàrio quella nota famiglia, quella
famiglia di nuovi figli eletti. Maenada
per compagnia non è mai in buon senso,
purché non sia presa per termine milita-
re. Dante l'adopera pure l9|A XY, 41, ma
per compagnia di reprobi. » Cfr. EneieU,,
1215 e seg. - fbebca: reoentemente ar-
rlyata, la nuova gente, t. 68.
181. LA. OOBTA: l'erta del monte.
132. DOVE BiBSCA: dove la via da lai
presa lo conduca. «Hi ftM)ea stare quasi
come colui, che non sa per qual via pigli
il suo cammino, che vuole andare e non
sa onde si vada »; VUa Nuova, § 18. Cfir.
Petr., Son. XVI, 7-8 : « Vommene in gui-
sa d' orbo sensa luce. Che non sa ove ai
vada, e pur si parte. »
183. LA NOflTRA : nò io eVirgllio fonàmo
meno presti a partirci.
CANTO TERZO
ANTIPUKGATOEIO : ISOLETTA
ANIME DI MORTI IN CONTUMACIA DELLA CHIESA
(Stanno fuori del vero Purgatorio
un tempo corrispondente a trenta volto la durata della scomunica)
IL BE MANFREDI
Awegna che la subitana faga
Dispergesse color per la campagna.
Rivolti al monte ove ragion ne fruga;
y. 1-88. Corpi ohe non fanno on^
bra. Mentre i due Poeti vanno verso il
monte, Virgilio pare sentir rimorsi di
cosciensa a motivo del breve indugio.
Splende il sole ; e Dante vedendo dinanxi
a sé la sola sua ombra, si volge per ti-
more ohe VirgUio lo abbia abbandonato.
Allora Virgilio lo istmisoe sulla natura
dei corpi delle ombre.
1. AVVKOHA : sebbene in seguito ai rim-
proveri di Catone gli spiriti el fossero di-
sperai per la campagna deU*isoletta, io
dal canto mio mi accostai più presso a
Virgilio. - SUBITANA : repentina ; conCìr,
Purg, II, 124 e seg.
8. RAGION: la divina giustlsia; Lan,,
OU., Poeta. Oae».. Benv,, VeU,, Lomb.,
Tom., Ozan., Witte, eoo. La ragione uma-
na libera dalle illusioni sensuali, ohe ci
stimola alla penitenza ; BuH, Biag., Br,
B., FHal., Blane, ecc. Ma firugare vale
ptmgeré, punire, non già etimolare, cfr.
Iì\f, XXX, 70, onde è da accettare la
prima interpretasione, a meno di intea-
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[miF. I80LSTTA]
PUBO. ni. 4-18 [DANTB K TIBGILIO]
1«
13
Io mi ristrinsi alla fida compagna:
£ come sare' io senza lai corso?
Chi m' avria tratto sa per la montagna ?
Ei mi parea da sé stesso rimorso :
O dignitosa coscienza e netta,
Come t'ò picciol fallo amaro morso!
Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
Che l'onestade ad ogni atto dismaga,
La mente mia, che prima era ristretta,
Lo intento rallargò, si come vaga;
E diedi il viso mio incontro al poggio,
Che inverso il ciel più alto si dislaga.
Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
Botto m' era dinanzi alla figara.
Ch'aveva in me de* suoi raggi F appoggio.
èen col BttH «he « etsendo il peocato,
wnwoM Uere, un'offesa alla ngkme, è
fhuto ebe i peooatori aieiio dalla ragione
itiiMi tomentatì d'aknma pena.»-FBU-
OA: ne eeroa diligentemente ooUe pene
per laTarei pienamente d'ogni macohia.
1. MI BiSTRursi : mi aoooetài più vicino.
-ooxpAOHA: Virgilio, mia iédel compa-
gnia. Omnpagna per compagnia ò del-
l'nao antico. Cfk*. Inf. XXVI. 101. Pwrg,
X:nil, 127. Secondo il Bl. in qneeto
luogo eompagna è invece la forma femm.
di Compagno, o eoet. particolare come
&»rtafeir. W, Xn, 54; XX, 26. Ma di
eomipagièa per compagno non si hanno
5. 00B8O: per qoella piaggia a me
ignote.
7. DA Bk: indipendentemente dai rim-
proreri di Gatone, Pwrg. II, 120 e aeg.,
&tti non ai. Poeti, ma ai soli spiriti. - Bi-
MOBBOt a motivo del breve indngio,
Pitrg. U, 115 e seg., del quale si dimo-
strava pentito.
8. meviTOSA : nobile, delicata. « Omne
anfani vitiom tanto conspeetius in se Cri-
meo habet, quanto maior qui peccat ha-
betor » ; Juom,, Sat, Vili, 140 e seg.
9. M0B80 : « quasi dica: A la degna e
netta coseienaia ogni piecnlo Mìo dà
gnmde et amara rimorsione; la rimor-
siona del peecato è riprender so medesmo
del peecato fiitto, e dolersi d'averlo tàir
10. labciIb: quando Virgilio ebbe ral-
lentato il passo. SoUe prime «ra andato
24 ^ JH9, Oomm., 4* edic.
non meno in firetta che gU spiriti, Purg,
n, 183.
11. DiBMAOA : togUe, guasta. « Nel mo-
vimento e nell'andare e negli atti si deb-
bo tenere onestA. U superbo si diletta
dello svariato andare ; V nomo disonesto
nell'andare si mostra. »BAr(. da 8. Oone.,
Amm. VU. I, 5, 16. 18.
12. BUTRETTA: tutta raccolta in un solo
pensiero, doè di Casella e del rimproveri
di Catone. Al. dibtkktta: angustiata;
ma BIBTRBTTA s' accorda egregiamente
col BALI.ABOÒ del V. sog.
18. LO nmufTO RALLABOÒ: ritornò a
pensare ad altre cose, cioò al sito, agli
abitatori ed al vii^gio, desiderosa di
vedere e conoscere nuove cose e per-
sone.
14. DIEDI : alsai gli occhi verso il monte.
16. 81 DiBLAOA : SÌ alsa In messo al gran
lago plii alto di qualsiasi altro monte;
cfr. Par, XXVI, 130.
16. Dizrao ! alle noetre spalle. « Il sole
in Purgatorio spanta in Qade. Dante
camminava verso il Gange che ivi ò a
ponente. Ecco perchè il sole gli fiammeg-
giava dietro»; NocUi. ~ noQQio ; rosso
(dal Ut. rubeut, cfr. DUz, W&rt. 1», 356),
come suole al primo suo levarsi sall'oris-
Eonte. Bra circa un'ora dopo il levar del
sole ; cfr. DtUa Vaile, Sento, 88 e seg.
Com. Lipt. II, 27.
17. BOTTO : dall'ombra. - alla figuba :
secondo la Agora del mio corpo.
18. ch'aveva : che, perohò aveva, ecc.
« Quia ipso sol habebat inhiorentliini ra-
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870 [ANTIP. ISOLETTA] PUBG. III. 19-33 [COBPI SBNZ'OMBBA]
19
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Io mi volsi dallato con paura
D' esser abbandonato, qnand' io vidi
Solo dinanzi a me la terra oscura:
E *1 mio conforto : € Perchè pur diffidi? »
A dir mi cominciò tutto rivolto;
€ Non credi tu me teco, e ch'io ti guidi?
Vespero ò già colà dov' è sepolto
Lo corpo, dentro al quale io facea ombra;
Napoli rha, e da Brandizio è tolto.
Ora, se innanzi a me nulla s'adombra,
Non ti maravigliar più che de' cieli,
Che l'uno all'altro raggio non ingombra.
A sofferir tormenti, caldi e geli
Simili corpi la Virtù dispone,
Che, come fa, non vuol eh' a noi si sveli.
diomm saoram in me »; Benv.- AI. inten-
dendo éhe come pronome: «Lo sole mi
era rotto dinansi con flgara simile alla
flgara che l' appoggio de' soci raggi ave-
ya in me »; Biag.
19. MI VOLSI: vede soltanto l'ombra
saa; e, non riflettendo che Virgilio ò spi-
rito e che gli spiriti non iknno ombra,
teme ohe il dolce Maestro lo abbia ab-
bandonato, e si volge istintivamente a
destra per vedere dove sia la sna guida.
22. COMPOSTO: Virgilio; ofr. Purg.
IX, 43. - PUB : ancora.
28. TUTTO : rivoltosi a me con tntta la
saa persona, per farmi certo che non mi
aveva abbandonato. Atto di patema
premara. Al.: Movimento di chi si of-
fende di qualche cosa. Ma Virgilio non
si mostra per niente offeso.
24. TKCO: che io sia ancora teco.
20. VBSPEHO : < sapposto che il tempo
del vespero sia on' ora prima del tra-
monto, a Napoli correvano le ore 6 circa
pom.i a Gternsalemmo drca le ore 2 di
notte, ed al Pargatorio altrettante di
giorno; erano qaindi le 8 '/t»; Agndli.
Cflp. DeUa VaUe, Senso, 39. NociH, Ora-
rio, 12 e seg.
27. Beahdizio: lat. BrundUium, e
BrunduHum, oggi Brindisi, dove Vir-
gilio mori l'anno 19 a. C. Per ordine di
Angusto il suo corpo fu da Brindisi tra-
sportato a Napoli e sepolto in on ta-
mulo onorato snlla via di Possnoli. « Ossa
•Ins Neapolim translata snnt tnmnloqne
condita, qui erti in via puteolana intra
lapidem seoundom »; DonaL, Vita Virg,,
03 ; cfr. Oomparetti, Virg. nel medio evo,
II*, 45 e seg.
28. s'adombba: 8Ì oscora. AI. fa
OMB&A.
30. nrooiCBBA : essendo diafkni, i deli
lasdano passar libero il raggio ; così pare
la forma corporea degli spiriti sino alla
risarresione; cfr. Thom. Aq., 8um. theol.
Ili, Suppl. 75 e seg. Oomp. theoL 1. 176
e seg. « Certi (corpt) sono ohe, per essere
del tutto diafkni, non solamente ricevano
la luce, ma quella non impediscono » ;
Oonv. in, 7.
81. CALDI: oft. Inf, lU, 87.
32. CORPI : forme corporee come questa
mia; cf^. Thom, Aq., Sum, theol, lU,
Suppl. 70, 1-3. - ViBTÙ: divina. - mapo-
KB: rende queste forme corporee capaci
di soflMre dolori materiali come il oaldo
e il gelo.
38. COMB FA! il modo del sno operare.
- SI svBLi : « Non enim cogitationee mese,
oogitaiiones vestr» ; ncque vi» vestne,
vi» me», dicit Dominus » ; Itaia LV, 8.
- « O altitudo divitiarum sapientiss et
scienti» Dei; quam inconprehenalbilla
■nnt iudicia elus et invesÙgabflee via»
elusi *Bom. XI, 38.
V. 84-45. I4mM MVunuma r«s-
gUme. Avendo detto che Dio non vuole
che il modo del suo operare ala manffoeio
i^Ii uomini, prende da dò argomento ad
esporre oome l' umana ragione non ar-
rivi a comprendere I misteri della divi-
nità e debba oontentarsi di sapere òhe le
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[amP. ISOLKTTA]
Puro. lu. 34-49 [l' umana baoions] 871
a&
37
43
M
Matto è ohi spera ohe nostra radono
Possa trasoorrer la infinita via,
Che tiene una sostanza in tre persone.
State oontenti, umana gente, al quia]
Che, se potuto aveste veder tntto,
Mestier non era partorir Maria ;
E disiar vedeste senza frutto
Tai, ohe sarebbe lor disio quotato,
Ch'etemalmente è dato lor per lutto :
Io dioo d'Aristotile e di Plato,
E di molt' altri. > E qui chinò la fronte,
E più non disse, e rimase turbato.
Noi divenimmo intanto a pie del monte:
Quivi trovammo la roccia si erta.
Che indamo vi sarien le gambe pronte.
Tra Lerioi e Turbla, la pi& diserta,
tom muo, aenxa voleme inveetigare il
Mmeed il pecche.
34. BAOiovB ; il nostro amano Intel-
latto. « AnlmalUi homo non perdpit ea
qiUB nmt Spiritos Dei »; I, Cor. II, 14.
35. T&ASOOBBKB: Comprendere, pene-
trare, oonoaoere pienamente.
86. UVA susTAif ZA : qnel Dio il qmUe ò
uno nella eoetanza e trino nelle persone {
efr. Oonv. II, 0. Come Iddio ano e trino
è inoomprenaibile nella «na eaeenaa, ooai
è nelle sue operasioni.
37. AL QUIA: al che; oontentate^i di
■apere ohe è ood e non chiedete il perohò.
Sair argomento dei limiti dell' amano in-
telletto efir. 8. B4m., De Otyntid. V, 8.
Hug. de a. Viet., De eacrain. fidai III, 1,
n.j90^8aU$b.,Polier.YUM' Anedm.,
De tacrwn. ott. II, 2. Com. Lip», II, 29
e seg., dove al trovano riferite le een-
tesce di parecchi autori soolasUoi e mi-
stici; Vareki I, 103.
39. MBBnsB: non sarebbe etato neoes-
muio the Cristo yenisse nel mondo. O rool
dire» che in tal oaso gli nomini avrebbero
poti^ tàx senza delUk Bivelaslone divina
eompint» in Cristo; oppnre che, se per
meno della ragione si potesse compren-
der tatto. Adamo, vedendo la ragione del
divieto divino, non avrebbe peccato, onde
non sarebbe stata neoessaria la venata di
Cristo, n qaale venne nel mondo appimto
per salvare i peccatori.
40. TXDIsn: Al. TIDBSTI. - BBHZA
FRUTTO! cfr. JV. IV, 42. « Si possibile
esset per rationem natoralem et sden-
Uam acqaiaitam cognoscere divinitatem,
et ordinem illias in creatorls, certe maxi-
me novissent hsc et alia antiqni excel-
lentissimi philosophi; sed nos videmas
qaod Aristoteles et Plato, qai noverant
plns csdteris lllad qaod sdri potest per
intellectam hamanom,non noverant om-
nia etiam in paria nataralibos, et molto
minas in dlvinls, quia non intellexerant
creationem, non incamationem, non re-
sorrectìonem. » Benv.
43. Aristotile: cfr. Ii\f. IV, 131. -
PLATO: cfr. W. IV, 184.
45.TURBATO: ricordandosi che anoh'egli
stesso era di qaelli ; cfr. Ii\f. IV, 39.
V. 40-102. Schiera di anime. Arri-
vati appio dell'erta montagna, i dae Poeti
non sanno qnal via prendere per salire.
Vedono nna schiera di anime che ven-
gono lentamente, e dimuidano loro dove
sia la salita. Alla sna ombra le anime si
accorgono che Dante ò vivo, onde si riti-
rano stnpeflAtte alqaanto indietro. Virgilio
espone loro la ragione del mistico viaggio.
46. DIVENIMMO t arrivammo ; cfr. Ir\f.
XrV, 70. - UfTAUTO : dorante il discorso
di VirgUio. -A PIE: Al. al pie.
48. INDARNO : non era possibile di salire
altrimenti che volando: v. 64. -vi: ivi.
49. Lirici : antico castello snlla sponda
del Mediterraneo, alla sinistra del golfo
dell» Spella e sulla destra del flome Map
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872 [AITTIP. I80LBTTA] PURO. IH. 50-66 [8CHIEBA DI ÀKims]
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55
58
01
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La più romita vìa è una scala,
Verso di quella, agevole ed aperta.
< Or chi sa da qoal man la costa cala, »
Disse 1 maestro mio, fermando il passo,
€ Si che possa salir chi va senz'ala? »
E mentre eh' e', tenendo il viso basso,
Esaminava del cammin la mente.
Ed io mirava suso intomo al sasso,
Da man sinistra m'appari una gente
D'anime, che movieno i pie vèr noi,
E non parevan, si venivan lente.
« Leva, » diss'io, e maestro, gli occhi tuoi :
Ecco di qua chi ne darà consiglio.
Se tu da te medesmo aver noi puoL >
Guardò allora, e con libero piglio
Rispose : « Andiamo in là, ch'ei vegnon piano ;
E tu ferma la speme, dolce figlio. »
gra. Su qneeto castello Andrea Dorla
inalberò il yessillo spagnnolo, quando
patflò dal «errisio di Franceeoo I a qaello
di Carlo V.-TubbU: oLa7\umia, villag-
gio nel territorio di KixKa a poea distansa
dal Mediterraneo. Il tratto di paeee che
giace tra Lerid e TorUa ò coperto di
monti aspri e scoeoeei, e ai tempi di
Dante, non euendovi la strada littorale,
il cammino ne era diffloilisaimo ; ett. Lo-
ria, ritcaia nella D, O., IP, 79. Bau.,
340 e seg.
50. SCALA: fttdle a salire, come ona
scala agevole ed aperta.
61. WBiso: in confronto, come I^f,
XXXIV. 5». Purg. VI, 142} XXVIU, 80.
- quella: roccia. - afbbta : e qni vale, at-
tribnlto a cosa, ciò che Tale appropriato
a persona. Uomo aperto, o di fisonomla
aperta, dicesi di ohi mostra di ftiori Mii-
mo fidatamente leale. Perciò tcala aperta
significa tale, che non Incnte timore al-
cuno in chi ascende >; I>. F«nt. , 49<m<{., 631 .
62. CHI SA : Virgilio sa camminare per
r, Inferno, If\f. IX, 80 ; non per il Porga-
torio, dove non è ancora stato. - da
QUAL: se a destra o a sinistra. > cala :
discende meno erta, è men ripida.
56. TBHIMDO : Al. B MBMTBB CH* D TB-
iTBVA. -BASSO : in atto di consideraeione.
M. BSAMm ava: Al. I8AMIKAKDO. VeW-
minare ò l'atto principale, U tener ti vi$o
batto ò atto accessorio ; onde ò da legge-
re TEMENDO.... BBAHDIAVA. S«nso: Men-
tre Virgilio a capo chino pensava tr» so
qoal via dovesse prendere, ed io guar-
dava in su intomo all'erta roeoia ohe
bisognava salire. Cfr. Oorritpondénta
letter. ined. di G, Ocizi, eco. Pad.. 1808.
Ftrraz. V, 880 e seg.
58. GENTE: comitiva di anime oadte
dal corpo riconciliate con Dio. ma ftiori
della grasia della Chiesa ; cfr. v. 186e aeg.
60. NON PAKBVANt in movimento, tanto
andavan lente. Al. non pabbya. La Im-
teasa nel muoversi figura la lenteua nel
convertirsi.
61. LEVA : Virgilio tiene ancora il viso
basso, onde non vede la comitiva. Al.
« LEVA » DISSI AL MAESTRO, « OH OOCHI »;
lesione che può pure stare.
62. DABÀ: ci dirà da qnal parte dob-
biamo salire, se tu non lo indovini da te.
04. allora: Al. GUARDÒ A LOKOt Al.
GUAEDOMMi ALLORA. Probabilmente Vir-
gilio avrà guardato verso le anime, non
in viso a Dante.- PIOUO : oon volto lieto,
come di quegli che si rallegra del consi-
glio datogli. Betti: « Tranquillamente,
con fronte serena. »
65. IN LÀ.: verso quelle anime che ven-
gono troppo lente per aspettarle qui
66. ferma: conforta la speraaaa di aver
consiglio da qneste snime.
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[UmF. IBOLITTA]
Puro. ni. 67-8S [schibbì di àvimb] 373
67
7»
Ancora era qoel popol di lontano,
r dico dopo i nostri mille passi,
Quanto nn buon gittator trairia con mano;
Qaando si strìnser tutti ai duri massi
Dell'alta ripa, e stetter fermi e stretti.
Come a guardar, ohi va, dubbiando, stassi.
« 0 ben finiti, o già spiriti eletti, >
Virgilio incominciò, «per quella pace
Ch'io credo che per voi tutti s'aspetti,
Ditene dove la montagna giace.
Si che possibil sia l'andare in suso :
Che perder tempo a chi più sa, più spiace. >
Come le pecorelle escon del chiuso
Ad una, a due, a tre, e l'altre stanno
Timidette atterrando l'occhio e il muso;
E ciò che fa la prima e l' altre fanno.
Addossandosi a lei, s'ella s'arresta,
88. I* meo : Al. DICO DOPO u. Dopo oho
noi arremmo ditto vn migll«io di ptaoi,
quelle Milnie erano «noor lonUne da noi
m buon tiro di Msao. Altri Intendono ;
Qoel popolo era anoor lontano mille paaat
dei Bostri, cioè nn bnon tiro di mmo. Ha
qnal mal buon glttatore poò «cagliare
a mano una pietra ad nna diaUnsa di
■due paaait Dante Indica dae diatanse :
lOqmuiCo egli e Vlrgflio erano già aodati,
qoMdo ftarono oaaerratt; 2fi quanto le
anfane erano anoor lontane da loro.
8t. QUAirro : « qaantom iactua eat la-
pidla»;i>«M. XXII, 41.
70. n aTBiHsn : mararigUati di yedere
i dae Poeti andare a sinistra, contraria-
mente alle leggi vigenti nel Pnrgatorio.
Btmm,: « mlrabantor, qnod ipsi doo soli
ibaat Tereos eoo mnltos, relieta vera via
aeoandendl ad montem. et yenlebant tam
foatlnl emn Ipd irent tam lenti. »
12, COKS: oome ohi, vedendo per via
cesa aleana che lo faccia dubitare, si
fsrma e sta a guardare.
73. VMM ram : morti nella grasia di
DIo.-KLirn: all'eterna salate} confr.
JV. I. UO*
74w rat QUiLLA: yì progo per quella
pace; cfr. Pwg. V, 61.
70. OUCK: cala, ▼. 5S, ò meno erta,
Mn ripida, e pertanto di agevole salita ;
efr. W. XXin, 81.
78. A CHI PIÙ SA: perchè ne conosce
meglio il valore. « Tutte le nostre brighe,
se bene venirne a cercare li loro principi! ,
procedono quasi dal non conoscere V uso
del tempo»; Omo. IV, 2. Cfr. Virg,, Am,
X, 407 e seg.
79. CHIUSO: luogo circondato e serra-
to. « Ohituo nel Valdamo significa uno
spazio cinto di palissata, ove si tiene
raccolto a cielo scoperto il bestiame, e
giaeeio chiamano 1' area del chioso * \
Cavemi,
81. ATTBBRAKDO : tenoudo verso la ter-
ra, volgendo a terra.
82. l'altre fanho : « se una pecora si
gittasse da una ripa di mille passi, tutte
l'altre le andrebbono dietro ; e se una pe-
cora per alcuna cagione al passare d'una
strada salta, tutte le altre saltano, esiau-
dlo nulla veggendo da saltare. E io ne
vidi già molte in un posso saltare, per
una che dentro vi saltò, forse credendo
di saltare uno muro; non ostante ohe
il pastore, piangendo e gridando, colle
braccia e col petto dinansi si parava. »
Oofw, I, 11.
81. addossandosi : « Concurrnnt, ha»-
ret pedo pes deneusque viro vlr»j Tirg.,
Aen. X, 801. - « Densnm humeris bibit
aure vulgus »; Eorat., Od, II, Xiii, 82. -
« Densarum pecudum aut fhgientum mo-
re volucrum»! Stai., Theb. V, 840.
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874 [ANTIP. ISOLETTi] PUBO. HI. 84-103 [SCHIEBA DI ÀKIIOB]
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Semplici e quote, e lo 'mperchò non sanno ;
Si vid'io muovere a venir la testa
Di quella mandria fortunata allotta,
Pudica in faccia e nelP andar onesta.
Come color dinanzi vider rotta
La' luce in terra dal mio destro canto,
Si che l'ombra era da me alla grotta.
Restaro, e trasser sé indietro alquanto;
E tutti gli altri clie venieno appresso,
Non sapendo il perchè, fenno altrettanto.
€ Senza vostra dimanda io vi confesso.
Che questo è corpo nman che voi vedete ;
Per che il lume del sole in terra è fesso.
Non vi maravigliate, ma credete,
Che non senza virtù che dal ciel vegna,
Cerchi di soverchiar questa parete. >
Cosi il maestro ; e quella gente degna
€ Tornate ! » disse; < Entrate innanzi dunque I »
Coi dossi delle man facendo insegna.
E un di loro incominciò : « Chiunque
85. MUOYBBB: muoversi per yenire
▼erao df noi. - la testa : la prima linea
di ona schiera.
86. MANDRIA : gregge ; voce sorittnrale,
Otrem. Xin, 17. Lue. XIT, 82. Oiov. X,
1-18. AtU XX, 28. I, Petr. V, 2, 8, eco.
Paragonò le anime alle pecore, ayendo
Cristo chiamate tue pecore 1 saoi fedeli,
Oiov. X, 8, 4, 15, 16, 27, ecc.; onde chia-
ma mandHa la compagnia di esse anime.
- FORTUNATA : Ofr. Purg. n, 74. -ALLOT-
TA: allora.
87. PUDICA: corrisponde a templiei e
quete del t. 84. Cte. Aeq.^ 52 e seg.
88. COLOR DINANZI: Ì primi, la tetta,
▼. 86. - ROTTA : dalla mia ombra.
89 DESTRO : i dne Poeti si erano voltati
a sinistra per andare incontro alle anime,
onde avevano alla destra il monte ed alla
sinistra il sole ; quindi Tombra di Dante
si stenderà alla sna destra, verso la mon-
tagna.
00. GROTTA: cfr. Pwg. I, 48.
01. RKSTARO: si fermarono stnpefktti.
03. NON SAPENDO : erano dietro, e per
questo non avevano pototo vedere l'om-
bra del corpo di Dante. - fenno i fecero
lo stesso, cioè si fermarono essi pure e si
ritirarono un pò* indietro. Appunto come
le pecorelle, v. 82.
05. QUESTO : Al. QUESTI. Costui è in-
fatti ancor vivo, e perciò fe ombra.
06. FESSO: interrotto dall'ombra.
07. NON VI MARAVIGLIATE : « lioct rCS
slt valde mirabiUs, quse numquam alias
fuit, quia iste vonit ex speciali gratta
data sibi a Deo »; Benv.
08. VIRTÙ: cfr. Purg. I, 68.
09. CERCHI : Al. CERCA. - SOVERCHIAR:
di superare questo monte, erto come ima
parete.
100. DEGNA: di salire al delo; oonfr.
Purg. I, 6.
101. TORNATE: rivoltatevi indietro e
procedete camminando innansi a noi.
Al.: Entrate in nostra compagnia e an-
date innansi. Ma quelle anime procede-
vano troppo lentamente, v. 50-60, perchè
potessero invitare i due Poeti ad andare
nella loro compagnia.
102. COI DOSSI: accennando, col rivol-
gere a noi i dossi delle mani, la diresione
nella quale dovevamo andare. - inse-
gna: segno; cfr. Purg. XXII, 124.
V. lOS-120. MaHft'ed4. Si fe avanti
uno di quelli spiriti e dice a Dsnte: «Poni
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[iinP. IBOLXTTA]
Puiw. lu. 104-114
[IfANVBBDl] 875
106
IM
112
Ta Be% cosi andando. Tolgi il viso!
Fon mente se di là mi vedesti nnqne. >
Io mi volai vèr lai, e gnardail fiso :
Biondo era e bello e di gentile aspetto,
Ma l'nn de' cigli nn colpo avea diviso.
Quand'io mi fai omilmente disdetto
D' averlo visto mai, ei disse : € Or vedi ! >
E mostrommi ona piaga a sommo il petto.
Poi sorrìdendo disse: < l' son Manfredi,
Nipote di Gostanza imperadrìce;
Ond'io ti prego che, qoando ta rìedi.
» ae mi TBdeatd m«l ». Dante non lo
eoDosee; onde e* si manifesta, pregando
il Poeta di annonsiare a tna iigUa ohe
egli ò Ia hiogo di aalTasfone, e di eeor-
ftaria a pregare per Ini. È il re Manfredi,
1i0io natorale, ma poi legittimato, del-
r imperatore Federigo II e di Bianca,
fl^ia del eonte Bonifkdo Lancia, nato
in SteOia nel 1281, morto nella battaglia
di BenoTanto a 2« febbraio 1266. Dante
lorieordaoon lodeanche altrove, DeFul^.
JR. 1,12. DI Ini tf. FOL VI, 46: «Uro Man-
fredi fa nato per madred'nna bella donna
de'marehesi Landa di Lombardia, con
eai lo'mpetradore ebbe a tut, e fri bello
del eorpo, e come il padre, e più, dieso-
loto In ogai Inasaria; aonatore e canta-
tore era ; rolentierf ti vedea intomo gio-
oolari e nomini di corte, e belle conco-
bine, e sempre Testlo di drappi verdi;
molto fti largo e cortese e di baon aire,
rieebè egli era molto amato e grasioiot
ma tatta sna vita Ai epScnrla, non cn-
nado qnasl Iddio nò santi, se non a di-
letto del corpo. Nimico fri di Santa Chie-
sa, e de' eherioi, e de* religiosi, occupando
le cUeae come Ù suo padre ; e più ricco si-
gnore fti, Ék del tesoro ohe |^ rimase dello
'mperadore e del re Corrado ano fratello,
e si per lo eoo regno eh' era largo e frai-
tooso; e egli, mentre che Tlyette, con
tatto le guerre ch'ebbe con la Chiesa,
O tenne in buono stato, sicché '1 montò
molto di rlechesse e in podere per mare
s per terra. » Cfr. (ktare. Storia di Man-
fredi, 2 T«»l. Napdi, 1837. SeMrrmaeker,
Die IHtUn HohmHattfm, 65tting., 1871.
Mattai, Storia dèi Deeam., p. 209 e seg.
Fiffrord, La tomba di Re Manfredi, nel-
VAUthitH I, 97. Do OMara, Dante e la
OaUbria, Cosensa, 1894, p. 66-104. Bn-
okL, 1198 e seg.
104. così ANDANDO: seuBS fermarti e
perdere il tuo tempo.
106. DI xJL: nel mondo. - unqub: mai.
Dante, nato un anno prima della morte
di Manfredi, non poterà naturalmente
averlo mai veduto. Dunque la findone
poetica vorrà dire, o che Dante sem-
brava assai più vecchio che non fosse, o
che Manfredi si scordò di essere morto
già da 84 anni.
107. BIONDO: « homo flavus, amoena
fede, aspectu pladbilis, in maxillis ru-
bens, oculis sidereis, per totom niveus,
statura mediooris »{ ood descrive Man-
fredi Saba MaUupina in Murat , Ser^,
XXIV, 830.
108. DIVISO: fesso per la ferita avuta,
che fu una di quelle due punte morUUi
che gli ruppero la persona, v. 118 e seg.
109. DISDETTO : ebbi affermato di non
averlo mai veduto. Diedire nel senso di
negare usò Dante anche Oonv. IV, 8:
« io, che in questo caso allo imperio re-
verenza avere non debbo, se la disdico,
irriverente non sono. »
111. PIAGA: l'altra delle due punte
mortali, v. 119.
112. SOSBIDENDO : « quia salvus erat,
quod Dantes non putabat » ; Benv.
118. Gostanza: così dicevano gli an-
tichi; 1 moderni scrivono Oostama, Fu
iig^a postuma di Buggieri I, re di Sid-
lla e di PugUa, sorella di Guglielmo II,
ultimo re della casa Normanna, moglie
dell' Imperadore Arrigo VI e madre di
Federigo II; cfr. Por. Ili, 118 e ség.
« Perohò fa figlinolo naturale non volle
tórre il sopranome del padre, ma fossi
nipote di sua ava >; Lan, Su per giù lo
stesso dicono altri.
114. BiEDl ; ritorni nd mondo de* vi-
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376 [ANTBP. IBOLETTA] PUBG. III. 115-127
[VÀHFBBDI]
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127
Vadi a mia bella figlia, genitrice
DelPoDor di Cicilia e d'Aragona,
E dicbi a lei il ver, a' altro si dice.
Poscia ch'i' ebbi rotta la persona
Di due pnnte mortali, io mi rendei.
Piangendo, a Qaei che volentìer perdona.
Orrìbil foron li peccati miei;
Ma la bontà infinita ha si gran braccia,
Che prende ciò che si rivolge a lei.
Se '1 pastor di Cosenza, che alla caccia
Di me fu messo per Clemente, allora
Avesse in Dio ben letta questa faccia,
L' ossa del corpo mio sarieno ancora
115. FiGUA ! 6i diiamaya essa pure Co-
Btansa e Ita Tnltiin» del sangae degli
Sreyi, come l'ava di Manfredi ta Vuì-
tdma del aangne del KonnaiiDi. CostanEa,
flgUa di Manfredi, ta mogUe di Pietro IH
re d'Aragona e di Sicilia. Cfr. Amari,
Vetpro »ioU, H, 324.
110. ONOR : Gostansa figlia di Manfredi
partorì a Pietro d'Aragona tre figli : Al-
fonso, morto adolesoente nel 1291, Fe-
derigo ohe fa poi re di Sicilia, e Iacopo
ohe sacceese al padre nel regno d'Ara-
gona. Dnnqae Vonor di Oieilia (— Sicilia)
ò Federigo, Vonor d'Aragona è Giacomo.
Cosi intesero gli antichi ed il pih dei mo-
derni. Altrove Dante biasima Federigo e
Giacomo, cfr. Pwg. VII, 117 e seg. Par.
XIX, 180 e seg. Oonv. IV, 6 ; Vulg. El.
1, 12 ; ma in questo laogo qni non parla
Dante ; è Manfredi che parla de' suoi ni-
poti che tennero la Sicilia contro gli
Angioini. Altri vogliono che Dante in-
tenda del giovinetto Alfonso ; idtri della
conquista di Pietro d'Aragona, ohe fsoe
salire il regno in onore, ma della qoale
CkMtanta non fa la genUriu ; altri si av-
visano che la frase gonitriu déU'onor
di Oieilia e d^ Aragona sigoiflchl sempli-
cemente, nella intenzione del Poeta, go-
nitriu de'ré€M di SieUia e d'Aragona;
altri finalmente ritengono ohe dal C. Ili
al VII del Purg. Dante matasse opi-
nione sopra Federigo ; come se U Oonv.
e la Vtdg. El. non fossero anteriori al
Purg. I Confronta anche FBrraai, V, 881
e seg.
117. B DICHI A LKi IL VER : Al. B DICHI
IL vano A LEI. - IL VER : che io son qui in
luogo di salate. - altro : se nel mondo
si dice ohe io sia perduto, essendo morto
Bocmianicato.
118. ROTTA ; ferito il corpo di dae colpi
mortali;ofr.v. 108, IH.
120. PERDONA: cfr. I$aia XLV, 22.
Széch. XXXin, 11.
V. 121-186. XaflM<Mrieerdla «NWiMi
e ia 9€omuìUoa, Confessa Manfredi di
essere stato gran peccatore; ma l'im-
mensa divina bontÀ accoglie ohianque
penitente a lei si rivolge. « I sacerdoti
mi maledissero e dispersero le mie ossa;
ma la loro maledixione non paò togliere
la misericordia di Dio, che accoglie ohian-
que penitente a Lui si rivolge. »
121. ORRiBiL! cfr. il passo del Villani
riportato al v. 103.
124. PASTOR: Bartolommeo Pignatelli,
cardinale e arcivescovo di Cosenva dal
1251 al 1267. Manfredi fu sepolto « i^piè
del ponte di Benevento, e sopra la sua
fossa per ciascuno dell' oste gittata una
pietra; onde si fece grande mora di
sassi. Ma per alcuni ai disse, ohe poi per
mandato del papa il vescovo di Cosensa
il trasse di quella sepoltura, e mandoUo
ftiori del regno ch'era tona di Chiesa,
e fu sepolto lungo il fiume del Verde
a' confini del Begno e di Campagna »;
G. vm. vni, 9.
126. FU MESSO : fu spinto da papa Cle-
mente 1 V a perseguitarmi oltre la tomba.
126. Uf Dio : nella parola di Dio. -
FACCIA : quella pagina del Vangelo, ove
si legge che la bontà divina prende ohi
si rivolge a lei ; « eum qui venit ad me,
non eiciam foraa » ; Joan, VI. 87.
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[UTIP. 180LBTTA]
PUBG. III. 128-141
[HÀNFBBDI] 877
133
136
138
In co' del ponte, presso a Benevento,
Sotto la guardia della grave mora.
Or le bagna la pioggia e move il vento
Di fdor dal regno, qaasi lungo il Verde,
Dov'è! le trasmutò a lame spento.
Per lor maladizion si non si perde.
Che non possa tornar l'eterno amore,
Mentre che la speranza ha fior del verde.
Ver è, che quale in contumacia muore
Di santa Chiesa, ancor ch'ai fin si penta,
Star gli convien da questa ripa in fdore
Per ogni tempo eh' egli è stato, trenta.
In sua presunzion, se tal decreto
Più corto per buon preghi non diventa.
128. DI co' : In oapo; efr. Inf, XX, 76;
XXI, 61. Jfanfiue., Ttw, <M Nomi, 663.
m. OSATB MORA : Ift « grande mora di
auri»,d! che parla n Fi2{<m<.Jr(9ra ònn
rnnoddo di pietre (tpagn. mortitn i— aoa-
ilflo di saasl). cfr. mu, Wdrt. V, 281.
La Tooe mora * di uso appresso 1 Se-
nari »; Fànf. Confronta Oavemi, Voci e
Mù4i, 83.
130. \M BAGKAt donqne Insepolte;
efr. Saba Maiasp. in MurtU., Script.
VIU, 882.
131. FUOR: ftiori dei confini del regno
di Hapdl. - Vkrdb: il flnme Liri, oggi
OarigUano nella CUunpania, < qnod Inter
rsgnnrn etCampaniam desoendit in mare
TjTtbeaoasm^'tBewo, Altri intendono di
qnel mseello ohe sbocca nel Tronto in
Tioinanxa di AsooU ; altri del piccolo Can-
neto, o Marino, o 8. Magno. Cfr. Par,
Vin, 63. Oom, Lipt. II, 37; III, 106
e aeg. Siane, Voe., s. v. Yenuch II, 8 e
ssg. F^rrtu. IV, 403 ecc. Batt. 260 e seg.
132. B: il pastor di Cosenta. - spento :
« Candelie eztinotis, et oampanis pulsa-
tls more BodeeisD dlctns Episoopns dieta
ossa tamqoam hsretJoi anathematisati
fbdt proloi iuxta flomen Verdi, qnod
confinat Apnlia a Marcha > ; Pctr, Demi.
- « Dicono alooni che il legato ayera gin-
fato di cacciar Manfredi del regno, e non
avendo pototo caodarlo vìto, cacciò il
corpo »; Xofuf.
183. LOR: dei pastori ; per le scoma-
nidke eedeeiastiche non si perde il di-
vino amore in modo tale da non poterlo
■ai più licapenuce. < La soomnnioaKione
dà pnr pene temporali, non altro; non
l^a a Infèrno, e non ti può t6rre Pa-
radiso » ; Fra Oiord,, Fred., 1.
135. HA FIOR: verdeggia ancora nn
poco, mentre l'nomo rive ed ha ancora
il tempo di convertirsi a Dio. Fior è qui
avT. come Inf. XXV, 144; XXXIV, 26
■a nn poco, alcon che. Cosi i più. Al. ft
FUOR DKL VKRDR » « qnando per non es-
ser ancor ginnto al fin della vita, non
si ha perduto la speranza di potersi pen-
tire»; Dan.
V. 136-145. Fena dei eontutnaei.
* Eoolesia excomnnicationem ad mede-
lam, non ad iadiciam indadt», insegna-
rono i teologi. Ma se la scomunica non
priva della grazia, ciò, secondo Danto,
non TQol dire ohe i contumaci restino
impuniti. Per l' audacia che mostrarono
oontro la Chiesa, indugiano l'entrata nel
Purgatorio il trentuplo di loro presnn-
sione, se i suffragi e le preghiere de' vi-
venti non abbreviano loro il tempo del-
l'aspettore.
136. QUALK: Chluuque. -m OOlfTUMA-
ciA ! fuori della comunione della Chiesa.
188. STAR : « Nec ripas datur horren-
das et rauca fluenta Transportare prius
quam sedibus ossa qnierunt: Centum
errant annos volitantque hieo litora cir-
onm ; Tom demum admissi stagna exop-
tata revlsnnt »; Virg., Aen. VI, 827 e seg.
140. m BUA pRESUKZiON : Scomunicato,
non riconciliato colla Chiesa.
141. BUON: preghiera e suffragio di
ohi vive nella grasia di Dio, cfr. Fwrg.
IV, 133 184.
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878 [ANTIP. IBOLBTTi] PUBG. IH. 142-145
[VÀITFBBDI]
142
U'>
Vedi oramai se tu mi puoi far lieto,
Rivelando alla mia buona Gostanza
Come m'hai visto, ed anco esto divieto I
CHò qni per quei di là molto s'avanza. >
142. FAR URO: pTooaraiidoiiil ìmon
preghi.
148. Gostanza: ofr. t. 115. Nel 1800
Costelli^, figlia di Manfredi, Tirerà in
Barcellona, dove morì nel 1802. Proba-
bilmente Dante non la Tide mai; ofr.
Vigo, D. in SieUia, 68 e eeg.
144. OOMB: nello stato di salTazIone.
- DiyiKTO : la prolbisione di entrare nel
Purgatorio prima ohe aia trascorso il
tempo decretato, o ohe questo tempo sia
abbreviato per le preghiere ed i snfflragi
dei vivi.
145. QUI: in Purgatorio si guadagna
molto per le preghiere dei viventi; ofr.
Pwrg, rv, 188-184; VI. 26-27, XI. 84 e
seg., eoe. « Snffragia vivoram mortois
doplioiter protont, aloni «t vtris, et prò-
pter oharitatis nnionem, et propter In-
tentionem in eoa direotam. Hon iamen
sic eia valere oredenda soni vivomm
snffragia, nt statns eonim mntetnr de
miseria ad felioitatem vel e converso;
Sed VALHNT AD DIMIHUnOMIM F<EKM VOl
aliqnid hniosmodi, qnod statam mortai
non trasmatat. » Thom, Aq., Bum. theoU
m, Suppl, LXXI, 2. - « PoDna Pnrgato-
rii est in snpplementnm satislkotionis,
qnsd non ftierat piene in oorpore consoni-
mata, et ideo, qoia opera nnios poasont
Valeri alteri ad satlsfiùtionem, si ve virus
sive mortnns ftierit, non est dnbiam,
quin suiftagia per vivos ftusta ezisteatl»
bus in Purgatorio prosint »} ihid,, art. 6.
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[lllTTPTJBeÀTOBTO] PUBO. lY. 1-7 [SALITA] 879
CANTO QUARTO
AJ7TIPUBGAT0BI0 : SALITA AL PBIMO BALZO
POSIZIONE DEL SOLE E NATURA DELLA MONTAGNA
ANTIPUEGATOBIO
BALZO PBIMO : NEGLIGENTI
(StonBO néll" Antiporgfttorlo tanti Anni, qaanti ftarono gli «ini della vita)
BELAOQUA
Qaando per dilettanze ower per doglie,
Che alcana virtù nostra comprenda,
L' anima bene ad essa si raccoglie,
4 Par che a nulla potenza più intenda;
E qaesto è centra qaello error, che crede
Che un'anima sovr' altra in noi s'accenda.
7 E però, quando s'ode cosa o vede,
T. 1-18. Arrivo al htoffo dove »i tre potenze, cioè vivere, sentire e ragio-
nale. Tutto oeoapato di Manfredi e di nare » (vegetativa, seniitiva ed intellet-
qoaato ei gli andava dicendo. Dante non ti va). « E quella anima che tntte qaeete
M ò aoeorto del passare del tempo. In- potendo comprende, ò perfettissima di
tanto ò passata circa 1 ora e i/t, ed i tntte le altre »; Oonv. Ili, 2, cft. IV, 7.
Poeti, aeoompagnatil dagli spiriti de' con- - comprrnda: ne riceva in so le im-
tumaoi, sono arrivati al ponto, ove dal- pressioni.
l'iaoletta si sale al primo balco, pnnto che 3. ad rsha : virtù o potenza. - si rac-
gli spiriti additano loro nnanimemente. oooLn: si affissa, si conoentra.
1. DiLiTTANZi: diletti, piaceri; voce 6. kbror: dei Platonici, che insegna-
antiquata. Qaando per Teiretto di alcuna vano Tanima nmana essere triplice : ve-
piaoevole o dolorosa impressione che getativa, sensitiva ed intellettiva {oft.
operi sopra nna d^e facoltà deiranima, AriHoL.De An. Ili), e dei Manichei, ohe
l'anim* stessa d concentra tutta in qne- ammettevano resistenza di dne anime,
st'nna fsooltà, allora pare che essa non Onde l'ottavo concilio ecamenioo,can.XI:
fMcia più attenzione a venm'altra delle « Apparet qnosdam in tantum impietatis
Boe fliooltà. venisse, nt hominem duasanimashabere
3. cm : le quali ; quarto caso. - virtù : impndenter dogmatizent. » Ck>nfr . De^f,
potensa : « L* anima principalmente ha DanU AUgh., M e seg. OMnam,,Pur0., 94.
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880 [ANTIPUBOATOBIO] PURO. IV. 8-22
[SALITA]
10
13
16
10
22
Che tenga forte a so Y anima vòlta,
Vassene il tempo, e Tuom non se n'avvede;
Ch'altra potenza è quella che l'ascolta,
Ed altra è quella e' ha l'anima intera:
Questa è quasi legata, e quella è sciolta.
Di ciò ebb'io esperienza vera,
Udendo quello spirto ed ammirando:
Che ben cinquanta gradi salito era
Lo sole, ed io non m'era accorto, quando
Venimmo dove quell'anime ad una
Gridare a noi : < Qui è vostro dimando. »
Maggiore aperta molte volte impruna
Con una forcatella di sae spine
L'uom della villa, quando l'uva imbruna,
Che non era la calla, onde saline
8. TBNGÀ : attiri a sé tatta qaaota rat-
tensione dell'anima.
10. CH* ALTRA : imperocché altra è la
facoltà ohe ascolta o vede ciò ohe tira
a sé tutta TattenEione dell'anima, ed
altra ò quella ftMx>ltà che Tanima serba
intiera, cioè non toccata dall'impres-
sione; Tana è impedita, l'altra Ubera.
Sq questi versi ciV. Thom, Aq., 8um.
theoL I, 76, 8. Conti, in Dante e il $uo
»ee., 808. At$on, noli' Ji&o Dcmteteo Ve-
roneee, 261 e seg. Eiutd. in AUi dell'Isti-
ttOo Venetp VI, m, 866 e seg. LibenUore
neìV Omaggio a Dante, 308 e seg. « Le
tre anime, vegetativa, sensitiva ed in-
tellettiva, non sono che tre modi o ca-
tegorie delle operaxioni dell'anima, le
quali si van man mano svolgendo l'nna
sopra dell'altra. Queste tre potenxe poi
sono Ara sé di guisa, ohe l'nna è fonda»
mento dell'altra; la vegetativa della sen-
sitiva e questa della intellettiva»; Ruth,
8Utd, I, 69 ; cfr. Oonv, III, 2.
14. SPIRTO : Manfredi. - ammirando :
meravigliandomi di vederlo in luogo di
salvatone» e di udire ciò ohe mi andava
dicendo.
16. CINQUANTA: « il sole, percorrendo
16 gradi in un'ora, impiegherebbe pih di
tre ore per salire 60 gradi abbondanti ;
onde si possono contare le tre ore e mezsa
di sole, oioò le 10 del mattino. Dante in
questo spazio di tempo, cioè dalle 8 V* (cfr.
Purg. Ul, 26 e seg.) aUe 10, avrebbe per-
corso più di due mila passi, dei quali una
metÀ molto lentamente, discorrendo con
Manfredi > ; AgneUi. Cfr. DeUa VàOe, Sen-
to, 80 e seg. AntoneUi in Tomm, appen-
dioeal presente canto ; NoeiU, Orario, 13.
17. AD UNA : ad una voce, tutte inslo-
me; cfr. Fwg. XXI, 85.
18. DIMANDO: dò di che voi chiedete,
doè il luogo dove si può salire ; cfr. Pwrg.
m, 76 e seg.
y. 19-61. Salita al primo baUfo.
« Dante non predsa veramente la posi-
sione di questo sito, nel quale si prende
l'erta della montagna. Ma noi, conside-
rando che l'angelo deposita le anime nel
punto pih orientale dell'isola, e ohe anche
la porta del vero Purgatorio si trova ad
oriente, crediamo di non scostarci troppo
dal vero mettendo quel luogo verso mat-
tina e in linea retta tra il ponto dove ap-
prodano le anime e la porta del Purgato-
rio. Stando cosi le cose, i Poeti, scostan-
dosi dalla linea da oriente a ponente drea
mezxo miglio verso messodi, rifanno po-
sdaaltrettanto cammino, ma un poco pid
in alto, insieme alle anime, nelladiresióne
di nord. Salito faticosamente un tratto
dell' erta, i Poeti arrivano ad un balzo,
dove si mettono a riposare ed a orien-
tarsi, colla fkcda volta a levante. » Agnd^
li, Topo-OroH., 82 e seg.
19. APERTA: apertura più larga. - im-
pruna; serra con pruni, nelle dopi.
20. FORCATELLA : piocola forcata. - ari-
NBtcfr. Prot>.XV, 19.
21. IMBRUNA : incomincia a forai bruna,
doè a maturare.
22. CALLA; adito, apertura, ingresso:
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[iKTIPnEOATOBlO]
PUBO. IT. 28-83
[SALITA] 881
Lo duca mio ed io appresso, soli,
Come da noi la sobiera si partine.
25 Vassi in Sanlèo, e discendesi in Noli ;
Montasi sa Bismantova in cacume
Con esso i pie; ma qni convien ch'nom voli;
38 Dico con V ali snelle e con le piume
Del gran disio, diretro a quel condotto,
Che speranza mi dava e facea lume.
31 Noi salivam per entro il sasso rotto,
E d'ogni lato ne stringea lo stremo,
E piedi e man voleva il suol di sotto.
oggi oomimemento Oaììaia, AL lo callb,
ohe ò in mmUuim lo stesso. Ctt, Moore,
Orìt., 875eseg. IL BeUi: *LaeaUaé»e
dirsi, se vuoisi mantenere il paragone
eoa a^Mfta del Terso 19. »-SALhn: salì;
e oofll parUn» per parti, eoo. Cfr. Iftf.
XI, ai.
26. YABsi: tuo! dire in sostansa che
Tide già molti luoghi montuosi, difficili
e fiftticosi a praticarsi, ma ohe ninno di
essi era paragonabile al oaUe per oni bi-
sognava salire qni, tanto era questo erto
ed angusto. - Sarlèo: anche San Lko, già
Città FOtria, piccola città dell' antico du-
cato d'Urbino, non lungi da San Marino.
Giace sovra un erto e scosceso colle, ed al
tempi di Dante non vi si poteva ascen-
dere che per un angusto sentiero inta-
gliato nella roccia. Cfr. Loria, L'Italia
netta D. a, IP, 608, 610. Pareto in D. e
il tuo «00., 604. Bat9. 195 e seg. Che Dan-
te vi ria stato, non risulta di necessità
da questa comparasione. - Nou : piccola
città n^la riviera ligure di ponente, tra
Savona e Finale. Al tempi di Dante non
vi si poteva andare che scendendo per
iacaglioni intagliati nelle quasi verticali
pareti dell* anfiteatro de' monti che cir-
condano Noli e quasi lo separano dal re-
sto del mondo; ciV. Loria, 1. e, II', 610.
Boss,, 200 e seg.
26. Bumaittova: villaggio a 84 ohi-
lom. al sud di fieggio Bmilia. fi addos-
sato ad una montagna dello stesso nome.
Nel medio evo era un forte castello che
dominava sul circostante paese ed ebbe
propri signori. Ora non appare vestigio
del castello, ma solo si vede un nudo
smisurato sasso, detto Pietra Bieman-
tota che ergesi sopra tutti i monti vi-
cini; cfr. Loria, 1. e , II*, 511. Pareto,
1. o., 653 e seg. Bau. 197 e seg. - Al.
■ DI Caooums, e intendono del monte
Oaecwme eh* ò nei « Monti Lepini che
corrono fra il Sacco e le paludi Pontine
da N-O a S-B, drea tre ore a S-0 di Fre-
sinone ». Cfr. Baet., p. 631 e seg. e BulX.
d, 8, Dant, K. 6, 41 e seg. e ir, 6, 219.
27. CON K880: sens' altro aiuto ohe dei
piedi. - vou: « questo poggio primo a
volerlo salire, oonviene che uomo abbi
aU, idest deUe virtù » ; An. Fior. Allude
alla sentenza evangelica, angusta essere
la via che mena alla vita. Matt, VII, 14.
28. ALI: Al. ALI. « Colla fede et colla
speranza, che sono l'ali che portone i
virtuosi et fedeli»; An. Fior.
29. ooifDOTTO : conduttore, guida, cioò
Virgilio : così Benv., Buti, An. Fior., 8er-
rav., Land., TeU., Dan., Vent., Lonib.,
Pogg., Betti, Tom., Andr,, Cam., Chm.,
Poi., ecc. Di Condotto, sost. per Scorta,
Guida, si hanno parecchi esempi (cfr.
Betti, II, 22), tra altri uno di Dante
stesso, Oonv, l, 11. Secondo altri condotto
è qui partic. di condurre, onde il senso
sarebbe : Tirato dietro a colui, a Viigilio,
che mi dava speranza e mi era guida.
Cosi Biag , Br. B , Frat., Qreg., Bl, ecc.
Tutti gli antichi, in quanto non tiran via
da questo luogo, andando d' accordo nel
prender condotto per sost., par che sia
da stare alla loro interpretazione.
80. FACKA LUMI : mi mostrava il cam-
mino. « Lucerna pedibus meis verbnm
tnum, et lumen semltis meis»i Ptol.
CXVin, 105.
81. BASSO BOTTO : viottolo scavato nel
82. LO BTBBMO : la spouds di quel cavo
sentiero, il quale era sì stretto, chei due
Poeti toccavano le spondelaterali, e tanto
erto da non poter salire se non arram-
picandosi.
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882 [INTIPUBOATOBIO] PUBO. IT. 84-52
[SALITA]
34
37
40
43
49
52
Poi elle noi fummo in su Torlo supremo
Dell'alta ripa, alla scoperta piaggia,
€ Maestro mio, » diss'io, « che via faremo ? »
Ed egli a me : < Nessun tuo passo caggia:
Pur su al monte dietro a me acquista,
Fin che n'appaia alcuna scorta saggia. »
Lo sommo er'alto, che vincea la vista,
E la costa superba più assai,
Che da mezzo quadrante a centro lista.
Io era lasso, quando cominciai:
€ 0 dolce padre, volgiti, e rimira
Com' io rimango sol, se non ristai. »
«Figliuol mio, » disse, < infin quivi ti tira! »
Additandomi un balzo poco in sue.
Che da quel lato il poggio tutto gira.
Si mi spronaron le parole sue,
Ch' io mi sforzai, carpando appresso lui.
Tanto che il cinghio sotto i piò mi fue.
A seder ci ponemmo ivi amendui
84. POI CHB : Al. QUANDO. - « Per orlo
supremo, di aopim, dereai intendere la
droonferensa del primo parallelo a qoel
della base, che sarebbe l'orlo inrerlore o
di sotto. Chiama poi alta ripa V imbasa*
mento della montagna che s'eleva nn
baon tratto perpendicolarmente snl pia-
no, qoasi on gran maro, e In capo al qaale
i Poeti son ginnti per nn' Incayatara nel
masso alquanto inclinata. » Br. B.
35. piAQQik : il dorso del monte ohe sin
qui non avevano potuto vedere, essendo
la via per cai erano saliti, cosi addentro
nel monte.
36. CHB VIA : ci rivolgeremo a destra o
a sinistra? Nessuno dei due sa ancora ohe
salendo su per il Purgatorio si va sempre
a destra.
37. CAGOLà: non volgerti nò a destra
né a sinistra, ma continaa a salire sa
verso il monte. « Ne declines ad dexteram
vel ad sinistram » ; Giosuè, I, 7. - « Non
deoUnetis ncque ad dexteram, ncque ad
sinistram » ; Isaia, XXX, 21. Al., e sono
i pih : Non dar passo indietro. Ha a dar
passo indietro nessuno aveva pensato.
38. acquista: guadagna terreno, sa-
lendo dietro di me.
80. SAGGIA! che sappia dirci qual via
dobbiamo prendere.
40. LO BOMMO: la sommità del monte
era tanto alta, ohe 1* occhio non arrivava
a discemerla; ofr. v. 80 e seg.
41. costa: fianco del monte. - supbb-
ba: erto, ritto; cfr. It^. XXI, 84.
42. CHK DA MEZZO : la costo aveva luuk
incUnasione assai maggiore ohe ona li-
sto la quale da mesco quadrante vada
al centro, maggiore cioè di 45 gradi,
quindi vicina quasi alla perpendicolare.
- QUADBAKTB: quarto di circolo, doè un
angolo di 90 gradi.
45. RIMANGO : indietro, non potendo per
la stanchexsa seguirti, se non ti soffermi
un poco ad aspettormi.
46. TI tira: sforxati di arrivare fin so
quel balco.
47. BALZO: sporgimento del terreno
ftaori della superficie del monto.
48. GIRA : circuisce tutto la parto del
poggio visibile da quel lato ove eravamo.
50. CARPANDO: arrampicandomi, sn-
dando carpone dietro a lui.
51. il cinghio : il balio additotomi da
Virgilio.
V. 52-84. Il soie dotta purie di set-
tetUrione, Poi che sono saliti sul primo
balzo, i due Poeti siedono con la Ikoda
rivolto ad oriento. Danto vede il sole
alla sua mano manca veno settontrione,
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lUntP. BALZO 1]
PUBO. lY. 58-67 [IL SOLI AL HOBD] 883
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01
M
«7
Vòlti a levante, ond'eravam saliti;
Che suole a riguardar giovare altrui.
Oli occhi prima drizzai a' bassi liti ;
Poscia gli alzai al sole, ed ammirava
Che da sinistra n'eravam feriti.
Ben s'avvide il poeta ch'io stava
Stupido tutto al carro della luce,
Ove tra noi ed Aquilone intrava.
Ond' egli a me : « Se Castore e Polluce
Fossero in compagnia di quello specchio,
Che su e giù del suo lume conduce,
Tu vedresti il Zodiaco rubecchio
Àncora all'Orse più stretto rotare,
Se non uscisse fuor del cammin vecchio.
Come ciò sia, se il vuoi poter pensare.
di ohe al maniTigUa molto. Virgilio gli
•plagA ohe qnetto avTione, perchè ai tro-
Taao Bèli* altio emisfero. Dante dichiara
di aver oompreeo ciò ohe Virgilio gli ha
63. oirD[B] : dalU quale parte erayamo
54. GIOVASI t il rigoardare dall' alto al
haaao la via percorsa saole dilettare ed
ineonicgiare il viaggiatore. < Fatta la fa-
tica dello stadio e della virtil, giova poi
riguardare la via percorsa» { 2V>m. -« Sta-
te saper vias, et videte, et interrogate
de seudtis aatiqois, qnm slt via bona, et
ambalate in ea ; et Invenietis reftigeriom
aaimabos vestris»; Geremia, VI, 16.
66, AMMIRAVA : perchè di qoa dal tro>
pioo dal Cancro ohi guarda verso levante
vede n sole girare alla saa destra. « SI-
milem admirationem haboenmt illi Ara-
bea, qnl veneront in sobaidiam Pompei,
Lnoano dioente (Phart. Ili, 247 e seg.) :
Iffnotmn vobi$, Arabee, venUtit in orìwn,
Vmbroi miriUi nemorum non ire tini-
ttrat»; Peir, Dant.
69. GABBO: sole; oflr. v. 72.
60. OTB : dalla parte dove di qoa dal
tropico del Canoro il sole entra, cioè na-
sce tea noi ed aostro, ponto opposto dia-
metralmente ali* Aqidlono Ad hoc etiam
dSetos poeta Lacanos alt {Phare, IX. 688
e seg.): BltSbi, qwecumque ea lAbyeo gene
igne diretmUi In Hoton umbra eadit, quoe
aoKs exit in AreUm»t Petr. Dant.
61. CAflTOBB B PoLLUCB: 1 Dtoscnri,
figli di GioFO e di Leda; ofr. Eygin,,
Fàb., TI; Ttetz., Lycophr,, 87; qoi-ila
ooetellaaione dei Camini.
62. sriociuo! il sole, detto tpeeehio
perchè, secondo Dante, riflette la Ince
divina piti d'ogni altra oreatora; ofr.
Oonv, III, 14.
63. OONDUCB : rischiara a vicenda l' ano
e r altro emisfero. Se il sole, o la parte
rosseggiante dello Zodiaco, dov' è il sole,
fosse nei Gemelli, si vedrebbe questa
parte moversi o rotare più presso al no-
stro polo, perchè il segno dei Gemelli è
più settentrionale dell'Ariete, dove al-
lora era il sole. Confr. Ddla VdUe, Sen-
to, 46.
64. VBDRISTI : Al. VBDBBBSTI. - BUBIO-
CHio : rosseggiante, dal lat. rubeue; ciV.
Yirg., Georg, 1, 234 e seg. Così i più, An.
Fior., Benv,, Buti, Land., Veli., Dan.,
Tent., Lomb., Tom., ecc. Alcnni dicono
invece che qai rubeeehio è sostantivo e
significa rota dentata di molino, onde
Zodiaco rubeeehio eigniflcherebbe mota
sodiacale. Così Lan,, Poetil, Oae., Petr,
Dant.t ecc.
66. CAMMIN ! dall'eclittica, soo corso
abitoale.
67. 00MB: Dante vool qol mostrare
perchè nel Porgatorio si vegga sempre
il sole dalla parte di settentrione, mentre
a Sion o a Gerosalemme si vede sempre
da qoella di messogioroo. Dice pertanto
che qoesti doe looghi hanno on solo orls-
Bonte e divorai emisferi, e però sono an-
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[AHTIP. BALZO 1] PUBO. IT. 68-80
[IL SOLI AL VOI
Dentro raccolto imagina Sion
Con questo monte in sn la terra stare
SI, che amendae hanno nn solo orizzòn
E diversi emisperi; onde la strada,
Ohe mal non seppe carreggiar Fetòn,
Vedrai come a costui convien che vada
Dall' un, quando a colui dall'altro fianco,
Se l'intelletto tuo ben chiaro bada. »
€ Certo, maestro mio, > diss'io, « unquanco
Non vid'io chiaro si, com'io discemo.
Là dove mio ingegno parca manco.
Che il mezzo cerchio del moto superno.
Che si chiama Equatore in alcun' arte.
' imo airaltro. Ha qaeste due oon-
Don battano alla detta rodata,
ao i dae laoghi fbaaoro dentro i
■opioi o nel giro dell'eclittica, ò
che potrebbero esaere antipodi,
ohe Tnno vedesse il sole sempre
arte del Nord, e l' altro da qaella
l. Bisogna dnnqne ohe siano anche
ci Tropici 0 dell' eclittica. Dante
prime nna tale condizione, ma la
snde, sapponendo che il lettore
che Qeròsalemme è al di qoa del
0 del Cancro ed il Purgatorio al di
[tropico del Capricorno. Ctt, Della
Sento, 40 e seg.
àCCOLTO : in te stesso; con intemo
imento della tna mente.
iBizzÒM: gr. 'Opx^my orisaonte.
i disse pare l'Ariosto foor di ri-
l. Fur. XXXI, 22.
NDB : Al. OVD'È. - STRADA : li cam-
inao del sole, cioè recUttica. Dan-
dire ohe recUttica va da un fianco
;e del Purgatorio (a eoHuij v. 78),
uioo opposto al monte Sion (a oo-
^4). E difktto l'annuo cammino del
si pon mente, va per noi da sini-
lastra, e pel nostri antipodi dade-
Inistra, come procedono appunto
dello Zodiaco; cfr. Detto VaUe,
43.
iL:perlui,cfr. Jf^.IX.M Rorat,
, VI, 14. Al. CHE MAI NON; CHB
BPPK, lesioni ohe devono la loro
air ignoransa ; ciV. Moore, Orit,,
>g. -FrrÒN : alla greca, come Cfa-
izzon, eoo. Secondo la mitologia,
ftttea apparve, quando il carro del
al guidato da Fetonte, arse una
parto del dolo. Cfr. Ovid., MeL n, 47-]
Nonn. XXX Vili, 171 e seg., 807 e i
Hygin., Fab., 162 eoo.
78. A COSTUI : a questo monto del P
gatorio.
74. A COLUI : al monto di Sion, o a (
msalemme.
76. BADA: attende in modo da ▼«
chiaramento totto dò. « In sostansa "^
gilio ha volato dire ; se fossimo a giug
tu vedresti il sole anche piti lontano
to a sinistra»; Andr,
76. UNQUANCO: mai ancora; mal s
a qoesto momento; cfr. Beuibo, Pn
lib. HI.
77. NON VID* IO : Al. NON VIDI CHIAJ
dnora non Intesi mai cod ohlarame
cosa ohe prima mi paresse dtrepaas»
limiti ddla mia capacità, oome ora pi
tuoi insegnamenti comprendo ohe Teq
toro ò tanto distanto dal Porgatorlo qu
to è da Sion, o da Gtorosalemme.
78. MANCO : manchevole, insaffldea
79. MNZZO CBSCHio : Oiroului medi
doè il circolo di messo del ddo orid
lino. - DSL MOTO : del più alto dd oi
ohe girano.
80. ABTK: astronomia. « È da sap<
ohe ciascuno ddo, di sotto dd Crist
lino, ha due poli fermi quanto a sé; e
nono gli ha fermi e fisd e non mutab
seoondo alcuno rispetto ; e dasonno, al
nono come gli altri, hanno un eeroh
che si poeto chiamare equatore dd t
ddo proprio ; il quale eguaimento in o
souna parte ddla saa rivolodone ò
moto dall' uno polo e dall' dtro, come p
sendbilmento vedere ohi volge un pon
od altra cosa tonda»; Oonv. II, 4.
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[ASTIP. BALZO 1]
Puro. it. 81-95 [il sacro montis] 885
82
91
91
E ohe sempre riman tra il sole e il verno,
Per la ragion che di', quinci si parte
Verso settentrìon, quanto gli Ebrei
Vedevan Ini verso la calda parte.
Ma, se a te piace, volentier saprei
Qoanto avemo ad andar; che '1 poggio sale
Più ohe salir non posson gli occhi miei. »
Ed egli a me: « Questa montagna è tale,
Che sempre al cominciar di sotto è grave;
E quant'uom più va su, e men fa male.
Però, quand'olia ti parrà soave
Tanto, che il su andar ti fia leggiero.
Come a seconda in giuso andar per nave,
Allor sarai al fin d'osto sentiero;
Quivi di riposar l' affanno aspetta :
81. BOCAH: òhe T Equatore rimaog»
•eoapre tra il Sole e il verno ò manifiBeto.
Cbè ae rinremo è nei nostri dimi, U Sole
ei trova di là dall' Equatore nel Tropico
di Caprioomo, o vicino a qaecto Tropico ;
onde TEqnatoie rimane tra il Sole e noi,
che abbiamo 1* inverno. Se poi V inverno
è ai nostri antipodi, 0 Sole ai trova di qoa
dall' Equatore nel Tropico del Cancro ; o
proMO a qoeato Tropioo; onde l'Equa-
tore rimane ancora tra il Sole e i nostri
antipodi o anted, ohe hanno V inverno.
Cfr. XMte YaUe, Sento, 45 e eeg.
82. BAOIOH: perchè il monte del Par-
latorio è antipode a Sionne, v. 68 e seg.
- QDiHCi : da questo monte. - Bi ruiTm :
si scosta verso settentrione.
83. QUASTO: Al. QUANDO. Leggendo
q%tmnlo, il Poeta direbbe che gli Ebrei,
alknciiè erano in GerusiUemme e non
disperai, vedevano l' Equatore lontano o
diviso da loro, quanto ò lontano o diviso
dal Purgatorio. In questa lesione ver-
rebbe determinata la precisa posizione
deO'Eqoatore rispetto ai dae luoghi an-
tipodL Con la lesione quando Dante non
farebbe, ae non che denotare, che l'Equa-
tore si allontana dal Purgatorio verso
settaatrlone, quando gli Ebrei lo vede-
vano dalla parte di mezaogiomo. Confr.
Delia VaOs, Sento, U.
Y. 8&-M. Natura del aaero monte.
Dante desidera di saper» quanto dovran-
no aneora aaUze, essendo il monte tsnto
sito, die r occhio suo non arriva sino alla
25. — Div, Oomim,, 4fi edia.
vetta. E Virgilio gli dice che la montagna
è tale, che il salire ò faticoso da princi-
pio, ma si fti poi via via sempre più age-
vole. Salle prime il salire è grave, per-
ohò l'anima è ancora aggravata dal peso
delle sue colpe: « Iniqaitates meSB sn-
pergressn snnt caput meum: et sicut
onus grave gravai» snnt super me » ;
PsaL XXXVII. 6. Ma a misura che si
progredisce neiresercisio della penitensa
e della virtù, Tanima va di balco in balso
sgravandosi dalle sue colpe, ed il cam-
mino le si £r, per consegoensa, sempre
più facile e leggiero.
87. riù : cfr. v. 40. < Visus non pote-
rai attingere cacumen montiB, quod erat
contigunm coelo ; et talls est recto virtus
qu£D tendit ad ccelnm »; Benv.
90. FA MALK: alTatica.
91. SOAVK: focile tanto, che il salire
non ti costi più veruna fatica.
93. A SECONDA: secondo la corrente
delle acque. Nel tempo in cui nacque
Cristo, Oonv. IV , 6, «la nave della umana
compagnia dirittamente per dolce cam-
mino a debito porto correa. » Alcuni te-
sti leggono: Coh'a seconda giù l'andar
PRB nave, lez. difesa dal Betti, il quale
nota: « Ecco la costm rione : Che l'andar
tuU/ia leggiero, come l'andar per nave a
seconda in giù. Ferchò levar dunque l'ar-
ticolo al secondo andare, quando si è con-
ceduto al primo ? »
95. RiFOSAB: riposarti della fatica e
dell' affanno durato.
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[ANTIP. BALZO 1] PORO. IV. 96-113
[BBLACq
Pid non rispondo, e questo so per vero. »
E com'egli ebbe sua parola detta,
Una voce di presso sonò: € Forse
Che di sedere in prima avrai distretta. »
Al snon di lei ciascon di noi si torse,
£ vedemmo a mancina un gran petrone,
Del qual né io, né ei prima s'accorse.
Là ci traemmo ; ed ivi eran persone
Che si stavano all'ombra dietro al sasso,
Gom'uom per negligenza a star si pone.
Ed un di lor, che mi sembrava lasso,
Sedeva ed abbracciava le ginocchia.
Tenendo il viso gìix tra esse basso.
« 0 dolce signor mio, » diss'io, € adocchia
Colui che mostra sé più negligente
Che se pigrizia fosse sua sirocchia ! »
Allor si volse a noi, e pose mente,
Movendo il viso pur su per la coscia,
. PIÙ : perchè < io per me più oltre
disoerno », Ftirg. XXVII, 120.
. 07-126. Belaequa. Mentre 1 PoeU
jrrono salla natora della montagna,
IO ona voce. Si alumo e volgono a ei-
ra, e dietro uno scoglio del monte,
ante elevato ani balte, tra una corn-
ila di negligenti trovano Belacqna,
0 nel mondo di là come era stato nel
do di qna. Di costai si hanno scarse
Eie. Lan. ed OU. non ne sanno nnlla.
Fior.: « Questo Belacqna fta uno cit-
ilo di Firenze, artefice, et fltcea cotai
di Unti e di chitarre, et era il più
0 nomo che fosse mai ; et si dice di
ch'egli venia la mattina a bottega,
inevasi a sedere, et mai non si le-
1 se non quando egli voleva ire a do-
rè et a dormire. Ora l'Anttore ta
» suo dimestico : molto il rlprendea
Oleata soa nigligensa; onde un dì, ri-
idendolo, Belacqna rispose colle pa-
d' Aristotile : * Sedendo et quieioendo
iwejfieitur »apien$. ' Di ohe l'Anttore
Ispose : ' Per certo, se per sedere si
nta savio, ninno fti mai più savio di
» n Poiia Cku. dice ohe ta pigriseimo
operibns mondi dcot in operibns ani-
• Berw. aggiunge ohe Belacqna « cnm
na cura soolpebat et inddebat colla
kpita oithararum, et aliqoando etiam
pnlsabat. Ideo Dantes flimUiarlter x
rat enm, quia deleotatus est in eoi
Buti dice che Belaequa « al fine si pei
Serrav, ripete il racconto dell'iln. I
traducendolo quasi alla lettera. Altr
tlxle di costui non si hanno. Contt.
eid., 206.
09. PRIMA: di arrivare lassù, doi
poserai il corpo stanco. - dibtbbtta
oessità.
101. A MANcniAt a sinistra, i Poet
sondo volti a levante.
102. PRIMA : di udir quella vooe. 1
trone, o gran masso, era II vicino; ma :
te e Virgilio non se n'erano accorti,
ohò arrivati lassù si erano volila levi
108. PRRBOMR : anime di odoro ohi
ferirono la penitenaa sino agli eatrei
105. OOM'UOM : sdraiate per terra <
sogliono 1 pigri. - NROUOiHZAt Al.
OHIRNZA.
108. GIÙ : chino a terra tra le ginoo
IH. 8IROCCHIA: sorella, lai. toron
anticamente voce dell'uso.
112. poai Mum : fboeatteniloDe a
113. MOVKHDO: volgendo appeni
occhi su lungo la oosda, per non i
la Astica di levare il oapo. « Bèlaoqna
creatura più umana, più vera(l) di i
Il Purgatorio, oome è la più oomioa.
■ohersa In modo al amichevole e ai»
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[AXTIP. BALZO 1]
PUBQ. IT. 114-129
[BBLÀOQUA] 887
115
IIB
121
124
127
E disse : e Or va' sa tu, ohe se' valente I »
Conobbi allor chi era; e quell'angoscia
Che m'avaocìava un pooo ancor la lena,
Non m'impedì l'andare a lui; e posoia
Ch'a luì fili gionto, alzò la testa appena,
Dicendo : « Hai ben veduto come il sole
Dall'omero sinistro il carro mena?»
Gli atti saoi pigri e le corte parole
Mosson le labbra mie un poco a riso;
Poi cominciai : € Belacqoa, a me non dacie
Di te omai ; ma dimmi : perchò assiso
Quiritta se'? Attendi tu iscorta,
0 pur lo modo usato t' ha ripriso ? »
Ed ei: € Frate, l'andar in sa che porta?
Che non mi lascerebbe ire a' martiri
L' accel di Dio che siede in sa la porta.
ebe Dulie è fl primo a riderne; è lo
•oheno proprio dell' indole di Belaoqcui
che non ha voglia ohe di aooidere il tem-
po col dolce tu niente. » A. Bòndani.
114. va' su tu : ai. va' tu 8U. « Come
bene esprimono tolti qnesti monosillabi
la somma poltroneria di Belaoqna I •Betti.
-TALum: non fratello della pigrisia,
come dicesti che sono io. Ironia sottUe
e nello stesso tempo bonaria.
115. ALLOB: alla voce.
116. AVAOCIAVA! m'affrettava ancora
mi pooo il respiro. Avaeciare, verbo par-
ticipiale da aìrigére, abaettu, (ibaetiare,
efr. IHet, Wdrt, II', 0, vive tuttora in
quel di Chiandano. Cfr. Ir^. XXXEU,
10«. Purg. VI. 27.
118. ALZÒ: prima aveva volto solo gli
occhi; adesso si dà la piccola, ma per
im suo pari grande btica di levare un
poeo fl capo. Sempre lo stesso poltrone I
119. HAI: eontinna U parlare ironico,
darideado Dante di non aver compreso
fl motivo perchè il sole lo feriva a sinl-
stak « Sioat ad fhdem caos» non per-
tiageates, novnm eObctnm commnnlter
admlramor, aio, qnmn oaosam cogno-
Mlmiis, eos qui sani in admiratione re-
staoies, qvadam derisione despldmos »;
Ds JCof». n. 1.
121. atti: acosnnati più sopra, v. 106
e ssg., 113, 118. - OOBTS: « qola dixerat
tsatum duo verba, quo fiienmt duo
tsonmatA.soa »; Bsnv.
122. UN FOGO ; « qual conveniva alla
gravità del loco e delle circostante, e
alla serietà del filosofo, e massime di
Dante. Sino a tal segno potè Dante dar
campo al ridicolo, ma non più. » €Koberti.
- « Fatons in risu exaltat vocem snam ;
vir antem sapiens vix tacite ridebit »;
Eeelet. XXI, 28.
124. OMAii vedendoti qui, in luogo di
salvaslone.
126. QUiBnTA : appunto qui ; cfr. Purg.
XVII, 86. Al. QUI lUTTA; QUI RITTO. Cfr.
Moore, OriL, 877 e seg.
126. USATO: nelm<«do; la tua vecchia
poltroneria. - t'ha : Ai. t'hai. - bipbido :
ripreso. Ti ha la pigrizia ripreso da capo,
come ti ebbe nel mondo f
y. 127-188. X negUgenU del primo
balmo. All'ultima dimanda di Dante, Sc-
iacqua risponde che girare e tentar di
salire il sacro monte nulla gli giovereb-
be^ essendo i negligenti, in pena della
loro trascurateasa, trattenuti neU' Anti-
purgatorio, sensa scontare i loro peccati,
tanto tempo, quanto hanno perduto nel
mondo per la loro negligensa, se i suf-
fragi dei vivi non abbreviano loro 11
tempo deU' aspettadone.
127. FBATB : fratello. - CHB pobta : che
giova.
128. a' mabtIbi : alle pene purganti dei
sette cerchi.
129. L'uoOBLt l'angelo portiere, cfr.
Purg. IX, 78 e seg. Uctd o aug^l hanno
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[ANTIP. BALZO 1] PUBG. IT. 180-139
[BBLA(K
Prima convien ohe tanto il ciel m' aggiri
Di fuor da essa, quanto feoe in vita,
Peroh'io indngiai al fine i buon sospiri,
Se orazione in prima non m' aita,
Che sorga su di cor che in grazia viva:
L'altra che vai, che in ciel non è adita? »
E già il poeta innanzi mi saliva,
£ dicea: e Vienne email Vedi eh' è tocco
Meridian dal sole, e dalla riva
Copre la notte già col piò Morrocco. »
pran maggloruisa dei oodd. An.
BuU, Land,, YM,, Dan., eoo. Al-
I pochi oodd. Bénv., eoo.: l'axgk..
0 ohe aed^f non aia atto di aooello ;
ieré ha qui, oome tante Tolte, il
di Stare, Besere ooUooato, ATere il
•to, eoo. Al. L'usciKR ; ma le parole
)d0 in «tt la porta rendono inutile
mar l' anf^elo utcier; - posta: ohe
00 ai sette cerchi; ofr. Purg. IX,
»K*
M* AOGIBI : giri intorno a me nel-
pargatorlo tanto tempo, qoanto mi
itomo mentre vissi.
QUAKTO FRCR : Al. QUA]fT*IO Pia,
ndo : Conviene che la ginstisia di
li faccia girare tanto, quanto io in-
la penitenza. Ma questo anime
Irono.
PBfiCH'io: perchè io indugiai i
sospiri del pentimento sino agli
li della mia vita.
ORAZIONI : dei viventi ; ofir. Purg,
lOeseg.
BU: al cielo, dlnansi al trono di
fr. Apoeal. Vin, 8-4. - nr grazia :
^asia di Dio; oonfr. Bp. laoob,
UDITA: esaudita. Al. gradita.
« Soimus autom quia peooatores :
non audit, «ed si qnis Dei cultor a
volnntatem eins flKrii, huno exanj
<Ho9, IX. 81. Cfr. Giobbe XXVH
XXXV, 18. Ptaìm. LXV, 18. Prov.
20 ; XXVm, 0. Jèaia 1, 16.
187. vuunrR : Al. vikxi. -È Toooo:
nunziandosi con questo parole esse
l'ora del mezsogiomo, segue ohe (
quell'emisfero era rischiarato dai i
del sole ; e però su tutto l'opposto, <
quello di (Gerusalemme, regnava la n
Questa adunque aveva steso 1 suoi ]
fino agli estremi confini a occidenti
guati qui col regno o dttà di Man
ohe occupava una delle parti più
dentali di terra ferma, allora oono
te »; AntoneUi. Cfr. DeUa VaUe, &
55 e seg. Ponta, Croi. IkirU, ed. G
p. 50. Noeiti, Orar., 13.
138. RIVA: del Gange; ctc. Purg
4 e seg. La notte si estende dalla riv
Gange sino al Marocco, ossia sa i
V emisfero boreale.
130. MORROOCO : Al. MONROOOO,
ROCCO, Marrocco. Gli antichi don
narono Morroeco la regione afrb
della Mauritania, o^gi detta Man
cfr. W. XXVI, 104.
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[ARIP. SJLLZO 1]
PUBO. V. 1-11
[PÀBTXNZA] 889
CANTO QUINTO
ANTIPUEGATOBIO
BALZO SECONDO : NEGHITTOSI MOETI VIOLENTEMENTE
DUE ME88ÀGOEBI, IACOPO DSL CÀ8SBBO
10
Io era già da qneir ombre partito,
E segoitava l' orme del mio daca,
Qaando diretro a me, drizzando il dito,
Una gridò : « Ve' che non par che luca
Lo raggio da sinistra a qnel di sotto,
E come vivo par che si conduca! »
Gli occhi rivolsi al snon di questo motto,
E vidile guardar per maraviglia
Par me, pur me, e il Inme ch'era rotto.
€ Perchò l' animo tuo tanto s'impiglia, »
Disse il maestro, « che l'andare allenti?
V. 1-21. PorCtfMM» dai negUgmttU
AOontmatial i due Poeti da Belaoqaa e
da* SBoi oompagxU, questi si accorgono
all'ombra eoa che Timo ò ancor vivo e
temo le marariglle. Dante riguarda in-
dietro, di che Virgilio gli fi» rimproyeri»
ed egli se ne rergogna. Cflr. Qen, XIX,
17. M. Lu». XVn, 82.
1. OMBBS: dei negligenti nel primo
8. muzzAVDOt Tèrso di me; additan-
dond alle altre ombre ohe erano con lei.
4. YB*: redi ohe II oorpo di qnel di
sotto getta ombra.
5. DA sunsTEA: polohè avevano 11 sole
a destra; cfr. Pwg. IV, 62 e seg. - di
BOTTO: saHrano; Virgilio primo e più
sito, Dante secondo e più basso.
e. BX COHDUOA: « Però ohe '1 corpo di
Dante flMera ombra; ma lo oorpo di
Virgilio, ohe era aereo, non fMora om-
bra, et in ciò apparea ohe era morto »;
BiM. - « Par che si moova in modo come
se TÌ70 fosse ; dando, a cagion d' esem-
plo, segno di gravezza col romore che
nel camminare /ìscevano i piedi porco*
tendo il soolo, diversamente da quello
fsoessero le ombre»; Lon^.
8. VIDILB : vidi quelle ombre dalle quali
eravamo già partiti.
9. PUB MS: solamente me, noli' altro
che me solo. «Me, mei adsom, qnl fed,
in me convertite fermm >; Tirg,, Aen.
IX, 427. - BOTTO : dalla mia ombra. « Isti
merito mirabantnr de Dante qui erat
vivos Inter tot mortnos, qnl ante tem*
pus mortis venerat ad Pnrgatoriam ad
emendandam vitam vitiosam; miraban-
tnr etiam qnod erat si^iens Inter tot
ignorantes » (f) ; Btno,
10. s' IMPIGLIA : s' impaccia, si dà briga
di ciò che altri dicono di te.
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390 [ÀHTIP. BALZO 21 Pttbo. y. 12-25
[8CHIBBB D'AHDfl]
13
16
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25
Che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
Vien dietro a me, e lascia dir le genti!
Sta' come torre ferma, che non crolla
GKammai la cima per soffiar de' venti I
Chò sempre l'nomo in coi pensier rampolla
Sovra pensier, da sé dilunga il segno.
Perchè la foga Pan dell'altro insella. »
Che poteva io ridir, se non e Io vegno »?
Dissilo, alquanto del color consperso
Che fa l'nom di perdon talvolta degno.
£ intanto per la costa di traverso
Venivan genti innanzi a noi nn poco.
Cantando € Miserere > a verso a verso.
Quando s'accorser ch'io non dava loco.
12. cn: ohe t'importa il bisblgllAr di
coAtorof
14. FBBMA : Al. FERMO. « Ille VOlot p6-
lagl rapes immota resistit »; VWg., Aen,
VII, 586. - « lUe velat mpes, vaatam qo»
prodit in leqaor, Obvia yentonim foiii*
expostaqoe ponto, Vim cnnctam atqne
mioas perfert cnliqae mariAqae, Ipsa
immota manens »; tòid. X, 698 e aeg. -
« Qnemadmodum proiecti in altam aco-
pnli mare ftangnnt, ita sapientls animus
solidos est t; Senec., De Oonat. 8. - « U
cominciamento del canto ò tirato un po'
alla lunga, per farsi da Virgilio consiglia-
re la nononransa delle dicerie »; Tom.
16. RAMPOLLA: sorge, germoglia; cfr.
Far, IV, 180 e seg.
17. DILUNGA: allontana da sé il fine
propostosi.
18. PERCHÈ: il pensiero sopravve-
niente indebolisce TattiTitA dell'altro. -
FOGA: propriamente impéto, furia ; qai
per forza, aUività. - ikbolla : indeboli-
sce; cfr. I^f. XVI, 28. JPitiy. XXVII, 40.
«Sempre Toomo ohe si abbandona a
molti pensieri, arriva tardi al segno prin-
cipale a oni tende, perohò si urtano essi
in guisa, ohe l' uno rallenta il corso del-
l'altro »; Greg.
20. COLOR: rossorc; arrossendo nn po'
di vergogna.
21. TALVOLTA: uon sempre. « Secondo
ohe vuole il Filosofo nel quarto Aeil' Etica
* vergogna non è laudabile nò sta bene
ne' vecchi, né negli uomini studiosi ' ;
perchè a loro si conviene di guardare da
queUe cose ohe a vergogna gU Inducono.
Ani giovani e alle donne non è tanto ri-
chiesto.... Buono e ottimo segno di no-
bUtà è neUi pargoli e imperfetti d'etade,
quando, dopo il fallo, nel viso loro ver-
gogna si diplgne. » Oofiv. IV, 10.
V. 22-42. l>Me tne^àaggeri, Booo poco
oltre una gente che procede cantando nn
salmo penitenziale. Sono anime di neghit-
tosi morti violentemente, ed esduee dal
vero Purgatorio forse per tanto tempo
quanto sono stati negligenti. All' ombra
ch'egli fa, s'accorgono anch'esse cbe
Dante è vivo; e, lasciato il cantare, pro-
rompono in un grido d'ammlrasione. Dne
corrono a mo' £ messi incontro ai Poeti,
a chieder chi siano. Virgilio ordina loro
di andare a dire alle anime che Dante è
ancora vivo; ed i due messi ritornali o
veloci ai loro compagni ooU' ambasciata.
22. DI TRAVERSO : Al. DA TRAVERSO { in
direslone trasversale a quella di Dante e
Virgilio che salgono.
28. GENTI: cfir.v. 62 e seg. Quanto tempo
costoro devono aspettare prima di essere
ammessi nel Purgatorio, il Poeta non dioe.
Sembra però cbe anch'essi, come qoeUi
del primo balzo, debbano aspettare tanto
tempo, quanto vissero in negligensa.
24. MISERERE : il Salmo L che incomin-
cia: Miserere mei, Deu$, eeeundwn «us-
gnam mieerieordiam tuam. - A verso :
a versetti alternati, « come cantano li
chierici in coro »; Buti, « I canti de' pur-
ganti sono finenti e dispongono le ani-
me alle celesti armonie » ; Tom.
26. HON DAVA: interrompeva odi mio
corpo i raggi solari facendo ombra.
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[AXTIP. BALZO 2]
PUBG. y. 26^2 [ouB mbsbaogsbi] 891
28
n
87
Per lo mio corpo, al trapassar de' raggi,
Mnt&r lor canto in un '< Oh I „ longo e roco ;
£ due di loro in forma di messaggi
Corsero incontro a noi, e dimandarne:
€ Di vostra condizion fatene saggi. »
E il mio maestro: e Voi potete andarne,
E ritrarre a color che vi mandare,
Che il corpo di costui è vera carne.
Se per veder la sua ombra restaro,
Com'io avviso, assai ò lor risposto:
Facciangli onore, ed esser paò lor caro. >
Vapori accesi non vid'io si tosto
Di prima notte mai fender sereno.
Nò, sol calando, nuvole d'agosto.
Che color non tomasser suso in meno ;
E, giunti là, con gli altri a noi dier volta.
Come schiera che scorre senza freno.
27. BOCO: la lorpren, come ogni af-
feUo Mibitaneo, suole alterare la voce.
28. ■ DUI: la soena rammenta qaella
M Centauri, liif. XU, 58 e seg.
80. SAGGI ! oonsapevoli; (kted sapere
ehi siete.
82. BiTSAUUi: rliSMlre. Le parole sono
il ritratto de* ooneetti dell'animo.
84. BBt se, oome io m'immagino, si
SOM» iénnati per arer yednto (die qaestl
fis ombra, basti loro sapere che egli ò
30. CABO: potendo egli, ritornatovi,
rieordarli nel mondo e proonrar loro suf-
fragi del Tirenti; ofr. Pwg. UI, 140 e
•eg.; IV, 188, eco.
87. TAFOU : le ooiA dette «teOf cadenti.
Ai tempi di Dante si credeva che tanto
il fenomeno delle ttsUé oadewti, quanto il
frequente e ailendoeo lampeggiare in se-
no alle noTole sol tramonto di caldis-
sima giornata estlra, provenisse da ac-
eenaioDe di vapori; efr. Yirg., Georg. 1,
365 e seg. Brunetto LaL, Trit. II, 87.
Pretti, iiuadrir. IV, 14. U Poeta vnole
qui dipingere la relocità con ohe i dae
«lessa^ tonarono ariforire ai loro com-
pagni la novità udita, ed è oome se di-
cesse: Oorsero si velool , che parver balenL
88. puma: sai cominciar della notte.
AL MSSZA VOTTB; cfr. Moore, CfrU. 378
e seg. -ssuoiO: il del sereno.
39. Mk, SOL: non Tidi mal lampi fen-
dere cori prestam<>nte nuvole nel mese
di agosto sul ftu* della sera. - « Né vidi,
in sul tramonto, rimanendo II sole nasco-
sto dietro le navole estive, raggi di esso
escire cosi rapidamente da strappi forma-
tisi entro le nuvole stesse »; JionehetH. -
Altri diversamente, cambiando la lesto- «
ne. Chi vuol leggere : vt solca lampo ;
ohi: ut SOLCAR LAMPO; chi: ME SOL
CALANDO IN NUVOLE, eoc. Cfr. FauehiT,
Aeeidioeo o invidioso fummo f Kap., 1892.
Funai, Note dantesche, Gravina, 1803,
p. 35-44. Oiorn. Dani. I, p. 35, 06, 127,
120, 551, 569 : II. 204 e seg. eco. Acq., 63.
40. m MKNO : in più breve tempo.
41. DIBK VOLTA: tornarono indietro alla
nostra volta co' loro compagni : tanto
queste anime sono bramose di procac-
ciarsi i soAragi dei viventi I
42. SCORBI : Al. CORRE. - SENZA FRENO :
quanto mai può correre.
V. 43-63. SeJiiera di anime. Virgi-
lio £s notare a Dante, che tutte quelle
anime vengono a pregarlo di suffiragi,
onde si perderebbe troppo tempo vo-
lendo fermarsi ad asooltarle: perciò Io
ammonisce di continuare il cammino e
di ascoltarle cooì andando. E le anime
manifestano la loro oondisione, pregando
Dante di guardare, se ne oonosoe alcuna,
di cui riportar novelle su nel mondo. Il
Poeta non ne riconoece alcuna, ma pro-
mette di fisr ciò di che lo pregheranno.
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)2 [ANTIP. BALZO 2] PUBG. Y. 43-64 [SCHIERA DI ANIVE]
« Questa gente, che preme a noi, è molta,
E vengonti a pregar; » disse il poeta;
« Però por va', ed in andando ascolta. »
€ 0 anima che vai per esser lieta
Con quelle membra con le qnai nascesti, »
Venian gridando, cnn poco il passo quotai
Guarda se alcun di noi unque vedesti.
Si che di lui di là novelle porti I
Deh, perchè vai? Deh, perchè non Varresti?
Noi fummo già tutti per forza morti,
E peccatori infine alPìiltim'ora:
Quivi lume del ciel ne fece accorti.
Si che, pentendo e perdonando, fuora
Di vita uscimmo a Dio pacificati,
Che del disio di sé veder n'accora. »
Ed io : « Perchè ne' vostri visi guati.
Non riconosco alcun ; ma, se a voi piace
Cosa ch'io possa, spiriti ben nati.
Voi dite, ed io farò per quella pace,
Che, dietro ai piedi di si fatta guida.
Di mondo in mondo cercar mi si face. »
Ed uno incominciò: e Ciascun si fida
3. PBBMB: fa pressa por arrivare C5. perdonaiido : ai nostri ofBnisoii;
loi. « Si enim dimiseritls hominibos peccata
6. PBB K88EB UETA : per purificarti eomm, dimittet et vobis pater yeater
andar poi dove l'aomo ò Iblioe; Purg. coelestis delieta vestra »; Matt. VI, 14.
ex, 75. 56. PACIFICATI: rioondliati con Dio e
7. MJEMBBA: Corporali, in carne ed ossa. nella soa grazia.
8. qubta: fermati anpooo.Segnendo il 57. n'accora : ne tormenta; ardiamo
isiglio di Virgilio, Dante non si ferma dal desiderio di vedere Iddio, essendo tal
arlar colle anime, ma le ascolta sensa visione la somma perfezione ed il som-
Brrompere il suo cammino. Qnindi le me diletto. « Sitivit anima mea ad Demn
me gridano: Deh, perchè vat'/mostran- fbrtem vivnm : quando veniam et app»-
qaanto grande fosse il loro desiderio rebo ante faciem Deif » Pgal. XLI, 8;
)arlare con lai e di raccoroandarsegli. cf^. Thom, Aq., Oomp. theol. 1, 166.
0. UNQUK: mai: cfr. Pur g. Ili, 105. Par. 58. PRKCHÈ : per qnanto io guardi con
LT, 29. - VBDBSTi : nella prima vita. attenzione nei vostri visi.
2. MOSTI : uccisi violentemente, parte 60. bkn nati : essendo in luogo di sai-
l^erra, parte per inimicizie, e parte vazione; cfr. Par. Ili, 87; V, 115.
loro prossimi e congiunti, come si 61. Dm: chiedete, ed io Ikrò quanto
Irà in seguito. voi dimandate per la beatitudine del
4. QUIVI: al momento della morte la Paradiso che voi sospirate e che lo vo
■zia illuminante ci trasse a penitenza. cercando di mondo in mondo sotto la
identur dicere tacite : Deus non relè- scorta di sifEktta guida, doè di Virgilio,
nos preoantes in extremo, et ut non V. 64-84. loMtpo del Cassero da
eris dignari veUe videro vel audire Fano, Udito la promessa di Danto,
( 9 ; Benv. quelle anime lo pregano a gara di ri-
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[imP. BALZO 2]
PUBO. y. 65-77 [lÀC. DEL CASSBBO] 898
Del beneficio tao senza ginrarlo,
Pnr che il voler nonpossa non rìcida.
67 Ond'Ì0| che solo innanzi agli altri parlo,
Ti prego, se mai vedi quel paese
Che siede tra Romagna e quel di Carlo,
70 Che ta mi sie de' taci prieghi cortese
In Fano, si che ben per me s'adori.
Perch'io possa purgar le gravi offese.
73 Quindi fa' io; ma li profondi fori,
Ond'nsci '1 sangue, in sai qoal io sedea.
Fatti mi foro in grembo agli Antenori,
7« Là dov'io più sicuro esser credea:
Quel da Esti il fé' far, che m' avea in ira
eordacle ni nel mondo • di proModar
lora tttttng^ nuuiifìBstandosI • nooon-
(ttdo deOn loro Tite e morie. H primo
«te pKln, è il CHiMe LM»po, dell' ao-
tfa flmrigHn del Cmmto o CaMaro; ofr.
Àwdmml, Marnar. ItUn-. di Fano I, 233.
QbmIo LMSopo fti figlio di Ugaodone,
potortà di ICeoerato iiell268 e nepote di
Martino del Geoero, profiesaore di leggi
«nggttoredelleacaoledi Areixo nel 1266,
nw de'piii eelebri gioreoonsiilti de* taol
t«Bpi; efr. l%rabo9eki, Lett, ital, HI,
271. Iacopo si troTÒnel 1388 trai GnelA
<leO» ìiaréb» Tenuti in aoooorso de'Flo-
nnliai eentro Arano (cfr. <?. VOL, VII,
120), e nel 1296-97 ta potestà di Bologna,
dorè, eperiMidone, s'inimieò con A%-
w Vm de Sete, maroheae di Ferrara.
(Sdamato nel 1296 podestà a Milano da
KaAo Viaoonti e meaeoai In yiaggio per
oolà, fti aoooltellato e morto in Oriago
pnsao Padom dagli sgherri di Asso Vili,
•■latito nel tradimento da Bleeardo da
Caainoe da Geraldo aignore di TroTigi ;
efr. Trial. (MeM, Mèdici, HiH. XVIU,
ttL n ano corpo fti riportato a Fano e
Mpolto nella ohieea di S. Domenioo, dove
4 legge tuttora ona 1 onga iacrisione. Gfr.
Amteirf, 1. e., 338 e tBg. Barozzi, In i>. «
uuo ttc, 794 e aeg. MàaetH, in Omag-
gi» a D., 571 e seg. Mazzoni-ToHUi, Tod
« patii, 101 e aeg. Oom, Lip», II, 54 e
Mg. DelLungo, Dante na'Umpi di Dan^
(«. 42S e aeg. SncieL, 964-86.
05. BDBficio : di soifragi che ta oi pro-
osrerai, ritornato nel mondo. - «ekzai
ttcbe aeesa che ta glori.
86. lOMPOSBA: dlfbtto di potere; ooaì
^^newanta, e anUoam. nangiuttizia.
Gfr. Galvani, Poe$. da' Trovai&ri, p. 469
e aeg. - bioida : tronchi, renda in^oace
la boona rolontà: « VeUe adiaeet mihi{
perflcere aotem bonam non inrenio » ;
Bom. VU, 18.
68. PAiBB: la Marca anoonitana poeta
tra la Romagna ed il regno di ITapoli,
goTomato nel 1800 dn Carlo II d' Angiò ;
ofr. Par. VI, 106.
71. 8* AOOBi: ai pregili per me: « Gen-
tUee adorabant ad Orientem»; Thcm,
Aq., 8um. thed. I, II, 103, 4.
78. QUINDI: da Fano. - FORI: forite
mortali.
74. SBDKÀ : nel qnal aangoe lo, anima,
avera la mia aede. « Anima enlm omnia
oamia in sanguine eat»; Levit. Vn, 14.
76. IN OBIMBO: nel territorio di Pa-
dova, fondata seo<mdo la tradlsione da
Antenore troiano; ofr. TU. Liv. 1, 1. lae.
Ann. XVI , 21 . Pompeo Mela II, 4 « Sem-
bra qnaai ohe Dante voglia qol accasare
i Padovani d'essersi intesi proditoria-
mente con Asso, e ohe per questo li chia-
mi Antenori, dal traditore Antenore»;
FUal.
76. Li : in luogo dove io mi credeva si-
caro, « qaia Inter Venetlas et Padnam....
nbl solet iter esse tatlsslmnm > ; Benv.
- « Per la poteniia de' Padovani > ; BuH.
Al.: Per essere io lontano dal territorio
di Asso, mio fiero nemico.
77. quel: Amo Vili, figlio di Oblx-
IO II dn Este (qol Beli come nel ViU. IX,
85, 212, 276, 825; X, 19, ecc.), signore
di Ferrara, Modena e Reggio, morto nel
1808. Confr. Inf. XII, 112. Pwrg. XX.
80. Yvig. Blog. I, 12; U, 6. Bneiel. 171
e seg.
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894 [Axnp. BAuso s] Puxe. t. 78-88
[BUOHCOHTS]
7f
85
88
Assai più là che dritto non volea.
Ma s'io fossi fbggito ÌRYèr la lOra,
Quando fui sopragginnto ad OriacO|
Ancor sarei di là, dove si si^ra.
Corsi al palude, e le cannocce e il braco
M'impigliar si, ch'io caddi; e li vid'io
Delle mie vene hrei in terra laco. »
Poi disse on altro: cDeh^.se qnel disio
Si compia che ti traggo all'alto monte,
Con baona piotate aiuta il mio!
Io fai di Montefeltro, io son Bnonconte:
78. Pitr Li: oltre I eonfliii del (fusto.
L'odiononendel tutto imniecItato^ooiDe
egU «tetto oonlBMa nel T. 73. Arerà spar-
uto di Ano eoo eoeettiva Uoenta, «0011-
tandoio pnbbUetmeiite di tradiaiento e
fon* tnebe di perriddio, nell' totento di
abbetterlo nell' opinione dei Bologneti;
efr. MtuetU, 1. e.. 679.
79. MmA : borgo tra Padova ed Orlago
eolie rive d' on canale che eeoe dal fiame
Brenta. Al tempi di Dante apparteneva
ai Padoraoi, i qoali fino d'allora arerano
ntolte Tilleggiatare e castelli nelle eoe vi-
dnanxe; ofr. Loria, I*. 191. B€Ut., 452-3.
80. QUAVDO : Al. QUASD' IO. - ORIAOO :
Oriago, riUaggio del Veneto tra Padova
e Yenecia dalla parte delle lagone. Fino
a questi aitimi anni la strada principale
ohe oondaoe a Venecia, passava per la
Mira vicino ad Oriago, posta fra set-
tentrione ed occidente della lagnna. Ia-
copo, fuggendo dagli assalitori, non tenne
la via ohe doveva; e, impigliatosi nelle
canne e nel limo, fh sopraggionto ed ao-
dao. Cfr. Atroci, 1. 0., 795. 1/oria, 1*, 191.
« Bt dice ohe, s* ivi fosse ftiggito, come
egli finggì verso il padale, ch'egli sarebbe
campato, però ch'egli era bene accompa-
gnato, et arebbe sostenato tanto, ohe sa-
rebbe stato atato da qaei della villa»;
An. Fior,
82. BBACO: brago, flingo.
84. LAGO : lago : < qnla sangois meos to-
tas efflaxit ibi»; Benv.
V. 85-129. Buonconte di JHontef^
tro» Un altro spirito prega Dante di ri-
cordarlo alla moglie ed agli altri oon-
gionU ohe di lai si sono scordati. Inter-
rogato poi da Dante, fa il racconto d^la
sua morte, e della contesa tra un an-
gelo ed un diavolo per averne l' anima,
e del nodo oobm fl disvolo tlbgò la sua
rabbia sol eono, bob sveado potato
svere r anima. È costai BooBOOBte, figlio
di qoel eonte Guido da MonteMtto, riie
Dante trovò tra' ooBsig^ieri fraidoleakti ;
cfr. Jfir.XXyU,67eaeg. Kel 1287Baon-
oonte ebbe parte alla caoeiata da* Guelfi
d'Areaso, per la quale si cominciò la
guerra tra i Fiorentini ed Aretini ; efr.
Q. Vm. Vn. 115. Nel 1288 fti de* ca-
pitani che posero l'agnato ai Senesi
nel valico della Pieve del Toppo, dove
i Senesi ftirono sconfitti; ofr. O. VUL
VII, 120. Nel 1289 capitanò i Ghibel-
lini d'Arexxo nella loro guerra contro
i Fiorentini e fh ncoiso nella battagli*
di Campaldìno, 11 giugno 1289; ofr. O.
Vili, yn, 131. «Fu valorosa persona:
aadò albi battaglia di Campaldino e lì
fri ferito; non si seppe mal ohe fosse
di lui»; Lan. ed Ott. - « luvenis stre-
nuissimos armorum, qui in conflicte Are-
tlnorum apnd Bibenam missns a GqìI-
lelmino episcopo aretino ad oonsideraii-
dum statnm hostium, retuUt, qood nullo
modo erat pngnandum. Tunc episoopus,
velut nimium uiimosus, dixit: Tu rnitn-
quam fuitU de domo illa. Cui Bonoon-
tes responditt SiveneriHiquo ego, nun^
qtMm revertenUrU} et sic ftait de ftuìto,
quia uterque probiter pugnane remanait
in campo Bz iste Bonoonte non rè-
mansit aliqna stirps. » Benv, Cfr. JE^
eicl., 273.
85. 8B : particella deprecativa. - Disio :
di pace, v. 61 e seg.
87. PISTATE : opera di pietà oristisaa. -
IL MIO : il desiderio che ho di andare a pu-
rificarmi per salire poi in Paradiso.
88. FUI: come vivo, cfr. T^f. XXXIII,
18. - SON: perchò la persona rimane, cfr.
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[IBTIF. BAL20 S]
PtJRG. V. 8^102
[BUONCOHTS] 895
91
97
100
(Hovanna o altri non ha di me cura;
Per ch'io vo tra oostor con bassa fironte. »
Ed io a Ini: e Qaal forza, o qnal ventura
Ti traviò si fìior di Gampaldino,
Che non si seppe mai tua sepoltura?»
^ Oh ! » rispos' egli : € A piò del Casentino
Traversa un'acqua c'ha nome l'Arohiano,
Che sovra l'Ermo nasce in Apennino.
Dove il vocabol suo diventa vano.
Arriva' io, forato nella gola,
Fuggendo a piede e sanguinando il piano.
Quivi perdei la vista, e la parola
Nel nome di Maria finii ; e quivi
Caddi, e rimase la mia carne sola.
Por. VT, 10. Alooni oodloi hanno FUI
Buoirooim Inveoe di boh Buorcontb;
efr. Mpore, Orit,, 879 • aeg.; Betti, II, 88.
89. OiovAHHA: già moglie di Boon-
eonto. « !<• oontoas* Oiovanna dopo la
Horto so* mai non mostrò onrarsi di lai,
uè non l^oe mai Tolgere prete ad al-
tare»; An. Fior. - altri: de' miei con-
•angainel. Il oonte Galassie di Monte-
Altro fa podestà di Areno nel 1290, e
Federigo di Montefeltro yl era podestà
per l'appunto nel 1800; €fr. Murat.,
Seripi. XXIV. 882.
M. BAMA: Tergognandomi di essere
eoii negletto da* miei oongionti. « Bx do-
lere et pudore ; qaia nallus est in secalo,
qifi roget Benm prò me»; Benv.
92. Campaldiko : piccola pianura nel
Caaenttno In Valdamo di sopra, dove i
Ghibellini d'Aresio ftarono sconfitti "dai
Guelfi di Firense a di 11 gingno 1289;
efr. 0. Titt. VII, 181. Dante poteva oo-
Boeeere assai bene i fatti, avendo militato
nell'eoereito fiorentino, come attesta Leo-
nardo Bruni Aretino, fondandosi sopra
una epistola di Dante che egli afferma
di aver veduta ; Vita di D, e nella sua
Bi$L Fior, Sui dubbi piuttosto sventata-
mente snsdtati in proposito ofr. Proìeg,
38 e seg. e specialmente JDanU-Hand'
bueh, 63-69. Del Lungo, Dante ne^tempi
di Dante, 183-95. Bae$,, 101 e seg.
93. BKPOLTURAt « mal non si seppe
dove fosse arrivato, però che mai non si
teovè il corpo suo * ; An. Fior. - « Kum-
quam relatum ftiit ubi moreretnr et qao-
modo » ; PoetiU. Oaee. - « Corpus ipslus
mmiqnam potnit in veniri ; sed poeta fleti*
de faolt sibi sepulturam. Bt subdit re-
sponsionem Boncontis narrantis formam
su» mortis et sepultune. » Benv.
94. CASDiTnro: Ohuentinum, territorio
di Valdamo di sopra nell'Appennino,
ttA il torrente Duooaria e l'Arno ; cfr.
Inf. XXX. 65. Pwrg. XIV, 48.
95. ACQUA: flame; per metonimia. -
Abthianoì oggi Arehiana, fiume ohe
forma il confine tra Casentino e Bib-
biena, e Localmente però è chiamato Ar-
ehiano, anche o invece, il fosso stesso di
Camaldoli, e questo è indabitatamente
r Arohiano di cui parla il Poeta » ; Oamb.
Oonte.
06. Ebmo : eremo, soHtodine ; intende
del convento di Camaldoli, sito nei più
alpestri Appennini presso la Giogana;
off. Par. XXII, 49.
97. DOVK: Al. LÀ 'VB; circa due mi-
glia e messo da Campiddino, dove vien
meno il nome di Archiano, perchè le sae
acque entrano nell'Amo.
100. QUIVI: là dove T Arohiano mette
in Amo, smarrii i sensi, là finii il mio pai^
lare invocando Maria, là io caddi e la
carne mia, il mio corpo rimase abbando-
nato dall'anima. Insomma: quivi caddi
morto, invocando morendo la Santa Ver-
gine. Altri, come Benv., Land., Dan.,
Yent., Biag., Tom., punteggiano:
Quivi p«rdel la tIiU e la p&rola;
Nel nome di Maria flnll,^
interpretando : Qaivi perdetti 1 sensi e la
fkvella ; morii invocando Maria. Come al
fa ad invocare Maria dopo aver perduto
la favellai
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[ANTIP. BALZO 2] PCBG. V. 103-116
[BUOHCONT
Io dirò il vero, e tu il ridi' tra i vivi :
L'angel di Dio mi prese; e quel d'Inferno
Gridava: " 0 tu del ciel, perehè mi privi?
Ta te ne porti di costui l' etemo
Per una lagrìmetta che '1 mi toglie ;
Ma io farò dell'altro altro governo I „
Ben sai come nell'aere si raccoglie
Queir umido vapor che in acqua riede,
Tosto che sale dove il freddo il coglie.
Giunse quel mal voler, che pur mal chiede,
Con lo intelletto, e mosse il fummo e il vento
Per la virtù che sua natura diede.
Indi la valle, come il di fu spento.
Da Pratomagno al gran giogo coperse
. ridi' : « ad ezhortationeiii om-
ut nTimqiuun desperent, Uoet ftae-
teooatorM nsqae ad mortem et ha-
Bpem in Maria»; Bénv. Meglio
Af&nohò preghino per me, sapen-
in Porgatorio.
, QUKL: l' angelo d' Inferno, il de-
». Un contrasto condmUe licerne
II, 112 e eeg. Una tensone tra Tar-
lo Michele ed il diavolo per il corpo
«ò ò accennata Ep. di Oiuda, v. 0.
Sgenda del medio evo è ricca di si-
ontrastl, i quali ordinariamente si
»no intomo al possesso dell'anima,
io intomo a quello del corpo.
DKL CIBL : Al. DAL OIEL. - MI PBIVI :
nima di costai, la qnale, essendo
rtale, è la parte etema dell' nomo.
LAGBiMirrTA: da par suo parla
sonyersione agli estremi con dileg-
nohe nella leggenda del medio evo
e sovente il concetto, che V uomo
pae r etema salate con una lagrima
[tenia, o raccomandandosi moren-
[>{o, o alla Vergine, concetto tolto
«a XXIII, 42-43.
dsll'altbo: del corpo, sul quale
rò la mia rabbia.
BEN SAI : descrive dottrinalmente
e e poeticamente la formazione del-
[^gia. - RACCOQLIB: si condensa in
». « S«Dpe etiam immensum coelo ve-
nen aquaram Bt ftndara glomerant
Btatem imbribus atris Collectts ex
ubes»; Virg., Qearg. I, 322 e seg.
BIBDB: ai converte in acqua e ri-
bndensato in pioggia.
IH. DOVI: nella regione superiore d
r aria. - vbeddo : « il freddo ò generati
dell'acqua»; Conv. IV, 18.
112. oiUBBB : l'angelo d'Inferao, t. IC
accoppiò quella cattiva volontà ohe n(
desidera e non cerca che il male, eoli' i
teUetto; cft. In/. XXIII, 16? XXXI,
e seg. Al. : Quel mal voler che pur zu
chiede coir intelletto arrivò alla regi
ne superiore dell' aria. Al. : QiwMé q%
ma' 'l voler, cìoò Qael malo (il demoni
accoppiò il volere coli' intelletto. Il BeU
« U passo è molto imbrogliato. Forse pe
vuol essere meglio punteggiato, e do]
chiede va punto e virgola. Con lo inU
letto e' motee U fumo e il vento, (cU
coli' atto della sua volontà) secondo
virtù della natura sua. Qiunee allora
dee spiegare per arrivò. Ed infiitti oc
che altro modo, se non coll'intellett
potrebbe uno spirito muovere una ten
pestaf »
113. FUMMO: le umide vaporazioni.
114. viBTù : possanza. Il diavolo è doti
« il principe della podestà dell' aria », i
Efet, II, 2. Sulle cognizioni dei demoi
cfi:. Thom. Aq., Sum. theol. I, 64, 1, e J
112, 2, dove si dice: « Et angeli boni <
mali "possunt aliqoid in istis corporibn
operari prestar actionem ooeleatium coi
pomm, condensando nubes in pluvia
et aliqua huiusmodi fludendo. » Ctt, Con
Lift. II, 60.
115. INDI: poi, come si ta fatto seri
il demonio coperse di nebbia la valle.
116. Pbatomaqno: «uno dei contrm
forti dell'Appennino ohe divide il Va
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, BALiiO 2]
PUBO.T. 117-131
[BUONCONTB] 897
ua
121
124
127
130
Dì nebbia, e il ciel dì sopra fece intento
Si, che il pregno aere in acqua si converse:
La pioggia cadde, ed a' fossati venne
Di lei ciò ohe la terra non sofferse:
£ come a' rivi grandi si convenne,
Vèr lo fiome real tanto veloce
Si minò, che nulla la ritenne.
Lo corpo mio gelato in sn la foce
Trovò P Archian rubesto ; e quel sospinse
Nell'Amo, e sciolse al mio petto la croce
Ch'io fei di me, quando il dolor mi vinse :
Voltommi per le ripe e per lo fondo.
Poi di sua preda mi coperse e cinse. >
€ Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
E riposato della lunga via, »
damo dalla valle Catcntincao »t Bocci.
OcMlpiire Benv., Bi»H, eoo. Invece Bl,
eoi più dei moderni: «Ora Prataveechio,
borgo di Toaeana nel Valdamo raperlore
a piedi dell'Appennino. » Ci^. Bau., 62,
70, 102, 100. - GIOGO : la catena principale
dell'Appennino a man manca.
117. IL GIBL: Al. IL oiKL; ma Dante
BOB dice che fbeee ncTicato. - ihtkkto :
eoperto, denso di rapori. « Horrida tem-
pcètea eoelnm eontraxit, et imbrea Kt-
▼eeqne dedneont Jovem »; Horat., Spod.
Xm, 1 eaeg .' « Obtenta denaantor noote
tenebre »; Virg., Georg. I, 248.
118. PEioxo: di vapori. H giorno della
battaglia di Campaldino « l'aria era co-
perta di nngoU, la polvere grandlaeima »;
Dino Oomp. 1, 10.
119. FOflBATi: piccoli torrenti dell' ansl-
dettevaUe.
120. CIÒ : la parte della pioggia ohe non
fb aaaorbita dìdla terra.
121. ■ COMI: e quando qoell'acqaa si
Kieeolse nei torrenti del Caaentino.
122. FIOMS BKAL: l'Archiano; Bmo,
Invece i più (BuU, Scrrav,, Don., Voi.,
rmt.» Lomb, e giù giù alno al P6L)i
l'Amo, del qnale ai parla in segnito, ma
che veramente è detto p.umc reale dal
rm, I, 48. Cfr. Oom, Lipc, H, 61.
125. BUBS8T0: impetnooo, gonfio per
b pioggia: ofr. Bnf. XXXI, 106. .
126. sdOLSi: « quando ai senti ohe '1
■Olia, elU a* Incrociò le braccia, poi quan-
do fa rivoltato dell'acqua, la croce delle
braccia tk diafeoe »; Xofi. e OU. Invece
Land,: * Amo lo voltò per alquanto
spedo, ma nel voltarlo gli speasò le
braoda. »
127. IL DOLOR: « il compungimento
de' miei commessi errori » ; Dan. Così
pure Lofnb., Biag., Br. B,, eoo* Al.: Il
dolore della ferita mortale. Induce Ibrse
11 dolor fisico a fsre la crooef
128. VOLTOMMI : il soggetto è natural-
mente l'Arohiano del v. 125. - lb ripe:
Al. LB OOBTB.
120. PERDA : « sassi, rena o ghiara, ohe
acorrendo per la terra et innondando
quella, come i soldati la preda, se ne
portan con loro 1 fiumi »; Dan. Al.: di
BUA pietra, cioè ghiaia. - ooperbb b
cmsB : mi ricoperse di sopra e d' intorno.
V. 180-186. Pia de^Tolomei, Una
tersa anima si raccomanda a Dante, pre*
gandolo di ricordarsi di lei, nata in Sie-
na e morta nella Maremma, come sa il
marito traditore. È Pia senese, nata della
fkmiglia dei Tolomei (An. Fior., Ben-
venuto, ecc.), che andò sposa a Nello, o
Pagauello, figlio d' Inghiramo de' Pan-
nocchiesohi, signore del castello della
Pietra a nove miglia a levante da Massa
Marittima, e di molti altri castelli di mi-
nor conto, podestà di Volterra nel 1277,
di Lucca nel 1818, capitano della taglia
guelCs di Toscana nel 1284, vissuto sino
al 1822, nel qual anno ibce testamento.
Questa Pia non è da conftmdersi con Pia
Ouastelloni, vedova di Baldo Tolomei,
vivente nel 1318. NeDo, o che la moglie
avesse veramente commesso alcun ftdlo
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398 [Airrip. balzo 2] Pubg. y. 182-186
[LÀ PIA]
133
136
Segaitò il terzo spirito al secondo,
« Ricorditi di me che son la Pia !
Siena mi fé', disfecemi Maremma :
Salsi colai che ìnnanellata, pria
Disposata, m'avea con la sua gemma. »
{Lan., OU., BuU^o ohe la «oapettasse sol-
tanto d' infedeltà Un, Fior., Bmw., eoe.),
o forse per desiderio di sposare la bella
Marglierita de' oonti Aldobrandeschi ve-
dpra di Ooido di Montfort (W. Xn, 118
e seg.)t eondosse la Pia nel sno castello
di Pietra in Maremma e la fece qnlTi
morire, « et seppelo fkre A segretamente,
che non si sa come morisse » ; Lem.; cosi
pare OU., PottìL Oa»., Buti, Land., YéU.,
Dan., eoo. Inveoe VAn. Fior.: « Essendo
ella alle finestre d'uno suo palagio sopra
a nna ralle in Maremma, messer Nello
mandò ano sno fknte ohe la prese pe*pie-
di dirietro, et oaodolla a terra delle fine-
stre in qaella Tallo profondissima, ohe
mai di lei non si seppe norelle. » Lo
stesso racconta pare Benv. Dicono ohe
la tradisione indichi tuttavia nna parte
del dirapo nel quale sorge il castello, col
nome di Salto déUa Oontetta. Cfr. Oom,
Lipf. II, 62. Lisini, Nuovo dooumeiUo
della Pia de' Tolomei, Siena, 1803. Pio
Spagnoai, La Pia de* Tolomei, Torino,
1898. Bàts., 884 e seg. Eneia., 1404 e seg.
133. BICOBOrn: Al. BICOBDATI. Buon-
conte ricorda la saa Giovanna e gli altri
che si sono scordati dì Ini ; Manfredi vaol
esser ricordato a Costansa, e Iacopo ai
saoi Fanesi, afiinchè preghino per lai.
La povera Pia non ha alcon nome n^
suo santoario domestico, e prega il solo
Dante di ricordarsi di lei. Cfr. De SaneUt,
Leu. iUU. 1, 218.
184. MI FB* : nacqui in Siena, morii in
Maremma.
136. colui: Nello mio marito. Lai se
lo sa; dunque altri no. Dunque anohe
Dante non ne sapeva nulla, oome il Lan»,
V OU., ecc. - niKAMBLLATA : ohe mi diede
l'anello nnsiale celebrando fl matrimonio
seoondo il rito della Chiesa, dopo avermi
prima ditpotata, cioè datami promessa
di matrimonio. Questa interpretazione è
confortata dalla lesione dispobàhdo del
V. 186, ohe ò di molti codd. ed edis. Tool
dire ohe fu legittima moglie del sno noci-
sere. Altri : Che m' aveva disposata do-
po essere prima stata innanellata, doò:
che mi aveva sposata in seconde nosse.
Ma tale interpretazione reggerebbe sedo
colla identifloasione, impossibile, di Pia
con la Pia Gnastelloni.
186. DISPOSATA : Al. DIBPOBAHDO ; ofr.
BarUno, Oontrib. 200 e seg. Uoore, Oril,,
380 e seg.
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[ASTIP. BALZO 2]
PUBG. TI. 1-4 [GABA DI AMIIIB] 399
CANTO SESTO
ANTIPUBGATOBIO
BALZO secondo: neghittosi morti violentemente
BEHINCA8A» GUOCIO TARLATI, FEDERIGO NOVELLO
PIER DELLA BROCCIA, BORDELLO
APOSTROFE ALL'ITALIA ED A FIRENZE
Quando si parte il giuoco della zara,
Colai che perde si riman dolente,
Ripetendo le volte, e tristo impara:
Con l'altro se ne va tutta la gente;
Y. 1-34. Gora di anime* Le anime
d ftUbUMio «Uomo a Dante, pregandolo
di rloordaral di loro nel mondo e procurar
loro i Bolfragi de' Tivenii. La gara è tale,
che il Poeta paragona so ateeso al vin-
citore nel gioooo della sarà, circondato
dalla gente che desidera doni e mance.
1. 81 PABTB: al finisce ed 1 gioocatori
ti separano, cfr. Purg, XXVI, 37. -
xaea: proT. amr, forse dall' ebr. tarah,
arali, rolg. t^iar e per contrai, zar -■
dado; cfr. IHez, WoH, V, il e segnentl.
« Nota che qoesto gioco si chiama tara
per li ponti dirietati che sono in tre
dadi da sette in giù e da quattordici in
snj e però quando regnano quelli pun-
ti, dicono ti giocatori : Zara, quasi dica
XyOa, come sero nell'Abbaco » ; BuH,
Lasara fti nel medio ero il tipo dei molti
giuochi di asaardo fitti coi dadi. Cfr.
Siane, Verttieh II, 16 e seg. Zdàkamtr,
Qiuoeo in naUa, 7 e seg. Secondo il Ta-
«Mite (ITfMi noia Damttiea nel Giom,
ttor. deUa LetUr, ital. toL XXI, 1898,
p. 466 e seg.) Dante avrebbe preso l'ima-
gine presente da Odofredo, Ikmooo dot-
tore di Bologna, morto nel 1266, il qnale
tori ve (Super trOnu liòrU codieit, Lugd.,
1660, p. 81) : « Item atout vldemus in
losoribns ad taxillas vel simllem ludnm,
nam molti stare solent ad videndum lu-
dnm, et quando onos Insorum obtinet
in ludo, illi instantes solent potere ali-
quid sibi dari de lucro ilio in ludo babi-
to, et ilU lusores dare solent, et si de
suo patrimonio aliqais ab eis peteret
alias si in Indo, reputsrent eom futanm. »
Del resto il Tamattia osserva : < Odofre-
do riferisce esempi, aneddoti, detti, ecc.,
di parecchi suoi predecessori. Può darsi
quindi che questo esempio de' giocatori,
circondati da gente che aspetta il mo-
mento buono per chiedere, Ibese un esem-
pio tradisionale, scolastioo ohe si soleva
adoperare dai dottori. B allora Dante
avrebbe tratto la materia prima della
sua similitudine dalle tradlsioni scola-
stiche bolognesi. »
8. LB VOLTB: le voltate dei dadi, i
ponti; riprovandosi a gettar i dadi, a
ùa nuovi tiri. - impàba t a fkr punto mi-
gliore. AL: A non fidar della sorte. Al.:
Che cosa sia giuoco.
4. CON l'altbo: col vincitore. -VA:
chiedendo doni; « quale li domanda par-
te; quale domanda provlgione, perchè
tenea le ragioni al giuoco ; quale doman-
da di vincita»; Lan,
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400 [ANTIP. BALZO t] PURO. VI. 5-17
[GARA DI ANim]
10
13
16
Qaal va dinanzi, e qnal diretro il prende,
£ qnal da lato gli si reca a mente :
Ei non s'arresta, e questo e qaello intende ;
À coi porge la man più non fa pressa;
£ oosi dalla calca si difende.
Tal era io in quella turba spessa,
Volgendo a loro e qua e là la faccia,
£ promettendo mi sciogliea da essa.
Quivi era l'Aretin che dalle braccia
Fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,
£ r altro che annegò correndo in caccia;
Quivi pregava con le mani sporte
Federigo Novello, e quel da Pisa,
6. ou Bi BMCA : lo piegA ft rioordani
di loL
8. A CUI: qaegllftoiiiilyiocitore porge
1« mAao dandogli U manoU, non gli Ik
più pre$ta o oaloa intorno, m* te ne ▼»
pe'fSuttt SDoi. - FOBGS: dà qualche oom
della eoa vincita.
18. L* Abktih : Benincaaa da Laterina,
giadioe d'Areszo, nomo dottissimo in
diritto civile (Land.)^ valentissimo in ra-
gione, compagno di messer Accorso da
Firenxe ohe chiosò le leggi (An, Fior.).
Essendo vicario d'Aresso, condannò a
morte nno (OU., An. Fior., PottU. Oom.,
Fétr. DarU,, FtUto Boce., Benv.) o doe
{Lan., BìOi, Land., VéU., Dan.) stretti
parenti di Ghino di Tacco, doè nn suo
fratello Oervo (Lan.), oTaooo (Ott., Dan.)^
o Torino (An. Fior., Fetr. Dani., Bvti,
Land., VM.), o nn altro sno fratello OU.,
Dan.)y 0 suo padre Tacco ( Aquarone), per-
chè « come mbatori et omini violenti,
aveano tolto al comone di Siena nno
castello che era in Maremma, e qnive sta-
vano e mbavano chlonque passava per
la strada »; BìM. Andato Benincasa a
Roma come nffldale (An. Fior.), o vica-
rio di papa BonidBcio (Lan.), o gindlce
del tribono (ButS), Ghino andò a sor-
prenderlo, lo nooise « salla sala dove si
tiene la ragione » (jMn.) e se ne venne
a salvamento oon la testa, la qaale gli
aveva tagliata (Btit<,lHind., Veli., Dan.).
Cfr. GigU, Diario Sanew n, 812 e seg.
Booe., Docam. II. 8; X, 2. Manni, Sto-
ria da D$óam., p. 211 e seg., 641 e seg.
14. Ghik : gentUoomo senese dei nobili
deMa Fratta (BéWf., OarpeìKni), o de'Pe-
oorai da TarltaiAquarone), grande mba-
iore (Lan., OU., An. Fior., Fotta. Oa$.h
per la snaflereaia e le sue rabeile nomo
assai flunooo (Boco., Dèe. X, 2). Dopo es-
sere stato longo tempo lo spavento delle
Maremme Senesi e della stessa corte re*
mana, sirieondliòoon BonÌflMsÌoVIII,ohe
lo feoe cavaliere di S. Giovanni e gli donò
nna gran prioria di qnelle dello spedale.
Mentre passeggiava inerme in Asina-
lunga, nel contado di Siena, fii assalito da
molti armati ed ucciso. CÀr. A^vorofM,
D. in Siena, p. 98 e seg. Oom. Ltpt.
II, M.
15. L*ALTBO: Ghicdo (oppuTO Glaooo,
come lo chiamano altri) dei Tarlati da
Pietra Mala, siodi Guido vescovo d'Ares-
BO, « iuvenis strenuus arm<«um. Hio, oum
Tarlati gererent beltum cum BoetoUs no-
bilibus de Aretio, qui ezules reeipiebant
se in castello, qnod dldtur Bondine In
Valle Ami, eqoltavit contra fflos; et
cum persequeretur quoedam, equns ibr*
tis transportavit ipsnm in Amnm, et
suiTooatus est in qnodam pelago. Culns
corpus inde eztraotum Bostoli ludibrio-
se saglptasse dicuntur. » Bene. Altri di-
cono che annegò friggendo; ma se oor*
reva in eaeeia, non ftiggiva.
17. Fkdehigo : flgUo di Guido Vovello
dei Conti Guidi del Casentino. Fu uo-
dso nel 1289 o 1291 da uno de'BostcOi
d' Aresso presso Bibbiena. - quel : « qoe-
sti ta Farinata figliuolo di messer Mar-
succo de li Scomiglani da Pisa; lo quale
messer Marsucco Ai oavalttere e dotfeors
ài legge, et essendo ito in Maremma ea-
valcando da Suvereto a Soberlino, ne la
via si fermò lo cavallo per uno ismlfU'
rato serpente, ohe correndo attraversò
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[ANI
[ANTIP. BALZO 2]
Puro. vi. 18-24 [gaea di anime] 401
Che fé' parer Io baon Marzacco forte.
19 Vidi coni' Orso, e l' anima divisa
Dal sao corpo per astio e per inveggia,
Come dicea, non per colpa commisa ;
23 Pier della Broccia dico ; e qni proweggia,
Mentr* è di qua, la donna di Brabante,
Si che però non sia di peggior greggia.
U «tndft, del quale lo detto messer Mar-
sMseo ebbe gnadlasiina paura; et avvo-
toMf di tutA. frate minore, e ooflì fece
poi ehe Ita campato del perionlo.... Fatto
frate lo detto meeser Marsaooo. aTrenne
caso che Farinata sopra detto eoo flUino-
lo fri morto da ano cittadino di Pi sa (Boo-
eio [o Beeeio] da Caprona, An. Fior,, Par,
DomL); nnde lo detto meeeer Harsocoo
eoDi altri ikati di S. Francesco, andati per
lo eorpo del detto ano filUnolo, come usan-
ss è, fece la predica nel capitolo a tatti
eonsorti, mostrando oen bellissime ante-
litadi e verissime ragioni ohe nel caso
arvennto non era nessano milUore ri-
medio ehe padfloarsi col nimico loro; e
ooeA ordinò poi che si ISoce la pace, et
e^ volse baciare quella mano che aveva
BOrto lo ano iUliaolo. » Buti, CoA in-
eixea anche An. Fior,, Pttr. J)ant.t eoe.
Cfr. Hf»na, Dante e < Pitoni, 129 e seg.;
155 e aag. Secondo altre tradisioni, Har-
sveoo al mostrò forte nooidendo l'assas-
sino di sao fl^lo, oppare vincendo con
la aom padensa la daresta dell' ocdsore.
T. aopra questo diverse tradisioni Oom,
lÀp9. II, 67. Bnexti. 1213 e seg.
18. llJLSZUCOO: « a oostai è indiiltta la
lettor» XVU di fra Goittone »; Bstti.
Cfr. Bem»H, LetUre di fra Guittons, Bo-
ma, 1745, p. vm e 211. Uatmi, Bigitti,
V, 153, XXIX, 59 e seg. /^orta, D,ei
Fi$ani, p. 129 e seg., 155 e seg.
19. Obso: secondo gli ani (An, Fior,,
FottOL Oa$t., Pelr, DanL, BuH, ecc.)
Orso degli Alberti di Firenie, occiso a
Cadimento da* suoi oonginnti o oonsorti,
per toi^ le fortease ehe aveva in Val di
Biaenzio. Secondo altri (B§n9., L€md„
YéfL, Dow.) Oglio del conto ITapoleone
deUa Cerbala (cfr. Irif. XXXII, 57), ao-
fliso per opera del conto Alberto da Man-
fona, eoo cognato ifieiM,)^ o eoo aio
{jMmd,, Tèa,, BanLY
M. nnrBOOiA: invidia, dal prov. en-
e^/ cfr. ìfoMM»,, Verbi, 87.
21. OOHMSBA i commossa; cfr. Ifannuc,
o. e., 391, 400 e seg.
St. — Die. Oomm,, 4» odia.
22. Pub : Pierre de la Brosse, di bassi
natali, di profBssione chirargo, seppe
goadagnarsi il ikvore di Filippo l'Ar-
dito (ofr. Purg. YII, 103) re di Francia
In modo da esseme fatto gran ciambel-
lano. Quando nel 1276 Lolgi, flgUo mag-
giore A Filippo, fa colto da morto im-
provvisa, si sospetto di veleno. Pare ohe
Pietro accasasse Maria, figlia di Arri-
go YI daoa di Brabanto e moglie in se-
conde nosae di Filippo, d'aver fatto av-
velenare il figliastro per assioarare al
proprio figlio la saccesslone sai trono di
Francia. Pargata la regina più o meno
giastamento della colpa appostale, essa
ed i suoi finitori inoominciarono ad odiare
fieramente Pietro, il qaale andò man ma-
no perdendo il fltvore del re. Quando poi
Filippo gaerreggiava con Alfonso X, re
di CastlgUa, i nemid di Pietro lo accasa-
rono di tradimento e fecero consegnare
a Filippo lettere segreto ad Alfonso, che
si dissero scritte da esso Pietro ; onde
Filippo Io fbce impiccare. Ignorando que-
sta circostanza i conun. antichi dicono ohe
Pietro fa aooiso ad istansa della regina
(PottUl. Oat$,, Petr. Dant., Folto Boee.)
ohe lo accusò presso il re di averle voluto
fisr forca (Lan., Ott,, An, Fior., Btnv.,
BuU, Land., Veli., Don., ecc.). Dante
sembra qui crederlo Innooente. Alcuni
credono che Pier della Broccia sia quel
oonte d* Anguersa, o Anversa, la cui sto-
ria ò raccontata dal Boccaccio, Deeam.
II, 8. Cfr. Manni, Stor. dtl Deeam. 211
e seg. - FBOWBGOiA : provveda colla pe-
nitensa.
23. DOHNA : la detta regina Maria, ma-
dre di Filippo II Bello, morta nel 1821.
24. FKBÒ: per aver fstto morire nn
innocento. - o&iooia : de' fslsi accasato-
ri nella decima bolgia, dove ò « la falsa
ohe accasò Giuseppe », JnA XXX, 07.
y. 25-57. XSfflèaeia déUaprtghUra,
Tutto quelle anime si raccomandano cal-
damente a Dante per aver suffragi nel
mondo. Ma Virgilio, Aen, VI, 378-376,
sembra negare l'eflloacia della preghierai
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i02 [ANTIP. BALZO 2] PURG. VI. 25-43
[LA PREGHI]
L3
Come libero fui da tutte quante
Quell'ombre, che pregar par ch'altri preghi,
Si che s'avacci il lor divenir sante,
Io cominciai : < E' par che tu mi nieghi,
0 luce mia, espresso in alcun testo,
Che decreto del cielo orazion pieghi ;
E questa gente prega pur di questo:
Sarebbe dunque loro speme vana,
0 non m'è il detto tuo ben manifesto? >
Ed egli a me : «La mia scrittura è piana,
E la speranza di costor non falla,
Se ben si guarda con la mente sana ;
Che cima di giudizio non s' avvalla.
Perchè fuoco d' amor compia in un punto
Ciò che dee satisfar chi qui s' astalla;
E là dov' io fermai cotesto punto,
Non si ammendava, per pregar, difetto.
Perchè il prego da Dio era disgiunto.
Veramente a cosi alto sospetto
!>nde Dante Io prega di spiegargli l'appa-
rente oontradisione, ciò ohe Virgilio fa,
rinviando il Poeta per nlteriori insegna-
menti a Beatrioe. All' adire il nome di
lei, Dante prega sabito Virgilio di afl^t-
^re il passo, credendo erroneamente di
^ter arrivare ancora nello stesso giorno
Illa sommità della montagna.
25. LiBKBO : i Poeti vanno avanti, le
>mbre restano indietro.
26. PUB : esse pare, come le altre ; o me-
l^lio: pregarono solamente di questo.
27. s'avacci : si aifiretti il loro par-
larsi nei sette cerchi.
29. E8FBB860: cspressamento, in ter-
nini espressi. -ni alcun tbbto : in qual-
che loogo del too Poema, là dove dici ohe
k Falinnro, il qaale pregava, la Sibilla
riq>ose (Virg., Aen., 878 e seg.) : « Unde
ine, o Palinore, tibi tam dira cupido t
Da Styglas inhnmatos aqnas amnemqne
levenun Eomenidom aspides ripamve
ninssns adibisf DeHne fata dtumJUcti
operare preeando. »
80. piBOHi: che la preghiera abbia forca
Li far mutare dò che in dolo è ordinato.
81. QUESTA : Al. B QUB8TB GKNTI PBK-
3AN. - PUB: dò nonostante ; oppuie : solo.
32. SPBMB: ohe la porU del Pargato-
rio d apra loro prima del tempo stabi-
lito, per virtù delle preghiere e de
ft«gi dd viventi.
38. HOH m'è: o non ho io forse
inteso la toa sentensat
84. piaka: chiara, opperò to l'ha
intesa. Cfr. Purg. XVIII, 85. Fi
o. 26 e 37.
35. NON FALLA : 0 la spenuLsa di
sto anime, che le preghiere ed i ani
de' viventi aocordno loro il tempc
r aspettadone, non è flillace.
87. cima: Vapex iurii, l'altea»
giudizio divino. > s'avvalla: s'abb
rimette del suo rigore.
88. PBBCHÈ : per il flitto ohe V m
di carità dd viventi compia in un
mento solo quell'espiazione che le a
compirebbero senaa tal alato in i
tempo.
89. s'abtalla: ha stallo, If^, XXI
102, dimora. Al. si STALLA.
40. Li: dove io disd ohe l'oidi]
tale della Provvidenza non d pieg
preghiere; cfr. v. 29 nt.
42. DiBQiUNTO: ohi pregava noi
nella grada di Dio, onde la sua
ghiera non era udita nd delo ; cfr. 2
IV. 133 e seg.
43. VBBAMENTB: però. - ALTO 804
TO ! « profondo e sottll dubbio »; Vel
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[IHTIP. BALZO 2]
PUBO. YI. 44-57 [LI PBBOHIBBA] 408
49
53
Non ti fermar, se quella noi ti dice,
Clie lame fia tra il vero e l' intelletto.
Non so se intendi; io dico di Beatrice :
Tu la vedrai di sopra, in sa la vetta
Di questo monte, ridere e felice. >
Ed io: < Signore, andiamo a maggior fretta;
Che già non m' aflEaitico come dianzi ;
E vedi ornai che il poggio l'ombra getta. »
« Noi anderem con qnesto giorno innanzi, »
Rispose, < quanto più potremo omai;
Ma il fatto è d' altra forma che non stanzL
Prima che sii lassù, tornar vedrai
Colui che già si copre della costa,
Si che i suoi raggi tu romper non fai.
45. UTMB : « elle tua A ehe l'InteUeMo
tuo arrlTi ft eonoeoere il rero, oome il
hme fk ohe roechio regga 1* oggetto
Mm*è »; ItOfkb, Seoondo il tistema daa-
tewo (ofr. De Uon. in, 10), Virgilio non
li oeoopa di qoeidti teologica, ma rimanda
per simili argomenti a Beatrice.
48. BiDBBX: Al. BiDnrrB, lesione alla
quale daremmo la preferenza, ae aveeee
per aè r aotorità dei codd. e degli anti-
chi eommentatorl.
49. 810H0BB : Al. BUOH DUCA. - ABDIA-
]fO:«al nome di Beatrice, Dante si sente
itBTigorito dal dealderio e già aeoende
eoQ' anima le aitasse del monte; perchè
fi desiderio di vedere lei si oonibnde col
Uaogno di oonoeoere la Terità »; Tom.
51. B VBDi: sono oiroa le tre pom. ed
il sole è ormai occultato dalla costa a
destra de' Poeti, i quali salgono nella di-
tesione di prima, sì ohe essi rimangono
nell'ombra, né Dante rompe più col ano
corpo i raggi solari. Cfr. NooM, Orar., 18.
54. BTAHZi : pensi, supponi. La salita è
più longa e più difficile ohe tu non pensi.
60. COLUI : il sole. Vedrai sorgere an-
eera tre rtdte il sole.
V. 68-75. SardèOo, Bceo un'anima
sola, òhe taoe dignitossmente e guarda i
ine Poeti oome leone ohe posa. Virgilio
chiede dorè sia la salita e 1* anima rl-
■poede ecdla dimanda: « Chi siete voit »
VirgiHoinoomincia nominando ICantova,
sua patria; e suMto l'anima dice: « Son
HantoTano anch' io I » K i due si abbrac-
ciano. ]ft l'anima del celebre trovatore
SocdeUo, ohe floil nella prima metà del
secolo Xm e del quale Dante parla con
elogio anche altrove, Vulg. Eloq. 1, 15. Di
cortui ofir. Oom. JAp$, II, 83-90 e la let-
teratura colà citata ; inoltre BartùH, Lett,
iua, n. 10 eseg. i)» Lottit, VUaepoeHé di
Bordèllo da Qoito, Halle, 1890. Biw. dice:
« Hic novus spiritus ftilt.. . . Sordellus, no-
bilis et prudens miles, et ut aliqni volont,
ourialis, tempore Bccirini de Romano, de
quo nudivi (non tamen ai&rmo) sstis io-
oosum novum, quod breviter est talls for-
m»e. Habebat Bocirinus qnamdam soro-
rem suam valde veneream, de qua flt lon-
gns senno Fair. IX. Qoae aooensa amore
Sordelli ordinavit caute, quod iUe in traret
ad eam tMnpore noctis per unum oetidum
posterìus Inxta coquinam palatii in dvi-
tate VeroniB ; et quia in strata erat turpe
volutabrum poroorum, si ve pooia brodio-
rum, ita ut locus nullo modo videretur
suspectns, fadebat se portari per qoem-
dam servum suum usqne ad ostiolum,
ubi Cnnitla parata reoipiebat eum. Scoi-
rlnus autem, hoc sdto, uno sere subor-
natns sub specie servi, transportaylt
Sordellum, deinde reportavit. Quo fiusto,
manifestavlt se SordeUo, et dlzit : ' Suf-
ficit. De cadtero abstineas accedere ad
opus tam sordidum per locum tam sordi-
dum. ' Sordellus terrefìMtus supplidter
petivit veniam, promittens numqnam
amplius redire ad sororem. Tamen Cu-
nitia maledicta retraxit eum in primum
Csllnm. Quare ipso timens Eodrinum,
formidatlssimum h<m>inum sui temporis,
reoessit ab eo, quem Ecdrinus, ut qui-
dam ibrunt, fedt poster truddari. »
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404 [IHTIP. BALZO 2] PUBO. VI. 58-75
[80BDKLL0]
58
6L
64
67
70
73
Ma vedi là un'anima, ohe, posta
Sola soletta, verso noi rigaarda:
Quella ne insegnerà la via più tosta. »
Venimmo a leL 0 anima lombarda,
Come ti stavi altera e disdegnosa,
E nel muover degli occhi onesta e tarda !
Ella non ci diceva alcuna cosa;
Ma lasciavano gir, solo sguardando
À guisa di leon, quando si posa.
Pur VirgiUo si trasse a lei, pregando
Che ne mostrasse la miglior salita;
E quella non rispose al suo domando ;
Ma di nostro paese e della vita
C'inchiese; e il dolco duca incominciava:
€ Mantova... », e l'ombra, tutta in sé romita,
Surse vèr lui del loco, ove pria stava,
Dicendo: < 0 mantovano, io son Sordello
Della tua terra > ; e l'un l'altro abbracciava.
58. POSTA : a sedere. Al.: Separai» del
tatto dalle altre anime. Al. ▲ pobta —
fissamente; ofr. Jrtf. XXIX, 19. Al. ▲
FOSTA «■ opportunamente.
61. o ANIMA : non sono parole di Vir-
gilio dirette a Sordello (BuH), ma è una
esclamaaione del Poeta che ha presente
alla mente sua il grave aspetto ed il di-
gnitoso contegno di qnell* anima. - lom*
BABOA: Sordello nacqae a Goito, nel
territorio di Mantova.
62. TI STAVI : Al. TE STAI ; Al. TU STAI.
- ALTBBA : « in nostra lingua diciamo al-
tiero e disdegnoso colai, che per eood-
lentia d'animo non risgnarda né pon pen-
siero a cose vili, né quelle degna. Si che
dimostra una certa schifessa generosa
e senza visio. Perdoochè, quando nno
sprexsa non per grandessa d'animo, ma
per troppa alterigia, non altiero, ma su-
perbo si chiamerà. » Land, Cfr. Petrar.,
Cam. XI (22), 8 e seg. Dino Oomp. 1, 20
chiama Guido Cavalcanti e cortese e ar-
dito, ma sdegnoso e solitario e intento
allo studio »; ed il BetH osserva: « Ecco
lo sdegno In compagnia della cortesia. »
63. TABDA : cfk*. Inf. IV, 112. «Specchio
della mente è la flaccta ; e gli occhi, anche
che tacciano, confessano li segreti del
onore »; Bari, da 8, Cono., Amm, Ant.
VII, 1. 6.
64. DICRVA : « est taoens sdens tempns
aptum. Homo sapiens taoebit nsqoe ad
tempus »; EeeUi. XX, 6-7. -«Che diflb-
renza tra la curiosità e il oicaleodo de-
gli altri spiriti e questo maestoso siion-
Bio di Bordello I > Oiober.
66. SQUABDAKDO: seguendo collo sgaar-
do i nostri movimenti. Al. quabdakdo.
66. LBON : « reqoiesoens aocubuisti nt
leo, et quasi leena, quls snsdtabit enm t »
aenet. XLIX, 9. Cfr. Virg., Aen, II, 287.
70. VITA : condiaione. Bordello non ai ò
accorto che Dante è vivo, of^. Purg,
Vili, 58 e s^.
71. C'IMCHIKSB: ci domandò. Al. a
CHIBSB.
72. Mahtova : voleva dire : mi generò,
o fu mia patria, o simili ; ma non ap-
pena ebbe nominato Mantova, SordeUo
lo interruppe. Cfr. Perticari, Amor pa-
trio di DanU, § Vili. - bomita : tatta in
sé raccolta, concentrata ; ofr. v. 58 e aeg.
78. BURSB: si alsò ad mi tratto e oorae
incontro a Virgilio per abbracciarlo.
y . 76 -126. Xa terra ItaUa, Al ricordo
di quell' impeto di patrio amore, il Poeta
prorompe in una sublime apostrofe al-
l' Italia, 1 cui morti si abbraooiaiio, 1 coi
vivi si rodono. Apostrofi» quindi T impe-
ratore che non si cura di Roma e det>
r Italia tutta laoeraU dalle fiurfcai, e
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I im
[ani?. BALZO 2]
PUBO. TI. 76-91 [COHTBO L' ITALU] 405
76 Ahi, serva Italia, di dolore ostello,
Nave senza nocchiere in gran tempesta,
Non donna di provinole, ma bordello 1
7» Quell'anima gentil fa cosi presta.
Sol per lo dolce snon della saa terra.
Di fare al oittadin sno quivi festa;
88 Ed ora in te non stanno senza guerra
Li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
Di quei che un muro ed una fossa serra.
85 Cerca, misera, intomo dalle prode
Le tue marine, e poi ti guarda in seno,
S' alcuna parte in te di pace gode.
88 Che vai perchè ti racconciasse il freno
Giustiniano, se la sella è vota?
Senz'esse fora la vergogna meno.
91 Ahi, gente che dovresti esser devota.
tolge poi Ut pftToU, dlT6Bato preghiera,
al SalTKtote.
76. SUTA : lA ehUuBft eoék, perdhè non
gersnuito dal monarea da hd vaghag-
giito, rignoraggfata inreee da nna quan-
tità di principi, signori e signorotti, dal
Tolgo, daDe aedioenti libertà popolari, eoo.
«(HoBianmn genns] existena sob Honar-
oàa est potiasime Ubenun » ; D§ Man, I,
11 Ctt, Ario§U, OH. XVII, 70. - OSTBLLOs
albergo.
77. BOCCHIKRB: monarca, imperatore;
efr. D» Mon. I, 10. Omv. IV, 4.
78. DOHHA : signora; < Faeta est qnad
ridila domina Qontiam t prioceps prorin-
eiamm futa est sub tributo»; Lameni.
/emn, I, 1. - bokdbllo : loogo di cor-
Httione e di visi. < Bordello, nel plb co-
Mone oso, significa loogo di tnrpitndine
0 rumore o frastnono o difficoltà d'nsoir-
Bo»; Ckivemi. - < Bordello fti osato per
s^^nlflcar cosa o persona di onÌ non mol
dirsi appunto il nome » ; F»i\f, Secondo
•Immi, b&rdsllo rale qoi m«r«fries ; secon-
do litri miierabU tuffwrio, CAr. Nannueei,
Toti e (Mia. itàl. d^Hw^U daUa Ungua
prvt., IM e seg. Bitti, II, 81 e se^.
81. QUin: nel Purgatorio dorè tatto
qoaate le anime sono cittadine d'una sola
«ittà, Pwrg. xni, M e se^., e doro per
eooseguenxa non d sarebbe da aspet-
tsrsi sitro assore tra oompatriotti.
84. ronat Ibaso che per maggior di-
tea gira intorno aDe dttà. Ji^iis.: «qui
habitant in eadem ciritate rei terra, et
eadem domo et eadem arca; quia multi
qui in morte sepeliuntur simul, non pos-
annt stare simul in rita. »
86. CBBCA : considera le tue regioni ma-
rittime lungo! tuoi due mari. Tirreno ed
Adriatico, e poi considera le tue regioni
dentro terra, se ne trorl pur una che sta
in pace.
88. OHI TAL : « che gloTa perchè Justi-
niano imperadore compilasse le leggi e
oorreggessele t le quali leggi sono lo Areno
con che si governano le repubbliche»;
BuU, Cfr. Pttr, VI, 18. - BAOOONaASSB :
Al. RABSBTTABeS.
88. GiusTiNiÀHO : cfr. Par, VI, 10 e seg.
- VOTA : cfr, Pwrg. XVI, 87. « Quasi dire
si può dello Imperadore, volendo il suo
ufficio figurare con una imagine, che
olii sia il cavalcatore della umana vo-
lontà; lo qual cavallo come vada sanxa
il cavalcatore per Io campo, assai è ma-
nUesto, e specialmente nella misera Ita-
lia ohe sansa messo alcuno alla sua go-
vemasione è rimasa. » Oonv. IV, 9.
90. AMO : Giustiniano. Sarebbe meno
vergogna se Giustiniano non fosse venuto
a racconciarti il freno. Al. : Sensa esso
ft«no. È Ibrse vergogna Tessere sfrenato
non avendo freno? Cfr. Fat^,, Studi ed
0$t., 85.
01. OBMTit di chiesa, papa e sacer-
doti ; ooel A». Fior., Fmito Boee., Benv.,
Dan., ecc. Altri intendono dei sudditi
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16 [ANTIP. BILZO 2] PUBG. YI. 92-106 [COHTEO L'iTÀ
E lasciar seder Cesare in la sella,
Se bene intendi ciò che Dio ti nota,
Guarda com' està fiera è fatta fella,
Per non esser corretta dagli sproni.
Poi che ponesti mano alla predella I
0 Alberto tedesco, che abbandoni
Costei, eh' è fatta indomita e selvaggia,
E dovresti inforcar li suoi arcioni,
Giusto giudicio dalle stelle caggia
Sopra '1 tuo sangue, e sia nuovo ed aperto.
Tal che il tuo successor temenza n' aggia!
Che avete tu e il tuo padre sofferto.
Per cupidigia di costà distretti.
Che il giardin dello imperio sia diserto.
Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
m., Ott., Petr. Dani.) ; altri dolU gente
[ioa (BuH, Land., VM.) e non pochi
derni dei Gnelfl( VwU,, Port., Pog., (Ho-
., Tom,, eoc.).Cfr.Par.XYI,68.-]i8aBB
TOTA : attendere alle cose di religione.
2. 8BDBB : lasciare all'imperatore 1* e-
cisio dell' autorità secolare; «Begem-
> dedlt qni fondere certo JBt premere
laxas soiret dare ioasos habenas»;
g., Aen. 1, 62 e seg. - iir la. bblla.:
NELLA 8BLLA.
3. TI HOTA : nel Vangelo ; cfr. MeUt,
:il, 21. LìHM XXII, 25-26. Giov.
TU, 36. ecc.
i. OUABDA: tatti 1 moderni intendono
qaeete parole siano dirette agli ec-
ilastioi, ai quali Dante fa rimprovero
irer volato pigliare le redini del go-
no civile. Secondo gli antichi {Lan,,
., An. Fior., Benv., BuH, Land,, Veli.,
n., ecc.) il Poeta volge qoi la parola
Alberto imperatore. - fiera : l' Italia.
ELLA: stiesosa, biliosa.
i. COBBBTTA : ben gaidata. - bpboni :
.bile cavalcatore, cioè di nn savio im-
atore.
). PREDELLA : o brideUa, la parte del
IO dove si attaccano le redini e si
ade il cavallo qnando menasi a ma-
Forse dimln. di brida, della qaale
9 Taocresc. bridone. Balle diverse in-
iretasioni di questa voce cfr. Oom.
9, II, 76.
J, Alberto : d* Anstria, figlio di Bo-
to di Absborg, n. 1248, eletto impera-
» nel 12M, nooiso a tradimento 1 mag^
glo 1808. Non si ocoapò mai delle
d' Italia, avendo anche troppo da Ai
casa sua. Cfr. Oonv, lY, 8. Le pare
Dante vanno naturalmente all' indi
degl' imperatori in generale.
98. INDOMITA: ribelle e disubbidii
non avendo freno da veruna parte
100. oiuDicio : pena, condanna. -
le stelle : secondo il sistema dant<
Dio solo è superiore all' imperatore,
chò Egli solo può punirlo. Impreo
ne scritta, quando la vendetta era
compiuta.
101. NUOVO: insolito e maniitosi
tutti.
102. 8U0CE880B : Arrigo VII di :
semburgo, cfr. Par, XXX, 136. -
MERZA: timore.
103. PADRE : anche Bodolfo di Absl
non si curò delie cose d' Italia, dove 1
pero si considerò vacante dalla mort
Federigo II all'elexione di Arrigo '
Cfr. Oonv, IV, 8.
104. DI COSTÀ: per avidità di ac
star terre e riochesse in Germania;
a, ViU. VII, 146. -DISTRETTI: rite
nei vostri Stati d' oltremonti.
106. MoMTBCCHi : versi di diffidU
terpretazione. Secondo i più, Dante x
siona qui due coppie di fluniglie ca]
fissioni opposte nella medeslm* dtti
Verona Montecchi e Cappelletti, a
vieto Monaldi e Filippeschi. Seconda
tri, Dante vuol dire : Vieni a vedei
qual partito sono ridotti in Italia i
tori dell* impero : i Montecchi di Yei
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[AHTIP. BALZO 2]
PUBG. YL 107-125 tCONTBOL* ITALIA] 407
109
lU
115
IIB
121
124
Monaldì e Filippeschì, nom senza cura ;
Color già tristi, e questi con sospetti!
Vien, cradel, vieni, e vedi la pressura
De' tuoi gentili, e cara lor magagne;
E vedrai Santafior com'è sicura!
Vieni a veder la tua Boma che piagne,
Vedova e sola, e di e notte chiama :
€ Cesare mio, perchè non m' accompagno? »
Vieni a veder la gente quanto s'ama!
E se nulla di noi pietà ti muove,
A vergognar ti vien della tua fama !
E, se licito m' è, o sommo G-iove
Che fosti in terra per noi crocifisso,
Son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
0 è preparazion, che nell'abisso
Del tuo consiglio fai, per alcun bene
In tutto dall' accorger nostro scisso?
Che le città d'Italia tatte piene
Son di tiranni, ed un Marcel diventa
ed l Cappelletti di Cremona, i Konaldi
di Pen^ ed i Fllippeeohi di Orvieto:
quelli già aooniitti ed oppreosi, qneett non
eoeteaendoel che in messo alle inquietila
dìBl del petiodo. Qoesta eeoonda inter-
pnetMrlone aarebbeda preferirsi, ae i Cap*
pelletti non fMaero stati oaid di parte
goelAk Per i particolari ofr. Oom, IÀp$,
li, 76 e 8^. BrognoUgo, Monteeehi é Gap-
peOetU nMa IH9. Oom., Bologna, 1808.
100. PBBB0UBA! oppressione. Al. OP-
PKISSUBA.
110. osHTiu : « conti, marehesi ed altri
gentili omini e signori d' Italia, che gra»
▼ano U loro sudditi oltra modo » (f) ; BuH,
-kaoaobk: Tisi (B*Ui, La/nd., VM,, ecc.).
Al. : Danni, onde il senso: Bifld i danni
da essi rioevati. - Cloche si miro» sogllo-
Bo esMre malattie, difetti, Tisi.
111. SAUTAPiOBt contea nellaMaremma
senese. Secondo gli mni, Dante intende
dd paese, in qnei tempi infestato da m-
hatori e predoni; secondo gli altri, dei
conti di Santallora, ohe per Tapponto
▼erse il 1800 soffersero gravi disagi ; ofir.
jrimtf.» Serifit. XV, 48 e seg. AqwurofU,
D. in aiena, p. 103 e seg.
US. TUA : Boma ò la città dell'impero.
-riAfln: « Ilorans ploravit in noote, et
laeiym» cios Ir maTilHs eins: non est
qui oonsoletnr eam ex omnibus charis
eins: omnes amici eins spreveront eam
et fAoti sont ei inimici » { Lom»nt, J^
rem, I, 2.
118. VEDOVA: abbandonata da te. -
SOLA : derelitta, deserta (anche dai papi).
116. s' AMA : amara ironia, gì' Italiani
vivendo in continue discordie e gaerre
civiU.
117. VKBOOOMAB: « a vergognarti del
discredito, per coi qna tei da tutti tenuto
a vile e dispregiato » ; Veni. Invece Buti :
« Vieni almeno per mostrare che tu ti
vergogni d'avere sì fetta fema»(f).
118. LICITO : di ferti tale domanda. -
Giove: cfr. Inf, XXXI, 92.
120. ALTROVE: a motivo dèlie nostre
empietà; cfr. Isaia 1, 15 j XXXVII, 17.
Deuter, XXXI. 17-18.
121. PBEPABAZIOH: o prepari Tu forsc
con queste calamità alcun futuro nostro
bene? Da congiungersi ad alcun bene,
doè; Un bene che noi ignoriamo.
128. 8CI88O: separato, da noi non ap-
preso.
124. LE CITTÀ: Al. LE TERSE.
126. UN Marcel : un uomo di grande
autorità politica. Alcuni intendono di H.
Claudio Marcello, vincitore di Siracusa,
qui ricordato come grande citt-adlno e 0»-
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ANTIP. BALZO 2I pDRO. VI. 1^6-140
tcONTBO FIBBNZ
Ogni vìllan che parteggiando viene.
Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
Di questa digression che non ti tocca,
Mercè del popol tuo che s'argomenta!
Molti han giustizia in cor, ma tardi scocca,
Per non venir senza consiglio all'arco;
Ma il popol tuo l'ha in sommo della bocca.
Molti rifiutan lo comune incarco;
Ma il popol tuo sollecito risponde
Senza chiamare, e grida : < Io mi sobbarco I >
Or ti fa' lieta, che tu hai ben onde:
Tu ricca, tu con pace, tu con senno I
S'io dico ver, l'effetto noi nasconde.
Atene e Lacedemona, che fenno
L'antiche leggi, e furon si civili,
lati., par. DafU.,Land., VeU.,ec)i
y. Claudio Marcello, console, par-
di Pompeo e fiero aYreraario di
>8are, qui ricordato qaal fleria-
pugnatore dell'autorità imperiale
ytt., An. Fior., Benv., Buti, ecc.).
TeramcDte che Dante parti di
Itimo. Cfr. Bneid , 1200 e seg.
ILLAH : ogni nomo da nalla ohe
ra partigiano solante; cfr. Irtf.
e seg. Par. XVI, 49 e seg.
S7-151. Invettiva contro Bi-
Dopo aver fatto il tetro quadro
idisioni deir Italia in generale, il
olge la parola a Firenze, cni con
amara ironia rinfaccia Tarro-
r ipocrisia, V ambizione di uffici
e la spaventevole volubilità ed
tza politica. L' invettiva è un ca-
> di satiraeminentemente poetica.
[lA: «oh misera, misera patria
tanta piota mi strigne per te,
Ita leggo, qaal volta scrivo cosa
ggimento civile abbia rispetto ! »
V, 27.
OH TI TOCCA: Firenze era per
to il centro dei disordini che
in qui ha rinfiMcUti aU' Italia in
I. Cfr. Epitt. ad Henr. VII, § 7.
'aboombkta: s'ingegna di non
i questi rimproveri. Al. Si prov-
1. sì AUQOMRNTA, cioò, ragiona e
òT V appunto come faccio io. Cfr.
ip». U, 80.
cx>0CA: si manifesta in parole.
la giustizia nel cuore, ma non
sulle labbra per non isoagUare sooii
deratamente uno strale che non si poi
più ritirare.
182. or soioco : sulle labbra, nel oac
no; cfr. Prov, XXIX, 20. BocUt. TV, 3
188. nrcABOO: le magistrature, i pi
blici uffici.
135. BiHZA cmAMABi: prima di esn
chiamato U popol tuo si dlohlara proi
a sostenere il peso degli nffloi pubbli
- MI soBBABCO: me ne carico. Bsw
« subaroo idem est quod subolngo, ld<
erigo pannos ad oincturam, ut sim ez]
ditior ad àliquid agendum. »~BvH: «il
do di me barca, o lo mi piego a sopp<
tarlo e sofferirlo. »
137. RICCA: di riccheste male aoq
state. - CON PACB: amara ironia, pere
sempre in guerra, o coi vidni 0 tra loi
- SBNif O : r ironia continua.
138. DICO YKB : Al. DICO 'l ykb. Quai
meritate siano queste lodi, si vede <
gli effetti, cioè dai continui tuoi mu
menti.
139. Lacbdkmona : Al. Lackdemo»
Sparta ed Atene, che ebbero si eoo
lenti ordini di governo con le ooetii
sioni di Licurgo e di Solone, non detU
ohe un picool saggio di buon ordine
vile al confronto di te.
140. LBQoi: « Primaa flrugiparos fBl
mortalibus egris Dididerunt quondi
pneolaro nomine Athenie, St reorea^
mnt vitam legesqne rogarunt > ; Luen
Ber. nat, VI, 1 e seg. - aviu: « Or»
capta forum victorem oepit, et artes ]
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[un?. BALZO 2]
Pirne. VI. 141-151 [cohtbo pibehzi] 40^
I4S
145
148
151
Pecero al viver bene nn piocol cenno
Verso di te, che fai tanto sottili
Provvedimenti, eh' a mezzo novembre
Non giugno qnel che tn d'ottobre fili !
Quante volte, del tempo che rimembro,
Legge, moneta, officio e costume
Hai tu mutato, e rinnovato membro!
E se ben ti ricordi e vedi lume.
Vedrai te simigliante a quella inferma.
Che non può trovar posa in su le piume,
Ha con dar volta suo dolore scherma.
talit igratU Lutto»; HoraL, BpiH. II,
i.lMenc.
142. aomu : debott. Pwlare eqolToeo,
Mttfl* Talendo aiudM ofyvto.
IO. mavmaMM'. « tatto gionio ti ik-
Mmo anore lagg^ e ti oorreggersno
1» Teeohie.... IMla quale T»iietà ondo
dM étk nato quello ohe Tvlganiieiite, oon
titnparo delU Città si diee: Legge go-
▼vaettra, Citt* 1* sera e guasta la mat-
tfaks »; Don. Oiatmot., R«p. Itor, II, 18.
Cita per l' ai^ponto i mesi di ottobre e
noTsmbre, alludendo forse alle grandi
■atsiloiii arrenato in Fireose dall'ot-
tobre al aorenibre del IMli ofr. Q, ViU.
Vm, 49; xn, 19, 97. Un proverbio toI-
(ire: « Legge flotentina, tetta la sera e
Caarta la mattlnn. » Cfr. l>on. tìtimmoC.,
aj».A>r.IV,7.
146. iai«Mwi»« ; di oni serbi memoria ;
in qeasti ultimi anni. Uno speoohio cro-
Mlogleo deQe mntaiioni aTTsnato a Fi-
rtuedal 1148 al 1S07 al trora Ora*. L^w.
II.83eseg.
Ii6u omcfo : « quia tnneoonsoles, anne
tattasos, none priores habnenint» et mol-
ta aoraoffioiaadinyeneroati «OOfdMM:
Bores motantnr ibi de die in diem, quia
loiMtiai disoorrentee per mondom re-
Portaat Taiioo moiee aBenigenamm in
patriam, nt poteo ridere in matteribns
eoram. » Bene.
147. lOMBU: olttadini, oaodatl e ri-
chiamati a Tioenda, seoondo II preralere
deO'nna o deQ*aItra ikatone.
148. 8B BEH: ao non haipocdato lane-
moria e rintoDetto. « B' si dioe tra noi
jnorentini nno antloo prorerklo e ma-
teriale, «4oè: FWmué noa ti ahmm, m
tutta non ti doU\ e bonohè il prorerbio
ala di grosse parole e rima, per ^_
rienaa si trova di Tsra sentensia^; &,
Tm, Xn, 10. - lumb: se ti è rimasto
anoora un pò* di lame di ragione.
150. TBOYAB rosAt < Koe invenit re-
quiem »| Lamtnt, Jermn. I, 8. - < Kee
habent requiem die ao noeto >; Apocal,
XIV. U.
151. CON DAB VOLTA : l'ammalata oerea
qualohe sollievo a* suoi dolori, volgendosi
qua e là sulle ooltiioi ; lirenie eerca di
rimediare a' suoi mali, mutando ogni
istante legge, moneto, oflloio e eostome.
« Bt fessum qootiens mntot latos »; Yirg.,
Aitn. Ili, 581. - SCHKBMÀ : da •ckermore,
ted. Khirmtn, per tere sohermo, oonfr.
Pwrg, XY, 38, eome il lat. d^tnderé nel
senso di sohermirsi ; € Defondere fHgus *{
Bwrot,, Bai. I, m, 14. - «Defondere si-
tlm»} ao. Hai., Pim. VII, 170.
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LITTA] PUBG. YII. 1-10 [BORDELLO]
CANTO SETTIMO
IGATOBIO: LA VALLETTA AMENA
IPI INTENTI A GLOEIA TEEEENA
[) IMPEBATOBE, OTTOCABO BB DI BOEMIA
ntANCIA, ABBIGO DI NAYABBA, PIBTBO III D'ABAOOHÀ
D'ANOIÒ, ABBIGO ni BE D* IMGHILTEBBA
GUGLIELMO VII DI MONFBBBATO
che r accoglienze oneste e liete
iterate tre e quattro volte,
ò\ si trasse, e disse: «Voi chi siete?»
i eh' a questo monte fosser vòlte
ime degne di salire a Dio,
' ossa mie per Ottavian sepolte.
\l^irgilio; e per nuli' altro rio
el perdei, che per non aver fé. >
rispose allora il duca mio.
colai che cosa innanzi so
e VirgiUo, Dopo me de' insti andaweno èX Purgatorio,
bordello, conoecinto cioè innanti a la passione di Cristo ; im-
)ia rispettosamente però ohe innaoti a quella tntte l'anime
ga. Virn^Uo rispon- de' insti andayano al Limbo > ; ButL
'p dove è stato mes* CoA pure Lan,, Ott., Benn., Dan., eoo.
Dio. e dioendo chi Cflr. Thom. Aq., Sum, tked. III, 62, 6 e
i nel Limbo. seg. Inf. I, 70. Purg. lU, 27. Virgilio
: più Tolte; il nn- moti l'anno 19 av. Cristo,
r l' indeterminato, 6. rsB : per ordine di Ottaviano. «Ossa
Tom liqnidas cord eins iossn Angusti Neiq>olim translata
•ces Ant qnater in- snnt tnmnloqne condita, qni est yia po-
tori. I, ilo e seg. - teolana»; Donat., ViL Verg,, 68.
beati >; Aen. I, 94 ; 7. rio : peccato ; cfr. Irtf. 1, 124 e seg.;
mann pectns per- IV, 87 e seg.
L IV, 689. 8. PKR HOii : per non arere conosdota
Irò alqnanto indie- la religione della vera fede, doè la eri-
ma ayoTa doman- stiana ; cfr. Jttf, 1, 125 ; IV, 88.
la vita, Purg. VI, 10. inhanzi sé: Al. nniAHa a afe. Sor-
dei nome. dello, all'udire il nome di Virgilio, rimane
« Innanti ohe l'ani- stupefatto come ohi, yedendo d' impror-
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[AITIP. TÀLLITTl]
PUBO. TII. 11-29
[80BDBLL0] 411
16
19
23
Sùbitft vede, ond' ei si maraviglia^
Che crede e no, dicendo : € EIF è.... Non è.... > ;
Tal parve quegli, e poi chinò le ciglia,
Ed mnilmente ritornò vèr lui,
Ed abbraocioUo ove il minor s'appiglia.
« 0 gloria de' Latin, > disse, < per coi
Mostrò ciò ohe potea la lingua nostra,
0 pregio etemo del loco ond' io fai,
Qnal merito o qnal grazia mi ti mostra?
S'io son d'ndir le tue parole degno,
Dimmi se vien d'Inferno e di qnal chiostra. »
€ Per tutti i cerchi del dolente regno »
Rispose lui, € son io di qua venuto :
Virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.
Non per far, ma per non far ho perduto
Di veder l'alto Sol che tu desiri,
E che fu tardi da me conosciuto.
Loco è laggiù non tristo da martiri.
Ma di tenebre solo, ove i lamenti
Tito ooM non pnvednta, te ne m«r»Ti-
S^, e dnbite se la cosa sia Teramente
coA oome gli pare.
12. CRXDB: Pelrarea I, Son. 116 asS),
7 e seg.: « Kon so s' il creda, e vivoml
intra dae; Né s) né no nel cor mi sona
intero. » Ctr. If^f, VXa, 111.
U. s POI: fatto certo della cosa. - chi-
»ò; abbassò riverentemente gli occhi.
li. srroBXÒ : gli rì. avvicinò di nnovo,
dopo essersi prima ritirato nn poMn-
dietro.
15. OYB : alle ginocchia, JBenv., Vent.,
OotU, Tom., Br, B., Frat,, Oreg., Andr.,
Oam,,Pol, eoo.; allecoscle,i;>an., Ott., ecc.;
dal petto in giù,sotto le braccia» An.f<or.,
Bfai,L9nd., vai. Don., BetH, ecc.; ai
piedi, Lomb. H passo Purg. XXI, 180
■cabra sciogliere ogni dubbio. La va-
riante OVK IL mJTBIB B* APPIGLIA, OODO-
Klota già dal Lan,, ma che occorre in
pochissimi codd., è inattendibile. Confr.
Movre, OrU., 881 e seg.
1(^. PER CUI: nelle cni opere.
17. LncouA : latina, che ai tempi di Vir-
gilio e di Bordello era quella degli Italiani.
18. LOCO: Mantova, patria di TirgOio
«di Bordello.
19. MSBrro: mio. - o&asia : divina.
21. d'Infsbho : Virgilio gli ha detto
d*aver perduto il delo, v. 8, onde Bor-
dello sa ohe non può venire che dall'In-
ferno, ma non sa da quale regione in-
fernale.-chiostra : cerchio dell' Inferno;
cfr. Inf. XXIX, 40.
22. PEB TUTTI : non vengo da una sola
chiostra d'Inferno, ma sono passato per
esse tutte, mosso e ravralorato da ce-
leste virtii ; cfr. Jf^. II, 52 e seg. Purg,
I, 52 e seg.
25. PBR FAB: non per colpa commessa,
ma per manoansa di fede, v. 7-8, 84 e seg.
26. Sol: Dio; cfr. Par. IX, 8; X, 58 ;
XVIII, 105; XXV, 54. Oonv, III, 7. 12.
27. TABDi : dopo morte, alla discesa di
Cristo al Limbo; cfr. Inf. IV, 52.
28. LOCO : il Limbo, Jf|A IV, 25 e seg.
« Dolores non sunt in Inferno patrum,
ncque etiam in Inferno puerorum, qui
non puniuntur pana sensus propter pec-
catum actuale, sed solum pana damnl
propter peccatum originale »; Thom.Aq,,
Bum, theol. Ili, 52, 2.
29. TKHCBRB : « nel rv dell' Jf^. 11 luogo
luminoso è pe' soli spiriti illustri e buoni,
non già per gli altri. Virgilio, che era
pure di quelli, dopo accennato alle te-
nebre, dice : (iuivi ito io : quella luce alla
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rXlP. YALLKTTA] PURO. YII. 30-46
[LXGOB DBL PUB
Non saonan come gaai, ma son sospiri.
Quivi sto io coi parvoli innocenti,
Da' denti morsi della morte, avante
Che fosser dall'umana colpa esenti;
Quivi sto io con quei che le tre sante
Virtù non si vestirò, e senza vizio
Conobber l'altre, e seguir tutte quante.
Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio
Da' noi, perchè venir possiam più tosto
Là, dove Purgatorio ha dritto inizio. >
Bispose: < Loco certo non c'è posto.
Licito m' è andar suso ed intomo ;
Per quanto ir posso, a guida mi t'accosto.
Ma vedi già come dichina il giorno,
Ed andar su di notte non si puote;
Però è buon pensar di bel soggiorno.
Ànime sono a destra qua rimote:
k tenebre »{ Tom. Ctr. Thom,
tìuol. in, Sappi. LXIX, 6.
:: oflr. Jr^. IV, 25 e seg.
PARVOLi : dnnqae nel Limbut
«Limbos patroni et Limbos
ftbsqoe dabio diflèmnt aeoun-
tfttem premi! vel pcen». Pae-
[>n adest ape* beate vitee, qo»
Limbo aderat; in qoibna etiam
li et grati» refùlgebat. Sed
id aiiom, probabiliter oredi-
imqae loona idem fliiase ; niai
ìhb patmm erat in snperiori
Limboa poeromm. » Thom,
thooL III, Sappi. LXIX, 6.
[ : pasaati di qaesta vita. Dante
IO ool Tolgo la morte a galaa di
0 e dentato amano scheletro,
5 col mordere »; Lomb. - « Mor-
•o, Inferno »; Oiea XIII, li.
k : peccato originale. - bsehti :
latteaimo.
!; : teologali ; fede, speraasa e
. Oonv. UI, 14.
*BB : le Yirtii cirili e natnrali.
Leffff0 del Burgaiorio eirea
7irgilio prega Sordello di mo-
ria per salire al Porgatorio,
espone la legge colà vigente,
qoale, tramontato il Sole, non
fsre nn solo passo in sa,
i>rme alla sentensa di Cristo,
86.
87. SAI R PUOI: se conosci lA ria e
ti è permesso di venire a mostrare
88. KOI t a noi ; cfr. Purg, XXXI, 1
39. DRITTO INIZIO : il suo vero prlj
pio. Sono ancora néH'Antipargatorl
40. CKBTO t fisso. - POSTO : assogni
« Kon e* è assegnato nò diterminato
con InogO! noi siamo liberi d'and
come et dove ci pare ; ma in Pargatc
non possiamo entrare »; An. Fior,
loro permesso di circoire il monte <
salire fino alla porta del vero Porgi
rio, ma non di entrarvi sino al ten
debito.
41. m'è ahdab: Al. t l'andab.
42. PKB QUANTO: mi t'accompagno
me guida fin dove mi è lecito inoltrar
cioò sino air ingresso del vero Porgi
rio. La questione, qnali motivi inda<
aero Dante a scegliere per Tappa
Sordello a guida nell' amena valletti
piuttosto oziosa, essendo diffioile e qv
impossibile di indovinarli; oonfr. Oc
JÀpt. II, 90,
43. DiCHUiA: sono droa le 4 V*P<
45. DI bkl: ad un bel luogo da p
aarvi la notte. Al. di buon.
46. UMOTS : « in looo nobilissimo seq
strate ab omnl grege vnlgarinm boi
num »; B^nv. Sono anime di grandi f
sonaggi che, intenti ad ailkrl mondi
tardarono la penitenza, e sono qui t
colti in un' amena valletta.
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r
[IKTIP. VALLETTA]
PUBO. VII. 47-63 [LBGOB DEL PUBG.] 418
49
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58
61
Se mi consenti, io ti merrò ad esse,
E non senza diletto ti fien note. »
« Com'è ciò? » fa risposto: « Chi volesse
Salir di notte, fora egli impedito
D'altmi? 0 non sarrla, cbò non potesse? >
E il baon Sordello in terra fregò il dito,
Dicendo : < Vedi? Sola questa riga
Non varcheresti dopo il sol partito;
Non però che altra cosa desse briga.
Che la notturna tenebra, ad ir snso:
Quella col non poter la voglia intriga.
Ben si porla con lei tornare in giuso
E passeggiar la costa intomo errando.
Mentre che T orizzonte il di tien chiuso* >
Allora il mio signor, quasi ammirando,
€ Menane dunque > disse, « là 've dici
Che aver si può diletto dimorando. »
47. SB MI ooziBXirn: Al. ss' l mi ooh-
BSBn. - MEBBÒ: poT sincope d* menerò f
ofr. ifMmiM., Verbi, 941 e teg. Al. mb-
49. FU BIBP08T0 1 da Virgilio, ofr. ▼. 61.
60. BALIB: il monto. >fobà: sarebbe;
cfr. Nanmiuc., Vsrbi, 476 e aeg.
61. o HOH SARidà : o non salirebbe per
non areme la fbrsaf Sartia è forma sin*
eopata di ioUrìa ; ofr. Nannuc., o. o., 246.
n Bocc., Dee. VII, 9, nsò earrei per boU-
rei, e U Cavale., PtmgU., 0, disse forra in
eieio per eaUrà. Bolle diverse lesioni di
qoesko Terso ofr. Mocre, Orit,, 882 e seg.
62. FBBGÒ: deeerisse eoi dito nna li<
Bea in terra. * lesos aatem ipolinans se
deorsom, digito sorlbebat in terra.... Et
itemm se inelinans, soribebat in terra >;
Giov. Vili, 6. 8.
64. PABnTO: tramontato. H sole flgnra
la graaia dlrina, sensa la qnale 1* nomo
non pnò fiue on sol passo Terso la pe-
nitensa. Ha oeenparsi di cose mondane,
oppure ritornare al male, questo e' Io
poò anehe dopo U eoi partito,
66. DB8SB BBIOA : fosso d' Impedimento
ad <r wueo al monto.
66. TBBBBBA.: AJ. TBVBBBB. « Ajnbulato
dum Inoem habetis, ot non tenebro tos
eempreheBdantx et qui ambnlat in tene-
bria, neselt qoo vadat » ; Jean, XII, 86.
67. umnoA: impaeda. esonerando Tim-
poteiuB, Vosoorità della notto impedisoe
la Tolontà. « Non potondo, non si Tnole» ;
Tom,
68. CON LBi: eoUa tenebra si potrebbe
bensì ritornare indietro t senxa il lame
della grasia 1* nomo può ritornare al peo-
oato 0 oam minare in tomo al monto, oioò
aflktiearsi sansa Tomn profitto.
60. MBMTRB: doranto la notto. - chiu-
so t « Auto diem olanso oomponet Vesper
Oljmpo >; Yirg., Aen. I, 874.
61. AMMiBAHDO: Virgilio non oonosoo
le leggi del Purgatorio.
68. DILITTO: Ofr. T. 48.
V. 64-90. Za valle ftorita. Ooidatì da
Sordello, i due Poeti arrivano in nnaame-
nissima valletta dipinta d'erbe e di fiori,
dove siedono, cantando nna preghiera
alla Vergine, i prinoipi negligenti di loro
etema salato. « Ove si TogUa attendere
ohe la Bibbia e la Chiesa e a loro imita-
sione il Poeta più Tolto ooo fiori e fra-
granse simboleggia le opere consumato
nella oarita o spiranti il boon odore di
Cristo ; nella rioohessa del colori e degli
efBuTli noi aTremo nn mistioo linguaggio
a quelle anime già splendidamento, ma
non sempre oaritatovolmento operose,
una delicatissima pena di continuo rim-
provero, un invito a desiderii e preghiere
ohe adempiano l'antico difetto di oarita,
ed esiandio un aimbolo di quella oarita
con coi han già cominciato a riempir
quel difetto. » PtfTM. Secondo alcuni, 1'
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414 [ANTIP. YILLITTA] PUBO. VII. 64-76
[VALLI FIOBITA]
64
67
70
73
76
Foco allungati c'eravam di liei,
Qoand'io mi accorsi che il monte era scemo,
À guisa che i valloni sceman qoici.
« Colà » disse quelP ombra, < n'anderemo.
Dove la costa face di sé grembo ;
E quivi il nuovo giorno attenderemo. >
Tra erto e piano era un sentiero sghembo,
Che ne condusse in fianco della lacca.
Là dove più eh' a mezzo muore il lembo.
Oro ed argento fine, cocco e biacca.
Indico, legno lucido e sereno.
Fresco smeraldo in l' ora che si fiacca.
Dall' erba e dalli fior dentro a quel seno
ymlletU figura U pompft della Tita prin-
oipesoa e l'odora della loro Huna (Oau,,
Béfiv., Land., eoe.) : seoondo altri, i oo-
lori e le fragranze stanno a figurare le
▼Irta morali e teologiche, alle quali gli
stati aono atti (BuH, ecc.). Secondo la
mente di Dante, la valletta fiorita po-
trebbe forse essere il simbolo della vita
dei Booi abitatori, i qaali. distratti dalle
pompe, dalle cure e dal fiuto mondano,
neglessero la penitensa e trascurarono
r imima loro. L' idea di ootesta Talletta
amena, osserva L. Verd., ove stanno il-
lustri personaggi, trasse forse il Poeta
dall' Bliso virgiliano : « At pater Anohl-
ses penitos oonvalle virenti Inolusas
animas superumque ad lumen ituras
Lustrabat studio recolens »; Tirg,, Aen,
VI. 670 e seg.
64. ALLUNGATI: allontanati. - uci : A ;
cfr. Itkf. XIV, M.
65. QUAKD'lO: Al. QUANDO. -8CKMO:
incavato ; « avea concavità e valle, sic-
ché non girava tondo » [BuHi, facendo di
sé grembo, come si aprono i vallonoelli
nei fianchi delle montagne di questo
mondo terrestre.
66. VALLONI BCBMAIT: Al. VALLON 81
6CBMAM. - QUia : qui, in questo mondo.
70. TBA SBTO : non propriamente erto
nò piano. - sghembo : obliquo, tortuoso.
71. LAOOA: cavità, valle; confr. Jt^.
VU, 16.
72. LÀ DOVK: « dove Tawallamento è
men fondo ; il lembo della cavità è più
ohe della metà più basso che nelle altre
parti. Bsso lembo quasi finisce e muore
nel luogo ove l'avvallamento oomlnda :
onde con tre passi soendeei nella Tane,
come dirà C. Vm, 46 »; T9m, Questa ò
per avventura la migliore Interpreta-
sione di questo verso oscuro.
78. COCCO : lat. eceewm, grana di aear-
latto, o ehermei, specie di cocciniglia
ohe vive sulle querce. Si hanno in que-
sta descrlsione tutti i colori di una inJle
fiorita: oro -^ giallo; argènto -^ bianco
splendente ; cocco — rosso; Macca— bian-
co puro ; indico -^ assurro ; legno lucido
e sereno » bruno; emeraldo '^ verde.
74. INDICO, LKONO: vuolsi distinguere
indico e Ugno lucido, come fiuino JLan.,
BìOi, Land., V^L, ecc. I più prendono
indico legno per un capo solo, (koendo
indico aggiunto di legno ; cosi OU., An.
Fior., Benv,, Dan., Lomb., eco. Ma quale
sia poi questo legno indico nessuno lo sa
(cfr. Oom. Lipt. II, 97 e seg.). Potrebbe
forse essere l' ebano, di cui Virg., Georg.
II, 116 e seg.: « Sola India nigrum Fert
ebenum. » Meglio intendasi per indico
r indaco, e pel legno Ixteido e eereno la
quercia fracida rilucente di notte, e cosi
si hanno tutti i colori di un campo fiorito.
76. FRESCO : « lo smeraldo è verde, e
quando si fiacca, o rompe, si dimostra in
tal rottura di molto più vivo ed acoeso
colore che non fo in superficie, per avere
in questa già perduto alquanto della sua
vivacità»; Veli.
76. FIOR DENTRO: Al. FIORI KNTEO. -
SBNO: valletta. Ciascuno degli oggetti
mendonati sarebbe vinto in bellessa o
magnifioensa di colori dall'erba e dai
fiori di quella valletta, come 0 più ra-
perà e vince U meno.
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[ABTIP. YILLETTA]
PUBO. TII. 77-91
[PBIHOIP]] 415
7»
85
91
Poeti, ciascun sarla di color vinto,
Come dal suo maggiore è vinto il meno.
Non avea pur natura ivi dipinto,
Ma di soavità di mille odori
Vi facea un incognito indistinto.
« 8alve^ Regina » in sol verde e in sa i fiorì,
Quivi seder cantando anime vidi,
Ohe per la valle non parean di fborL
« Prima che il poco sole omai s* annidi, »
Cominciò il mantovan che ci avea vòlti,
« Tra color non vogliate eh' io vi gnidi.
Di questo balzo meglio gli atti e i volti
Conoscerete voi di tutti quanti,
Che nella lama giù tra essi accolti.
Colui che più sied' alto, e fa sembianti
79. PUB: e U natan area non aolo
dipinto il terroio di quella ralle di nna
drtlrioai Tarletàdi coloci, ma arerà inol-
tn u— ipoeto dalla fragnnsa di direni
edorl nna meaoolanxa olie qni nel mondo
KOB al eonoeee.
81. Dionrmrro : aoetentiro — nn misto,
Al. leggono ■ niD., e
> o4cr4 intendendo: ViCMera
m odore a noi nel mondo inoc^cnito e,
per la meeoolanga di tenti odori, indi-
■tlnto. An. Jfor..*«Di molti odori di quei
flori ee ne feeea nno ohe area l'odore di
tntfeit et non area di remno, a modo di
nna eonlMone ohe ai fk di molte eoee
boone, et dirtene di molti uno sapore
solo. » Secondo altri imMgniiù è sost ed
indittinio a eoo addiettiro (f).
82. BALTB: è a noto inno alla Vergine,
che saole recitacai dopo i reepri, fairo-
eaadfloe l' aloto in questo ralle di lagri-
me e eUedendone la grasia di ISuoi degni
della rlsione del Salratore. Anehe la ral-
letto asMna è per quelle anime un esOio
ed nna ralle di lagrime.
88. QUin: AL Qum».
84. BOB FABBAJi: ttou sl rederano ftaori
della ralle per lagtone della earito della
86. rooo: fl sole era & rkino al tra-
monto. - s' ABSIDI : tramonti.
88. MABTOYABt SordoOo. - rÒLTl : gui-
dati pel <ìammino a «yAMifto, r. 70.
87. OOLOB: AL OO0TOB.
90. LAMA: laggih nella ralletto; cfr.
h^, XX; 7f . Lorna è propriam. pianura
o eampagna, in ooi 1* acqua si distende
ed impaluda ; e rale anehe luogo oon-
oaro ed umido, profondità, oaritiL Vuol
forse aeeennare alla natura della foma.
« La imagine, per sola fkma genera-
to, sempre è più ampia, quale che essa
sia, ohe non è la cosa imaginato nel
rero stato.... La fiuna dilato lo bene e
lo male oltre la rera quantito. » Oonw.
I, 3. 4.
V. 91-90. BodoifQ impormiare. Bor-
dello addito e nomina ai Poeti ad uno ad
uno gli spinti magni, cfr. JV* IV, 118 e
seg. n primo, che, oome imperatore, siede
più alto, è Rodolfo di Absbnrg, padre di
Alberto d'Austria, n. 1 maggio 1318, co-
ronato imperatore in Aqulsgrana 28 ot-
tobre 1273. m. 80 settembre 1291. « Fu di
grande afflare, e magnanimo, e prò' in ar-
me, e bene arrentnroso in battaglie, mol-
to ridottato dagli Alamanni e dagl* Ito-
liani ; e se aresse rolnto passare in Italia,
seosa contrasto n'era signore. E man-
docd suoi ambasciadori l'aroireecoro di
Trieri, e Ita in Flrense negli anni di Cristo
USO, signifloando sua rennta, onde i Fio-
rentini non sapeano che si foro, e ss Ibsse
passato di certo l'arrebbono ubbidito. B
lo re Carlo eh' era sa possento signore, il
temetto forto.... Sempre intese a creseere
suo stato e signoria in Alamagna, lascian-
do leimpreeed'Italiaperaooreeoere torra
e podere a' figliuoli. » O. ViS. VH, 66,
140. Cfr. Por. Vili, 73. Oonv, IV, 8.
91. B FA : Al. KD HA. -SBMBIABTI : SOm-
bianto. SembitMti è nome masc della
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416 [ÀKTIP. VALLETTA] PUBG. VII. 92-105
[PBINC
M
97
100
103
. D' aver negletto ciò che far dovea,
E che non move bocca agli altrui canti,
Ridolfo imperador fn, che potea
Sanar le piaghe e' hanno Italia morta,
Si che tardi per altri bì ricrea.
L' altro, che nella vista lui conforta.
Resse la terra dove l'acqua nasce.
Che Molta in Albia ed Albia in mar ne porta :
Ottàcchero ebbe nome, e nelle fasce
Fu meglio assai che Vincislao, suo figlio,
Barbuto, cui lussuria ed ozio pasce.
E quel Nasetto, che stretto a consiglio
Par con colui e' ha si benigno aspetto,
Mori fuggendo e disfiorando il giglio :
terza deolinazione» terminato nel aing.
in <; cfr. Boce., Dee. Ili, 8; IV, 6.
92. CIÒ : di venire in Italia, ciò ctie, se-
condo la teoria politica di Dante, era sa-
crosanto dorerò di ogni imperatore.
93. NON MOVE: non canta cogli altri
il Salve, Begina, forte per Tcrgogna della
sua negligenza (Benv.), e forse per altri
motivi; ofr. Oom. Lipe, II, 100.
95. PiAOHB; divisioni di parte, che
hanno lacerata e disfatta l'Italia.
96. ALTRI ! Al. ALTRO. Allude ai vani
tentativi di Arrigo VII di ristaarare in
Italia r autorità imperiale; confr. Par,
XXX, 187 e seg.
V. 97-102. OUocaroLI re di Boemia.
Qaeiraltro, che all' apparenza mostra di
confortare Rodolfo al quale in vitaftì fie-
ramente avverso, eletto re di Boemia nel
1253, mori nella battaglia presso Vienna
il 26 agosto 1278. Fu valente guerriero e
crudele tiranno, accusato, forse non a
torto, di aver consigliato l'assassinio del-
l' infelice Corradino ; ofr. Eneid,, li09 e
seg. Sembra che Dante, il quale proba-
bilmente non conosceva Ottocaro ohe per
la sua fama di valente guerriero, lo no-
mini qui qual fiero nemico di Rodolfo, per
mostrare che i già nemici sono h amici.
98. TRRRA : la Boemia, dove nascono le
acque che la Molta, oggi Moldava, riu-
nisce e consegna all'ilòta, oggi Elba,
che le porta nel mare.
100. NRLLE VA8CE : Ottocaro da giovi-
netto fta più virtuoso assai e seppe reg-
gere lo Stato con maggior senno oho non
Tenoeslao, suo figlio, in età matura.
101. VnrciSLAO : Venceehu) IV, de
Pio o il Bìiono, nato nel 1270, sncoec
padre nel regno di Boemia nel 1278,
to nel 1800 re di Polonia, genero dJ
dolfo imperatore, morto a Buda nel ]
Ascoltava ogni giorno più messe, ed
va parecchi figli illegittimi già a v
cinque anni. Dente lo ricorda pure
XIX, 125 e seg.
V. 108-111. JSmppo III re di Wì
eiaedBnHeodiN«nfarra,JSoeofì
altri stretti insieme a consigUo. L' i
Filippo lU detto V Ardito, re di Fra;
secondogenito di Luigi IX e padre é
lippe il Bello e di Carlo di Valois, na
nel 1245, successe al padre nel 127<
sondo con lui ali* assedio di Tunisi ;
Perpignano il 6 ottobre 1385. « Fu sig
di gran cuore, e in sua vita foce gì
imprese»; 0. Via.vn, 105.FunaseUc
de Dante lo chiama qubl Nabbtto,
Nabuto come alcuni vogliono legge:
L* altro è Enrico di Navarra, del
Grasso, fratello del « buon re Tebalt
Jtkf. XXII, 52, suocero di Filippo il I
cui aveva dato Giovanna sua figlia e
tarla} moti nel I27i a Pampelona, i
cato nel grasso del proprio corpo. I
natura tntt' altro ohe benigna ; ma D
non parla cbe dell'apparenza eatar
appunto come là dove desoriaae l'a
rensa di Gherione, Inf, XVII, 10 e
106. FUQORKDO : nella guerra di I
pò III con Pietro IH d'Aragona (:
Ruggero di Lauria, ammiraglio di Pi<
disfece la fiotta francese. Filippo ave v
occupata la Catalogna; ma, visto lo t
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[AHTI?. YALLETTl]
Ptteo. vn. 106-116
[PBIHCIPI] 417
IM
1»
U2
115
Guardate là, come si batte il petto 1
L'altro vedete, c'ha fatto alla gaancia
Della sua palma, sospirando, letto.
Padre e saocero son del mal di Pranda:
Samio la vita sua viziata e lorda,
E quindi viene il dnol che si li lancia.
Quel ohe par si membruto, e ohe s'accorda.
Cantando, con colui dal maschio naso,
D'ogni valor portò cinta la corda;
E se re dopo lui fosse rimase
Lo giovinetto che retro a luì siede,
pero dellA boa arnuite navale, e perdo
pceohm ogni via a poter yettoTafUare
reeecoito Ae In parte perì di fiyne, morì
ii oepaonore in Perpignano. Cfr. Vigo,
DamU e la SMlia» p. 89. - disfiorando :
Tltnpenaido l'inaegna della casa di Fran-
cia, i tre gigli d*oro in eampo aosnrro.
106. BATnt addolorato della viziata e
lorda vita dì Filippo il Bello, sno figlio.
Par lo stesso motivo Bnrloo di Kavarra,
aopeero di Filippo il Bello, sta n dolente»
col volto appoggiato ad nna mano.
109. MAL: Filippo il Bello, oontro 11 qua-
le Dante non si stanca di inveire; cfr.
Pwry.XX, 91; XXXU, 162; XXXIII, 45.
Por. XIX, 118 e seg. Più mite è il gin.
disio del cronista gneUò, O. FtO. IX, 66.
110. lobda: di Filippo il Bello scrive
fl Montfaweon (citato da De Som,, JBd.
Pad,, Tom. ed altri) : «H ótait vindioatif
josqn'à l'exoès, dnr et impitoyable à ses
M^jsita. Pendant le oonrs de son règne, il
j ent pfais d*imp6ts, de taxes, etdemaltA-
tes qne dans tons Ics règnes précédents. »
111. QUOiDi: dal saper dò proviene 11
dolore che trafigge loro il onore.
V. 113-129. Pietro UT d^Aroff&na
• Cario d^Angiò. Sordéllo rende i due
Poeti attenti a dae altri personaggi clie
OHitaiio insieme l'inno iHa Vexgfaie, e
ne prende oeeaslone a deplorare la dege-
Bocasione de* loro discendenti. L'uno,
die anèhe nel mondo di là appare assai
membrato, è Pietrom d'Aragona, detto
il Grande, n. 1S96, marito di Ooetansa
flgfla di Kanfredi, ineoronato re d'Ara-
gona fl 16 agosto U76, e re di Sieiliafl
3 ssttembfe 1182 dopo 1 fiMnod Vespri,
ai. a VIBafranca 10 novembre 1286. < Fa
TsIsBts signore e prò' in arme, e bene
trtrentoroso e savio, e ridottato da' eri-
•tisni. e da'saradni, altrettanto o più,
27. ^ JH9. Oomm,, 4^ odia.
come nnllo re ohe regnasse al sno tem-
po»;e.FiO.Vn,10«.
Quell'altro dal naso maiuscolo è Cario
d'Angiò, figlio di Luigi Vm re di Fran-
cia e fratello di Luigi IX. n. 1220, fl ladro
del regno di Napoli e Sicflia, l'assassino
di Corradlno, m. 1285. Clemente IV gli
scriveva il 22 settembre 1266 (MarUné et
Dcrand, Theeaur, nov. an. II,'i06 : « In-
hnmanus dlceris, et ad nnllnm afficerls,
prout didtur, amidtia. - Addimus inxta
funam communem, quod homines regni
tni etiam videro contemnis, et institiam
proorastlnas ; - qnib'us d nec vidbilis Aie-
rls, nec adibilis, d nec afikbflls nec ama-
bilis, et eifldem volueris prindpari, pro-
fecto inmanugladlnmetindorsoloricam,
et alatore prasparatnm exerdtum habere
te luglter oportebit. - Nunc ad tuos di*
gredimur, iUos sdlioet, qui voi tuo as-
sistnnt latori, vd ad terrarum tuarum
Toglmen destinantur : et de istis commu-
niter didtur, quod Ubi subtrahuilt et
tuia anfisrunt, quidquid possunt. - Quodd
rapioabuiusmodiexcusabilisesse posset,
hoc solnm vldetur ad excusatlonem prò*
desse, quod tu frves videris fbcere, qni-
bus non reddis debita, nec asdgnata
certa stipendia. » Ma Cario seppe ùae sa
bene il bacchettone e l'ipocrita, da ikr
qnad dimenticare i sud delitti da erga-
stolo, cfr. 0. Via. vn, 1 e 95, onde Dan-
te non lo cacdò nell' Inferno, sebbene al
Poeta non cadesse in penderò di ma-
scherarne le male adoni ; cfr. Purg. XX,
67 e seg. Par, Vili, 78 e seg.
Ili. POSTÒ : ebbe i lombi dnti d'ogni
valore, Ita vdoroso in ogni cosa; dt.
Prcv. XXXI, 17. Itaia XI, 6. Amari,
VeepH n, 156 e seg. Vigo, DanU e la
SitfiUa, 88.
116. oiOvnmTO: Alfonso m, detto il
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H8 [ANTIP. VALLETTA] PURG. VII. 117-128
[PBIN
.18
21
L24
127
Bene andava il valor di vaso in vaso;
Che non si puote dir dell'altre rede:
lacomo e Federico hanno i reami ;
Del retaggio miglior nessun possiede.
Rade volte risorge per li rami
L'umana probitate; e questo vuole
Quei che la dà, perchè da lui si chiami.
Anche al Nasuto vanno mie parole,
Non men eh' all' altro, Pier, che con lui canta,
Onde Puglia e Provenza già si duole.
Tant' è del seme suo minor la pianta,
Quanto piti che Beatrice e Margherita,
tfagnifioo, primogenito di Pietro III, al
inale sncoesse nel regno d'Aragona nel
L285 e morì senza prole nel 1291.
117. DI VASO : di padre in figlio ; ofr. Oe-
rem. XLVIII, 11. « Alphonsns virtnoens
Fait, et patri similis et nobilis » ; Benv.
118. rkdr: eredi ; cfr. I7\f, XXXI, 11«.
Purg, XIV, 90; XVIII, 135, eco.
119. lACOMO: Giacomo II d'Aragona,
detto il Giosto, aeoondogenìto di Pie-
tro III, incoronato re di Siollia il 2 feb-
braio 1286. Morto nel 1291 Alfonso sno
fratello maggiore, Giacomo gli snocesse
nel regno d'Aragona. Morì a Barcellona
LI 2 novembre 1327. Unì snl sno capo il
diadema siciliano e l' aragonese, contro
le ultime disposizioni di Alfonso sao fra-
tello; quindi cedette vilmente la Sicilia
al Ciotto di Gerusalemme (Par. XIX,
127), di cui prese in moglie la figlia
Bianca; guerreggiò contro il proprio
fratello ; usurpò il regno di Mnroia dopo
la morte di Sanoho IV, eoo. Cfr. Purg,
III, 115 e seg. Par. XIX, 130 e seg. -
Federico : Federigo II re di Sioilia, ter-
zogenito di Pietro III, n. 1272, procla-
mato re di Sicilia nel 1296, m. 1337, prin-
cipe da non meritarsi per avventura i
biasimi di Dante; confr. Par. XIX, 130
6 seg.; XX, 63. Oonv. IV, 6. Vìd. El.
I, 12.
120. inouoB : nessuno dei due possiede
sloun ohe delle virtii paterne.
121. BiBUBOB: l'umana probità passa
di rado da' genitori ne' figliuoli ; ofir. Par,
VTII. 98 e seg. Maehiav., DUc. 1, 11.
123. QUBi : Dio che la dà (« Omne datum
optimum et omne donum perfeotum de-
sursum est descendens a patre lumi-
num »j Bp. Oiae. 1, 17), affinohò si rico-
nosca che la virtù dell* uomo è d
Lui. non eredità naturale.
124. Nasuto: Carlo d'Angiò;
V. 118. -PABOLB: sui figli degen
126. ONDE : per la quale degenei
dei figli gli stati di Carlo I, doè la
e la Provenaa, sin d'ora si dolgon<
127. TANT' È: Cario II è tant
riore a Carlo I sno padre, quan
stanza, vedova di Pietro III, ha
gione di vantarsi del marito d
avessero di vantarsi del loro le d
gli di Carlo I. Beatrice, figlia de
Raimondo di Provenza, e Mar;;
figlia del duca di Borgogna. In sos
Carlo n è tanto inferiore a Carlo ]
giò, quanto questi a Pietro III
gena. -LA punta: Carlo II d*
detto il Ciotto o zoppo, n. 1248, va
cfr. Purg. XX, 79 e seg. Par. V
XIX, 127eseg. G. rat Vin, 108. «
sarebbe passato qnal malfiftttore y<
se non fosse nato casualmente re.
nere del padre, eh' è quanto dire, <
nire a navale battaglia con Bi
Lauria, e fu disfatto e imprigion
suoi capitani, e fu chiuso dapprlm
Rocca G nel fonia di Messina, poi i
sto e in qnel fortilizio. Meritava
per mano del carnefice in espiai
Corradino; ma i nostri principi a
rono lordami nel sangue di un pr
Fu coteato ipocrita àk vestirsi ca
e cantare in coro l'niBoiot al vi
per danaro vendè la figlia Beat
vecchio Asso VI maichese d'J
Vigo, D, e la SteU., 41 e seg.
128. Bbatbicb : prima moglie di
d'Angiò. - Mabohbjuta : seconda
di esso Carlo, sposata nel 1808,
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[ABTIP. YILLITTA]
Puro. ni. 129-186
[PRINCIPI] 419
139
m
136
Costanza di marito ancor si vanta.
Vedete il re della semplice vita
Seder là solo, Arrigo d'Inghilterra:
Questi ha ne' rami snoi migliore uscita.
Quel che più basso tra costor s'atterra,
Guardando in suso, è Ghiglìelmo marchese,
Per cui ed Alessandria e la sua guerra
Fa pianger Monferrato e Canayese. »
dopo fai morte di BeaMoe. Sulle altre al
diTwganti interpretM. ofir. Obm. Llpi,
n, m.
y. lSO-183. Arrigo inred^InghO-
(MTo. Bordello moetr» al due Poeti una
•Itnaaima, aggiungendo eaaere eeaa pia
AwtniaU Bei suoi diaoendentl die non gli
•Uri due. È eoetni Arrigo o Bnrloo III re
d'Ingliflterra, figlio di GioTanni Seoia-
t«na, n. i ottobre 1906, Booeedoto al pa*
àn 18 ottobre 12 1 8, m. 18 norembre 1272.
Fo nomo del tutto inabile al goremo,
debole, poltrone, aensa carattere, sem-
fUee otramento nelle mani altmi, sioohè
Avrebbe ibrae meritato on poeto laggiù
^ fll « toiaarati ohe mai non fhr rivi. »
Ma aambra ohe di loi anche Danto non
ne aapeaw più del Villani, il quale si con-
sta di otoerrare, Y, i, ohe « Ita aem-
pUee uomo e di baona fb* e di pooo ra-
ln«. » CCr. aimbb». Thè Mr(y Pìantag$-
«te, Londra, 1878. Pavli, Bimon wm
Mtn^fitrt, Tfiblngen, 1887.
131 R' BAIO : nel ano figlio Edoardo I,
*• 1340, sooeedato al padre nel 1272,
■• 1907; e buono e Talento re. n quale
Al UBO de' pia raloroai signori e savio
do'eiistiaoi al ano tempo, e bene arren-
^^ la ogni sna impresa »; G. Viti,
^in, 90. Corresse ed ordinò le leggi,
"^ fli detto a Giostinlano inglese.
V. m-188. €hifflMmo Tildi Mon^
J]^'^ Ultimo, seduto a terra più in
Miio degli altri, perohè fta principe di
'"liMT grado e potenaa, Bordello nomina
OngUelmo VII, detto Spadalonga, mar-
ohese di Monferrato, che regnò dal 12M
al 1202. Basendo licario imperiale, quindi
capo di tutu i Ghibellini, le città guelfe
si coUegarono eontro di lui. Kel 1200 la
repubbUoa d'Asti volle ritorgU la città
d'Alessandria e ri suscito una ribellione.
Guglielmo t1 accorse per sedarla e far
rendetta; ma, soUcTatosi tutto n po-
polo. Ita preso (8 settembre 1200) e chioso
in una gabbia di ferro ; nella quale mori
il 18 febbraio 1202. Cfr. MunU., Script,
YIII, 1104 e seg.t XI, 188 e seg. Ckmv,
IV, 11. Giovanni I suo figlio, per vendi-
care la morte del padre, mosse contro
Alessandria ; ma gli Alessandrini, onitisi
con Matteo Tisoonti, invasero 11 Monfer-
rato, e s'impadronirono di Trino, Pon-
teatura, Moncalvo e di parecchie altre
terre ; cfr. Mwrat., SoHpt. XI, 180 e seg.,
onde il marchesato pianse lungo tompo
quelle lotto che recarono al paese tanti
danni.
138. s'ATTiBBA: siede in terra.
184. UT BUSO ; verso il dolo per devo-
sione {B§nw,) o forse guardando su per
la vallette dove sono gli altri principi.
138. MONFittBATO : Mont Ferratu$, re-
gione che dalla riva destra del Po si
estende fino agli Appennini liguri e fk
ora parto del Piemonte. - Canavibb :
parte dell'antioa contea del Monferrato.
Il Monferrato ed il Canavese costitui-
vano il marchesato di Guglielmo YII.
Cfr. Loria, Italia nella D. 0. \\ 54 e seg.
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420 [ANTIP. VALLETTI] PUBO. VIU. 1-10
[PBBGHIBB
CANTO OTTAVO
ANTIPUBaATOEIO : LA. VALLETTA AMENA
PBIXGIPI INTENTI A GLOBIA TEBBENA
PBEGHIEBA DELLA SERA, DUE ANGELI GUABDIAKI
NINO VISCONTI, IL SERPENTE, OORBADO MALA8PINA
LO
Era già Torà che. volge il disio
Ai naviganti e intenerìsce il core
Lo di o'han detto a* dolci amici addio;
E che lo novo peregrin d' amore
Pange, se ode squilla di lontano,
Che paia il giorno pianger che si more;
Qaand' io cominciai a render vano
L'udire, ed a mirare una dell'alme
Surta, ohe l'ascoltar chiedea con mano.
Ella giunse e levò ambo le palme,
V. 1>18. La preghiera deUa tera,
k>iio droA le mì pomeridiane. Un'anima
li alca, giunge le palme, le lev» Terso il
)ielo ed intnona l' inno che si oanta dalla
[/hiesa nell'altima parte dell' nfflzio di-
rino, che dicesi compieta ; e tutte le altre
mime rispondono. L'inno è questo:
Te ladt ante termiDam,
Remm Creator, pceeimot,
Ut toa prò elementia
8ls prtMoi et «nutodla.
Proeal reoedant eomnla
Bt Boetiam phaatatmata:
Hottemqae Doctram comprime,
Ne polloantar oorpora.
Pretta, Pater pliuime,
Patxlqoe eompar Unioe.
Cum Spirita Paradlta
Regoaat per omne nBoolom.
1 . l'oba : della sera, la quale ora volge
1 desio dei naTiganU alla patria ed inte-
lerisce il loro onore il giorno stesso della
oro partensa dai dolei amici e c<mgiuiitl,
e la quale ora dA al peregrino nore
punture di amore, se ode da lungi
suono dell'avemaria (o del completa),
svegliando in lui l'amoroso emeÀanoonJ
desiderio dell'abbandonata casa paten
8. LO dì: in quel giorno.
7. ▲ BRirDEBt a non udir più voce
cuna, tutto intento a mirare nnadi que
anime. Bordello aveva cessato di parlai
le anime aveano finito il canto.
9. BUBTA: levata su in piedi; tutti
quella valletta sedevano, ofr. Pwrg. ▼]
83. - l'abooltab: di essere ascoltata
OOM MANO : accennando colla mano; « Il
Bu silentium indicens »; Atti Xm, 18
« Voce manuque Murmnra compressit
Otid., ifst. I, a06 e s^. - Signlfloatq
manu et magno simul incipit ore » ; Yit,
Asn. XII, 692.
10. oiUNBB : congiunse e levò al cielo
mani per pregare; ofr. Qenui XTV, S
lesod. XVn. 11. i3Mrt. XXXII, 40. Pm
LXn, 6. Virg,, Atn, X, 8U e seg.
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[IHTIP. YÀLLITTÀ]
Puro. Yin. 11-28 [i dub àhobli] 421
13
16
19
25
Ficcando gli occhi verso l'oriente,
Come dicesse a Dio : « D* altro non calme. »
« Te ìucis ante > si devotamente
Le nsd di bocca, e con si dolci note,
Ohe fece me a me uscir di mente.
E l'altre poi dolcemente e devote
Segaitàr lei per tutto l'inno intero,
Avendo gli occhi alle superne rote.
Aguzza qui, lettor, ben gli occhi al vero ;
Ohe il velo è ora ben tanto sottile,
Oerto, che '1 trapassar dentro è leggiero.
Io vidi quello esercito gentile
Tacito poscia riguardare in sue.
Quasi aspettando, pallido ed umile :
E vidi uscir dell'alto e scender giùe
Due angeli con due spade affocate.
Tronche e private delle punte sue.
Verdi, come foglietto pur mo nate.
11. L*OKisiiTB : aeoondo il oottnme de-
gli «ntidii orisUani ì quali, pregando, si
TolgevHBO a rigaardare Terso oriente;
efr. Ol0m. Ale»,, 8trom. 7. LaeUmt. U, 10.
13. HOV CALMI: non mi oale, non mi
earo d'altro ohe di inrooare te.
15. CBS FSCB: che mi rapì tatto a sé,
di modo ohe dimenticai ogni altra cosa.
18. B l'altbk: le altre anime aooom-
pagnarono il canto di tatto qaeir inno,
tenendo gh ocelli fissi alle sfere celesti.
V. 11^-42. X due angeli guardiani,
Haito U canto, tntte quelle anime gnar*
daao in alto; e dall'alto scendono dne
angeli oon dne spade di faooo, e si met-
tono al dne capi della valletta per cao-
dame tìa U serpente.
19. AOUZ21. : guarda qal con attenzione
al Tsro ai^niflcato della visione che sto
per narrarti ; poiché il Télo che ne copre
l'allegori», è così sottile e trasparente,
che è fSMsUe il penetrarlo e comprendere
il senso più proftmdo deirallegoria. Così
tatti gH antichi sensa eccesione ed il pih
dei moderni. Primo a scostarsi da questa
iaterpretasione fti il VeU, che spiega: «H
senso letterale è ora tanto difficile a po-
terlo aUegorieamente interpretare, che
trapassarlo sensa trame esso vero sen-
tfaneato» è legger cosa. • Così pareoohi
■Bodemi. Ha trapanar dentro non è tra-
pattar olire, e l'allegoria non è qui dif-
ficile ma assai fkoile, il serpente flga-
rando evidentemente il tentatore ed 1
dae angeli la castodia celeste.
28. IN BUS: in su verso il oieloi ofr.
P«aJ.CXX. l;CXXn. 1.
24. ABPITTAKDO: Al. AMMIKAXVO. -
PALLIDO: per timore del serpente. Al.
PAVIDO. - uvÌLE : perchè con umile cuore
. dimandava l'aiuto di Dio.
25. dell'alto : dal grembo di Maria,
V. 87, dunque dal cielo empireo.
20. DUE: come Cristo i suoi discepoli
(cfr. Mare, VI, 7), così Dio manda i suoi
angeli a due a due, cfr. Lue, XXIV, 4.
Giov, XX, 12. AtH I 10, eco. I due an-
geli figurano il presidio ohe Dio concede
a chi ne Io prega; cfr. Ptal, XXXm, 8 ;
XC, 11. Thotn, Aq., Bum. thsol 1, 118, 1,
e seg. Forse sono i cherubini dalle spade
fiammeggianti, posti da Dio a guardia del
giardino di Eden, Oenet, UI, 24. Cfr.
Oom. Lipt. II, 114 e seg.
27. TBONCBB: figura della giustizia e
misericordia di Dio {Lan,, An. Fior.,
Falto Boce.,Benv.,Buti,Land; VeU.,eco.};
o perohò l'assistenea degli angeli è a di-
fesa, non ad offesa {OU., Oat., ecc.) o per-
chè la tentazione si può bensì ftagare,
ma non uccidere (Dan,, Tom,, Bl,, ecc.).
28. VBBDi:. vestiti di vesti di colore
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22 [INTIP. yiLLITTl] PUBG. YIII. 29-48
[I DUB ÀNOS
Erano in veste, che da verdi penne
Peroosse traean dietro e ventilate.
L'un poco sovra noi a star si venne,
£ l'altro scese in Popposita sponda,
SI che la gente in mezzo si contenne.
Ben discemeva in lor la testa bionda;
Ma nelle facce F occhio si smarria,
Come virtù eh' a troppo si confonda.
€ Ambo vegnon del grembo di Maria »
Disse Bordello, € a guardia della valle.
Per lo serpente che verrà via via. »
Ond'io, che non sapeva per qual calle.
Mi volsi intomo, e stretto m' accostai.
Tutto gelato, alle fidate spalle.
orde ohlaro, come fogliette reoento-
lente spaniate daUa ^rra o àMgU al'
»ri. Verde è il colore della speransa,
k qnale non è che del riventi e delle
alme del Pargatorio; cfr. Thom. Aq,,
um. theol. II, II, 18, 8. Donqae gli an-
)U non discendono soltanto a difendere
I anime dagli assalti del tentatore, ma
Biandlo a recar loro il conforto della
pranza.
29. XRANO ni VBSTI: Al. SBAH LOB
B8TB ; Al. BBANO Df VISTA. Si traevano
[etro le vesti per l'aria, battendole ed
Sitandole col moto delle ali. « Per l'ale
•ro vaol dare a intendere la velocità
alla grasia di Dio, la qnale corre a' fé-
Bli et a* divoti afTetti »; An, Fior.
82. IN L'OPPOSITA: Al. NELL'OPPOSTA.
33. siooNTENNK: fa contenotain mes-
) tra i dne angeli.
84. BBN : io poteva bontà diacemere i
londi capegli degli angeli, ma rocchio
lio era abbagliato dal soverchio splen-
ore de'loro visi. Cfir. Apoeal. 1, 16 ; X, 1.
86. A TBOPPO : « ogni nostra virth sen-
tiva richiede l'obbietto contemperato
so, altramente viene meno, come veg-
lamo de la virtù visiva che non soffe-
soe di vedere la rota del sole »; BuH.
87. DEL GBBMBO : dall' empireo, dove
[aria ha il suo trono; Par. XXXI, 118
seg. « Fignrando Dante la magion de'
Mti in Paradiso a modo di candida rota
"^ar. XXXI, 1), le foglie deUa qnale sic-
D le sedie de' beati, in gnisa disposte,
ae dal messo verso la ciroonferensa
alla rosa vadano d' ordine in ordine
rialsandosi, qwiti di vaXle andane
monU (ivi, ▼. 121), e facendovi in i
delle più alte sedie, posta alla drooi
renca, assisa Maria Vergine, e fest
giata dagli angeli : perchè non inten
remo che come grembo appella il Po
lacavitàdovesiedonoqnest'anime (P%
VII, 68), così grembo di Maria appell
cavità stessa della celeste rosa, a cai 1
ria presiede, e per cai qnasi in gren
tiensi tutte le anime de' beati f » (t) Loi
39. VIA VIA: a momenti.
40. PBB QUAL CALLB: dOVeSSC VOI]
il serpente.
41 . VOLSI : per goaidare se mai lo
dessi venire.
42. OBLATO: agghiacciato di pann
SPALLE : di Virgilio.
V. 43-84. Nino ViManiU Discesi
nella valle florit«, Dante vi riconosce
no, cioè Ugolino, Visconti, 11 quale si i
raviglia adendo che Dante è ancor vi
e lo prega di raccomandarlo a Giovai
sna figlia, lagnandosi della sua vedo
già passata a seconde nozze. Questi, il|
di Giovanni Visconti e di ana figlia
conte Ugolino della Gherardesca, ta $
dice di Gallura in Sardegna e podestà
Pisa insieme col conte Ugolino suo a
ohe lo fece scacciare da Pisa nel IS
Bbbe qaindi lunghe guerre con Gu
da Montefeltro, che nel 1292 lo discac
dal castello di Pontedera*. ritornò a I
nel 1293 in seguito alla pace di Fu<
Ohio, eppoi se ne andò in Sardegn
punire frate Gomita, suo vicario nel |
dicato di Gallura. Min\ nel 1290. C
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[ABTIP. TALLITTA]
PUBO. Tni. 43-60 [HIKO YlSCOHTl] 483
53
S8
£ Sordello anco: € Ora awallìamo ornai
Tra le grandi ombre, e parleremo ad esse:
Chioso fia lor vedervi assai. »
Solo tre passi credo eh' io scendesse,
£ fbi di sotto ; e vidi un che mirava
Por me, come conoscer mi volesse.
Tempo era già che l'aer s'annerava,
Ma non d, che tra gli occhi suoi e i miei
Non dichiarisse ciò che pria serrava.
Vèr me si fece, ed io vèr Ini mi fei :
Giudice Nin gentil, quanto mi piacque.
Quando ti vidi non esser tra i rei!
Nullo bel salutar tra noi si tacque;
Poi dimandò: « Quant' è che tu venisti
A piò del monte per le lontane acque? »
« Oh I > diss' io lui : « Per entro i lochi tristi
Venni stamane, e sono in prima vita.
Ancor che l' altra, si andando, acquisti. »
MMrai., ScHpL XXTV, 649 e seg. G.
VUL Vn, 131 e mg. Sorgi», Diplomi
fi9mni, p. 379. ^ona, D. e i Pitoni,
p. 123 • Mf^. OiuHni, L'uUimo dei Qiu-
éM di ecUwra tuUa Diw. Oomm. Mi-
laao, 1894. Fa probabflmento oompttfmo
d*MiDe di DsQte «iraaaedio di Capron»,
cflr. Inf' XXI. 95. I eomm. «ot. lo di-
eoao fceotUe d^aaimo e di costami, forto
od airdito.
4S. AHGO: Al. SOBOKLtX) ALLORA: OB
▼ALicmAMO. Riprendendo U parola Sor-
doUo diaoe: «Seeadiamo oramai giù nella
ralle.»
45. GRAXiOflO : sarà loro molto grato di
Tederri. Perchè! Sordello non sa aneora
ohe Dante è livo, né obi «gli sia. Danqae
si dorrà Intendere per il piacere di re-
éere e «dire sì gran poeta come Virgilio.
46. TKB PASSI; la ranetta era donqne
poco proftmda, cfr. Purg. VII, 72. Il relo
allegorico non è qoi iottUé, Vool forse U
Poeta, come credono molU, aUndere alla
(Muta con cke 1* nomo si allontana dal
sao soopof Ma, scendendo nella ralle,
Dante non si era allontanato dal sno
aeopo. VéO.: « Dalle tre virtù teologidie
die si osano nella rita contemplativa in
che Dante si eserdtars, alle rtrtù morali
che si osano nella rita attira.... bisogna
scender per esse tre rirtù. » Ha se gU
abitatori della ralle fiorita fossero stati
prìri delle tre rirtù teologiche, sareb*
boro altrove; oft*. Pwg. VII, 84 e seg. -
BCKNDBSSR: scendessi.
49. s'AififKRArA : si fkceva baio. Al. SB-
KKHAVA (!).
61. D1CHIARI88E: Al. DICH1ARA88S. Fa-
ceva notte, ma non era ancora tanto baio
da non redere dò che, per la lontananza,
prima non si vedeva.
52. 81 FKCB: colai che mirava par me
per rioonoscermi, v. 47-48.
54. RBI : dannati. « Hoc dicit qaia Ni-
nas oimis ftaerat occapatos circa potesta-
tem temporaliam, et bellaverat oontra
patriam »; Benv.
55. XULLO: non vi mancò veron oor-
diale salato; oppure : Non si tacque fra
noi ninna bella parola di salatasione
scambievole.
56. quakt'è: qaanto tempo è che tn ve-
nisti al Pnrgatorio, traversando il lango
tratto di mare dalla foce del Tevere sin
qnif Nino crede di parlare con an'ombra.
58. diss' io : Al. DISSI. - TRISTI : l' In-
ferno. La via per cai son venato qal non
è Tordinaria delle anime; ci sono venato
attraversando le regioni infernali.
59. STAMANE : oft>. Pwrg. 1, 19. -pbuia
VITA: in corpo ed anima.
60. l' ALTEA : la vita etema. - sì ah-
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424 [ANTIF. yiLLBTTÀ] PUBG. Yin. 61-78
[NINO YIBOO
61
64
67
70
73
E come fh la mìa risposta udita,
Bordello ed egli indietro si raccolse^
Come gente di subito smarrita.
L' uno a Virgilio, e V altro ad nn si volse
Che sedea 11, gridando: « Su, Currado!
Vieni a veder che Dio per grazia volse. »
Poi vòlto a me: « Per quel singular grado.
Che tu dèi a Colui che si nasconde
Lo suo primo perchè, ohe non gli è guado ;
Qaando sarai di là dalle larghe onde.
Di' a Giovanna mia, che per me chiami
Là, dove agl'innocenti si risponde.
Non credo che la sua madre più m'ami.
DAHDO: fìMsendo qaeeto vlag£;io straor-
dinario.
62. 81 BAOOOLBB: 8i ritirarono ambe-
dae nn pò* indietro, colpiti di stupore.
Sordello non si è carato ohe di Virgilio,
onde non si è ancor accorto ohe Dante
è vivo.
64. L*UNO: Sordello. - l'altro: Nino.
- AD UN ! a Corrado, cfr . ▼. 109 e seg. Mol-
tissimi codd., Ott., YeU. eoo. hanno : l'al-
tro A MB 81 V0U9E, lesione mostrata falsa
dal Terso seguente ; ofr . Moore, Orit., 384.
66. VOLSE: volle; dò ohe Dio, per saa
spedale grazia, ha volato Are, conce-
dendo ad an vivo di percorrere i regni
della morta gente. Di volse per volle cfir.
Nannue., Verbi, 770.
67. QRADO : gratitadine di cai vai debi-
tore a Dio; cfr. Par. Xxm, 58.
69. PRIMO PERCHÈ : le prime oagioni del
sao operare. - non oli è : in modo ohe
r intelletto amano non arriva ad inve-
stigarlo. « Non ò modo di guadare a lai,
fino a quella ragione potentissima ch'egli
nasconde »; Betti.
70. DI LÀ : nel mondo del viver eh' è
un correre alla morte, di là dal gran
mare che drconda la montagna del Pur-
gatorio.
71. GiovAjfN A : figlia unica di Nino.
Era nel 1300 una fiuidulla di drca nove
anni. Bonifazio Vili la raccomandò con
una sua bolla del 26 settembre 1296 ai
Volterrani, qual figlia di un guelfo grande
e benemerito amico della Chiesa. Dicono
andasse, ancor giovinetta, sposa a Biz-
sardo da Camino, che fu assassinato nel
1312, ett. Par, IX, 60 e seg. Mori po-
vera e senza prole verso il 1835. Cfr. Mu-
rat., Svrifi, XH, 998, 1019. MartUmi
gan%ene eoo. di Arborea, p. 81. ^
Dante e i Pieani, 127 e seg. Mai
ToieUi, Tom e paesi, 108 e aeg.
Lips. n, 120. - CHL4MI: preghi.
72. LÀ : i più intendono del dolo,
si asooltano le preghiere degl'innc
{Benv., VeU., Dan., Vent., L<Mnb., 1
Tom., ecc.); altri della Chiesa e deg]
torii cristiani {Buli, Land., eoo.);
del mondo, dove Dio esaadisce le
ghiere dei buoni (Port., Oes., ecc.).
dire: Dille che mandi le sue preg
su nel delo; ed il passo Purg. IV,
seg. esclude ogni dubbio in proposi
73. MADRE : Beatrice, figlia di Obli
da Este (cfr. Ir\f. XII, 111), vede
Nino (cfr. Sacchetti, Ifov. 15). rimai
nel giugno del 1300 a Galeazzo Visc
cfr. Murat., Script, XV, 348. Era
promessa ad un figlio di Alberto S
signore di Piacenza; ma Matteo VÌ8<
padre di Galeazzo, il quale voleva ad
costo imparentarsi colla casa d*Esti
verchiò il signore di Piacenza. On
Scotti, per vendicarsi, fece si oh
1302 Galeazzo fu cacciato da Milane
venne in basso stato, tanto ch'egli fl
gran tempo a provisione di Castr
Castracani quando era signore di I
et di Pisa, et quivi mori assai pò
mente »; An, Fior.; cfr. O. ViU, 2
Avendo Azzo, figlio di (Galeazzo
Beatrice, riavuta la signoria di Mi
Beatrice, dal 1328 per la seconda
vedova, ritornò in buono stato, e
sino al 1334. Tom,-. « fl chiamarla
moglie mia ma sua madre è rimprc
pieno di pietà. »
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[AITIP. TILLSTTA]
PUBO. TIII. 74-89 [SOTTÀBDO IL OIBLO] 425
79
n
85
Poscia che trasmatò le bianche bende,
Le qnai convien che misera ancor brami.
Per lei assai di lieve si comprende,
Quanto in femmina foco d'amor dura,
Se l'occhio o il tatto spesso non Faccende.
Non le £arà si bella sepoltura
La vipera che i Milanesi accampa,
Gom'avrla fatto il gallo di Ghdlora. »
Cosi dicea, segnato della stampa,
Nel suo aspetto, di quel dritto zelo.
Che misuratamente in core avvampa.
Gli occhi miei ghiotti andavan pure al cielo.
Pur là dove le stelle son più tarde.
Si come rota più presso allo stelo.
E il duca mio : « Figliuol, che lassù guardo ? »
Ed io a lui: « A quelle tre facelle,
74. TBABMUTÒ: pMstndo ft aeoonde
none. C*è gid un ADaoroniamo, le nosse
di Bastrioe con Galaano non essendoti
esiBVrmte olie nel giogno del 1800. 0
«ano già ufficialmente eonoloae prima
ddla i»aaqa* di qneat* anno, oppnre Dan-
te, aerirendo a«ai più tardi, ai acordò
éà tempo in coi ftirono celebrate; aep*
pare tali none non risalgono al 1290
(efr. BttU. Ut 6, 144 e seg.). - biascbs
BBXDi: le Tedore TCstiTano abito nero
e dngerano il capo di bende bianche.
Boee., Lab. d' am.: « Goarda come a co-
tal donnn stanno bene le bende bian-
ofae e i panni nerL »I1 nero, come vero
ooioie di lotto, si cominciò ad adottare in
ItaUanel seo. XVI, ai tempi di Carlo V.
75. MisxiLk : qnando Dante scriveva II
Furgatorio, QtieuMO, secondo marito di
BeaMee, er» povero, in basso stato e soo-
mmiicato; ofr. Q, Vitt. X. 86.
79. HOH LB rARJL: l'arme della vipera
a'inssgn» dei Visconti di Milano) posta
sana sepdltara di Beatrice, mostrandola
timarltat*, non le farà quell'onore ohe
le avrebbe «atto il GaUo di Gallura a'in-
ssgna del Visconti di Pisa), cantando la
isdeUà di lei al primo marito, e la sna
vedovile modestia. Cotà Senv., Lomb.,
Port., Fogg., OotL, Biag,, Tom., ecc. Se-
pia altre poco attendibiU interpretadoni
efr. Oam. Lips. H, 121 e seg.
80. viFSBA: l'arme dei Visconti di Mi-
lano em ona vipera, o biscione, che di-
vora un fimciollo. Sai sepolcri nsavasi
scolpire l'arme della rispettiva famiglia.
- ▲OQàMPA! condace in campo, a bat-
taglia. Oppare, leggendo il Milàmbbi:
Porta nel campo dell'arme sna gentilizia.
82. BBONATO: impresso nel volto del-
l'impronta di santo e discreto celo.
84. MisuRATAioam : con temperanaa ;
evitando qualsiasi eccesso. « Irasdmini
et nolite peccare »; Ptal. IV, 6.- «Irasd-
mini et nolite peccare: sol non ooddat
saper iracnndiam vestram »; Hfe*. IV, 26.
V. 86-93. Sgtiordo al eMo, Non cn-
randosi per intanto di altre cose, Dante
goarda attentamente al cielo, contem-
plando tre stelle di splendore ins<^to,
mentre le quattro, vednte la mattina,
non si vedono più.
85. OHiOTTit bramosi di vedere cose
nuove.
86. Li: verso il polo antartico, dove il
moto delle stelle è più tardo, dovendo de-
scrivere nello stesso tempo di 24 ore un
cerchio assai minore ohe non le stelle pih
prossime all' equatore.
87. BTBLO : proprlam. gambo di fiori, o
d'erba; qui flgnratam. per asse, perno.
89.TBI VAOBLLE : virtù teologali, Fede,
Speranxa e Carità. « Coli' allegoria delle
tre virtù teologali il Poeta ha volato an-
che indicarci ohe dalla parte del meri-
diano, d'onde era stato colpito dalla chia-
ressa delle quattro stelle della mattina di
quel dì, nell' ora vespertina presente se
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426 [AHTIP. VALLETTA] PUBO. YIII. 90-100
[8BBPB1I
91
94
97
100
Di che il polo di qua tutto quanto arde. »
Ed egli a me : « Le quattro chiare stelle
Che vedevi staman, son di là basse;
E queste son salite ov'eran quelle. »
Com' ei parlava, e Bordello a so il trasse,
Dicendo : « Vedi là il nostro avversaro I »
E drizzò il dito, perchè in là guardasse.
Da quella parte, onde non ha riparo
La picciola vallea, era una biscia.
Forse qual diede ad Eva il cibo amaro.
Tra r erba e i fior venia la mala striscia.
ne vedeTMio tre di minor laddessa (f) e
più distanti tra loro (f ) che non foesero le
prime, attesoché il polo tutto quanto ne
ardeva : e qneete indicazioni oi mostrano
che erano ^ ed a della Nave con a dell* Bri-
dano, note al Poeta per l'Almagesto»;
AfUonelU, Secondo i più qneete tre stelle
sono puramente allegoriche. Così tutti
gli antichi, i quali a quanto sembra non
seppero attingere all'Almagesto la oo-
gnlsione delle tre stelle.
90. DI CHR: per le quali 11 polo antar-
tico tutto risplende.
92. DI LÀ: dall'altra parte del meri-
diano, cioè dalla parte del levante, tra il
meridiano e l'orizEonte. « Significando le
quattro iteìle del C. I le quattro cardi-
nali virtù, fecole il Poeta apparire sul
principio del giorno ; ed ora al principiar
della notte fa in luogo loro vedersi queste
altre tre, significanti le tre virtù teolo-
gali, a dinotare che appartengono quelle
alla vita attiva, a cui meglio si confà il
dì; e queste alla vita contemplativa, a
cui meglio la notte si conviene. » Lomb.
V. 94-108. JI serpente. Mentre Virgi-
lio parla a Dante intomo alle stelle, Bor-
dello richiama la sua attenzione, additan-
dogli il serpente che viene ed ò poi ftigato
dagli angeli. Il serpente è tolto dalla
Bibbia, dove il diavolo è chiamato «il ser-
pente antico » Apocal. Xn, 9, e figura
qui il tentatore, o la tentazione. Secondo
la dottrina della Chiesaje anime del Pur-
gatorio non soggiacciono a veruna tenta-
zione, ed anche Dante insegna lo stesso ,
cfr. Purg. XI, 22 e seg.; XXVI, 132. Ma
qui non siamo ancora nel vero Purgato-
rio, n Cte».; « Io credo aver voluto Dante
a questi negligenti deU'antiporUdel Pur-
gatorio assegnar eziandio questa pena
(oltre al dover aspettare di ftiori la
purgazione) di temere e tribolarsi p
venuta del serpente ogni sera; ed
sera volgersi a Dio con quelle lor
ghiere, invocando il soccorso degl
geli contro 1* assalto lor minacciato.
del Umere e tribolarti senza più; pe
non voglio credere che Dante gli fiM
infktti soggetti a quelle carnalità,
quali siamo noi ; essendo troppo sic
che le anime uscite da questo stai
vita, come di merito cori né di tentai
non sono capaci ; ma per lor pena l:
il timore. E forse volle Dante simb
giare un'altra ordinazione della p
denza di Dio : cioò che coloro, i <
nella vita presente indugiano la pen
za, per divino giudizio e per maloel
degli abiti loro addosso lasciati ii
chiare, sono più duramente tempe
dalle diaboliche suggestioni ; il pero
più guardia e di più orazioni fa loro
gno, ad impetrare il socoorso celeste
94. COM' SI: Virgilio. Al. COM'IC
zione di molti codd., Benv, VeU., 1
ecc., ma evidentemente falsa. Ctt, .
re, OrU., 884-6.
95. AVYERSABO : awersarlo, il sei
te. « Adversarius veeter diabolns i
Petr. V, 8.
96. OUABDAflSS: Al. 0UATA88B.
97. NON HA: è aperta. La tentai
ci assale sempre dal lato più debo
99. guAL! nello stesso modo; neUi
desima forma; cfr. Cfeneti III, 1 e s
CIBO : il frutto vietato, il cui godim
contro il precetto di Dio fu la sorj
primitiva di tutte quante le amai
del mondo.
100. TRA l'bbba : l'erba ed i fiori
rano i piaceri e diletti del mondo, tra'<
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[ABTIF. T4LLITT1]
PUBG. Vili. 101-112
[BBBPIKTX] 427
108
108
100
118
Volgendo ad or ad or la testa al dosso,
Leccando come bestia che si liscia.
Io non vidi, e però dicer non posso.
Come mosser gli astor celestiali;
Ma vidi bene e l'uno e l'altro mosso.
Sentendo fender l'aere alle verdi ali,
Fngi^ '1 serpente, e gli angeli dier vòlta.
Suso alle poste rivolando eguali.
L' ombra che s' era al Oiadice raccolta,
Quando chiamò, per tutto quell'assalto
Punto non fu da me guardare sciolta.
« Se la lucerna che ti mena in alto.
la tentadona mole ftTrlofautnl all'aomo.
- 0TBIBC1A : serpente.
lOL. AD OB: sovente; efr. Jf|^. XV, 84.
'AL DOSSO: Al. B IL DOfleO.
102. ooMB BUTIA: ripiegandoe! col ca-
po mi doeeo. Il ieocanl e liedani della
serpe figura l' aatosia del tentatore e la
deleecsa defle sne Inslnf he.
103. HOB VIDI : Al. KOL VIDI B PKSÒ
mcEB BOL Foeso. Tutto attento alla bi-
seis, D»nte non vide nò pad raccontare
eome gH angeli si mossero, non avendoli
vedotl che quando erano già mossi e già
volavano.
104. AfrroB: 1 dne angeli, rapidi nel
Telo e nemici della serpe come gli astori.
105. I^'UBO B l'altro: i dae angeli.
« n nostro intelletto non pad compren-
dere lo inisio della grazia di Dio quando
sopra noi viene, ma solo ce ne aweggia-
no qiumd' è venuta »; Lem.
106. ALLB: dalle. - VBBDI : cfr. V. 20. Al
solo uéifp n volo degli angeli, la serpe
Alati-
lo?. DIBB VÒLTA : ritornarono indietro,
volando in sa con ngnal volo oome erano
108. AU.B PO0TB: ai posti loro asse-
gnati in alto. Che risolassero sn in cielo,
il Poeta non dice; sembra ansi ohe ab-
Usuo r affido di custodire la valle du-
raste r intiera notte.
V. 10i>-130. Camtdo MàUupina.
Qoell* altra ombra, alla quale Nino Vi-
seentiavevadirettala parola, v. 04 e seg.,
prega D«ite di dirgli novelle della Loni-
giaoa, dove fu già potente signore. Le
anime del Purgatorio non sono, come i
dannati, ignare del presbite } ma sembra
ehe qoeile della valle fiorita si trovino In
questo proposito in una eondisione ecoe-
lionale, forse in pena di non aver badato
in vita che alle presenti cose. Questi che
th la domanda, è il marchese Corrado Ha-
laspina il giovine, figlio di Federigo I
marchese di Villafranca, morto verso il
1204, da non confondersi coli' antico, cioè
con Corrado I, marchese di Mulauo, co-
gnato di ManJfredi, di cui aveva in mo-
glie la sorella Costansa, capostipite del
Malaspina dello spino secco ed avo di q uel
Corrado che Dante trova qui nella valle
fiorita. Corrado rancico mori versoli 1260.
Cfr. Maccioni, Ood. diplom. della JPom.
Malatpina, Pisa, 1750. ed i lavori dt.
Oom, lApt. Il, 126 e seg. Dante era in
Lunlgiana nel 1306, dove il 6 ottobre i
marchesi Francesobino, ICorodlo e Cor-
radino Malaspina lo nominarono loro
procuratore per concludere, come egli
difatti coDchlnse, la pace con Antonio
vescovo di LudI; confir. Vernon, Ii\f,
voi. II, pogg. 40 62. Proleg., 01, Dante-
Mandb., 183 e seg. Da questi versi ri-
sulta che Dante ebbe motivo di lodard
dd Malaspina. Sventuratamente non
sappiamo nò chi fossero i Malaspina che
lo ospitarono, nò quanto tempo Dante
si fermasse in Lunlgiana. Cfr. Boccaccio,
Dteamtrone II, 6. Vita di D., e. 14. Oom,
ed. MilancH II, 120 e seg.
100. BACCOLTA: avvicinata.
111. NON FU: non mi levò mai gli oc-
chi d'addosso per tutto il tempo ohe durò
r assalto degli angeli contro il serpente.
Lo guarda fiso, sperando di riconoscerlo.
112. SE: cod la grazia illuminante, che
ti mena verso il cielo, possa trovare tan-
ta cooperaeione del tuo libero arbitrio,
quanta bisogna per arrivare al Paradiso
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128 [ÀNTIP. YALLBTTÀ] PURO. THI. 118-181 [COBBIDO MÀLÀSP
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Trovi nel tao arbitrio tanta cera,
Qaant'è mestieri infino al sommo smalto; »
Cominciò ella, « se novella vera
Di Valdimaora o di parte vicina
Sai, dilla a me, che già grande là era.
Chiamato fai Currado Malaspina:
Non son l'antico, ma di lai discesi:
A' miei portai T amor che qui ra£Sna. >
€ Oh! » diss'io lai: « Per li vostri paesi
Giammai non fui ; ma dove si dimora
Per tutta Europa, ch'ei non sien palesi?
La fama che la vostra casa onora.
Grida i signori e grida la contrada,
SI che ne sa chi non vi fu ancora.
Ed io vi giuro, s'io di sopra vada.
Che vostra gente curata non si sfregia
Del pregio della borsa e della spada.
Uso e natura si la privilegia
Che, perchè il capo reo lo mondo torca.
srrestre. Di là in sa la oooperasione
ella propria volontà è spontanea e na-
arale.
113. CERA : alimento. « In omnibns ha-
entibns gratiam necesse est esse recti-
idinem volnntatis »; Tham. Aq., Swm,
leol. U, n, 8, i.
114. Ah SOMMO : « nsqae ad snnunani
lonmen mentis, qnem poeta Tocat smal-
im per pnlcram metaphoram, quia ibi
it hortos deiiciamm planns, TÌrìdis, her-
osns, florldns »; Benv,, e con lai molti
Itrì. Lan, intende di Dio, Land, del pri-
lo cielo, r Ott. seguito da molti, del som-
io cielo, cioè dell' empireo.
116. Valdimacba : Val di Magra in La-
Igiana, nel coi oentro sorge 11 castello di
illafranoa, residensa del padre di Gor-
ido.
120. BAFTiHA : si raflBna, si porga; cfr.
Urg, XXVI, 148. « Portai tanto amore
miei, che io ne lasciai la cara dell'ani-
a ed indngiai l'opere meritorie della
Jnte per gaerreggiare ed acquistare
nl<d; il qaale amore qxd si ammenda e
srga»; Ott,
123. n : qne' della vostra «ata. -palesi:
Dtl, celebri per fama.
124. CHK: caso retto. Nel 1300 i Mala-
spina, erano notissimi e godevano bi
fama in Italia, in Francia ed in i
paesi d'Europa.
126. GRIDA: celebra, pubblica ad
voce i signori ed il paese, doè la L
giana.
127. s' IO : così io possa andare in/b
iommo tmaUo, v. 114. Cfr. Fwrg, Y'.
e seg., il quale passo dice chiaram<
ohe per di $opra intende il Paradiso
restre.
128. VOSTRA : ohe quelli di cau voc
onorati, non hanno cessato di fregi
deU'antica lode di liberalità e di prò
sa, le due somme virth cavalleresche
129. BORSA : Uberalità. « Altri avTf
sfkiggito il vocabolo oome prosaico,
virtù contraria all'avariala è sen
onorata da Dante, non per sua e
digia, ma perchè dall' avariala e' d<
cova tutte le mlMrie del mondo. » 1
~ « Radix enim omnium malomm
oupiditas •; I, Tim. VI, 10.
180. uso : l'educazione, -hatura : !
clinazione naturale. Cfr. Swral., Od,
IV, 33 e seg.
181. PKSCHft: per quanto il reo e
fkcda deviare il mondo. Cosi i più {I*
An. Fior,, Bfftv,, VeU,, Biag,, ecc.).
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[iinP. YÀLLBTTA] PxmO. YIII. 182-189 [OOBBÀDO X1L18P.] 429
133
136
139
Sola va dritta, e il mal cammin dispregia. >
Ed egli: « Or va', che il sol non si ricorca
Sette volte nel letto ohe il Montone
Con tutti e quattro i pie copre ed inforca,
Che cotesta cortese opinione
Ti fia chiavata in mezzo della testa
Con maggior chiovi che d'altmi sermone,
Se corso di giadicip non s'arresta. >
Qua&tanqoe 0 mondo dori! 0 reoospodal
snttoro dliitto (Don., Lomb., eoo.). Al.:
Qasitoiiqiie U mondo tona il capo, e dl-
•approvl quél retto prooedere (VmU.,
OÙnmm, eoo.). - capo beo ì il demonio,
dieoBo ga imi (Ixuui,, B&nv,, eoo. Cfir.
6(09. Xn, 81; XIV, 80; XVI, ll,eoc.);
altii U dominio del mondo (BveO I altrIU
pipe e riraperetore Un. Fior,); altri
BoBiftdo Vin (Biag,, eoo.) i eltii Bom»
«pe del ynalflemo {PraL, And., eoo.).
B pano Pwg. XVI, 100 e seg. sembra
ooaAnnare quest'ultima interpretaaio-
ae; efr. pwò Oom. lAp». II, 128 e seg.
133. NOH M BicoBCA: il sole non tor-
nerà ietto Tolto ad adagiarsi nel segno
^'Ariete, nel qnale è ora, oioè non pas-
seranno tetto anni. Dalla primarera 1300
aU'ottobre 1800 1 Cfr. AnUmOU in Tom, e
Oom. Llp§. n, 139.
134. LMTO t tratto di oielo oompreso
tra i piedi del Montone, ore il sole ai ri-
oorioa ogni anno il 81 di mano.
187. CHIAVATA t inchiodata, ofr. JnA
xxxm, 40. Par, XIX, 105; xxxn,
129. Ti sarà oonlbrmato dalla propria
esperiensa, prora plh elBoaoe ohe non
sia la fama.
189. 8B 0OB8O: se il divin decreto, ohe
ti condanna ad essere in breve bandito
dalla patria e oeroar riftigio altrove, avrà
il SQO oorso, non sarà arrestato da Dio, o
rotto da Colei « che doro gindido lassh
frange », Ir\f, II, 90.
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430 [AHTIP. VILLETTA] PUBO. H. 1-8 [COHCUBIKA DI TITANO]
CANTO NONO
ANTIPUBGATOBIO : LA VALLETTA AMENA
80GK0 DI DANTE, l' AQUILA E LUCIA
ALLA POBTA DEL PURGATOEia
L'ANGELO PORTIERE
La concubina di Titan antico
Già s'imbiancava al balco d'oriente,
Fuor delle braccia del suo dolce amico ;
V. 1-12. Za eoneublna di Tltafw.
lì Poeta iooomlnoia con nna desorisioiie
eminentemente poetica ed eminentemen-
te oecara dell'ora in coi fa preso dal
sonno. È chiaro che Dante intende di
un'ora della notte già avansata, forse
le 9 di sera, forse piti tardi. I piti leg-
gono TUon6 inTooe di Titano (Titan ò
del Vat., e ooaì lessero Petr. Dant., FaUo
Bocc., An. Fior.t eoo.) e intendono chi
dell'aorora lonare, chi dell'aorora solare
al Pargatorio, e ohi dell' aorora solare al
nostro emisfero. Cfr. la nostra disserta-
zione Cfom. Lip$. II, 148-161, che Io spa-
zio non ci permette di riprodorre in
questo laogo, ed alla quale pertanto ri-
mandiamo per tntto dò che concerne la
letteratora e l'interpretasione di questi
Tersi. Gli argomenti in contrarlo non
avendoci persuaso, ripetiamo la già data
in terpretasione, osservando però che essa
è le mille miglia lontana dal pretenderla
ad infiUlibOità. 11 passo è oscurissimo ; ò
nn enigma ohe, come tanti altri nel
Poema $aero, aspetta per avventura
ancora il suo Edipo. Vedi pure Patqui-
ni. La Ooruntbina di Titone nel IZdA
Pitrg. Veneria, 1889. AgnetU, Topo-
^**^ 11* • ••«. Btueaino-Oampo, iSKu-
ai. Trapani, 1894, p. 160 e seg. Oalan-
ti. Lettere, II, 5, 7, 8. 9. KoeiU, Orar,,
14 e seg.
1. ooHOUBiifA: Tetis, moglie deD'Ooea-
no, ossia l'onda marina; oi^. Virg., JBeL,
IV, 82. Luoan., Phart. 1, 414. 564e aeg.,
X, 204. Ovid., Faet. V, 8. AI.: L'Aurora
(qnale?). - TiTAir: li Solet cfr. Virjy.,
Georg. II, 481; IH, 857 e seg. Ami. I,
745; IV, 480. Ovid., Fa$t. II, 78 e aeg.;
TI, 717 e seg. Metam, XV, 80. Luean.,
Phan. VII, 1 e seg. Al.: Titone figlio
di Laomedonte, marito dell'Aurora, jft
nna moglie eoficu&inaf 0 ebbe il decre-
pito Titone una concubina accanto alla
moglie sua Aurora!
2. s' iif BIAHOAVA : era illuminata. L'on-
da marina è opaoa per sua natura; quindi
se venga investita da raggi lucidi, essa
s'imbianca per eifottodi quelli ; cfr. Tirg,,
Aen. VII, 8 e seg., 26 eseg., Pwrg, 1, 116
e seg. - BALCO : balcone. Al. balso, ohe
in Dante hasempre li senso di tmraàino,
o roecia tporgenUi cfr. Inf, XI, 116;
XXIX, 96. Pwrg, IV, 47; VH, 88; IX,
50, 68, ecc.
8. FUOB : se l'astro sorgente, per eoi
l'onda marina s'imbianca, non è il Sole,
allora Teti s'imbianca ftióii delle brao-
da di lui, le quali sono evidentonente 1
raggi che da lui stesso procedono. E vi-
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[ÀNTIP. VALLETTA]
PUEO. IX. 4-12 [CONCtJB. DI TITANO] 481
10
Di gemme la sua fronte era lucente,
Poste in figura del freddo animale, . ^
Che con la coda percote la gente ;
E la notte de' passi, con che sale.
Fatti avea due nel loco oy' eravamo,
E il terzo già chinava in ginso l'ale ;
Quand'io, che meco avea di quel d'Adamo,
Vinto dal sonno, in sa l' erba inchinai,
Là dove tutti e cinque sedevamo.
il ^.
, Tolendoindioftie il aorgere di un
■atro diTeno dal Sole, e wpmoe di illomi-
BATO e render» parreste l'onda marina
(eome nel nostro eaeo la Lana), è egre-
ftemente detto che s' imbianca Fwor d$Ué
òroceid del 9%u> dolee amieo. Titano, doè
il Sole, pnò ben dirai doÌMomieo rispetto
aOa gran mole delle acqne, che vengono
da lai e illaminate e riscaldate, e in qual-
che modo (boondate coi doldsaimi e non
meno delleati amplessi delle prodigiose
sae braccia, che sono i rilaoenti e rÌsoal>
danti snoi raggi. Dicendo poi ohe la oon-
enWnft s' imbiancava yVior delle braccia
dei tuo dolee umiBO. Il Poeta viene anche
ad inslnaare esser questo fSutto ona spe-
cie d* «ceeaione, e che generalmente e
ordinariamente e meglio s'imbiancasse
fra le braccia dell'amico medesimo; il
eiie toraa a maraviglia con Tetl ICare
e TKmu> Sole; e non potrebbe stare con
Titone, fratello di Priamo, e con ona
Aororft.
4. osMMB: stelle.
6. AMOCALB : ilserpente ; cfr. Virg., Ed.
Ili, 98 ; Vili, 71. Le stelle ohe ornavano
la fronte dell'onda marina, erano disposte
in galaa da flgorare il serpente. 1 più
Intendeno delk> Scorpione, ohe Dante
avrebbe detto freddo contraddicendo a
Virginio. €feorg. I, 84 e seg., che lo dloe
mrdemte, chiamando assai impropriamen-
te pereoeea la ferita del ponglgllone e
preaentaodo nna Agora plottosto comica
ésOa disposi ilone dì gemme salla fronte
di leggiadra donna! Altri intendono d^a
iiwinllailone del Pesci che sono dne, non
09 freddo asUmaUt e ohe non perono-
tooo l« gonte eon la coda, vivendo nel
fcado della aeqoe, ma proonrano soltanto
di Bastai al dalle branchedi chi li stringe.
7. raasi : la Botte è qni, come altrove,
peracniilleata; il eoo oorso si considera
asme 11 eorao delle atelle; eaaa m<ì afaio
alloaenit, e di U diecende giù sino all'orii-
■onte occidentale. Al tempo dell'eqai-
nosio la notte compie il suo oorso circa
In 12 ore: in sei ore essa tale ; nelle sei
seguenti diecende. Danqae i passi con
che la notte sale sono le prime sei ore
di notte, cioè dalle 0 pom. sino a messa-
notte ; e se ne aveva fstti due ed era in
procinto di compiare il terso, al Purga-
torio erano circa le 9 di sera. Cosi i plh.
Intorno ad altre interpretasioni oonfr.
Oom. Lipe. II, 100 e seg.
8. LOCO ! nell'orisEonte del Purgatorio.
9. CHINAVA : la tersa ora della notte già
volgevaal suo fine. - l'alk : finge la notte
con ali al piedi per indicare la velocità
del tempo. « Kox mlt et fuscls tellnrem
ampIecUturalis»! Virg.^Aen. Vili, 869.
10. DI QUBL : il corpo. Oli spiriti pur-
ganti non sentono verun bisogno di dor-
mire.
11. nfCBOTAi: m'Inchinai, adagiai il
capo.
12. LÀ dovi: Al. OVE Gli. - CIHQUK:
Dante. Virgilio, Sordello, Nino e Corrado.
V. 18-83. Sogno di Danio* Presso del
mattino, quando « del ver si sogna », Inf.
XXVI, 7, Dante vede in sogno un'aquila
ohe lo raplsoe e lo porta su nella sfera del
ftioco, dove tutti e due ardono. « Intende
r Auttore per quest' aquila la grasia pre-
veniente di Dio.... et figurala l' Auttore
in forma d'aquila colle penne dell'oro, pe-
rò ohe r aquila vola più alto che veruno
altro uccello, come la grada divina' è so-
pfa a ogni altra grada i et per cliel* oro
non tiene di veruno altro metallo quando
egli ò afiinato, et ò 11 più nobile metallo,
et ancora quanto più si mette nel ftioco
Infine a sua perfesione, più aflBna, dice
quest'aquila avere le penne dell'oro a dl-
moetrare ohe i doni della grasia, quanto
più s' accendono dell' amore et ddla ca-
rità divina, più affinone, et sono anoora
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[AHTIP. VALLETTA] PUBG. IX. 18-27
[SOONO DI DAH
Nell'ora che comincia i tristi lai
La rondinella presso alla mattina,
Forse a memoria de' suoi primi guai,
E ohe la mente nostra peregrina
Più dalla carne e men da' pensier presa,
Alle sae vision quasi è divina;
In sogno mi parca veder sospesa
Un'aquila nel ciel con penne d'oro,
Con l'ali aperte, ed a calare intesa;
Ed esser mi parca là dove foro n
Abbandonati i suoi da Ganimede,
Quando fu ratto al sommo consisterò.
Fra me pensava: < Forse questa fiede
Pur qui per uso, e forse d'altro loco
Disdegna di portarne suso in piede. >
Il cari, et aopn a tatti altri doni , et non
Qgono et non procedono negli nomini
r renino loro merito, m« solo per U
lontà suolata di Dio. » An. Fior. Nel
0 sogno, Dante vede dò ohe realmente
cade; l'aquila ò Laoia, simbolo della
■axia illaminante; oonfr. Irtf. II, 97
leg.
18. OBJL : pooo prima dello spuntare del
e. - LAI : Il lamentoso canto. « Bt ma-
bini Tolacrom snb calmine oantns » ;
rg., Atn. VUI, 466. Fece 11 sogao dopo
or già dormito più ore. « Tra l'addor-
»atarsi e '1 sognare oorre interrallo ; e
qaesto non fosse, e' non descriverebbe
aaoTo l*ora; quand'egli s'addormentò,
era dnnqoe ancor notte » i Tom.
16. PBua GUAI: quando di donna fta tra-
ttata in uooello. Allude alla nota ikvola
Progne e Filomela ; ofr. (hid,, MU. VI,
ì-676. Purg. XVTI, 19 e seg.
16. ■CHS: e quando la nostra mente,
1 sciolta e libera dalle Impressioni dei
isi, quasi peregrinante ftaori della oar-
e meno presa da* pensieri, ò quasi di-
ta alle sue Tisionl. « Atqui dormien-
m animi maxime dedarant divinitatem
un : multa enlm, quum remisai et libo-
innt, ftatura proepioiunt. Ex quo intel-
Itur quales ftituri sint, quum se piane
poris Tinculis relaxayerint»; Ot0., De
léct., 81. Cfr. Moore, OriL, 886.
.7 . MSH t meno occupata da' fastidiosi
isieri, de* quaU sogliono darle materia
18.
mvuiA: indoTinatrioei prevede il
ftitnro daUe sue visioni. « 81 quis nta
somniis ad prasoognosoendum ftifeura,
oundum quod somnla procedunt ex
velatione divina, vel ex causa nata
intrinseca sive extrinaeoa, quantum
test se virtus talis cause extende
non erìt iUidta divlnatio »; Tkom. À
Bum. theol. II, n, 96, 6.
19. BOSPBBA : librata sulle ali, e vol«
verso di me.
22. LÀ ! sul monte Ida nella Frigia,
non oonibndersi ool monte Ida in Gre
mensionato W. XIV, 98.
23. Oahimsdb: ravt>|iAbn^ flgUo
Troo re di Troia, il più bello dd mori
(cfr. Hom., n. XX, 282 e seg). 0 qui
andando a caccia sul monte Ida (Fii
Am. V, 262 e seg. Horat., Od. UE, :
16. Stat., Thèb. 1, 648 e seg. Val. FU
Argon. II,414eseg.)ftirapltoda un'aq
la mandata da Giove (ApoUod. II, 6,
Eorat., Od. IV, iv, 4), o da Giove ste
ohe prese forma di aquila (Ovid., M«i.
165 e seg.), e portato su in delo a flur
coppiere agli dèi (Ovid., Mtt. X, 164
seguenti).
24. RATTO: rapito. - OOHBWTOBO:
condilo degli dèi ; cfir. Tirg., Oeorg. I,
26. QUBBTA: l'aquila. - FiXDB: Hsria
«L'uoodlo ai dice ferire, perchè Ing
misce la preda oogU artUli de* piedi
Quest'aquila, pensavo lo Dante, non
glia prede se non di questo luogo » (1
ti), doè sul monte Ida, dove fl Poeta i
gnava di trovarsi.
27. ut PiXDs: ool piede, ooU'artigl
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r-^F
[UmP. VALLETTA]
PUBO. IX. 28-41
[BISYEGLIO] 488
n
31
S7
40
Poi mi parea ohe, roteata un poco,
Terrìbil come folgor discendesse,
E me rapisse suso infino al fuoco.
Ivi pareva eh' ella ed io ardesse,
£ si l'incendio imaginato cosse, -
Che convenne che il sonno si rompesse.
Non altrimenti Achille si riscosse.
Oli occhi svegliati rivolgendo in giro,
£ non sappiendo là dove si fosse.
Quando la madre da Ohiron a Schiro
Trafogò Ini dormendo in le sue bra^ccia,
Là onde poi li greci il dipartirò ;
Che mi scoss'io, si come dalla faccia
Hi fuggi il sonno, e diventai ismorto,
eooe p&rtmr» in numo ^t portare enUm
mano. Coi& Beno., Lvmh., Br. B., eoo.
AL: Portan ano ritto, coi piedi al bauo,
e eoA deporlo (T). Nella via ordinaria la
Oiaaia diTina disdegna d* insinuarsi nel
peeeatore e di agevolargli la via della pe-
■itensa, se questi non le ha preparato
il luogo, inoltrandosi da sé fin dove paò
nenarlo la ragione. La Gtrasia inoomin-
ofa dorè le forse jimane iinisoono. Cfr.
BartOi, JJUg,, 125.
38. kotkata: flitti alenni larghi giri
droolaii ; « Kamqne volans rubra ftalvns
loris ales in sthra Lltoreas agitabat
aves tvrbamqoe sonantem Agminis ali-
geri, «abito oom lapsus ad nndas Cjo-
mun exoeDentem pedlbas rapit impro-
bos ands v; Tirg., Aéu, XII, 247 e seg.
AL nÙ BOTATA.
20. ooiOE fOLaoB: « siont fulgor, de
Offilo eadentem >; Luea X, 18.
30. AL FUOCO : alla sfera del ftaooo ohe,
seeondo le dottrine oosmograflohe del
medio 9TO, stara in messo tra la sfera
dell'aria e il dolo della lana, dorè per-
do Dante fia riosoire il Pargatorio.
32. OOOBB: r impressione di quell'in-
eeadio sognato fb sa viya, ohe mi fta fbrsa
■regttarmi. L'inoendlo figura il saero
fiiooo della carità ohe investe e rinno-
veOa internamente H peccatore, predi-
sponendolo ad amare dò che odiava pri-
ma e Tloeversa ; il ohe ha luogo allora
appunto eh*^li prende la magnanima
lisolnslone di t»x passaggio dalla vita
mondana del peccato alla cristiana della
psniteBsa. Cts. BwrèUi, AJtUg., 126.
28. — J>te. CbMm., 1^ edli.
y. 84-61. JI rUvei^io. BlsvegUatod
verso le 8 V« di mattina, il Poeta si spa-
venta per due motivi: l'uno, perohò si
trova in una nuova regione e non vede
che Virgilio solo accanto a sé; l'altro,
perchè vede U sole essere già alto più
ohe di due ore, e non sa capadtarsl di
aver dormito oltre dieci ore. Questo
lungo sonno riusd sorprendente a mol-
tissimi commentatori. Si consolino ! Dan-
te stesso fu il primo ad esseme non pur
sorpreso, ma spaventato.
84. Achille : Teti, madre di Achille,
tolse il figlio a Chirone Centauro (Ir^.
Xn, 71), alle cui cure era affidato, e lo
trafugò donneato all'isola di Soiro, dove
dimorò vestito da donna, finché, scoperto
dall'astuto Ulisse, fh da questo e da Dio-
mede tratto alla guerra di Troia. Al suo
primo risvegliard a Soiro, Achille rimase
assai stupefiktto della novità del luogo.
« Cam puerì tremeftusta qnies, oculique
iacentis Inftisnm sensore diem, stupet
aere primo: Qa» locaf qui fluotust ubi
PelloD ? Omnia versa Atque ignota videt,
dnbitatque agnoscere matrem. » 8tat,,
Aekia., I, 247 e seg.
87. SCHIBO : alla greca, Sxi^po^ isola
del mare Egeo. Al. Scibo .
38. DOBMBNDO : dormente; cfr. VU. iT.
§ 8. son. V>,
41. DIVENTAI: impallidii comc l'uomo
cui s' aggela il sangue per lo spavento.
« Bxterriti sunt custodes, et fiàctl sunt
velut mortui >; MaU. XXVJJLl, 4.-«Ge-
lidus fbrmidine sanguis diriguit »; Virg.,
Aen. Ili , 269 e seg. - « Tabentesque geiue
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4S4 [ANTIP. YALLBTTA] PUBO. H. 42-62 [LU<
Come fa l'uom che spaventato agghiaccia.
48 Dallato m'era solo il mio conforto,
E il sole er'alto già più che due ore,
E il viso m' era alla marina torto.
48 « Non aver tema ! > disse il mio signore ;
« Fatti sicnr, che noi siamo a buon ponto :
Non stringer, ma rallarga ogni vigore I
49 Tu se' omai al Purgatorio giunto :
Vedi là il balzo che il chiude d' intomo ;
Vedi V entrata là 've par disgiunto.
52 Dianzi, nell'alba che precede al giorno,
Quando l' anima tua dentro dormia
Sopra li fiori onde laggiù è adomo,
55 Venne una donna, e disse : '^ Io son Lucia :
Lasciatemi pigliar costui che dorme ;
Si l'agevolerò per la sua via. „
68 Sordel rimase, e l'altre gentil forme:
Ella ti tolse, e, come il di fu chiaro,
Sen venne suso; ed io per le sue orme.
61 Qui ti posò ; e pria mi dimostrare
Gli occhi suoi belli quell'entrata aperta;
et in venali in oorporepallor»; ibid. XII, meMi al rero Pargatorlo. All' adii
221.- e Stnpetanzios alto Corda roeto già- 11 Poeta tatto bI riconforta,
dante pater »; Stat., Theb. X, 616 e seg. 52. Dianzi: pooo (k; cfr. v. 13 <
43. CONFORTO : Virgilio ; off. Purg. Ili, Gol principio del canto qaeeto verM
22; XX, 40. ha che fare, poiché qni si deeoriri
44. ALTO: erano adunque gi4 passate 11 tempo in cai Lucia renne a prei
le 8 di mattina. e portare sa il Poeta il quale dom
45. TORTO: voltato verso il mare, in nò s'era addormentato pur allora,
modo da non vedere che cielo ed acqua. 54. laggiù: quel sito laggiù, ci
48. ifOH 8TR1NGKR: nou diminuire, ma valle fiorita. Laggiù ò qui usato con
accresci la tua speranea. Nella paura il stanti vo; secondo altri elitticamenl
cuore si ristringe, rimpiccolisce; nella sottindendervi il tuolo,
speranui si rallarga. 57. si: pigliandolo.
51. LÀ 'VB: là dove 11 balzo che cinge 58. formb: anime. « Anima eet I
il Purgatorio sembra interrotto da una corporis.... non enim forma oorpor
apertura. cidentalis, sed substantialls »; Thom
V. 52-69. InterpreUudone del §ogno. Bum. theol, I, 76, 7, 8. - « Forma ha
Dante non sa dove si trovi, nò sa com- corporis est ipaa anima, qo» est t
prendere in qual modo sia arrivato in oulum vite»; ibid,, 91, 4.
quel luogo, per lui tutto nuovo. A suo 59. fu CHLA.ro : la legge del Purga
conforto, Virgilio, che del sogno di Dante (Purg, VII, 44 e seg.) vale anobi
non sembra saper nulla, gli racconta Lucia.
r accaduto, spiegandogli così il sogno. 62. entrata : la porta del Purgai
Lucia lo trasportò su, Virgilio la seguì; chiusa, come dirà in seguito, ma
gli altri. Bordello, Nino e Corrado, ri- parendo « un rotto. Pur come un
masero naturalmente Indietro, dovendo che muro diparte », v. 74 e seg., aq
ancora aspettare prima di essere aro- dlstansa sembrava ttperta. Inftitti I
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[POETA DIL PTJB6.]
Fusa. a. 68-78 [angslo pobtubi] 485
•7
70
73
7«
Poi ella e il sonno ad una se n' andaro. »
A goisa d'uom che in dubbio si raccerta,
E ohe muta in conforto sua paura,
Poi che la verità gli è discoperta,
Hi cambia' io ; e come senza cura
Videmi il duca mio, su per lo balio
Si mosse, ed io diretro invòr Taltun^
Lettor, tu vedi ben com'io innalzo
La mia materia; e però con più arte
Non ti maravigliar s'io la rincalzo.
Noi d appressammo, ed eravamo in parte,
Che là, dove pareami prima un rotto.
Pur come un fesso che muro diparte,
Vidi una porta, e tre gradi di sotto
Per gire ad essa, di color diversi.
Ed un portier che ancor non facea motto.
Ma si moootgò deUa porU ohioM ohe
dopo OMeni aTTidnato al rotto, o/ésto,
efr. ▼. 7«.
63. AD uha: insleine; ta ti risTegliaafcl
in queno stoMo momento ohe Loeia al
parta da noi. « Kox JSnean aomnnaqiie
ToUqnit »; Virg,, Aon. Vili, 07.
04. ▲ auBA: oome l'aomo, ohe, dubi-
tando di qualche sno male» sabito ohe il
Toro gli è manifeeto, ritorna dallo stato
del dabbio alla certessa, e si riconforta.
07. SEHZA CURA : libero da ogni dabbio.
08. BALZO : Lneia depose Dante a qaal-
ehe diatansa dalla porta del Porgatorlo,
dorè il salire era possibile anche a chi
aTora seco di qnel d'Adamo.
T. 70-138. AUa porta «M Purgato-
rio, Accingendosi a trattare nuova ma-
teria, doò delle anime che si porgano nei
sette cerchi del rero Purgatorio, Dante
richiama l' attenaione del lettore soli' in*
aalxarai dello stile, rispondente all'innal-
lani dell' argomento. Descrive qnindi la
porta del Purgatorio e l' angelo portiere
ehe è eednto solla soglia, i^est' angelo
1^ deeertre sette P nella fronte, apre
la porta e lascia entrare i due Poeti,
esortandoli a non riguardare indietro.
71. PIÙ AftTB: pih sublime la materia,
onde anche lo siile e l'arte devono in-
nalcanl.
72. snrcALSo: « sufrUcio et muoio flctlo-
nCbas magia artifldosis et sententfosis »;
HeM. - « Iia tetUoo 000 plb artifloiosità
di flnsioni et allegorioo intelletto»; BiiK.
- « Adomo et velo con belle flsiooi poeti-
che »;An. Fior, lieglio forse: Kon ma-
ravigliarti, se con pih nobile stile cerco di
sostenere la materia a tale altesaa. Cosi
anche Br. £., Andr., eoo.
78. CI APPBI8BAMM0 : al balso, v. 50, là
dove si vedeva l'entrata, v. 61, 62. -era-
YAMO: arrivati. Al. ■ derivammo.
74. PRIMA : essendone anoor lontani. -
UN EOTTO : una rottura pari alla fessura
di un muro. « Quam angusta porta et
arcta via est, qu» docit ad vitam ; et
pauoi sunt, qui inveniunt eam ! » Jf ott.
VII, 14. La porta del Purgatorio ò 1* an-
titipo della infernale ; questa ampia {I^f,
y, 20). quella stretta; l' una chiusa, l'al-
tra sempre aperta (Inf. Vili, 126) ; l'nna
guardata da un angelo, l'altra senza cu-
stodia ; r una mena alla vita, l' altra alla
perdisione.
76. TRE: ofr. 94 e seg.
78. PORTIER: angelo posto a guardia
della porta. « Questo portonaio, che l'au-
tore finge qui secondo la lettera ohe sia
un angiulo, posto a guardia del Purga-
torio, significa allegoricamente Io sacer-
dote, lo quale ò portonaio de la peniten-
sia.... Finge che non/aeea motto ; imperò
ohe il sacwdote non de' assolvere chi noi
dimanda ; ma s* elll ò richiesto, de' esser
presto ed apparecchiato. » Buti. Cosi pure
Lan., Ott., An, Fior., PottiU. Oa$9.,Petr.
DatU,, Bm9., Land., VelL, eoe.
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486 [PORTA DEL PURO.] PURO. n. 79-97
[ANGELO PORTIE:
79
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88
91
91
97
E come l' occhio pìii e pib y' apersi,
Vidil seder sopra il grado soprano,
Tal nella faccia, ch'io non lo soffersi,*
Ed una spada nuda aveva in mano,
Ohe rifletteva i raggi si vèr noi,
Gh' io dirizzava spesso il viso invano.
< Dite costinci : che volete voi ? >
Cominciò egli a dire: « Ov'ò la scorta?
Ghiardate che il venir su non vi nói! >
« Donna del ciel, di queste cose accorta, »
Rispose il mio maestro a lui, < pur dianzi
Ne disse : '^ Andate là : quivi è la porta. „ >
< Ed ella i passi vostri in bene avanzi ! >
Ricominciò il cortese portinaio :
« Venite dunque a' nostri gradi innanzi. »
Là 've venimmo, allo scaglion primaio,
Bianco marmo era si pulito e terso.
Ch'io mi specchiai in esso quale io paio.
Era il secondo, tinto più che perso.
81. TAL: codi rieplendente, ohe ne re-
stai abbagliato; eh. Purg. II, 89.
82. SPADA : secondo gli nni, Agora della
divina giustizia, Lan,, OU.,An. Fior., ecc.;
secondo altri, è simbolo della lingua del
sacerdote che giudica della vita e della
morte, Benv.; secondo altri, simbolo della
glastisia che deve regnare nel sacerdote,
FcUio Boeo., BuH, Land., Veli., ecc., se-
condo altri, simbolo della giarisdiilone
spiritaale. Filai,, ecc. È piuttosto quella
spada di ohe parla S. Paolo, ^«ff.« VI, 17»
che ò la Parola di Dio, come risulta da
V. 112 eseg. Confr. QtneM. Ili, 24. Dan.
X, 6.
84. DIRIZZATA : per guardarlo. - inva-
no: restandone abbagliato.
85. DITE: Al. DITBL. - COSTINCI : di co-
stà; Cfr. lT{f. XII, 83. -CHE VOLETE:
l'angelo al è dunque già accorto ohe i
lue Poeti non sono anime purganti.
88. LA SCORTA : quale potenza ha gui-
lato qui voi due ohe non siete anime del
Purgatorio t Cfr. Purg. 1, 48. Benv. pensa
ohe la teoria sia Lucia, Biag. e con lui 11
piti dei moderni credono ohe on angelo
Kuidl le anime alla porta del Purgatorio,
kfa V angelo portiere sapeva che 1 due
non erano anime purganti.
87. GUABDATB : ofr. If^. V, 20. - NÓI :
annoi, non vi sia cagione di dispiace
oftr. W. XXIII. 16. Lue. XIV, 2a
88. DONNA: cfr. Purg. I, 58 e se|
90. DISSE : col cenno de' suoi begli
ohi, otr. V. 61 e seg.
94. LÀ 'VBt Al. LÀ NE VENIMMO, I
se. - FRIMAIO : primo, inferiore. - Kell'
trata del Purgatorio ò simboleggiai
sacramento della penitenza, la quale
tre parti : contriUo eordù, eonfettio oi
»ati^f€ket\o operit; e queste tre parti m
figurate nei tre gradini per 1 quali si a
all'ingresso del Purgatorio. Dnnquf
primo scaglione figura la contrizione
cuore, il secondo la confessione della b
ca, il terzo la soddisfazione delle epe
Sulle opinioni diverse di altri comm. <
Oom. Lip». II. 141 e seg.
93. MARMO : « per questo primo soag
ne è da notare la contrizione che del
avere dasoun fedele prima ohe venga i
confessione, che esaminato in sé me
Simo e specchiatosi nel cuore suo, ree
a mente tutti i suol peccati, e di qn
pentesi interamente e con bnona o
trizione ; et in quel punto rimane biai
come il marmo, senza vemna macehli
oscurità di peccati »; An. Fior.
97. PERSO: confir. Ir^f. V, 89; T
103. La confessione orale, simboleggii
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[FOITA DEL PUSa]
PUBO. IX. 98-114 [ÀNOBLO POBTIBBS] 437
m
108
106
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m
D'una petrina mvida ed arsiccia,
Crepata per lo lungo e per trayerso.
Lo terzo, che di sopra s' ammassiccia,
Porfido mi parea si fiammeggiante,
Come sangue ohe fdor di vena spiccia.
Sopra questo teneva ambo le piante
L'angel di Dio, sedendo in su la soglia.
Che mi sembiava pietra di diamante.
Per li tre gradi su di buona voglia
Mi trasse il duca mio, dicendo : « Chiedi
Umilemente che il serrame scioglia. »
Divoto mi gittai a' santi piedi ;
Misericordia chiesi che m'aprisse;
Ma pria nel petto tre fiate mi diedi.
Sette P nella fronte mi descrisse
Col punton della spada, e < Fa' che lavi,
Quando se' dentro, queste piaghe t > disse.
te quatto mooaào tottgUoiM, treU 1«
omnità del eoore.
•6. PRURA : pietra; fon» flgnra del
«cuore di pLobm»; Su^iàU, XI, 19;
xxivi.se.
M. cupata: 1a oonfeesioiie rompe U
toessa del cuore srelando i peccati nella
loro hmflftessa e larghessa, dorata e di-
101. POBVIDO : « qoeeto colore di ftioco
be a denotare 1* ardore della carità et
dell'amore ebe accende gU nomini, et
■ocpigne a Ikre la peniteosa de' peccati
oommeeei et avere aatltAaione d'ogni
■no difetto *f An. Fior,! ooA pnre Lan.,
OU., BuH, eoo. Secondo altri, si allade qni
•Qe flagedasioni a aangne, al roflsore delle
pebbllehe peoitenie, ecc.
105. DiAMAHTB: Ugnra della fermecsa e
eootaia del confeeeore. efr. Biuh, lU,
». MatL XVI, 18. Goal Lan., An. Fior.,
Beno., BuU, Land., Veli,, Dan,, eoe. Se-
condo il Lomb, ed i aooi eegaaoi, il dia-
naateèrimouiginedel aoUdo fondamento
*a eoi poca la Chiesa che ha ricemto da
Cristo l'aotorHà di concedere rasaoln-
lioBe dei peccati.
106. TOOLIA : mia; trasse me che lo
••gviva Tolentierl.
IM. pim.EìfgtTBt etc, Purg. I, M e
iag. - BdOGLiA : apra; « che ti dia l' as-
Mlaaione »; Iten.
110. emmsi: implorai ohe mi usasse la
misericordia di aprirmi la porta del Pnr-
gatorio. Al. misibioobdia cmm ■ ch'kl
(db's<)M'APl]B8B.
111. MI DiiDi: prima di pregarlo che
mi fooesse la misericordia di aprirmi
la porta del Purgatorio, mi battei tre
Tolte il petto; atto di umile eontrizio-
ne. « Perootiebat pectns suum » ; -Z^'
XVIII, 18.
112. sim p : i segni del sette peccati
mortali che si purgano nei sette cerchi
del Purgatorio e dei quali anche il Poeta
dovrà purificarsi colla penitenxa. « Il se-
gno alfabetico P non è che una abbrevia-
tura della parola intera Pteeato, Onde
l'angelo che scrive sette volte su la
fronte del Poeta la parola Peeoato, e poi
gì' ingiunge ohe si conduca pe' sette gi-
roni, sicché richioda quelle marche della
fronte, chiaramente fk intendere che dopo
la remissione ottenuta ò rimasta nell'ani-
ma qualche cosa, che al può tuttavia dire
peccato . Or certo ò che dopo rimosse le
colpe persistono nell* anima le mal vago
propensioni, o ingenerate, o invigorite
da' replicati atti del medesimo genere ;
ed esse pure si possono dire In qualche
•enao peccato, si perchè sono, diciam cosi,
immediata oreadone del peccato, al per-
chè di loro natura risospingono al pec-
cato. » BerardinelH, Concetto della D,
a, 187.
114. PUOHJt: chiama cosi i sette P,
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438 [?OBTA DSL PTJBO.] PUBO. IX. 115-127 [AlTeBLO POBTIl
115
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124
127
Genere, o terra che secca si cavi,
D'un color fora col suo vestimento;
E di sotto da quel trasse due ohiavL
L'una era d'oro e l'altra era d'argento:
Pria con la bianca, e poscia con la gialla
Fece alla porta si, ch'io fai contento.
€ Quandunque l'una d'este chiavi falla,
Che non si volga dritta per la toppa, >
Diss' egli a noi, < non s' apre questa calla.
Più cara è l'una; ma l'altra vuol troppa
D'arte e d'ingegno, avanti che disserri,
Perch'ell'ò quella che il nodo disgroppa.
Da Pier le tengo; e dissemi ch'io erri
perchè iktti con U ponto delift spadA e
per tmbt piaghe il termine Borlttnrale «d
indicare 1 peccati ; ofr. Salm, XXXVm,
11. iMia 1, 6. Gtr$m. XXX, 12, 17 ; LI, 8.
Omo V, 18, ecc.
116. cmKRB: la veste dell'angelo è del
odore di cenere e di terra secca, donqae
non TiTace ma dimesso, simboleggiando
r omiltà con che il sacerdote dee proce-
dere nel sno officio di confessore. Cosi
Lan., An. Fior,, Ckut., Petr, IkmlL., Fai-
$0 Booe., Bmv., Buti, VeU., eoe. Secondo
altri, qaella veste di qoel colore figura
l'aotoritA di assolvere data all'uomo ve-
stito di polvere e cenere, doè della car-
ne (Land., Dan,, ecc.). Altri ancora di-
versamente; cfr. Oom. lÀpt. II, 144. n
color cenere ò il simbolo della peoitensa,
e la materia in che si versa il ministero
di quest'angelo è per l' appunto la pe-
nitenza.
117. CHIAVI : le « chiavi del regno dei
deli »; UaU. XVI, 10, che flgorano Tao-
torità conferito da Cristo a S. Pietro di
chiuderlo e di aprirlo; cfr. Inf. XXVII,
104.« Distfnguuntur due claves ; quarum
una pertinet ad iudidum de idondtoto
dna qui absolvendos est; et alia ad ipsam
absolutionem. Bt he due claves non di-
stingunntnr in essentiaanctorltotis, quia
utrumque ex offldo els oompetit; sed ex
oomparatione ad aotus, quorum unus
allom presnpponit »; Thovn. Aq,, Sum,
tìuoL III, auppl, XVII, 8.
118. D* OBO : dmbolo dell' autorità sa-
cerdotale. - d* ASGiufTO : simbolo della
scienza neoessarla al buon saoerdote.
U9. BU»CAt«cdlaohUve d'argento,
perchè, innand ohe U confessore n
all' assolndone, bisogna che esamin
notamente oon la sua dottrina il p<
toro che d confessa, e conosca la
lito de' peccati »; Dan.
120. coRTBifTO: avendola egU ap<
121. QUANDUNQUB: Ut. quondocum
qudnnque volto l' una delle due d
non va dritto nella toppa, o serrator
porto non d apre. Quando d saoer
manca la sdenaa o l' autori to, e' non
assolvere; oppure, se non usa de
mento dell'una e ddl'dtra, l'assolo]
è invalida e non ha vemn effetto.
128. CALLA: apertura, ingresso;
Purg. IV, 22. Matt, VII, 18, 14.
124. L'UMA: pih cara la chiave d'
r autorito saceidotole essendo acqui)
col sangue presioso di Cristo. Ha U «
ve d'argento, benché meno predoaa,
troppa d'arte e d'ingegno, dovendo
oerdoto per essa distinguere le ói^
specie di peccati, giodicare la loro
Vito, chiarire le obbligasioni che s
gono il penitente, e librare la dia
■ione di lui.
126. DiBOBOPPA: schiarisce erioi
la oosoiensa inviluppato dd peocat
raddrissa le sue vie. Colla sdensa s
ma il giudido, ed in virtù dd gin
formato d viene alla sentensa di i
Indone.
127. DA PiBB : le ebbi da S. Pietra
furono dato da Cristo, Jfott. XVI,
Pietro mi disse di errare pinttostc
buon volere di aprire, ohe non per m
Ohio rigore di tenere la porto ^nsa
lamento gli angdi mm sono togget
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[PORTA DBL PUBO.]
PUBG. IX. 128-142
[bhtbàta] 439
120
133
138
138
143
Ansd ad aprir, ohe a tenerla serrata.
Por ohe la gente a' piedi mi s'atterri. »
Poi pinse l'uscio alla porta sacrata,
Dicendo : « Entrate ; ma facciovi accorti
Che di fuor toma chi 'ndietro si guata. »
E quando fur ne' cardini distorti
Oli spigoli di quella regge sacra,
Che di metallo son sonanti e forti.
Non rugghiò si, né si mostrò si aera
Tarpeia, come tolto le fu il buono
Metello, per che poi rimase macra.
Io mi rivolsi attento al primo tuono,
E < Te Deum laudamus > mi parca
Udir in voce mista al dolce suono.
Tale imagine appunto mi rendea
l'erron; mm qui l'angelo portiere ò figiir»
dal Moerdote non inftUlJbile.
119. •'▲TnEBSl: s'inginooohl, chiedendo
udlmente perdono.
130. pDras: apinae in dentro l'impoato
oiie eUodeTm Tapertor*. - pobta: AL
PABTB. - BACKATA: Al. BKBBATA.
132. TOBXA : perde la grasla ohi ritoma
ti reeehl peccati i ofir. MaU. Xn, i3^5.
L«e. IX, 62; ZI, 24-28; XVn, 82.
13S. DISTORTI : ai girarono nei cardini.
134. BPIOOU: imposte, pontoni di me-
tallo, ohe nelle grandi porte tengono lao-
godi bandelle ; la partepel totto. >miOGB :
porta.
135. CHB: pnò riferirai ai oardini, o ar-
ploai (Amm.); meglio forse agli tpigoU,
o bandelle.
130. wuoamò: Al. bugoìo. H mmore
ohe fecero le portedel Purgatorio, apren-
dosi fti maggiore del rimbombo ohe fece
la rupe Tarpeia, caosa V irrogginimento
de' gangheri, U porta del Purgatorio non
apieadoal ohe di rado, poiohò gU eletti
sono pochl{ ofr. Jfott. XX, 10. - aora:
rsatatente ad aprirsi.
137. Takpeia; il TarpHus numi, rocca
Tarpea; la Tetta del Campidoglio.
138. MrrKLLO: il tribuno romano L.
Cedilo Metello, col era affidaU la custo-
dia del tesoro pobblioo ohe si conservava
sotto 1» rupe Tarpea. Quando Giulio Ce-
sare ebbe passato il Bobioone e si fti tra-
sCsrito a Berna, volle impadronirsi del
pubbUeo tesoro; ma Metello gli si op-
pose, e Cesare non rlnsci nel suo intento
ohe colle minacce e colla fona. Quindi,
racoonU Locano, Phort, III, 154:
Tane rapes Tarpsia sonai mafnoqos reeloias
TesUtur stridore fores; tono oonditòs ioio
EralRir tsBkflo, moltis Intaotos ab annisj
Bomani osnsos popoli, sto.
- MACBA : perchè spogliata del tesoro.
y. 180-145. Arrivo ttel primo cer-
ehio del Purgatorio. Appena i due
Poeti hanno varcato la porta e sono en-
trati nel primo cerchio, si ode là dentro
cantare il celebre Inno Ambrosiano, dan-
dosi con quel canto e rendimento di gra-
aie il benvenuto ai nuovamente arrivati.
Pare che siano le anime purganti che
cantano; ma potrebbe anche essere un
canto di angeli, come Lue. II, 18 e seg.
139. BIV0L8I: non indietro allo stri-
dore del cardini della porta (B«nv.« Veli.,
Dan,, eoo.), contro il precetto dell'an-
gelo, V. 131-182; ma innansi, verso l'in-
torno del Purgatorio, donde veniva quel
primo tuono.
141. MISTA: in voce di parole, congiunta
al dolcissimo suono del canto. Del resto
le opinioni sul senso di questo verso va-
riano dal sabliroe all'assurdo; ofr. Oom.
Lipi. II, 147. Più CacUe sarebbe il verso
leggendo, come taluno vuole, A polcb
suono. Ma su quali autorità al fonda
questo lesione t
142. m BKHDKA : mi iSMMva la mede-
sima impressione.
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440 [GIB. PBIMO] PUBG. IX. 148-145 - X. 1-6
[salita]
li6
Ciò ch'io udiva, qual prender si suole
Quando a cantar con organi si stea;
Ch'or si or no s'intendon le parole.
148. prkrdeb: riceyere cUdI*ndito.
144. 8TKA: stU. « Stando a cantar co-
gli organi, alcone volte il taono acol-
pifloe le parole del canto, et quando l*of-
ftiaoa col taono »; An. Fior. Cfr. Lue.
XV, 7, 10.
CANTO DECIMO
aiBON£ PBIMO : SUPERBIA
(Camminare oontrattl sotto peei più o meno gravi)
SALITA AL PRIMO GIBOHB, ESEMPI DI UMILTÀ
ESPIAZIONE DELLA SUPERBIA
Poi fummo dentro al soglio della porta.
Che il malo amor dell'anime disusa,
Perchè fa parer dritta la via torta.
Sonando la sentii esser richiusa;
E s'io avessi gli occhi vòlti ad essa,
Qual fora stata al fallo degna scusa?
V. 1-27. SmUta al primo ffiroHe, Ee-
aendo entrati nel Porgatorio, Dante ode
dietro a sé il fracasso della porta che
l'angelo riohiode, ma non osa gnar-
darsi indietro, memore di qnanto esso
angelo ^li ha detto, Purg. IX, 131 e seg.
I dae Poeti vanno sa per ana via stretta
ed angusta che mena al primo balco, o
girone, o cerchio del vero Porgatorio.
Arrivati al primo balso, si fermano, si
per la stanohezsa di Dante, e A perchè
ambedue sono ignari della via da pren-
dersi.
1. POI: poichò: qui e Purg. XIV, 180;
XV, 84. Par. X, 76 ; XIX, 100 con valore
temporale; altrove Purg. X, 128. Par.
II, 66 1 HI, 27 con valore causale. Dd-
r oso presso gli antichi. Cfr.IXfj:, Oramm.
m», 1018.
2. AMOS: amen ò, seeondo Dante, la
sorgente di ogni buona e cattiva opera-
sione umana; il r§Uo amore produce
buone, il malo ree operastoni ; cfr. Purg.
XVH, 103 e seg. - disusa : 1k che rara-
mente si apra, poche essendo le anime
che vanno al Purgatorio. Onde lo stri-
dere di essa, Purg. IX, 138 e seg.
8. VA PARKB : 11 malo amore fa parere
un bene dò che è un male.
4. SONANDO: Bou osava guardare in-
dietro; ma dal suono si accorse ohe la
porta si richiudeva. Pxhna tentatone
di guardare indietro.
6. QUAL: non avrei potuto scusarmi.
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lamovm pbimo]
PuBO. X, 7-24
[salita] 441
^"^^oi salivam per una pietra fessa,
Che si moveva d'una e d'altra parte,
Si come l'onda che fdgge e s'appressa.
« Qui si convien nsare no poco d'arte, >
Cominciò il duca mio, < in accostarsi
Or quinci, or quindi, al lato che si parte. >
£ ciò fece li nostri passi scarsi
^anto, che pria lo scemo della luna
^giunse al letto suo per ricorcarsi,
Che noi fossimo fuor di quella cruna ;
Ma quando fummo liberi ed aperti
Su, dove il monte indietro si rauna,
Io stancato, ed ambedue incerti
Di nostra vìa, ristemmo su in un piano,
Solingo più che strade per diserti.
Dalla sua sponda, ove confina il vano.
Al pie dell' alta ripa, che pur sale,
Migurrebbe in tre volte un corpo umano ;
10
13
16
19
sUto ammollito; ofr. Purg,
IX. Iti e Mg.
7. TORBA R88A: ohi«m« ooii qnelhi
via per hi quale aaUvano, perchè era at-
lal alletta ed inoarata nel madgno.
8. 81 M OTSTA t non era rettilinea, ma
ritoroeraol in diTord modi, deeeriTendo
figure non dieaiwiH da qoelle ohe desoriTO
Tonda che ra e Tiene. Cosi la gran mag-
gleranan dei commentatori antichi e mo-
demL Alcuni pochi (Petr. DafU,^ Oa$9.,
Wamf., eoo.) intendono inrece ohe qnel
maeM il moreiae realmente. Interpre>
tasiene troppo comica I Cfr. Cbm. JAp9.
n, 188. « Geo gorgite cane Hnnc rete-
gft Mholae, nimo obmit estoa arenas »,
atalL, 3%«ft. XI, 43 e teg.
11. n AOOO0TAB8I ; « bisognava aooo-
■tarsi ora all'ano ora all' altro lato, sem-
pre a quello oh' era lontano, Ueognara
dee asàar continoamente da deetra a
idniatra e da sinistra a destra, come ar-
ylene qnando si monta per nna scala a
chioeciola » ; Qttg,
12. n PABTB : dà Tolta.
13. SGABBI: lenti e brevi; ofr. Pwrg,
XX, 18.
14. LO BdifO: la lana scemata, tro-
Tandosi qaasi neir ultimo quarto, era
glitnaMstata. Srano drca le ore 11 an-
tha., o eiroa quattro ore e messa di sole.
Ofr. (kfm. lÀpi. n, 184. luTeoe di sokmo
alcuni codd. hanno btrbmO; ofr. Moore,
Qrit., 888. LO senio è les. dellagran mag-
gioransa dei testi e sensa dubbio la vera.
15. LUTTO: orizsonte.
18. CBUHA : passo, adito angusto ; chia-
ma così, secondo Jfott. XIX, 24 ; Jfare.
X. 26; Lm. XVin, 26; quella stretta
Tia, per la quale erano saliti. Anche prò-
TortyLdmente si dice : « stretto come una
cruna di ago. »
17. UBKBi : dalle dilBooltà della Tia ed
usciti ftaori all' aperto.
18. 8U, DOVE: Al. LÀ, DOTB; In luogo
eloTato, dove il monte si stringe in su,
lasciando un ripiano all'intorno.
21. SOLINGO : pih solitario ohe una stra-
dane! deserto, « quia pauoissimi gradina-
tur peristam viam pcBoitentie, et maxi-
me superbi, qui primo inveniuntur In ista
Tia » ; jB«n«. - « Post eum solitndo de-
serti > ; loél. U, 3.
22. SPONDA ! orlo estemo. - il vano :
il vuoto « onde cader si pnote » ; Purg,
Xm, 80.
28. BALK: si alea perpendicolarmente.
24. MisuRBNBBBt misurerebbe: confr.
JfonntM., VerW, 382 eseg. Dall'orio eeter-
no alla costa il ripiano era largo tre Tolte
la lunghexsa di un uomo, dunque circa
cinque metri.
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442 [eiBOKB PBixo] Pubg. x. 25-31
[SALITA]
25
28
81
£ quanto l'occhio mio potea trar d'ale.
Or dal sinistro ed or dal destro fianco,
Questa cornice mi parea cotale.
Lassù non eran mossi i pie nostri anco,
Quand'io conobbi quella ripa intomo,
Che, dritta, di salita aveva manco.
Esser di marmo candido, e adomo
26. TRAB D*ALl: ATilTare; qaanto la
mU veduto potevft distoadeni a destra
o a siniatra, U ripiano mi appariva ovoli'
qae della medesima larghessa.
27. ooBinCK: ooék chiama Danto i oer-
cfal de! Purgatorio (cfr. Purg, XI, 29;
Xm, 4; XVII, 181; XXV, 118. Par,
XV, 08), perchè cingono intono intomo
il monto sacro.
V. 28-45. Za Vergine Ma/rU^ primo
eeempio di umiHà, Kel Purgatorio pre-
vale lo scopo corresionale delie pene. Qui
r umano spirito deve purgarsi e diventar
degno di salire al delo. B come avviene,
come si compie il miglioramento di so
stosso t ligdianto reserọJQ a mediante
la meditozione.^^rónljasta deporre il vì-
iìòi C9nviene pafe esercitare la virtù.
Ottdò le pene del Pargatorio sono in so-
stanxa esercizi nelle virtù opposto ai pec-
cati da purgarsi. I superbi si esercitano
neir umiltà, gl'invidiosi nel santo amore,
gl'iracondi nella docilità, e cosi le altre
classi di peccatori. B ali* esercixio si ag-
giunge la meditatone, la quale è duplice.
Dall' un canto il suo oggetto sono le lai-
decse ed i tristi effetti dei peccati com-
messi, dall' altro le bellexse ed i dolci
flutti delle opposto virtù. Questi oggetU
SODO sottoposti, offerti alla meditazione
delle anime purganti per messodi esempL
Onde all'entrato di ogni cerchio del Pur-
gatorio o si vedono coll'oochio, o si odono
gridare, o si hanno visioni di esempi di
belle virtù ; all'uscire del cerchio esempi
del vizio punito. Danto toglie questi esem-
pi parto daUaSacra Scrittura, parto dalla
mitologia e parto dalla storia. Nel cerchio
de' superbi : T umiltà di Maria, di Davide
e di Traiano ; l' orgoglio punito di Luci-
fero, dei Giganti, di Kiobe, di Saul, di
Aracne,di Boboamo, di Almeone, di Sen-
naoherìb, di Ciro, di Oloferne, dei Troia-
ni. Sul balzo degli invidiosi : la carità di
Maria, di Pilade e la carità evangelica
prescritto da Cristo j l' invidia punito di
Caino e di Aglauro. Sul balao degl'ira-
condi: la mansuetudine di Maria, di PI-
Bistrato e dì Santo Stoflmo; TirainllMxsta
di Aman e di Amata, madre di Lavinia.
Nella regione degli aoddioai: la rara aol-
ledtodinedi Maria e di Giulio CeeMet
l'accidia punito degli Ebrei nel deserto e
della gento ohe non seguì Enea. In quell*
degli avari: la povertà e larghessa di
Maria, di Fabrisio e di NkMolò di Mir» ;
Tavarisia punito di Pigmalione, di Mid*,
di Acam, di Saflra e del marito, di Elio-
doro, di PoUnestore, di Crasso. Sul balao
dei golosi : la bella temperanza di Maria,
delle antiche Bomane, di Daniello, del
primo secolo e del Battista; 1* intempe-
ranza punita de' Centauri e degU Ebrei
che bevvero gittandosi a torra. Final-
mento sul balzo dei lussuriosi : la castità
di Maria, di Diana e di donne s mariH
eha far caeU/ la sozza lussuria punita di
Soddoma e Gomorra e di Pasiib. lì primo
esempio di virtù ò sempre Maria ; negli
altri esempi Danto sceglie Ubersmento.
28. MOSSI : arrivati nel ripiano si erano
fermati, v. 20.
29. BIPA: tra il primo ed il secondo gi-
rone del Purgatorio.
80. CHB : la quale ripa, essendo diritta
quasi a perpendicolo, aveva mancanza,
impossibiUta di salita. Un verso tutto si-
mile, rispetto alla sintassi, Purg, XXI, 89.
Al. CHB DBTITO DI SALITA AVBA MAJIOO,
lezione che ha per sé l'antorita di mol-
tissimi codid ed edizioni, ma dalla quale
resta difficile cavar costrutto. Cfr. Oom.
JAps. n, 185 e seg. Jì Betti : « Aveva man-
co il dritto della salito. Cioè impediva che
alcuno vi potesse dirottamento salire. »
Cfr. Moore, Orit.. 386*88. lì Poi, aflbrma
che DBriTO è lezione « della quasi tota-
lità » dei codd. Ma il Moore trovò dritta
in non meno di 62 dei codd. da lui esa-
minati. - MANCO : mancamento, come Ptur.
III, 80. Il senso è in ogni caso, ohe era
impossibile di salire.
81. ADOBHO : figurato di bassorilievi di
sovrumana perMone e bellessa.
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[eiXOHB PRIMO]
PUBO.!. 32-48 [LÀ TIRO. MABU] 443
34
37
D'intagli si, che Don pur Policreto,
Ma la natura li avrebbe scorno.
L'Angel che venne in terra col decreto
Della molt'anni lagrìmata pace,
Che aperse il ciel dal suo lungo divieto,
Dinanzi a noi pareva si verace
Quivi intagliato in un atto soave,
Che non sembiava imagine che tace.
GKurato si saria eh' ei dicesse : < Avé! »
Però che ivi era imaginata quella,
Che ad aprir l'alto amor volse la chiave;
Ed avea in atto impressa està favella:
< Ecce aneUla Dei » si propriamente.
Come figura in cera si suggella.
€ Non tener pure ad un loco la mente ! >
Disse il dolce maestro, che m'avea
Da quella parte ooAe il core ha la gente ;
ti. PouCBSTO : toecanismo p«r Poli-
tìéto, celebro scaltore greco n. reno il
480 A. C, oontemponaieo ed emalo di
Udì*. PoUcIeto è celebre per la beli»
Giallone ooloeeale ikUa pel tempio d'Ar-
go, • per una atataa modèllo, detta il Oa-
«MM, neDa qoale areva rionite totte le
perfNrionl del corpo amano. Dettò pare
«Adopera eolie proporslonidel corpo ama-
no, «die gli eoolkori oonstderarono come
codice di legge della loro arte. Cfr. 0ic.
BruU LXXXVI, 2. PKn. XXXIV, 19, 2.
^mni. V, 12.
S3. lì : AI. OLI, asato da Dante per vi,
i9i ancbe Inf. XXIII, 54. - avrkbbb
eooBXO: ai yedrebbe saperata, Tinta,
■oomata.
84. l'Axoel: r angelo Gabriele ohe re-
cò aUa Tergine Maria l' annansio delia
nascita del tanto eoepirato Salyatore;
cfr. Xtic. I, 26-38.
S5. uiORiMATA : implorata con lagrime.
- FiiCK: dell* nomo con Dìo.
86. AFKB8B : la qnalc pace aprì agli ao-
mini U cielo, stato loro chioso da Adamo
a Cristo; cfr. Jn/. IV, 62-63. « Per peo-
eatom pneclodebator hominl aditas re-
gni ccelestitf.... Ante passionem Christi
nnllas intrare poterat regnam Gceleste >;
Thtm, Aq^ Bwm. theol. lU, 49, 5.
n. TACE: non eembrava mata ima-
gine, ma persona vira e parlante. Dei
bronci nella reggia d'Argo 8UU., Theb.
II, 216 : « ViTiscertantia valtibns era. »
41. PKRÒ CHK IVI : Al. PXBCHft QUIVI.
- IMAOINATA : eOigiata Maria Vergine.
42. YOLSK: mosse l'amor divino ad
aver pietà degli nomini.
43. B8TA : questa. « Bra in tale amile
atl^giamento, ohe, come flgnra in cera
per soggello apparisce, così chiaramente
apparivano dirsi da lei qnelle parole:
JBece, eoo. >; Lomb.
44. iccB : la risposta di Maria all' an-
gelo Gabriele; Lue, I, 88.
45. IN CERA : « Ut HymetUa sole Cera
remoHeeoit, tractataque pollice maltas
Plectitnr in fades »; Ovid,, Met. X, 284
e seg. - « XTtqae novls fisoilis slgnatnr
cera flgarìs >; ibid. XV, 169. Cfr. Purg,
XXXin, 79 e seg.
V. 46-69. Jl re J>avid€, 9eeondo
esempio di umiUà, Jì secondo esem-
pio di nmiltà scolpito dal divino artefice
nel marmo di qoella parete, è quello di
Davide, re d'Israele, H qaiJe, allorchò
léoe condurre l'Arca del Patto a Sìod,
« saltava di tutta forza davanti al Signo-
re, esseudo cinto d'un Sfod di lino. » La
storia è raocontaU II J2ey. (II Som.) VI,
1-23.1, Parai. Xin, l-14;XVjXVI.43.
46. MON TSNBB : non guardar solamente
una di queste rappresentaoiont
48. PARTI: aliilstra. Kel Pnrgatorio
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444 tOIBOHB PRIMO] PUBG.X. 49-66
[IL BS T>ÉL\
iO
52
55
58
61
64
Per ch'io mi mossi col viso, e vedea
Diretro da Maria, da quella costa
Onde m'era colui che mi movea,
Un'altra storia nella roccia imposta;
Per ch'io varcai Virgilio, e femmi presso.
Acciò che fosse agli occhi miei disposta.
Era intagliat-o li nel marmo stesso
Lo carro e i buoi, traendo l'arca santa,
Per che si teme officio non commesso.
Dinanzi parca gente ; e tutta quanta,
Partita in sette cori, a' due miei sensi
Faceva dir l' un « No », l'altro < Si, canta ».
Similemente, al fummo degl'incensi
Che v'era imaginato, gli occhi e il naso
Ed al si ed al no discordi fensL
Li precedeva al benedetto vaso.
Trescando alzato, l'umile Salmista,
E più e men che re era in quel caso.
vanno sempro a destra, e Virgilio resta
dalla parte esterna per proteggere Dante
contro il pericolo di cadere ; cfr . Pwg.
XI, 49; XIX, 81; XXn, 122. eco.
40. MI MOflSi : girai gli occhi. Al. m 70lsl
50. DA : Al. PEB : alla mia deetra, dietro
la sonlinra rappreeentante Maria.
51. MOYXi : m* incitò colla ana anuno-
nlslone, t. 46, a mnoTcrmi.
52. IMPOSTA: scolpita nella roccia, cioè
nella ripa.
53. YABCAI : passai dalla sinistra alla
destra di Virgilio. - fbmmi: Al. fb*mi.
54. DISPOSTA : dispiegata, manifesta.
55. LÌ : nello stesso marmo in cni era
intagliata la sooltora antecedente.
57. SI tkmb : di arrogarsi affido non af-
fidato da Dio. « Ussa stese la mano verso
l'Arca di Dio, e la ritenne; peroiocchò i
baci Taveano smossa. B Tira del Signore
si accese contro adUsxa; e Iddio lo per-
cosse qoivi per la sna temerità; ed egli
morì qnivi presso all'Arca di Dio. » II
Beg, VI, 6-7.
58. pabka: appariva, si vedeva.
59. bbttb COBI : « Et erant oam David
septem chori »j II lUg. VI, 12. - DUE:
vista ed adito. L'orecchio non ndiva voce
aloona di canto ; all'ocobio la sooltora Ds-
oeva l'impressione che quella gente can-
tasse veramente.
61. iNCKifBi: «e quando qaeUi che
tavano l'Arca del Signore erano cai
nati sei passi, David sacrificava ni
o nn montone »; II Seg. VI, 18.
63. FBNSI: si fecero. I dae sena!
vista e dell'odorato si fecero diaci
il primo affermando qoello essere i
reale d'incenso, il secondo n^gand
64. VASO: FArca del Signore.
65. TRESCANDO: ballando il treac
che ò nn ballo salterecdo sensa re
e senza tempo; ett. JV* XIV, 40. •
ZATOt saccinto, con la veste tirati
CoBÌ OU., Benv., Buti, Land,, YOL,
Infiatti Micci fisoe a David 11 rimprov
« Qoant'ò egli stato oggi onorevole
d' Israele d'essersi oggi seopsHo dai
agli occhi delle serventi de'snoi m
tori, non altrimenti che si $ooprir«bò
nomo da nolla »; II Beg. VI, 20. Al
atto di saltare; Dan., Lomb,, eoe.
come mai si ik a rappresentare nu
$eante in altro modo che nell'atto di (
care il salto f Cfir. soUa controversia <
L(p$. II, 169 e seg. - umile: Davi
Micci : « Mi avvilirò perdo ancora
di qoesto e mi terrò più basso» ; II .
VI. 22.
66. PIÙ: avendo indosso aMto poi
cale, come era l'Bfbd j cfh Btod. XXV
6 e seg. - MIN: ballando il tieeoone,
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[aiKOVS PBIMO]
PUBO. X. 67-75
[TBIUNO] 445
«7
70
73
D'incontra, effigiata ad una vista
D*nn gran palazzo, Micòl ammiraya,
Si come donna dispettosa e trista.
Io mossi i pie dal loco dov'io stava,
Per avvisar da presso nn' altra storia,
Che diretro a Mioòl mi biancheggiava.
Qaivi era storiata l'alta gloria
Del roman principato, il cni valore
Mosse Qregorio alla saa gran vittoria;
pw» dignità di Be. Al.: Più oh» re ft
Dio, man ehe re ai loperbi (?)• - oiBO :
ia quell'atto.
67. D*DiooaTRA: neDe rteaeo baasori-
Bevo, dirimpetto a Davide. Al. di oov-
tsju«ti8TA: finestra. «Cornei* Arca del
Sgoore entrò nella città di Davide. lU-
eol, figlinola di Sanile, rlgnnrdò daUa
Maku, e -ride Deride ohe saltaya di
tana in preaenaadél Signorei eloepres-
so nel eor ano »; II JUg. TI, 10. Cfr.
IV- X, 53. Vista Taleva anticamente
Apertora in genere per la quale ai Tede.
08. Micòl : figlia di Sanile primo re di
Israele, In prima delle mogli di Davide i
efr. I Rég. XVn, S5; XVIH. 17, 20 e
Mg.; XIX, 11 e seg., che fta punita della
«oa aaperbia con isterilita; cfr. II Beg,
VI, 28.
V. 70-90. J/ imperatore Traiano,
terse eeempio 4i umilia, Kel medio
ero era assai dtttasa nna leggenda, la coi
•otgente sambra ibsse nn aneddoto rac-
contato dn Dione Cassio, XIX. 6. Nel ^b-
mOUo, 60, con cni Tanno essensialmento
d'accordo gli antichi oomm., la leggenda
d racconta così : « Lo 'mperadore Traia-
no fti molto ginstissimo signore. Andando
ra giorno con la sna grande osTalleria
centra suoi nemici, ona femina TedoTa
gtt si fece dinansi, e preselo per la staflk,
e disse: Me$Mr, fammi diriUo di queUi
€k'm torto m'hanno morto U miojtgliuolo.
S lo 'mperadore disse: Io ti soddisfarò
iiuando io sarò tomaio. St ella disse:
8e ta non tonUf St eUi rispose: 8oddi-
tfèraUi lo mio tuoeettoro. Bt ella disse:
ès'l tuo tueceetore mi eim mono, tu mi
s^ itbUors, Bpogniamo ohe pur* mi todr
M^mtesto -, V altrui giustizia non libera la
tfncoÌpa.Bsnsavterrasaltttosueeessors,
i'€gtt Kberrà sé medesimo. Allora lo 'mpe-
ndore smottò da caTallo e fece giostisia
di coloro ch'arerano morto U figlinolo di
colei, e poi oaTsleò e sconfisse i snoi ne-
mici. S dopo non molto tempo dopo la
sna morto, Tenne il beato santo Gregorio
papa, e troTando la eoa glnstisla andò
alla stotoa san, e con lagrime l'onorò di
gran lode, e feoelo disseppellire. TroTaro
che tntto era tornato alla terra, salTo che
1* ossa e la lingnn; e dò dimostraTa co-
m* era snto ginstissimo nomo, e ginsto-
mente aTca parlato. S santo Gregorio
orò per Ini a Dio, e dicesi per OTidento
miracolo che. per li prieghi di qoesto
santo papa, l'anima di questo imperadore
ta. liberata dalle pene dell' Inferno, ed
andonne in Tito etoma ; ed era stato pa-
gano. » Confr. <?. Paris» La legende de
Trojan, Parigi, 1878.
71. AyTiSAB: osservare, Tederò più da
Ticino.
72. BiANCBBOGLàVA: mi SÌ mostrava
scolpita nel marmo eandido, t. 81. dopo
Hiool, seguitando sempre a destra.
73. GLORIA ! il fletto glorioso.
74. PBIKCIPATO: principe. Al. DtL RO-
MAH PRIKCK, LO CUI GRAN VALORK.
75. VITTORIA : sopra l'Inferno. La leg-
genda della liberasione di Traiano dal-
l'Inferno per opera di 8. Gregorio ita rac-
contata da GioT. Diacono. Vita 8. Oreg.
IV, 44. Kel medio cto ta creduta storia
Tcridica. « Damasoenus in sermone suo,
de JHfunet., narrat qnod Gregorius prò
Traiano oratlonem fìindens, audivit to-
oem sibi dÌTÌnÌtu8 dicentem : Voeemtuam
audivi, et veniam Traiano doj cnius re),
ut Damasoenus dioit in dicto sermone.
testis est Oriens emnis et Oeeidens. Sed
constat Traianum in Inferno ftiiase
De facto Traiani hoc modo potest prò-
babilitor sostimari, qood predbosB.Gre-
gorii ad Titam ftierit roTOcatus, et ita
gratiam consecutns sit, per quam, eto. »
Thom. Aq., Bum, theol. III. SuppL, 71, 6.
Par. XX, 44 e seg., 100 e seg.
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446 [omoHE PRIMO] PuBO.x. 76-95 [tbau:
70 Io dico di Traiano imperadore ;
Ed una vedovella gli era al freno,
Di lagrime atteggiata e di dolore.
70 Intorno a lai parea calcato e pieno
Di cavalieri, e l'aqoile nell'oro
Sovr'esso in vista al vento si movieno.
82 La miserella intra tutti costoro
Parea dicer: € Signor, fammi vendetta
Del mio figliaci eh' è morto, end' io m'accoro ! »
85 Ed egli a lei rispondere : « Ora aspetta
Tanto ch'io tomi. » E quella « Signor mio, »
Come persona in cai dolor s'affretta,
88 € Se tu non torni? » Ed ei : < Chi fia dov'io.
La ti farà. » E quella : « L' altrui bene
A te che fia, se il tuo metti in obblio? »
91 Ond' elli : < Or ti conforta, che conviene
Ch'io solva il mio dovere, anzi ch'io mova:
Oiustizia vuole, e pietà mi ritiene. »
oi Colui che mai non vide cosa nuova,
Produsse esto visibile parlare,
70. IO DICO: Al. K DICO. 98. m BinsinE: d«l putire. Oiustìda
79. uiTORMO : il laogo intorno a Tnd»- vaole ohe io adempia il mio dovere, e b
no ; Tirg., Eoi. 1, 11-12 : « nndiqae totia pietà che lio di te, m' induce a non diT-
ITsqae adeo turbatnr agris. > ferirne l' adempimento.
80. L* AQUILE nkll' obo: le romane 94. Colui: Dio, al qnale neesona cosa
aquile effigiate in campo d'oro. Goal An, può easer naoya, vedendo Bf^U oò eUrnc
Fior., Ben9.,BuH, Land.,VoU.,l>an.,eco. tutte le oose. « Ad opna novnm sempi-
Al. l'aquoub dkll'oro, cioè di oro mae- temnm adhibet Dona oonsiliam »; Aug^t
Biooio. 81 possono muovere al vento Do Oiv. Dei XXII, 22. - « Dio, easendQ
aqaile di metallo massieciof tatte le oose in lai, anid essendo egfi
81 80VB*B880; sembrava a vederle tutte le oose, ed essendo ftiori e sopra il
ohe, agitate dal vento, si movessero so- tempo, le vede tutte insieme ad nn trst-
pra il capo dell* imperatore. - si movib- to, in un attimo medesimo, con una vi-
NO : « stavano colle ali allargate, sicchò sta sola; e qosì è presente alni il ftitnro,
pareva che si movessero al vento, come come il passato »; Varchi, 1, 162 e ae^.
se veramente fosser vive e volassero •; 95. visibile : « il parlare s'ode, et però
Betti. d può dire udibile; ma però che l'Aut-
86. BD BGU: e pareva che Traiano le toro vedea questo parlare atteggiato et
rispondesse. scolpito, dice et chiamalo visibile par-
87. OOMB: insistendo con impadensa, lare »; An. Fior.-* E eoA si scusa dei-
come chi è vinto dal dolore. l'aver posto che una effigie possa espri-
89. B quella: Al. BD ILLA. -l'altrui: mere con l'atto, non nn solo ma piii
ohe gioverà a te il bene fktto da altri, aflbtti consecutivi. L* artista potrà be-
se tu dimentichi, trascuri di fare quel nissimo giungere a imprimere negli at*
bene ohe sei tenuto a fare tu stesso per teggiamenti e nel volto delle sue flgnre
obbligo del tuo ufficio t la domanda e la risposta, ma non mal
^ 92. solva : che prima di partire col- un dialogo continuato, perchè l' attitu-
1 esercito io adempia il mio dovere d'im- dine delle flgnre IntasrUste e dipinte è
Pintore, OMondoti ginstiaia. una e permanente. » Giusti,
A
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L
^ jaOgK PBIMO]
I Nov
[»7 Mentr"
PUBO. X. 96-109 [pshà dsi supsbbi] 447
303
\M
■loe
Novello a noi, perchè qui non ai trova.
Mentr'io mi dilettava di guardare
Le imagini di tante omilitadi,
£ per lo fabbro loro a veder care,
« Ecco di qua, ma ùimo i passi radi, »
Mormorava il poeta, « molte genti :
Questi ne invieranno agli alti gradi. »
Gli occhi miei, eh' a mirar eran intenti,
Per veder novitadi onde son vaghi.
Volgendosi vèr lai non foron lenti.
Non vo' però, lettor, che tn ti smaghi
Di bnon proponimento, per udire
Come Dio vuol che il debito si paghi
Non attender la forma del martire !
M. HOTKLLO: naoTo, recente; qui per
' narsTigUoeo, ctopeodo. Qneete floaltare
•ODO etopende **noetri occhi, perchè nel
nostro mondo non se ne hn di oo^ par-
lanti e mnniTi^ioee. Cfr. Fai^., Stud.
ed On., 96 e seg.
V. 07*189. Btpiamioné détta tuper-
òta. Lm rista di una schiera di anime
che procedono lentamente, qoasi rannic-
chiate a terra per gran pesi che portano
•alle spalle, indaco Dante a gridare con-
tee la saperbia degU nomini, che arreb*
boro tatti qnanti i motivi di essere nmiU
di caoreis^erchÒ ebbero animo e persone
troppo erètte per baldanxa,ìi superbi
ranno qai carri sotto enormi massi, e
piasgono, e pregano, e mirano esempi di
nmiltà premiata e di soperliia ponita.
La loro preghiera ò il Padre noatro, pre-
ghiera dell* nomo amile, che mira ansi
totto alle ooee di Dio, e per tè stesso non
chiede che il pane necessario, perdono
dei peccati commessi, e, conscio della
propria debolexxa, alato oontro le ten-
tasioni.
98. inauTADi: « le Immagini di tanti
fittf pieni di onriltà »; BelH.
99. CARB: perchè stapende in sé stesse,
e più care ancora perchè opera di Dio.
100. DI QUA: Dante era passato a di-
ritta di Virgilio, r. 63 ; per rodere le
anime che ranno arricinandosi, egli si
rolge rerso Ini, r. 106 ; donqae le anime
rengoDo da sinistra.
102. HB nviKEAVMO: d mostreranno
la salita ai cerchi soperioti del Parga-
torto. I saperbi seno 1 minimi: nel pih
basso di tatti i cerchi sembrano someg-
giare, qaasi a serrixlo di tatto U sorra-
stante Pargatorio. Cfr. Purg. XI, 67.
103. A MIRAB : le scaltare descritte. -
nrrBMTi: Al. oohtexti.
105. roLOEHD06l: non ftarono lenti a
rolgersi a sinistra rerso Virgilio. - rie
LUI: Al. rftE LOB, cioè rerso quelle moUe
genti, les. oonfortoU dai r. 104, 112 e
seg., come pare da totto il contesto, ma
che è troppo sprorTistà di aotorità di
codici.
100. SMAOHi : ti sgomenti, ti smarri-
sca: cfr. In/. XXV, 136. Sulla rooe «tuo-
gare (dal ted. ant. fnapan — potere) cfr.
D»M. Wdrt, 1«, 384. Nannue., Verbi, 492.
Zambaidi, 1177 e scf^. « Qui c'insegna
r Auttore che quando siamo in ardua pe-
nitensia, non dobbiamo considerare la
pena, ansi il bene che ne segue, il quale
è diierminato di neoesAltè a tempo; et
però dice in figura: Non attendere la
forma della pena de* superbi, che in tal
modo si pnrgono, ma pensa oh'elllno
son certi d* andare quando che sia in
rita etema »; An. Fior, - « Kec credito
factum ; Vel, si credetis, liMti quoque
credito poenam » ; Ovid., Uet, X, 302 e se-
guenti. - IV>m.;« Kon tanto al lettore
rolge r arvertimento, quanto a sé stes-
so, pensando che, oome non libero da
saperbia, anch' egli dorrà sotto quella
soma oorrarsi. » (f).
108. DEBITO: dei peccati commessi.
109. KON ATTBMDIB : uon badare alla
qualità della pena ma pensa alla beati-
tudine che succede all'espiasione. < Kon
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U8 [GIBONE PRIMO] PUBG. X. 110-125
[PENA DBI SUI
.12
Ll5
L18
L21
124
Pensa la suocession! Pensa ohe, al peggio,
Oltre la gran sentenza non può ire.
Io cominciai : « Maestro, qnel eh' io veggio
Mover a noi, non mi sembran persone,
E non so che, si nel veder vaneggio. »
Ed egli a me : « La grave condizione
Di lor tormento a terra li rannicchia.
Si che i miei occhi pria n' ebber tenzone*
Ma guarda fiso là, e disviticchia
Col viso quel che vien sotto a qnei sassi :
Già scorger paci come ciascun si picchia. »
0 superbi Cristian, miseri lassi,
Che, della vista della mente infermi.
Fidanza avete ne' ritrosi passi ;
Non v'accorgete voi, che noi siam vermi
Nati a formar l'angelica farfalla,
inni oondij^n» pasdones haiu temporis
A fatnram glorlAm qa» revelabitnr in
lobU »; Bom. Vili, 18.
110. AL PEGGIO: Al. A PEGGIO. Nel
>eggiore del casi il martire non paò da-
«re ohe fino alla gran sentenza ohe
Ttìbìo pronanoierà il dì del giadisio
Inalo ; oft. Matt. XXV, 34, 41.
113. ▲ KOI: alla nostra volta. Al. Yt&
[01. - PEB80XE: oome in dici, v. 101. In
ita il superbo si crede, o vnol sembrare
«sere qoalcheoosa di pih delle persone
irdinarie ; nel Purgatorio ò abbassato
Q modo tale, ohe, a vederlo un pò* da
ontano non si distingue nemmeno se sia
persona od altro.
114. KON so : non saprei dire che oosa
ni sembrino, tanto s' inganna la mia vi-
ta, parendo ora nna oosa ed ora nn'al-
ra. Al. NON SO se io nel vedeb.
115. CONDIZIONE: natura, qualità; qni,
a qualità della pena.
116. EANNioCHLà : li ourva sotto i gravi
»esi in modo, ohe anch' io, al primo vo-
lerli, non seppi discemero se fossero per-
one od altra cosa.
117. TENZONE: oontosa; ora mi pare-
vano persone ed ora no.
118. DiBvrncCHLà: digvUùehiare dal
ftt. viti», vale edoglieret metaforicamen-
e: dtetinguere. La metafora, benché ar-
iita, esprime maravigliosamente lo sforzo
leoessario agli occhi per trovare il vero
li quell'indistinto viluppo che forma-
vano quelle anime rannicchiate
sotto il peso della loro soma.
120. oik: essendosi avvicinati.-
GHIA : si batto il petto rendendosi
pa ; « Peroutiebat peotns sunm
XVIII, 13. Cosi BuU, Dan.» Ani
rez, ecc. Al.: Si rammarica, gen
guai (Yiv., Ce*,, Frat,, ecc.). Al.i
tute e castigato (Lan., VeU., Dan
Al.: Si percuoto il petto ooUe gii
per la gravezza del peso {Benv.
Al.: È a torra schiacciato (Biag
121. o SUPERBI: ali* aspetto del
dei superbi, il Poeta si chiede ot
poro di ohe 1* uomo possa vantarsi
possa dimenticare nel suo oigO|
che egli è e ciò ohe sarà, 8p€«ia
quando dovrà comparire dinand
dice etomo. - mibebi labsi : la st
cnzione Inf. XXXII, 21.
122. INFERMI: ciechi della mei
123. RITROSI: retrogradi. Voi
dechi della mento, ohe vi Insin]
pervenire a buon fine senxa aoo(
ohe vi accostato invece ad un fine o
124. VERMI : « Filius hominis ve
Job, XXV, 6. - € Ego autem su
mis»; PmoI. XXI, 7. -« Noli thntt
mis laoob »; Itaia XLI, 14.
126. angelica: inoorporea 04
angeli. - farfalla : d negli anti<
numenti, accanto alla fanciulla
simbolo dell' anima. « Vuol In se
dire che noi siamo atti a divent
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[OBOn PRIMO]
PtTRG. X. 126-189 [PENA DEI SUPERBI] 449
137
lao
113
136
118
Che vola alla giustizia senza sohenni?
Di che r animo vostro in alto galla,
Poi siete quasi entomata in difetto,
SI come Terme, in cui formazion falla?
Come per sostentar solaio o tetto,
Per mensola talvolta una figura
Si vede giunger le ginocchia al petto,
La qual fa del non ver vera rancura
Nascere a chi la vede; cosi fatti
Vid'io colori quando posi ben cura.
Ver è che più e meno eran contratti,
Secondo ch'avean più o meno addosso;
E qual più pazienza avea, negli atti
Piangendo parca dicer : € Più non posso I »
geli, mft openmdo viilomiMnte diren-
tfano dUvoli >; Don.
126. CHB: 1a quale IkrIklU, cioè ranima,
deposto la materia del corpo, va dinaail
«1 Ohidtee etemo aenaa potersi scher-
■ire, doè lensa poter naMondere in ve-
nia modo le proprie oolpe. CkMi i più
(Bmt., Buti, Land,, VeU„ Dan,, ecc.).
AL prendono sema tekérmi nel senao
A: Sema impaccio, libera dal corpo
lUa., Ott., An, Fior., Siane, ecc.). Da
<nundo in qua iehermo ò sinonimo di
impaccio f Cfr. Oom. Lipt. II, 170 e seg.
137. QALLA: gaOcggia; ofr. DUz, Wort,
H*, 38; qni per Inraperbisce.
138. FOi : pcrfohò. - ENTOMATA : inietti
difetliTi, imperfetti. Doyera dire énUh
■M, ma, ignorando la lingua greca, disse
erroneamente «ntomata. Inntfle ogni dl-
■enasione sa questo Tooe; ofr. Oom. lÀpt,
n,i77.
139. VALLA; manca. Voi siete come
▼enas, che non compio la sua formaaio-
ne, is qnale non si compirà che quando
il ▼erme sarà direntoto fkrflUla.
180. SOLAIO: palco.
181. MKXBOLA : pesto che soeUene cosa
prominente dal moro, sostegno di trave
0 cornice. - figura: « è noto la storia
delle donne di Caria condotte schiaye
dai Greci conqoistotori; onde il termine
arcliitettonico di cariatidi. GotaU figure
d' nomini e d* animali osò 1* arte del me-
dio ero a reggere pnlpiti e porte siccome
omamente, e più spesso, come simbolo.
In Dante la similitndine.... mette in
atto con robuste pennellate la penosa
contrazione di quelle anime. » L, Tmt.,
aifniU,, 840.
138. RANCURA: dolore. Quantunque
l'alDuLno, che tale figura mostra, non
sia reale, essa t% però nascere aflknno
reale in chi la mira.
134. cosi : rannicchiati con le ginocchia
contro il petto ; cfr. t. HO.
185. CURA ! a rarvlsarli.
130. CONTRATTI: rannicchiati, ripiegati.
I pesi sono più o meno gravi secondo il
grado della superbia.
188. B QUAL : « quivi era A grande il
peso, ohe qualunque il comportova con
più pacifico animo, paiea dire piangendo:
Io non ho più podere di portare questo
peso, bene che la voglia non ala stanca » ;
Ott, e con lui i più (Lan„ Benv., BuH,
Dan., ecc.). Al. prendono pazienta nel
senso di sofferema e spiegano: Quegli
che agli atti mostrava di soffrire più c^e
gli altri, piangendo parea che Àoesse:
O Dio, non ne posso più ( (Tom., Fai\f,,
Andr., Bennoè., ecc.). Dunque quelli che
sofErivano un po' meno, parevano dire
negli atti : « Non mi fii nulla; io posso
portare il mio peso »f Superbi ancora là,
dove devono purgarsi della superbia!
Cfr. Oom, Dipi, n, 178 e seg.
23. - Div. Oomm., 4» odia.
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450 [OIBONB PRIMO] PURG. XI. 1-11 [PRIGHIEBÀ]
CANTO DECIMOPRIMO
GIEONE PBDiO: SUPEBBIA
PBEGHIEBA, OMBEBTO ALDOBBANDE800
0DEBI8I D'AGOBBIO, PBOYENZAN SALYANI
€ 0 Padre nostro, che nei cieli stai,
Non circonscritto, ma per più amore
Che ai primi effetti di lassù tu hai,
4 Laudato sia il tuo nome e il tuo valore
Da ogni creatura, com' è degno
Di render grazie al tuo dolce vapore.
7 Vegna vèr noi la pace del tuo regno,
Che noi ad essa non potem da noi.
S'ella non vien, con tutto nostro ingegno.
10 Come del suo voler gli angeli tuoi
Fan sacrifìcio a te, cantando « Osanna »,
Y.l-ZO,ll*Paternoàter' delle <tnU oontinetur, corpus est. Non igitar ali-
me penitentL Procedendo lente lente cubi est, et tunen qnlA est et in loco
sotto il grave peso, le anime dei superbi non est, in ilio snnt potios omnia, qoam
recitano 1* orazione domenicale, rioono- ipso alionbi. » Aug., De 0Ì9. Dei XI, 90.
scendo non la propria, ma l'altessa di S. bpfbtti: oreatare, come Oanv, III.
Dio, recando a Lai la gloria del nome, 8: «Intra gli «/«ft» della divina Sapiensa
del regno, della volontà; richiedendo a l'aomo è mirabilissimo. » I primi e f etti
Lui tatti i giorni, quasi amili mondici, il sono i deli e gli angeli. Al. affetti»
pane della grazia; e rinunciando al sa- cioè amori. Ctt, Thom. Aq,, Bum» theelL
perbo diletto della vendetta col perdonare I, 01, 8.
ogni offesa. L' ultima preghiera, lo scam- 0. vapore : sapienza, la quale « Vapor
pò cioè dalla tentazione dell'antro awer- est virtntis Dei »; 8ap, VH, 26. Al. alto
sarò, porgono invece per coloro che ban vapobb. Alcuni intendono pel vaUtre il
lasciati superstiti in terra ; poiché bella Padre, pel nome il Figlio, per il vapore lo
carità, inimica a saperbia, è il pensare Spirito Santo (Land., YM., Dan,, ecc.).
a' bisogni altrui, che nOn possono essere 8. non potem : da noi stessi non poesia-
pih bisogni nostri. mo pervenire alla pace del tao r^gno, ae
2. 0IB00M80RITT0 : cfr. Par, XTV, 80. essa non d è spontaneamente da te oon-
« Colai ohe da nulla è limitato, doè la
prima Bontà eh* è Iddio, che solo colla 9. tutto HOflTBO: Al. TUTTO *LH08TRO.
infinita oapadtà l' infinito comprende » ; 10. suo: loro, oome Ifsf. X, 18; eft.
Oonv. rv, 9. -« Deus nullo corporali loco * OortiedU, lieg, ed Oii. I, 19.
olauditnr»|Tàom.Ag.,i9i*m.eà«oJ.I,n, 11. OBAHliAt H^ nV^Chn» •«»>▼*.
102,4.~«DeiisnonalÌcubÌest;qnodenim t t •
alloubl est, oontinetar loco, quod loco aiate, dunque! Ptal, OXVH. 25. N^l
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[eiBOVB PBIMO]
PUBG. XI. 12-27
[PBIOHIBBÀ] 451
13
16
19
22
Cosi facciano gli nomini de' suoi.
Da' oggi a noi la cotidiana manna,
Senza la qnal per questo aspro diserto
A retro va chi più di gir s'affanna.
E come noi lo mal che avem sofferto,
Perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
Benigno, e non guardar lo nostro morto.
Nostra virtù, che di leggier s' adona,
Non spermentar con l'antico awersaro,
Ma libera da lui, che si la sprona.
Quest'ultima preghiera, Signor caro.
Già non si fa per noi, che non bisogna,
Ma per color che dietro a noi restaro. »
Cosi a sé e a noi buona ramogna
Quell'ombre orando, andavan sotto il pondo.
Simile a quel che talvolta si sogna.
gr. *12<Mmrd, nel Benso di 8alv! Cfr,
MaU. XXT, 9, 15. Mare. XI, 9, 10. Joan.
Xn, 18. B nel senso di Salve V nsft
sempre Dante; ofr. Purg, XXIX, 61.
Pmr, VII. 1; Vm, 29; XXVHI, 118;
XXXII. 135.
18. mahha: il pane ootldluio, doè Is
frssU diTina, dbo spiritoale dell'anima.
Cosi Lan., Ott., An, Fior., PosCCZ. Oats.,
Pur. Dani., Betn., Land., Dan., eoo.
Al.: n rerbo divino (VeU., eoo.). Al.: I
quotidiani solIVagi dei Tiventl iPogg.,
Br. B., Frat., Oreg., Frane,, eoe.).
14. LA qUÀL : grasia divina. - dubbto :
ehisma ooél il Purgatorio per aver detto
manna, ohe Dio diede agl'Israeliti nel
desarto ; cfr. Stod. XVI, 4 e seg.
15. ▲ BKRO : sensa la grada di Dio,
Aiimqne più si aflktioa di andare avanti,
toma indietro; ofr. Purg, VII, 68 e seg.
17. B TU : perdonaei to pnre, oome noi
perdoniamo.
18. LO HOeTBO: Al. AL MOSTRO.
19. TUTÙ: valore. - s' adona: oede,
resta vinta, abbattuta; ofr. W. VI, 34.
89. BOB spBBioirrAB: non mettere al
cimento.- AVTXBBABO : avversario, il dia-
volo; cfr. Purg. Vni, 96. 1 Peir. V, 8.
81. LDXRA: ma libera la nostra virtù
dan*aweraarlo,cheeon tanti allettamenti
e eon diverse arti la spinge al male.
23. ULTnfA: la preghiera: «Kon in-
darei in tentaxioiie, ma Uberaoi dal ma-
ligno.»
28. NON BISOGNA: non potendo pib peo-
oare. Purg. XXVI. 181, le anime del
Purgatorio non sono più esposte alle
tentadoni.
24. COLOR: viventi, ohe restarono die-
tro a noi nel mondo. Cosi i più. Benv,,
Blane., eoo. intendono e dei viventi e
d^le anime dell'Antipurgatorio. Ma que-
ste ultime sono protette dai due angeli,
ed anch' esse non possono più peccare.
26. RAMOGNA: cammino, viaggio.- «i2a-
mogna propriamente d iter o viaggio »;
Lan., An. Fior., ecc. - « Buona felicità
nel nostro viaggio e nel loro ; ramogna è
proprio seguir nel viaggio »; BuH. Cosi
intendono pnre Land., Veti., Voi., ecc.
Al. ; Buon angnrio ; Benv., Serrav., ecc.
Al.: Buon avvenimento, prospero sno-
cesso; Dd., Dan., Vent., eoo. Bene il
Oet.: « questo ramogna ninn seppe che
voglia dire, ma tirando in arcata, e stan-
dosi sulle generali, dee certo essere buon
avviamento, o altro di sUIktto bene, che
quelle anime pregavano a so ed a noi. »
E VAndr. : « Buon viaggio ; loonsione
comune agli antichi (t), che la estesero
anche a significare buono augurio in ge-
nere. » Cfr. Sneiel., 1928 e seg.
26. PONDO : peso dei massi; ofr. Purg.
X. 119.
27. A QUZL : all' incubo. « Ac velut in
somnls, oculos ubi languida presslt Ko-
cte quies, nequlquam avidos extendere
oorsQt Vello videmor et in medlis oonr
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458 [GIRONE PBIMO] PUBG. XI. 28-40
rAMMONIZK
81
8i
37
40
Disparmente angosciate tutte a tondo
E lasse su per la prima cornice,
Purgando le caligini del mondo.
Se di là sempre ben per noi si dice,
Di qua che dire e far per lor si puote
Da quei e' hanno al voler buona radice?
Ben si dee loro aitar lavar le note,
Che portar quinci, si che, mondi e lievi,
Possano uscire alle stellate ruote.
« Deh, se giustizia e pietà vi disgrevi
Tosto, si che possiate mover l'ala.
Che secondo il disio vostro vi levi,
Mostrate da qual mano invér la scala
tibna mgrì Saoddimna ; non lingua T&i«t,
non oorpore not» Soffioiont vires neo
yox ftQt verba seqanntiir »; Virg,, Arni.
Xn, 908 6 seg.
28. DiSPABMRNTB: Don egualmente an-
gosciate, secondo la maggiore o minore
gravità del peso, corrispondente alla gra-
vità del peccato ; cfr. Purg, X, 186 e seg.
- A TONDO : in gÌro circolare.
80. CAUGiNi : i fhmi della superbia.
V. 81-86. Atntnonùfione di pregare
pei defunti. All' udire le ultime parole
di quella preghiera, si affiàoda alla mente
di Dante il paragone tra i morti ed i vi-
venti. Quelli pregano tanto, questi si
poco f Se nel Purgatorio le anime pre-
gano tanto per i viventi, i viventi ohe
sono nella graziadi Dio. non pregheranno
mai abbastansa e non Ikranno mai opere
pietose adeguate per ricompensare le
anime. Koi abbiamo pertanto grande ob-
bligo di aiutare con sulTragi quelle anime
a purificarsi dal peccati, che da questo
mondo portarono seco nel Purgatorio, si
ohe, fatte pure e leggiere, possano salire
alle sfere celesti.
32. B FAB : le anime del Purgatorio non
possono che pregare ; i viventi possono
inoltre fkr opere pie a prò' dei deftinti.
< Ista tria [Eucharìstia, eleemosynae et
oratio] ponuntur quasi pnecipua mortuo-
rum subsidia; quamvis quiecumque alia
bona qufls ex charitate flunt prò defùn-
Dtis, eis valere credenda aint » ; Thom,
Aq., Bum. ikeol. III, Suppl., 71, 0.
88. RADICE: della grasia divina; cfr.
Purp. IV, 185. Thom. Aq., 1. e, 71, 8.
8i. AiTAB : aiutare ; Al. atab. - noti t
macchie del peccato.
85. QUINCI : da questo nell'altro mo
86. ruoti: i deli, giranti ed oi
di steUe.
V. 87-51. XI POMO da eaUre a
eondo eerehio. Le anime si sono t
cinate ai due Poeti. Virgilio le pre|
mostrar loro la via per la quale potn
salire alla seconda oomioe, e lo fa coi
augurio, del quale ninno poteva sui
loro più grato : « Cosi la giustisia e la
sericordia di Dio vi liberino preste
peso de* vostri peccati, sì che posi
volare al delo come desiderate ! »
delle anime risponde : « Venite con
a destra, e troverete un passo tale
poterai salire chi ha ancor seco di
d'Adamo. »
87. GIUSTIZIA B PIETÀ : di DÌO. Così
Benv., BuU, Dan., Tom., JFVaL, eoo
riferiscono la sola giutHzia a Die
pietà invece ai viventi che coi loro
trAg\ devono aiutare le anime a pi
carsi. Codi Veli., VerU., Lomb., B\
Br. B., Frat., Andr,, ecc. « Qua
opera attribuuntor institi», et quse
misericordi», quia in quibusdam v
mentius apparet iustitù, in quibns
misericordia. Bt tamen in damnal
reproborum apparet misericordia,
quidem totaliter relaxans, sed aliqi
ter allevians, dum punit dtra co
gnum : et in instiflcatione impU a^
ret iustitia, dum culpas relazat prò
dilectionem, quam tamen ipse miseri
diter infnndit. » Thom, Aq., Ah», ih
1, 21, i.
89. VI LBVi : vi porti, v' innalsi là e
tende il vostro desio, doò al Para*
io. DA QUAL: SO d arriva più pr
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[OlfiONK PRIMO]
PUBG. XI. 41-57 [0. ALDOBBAKDXBCO] 453
Si va più corto; e se c'è più d'un varco,
Quel ne insegnate che men erto cala;
43 Ohe questi che vien meco, per P incarco
Della carne d'Adamo ond'ei si veste,
Al montar su, centra sua voglia, è parco.
48 Le lor parole, che renderò a queste,
Che dette avea colui cu' io seguiva.
Non fur da cui venisser, manifeste;
49 Ma fu detto : < A man destra per la riva
Con noi venite, e troverete il passo
Possibile a salir persona viva.
Si E s'io non fossi impedito dal sasso,
Che la cervice mia superba doma,
Onde portar convienmi il viso basso,
55 Cotesti che ancor vive e non si noma,
Guarderò' io, per veder s'io '1 conosco,
E per farlo pietoso a questa soma.
sIUaealAdel secondo girone • destra o •
itnis^ ; e se c'è più d'nn passo, insegna-
teei quello che è meno ripido.
44. CABirx: il corpo; ofir. Purg. JX, 10.
46. toolta: cfr. Purg. VI, 49. - È
PABCO : è lento contro il Toler sno, os-
ila ha Io spirito pronto, ma la carne infer-
ma. Cosi Benv,, BuH, L&mb., Tom., ecc.
AL diTersamente. Lan.: « flerole ». Ott.:
« ò scarso a salire ». An, Fior.: • egli si
risparmia, et non segoe Virgilio come
aee (!) ».
46. LB LOB : non d potò distingaere da
ehi -venissero proferite qoelle parole, es-
sendo le anime tanto rannicchiate sotto
1 loro pesi. Come dice in seguito, qnegli
che rispose a Virgilio, tu il conte Omberto
Aldobrandesoo di Santaflore.
61. PoeemiLB: tale da potervi salire
<dii ha seoo il corpo ; ott. Purg. XII, 106
•■eg.
V. 63-72. Omhwio AidobrandeMco
eonte di Samtaflore, Quell'anima ohe
ha rispoeto a Vir^fllio, conttnna a parlare,
esprimendo il sao desiderio di poter ye-
dere Dante ed indurlo a pregare e far
pregare per lei. Quindi si dà a conoscere,
confessando e deplorando la sua superbia.
È l'anima di Omberto o Uberto, figlio di
Guglielmo Aldobrandesohi dei conti di
Santaflore, cfr. Purg. TI, 111, famiglia
assai potente nella Maremma Senese, di
parte gbibdBna (cfr. G. YiU. VI, 81 ; IX,
47, 71, 301). Di Omberto, eh' è nomi-
nato in un documento del 1266, si hanno
scarse notizie. Tutti i comm. ant. lo di-
cono uomo assai superbo. U cronista
Senese Angelo Dei racconta (Mwrat.,
JSeHpt. XV, 28): « in questo anno (1260)
Al morto il conte Uberto di Santa Fiore
fu Campagnatico, e ta affogato in sul
letto da Stricha Tebalduoci, daPelaoane
di Ranieri Ulivieri, e da Turchie Marra-
gosKi ; e fello affogare il 0>mnne di Siena
per denari. » Cft*. Tommati, Stor. di Sie-
na 11, 21 e seg.; 136 e seg. Aqttarone, D.
in Siena, 101 e seg. Berlinghieri, Degli
Aldobrandetehi, 37 e seg. Com, Lipt, II,
186 e seg.
63. CKBVicx: dura cervice ò Toce scrit-
turale per indicare la superbia ostina-
ta; Etod. XXXII, 0; XXXIII, 3, 5;
XXXIV, 9. Deut. IX, 6, 18; XXXI,
27. n Parai. XXX, 8. /•. XLVIII, 4.
AtH VII, 61. Cfr. Horat., Ep. I, m, 81 :
«indomita cervice feros. »
64. CONVIBIfMI: Al. COlTVIBMia.
66. NON Bi NOMA : Virgilio non lo ha
nominato. L* anima esprime con qne«to
parole il desiderio di sapere chi sia quel
Tivo che va i>el Purgatorio.
67. FABLO PiBTOSO : indurlo a pregare
per me e procurarmi sufifVagi altrui, quan-
do sarà ritornato nel mondo de' viventi.
- SOMA : carico, peso ; cfr. Iitf. XVU, 09.
Purg. XVI, 129. • Ego ad nihilnm reda
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454 [GIBONB PBIMO] PtlSO. XI. 58-73 [0MB. ÀLDOBBAKDISOO]
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73
Io fui Latino, e nato d'un gran Tosco:
Gaglielmo Aldobrandesco fa mio padre ;
Non so se il nome suo giammai fa vosco.
L'antico sangue e l'opere leggiadre
De' miei maggior mi fér si arrogante,
Che, non pensando alla comune madre,
Ogni uomo ebbi in dispetto tanto avante,
Ch' io ne mori', come i Sanesi sanno,
E sallo in Campagnatico ogni fante.
Io sono Omberto ; e non pur a me danno
Superbia fa, che tutti i miei consorti
Ha ella tratti seco nel malanno.
E qui convien eh' io questo peso porti
Per lei, tanto che a Dio si satisfaccia,
Poi eh' io noi fei tra' vivi, qui tra' morti. »
Ascoltando, chinai in giù la faccia;
otat som.... Ut Imnentam faotas sam
•pud te »; Ptal, LXXn, 22, 23.
68. Latiho: Italiano; cfr. It\f. XXII,
65; XXVII, 33; XXIX, 88, 91. eoo.
69. GuoLiRLMO : a' sool tempi assai po-
tente in Toeoana ; fta prigioniero a Siena
nel 1224, in bando dell' impero nel 1250 ;
mori verso il 1254; ofr. MurtU., Beripi.
XV, 28, 25.- Aldobrand£8CO: Al. Al-
DOBRAMDRSOHI.
60. VOSCO ; oon voi ; non so se ndlste
mai nominarlo. Quel nome doveva es-
sere oonoscintissimo ai tempi di Dante ;
ma Omberto parla il lingoaggio del-
l' nmUtà.
61. BAITGUE: « Genns hnic materna sn-
perbam Kobilitas dabat, inoertnm de pa-
tre ferebat »; Virg., Aen. XI, 340 e seg.
- LSQOLàDBB : nobili, generose.
63. MADBB : la terra. « ITsqne in diem
sepnltnrffi, in matrem omnium » ; Eocl,
XL, 1. - « Kon iam mater alit tellos vi-
risqne ministrat»; Virg., Aen, XI, 71.
64. oam : « fti ^ snperbo, che ogni uno
dispregiò, e massimamente li Sfuiesi »;
JButi. - AVAKTE: oltre misura.
65. NE MOBI': l'ecoesaiva sua arrogania
avendo stimolato i Sanesi a farlo ncoi-
dere. - bammo : ofr. Pttrg. V, 135.
66. Campaomatico: forte oastello de-
gli Aldobrandeschi, posto sulla sommità
d*nn poggio nella valle dell' Ombrone
^e^- FAim: fanciullo; cfr. Purg.
67. Ombebto: Al. Umbbbto.
68. FA: Al. FI*. AL FU. -OONBCHTI:
dunque la superbia era visio ereditario
nella famiglia dei conti Aldobrandesohi.
69. TBATTi : « la Superbia ha tirato con
seco tutti li altri oonti in pena et ango-
scia che vast^rà a tempo, e per6 dice fui
fnalanno; e A in questa vitache li ha fiitH
periculare e morire innanti ora, e al nel-
V altra che li ha posti in pena »; BuH,
71. LRi: la mia superbia.
72. MOL FBI: non mi umiliai nò soddi-
sfeci a Dio vivendo.
V.73-90. Odorisi d'Affobhio e J^V-onoo
6oloomese. Conscio della propria super-
bia (cfr. Pur^.XIII, 186 e seg.) e temendo
quindi della stessa pena, Dante china la
faccia. Un'altr' anima lo mira fissamente.
Dante la riconosce. « Oh, non sei tu Ode-
risi da Gubbio, il celeberrimo miniatore t»
« Fratello, la mia fama ò già oscurata dA
Franco bolognese. In vita non l'avrei
oonfessato per la mia superbia, della
quale qui nel Purgatorio bisogna pagare
il fio. » «
Odorisi da Gubbio, nel ducato d'Ur-
bino, fti celebre miniatore della seconda
metà del secolo XIII. Di lui Tatari, ViU
I, 312 (ed. MUanéti I, 884) : «Fu in que-
sto tempo in Roma Oderigi d'Agobbio,
eccellente miniatore in que' tempi, il
quale condotto perciò dal papa miniò
molti libri per la Libreria di palaazo,
che sono in gran parte oggi consumati
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[«Boo rauco]
PUBG. II. 74-89 [0DBBI8I D'AOOBBIO] 455
7<
79
Ed un di lor, non questi che parlava,
Si torse sotto il peso che lo impaccia,
E videmi e conobbemi e chiamava,
Tenendo gli occhi con fatica fisi
A me, che tatto chin con loro andava.
«Oh I » dissi Ini : < Non se' tu Odorisi,
L'onor d'Agobbio, e l'onor di quell'arte
Che <' alluminare „ chiamata è in Parisi? :
« Frate, » diss' egli, « più ridon le carte
Che pennelleggia Franco bolognese :
L'onor è tutto or suo, e mio in parte.
Ben non sare' io stato A cortese.
Mentre ch'io vissi, per lo gran disio
Dell'eccellenza, ove mio core intese.
Di tal superbia qui si paga il fio ;
Ed ancor non sarei qui, se non fosse
èJ tempo. B nel mio libro de* dieefiii an-
tfehi «ODO alenne reliquie di man propria
ài ooekoi, ohe in Tero fta valent' nomo. »
Vel 1268 e 1271 era a Bologna; andò nel
12t5 a Bomn, dove mori nel 1299. Dae
HeaaaU miniati, di gran ralore, nella
canooiea di S. Pietro in Boma, si ore-
dono opem sna. Del reeto cfìr. Tira-
hQ9dù, Lttt. iUU, lY, 522 e seg. BaUU-
muei, ffcHzié de* prqfenori di dimgno
1, 162. Lanzi, Storia pittorica deU' Italia
U. 11. Barlow, OmitrilmHonM, 216 e eeg.
Bau., 214.
Di Franco bolognese abbiamo scarse
notixie, ed anohe i oomm. ant. ne sape-
▼ano pooo o nolla. Il Vasari, 1. o.: « Fa
molto miglior maestro di Odorisi, Franco
bolognese miniatore, che per lo stesso
papa e per la stessa Libreria ne* mede-
iimi tem^ layorò assai cose eooellente-
nente in quella maniera, come si paò
▼edere nel detto libro, doTO ho di sna
anno disegni di pitture e di minio, e fra
«Sii an*aqailn molto ben Iktta, ed un
leene che rompe%n albero, bellissimo. »
VcO. e Dan. ailbrmano che Franco fa
discepolo di Odorisi. Alcuni lo dicono
fimd^ore éì un'Accademia di pittura a
Bologna (T). Pare che fòsse ancor viro
nel 1800. Cftr. KugUr, Kvnslge»ekichte
n*. 198. ìlaiz.'Tot., Voeié pasti, 90-96.
BarUne, (MmtHb., 216. Om. Lipt, U, 189.
76. mPAOClA: impedisce di guardare
fai su. Usa il presente «perohò nell'atto
che scrìre gli si aflkccla cosi al pensiero
e così lo mira »; Biag.
78. COH LOBO : Al. CON LUI. Dante an-
dana non con uno, ma oon tatti.
80. AOOBBIO : Al. Agubbio ; lat. Igtt-
vium ed Bugxtbium, ora Qubìrio, antica
città dell'Umbria.
81. ALLUMINARB: frauc. entuminéT; in
ital. miniare, - Parisi : lat. Paritii, oggi
Parigi. Pariti dissero gli antichi anche
in prosa.
82. BIDOM: sono pih riyamente colo-
rite e più belle a vedere.
84. lif PABTB: « quasi dica: innanzi
eh' egli venisse buon maestro, Io tenevo
il primo luogo, nò era chi a compara-
zion di me fosse in alcon prezzo; ma
dopo (hi vinto da costai, in forma che
l'onore ò tutto sao; nondimeno perchè
dopo lui lo ero dinanzi agli altri, non son
rimase sensa alcuna parte d'onore»;
Land. CoiH In sostanza anche Lan., OU.,
Benv., Buti, ecc. Dal YeU, in poi i pih in-
tesero invece : Io non ho ohe 1* onore di
essergli stato maestro. Ma che Franco
fosse discepolo di Odorisi, non si ha da
veran' altra testimonianza. Benv, lo dice
invece sao «mulo.
87. dell' BCCKLLBKZA: di ossoro tenuto
per il primo miniatore del mio tempo, alla
quale eccellenza il mio cuore aspirò e si
sforzò di arrivare.
89. QUI : e non sarei ancora qui nel
primo cerchio, ma tuttavia laggiù nel-
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56 [GIRONE PBIMO] PUBG. IL 90-98
[CIMABUB B 0
Che, poBsendo peccar, mi volsi a Dio.
0 yanagloria dell'umane posse,
Com' poco verde in sa la cima dora,
Se non è giunto dall' etati grosse 1
Credette Cimabue nella pittura
Tener lo campo, ed ora ha Giotto il grido,
Si che la fama di colui è oscura.
Cosi ha tolto l'uno all'altro Guido
La gloria della lingua; e forse è nato
Ijitìpargatorio tra* negligenti, se non
eesi fatto penitensa a tempo; ooéi
in.« OU., An, Fior,, Benv., eoe. Al.:
cm sarei qui, ma nell' Inferno; cosi
ind., Dan., Véra., LotÀb^, Br, B.,
'ot., Andr., ecc.
00. POflSiNDO: essendo ancora nella
ima vita ; nel Purgatorio le anime non
•ssono più peocare;cfr.P«r(^.XXyi»183.
V. 91-98. CinujOme a Gioito. Odorisi
ntinaa mostrando la vanità della funa
[>ndana. Come egli stesso credette di
Bere il primo miniatore e tu poi snpe-
to da Franoo bolognese, così Cimabne
sdette già di occnpare nella pittnra
primo posto; ma venne Giotto e ne
onrò la fiuna.
Giovanni Cimabne da Firense, n. cir-
1240, m. verso il 1800 o poco dopo, co-
ire pittore, fece risorgere inltaliararte
eoa ohe era deoadata: consultò la na-
ra, corresse in parte il rettilineo del di-
sino, animò le teste, piegò i panni, e co-
Indò a collocare le figure con artifizio.
B^ sì arrogante e sì sdegnoso, che, se
r alcuno gli fosse a sua opera posto al-
n difetto, o egli da eò l'avesse veduto. . . .
mantanentoquellacosadisertava.fosso
ra quanto si volesse » ; OU, Cfr. Vasari
. ìiiUmui, I, 247 e seg. Orowé e CavaU
§eUe, Hai. Molerei 1, 161- 93. Oom. Lipt.
,101.
Giotto, figlio di Bondone dal Colle, n. a
«pignano presso Firense verso il 1266,
a l^renze 8 gennaio 1337, fti il più ce-
»re artista dei tompi di Danto, con cui
dicono stretto di amicisia. Fu scultore
arohitotto, ma ansi tutto uno dei som-
pittori italiani. « Tanta ftiit excellen-
< ingenii et artis huius nobilis pictoris,
od nullam rem rerum natura produzit,
am iste non reprsesentaret tam pro-
lam, ut oculns intuentlum sepe felle-
^r aoclpiens rem pictam prò vera»;
Benv. Off. Vatari I, 869 e seg.
tioo in D. e Padova, 101-102.
nueei, NoUtie dei pruif. di diaegn
e seg. Kugìer, Kun^guckiehU, j
165, 186, 198, ecc. FapanH, Dt
eondo la tradit., 85, 88 e seg.
02. OOM' : come; abbrev. usai
camento anche in prosa. Quante
tempo si mantiene viva e vige
gloria delle fecoltà dell' umano i:
e delle opere da esso prodotto,
seguono tempi di deoadensa! K<
la maneansa di opere ammirane
che non cadano in dimentioansa
dei tompi anteriori.
95. TENER: primeggiare. Seco
cuni, Danto allude qui all'epitail
a Cimabue nel Duomo di Firen»
fti seppellito:
Credidit ni Cimabet pictane eaitra
Sic tenoit vlTeni; nuno tanst astr
Ma probabilmente l' epitaffio ò fi
sui versi di Danto.
96. ft 08CUBA: Al. OSCURA, OiOJ
clissando.
y . 97-99. 1 duo OuidL Altro e
della vanità della fema mondana
dalla storia lettoraria del tempo.
Cavalcanti dnf. X, 60) ha tolto a
Gninicelli (cfr. Purg, XXVI, 92) U
della lingua (U Poh intende di Gui^
Colonne, superato in eccellenza di
. Gninicelli), e forse è già nato ohi i
volta la toglierà a Guido Cavi
Molti si avvisano che Danto parli
sé stesso, nella lingua volgare e )
di gran lunga superiore al Cavi
Che Danto avesse la piena oosdei
proprio valore, tutti sanno; che :
esente da superbia, confesserà tr
egli stesso (Pwg. Xm, 136 e se|
ohe pecchi di superbia per l'aj
qui, nel cerchio dei superbi, que
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[OIBOVB PBIMO]
PtTRG. XI. 99-108 [FAMA MONDANA] 457
100
103
106
Ohi Fimo e l'altro caccerà dì nido.
Non è il mondan remore altro che nn fiato
Di vento, ch'or vien quinci ed or vien quindi,
£ mata nome, perchè muta lato.
Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
Da te la carne, che se fossi morto
Innanzi che la$cias8Ì il " pappo „ e il '^ dindi „ ,
Pria che passin mill' anni? Oh' ò più corto
Spazio all' etemo, che nn mover di ciglia
Al cerchio che più tardi in cielo è torto.
ri itenta a crederlo. Inoltre, o ohe Dente
non a^eve di eeeere già nato! B se lo 8ft-
peya, per<diè dio* egli dnbitattremente
/Hve è nato! Qoel /orie, riferendosi eri-
éeniemente » noto, esdnde ogni possi-
bOftà di ammettore olio il Poeto alluda
a Bè medesimo, nel qnal esso avrebbe
detto: •'Egide nato ohi l'ano e V altro
ftnrse oaoeerà di nido. »Dante parla qnl
in generale, avendo il pensiero alla legge
enmirtata, ohe le glorie di on dato tempo
osonraio quelle del passato. Cfir. per ol-
tetioii notisie su questi versi Oom. JApt,
n, 192 e seg. Sopra Goido Cavalcanti
eome poeta ofr. Bartdi, LeU, Ual. IV,
135 e seg.
09. PI mx) X Al. D£L HIDO. « Me liber-
tino natmn patre et in tonni re Maiores
pennas nido extendisse loqnerls »{ ^o-
rof., Bp. I, XX, 20 e seg.
V. 100-108. ViMMÌtA4éaaf amammo
dona. Dopo gli esempi addotti, Odorisi
oontlnaa pennelleggiando snUe generali
hi vanità della Cuna ohe si acquisto in
questo mondo, fi pari al vento ohe spira
ora in una, ora in un'altra diredone, e
cambia nome secondo le varie parti dalle
quali spira. Qual maggior &ma avrai tu
da qui a mille anni se muori vecchio, ohe
non avresti se tu fossi morto ancor bam-
bfnof Ma, in paragone dell'etomito, mille
anni nono meno <die un muover di ciglia
pMagonato al moto del cielo stollato,
che è di« un grado in cento anni » (Oimv.
n, 15), onde per l'intiera livoluaionegli
oooorrono 360 seooli.
100. BOMOHB : fiona. * Diditur hio su-
Mio Trqlana per agmina rumor »; Yirg.,
As». Vn, lii. - FUTO: « Ad noe vix te-
nnis Cun» perlaUtur aura »; Yirg. Atn,
vn, 64«.
102. LATO : « Qui piomo] quasi flos egre-
ditor et oonteritnr, et ftagtt velut umbra,
et numquam in eodem stotn permanet »;
Job. xrv, 2.
103. vocB: Al. FiJCÀ.-8cnrDi: separi,
deponi.
106. IL PAPPO K IL DDfDI : vocÌ in&n-
tili, pappo per pane, dindi per denari.
107. ALL'BTBiUfO: in paragone del-
Tetomità. < Mille anni ante ccnlos tnos
tomqnam dies hestoma, qusB pr»toriit,
et custodia in nooto •; Ptal. LXXXTX, 4.
108. AL CKRCHio : paragonato al moto
del cielo stollato, sol quale vedasi la n.
100-108 in line.
V. 109-142. Provenzan Salvani, Ad
ultorìore conferma delle sue parole, Ode-
risi adduce im nuovo esempio, tolto dalla
storia politica del tompo. « Mira colui che
va ood lento dlnansi a me, per il grave
peso ohe porto I Tutto Toscana lo cele-
brava nn di ; ed ora egli è appena men-
aionato in Siena, della quale fu signore al
tompo della battoglia di Mont' Aperti. »
« Chi ò egllf » dimanda il Poeta, e É
Provensan Salvani, che per superbia si
fece signore di Siena. » « Ma come ò già
qui, mentre dovrebbe essere tuttora nel-
l'Antipurgatorio f > € Vivendo si umiliò
a mendicare per l'amico, il quale atto gli
frutto di essere ammesso nel Purgatorio
senaa dover aapettore nell'Antipurgato-
rio tanto tempo quanto visse. > - « Hn-
milia to in omnibus, et coram Deo inve-
nies gratiam »; Eoel. Ili, 20.
Provenzan Salvani da Siena, ghibel-
lino, valento nelle cose di guerra e della
pace, era al sommo del governo di Siena,
quando i Fiorentini ftarono sconfitti a
Mont' Aperti (4 settomb. 1200). Fu « su-
perbissima persona, e uomo di grande af-
flare > } La/n. Essendo governatore di Siena
nel 1269, quando i Fiorentini sconfissero
i Sanesi appiè di Colle di Valdelsa, Pro-
vensano « fa preso, e tagliatogli il capo
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t58 [GIBONE PRIMO] PlTBG. XI. 109-128 [PBOY. SAI
DO Colui che del cammìn si poco piglia
Dinanzi a me, Toscana sonò tutta;
Ed ora appena in Siena sen pispiglia,
12 Ond'era sire, quando fa distratta
La rabbia fiorentina, che superba
Fu a quel tempo, si com'era è putta.
15 La vostra nominanza è color d' erba,
Che Tiene e va e quei la discolora,
Per cui eir esce della terra acerba. »
18 Ed io a lui: «Lo tuo ver dir m'incuora
Buona umiltà, e gran tumor m'appiani:
Ma chi è quei, di cui tu parlavi ora? »
21 « Quegli è » rispose, « Provenzali Salvani;
Ed è qui, perchè fu presuntuoso
A recar Siena tutta alle sue mani.
24 Ito è cosi, e va senza riposo,
Poi che mori: cotal moneta rende
A satisfar chi è di là tropp'oso. »
27 Ed io : € Se quello spirito che attende,
Pria che si penta, l'orlo della vita,
per tatto il campo portato fitto in en vani era il maggiore del popolo
na lancia. E bene s'adempiè la profesla na » ; Q. VOI. VI, 77. - distbuti
revelasione ohe gli aveva fatta il dia- O. ViU, VI, 78.
olo per via dMnoanteaimo, ma non la in- 114. putta : vile, venale e flac
Me; ohd avendolo fatto costringere per 115. brba: « Chnnis caro fceu
»pere come capiterebbe in quella oste, omnfs gloria eins qnasl fios agri
lendacemente rispooee e disse : Anderai XL, 0. - « Omnis caro sicnt ftaann:
eombatUrai vincerai no morrai alla bat- rascet »; EeeUi. XIV, 18. Vedi poi
iglia e la tua tuta fia la più alta del LI, 12. Ptal. LXXXIX, 6; GII, 1
smpo; ed egli, credendo avere la vittoria 116. qubt: il sole eoi ano ca
er quelle parole, e credendo rimanere uscire dalla terra l'erba tenera ed
ignoro sopra tutti, non fece il punto alla torà, la dissecca poi e discolora,
illacia, ove disse: vincerai no, mar- tempo fa nascere la fama e la disi
ai, ecc. > O. Fitl. VII, 31. Biavuto nello - discolora : « Decoloravit me
bosso anno il reggimento di Slena, i Oant, I, 6.
ruelfl distrussero le case ed ogni altra 118. m'incuora : m'imprime nel
lemoria del Salvani. Ctr, Aquarone, D. 119. m'appiani : m'ablMMsl gran
fi Siena, 112 e seg. fletca d'animo, cioè superbia.
100. COLUI: caso obliquo; tutta la To- 124. cosi: pigliando del oam
Muna lo celebrava. - piglia : va tanto poco, v. 100, a motivo del gra^
mto. ohe gli convien portare.
HO. SONÒ: « fu grande uomo in Siena 125. cotal : cotal moneta pi
l suo tempo dopo la vittoria ch'ebbe a soddisfuione, cioè con questa pei
[ontaperti, e guidava tutta la città, e deve soddisfue alla divina giusti
atta parte ghibellina di Toscana (àoea nella prima vita fìi troppo ardito
spo di lui, e era molto presuntuoso di rario, superbo.
oa volontà »; G. ViU. VII, 81. 127. ATTENDE: differisce la p«
112. bibb: signore. « Provensano Sai- sino agli estremi della saa vita.
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[enoms pbimo]
PUBG. XI. 12^142 [PBOY. SALTINI] 459
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Laggiù dimora e quassù non ascende.
Se buona orazion lui non aita,
Prima che passi tempo quanto visse,
Come fu la venuta a lui largita? »
« Quando vìveva più glorioso, » disse,
« Liberamente nel Campo di Siena,
Ogni vergogna deposta, s'affisse;
E li, per trar l'amico suo di pena.
Che sostenea nella prìgion di Carlo,
Si condusse a tremar per ogni vena.
Più non dirò, e scuro so che parlo ;
Ma poco tempo andrà che ì tuoi vicini
Faranno si, che tu potrai chiosarlo.
Quest' opera gli tolse quei confini. »
129. LAGGIÙ : nell^Antiporgatorìo; ofr.
Pìtrg. IV. 127 e Mg.
130. BUOHA: cfr. Purg. HI, 146; IV, 184
112. YESUTA : qaustl. - LABGITA : OOD-
temm sabito dopo la sua morto, v. 125.
133. OLORlOflo : qnando era il più ono-
rato oome aigiiore di Siena ed II suo nome
TisiMHiaTa glorioso in tatto la Toscana.
134. LtBBBAMKNTB: spontaneamento,
efr. Par. XXXIII, 18. - Campo : la pias-
la naggiore della città di Siena, doye si
oorrera n palio.
135. B*AFru8K! d fermò.
136. B li : Al. SOLI. - AMICO : Vinca (o
forse Mino dei Mini ; cft*. O. Rondoni,
TnuKz.popoUtri, Firenze. 1886, p. 187>, il
qnale neUrn battaglia di Tagllaoozeo aveva
eombattato per Corradino contro Carlo I
d'ABgSÒ. Lan.: « Lo re Carlo avea in pri-
gione ano sno amico, e paoseli lo detto
re ona taglia di X mila Oorìni d'oro, che
li dov-asae pagare infra nn mese, altri-
meati ellì intendeadi fSBirlomorire. Venne
la noTeUa al detto messer Provensano,
ad avendo temensa dell' amico ano, fece
peserà ano banco con ano toppeto salla
r^-TTi di Siena, e poosevisi a seder saso,
e domandava ai senesi vergognoeamento,
eb'elll lo doveesino aiatare in qnesto soa
MsognA di alcoaa moneto, non sforzando
persona, ma nmllemento domandando
alato; e veggendo li Senesi il signore
loro, che solca esser snperbo, dimandare
cosi grasiosamento, si commossone a ple-
tade e ciascano seooado sno podere gli
dava alato; lo re Carlo ebbe li X mila fio-
rini e '1 prigioniero ftaor di carcere, libe-
rato dalla iniqaità del re predetto. > Lo
stesso ripetono Ott., An. Fior,, e gli altri
antichi vanno essenzlalroento d'accordo.
188. A TBBMAR : a provare qnel brivido,
qael penoso commovimento, che sento
ogni animo nobile ed altiero, costretto
ad invocare l'altrai soccorso.
139. scuuo : per chiunque non ha espc-
rimentoto quanto costi II mendicare ad
un'anima gentile, qnel tremar per ogni
vena è di difficile intolligenza.
140. VICINI: Fiorentini, tuoi concitta-
dini; cfr. Inf. XVII, 68.
141. FARANNO: esiliandoti e confiscan-
doti i boni ridurranno to stesso a tremar
per ogni vena, onde intonderai per pro-
pria esperienza quanto costi il mendicare,
oome fece Provenzan Salvani ; cfr. Par,
XVII, 68 e seg. Cfonp. 1, 3. - chiobablo :
commentarlo, spiegarlo; cfr. J^. XV, 89.
142. opera: quest'atto di amore e di
umiltà gli frutto la remissione dell' An-
tipurgatorio.
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460 [OIBOHI PBIMO] PUBO. xn. 1-11
[PASSO ACCKLSBATO]
CANTO DECIMOSECONDO
amoNE PBIMO : superbia
ESEMPI DI SUPERBIA PUKITA, l'aHGELO DELL'UMILTÀ
SALITA AL GIROlfB 8EC0HD0
10
Di pari, come bnoi che vanno a giogo,
M'andava io con quella anima carca,
Fin che il sofferse il dolce pedagogo.
Ma quando disse: « Lascia lui, e varca;
Che qui è baon con la vela e coi remi,
Quantunque può ciascun, pinger sua barca > ;
Dritto, si come andar vuoisi, rife'mi
Con la persona, awegna che i pensieri
Mi rimanessero e chinati e scemi.
Io m'era mosso, e seguia volentieri
Del mio maestro i passi, ed ambedue
V. 1-0. XI pano accelerato. Sin qui
Danto oammiiiftT» oblno accanto ad Ode-
rUi, onde i dae procedevano insieme a
passo lento ed egnale, come dne bnoi
sotto il giogo. Ora Vir^^o gli dice di la-
sciare Odorisi, ammonendolo che nella
regione della penitonsa è bene che d*-
scnno si adoperi a camminAre qnanto
piti paò ; onde Danto si rialta, e cammina
come è natarale a chi non ò oppresso dal
peso che portano quelle anime.
1. BUOI: il paragone è indielo di nmiltà {
ofr. Hom., 11. XIII, 004 e seg. In senso
opposto Stazio {Theb, 1, 181 e seg.) : « Sic,
nbi delectos per torva armenta iavencos
AgriooU imposito scoiare afifectat aratro;
DIi indlgn«ntes.... In diversa trahnnt. »
2. m'andava: Al. r'amdava.-quklla :
Al. QUESTA. - OABCA : Caricata. « Anima
qno» tristis est saper magnitndine mali,
et incedit curva, et infirma, et ocnli de-
flcientes, et anima esoriens dat tibi glo-
Tlam et instltiam Domino »j Baruch
II, 18.
8. PKDAGOGO : maestro ; nuova espres-
sione di umiltà. « Lex pedagogns noster
ftiit»:(7a/.UI,24.
4. VABCA: va' oltre, procedi avanti.
5. VELA : con ogni sforzo dell'anima e
del corpo. YelU remisqxts eontendere.
7. VU0L8I: come è più naturale ohe
l'uomo vada.
8. AVVEONA: quantunque i miei pen-
sieri rimanessero depressi ed umiliati.
Perchè? < Avendomi Odorisi predetto (die
presto avrei provato il peso di pregare
altrui » rispondono gli uni (2ian., OU.,
An, Fior,, Folto Boee., Ben9., BuH,
Dan., ecc.). Ma non era nuova agU orec-
chi suoi tale arra {If\f. XV, 04). Altri : Pei
veduti effetti della superbÌA(£«nd., VctO.,
Lomb. ed il più dei moderni). Al.: Per
la compassione che io aveva di Oderlsi
(Veli., ecc.). Ma le anime dd Purgatorio,
essendo in luogo di salvacione, non sono
da compiangere.
V. 10-24. ItUoffU sul pavime»tt0.
Nella ripa intorna sono rafiSgnrati esempi
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[enom pbimo]
Puro. zìi. 12-26 [ihtagli sul patim.] 461
13
1«
23
25
Già mostravam oom' eravam leggieri,
Quando mi disse: < Volgi gli occhi in gi&e !
Buon ti sarà, per tranquillar la via,
Veder lo letto delle piante tne. »
Come, perchè di lor memoria sia,
Sopra i sepolti le tombe terragne
Portan segnato quel eh' elli eran pria,
Onde li molte yolte se ne piagne
Per la puntura della rimembranza.
Che solo ai pii dà delle calcagno;
SI Tid'io 11, ma di miglior sembianza,
Secondo l'artificio, figurato
Quanto per via di fuor del monte avanza.
Vedea colui che fu nobil creato
Più ch'altra creatura, giù dal cielo
di oMlltà (FMry. X, 81 e aeg.), nel piano
Miiyeteo éi questo eerehlo sono Inreoe
iiptireeeMtiti eeempi di soperMn poni-
U, al qiMli YirgìUo rende attento il ano
alumo, affinchè ne tragga argomento
ad mnSlianl e ad eeeroitani nella Tirtù
deQ' umiltà.
13. M08TBATAM: non andando corri e
lenti come qnelle anime sotto 1 gravi
loro pesi, ma diritti e speditL
13. QUAXDO: AL qUAHD'SL- TOLGI:
il peso che le cnrra, costringe qnelle ani-
me a goardare contìnoamento gli esempi
di soperbia punita intagliati nel piano
marmoreo snl qoale camminano; Danto
Io fli in-rece dietro Tammoniaione di Yir-
gOio.
14. nLàHQUILUUl: Al. PBB ALLlOaUB.
15. LO utTTO: il piano snl qaale po-
sano i tnoi piedL
17. TSBE^onE: « tombe sotterranee (o
plmttoMo al pmri eoi terreno) coperto con
semplice pietra o scritta o figurato sol
parimento, l'opposto dsl monomenti ohe
si dorano snl sodo »; Bl. Le scnltore
deUa superbia, qnasi in laogo di poni-
sione o di vitupero, si veggono nel doro
pavimento, che deve esser pesto dai lenti
passi de' pentiti che si sggirano intomo
si monto. Cfr. Pereg, SttU eerchi, 119.
18. BLU: i sepolti. AL quiL oh'bqu
i&iL, cioè il sepolto.
19. on>B: parenti, congiunti ed amid
piangono dove sono tali tombe, che ri-
rMamano loro vivamento alla memoria
il deftuto, mostrandone V immagine, o il
nome, o gli emblemi. - sic hs fiaork:
Al. ai mnAOMB.
20. ruimiBA : « per la ricordansa che
dà ddore a chi U amava »; BuU,
21. CHK SOLO : la qode ricordansa ad-
dolora soltanto gli animi pietod, non i
dori, che per i loro morti non sentono
nulla. 11 terminedar dtU» otUeagnéé tdto
dd cavaliere che colle cdcagna sudo sti-
molare il destriero.
22. DI MiauoR: oon più perfetto rap-
presentadone; cfr. Purg, X, 81 e seg.
2S. L'ABTirioiO: « qoia subtiliuset ar-
tifldalius videbantur figurare, qoia non
arto hnmana sed divina »; Bmv.
24. QUAirro : tutto II primo balio del
Purgatorio che sporge dalla costo dd
monto per servire di via d penitentL
Y. 26-27. JAteiferOf primo ssstjito
di SMiporMa punita. Tre esempi di
umiltà esdtoto (Purg, X, 28-M), e in-
vece tredici ao + 8) esempi di superbia
oppressa. H primo è di Lodfbro, creato
più nobile degli dtrl angeli (cfr. Tkom.,
Aq., Sum, theoL I, 63, 7) che cade dd
ddo come fdgore, essendod insuperbito
contro U suo Creatore t cfr. Luo. X,
18. Inf. XXXIV, 121 e seg. Si noti l'ar-
tifldo di questo passo, dd v. 25 d 88 :
le quattro prime torsine cominciano con
Védeai le quattro segoenti con O, e le
dtre quattro oon Jfoftrova; 1* ultima pd
riassume ed accoglie insieme tott' e tre
le parole.
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[GIBONB PRIMO] PURO. XII. 27-40
[SS. DI SX7P]
Folgoreggiando scender da un lato.
Vedea Brìarèo, fitto dal telo
Celestial, giacer dall'altra parte,
Grave alla terra per lo mortai gelo.
Védea Timbrèo, vedea Pallade e Marte,
Armati ancora, intorno al padre loro,
Mirar le membra de' giganti sparte.
Vedea Nembròt a piò del gran lavoro,
Quasi smarrito, e riguardar le genti.
Che in Sennaar con lui superbi foro.
0 Niobò, con che occhi dolenti
Vedea io te, segnata in su la strada.
Tra sette e sette tuoi figliuoli spenti !
0 Saul, come in su la propria spada
27. DA US LATO t ooBtr. Vedéa da un
Uo, cioè da an» parte di quella strada.
V. 28-30. BriarèOf §econdo ewmpio
i auperbia punita. La seconda imma-
ine tolta dalla mitologia dassioa è qaella
L Briarèo,iI gigante oentimane ohe aven-
0 preso parte alla guerra dei Titani oon-
ro gli Dei, oadde trafitto dalla saetta di
ioye e ta sepolto sotto il monte Etna ;
Cr. Inf. XXXI, 98.
29. ALTEA: yedea giacer Briaròo dal
ito opposto a qaello dove si Tederà La-
ifero.
80. ORA VE : pesante, perchè già morto ;
'eU. eco. Doloroso alla terra saa madre ;
»an., Vent., Lotnb., ecc. Cfìr. Inf. XXXI,
ì : « smisurato Briaròo »; dunque assai
rave, cioè pesante.
V. 81-83. I giffatUi vitiH da Pai-
tde, termo Metnpio di wuperhiaptM^
ita. Apollo, Minerva e Marte, tutti e tre
Dcora in armi, sono raffigurati intomo a
love, in atto di mirare le sparse mem-
ra dei giganti vinti nella pugna di Fie-
ra; cfr. Ovid., Met. X, 150 e seg. Slot.,
heb, II, 597 e seg.
31. TiMBBio : Apollo, cosi chiamato da
imbra, dttà della Troade, dove aveva
n tempio; cfr. Virg., Georg. IV, 328.
£n. Ili, 85. -Pallade: Minerva.
32. PADRE: Giove.
88. 8PABTB: « Cecini plectro graviore
igaatas Sparsaque Phlegrels viotrioia
ilmtna campis »; Ovid., Metam. X, 150
seg.
V. 84-86. Netnitrot, quarto eaompio
i superbia punita. Questo esempio è
tolto dalla mitologia biblica. H ,
Kembrot (cfr. Inf, XXXI, 77),
principale dolman lavoro, cioè deJ
di Babele, èrafflgurato al pie di ea
nella pianura di Sennaar (cfr. G^n
XI, 2) in atto di uomo smarrito
concisione delle lingue, onde e|
suoi compagni non s'intendono
36. SUPERBI : edificavano la to
acquistarsi fama, cfr. Oen, XI,
COE LUI mSISUE FORO : Cfr. Ckm
II, 201. BetH II, 48 e seg.
V. 37-89. Niobe, quinto osem
mtperbia punita. Niobe, gr.
figlia di Tantalo e di Dione, m
Anfione re di Tebe, insuperbits
ricchessa, bellessa, potenBa,diso(
dagli dèi , e della numerosa prole (7
figlie), prelendevache I Tebani em
sero a lei piuttosto ohe a Latona ;
lo si vendicò facendo uccidere da
e Diana tutta la famiglia di Kiob<
di frecce ; onde Niobe, resa stu|
dolore, fri tramutata in una stati
Ovid,, Met. VI, 146-312. Hom., II.
602 e seg.
38. ssonata: effigiata, intagli
39. BETTE : secondo Euripide ed
Niobe aveva sette figli e sette fig
V. 40-42. Saul, primo re 4^1
sesto esemjp<o di auperbia pun
sesta rappresentazione è quell
morte di Saul ohe, vinto In batta
Filistei, per non cadere vivo nel
dei nemici, si lasciò cadere su la
spada e mori insieme co' suoi tre fi
ofr.IJ^^. XXXI.lFaral. X. 4
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[aaovB PBiMo]
POBG. XII. 41-52 [B8. DI SUPERBIA] 463
46
Quivi parevi morto in Gelboò,
Che poi non senti pioggia nò rogiada!
O folle Aragne, si vedea io te
Già mezza aragna, trista in su gli stracci
Dell'opera che mal per te si feM
O Iloboam, già non par che minacci
Quivi il tuo segno; ma pien di spavento
Nel porta un carro, prima che altri il cacci.
Mostrava ancor lo duro pavimento j^
Come Almeon a sua madre fé' caro
Parer lo sventurato adornamento.
Mostrava come i figli si gittaro
n. GKLBoft; j^aS^ (- ya^ Sa
socfento gorgogUanto)» Gilbóa, monta-
gM ddto Paleattn» a ponente di Soito-
polL CAr. BMmon, PalSttina, IH, 288
e Mg..iOO e aeg., BitUr, FtOàitina und
Syriem, II, i, 408 e oeg.
i2. XOH Bmmìi secondo l'impreoasione
di DaTld». n Beg. I, 21 (Montee Gel.
bo8, noe roe, neo plavla Toniant raper
T«e, ne<iiie aint agri primitlanun), ohe
Dante aappone avverata.
V. 43-45. Aragne, 9eiUmo «•empie
MmtperbiapuMita, Aragne, la superba
tssiitrioe di Lidia (efr. Inf, XVII, 18) fti
tnmntat* in ragno per aver osato di sfi-
dare Minerra a ehi tessesse meglio ; ofìr.
Ovid., ÈtieL VI. 5-145.Dante vede scotpiU
Aragae nel momento in cni la trasforma-
lioDe non era aaoora oompinta, restando
4eUa donna ancor tanto da potersene ve-
éare il dolore.
44. ARAOMAi ragno; Al. baqiia. lei.
ebe distnigge il premeditato ginooo di
pnoto. - fiTSAOCX: pesai della tela, che
Fillade le straodò in fscda.
45. MAL: che ta fltfesti per il tno male.
V. 46-48. Boboam, ottavo esempio
dC sMperèla putUta. Morto Salomone
re disraele, gì' Israeliti chiesero a Bo-
boamoalleggerimente delle gravesie; ma
«gli, per oonsigUo de' giovani, rispose al
pspsio oon parole di superba minaccia;
onde died tribù si ribellarono a Ini, e e
Are BoiNMHno sa& prestamente sopra nn
eoko per fuggirsene a Gemsalemme. »
Cfr. m Beg. Xn, M8. II Parai, X,
1-19.
4e. imACOi: avoTa minaodato. « Fa-
ter meos posnit snper vos ingnm grave,
ego antem addam saper ingnm vestmm ;
pater mena ceddlt vos flagellis, ego an-
tem cedam vos scorplonibos »; HI Bég.
XII, 11.
47. BBGNO : lat. tignum / la tna imagine
intagliata nel marmo.
48. GABBO : e Porro rex Boboam fbsti-
nns ascendit cnrmm, et ftaglt in lem-
salem >; m Bég. XII, 18.
Y. 49-51. ErifUe, nono eoempio di
superbia punita, Anflarao (ofr. If)f.
XX, 84) sapeva, come indovino, che sa-
rebbe morto alla guerra contro Tebe, on-
de si nascose in un luogo noto alla sola
sua moglie Erlflle. Begalandole una col-
lana, Polinice indusse Briflle a tradire
il marito, scoprendone il nascondiglio.
Almeone, figlio di Anflarao e di Briflle,
vendicò il padre uccidendo la madre ; cfr .
ApoUod. Ili, «, 2. Diod. Sie. IV, 67. Hy-
gin., Fab., 80. Virg.» Am. VI, 445 e seg.
51. BVKNTUBATO: la collana regalata
da Polinice ad Briflle aveva la virtù di
rendere infelice chi la possedesse; cfr.
JaUoì. ad SUU„ Th^. U, 272. Parthm.
EroL, 25. Ovid., M«t, IX, 407 e seg.
Y. 52-54. Sonnaéheriby re d'AsH-
ria, deeinto esempio di auperbia fm-
nita. Sennaoherib, re degli Assiri, sfidò
superbamente Bsechia, re di Giuda, fa-
cendosi beffe della flduda di lui in Dio.
TTn angelo sterminò il suo eserdto, e Sen-
naoherib ritornò svergognato a Kinive,
dorè ta nodso da* suoi flgliuoli, mentre
adorava nel tempio; confronta lY J2«g.
XVm, 18 ; XIX, 87. Itaia XXXYI, 1 ;
XXXVn, 88. >
52. MOBTBAVA: loduro pavimento, v. 49.
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[64 [GIRONE PRIMO] PURG. XII. 53-64
[E8. DI SUPl
Sopra Sennacherlb dentro dal tempio,
E come, morto lai, quivi il lasciare.
Mostrava la mina e il crudo scempio
Che fe'Tamiri, quando disse a Ciro :
« Sangue sitisti, ed io di sangue t'empio. »
Mostrava come in rotta si fuggirò
Gli Assiri, poi che fu morto Oloferne,
Ed anche le reliquie del martire.
Vedea Troia in cenere e in caverne:
0 Ilion, come te basso e vile
Mostrava il segno che li si disceme !
Qual di pennel fu maestro o di stile.
54. LABCIABO : ftiggondosene nel paese
1 Aiant. « Fngerantqoe in temun Ar-
aenionim »; IV Beg, XIX, 37. Al. qui-
1 IiASCIARO.
V. 56-57. €HrOf undéeitno esempio
li euperhia pituita, Erodoto (1, 105 e
egi) e Qiostino (1, 8) raooonUno che Ta-
niri, regina degli Sciti, sdegnata contro
Hro ohe le aveva nooiso il figlinolo dl-
preesando superbamente le rimostran-
e di lei, fece ricercare il corpo morto di
^ro; e, ritrovatolo, gli fece tagliare il
apo e qnello gettare in nn otre pieno di
angue umano, dicendo: /S'oziati ormai
li tangue, del quale aveeH in vita tanta
ste! Il racconto ò fikvoloso, ma ai tempi
i Dante si credeva nn tktto storico.
>el resto snlla morte di Ciro non si
anDo certe ed indisontibili notiaie ; ofr.
?ncic2., p. 383 e seg.
55. LA BUINA : < stragem et csedem ma-
nam exercitns, e'ierudo te&mpio, idest,
t ezemplom crudele non imitabile »;
ìenv,
57. 8ITI8TI i avesti sete di sangue. ^SV-
Ire per aver aete dissero pure altri scrit-
ori antichi.
V. 58-60. Oloferne, duodecimo eaem^
io di 8tiperhia punita, Oloferne, ge-
erale del re d'Assiria, spedito a seggio-
are i popoli d' occidente, strinse d' asso-
lo una città della Giudea, detta Betulia,
tie, priva d'acqua, era 11 per arrendersi,
nando la bella vedova Giuditta si risolse
l liberarla. Andò al campo nemico, fece
mamoraie Oloferne di so, lo nooiae di
otte e ritornò a Betulia portandone seco
capo troncato. Gli Assiri! si misero
nindi in fuga e fbrono pienamente di-
btU; ofr. JuOUk XI e seg.
60. SKUQUB ! il corpo di Oloiém
del capo ; ofr. JudUh XTV, 4, 16
intendono invece degli Assilli m<
campo (Lan., Benv., VeU., JMm.,
Lomb., ecc.); altri dd oapo di 01
portato dai Giudei sovra un' ast
Fior,, Pett. Dant,, BvU, eoo.). Cft
Lipt. n, 205.
V. 61-63. Troia, deeimoter»o
timo eaetnpio di niporbia p
AUa superbia del Troiani, Dante
più volte; Ir\f, I, 75; XXX, 14, «
la distruiione e l'incendio di Tre
Dione è l'ultimo esempio di super
pressa. Per Troia intende la citi
Ilion la fortesaa, o rocca di Troi
Lan., OU., An. Fior., Bvti, eco. Al
la provincia, lUon la città {VéU.,
Biag., ecc.); ma la provincia noi
dotta in cenere e in eaoeme. Al. 2^
Ilion la città, chiamata con due
(Benv., Voi,» Lomb., FraL, Bl., *
che due nomi per la stessa dttà
61. GAVEBNB: ammasai di rovi
manti delle grotte.
63. IL SBGNO : la Scultura, U b
Uovo che si vede colà.
V. 64-72. B!eeeHenoa orHstiei
BouUure, Come gli esempi di
(Purg. X, 31 e seg.), cosi anche qi
superbia depressa sono rappresent
sovrumana maestria artistica, fi
il Catto, Dante apostrofk con ama
nla i mortali che insnperbisoono
gU altri.
64. O DI: Al. B DI. - STILB: v«r
sottile, che si fs di due toni di i
e un terso di stagno, e serve pe
le prime linee a dii vnol disegni
penna.
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[9IB0VB PBIMO]
Puro. xit. 65-81
[ANGXLO] 465
«7
70
78
76
7»
Che ritraesse l'ombre e i tratti, ch'ivi
Mirar farleno ogn' ingegno sottile?
Morti li morti, e i vivi parean vivi :
Non vide me' di me chi vide il vero,
Qoant'io calcai fin ohe chinato givi.
(^^Or superbite, e via col viso altiero,
^ Piglinoli d'Eva, e non chinate il volto,
^ SI che veggiate il vostro mal sentiero !
Più era già per noi del monte vòlto,
£ del cammin del sole assai più speso,
Che non stimava l'animo non sciolto ;
Quando colui, che sempre innanzi atteso
Andava, cominciò : « Drizza la testa !
Non è più tempo da gir si sospeso.
Vedi colà un angel, ohe s'appresta
Per venir verso noi ; vedi che torna
Dal servigio del di l'ancella sesta.
<6. L*01CBKB ■ I TRATTI : l'Mpetto OOm-
plfledTO della fignn ed i oontomi. Al.
L'OMBBS K OU ATTI. - CH'IVI : Al. QUIVI.
M. lOBAK: maravlgliAre. -OGN'nfGB-
6H0: Al. UH nrocoRO.
87. MOSTI : quelle figure erano di tale
eseeosloiie, che nei morti apparirano 1
eeratteri della morte, nei tìtì qaeW
della Tita; ofr. Purg. X, M e eeg.
68. HOM YIDB: ohi Al presente ai (ktti,
non vide meglio di me.
69. QUAHT* IO : per totto qndlo epasio
ohe io andai a capo ohino per guardare
qaeDe figure porgenti eoempi di super-
bia punita, d^e quaU sei sono tolte dalla
mitologia bibUca, sette dalU mitologia
70. OB: cfr, Purg. X, 121 e seg.
71. D'SvA : o diiama gli nomini jl^UtioIi
d'JVpft perohò Era fti la prima superba ohe
ToOe « eaeere come dii »; 6en. m, 5, 6; op-
pure per ricordar loro che, figli tutti della
•teasa madre, non hanno motivo d* insu-
perbire gli nni sopra gli altri. - non chi-
IATI: non abbassate gli occhi alla terra,
per vedere dove la superbia vi mena.
y. 78-90. I/tmgtUo d^UVuwMtA, I
ripiani del Purgatorio sono divisi 1* uno
Ù* altro per la riva scoscesa, e congiunti
faìsieme per difllcAU e anguste scale, che
dsIl*nno conducono all'altro. Presso al
primo gradino di ciascuna sta sempre
on ang^ che toglie 1* ultimo resticcinolo
30. — Dif. CbNiM., 4^ edis.
degli eflbtti del peccato a chi sale ad al-
tro cerchio. I sette angeli non hanno
nomi differenti, ma pur si distinguono
l'uno dall'altro; poichò ognuno canta
una delle sette l>eatitudini evangeliche
(Jfott. V, 3 e seg.), ognuno quella ohe
loda la virtù opposta al peccato che si
purga nel cerchio che le anime sono in
procinto di lasciare. Il primo, l'angelo
dell'umiltà, canta quindi le lodi dell' nmil-
tÀ, o povertà di spirito, che ò il contrario
d^a superbia, ed invita 1 due viandanti
a salire, mostrando loro la via. Ctt. Pe-
rtt, 8etU Oerehi, 05 e seg.
78. PIÙ: avevamo già percorso di quella
via circolare e speso di quella giornata
più che r animo mio, non libero, perchè
tutto assorto nella contemplasione degli
esempi di superbia punita, credesse. In
altre parole : era già più tardi che io non
credessi ; cfr. Purg. IV, 1-16.
76. ATTBBO : attento alle cose dinansi,
a ciò che appariva ; cfr. Jr\f. XTTT, 100.
77. AHDAVA : Al. M'AHDAVA, HfCOMlK-
ciò. -DBizzA : « Besploite et levate capita
vostra, quonlam appropinquat redemptio
vostra»; Lue. XXI, 28.
78. DA gir : Al. D'ANDAB. - B0BPB80 :
assorto nella oonsiderasione di queste
immagini; «Non hoc ista sibl tempus
spectMula poedt »; Virg., Aen, VI, 87.
81. l'ancella: l'ora sesta di sole; è
meszogiomo. Chiama le ore aneeUe, come
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M [GIRONE PBIMO] PUBG. XII. 83-98
[▲V<
Di riverenza gli atti e il viso adorna,
Si che i diletti lo inviarci in suso ;
Pensa che questo di mai non raggiorna. »
Io era ben del suo ammonir uso
Por di non perder tempo, si che in quella
Materia non potea parlarmi ohinso.
A noi venia la creatura bella
Bianco vestita, e nella faccia quale
Par tremolando mattutina stella.
Le braccia aperse, ed indi aperse l'ale:
Disse : « Venite : qui son presso i gradi.
Ed agevolemente omai si sale.
A questo annunzio vengon molto radi:
0 gente umana per volar su nata.
Perchè a poco vento cosi cadi ? »
Menocci ove la roccia era tagliata :
Quivi mi battéo l'ale per la fronte ;
nlnistTe del giorno ohe nasce e mnore
sol sole ; cflr. Ovid., Met. H. 118 e seg.
Purg. XXII, 118. I Poeti si sono trat-
«nati circa tre ore in questo cerchio.
82. ADORNA : « Fa' ta di adomare di
riverenza gli atti e il viso, si che al-
'angiol piaccia »; Betti, Cfr. Purg. I, 49
) seg.; II, 28 e seg.; IX, 107 e seg.
88. BÌ CHB I : AI. sì CH' «. - LO IN-
riABCI: Al. LO MENARCI.
84. NON RAGGIORNA : non ritoma plil.
( Tutte le nostre brighe, se bene reni-
no a cercare li loro principii, procedono
loasi dal non conoscere l' uso del tem-
)o »; Oonv, IV, 2. Cfr. II Oor. VI, 2.
86. USO : aTTessato. Il sno ammoni-
nento di non perder tempo mi era già
'^migliare; di modo che in tal materia
>* non poteva più parlarmi si oscnro,
)h' io non l' intendessi. Cfr. Purg. Ili,
r8. Yirg., Aen. VI, 688 e seg.
87. CHIUSO: oscuramente; oonAr. Par.
SI, 73.
88. A NOI: Al. VÈR NOI. - CRXATURA:
ingoio.
80. BLANCO: vestita di bianco; ccnfr.
?urg. II, 23. Anche nella Scrittura sa-
n-a gli angeli appariscono sempre vo-
ltiti di bianco ; confr. Jfott. XX VUI. 8.
Marea XVI, 6. Lue. XXIV, 4. Qiov.
XX, 12.
00. TREMOLANDO: sdnUUando; «sidere
polcrior»; ^ora<.. Od. III,ix,21.-«Fol-
gebnnt quasi splendor flrmament
quasi stellsB »; DanièU XII, 8.
02. GRADI: per cui si sale nel i
cerchio.
03. AGBVOLRMRNTB: domata la
bla, è fiMdle l'ascesa. I passi de* i
sono ritrosi, Purg. X, 128; soltai
milt4 ascende in alto. Conf^. 8.
Ep., 308.
04. ANNUNZIO : Al. INVITO ; of^
XXII, 14. Le parole di questa '
possono essere dell'angelo (Ott.,
Lomb., Om., Tom., FU., ecc.), o ai
maxione di Dante (Buti, Bl., e
forse impossibile decidere la quo
ctt. Oom. Lip§. II, 200 e seg. Bene
« Le parole di questo ternario i
essere et dell'angelo et dd Poe4
85. VOLAR: andare in Paradiso
nes homines conveniunt in appete
timum flnem, qui est beatitndo »
De Triti. IV in prino.
06. VXNTO : tentaaione alla sa
per conseguire quella fluna mond
quale non è altro ohe un fiato di
Purg. XI, 100 e seg. -CADI: «
perbia ohe in sembiansa inalsa, ii
atterra, laddove l'umiltà leva \
grandezsa »; Gioberti.
87. LA ROCCIA: la oosta latei
monte tagliata a modo di scala
lire; cftr. Purg. IV, 81.
98. MI BATT^: mi peroosse la
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[GimONB PRIMO]
Puro. hi. 99-105
[SCALA] 467
100
103
Poi mi promise sictira l'andata.
Come a man destra, per salire al monte
Dove siede la chiesa che soggioga
La ben guidata sopra Rabaconte,
Si rompe del montar l'ardita foga,
Per le scalee, che si fero ad etade
Ch'era sicuro il quaderno e la doga;
«oUe ali, osoeell«ndone In Ul modo 11
primo de* sette P, Mgnailyi d«Il' angelo
portiere; Pvtrg, IX. 112 e aeg.
09. MI PBOMUB: Al. CI PB01II8B.-8I-
cuBAt « Deoa hamiUbos dat gratlam »;
I Petr. V, 6.
V. 100-108. La 9eaìapereui al §alé
mi secondo cerehio. Dante paragona
quella ria per eal saliTano, alla scala di
nacigno per coi si ascende al Monte alle
Croci presso Flrenie. « Andando alla
Chimtk di santo Miniato a Monte, oh'ò
sopra il ponte Bobaconte, da FIrenxe
dalla mano deatra all'andare sa alla
Chiesa, perchò la ria è molto erta, si
fioca scaglioni di pietra per rompere la
superba salita del monte »; An. Fior, -
« A man destra nsoendo dalla porta per
andare a santo Miniato si sale alquanto
per nna sola ria. Dapoi si diTide in dne
▼le. Et quella ohe rimane a man destra
a chi sale, ha le scalee. » Land.
lOl.CHiBaA: San Mhiiato a Monte, il
pih antico tempio di Firense, che domina
specialmente quella parte della città po-
st* al disopra del ponte di Rnbaoonte,
oggi poste alle Orarie.
102. i^ BKH: la ben goremata Fi-
rense ; amara ironia ! Cft*. Purg, VI, 127
noto.- BuBAOONTS : oggi ponte alle Ora-
rie, cosi chiamato da Rabaoonte di Man-
delia, podestà di Firenze, che nel 1237 ne
pose la prima pietra e gittò la prima
eesla di caldna; ofr. a. ViU, YI, 20.
108. BOMFB : ri modera l'ecceeriTa rapi-
dità per messo degli scaloni fatti qnando
Ffrense era ancora semplice, nò vi ri nsa-
Tano tanti inganni e frodi. - l*abdita
TOQA : la eosta superba.
109. n. QOADKENO : « i pesshni dttadlni
per loro sicortà chiamorono per loro po-
destà mesecr Monfiorito da Padova, po-
vero gentflaomo, aodò ohe come tiranno
panisae, e fiirwMe della ragione torto e
ébk torto ragione, come a loro paresse.
n quale prestamente Intese la volontà
lofo» e qpeUa segni ; che assolvea e con-
dannava sansa ragione, come a loro pa-
rsa ; e tanta baldansa prese, che prie-
semente lai e la sua ftuniglia vendevano
la ginstisia, e non ne schlCavano presso,
per pioeolo o grande che ftisse. B venne
in tanto abbominio, che 1 dttadini noi
I>oterono sostenere, e feciono pigliar Ini
e dne suoi fiunigli, e fedoUo collare; e
per soa confasrione seppono delle cose,
che a molti cittadini ne segni vergogna
assri e pericolo t e vennono in discor-
dia, che r nno volea ftisse più collato, e
r ritro no. TTno di loro, che avea nome
Piero Mansaok», il fé' un' ritra volta ti-
rar sn ; il perchè confessò avere ricevuta
una testimoniansa fklsa per messer Nic-
oola Acoirioli, il perchè noi condannò ; e
fanne fktto nota. Sentendolo messer Nio-
oola ebbe paura non ri palesasse pih ; eb-
bene consiglio con messer Bride Agu-
gllonl, giudice sagacissimo e suo avvo-
cato, il qurie die modo di aver gli atti
dri notrio per vederli, e rasene quella
parte venia contro a Messer Nicoola. E
dubitando il notrio degli atti avea pre-
stati se erano tocchi, trovò il raso fatto
e aocusòlli. Fu preso messer Kiccola e
coddannato in Ure tremila; e messer
Baldo si ftiggi, ma fb oondannato in lire
duemila e confinato per uno anno. » Dino
Oomp. 1, 19. Il fatto avvenne nel 1290, ed
è raccontato dri oomm. ant. con poche
diversità. Ctr. Del Lungo II, 89 e seg.
Bneiel., 1697 e seg.
LA DOGA : « era usanza di mensurare il
sale et ritre cose con stara tette a doghe
di legname, come blgoncluoli. Un citta-
dino della famiglia de' Chiaramonteri Ai
oamerlingo a dare il arie; appresso que-
sti, qnando il ricevea dri Comune, 11 ri-
ceveva collo etrio diritto ; quando il dava
ri popolo ne trasse nna doga plcdola dello
strio, onde grossamente ne venia a gua-
dagnare. Scoperseri il fktto ; et saputa la
verità, questo cittadino fa condennato et
gravemente et vituperevolmente, onde
poi i disoendenti sooi, ohe sono antichi
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468 [GIRONE PBIMO] PUKO. III. 106-116
[CANTO ÀNOBLICO]
106
109
112
115
Cosi s'allenta la ripa che cade
Quivi ben ratta dall'altro girone;
Ma quinci e quindi l'alta pietra rade.
Noi volgendo ivi le nostre persone,
« Beati pauperes spiritu ! » voci
Gantaron si, che noi dirla sermone.
Ahi, quanto son diverse quelle foci
Dalle infernali ! Che quivi per canti
S' entra, e laggiù per lamenti feroci.
Già montavam su per gli scaglion santi,
Ed esser mi parca troppo più lieve.
nomini, esaondo loro rioordato arroeaono
et vergognonai ; et fessi in dò In lor ver-
gogna una canzonoella ohe dioea : Egli è
tratta una doga del taU Et gli ujgUi ton
tutti tdlviati, eoo. » An. Fior, Così pare
Otf ., eoo. Cftr. Par, XVI, 106. Oom. Lipt.
U, 212.
106. così : per messo di simili gradini
si rende men ardua la salita al seoondo
cerchio.
108. QUINCI : ma da ambedue le parti le
alte pareti di pietra strofinano ohi sale.
Yirg., Aen, V, 169 e seg., parlando della
nave di Cleante: « Uler Inter nayemqne
G^yffi soopalosqne sonantis Badit iter !»•
vum interior snbitoqoe priorem Priete-
rit et metis tenet a»qaora tata reliotis. »
V. 109-lU. Il canto angtUeo. Al-
l' asoire dal primo per ssdire al seoondo
cerchio, si ode cantare la prima delle bea-
titndini evangeliche : « Beati i poveri in
ispirito », MaU, V, 8, ia qaale« potest re-
ferri vel ad contemptnm divitiaram, vel
ad oontemptom honorem, qnod flt per
hnmilitatem » ; Thom. Aq„ Bum. theol,
I, II, 60, 8. n canto non procede dalle
anime {Ott., Veli., Br. B., ecc.), né da
qnelle dei soperbi (BxtH, Land., Frat.),
nò da qnelle degl' invidiosi {An. Fior.,
Bennat9.)ì nemmeno da più angeU(Xom&.,
Tom,, Cam.), ma, come in tatti gli altri
cerchi (ofr. Purg. XV, 37; XVII, 67;
XIX, 49 ; XXII, 4; XXIV, 151; XXVII,
7), chi canta la Beatitudine ò il solo an-
gelo di coi ha parlato {Oet., Andr., Pe-
rez, ecc.). Né a dò osta il piar, cakta-
Boif (Al. canta VAic), che anche altrove
Dante nsa il plorale pel sing. Per voci
cfr. Purg. XXn, 5 e Virg., Aen. I, 64.
109. VOLGENDO : mentre ci inoammina-
navamo su per qaeUa scalea.
111. BÌ: con tanta soavità da non po-
tersi esprimere oon parole. « Aodivit ar^
oana verba, qn» non lioet homini loqai »;
n Cor. xn. 4.
112. FOCI: apertare, aditi. «Inde ubi
venere ad (kaoes grave olentis Avemi »;
Virg,, Aen. YI, 201. Nel Pargatorio il
passaggio da an cerchio all'altro é ac-
compagnato da dolci canti, neirinfemo
da fieri lamenti; cfr. W. Ul, 22; IV,
26; V, 25; VI, 14; VII, 26, eco.
V. 1 15-186. Salita al Beeondo girane.
Dante, sentendosi nel montare so per gli
scaglioni assai pih leggiero ohe non fom
stato camminando sol ripiano del primo
girone, ne fs le meraviglie e lo dice a Vir-
gilio, il qoale gli risponde : « Quando gli
altri P, o segni dei peccati, segnati sulla
tua fronte dall'angelo portiere {Purg.
IX, 112), or già qnasi spenti, avendo
r angolo dell' umiltà coli' ala sna cancel-
lato il P della saperbia, radice d'ogni pec-
cato {Eed. X, 15: cfr. Thom, Aq., Bum.
theol, I, II, 81, 1, 2. II, U, 117, 2; 162. 7),
saranno spenti del totto, ta salirai non
solo sensa fatica, ma con tao gran diletto »
(cfr. Purg. XXVII, 121 e seg.). All'adire
tali parole. Dante, che ignora l' ano dei
sette P essere già cancellato dalla eoa
fronte, allarga la mano, posa le dita così
disgiunte siHla fronte e trova, ohe non
vi sono più ohe sei dei sette P. VirgiUo
sorride di compiacenza a tale atto, qnaai
congratolandosi oon Dante ohe fosse ornai
libero dal peccato in lai predominante;
Purg. XIII, 186 e seg.
116 . LIEVE : « crescente ana virtate oro-
scont omnes, nt habes exemplam in ci-
thara, In qna si debet esse debita pro-
portio sonoram, necesse est nt, quando
una oorda tenditnr, etiam oninos ali»
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[GIBONB PBIMO]
PUEG. XII. 117-136
[SALITA] 469
118
121
124
Ì37
im
133
188
Che per lo pian non mi parea davanti.
Ond'io: € Maestro, di', qnal cosa greve
Levata s' è da me, che ncdla quasi
Per me fatica andando si riceve ? »
Bispose : « Quando i P che son rimasi
Ancor nel volto tuo presso ch'estinti,
Saranno, come l'un, del tutto rasi,
Pien li tuoi pie dal buon voler si vinti,
Che non pur non fatica sentiranno,
Ma fia diletto loro esser su pinti. »
Allor fec'io, come color che vanno
Con cosa in capo non da lor saputa.
Se non che i cenni altrui sospicar fanno ;
Per che la mano ad accertar s' aiuta,
E cerca, e trova, e quell' officio adempie
Che non si può fornir per la veduta;
E con le dita della destra scempie
Trovai pur sei le lettere, che incise
Quel dalle chiavi a me sopra le tempie :
A che guardando il mio duca sorrise.
iendantiir, ne in annonia fiat dissonan-
ti*»; Bonttvmt., Oomp. theol. verit, V, 7.
117. CHS FBB LO PIAN : « Che non mi pa-
rer» eeaer camminato già innansi nel
fiano»i Betti,
118. COSA 6BKTB: qoal poBO mi è tolto,
da rendermi eoA agile e firancof
128. BASI: saranno cancellati del tatto,
emne Ò cancellato il primo.
126. FINTI : spinti. Al. B88BB SOSPUTI ;
cfr. Fwg, IV, 88 e seg.
128. OOM COSA; «alcuna yolta Tomo
porta una penna o altra cosa in capo, per
la quale gli astanti ridono, o dicono qual-
che par^ per la quale elli si mette la
mano in capo e cerca tastando, e trova
quello perchè altri si movea, che prima
non yedea »; Buti; conflr. L. Yent., 8ir
mrt., 286. ^
129. BOBPic%: sospettare; cfr. Inf,
X, 67. Al. 8UBPICCIAB.
130. LA MAHO : « Vidit onim, fEdsamque
in imagine oredens Esse fidem, digitis
ad frontem siepe relatis, Qu» vidit, te-
tigit » ; (hid., Mit. XV, 666 e seg.
131. ADBMPIB : Cs col tatto oiò cho con
la Tista non può.
133. SCBMPIB: disgiunte, allargate.
136. SOBBIBR : non già Csoendosi befb
dell'ignoranza di Dante (BuH, Land,,
VisU.), ma « gratulaudo quù placnit sibi
factum »| Btnv. Cfr. Ii^, IV, 09.
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9IB0NE SECONDO] PUBO. ZIII. 1-9 [À8PBTT0 DSL GIB<
CANTO DECIMOTERZO
aiBONE secondo: invidia
e sedati in droolo ool dorai Appoggiati ali» ooetA del monte, tVm
mo 1* altro per modo da reggerai soambievolmente oon le spalle, inde
ido nn manto di dlioio e avendo le palpebre ooelte da un filo di finn
ESEMPI DI CABITÀ, 8APIA DA SIENA
Noi eravamo al sommo della scala,
Ove secondamente si risega
Lo monte, che, salendo, altrui dismala :
Ivi cosi una cornice lega
D' intomo il poggio, come la primaia ;
Se non che Parco suo più tosto piega.
Ombra non gli ò, nò segno che si paia;
Par si la ripa, e par si la via schietta
Col livido color della petraia.
). Aspetto del ay>fi«lo girone,
laudanti sono araTatl alla aom-
la Boala, dove il aaoro Monte ai
i intomo a formare on altro ri-
roolare come il primo, ma di ml-
aetro. La via e la ripa di questo
aono di pietra lisda, sensa le
colpite del primo, ohe qui non
ro Temno scopo a mòtiTO della
Bdale dell' anime che vi si pur-
bn Ti si mostra che il livido co-
macigno.
ONDAMKNTB: per la seconda voi-
LISBOA : è quasi tagliato dalla via
;ira intomo, in modo da formare
0 droolare. Al. 81 bilxga. Gfr.
OHI,, 888 e aeg.
JDIDO: salendolo, a salirlo. - di*
libera dal male; purifica dal
1: oome nel primo girone. - lb-
onda. Un secondo ripiano gira
ali* intiero monte, per l'appunto
primo.
nuMAiA : la prima cornice, ohe è
rbi; Qtt.Jnf. V, 1 , Purg. IX, M.
6. POGA: i cerchi del Pnrgator
sondo concentrici, V interno ò sempi
curro dell'estemo. Più si sale, e se
più curvi si fuino i gironi.
7. OUBBA: nò ombreggiature di dii
né lineamenti di figure. Così i più (J
Buti, Land., VéU., Dan., Lomb.,
Altri : Ombra di albero {Lan., Ott.,
no*., ecc.); di alberi non si parla
meno nel V* girone. Al.: Non compi
li un'anima (Serrav,, Vent,, BL, i
anime ce ne sono anche qui. - ai;
cfr. W. XXm. 64. Purg. VII
Al. LÌ. - 81 PAIA ; apparisca.
8. SCHIETTA: lisda, nuda; cfr,
XIU, 5. Pwrg, I, 95. « SehUtta,
forme ; giaoohò quelli che a* erano i
sulla ripa avevano manti dello i
color della pietra, v. 48 » ; BettL
9. uviDO : colore conveniente i
vidia. « Protinus Invidi» nigro
lentia tabo Tecta petit. Domns m
in valUbus antri Abdita, sole a
non nlli pervia vento, Tristis et i
pienissima frigoria, et qun Igne
semper, caligine aemper abondet »; i
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[entOHB 8B00ND0]
Perso. XIII. 10-d4 tAPOBTB. AL BOLb) 4^1
10
18
10
1»
« Se qui per dimandar gente s'aspetta, »
Bagionaya il poeta, « io temo forse
Che troppo avrà d'indugio nostra eletta. »
Poi fisamente al sole gli occhi porse ;
Fece del destro lato al muover centro,
E la sinistra parte di so torse.
« 0 dolce lume, a cui fidanza i' entro
Per lo nuovo cammin, tu ne conduci, »
Dicea, € come condur si vuol quinc' entro :
Tu scaldi il mondo ; tu sopr'esso luci :
S' altra ragione in contrario non pronta,
Esser den sempre li tuoi raggi duci. »
Quanto di qua per un migliaio si conta.
Tanto di là eravam noi già iti,
Con poco tempo, per la voglia pronta;
Mèi. n, 700 • 86g. «FaUor in ore aedet,
BMOiea Ib oorpore to(o, Kiwqiuuii reote
•0Ì68« liTMit rubigine dentee, Peotora
falle Tlrent, Ungo» est mdhue veneno »;
ibid,, 776 e 86g.
V. 10-21. Apo9tro/è al «ole. « Con U
mgkme, Virgilio proTede ohe gl*inTÌdi
non derono, oome i aaperbi, girare ; per-
ébè l'invldin hn astio deU' andare ai-
tmi, mm non vm^ìTom», onde dice: Se
aspettiamo gente per dimnndare qoal
▼In dobbiamo prendere, temo che tar-
deremo nn po' troppo 1» noetm eoelta.
81 volge dimqae » destra, e, memore
delle parole di Catone, Purg. I, 107 e
seg., apostrofii il sole (non Dio, Lan.,
OtL, An, Fior., eoo.; nò la divina giusti-
sia, FùUo Bùoci né la Grada cooperan-
te, Bmo., BuU, Land., VM., Dan., eoo.;
ma il vero sole, In lace natorale), ohe
mostri In vin da tenere.
12. MjciTA; rierione scelta; ofr. Ario-
tic, OrU XIX, 02.
lA. FKK: essendo passato mesxodi,
Pwrg, XU, 81, i Poeti, férmi al sommo
deDn sesia, hanno il s>ile a destra; Vir-
giUo si Tolge dnnqne a destra, e per toI-
gerai tien fermo il pie destro, di che egli
fk oentro, e muove in giro il sinistro, co-
me floebbe nn compasso. - ai. muovbe :
Al. A MUOVIB.
Ifi. T0B8B: « girò lo lato manco, fn-
mate Io ritto »i AtCf.
16. vmAOZA: fidandomi di te, secondo
le parale di Catone, Pftrg. 1, 107-108.
18. dicba: Virgolo, parlando al sole.
-81 VUOL: bisogna. - quiNO' bmtbo : in
questo girone.
20. BAQIONK: Al. CAGIONS. - NON PRON-
TA: non eccita, non spinge. Se altra ra-
gione non e' indaco a tenere altra via, noi
dobbiamo segnire la direiione de' taoi
raggi, movendoci doò sempre a destra;
ctf. Purg. XXII, 128.
V. 22-30. Maria, primo eaempio di
botta carità. Fatto un miglio {migliaio,
lat. miUiarium) odono voci passanti per
l'aria, che gridano belli esempi di oa-
r^à. Gli occhi degli invidiosi nel mon-
do stavano aperti ed obllqnamente fimi a
bassi beni, mentre l' orecchio era chioso
a quelle voci di gemito che incomindano
col nostro nascimento, e son proprie ad
eccitar ben altro che invidia di questa
labile vita; ora gli occhi stanno chiusi
in tenebre e lagrime, mentre l' orecchio
beo la salutifera verità in suoni or dolci
or severi (cfir. Perez, Sette OereM, 187 e
seg.). n primo esempio di carità che si
ode risuonar per V aria, ò quello di Maria
presente alle nosse di CÙia, che, solle-
cita del bene altrui, si rivolge al diviu
Figlio colle parole: Non hanno vinot
onde Egli fece il suo primo miracolo;
cfir. Qiov. U, 1-10.
22. DI QUA ; in questo mondo. - mi-
gliaio: Al. MIGLIO.
28. DI LÀ : su per il secondo balso del
Purgatorio.
24. CON POCO : in breve, perchò vo-
gUosi di andare; conflr. Pwg. XU, 118
e seg.
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4?2 [OIBOHS SBCOHDO] PUSO. XUI. 25-3d [BSSMPI di CIBITI]
25
28
81
84
37
E verso noi volar foron sentiti,
Non però visti, spiriti| parlando
Alla mensa d'amor cortesi inviti.
La prima voce, che passò volando,
« Vinum non hahent » altamente disse,
E retro a noi l'andò reiterando;
E prima che del tutto non s* adisse
Per allongarsi, un' altra « Io sono Oreste »
Passò gridando, ed anco non s'affisse.
« Oh! » diss'io: € Padre, che voci son queste? »
E com' io domandai, ecco la terza
Dicendo : « Amate da cui male aveste. »
E '1 buon maestro : « Questo cinghio sferza
La colpa dell' invìdia, e però sono
Tratte da amor le corde della forza.
26. BPmn : inytoibUi ; forse angeli. -
PARLAKDO : proferendo Boavi inviti alla
menaa 4' amore, cioè Invitando gli spi-
riti purganti ad imitare ed eseroitare
qaèlla oarità che è la virtù opposta al-
r invidia.
27. ALLA MSH8A: a sadarsl alla mensa
di amore.
29. ALTAmtHTB: ad alta voce.
80. BEITERAHDO: dopo avere oltrepas-
sato il loogo dove erano i Poeti, la detta
voce andò ripetendo le medesime parole,
oioò : Yinum non haJbent, ^
V. 81-33. Orette, eeeondo etempio
M boUa eariUk, Prima che la distanxa
impedisse del totto di udire la prima, si
ode on* altra vooe ehe grida : Io tono
Oreste, e i>assa oltre come la prima. Ore-
ste, figlio di Agamennone e di Cliten-
nestra, si rese celebre per la soa gene-
rosa anoicisia con Pilade. Quando questi
erasi spacciato per Oreste, volendo mo-
rire in sua vece, egli, sopravvenuto,
gridò: Io tono Orette! cmde ebbe luogo
una generosa gara di carità; cfr. jS^
ripide, Ifig. Taur., 614 e seg. Xenoph.,
Sympot, Vili, 81. Fiutar., De amico-
rum muU„ 2, I, 1, p. 864. Lueian., V,
810. Ovid., Epitt. ex Ponto III. 2, 60 e
seg. Ole,, De amieMa VII, 24 ; De fin, I,
20 1 V, 22. Val. Max., IV, 7.
V. 84-36. Il preeetto evangelieo di
earitA, Mentre Dante dimanda quali
siano quelle vod, si ode la tersa che
ripete U precetto di Cristo di amare i
nemici (MaU. V. 44). La vooe Io tono
Orette addita fin dove paò giungere nel-
l'amore la ben disposta natura; la Toee
Amatt da ewi male avettt accenna il su-
blime termine, a cui deve giungete la na-
tura illuminata dalla graaia. La teooiida
invita a generosi sacfiflsl l'amore degU
amid; la tersa Indica ai ouotì una ge-
nerosità ancor piti grande, l' abbraoolar
con amore i nemici, il render bene per
male.
85. DOMAHDAI: Al. DIMANDAVA.
86. AMATE : « Diligite inimicos veetroe,
benefhcite his qui oderunt vos, et orate
prò persequentibus et calumniantibns
vos »; MaU. V, 44.
V. 87-72. Condimione dogVinvidioH
nel teeondo girone. Lassù nel secondo
balso trovano le anime ohe si purgano
dall'invidia. In opposisione alle insidie
che si tesero in vita, sono seduti frater-
namente r uno presso dell* altro; coperti
da aspri e lividi mantelli, colore del-
l'Invidia e simbolo di penltensa, e con
le palpebre cudte da filo di ferro, aven-
do tenuti gli occhi towppo aperti sulla
conditone altrui. Cantano le litanie dei
Santi, preghiera che maggiormente sa di
carità, come quella che ricorda la comu-
nione tra la Chiesa militante e la trion-
fante.
87. BFKBZA : in qucsto cerchio le anime
si purgano dall'invidia, e gli esempi sono
tratti, tolti, dalla carità, virtù opposta
all'invidia.
89. LB OOBDB: 1 messi di corrosione,
doè gli esempi di oarità. -fsbea: sferaa.
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[GMOKB SECONDO] PUBO. XIII. 40-60 [PENA DKGL'INYID.] 473
« Lo fren vnol esser del contrario suono;
Credo che P udirai, per mio avviso,
Prima che giunghi al passo del perdono.
^ Ma ficca gli occhi per Paer ben fiso,
E vedrai gente innanzi a noi sedersi,
E ciascun è lungo la grotta assiso. »
^ Allora più che prima gli occhi apersi ;
Guardarmi innanzi, e vidi ombre con manti
Al color della pietra non diversi.
^. E poi che fummo un poco più avanti,
Udi' gridar: € Maria, óra per noi ! »
Ghridar Michele, e Pietro, e tutti i Santi.
52 Non credo che per terra vada ancoi
Uomo si duro, che non fosse punto
Per compassion di quel eh' io vidi poi ;
^ Che, quando fui si presso di lor giunto.
Che gli atti loro a me venivan certi,
Per gli occhi fui di grave dolor munto.
^ Di vii cilicio mi parean coperti,
E l'un sofferìa V altro con la spalla,
£ tutti dalla ripa eran soffertL
iO. LO vsBX: gli eMinpid'iiiTldiA perni- alU oe1e«to erediU pftrtedpata, e non
ti(cfr.Ptir9.XIV,130esag.)mionenumo diminoiU, da' figliaoU di Dio, e a totU
■inioda, non amore. Cfr. Oonv. TV, 36. i posseditori di quella eredità si racco-
42. FIMO: il loogo ap^ò della scala mandano amorosamente colle Litanie
^wndneeai eerchi snperlori, dove sta d*' Santi. Larga e generale preghiera,
l'tBKslo che oanoella dalla ftonte del che lancia i loro pensieri quando a qne-
^Nta mi P; efir. Pitrg, XII, 08. sto, qnando a qael cittadino del regno
^ Gu oocm: Al. IL VISO. Gnarda at- a coi sospirano; e li rallegra in quella
**BtsnMnte per l'aria. beata comunione di anime e di beni ce-
tf. eiOTTA: rooda, rupe; cfr. JV* lesti, che accresce senza termine le gioie
XXI, 110. -AB8IBO: appoggiato. della carità, mentre l'invidia, pur col
48. OOLOB: liTidi come la pietra di sospetto di un solo partecipe a' propri
quei ripiano; cfr. t. 9. « Kec lapis al- - beni terreni, ogni gioia arv^elena ed uc-
^ «nt, soa mene infbcerat iDam » ; cide. » P$r«z, Oerchi, 146 e seg.
^^vtd., Mgl. H, 883. 62. VADA : non credo ohe vira adesso
5L QUDAB : « Il Poeta attribuisce la ca- in terra nomo si duro di cuore, da non
S^ dell* invidia all' appuntarsi de' no- sentir compassione alla vista dolorosa
^ deiiderii in beni angustissimi, che degli invidiosL - anooi : lat. hane hodie,
Q^ si possono godere dall' uno sansa anche oggi,
^■«rs tolti, almeno in parte, all'altro; 58. piniro: compunto,
•■^ve, se s' Impuntassero In que' beni 56. quando piti : Al. quahd' io fui.
eterni, ohe qoanto più han posseditori, Qnando fui giunto A vicino a quelle orn-
ato più CtHino ricchi, non sarebbe in- bre.da poter ben distinguere i loro atti,
v^ fai terra (cfr. Pwg, XV,* 49-51). il dolore mi fece piangere,
^erdò le anime ohe qui piangono l' in- 50. boftirìa : sosteneva ; reggeva,
vidia, hanno in dispregio i miseri spar- « Alter alterius onera portate, et sic
^ùuott delle eredità terrene, pensando adlmplebitis legem Christi »; Gal, VI, 3.
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[74 [OIBONB SSCONDO] PUBO. ZIII. 61-76 [PBNÀ dbol'ht?
1 Cosi li ciechi, a cui la roba falla,
Stanno a' perdoni a chieder lor bisogna,
E l'uno il capo sopra l'altro avvalla,
4 Perchè in altrui pietà tosto si pogna.
Non pur per lo sonar delle parole,
Ma per la vista, che non meno agogna.
7 E come agli orbi non approda il sole,
Cosi all' ombre, là V io parlava ora,
Luce del ciel di so largir non vuole ;
0 Che a tutte un fil di ferro il ciglio fora
E cuce si, come a sparvier selvaggio
Si fa, però che queto non dimora.
3 A me pareva, andando, fare oltraggio.
Vedendo altrui, non essendo veduto:
Per ch'io mi volsi al mio consiglio saggio.
6 Ben sapev' ei che volea dir lo muto;
61. FALLA: manea; sono A poveri, ohe
lon hanno di ohe ylTere; oonfr. If\f,
KXIV, 7.
82. A* PBBDONi : innansi alle ohleee nei
^omi di festa e d' indalgensa solenne.
68. AVVALLA: china, abbassa; oonfr.
?urg. VI, 87. « Li orbi, ohe sono In stato
li povertà, stanno alle chiese e alle per-
lonanse, e domandano elimoaine, e molte
Late stsjino travolti e appoggiati Tono
i\V altot), perohò di eoa disoonoia vita e
enebrosa vegna agli nomini oompas-
ione, e fsoolanli bene » ; Lan,
64. PXBCBft: affinchè.- BI POONA: SÌ
M>nga, entri.
65. ROM PUB : non solo per le loro la-
aentevoli parole con che chiedono l'ele-
Qosina, ma anche per l'aspetto ohe desta
>ietà non meno delle parole.
66. AGOGNA i esprime desiderio vivo ed
Agosoioso. « Pro iastitia agonisare prò
mima toa »; Eeel. IV, 88.
67. XON APPRODA : non giova ; cfr. In/.
KXL, 78. Così Lan., OU., Benv., Tal.,
Vent., Andr., FOal., WUte, eoo. Al.: Non
arriva, non perviene, non giunge a Ctursi
rodere ; cosi Buti, Serrav., Vd., Lomb.,
Biag., Om., eco.
68. Li 'V' IO: Al. DOV' IO ; LÀ DOV'lO;
un DOV* IO; OV'IO; DI CH' IO.
60. LABGIB : esser larga di so, (krsi vo-
lere. « Invidia fiMsit, qaod non videatnr
inod expedit videro, et ideo dioitnr invi-
lia,qaasi non visto »)Pstr.i)«fi<.-«Liioe
del dolo non & copia di aò a oo
chi, perchò i loro occhi ftiron
biati dalle caligini dell' invid
Vent., Sim. 289.
70. A TUTTE: Al. A TUTTI. A
diesi sono chinai gli occhi per i
nna cndtnra di fil di ferro,
quella che si usava Ikre agU i
Mlvaggi per addomesticarU; o
rieo II, De arte venanM mmm
n. 63.
71. SELVAGGIO: grifiigno; co
XXn, 18».
72. NON DIMORA : SO non è »
coA ohiamavasi Toperasione
gli occhi agli sparvieri di tn&
V. 78-90. Colloffwio eoOsatU
ganti. Dante, cui sembra qua
traggio verso quelle anime l' an
il loro oerohio non veduto e sena
una parola, si volge a Virgilio ^
l'aspetto che dìiàe sensa prol
rola. Virgilio, che legge i suoi
lo conlòrta a parlare. Dante dh
qualcuno ò Latino, e gli si lispc
tutte quelle anime sono ormai
tadine dell'unica vera patria,
celeste Oemsalemme ; ofr. .Sòr
0 seg.
74. NON ESSENDO: Al. E NOB
76. OON8IOUO! consigliere si
76. CHE VOLEA: oiò che io v<
gli. sebbene non parlassi ; ofr. i
119 e seg.
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[6IB0BX 81C0HD0] PUBG. Xm. 77-96 [COLLOQUIO] 475
E però non attese mia domanda,
Ha disse: e Parla, e sii breve ed arguto! »
79 Virgilio mi venia da quella banda
Della cornice, onde cader si pnote,
Perchò da nulla sponda s'inghirlanda:
82 Dall'altra parte m' eran le devote
Ombre, che per l'orribile costura
Premevan si, che bagnavan le gote.
85 Volsimi a loro, ed « 0 gente sicura »
Incominciai, « di veder l'alto Lume,
Che il disio vostro solo ha in sua cnra;
88 Se tosto grazia risolva le schiume
Di vostra coscienza, si che chiaro
Per essa scenda della mente il fiume,
n Ditemi, chi mi fia grazioso e caro.
S'anima ò qui tra voi che sia Latina;
E forse a lei sarà buon, s'io l'apparo. >
M « 0 frate mio, ciascuna ò cittadina
D'una vera città; ma tu vuoi dire.
Che vivesse in Italia peregrina. »
78. BBXVS: poobe e buone pftrole ; ofr. 00. fkbibsa: ooadeDM.-ioam: me-
W. X, 89. moria (Itif. n, 8| III, 182; VI, 44, 89;
79. DA QtJKLLA: cUIU ptfto di Amwì, «Ua X, 127, «00.) dallA qnmle le acque di Lete
rimnoTono ogni rioordnosa dei peoeati
8L B* noHiKLAirDA : ai cinge, è oiroon- oommeiai ; ofr. Purg, XXXni, 91 e aeg.
dato: efr. JV« XIV, IO, SnUe eTariate interpretaxioni di qneeto
83. PABTS : sinistra. - DBVOTi : redta- rereo, ohe non eenibra venuuMite di dif-
vaao le litanie dei Santi, r. 60 e aeg. floile intelligenxa, ofr. Chm. lÀpt, II, 225
83. oobtusa: eadtara di fll di ferro. e aeg. Il Poi, per Jtums d$Ua menU in-
84. PBSMBYAH : apingerano le lagrime tende (ool Oiul,, Br. B., eoe.) la laoe in-
eon tanta fona, ehe ad onta dell'orribile tellettoale, da ool sono illnatrate le anime
cocitora delle palpebre, le fiMovano naoir degli eletti nella intnlsione di Dio.
fooTi a bagnar loro le gote. 02. Latina : italiana, efr. Jnf. XXII,
86. LUMS: Dio (ofr. Purg VU, 20), 06; XX VU, 33; XXIX, 88, 91.
naleo oggetto del Teatro deaiderio. 9S. buon t potendo procurarle suffragi
87. SOLO : di coi ado ai onra ed a cnl de* Tiyenti. - V appabo t rengo a aa-
eolo aapira il Teatro deaiderio. « Sitiyit porlo.
aaiaia nMa ad Denm fortem Timm : 94. cittadina : « lam non eetia hospi-
qoaado Teniam et apparebo ante fiusiem tee et advene, sed eatia oivea aanotomm
Deif > Paoi. XLI, 8. et domeatioi Dei »; ^e». n, 19. Vita
88. em; eotà la graaia dirina lavi pre- Nuova, 86. Nel Purgatorio e nel Para-
ato la Tostra coaoienaa dalle macehie del disc non vi è pia dlstinsione di patria,
peoeato, si ohe la memoria Tostra non ne 95. città: il dolo; oonfr. Ebrei XI,
aarU più yeruna rioordanaa. - LB BOHiu- 10-10; XIII, 14. Apocal. XXI, 10-11;
KB: « come la aehiuma aigniflca la im- XXII, 14.
purità dell'acqua, ooal la pone qui per la 90. pbbbobina : ftaori deUa eoa vera
ImpurUà de la ooaoienBa »; BuH. Al. UE patria, che è il cielo; ofr. I Petr, II, U.
IPUMB. Purg. II, 08.
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476 [GIBONB BBCONDO] PUBG. IIH. 97-112
[SÀPIÀ DÀ SIENA]
97
100
103
loe
109
112
Qaesto mi parve per risposta udire
Più innanzi alquanto, che là dov' io stava ;
Ond' io mi feci ancor più là sentire.
Tra V altre vidi un' ombra che aspettava
In vista; e se volesse alcun dir: e Come? »
Lo mento, a guisa d' orbo, in su levava.
« Spirto » diss' io, e che per salir ti dome,
Se tu se' quegli che mi rispondesti.
Fammi ti conto o per loco o per nome! >
4c l' fui Sanese, » rispose, « e con questi
Altri rimondo qui la vita ria,
Lagrimando a Colui, che so ne presti.
Savia non fui, awegna ohe Sapla
Fossi chiamata, e fai degli altrui danni
Più lieta assai, che di ventura mia.
E perchò tu non cì*edi eh' io t' inganni.
98. PIÙ DnrAMZT : Al. FIÙ LÀ ALQUANTO.
99. MI FECI : alsfti U voce per essere
udito a maggior distanza.
V. 100-129. Sapia da SUhu, Una di
quelle ombre leva in sa il mento a guisa
d' orbo, e, interrogata da Dante, gli ri-
sponde che ta Sapia, e racconta della fe-
roce sna invidia. Fa essa ana gentildon-
na di Siena di fitmigUa incerta, moglie,
come si crede, di Ohinibaldo Saraoini,
signore di Castiglioncello presso Monte-
reggioni (ZV* XXXI, 41); RepéUi 1, 691.
Bau. 816 e seg. « Andivi, qnod ista ma-
ledicta mailer erat ita inftiriata mente,
qnod conoeperat et priedixerat se pre-
oipitataram desperanter de fenestra si
Senenses ftiissent illa vice victores »;
Benv. Invece Aqttarone, D. in Sitna,
127 e seg.: « Meno forse che negli astii
partigiani, pare fosse nna baona donna,
e nnitamente al marito Qhinibaldo Sa-
radni aveva fktto costraire un ospieio
pe' passeggieri a Castiglioncello di Mon-
tereggloni, eh' era di soa dominasione,
del quale nel 1265 poneva la prima pie-
tra il Vescovo di Volterra, e che poi fti
privilegiato dal pontefloe Clemente IV.
Morto il marito Ghinlbaldo, i fratelli di
lui, Niccolò, Naccio e Cino, nel 1269 ri-
nunciavano le loro ragioni su Castlglion
Gblnibaldi ; e dopo la vittoria di CoUe e
morto Provensano. quasi fbsse per esul-
wnsa, d'accordo con donna Diambra,
Baniera e Baldena, eredi di Ohinibaldo,
essa cedeva quel castello alla repubblica
(1269), che v' inviava un giusdloente
sotto la dlpendensa del podestà di Sie-
na, e riuniva all' amministraaione del
grande Ospedale della Scala anche Toapi-
aio fondato da Sapia per i passeggieri. »
101. IN VISTA : all' atto della fkccia. - ■
8B: ed a chi mi chiedesse, a qua! segno
m' accorsi che aspettava, mentr' ella ave-
va gli occhi chiusi, rispondo che teneva
levato il mento in su, appunto come so-
gliono fare i ciechi che attoidono.
108. TI DOMK: ti purghi, mortifican-
doti, per salire al cielo.
105. CONTO ; Al. NOTO ; palesati a me,
dicendo il nome della taa patria, o 11 tuo.
107. BIMONDO: mi purifico dalle mie
colpe, pregando con lagrime Iddio che
ne conceda la sua visione ; che è la som-
ma beatitudine. Al. umkndo.
108. BÈ : « per eos [actos humanos] or»
dinatnr homo ad perfactam Dei oogni-
tionem, in qua aetema beatltudo censi-
stit»; Thom. Aq., Sum. theoL I, 1, 4.
109. AWBONA : quantunque il mio no-
me (dal lat. $apere) suonasse Savia, « Al-
lude al nome, come a quel di Cane nel
primo dell'In femo(?); e di Giovanna e
Felice nel XH del Paradiso. Tra i nomi
e le cose sentivano gli antictii armonia.
Cosi nel libro di Ruth (1, 20) Noemi vuol
che la chiamino Mara perchè amareg-
giata »i Tom.
112. CBKDI: AL CBIDA. -T*niOAHVl:
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[6IB0NB SECONDO]
Puro. mi. 113-126 [sapu da bibbia] 477
Odi se fui, com' io ti dico, folle,
Qik discendendo l'arco de' miei anni.
115 Eran li cittadin miei presso a Colle
In campo gianti coi loro avversari,
Ed io pregava Dio di quel eh' ei volle.
iis Botti fhr quivi, e vòlti negli amari
Passi di fuga, e veggendo la caccia,
Letizia presi a tutte altre dispari ; %
131 Tanto eh' io volsi in su l' ardita faccia,
Gridando a Dio : ^' Ornai pid non ti temo !
Come fa il merlo per poca bonaccia.
124 Pace volli con Dio in su lo stremo
Della mia vita; ed ancor non sarebbe
Lo mio dover, per penitenza, scemo,
Msgenndo la oo«a eoi dirti ohe io ftd
ioTidioM a segno da rallegranhi più del
■•le altrui che del mio bene.
114. oncBHDBSDO : avendo io già oIte«-
pMnto l'età di trentaoinqne anni ; cfr.
W. I, 1. Oonv. IV, 28.
115. UAH U : AI. EBANO I. - COLLV:
Wge deOa Toscana, aitnato sn di nna
wUhia preeeo Volterra in Valdelaa. Itì i
fìoTeiitini diefiDcero nel 1269 i Sanesi e
gli altri Ghibellini guidati da Provensan
StlTaoi (efr. Purg. XI, 109 e aeg.) e da
Qfààù Novello. « S faro morti in questa
iMttagUa più di mille Senesi, e presi
I5« w. Murai,, Script. XV, 86. - « Onde
l> città di Siena, a comparazione del
soo popolo, rioeTette maggiore danno
^' Booi cittadini in qaesta sconfitta, che
non &ee Firense a quella di Montapertf ,
« laaeiArTi tutto il loro arnese. Per la
qaal «osa, poco tempo appresso, i Flo-
reattai rimisono in Siena i Guelfi usciti
« eaodàme i Ghibellini. » O. ViU. VII,
31. Cfr. Bau, 817 e seg.
HI. aiuim : alle prese, venuti insieme
* battaglia. - atvbebari : Piorentlai.
U7. PEVQAVA Dio : Al. rBBOAI IDDIO.
Sapla dimorava a OoUe, o perobò so>
spetta (AtfO. o perchè bandita da Siena
(Uad., YeU., Dan., eoe.).« Quando i Sa-
oeti erano aopra Colle, e li Fiorentini
loro nimioi erano loro a petto, e le no*
^«Qe al eontlnnavano, ohe le dette parti
coBibatterebbono ; eHa per vedere aalì
|b una torre, e dice che pregò Iddio che
i Sanesi fossero sconfitti ; la qnal cosa
Iddio v<die, poi oh'elU la permise >; O».
119. LA CACCIA: 1' ÌnseguÌmento del
faggenti.
120. A TUTTB ALTBK: Al. AD OONI AL-
TRA. > DiaPARi : maggiore ; ne provai una
gioia di cui non ebbi mai l'uguale.
121. VOLSI: Al. LRVAL Nella gioia di
vedere sconfitti e distrutti i miei concit-
tadini, guardai arditamente verso il cielo
gridando : « Fa' ora, o Dio, di me quanto
vuoi: non temo più la tua ira; i miei
voti sono pieni e muoio contenta ! »
123. COME FA : Al. COME FI* ; cfr. Bìanc,
Vtrtuck II, 49. - IL MERLO : « dice fkvo-
leggiando che il merlo al tempo della
neve sta molto stretto ; come vede punto
di buon tempo, dice : Non ti temo. Do-
mine, eh* uscito son dal verno > ; Lan.
Così pure OU., An. Fior., Benv., B^àii,
Land, ecc.; cfir. SaechetU, Nov., U9.
Tutti sino a ieri intesero del merlo uc>
cello; ctr, Oom. Lipi, II, 280. Invece
Oavemi: « Merlo In Toscana vale uomo
poco accorto, dolce e minchione; ed ò
veramente poco provvido a' fiitti suoi,
benohò possa parere altrimenti, chi nella
calamità si umilia e poi nelle prosperità
insulta a Dio e agli uomini, come narra
di sé questa poco accorta Sapia » 0), Cfr.
EneitH., 1286 e seg.
121. LO stremo: Al. l'bBTRBMO.
125. MON SAREBBE: non avrei ancora
scontato una parte del mio debito, fa-
cendo penitenza in questo cerchio del
Purgatorio, ma, per avere indugiato il
pentirmi sino allo stremo di mia vita,
mi ritroverei tuttora nell'Antipurgato-
rio insieme cogli altri negligenti.
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478 [GIBOVB SECONDO] PUBG. XIII. 127-189 [C0NPE88. DI DAMTB]
127
130
183
130
lh9
Se ciò non fosse, ohe a memoria m' ebbe
Pier Pettinagno in sne sante orazioni,
A cai di me per caritate inorebbe.
Ma tn chi se', che nostre condizioni
Vai dimandando, e porti gli occhi sciolti,
SI compio credo, e spirando ragioni? »
€ Gli occhi » diss'io, « mi fieno ancor qni tolti,
Jia picciol tempo ; chò poca ò l' offesa
Fatta per esser con invidia vòlti.
Troppa è più la paura, ond' ò sospesa
L'anima mia, del tormento di sotto,
Che già lo incarco di laggiù mi pesa. >
Ed ella a me: « Chi t'ha danqne condotto
127. SB CIÒ: se non mi avessero gio-
vato le preghiere di un sant'uomo; cfr.
Furg, rV, 188.
128. PiKB PirmNAONO : da Campi, ca-
stello del Chianti, venne sin da fkndallo
a Siena e vi mise su bottega di pettini,
onde il sno soprannome. Morì il 5 dicem-
bre 1289 in odore di santità. I Senesi lo
fecero tumulare in im sepolcro eretto a
pubbliche spese, e nel 1828 istituirono
un'annua festa in onor suo; cflr. Tom-
moti, Stor. di Siena, II, 288. L'iLn. Fior.
racconta: € Pietro Pettignano fece in Ca-
molUa di Siena una bottega di pettini,
et elli fa cittadino sanese, et dicesi
ch'egli andava a Pisa a comperare pet-
tini, et comperavagli a dosdua; poi clie
gli avea comperati, egli se ne venia con
questi pettini in sul ponte vecchio di
Pisa, et sceglieva i pettini, et se ninno
ve n' avea che fbsse fesso o non buono,
elli il gettava in Amo. Fugli detto più
volte: * Perchè il pettino sia fosso e non
così buono, egli pur vale qualche denaro :
vendilo per fesso ! ' Piero rispondea: * Io
non voglio che ninna persona abbia da
me mala mercatansia. ' Quando vedeva
andare veruno ooUa famiglia de'Bet-
tori alla giustlBia, s' inginocchiava et di-
ceva: * Iddio, laudato sia tu, ohe m'hai
guardato da questo pericolo. ' Bt per que-
sti co^ fiitti modi et simiglianU, i Saneei,
che sono gente molto maravigliosa, dl-
ceano oh' egli fti santo et per santo il ri-
putorono et adororono. »
y. 180-188. Confe$9fone di nanie.
Alla domanda di Sapia ohi egli sia, che
chiede degU altrt, Dante risponde con
nn'umileoon£M8Ìone delle sue colpe. « Ho
peccato anch' io d' invidia e dovrò a suo
tempo purgarmi qni; ma non a hmgo,
non avendo io peccato molto d'iuTidia.
Temo assai pia la pena del primo cerdiio,
avendo peccato molto di superbi»; anei
sono spaventato in modo, che già parmi
avere sul dorso quei gravi pesi, ohe lag-
giù si vanno portando. »
181. SCIOLTI : non cuciti. Lo argomenta
dalle parole di Dante, v. 85-98, 103-105,
che non poteva sopporre dette da un
compagno di suppllsio.
182. spiBAif DO : « degli occhi se sciolti
sieno ne parla in dubbio, perchè non ve-
de; del ragionare spirando con aaseve-
ransa certa l'afferma, perchè ci «ente »;
VétU.
183. TOLTI: mi saranno cuciti oome
a voi.
135. FATTA : l' oflìBsa da me fistia a Dio
guardando con occhi invidiosL
186. TROPPA : « Questo Dante per lo suo
savore ta alquanto presuntuoso e schifo
e isdegnoso, e quasi a guisa di filosofo
mal grazioso non bene sapea conversare
co' laici »; G. ViU., IX, 138. Di superbia
accusano il Poeta anche Bocc,, FU. ViU.,
Manetli, eoo. La sua propria oonfeaaione
rende superflua ogni altra prova.
y. 139-154. UiUtneparoie disopia.
Accertata che Dante è tuttora vivo, Sa-
pia lo prega di rimetterla in buona fiuna
presso i suoi propinqui, dicendo loro di
averla trovata in luogo di salvaiìone ;
ofr. Purg, III, 117. Conchiude ohe I suoi
propinqui appartengono alla vana oit-
tadinanxa sanese (cfr. Ir^. XXDC, 121
e seg.) che spera nel possesso di Tabi-
mone, e vi perderà più speranaa ohe non
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[OmOKB SECONDO]
PUBO. XIII. 140-152 [8APIA DÀ SIENA] 479
143
145
148
151
Qnassù tra noi, se giù ritornar oredì? »
Ed io : « Costai eh' ò meco, e non fa motto.
£ vivo sono ; e però mi richiedi,
Spirito eletto, se tu vuoi ch'io mova
Di là per te ancor li mortai piedi. »
« Oh, questa è ad udir si cosa nuova, >
Rispose, € che gran segno è che Dio t'ami;
Però col prego tuo talor mi giova.
£ cheggioti per quel che tu più brami.
Se mai calchi la terra di Toscana,
Che a' miei propinqui tu ben mi rinfami.
Tu li vedrai tra quella gente vana
Che spera in Talamone, e perderàgli
abU* perduto nel oerosra TacqnA déllA
14if . GIÙ ; 0 nell' Antiirargatorio, o nel
primo ImIso, ATendo il Poeta detto di te-
ninrn 1* pen* dei niperbi. Bmv. ed altri
{alQBdono : Al mondo dei viTontl. Ma sin
qui Dmnte dd sao ritomo al mondo di
qo» non ha iSitto anoor cenno, ed 1
▼ecal 142 e seg. anppongono ohe Sapia
wm nappi* aneora che Dante ò in pri-
■» Tlt*.
141. OO0TUI: Virgilio , ohe è qni meco,
ma tftce.
14S. Eurrro -. a aaUre quando ohe eia
rile beate genti; cfr. InS. I, 118 e seg.
Pwrg. I, t, " MOVA: ti procuri snffhigi
dri Tiventi.
144. FSB TB AirooB : « Anche per tao
Mtrrixio »; Beiti.
145. OH: A). OR. - QUlflTAt cho nn
Tiro Tad* per U regni della morta gen-
te, è eoaa tanto insolita ad ndire, che di-
m<Mifera una grasia tntta spedale a te
eoDcednta da Dio.
147. PBBÒ! essendo ta cosi caro a Dio,
ti prego non solo di procnrarml saffragi
d'altri riventl, ma di pregare ta stesso
qaakfao volta per me.
148. rm QUKL : per la taa salate etema.
14t. CALCHI: se mai passi per la terra
tftwmmt- Sapia sa soltanto che Dante è
■aeor vivo e di terra latina, r. 92 e seg.;
Ae è Fiorentino, non sa.
IM. MI BUWAMi: mi renda in buona
Ama. « Sdebat Ista domina infiuniam
f inanslsse de se in patria de odio ma-
gno qaod gesserat oontra cives saos »;
152. Talamohb: castello e porto sulla
costa meridionale della Toscana presso
Orbetello. I Senesi lo comprarono nel 1 308
e dall'Abate di San Salvatore, e costò
fiorini otto mila d'oro, e poesedevanlo i
Conti di Santa Fiore, e per loro lo tene-
vano »; Murai., Script. XV, 44 ; cfr. Oron,
Seneti ed. Mawni I, 60. « .... nel quale
porto li Senesi hanno grande speransa,
credendo per quello divenire grandi omi-
ni in mare, lòrsl come li Genovesi o li
Venesianl ; ma quello porto è poco usato,
perohè non è in buono sito di mure, et è
in fermo, et ò molto di lungo da Siena, sic-
ché meroanrie non v'hanno corso »j BuH,
H Iktto è, che in questi versi abbiamo
poco plh ohe motti e frissi fiorentini.
« Lo Stato ohe in quella età non voleva
essere assorbito, bisognava ampliasse i
propri confini e d estendesse ; e Siena, ri-
tinta a settentrione dal dominio fioren-
tino, e a levante, sotto Montaleino, tro-
vandosi sempre a dover lottare con i Fio-
rentini medesimi, non aveva davanti a sé
ove si potesse ampliare se non le Marem-
me. Vi aveva, è vero, a combattere con i
conti Aldobrandesohi, co' quali a lungo
ha combattuto; ma le era pur venuto
fatto di potervisi allargare malgrado la
loro ostinata reslstensa ; e ne' mesi della
dimora di Dante in Siena (t), essa aveva
acquistato il porto di Talamone dal mo-
naci dell'Abbadia di San Salvatore in
Montamiata.. . . B se dice il Poeta ìa genU
.... che tpera in Talamons, gli è perchè il
suo viaggio ne' tre Regni compieoi nel
1300, nel qual tempo i Senesi tuttavia
speravano in quel possedimento; ma né
allora né poi non si montaron mai la te-
sta da volervi costruite navi da guerra,
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480 [GIRONE SBCOimo] Puro. un. 158-154 [sapià da sibna]
IM
Più di speranza, ohe a trovar la Diana ;
Ma più vi metteranno gli ammiragli. >
e armarri flotto, e nominarvi ammiragli.
Qael porto essi deatfnayano al commer-
cio ; e nell'anno medesimo deQ'aoqnisto
Ti Airono navigato da Sicilia rentimila
moggia di grano per conto della Signoria.
B gli ftoMl Fiorentini malgrado gli epi-
grammi, circa un meczo secolo dappoi
(1358), trovandosi in guerra co' Pisani
chiedevano a Siena fosse loro concesso
di stobilire in Talamone le fiittorie del
commercio di Firenxe. » Aquanme, 2>. in
Siena, 70 e seg. - pkbdkbàou: vi per-
derà; cfr. W, XXIIl, 64.
168. DiAKA: flome sottorraneo ohe si
credeva scorresse sotto la città e torri-
torio di Siena, a cercare il qoale i comm.
ant. dicono chesi fecero spese tanto gran-
di, quanto inutili. In realtà abbiamo an-
che qni nn frisse fioroni ino. Siena, po-
vera d'acqaa, cercava di raccogliere e
regolare quanto più sorgenti si trova-
vano. B i vicini se ne dacevano beffe,
come se i Senesi avessero spenuixa di
trovare cosa impossibile ; cfr. Aquarone,
1. e, 68 e seg. Bcndoni. Tradiz. p<tpol.,
40 e seg. Oom. IAp$, n, 284. D Beiti
vuol leggere ditperama in luogo di di
tperama, intondendo : « B questo cosa,
pih disperata che già fosse quella di tro-
vare la Diana, li perderà. »
154. VI MVTTBBAif KO : del loro, vi soa-
pitoranno. AL vi pkbdbranno. Cfr. Jfoo-
re, OHI., 880. - AMMIRAOU : * isti, quos
vocat hio admlralios, ut audivi a quodam
senensi vivo magno antoristo et Danti-
sto, erant quidam, qui volentes locrari
conduoebant a communi tot cannas vel
pertioas ad cavandum prò certo pretto;
quorum aliqui consumti sunt»; Bmv.Che
per ammiragìi Danto intenda appalta-
tori o impresari ò pure opinionedel Lan,,
OU., Falso Bocc, ecc. I più prendono in-
vece amfmiraifii nel senso proprio di oo-
mandanti dell'armato navale, intriden-
do o di uomini che speravano di di ventare
ammiragli (P0<r. Dant^Buti, Land., YéU.,
Dan., VoL, Vent.,Lomb., ecc.), o di capi-
tani e direttori dei lavori del porto, ohe
morirono a Talamone per 1* aria cattiva
(Fotta. Oa$., Ck>tt. Tom., Br. B„ Frat.,
Andr., FHal., WiUe, Ozan., eoo.) . VAqwi^
rone, 1. e, 88: «Dando inquietudine «'Fio-
rentini la persistonza con cui miravano i
Sanesi alle maremme, e U loro disegno di
avere un porto di mare in Talamone, se
i Fiorentini avean fetto quanto per essi
potovaai ad impedimeU e con le anni
proprie, e per messo de'Conti Aldobran-
desohi ; pure, oltre le armi, avevano po-
sto in voce presso il popolo anche l'epi-
gramma; e in tuono di scherno, in Pt-
renae disoorrevasi degli ammiragli ohe
avrebbero comandato le flotto Sanesi
nelle acque di Talamone: e il nuovo
scherno rincalsavano c<m altro antiohi»-
simo - che diceva di uomini perduti, e
di spesi danari per trovare l'acqua Dia-
na. Pare l'epigramma avesse attecchito,
e fosse ripetuto quasi modo proverbiale
dal popolo fiorentino, che Danto qni lo
riproduce appunto in quel modo. » Sarà ;
ma quando i Senesi acquistarono Tala-
mone, quando i fetti avvenivano, Danto
non era da un posso più a Firense, né
feoeva certo più conto dei frissi fioren-
tini. Avrebbe egli per avventura avuto
motivi personali di mettere Siena in de-
risione t
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[6IB0VI BSCOMDO]
CANTO
GIBONE
GUIDO DEL DI
LA ROMAGNA NEL 1
< Chi è oosttd ci
Prima ohe mo
Ed apre gli o(
4 « Non so chi sia
Domandai tu,
£ dolcemente
7 Cosi due spirti,
Ragionavan d
Poi fèr li visi,
10 E disse l' uno : «
Nel corpo anc
V. 1>0. CoIiaq%iio di due 9pit
Romaffna, Due spiriti, che in t
diraniio ehi sono, avendo adito le
tette da Dante a Sapia {JPurg.
149, dimandano merayigliati l'i
1* altro chi qnèl tìvo sia, e si ec
TioendeTofanente a rioiiiederne Ini i
1. CKBCHIA: gira intorno; efr.
H, 4; XXn, 93.
2.DAT0 IL VOLO: sciogliendo l'ani)
dai legami del corpo ; efr. Chnv. T
3. OOPIBCHIA! chinde; non ha
chi cociti come le anime di qnes
ehio. Lo hanno ndito dire da Dani
so; cft". Purg, XIII, 183.
4. SOLO: ofr. Purg. Xm, 141.
5. OU T'ATYIClin : gli SCi pia T
«. ACCÒLO : accoglilo; Cfr. If\f. 3
18. FagU cortese acoogliensa, A <
s'induca a pariare. Così i pih (Oe
Fior., Benv., Dan., VerU., Lamb,,
AL leggono A COLO, piegando: 8E1 (
parti a perteione {Pattai, Oau.,
31. — JHo. Oomim,, 4» edis. oigitized by GoOglc
482 [OIEOHE SBCOHDO] PUBO. XIT. 12-26
[DITB BPIBITI]
18
1«
19
22
25
Per carità ne consola e ne ditta
Onde vieni e chi sei; che tu ne fai
Tanto maravigliar deUa tua grana,
Quanto vuol cosa che non fu più mai. >
Ed io : « Per mezza Toscana si spazia
Un fiumicel che nasce in Falterona,
E cento miglia di corso noi sazia.
Di so vr' esso rech'io questa persona:
Dirvi ch'io sia, saria parlare indarno,
Ghò il nome mio ancor molto non suona. >
< Se ben lo intendimento tuo accamo
Con lo intelletto, » allora mi rispose
Quei che diceva pria, « tu parli d'Amo. »
E l'altro disse a lui: « Perchò nascose
Questi il vocabol di quella riviera,
12. NB DITTA: ne di'. Dittare per dire
UBÒ pare Petrar., Cam, Xn (28), 6.
15. VUOL : richiede. L» gnaUtk a te con-
oeesa da Dio, di andar tìto per il regno
de' morti, ol fa maravigliare come l'Tiomo
si maraviglia di cosa non mai udita ; ofr .
Purg, Vm, 66-66 { Xm, 145 e seg.
16. FEB MKZZA : Al. PRB MEZZO. - SI
SPAZIA : corre, si distende e dilata, « pe-
rooohò non va a dritta linea > ; OU. -
e Questa provincia di Toscana ha pih fin-
mi : Intra gli altri reale e maggiore si ò
il nostro flnme d'Amo il qnale nasce di
qneUa medesima montagna di Falterona
ohe nasce il flame del Tevere che va a
Roma ; e questo fiume d'Amo corre quasi
per lo messo di Toscana, scendendo per
le montagne della Yemia, ove il beato
santo Francesco fece sua penitenza e ro-
mitaggio, e poi passa per la contrada di
Casentino presso a Bibbiena e a piò di
Poppi, e poi si rivolge verso levante ve-
gnendo presso alla città d' Arezso a tre
miglia, e poi corre per Io nostro Valdamo
di sopra, scendendo per lo nostro piano,
e quasi passa per lo mezzo della nostra
città di Firenze. B poi uscito per corso
del nostro piano, passa tra Montelnpo e
Capraia presso a Empoli per la contrada
di Greti e di Valdamo di sotto a piò di
Fnoeoohio, e poi per lo contado di Lucca
e di Pisa, raccogliendo in so molti fiumi,
passando poi quasi per messo la città di
Pisa ove assai ò grosso, sloohò porta ga-
lee e grossi legni; e presso di Pisa a cin-
que miglia mette in mare, e '1 suo corso
ò di spasio di miglia centoventi. » O,
YiU. I. 48.
17. FIUMICEL: Chiama ooA l'Amo o
perchò non ò navigabile (Bni9.),o perohè
mira al suo principio, dove ò un flumioello
(Dan., Veni., ix>fMÒ.,ecc.).-FALTSBOHA:
uno dei più altigioglii dell'Appennino to>
scano, tra la Toscana e la Bomagna, alle
cui fislde ha la sua fonte l'Amo ; ofr. Lo-
ria, L'IUMa nétta D. C, !■, 229. Obnv.
IV, 11. Btni, Guida iUustrata del Oa^
sentine, Fir., 1889, p. 180 e seg. Basi,,
66 e seg.
18. NOL SAZIA : non gli bastano ; il sing;.
sazia concorda col eorso.
19. DI bovb' esso : di un luogo sovra
ad esso fiume.
21. NON BUONA! nel 1800, epoca flttisia
della visione, Dante non era noto ohe co-
me poeta lirico. Quell'attor nasconde la
sua fama posteriore. « Naro ncque adhoo
Vario videor nec dicere Cinna Digna, sed
argutos Inter strepere anser olores »;
Yirg., Bdog. IX, 35 e seg.
V. 25-67. JI Valdamo. Rinleri da
Calboii si maraviglia che Dante abbia
indicato l'Amo con una perifrasi ansi-
chò col nome, quasi fosse cosa tnAune, •
ne chiede ragione al compagno. Guido
risponde, che il nome di quella raUe ò
veramente degno di perire, essendo essa
popolata di gente trista, aliena da ogni
virtù.
26. IL VOCABOL : il nome del fiume Amo.
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[enOHB 8BC0ND0]
PUBG. XIT. 27-89
[TÀLDAKHO] 488
28
81
37
Pur com'nom fa dell' orribili cose? >
E l'ombra, ohe di oiò dimandata era,
Si sdebitò cosi: e Non so; ma degno
Ben ò che il nome di tal valle péra;
Che dal principio suo, dóv' ò si pregno
L'alpestre monte ond' ò tronco Pelerò,
Che in pochi lochi passa oltra qnel segno,
Infin là Ve si rende per ristoro
Di qnel che il ciel della marina asciuga,
Ond' hanno i fiumi ciò che va con loro.
Virtù cosi per nimica si fuga
Da tutti, come biscia, o per sventura
Del loco, 0 per mal uso che li fruga;
27. OBBiBiu : « pdofaè U mala oondisio-
ne di qaerta popolare opinione è narrata,
•avitamente, qoaai come ooaa orribile,
quella pereoote fuori di tatto 1* ordine
della reproTasione »; Cbnv. IV, 7.
20. n SDEBITÒ : pagò il deUto della ri-
«posta. «Qni §debUarH aoona amaro;
come ae le ingiarie ohe aegaono fMeero
deUte m Toeeana tntta »; Tom,
SO. PÉSA : perisca ;« Memoria Ulias pe-
reat de terra, et non oelebretor nomea
eios in plateis »; Job XVIII, 17. - « Pe-
riit memoria eornm enm sonito »; Pt€U.
IX, 7. -« Voltos Domini saper fSsoientes
mala, ut perdat de terra memoriam eo-
ram »; i^id, XXXIII, 17. - « Questa forte
eapreastone non si dee già prendere qoasi
che desideri Dante la mina della patria;
ma besul oome on lampo di eloqnensa
demostenioa diretto a far nscire la ne-
glìittoaa dal fuigo »; QioherH.
31. DAL FBDrcmo: dalla sorgente del-
l'Amo alla saa foce. - pebqno: grosso,
panoiato, la Falterona essendo ano dei
prineipali eentri orografici dell'Appen-
nino, dal qoale si diramano molte ca-
tene secondarie. CoiA 0a99., AnUondH,
Cam., eoe. Al.: Alto, elevato ; cfr. Iauoiu,
Phart. n, 804 e seg. {Pelr. Dani,, Benv.,
Butì, Land,, VeU,, ecc.). Ma moltissimi
monti dell'Appennino sono pih alti della
Faltenma. AL: Biooo di acqae ; cfr. Purg.
V, 118. Par.X, 68 (Land., Dan,, Lomb.,
rual., BL, WUU, ecc.). Ma la Falterona
non è ricca di acque.
32. MOHTK: l'Appennino, dal quale è
treneo, eloè staccato Péloro, oggi capo
del Faro, néU'estremità della Sicilia di
fronte àQa Calabria. Geologicamente i
monti della Sidlia sono una continna-
slone dell'Appennino. Dante si esprime
conforme la tradldone che anticamente
la Sicilia fòsse congiunta ooU'Italia.* Hiec
loca vi quondam et vasta oonTuIsa mina
(Tantum »▼! longinqua valet mutare re-
tustas) DissUnisse femnt, cum protlnus
utraque tellus Una foret; venit medio vi
pontus et undls flesperium Siculo latus
abscidit arvaqoe et urbesLitore diduotas
angusto interloit nstu »i Virg,, Aén. Ili,
ili e seg. - « Bt postquam gemino tellus
elisa proftmdo est, Sxtremi colles Siculo
cessero Pelerò »; Lacan,, Phari, II, 487
e seg.
83. PASSA: In poohi luoghi l'Appen-
nino ò più grosso, ha una dilatasione
maggiore.
84. SI BENDE : « per dire semplicemente
infino al mare, il Poeta espone in questa
terzina la magnifica teoria, o meglio lo
stupendo fotte, che il cielo, mediante il
calore ohe d comparte specialmente col
sole, f» evaporare le acque dei mari ; i
vapori acquei ricadono in pioggia, le
pioggie alimentano i fiumi, o porgono
loro 1* acqua, la quale è ciò che va con
essi ; e questi Infine la rendono al mare
per ristoro delle perdite iktte da lui oon
la evaporasione. » AntoneUi.
87. SI FUGA : si discaccia, mette in ftiga
come nemica. «Ytrtntemincolumemodl-
mus »i Horat,, Od, III, xxiv, 81.
88. PKB SVBMTURA: o porchò il luogo
stesso dispone gli uomini al mal operare,
o perchò gli uomini hanno oontratto
l'abito del male.
80. FBUGA: Sprona, eccita; ofr. Purg,
XV, 187; XVra. 4.
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484 [GIBONE SECONDO] PUBO. XIV. 40-54
[VALDIBNO]
40
i3
46
48
52
Ond' hanno ed mutata lor natura
Gli abitator della mìsera vaile,
Che par che Circe gli avesse in pastura.
Tra brutti porci, più degni di galle
Che d'altro cibo fatto in uman uso,
Dirizza prima il suo povero calle.
Botoli trova poi, venendo giaso,
Ringhiosi più che non chiede lor possa,
Ed a lor, disdegnosa, torce il muso.
Yassi cadendo ; e quanto ella più ingrossa,
Tanto più trova di can farsi lupi
La maledetta e sventurata fossa.
Discesa poi per più pelaghi cupi.
Trova le volpi, si piene di froda.
Che non temono ingegno che le occupi.
40. OMD* : o per runa o per l'altra delle
dae dette cagioni.
42. CiBCK : U fìAmoaa maga ohe tramn-
ÌAYtk gli nomini in bmti ; ofr. I^f, XXVI.
91. Hom„ Ody$. X, 466 e seg. « Qaos
hominnm ex fiusle dea sieva potentibas
herbislndnerat Circe in Tultus ac terga
ferarom »; Yirg., Aen. VII, 19 e seg.
48. tbìl brutti : l'Amo volge dapprima
il 800 coreo tra gU abitanti dell'alto Ca-
sentino, finché tra Porciano e Bomena la
sna valle va dilatandosi in nn dolce pen-
dio. -POBd : o intende degli abitatori del
Casentino in genere, oppure dei conti
Gnidi da Bomena, denominati di Por-
ciano (ofr. I^f. XXX, 76 e seg.), feuda-
tari del Casentino ; cfr. Com. Lipt. II,
241. - GALLI: ghiande.
45. POVERO : scarso di acque. Cosi tut-
ti, tranne il Qioberti, il quale crede « ohe
Dante chiami povero il càlU di questo fiu-
me con bel traslato morale, rispetto alla
nii$era vaUé per cui trascorre. »
46. BOTOLI t« Botoli SODO cani piccnli da
abbaiare più che da altro »; BuH. Dante
dà questo nome spregevole agli Aretini
« perchè hanno maggiore V animo che
non si richiede alla forca loro; et ancora
perchò è scolpito nel segno loro ; A cane
non magno s»pe tenetur Aper » ; An,
fior, - « Aretini possunt appellar! canea
alio respeotu, soilicet propter eloquen-
tiam et sagacitatem, sicut Mercuri us pin-
gebatar ollm in specie canis» (f); Benv.
47. BiNOHiosi: rissosi pih che le forse
non oonslgUorebbero loro.
48. DISDBQN06A : la detta riviera, v. 24,
doò l'Amo, ohe« iurta Aretiumdefleotii
ad orientem, et reoedit ab Aretio Ibrte
per tria mllliaria, ita quod videtur ad
modum indignantis dioere: Nolo ad to
venire »; Benv,
49. VAflsi GàDBNDO: COSÌ quasi tutti i
com. ed edit. Ma il Betti: « Scommetterei
un occhio che qui Dante ha scritto va
«i eaggendù. » - iif qbobsa : per i fiumi che
man mano riceve.
50. TASTO : quanto più l'Amo ingrossa,
tanto più trova mutata la natura degli
abitanti, che di cani diventano lupi. I
tttpt sono i Fiorentini « li quali come
lupi afBunati in tendono a l' avarizia et
all'acquisto per ogni modo con violenzia,
rubando o sottomettendo l'uno l'altro U
loro vicini »; ButL - « Eleggi omai, se la
fhfctema pace Fa più per te, o *i star lupa
rapace > ; Cane. O patria, degna» eco.
IV, 14-15.
51. FOSSA : il letto dell'Amo; qui per
diapresEO il fiume stesso.
52. PBLÀOHi CUPI: gorghi profondi.
53. VOLPI: i Pisani < li quali sono no-
mini visiosi e ftandolenti e ingannatori »}
Lan. - « Li Pisani, li quaU assomiglia a le
volpi per la malixia ; imperò che li Pisani
sono astuti, e co l'astusia più ohe oo la
forsa si rimediano dai loro vicini »; BuH,
Cfr. JSifona, D.ei Piiani, 87 e seg.
54. NON TKMONO : maestri d'inganni e
di frodi, non temono quanti mesEi ed ar-
gomenti della mente possano adoperarsi
da altri a pigliarli nella trappola. « In-
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■ri;-;"- ■
[oaOlB SSCOHDO]
Puro. xit. 55-64 [fttlciebi dà calb.] 485
Nò lascerò di dir, perch' altri m'oda;
E buon sarà a costui, se ancor s' ammenta
Di ciò che vero spirto mi disnoda.
Io veggio tuo nipote, che diventa
Cacdator di quei lupi in su la riva
Del fiero fiume, e tutti gli sgomenta.
Vende la carne loro essendo viva;
Poscia gli ancide come antica belva:
Molti di vita, e so di pregio priva.
Sanguinoso esce della trista selva;
gegno sta qui per ordigno.,,. Dunque
Dante dioe ooA: Troya le volpi (doò i
Pisani) al piene di froda, die non temo-
ao di eaaere prese a nessuna tagUoola.
OimI oeaipi sta nel eoo rero slgnifloa-
to.» B$tU.
66. ÀLTBI: Dante {Lan,, Bmv., Buti,
Dsn., YmL, FOtU.» eoe.) ; Binier da Cal-
boU Un. Fior., Pogg., eoe.); Dante e Vir-
golo {Lomlb,, Br. B., Andr,, eoo.). Pa-
oando deUe tre interpretaxioni nna sola,
ai STTà per arrentora la vera.
M. ▲ COSTUI: a Dante. - s' àhmbnta :
il rammenta, si ricorda. H ricordarsi di
quanto Io spirito della verità mi ditno-
ds, «ioè mi rivela, gioverà a oostni ; che
diminairà la sna sorpresa ed il sno do-
ler», qoando le oose avverranno, ed egU
potrà meglio gnardarsi da tao nipote.
V. 68-72. VìOeUri da C^voU o Cat-
àeU. Qiiido*pMnce le enormità ohe sta
per commettere il nipote del sno compa-
gno, onde qnesti resta assai addolorato.
Di Fnloieri, podestà di Modena nel 1300
(cfr.lfufwf.,«or^.XV,6e8).ilFia.Vni,
69, racconta: « Nel detto anno 1802, es-
aeadofkttopodeetà di Flrense Folcieri da
Calvdi di Romagna, nomo (broce e cm-
dele, a posta de* caporali di parte nera, 1
qnaU vlveano in grande gelosia, perchò
■Pativano molto possente in Firenae la
parte Manca e ghibellina, e gli nsdti seri-
veaao tntto dì, e trattavano con quegli
eh' erano loro amici rimasi in Flrense, il
detto FdMerl ftoe subitamente pigliare
eerti cittadini di parte bianca e ghibel-
lini ; dò fhrono messer Setto Gherardini,
e Masino de* Cavalcanti, e Donato e Teg-
ghla eoo fratello de* Flnignerra da Barn-
■urtino, e Knccio Coderini de' Galigai, il
quale era quasi uno mentecatto, e Ti-
gnoao de* Maod, e a petislone di messer
Musdatto Fransesl, ch'era de* signori
della terra, vollero esser presi certi ca-
porali di casa gli Abati suoi ntmid, i
qnatt sentendo dò, d ftiggiro e partirò di
Flrense, e mai poi non ne ftmmo dtta-
dini : e uno massaio delle Calce fti de* pre-
ri, opponendo loro che trattavano tradl-
mentoneUadttàoo* bianchi u8dti,o colpa
o non colpa, per martorio gli fboe con-
fessare che doveano tradire la terra, e
dare oerte porte a* Bianchi e Ghibellini ;
ma il detto Tignoso de* Maod per gra*
vessa di carni morì in su la colla. Tutti
gli altri sopradetti pred gli giudicò, e
ilBoe loro tagliare le teste, e tutti quelli di
casa gli Abati condannare per ribelli, e di-
sflare i loro beni, onde grande turbaxione
n* ebbe la dttà, e poi ne seguì molti mali
e scandali.» Vedi pure Del Lungo, Dino
Oomp. 1, 621 e seg.
68. mpoTK: secondo alcuni, figlio d'un
figliuolo iLan., OU., eco), secondo altri,
d' un fratello di JEtanieri (An. Fior., Bal-
bo, ecc.).
69. CACCI ATOR: persecutore de' Fioren-
tini, detti di aopra lupi, v. 60.
80. FIUMI: Amo. - soOMBifTA : atter-
risce, spaventa.
61. VBNDB: docile strumento alle ven-
dette ddla parte nera, Fulderi ebbe da
loro, in compenso dalle gravi condanne,
la riconferma noli' affido per altri sei mesi.
62. AHCIDB : uodde. « Come fia 1* antica
bestia, che intra ne la mandra, strossa
or r uno or l' altro dei castroni, così feco
questo messer Fulderi dei Fiorentini, es-
sendo già antico » ; Buti. Così pure OU.,
Peir. Dant,, ecc. Al.: GII uodde come si
uodde vecchia bestia da macello (An,
Fior., Poit., OoM., Bonv., Land,, Vent.,
Lomb,, Biag., ecc.). « Quasi boe duotus
ad victlmam > ; Prov. VII, 22.
68. PBfVA: rende sé stesso infame.
64. SANGUINOSO : come antica belva do-
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486 [enon BSCOHDO] Puso. ut. 65-85 [guido dil duca]
Lasciala tal, ohe di qui a mìll'anm
Nello stato prunaio non si rinselva. »
67 Come all'annunzio de' dogliosi danni
Si turba il yiso di colui che ascolta,
Da qual ohe parte il periglio lo assanni:
70 Cosi vid'io l' altr* anima, che vòlta
Stava ad udir, turbarsi e farsi trista.
Poi ch'ebbe la parola a so raccolta.
73 Lo dir dell'una e dell'altra la vista
Mi fé' voglioso di saper lor nomi;
E domanda ne fei con preghi mista;
76 Per che lo spirto che di pria parlòmi,
Bicominciò: « Tu vuoi ch'io mi deduca
Nel fare a te ciò che tu far non vuòmi I
79 Ma da che Dio in te vuol che traluca
Tanta sua grazia, non ti sarò scarso;
Però sappi ch'io son Guido del Duca.
82 Fu il sangue mio d'invidia si riarso,
Che, se veduto avessi uom farsi lieto,
Visto m'avresti di livore sparso.
86 Di mia semente cotal paglia mieto :
pò il pMto. - BXLVA : Firence. Fulderi 8<mne notizie, ed ttohe i oomm. aat.
laaei* il tao officio e Firenze colle mani non ne sanno nulla. È ricordato in un do-
ancora tinte nel sangoe cittadino. omnento del 12 giogno 1202 per an già-
66. TAL: i^ disAUta e gnasta. Le erri- ramento Iktto in ctuiro BrttUiwrii. Fi-
bili peraecozioni di Fnlcieri resero qoasi glie di Giovanni degli Onesti da Bavenna,
imi>os8Ìbi]e la rioondliaKione dei Bianchi lasciò nel 1218 Brettinoro, dove era an-
coi Neri. dato a star col padre, e ritornò col figlio
66. BUiSBLVA : non toma nel florido sno e colla ftoniglia a Bavenna. Nel 1229 tì-
stato primiero. veva di naovo a Brettinoro. Cfir. Pietro
67. DOGUOSI: avrenimenti per Ini do- Amaduceit Ouido del Duca, Fori), 1890.
lorod. Al. DB* FUTURI DAHHi. 77. MI DEDUCA: oondisoenda. Cfr. Ii\f,
69. DA QUAL CBK : da qaalnnqae parte XXXII, 6. Lomb., JBstti, ecc. si aTrisano
II pericolo gli sovrasti. - lo AflSAKNi: lo ohe dedwrti valga in questo luogo o^
addenti. bauarti, umiUarn e simiU. Senso: Tu
70. L* altb' akima : Binicri. non vnoi manifestarci il tuo nome e de-
72. RACCOLTA : compresa la profezia di Sideri che io m* induca a rirelarti il mio !
Ouido e riflettutovi sopra. « Acolpe unno Ma, avendoti Dio concesso tanta graaia,
Dananm insldias »; Virg., Aen, II, 66. che, vivo, percorri le regioni deU*eter-
y . 78-87. OuiOo del IHtea. All'udire nltà, non to' esserti avaro di riq>oeta.
r inlknsto vaticinio dell' uno e al vedere 82. riabbo : « Putredo osdum, invi-
li profondo rattristamento dell'altro, dia»; Prov, XIY, 80. Secondo S. Ba-
Dante desidera di sapere chi siano quei sfilo (Opp, 1, 382) l' invidia oorrode 1* ani-
due spiriti, e ne fa loro domanda con pre- ma come la ruggine il forro. Horat,, Jl|».
ghiera. Colui che ha parlato sin qui, ri- I, ii, 67 e seg.: «Invidus alterins maore-
sponde ohe è Guido del Duca, aggiun- sdt rebus opimls : Invidia Siculi non
g^jdo la oonfsaslQne dèlia sua eccessiva invenere tyranni Maius tormentnm. »
invidia. DI Onldo del Duca ai hanno 86. semente: mieto dò che ho semi-
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[eiBOHB 8BC0ND0]
PUBG. IIV. 86-97
[BOXlGNl] 487
91
•4
17
0 gente umana, perchò poni il core
Là 'v'è mestier di consorto divieto?
Qaesti è Binier; quest'ò il pregio e l'onore
Della casa da Calboli, ove nullo
Fatto s'ò reda poi del suo valore.
E non pur lo suo sangue è fatto brullo,
Tra il Po e il monte e la marina e il Beno,
Del ben richiesto al vero ed al trastullo;
Chò, dentro a questi termini, è ripieno
Di venenosi sterpi, si che tardi
Per coltivare omai verrebber meno.
Ov'ò il buon Lizio ed Arrigo Manardi?
baIo. « QiUB eniin eemiiiAyerit homo,
hmc et motet»; Galat. VI, 8.
87. LÀ: nei beni terreetri. - divieto:
etdoiione di compagno ; etr. Purg. XV,
44 e Mg. Blane, F#r«ucA II, 61 e sag.
Bmrìovf, Oontrib., 282. Oom, Lip», II,
246 e Mg.
V. 89-90. B4nt9r da CatboU, Bive-
Isto H proprio, Gnido rivela pare il nome
del compagno. È Bioieri dei Paolaod da
CalboU diForn. di nobile fkmi^ gnelfii,
nomo di costami gentili e valoroeo, pre-
gio ed onore della saa casa, le cai virtù
Beanrno de' saoi discendenti ha ereditate.
Rinieri fa podestà di Parma nel 1262 (cfr.
Murai,, Script. IX, 778). Morì nel 1296,
e interfeotos a lohanne firatre eios, com
Intrasaet Forliviam oom maltis raven-
natibos et ariminensibas > ; Benv,
90. REDA : Al. EREDE; oft*. Inf. XXXI,
116. - POI : dopo la saa morte ; cfr. Purg.
VU, 121 e seg.
V. 91-126. Xo JUnnagna nel 1300,
Continoando, Oaido deplora ohe tatta la
Bomagna, e non solo la casa dei signori
di CalboU, siasi spogliata delle virtù ci-
vili e cavaUeresolie d' nn tempo, e sia ri-
péen» di nomini viaiosi. Se non ohe la
memoria del tempi, degli nomini e dei
costumi antichi intenerisce sino alle la-
grime Qaido, che perdo licenzia il Poeta.
91. BAH6UE: discendenti. - brullo:
speziato, nodo; cfr. Ir{f, XVI, 80;
XXXrV, 60.
93. MONTE: l'Appennino. Ai tempi di
Dante la Bomagna era confinata a set-
tentrione dal Po, a mesEodì dall'Appen-
nino, a levante dal Mare Adriatico ed a
ponente dal flnme Beno.
93. DSL BEH : deBé virtù civili e cavalle-
resche.. Al.: Del benedell'animaede'l>eni
del corpo •(Benv., ecc.). Al.: Dell'onestà
e del diietto {BxUi, ecc.). Al.: Di sciensa e
di costamatessa (Dan., Lomb., ecc.). AI.:
Delia sdenza e della letteratara (Biag.,
OoH., Qiob., ecc.). AL: Dello stadio edella
gentUessade' costami (Poi.). - trastul-
lo : cfr. V. 109-111 ; questa voce antica-
mente non significava soltanto vano di-
letto; cfr. Par, IX, 76.
94. TERMINI : confini della Bomagna. -
È RIPIENO: sottintendi il paese.
96. STERPI : gente di pessimi costami ;
cfr. Ir\f. XIII, 7.
96. PER coltivare: per quanto vi si
lavorasse, sarebbe diffldle il poterli e-
stirpare.
97. Lizio: da Valbona, largo e cariale
nomo e di grande cortesia (Lan.)^ signore
di Bavenna (An. Fior.) e « cavaliere cor-
tese, [che] per fare un desinare in Forlì,
mezsa la coltre del sendado vendo ses-
santa fiorini »; OU. - € Semel respondit
certis nontiantibas d cam timore, qaod
quidam suua filias non ita probus, nt
debebat, erat mortnas: Non est mihi
novam hoc, ex eo quod numquam vixit,
sed dicatis prò novo quod sepoltas dt. »
Petr. Dani. - Arrigo Manardi : o Mal-
nardi, della famiglia dd signori di Bret-
tinoro, «savio, largo e prndentissima per-
sona > ; Lan. > « Cavaliere pieno di oorte-
da e d'onore, volentieri mise tavola,
donò robe e cavalli, pregiò li valentuo-
mini, e sua vita tutta fti data a larghezza
ed a bello viTcre > ; Ott. Fu intimo amico
di Guido del Duca, morto il quale « se-
cari fecit lignum ubi cum dioto Onidone
consueverat sedere, allegando ibi dmi-
lem non habere >; Petr, Dani, e Benv.
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[GIBONB SECONDO] PURG. XIY. 98-107
[BOH
Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
0 Romagnoli tornati in bastardi !
Qaando in Bologna un Fabbro si ralligna?
Quando in Faenza un Bernardin di Fosco,
Verga gentil di picciola gramigna?
Non ti maravigliar, s'io piango, Tosco,
Quando rimembro con Guido da Prata
Ugolin d' Azze che vivette nosco,
Federigo Tignoso e sua brigata,
La casa Traversara e gli Anastagi
Pier Tbavsbsabo: signor di Ra-
I, fiori ai tempi di Federigo II im-
ore, ta superato dal Polentani e ri-
in Tosoana, dove visse triste ed
, Cfr. Oom. Lips. U, 248eBeg.J2i0ci,
fio, i, 9, 118, 121, 188. - Guido di
[ONA: figlio di Banieri de* conti del
»io di Garpegna, fiori nella prima
del seo. Xm. E lodato dai com-
itori antichi per Uberalità ed al-
d' animo.
TORNATI: tralignati dalle antiche
e Iktti malvagi e codardi. « Tor-
h qui per mutati, cangiati, voltati,
mmer francese. Cosi il Boccaccio
canzone in fine della nov. 10, giom.
, dice: Ohe te *l foste tenUto - IPor-
un tormerUo, Vedi Boce,, Teteide
5.» Betti.
. UN Fabbro: quando mai rina-
in Bologna nnFahbrof Probabil-
) intende di Fabio Lambertaoci, che
spedizione fktta dai Bolognesi con-
liodenesi nel 1228 aveva cnra del
ccio.e che fti forse quello stesso « Fa-
ll Bologna > , che fti podestà di Pisa
Ì54 e nel 1267 ; cfr. Murai., Script.,
7*, 644 e seg. Oom. Lipt. II, 249 e
Iste fhit nobilis milea de Lamber-
s de Bononia, vlr sapiens et magni
ii; et est hic Faber nomen pro-
1»; Benv. Mori nel 1209; cfr. Qox-
i. Torri gentil., 328 e seg.
. QUANDO; quando mai risurgerà in
sa un cittadino come Bernardin di
, uomo valente, benché d' ignobile
^iof Probabilmente questi et mes-
Bemardo da Faenza, » podestà di
Lei 1249 (cfr. Murat, Script. XXIY,
: comm. ant lo dicono nato di bassa
done, e, divenuto ricchissimo, assai
e e liberale.
Guido da Pbata : deUa terra di
Prata o Froda, nel Faentino, amie
di Ugolino d'Aazo; entrambi « di
luogo nati si trassero a tanta e
lezza di vivere, ohe abbaadonaU]
ghi di loro nativitade, oonversaroi
tinuo oon li predetti nobili »; (M
Fernu. y, 897 e seg.
105. ITooLiN D* Azzo ! della fiunij
scana degli Ubaldini, morto nel
cfr. Ferrai. V, 398 e seg. - N08C
noi. Ugolino visse per lo pih ne* a
stelli in Romagna. Al. vosco. Ma
non parla che della sua Romagna
108. Fkdrrigo Tignobo: da :
{Lan., Ott., An, Fior., Benv.,
Land., VeU., Dan., ecc.), o di L
(cfr. Adamo Brigidi, Fed. Tignoi
tua brigata, Rhninl, 1854). «Fu
mino, valente uomo; ma sua viti
Brettinoro ; il più. faggi la città <
potette, siccome nemica dei geni
mini; e qaando in lei stette, la i
vola fti come bandita » ; Ott. La su
« erat domidlium liberalitatis, ni
nesto dausa; conversabatur laet
omnibus bouis.... Habebat puloer
caput capillorum flavorum ; ideo i
tiphrasim sic diotus est. » Benv,
107. LA CASA: i Traversar! e gì
stagi furono delle prindpalissimc
glie di Ravenna. « Molti cronisti p
dei Traversar! ohe pretendevano i
al secolo y, famiglia principesca eh
sue donne a sovrani ; molte storie
vellieri ricordano Pietro, e diven
provenzali cantano le lodi d' Imil
moglie; molte storie e novellieri
dano infine gli Anastagi ohe ap
nel sec. XII. Quando Dante andò
venna, la ftkmlglia Anastagi era i
da buon tempo, e di quelUi dei 1
sari non riinanevano plh che aloui
mine. > Ricci, Rifugio, 121 e se(
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[mon SECONDO]
PUBO. iiy. 108-124
[BOMAGNl] 489
(E runa gente e l'altra è diredata),
109 Le donne e i cavalier, gli a&nni e gli agì,
Che ne invogliava amore e cortesia,
Là dove i cor son fatti si malvagi !
112 O Brettinoro, che non faggi via,
Poi che gita se n' ò la tua famiglia
E molta gente per non esser ria?
115 Ben & Bagnacaval, che non rifiglia;
E mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
Che di figliar tai conti più s' impiglia.
118 Ben faranno i Pagan, da che il demonio ^
Lor sen gira; ma non però che puro
Giammai rimanga d'essi testimonio.
la 0 Ugolin de' Fantolin, sicuro
È il nome tuo, da che più non s'aspetta
Chi far lo possa, tralignando, oscuro.
m Ma va' via, Tosco, omai; ch'or mi diletta
Boee,, Deeam, T, 8» Màtmi, IH, da Dee,,
356eaeg.
108. DDBDATA: «Stinte, seiisft eredi
(FofC, (ku$., Benv,, eoo.). AL: Bimaate
prift del Teiere, delle UbereUtà e d'el-
tre Tirtà de' enei aatiehi {Lan„ BuH,
Dan., eoe.). Cfir. Com, IAp$. II, 262.
IM. LI DOinnB : « qneato yeno eoi due
^ lo eeg;aono ritn^gono tatto 1* Bro
poeiieo delle caTellerU »; OioberH. - af-
fAsna: mflitHri, o di gaerre.
Ul. LÀ: In quelle steesa Bomegna,
dove al pteeente signoreggiano la onpi-
tigla e l'amUslone; cfr. J^f, XXVII,
"•■eg.
U2.BKBrniroBO ; oggi JBerHnoro, l'an-
tieo/oncm Trutarinorwn, picoola dttà
a Bomegna tra Forlì e Ceeena; ofr. G.
^tZL VIU, 98. -ruooi: ti annienti; ofr.
XXV, 10 e eeg.
118. FAMIOLIA : « i tnoi baoni aUtanti »;
Xee., Ott,, Benv., eoo.- « I Mainardi ohe
ftiroBO ooeti aignori, e quella fkmiglia
de' ICainardi ohe tennono fiertlnoro, ò
«penta e renate meno »; An. Fior, Dante
•Oede alloBhandimentodeiahibeUini da
Bertinoron^l2M.
115. Baoragaval: Tiòtriacum Oa-
^•Mi, 0, oome si legge negli antiohi mo-
Bmnenti di BaTenna, ad OabaOoi, borgo
e eastdlo, oggi pieooU dtte, della Bo-
ongna tt» Logo e BaToma, eolla rira
d«etra del Senio. Ai tempi di Dante
era signoreggiate dai eonti Ifalavidni.
Quando Dante soriyeTa questi Tersi, non
erano ancora estinti. - non rifigua : non
riorea più Agli.
118. Castkocaeo : forte castello di Bo-
masna, nella Tallo del Montone, posse-
duto dai oonti Ordelaffl di Fori). - Co-
mo : Ounio, castello della Bomagna pres-
so Imola, oggi distrutto, ohe ai tempi di
Dante aTora i suoi propri conti, detti i
conti da Barbiano.
117. s'ncpiOLLA. : si prende briga di con-
tinuare la suoceesione di conti tanto scel-
lerati.
118. Pagah : nobile fiuniglia di Faenza.
- DA CHE: Al. QUANDO. - DEMONIO: Ma-
ghinardo Pagano da Susinana, capo della
fkmiglia dei Pagani (cfr. Ir^f, XXTU, 50
eseg.).
119. BEN aiRÀ: morrà.Maghinardo morì
nel 1802. -I discendenti di Maghinardo,
morto che egli sia, fkranno del bene, ma
non tanto da lasciare di so fiuna del tatto
buona.
121. TJgolin de' Fantolin : da Faensa^
uomo distinto per bonte e pmdensa, Ta-
loroso, Tirtaoso e nobile; morì nel 1282.
combattendo nelle schiere di GioTanni
d'Appiè (cfr. Mwrat,, Script, XIV, 1106 ;
XXII, 162. Ferrag, V, 898 e seg.), senza
lasdare figliuoli.
124. MI diletta : ho maggior TOglia di
piangere che non di parlare.
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) [OTBONB 8S00ND0] PUBG. XIY. 125-140 [BB. D*
Troppo di pianger più che di parlare :
Si m'ha nostra ragion la mente stretta I »
Noi sapevam che quell'anime care
Ci sentivano andar; però, tacendo,
Facevan noi del cammin confidare.
Poi fummo fatti soli procedendo,
Folgore parve, quando l'aer fende.
Voce che giunse di centra, dicendo :
€ Anciderammi qualunque m'apprende »;
E fuggio, come tuon che si dilegua.
Se subito la nuvola scoscende.
Come da lei l'udir nostro ebbe tregua,
Ed ecco l'altra con si gran fracasso,
Che somigliò tuonar che tosto segua :
€ Io sono Aglauro che divenni sasso » ;
Ed allor per istringermi al poeta.
16. MOSTRA RAOIOH: il DOStrO ngio-
lento ; ofr. Ifif. XI, 83, 68. Al. YO-
L BAOIOM : cfr. Oom. Lipt. II, 265.
re, Orit., 800 e seg. - btrrtta : di
re, angastiftia. « Atqae animom pa-
Btrinxlt pi6tati8 imago » ; Virg., Aen.
294.
. 127-151. Eaempi d'invidia pu^
k Licenziati da'dne Romagnoli, Dan-
Virgilio oontinnano taciti il lorocam-
>. Così andando, odono ad nn tratto
ipi d' inridia punita, gridati da spi-
invisibili. Il primo ò l'esempio di
o che, moMO da inyidia (cft>. I Ep.
: Qiov. III, 12), nccise il fratello
le, onde ò torturato dal terrore. L'al-
ò l'esempio di Aglanro, invidiosa
, sorella Erse, e perdo da Mercurio
ertita in sasso. Compreso di spa-
o air ndir quelle voci, Dante retro-
per istringersi a Virgilio, il quale
tmisoe circa lo scopo di quelle voci.
r. CARE: caritatevoli [Bene, OM.,eofr).
ì, CONFTOARB: dal sHensio delle ani-
f gomentano di essere sulla buona
certi che, se così non fosse stato,
e anime cortesi li avrebbero av-
ti.
I.poi: poichò; allontanatici da quelle
e, rimanemmo soli.
L. PARVE : risonò di contro a noi una
, il cui tuono fu come della folgore.
Bliter expressnm ventis per nubila
9n Atheris impulsi sonitn, mundi-
que fragore Emicait, mpitqi
Lucan., Phart. I, 161 e seg.
133. Aif ciDERAioa: « mi ncoid
que mi troverà »; parole di Ci
Qenui IV, 14. - m'apprende:
184. SI DILEGUA : « [Venti] m
gnantur murmurc danai Nubi
veisque feramm more minani
hino nunc illinc fremi tus per s
tunt, Querentesque viam circi
tur, et ignis Semina oonvolm
bus, atqne ita cogunt Multa,
oavis flammam fomaoibus ini
divolsa fnlsemnt nube comsoi
JDe rer. ruU, VI, 196 e seg.
135. SCOSCENDE: squarcia, i
136. TREGUA : come non s' nd
nar di qneUa voce.
188. SEGUA: succeda al tue
dente « come tuono cui tuono ]
RoitetH,
189. AGLAURO: figlia di O
d'Atene ; invidiando la sorelli
era amata da Mercurio, si opp
ceri del Nume, il quale la ]
vertendola in sasso; ofr. Ovid
708-882. « E cosi era esemplo qi
a Dante di fuggire la invidia,
lo danno ohe ne riceve ohi è
ohe diventa sasso, doè ft^d
privato d' ogni carità »; BiOi,
140. IBTRIMGRRM1: Al. RUT
Non aveva ancor udito nel Pai
terribili voci.
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[OIOII BICOHDO] PUBO. XIY. Ul-151 [B8. D'HTTIDU] 491
14S
145
14a
151
Indietro feci e non innanzi il passo.
GHà era l'anra d'ogni parte qneta;
Ed ei mi disse : € Quel fa il doro camo,
Che doyria l'nom tener dentro a sna meta.
Ma voi prendete l'esca, si che l'amo
Dell'antico awersaro a so vi tira;
£ però poco vai freno o richiamo.
Chiamavi il cielo e intomo vi si gira,
Mostrandovi le sne bellezze eteme,
£ l'occhio vostro pure a terra mira;
Onde vi batte chi tatto disceme. >
Ul. twBaeno: Al. di dbbtbo (T)-
1^ QURA: non ai ndirano pili rod.
141. QUEL: le Tod udite. - camo: d«l
^ fmut» fr. xm^óq e xofió^ propri»-
■«te MMeraoU, Capestro; qui Tale
^nBO; efr. Purg. XTTT, 40. « In euM»
«t freno maTtllee eomm oonetrioge»;
PmL XXXI, ».
144. dotbìa: gU eaempi deDeftmeete
«AMcoeiise deQ'liiTidiA dorrebben» ri-
t«Mi» l'uomo dentro i termini del do-
▼<*«, il «he non mlTMiie celoeo al bene
iltnL
146. VOI : YirentL « Parla raaiore m-
««•do Agora, dimoetrando che li omini
•ODO iagaonati ómX dimonio, oome lo pe-
^ dal peeeatore; lo peócatore pone
I'«ea aen* aaM> e eoe! inganna lo peeeJo,
lieehè'l paUa; e eoià fi» lo dimonio al-
ToMO; ramo con che lo dimonio pilUa
r omo ti è lo peooato ; l' eeoa sono li beni
■Pptrenti mondani e non eaiatenti, eoi
qua ci tira ad ogni male »; Birti. -« Ke-
>eit homo flnem anom; aeid deot pieces
Contar hamo, et oieot aree laqaeo
oomprehendontar, de eapiontar homl-
nea in tempore malo, eoa eia eztem^
•operrenertt»; EceletiaaUt, IX, 12.
140. ▲▼TKI8ABO: oCr. JWy. Vili, 96;
XI, 20. I Petr. V. 8.
147. FREMO o RICHIAMO: eeempi di Tisi
paniti, o di virtù premiate.
148. IL CIELO : « ad prflBmiom patatom
Tobis »; Bem9.
149. BSLLBBE: astri; efr. /V: I> M;
XXXrV, 1S7. Omw, IH. 6. Ta$$o, Ger,,
XVIII, 18. « Omnia natone apedes et
motoa qnad qoadam Tarietate lingoarom
damat atqoe inerepat agnoecendom eese
Creatorem »; 8. Ang., IH Ub, arò, IH, 28.
160. E L'OCCHIO: nondimeno la voatra
mente è rìvdta odo alle ooee terrene.
« QiUB sorsom sont aapite, non qo» sa-
per terram »; CMom. Ili, 2. -« Pronaqae
<nun speotent animàlia osterà terram, Os
homini sabUme dedit, eodomqae toeri
losait et ereotos ad ddera tollero tqI-
tos »; OHd,, MH. I. 84 e seg.
161. oiTDE: perdo Iddio, ohe tatto oo-
nosoe. Ti poniaoe.
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492 [GIROHS BBCOHDO] PtlBO. XY. 1-8 [l' OBA DEL TBKPO]
CANTO DECIMOQUINTO
GIBONE SECONDO: INVIDIA
L' ANGELO dell'amor FBATEBKO, SAUTA AL TERZO BALZO
GIBONE teezo: ira
(Aggirarsi in mezzo a un filmo densimimo, che non lascia discernere nnlla)
VISIONI DI DOLCI MITEZZE, PENA DEGL'IRACONDI
Quanto tra l'altimar dell'ora terza
E il principio del di par della spera,
Che sempre a guisa di fanciullo scherza,
4 Tanto pareva già invèr la sera
Essere al sol del suo corso rimase :
Vespero là, e qui mezza notte era ;
7 E i raggi ne ferian per mezzo il naso,
Perchè per noi girato era si il monte,
V. 1-9. J/ara del <0M»po. Sono circa 2. par: apparisce, si vede; efr. Inf,
le 2 pomeridiane. « H Poeta ynole indi- XXXIII, 184. -speba: il cielo del «ole,
oarci l'ora corrente a questo pnntodel o la sfera contenente TEdittiea, in un
soo viaggio per messo d'on arco di eclit- Inogo della qoale troyaai ad ogni nio>
tica, la qnale ò nella spera del sole, sta mento il grande astro dinmo. CoA Bufi,
per la spera medesima, e nel movimento Véli, e tntti i moderni,
nnifbrme dinmo della sfera stellare muta 8. scherza: non cessa nn istante di
posisione, rispetto all' orizzonte e al me- mnovenri, come il flsnoinllo ohe acher-
ridiano di nn dato Inogo, cosi variamente zando è in continoo moto; « mntatnr in
e oontinnamente da risvegliare 1* idea di horas >; Horat., Arspoet., 160.
nn fanoinllo che stia vivamente scher- 4. tamto : spazio ; 45 gradi. > pabkva :
eando e non trovi mai posa. I primi versi appariva.
dicono dnnqne : quanto è V arco d' eclit- 6. LÀ : al Purgatorio. - qui : in Italia •
tica, che si rende parvente tra il prin- oAr. DeUa Vali», Sm$o, 68.
cipio del di e r nltimare dell' ora tersa, 7. E i raggi : e avendo noi girato circA
tanto ornai appariva esser rimasto al la quarta parte del monte da levante a
sole del suo corso verso la sera. » Anto- ponente (cfr. Purg. 1, 107 ; HI, 16), oam-
neUL Conflr. Ponta, Orolog., 210 e seg. minavamo verso occidente ; ondei T»gg\
^^ VaUe, Sento, 46 e seguenti. IfoeUi, del sole, ohe tramontava, ci ferivano pre-
vrar,, io. cisamente per mezzo la faccia.
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[cmOR SICONDO]
PUBG. XV. 9-21
[ANGBLO] 493
f
Che già dritti andavamo invèr l'occaso,
Qaand'io sentii a me gravar la fronte
Allo splendore assai più che di prima,
E stnpor m' eran le cose non conte;
Ond'io levai le mani invér la cima
Delle mie ciglia, e fecimi il solecchio,
Che del soverchio visibile lima.
Come quando dall' acqua o dallo specchio
Salta lo raggio all'opposita parte.
Salendo sa per lo modo parecchio
A quel che scende, e tanto si diparte
Dal cader della pietra in egoal tratta.
Si come mostra esperienza ed arte;
y. 1(M9. J/angéU> dèiPamor fra-
tento. Lo ■plendore di un'altra laoe, ohe
B'iOiaage allo splendor del sole, abbar-
bag^ a Dante gli ooohi. È lo splendore
Vangelo ohe sta li al prtaidpio della
MUta dbi] seoondo al tono girone, e ohe
b^ta 1 dae Poeti a salire e oanta una
<biU« beatitiidini.
10. 6KATAB: abbarbagliare la rista;
^^fttto dello splendore angeUoo cflr. Pwg.
XVn, 62; XXX. 78. Par, XI, 88, eco.
11. ALLO: dallo ^lendore assai mag-
giore di qaèUo del sole. - di psima : po'
aeli raggi d^ sole.
U. HOH CONTE : ignote. Non avendo an-
cor rodato 1* angelo, ignorava il motivo
^ qwa'aocresdmento di luce e quindi se
w meravigliava.
1^ LXVAi : « Opposnitqne mannm firon-
ti •; OHd., Uet. U, 276. - * Ante ooalos
(1>Posait mannm »; Ovid., Fast, IV, 178.
15. LIMA : diminnisce Teocessi vo splen-
dore, eome la lima il ferro.
16. oom : « A bene intendere questa si-
BùUtodine si noti primieramente ohe la
jfSge della riflessione della laoe fta stabi-
uU ab antioo e dimostrata negli speochi
P»ni, eonoavi e oonvessi nella Prop. I
y^ Catrottica di EnoUdo; seoondo, ohe
^ perpendieolars ta chiamata il cader
*«• pietra da Alberto Magno ; ohe ri-
>o«« sta qui in senso di riJUtta, perchò
u deriamento de' raggi della laoe fu dar
sU antichi espresso sena' altra distinzione
«* ▼srbo greco dvoKXdo), ohe significa
*P^9rt. Onde il senso ò : Come qnando
^ raggio di laoe dall'aoqaa o dallo spec-
chio salta all'opposta parte, torcendosi
04] «00 cammino, e risalendo con la stes-
sa legge oon coi discese, tàOòiÈào doè l'an-
golo di riflessione egaale a quello d' inoi-
denaa; e quanto dalla perpendiodare si
scosta scendendo, altrettanto se ne sco-
stasalendo, scorso ch'egli abbia nn tratto
egaale; vale a dire, ohe se 11 raggio si
sapponga discendere dall'altessa, p. e. di
nn miglio e salire altrettanto, le sne estre-
mità saranno da una parte e dall'altra
egualmente distanti dalla perpendicolare,
siccome dimostra artificiosa esperienza;
cosi mi parve d'esser percosso in volto
da laoe riflessa. E questa luce veniva im-
mediatamente da Dio all' angelo, e da
questo riverberava sulla fiMoia del Poe-
ta. » ToréUi, Ma vedi la noU 22, e ofr.
Oom. lApt, II, 261 e seg.
17. SALTA : « Sicut aqure tremulom la-
bris ubi lamen a3nis Sole reperoussum
ant radiantis imagine lun» Omnia per-
volitat late loca iamque sub auras Eri-
gitur summiqne ferit laqnearia teoti »;
Yirg., Aen, VHI, 22-26.
18. PABSCCHiO: pari, eguale a quello
oon cui discende, formando cioò l'angolo
di riflessione uguale a quello d' inciden-
za. Pareeehio per pari, ugtutU si usò an-
ticamente anche in prosa.
20. DAL caobb: dalla linea perpendi-
colare tanto, quanto da essa linea si di-
parte VX EGUAL TBATTA, per ogualo Spa-
zio, il raggio incidente. « De speculi qua
parte recedas, Continuo nequeunt illino
simulaora reverti. Omnia quandoquidem
cogit natura referri Ac resilire ab rebus
ad asquos reddita flexus » ; Luer., Ber.
nat. IV, 821-824.
21. ABTB : la catottrica, che spiega gli
effetti della refrazione della luce.
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494 [GIROVB SBCOHDO] PUBG. XT. 22-39
[AiraELO]
n Cosi mi parve da luce rifratta
Ivi dinanzi a me esser percosso ;
Per che a fuggir la mia vista fa ratta.
25 « Che è quel, dolce padre, a ohe non posso
Schermar lo viso tanto che mi vaglia, »
Diss'io, « e par in vèr noi esser mosso ? »
28 « Non ti maravigliar, se ancor t' abbaglia
La famiglia del cielo ! > a me rispose :
« Messo è, che vien ad invitar ch'aom saglia.
31 Tosto sarà che a veder queste cose
Non ti fia grave, ma fiati diletto,
Quanto natura a sentir ti dispose. »
34 Poi giunti fummo all'angel benedetto,
Con lieta voce disse: < Entrate quinci
Ad un scalèo vie men che gli altri eretto. »
37 Noi montavamo, già partiti linci,
E « Beati misericordes ! > fue
Cantato retro, e : « Godi tu che vinci ! »
22. BiFRATTA : riflessa dall' angelo al
■nolo, dal snolo al Poeta. Al., meno pro-
babile: Biflessa da Dio all'angelo, e dal-
l' angelo a Dante. Ma il Poeta distingne
il momento in onÌ Ai abbagliato dalla In-
oe diretta dell'angelo (▼. 10-15) dall' al-
tro momento in oni fti colpito dalla laoe
riflessa (y. 16-24).
24. FU BÀTTA: per sottrarmi a quel-
l'abbagliante splendore mi volsi presta-
mente dal lato dal quale mi stava Vir-
gilio. Al.: Cbiusi subito gli occhi (f).
25. CHB È: ohe luce è questa, innand
a coi non posso fare alla mia vista scher-
mo bastante, tanto da potermene servire Y
- A CHS : centra, verso del quale.
27. E88KB MOSSO: Venire alla nostra
volta. Vedendole venire, gli angeli guar-
diani de' sette cerchi si volgono verso le
ahimè, confortandole a salire ; cflr. Purg,
Xn, 88 ; XVII, 67; XIX, 46 e seg. : XXII,
1 e seg.; XXrV, 186 e seg.; XXVH, 56
e seg.
29. FAMIGLIA! angeli.
30. MBB80: questo splendore ò dell'an-
gelo che viene adinvitaroi a salire.
81. TOSTO: subito che tu sarai purifi-
cato, l'aspetto di questi splendori celesti
non ti sarà più gravoso, ansi ti recherà
U maggior dUetto di cui la tua natura
è capace.
85. LISTA: « Gaudium erit ooram an-
gelis Dei super uno peccatore pcaniten-
tiam agente »; Lue. XV, 10. > Qumci:
di qui, da questa parte, dove ò una aotAn
meno ripida delle due già da voi salito.
86. AD UH : non ò un'osservaaione del
Poeta (Tom.), ma dell' angelo, come inte-
sero rettamente tutti i comm. ant. e mo-
derni. - SCALÈO: scala. - kbbtto: erto.
37. Lorci: lat. <ttifM — di D, cioè dal
luogo dove l'angelo ci apparve. Al.; ICOK-
TAVAM.... DA LINCI. Si dlcc forso dadihì
88. BKATi : è la quinta beatitadine
evangelica t « Beati i misericordiosi ; por-
che essi troveranno misericordia »; Jfott.
V, 7. -« Invidia opponitnr miserloordi»
directe, secundum contrarietatem prln-
cipalis obiecti; invidus enim tristatur
de bone proximi; misericors autem tri-
statur de malo proximi; unde invidi
non sunt misericordes, neo e oonverao»;
Thom. Aq., JSum, theol. Il, n, 86, 8.
80. CANTATO: dall'angelo rimasto in-
dietro al suo posto. - GODI ; « al vincente
dard a mangiare dell' albero della vita,
che è in messo al Paradiso del mio Dio > ;
ApoetU. n, 7. Altri rammentano JSen».
XII, 21; altri MaU, V, 12. Cflr. (hm.
Upt, n, 264.
V. 40-81. ZI oon«or»<o dèi h^ne.
Mentre salgono dal secondo al teno gl-
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[anon sbcohdo]
PUBG. XY. 40-55 [C0N80BZ10 D. BBNB] 495
40 Lo mio maestro ed io soli ambedue
Suso andavamo; ed io pensai, andando,
Prode acquistar nelle parole sue;
43 E dirizza'mi a lui si domandando:
« Che volle dir lo spirto di Bomagna,
E " divieto „ e " consorto „ menzionando? >
46 Per eh' egli a me : « Di sua maggior magagna
Conosce il danno; e però non s'ammiri,
Se ne riprende, perchè men sen piagna. C?
49 Perchè s'appuntan li vostri disiri
Dove per compagnia parte si scema,
Invidia muove il mantaco ai sospiri.
S2 Ma, se l'amor della spera suprema
Torcesse in suso il desiderio vostro.
Non vi sarebbe al petto quella tema;
55 Che, per quanti si dice più li ^' nostro „ ,
mie. Dante ripensa alle parole di Gaido
del Dnoft, Purg. XTV, 87, e ne chiede il
m Virgilio. Kispondendo, Virgilio
la dUTereosa fcra i beni materiali
6 BpftoaU. I primi, se godati dagli uni
r«0«aBO Tletati agU altri, e deetano per-
ciò invidia; invece qoanti pih sono i pos-
seditori de* beni spiritoali, e tanto più
rieeo ò ognuno di essi.
41. PXHBAI : Al; PIR8AVA.
42. PBODB : dal lat. prodesae, prò, utile ;
efr. Pwrg. XXI, 75. Par, Vn, 26. Pensai
di trarre vantaggio dalle parole di Vir-
gOSo.
43. dibizka'mi: Al. drizza'mi ; m'Indi-
44. SFIBTO : Ooldo del Duca.
4e. MAaàOHA: vìeìo, difetto; cfr. Ittf,
XXX ITI, 152. Pwg. VI, 110. L'invidia
fa n maggior vizio di GÌiido del Doca;
efr. Purg. XTV, 82 e seg. « E per qaeeto
dà ad intendere ch'élli avea anco altri
peeeatl : ma più qneUo de la invidia che
li altri »; Buti.
47. IL DAHHO: conosoe per prova le
eomaegnenn fnneete dell' invidia, onde
non è marAvi^^ se ne ih rimprovero agli
nomiBi, aliinebè si gnardlno da essa. «Le
«Bine parganti, essendo giuste, bramano
ehe i virenti non cadano nella colpa in
ehe esse vivendo caddero »; Jfartùii. Se-
condo il Vangelo, bramano lo stesso an-
che le anime dei dannati ; confir. Lue.
XVI, 27 è Bog.
49. PKBCHÈ : pel motivo che i vostri de-
siderii tendono alle cose terrene, deUe
quali l'attmi partecipazione scema il go-
dimento, l'invidia vi tormenta e & so-
spirare. - 8' appuhtan : tendono, si vol-
gono; ofr. Par. VI, 28.
50. 81 80XMA : « in questi beni di che
nasce invidia, cotanti qoanti olii sono più
alla parte, cotanto è minore la parte, sì
come se sei persone hanno a partire
mille libbre, fXìi ne tocca minor parte che
s'elU fbsseno pur tre alla parte »; Lan.,
OU., eoo.
51. MUOVB: l'invidia v'infiamma ed
il suo ardore vi fa sospirare accendendo
la vostra onplditÀ a voler il tutto.
52. 8rsRA: l'Empireo, ultima delle sfe-
re, vera sede dei beni spirituali. Se l'amo-
re delle cose celesti drizzasse i vostri
desiderii al cielo, voi non avreste nel
cuore la paura che l'altrui partecipare
e godere potesse menomamente scemare
il godimento vostro. Cfr. Colon. III, 1.
53. T0BCB86B: rivolgesse.
55. CHE, PER qUAHTI: Al. PBBCHÈ QUAN-
TO. Quanto maggiore è il numero di co-
loro ohe lassh godono dello stesso bene,
tanto più ne gode ciascuno in particolare.
« Nullo enim modo flt minor, accedente
seu permanente consorte, possessio bo-
nitatis ; imo possessio bonitatis tanto flt
latior, quanto ooncordior eam individua
sooiomm possidet daritas. Non habebit
denique istam possesdonem qui eam no-
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496 [GIBONB SECONDO] PURG. XV. 56-71 [CONSORZIO DEL BBNB]
58
61
61
67
70
Tanto possiede più di ben ciascuno,
E più di cantate arde in quel chiostro.
€ Io son d' esser contento più digiano, >
Diss' io, « che se mi fossi pria taciuto;
E più di dubbio nella mente aduno.
Com' esser puote che un ben distributo
I più posseditor faccia più ricchi
Di sè| che se da pochi è posseduto? »
Ed egli a me: « Però che tu rificchi
La mente pure alle cose terrene,
Di vera luce tenebre dispicchi.
Quello infinito ed ine&bil Bene
Che lassù è, cosi corre ad amore,
Come a lucido corpo raggio viene.
Tanto si dà, quanto trova d'ardore;
Si che, quantunque carità si estende.
laerit habere oomonem, et tanto eam
reperit ampUorem, quanto amplina ibi
poterit amare oonsortem »; 8. Aug.» (Xv,
IM XV, 15. - « Qui ergo Uvoris peste oa-
rere deidderat, iilam hnereditatem dili-
gati qoam oohssredam nnmema non an-
gnstat, qjub et omniboB nna est, et sin-
golis tota: qoe tanto largior esse osten-
ditor, quanto ad hano peroipiendam,
moltitndo dilatatnr »; S. Oreg., Maral,
IV, 81. - li: nella ipera $vprmna,
57. cmoSTBO: cfr. Pwrg, XXVI, 128.
Par, XXV, 127.
58. DiGnnro: sono meno soddisfktto di
prima, essendo ora, dopo aver udito la
tua risposta, inviluppato in nn dubbio
anoor più forte.
59. SB HI VOB8I: AI. 8* IO MI FOSSB.
60. ADimo: cfr. Ifkf, VII, 52.
61. oom'bssbb : come è possibile che nn
bene, distribuito tra un maggior numero
di posseditori, li fttooia più ricchi di so,
ohe se distribuito tra poohiY « Bes per
partitionem susoipit diminutionem »;
Benv. n Taiio : « Ohe si trovi nna tal
bellezsa che, compartita, invece di sce-
mare, moltiplichi e che possa tutti gli
nomini render félid, non se ne dee nò
se ne può dubitare. Tale ò la bellessa
delle sdense, ohe, perdio interamente sia
da alouDO goduta, non per questo gU al-
tri ne restano privi. Tale ò più propria-
mente Dio, che non ò bello, ma V istessa
beUexaa. » Cfr. Chw. IH, 11 ; IV, 18.
64. BIFICCHI: torni a tener fissa la
mente soltanto alle cose terrene.
66. LUCE: dal mio verace parlare. • m-
SPICCHI: traggi, raccogli.
67. Bbue: Dio « il quale ò nostra bea-
titudine somma • ; Oanv. IV, 22.
68. CHS LAfiSÙ È: Al. CHK È LABBÙ. -
GOBBE : comunica so stesso all'anima ohe
lo ama, come i raggi del sole si oomimi.
cano ai corpi ohe riflettono la Inee.
60. BÀQGio : « JEraque fnlgent Sole la-
cessita et luoem sub nubila iaotant »;
Virg., Aen, VII, 626 e seg.-« Arma mbent
nna, dypeoque inoenditur ignia »; SUU.,
Tlieb, X, 844. - « D sole, discendendo lo
raggio suo quaggiù, riduce le cose a sua
dmiUtodine di lume, quanto esse per loro
dispoeisione possono ddla virtù lume ri-
cevere. CkMA dico che Dio questo Amore
a sua dmilitudine riduce, quanto caso ò
possibile somigliard aDio-vObno. IH, 14.
70. TANTO: cfr. Par. XIV, 40 e seg.
Oonv. IV, 20. Oom, Lipt, n, 267 e seg. -
81 Di: d comunica all' anima. -ABDOBB:
di carità.
71. BÌ CHE : di modo ohe Iddio, 1* tivl-
nUo ed inefabU bene ddl'anima, le si oo-
munica tanto più, quanto più arde ineaia
il ftiooo di oarità. « La dlsugnagUanaa
della gloria nd ddo ò qui con iUoBoAea
teologia &tta derivare dalla disogna-
glianxa di oarità de* beati, in propor-
sione della quale si comparte loro lame
di gloria » ; OioberH.
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[«nM)VB SECONDO]
Pime. IT. 72-84 [consorzio d. bini] 497
73
n
7»
Cresce sopr'essa P eterno valore:
E quanta gente pib lassù s'intende,
Più Vò da bene amare, e più vi s'ama,
E come specchio l'uno all'altro rende.
E se la mia ragion non ti disfama,
Vedrai Beatrice, ed ella pienamente
Ti terrà qnesta e ciascun' altra brama.
Procaccia pur che tosto sieno spente.
Come son già le due, le cinque piaghe,
Che si richiudon per esser dolente. »
Com'io yoleya dicer € Tu m'appaghe »,
Vidimi giunto in su l'altro girone,
Si che tacer mi fèr le luci vaghe.
78. s*DmKDB: SÌ MD»; Tom., Far^.,
ÀMdr., eoo. Altri: Alpi» a qoél bone
di lenii; VeU., eoo. - Si nnleoe ineieme;
VnU,, eoo. - Si oonosoe per matne riflee-
■tone d' ano In eltro del lome di Dio ohe
if inTeete; Lomb., Br. B^ eoo.- È intente
■n* Tiaioine di Dio : Bioi^., JVa<., eoo. - Si
-volge deaioeA a Dio (OMte, eoo.). Il Alte
legge s'attotob, eqkiegft: li vede, n Oh
Mrl- «quanti più befttitn immagini e poni
lMe6>.Il Atnf.CSrudCad (>M.,S13)0MMr-
▼n glaetementeohe « il secondo inciso di
questo memlnetto FìiHl t'è da bene amare
4 pror* proTSte ohe nelV inciso primo il
f«aii<a ptnfspM lotftk «' intenda non pnò
litro Importerò ohe ^iumtipià tono eolo-
rcehaH amano. »Gfr. Oom. Lipt, U, 268.
74. PIÒ TI S'ama : « li Santi non hanno
tra loro inTidia; perooehò oiasonno ag-
giogiie li fine del soo desiderio, il qnale
dwMerto è ooUa natora della bontà mi-
sarato »; Cbitv. m, 16. Gfir. Ozanam,
DanU H la phU, eaih,, 156 e seg.
75. M OOMK; Dio è il sole delle anime
(efr. Oonw, m, 12), le qoaU sono tanti
speeeU, nel qnaU la soa Inoe si riflette.
(loanto maggiore è il nomerò degli speo-
étdt «ioè deOe anime, tanto maggiore si
ik 11 tome; e quanto maggiore ò Ulnme,
tanto pld ehiara è la Tisione beatifica
deOe anime. Donqne quanto più si an-
BSAtafl numero delle anime ohe di quel-
lo it^bidto od inofaba bono dicono: egli
è nootro, tanto pth ne possiede ognuna
di esse.
7e. BAOIOH s ragionamento, dimostra-
zione. - disfama : saala, appaga. Bispon-
dealla metaftnm deO'esser ds^imo usata
da Dante, ▼. 58.
33. " JHo, Qomm,, 4^ odia.
77. VEDRAI; ofr. Purg, VI, 48 e s^.;
ZVm, 46 e seg.
78. TI TOBRÀ: ti chiarirà questo e
ogni altro dubbio droa le cose della
fede.
79. bpkite: tolte dalla tua fronte.
80. Du>: superbia ed Inrldia. - c»-
que: ira, aoddia, ayarisia, gola e hissn-
ria.-PUGHB: i P desorittigU dall'an-
gelo nella fronte, Purg. IX, 112 e seg.
81. SI EiCHiUDOM: si rimarginano me-
diante la contrisione del cuore, fonda-
mento della penitensa. « Oportet eum,
qui agit pcsnitentlam, af&igere animam
snam, et humilem animo se pnestare in
omni negotio, et voxatlones mnltas ya-
riasque perfsrre »; Hormat,, Pati. HI, 7.
y . 82-03. Maria, primo ooetmpio di
mat%9uotudÌHe, Appena arrivato sul
terso girone, Dante vede in visione esta-
tica esempi di dolci mltesae. « Le salu-
tifare visioni sopraggiungono al Poeta
prima che appaia la gente ed il Aimo,
forse a signifloaroi ohe dobbiam prowe-
derd contro l'ira innansl ohe oi avvenga
di provar gli effetti di essa»{ Psrsf. H
primo esempio è anche qui Maria, la
quale, avendo trovato il fknoiullo Gesù
nel tempio di Gerusalemme, dopo averlo
oeroato tre giorni sempre in gran tra-
vaglio, non si adira con lui, negli ik rim-
proveri I ma si contente di dirgU con af-
fetto materno i « PigUo, perchè ol hai tu
Iktto qnestof Ecco che tuo padre ed io,
addolorati, andavamo In cerca di te ».
Cfr. Luea H, 41-62.
82. m'appaghi: mi appaghi; mi acqueti
e contenti.
84. LUCI VAGHE I gli occhi miei, bra-
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[OIBONB TBBZO] PlTRO. XT. 85-105 [B8. DI MAHSTJBT1]
Ivi mi parve in una visione
Estatica di subito esser tratto,
E vedere in un tempio più persone;
Ed una donna, in su l'entrar, con atto
Dolce di madre dioer: « Figliuol mio,
Perchè hai tu cosi verso noi fatto?
Ecco, dolenti, lo tuo padre ed io
Ti cercavamo. » E come qui si tacque.
Ciò che pareva prima, dispario.
Indi m'apparve un'altra con quelle acque
Qiù per le gote, che il dolor distiUa,
Quando per gran dispetto in altrui nacque,
E dir : < Se tu se' sire della villa.
Del cui nome ne' Dei fu tanta lite,
Ed onde ogni scienza disfavilla.
Vendica te di quelle braccia ardite
Che abbracciar nostra figlia, o Pisistràto ! »
E il signor mi parca, benigno e mite,
Risponder lei con viso temperato :
« Che farem noi a chi mal ne desira,
Se quei che ci ama, è per noi condannato ? »
i di vedere ooae nuove, mi fecero am- terfldmnB, quid hia iholeniiu, qidl
loiire. ramnst » H giovine andò qnind
K PIÙ PKBSONB: i dottori giudei, in nito.edebbeiniBposalafiuMinUa
so ai quali il dodicenne Geaù aedo- raccolta qui Taneddoto, tradnoei
ascoltandoli ed interrogandoli; ofir. Iorio Maaaimo quasi alla lettera
a n, 46. M. un'altra: donna, cioè la
). DOKif A : Maria. - ut su l'krteab : di Pisistràto. - acqui : lagrime,
limitar dell* porta del tempio. 95. distilla: spreme.
l. B COME: e sobito ohe Maria ebbe 06. nacqui : quando il dolori
«e queste parole, la prima visione di' gionato da dispetto e da irai
rve. lagrime di dolore e nello stesso
. 94-106. 2*Msfraeo, seeondo esem- di sdegno,
di «iMmsuetudine. Appena dilegua- 97. dib: al marito Pisistràto.
a prima, ecco una seconda visione, signore della città.
»ndo esempio di mitezsa. È Tesem- 98. litb: tra Nettuno e Mine
di Pisistràto, lUxaiaxpavoq, figlio di chi dei due si dovesse denomi
Dorate, flunoso tiranno di Atene (n. dttà, che da Minerva fti poi den<
w U 606, m. U 628 o 527 a. C.) pa- Atenei cfr. (Md„ MeL VI, 70 e
^ di Solone. Cfr. Joh. Muttii, Piti- 99. u> ONDI: e dalla quale città
tut, Lngd. Batav., 1628. Baoconta ne si diffonde ogni lume di sdì
Brio Massimo (Poeta §t dieta mem. arte e di civiltà.
1) ohe un giovine, innamoratosi di 102. il bignob: Pisistràto.
figlia di Pisistràto, la baciò in pub- 108. timpebato : mananeto, iti
o, e ohe, chiedendo la moglie e madre a bella padensa e benignità,
detto di tanto oltraggio, egli rispose V. 106-114. Stmto SUfan»,
wmente : « Si noe, qui noe amiuit in- esempio «M monsuefiuiliie. Nel
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[OntOMS TSBZO]
PUBG. XY. 106-114 [B8. DI MAN8UBTUD.] 499
IM
109
113
Poi vidi genti, accese in foco d'ira,
Con pietre un giovinetto ancider, forte
Gridando a sé pur : € Martira ! martira ! »
E Ini vedea chinarsi per la morte,
Che l'aggravava già, invèr la terra;
Ha degli occhi facea sempre al ciel porte,
Orando all'alto Sire, in tanta guerra,
Che perdonasse a' suoi persecutori.
Con quell'aspetto che pietà disserra*
▼iikme Bute Tede U protomartire ori-
atisDO MDto Stefimo, il quale» lapidato
dai ftnlbaKU Giudei, tnyeoe di adirarai
ed iBTeire contro i ano! aaatarini, inyooa
per loro il perdono, morendo colla pre-
ciderà sulle labbra: « Signore, non im-
potar loro questa oosa a peoeato ! » Cfr.
Atti Vn. 57-69.
106. onrr: i Giudei ohe lapidarono
santo Stefimo. B' intende ohe essi non
sono in Purgatorio, come non tì è Caino.
Si tratta di Tisloni e non più. - Aocisi :
▼. AtU vn, 54, 56: « Si rodevano nel
loro cuori, e digrli^narano i denti contro
di lui;.... e tutti d' accordo gli corsero
addosso oon ftaria.»
107. uv oiotutetto: santo Stefimo. Ve-
amente non era un gioviruUo, quando
fu lapidato ; ofr. Atti VI, 6, 8, 10, 13. Pare
che Dante, fórse fidandosi della sua me-
moria, o forse per avere sott' occhio un
testo corrotto, confondesse santo Stefono
con Saulo, ohe fo poi Paolo, il quale era
presente alla lapidasione di santo Ste-
fimo e di cui si l^e In AtH VII, 67: « e
i testimoni posarono le loro vesti ai piedi
di im giovinetto, chiamato Saulo. » H
PoL, a torto, crede che S. Stefimo fosse
veramente un giovinetto ; si leggano i
due capitoU VI e VII degli Atti.
108. QKtDAMDO : « ma quegli alsando le
grida, si toraron lo orecchie »; Atti VII,
56. > A b6 fub : non dicendo V un V altro
che queste parole: Martira! Martira I
cioè: ammazza! ammassai; dagli I dÀglil
Di queste parole U testo biblico non fo
vemn cenno. Sono una dedazione del
Poeta, n Betti: « Questo jnir appartiene
a martira, come dir volesse: dàgUpure,
dègH, seguita pure a martoriarlo. Onde
I due punti van collocati dopo a tè. Pur
in questo significato Purg. XVI, 16 » (f).
110. Oli: Al. OTÙ. « B piegate le gi-
ooodiia, gridò, eoo. »; Atti VII. 69.
111. FACKA: teneva gli occhi sempre
aperti e rivolti al dolo. « Mm «gli, essendo
pieno di Spirito santo, mirando fiso il
dolo, vide la gloria di Dio, e Gesh stante
aUa destra di Dio »; Atti VH. 65.
112. SlBI: Dio; ofr. Ir^. XXIX, 56. -
OUKBRA: in tanto crudele martirio, ee-
sendo incessantemente colpito dalle pie-
tre lanciate contro di lui.
114. DiBSEBBA: apre i onori aOa pietà.
Coéì Veni., Ooet,, Br. B., Frat., Chreg,,
Andr,, Bl., Poi., ecc. Altri diversamente:
« Con quello ragguardamento che esce di
pietà»; BuH.- •Con quella dimostrazione
che in apparenza di foori dimostra pie-
tà »; Véli., Dan., Tom., eco.-« Con quel-
V aria di occhi pietosi, ohe muovono Dio .
a misericordia»; Lotnb., Port., Pogg.,
Ou., Oamer., FHal., Witte, ecc. Cfr. Oom,
Lips. II, 272.
V. 115-138. jintmaeetran^ento di
Virgilio, Le visioni di Dante non sono
ignote alla sua guida. Ma, per istruirlo
sullo scopo di esse, Virgilio chiede che
coea egli abbia, e Dante accenna alle
vinoni or ora avute. Il Poeta distingue
qui argutamente tra oggettività e sog-
gettività. Ciò che egli avea veduto nelle
sue visioni, erano verità, eo$e vere, ma
verità soggettive, cose che sono neir ani-
ma, e non fuor di lei vere. Ha Toomo,
assuefotto a percepire le cose come esi-
stenti foori di sé, trasmuta focllmente
le cose soggettive In cose oggettive, im-
maginandosi di vedere fetori di sé ciò ohe
è soltanto nel suo intemo. Onde, durante
la sua estasi, Dante avea creduto ohe
* quanto egli vedeva ed udiva, avvenisse
realmente foori di sé, fossero cioè fatti
oggettivamente veri e reali; e questo ò
Terrore di cui si accorge, non appena
r anima sua è ritornata aUa percezione
delle cose oggettive. Ha egli osserva ohe
1 suoi errori erano non folti, avendo la
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500 [GIBONS TERZO] PUBO. X7. 115-134 [A MMAB8TB AMENTO]
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Quando l'anima mia tornò di fuori
Alle cose che son fuor di lei vere,
Io riconobbi i miei non falsi errori.
Lo duca mio, cbe mi potea vedere
Far 8i com' uom cbe dal sonno si slega,
Disse : < Che hai, che non ti puoi tenere.
Ma se' venuto più che mezza lega,
Velando gli occhi e con le gambe avvolte,
A guisa di cui vino o sonno piega ? »
« 0 dolce padre mio, se tu m'ascolto.
Io ti dirò » diss'io, « ciò che mi apparve.
Quando le gambe mi furon si tolte. >
Ed ei : « Se tu avessi cento larve
Sopra la faccia, non mi sarien chiuse
Le tue cogitazion, quantunque parve.
Ciò che vedesti, fu perchè non scuse
D'aprir lo core all'acque della pace.
Che dall'eterno Fonte son diffuse.
Non domandai '' Che hai? „ per quel che face
Chi guarda pur con l'occhio che non vede,
oosoienza di non enaeni ingannato, di
arerò reahnonte vedato ciò che gli ap-
parve, qoantonqae fossero immagini solo
enttenti, non stutitténti, L'ocoliio ano
corporale non ayea veduto nnlla ; eppnre
le cose gli erano reramente state pre-
senti, ed egli le avea realmente vedute
coli' occhio della mente, deH'anima, dello
spirito.
115. TOBNÒ : si risvegliò dall' estasi,
nella quale l'anima, tutta occupata delle
cose inteme, spirituali, non percepisce
più gli oggetti estemi. - di fuobi : alle
realtà oggettive, alla percezione degli
oggetti esteriori.
116. FUOB: vi sono cose vere nèWtoA-
ma, e queste sono le verità soggettive;
e vi sono cose vere fuori dell* anima,
il mondo dei fenomeni estemi, le verità
oggettive.
117. NON FALBI: realtà soggettive.
119. Bi SLBQA : si scioglie dal sonno, si
sveglia.
120. TCNBBB: reggere in piedi.
122. VRLANDO : cogli occhi socchiusi e
le gambe vacillanti, a guisa di uomo vinto
dai vino o dal sonno. « Ule mero somno-
que gravis titubare videtnr, Vlxqne se-
qui »; Ovid., JCrf. m, 608 e seg. -« Conse-
quitur gravitas roembronun,prsepedinii-
tur Crara vacillanti, tardesoit lingn»,
madet mens, Kant oculi»; Lwret,, Ber.
Nat, lU, 477 e seg.
126. TOLTI: impedite.
127. LABVB: maschere; of.Par.XXX,9L
128. CHiUBB : nascoste.
129. oooiTAZiON : lat. eogitationes, pen-
sieri. - QUANTUNQUB PABVB t per quaato
piccole. Ctr. Iitf. XVI, 118 e seg.
130. VKDXSTi: in visione, -scubb: ti
scusi.
131. ACQUE: l'ira ò ftioeo; l'acqua spe-
gne il flDoco. Le aeque dàUa pace sono
i sentimenti e le opere di carità, che
smorsano l'ira, oome l'acqua spegne il
fuoco. Cfr. Ebrei X, 22.
132. Fonte ; Dio; «Apnd te est fona
vit» »; Piai, XXXV, 10. - « Me dereU-
querunt fontem aquo vivie»; Jerefn,
II, 18. - « Dereliquernnt venam aquanun
viventinm Dominum»; itidem XVII,
18, ecc.
188. PBB QUEL: indotto da quel mo-
tivo, per cui suol dimandare chi vede
soltanto coll'oochlo materiale e corporeo,
ohe non penetra oltre la soperflde.
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[eiBOHl TEEZO]
PUBO. IT. 185-144 [PIVA DSQL'IBAC] 501
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Qoando disanimato il corpo giace;
Ma domandai per darti forza al piede :
Cosi frugar conviensi i pigri, lenti
Ad usar lor vigìlia, quando riede. »
Noi andavam per lo vespero, attenti
Oltre, quanto potean gli occhi allungarsi
Centra i raggi serotini e lucenti;
Ed ecco a poco a poco un fummo farsi
Verso di noi, come la notte, oscuro;
Nò da quello era loco da causarsi :
136. QUAHDO: Tedendo alouiio gi«eei«
eoma morto in tom. Se duo Tanno insie-
me, e 1* ano onde in tom tramortito od
iaoomineln ad andar Itareollando, come
nel ttoetro eaao aTora iktto Dante, T. ISl
e aeg., il compagno, il oni occhio corpo-
reo BOB penetra nell'interno, chiederà
•abito ipaTentato, o mararigliatot Ohe
kait Tolendodire:Qiua0l«fNoei9od«<
Imo emd0r§, o harcoUaréf Qai Virgilio dice
die la eoa dimanda non he tal aeneo,
» egli già per qoal motivo Dante
tà «marrito di mente. Cfr. Fat^.
atmài €d Off., 108 e 9tg. Oom, JÀp: n,
374eaeg.
188. PBB DABTI: per incoraggiarti a
eontbiQ«re con aicaro paaeo fl tuo cam-
mino. « Timebat inirare locnm ahi por-
gatnr ira, nbi oportet qnod homo re-
mittat Ininriae et ofTensas, et abiidat
appetitom Tindiet« »i Bmo.
187. rauoAB : spronare, atlmolare ; cfr.
Purg. XTV, 89. Co^ bisogna spronare i
pigri, i quali non sanno rimettersi in
màoa», sabito che sono risregHati ed
hanno rlcaperato le loro fluìoltà.
188. BISDB: la TlgiUa —quando i pigri
tornano a sregllarsi.
V. 188-145. Xa pena degU iraeandL
L*ira ottenebra rintelletto e torba la no-
batà del eoore; cfr. tiVoòteXVII, 7. Balm,
XVn, 8. Onde gl'iroel nel terso girone
si aggirano arroti in denso e pangente
fàoM, implorando mitessa d* animo da
Cristo, cheftidetto agnello di Dio, perohò
mansueto ed umile di cuore. « Il ftuno
cfa'esee dal Iboco, è quella parte ohe il
ftioco eoercra da eè per meglio scaldare
e schionare, è cosa che non dà né forca
di calore, né doloeasa di lume, ma solo
contrista ed acceca. Onde giusto ò ohe in
messo a densissimo Amo ripensino al
proprio peccato coloro che un giorno dal
ftioco deU' ira trassero Aimo a spegnere
o a illanguidire co* pensieri della ren-
detta il ftu>co della carità, e ad anneb-
biare con toeche immagini il lume deUa
Terità. Come nel secondo cerchio tutti
erano aTToltl in llrida Teste e sedcTano
sopra liTidi seggi a lidolersi degli antichi
HTori, qui tutti s* aggirano aTTolti nel
fitto fumo, e si ridolgono delle cecità e
delle turbolcnse dell' ira antica, né tra il
Aimo possono Tederò, ma solo parlare
ed essere uditi. » Feru, Sette eerehi, 161
e seg.
189. PBS LO TBSPKBO : dorante il to-
spro. « n Poeta Tiene a dird, che il giro
del monte, anco a queir altessa del terso
balso, era molto ampio ; perohò la Tista
Ti si stendea quanto potcTa allungarsi,
non quanto le si permetteva dalla cor-
Tatara della cornice; e perohò special-
mente prooedeTa contro i raggi serotini
e lucenti il che fi» manilbsto aversi sem-
pre il sole in llMcia dal nostri Poeti. Ha
quando salirono a questo terso girone,
avevano il sole nel messo della fronte,
e ormai oltre la salita della scala, ave-
vano camminato quasi una lega, cioò
intomo a due miglia t dunque doveva
piegare ben poco la cornice se mante-
neva 1 nostri viaggiatori nella diresione
dell'occaso, hon ostante quel lungo cam-
mino i e quindi essa doveva avere nu
gran raggio, e il monte una bella gros-
sesza. In quanto poi dice ohe andavano
per lo veepero sembra che debba inten-
dersi ohe camminavano dorante l' ora di
vespro. » AntoneUi.
140. QUARTO : per quanto d era con-
cesso dai vividi raggi del sole morente
ohe, essendo bassi, erano direttamente
opposti al nostro sguardo^
148. O0CUBO : cfr. Purg. XVI, 1 e seg.
144. KÈ DA QUELLO : 0 quol ftlOM OOCU-
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ttìlBONB TBBZO] PUBO. XV. 145 - IVI. 1-6
Questo ne tolse gli occhi e l'aer puro.
o tutto il balco, non vi era alcana
», dove potewimo evitarlo.
>. NB TOL8K: d tolao l'oflo degli
occhi e r aria pnra. « Caligavit a
gnAtione oonlos mena »; lob XV]
OLI OOCHI: Al. AOU OOOBI L' AXB
CANTO DECIMOSESTO
GIBONE TEBZO: lEA
MARCO LOMBARDO, DEL LIBERO ARBITRIO
ELLA CORRUZIONE DEL MONDO, CORRADO DA PALAZ
GHERARDO DA CAMINO, GUIDO DA 0A8TELL0| GAIA
Buio d'Inferno e di notte privata
D'ogni pianeta sotto pò ver cielo,
Quant' esser può di nuvol tenebrata,
Non fece al viso mio si grosso velo,
Come quel fummo ch'ivi ci coperse,
Nò a sentir di cosi aspro pelo;
1-15. Catntnino attraverso il fu-
dolendo descrivere la grande oecn-
she lo avvolse nel terzo girone del
Istorio, Dante raccoglie tntte le oir-
Dze che sulla terra possono concor-
ad accrescere agli occhi dell'uomo
irìtà della notte : mancanaa d' ogni
Inminoflo, densità di n avole e oris-
limitato di chi si trovi in ona valle
nda ed angnsta.
BUIO: l'oscarità dei cerchi infer-
0 della più escara notte che possa
in terra, è minore di qnella che mi
se qui. - PRIVATA! senEa stelle.
, Aen, III, 20i: « Totidem sine
) noctes. »
OVBB : in Inogo angasto, dove si ve-
«o cielo; dove assai limitato è To-
rte. Cosi BetH, Pogg., Br, B., Ben-
Poi., ecc. Altri diversamente: Scar-
lami celesti, totto coperto di nn-
voli ; Benv,, BuH, Serrai»., lAind.,
Dan., Voi., eco. - Sotto nna pa
dolo povera, scarsa di stelle; J
Poh,, Biag., OoH., Ou., Wagn,,
Frat., Brun., And., Anton., Triti.,
Frane,, Filai., ecc. Ma questo co
ò già espresso nelle parole : priva
gni pianeta, - In povero, rigido <
Oreg. Come e' entra qni il rigido
Dante vnol dare un'idea della i
oscurità ; e tutti sanno che in ani
profonda e stretta l'oscurità è assa
giore ohe non in una aperta piana
4. MOif FBCK: non impedì mai
vista come il fhmo del terso cerchi
6. A 8RNTIR: al senso. - PILO:
nuando la similitudine del velo, e
oosì le acri e pungenti particelle e
fumo, il quale non solo impediva la
ma per giunta mordevA ed oOnftdc
ocohi}Ofr./f|r.IX,76.
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[eiBOHC TBSZO] PUBG. ITI. 7-24 y»BB(m.U)(BOIi^IBAC.J 503
\ :' ■-■" , \
7 Cbè l' ocohio stare aperto non sofTen^; J
Onde la scorta mia saputa e fida
Mi s'accostò, e Fornero m'offerse.
10 Si come cieco va retro a sua guida
Per non smarrirsi e per non dar di cozzo
In cosa ohe il molesti o forse ancida;
18 M'andava io per l'aere amaro e sozzo,
Ascoltando il mio duca, che diceva
Por: « Ghiarda che da me tu non sie mozzo I »
16 Io sentia voci, e ciascuna pareva
Pregar per pace e per misericordia
L' Agnel di Dio che le peccata leva.
19 Pure « Agnus Dei » eran le loro esordia;
Una parola in tutti era ed un modo,
Si che parca tra esse ogni concordia.
22 € Quei sono spirti, maestro, eh' i' odo ? »
Diss'io; ed egli a me: « Tu vero apprendi;
E d'iracondia van solvendo il nodo. »
7. ORE: pfltr la quale flutldioM impTM-
■ione non potei tenere aperti gli ooohl.
8. BAFUTA X fida: mtìa 0 stoora. Vir-
golo «^ «I avTldnò di più, perehò Dante,
appo^iandoel aUe soe ^alle, potesse
procedere eensa smarrirsi.
11. DABt per non urtare in cosa ohe lo
oflbnda od nodda.
18. AMABO : aere a respirarti ; «Fomo-
qoe fanplerit amaro»; Virg,, Aen, XII,
588. - sooo: nero per il Aimo. - « Goal
la densità, Tamarezsa e la sosznra son
pena all'ira ohe oflhsca la ragione, ama-
reggia Il onore e insosia V anima •rL.
YéfU., ShnU., 241.
15. FUB : non dioeya altro ohe : Guarda
ehe tn non sia mozzo, cioè separato, di-
sgiunto da me. Al. punteggiano: IHee-
va: « Pur ffumda eoo. » cioè : Bada so*
lamento a non separarti da me (Ben».,
BuU, Betti, eoo.).
V. 18-84. Xa pr^hter€i degVira-
mnOL n Poeta ode Tod d' anime pur-
ganti nel ftuno. Tutte iuTooano d* ac-
cordo ed unisone l'Agnello di Dio; e
Dante, èhe non può Tederò per il ftuno,
T. 7 e seg., dimanda a Virgilio se quelle
sono toc! di spiriti. Virgilio gli risponde
che sono le anime che si purgano didl'ira.
18. PABSVA : « non udìa tutte intere le
oiaalonl loro, ma a brani »; Om.
19. Aghub : « Bcoe agnus Dei qui toUit
peccatum mondi »; Qiov, I, 28, 86. -
« Cantayano li tre Agmu Dei che si
cantano a la messa; cioò Agnìte Dei,
qui toUit péeeata mundi, miterere nobis;
Agnu» Dei, qui toUii peceaUt mundi,
mieerere nobiif Agnua Dei, qui toUis pée-
eata mundi, dona noìrie pacem; sic-
ché li due primi dimandano misericordia,
e lo terso pace»; Buti. - kbobdla: gli
esordi e incominclameuti delle loro pre-
ghiere.
20. IK TUTTI: Al. IN TTTTTB; AI. ERA
IN TUTTI. Cantayano tutti la medesima
preghiera e colla medesima Intonasione
di Toce. Canto uniforme e monotono.
23. APPRENDI : hai colto nel segno, l'hai
indoyinata: sono spiriti che si purgano
dall'ira, che, a guisa di nodo, li lega ed
impedisce loro di yolare a Dio.
V. 26-61. Marco Zambardo, Accor-
tosi che Dan te è ancor yiyo, per la doman-
da fetta a Virgilio, (che un' anima pur:
gante non ayrebbe fatto tale domanda),
uno spirito chiede ohi egli sia. Confor-
tato da Virgilio, Dante risponde che è
inftitti ancor yiyo, e prega lo spirito di
manifestarglisi e di dirgli se è suUa buo-
na yla per arriyare alla scala per la
quale si sale al cerchio superiore. Lo
spirito si nomina, dice che Dante è
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[ Iqìkove tsbzo] Pubg. xyi. 25-44
tMABCO LOMBi
« Or tu chi se', che il nostro fommo fendi,
E di noi parli pur, come se tue
Partissi ancor lo tempo per calendi? »
Cosi per una voce detto fue;
Onde il maestro mio disse: « Rispondi,
E domanda se quinci si va sue. »
Ed io : « 0 creatura, che ti mondi
Per tornar bella a Colui che ti fece,
Maraviglia udirai, se mi secondi. »
€ Io ti seguiterò quanto mi lece; »
Rispose; « e se veder fummo non lascia,
L'udir ci terrà giunti in quella vece. >
Allora incominciai: < Con quella fascia
Che la morte dissolve, men vo suso;
E venni qui per la infernale ambascia :
E se Dio m' ha in sua grazia richiuso
Tanto, che vuol ch'io vegga la sua corte
Per modo tutto fuor del modem' uso,
Non mi celar chi fosti anzi la morte.
Ma dilmi, e dimmi s'io vo bene al varco ;
I buona via e lo prega di pregare
lai. È questi Marco da Veneaia, no-
di corte del secolo xm, snl qnale
amo nn bel numero di novelle, ma di
si sa però poco o nulla di positiTO.
babllmente è quello stesso Marco
luale il Villani (VII, 121) racconta
predisse al conte Ugolino la sua
Ltura, e quel medesimo di cui parla
òveUino (nov. 46 ; ed. Biagi, p. 221).
quanto ne dicono i comm. antichi,
Ita che Marco non fu un oortigiano
are, ma un gentiluomo liberale e
nanimo, « esercitato neUa disciplina
Mve e nemico dell'odo, ma prono
ra, e massimo a quello sdegno ohe
essere in animo gentile». Land,
ai cflr. Encid., 1208 e seg.
. OR TU! cfr. lT\f. XXXII, 88. Chi
a ohe cammini come noi per questo
», mentre dal tuo modo di esprimerti
rebbe che sei ancor rlvoY
. CALXMDi : calende ; come se tu divi-
l ancora il tempo per anni, mesi e
li, divisione che non ha luogo nei
i dell* etemitÀ.
. QUDici: se da questa parte è la
fc per salire al giixme soprastante.
81. TI MONDI: ti puiiflchi per
nare a Dio; cfr. t. 85 e seg.
88. MABAVIOLIA. : che QB VÌVO T»
i regni della morta gente. - mi 8BG
mi accompagni. Sembra ohe i due
camminassero in diredone opposta i
la degli spiriti ; cfr. v. 146.
84. MI LiCK: alle anime non è
di uscire dal ftamo.
85. B BK: se il ftimo e* impedisoe
dere, 1* udire ci terrà uniti.
37. FASCIA: col corpo, foieia o
lucro dell'anima.
88. suso : non sul monte (Bmv.,
maalolelo(Ait<,Xan<f., FeU.,ec.); et
89. PKB LA : Al. PEBIHFBBHAUt;
versando l'Inferno. - amrabcia : ofi
XXIV, 62.
40. ss: poiché. - uCHiUBOt ao
cfr. Fwrg, Vm, W.
42. MODERI!' : non piti oonoedu
alcun uomo da S. Paolo in poi ; eft
n, 18 e seg.
48. CHI Foen: non dice ehi tei,
dandosi di dò che ha udito Purg, '.
94 e seg.
44. DILMI : dimmelo. - varco : pi
lire al quarto cerchio, ofr. v. 80.
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[GIRONI TSBZO]
PUBO. XYI. 45-60 [MARCO LOMBARDO] 505
46
4»
53
55
58
E ine parole fien le nostre scorte. »
< Lombardo fai, e fui chiamato Marco;
Del mondo seppi, e quel valore amai
Al quale ha or ciascun disteso l'arco.
Per montar su dirittamente vai. »
Cocd rispose, e soggiunse: < Io ti prego
Che per me preghi, quando su sarai. »
Ed io a lui: < Per fede mi ti lego
Di far ciò ohe mi chiedi; ma io scoppio
Dentro a un dubbio, s'io non me ne spiego.
Prima era scempio, ed ora è fatto doppio
Nella sentenza tua, ohe mi £& certo.
Quivi ed altrove, quello ov'io l'accoppio.
Lo mondo è ben cosi tutto diserto
D'ogni virtute, come tu mi suono,
E di malizia gravido e coverto;
45. raoi: Al, nix, « Anderemo segon-
éo to ol (Uni »; Bvtl.
46. ix>iiBASDO: di nMioDe (Lan., Ott.,
Sem/,, Don,, eoe.). « DenomiiiAtna ett
Lombardai, qai« funiUariter oonTen»-
tetor enm dcmiiiiis Lomliardi» tempora
eoo, iator qoos traotabftt snpe oonoor-
dlMf paoes, afflnitetM, et oonftBderftUo-
nee»; Bine. Secondo «Itri, questo Marco
fu della tenigUadei Lombardi di Venesia
{An, Fior., FaUo Boee,, YéU„ ecc.). Pqò
darai ; ma il Terso non può ayere altro
aeneo die : Fui un Lombardo é mi ehi»-
mai Mmroo\ il nome di flmiigUa, o ca-
sato qni non o' entra.
47. SEPPI: fai prattoo dei negod del
mondo ed amai quelle Tirtù deUe qnali
nessuno più si onra. « Iste IdJarcns ftiit
Tir pmdens, aflkMUs, expertns agibilinm
mondi.... msfnam notitiam rerum Imma*
nanun hatniit »; Bonw,
48. DBBmo : non più teso { « allentato,
non Tolendo tirar più aqaélla meta »j Oe»,
40. SU: al quarto oerohio. lUsposta
alta domaoda del t. 44.
51. BU : innanxi a Dio, nella corte del
dek»; cfr. T. 40 e seg. Cos) Beno., BuH,
VOL, Biag., eco. Al.: Quando sarai tor-
aato né! nostro mondo (Lomb., Ckt.,
Bl., eoo.); ma allora doTOTa dire ffiù,
non 9U, Al.: Quando sarai su al monte
(JPpm.); ma Dante ha detto ohe sale su
alla corte di Dio, la quale non è sul monte.
V. 59-63. JOtUa eorrumione del ao-
eolo. Dante ha udito da Guido del Duca
ohe in Toscana tutti ftaggono la Tirtù.
Purg. XIV, 29 e seg.; e Marco gli ha
detto ora die nessuno nel mondo ama
più quel Talora ohe da lui fti amato. D
flutto della oormxione uniTorsale è quin-
di certo ; ma quale ne è il motiTot Gui-
do del Duca aTOTa lasciato incerto, se
fosse per effetto di celesti influssi, o della
umana malisia. D dubbio onde ciò aT-
Tenga, si fa più forte nella mente di
Dante, dopo aTer udito le parole di Mar-
co ; opperò gliene chiede la solusione.
62. MI TI LBOO: ti obbligo la mia fisde
di pregare per te.
58. SCOPPIO : sono tanto stimolato e
stretto da un mio dubbio che, se non me
ne STiluppo, non mi posso più contenere
e ne muoio.
55. PRIMA : all'udire Guido del Duca. -
BCKMPio: semplice.
56. MXLLA BtKTKNZA : per le tue pa-
role, che non mi lasciano più dubitare
della nniToraale oormaione. « Quanto più
rendesi certa resistensa di un effetto ma-
raTigUoso, tanto maggiormente s' accre-
sce nell'uomo la brama di saperne la
cagione »; Lomb,
57. l'acooppio: intomo al qual fatto
della corrosone uniToraale a' aggira il
mio dubbio.
58. DISERTO: spogliato, oome tu mi
tuoné, mi dici.
60. MAT.tKTA : « Mundus totus in mali-
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506 tOIBONB TIBZO] PUBG. IVI. 61-71 [GOBBX72. DEL HONDO]
61
64
70
Ma prego che m' additi la cagione,
SI ch'io la vegga, e ch'io la mostri altrui;
Ohe nel cielo uno, ed nn quaggiù la pone. »
Alto sospir, ohe dnolo strinse in '^ Huil „ ,
Mise faor prima; e poi cominciò: < Frate,
Lo mondo è cieco, e tn vien ben da Ini.
Voi che vivete, ogni cagion recate
Por suso al cielo, si come se tatto
Movesse seco di necessitate.
Se cosi fosse, in voi fora distratto
Libero arbitrio e non fora giustizia
gao positnt est »; I Ep, Joh. Y, 19; ofr.
(»o&&0 XT, 85. iStelm. vn, 15. /Mia LIX,
4. - < Gravido dioe 11 seme naeoosto dèi
male; eaverto il eoo eterno rampollare o
adombrare la terra »; Tom,
63. KKL COLO: poiohè alcuni preten-
dono che la cagione della oornisione nni-
vereale del eoetomi sfa 1* inflnenxa degli
astri soUe passioni, la Tolontà e la vita
de1l'nomo(determini8mo,fifttalismo, astro-
logia gindisiarla); altri inrece dicono ohe
questa cagione sia l'abuso che f^ nomini
fiume del libero arbitrio.
V. 64-81. Teori4ia dèi Ubero arbt-
trio. Dopo nn sospiro snlla cecità uma-
na, Marco incomincia la sua risposta,
esponendo la teorica del libero arbitrio.
Oli nomini procurano di scusare le loro
male asioni attribuendone la causa agl'in-
flussi celesti, come se a quelle ftwsero
spinti da neeessità, la quale opinione di-
strugge il libero arbitrio ed accusa di
inginsticia quel Dio che premia il bene
e punisce il male, fi ben rero che il delo
infonde nell'uomo le prime inclinaaioni,
non però tutte» alcune arendo loro ori-
gine nei mali abiti contratti; ma, fìiip
cendo uso del lume della ragione, della
rirelasione e del libero arbitrio, l' uomo
ha e la foooltà ed il dovere di combat-
tere contro gli influssi degli astri, ossia
contro le cattive indinasioni naturali,
combattimento sulle prime duro e iati*
coso, ma nel quale l'uomo ottiene la vit-
toria, se il libero arbitrio si nutre di
sapìensa, amore e rietute, Jftf. I, 104.
Xj' uomo soggiace a Dio, la cui fona è
maggiore e la cui natura ò migliore ohe
non quella degli astri, e che lasciando
all'uomo il libero arbitrio, non lo co-
stringe né al bene né al male.
64. DUOLO : deUa cecità di Dante, T. 66.
- BTRnnis: fboe teonfaiare in Hui, ohe è
esclamasfone di lamento e di dolore.
66. eneo : il mondo ò involto néll'igno-
raosa della verità ; ed il tno dubbio mo-
stra ohe tn vieni da esso, essendo igno-
rante al pari degli altri nomini.
67. OAOION : voi nomini attribuite so-
lamente all'influsso delle stelle ogni ca-
gione del bene e del male. In Omero
(Odyii. I, 88 e seg.) Giove dice: « Oh,
come gli nomini mortali incolpano gli
Dei ! Chò da noi dicono venire i maH,
mentr'essi vanno soggetti ad afltani, non
per destino, ma per le proprie loro stol-
tesse. » Dante potè leggere questa sen-
tenxa omerica in QeU., KoeL AU, VI, 2.
68. si COMX: Al. PUB COMS; CIIL, COSt
COMB. Come se tutto ciò che awicóie in
terra, anche le asioni morali, fossero ne-
cessariamente determinate dagl'influssi
del cielo.
70. ss così : « si intelleotns et volnntea
essent vires corporeis organls alligatsd,
ex necessitate sequeretur quod corpora
ocelestia essent causa dectìionnm et ao-
tuum humanomm ; et ex hoc sequeretor
quod homo naturali instinctn ageretnr
ad suas aotiones, sicut ctetera animalia,
in quibus non sunt nisi vires anim» cor-
poreis organis alligat» ; nam iUnd quod
flt in istis inferioribus ex impressione
oorporum coelestium, naturallter agitnr ;
et ita sequeretur quod homo non eeaet
liberi arbitrii, sed haberét aotiones de-
terminatas, siout et oeter» ree natom-
les ; qute manifeste sunt Msa » ; Tkom^
Aq., Sum. theoL I, U5, 4; ofr. ibid, I, 78,
1 e seg. Bo9t., Oont,, V, 2.
71. MOK FOBi. : non sarebbe giusto il re-
munerare il bene eoli' etema beatite-
dine, e punire il male ooU'etemo dolore ;
ofr. Jren. IV, 87. TerMl, Con, Marc,, a.
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[0IBOn TBEZO]
PUKO. ITI. 72-82 [COBBXJZ, DIL MONDO] 507
73
76
79
SS
Per ben letizia, e per male aver lutto.
Lo cielo i vostri movimenti inizia,
Non dico tutti; ma, posto ch'io il dica,
Lume v* è dato a bene ed a malizia,
E libero voler; che, se fatica
Nella prime battaglie col del dura,
Poi vince tutto, se ben si nutrica.
A maggior forza ed a miglior natura
Liberi soggiacete; e quella cria
La mente in voi, ohe il ciel non ha in sua cura.
Però, se il mondo presente disvia,
79. u> OSLO: Al. IL CULO. Seoondo le
dottrine Mtrologiéliedel medioeTO, tatto
<IiiaCSÌù «oggiaee aU* Infliuso delle etelle
(olir. Pm', Xm, 64). Ogni olélo è natu-
rato di una propria Tirtù* la qnale ao-
eende in noi i primi appetitL Dante non
o«fa r astone dei pianeti, ma soltanto
la neeeaaltà di obbedirie. L*aomo è do*
tato di libero Tolere, mediante il quale
egli può frenare gli appetiti e dirigerli
al bene. « Corpora cceleetia non sant vo-
lantatnm noatramm neqne electlonnm
canea. Volnntas enim in parte intellee-
tiva aninuB eet.... Si igitar corpora o<b-
lestia non poaeiint imprimere direote in
intelleotom noetnun, nt ostensnm est,
aeqne etSam in rolnntatem noetram di-
reete imprimere potemnt »; Thom, Aq,,
Chfdr, Oent. HI, 85. - « Corpora ocele-
sU* non poesont esse per se oaosa ope-
rationnm liberi arbitrii; possnnt tamen
ad lioo dispositive inolinare, in qnantnm
imprimnnt in corpus bamanom, et per
eonseqnens in rires sensitiras, qn» snnt
aetos oorporalinm organomm, qoe In-
dinant ad bnmanos aotos »i Thom. Aq,,
Bmn. tksoL U, li, 96, 6.
75. I.UMK: della ragione e della rire-
laaione, a diseemere 11 bene dal male.
76. UBKBO YOLEB: ofr. IxuHn,, Apol,
I, 43; Jreh. IV, 4, p. 231. Cfom. lApi,
n, 285.
77. DUBA: e H ditra fatica, cioè se re-
siste, combattendo a le voluttà de* sensi,
a le quali il cielo a principio lo piega,
Tinee poi tutto»} VeU,
78. TUTTO : ogni influsso de' dell. « Vo-
luntas non ex necessitate sequitur in-
ettnationem appetitus inferioris. Llcet
eahn paasiones, qu» sunt in Irascibili
et ooncQpiseibili, liabeant qnamdam rim
id inettnandam Toluntatem, tamen in
potsstate Toluntatis remanet seqni pae-
slones, Tel eas reftitare. Bt Ideo impree-
sio coBlestium oorporum, seonndum quam
immutari possunt inferiores vires, minus
pertlngit ad voluntatem qu» eet proxi-
ma causa humanorum aotuum, quam ad
intellectum.... Flures bominum seqnun-
tur passiones, qua snnt motus sensitiTi
i4»petitus, ad quas cooperari possunt
corpora ocelestla; panel autem sunt sa-
pientes qui huiusmodi passtonibus resl-
stant. Bt ideo astrologi, nt in pluribns
▼era possunt pnedicere, et maxime in
communi, non autem in spedali, quia
nibil prohibet allquem bominem per 11-
bemm arbitrium passionibus resistere. »
Thom. Aq., Bum. theol. 1. 116, 4. - € NihiI
probibet per yolnntariam actionem Im-
pediri efléctum ocelestium corporum, non
solum In ipso homine, sed etiam In aliis
rebus ad quas bominum operatio se
extendit »; ibid. I, 116, 6. - € Centra in-
clinationem ccolestium oorporum bomo
potest per ratlonem operari »; ibid. U,
n, 96, 6. - NUTBiCA: nutrisce.
79. MAOOIOB; divina.
80. CBIA : crea l'anima ragionevole ed
Intellettiva, la quale non ò soggetta ai
movimenti de'deli. Cfr. Thom, Aq., 8um.
theol I, 75, 6. S. Aug., do. Dei V, 1.
81. HON HA: e la mente umana cbe il
Cielo non ba In sua cura, è l'anima in
quanto è libera e ragionevole; nel qnal
aspetto ella è superiore a tutta la mate-
riale natura »; Oioberti.
V. 82-114. Za eonfutione del potere
civile eolio epiritutUe cagione della
eorriMione. Continuando il suo discorso,
Marco dice : « Voi nomini avete la colpa,
se il mondo dei viventi esce dalla diritta
via. L'anima umana esce innocente dalle
mani del Creatore, e d volge Instlntiva-
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I [G«0N1 TEBZO] PTJBO. IVI. 83-97 [CORRUZ. DBI
In voi è la cagione, in voi si oheggia;
Ed io te ne sarò or vera spia.
Esce di mano a Lui, che la vagheggia
Prima ohe sia, a gaisa di fanciulla
Ohe piangendo e rìdendo pargoleggia,
L'anima semplicetta che sa nulla,
Salvo che, mossa da lieto Fattore,
Volentier toma a ciò che la trastulla.
Di picciol bene in prìa sente sapore;
Quivi s' inganna, e dietro ad esso corre,
Se guida o fren non torce suo amore.
Onde convenne legge per &en porre;
Oonvenne rege aver, che discemesse
Della vera cittade almen la torre.
Le leggi son, ma ohi pon mano ad esse?
Lte ft quanto le sembra dilettevole e
tiflcante. Appena ha Inoominoiato a
tare i beni mondani, corre loro die-
loaingandoei di trovare in essi il
imo Bene, se una gaida non la indi-
a al Sommo Bene vero, od nn freno
la trattiene dal correr dietro ai beni
Msi. Fnrono pertanto necessarie le
^. Ma adesso le leggi sono ineflBoaoi,
shò il pastore che va innanzi, dà il
ivo esempio e confonde le cose spiri-
1 colle temporali. Questo mal governo
mondo è la cagione della corrnsione,
inflnenxa de' deli, né perversiti dei-
nana natara.
L SI CHitaoiA: si chieda, si cerchi,
l. VBBA spia: verace esploratore, in-
itore ; te lo dimostrerò chiaramente.
>. B8CB: l'anima umana ò creata im-
liatamente da Dio, nella cui idea essa
te già ab letemo. « Anima rationalis
potest produci nisl a Dee immedla-
; Tom. Aq., 8um. theol. I, 90, 3.
i. CHE sia: creata. - a. guisa: come
fanoinlletta che « s* allegra ed attri-
piange e ride, nella guisa ohe sogliono
I le semplici e pargolette fanciulle ohe
liono et disvogliono in uno istante una
i istessa » ; Dan. - e E per questo dà
ntendere che naturalmente siamo di-
tti a le passioni, e con quella disposi-
le nasciamo e siamo mutevill, come
rede ne' fianciulll »; Bxdi.
B. SEMPUCKTTA: e qaift est tamqnam
ula rasa, in qua nihU est depictum.
apta nata recipere omnem impi
formam et flguram imprimencl
Benv. Cfr. Thom. Aq., Sum ti
89. SALVO: benché l'anima <
intasa nel corpo non abbia an
tuttavia, proòedendo dal Som
eh' è letida perfetta, si volge i
mente a tutto ciò ohe le sembi
dilettare. Cfr. Oon9. IV, 12.
91. PICCIOL! mondano e puei
TR : gusta e desidera.
92. QUIVI : nel picciol bene. -
HA: credendolo il bene verao
98. GUIDA: pastori e reggenl
le leggi. - NON TORCE: « uou pi
amore dal bene imperfetto al
fette »; Buti.
94. ONDR: perciò fhrononei
leggi; cfr. Purg. VI, 88.
95. BROR : « a perfesioue del
specie conviene essere uno e
ohiere, che considerando le di
dizioni del mondo, e li divera
sari ufl^i ordinando, abbia
universale e irrepugnabile uflE
mandare. B questo uflBdo è
lensia Imperio chiamato e
sto ufficio è posto, è chiamat
dorè. > Oon9. IV, 4. Cfr. De I
18; II, 5, eco.
96. VERA CITTADR: Cfr. Pu
95. - LA TORRE: la giustiaia.
97. LEGGI : divine ed nman<
etiche e politiche; cfr. Purg,
seg. - POH MAMO : per ikrle oi
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[QIIOHS TBKZO]
Puro, xyi; 98-112 [cobruz. d. mordo] 509
loa
les
IM
109
m
Nallo; però che il pastor ohe precede,
Buminar può, ma non ha V unghie fesse :
Per ohe la gente, che sna guida vede
Por a qnel ben ferire ond' elP è ghiotta,
Di qael si pasce, e più oltre non chiede.
Ben puoi veder ohe la mala condotta
È la cagion che il mondo ha fatto reo,
E non natura che in voi sia corrotta.
Soleva Boma, che il buon mondo feo,
Due Soli aver, che Tuna e l'altra strada
Facean vedere, e del mondo e di Deo.
L'un r altro ha spento; ed è giunta la spada
Col pastorale, e l'un con l'altro insieme
Per viva forza mal oonvien che vada ;
Però che, giunti, l'un l'altro non teme:
i8.auixo: r impero MModoTaoante,
Pwr§. VT, M, ed 11 Bomino ponteAoe non
■■peado distinguere le ooee (emponU
ieOe «piTttiuaL - fsioedk: in dignità.
M. BUMDCAB: AL EuouiCÀK. L* legge
■OMiee proibirà agl'IerfteUti di man-
gine ÌM carne de^ animali ohe non m-
minaDO e non hanno il pie Ibroato; ofr.
L99U. XI, S e seg. DmK. ZIV, 7 e aeg.
< FSttio ungulm algnifloat distinotlonem
dnemm teetamentomm, vel Patria et Fi-
m, Tel dnanun natoraram in Chriito,
rei diacrettonem boni et mali ; runUn»'
Ho antem aigniiioat meditationem Sorip-
tararom et aannm inteUeetnm earam »i
Tftom. Aq., Bum. UuoL, I, n, 102, 8. Dante
dioe dvnqoe che il pontefice può benil
eawre sapiente nelle Scrittnre, ma non
■a dlatingnere le cose temporali dalle
•phttaaH. Cfr. Cam, IAp9. n. 288e8e-
gneatì, ed i versi 107-112, 127-129 del
preeente canto.
lOl.VBUBl: tendere (Jy^.XIX,104.112)
sottaato a qoel bene mondano, del qnale
essa medesima è pMotto, doè ayida.
192. DI QUEL : del bene mondano, sensa
aspirare al beni spiritnali ed eterni.
108. BBV FUOi: da quanto ti ho detto
paci comprendere che la cagione della
oormttela è il mal governo dei pontefici
e degl'imperatori, non già Tinflnensa
deOe stèDe. o la oattira natura degli oo>
minL « Ipsi pastores ignoraTemnt intel-
ttgeottem: omnes in Tiam snam declina-
Temnt, onnsqvisqne ad araritiam snam
a snmaM nsqoe ad novissimam »; iMia
LVI, ll.-«Orex perditna fMtna est po-
pnlns meos : pastores eomm sednxemnt
eoe, fBoenmtqne vagari »; Jmrtm. L, 0.
100. FEO: ftce; diede al mondo l'ot-
tima dispooisione, ridncendolo a monar-
chia e dando ordini di leggi oìtìU, e cosi lo
preparò ad accogliere la fede cristiana;
cfr. Omt. IV, 5. Inf. n, 22 e seg.
107. DUI Soli : le dne somme autorità,
r imperiale e la papale, ohe fllnminavano
agli nomini la via deUa beatitudine eter-
na, e la via della felicità di questa vita ;
cfr. De Mon. in, 10. Omt. IV, 4. Jfo-
w^ni in D. « il «no mmIo, 160 e seg.
100. L*UN : l'autorità papale ha spento,
a Boma, l' autorità imperiale. - oiuhta :
congiunta, unita. H potere temporale è
congiunto col potere spirituale, ed ee-
sendo queste due potestà unite nelle
stesse mani, non hanno plh soggesione
runa dell'altra, e il motiro di operare
ciascuna cautamente cessa. Tale confo-
sione delle due podestà dorè necessaria-
mente generare disordini^
112. HOH TWMM : « Quando li cherid non
aveano se non lo spirituale, temerano di
fallire e di Tivere disonestamente, se non
per r amore di Dio, almeno per paura
de' secolari che, vedendo la loro mala
vita, non denegassero loro le loro ell-
mosine ; e cosi li secolari temevano di
feUlre e vivere male, considerando : " Lo
prelato è sì diritto, che non m'assolverà „ ;
ora, vedendo lo cherico dato alle cose
temporali, dioe: *' Ood posso fere io co-
m'eUi,,». Boti.
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510 [GIRONE TEBZO] PURG. IVI. 113-126 [COERUZ. PRl
L16
118
121
121
Se non mi credi, pon mente alla spiga ;
Ch'ogni erba si conosce per lo seme.
In snl paese che Adige e Po riga
Solca valore e cortesia trovarsi,
Prima che Federigo avesse briga ;
Or può sicuramente indi passarsi
Per qualunque lasciasse per vergogna
Di ragionar coi buoni, o d'appressarsi.
Ben v' èn tre vecchi ancora, in cui rampogna
L'antica età la nuova, e par lor tardo
Che Dio a miglior vita li ripogna :
Currado da Palazzo, e il buon Gherardo,
E Guido da Castel, che me' si noma
Francescamente il semplice Lombardo.
113. ALLA SPIGA : al fratto. Se non vaoi
prestar fede alle mie parole, ^arda al
fletti, considera i tristi effetti di qoesta
confusione dei dae poteri ; ohe la natura
dell'albero si riconosce da'snoi frnttlj
cfr. MaU. VII, 16 e seg.
V. 115-129. £a eorrtution» pre9enié
e la virtù antica nella Zatnbardia,
A conferma di quanto ha sin qui dimo-
strato, Marco adduce l'esempio delle con-
diiioni morali della società lombarda, pa-
ragonando l'attualecorruttela coli' antica
▼irth. Colà dove un di si trorava valore
e cortesia (cfir. Inf- XVI, 67), non ò più
ohi fìscda arrossire un tristo, se si ec-
cettuano tre ▼occhi che desiderano di es-
ser tolti da un mondo si corrotto e cbia>
mati da Dio alla sua pace. Ecco i tristi
eflbtti della conftisionedelle due autorità,
oiyile ed ecclesiastica t
115. PAXSBt la Lombardia, intesa nel
modo antico, che comprendeva tutta
r Italia superiore, come la Marca Trevi-
giana e la Romagna.
117. PRIMA: ^ei tempi anteriori allelotte
dell'imperatore Federigo II coi papi, nel-
le quali lotte si accrebbero moltissimo le
passioni partigiane, germi di corruxione.
118. OB PUÒ : amara ironia. Ogni tristo,
al quale la vergogna impedisse di appres-
sarsi ai buoni e di ragionare con loro,
può adesso passare sicuramente per quel
paesi, essendo certo di non incontrarvi
persona buona.
121. IH CUI: ne' quaU T antica età ri-
prende la nuova.
124. CuBftAOO: Corrado IXI, dell'an-
tica fiuniglia dei conti di Palas
sda, capitano contro i Tarentii
e podestà di Piacensa nel 1»
Roui, Elogi kitt. di Bretàat
Brescia, 1620, p. 42 e seg. « Pc
vita molto onore, dilettossi in I
glia, ed in vita polita, in goven
cittadi, dove acquistò molto p
ma » ; OU. - Ghbhakdo : dell
fiuniglia da Camino di Trevigj
generale di Trevigi dal 1283 sb
morte avvenuta nel 1306. « F
sima persona e di grande magn
Lan. - « Si dilettò non in una, i
oose di valore, stando fermo a (
Dante lo ricorda con encomio ai
IV, 14. Ctt. Barozzi in 2>. « «
803 e seg. lÀUa, Femt, oel, ital
Cam,, tav. U.
125. Guido da Castel: de
tre rami del casato de' Bobei
gio. Dicono che, cacciato dalla
me ghibellino, riparasse nel ]
rena; ma se era già vecchio
« Studiò in onorare li valenti i
passavano per lo cammino f^
molti ne rimise in cavalli ed ai
Francia erano passati di qua»;
vir pradens et rectns, sani em
tus et honoratus, quia selator
blic», et protector patri» »; A
lo mensiona con lode di noli
Oon9. IV, 16. Cf^. Sneia., 3
CHI MB' : che è meglio com
nome di ««mpIìM Lombturdo,
modo francese.
126. BBHPUCK : « intende di q
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tfflKOn TEBZO]
PUBfl. ITI. 127-142
[OAIA] 511
127
130
13S
m
139
m
Di' oggimai che la Chiesa dì Roma,
Per confondere in so due reggimenti,
Cade nel fango, e so bratta e la soma. »
« O Marco mio, » diss'io, € bene argomenti;
Ed or discemo, perchò dal retaggio
Li figli di Levi forono esenti:
Ma qnal Gherardo ò quel che tu per saggio
Di' eh' è rimase della gente spenta.
In rimproyèrìo del secol selvaggio ? »
€ O tao parlar m' inganna o e' mi tenta ; »
Rispose a me ; « ohe, parlandomi tosco,
Par che del buon Gherardo nolla senta.
Per altro soprannome io noi conosco,
S'io noi togliessi da sna figlia Gaia.
Dio sia con voi, che più non yegno vosco.
Vedi l'albór, che per Io fammo raia,
pHottà oli68*attribiitooe » Tiriti, e non ad
ifionoM 9i Tèa. Cfr. Pwrg, VH, 130.
117. di' t eonchindi dnnqae ohe U Ghie-
•a niuaft, oonAmdondo In «è due poteri,
temporale e q»iiita«le. precipita nel Am-
go, ed imbratta eè oteaa» ed il «no omIoo,
doè r uno e 1* altro governo, epiritoale e
IM. CADI: « Ante omnia ergo dioimns,
aaanqoemqne debore materi» pondoa
propriia homeria oo»qnare, ne /brte
buàeronim nimlo gravata rirtnte in
eaoain oeepitaze neoeese alt »; De Yvig,
V. UO-145. Gaia, figUa dei huon
Ohermrdo. Dante chiede ohi da qoel
^wn Gherardo nominato daMaroo. Qoe-
itt, maravigliato deDa domanda, risponde
di non saperlo chiamare altrimenti ohe il
i«Mi Gherardo, ee pure non voIeMe ohia-
Baarioa jNuire di Gaia. QaeetaGaia, figlia
di Gherardo da Camino e di Chiara della
Torre da Milano, sna seconda moglie, spo-
lò «n eoo parente, Tolberto da Camino, e
moti neU'agoota del 1311. Il Lan. e l' Ott.
«mUgoamonte : «Va donna di tale reggi-
Stato oiroa le delettaskmi amoroee, ohe
en notorio il tao nome per tatta Ita-
lia. » £ Bmw.: « Ista enim erat fimiosis-
iima In tota Lombardia, Ita qaod nbiqoe
dicsbatar de ea: Mailer qoidem vere gaia
•t vana; et ntbrevitar dioam. Tarvisina
tota amorosa; qn» dioebat domino Rì-
tttdo teatri no: Proooi» t«ntam mihi
invenes proooe amorosos, et ^o proon-
rabo tibi pnellas formosas. Malto Jooosa
soiens pratereo de fcemina ista, qa» di-
ocre pador prohibet. » Altri la dicono in-
▼eoe celebre per bellessa ed onestà (An,
Fior,, ByH, Land., YelL, Dan., ecc.). Cfr.
Baroixi, in 2>. s il 9W> tee., p. 804. Fran-
eoni. Difesa dell'onore di Gaia, nei saoi
Studi vari euUa Div, Oom., Fìr. 1887.
JBneieL, 805 e seg.
131. DISCKBNO: comprendo la ragione
perchè i Leviti furono esclnsi dall'ere-
dità di beni temporali ; ofr. Xwn. XVIIJ,
20. Qiowè XIU, 14) XXI, 1 e seg.
184. OBNTi SPENTA : del bnoni nomini
antichi, v. 115-126.
185. IN BiMPaovÈBio : in rampogna
della generasione odierna, priva di va-
lore e cortesia.
130. o TUO : o io non ho inteso bene le
tne parole, oppure ta hai parlato ooai per
indarmi a dire ancora altre cose sol
oonto del baon Gherardo.
137. TOSCO : toscano. Gherardo da Ca-
mino era conoeciatissimo in Toscana; cfr.
Del Lungo, Dino Comp., I, 596 e seg.;
n, 477.
188. PAB : sembra, a glodioare dalle tue
parole, che ta non ne sappia nnlla.
141. PIÙ : non essendomi lecito di nsdre
da qnesto fbmo, non posso più venire ol-
tre con voi.
142. l'albór: n chiarore, non del sole
{BiM, Teli., Dwn,, Lofnb.^ ecc.), ma d«l«
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512 [GIR. TBBZO] PURG. XYI. 143-145 - XVII. US [USCITA D.
Già biancheggiare, e me oonvien partirmi
- L'angelo è ivi - prima ch'io gli appaia. »
L45 Goal tornò, e più non volle udirmi.
i* angelo ohe sta al passo del perdono e gelo non abbandona 11 sao ]
iplende più del sole; ofr. Purg. XY, 10 Goti». Lipt, II, 296.
9 seg. - BAIA ; raggia; ofr. Par, XY, 66; 145. così tobmò: oiò detto
Xjàx, 186. indietro e non volle adire oltr
144. l' AMOBLO : è questo 1* angelo della XY , 120 e seg. Al. oobI taxU
pace ; ofr. Purg. XVTE, 46 e seg. - fri- prie neoessario di dirlo ! Cfr. <
iLà : prima di oomparirgU dinanzi, il che II, 296. Moor», Orit, 891. - e
don mi è leoito sino a tanto ohe non sia poi. - vollb udirmi : Al. voi
x>ropiato il tempo della. mia pnrifloa- Maroo non voUe soltanto pii
(ione. Al. PBii£A CE* boli paia ; ma 1* an- nemmeno udire.
CANTO DECIMOSETTIMO
GIBONE TEBZO: IBA
USCITA DAL FUMO, ESEMPI D' IRACONDIA PUNIT
l'angelo della pace
SALITA AL QUABTO GIBONE
NOTTE, TEORICA DELL'AMORE
SISTEMA MORALE DELLA PARTIZIONE DEL PURQAT
Bicorditi, lettor, se mai nell' alpe
Ti colse nebbia, per la qnal vedessi
Non altrimenti che per pelle talpe ;
y. 1-12. ZTteita dal fumo. Con nna tn non potessi vedere se non 4
Imilitadine, piuttosto inrolnta nella lo- la talpa a traverso la pellicola <
azione, ma evidentissima nelVimma- gli occhi; ricordati cornei rag
;ine, il Poeta descrive come egli e Yir- entrano debUmento per gli ami
:iUo nsoirono dal ftimo che avvolge gli vapori, qaando qoesti omnindi
facondi e rividero il sole gi4 vicino al darai »; L. Vent. Non sono di
ramonto Sulla simllitadine cfr. L. Vent., paragon i ( OU,, BuH, Land., Y
Hma.,in. Vent., ecc.), ma ano solo (J
1. RicoBDm: « costraifld: Se mai, o Ficr., Benv., Lomb., eoe.).
Dttore, sqir alpe U colse nebbia, per coi 3. pbb pbllb: secondo la io
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f [OISOII TBBZO]
PuBa xyii. 4-18 [USCITA dal fumo] 513
Come, quando i vapori amidi e spessi
A diradar cominoiansi, la spera
Del sol debilemente entra per essi;
£ fia la tua imagine leggiera
In giognere a veder com'io rividi
Lo sole in pria, che già nel corcare era.
S], pareggiando i miei compassi fidi
Del mio maestro, ascii faor di tal nube
Ai raggi, morti già nei bassi lidi.
O imaginativa, che ne mbe
Utt l'oediio dfeUa talpa ò coperto d' qua
Mttlle pelUoola (ofr. AritM.,Hi$t, ani-
mal 1, 9), onde non pnò Tedere. Opinione
erraiea.
4. 1 TAFOBi: In nebbia, ohe è un am-
mtaso di Tapori umidi e speed. « Vetntl
con flamina nataeBxhalant nebolas, neo
•ol admttator infra »; Ovid,, Mei, xm,
•Weaeg.
5. LA 8PKBA : il di8co del soIo, i raggi
•olari; ofr. Yoe, Or. e. v. tpera,
7. LiooiKBA : « La tua immaginasio-
M aiatata da questa simiUtndine sarà
pronta a comprendere » { L, Yent,
9. FBU: quando incominciai ad uscire
dil ftmio del tono girone.
10. BÌ: cosi dunque, doè a questa
•osna luce solare, camminando di pari
PSMO con Virgilio, usdi ftaori di quella
nsTDia di ftimo ai raggi del sole, ohe
gHi nel lido appiè della montagna erano
già spaiti.
11 AI mAOOi: « Per prima cosa nel-
l'oseire di qmdla nube di Aimo, il Poeta
riride n sole presso il tramonto, il quale
per consegnensa pare seguitasse a es-
•ergli in flMxda; perciocohò procedendo
per quella oscurità, appoggiato a Vir-
gilio, è colpito da quell' imagine torba e
sbiadita, che in principio ha descritto.
BOBostsato ohe presso la ripa a sinistra
•tasse r angelo, già risto biancheggiare
da Marco Lombardo, e pareggiando i suoi
co' passi fidi del maestro, nota i raggi
^ cadente sole esser già morti ai bassi
Udì, doè non eadere ormai più che sulla
parte elevata del monto. Questa drco-
«tiosadel troTarsi i Poeti sem|^ diretti
▼eno l'occaso, oonlbrma quanto conolu-
damao in ordine alla grande estensione
«he dorerà attribuirsi al raggio di que-
sta oomlee, e molto più a quello delle
ine precedenti. » AntontìH,
38. -Die. OMnai.. 4* edis.
V. 18-30. Vitùmi di mmnpi d^ira-
eondia punita. Entrando nel torso gi-
rarne. Dante ha avuto visioni di esempi
di bella mansuetudine, Pwrg, XV, 86 e
seg.; aU* uscirne vede in visione esempi
d'ira punito. * Alle tre visioni di dolci mi-
tesse si contrappongono altrettanto vi-
sioni di crude iracondie. Progne uccide
il figlio per gusterò la doloessa della ven-
dette, e perde la facolte de' pensieri, la
ragione; Amano vuol ueddere, ed è uc-
ciso; volendo perdere altrui, perde sé
stesso; Amate si ucdde per non perder
Lavinia, e la perde per sempre: sforsi
sempre infblid dell'ira. Di Progne firn
vendette gli dèi ; di Amano (kn vendette
gli uomini ; di Amate th vendette ella
stessa: tre vendette che sovente s'uni-
scono insieme. Cosi il volto di due regie
donne, orribilmente dall'ira trasformato,
metto in orrore al sesso gentile una pas-
sione che cancella dalle semblanse uma-
ne ogni traccia di bellessa ; e l' ira di un
regio ministro che cade nei laod tesi ad
altrui, ira politioa e religiosa insieme,
ammonisce tutti coloro ohe della patria
e della religione fanno istrumento d' ire
e di vendette superbe. » Pertz, Sette cer-
ehi, 184.
18. iMAOUfATiVA: la potensa immagi-
nativa, ossia \A/antasia, v. 26. « Ad ha-
rum autom forroarum retentìonem aut
conservationem ordinatur j>Aan<a«ta, li-
ve imaginatiot qu» idem sunt; est enim
phantasia sive imagtnatio quasi thesau-
rus quidam formarum per sensnm ao-
oepterum » ; Thom. Aq., 8um, theol. I,
78, 4. - « Procul dnbio oportet in vi Imagi-
nativa penero non solum potentiam pas-
aivam, sed etiam aotlvam »-, Ufid., 84, 8.
- «Imaginatio est quidem àltior potentia
quam sensus ezterior »; ibid. III, 80, 8. -
MB BUBB : d rubi, oi rendi del tutto in-
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514 [GIRONE TERZO] PURG. XVII. 14-81 [ESEMPI D'IRACONDIA]
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Talvolta al di fuor, ch'uom non s'accorge,
Perchè d'intorno snonin mille tube,
Chi mnove te, se il senso non ti porge?
Muoveti lame che nel ciel s'informa
Per so, o per voler che giù lo scorge.
Dell' empìezza di lei, ohe mutò forma
Nell'ucoel che a cantar più si diletta,
Nell'imagìne mia apparve l'orma;
£ qui fu la mia mente si ristretta
Dentro da sé, che di fuor non venia
Cosa che fosse allor da lei recetta.
Poi piovve dentro all'alta fantasia
Un crocifisso, dispettoso e fiero
Nella saa vista, e cotal si moria:
Intorno ad esso era il grande Assuero,
Ester sua sposa e il giusto Mardocheo,
Che fu al dire e al far cosi intero.
E come questa imagine rompéo
sensibili alle impressioni esterne; oonfr.
Pwrg. IV, 1 e seg. Boce., Vita di D., 8.
Papanti» DanU fecondo la tradii., p. 28,
nt. 5. Oom. Lipt, U, 209.
15. PRBCHft: qaantimqae oi risaonlno
d'intorno mille trombe. - tubk: trombe ;
oftr. Voe. Or, t. v. « Tuba si chiama dal
popolo qnel Tamburo grandissimo ohe si
adopera nelle Bande mnsioali »; Faikfani.
Lo chiamarono oo^ già gli antichi ? Cfr .
Par. VI, 72.
16. CHI MUOVB : ohe cosa mai ti fa ope-
rare, se i sensi non ti porgono alcun
oggetto da contemplare t Conflr. Oonv.
IH. 9.
17. s'informa: prende saa forma, de-
riva dal cielo.
18. PEI sa: per naturale inflosso dei
cieli. - VOLKB : divino. Le immagini ohe
non vengono alla mente dal senso, ven-
gono dal cielo, o per influsso degli astri,
o per partioolar volere di Dio.
19. BMPIXZZA I empietà, cmdeltà. -lei ;
non già Filomela (Lan., OU., Petr, Dani.,
Buti, An, Fior,, Veni,, Tom., Qiober,,
Filcil,, ecc.). ma Progne trasformata in
a8ignolo(OM«., FaUoBoee., Land., VM.,
jDoI., Voi,, Lomb,, Pori,, Pogg., Biag,,
Oott., Oe»., Br. B., FratieeUi, Greg.,
Andr., eoo.). La fkvola alla quale Dante
allude quie Piiry. IX, 16 è tanto nota,
ohe non oooorre raccontarla. Cfr. (Md,,
Met. VI, 412-676. Bneid., 1576.
21. nell'imagìne: nella mia immagi-
nativa o fkooltà d' immaginare. - l* or-
ma : r immagine, la rappresentasione.
22. bistretta: raccolta in so medesima
ed alienata dai sensi estemi, tetta intesa
a qnesta immaginazione; confr. Purg,
III, 12.
24. BECBTTA: ricevuta. La mente mia
fh qui chiosa e raccolta in sé in modo da
non ricevere veruna impressione ester-
na; cfr. V. 13 e seg.
25. PIOVVE: per immaginativa. - alta:
staccata dai sensi e daUe cose terrene;
cfr. Par. XXXIH. 142.
26. UN : Amano, il quale, adirato contro
il giudeo Mardocheo, disegnò di distro^
gore lui e tutti i Giudei ; e fri poi impic-
cato a quello stesso legno che aveva iktto
apprestare per impiccarvi Mardocheo;
cfr. BHer m-VII.
27. OOTAL: dispettoso e fiero.
28. Absusbo: re di Persia; étc.BtUr
I, 1 e seg.
80. INTEBO: integro, giusto in parole
ed in fiktti.
81. BOMPÉo 8ft: si ruppe, svanì da sé
stessa a guisa di una bolla che si nnnp«
mancando l'acqua onde è composto il
aottiUisfano veloce ohLode l'aria in-
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[6IB0VB TIBZO]
PUBO. XTIT. 82-44 [ANOBLO D. PACB] 515
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SO per sé atessa, a goìsa d' una bulla
Gai manoa l'acqua sotto qual si feo,
Sarse in mìa visione una fanciulla
Piangendo forte, e diceva: « 0 regina,
Perchò per ira hai volato esser nulla?
Anoisa t'hai per non perder Lavina:
Or m'hai perduta! Io son essa che lutto,
Madre, alla tua, pria eh' all' altrui mina. »
Come si frange il sonno, ove di butto
Nuova luce percote il viso chiuso.
Che fratto guizza pria ohe muoia tutto ;
Cosi l'imaginar mio cadde giuso,
Tosto eh' un lume il volto mi percosse.
tema, aria nratette, più legger» della
82. bulla: bolla. « CnMÌor atteausò
bvlla tmneacH aqn» >; MàrUal., Bpigr,
vin. sa.
84. FAHauLLA : LaTinia (in rima Lavi-
no), nnioa figlia di Latino, re del Lseio
(efr. /V. rV. 125-120). e di Amata, pro-
meaea a Tomo redei Batoli e poi epoea
di Bnea ; cfr.F^^., Aen, XU. TU, Ltt. I,
1, 2. Ovid., Ma, xni.
85. BBom A : Amata, madre di Layinia,
ohe A impiccò per ira disperata, credendo
dieTnrBO foeee già acdeo da Enea e che
LaTinia andaaee epooa «d Boea invece di
Tomo ; ofr. Vwg., Ami, VII, 841 e eeg. ;
XII, «01 e seg. « Neil' ira d'Amata pare
ohe l'Alighieri voglia ritrarre Tira di co-
loro, che fitti in qnalche aflbtto singolare
e privato, non ean levarsi ad sflbtti nni-
verssli, e vanissimamente si sdegnano
eontro i decreti d' nna provvìdensa che
aeompiglia 1 loro disegni per edificar cose
ben maggiori »; PertM, 188.
86. nsn hulla : n<m esser più. mo-
rire, n soidda crede di annallarsi.
87. FIBDBB: per non vederla andare
q»osa aD'odiato Bnea.
38. OB : uccidendoti m*hai perduta dav-
vero.-LUTTO: piango la toa morte prima
di pteogere la morte di Tomo. Lutiart,
dal lat. ImtBiMi, vwìitplorar; doUrtipian-
gendo.
89. ALTRUI: di Tomo, il qoàle fa oo-
dso da Bnea dopo ohe Amata si era già
impiccata.
V. 40-89. Vangèli ditta pace. Ap-
pièdellascalapersaUredal terzo al quarto
girona sta im altro ang^, di coi Dante
non può sostenere la vista, ohe avvia 1
due viandanti al quarto girone, con un
ventar d*ala cancella dalla fronte di
Dante un altro P e canta la beatitu-
dine evangelica : BwH i fadJUi! - « A
Dante, che colla rapita immaginazione
sta ancor fiso ne* miserabili iktti dell' ira,
ferisce gli occhi nna luce improvvisa; e
mentre vinto e smarrito vien diiedendo
a sé stesso dov' egli sia, alla luoe s' ag-
giunge nna voce, che invitandolo dolce-
mente a salire, ^ ftaga dall' anima ogni
truce visione. B la luoe e la voce del-
l' angelo deUa paoe. Luce, che con sua
vivesta può ben confondere e opprimere
gli occhi di colui che esce appena dal ftimo
dell'ira; ma che presto, congiunta con
nna voce che pone sicureasa nel profon-
do dell' anima, schiara e aflbna l' uomo
nelle pacifiche vie ove prosperano i passi
de' mansueti. » Perez,
40. DI BUTTO : («di botto, JV- XXII,
180; XXIV, 105). in un subito, ad un
tratto, repentinamente.
41. IL VISO: gli occhi chiosi.
42. FBATTO: il qual sonno, rotto, si
sforsa di rimettersi, prima che svanisca
del tutto. -GUIZZA: < siccome il pesce,
tratto ftior d* aequa, guissa prima di mo-
rire, così per catacresi appella guizzare
quello sfono ohe l' interrotto sonno Ik di
rimettersi, prima che del tutto svani-
sca »; Lomb, Del sonno che incomincia
Virg., Aen, U 208 e seg.: « Tempns erat
quo prima quies mortalibus »gris In-
cipit et dono divum gratissima serpit. >
48. l' mAom ab : la mia visioue cessò.
44. UH LUMB : Al. IL LUME. Bra lo splen-
dore dell' angelo lì vìtinor^ t
JtizedbyV^OOgle
516 [GIRONI TXBZO] PuBO. xyn. 45-42 [angelo della pack]
49
52
55
58
81
Maggiore assai ohe qael oh' è in nostr'oso.
Io mi volgea per vedere ov'io fosse,
Qaand'ana voce disse: < Qui si monta »,
Che da ogni altro intento mi rimosse;
£ fece la mia voglia tanto pronta
Di riguardar chi era che parlava,
Ohe mai non posa, se non si raffironta.
Ma come al sol, che nostra vista grava,
£ per soverchio soa figora vela,
Cosi la mia virtii qoivi mancava.
< Questi ò divino spirito, che ne la
Via d' andar su ne drizza senza prego,
£ col suo lume so medesmo cela.
Si fa con noi, come l'uom si fa sego;
Che quale aspetta prego e l'uopo vede.
Malignamente già si mette al nego.
Or accordiamo a tanto invito il piede:
Procacciam di salir pria che s'abbui ;
46. QUEL: il lame del sole.
47. YOCK : dell* angelo che inrita a sa-
lire.
48. CHE: la qnal Tooe mi rimosse dal
pensare ad altro, &oendomi tntto at-
tento a sé.
50. CHI lEA : « quia Toz n<m sonabat
homana »; Benv.
61. SI RÀFVBOifTAt con* oggetto a coi
mira. « Nota qui in generale il carattere
d' una voglia intensa. B il concetto del
ternario ò il segoente: Fece la mia voglia
tantopronto, tanto sollecita e impaden te,
di vedere chi era quegli che parlava, ohe
qoaado la voglia è a tal segno, non i>o«a
mai, non s'acquieta, te non H rafronia,
se non viene a fronte colla cosa o persona
bramata. » Br. B.
62. MA OOMX : ma la mia virtii visiva
era tanto inabile ad afiOssarsi in quel-
l'oggetto, quanto la nostra vista vien
meno in ftMKrfa al sole, che, opprimendola
col troppo suo splendore, vela la sua
figura. - ORAVA : « Sol etiain c»cat, cen-
tra si tendere pergas » ; LuoreL,lUr, noi,
IV, 8S6.
68. eovEBOHiO: di luce.
54. VIRTÙ : visiva. « La luce di quello
angiolo era sì superabbondante che l' oc-
chio noUa potea sostenere »; An, Fior.
65. NI LA: nella; anticam. anche in
prosa; confronta CSfum., Otterw., 179
e seg.
60. SENZA PREGO: sensa Ikrai da noi
pregare: e Nulla res carina constat, quam
qu» precibnsempta est» iSenec^DeBen^,
n, 1. Cfr. Conv. 1, 8. La carità nonaspeU
ta preghiere, maaooorre spontaneamente
al soccorso.
67. ORLA; si fa invisibile velandosi del
suo proprio splendore ; « Amiotns lamine
sicnt vestimento »; Ptoi. CHI, 2.
58. SEGO : seco. L' uomo non aspetta
preghiera per tàr cosa grata a sé stee-
so. Dante pareggia l'amore dell'angelo
verso gli nomini all' amore che l'uomo ha
per so, alludendo al precetto evangèli-
co: e Omnia qufBOumque vultls ut fib-
ciant vobis homines, et vos finite illis »;
Matt, Vn, 12. Marc Xn, 81. Luo. VI,
31. ecc.
69. QUALE : r uomo ohe, vedendo il bi-
sogno, aspetta di essere pregato del suo
aiuto, si prepara già a negare maligna-
mente il soooorso quando ne sia premito.
« Tarde velie ndentis est; qnl dl^nUt
diu, noluit»; Senee., De Ben^. n, 1. Cfr.
Oonv, I, 8.
61. ACCORDIAMO: andiamo dove l'an-
gelo ol invita sl^rtesemente a salire.
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Q0ABTO]
PuBO. xm. 68-79
[BIUTA] S17
Chò poi non sì poria, se il di non riodo. »
Cosi disse il mio dnom, ed io con Ini
Volgemmo i nostri pessi ad nna scala;
£ tosto ch'io al primo grado fai,
Sentirmi jn^sso quasi un mover d' ala,
£ ventanni nel viso, e dir : € BeaU
Pacifieij che son senza ira malal »
Oià eran sopra noi tanto levati
Oli ultimi raggi che la notte segue,
Che le stelle apparivan da più lati.
< O virth mia, perchò d ti dileguo? »
Fra me stesso dicea, chò mi sentiva
La possa delle gambe posta in trìegue.
Noi eravam dove più non saliva
La scala su, ed eravamo affissi.
Pur come nave ch'alia piaggia arriva;
£d io attesi un poco, s'io adissi
tt. roi: dopo 11 inanoato del iole ;cfr.
fuTf, vn, 44-6».
C7. Bnm* m : ni mmiii prewo aleva
flbe disile ed vn mnorer d aU.
•8. TDTASia : Ikrai rtmì». Collo spiro
delle ne aH.r Aliselo gUeofflftTla dell*
ftwteU tene dei eette P, denotante le
vMtigledel peeente deP' ira. - beati ; è
rerangelieo: « Beati i paeiieii perebè
«nono ddamati SgttooU di Dio »; ifatt.
m. MALA ; peecaMinowi ■ Fon ogni ira è
tele I e* è aneìie on* ira senta ; cfr. Ptmhm,
IV, 6. 4fte. rV. M. Ong. Magn., MormL
V, M.- «Poteet malom in ira inreniri,
qnsado seUioet aUqnlsixaeoltar pine. Tel
Bitaos pnster rationem redaai. Si as-
(m sUqiiia iTaedtar seenndam rationeai
leetam, tane insci est landabUe.... Ira
■oa seaiper eet mala.... B»e ira eet bo-
ss, qna dieitar ira per selom.... SI aU-
<IQis sppeCat qnod seeoadam ordinem fiat
▼iadieta, est laodabilis ine appetitne. »
Mes». Aq., ffmm, tkecL U, n, 158, 13.
V. 70-78. jteHta ai qmmri^ eereMo»
Sono le S>/4 di eera. Idae Poeti, salitola
•eslaelie nette alla quarto oomioe, sono
•erpresl dalla netto, e, eeeondo la legge
▼Ifento nel Porgatorio, non poesono più
fcie an sol passo aTanti.
71.CBiLAaon!B: ai quali ultimi raggi
ticB dietro la Botte.
7% LI snLLi : « quando ei troTiamo
sopra notoToU alta^^ e il sole, oeeoltato
al Boetr'oeehlo noBoèè ai bassi plani, in-
dora soltanto, e leggeimente, le più eie-
Tato ol me delle montagne» ad aria lim|)ida
e para oomindano a aderti In più ponti
del cielo le stelle di prima grandessa, alle
qoali non fk graTe oetaoolo qnel candido
Telo, che dalU loco crepnecolare ancora
limane»; AnfmUi.
78. Tunti: forca di mooTenni. Qoeeta
irirtù si dilegna non per lastsnohesxa, ma
perchè si te netto; eh. Fwy. VII, 52
e seg.
75. POSTA IH TUBQUB : sosposa, tempo-
raneamento cessata.
76. DOTI: alla sommità della scala,
soli* orlo del quarto girone.
77. AFFisn t immobili, formi in sa T ol-
ttmo scaHoo, come naTe che, arri Tato in
porto, si ferma alla riTa. Non postono
foro nn sol passo innanzi, e non vogliono
forno nn solo indietro; quindi r«sUno
A immobili.
V. 79-111. Za imriea éetPatmore.
Stoto alquanto attento se udisse alcun
che di nuoTO, Danto domanda alla sua
guida: «Che peccatosi purgaquif»E Vir-
gilio risponde : « Il manco d* amore ; che
da amore nasce ogni Tirtù ed ogni tìxIo».
•^Dio, IO sue creature, e raglOBeToU e no,
hanno amore ; che ne' corpi è impulso di
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L8 [OIBONB QUARTO] PUBG. XYII. 80-91 [TBOB. DELLV
Alcuna cosa nel nuovo girone;
Poi mi volsi al maestro mio, e dissi:
< Dolce mio padre, di', quale offensione
Si purga qui nel giro dove semo?
Se i piò si stanno, non stea tuo sermone. »
Ed egli a me : « L'amor del bene, scemo
Di suo dover, quiritta si ristora;
Qui si ribatte il mal tardato remo.
Ma perchè più aperto intendi ancora,
Volgi la mente a me, e prenderai
Alcun buon frutto di nostra dimora.
Nò Creator, nò creatura mai, »
oto, ne' brntl istinto, negli nomini o
igli spiriti superiori movimento di 11-
ira volontà. Dire amore anche V attra-
ine de* oorpi, non è semplice traslato
istotelioo, ma si reca a quella dottrina
Uosofloa e teologica, a qnella tradizione
tatti i popoli, a qnel senso di tntti gli
>mini ohe manifestasi fin nell* età in-
Qte, e ohe considera i corpi come velo
lingnaggio od organo d* enti liberi na-
osU oltre a qnelli. L* amor naturale,
teso da Dante, comprende tutte le na-
re degli enti ; anco al bruto e alla pie-
ft. In quanto gli enti inferiori tendono
superiori, e in quanto 1* Ente sommo,
aando sé, a sé fia tendere tutti gli altri,
>n può Tamore non essere buono, ap-
into perché da natura. Ma negli uomini
rione colpa se si volge ad oggetto men
e buono, o cerca il bene con soverchio
ipeto 0 con poco vigore. L' amore di-
tto ai beni supremi, cioè a Dio e alle
Dature di Dio nell' ordine loro, e verso
leste misurato con le proporsioni do-
te, non é mai colpa; é colpa quando
torce al male, o cerca il bene con più
meno cura di quello che deve. Amore
iunque sementa d' ogni virtù e d' ogni
rio. B perché l'ente non può non volere
Msere proprio, però gli è impossibile
lare sé stesso. B perché ogni ente di-
nde necessariamente da Dio causa pri-
%, é impossibile odiare Dio in quanto
usa dell' essere. » Tom.
80. NUOVO: nel quarto girone, dove si
rata il peccato dell'accidia.
82. OTFENSioHi: colpa; il peccato é
l' offesa a Dio.
84. BTANif o: se non possiamo proseguire
Dammino,non cessi almeno il tnoparlare.
85. SCEMO: mancante del debite
e prontezsa, tiepido. Deflnisioi
gioae filosofica deH'aocidia. «A4
quaedam tristitia, qua homo redd
dns ad spirituales actns proptc
ralem laborem»; Thom, Aq., l
I, 63, 2.
86. DI suo: Al. DKL suo. - QI
per l'appunto in questo oerct
Purg. IV, 125. -SI bistora: si
si compensa mediante la pena.
87. SI bibattb: « qui con dili
ristora la negligenza »; Land. -
ditA si ristora con la celerità»; T
parla per similitudine: come li ni
che sono stati infingardi a vogs
fetti dal nocchiere ristorare poi i
dove può intendere a loro; cosi
emenda coli* ardore de la ment
gligenza avuta in questa vita ne '.
operazioni »; BtUi, Corà intendo
Dol., Ou., Tofn.,Andr., Cfam., Fi
WUU, ecc. Al.: « Qui si punisce
infingardo rematore »: così Dan
Lomb., Biag., Br. B., Frat., e
Com. Upt. II, 807. Poi. Il, 404,
riassume la vera sposisione in qi
role: « Qui si riacquista con dllig
ledtudine (con l' ardore della m<
che si é perduto per negligente
ratesza (cfr. Purg. XVU, 105)i
navigante affettando il battere <
deve riguadagnare il tempo perd
precedente lentezza - eoi nuU
remo. 9
90. DIMORA : Indugio. Come in
abbiamo la struttura morale de
no, cosi nel presente canto la si
morale di tutto il Purgatorio.
01. Ckkator : « Dio é carità
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[anOll QUAITO] PUBO. XYII. 92-107 [TBOR. dill'amobi] 519
IM
m
m
Cominciò ei, € figliuol, fd senza amore,
0 naturale, o d'animo; e ta il sai.
Lo naturai è sempre senza errore,
Ma l'altro pnote errar per malo obbietto,
O per poco, o per troppo di vigore.
Mentre eh' egli è ne' primi ben diretto,
£ ne' secondi so stesso misura,
Esser non può cagion di mal diletto;
Ma, quando al mal si torce, o con più cura,
0 con men che non dee, corre nel bene,
Centra il Fattore adovra sua fattura.
Quinci comprender puoi eh' esser conviene
Amor sementa in voi d' ogni virtute,
E d'ogni operazion che morta pene.
Or, perchè mai non può dalla salute
Amor del suo suggetto torcer viso.
Om. rv, 8. Soprm 1 ««gnenti reni ofr.
ymki, Ltt. tul Dante, I, 117-196.
tt. lUTURALB: Ìnn»tO; istilltO, XIAtll-
nle teiìden» dei corpi. - d'animo : d'eie-
ùme; amore morale, oesia affetto, amore
di Ubere creatore. « Omne agena, qaod-
comqae alt. agit qnameamqoe aotionem
ex aiìqao amore >; Thom. Aq., Bum,
(Aaol. I. n, 28, 0. > IL BAI: per iatndio e
per eaperiensft; cfr. Otmv. Ili, 8.
M. È SSMPRS: AI. FU SSICFRK. L'istill-
to per aè ateoac non erra mai ; e quantun-
que nell' uomo sembri errare, l' errore
aoa è dell* istinto, ma dell' affetto mo-
rale; l'Istinto in tal caso è impedito di
ewrdtare la sua forca. Cfr. Thom, Aq.,
9m^. theol. I, 80, 1.
95. l'altuo : l'amore libero, o di ele-
xioDe, può errare in tre modi : 1® Eleg-
foido il male : a) o si cerchi di soperchia-
r», conculcando il prossimo (tntpertna); b)
0 si strugga internamente per tema di
«Mere abbassati se altri sormonti («n-
^idia)} e) o si rechi a grare oflbsa ogni
pJCMda ingiuria e se ne oerohi vendetta
(tra). - 79 Amando il Sommo Bene meno
del doTere, mostrandosi cioè tiepido a
raggiungerlo ed acquistarlo (aeeidia). -
V* Amando un bene ohe non ò il sommo,
pth del dovere, eccessivamente: a) col
bramare smisuratamente le ricchezze,
orrero coU'abusame (avarizia e prodi-
ffoHtà) ; b) ooUo sregolato appetito del
palato (gcla)i e) con elfienata concupl-
I della carne (luituria), Cfr. Lanci,
Spiritali tre regni, II, tav, I. Com. Lipt.
U, 809.
87. SOLI: l'amore di libera elesione.
-PKiifi joat i beni celesti, Dio e le
virtù.
98. sicoNDl: nei beni terrestri e ca-
duchi. - MISURA : modera, non eccede i
giusti limiti.
90. MAL DILETTO: piacere peccaminoso.
100. o CON: Al. B CON. Qaando qaesto
amore si volge al male, o si mostra sol-
lecito dei beni finiti più che non con-
venga, ovvero ama i beni iDflniti meno
del dovere, esso opera contro il Creatore,
ed ò amore peccaminoso.
101. MSN CHB: cfr. Marco XII, 80.
103. ADOVRA: l'uomo creatura di Dio,
opera contro il suo Creatore.
103. QUINCI : dal sin quldetto puoi com-
prendere che l'amore ò in voi oomini
principio d'ogni virtù, ed anche d'ogni
opera peccaminosa ohe merita pena. Que-
sta dottrina ò tolta da San Tommaso ; cfr.
8wn, theoL I, 20, 1; 60, 1 ; I, u, 27, 4;
28. 6; 41, 2; 70, 8; Orni. lÀpt, II, 810.
106. NON PUÒ : perchè amore non può
foro a meno di mirare al bene ed alla
salute di colui in cui esso risiede, ne
segue che nessun ente può sentir odio
per sé stesso, opperò non può amare il
proprio male come tale. Cfr. Thom, Aq,,
Sum. theoh I, U, 29, 4.
107. suooKTTO: termine scolastico —
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520 [antONB QUABTO] PuBa. X7U. 108-118 [pabtiz. dbl puro.]
100
112
115
118
Dall'odio proprio son le cose tute:
E perchè intODder non si può diviso,
E per sé stante, alcuno esser dal Primo,
Da quello odiare ogni affetto è deciso.
Resta, se dividendo bene estimo,
Che il mal che s'ama, è del prossimo, ed esso
Amor nasce in tre modi in vostro limo.
È chi per esser suo vioin soppresso
Spera eccellenza; e sol per questo brama
Gh' el sia di sua grandezza in basso messo:
È chi podere, grazia, onore e fama
periona ; qui 1a voce vale : l' ente In cai
r amore risiede. - tobckb : volgere gli
ooohi altrove, non mirare al proprio
bene.
108. LK cosK : sosoettiTe d'amore, tutti
gli esseri. - tutb : siooie ; « nessuno odiò
mai la propria carne > ; Il/et. V, 29.
109. K PERCHÈ : inoltre, non potendosi
ammettere che alcon essere sia diviso
dall'Essere Primo, cioè da Dio, e sussi-
stente e oonservantesi da so solo, ne se-
gue ohe ogni suo affetto è naturalmente
lungi dall' odiare l'Essere Primo nel
quale vive ed esiste, e dal quale dipeo-
de, giaochò quest'odio sarebbe un odio
di so stesso. Cfr. Tkom. Aq., 8um. theol.
II,n,84. 1.
110. B PBB 8È ! Al. ME PER 8È. -STAKTK :
eslsteote, viTcnte. « In Dio Tiriamo, e ci
muoviamo, e siamo »; AtH XVTI, 28. -
DAL Primo : dal Primo Essere, ohe è Dio ;
cfr. Itaia XLI, 4; XLIV, 0.
111. QUELLO : il Primo Essere, Dio. -
DECISO: dal lat. decidere ■■tagliare; qui
per reciso, allontanato, rimosso.
V. 112-189. Sistetna morale detta
partimione dei Purgatorio» Se oesson
essere può odiare Dio come tale, resta
« che oon si può voler male ad altri che
al prossimo; e questo o per superbia
abbassando altrui a fino d' innalzare sé ;
o per invidia, attristandosi dell'altrui
potere ed onore, per tema di perdere
quant' altri ne acquista, o per ira di
male patito o temuto. Questi tre abusi
dell' amore pnrgansi no' girl di sotto,
perchè pih gravi. Ora resta dell'amore
inordinato, o per tìopldeasa, e dicesi ac-
cidia; o per troppo ardore, e può spin-
gersi a volere oro, cibo, piaceri. Avari-
la, come più rea, sU sotto a gola ; gola
sotto a lussuria, ohe è meo lontano alla
cima. » Tom.
113. ER8TA! lai. reUnquUur, termine
delle scuole. Se l'uomo non può amare
il proprio né U male dell'Essere Primo,
non potendo odiare né sé medesimo, né
il suo Creatore, resta ohe fl male da Ini
amato non può essere che il male del
proesimo, e questo amore del male altmi
può avere una triplice origine. - divi-
dendo : Al. procedendo. Se nella mia
dimostrasione non m'inganno. - estimo :
giudico.
118. S'AMA : anche V odio è amore, ma
snaturato e peccaminoso. Il superbo ama
r avvilimento, l' invidioso l'abbassamen-
to, r iracondo fl dolore del prosalmo.
lU. LIMO: nel vostro flmgo; «quia
primus homo fkctos est de limo teme et
ab ipso oontraxit omnem amorem mali,
quia voluit ezcellentiam sul: ponitar te-
men hio materia prò materiato >t Bmv.
Cfr. Genéi. U. 7.
115. È CHI : vi sono tali ohe sperano
andare in su se altri va in giù, I so-
perbl, che odiano altri, perchè sperano
di erigere il loro trono sulle rovine del
prossimo. « Superbia dldtur esse Amor
propria txeéVUntia, in quantum ex amo-
re causatur inordlnata praeumptio allos
superandi ; quod proprie pertinet ad su-
perbiam »; Thom, Aq,, i9um. tkeol, II, n,
162, 8. - 80FFRE8B0 : calcato.
116. ECCELLENZA: superiorità; <nam
superbire non est aliud, quam super alios
vdle ire»; B«nv.
117. EL: egli, il suo vicino. Alooni
ch' ei bia.
118. fe CHI: vi sono taU ohe temono
di perdere il potere, la grada, l'onore e
la funa, se altri tormotUano, oonsegoono
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[«non QUABTO]
Puro, xvil 119-181 [pibtiz. d. pubo.] 521
121
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m
m
Teme di perder perch* altri sormonti;
Onde s'attrista si, ohe il contrario ama:
Ed è chi per ingiuria par eh' adonti
SI, che si fa della vendetta ghiotto;
E tal convien che il male altrui impronti.
Questo triforme amor quaggiù di sotto
Si piange: or vo' che tu dell'altro intende,
Che corre al ben con ordine corrotto.
Ciascun confusamente un bene apprende,
Nel qual si quoti l'animo, e disira:
Per che di giugner lui ciascun contende.
Se lento amore in lui veder vi tira,
O a lui acquistar, questa cornice.
polare, grada, onore o Duna; onde si
Ubriacano per modo ohe deeideraiio la
éegradaalone del proesimo. Qaesti sono
gl*iBTidkwl ohe daU' altrui Innalsarsi t*-
■ono il proprio abbassamento. « Inridia
«si Irlslitia de alienls bonis.... Obieotom
tristitiaD est malnm propriam.... et se-
eoBdnm hoe de bone alieno potest esse
trisUtla.... Bonnm alterios estìmatur at
■ahm propriam in quantum est dimi-
antlrnm propri» ^ori» vel excellentì» ;
et hoe inodo de bone alterine tristatnr
inridia; et ideo prodpae de illis bonis
homlnes InTident in qnibos est gloria,
et in qolbns homines amant honorari et
in opinione esse.... Aliqois tristatnr de
bonis aBcnins, in quantum alter exoe-
dit ipsam in bonis ; et hoo proprie est
inridla.... Inridia est trìstitia de bono
prosimi. » Thom, Aq., 8um. theoL H, u,
», i-a.
121. KD ft: e Ti sono finalmente tali
ékt per ingiuria riooTUta sembrano oruo-
dsrai a segno da fkrsl aridi di vendetta,
onde non possono non procacciare l'al-
trui male.
123. iMFBOirn: immagini, si dipinga
eon piacere il male altrui. Improntare
e io^émtare, dal lat. imprimere, vale
propriamente apidloare una impronta so-
pra ad alenna cosa. Al. diversamente:
« Faoola o Atoda ikre male al nimico
eoo »; BuU. " « Segni il mal amore in al-
tri »; YéU,, Dan, - « Abbia nel meditare
e bramare la vendetta il cuore e la mente
iaproatata del male ohe va disegnando
alTofltasors, oompiaeendoai in figurar-
selo come presente >; Yent, - « Chieda,
cerchi > (dal frano. emprwUerDi Lomb.
SnUa questione, oziosa and ohe no, se
il verso si riibrisoa al solo visio dell'ira
(come intendono quasi tutti i oomm.),
oppure a tutti e tre i visii : superbia,
invidia, tra (come pretende il Poi.) efc.
Funai, Nota danle$ea, Castel di San-
gro, 1895.
124. raiFOBMB: tre forme di amore er-
rante per malo obbietto, v . 95. - di botto :
nella prima sezione del vero Purgatorio,
ossia nei tre primi cerchi.
125. ALTBO : dell' amore che erra per
poco, 0 per troppo di vigore, v. 96.
126. COBBOTTO : amando poco o nulla
il vero bene, eooessivamente 1 beni coi^
ruttibili, terrestri ; cfr. v. 100 e seg.
127. ciABCim : ogni uomo ha un* idea
vaga, indistinta di un sommo bene, nel
quale si acqueti l'animo suo, e lo desi-
dera, e si sforsa di conseguirlo. Cfr.
BoiU., Oon$. PhU, lU, 2, 8.
128. SI QUETi : « fBcisti nos, Domine, ad
te, et inquietnm est cor nostrum doneo
reqniesoat in te»; 8. Aug., Conf. 1, 1.
129. PKB CHB : perdo ciascuno si sforza
di conseguire quel bene conf^isamente
appreso e del quale ha un' idea innata,
ma vaga, indeterminata.
180. LENTO : Boemo di tuo dover, v. 85
e seg. Se l'amor vostro ò lento a cono-
scere il Sommo Bene ed a conseguirlo.
« Le parole vedere e acquietare segnano
ottimamente il doppio termine grandioso
della carità, la contemplazione e l'opera,
e insieme la doppia cagione onde imma-
linconisce e s'attedia l'aoddioso »; Perez,
Sette Cerchi, 177.
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522 [OIBOKB QUABTO] PXTBO. XYII. 182-189 [PABTIZ. DSL PUBO.]
188
136
189
Dopo giusto pentér, ve ne martira.
Altro ben è, che non fa l'nom felice;
Non è felicità, non è la buona
Essenza, d' ogni ben frutto e radice.
L*amor eh' ad esso troppo s'abbandona,
Di sopra noi si piange per tre oerohi;
Ma come tripartito si ragiona,
Tacciolo, acciò che tu per te ne cerchL »
182. PKRTte : pentimento. L'accidioso
che muore impenitente, non è ammeaso
al Porgatorio, ma condannato all' antt-
infemo, Jf|A III, 84 e seg. Vedi le nostre
osaerraiioni in fondo al C. XI dell'/nA
(qui sopra p. 104 e seg.).
188. ALTHO: il bene oormttibfle, mon-
dano, che non basta di gran lunga a
rendere l'aomo Teramente felice.
184. LA, BUONA ESSENZA: il Sommo
Bene ohe è il solo Dio. « Solns Deos est
bonus per snam essentiam »; Thom. Aq.,
Sum. theol, I, 6, 8.
186. d'ooki BEN: «anamqnodqne di-
citar bonnm bonitate divina, siont primo
principio exemplari effectivo, et finali to-
tins bonitatis » ; Thcm. Aq., Sum. theol,
I, 6, 4. - Invece di d'oomi ben fbutto k
BADiCB, che è lesione del più, alcuni codd.
hanno D'oom bdon frutto badtcb.
186. AD ESSO : a quell' altro bene che
non fft l'nom felice.
187. Bi PiAKGBt si espia in tre cerchi
ohe sono sopra di noi, dorè si porgano
gli agrari, i golosi ed i lussuriosi.
188. 81 RAOIOHA: come si rende ra-
gione del perchè questo amore è disttlnto
bi tre classi. Avarisla, gola e laseaiia
sono peccati camalli superbia, inTidiA,
ira ed accidia peccati spirituali; confr.
Thom. Aq., Bum. théol. I, n, 72, 2.
189. HE cebchi : ti metta ad investi-
garlo per te stesso. « Ornai per quello
ohe detto ò pnote vedere chi ha nobile
ingegno, al quale ò bello un poco di fìi-
tloa lasciare »} Conv, III, 6.
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[eiEOHl QUIBTO] PUBO. XTin. 1-12 [IXOBB] 528
CANTO DECIMOTTAVO
GIRONE QUAETO: ACCIDIA
(Correre di oonttaiao con uui* ed agltaikme)
KATUBA dell'amore, AMORE E UBERO ARBITRIO
ESEMPI DI SOLLECITUDINE, L' ABATE DI SAI? ZENO
GLI 80AUGERI, ESEMPI DI ACCIDIA PUNITA, SONNO DI DANTE
Posto avea fine al suo ragionamento
L'alto dottore, ed attento guardava
Nella mia vista, s'io parea contento;
4 Ed io, cui nova sete ancor frugava,
Di fuor tacea, e dentro dicea : « Forse
Lo troppo domandar, eh' io fo, gli grava. »
7 Ma quel padre verace, che s'accorse
Del timido voler che non s'apriva.
Parlando, di parlare ardir mi porse.
10 Ond'io: € Maestro, il mio veder s'avviva
Si nel tuo lume, ch'io discerno chiaro
Quanto la tua ragion porti o descriva;
V. 1-89. Za natmmd^Vumore.'Pn- flneetn degli ooohl non vegna 1» sem-
fftto d* Danto di insegnargli che mai sia bianxa. » Conv, III, 8.
quell'amore, a eoi si rldaoe ogni bnono 4. sktk: desiderio di sapere. - fsu-
ed ogni cattivo operare degli uomini, qava: stimolava! oonfr. Purg, III, 8;
Virgilio riprende la sua espodxione e XTV, 39; XV, 187.
spiega la natnra dell* amore, che è mo- 6. tacba : « che era un segno di non
tlmento dell' animo a cosa ohe piace. esser contento »; BuH,
1. POSTO : Virgilio aveva terminato U «.lo troppo : Al. il tboppo. - obava :
■00 dlseorso sopra l'amore oome prln- gli è molesto; cfr. Ir^. m, 80; XIII,
dpio d' ogni bene e d' ogni male, e mi 55, eoo.
guardava attentamente in viso, per ve- 8. non s'apriva ; non ardiva di ma-
dore se la soa eapocixione mi avesse sod- nifestarsl.
dis&tto. 9. PARLANDO: volgoodo la parola a
8. VBTA ; « [l*udma] dimostrasi negli me, mi fece ardito di parlare a Ini.
occhi tanto maniAMta, che conoscer si 10. il mio vbdbr: il mio intelletto si
può la sua presento passione, chi bene rischiara si per la tna dottrina, che io
la mira.... Di nulla [passione] poeto l'ani- intendo dilaramento tntto dò ohe il tno
, ohe alla ragionamento proponga o dichiari.
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524 [aiBOHB QtTABTO] PUBO. XYIIl. 18-27
r
Però ti prego, dolce padre caro,
Che mi dimostri amore, a cui rìdaci
Ogni buono operare e il suo contraro. »
« Drizza » disse, < vèr me l'acute luci
Dello intelletto, e fieti manifesto
L'error dei ciechi che si fanno duci.
L'animo, che è creato ad amar presto,
Ad ogni cosa è mobile che piace.
Tosto che dal piacere in atto è desto.
Vostra apprensiva da esser verace
Traggo intenzione, e dentro a voi la spiega,
Si che l'animo ad essa volger face;
E se, rivolto, invér di lei si piega,
Quel piegare è amor, quello è natura
Che per piacer di nuovo in voi si lega.
14. RlDua : ofr. Purg. XVII, lOi 6 seg.
15. GOimiABO: contrario, cioè il mal
>perare ; cfr. Jf annue.. Nomi, 637 e Mg.
16. Lua : gli occhi della mente ; cf^.
Pwrg. X, 122.
18. CIECHI : della mente, ohe Insegnano
>gni amore essere in so laudabile cosa,
r. 86; cAr. Oonv. 1, ll.-Dua: maestri;
I CsBCUB aatem si cseoo daoatam pne-
itet, ambo in foveam cadont » ; Jfott.
KV, H.
19. PBB8T0: l'anima amana, creata
K>lla disposisione ad amare prestamente
ofir. It\f. V, 100), è pronta a Tolgersi ad
»gni cosa che piace <cflr. Pwrg. XVII,
16 e seg.), ossia ad ogni apparensa di
»ene, sabito ohe ò messa in movimento
lai piacere.
21. nr ATTO ft DISTO : « qqÌ dimostra
ibe questa naturale potensia d'amare
itassi cheta nell'animo e non si produco
Q atto se non provocata dal piacere»;
3xUi e con lui i più (An., Fior., Benv.,
'Jand., Veli., Dan , Vent., Lomb., ecc.).
il. accordano in atto con piacere e spie-
;ano : Dal piacere attuale, ti quale desta,
ttua l'amore in potenea {Pogg., Tom.,
ir. B., Andr., ecc.). Ma Virgilio vuole
videntemente dimostrare come il pia-
ere converta l'amore potenxiale in amo-
e attuale.
22. vosTBA : la vostra facoltà intellet-
Iva ritrae l'immagine dalle cose reali
•teme, la svolge ed idealissa dentro la
ostra mente, gliela pone davanti, e
% A che r animo si rivolga ad essa im-
magine idealissata.-DA esbbb: «c
oose che veramente sono buone e
imperò ohe a le oose rie non pt
dere, se non è ingannata apprei
per buone; imperò che come a
la cosa ria, incontenente la ri
come apprende la cosa buona,
de »; Buti.
23. TRAGQK: ritrae immagine di
to reale estrinseco. CoA i più ; e
chi, Brcolano, p. 29 : « Nella vi
tastica si riserbano le immagini
similitadini delle cose, le quali
chiamano ora spexie, ora intet
Sopra alcune altre interpetrat
Com. Lip§. n, 817.
25. K BK : se l'animo rivolto a <;
tenzione, a quell' immagine di b€
de, si abbandona in lei, si oongi
essa, questo abbandonarsi, quo
giungersi ò l'amor naturale. *
non è altro ohe unimento spiriti
l'anima e della cosa amata »; Co
2; IV. 1.
27. PER PIACER : per cagione de
che piace. - si lega : « il plaoei
in abito l'atto naturale d'amare
Volendo dimostrare come l'un
procede naturalmente dall'altro,
distingue tre amori: il naturate,
apprensione (cfr. Purg. XVTI, 91
il eeneitivo e V intellettivo. Una
innato; quando l'anima tende al
d' un oggetto reale, ne nasce l'an
sitivo che fi ìega, si unisce al ni
dal desiderio d' unirsi spirìtualnM
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[eiBOHB QUARTO]
PUBG, XYlIl. 28-89
[IMOBB] 525
37
Poi, come il foco movesi in altora
Per la saa fonna, oh' è nata a salire
Là dove più in sua materia dora;
Cosi l'animo preso entra in disire,
di' è moto spiritale, e mai non posa
Fin ohe la oosa amata il fa gioire.
Or ti pnote apparer qnant'è nascosa
La veritade alla gente, ch'avvera
Ciascon amore in sé landabil cosa,
Però che forse appar la sna matera
Sempr' esser buona; ma non ciascun segno
È buono, ancor che buona sia la cera. »
k BMoe il terso, l' Amore intel-
bMro.
M. DI ALTURA: in «Ito. «Alta petont
■ir «tqne aSre pnrior ignls »; Ovid., M$t,
XV, ta.
39. fOBMA : per la ina natora eeeen-
dale. Vel lingoaggio scolaetieo/orma è
de ohe dà Taesere a daaciiaa oosa, quello
p«r eoi le ooee tono per l'appunto dò
cbe aono. Ia forma del ftiooo è quindi
faiaua eeeensa, ciò che lo ik easere ftiooo.
Ignorando che la grarità dell'aria ò
■acg;Ìore di quella della fiamma, gli an-
tiehi eredottero ohe il ftiooo tendesse
Mtoralmente alla sua sibra, doò aUa
■fcra del Itaooo.
30. LÀ: nella sfera del ftiooo, ove, es*
•«ade nel ano elemento, dura più a lungo
die san* terra. « Ciascuna oosa ha il suo
ipetiale amore, come le oorpora semplid
hanno amore maturato in sé al loro loco
proprio.... il ftiooo alla olroonferensa di
iopra longo il Cielo della Luna, e però
aenpre sale a quello »; Cono, IH, 8.
31. PHB80 : dal piacere dell'«tf«r vorace,
-a dibirb: in desiderio della oosa amata.
S3. 8PIBITALK : Spirituale, non materia-
le, come quello del ftiooo che sale in alto.
33. Fiv CHB: flnehò non possiede la
«ssa amata ed è congiunto ad essa.
35. enm: epicurei. - awicba: affer-
■la corno vero ed indiioutibile che ogni
UBore ala per sé stesso cosa lodevole.
37. MATiKAt material anticamente
«ohe in prosa ; efr. Nannueei, Nomi»
XXI e seg. « La materia d* amore, ce-
da la naturai disposisioae ad amare »;
Br. B, Hegtto: L'ideale a cui l'anima
d Tolge. « n bene ò materia dell'amore :
Hmpra dunque la materia è buona { per-
ohò anoo nel male ohe s*ami ò sempre
alcun bene reale, oaglon dell'amore:
ma il troppo amore die a minor bene
ai porta, o il poco ohe al maggiore,
sono quasi un brutto suggello impresso
in buona cera. GU Aristotolid diiama-
no materia il genere delle oose, determi-
nabile da rarie differenie, come la ma>
teria prima è determinabile da più ft>rme.
La cera appunto è la materia determina-
bile ; il segno o la figura oh' ella prende ò
la ferma determinante. E dcoome la cera
o buona o non cattiva può essere im-
pressa di mal segno, coaà il naturale
amore non tristo in sé può piegare a
mal segno. » Tom.
88. BXQMO: quantunque la cera sia
buona, il suggello non è sempre buono;
onde anche buona cera può ricevere cat-
tiva impresdone. Cod, anche dato che
l' amore in potensa sia sempre buono,
esso può esser non buono in atto.
V. 40-75. I/amore in roUudané ed
Uboro arhitrto. Più sopra, Purg, XVI,
04 81, si discusse la questione, ae gli in-
flnsd celesti nocdano alla libertà dd-
l'uman volere; dall'idea dell'amore, il
cui oggetto vien offerto all'uomo di ftiori,
sorge un nuovo dubbio, se doò la pre-
potensa degli oggetti esteriori non renda
il libero arbitrio più o meno illusorio.
« Dubium est istud; vult dioere: tu di-
xisti mihi, qnod animus redpit spedem
rd vis» intra ae, et quod Illa reflezio
est amor: modo d est verum, quod ne-
cessario veniat de feria, et dids quod
amor est causa virtutis et viti!, qu» est
causa, quare debeo habere oolpam mei
vitii, vel landem me» virt.utisf • PoiUU.
Oaet, Cfr. Thom,Aq., Sum,4heol. 1.83, 1.
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[OmOHB QUARTO] PUBO. XYin. 40-51 [LIBERO ARBITRIO]
4«
49
« Le tue parole e il mio seguace ingegno »
Risposi lui, € m' hanno amor discoperto ;
Ma ciò m'ha fatto di dubbiar più pregno;
Che, s' amore è di fuori a noi offerto,
£ l'anima non va con altro piede,
Se dritta o torta va, non è suo morto. »
Ed egli a me : « Quanto ragion qui vede
Dirti poss'io; da indi in là t'aspetta
Pure a Beatrice, oh' è opra di fede.
Ogni forma sustansial, ohe setta
É da materia ed è con lei unita,
Specifica virtude ha in sé colletta.
DftDt« mnove tal dabbio, e Yirgilio ar-
gomente : 1* «nlma amADA « ba in so
un* potensft insito, qoMl d'istinto, obe
si dimostra negli atti, ed è sensibile so-
lamente per essi, e nella qaale è il germe
dalle prime nozioni e delle prime tenden-
te, de' qaali e delle quali l'origine non è
oonosdoto, o non è, per meglio dire, ay-
yertlto. In queste prime noaioni e ten-
dense, obe sono facoltà e moti di natura,
non o'è merito né demerito; ma il me-
rito o U demerito incomincia nell'aso di
quella facoltà, cbe non è men naturale
dell'origine delle prime nozioni e ten-
dense, dico la fiMwltà dello eleggere tra
due veri o tra due beni, qnal de' due si
voglia pib attentamente col pensiero o
col desiderio seguire. E questo fkcolto di
elezione e di consiglio ò un assentimento
intomo, il quale deve precedere all' atto
dell'assenso ; e il libero arbitrio ò riposto
in essa. Necessario è ohe l' nomo sento
la tondenza al vero ed al bene; ma li-
bero ò, ch'egli un bene o un vero pre-
scelga ad un altro. » Tom,
40. SBGUAOBt le toc parole e l'atten-
zione che la mento mia vi ha fatto, mi
hanno maniAMtoto che cosa è amore;
ma, sciolto il primo dubbio, ne è sorto
in me nn altro, maggiore del primo.
42. PBBQMOt ripieno; mi ha cresciuto
i dubbi.
43. DI FUORI: da oggetti estomi. Se
amore nasce da cosa estrinseca posto di-
nanzi all' animo, e se l' anima non opera
ohe per impulso d' amore, principio stl-
molanto di tutto le sue operadoni, essa
non è Ubera, né merito premio o pena,
se opera bene o male.
46. QUANTO: io non ti posso dire in
proposito se non quanto l' umana ragian«
ò capace di conoscere; rispetto a dò ohe
oltrepassa i limiti dell' mnana ragloiie,
essendo questo una materia di fede, ri-
poni la tua speranza solamento in Bea-
trice ohe to lo dichiarerà. Conflr. Omv.
II, 8. De Mon. IH, 1«.
49. FOBMA BUSTAHZIAL: Ogni sostansA
spirituale, cioè anima, la quale è §etta
Oat. SMto), distinto dàlia materia, ma ò
con essa (col oorpo materiale) unita, ha
una virtù specifica che la differenzia dalle
altre fbrme. « Anima est forma subetan-
tialis hominis »; Thom, Aq., Sfim, theoL I.
76, 4. - « Dorina tvbttantiaUi è per i Pe-
ripatetici la sostanza distinto dalla ma-
toria, ordinato di per so talmento da
oostitoire colla materia prima il oorpo
natorale qual diferefUia phytiea prinoi-
palissima del corpo; vale a dire, ohe la
materia sondo di per so indifferente a
qualsiasi composto vien detorminato dal-
la ferma a sé unito, all'essere dìpUtra,
eane, e simiU. Le forme sostanziali per
essi sono altrettanto quanti sono i oorfd
diversi. La forma sostanziale vien rigei-
toto da molti moderni, ed anco da alcuni
antichi denominati eorputcolatet, che ri-
tonevano doversi ripetere totto le diver-
sito dei corpi dalla diversa modiflcasione
della materia. Per costoro quella è forma
sostanziale ohe costituisce una cosa sola
col subietto cui sopragglnnge, o che de-
termina la matorla ad una sostonaa da-
to. » Dirti, Dit. tomiMt, s tcoUul,, p. 65.
50. UHTTA : « Anima Intellectiva uni-
tur oorpori ut forma substantialis »;
Thom. Aq., Sfim. th$oL I, 76, 4. L'anima
ha colla matoria unione, non identità.
61. viBTUDS: questo virtù tp^eifiem ò
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eione quarto] Pufio. XVIII. 52-66 [libkbo arbitrio] 527
La qual senza operar non è sentita,
Né si dimostra ma' che per effetto,
Come per verdi frónde in pianta vita.
Però, là onde vegna lo intelletto
Delle prime notizie, uomo non sape.
Né de' primi appetibili l'affetto,
Che sono in voi, si come studio in ape
Di far lo mèle; e questa prima voglia
Morto di lode o di biasmo non cape.
Or, perchè a questa ogni altra si raccoglia,
Innata v' è la virtù che consiglia,
E dell'assenso de' tener la soglia.
Quest' è il principio, là onde sì piglia
Cagion di meritare in voi, secondo
Che buoni e rei amori accoglie e viglia.
V appetito tPanimonaturale, doè 1* dispo-
aisioiie p«rtloolare e natorftle dell'anima
•d amare. Di questo appetito d' anima
naterale Dante dlaoorre a longo Oonv.
IV, 28. - OOLLRTA: Taooolta, adunata.
69. LA QUAL: non essendo ohe ana di-
spoeixioneyirtaale, questa virtù speoifloa
wm paò conoscersi nò dimostrarsi ohe
per r eUbito attaale, come la vita in ona
pianta non si conosce né si manifesta
altrimenti ohe col verdeggiare delle sne
frondi.
58. ma' chx: magit quam, pih che, se
non che, ftiorchè ; ofir. It^, IV, 30 ; XXI,
20 ; XXVm, 66. « [aò ohe ha ragion di
principio] non si può notificare per cose
prime, ma per posteriori »; Cbnv. IV, 10.
66. 8APB: sa. Altrove dice ohe l'in*
ielleito è nn dono dello Spirito Santo;
Oowo. IV, 21. 1 metafisici mossero gravi
qoestioni solle prime idee, specialmente
se siano innate, molte, o ona sola. Dante
dioe aemplicemente che non si sa.
57. Vk nm' PUMI: Al. b dk' ; BfUi,
Land, eoo. b dbl pbimo: doò il desi-
derio del Sommo Bene. « Noi ignoriamo
donde ne vengano: V> le prime notizie
ddttniOÌMto, doè i prindpii deUa nostra
ra^ne, eie regole fondamentali dell'in-
teOigensa; 2» Vafotto do* primi appoU-
MN, doè quelle piimitiTe incllnadoni,
qaegH appetiti primigenii, da cni noi-
r nomo va esente ; eome 1* amor dd vero,
déDa fcUdtà, dd bdlo, dd hene, la cn-
riosttà, la simpatia, e tutti i movimenti,
gin affitti eatetld e morali ohe fhrmano
la parte affettiva dell'anima, eome le
prime notitie deW inteUetto, gli asdomf,
le forme logiche, ecc., ne costitoiscono la
parte intdlettiva. Donde ne venga tutto
dò, è da noi ignorato. » €Hoberti,
58. STUDIO : inolinadone, isthuto. « Mo-
res et stadia et popolos et proelia di-
cam » ; Virg.,Oeorg, IV, 6. - « Floriferis nt
apes in sdtibas omnia libant •; Lueret.,
Ror, noi. Ili, 11. -« Stndiamqne laboris
Fioriferi repetont, et spard mellis amo-
rem »; Lue., Pkart. IX, 288.
59. VOQLIA : questa inollnaslone natu-
rale non cape, cioè non ammette vemn
merito di lode nò di biasimo, non es-
sendo libera.
61. PBBCBÈ : afllnchè a questa prima
voglia si raccolga, doò si accordi, corri-
sponda ogni dtra voglia, vi è innata la
ragione, finooltà che vi oondglia e che
deve vigilare che non assentiate al mde.
Sulle altre interpretazioni di questi versi
otr. Oom. Lipt. II, 828.
63. TBNRB : governare la volontà, dan-
do oppure negando l' assenso ; cflr. Clono.
IV, 26.
64. qubbt'è: questa ragione, regola-
trice degli atti nmsni, ò la sorgente da
cui d piglia oooadone da vd di meritare
o demeritare, secondo che essa ragione
accoglie e distingue i buoni amori dai
perversi { of^. Oonv. IV, 9. De Mon, 1, 12.
65. CAOION: Al. BAOION.
66. viglia: sceglie, distingue { da vir-
gliare « verbum msticorum purgantlum
fimmentum in area » ; Benv.
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528 [GmONE QUARTO] PUEO. XVIIl. 67-8
[SONNOLKKZA]
67
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73
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Color che ragionando andaro al fondo,
S'accorser d'està innata libertate,
Però moralità lasoiaro al mondo.
Onde, pognam ohe di necessitate
Sorga ogni amor che dentro a voi s' accende ;
Di ritenerlo è in voi la potestate.
La nobile virtù Beatrice intende
Per lo libero arbitrio, e però gaarda
Che l'abbi a mente, s'a parlar ten prende. »
La lana, quasi a mezza notte tarda,
Facea le stelle a noi parer più rade.
Fatta com'on secchione che tutto arda;
E correa contra il del, per quelle strade
Ohe il sole infiamma allor che quel da Roma
Tra i Sardi e i Corsi il vede quando cade ;
E queir ombra gentil, per cui si noma
67. OOLOR: i filosofi ohe, inyeafclgando,
gioiuero ft pencratàre 1* yera natiira
delle 0066, rioonobbero la libertà dell'ar-
bitrio, onde dettero al mondo le dottrine
morali, secondo le quali gli nomini de-
vono governarsi. Ctt, De Mon. 1, 12.
70. ONDE: « pogniamo pnre cbe la vo-
stra apprensiva ricevendo l'imagine di
nn obbietto estemo si senta necessaria*
mente mossa dalle sae naturali inclina-
doni ad amore o avversione verso di
esso: sin qoi non vi ha certo nulla di
libero e ohe pertanto possa essere impu-
tato. Ma siccome voi avete lame di ra-
gione per disaminare le qualità morali
degù oggetti a cai vi sentite inclinato
od avverso ; siccome yoì avete libertà di
Care questa disamina, e, fkttala, di assen-
tire, o di dissentire ai moti primi della
natura ; si £» luogo a imputasione rispetto
a questo vostro assenso, o dissenso ; e ne
nasce perciò una serie di amori buoni o
rei, ma Uberi sempre, perohò daU' eeer-
oizio accompagnati del vostro Ubero ar-
bitrio, i quali pertanto sono degni di lode
o di biasimo, e meritevoU di premio o di
castigo. » (HoberH.
78. nrrsNDB: Beatrice chiama libero
arbitrio questa nobile hcoìtk regolatri-
ce degU atti umani i procura dunque di
averlo presente aUa memoria, se eUa te
ne parla. Veramente Beatrice ne parla
P<Miiel cielo della luna, Par. V, 1» e seg.
V. 76-87. Sonnotemm di lPaHièJ\
mesMnotte, e la luna fk apparire le stelle
pia rade, oscuraodo col suo spendore
le piccole. YirgiUo ha terminato 11 suo
ragionamento, e Dante non ha per ora più
niUla da chiedere ; onde, avendo seoo di
quel d*Adamo, si sente preso da sonno.
76. TABDA : o tarda si riibrisee aQa lu-
na, e aUora s* iotende ohe la luna tardò
sin quasi a messanotte asorgere ; oppure
(ardasi riferisce a mezzanotte, ed il eenao
ò : quasi aUa tarda ora della messanotte,
la luna, &tta, ecc. Cfr. Oom. Lipt, IL,
825 e seg. Galanti, Lettere, Ser. Q,
lett. 24.
78. FATTA: essendo aUora calante, e
solo da una parte preeentandoal tonda
ed Uluminata, la luna rendeva Agora di
una secchia svilente. - sbocbiohb: AL
soHBQOioir ; « ma la lana a me pare ohe
si somigli pih ad un secchio rotondo ar-
dente, ohe ad uno scheggione, il qoale
sarà certamente bislungo ed irregola-
re»; Betti.
70. cosBBA: ssUva da ponente a le-
vante, quindi a rovescio dèU' apparente
moto del dolo, che sembra volgersi da
levante a ponente. - stbadb : per quelle
regioni aeree, che il sole peroorre verso
U solstisio invernale, quando gU abitanti
di Boma lo vedono tramontare tni la Sar-
degna e la Corsica.
82. ombra; e VlrglUo, per oui, essen-
dovi nato. Pistola è più flunosa deUa
stessa città di Mantova, mi aveva tolto
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[OIBOHB QUÀBTO]
Poro, xviii. 83-99
[ACCIDIOSI] 529
85
83
91
.»*
97
Piètola più che villa mantovana,
Del mio carcar deposto avea la soma;
Per ch'io, che la ragione aperta e piana
Sopra le mie questioni avea ricolta,
Stava com' nom che sonnolento vana.
Ma questa sonnolenza mi fu tolta
Subitamente da gente, che dopo
Le nostre spalle a noi era già vòlta.
E quale Ismene già vide ed Asopo
Lungo di sé di notte furia e calca.
Pur che i Teban di Bacco avesser uopo ;
Tale per quel giron suo passo falca,
Per quel eh* io vidi di color, venendo.
Cui buon volere e giusto amor cavalca.
Tosto far sopra a noi, perchè correndo
Si movea tutta quella turba magna;
E due dinanzi gridavan piangendo :
il Mcfoo del dubbio, rispondendo aUe mie
83. Piatola: TilUggio aall» lira de-
•tn del Mincio yioino ft MantoTE, se-
eoodo i pia VAndet degli antìdii, patrie
di TlrgUio. Ctr. Loria, 138. Bau. 416.
- nÙ CHS villa; Al. PIÙ CHE NULLA ;
efr. Moon, Onl., 801 e seg.
80. RICOLTA; nelle mie mente ; eTeve
Tieeroio chiere e fecUe rlspoeta alle mie
87. TAHA : vaneggia ; da mnAré» oon^
trasioiie di vaneggiare (f).
V. 88-08. Schiera di a«eidio9Ì, La
•onnoleosa è tolta al Poeta da ona schie-
ra incamminata verso il luogo dove egli
e VirglUo si trovano. Sono gli spiriti de-
gli accidiosi che, in opposÌKÌone alla loro
inersia, corron firettolosi intomo al giro-
ne, piangendo e cantando per isoootare
eon gentili entusiasmi Ui flredda indlffe-
ressa di ohe si resero colpevoli in vita.
80. DOPO : dietro le noetre spalle, aven-
do compiuto il giro del monte. « Cor-
rono sempre in giro, sempre attorno al
monte ; onde il correre non sembra aver
mal per loro un principio o un termine ;
otfle documento agli accidiosi, ohe non
sanno mal trovar principio all'opera, e
quando pure il troTano, non san mai re-
carla a suo termine »; Ptrez,
01. IfiMno ED Abofo : due fiumi della
Beoxfa, lungo i quali grandi turbe di T^
beni correvauo di notte con fkoelle ac-
oese, invocando l'aiuto di Bacco, loro
nome e patrono; cfìr. 8UU , Th$b. IZ, 43i
e seg., dove il fiume Ismene dice: « Ille
ego, ciamatus sacris ulolatlbus amnls,
Qui molles tyrsos Baccbeaqne comna
puro Fonte lavare feror.... Frater taci-
tas Asopus eunti Condliat vires. » Cfr.
Berodot. VI. 108; IX, 61. Thueyd. IV,
96. Virg., Eclog. VI, 82 e seg.
04. TALK: una tal furia e calca di
gente, come mi parve di coloro cui buon
volere e giusto amore sprona, torce e
piega in modo di fiJoe il suo passo per
quel girone, venendo alla nostra volta.
- FALCA : « gli usi del popolo d rischia-
rano i dubbi de* commentatori, rammen-
tandoci ì\ falcare del passo de' cavalli, e
ì^f oleate eh* e' danno in sul moversi al-
cuni di quegli animali o de' non bene an-
cora dodll al freno e dei più generosi.
L'iounagine è tolta dall' inarcare che
fanno la schiena e le gambe, a modo di
falce. Così falca la persona e le gambe
anche l' uomo, quando si dà la spinta a
una corsa veloce. » Oavemi.
05. FBB QUBL: per quanto nell'oscu-
rità della notte potei vedere.
97. FUR : ci raggiunsero presto, perohò
correvano veloci .
08. MAQNA: grande.
V. 90-105. Esempi di BoUeeitudine.
Due anime, che staquo alla testa della
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\ [GIRONE QUARTO] PURG. XVIII. 100-114 [ABATE DI S
€ Maria corse con fretta alla montagna » ;
E : € Cesare, per soggiogare Berda,
Punse Marsilia e poi corse in Ispagna ».
€ Batto, ratto, che il tempo non si perda
Per poco amor! » gridayan gli altri appresso
4 Che studio di ben far grazia rinverda. »
« 0 gente, in cui fervore acuto adesso
Ricompie forse negligenza e indugio,
Da voi per tepidezza in ben far messo,
Questi che vive, e certo io non vi bugio.
Vuole andar su, pur che il sol ne riluca ;
Però ne dite ov' è presso il pertugio. »
Parole f nron queste del mio duca ;
Ed un di quelli spirti disse : « Vieni
Diretro a noi, e troverai la buca.
[era degli aooidiosi, gridano esempi di
ddtadine. Il primo è anche qoi quello
a Vergine Maria ohe d affirettò ad
arsene a visitare la sna parente EU-
Dtta, e della qnale si legge, Lw.
19: « Maria in quegli stesai giorni
ò frettolosamente nella mon^igna a
I città di Giada. » Il secondo è 1* esem-
di Giallo Cesare che colla velocità del
aloe represse i taniulti di Marsiglia
ggiogò le Spagne ; cfr. Ccu. De belio
I, II. Horat., Epitt. I, xx, 13. Lue.,
irt. I, 151 e seg., II, m. H primo è
apio di sollecitadine spiritnale, il se-
Io di sollecitadine temporale.
11. ILBRDA: oggi Lerida, cittadella
f^na snl fiume Segre, presso la quale
Are sbaragliò Afranio e Petreo, luo-
menti di Pompeo.
12. pumsr: lasciandovi Bruto all'as-
o.
13. RATTO : presto, presto ! cNolite ne-
ere, nolite cessare ! » Jud. XVIII, 9.
14. PER POCO : per amor del bene soe-
ai suo dovere; Purg. XVH, 85-M.
15. CBÈ: affinchè la nostra soilecitu-
» del ben fkre rinnovi e rinvigorisca
loi la grazia di Dio.
. 106-120. L'Abate di San Zeno.
jIQìo prega quelle anime di dire dove
la scala per salire al qnlnto girone,
na di esse risponde : « Seguiteci e tro-
»te la fenditura del monte dove si
. Noi abbiamo tntttk e non possiamo
laroi. Io Ali Abate di San Zeno al
tempo del Barbarossa. » - Abat«
no in Verona ai tempi di Federi^
rossa imperatore (1152-1190) fa
rardo II, morto nel 1187 (otr, .
ni, Notizie ttor, deUa Chieta di
lib. V, § 1), del quale non d hai
rieri notisie. I comm. ant. lo d
sai accidioso, ma probabilment
tinsero che a questi versi di Da
Cam. Lips, II, 331. Alconi lo e
Alberto; altri lo confondono
berte della Scala. H BeMgìii
Dani, Veron., p. 166): « Il per
che parla, per quanto n'abbia
non si può accertare chi fosse
106. PKRVORB ACUTO : amoro I
107. RICOMPIE : compensa la m
e la trascuranza del ben tue ci
in vita per amore scemo di suo
109. NON VI BUGIO : non vi die
affermando che questi è ancor x
gio da bugiare — mentire, antJ
anche in prosa. « è ancora in
alcuni, i quali dicono: "Io ne
so „ »; Varchi.
110. PUR CHE! appena ohe il t
ad illuminarci; eh. Purg. VII,
111. ov'È: da qual parte è pi
il passo per salire.
118. VIENI: la fretta di qaee
è tale, che nessuno si cara di q
che è 1), e nessuno ne fk le me
114. PIRETRO : da sinistra a
LA BUCA : il pertugio, cioè 11 vi
va^ nel sasso; oCr. Purg. XIX,
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[enOVK QUÀBTO]
PuBo. xvm. 116-127
[SCALIOBBI] 581
115
118
121
134
127
Noi Siam di voglia a muoverci si pieni.
Che ristar non potem; però perdona,
Se villania nostra giustizia tieni.
Io fui abate in San Zeno a Verona,
Sotto lo imperio del buon Barbarossa,
Di cui dolente ancor Milan ragiona.
£ tale ha già l'un pie dentro la fossa,
Che tosto piangerà quel monastero,
E tristo fia d'averne avuto possa;
Perchò suo figlio, mal del corpo intero,
E della mente peggio, e che mal nacque.
Ha posto in luogo di suo pastor vero. »
Io non so se più disse, o s' ei si tacque,
116. CHS BUTÀB: ohe non poMlamo
wBtBÈMXCl»
117. TiKin: se la noetoa sdledtadine
di ■oddisflffe aU* divina gioetisia cor-
rendo eense fcrmard a paiiare oon toI,
a eembra na atto di aoortesia.
119. BUOK : « qoia ftiit virtnoene, stre-
nnne, largns trinmphator et oorpore poi-
eer > ; Benv. Fece valere Tlgoroeamente i
diritti imperiali e mori crociato. Dal Vent.
in qua i piti ai arrisano, contro l'opinione
di tatti j;U antichi, che qnel buon sta det-
to per ironia: opinione Inattendibile.
120. DI CUI ! del qnale Milano, distrutta
dal Barbaroesa nel 1162 (efir. O. ViU. Y,
1), eerba ancora dolorosi ricordi.
V. 121-126. Oli SeaUgeri, Pnr cor-
rendo, r Abate di S. Zeno predice che un
tale piangerà presto nell'Infemo a mo-
tiTo del monastero di Verona, e si dorrà
d'avere esercitato sopra esso la sna ao-
torltà, ponendovi abate Gioseppe, suo
basUido. Quel tale è Alberto della Sca-
la, signor di Verona, che morì il 10 set-
tembre 1901. Ebbe tre figli legittimi che
Tono dopo l'altro gli saooessero nella si-
gnoria : Bartolommeo, m. 7 marco 1304 ;
Alboino, m. 24 ottobre 1811 1 Can Fran-
cesco o Can Grande, Tosplte di Dante.
Oltre questi ebbe un figlio illegittimo, di
nome Giuseppe, che fu Abate di San Zeno
dal 1291 al 1314.
121. BA GIÀ: nel 1800 Alberto deHa
Scala era vecchio; e quando Dante det-
tava questi versi sapeva esser egU morto
nd 1301.
122. PIAXOKRÀ: quell'anima predice il
pianto di Alberto neU'InfDmo per l' in-
giuria recata a quel monastero avendo
eletto o Iktto eleggere abate 11 suo figlio
bastardo. « Alberto della Scala aveva
commesso un grande peccato, cioè ch'elio
avea Iktto abbate di San Zeno da Verona
un suo figliuolo, indegno di tale prela-
tura: imprima, ch'elli era coppo del cor-
po; secondo, ch'elli era cosi difettoso
dell' anima come del corpo ; terso, ch'elli
era figliuolo naturale, siochò avea que-
sti tre grandi difetti »; Lan., OH, Cfr.
LevU, XXI. 17-21.
124. MAL: essendo sciancato.
126. PBOOio: « vir probus et integer a
principio, sed Consilio medioorum tacta
muliere, velut inqulnatus pice diaboli,
factns est sceleratissimus. Kam cnm Al-
boinns, qui suocesserat Bartholomaeo In
dominio, vellet ex pusillanlmitate redn-
cere oomites sanoti Boniiiacii in Veronam ,
abbas, conquerente Cane, tamquam ani-
mosus Increpans amare Alboinnm, ar-
mata mann Ivit, et truddavit multos ex
dictis oomitibos ad villam eorum, qufo
insula Comitnm primo, postea vocata
est insula de la Scala. . . . Erat pravus ani-
mo.... lupus raptor; fait enim homo vio-
lentus, de nocte discurrens per snbnrbia
cum armatls, rapiens multa, et replens
meretridbus looum illum. » Benv, - mal
NACQUI: Al generato illegittimamente;
nacque d'adulterio.
126. IN LUOGO: invece di abate legit-
timo di quel monastero.
V. 127-138. Ewempi di accidia pu-
nita. La schierava oltre correndo, onde
Dante non sa dire, se l'Abate di San Zeno
si tacesse o continuasse a parlare. Le due
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)2 [GIBOHB QUARTO] PUBO. XYIII. 128-145 [ESEMPI D'i
Tant' era già dì là da noi trascorso ;
Ma questo intesi, e ritener mi piacque.
0 E quei che m'era ad ogni uopo soccorso.
Disse : « Volgiti in qua I Vedine dae
Venire, dando all'accidia di morso. »
3 Diretro a tutti dicean : « Prima fue
Morta la gente, a cui il mar s'aperse,
Che vedesse Giordan le rode sue » ;
6 E: € Quella che l'affanno non sofferse
Fino alla fine col figliuol d'Anchise,
Sé stessa a vita senza gloria offerse ».
9 Poi quando far da noi tanto divise
Quell'ombre, che veder più non potérsi,
Nuovo pensiero dentro a me si mise,
2 Del qual più altri nacquero e diversi:
E tanto d'uno in altro vaneggiai.
Che gli occhi per vaghezza ricopersi,
5 E il pensamento in sogno trasmutai.
kime, ohe vengono in coda • latta la
hiera, gridano esempi di pigrizia. Il
-imo ò degli Ebrei, ohe lenti e ribelli
eegnir Mosè, perirono nel deserto e
>n toccarono la terra promessa: oAr.
um, XIV, 1-39. DeuUr, J, 26 36. Il
condo esemplo ò dei fiacchi compagni
Enea, che, tediati dalle fatiche del
aggio, si ibrmarono in Sicilia con Aoe-
d, anteponendo la vita poltrona alle
biche ed all'acquisto di gloria; conAr.
Irg.f A«n. V, 601 e seg.
129. MI PIACQUE : « ut momoriara fìh-
rem ad argnendnm violatores sacro-
m > ; Benv. - « Perchè testimonio Ta-
rde a mostrarci, che se Iddio non
stiga il peccato in questo mondo, ca-
Igalo neiraltro »; Lomò, ~ « Per notarlo
qaa di perpetua infamia »; Biag.
180. QUEI : Virgilio, sempre pronto a
Dcorrermi in ogni mio bisogno.
132. DAlTDO: mordendo, biasimando
ccidia con esempi di accidia punita.
184. IL MAH s'apebse: oonfr. Eiod.,
CV, 8 81.
185. OiosDAH: Al. JOBDAN; flume prin-
>a1e della Palestina, posto qui a desi-
are tutta la Palestina, da Dio promessa
!>oi daU in erediU ai flgU d' Abramo. -
:oE:of. In/. XXXI, 116. Pur^. VII. 118.
136. QUELLA: gente.
V. 189 -146. Bonito di J>an*e.
ra delle anime è passata oltn
Tede dal due Poeti, né si ode ]
Dante, già prima sonnolento, t.
dormenta. Con verità di esser
con efficace proprietà di parole i
Poeta il passaggio dalla Teglia
180. DIVISE: allontanate.
141. DEHTBO A : AI.PEN8IEE DI
142. nò ALTRI: « Cogitatio
Tariffi succednnt sibi, et mens li
rapitur »; Job XX, 2. Cfr. Fi*
IV, 283 e seg.; Vili, 20 e sei
144. PER VAGHEZZA : « per CI
vagamento dei pensieri, oioò pe
sarei pih la mente in alcun pena
Bando agli occhi stimolo di restai
mi si chiusero »; Lomb,
145. TRASMUTAI : 11 mlo pensa]
vertì in un sogno; Purg. XIS
Agli accidiosi Dante non toI,
rola, e dedica loro men Tersi oh
gli altri spiriti, forse per india
dispretso per le anime tarde ed 1
questo solo cerchio del Purgato]
me non pronunciano preghiere,
meglio indicare la loro fretta, <
pena dell'essere state un di trof
a pregare. « Fors* anohe l'aceri
ohe in questo cerchio non nom
personaggio, fuorché un uomo
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[eiBOHB QUABTO]
PUBO. XIX. 1-4 [800KO SIMBOLICO] 533
più ohe altri «rrebbe domto intendere
ad orasione (l'Abate di San Zeno), mole
aTTiaard ohe esiandlo U Inngo aahneg-
giara è aecidi», ae il oorpo ne trae aUet-
tamenU al ano agio, e l'animn è lon-
tnn* dai penaieri di Dioi onde poi gli
aocenti indiroti e l' agiato sedere è fora*
aoontare col ailensio dell» pia medita-
sione e col disagio del oorrere aenaa ri-
poso. » P^rez,
CANTO DECIMONONO
GIBONE QUABTO: ACCIDIA
80GHO SIMBOLICO DI DAKTE, L' ANGELO DELLA SOLLEOFTUDIKE
SALITA AL QUIHTO OEKOHIO .
GIRONE QUINTO: AVARIZIA E PRODIGALITÀ
(Piangere, diatesi booooni, immobili, eolie mani e coi piedi legati alla terra)
PAPA ADRIANO V, ALAGIA
Neil* ora che non può il caler diamo
Intepidar più il freddo della lana,
Vinto da terra, o talor da Saturno ;
Quando i geomanti lor maggior fortuna
y. 1-33. Xi •ogm» HthboUtc. Sono
drea le 4 V« di mattina. Dante vede in
sogno una femmina balba, gnerela, eoi
pie distorti, le man! monebe, di odore
Bdalb*. Come Dante la mira, ella ai di-
risia, al ookwa e cantando dice di essere
delee alreoa. ICentre canta ancora, ap-
paro m* altra donna, aanta e presta, obe
la preode, le ^re la Teste e ne mette a
aadottTentre: qvesto col soo pnxxo ri-
STsgHa n Poeta.
1. nox* OEA: presso al mattino, quan-
do del Ter al sogna ; Iftf. XXVI, 7. Ptàrg,
IX, 16 e seg.
Sl IL VBSOSN) : « la hma non è fredda in
•è, m* è eOMtiTa di freddo eoi raggi del
sole ohe peronotono in essa, et ella li ri-
flette gioso ; e la reflessione che Tiene di
su giù, cagiona freddo, come qnella cbe è
di gib sn, cagiona caldo, e però la Iona la
notte raffredda l' aire e la terra »; BuH,
L'errore darò alno al nostro secolo.
8. VINTO : estinto, doè il «oZor diurno,
- DA TKERA t dalla ftlgidexxa della terra,
o a Tolte (poicbò qaeeto pianeta non si
trora sempre soll'oristonte) da Satomo,
obe si credeTa apportatore di freddo;
cfr. Tlrg., Qtorg, I, 885 e seg.
4. oioiuifTì: indoTlni cbe ftkcoTano
professione di predire il (btaro, mediante
certi ponti segnati a caso solla terra o
sona carta, dai quali ponti tratte più
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534 [GmOHS QUABTO] PUBG. XIX. 5-15
[80GH0 SIMBOLICO]
10
18
Veggiono in oriente, innanzi all'alba,
Sorger per via che poco le sta bruna;
Mi venne in sogno nna femmina balba,
Negli occhi goercia, e sovra i pie distorta,
Con le man monche, e di colore scialba.
Io la mirava,' e come il sol conforta
Le fredde membra che la notte aggrava.
Cosi lo sguardo mio le facea scorta
La lingua, e poscia tutta la drizzava
In poco d' ora, e lo smarrito volto.
Come amor vuol, cosi le colorava.
linee formavaasi figure atmlli alle geo-
metriche; cfr. SneUL, 884. - magoiob:
fortuna wtaiòr chiainaTaoo I geommtt
quella diapcebdone di punti che sondglia-
ra più o meno alle ooateUasioni dell' Aqua-
rio e dei PeeoL «La geomanttea Maggior
Fortuna oonaiateva in nnapont^ggiatora
fktta a caeo ed alla cieca, e rinsoento non-
dimeno dmiglianto alla dlqiodsione delle
stelle della seconda metà dell'Aquario e
della prima metà dei Pesci. Nella busa e
strampalata testa dei geomantl, questa
nuova oostellasione da loro ideata parve
la più bella, la pih grasiosa e la più gen-
tile di tutte le altre ohe in cielo esisto-
no. » KoeUi, Orar., 17.
6. POCO: rimane poco tempo oscura,
perchè presto rischiarata dal sole na-
scente.
7. fkiocima: cfr. ▼. 60; simbolo del-
l' avarisia, della gola e della lussuria.
L' idea di questa femmina sembra tolta
da' Prop. VU, 10-12. Alcuni, ultima-
mente anche il Poi., si avvisano che
femmina sia detto a bello studio di pro-
prietà, in opposisione alla donna del
V. 20. E dire che della Santa Vergine
Dante dice che fh femmina veramente I
Oonv. II, 0. - BALBA : balbuxiente; « hoc
respicit avari Uam qoie non loquitur dare
et aperte, sed implicite et dolose : gulam,
quia ebrietas faoit linguam grossam, ita
ut non poasit articnlate loqui : Inxuriam,
qae fadt hominem adnlari. Ungere et
multa fingere falso ; neou occhi gubb-
oiA : hoc fscit avaritia, quia avarus non
videt recto, nimia cnpiditate cecns tam
habendl, quam retinendi ; hoc fiKdt gula,
qa» »ddit oculos lippientes et visum
dsetrtìt; luznria multo fortius, quia of-
nwoat oculos eorporales et inteUectoalea,
et quid deoeat non videt nUns (
B 80VBA I RÈ dibtobta: tsUs est av»-
ritia qu» nnmqnam reete ineedtt, nee
iudicat recta lance; gula peins, quia
ebrins prastat risnm videntibns ipsnm
ambulare tortuose; luxnria pessime v»-
dit per viam rectam ; cob lb mah mob-
CHB: istud patet in avaro, qui nihil dat,
nil recto fiMsit nisi oum moritur ; nude
panlo infra andies qnod avari stant ma-
nibus et pedibus ligàti ; gnlosns nihil vult
operari, luxurioens minus, imo Inxuria
fovetur inertla et acddia ; B di colobb
SCIALBA : hoc veriflcatnr in avaro, gnloso
et Inxurioso qui habent bona tantum si-
mulata. Omnes isti oommuniter habent
fsdem pallidam est sino colore. » Ben9.
10. B OOMB: oome i raggi del sole rin-
francano le membra intirissite dal flreddo
notturno, così il mio sguardo fiuseva spe-
dita a quella femmina la lingua, le dris-
tava tutta la persona e le colorava il volto
di un roseo pallido eh* ò 41 color proprio
dell'amore. Allegoricamente: i b«ii va-
gheggiati dall'avaro, dal goloeo e dal lus-
surioso sono cose vili e tu^ in so stesse ;
ma l'uomo colla sua immaginativa appas-
sionata conferisce loro attrattive e pregi
che in realtà non hanno, -cobfobta : «11
sole tutte le cose col suo calore vivifica »;
Oonv. Ili, 12. - « A snmmo cesio egressio
eius; et occnrsns eins usque ad som-
mumeins; nec est qui se abscondat a ca-
lore eius »; Peal. XVin, 7. - « Sdque sua
prò parte fovet tribnitqne oalorem »;
LuereL, Rer. noL l, 807.
12. bcobta: spedita.
14. IN POCO: basta poco tempo ad esser
preso d'amore per 1 beni fiUlad.
15. ooiiOBAyA : « Avvenne ^ che que-
sta donna ovunque ella mi vedea, si Hs-
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[eUtONE QtJABTO]
PuBG. XIX. 16-33 tso^^i'o simbolico] 5B5
Poi ch'elPavea il parlar cosi dìsciolto,
Cominciava a cantar si, che con pena
Da lei avrei mio intento rivolto.
< Io son, » cantava, < io son dolce sirena,
Che i marinari in mezzo mar dismago ;
Tanto Bon di piacere a sentir piena.
Io volsi Ulisse del suo cammin vago
Al canto mio ; e qnal meco si ansa.
Bado sen parte ; si tntto l' appago I »
Ancor non era sna bocca richiusa,
Quando nna donna apparve santa e presta
Lunghesso me per far colei confusa.
« 0 Virgilio, Virgilio, chi è questa? >
Fieramente dicea; ed ei venia
Con gli occhi fitti pure in quella onesta.
L'altra prendeva, e dinanzi l'apria
Fendendo i drappi, e mostravami il ventre ;
Quel mi svegliò col puzzo che n'uscia.
•Md'vnavlsiApletoMed'Qii color pai-
Udo, qnMi eorao d* amore > ; Ftt. JT., g 87.
!•. u. PABLAB: U Ungila. - C06Ì: per
Io aio tgoardo.
18. ornoTTO : attenzione ; ofr . Fwrg,
m, 13.
aO. n MBSZO MAR: ofr. Inf, XIV, M.
- DncAOO: diisenno, trarolgo loro la
mente.
11. TATTO: ooal grande è il piacere
olle tnftNMlo nell* animo di ohi ode il mio
eaato.
22. VOLB1 : Ai. TBA88I. 1711890 vinse il
pericolo delle Sirene (cfr. Hom., Odyi$.
XII); inveoe fti preso ne' lacci della maga
Clree (cfr. I^f. XXVI, 90 e aeg.), ohe non
era Teramente nna Sirena nel senso mi-
tologico di qneeta voce, ma che Dante
eUaoia eoel, o perchè la credette tale, o
soltanto per traalato, come Purg. XXXI,
45. Por. XII, 8. Snlle diverse Interpre-
tsaioni di qoesto passo ofr. Oom. Lip$,
n, 840.
33. AL CAUTO: Al. COL CAFFO. - BÌ
auba: si aTTOBsa; ofr. Ir^. XI, 11.
24. 8Bir PABTK: 8Ì allontana da me. -
L' APPAGO : parlare ambiguo ohe paò si-
gnifleare : Io oMitffilo, e : Io oooonoio. Mo-
zafanent* moi dire che chi si lascia al-
lettare dai fUsI piaceri, toma di rado alla
25. ANCOR: mentre cantava ancora.
26. DONNA : simbolo della ragione na-
turale che moetra all' nomo la fifUlacia
dei fiOsi beni e la mendacità delle loro
lusinghe. L'immaginativa addobba di
vessi attraenti la femmina balba ; la ra-
gione squarcia questi addobbi e ci fi ve-
dere quella sozsa femmina quale essa è
in realtà.
27. LUNOHN880 : accanto, presso a me.
« Vidi luntfo me uomini »; Vita If., § 85.
28. OBI A: chi ò questa sossa creatura
ohe il tuo discepolo vagheggia!
29. FiiBAMBNTi: sdegnata. - venìa:
teneva gli occhi fissi soltanto alla donna
santa. « Et sic vide quod oculus Dantis
in carne positns rospidebat tantum cnm
deleotatione illam primam lubricam, sed
oculus Virgilii sino carne respiciebat
istam seonndam cum veneratione; illa
enim videbatur pillerà et amabilis, ista
vero rigida, sed veneiabilis » ; Bmv.
81. PBRNDKVA: non Virgilio (Land,,
YtU., Cm., Br, B., FOal., ecc.), ma la
santa donna prendeva la femmina balba
(Ott.» Bsnv,, Buti, Dan., ecc.).
82. MOBTBAVAMI: Al. MOSTBANDOVf.
«Nudabo ignominiam tuam coram els, et
vldebnnt omnem turpitadinem tuam » ;
Bzeeh. XVI, 87 ; cfr. tó. XXIII, 10,
26. 29.
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536 [QIBOHE QUARTO] PUBO. XIX. 34-50
[AHOBLOl
84
87
40
46
49
Io mossi gli occhi, e il baon Virgilio < Almen tre
Voci t'ho messe. > dicea: < Sargi e vieni I
Troviam la porta, per la qoal ta entro. >
Sa mi levai, e tatti eran già pieni
Dell'alto di i giron del sacro monte,
Ed andavam col sol nuovo alle reni.
Seguendo lai, portava la mia fronte
Come colai che l'ha di pensier carca,
Che fa di so an mezzo arco di ponte ;
Qoand' io adi' « Venite ; qui si varca >
Parlare in modo soave e benigno,
Qaal non si sente in questa mortai marca.
Con l'ali aperte, che parean di cigno,
Volseci in su colui che si parlonne,
Tra' due pareti del doro macigno.
Mosse le penne poi e ventilonne,
€ Qui lugent » affermando esser beati,
V. U^hJ/ant^odéUa woUeeitudine.
Dante, ohiamato tre volte da Virgilio, ai
avegUa verto le 6 V* di mattina. TJn ange-
lo con ale limili a quelle di un cigno invita
i dne Poeti a aalire, cancella nn altro P
dalla fronte di Dante e canta la tersa bea-
titadine evangelioa. Qneet' angelo < si ma-
niiiseta V angelo del bnon celo, dell' amo-
rosa soUecitadine, dell'ardente carità
verso Dio, non dando a veder di so ohe
le grandi e bianchissime ale aperte e
dritte in alto verso la scala, ove con
voce benigna ha invitato il Poeta: an-
gelo che direbbesi tntto ale per sab're e
far salire » ; Perez,
84. ALHBN TBB: cfr. Ir\f. VII, 28. Molti
leggono nel modo segaente;
Io Tolal gli occhi al bnon mawtro 4 montro
Voci come dlcewe : Snrgl e vionl
Cfr. Moore, Otii., 883 e seg.
86. T' HO MI88B: ti ho chiamato almeno
tre volte.
36. LAPORTA : Al. L'APERTA ; L'aPBRTO.
Troviamo il valico ; cfr. Purg. IV, 19.
87. Pimn: e tntti 1 cerchi del Pargatorio
erano già illaminati dal raggi del sole.
80. NUOVO: testé levato. - allv Bsm:
dietro alle spalle. Procedendo sempre a
destra, i dae Poeti guardavano verso oo-
oidente e volgevano le spalle all' oriente.
41. CASCA: piena di gravi pensieri;
cfr. V. 52 e seg. « K sospirando pensoso
venia. Per non veder la gente» a oapo
chino »; TU, N, $ IX, Son. V, 7 e aeg.
42. FA DI 8È: va cnrvato. « Quatto no-
stro poeta.... poi ohe alla matnia età fri
pervenuto, andò alquanto cnrwtto, e erm
U ano andsfe grave e mansoeto»; Boec.,
VUadiD,,^ 8.
48. udì' : adii l'angelo direi : « Venite ;
qoi si passa per salire all'altro eerohio.
44. SOAVE: « di soono, benigno d'ac-
cento e di senso »; Tom,
46. ifABOAi in questa regione abitata
da' mortali, in questo mondo.
46. DI aaHO : bianche, candide. « Qua-
lis, ubi aut leporem, aut candenti corpore
cyonum etc. •; Virg.» Aen. IX, 668.
47. V0L8BCI : ci avviò su aprendo le ali
e drisaandole dov' era la scala.
48. tba' DUE: tra 1 due muri che
fiancheggiavano la scala scavata nel-
l'erta marmorea sponda. - maoiqno:
roccia.
49. VEirnLONNE: con questo ventilare
r angelo cancella dalla fronte del Poeta
il quarto P, ossia il segno del peccato del-
l' accidia ; cfr. Purg, IX, 112 e seg. ; XH,
98, eco.
60. QUI LUGEirr : « beati coloro ohe
piangono, perchè essi saranno oonaola-
tl »; MaU, V, 6. Beatitudine oonvenlento
agli accidiosi, 1 quali vanno piangendo
pur mentre corrono e meditano; cfr.
Purg, XVIU, 99.
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[OIBOVS QUABTO]
PUBO. XIX. 51-67 [INTKBP. DEL BOGNO] 537
52
S5
58
61
U
67
Oh' avran dì consolar l' anime donne.
€ Che hai, che pure in vèr la terra guati? »
La goida mia incominciò a dirmi,
Poco ambedue dall' angel sormontati.
Ed io : € Con tanta suspizion fa irmi
Novella vision eh' a sé mi piega
Si, ch'io non posso dal pensar partirmi. »
« Vedesti » disse, < quell' antica strega,
Che sola sovra noi omai si piagne;
Vedesti come l'uom da lei si slega.
Bastiti; e batti a terra le calcagno I
Gli occhi rivolgi al logoro, che gira
Lo Bege etemo con le rote magne. >
Quale il falcon che prima ai pie si mira,
Lìdi si volge al grido, e si protende
Per lo disio del pasto che là il tira;
Tal mi fec'io; e tal, quanto si fende
61. DOXHB: lignore, padronei ohe ftynm-
no ]« anime potBeditrid di oonaolMlQnef
eioè Hranno beati ; ofr. Om». Ups. II,
344eaeg.
V. 52-68. 1»U«rpreiasfUme dèi sofftto
wim^boiieù. Mentre talgono, Virgilio chie-
de a Dante il motivo del rao^ndare as-
sorto in pensieri. E Dante: « Vado co^
dnbbiooo per nna visione testé avnta,
ohe oooapa tutta la mia atteniione, di
modo ohe non posso non pensarvi. » Al-
lor» Virgilio, ohe gili conosce il sogno
dèlsno disoepolo, gliene dichiara il sensa
62. CHI HAI : cfr. Purg, XV, 120, 188 e
seg.-nivAB: cfr. v. 40 e seg.
64.80Bico>TA'n: essendo ambedae mon-
tati poco più sa del luogo dove stava Fan-
gelo. Annnonlate' è usato qoi alla latina a
modo di participio assoluto.
65. SU8PIZIOH : AL BOSPBRSIOZr ; sospet-
to, dabUo.
56. vsHOir: il sogno già raccontato,
V. 7-82} lo chiama vitione « perchè l'uno
vocabolo alcuna volta si pone per V al-
tro»; BuH.
58. AimOA: la cupidigia de' fiilsi beni
sedasse già i primi uomini nel Paradiso
terrestre : è dunque antica quanto il mon-
do.-btbkoa : maliarda, incantatrice, cioè
ìB/èmmina haiba, simbolo dei tre peccati
die si esigano nei tre rimanenti gironi del
Purgatorio. « Streghe dicono i semplici
che sono vecchie, le quali si tramutano In
varie forme d'animali, et dapoi succiano
il sangue a' bambini. Laonde chiama que-
sta ftdsa felicità Hrega, perchè ci sucda
gli spiriti ed i sensi. » Land», Veli., ecc.
60. SOVRA NOI : ne' gironi dell'avarizia,
della gola e della lussuria.
00. SI SLBQA: se ne libera, considerau-
dola qual'è in realtà, orrida, fetida, schi-
fosa.
61. BASTITI : ciò che hai veduto ed ora
da me udito. - datti ; afflitta il passo.
62. LOGORO: cfr. In/, XVII, 128; qui
per fiehiamo, invito,
63. BOTI : le sfere celesti ; cfr. Purg,
Vili, 18; XI, 86; XIV, 148-150.
64. guALR: come il felcone sulla per-
tica o sulla mano del felconiere si guarda
ai piedi, quasi per desiderio di liberarsi,
indi, udito il grido del felconiere, si pro-
tende per volar dietro alla preda ; cosi io,
ohe prima andava curvo, mi rialsai, udite
le parole di Virgilio, ed affrettai il passo.
La caccia col felcone era molto in voga
nel medio evo, onde Dante ne toglie pa-
recchie similitudini; cfr. Inf. XVII, 127
e seg.; XXII, 180 e seg. Par, XIX, 84
e seg.
66. DSL PASTO : il falcone riceveva sem-
pre la sua parte della preda, la quale si
chiamava la parte del falcone. - là : in
alto, dove è la preda.
67. R TAL: e coéi spedito camminai per
tutto quel tratto di apertila ohe felaroc-
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tOIBOHK QUIHTO] PXJBO. IIX. 68-84 [ÀTABI I PBC
La roccia per dar vìa a chi va saso,
N' andai infin ove il cerchiar si prende.
Com'io nel quinto giro fui dischiuso, .
Vidi gente per esso che piangea,
Oiacendo a terra tutta vòlta in giuso.
« AdhcBSit pavimento anima m£af>
Senti' dir lor con si alti sospiri,
Ohe la parola appena s'intendea.
« 0 eletti di Dio, li cui soffriri
£ giustùrìa e speranza fan men duri,
Drizzate noi verso gli alti saliri. »
« Se voi venite dal giacer securi,
E volete trovar la via più tosto,
Le vostre destre sian sempre di fori. »
Cosi pregò il poeta, e si risposto
Poco dinanzi a noi ne fu ; per eh' io
Nel parlare avvisai l'altro nascosto,
formando anft scala a chi ra ni; ofr.
g. XII, 7 e aeg.
I. INFIN : sino lU quinto girone, doye
si sale più per linea retta, ma si co-
da a camminare in cercliio.
. 70-87. Iie anifne €M quinto gi"
e» Ecco lassù gli avari ed i prodighi.
)hò, fissi alle cose terrene, non leTa»
» in alto gli occhi, giacciono bocconi;
anno mani e piedi legati^pernon averli
si ad opere meritorie. Lamentano la
prava passione colle parole del Sai-
MSalm.CKyiUt25): «L'anima mia
laccata alla polvere. » Ora l' nna, ora
bra anima infhunmette ai gemiti, di
no, esempi d* amore e di carità ; di
», esempi d'avarisia. Virgilio do-
idia dove sia la via per salire, ed nna
[oelle anime gli risponde che tenga
pre a destra. Dante pon mentea qael-
ima che parla, econanosgaardo chie-
& Virgilio il permesso di fermarsi a
orrore nn po' con lei.
). DISCHIUSO : uscito air aperto, fuori
'angusta scala; cfr. Purg, IV, 86.
i. Df oiuso : boccone ; ofir. t. 118 eseg.
). ADH.«8iT : a queste parole seguono
Salmo citato le altre : «Vivificamo se-
dnm verbum tunm ». Così la preghie-
pone in bel raffh>ntole ricohesse della
-a e quelle del delo ; la morte e la vita
'aaiima, la ruggine del basso metallo
k luce del Verbo divino. IT aderire dei-
Vanima esprime aoconclament
del peccato, che ò nell'aflbtto (
nella ricohessa; e faiaieme ao
quasi materiale tenacità di quel
Pavimento pare ivi parola ancoi
che terra, se si riguardi alla am
dal verbo .panre o eaìpeetaré; <
mente cosa degna d'essere e
s'offire adesso a que' contriti il t
posero il cuore. » Perei,
74. SBNTl' : Al. BKNTlà. - ALTI :
sospiri, per l'intenso dolore; e
XVI, 64.
76. KLKTTi: alla beatitudine i
-LI CUI: i cui patimenti sono
dalla eosdensa^che avete della
stizia e dalla speransa della 1
Soffriri e ioliri sostant. plnr.
antico.
77. GIUSTIZIA: divina, amata
dalle anime del Purgatorio (cf
XXni, 72), a differensa del
dannate, che ne sentono gli e
r odiano.
78. DRIZZATE: insegnated <
scala per salire al sesto eeroh
79. SICURI: liberi dal peccai
si purga e perciò esenti dalla pc
cere bocconi per terra. Quegli
(Adriano V) crede di parlare ■<
81. DI FUSI : di ftiori, air est
date sempre a destr».
8i. l' altbo : la persona del
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[OIEOKI QT7IHT0]
PuBe. XIX. 85-99 [papa adbiako y] 589
m £ volsi gli occhi allora al signor mio :
Ond'egli m'assenti con lieto cenno
Ciò che chiedea la vista del disio.
88 Poi ch'io potei di me fare a mio senno^
Trassimi sopra quella creatura,
Le cui parole pria notar mi fenno,
91 Dicendo : « Spirto, in cni pianger matura
Quel senza il quale a Dio tornar non puossi,
Sosta un poco per me tua maggior cura.
M Chi fosti e perchè vòlti avete i dossi
Al su, mi di', e se vuoi ch'io t'impetri
Cosa di là, ond' io vivendo mossi. »
97 Ed egli a me : « Perchè i nostri diretri
Rivolga il cielo a sé, saprai ; ma, prima,
Scias qitod ego fui sticcessor Petri.
lentendo pArIsre, poti mente al perlante,
che, giaecndo eoeo ^oooone, io ii<Hi poteve
▼edere, ma ohe eeopeni tenendo dietro al
floeno della Toee; ofr. ▼. 90. Le altre in-
terpretasioni sono inattendibili i oonfr.
On». Jjip$. II, 848.
86. TOLSI : ohiedendo con quello agnar-
do a Virgilio, ohe m'intendeva anche
■ens» fu parole, lieensa di fermarmi nn
momento a parlare con quello spirito.
88. CCHMO : degli occhi; anche Virgilio
mm te parola.
87. UL VISTA: il desiderio espresso sol
dallo ognardo.
V. 88-lU. Bapa utOHano F. Prega-
tone d* Dante, quello spirito che ha par-
lato, gli ai manifesta, confessando la sua
avarizia, tt questi Ottobuono Fiescbi dei
conti di Lavagna, genovese, nepote di
papa Innocenso IV. Fu nel 1264 legato di
(demente IV in Inghilterra. Sletto papa
il 12 loglio 1276, si chiamò Adriano V,
ma non tenne la sede che 88 giorni, es^
sondo morto a Viterbo 11 18 agosto 1276 ;
efr. Potthatt, lUg. Poni^. Roman., Beri. ,
1874, p. 1708 e seg, Cfregoroviu», Som,,
V, -p, 464 e seg. « Coetui tutto il tempo
di san vita non avea atteso ad altro che
a nranare pecunia e avere, per gi ugnerò
a qoel punto d'essere papa, posto che
poeo il godesse. B veggendosi papa e
nella maggior signoria ohe si possa ave-
re, si riconobbe e parvegli essere entrato
■el maggior laooeto del mondo, e cosi
de' Bssere avere a governare e avere
euni daU' anime di tutta la cristianità;
e ricognosdutosi sé medesimo ispregiò
r avarisU e tutti gli altri visL » Folto
Boee. -« Hic Adrlaaus papa V, dum ftiit
cardinalis et in minoribus oonstitntus,
Itait avarissimus, avaritia plenus, et sem-
per congrega vit, divitias composuit, neo
poterat satiari. Tandem Cactus papa, vl-
dens quod plus non poterat ascendere,
nec adhuc erat saturatus divitiis, peni-
tuit eum tanti sceleris, et totaliter con-
versus ad Deum, disposult oontempnere
divitias. » 8»rrav,
89. TRASsna : mi accostai a queirani-
ma, la quale aveva attirata a sé la mia
attensrione colle sue parole; cflr. v. 84.
02. QUEL : i frutti della penitensa. « Il
dolore matura il purificarsi dell'anima »;
Tom. - tobmar: cfr. Pwrg. XVI, 85. -
KON Fuoeai: « Sino sanctimonla nomo
videbit Dominum »; Ebrei XII, 14.
03. SOSTA : Sospendi. - cuba : di puri-
ficarti, piangendo, delle tue colpe.
84. CHI : Dante fti a quel!' anima due
domande : chi ella fosse nel mondo, e
per quel ragione gli spiriti di questo gi-
rone giacciano cosi col volto a terra. Alla
prima Adriano risponde nei w. 97-114;
alla seconda v. 115-126.
95. E SE VUOI: dimmi inoltre se desi-
deri ohe io ti ottenga cosa alcuna nel
mondo dei viventi, dal quale io venni qui
non essendo ancora morto.
97. PEACHÈ : ti dirò poi perchò il cielo
ci Caccia stare bocconi a terra.
99. BCIAS: sappi ch'io fai successore
di Pietro, doò papa^cfr. Jnr.TXIX, 69.
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IO [GIRONE QUINTO] PURG. XIX. 100-112
[PAPÀ ÀDBI
Intra Siestri e Chiaveri si adìma
Una fiumana bella, e del suo nome
Lo titol del mìo sangue fa sua cima.
Un mese e poco più prova' io come
Pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,
Che piuma sembran tutte l'altre some.
La mia conversione, oimè!, fu tarda;
Ma come fatto fui roman pastore,
Cosi scopersi la vita bugiarda.
Vidi che li non si quotava il core,
Né pia salir poteasi in quella vita ;
Per che di questa in me s'accese amore.
Fino a quel punto misera e partita
Iriano V pari* nella lingaa della Ghie-
, come fanno i papi nei loro atti offloiali.
LOO. S1B8TBI: Sestri di Levante, pio-
[a città marittima della Liguria al le-
nte di Qenora. - Chiateri: o Chiavari,
scola città della riviera di Levante del
Tltorio di Genova, celebre iter la sna
ttedrale, ove al ammirano le pittare
I Carbone, e per la chiesa detta la
idonna dàU'orto, ricca di tesori d'arte.
r. BatB., 881 e seg.-si adula. : sbav-
ila, scorre al basso.
101. FIUMANA: flome a torrente, doò
Lavagna che dair Appennino scorre
mare, dalla qnale i Fiesohi presero il
me di Cimiti di Lavagna,
102. FA! AI. FS'.-SUA CIMA: il sao
^gior vanto, chiamandosi Conti di
vagna. QoA i più. Al.: Il titolo della
a famiglia prende da questo flome l'ori-
le saa. Ma l'origine ò la radice, non la
na.
103. POCO PIÙ : sei giorni o sette di più.
04. MANTO: papale; ofìr. I7\f. XIX,
, - DAL FANGO : cfr. Purg. XVI, 128.
ovai qnanto grave sia il papale am-
ento a chi si guarda dal lordarlo con
are indegne.
105. CHE piuma: che, a petto della di-
lla pontificale, qnalonqae più grave
Icio sembra una pinma leggiera.
06. TARDA : non essendosi convertito
) dopo essere stato eletto papa, già
3ohÌo ed infermiccio. Indugiò quindi
penltensa sino agli estremi, onde do-
)bbe essere ancora nell'Antipnrgato-
i cfr. PuTflr. IV, 127-186 ; XI, 127-132.
• aintò ottona orarioné ad nscirue? O
ta la sna conversione di tanto vi
scontare gli anni che avrebbe
passare nell' Antipurgatorio f
108. BUGIARDA: mondana, e
mette una felicità ohe non pi
Belle ricchesze Oonv, IV, 12: «
tono le false traditrici, se ben
da, di tórre ogni sete e ogni mi
e apportar sviamento e basi
questo fiuino nel principio a <
nomo, questa promissione In cer
tità di loro accrescimento aflbm
poiché quivi sono adunate, in lo
aiamento e di refirigerio, danno <
sete di casso febrioante intollei
in loco di bastanea, recano nuov
ne, cioò maggior quantità a d(
e con questo paura e sollecitudii
de sopra l'acquisto. » Vedasi and
XXX, 182.
100. LÌ : in tanta altesxa, oom
da me conseguita.* Locutus sum
meo, dicens: Ecce magnus elTeoI
et pnecesai omnes sapientia, qui
ante me in Jerusalem; et me
contemplata est molta sapiente
dici. Dedlque cor meum ut seti
dentiam atqne doctrinam, error
stultitiam ; et agnovi quod in hit
esset labor et afflictio spiiitus
I, 16-17.
110. POTEASI: Al. P0TII8I; esa
lite alla suprema dignità, non pc
rar di salire più oltre nel moni
111. DI QUESTA: della vita et
112. PUNTO: che fatto ftii roi
store. - MISERA : infelice, perob
della vera pace. - pastita: div
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loiBOHB Qunrro]
FURG. XIX. 118-126 [PENA DEGLI ÀYÀRI] 541
115
118
121
12é
Da Dìo anima fai, del tutto avara :
Or, come vedi, qui ne son punita.
Quel ch'avarizia fa, qui si dichiara
In purgazion dell'anime converse,
£ nulla pena il monte ha più amara.
SI come l'occhio nostro non s'aderse
In alto, fisso alle cose terrene,
Cosi giustizia qui a terra il morse.
Come avarizia spense a ciascun bene
Lo nostro amore, onde operar perdési,
Oos) giustizia qui stretti ne tiene,
Ne' piedi e nelle man legati e presi ;
E quanto fia piacer del giusto Sire,
Tanto staremo immobili e distesi. »
V. 115-136. Magione dèUapena d^
gli mv€ÈrU Adriano risponde alU so-
cood* domanda di Dante, dichiarando la
ragione dell* pena inflitta alle anime par-
ganti del quinto oerohio. Qoi ai manife-
stano nelle pene i tristi efibtti deU'aya-
risia anll* animo dell' nomo. L'occhio
dell' aru-o &on mira che alla terra, di-
adegnando di loTarai al cielo, onde è qoi
costretto a gnardare al snolo ed impe-
dito di mirare in alto. Furono insensibili
ed immobili ad ogni bene, onde la di-
vina ginstixia li tiene qai strettamente
arrinti e legati nelle mani e nei piedi,
e ooék immobili staranno, finché a Dio
piacerà.
116. Of FVRajjaon : nel modo con che
le anime in questo cerchio si porgano. -
COHTKBSE: convertite dall' avarizia e ri-
tom*te a Dio per penitensa. Cosi i più.
AL: Capovolte, col dosso in sa. Ma « ol-
treché questa idea verrebbe ripetuta
toeto qui sotto, le due parole purgazione
e eonver$e starebbero l' nna nell'altra »;
Br. B.
117. B KULLA : e nessnn* altra di tutte
le pene del Purgatorio è pih dolorosa, es-
sendoei persino negato di vedere il cielo,
interpretano i più. Ha della vista del
cielo sono privati anche gli invidiosi ed
irosi. MegUo Ptrez: « Ogni vero peni-
tente ò inelinato a credere il proprio
fidlo piti grave di ogni flidlo altrui; e
però se gli Ibase imposta tal pena che gli
porgesse viva e continua ricordansa di
quello, egU dovrebbe giudicar siffotta
pena più amara di ogni altra. La pena
poi del quinto oerohio sembra più delle
altre accomodata a dar di conànuo al-
l'anima le atroci punture della memoria t
poichò, mentre negli altri cerchi il dolo-
roso andare o sedere rappresenta più o
meno gli atti della virtù contraria al vi-
sto antico, qui invece 11 doloroso aderire
alla terra col dorso rivolto al cielo rende
imagine dello stesso antico visto nella
sua parte ptù rea e sconoscente. »
118. MOM b'adbbsk: non si innalsò
a Dio.
120. iiBBSB: abbassò, confisse ; * nie
graves oonloslangnenttaque ora cornanti
Mergit homo *i Stai., Theb. V, 602.
121. BEMB: yerace, non infiammandolo
che per 1 beni fblsi.
122. rBRDÉBi: si perde; cessò in noi
ogni buona opera.
123. GIUSTIZIA : divina.- BTBETTI: stret-
tamente avvinti.
124. LBOATi : « tu qui putas manum ha-
bere te sanam, cave ne avaritia contra-
hatur »; 8. Ambros. in Lue, 1. IV ; cfir.
MaU. XXII, 13. I Tim. VI, 0.
125. B QUANTO : e staremo qui immo-
bili e distesi tanto tempo, quanto piacerà
a Dio, che solo conosce il termine della
nostra espiasione. - Sibb: cfir. If\f.
XXIX, 66. Purg. XV, 112, Par, XIII,
64; XXIX, 28.
V. 127-141. Umiltà papaie, A.\V udire
che quegli con cui parla, fu successore di
8. Pietro (V. 09), Dante si ò inginocchiato
per riverensa delle somme chiavi (cfir.
If\f, XIX, 101). Adriano se ne accorge e
gliene chiede il motivoi-ndito IL qusle,
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542 [omoNB QUINTO] PuBO. XIX. 127-142
[UXILTl PAPALE]
127
130
133
136
138
142
Io m'era inginocchiato, e volea dire;
Ma, com'io cominciai, ed ei s'accorse,
Solo ascoltando, del mio riverire,
€ Qual cagion » disse, « in giù cosi ti torse? >
Ed io a Ini : € Per vostra dignitate
Mia cosciensa dritto mi rimorse. »
€ Drizza le gamba, e levati so, frate ! »
Rispose: < Non errar: conservo sono
Teco e con gli altri ad nna potestate.
Se mai qael santo evangelico snono,
Che dice '' Neque nuberU „ intendesti.
Ben pnoi veder perch' io cosi ragiono.
Vattene omai; non vo' che più t'arresti.
Ohe la tna stanza mio pianger disagia,
Col qoal maturo ciò che tn dicesti.
Nepote ho io di là e' ha nome Àlagia,
eaorta Danto a liuanf, ohlamandoai suo
oonaerro, ed a^giangendo che nel mon-
do di là non Ti sono papi. Ciò detto. Io
lioenEia.
127. disk: parlare.
129. SOLO ASCOLTÀiiDO: solo per ndire
la mia vooe più vicina a sé sema po-
termi vedere, s' accorse ohe io mi era
inginoocliiato.
130. TI T0B8B: ti piegò; per qoal mo-
tiro ti sei inginocchiato f
132. DRITTO : la mia oosciensa mi ri-
morse dello star dritto dinand a voi, a
motivo della vostra dignità. I più leggono
DBITTA e spiegano: la mia retta cosoien-
sa. Bello qael vantare la rettitadine della
propria oosdensa dopo aver percorso il
cerchio dove si punisce la superbia ! Cfr.
Oom, Lip: li, 854. Moore, OrU., 894
e seg.
188. FRATK: fratello. Nel mondo di là
anche nn papa non chiama più figli i fe-
deli, che tatti sono Agli del Padre ce-
leste. Le parole ohe Danto pone in bocca
ad Adriano, sono nna parafrasi di quel-
le detto dall'angelo a San Giovanni,
Apoeal, XIX, 10 : « Yide ne feoerie : con-
servus tnus sum et fratram tnoram
habentinm testìmoninm Jesa : Deam
adora. »
184. BSBAB: rendendomi onori, che qai
non hanno più luogo.
186. suoHo : qoeUe santo parole del
Vangelo.
187. HBQUK VUBIKT: parole detto da
Cristo al Farisei : «In resnrreotioiie enim
neqae nubent neqae nubentor, sed enmt
sicot angeli Dei in oobIo»; MàtL XXII,
80 (cfr. Marc. XII, 25. Luca XX, 86).
Dunqne nel mondo di là il papa non è
più Io tpoto dtUa Chieda, eome si chia-
mava in questo mondo ; cfr. If\f. XIX,
56 e seg. Purg. XXIY, 22.
140. STANZA : il tuo star qui impediaoe
il mio piangere, ool quale compio quella
poriflcasione ohe è necessaria per tor-
nare a Dio; cfr. v. 91 e seg.
y. 142-145. Alagta d^Fimehi, In ri-
sposto a quanto Danto ha detto, v. 95 96,
Adriano osserva che nel mondo de' vi-
venti non gli ò rimasta se non nna ne-
poto virtuosa, Alagia. - Fu costo! figlia
di Niccolò di Tedisio di Ugone de' ine-
schi e sposa di Moroello Malaspina, mar-
chese di Oiovagallo, al quale partoil tre
figli: Manfredi, Luchino e Fieaoa. Cfr.
^uiel., 50. « Bbbe nome la gran donna
di gran valore et di gran bonto ; et r A ni-
tore, che stotto più tompoln Lnnigiana
oon questo Moroello de' Malaspini, co-
nobbe questo donna, et vidde ohe oon-
tlnaamente faceva gran limosine, et t^
oea dire messe et orasioni divotamento
per questo suo sic »; An, Fior, - « Mnl-
tum complaonit Danti »} Ben». - « Non
pare lodata se non perchè risalti mag-
giore il vituperio della soa Auniglia »;
Fate.
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r
[filBONB QinNTO] PUBG. XIX. 143-145 -XX. 1-8 [CAMMINO] 543
145
Buona da sé, pur che la nostra casa
Non faccia lei per esemplo malvagia;
E questa sola di là m' ò rìmasa. »
148. DA sk : per propriA indole. - casa :
144. PKB WUMPLO : ooU'eMmpio. - MAL-
VAQU: «idert labrioam, et impndioMn.
Sk Tide qnod iste Muserdoa loqniinr ho-
natto efe Mate: dloit enim qaod aeptis
«t bona, niM imitetor ezemplimi ali*-
nm de domo aoa. Per hoo enim dat
inietligi oaote, qood maUeree iUoram de
flino Aienuìt nobiles meretricee ; qna-
In, A fiuna non mentitnr, M uxor Petri
de BosalB de Parma, etrenniaeimi militis.
Qoid dioam de Isabella ozore domini La-
ohlni potentifloimi et inatisaimi tyranni
in Lombardia f » Bmv,
145. SOLA: « ohe preghi per me: im-
però ohe ninno altro mio parente prega
per me ; e se por prega, non ò esaodito;
imperò ohe Iddio non eeandiaoe i pre-
ghi de U iniosti, et elll sono tatU rief,
hi fhor che qnesta »', Buti, Cfr. Pturg.
IV, 185. - DI LÀ : nel mondo.
CANTO VENTESIMO
GiBONE quinto: avabizia e pbodigalità
ESEMPI DI POVERTÀ E DI LIBERALITÀ, UGO CAPBTO
I CAPETiNGI, ESEÌiPI DI TURPE AVARIZIA
IL MONTf: SI SCUOTE PER LA LIBERAZIONE DI UN' ANIMA
Centra miglior voler voler mal pugna;
Onde centra il piacer mio, per piacerli,
Trassi dell'acqua non sazia la spagna.
V. 1-15. Catmmino per U quinto
cerchio. Congedato da papa Adriano,
Dute continoa oon Virilo il eammino
por qael girone. VmptMo delle anime
purganti lo mnove ad imprecare U ma-
lanno all' tmUoa lupa ed a sospirare la
venata di eolai ohe « la oaocerà per ogni
viQa, Fin ohe Tavrà rimessa nell'Infer-
no »; /V. 1, 109 e seg.
1. moLiOR VOLSE : di Adriano, ohe non
▼oleva interrompere nlterionnen te la saa
psnitenza. - volbb: di Dante, che brar
inava di discorrere pih a lango oon Adila-
00. Un volere mal oombfttte oontro on
▼olere migliore; onde io, benché mal vo-
lentieri, mi tacqui per flur piacere ad
Adriano ohe m'avea detto di andarmene,
Pwrg. XIX, 139 e seg.
2. PUCEBU: ad Adriano; cfr. Purg.
XIX, 189.
8. TRAMI : taoqai, quantunque non an-
cora pienamente soddis&tto. « Fa qai si-
miUtadine, cioè che la volontà sua era
come una spugna e che li desideri, ch'ellì
avei^ di sapere altre cose da quello spi-
rito, rimasene non sazi, come rimane la
spagna qnsndo si cava dall'acqua, inanti
ohe sia tutta piena »; BuH,
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544 [GIRONI QUINTO] PUBO. XX. 4-21
[E8. DI POYEBTi]
10
13
16
19
Mossimi; e il duca mio si mosse per li
Luoghi spediti por lungo la roccia,
Come si va per muro stretto ai merli;
Che la gente, che fonde a goccia a goccia
Per gli occhi il mal che tatto il mondo occupa,
Dair altra parte in faor troppo s'approccia.
Maledetta sie tu, antica lapa,
Che piò di tutte l'altre bestie hai preda,
Per la tua fame senza fine cupa !
0 ciel, nel cui girar par che si creda
Le condizion di quaggiù trasmutarsi,
Quando verrà per cui questa disceda?
Noi andavam compassi lenti e scarsi.
Ed io attento all'ombre, ch'io sentia
Pietosamente piangere e lagnarsi ;
E per ventura udi' € Dolce Maria! »
Dinanzi a noi chiamar cosi nel pianto.
Come fa donna che in partorir sia;
5. SFKDiTi: non impediti dalle anime
pnrganti distese a terra, -pub : solamen-
te, non rimanendovi di vuoto clie mia
stretta viasza rasente il monte. - boocia:
parete del monte.
6. sTBBTTO : rasente ; come si va per la
merlatura di nn muro. - mkbli t « dal lat.
mmrulu9,à\minnt, di m<vrta(mttna) ma-
ricciaolo. E muriociooli erano inCstti i
merli, di mez?^ al qoali i difensori sca-
gliavano dardi contro gli assalitori »; L.
Veni,, 8imU., 622.
7. FOKDEi sparge; piange Tavarisia.
Le anime giacenti sì snolo si avvicina-
vano troppo all'orlo esteriore, onde i
Poeti non vi potevano camminare.
8. MAL : avarizia olie ha accesi tatti i
cuori; cfir. Ir^f. VI, 74 e seg.
10. ASTICA: Cfr. It\f, I, 111. - LUPA:
oflr. Inf. I, 49 e seg.; 07 e seg.
13. PAB : si credeva ohe la ragione dei
matamenti delle cose terrestri fossero i
rivolgimenti del cieli, opinione non ac-
cettata da Dante che in parte ; cfr. Purg.
XVI, 67 e seg. « Della generasione su-
stansiale tutti li filosofi concordano che
li deli sono cagione »; Oonv. II, 14.
. 16. QUAKDO VKBBl : conArouta laf. I,
101-111.
V. 10^3. J?semp{ <U potwrlA 6 <i< li-
v^-ralitA, Camminando, Dante ode ^oelle
anime, o piattosto ona di esse, ricordare
esempi delle virtii opposte all' avarfaia :
Maria tanto povera ; Fabrizio che dispre-
gia le rioohezse ; San Niccolò di Mira ohe
dotò le tre donzelle. «Prostese e chiose in
sé, queste anime propongono a sé mede-
sime i tipi da meditare, e nella medita-
fiione cotanto s'infiammano, che già ts^
gono e odono i personaggi meditati, e con
essi parlando, benedicono dorante il gior-
no in dolci parole a' buoni e nella notte
maledicono a* rei. Cod coll'aarora si vien
rinfrescando il dolce sentimento della
virtù, e col sorger dell'ombre cresce l'or-
rore al Tizio. » Ptrez.
16. co' PASSI : Al. CON PASSI. - 8CAJK8I :
brevi ; cfr. Purg, X, 18. « Per lo luogo
stretto non si potea ampliare né spes-
seggiare lo passo »; BuH.
21. IN PABTOBIB: ne' dolori del parto,
dolori compensati dalla speranaa della
gioia ventura; « la donna, allorché par-
torisce ò in tristizia, perdio è giunto il
sao tempo ; quando pd ha dato alla looe
il bambino, non d ricorda più ddl'afikn-
no a motivo dell'allegrezza i perchè ò nato
al mondo nn nomo »; Oioo. XVI, 21. La
stessa similitudine della donna parto-
riente occorre ripetute volte neDa Sacra
Scrittura; cfr. Itaia XXVI, 17. ApoetO,
XXL, 3.
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[6IB0H1 QUINTO]
PuHG. XX. 22-86 [«8. DI poykrtX] 645
23
25
31
34
E seguitar: « Povera fosti tanto,
Quanto veder si pnò per qnell' ospizio,
Ove sponesti il tao portato santo. »
Segnentemente intesi : « 0 bnon Fabrizio,
Con povertà volesti anzi virtnte,
Che gran ricchezza posseder con vizio. »
Qneste parole m' eran si piaciute,
Ch' io mi trassi oltre, per aver contezza
Di qnello spirto onde parean venute.
Esso parlava ancor della larghezza
Che fece Niccolao alle pulcelle.
Per condurre ad onor lor giovinezza.
« 0 anima che tanto ben favelle.
Dimmi chi fosti, » dissi, € e perchè sola
Tu queste degne lode rinnovelle.
28. OSPIZIO : 1» ttolla di Betleemme,
efr. iMc U, 7.
94. SFOVBBTi : depoDOstì il tao santo
DMabino.
25. Fabrizio: Caio Fabrido Laaoi-
ido, generale romano, console V anno 282
a. C, rifiatò i doni dei Sanniti, ai qoali
are* flitto aooordare la pace. Dne anni
dopo, essendo stato inviato a Pirro per
trattare sallo scambio de' prigionieri, ri-
cosò i pxesenti di qaesto re, che non potè
non ammirame n disinteresse. Eletto
noormmente console nel 278, lasna ge-
nerosità indosso Pirro a dar Hberl tatti
i prfgioiileri ed abbandonare l'Italia.
Fatto censore nel 275, scacciò dal Senato
P. Conelio Bufino a motivo del sno
lusso e della saa prodigalità. Mori cosi
povero, che si dovette seppellirìo a
pobbUehe spese. Le sne figlie ricevet-
tero la loro dote dallo Stato. Dante lo
ricorda oon lode anche altrove. Onte.
IV. 5. Dt Jfon, n, 5, 11. Ctr. SncUA.,
735 e seg. Pol^, I, 7. Val. Max. I, 8, 6;
n, 7, 15; IV, 4. 10. FUn. XXXTV, «.
Phrt., PvrrìL, 20, 24, 26. Plut., SM., 1.
(TsR. m, 8 ; IV, 8.
26. TOLBBTi: preferisti povertà oon
virtù a gran ricchessa oon vizio.
28. PIACIUTI: perchè pregiavano la
povertà, mentre nel mondo d pregiano
le ricebecse.
83. KiooOLAO: vescovo di Mira nella
Uda. santo cornane alle due chiese,
greca e latina, che si dice vissuto sol fini-
re del terzo e sai principio del qaarto
35 — Dio. Oomm., 4* edix.
secolo. Dante allade qni alla segnente
leggenda : « Cam eias civis egens tree
Alias iam nnblles in matrimonio colloca-
re non posset earnmqae pndicitiam pro-
stitaere oogitaret, re cognita, Nicolaos
nocte per fenestram tantam peoani» in
eias domnm inieclt, qnantnm unins vir-
ginis doti satis esset ; qaod cam iteram et
tertio fedsset, tree ili» virgines honestis
viris in matrimoninm date sant »; Brev,
Rom. ad 6 Decemb. - « Beatos Nioolans
aaram fhrtim in domnm projicens vitare
volnit hnmannm (kvorem >; 2%om. Aq.,
Sum. théol. U, n, 107, 8. Cfr. Fàhric.,
Bibl., Or. ed. Bari. X, 288; XI, 292, TU-
Um, Memoiret, VT, 760, 766, 052.
V. 84-60. Ugo Capete. Accostatosi a
qaeiranima che propone esempi di po-
vertà e di larghessa, Dante le domanda
ohi essa si fosse. « Sono Ugo Capoto, la
radice degli scellerati Capetingi. » Dante
sembra aver conftiso qni Fgo il Grande,
dnca di Francia, Borgogna ed Aqnitania,
conte di Parigi e di Orleans, capostipite
dei Capetingi, morto nel 956 ed il eostni
figlio Ugo Capoto, incoronato re di Fran-
cia a Reims il 8 IngUo del 987, morto il
24 ottobre del 996, fitcendo dei dne per-
sooaggi an solo, come per ignoransa fe-
cero idtri prima e dopo di lai.
84. BEN : sostantivo, cfr. v. 121.
85. SOLA : veramente non era sola, cfr.
V. 118-128.
86. LODB: piar, di loda, Inf. II, 108.
Oli esempi riferiti sono detti Iodi, cioè
atti degni di lode.
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546 [oiBomB QuiHTO] Fimo. xx. 37-51
[UGO CAPETO]
37
43
M
Non fia senza mercè la tua parola,
S' io ritorno a compier lo cammin corto
Di quella vita che al termine vola. »
Ed egli: € Io '1 ti dirò, non per conforto
Ch' io attenda di là, ma perchè tanta
Ghuzia in te lace, prima che aie morto.
Io fai radice della mala pianta,
Che la terra cristiana tutta aduggìa.
Si che buon frutto rado se ne schianta.
Ma, se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia
Potesser, tosto ne saria vendetta;
Ed io la cheggio a Lui che tutto giuggia.
Chiamato fui di là Ugo Ciapetta:
Di me son nati i Filippi e i Luigi,
Per cui novellamente è Francia retta.
87. NON FIA: il tao parlar meco non
MrÀ aenzA mercede, se io ritomo nel
mondo a compiere il brere cammino
della Tita terrestre, potendo proonrarti
saffragi e preghiere da' viventi, o pre-
gare io stesso per te.
40. NOH FEB CONFORTO : non già per-
chè lo speri soifragi. Con ciò Dante vuole
probabilmente insinuare che la pnriflcar-
Kione di Ugo Capete ò pressochò com-
piuta (dopo oltre 800 anni!), onde non
gli occorrono 1 snihwgi de' viventi, non
avendone oramai più bisogno. Tutte le
altre interpretazioni non reggono; oflr.
Oom, Lipt. II, 862.
41. TAKTA : ma perchè vedo concessa a
te tauta grazia divina, quanta è quella
di andare ancor vivo per questi r^gni;
cfr. Purg. XIV, 79 e seg.
43. BADICK! capostipite. « Btexiit ex
eb radix peccatriz »; I Maehab. 1, 11. -
riANTA: i Capetingi.
44. ADUOOIA : fa uggia, adombra ; cfr.
In/. XV. 2. Qui flgnrat. per fa ombra
malefica a tutta la terra cristiana. Nel
1300 i Capetingi regnavano in Francia,
a Napoli e nella Spagna, etduggiando
quasi tutta la terra latina.
45. SCHIANTA: di maniera che nella
terra cristiana si coglie di rado qualche
buon frutto, essendo essa adombrata da
cotal mala pianta.
40. Doagio : nomiua le quattro princi-
pali città della Fiandra (Doo^ — Donai,
O^MfUo — Gand. iOte— LiUo, Bruggia —
Bruges) per la Fimdra tutta, aUndendo
alle guerre tra Filippo il Bello ed i Fiam-
minghi, e principalmente al modo infune
con che Filippo e Carlo di ValoiSy suo fra-
tello, tradirono nel 1290 il conte di Fian-
dra ed i suoi flgtt (cfr. O, ViU. Yin, 82)
ed alla battaglia di Coltrai (26 marco
1302), tanto micidiale e sventurata per
i francesi, cfr. O. ViU, VUI, 56 e aeg.
48. CBSGOio : chiedo. Sd io chiedo que-
sta vendetta a Dio ctie tutto giudica. -
GiuooiA : da giuggiare, proveos. ju^r,
tnxko. juger — giudicare; ofr. Natmuc.,
Vèrbi, 148, nt. 2.
49. DI Li : nel mondo. - Ciapctta t ooék
fri reso in ital. il ftmnc. Oktg^; oggi al
usa Capoto.
60. I Filippi: dal 1060 al 1816 regna-
rono in Frauda quattro Filippi e cinqae
Luigi, disoendenti di Ugo Capete, come
si vede dal seguente specchietto genea-
logico:
Ugo il Grande. daeadiPranela.see.ia. 956
Ugo Capete, eletto re nel M7 > 996
Roberto I (Il Devoto, o U Savio). ... » 1031
ArrlgoL > 1060
Filippo I » 1106
Luigi VI (11 Qnuo). » 1137
Luigi VII » 1180
Filippo U (Angusto) detto il Cooqnl-
•tatore. » ltS3
Luigi yiU(U Leone). » 12S6
Loigl IX (U Santo) » ISIO
Filippo m 0' Ardito) » 1165
FUippo ly (11 Bello) > 1314
Laigi X (U RlMOeo) > 1316
Filippo y (il Lungo) > IStt
61. NOVBLLAiiKHTi : dopo Spenta la di*
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[eiBOim QUINTO]
PuBe. XI. 52-61
[UOO CAPITO] 547
52 Figliaol fui d'un beccaio di Parigi:
Quando li regi antichi venner meno
Tntti faor ch'an, rendato in panni bigi,
56 Trova' mi stretto nelle mani il freno
Del governo del regno, e tanta possa
Di nuovo acquisto, e si d'amici pieno,
58 Ch'alia corona vedova promossa
La testa di mio figlio fu, dal quale
Cominciar di costor le sacrate ossa.
n Mentre che la gran dote provenzale
i dei Carolingi. Il BdUi « Nov4na-
mente, a' noatri giorni. > (?)
52. nOLIUOL FUI: Al. FIGUO VU* IO.
Ugo Capoto diaoendeTa dal potenti oonti
di Puigi e dachl di Trancia. Ma la leg-
genda lo disee discendente ora di Carlo
Magno, ora di Sant'Arnolfo doca di An-
■traaia e poi veacoTo di Mete nella Lo-
rena (m. 640) ed ora di nn beccaio (—mer-
cante di bnoi) parigino. Dante si attenne
a qneet* nltìma leggenda ohe ai snoi tempi
era in Togae che si crederà generalmente
eterica; cfir. Oom. IÀp%, II, 865 e seg.
53. RSOI AHTICHI : i Carolingi. - ykmnkb
KUio : farono spenti. Non si dimentichi
die Dante oonfonde qnl in nn solo per-
sonaggio Ugo il Grande ed Ugo Capete,
onde le sne parole mal si possono met<
ter d' aooordo colla storia.
54. UK: morto sensa prole Loigi V
detto il Keghittoeo (987), non rimaneva
che nn solo rampdlo della dinastia Caro-
lingia, Carlo dnca di Lorena, secondoge-
nito di Luigi IV; il qoale, rolendo con-
quistare il trono' de' suoi maggiori, fti
tradito e consegnato nelle mani di Ugo
Capoto (989) che lo getto nella prigione,
doTO mori nel 991. Ottone, figlio di Carlo,
morì nel 1(K)6 senza prole ; due altri figli
di Carlo si rifkigiarono in Alemagna dove
morirono nell' oscurità. Dante intende
qui di CTario di Lorena, ma sbaglia di-
eoidolo reftkdvio in pawni bigi, cioò fat*
tosi monaco. Probabilmente 11 Poeto oon-
ftase r ultimo dei Carolingi, Carlo di Lo-
rena, eoli' ultimo dei Merovingi, Childe-
rloo m, ohe inCstti si fece monaco e morì
nel ehioèteo. Per tutto dò cfr. Cam. Lips,
n, 867 e seg. D Betti poi si avvisa che
renduto in panni biffi voglia significare
Bidotto in povera oondizione, in misero
55. tbova'mi: eletto reggente, mi tro-
vai colle redini del governo in mano, ed
in tante potenza per nuovi acquisti e per
quantità di amid, che al teono vacante
per la morte di Luigi V ta promosso mio
flgUo. Ugo Ci^te fece coronare re suo
figlio Roberto nel 988, 1* anno dopo la
sua propria elesione.
59. DAL QUALE: da Boberto I, figlio
di Ugo Capoto, incomindò la serie dd
re Capetingi, le cni persone sono dette
eaercUeoita, perchò i re di Frauda si eon-
sacravano con sante nnsione ammini*
strato dall'arcivescovo nella cattedrale
di Beims. Cosi i più (Benv., Buii, An.
Fior,, Veni., Pogg., Biag., Cotta, Tom.,
Br. B., Frat., Andr., Cam., Btnnae.,
Oom.,Oampi,Pol.,Filal., WitU,Bl., eoe.).
Secondo altri taerate vale in questo luo-
go eteerande (cod OU., Lomb., ecc.). Ma
di taerate per eteerande non si hanno
esempi, nò Dante volle certo dire che le
ossa di tatti i successori di Ugo Capoto,
compreso San Luigi, fossero eteerande,
cioò maledetto. Cfr. Purg. IX, 130 Par,
XXni, 62.
V. 61-69. 1 CapeHngi eino al 1300,
(Continua Ugo Capoto parlando de' snoi
discendenti. Sino alla morto di Luigi IX
erano nomini di poco valore, ma almeno
non fiAoevano del male. Da Carlo d'An-
giò e Filippo l'Ardito incomindò la serie
dei tradimenti e delle rapine, poichò la
gran dote Provenzale tolse ai Capetingi
ogni rossore di mal lue e li rese audaci
e sfronteti.
61. MKMTRB: i mid discendenti non d
distinsero nò per baone nò per malvagie
azioni per tatto il tempo che scorse da
Boberto I a Luigi IX (m. 1270), prima
ohe Carlo d' Angiò ottenesse la gran dote
Provengale, doò le riochesse e gli Stati
di Baimondo Berlinghieri, conte di Pro-
venza, suo suocero.
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548 [aiBOHB QUINTO] PUEO. XX. 62-71
[OÀPBTIKOl]
«7
70
Al sangue mio non tolse la vergogna,
Pooo valea, ma pnr non facea male.
Li cominciò con forza e con menzogna
La sua rapina; e poscia, per ammenda,
Ponti e Normandia prese e Guascogna.
Carlo venne in Italia; e, per ammenda,
Vittima fé' di Curradino ; e poi
Ripinse al del Tommaso, per ammenda.
Tempo vegg' io, non molto dopo ancoi,
Ohe traggo un altro Carlo fìior di Francia,
62. HON TOLSI : noQ lo TOM «Tergogiuito
nel mal operare.
84. li : da questa dote. Oonf&rta e oon
memogna Filippo m» l'Ardito, s'impa-
dronì delle contee di Yalois, Poiton, Al-
▼ernia e (nel 1284) del regno di Navarra }
eon forza t eon manzognok, rompendo la
data fede. Filippo IV, il BeUo, tolse ad
Edoardo I, re d'Inghilterra, le sne posses-
sioni fjrancesi e s' impadronì delle Fian-
dre meridionali ; conforta e eon menzogna
Cario d' Angiòrap) il regno di Napoli, eoe.
05. FBB AMMKNDA: amarissima ironia:
per penitenaa delle malvagità commesse,
commise malvagità ognor più malvagie.
Il ripetere ohe fe tre volte psr ammenda
dà agl'ironia maggior forca e più fiera
eloqnensa.
66. Pomi: la contea del Ponthlen, ra-
pita eon forza e eon menzogna da Filippo
il BeUo al re d' Inghilterra. - KoBMAir-
DÌA: conquistata da Filippo Angusto re
di FnuMda nel 1204; restituita aU' In-
ghilterra e ripresa più volte, fti annessa
definitivamente alla Francia nel 1460. -
GuASCOOifA: rapita più con roencogna
ohe con fona da Filippo il Bello ad
Edoardo I, re d'Inghilterra.
67. Cablo : d' Angiò, l'assassino di Cor-
radlno, venuto in Italia nel 1265 a ru-
barsi il regno di Napoli, ciò che gli venne
fa^ grasie al tradimento del conte di
Caserta e dei Pugliesi. Cfr. Ir\f. XXYIII,
16. Purg. Vn, 118. Mwrat., Seript. VEtl,
815 e seg.
68. CuBRADnro : l'ultimo rampollo della
casa sveva, sconfitto a TagliacozBO, cft*.
Inf. XXVIII, 17eseg.. tradito dai Fran-
gipani ed assassinato da Carlo d' Angiò
il 23 agosto 1268 a Napoli, giovanetto di
1« anni; cfr. G.ViU. VH, 28-20.
"?;«T^*'"'^^ '' S- Tommaso d'Aquino,
n. 13»4. m. 1274. Fu creduto che Carlo
d' Angiò lo fhoesseav velenare ; cfr. G, TSB.
IX, 218. Oom.LÌpe. II, 872 e seg. Tolom-
meo, discepolo di S. Tommaso, racoonta
(Murai,, Seript, XI, 1168 e seg.): « Toe»-
tus ad Concilium per Dominum Orego-
rium, ac recedens de NeapoU, ubi rege-
bat, et veniens in Campaniam, ibidem
graviter infirmatur. Et quia prope loovm
iUum nnllus Conventus Ordinis Prasdi-
catorum habebatur, declinavit ad i
solennem Abbatiam, qu» dlcitur 1
nova, et que Ordinis erat Cisteroiensis,
in qua sui consanguinei Domini de Cao-
cano erant patroni; ibique sua aggravata
est DDgrìtudo. Unde cum multa devottone
et mentis pniitate et oorporis, qua sem«
per floruit, et in Ordine viguit, qnemque
ego probavi Inter homines, quosumquam
novi, qui suam sape confessionem andi vi ,
et cum ipso multo tempore oonversatos
sum fiimiliari ministerio, ao ipslus audi-
tor fai; ex hac luce traasiit ad Christnm. »
y. 70-96. r Oap^ngi dopo U ISOO.
In forma di vaticinio, TJgo Capoto con-
tinua a parlare de* suoi discendenti e
delle loro malvagiU : di Cario di Yaloia,
lo spergiuro infkme, che tradisce Fi-
renKC e poi va a guadagnarsi vergogna
in Sicilia, del Ciotto di demsalemme
(Par. XIX, 127), che vende per denari
la propria figlia; di Filippo U Bello, che
fa catturare BouìAmÌo YIII e dannare al
facce i Templari per rapirne le rie-
chesse. Invoca poi vendetta di tante
scelleragginl.
70. ANOOl: oggi, oggidì; ofr. Purg,
XIII , 62 ; XXXm, 96. Mi si aflkceia alla
mente un tempo, non molto lontano da
quest'oggi, nel quale un altro Carlo si
muove ftiori della Franda, per ùa m»-
glie conoscere la maligna e perversa na-
tura sua e dei suoL
71. Cablo: il miserabile e diflhmato
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[6IB0MS QUISTO]
PUBO. XX. 72-86
[CÀ?STIK0I] 549
73
70
7»
Per far conoscer meglio e sé e i snoi.
Senz'arme n'esce solo e con la lancia
Con la qnal giostrò Giada; e quella penta
Si, eh' a Fiorenza fa scoppiar la pancia.
Quindi non terra, ma peccato ed onta
Guadagnerà, per sé tanto più grave,
Quanto più lieve simil danno conta.
L'altro, che già usci preso di nave,
Veggio vender sua figlia e patteggiarne.
Come fanno i corsar dell'altre schiave.
0 avarizia, che puoi tu più fame.
Poi c'hai il sangue mio a te si tratto,
Che non si cura della propria carne?
Perchè men paia il mal futuro e il fatto,
Veggio in Àlagna entrar lo fiordaliso,
anuaierra, fratello di Filippo il Bello,
K. 1274, Tenuto sotto il titolo di peoi«ro
Bel 1301 a Firense, dorè si manifestò
solenne spergliiro e fti aotore della ro-
▼ina dei Bianchi e di Dante; ofr. e.YiU,
Vm, 43, 49. Andò quindi in Sicilia per
oooqnistarla, ma nel norembre del 1802
dorette ritornare in Franda onde « si
disee per motto : * Hesser Carlo renne in
Toscana per paciaro, e lasdò il paese in
guerra; e andò in Cicilia per far gnerra, e
reoovine vergognosa pace '>;&. FiU.VIII,
50. Morì a Nogoit nel 1825. Sno Aglio
Filippo VI fa incoronato re di Francia
nel 1328, e con lai incominciò il ramo
della dinastia del Capetingi, detto dei
Valols.
72. ABMB : sansa esercito, cioè «con più
eonti e baroni, e da cinquecento cavalieri
fraaoesohi in soa compagnia»; Q. TiU.
Vili, 40. - LARCIA : Tarmadel tradimento
e della menaogna, adoperata da Giada
Isoariot per tradire Cristo.
74. POHTX! appunta in modo tale, che
& scoppiare la pancia a Flrense, traen-
dono denari e sangae e cittadini. « Eo
tempore Florentia erat valde corpulenta,
piena dvibus, inflata superbia. Bt iste
Carolusscidit eam per ventrem, ita quod
iidcit inde exire intestina Titalia, sdlicet
praocipuoe cÌtos, de quorum numero IViit
iste pneclarus poeta. » Benv.
76. QUIHDI : da questa sua spedisione in
Italia non si guadagnerà signoria di terre
e di paesi, ma soltanto peccato ed infamia
di spergiuro e traditore, guadagno tanto
più dannoso per lui. in quanto egli, non
contandolo per nulla, non pensa a flsme
mai penitensa.
79. l'altro: Carlo II re di Puglia
{Far, VI, 106; XIX, 127), figlio di Carlo
d'AnJou, n. 1248, m. 1809; tratto prigio-
niero dalla sua nave, combattendo nel
golfo di Napoli contro Buggero di Lauria,
ammiraglio di Pietro re d'Aragona (giu-
gno 1284), rimase prigioniero in Sicilia
sino al 1288. Cfr. Q. Vtfi. VII, 98,180; Vili.
lOS.JPur^. VII, 127. Vigo, D.ela SUU,, 89.
80. TKirDUi: diede nel 1805 sua figlia
Beatrice ancor gioyanissimain moglie ad
Asso Vili marchese d' Bete {Purg. V.
77), già yecchio, per denari che n'ebbe.
- PATTiooLàBint: « cioè fìsme patto: io
ne rollio tante milliaia di fiorini, s' elli
la vuole »; BtUÙ
81.dbll'altb«: delle schiaTe, non figlie
proprie ma altrui ; mentre Carlo NovMo
Tende per denari la propria figlia.
82. onB PUOI: qaal peggior governo
puoi tu ormai fkre de' miei discendenti,
dopo averli persino trascinati a vendere
la propria prole! La risposta sta nei w.
86 e seg.
83. POI O'EUI : Al. POSCIA e' BAI LO MIO
BANOUB.
85. PAIA : apparisca ; affinchè men laide
appariscano tutte le male aeioni de' miei
discendenti, tanto le già fatte quanto
quelle da fare, essi ne faranno delle molto
più infami.
86. Alaona: oggi Anagni, dttà della
Campania, patria di Boi;ii(lscioyiII;oft.
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550 [omoNB QUINTO] PuBO. ZI. 87-96
[OIPXTIHOI]
91
94
E nel vicario ano Cristo esser catto.
Veggiolo nn' altra volta esser derìso;
Veggio rìnnovellar l'aceto e il fele,
E tra vivi ladroni essere anciso.
Veggio il nuovo Pilato si cmdele,
Che ciò noi sazia; ma, senza decreto,
Porta nel tempio le cnpide vele.
0 Signor mio, quando sarò io lieto
A veder la vendetta, che, nascosa.
Fa dolce Pira tua nel tuo segreto?
Fwt. XZX, 148. -FIOBDAUBO : d»I frano.
jUwr de Ili, il gi|;lio, le inaegne della Cam
di Francia; ett, Purg. VH, 106. Par, VI,
100, 111. Sulle oonteee tra Filippo U Bello
e BoniflMdo Vili alle qaaU il Poeta qai
allude ofr. Oom, Lipt, II, STSeseg. Sol
nottasimo fatto di Anagnl, dove BonJlk-
oio vm fti imprigionato a dì 7 settem-
' bre 1808 da Kogareto e Sotarra Colonna
per ordine di Filippo il Bello, ofr. (?. ViU.
vm, 68.
87. NRL viCABiO: nella persona di Bo-
nlfiioio VIII, tntt' altro ohe santo <cfr.
Inf. XIX, 58 e seg.; XXVII, 70-111),
ma pare papa; cfr. Lue, X, 16. • cat-
to: oattarato, fatto prigione.
88. TBQOIOLO : yedoCristonuoTamente
deriso nel sno Vioarlo. « E gionto a lai
(BonUbdo VUI) Sciarra e gli altri saoi
nimioi, oon Tillane parole lo schernirò e
arrestaron lai e la sna famiglia, ohe con
lai erano rimasi ; intra gli altri lo schernì
messer OogUelmo di Langfaereto, che per
Io re di Francia aveva menato il trattato,
donde era preso, emlnaccioUo, dicendo di
menarlo legato a Leone sopra Rodano, e
qoivi in generale concilio il farebbe di-
porre e condannare »; O. ViU. VITI, 63 «
90. VIVI : Al. HUOVI ; cfr. Moore, OriL,
895 e seg. - LADHONi : Guglielmo di No-
gareto e Sciarra Colonna, i dae capi del-
r attentato contro Bonifacio VIII ; vivi
perchè non morirono come i dae ladroni
tra' qnali Cristo fb crociAsso. - anciso :
ucciso. « Per la ingiuria ricevota gli sur^
se, giunto in Roma, diversa malattia,
che tutto si rodea come rabbioso, e in
questo stato passò di questa vita» (12 ot-
tobre 1808); Q.Vm. Vili, 68.
91. MUOVO Pilato: Filippo II Bello,
ohe. come PlUto, dette BonifhcioVUI
nelle mani dei Colonna, suoi nemid mor-
tali; cfr. Imo, XXIII, 25.
92. CIÒ: la persecosione e morte di
Bonifltoio Vni. - 8B1CZA dbcbbto : senta
aver prima chiarito gioridicamente se i
Templari fossero colpevoli o Innocenti.
98. POBTA t sfoga la soa InaasiabUe ava-
riala oontro r ordine dei Templari, sop-
presso per opera di Filippo il Bello nel
1812; cflr. ehm, lAp». II. 879 e seg. « B
per molti si disse che [I Templari] ftarono
morti e distrutti a torto e a peccato, e per
oooupare i loro beni.... B lo re di Francia
e' suoi figliuoli ebbono poi molte vergo-
gne e avversitadi, e per questo peooato,
e per quello della presura di papa Boni-
fiMlo »; a, ViU, Vili, 92.
94. USTO : « LfBtabltor iustus cnm vl-
derit vindictam •tSeUm, LVII, 11. - e San-
cti de pcBuis impiorum gaudebunt, con-
siderando in els divinie iostìtisB ordinem
et snam liberationem de qua gaudebont
....In viatore est laudabile si delectetur
de aliorum pcenls in quantum habent
aliquid boni annexum » ; Thtnn. Aq., 9um,
theol III, Suppl., 94, 8. Invece il Betti
vede in queste parole un' « orrenda be-
stemmia contro Dio. »
96. VENDETTA : punizione; la vendetta
di Dio è giustizia, sansione della legge. -
NASCOSA: preordinata nel segreto della
tua volontÀ. « Vlndlcta sicut leo ineidia-
bitur illi »; Eeeìe*. XXVU, 81.
96. FA DOLCE : la tua ira si addoloiaoe
per la vendetta ohe sai nel tuo segreto
doverne seguire. L'uomo desideroso di
vendetta, non essendo certo di vederla,
sfoga mei te volte intempestivamente l'ira
sua ; Dio invece, sapendo che il peccatore
non pnò sfuggire alla sua vendetta, è li-
I>ero dalle umane passioni ed aspetta
tranquillamente il suo tempo.
V. 97-123. JSàempi di avitrùtiapu^
nita^ In questo cerchio le anime gridano
di giorno esempi d' amore e di carità ; di
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[GIBOirB <)UIHTO]
Puro. xx. 97-1 1 S [is. di àyaxizià] 551
•7
IM
103
loe
100
111
Ciò ch'io dicea di quelF unica sposa
Dello Spirito Santo, e che ti fece
Verso me volger per alcuna chiosa,
Tanto è risposta a tutte nostre prece.
Quanto il di dora; ma, qnand'e' s'annotta.
Contrario saon prenderne in qnella vece.
Noi ripetiam Pigmallone allotta,
Coi traditore e ladro e patricida^
Fece la voglia sna dell'oro ghiotta;
£ la miseria dell'avaro Mida,
Che segai alla sua domanda ingorda.
Per la qnal sempre convien che si rida.
Del folle Acam ciascun poi si ricorda.
Come forò le spoglie, si che l'ira
Di Giosuè qui par eh' ancor lo morda.
Indi aceusiam col marito Safira:
Lodiamo i calci ch'ebhe Eliodoro;
lempi d'aTmrUdA. Arrlyattri la
BuitkiBa •dòrvBdoooiitiniuirellloToyiag'
glo, i due Poeti non possono fennarris!
tanto da udire anebe gli ultimi. Onde
Ugo Capoto racconta loro ohe nella notte
ai rieordaoo eaempi d'aTarixia punita:
Hìda, Aeam, Anania e Salirà, BUodoro,
PoUnneatore e Craeso, aggiungendo che
gH spiriti parlano a voce alta o bassa a
•eeonda dell'intensità del sentimento che
gli oocita a ricordare 1 dirersi esempi . Gli
esempi sono sette, tante essendo le figlie
dsQ'aTarisia (ofr. Thóm. Aq., Bum, theol.
II. n, 118, 8. Orni. JAp: II. 3861, doè:
tradimento (Pigmalione); frode (Acam);
■pergiaro (Anania e Safira); IkUiU (SHo-
doro); inqnletodine (Ifida); inumanità
(Polinnestore); rtolenui (Crasso).
07. dicka: t. 19 eseg.-8P06A: Maria.
Le lodi degli eaempi di porertà e df eeem-
piare largbessa non si gridano dalle ani-
me che durante il giorno.
99. PER ALCUNA! per areme qualche
splegaslone.
100. TASTO ft : quei tali esempi virtuosi
seguitano quasi naturale rispMta a tutte
le nostre preghiere finché dura il giorno ;
ma quando Tiene la notte gridiamo in-
Tece esempi di ararisia puxdta. - ribpo-
sta: Al. DISPOSTO.
102. OORTBASXO BUON: OOUfr. PWQ.
xm. 40.
108. PiOMAiJoNK! re di Tiro, il quale
uccise Sicheo suo sio e marito della pro-
pria sorella Didone per appropriarsene
1 tesori ; cft*. Ju$tin, XTIII, 4 6. Virg,,
A«n. I, 840 e seg. App., De Bel.pun. I.
- ALLOTTA : allora, vale a dire durante
la notte.
104. TRADITOEK: tradì la sorella, tentò
di rubare i tesori del marito di lei ed uc-
cise Io aio.
106. HiDA ! re di Frigia, la cui pre-
ghiera di trasformare in oro tatto ciò
ohe toccasse, fu esaudita, onde non aveva
più di che cibarsi ; cfir. Ovid., Mttam. XI,
85-145. Eygin., Fab., 191. Serv., Ad Aen.
X, 142.
109. ACAM: Giudeo, rubò alcuni oggetti
prezioai delle spoglio di Gerico, onde, sco-
perto il furto, fti lapidato con tutta la sua
famiglia nella valle di Acor; cfir. Oiotvè
VI, 17-19; Vn, 1-26. -CIASCUN POI : Al.
ANOOBA Bf RICORDA.
112. MARITO : Anania e Safira, sua mo-
glie, che. per avarixia, vollero ingannare
gli apostoli, e caddero morti alle parole di
8. Pietro colle quali rimproverava loro
1* inganno t cfr. Atti V, MI.
118. Eliodoro : inviuto da Seleuco re
di Siria a Gerusalemme, volle derubarne
il tempio, ma ne fta impedito da un ca-
vallo mistico che ne lo discacciò a fù-
ria di calci; cfr. U MueeàbH III, 7-40.
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552 [GIBOHK QUINTO] PUBO. XX. 114-129
[TBBBXMOTO]
115
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124
127
£d in infamia tutto il monte gira
Polinestor ch'ancise Polidoro;
Ultimamente ci ai grida: " Crasso,
Dicci, che il sai: di che sapore è Toro? „
Talor parla Fon alto, e l'altro basso,
Secondo l'affezion eh' a dir ci sprona.
Ora a maggiore, ed ora a minor passo ;
Però al ben che il di ci si ragiona,
Dianzi non er'io sol; ma qui da presso
Non alzava la voce altra persona. »
Noi eravam partiti già da esso,
E brìgavam di soperchiar la strada
Tanto, quanto al poter n'era permesso;
Quand' io senti', come cosa che cada.
Tremar lo monte ; onde mi prese un gelo,
Qual prender suol colui eh' a morte vada.
114. oiiLA: ò ricordato con InfuniA
oTonqae attorno il monte, oioò in tatto
il girone.
115. FouNBSTOB : re di Tracia e ge-
nero di Priamo, accise proditoriamente
il giovinetto Polidoro, sao cognato, per
rubargliene le riochesKe; onde Ecaba,
moglie di Priamo e madre di Polidoro,
Tondicò la morte del figlio strappando
gli occhi a PoUnnestore e poi aocidendolo;
ofr. Virg,, Aen, III, 19-68. Ovid., MeUun,
XIU, 429-575. JV* XXX, 16 e seg.
116. CiUBSO : Marco Licinio Crasso (n.
114, m. 53 a. C), fomoeo per le sae ric-
chezze e per la sua avarizia, accise per
ordine di Sarena, generale di Orode, re
dei Parti. Diceei ohe il capo troncato di
Crasso fosse portato al re Orode, il quale
gli fece versare in bocca dell' oro lique-
fatto, dicendo: « Fosti assetato d'oro ; be-
vine dunque ». Cfr. PltU., Orati. 2, 10,
21, 25-81. CU., De of. I, 80; U, 18, 67.
Juttin. XLII, 4. OcBt., Bel. dv. III, 31.
VeU^, II, 82. Plin. VI, 16, 18.
118. PABLA: Al. PARLIAM. - ALTO: ad
alta voce. - basso: a voce bassa; ctr,
Purg. XXV, 128 e seg.
Ilo. ch'a Dia: AI. cu'ad ib ; cfr. Oom,
Lip». II, 885 e seg. Non si tratta qui per
altro di andare, chò quelle anime non si
muovono, att. Purg. XIX, 124, ma del
parlare, v. 118, onde il cadib o chadib
dei codd. dovrà leggersi ch*a dib, cioè :
ohe a parlare.
120. MAGGIOBB : ad alt* voce. - minor :
a voce bassa.
121. AL BRN : a dire quel bene, * pro-
porre 1 buoni esempi di oneste povertà
e belle larghezze, dei quali qui si Ik meii-
clone dorante il giorno, non era io poco
fa solo, ma qui vicino nessuno degli altri
lo faceva ad alta voce.
y. 124-151. li terremoto nel PMr^o-
torio. Mentre i due Poeti continuano U
loro viaggio, tutta quanta la montagna
trema fortemente, quindi risuona ovun-
que il canto dell' inno angelico. I Poeti ai
fermano un momento, poi vanno avanti ;
e Dante arde di curiosità di oonosoere
la ragione di quel terremoto e di quel
canto; cfr. Purg. XXI, 40 e seg.
124. NOI BEAVAH : uu vcrso tutto slmUe
In/. XXXn. 124.
125. BBIGAVAM : ci davamo briga, ci af-
fktioavamo per camminare con quanta
più velocità ci era possibile, per ginn-
gore tosto al varco.
126. AL roTEB : la via rasente la roo>
eia essendo assai stretta; ofir. v. 4 e seg.
127. BENTi' : quando sentii tremare e
scuotersi il monte, come se rovinasse.
128. TBKMAB : cft. Purg. XXI, 40-72. SI
paragoni questo terremoto con quello rac-
contato In/. III, 180 e seg. Vedi pure
Virg., Georg. IV, 493; Aen. VI, 255 e
seg. - MI PBBSB : per lo spavento ; oonfr.
Purg. IX, 42.
129. QUAL : simile a quel gelo dal quale
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[onONl QUIXTO]
PuBO. XX, 180-147
[TBBBBMOTO] 553
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IM
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Certo non si scotea si forte Delo,
Pria ohe Latona in lei facesse il nido
A partorir li due ocohi del cielo.
Poi cominciò da tutte parti un grido
Tal, che il maestro invér di me si feo,
Dicendo : « Non dubbiar, mentr' io ti guido. »
€ Gloria in exeelsis » tutti « Deo »
Dicean, per quel ch'io da' vicin compresi,
Onde intender lo grido si potéo.
Noi stavamo immobili e sospesi,
Come i pastor che prima udir quel canto,
Fin che il tremar cessò, ed ei compiési.
Poi ripigliammo nostro cammin santo.
Guardando l' ombre che giacean per terra,
Tornate già in su V usato pianto.
Nulla ignoranza mai con tanta guerra
Hi fé' disideroso di sapere,
Se la memoria mia in ciò non erra.
è odto ohi ò tTMciuAto al BoppUsio. « B-
lam iator etedm pAUentem morte tutu-
»»; T»ry., Atn. Vm, 709.
130. DiLO : una delle itole Cicladi, an-
tieuMate celebre pel suo colto ad Apollo
e Ditta. Secondo la mitologìa. Nettano la
boe neoire dalle acqae, affinchò Latona,
penegnitata da Oianone per geloela, tro-
Taate finalmente an asUo dove poter met-
tere al mondo i suoi due figli ; e risola, da
prima galleggiante, fti re«a stabile e per-
Ottnentein ricompensa del ricetto dato ai
due nomi ; ett, Virg., Oéorg, HI, 6; Aen,
m, 60 e seg. ODid., iMam. VI, 189 e seg.
132. OCCHI: Apolloe Diana; il sole eia
fama; efr. Par, X, 67 ; XXIX, 1.
188. FOi : «abito dopo il terremoto. -
DA TUTTI: per tutta la montagna del
Purgatorio.
IM. T.AL : co^ forte ed improTTiso, ohe
■i spaventò, onde Virgilio dovette rin-
eoranni.
136. qlobia: le anime cantano l'inno
cantato dagli angeli alla nasdto di Cri-
rto: « Gloria a Dio nel pih alto de' dell,
e pace in terra agli nomini di bnon vo-
^«tfìLuca II, 14.
137. DA' YiCDf : dalle anime vicine a me.
AL DA vicuf — dal vicin luogo.
138. on>s: dei qnaU si potè capire ohe
cosa gridassero.
139. STAVAMO : Al. CI RI8TAMM0. - SO-
SPESI : dubbiosi, incerti, non conoscendo
il motivo di quel terremoto e di quel can-
to. Al.: Sorpresi della soavità di quel
canto.
140. 1 PASTOB : di Betleemme, che udi-
rono la prima volta quel canto e ne rima-
sero spaventati ; « timuemnt timore ma-
gno »; Luca U, 9.
141. SD Bi: Al. SD KL; ed 11 canto, es-
sendo terminato l' inno, cessò.
142. OAMMDf SAHTO : « U uostra ria del
Porgatorio oh'ò santa, secondo la let-
tera ; e, secondo l' allegoria, la nostra via
de la penitensa eh' è santa » ; BuH.
144. tornate: ritornate al pianto (cAr.
Purg. XIX, 71 ; XX, 18), interrotto un
istante per cantare il Gloria in exceìsit.
- nr SU: all' usato pianto.
145. COM TANTA : SO In ciò la memoria
mia non erra, nessuna ignoranaa mi fece
mai desideroso di sapere con tanta guer-
ra (* ansietà), quanta mi pareva di avere
allora, pensando quale mai si fosse la ra-
gione del canto e del terremoto. Alcuni
leggono COTANTA e spiegano : Nessuna
ignoransa fece mai cotanta guerra a me,
desideroso di sapere, quanta, etc.
146. DIBIDEB060 : Al. DEBIDKBANDO.-DI
SAFKKB: il perchè di quel terremoto e di
quel grido universale delle anime.
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554 [GiE. QUINTO] Puro. XX. 148-151 - XXI. 1-7
[stazio]
148
151
Qaanta parermi allor, pensando, avere;
Né per la fretta domandam' er' oso,
Nò per me 11 potea cosa vedere :
Cosi m'andava tìmido e pensoso.
148. QUAHTAl Al. QUAinO.
149. FBITTA : dell' Midare, volote d»
Virgilio. « Biaponde ad ima tadta obie-
sione oh' altri potrebbe tax^; cioè, per*
ohe non ne dimandara Virgilio t A che
risponde che, per non impedire la aolle-
oitodine dell'andare, non ne dimanda-
▼a. »Buei. -EB'060! osaro; lat. autut
eram,
150. PKB MR: da me atesao, sensa eaeeire
istruito da òhi ne sapera più di me.
151. TDfiDO : timoroso di domandAre e
travagliato da pensieri intomo alle eose
vedute ed adite, ed alla ragione di esse.
CANTO VENTESIMOPRIMO
GIRONE quinto: AVARIZIA E PRODIGALITÀ
STAZIO, RAGIONE DEL TERREMOTO, STAZIO E VIRGILIO
La sete naturai che mai non sazia,
Se non con l'acqua onde la femminetta
Sammaritana domandò la grazia,
Mi travagliava, e pungeami la fretta
Per la impacciata vìa retro al mio duca,
E condoleami alla giusta vendetta.
Ed ecco, si come ne scrive Luca
V. l>21. j4pparÌMÌothe dell'ombra di
Stadio, Mentre i dae Poeti proseguono
il loro cammino, e Dante arde dal desi-
derio di conoscere la ragione del terre-
moto e del giabilo aniversale delle anime
purganti, appare nn' ombra ohe li salata
cortesemente ed alla quale Virgilio rende
il saluto confessando di essere escluso
dalla beatitudine etema; di che l' ombra
si maraviglia fortemente.
1. BBTB: il desiderio naturale di sape-
re; cfr. Conv. I, 1. Arittot., Mei. 1, 1. -
BOK SAZIA: « nell'acquisto della sciensa
cresce sempre lo desiderio di quella » ;
Oonv. IV, 12.
2. ACQUA : la yerità. - fkhminstta :
cfr. Qiov. IV, 7-26.
4. MI TRAVAGLIAVA : ooll' ardore di es-
sa sete; conft*. Thom. Aq., 8wn, tkeoL
I, II, 3, 8. - PUIfOKAMI : Al. PUirGK*MI ; mi
spronava. - la fbktta: oonAr. Purg.
XX, U9.
6. impacciata : ingombrata dalle molte
anime che giacevano per terra.
6. COMt>OLRAMI: Al. OONDOLK'MI.- VEN-
DETTA: punisione, pena; io compassio-
nava quelle anime per la pena, del resto
giusta, che esse scavano.
7. Luca: confronta Lue. XXIV, 13
e sog.
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[GiBOKi Qunrro]
PUBO. XXI. 8-24
[STÀZIO] 555
10
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19
die Cristo apparve ai due ch'erano in via,
Già sorto faor della sepnlcral bnca,
Ci apparve un'ombra, e retro a noi venia
Da piò guardando la torba che giace;
Né GÌ addemmo di lei; ri parlò pria,
Dicendo : « Frati miei, Dio vi dea pace! »
Non ci volgemmo subito, e Virgilio
Bendégli il cenno eh' a ciò si con&ce.
Poi cominciò : < Nel beato concilio
Ti ponga in pace la verace corte,
Che me rilega nell'eterno esilio! »
« Come ! » diss'egli, e parte andavam forte :
« Se voi siete ombre che Dio su non degni,
Chi v'ha per la sua scala tanto scorte? »
E il dottor mio: « Se tu riguardi i segni
Che questi porta e che l' angel profila,
Ben vedrai che coi buon convien ch'ei regni.
8. mnt: discepoli aTriatl reno U ca-
stano di BnuiMis.
9. SDvro: dopo la toa resarresione.
10. OMBKA : del poeta Stado, t. 91.
11. DA PI&: ai etiol piedi, al sòdio. - la
tubba: la moltitodine di anime di avari
t di prodighi distese per terra.
12. Kfi a ADDBMMO: e Don d aecor-
gemmo di lei, sicché essa ta prima a
parlare a noi, mentre inreoe, acoorgen-
doeene, saremmo stati noi primi a par-
lare a lei. Al.: Non ci accorgemmo di lei
sinché essa inoomindé a parlare.
18. dka: Dio Ti dia pace ; rammenta il
saluto di Cristo risuscitato : « Pax to-
Ui»; Oio9. XX, 19, 26, ed il precetto
di Cristo ai sqoÌ discepoli : « Intrantes in.
doBBum salatate eam dicentes : Pax hnic
deonii. Si si qnidem fberlt domas Illa
digna, veniet pax restra saper eam ; si
aotem non ftaerit dIgna, pax yestra re-
vertetur ad tos. » MaU. X. 1218.
15. BXSDfoU: Al. RSNDB LUI. - IL
oumo : il saloto : B collo tpirito tuo, che
risponde al : Pau con voi ; cosi Lan., An,
Fior., YeU,, Biag., Oet., Tom., eco. Al. :
Gli rendette an gesto di rirerensa colla
persona. Ha al Dio vi dea pace non ti
eot^facé nn inchino o segno di riverenca.
16. POI: resogli il salato, Virgilio ri-
comlndò a parlare. Voleva domandare
quale fosse 11 motlTO del terremoto e del
canto; ma, non appena ehbe ineomincia-
to, tu interrotto da Stailo, sorpreso delle
ultime parole di Virgilio. - bkato : nel
concilio dei beati, cioè nel Paradiso;
« In condilo instoram » ; PhU, I, 5. Cfr.
Par, XXVI, 120.
17. LA VBRACB: la oorto cdcste, di
Dio, giadioe infìklUbile.
18. RiLKQA : confina nel Limbo. - KM-
LIO: dal cielo, ch*é patria dell'anima;
cfr. Ir\f. XXUI, 126.
19. KGLi: Stasio. interrompendo Virgi-
lio. - rABTB : intaoto ; ett. If\f. XXIX,
16. - AMDAVAM : Al. ANDATA ; Cfr. MOO-
re, Orìt., 897 e seg.
20. KON DEGNI : non reputi degne di es-
sere ammesse lassù nella verace corte,
21. 8C0BTB : chi Ti ha guidate ti gran
tratto so per 11 monte del Purgatorio,
che è la scala della penitensa per salire
a Diot Cfr. Purg, I, 43; IX, 86.
y. 22 33. La mieeione di TirgiUo,
Alla domanda di Stazio, Virgilio rispon-
de essere il suo compagno ancor tìto e
del picdol numero degli eletti, e ohe Ta
a poriflcarsi sotto la scorta di esso Vir-
glio; e ciò per Tolere dÌTÌno.
22. I SEGNI: i P descritti dall'Angelo
nella htmU di Dante, cfr. Purg. IX, 112,
dei quali erano già cancellati qaattro e
non gliene rimaneTsno più che tre.
23. PROFILA: disegna sulla fronte di
chi é ammesso nel Tero Purgatorio.
34. BBONI: cogli detti nel Paradiso.
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556 [GIBOVI QUniTO] PUSG. XXI. 25-37 [mSSlOKB DI TIBGILIO3
25
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34
87
Ma perchè lei ohe di e notte fila,
Non gli avea tratta ancora la conocchia,
Che Cleto impone a ciascuno e compila,
L'anima sua, eh' è tua e mia sirocchia.
Venendo su, non potea venir sola;
Però ch'ai nostro modo non adocchia:
Ond'io fai tratto faor dell'ampia gola
D'Inferno, per mostrargli, e mostrerolli
Oltre, quanto il potrà menar mia scnola.
Ma dinne, se tn sai: perchò tai crolli
Die dianzi il monte, e perchò tatti ad nna
Parver gridare infino ai snoi piò molli? »
Si mi die, domandando, per la crona
« Postfdeto pftratom TobU regnnm »;
MàU. XXV, 84. - < Si rastfaiebimiis, et
conregnAbimiis »; II IHmct. Jl, 12.
25. LU : 1a PftroA Lached, che fila lo
stame della vita amana. Vuol dire: Per-
chè costui non area ancor finito il corso
della sna vita, non essendo ancor mor-
to. Sulle diverse lezioni di questo verso
cfr. WiiU, ProUg,, p. xu, Moore, Orit.»
809 e seg.
20. TRATTA : finito di filare, o trarre giù
il lino avvolto nella rocca. - cohoochia:
dal lat. barb. oolucuia, forma diminativa
di eolu», rocca, e vale qni la quantità
di lino, canapa, o simili, che si mette
volta per volta salla rocca per filare.
27. Cloto: la più giovane delle tre Par-
che, quella che al nascere di ciascun no-
mo impone su la rocca di Lachesi quella
porzione di stame durante la filatura del
quale conviene che duri la vita dell* uo-
mo; cfr. Huiod.t Theog., 217, 005, Ovid.,
Met. Vili, 452 e seg. - compila : « due
atti si fknno nel metter sopra della rocca
il pennecchio : il primo ò di soprappor-
velo largamente, facendolo dall'aggirata
rocca a poco a poco lambire, e questo ap-
pella Dante imporre ; l' altro ò di aggi-
rare intomo al pennecchio medesimo la
mano per unirlo e restringerlo, e questo
appella compilare » ; Lomb.
28. BIBOCCHIA : sorella (ofr. Purg. IV,
111), perchè uscita di mano allo stesso
Creatore, figliuola del medesimo Dio;
ofr. Purg. XVI, 85 e seg.
20. su : per questo monte. - sola : sen-
«a guida ; oonfr. De Man. IH, 16. Oonv,
*v, 4.
80. AL VOSTRO: Don essondo ancora li-
berata dal vincolo corporeo, non v«de co-
me vedono le anime sciolte dal corpo, le
quali conoscono il vero immediatameiite.
31. GOLA : del Limbo, il primo e per^ò
il più ampio dei owohi dèli' Iniemo.
32. MO8TBRROLU: gli mostrerò il oftm-
mino.
33. MIA SCUOLA: gli ammaestramenti
filosofici; cfr. De Mon. IH, 16. Ii^, I,
112-120. Purg. XVUI, 46 e seg.
V. 34-75. Itaffione dei terremoto e
dei canto. Virgilio domanda per qnal
motivo il monte testé si è scosso e le ani-
me hanno cantato. Stario risponde ohe
il terremoto non è per cagioni naturali ;
ma che, quando un' anima purgante ha
scontata la sua pena e sale in Paradiso,
tutto il monte si commuove e tutte le
altre anime purganti intuooano 1* inno
angelico. Aggiunge di essere per T ap-
punto quell' anima che or ora ha termi-
nata la sua penitenza e si è sentita ora-
mai disposta a salire in cielo.
84. DINNE : se lo sai, dimostraci il mo-
tivo per il quale la montagna si scosse
fortemente e tutte le anime sin giù ai
molli piedi del monte parvero cantare
ad una voce il Gloria in exeeUis Deo.
86. rABVKH: i due Poeti non aveano
naturalmente potuto distinguere se gri-
dassero tutte le anime, anche quelle dei
cerchi inferiori e superiori, ma cosi era
loro sembrato. -AI suoi : sino ai piedi del
monte, bagnati dalle onde dell' Oceano.
87. MI DIE: facendo tale domanda, Vir-
gilio colse per l' appunto nel mio deside-
rio, di modo che la sola speranza di cs-
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[oisoNx Qunrro]
PuBG. XXI. 88-51
[TSHBIMOTO] 557
40
43
Del mio disio, ohe pur con la speranza
Si fece la mia sete men diginna.
Quei cominciò : « Cosa non ò che sanza
Ordine senta la religione
Della montagna, o che sia faor d' usanza.
Libero è qni da ogni alterazione :
Di quel che il oiel da so in so riceve
Esserci pnote, e non d'altro, cagione;
Perchè non pioggia, non grande, non neve.
Non rugiada, non brina più su cade.
Che la scaletta dei tre gradi breve.
Nuvole spesse non paion, nò rade.
Nò corruscar, nò figlia di Taumante,
Che di là cangia sovente contrade.
«ere iateidto intorno a dò oh' io bramavm
ardentemente di sapere, inoominoiò «d
appegare 1* mia brama.
4A. COSA : riapondendo alla domanda di
Virgilio oirea la oaoaa del terremoto e del
canto oniversale, Stazio Inoorainoia col
dire ehe il terremoto non è straordinario,
uè ftiori del sacro regolamento del mon-
to, o ad 00*0 contrario, y. 40*42. Ossero
Ta quindi ohe, dalla porta In so. la mon-
tagna del Porgatorio è libera da tutte
quelle alteradoni aUe quali ra soggetta
la terra abitata dagli nomini, e che pei^
tanto la cacone delle noyità che tì acca-
dono, non pnò essere che di quel ehé U
tiddatè in §è rùwvi, t. 43-45. QaesU
dne eoncetti sono poi più ampiamente
spoppati. Stasio espone perchè il monte
è libero Am ogni alterasione, y. 40-57, e
•piega quindi quale sia la ragione delle
noritè che ri accadono, y. 58-80. Dopo
arer dichiarato quando tale ragione ab-
Us luogo in generale, y. 61-M, e perchè
abbia aynto luogo In questo momento,
▼. 67*09, oonehiude ohe appunto per que-
sto Dante e Virgilio udirono il terremoto
ed il canto.
41. LA BSuéToini : il sacro regolamento
del monte. « lam tnm relligto payldos
terrebat agrestis Dira lod, lam tnm sU-
▼am saxumqne tremebant »; Virg., A$n,
Vm, 849 e seg.; « iBtheris alti Belligio »;
<^. Xn, 181 e seg. Nel Purgatorio non
Ti è nulla di straordinario e ftiori delle
Isggi che lo goyemano.
L 43. QUI : questo luogo è libero da ogni
' PWturbadone degU elementL
44. DI QUKL: di oosa alcuna che qni
accada, non pnò mai esser cagione dò
che il cielo rioeye altronde (come arrie-
ne piti giù, doye il cielo rioeye i yapori
che esalano dalla terra e cagionano tutte
le sue alterasioni), ma soltanto cosa che
esso cielo da sé medesimo in sé rlceya,
quale è l'anima che ritoma al dolo doye
fti creata ed onde si parti ; conft*. Pwrg.
XVI, 86. Oonv. IV, 28. Oom. Lipi, U,
898 e seg.
45. D'ALTBO: cosi i più; Al. d'ALTRà;
cfr. Moore, Orit., 400 e seg.
48. PKECHÈ : essendo il luogo libero da
ogni alterasione, non yl può essere né
pioggia nò grandine (grande, latinismo
dell' uso antico), nò neye, né rugiada, nò
brina più In su ohe la porta dd Purga-
torio; cfr. Purg. IX, 76 e seg.
49. srKSSK: dense. -KON paion : non
appariscono, non d yedono.
50. C0BBU8CAB: lampeggiare, lampo. -
PIGLIA t arcobaleno. Iride, figlia di Tau-
mante e di Elettra (Hetiod., Theog., 263),
personiflcasione dell' arcobaleno, era, se-
condo la mitologia, la messaggera degli
Dei, che sale e discende per l'arcobaleno;
cfr. Ovid., Met, l, 270; XI, 685-883 ; XIV,
85, 830, 838. Virg., Aen. IV, 698 j V, 606 ;
IX. 2. iStot., iWIv. III. 3. 81. ecc. In seguito
Iride fu identificata coll'arcobaleno.
51. DI LÀ: nd mondo. - cangia: per-
chè l'arcobaleno è sempre opposto al
sole, e si yede pertanto ora di qua, ora
di là: in ponente se il sole è in oriente ;
in settentrione, se il sole è in messodì ;
in leyante, se il sole è in ponente, ecc.
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558 [GiAONK Qunrro] Pubo. xxi. 52-64
[TBEBXMOTOj
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Secco vapor non sorge più avante
Ch'ai sommo dei tre gradi ch'io parlai,
0 v' ha il vicario di Pietro le piante.
Trema forse più giù poco od assai;
Ma, per vento che in terra ai nasconda
Non so come, quassù non tremò mau
Tremaci, quando alcuna anima monda
Sentesi si, che sorga o che si mova
Per salir su; e tal grido seconda.
Della mondizia sol voler fa prova,
Che, tutta libera a mutar convento,
L'alma sorprende, e di voler le giova.
Prima vuol ben; ma non lascia il talento
52. TAPOB: secondo Aristotele {Metaph.
Il) il yspore sorgente dalla terra è ca-
gione di tutte le alteraiioni del nostro
mondo, e si distingue in amido e secco :
dal primo son generate la pioggia, la
ne^e, la grandine, la rugiada e la brina ;
dal vapore secco e sottile il vento, dal
secco e forte il terremoto. Questi va-
pori non possono però sorgere oltre la
tersa delle regioni dell'aria, le quali dal
cielo della luna al centro della terra sono
quattro: la regione calda, la f^dda. la
fredda e calda, ed il centro della terra.
Osservando che i vapori non salgono
più in su che 1 tre gradi della porta del
vero Purgatorio, il Poeta viene dunque
a dire ohe la detta porta è sita per l'ap-
punto al confine superiore della tersa r^
gione dell'aria, ossia della regione fired-
da. Lo stesso si ripete Purg. XXVIII,
07-102.
63. cu' IO FABLAJ : dei quali io parlai ; '
Al. omd'io PARLAI; cfr. V. 48.
64. IL VICARIO: l* angelo portiere ; ofìr.
Purg. IX. 103, 127.
66. PIÙ GIÙ : nell'Antipurgatorio, dove
può piovere, grandinare, ecc.
66. PER VENTO : si credeva che il terre-
moto derivasse da vapori sotterranei.
67. COME: non so in qual modo vento
si nasconda in terra.
68. TREMACI: al disopra della porta del
vero Purgatorio il monte trema, quando
un'anima, compiuta la sua parificazione,
sente libera volontà di miglior toglia.
60. 8BKTB8I: Al. SI BKNTE.-BURGA: Sl
levi in piò ; « e questo rispetto alle anime
dlquelgironele quali glaceno voltein gih,
perohò Ù primo lor movimento, quando
si sentono purgate, si ò di levarsi so dal
giacere. O ehé ti mova per taUr gu, e
questo rispetto alle anime degli altri gi-
roni che non giaoeno, quando similmente
si senton purgate. •Veli. CoA pure Ben».,
Dan., ecc. Al.: Surga per salire In cielo,
o ti mova per salire da un cerchio infe-
riore ad un superiore {Buti, Land,, eco.).
Ma allora il monte avrebl>e dovuto tre-
mare ad ogni salita di Dante in un cer-
chio piti alto. Al.: Surga, se vicina alla
scala per cui si sale ; ti mova, se lontana
dalla scala (Lom^., Pogg., Cotta, eco.).
Ha turgere significa alzarti su e non
trovarsi vicino ad un dato luogo.
60. E TAL : ed il canto del Gloria in
exeeltit accompagna il terremoto ed il
snrgere o muoversi dell'anima purgata.
61. VOLER: la volontà ohe di sabito
invade l'anima di levarsi e muoversi per
salire al dolo, è la sola prova della com-
piuta purificasione. Molti oodd. hanno
SOLVERSI (O SOLVER 81) FA FROVA: Ctr.
Moore, OrU., 401 e seg. - -
62. CHE : il qual volere sorprrade qvk •
l'anima che è libera di mutare starna -
TUTTA LIBERA : Al. TUTTO LIBERO, CÌO«* il
volere. Ma chi è ohe muta convento, il
volere, o l' anima f-ooirvKiCTO: oonsor-
sio d'anime.
63. giova: il volere giova all'anima,
non essendo un volere sterile, ma con ef-
fetto. Al. DI VOLAR LE GIOVA ; è il VOltrt
che giova aU'Miima a volaref
64. PRIMA: che la sua purifloadone sia
compiuta. - VUOL : salire. - il talento :
la volontà relativa, o oondirionata. « Ali-
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[GIBOHB QUIHTO]
Puro. xxi. 65-75
[TBBBEMOTO] 559
67
70
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Che divina giustizia oontra voglia,
Come fa al peccar, pone al tormento.
Ed io, che son giaciuto a questa doglia
Cinquecento anni e più, pur mo sentii
Libera volontà di miglior soglia.
Però sentisti il tremoto, e li pii
Spiriti per lo monte render lode
A quel Signor, che tosto su gl'invìi. »
Cosi ne disse; e però ch'ei si gode
Tanto del ber, quant' è grande la seve,
Non saprei dir quant' ei mi fece prode.
^jM. dieitnr TolanfeaTliiiii dnpUoitor. Tino
modo Yoliintate aboolota; et aio nolla
pcBn* est TolnntarU. quia ex hoc e«t
ntio poBne, qaod volimtati oontrariatnr.
Alio modo dioitar aUqnid Tolontarinm
Tolantote eonditìonata; siont astio est
Tolnataria propter sanitatem ooneequen-
dam. St alo aliqoa poma poteat esse ro-
lontaria dapUdter. Uno modo quia per
pcenam aUqaod bonnm aoqoirlmas; et
aio Ipea Tolontas asaomtt pasnam ali-
qoam, ut patet in satisfìMtioiie; vel etiam
quia lUe Ubenter eam aodpit, et non yel-
let eam non esse, siont aoddit in marty-
rio. Allo modo qaia qoamTis per poenam
nnllnm bonom nobis acoresoat, tamen
•ine poena ad bonnm pervenire non pos-
■omna, sknit patet de morte naturali ;
et tene Tolontas non assamit pasnam,
et TeUet ab ea Hberari; sed eam sap-
portat, et» qnantam ad hoo, Tolnntaiia
dioitnr. Bt sie pcsna Porgatorii est to-
Umtaria. » Th&m, Aq,, Sum. tkeoL III,
Sappi. Appena, II, 2. In questi ìmtsI si
descTiTo TOgUa di beatitudine oombat-
tata da vo^ia di pena, flnebè non ri-
manga dnunma dì debito a solvere.
>*<«la neUa regione della verità, l'anima
te ehe la beatitudine non può acqui-
stigli se non ool patire. Peroiò ella ba
il ^$taaa del patire, ella vuole il patire
con quell'ardore con cui vuole labeistitu-
diae; solo quando sentesi perfettamente
rimonda, non può pib volerlo, non può
pur sentirlo, perchè è già beata in Co-
lai ai quale si è perfettamente congiunta.
Cfr. Feréz, 8etU OereM, 60.
$5. CHB : il qual talento, la volontà con-
lUsionata. - OOMTBA voglia: contro la
▼okmtà assointa. Al. con tal voglia;
«Come la diTina gtnstisia, quando la vo-
lontà semplice vuole il vlsio, gli pone
all' incontro la volontà respettlva, cosi
quando vuole innansl al tempo usdr dal
Purgatorio, gli oppone la medesima vo-
lontà »; Land.
67. DOGLIA: deg^ avari nel quinto
cerchio.
68. ciHQUlCKifTO: Staaio, morto verso
l'anno 96 dell'ora volgare, passò dodici
secoli nel Purgatorio: cinque e piti nel
cerchio degli avari, quattro e piti in quello
degli accidiosi. Purg. XXII, 92 e seg.; il
rimanente nell'Antipurgatorio o nei tre
primi cerchi.
69. DI MIQUOB; di Salire al cielo.
71. FBR LO MOHTB : dunque non solo in
questo girone, cfr. Purg. XX, 188.
72. CHS TOSTO : 1 quali U Signore voglia
presto inviare al cielo.
78. NR DISSI: Al. GU DI88B. -SI GODE!
e perchè del sapere acquistato l'uomo si
rallegra tanto maggiormente, quanto piti
intenso era il suo desiderio di sspere, non
saprei esprimere quanta soddisfàsione
egli mi diede} cfr. Purg. Xy,42.
y . 76-102. Vita di Stmdo. Dopo avere
ringrasiato Stazio de' suoi insegnamenti,
Virgilio lo prega di manifestarsegli. E
Stasio risponde : « Al tempo di Yespasia»
no imperatore romano (69-79 d. C), ero
già famoso poeta, ma non ancora cristia-
no. Per la mia fluóia di poeta ftai chiamato
da Tolosa a Boma, dove ebbi il lauro. Hi
chiamai Stasio. Cantai di Tebe e di Aohii-
le, ma morii prima di aver terminato
VAéhmtid». Le mie ispiraaioni poetiche
le devo esclusivameute all'^BrMùfs. Sarei
contento di stare nel Purgatorio un an-
no più che non deggio per esser vissuto
nel mondo, quando era vivo Virgilio. »
Publio Papinio Stasio (n. circa 45, m.
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560 [OIEONB QUINTO] PUBG. XXI. 76-90
[VITA DI STAZIO]
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E il savio dnca : « Ornai veggio la rete
Che qui vi piglia, e come si scalappia,
Per che ci trema, e di che oongaadete.
Ora chi fosti, piacciati eh' io sappia,
E perchè tanti secoli giaciuto
Qai sei, nelle parole tne mi cappia. »
€ Nel tempo che il hnon Tito, con l'ainto
Del sommo Eege, vendicò le fora,
Ond'osd il sangue per Qiada vendato,
Col nome che più dora e più onora
Era io di là > rispose qnello spirto,
« Famoso assai, ma non con fede ancora.
Tanto fd dolce mio vocale spirto.
Che, Tolosano, a so mi trasse Roma,
Dove mortai le tempie ornar di mirto.
olrca 06 d. C.) figlio di un grammatloo e
poet* omonimo, fti napotetuio, come ri-
snltA da parecchi passi delle sne Stive. Coi
snoi contemporanei, in nn secolo in coi
le Selve erano sconoscinte. Dante lo con-
ftase col retore tolosano Lndo Stasio Ur-
solo. Stasio, nno dei principali poeti del-
l'età argentea delia lingua latina, nel me-
dio eyo ta tenuto in gran conto. Dettò le
Selve, raccolta di 82 poesie divise in dn-
qae libri ; la Tebaide, poema epico in do-
dici canti, e VAehHUide, poema epico ri-
masto incompinto. Cfr. Fabrie,, Bibl. lai,
ed. Ernest, II, 820 e seg. Baehr, Soem.
Lia, I«, 410, 420. Owreio, Studio euP. Po-
pinio Stazio, Catania, 1808.
76. LA BBTB : la volontà relativa, o con-
didonata.
77. VI PIGLIA: vi trattiene nel Parga-
torio. - 81 SCALAPPIA : si apre U calappio,
si snoda. « Kxpandlt rete pedibns meis,
convertit me retrorsnm »; Lament, di
Oerem, I, 13. ~ « Extendam rete menm
saper enra, et espletar in sagena mea »;
Ezeek. XII, 13, e cfìr. XXXU, 8. Oeea
Vn, 12.
78. PKB CHB : per qaal motivo il monte
tremi, e di ohe voi vi congratnlate can-
tando il Oloria in ececeltii Deo.
81. MI CAPPIA : mi sia contennto. Piao-
dati che lo sappia chi tn fosti nd mondo,
e che dalle tne parole io rilevi pure per
qaal motivo sei giadnto qai tanto tempo.
88. VBNDicò : distruggendo G^rasalem-
me, Tanno 70 dell'era volgare. - LB foba :
i fori ddle mani, dd piedi e dd costato
di Cristo, ^r 1 quali nsd il sangoe vttn-
dato da Giuda il traditore; cfr. MoU,
XXVI, 14-16.
85. MOMB: di poeta, che pih dora e
pih onora nd mondo. < 0 sacer, et ma-
gnns vatnm labor, omnia ftito Bripis, et
popalis donas mortalibns nvnm ! » Iai-
ean., Phare. IX, 080.
87. PEDB : cristiana ; io era anoora pa-
gano; ofr. Pwg. XXn, 78.
88. VOCALE SFIBTO : canto. « CoiTitDr
ad vocem Jucundam et cannen amie»
Thebaidos, Intam fedt onm Statlos vr-
bem Promidtque diem : tanta doloedine
captos Affidt ille animos»; JwoenaL, Sol,
VII, 83 e seg. -« Milli.... Splritum GraJse
tenuem Camene Parca non mendaz de-
dit » ; Horat., Od, II, xvi, 87 e seg.
80. T0L06AH0 : il mio oanto Ai cod dol-
ce ed il mio nome di poeta cod Amoso,
che, essendo io di Tdosa, fhi chiamato a
Boma. Veramente Stado ta Kapoletano,
non Tolosano. Ha d tempi di Dante,
come d è detto nella nt. 76-102, d con-
fondeva generdmente il poeta Publio
Papinio Stado da Napoli col retore To-
losano Lodo Stado TTrsoIo retore dei
tempi di Nerone. Qft, Matzùni, Dif^aa
I. 667. Otanam, Purg., p. 851. Oom.
Lipi, n, 405 e seg.
00. MBBTAi : meritd. La storia non co-
nosce l'incoronadone di Stado come poe-
to ; nò qui d dice che fh incoronato, ma
sdtanto che merito di esserlo.
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[eiRONS QUINTO]
PUBO. XXI 91-105 [IMBAB. DI DANTB] 561
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lOO
103
Stazio la gente ancor dì là mi noma:
Cantai dì Tebe, e poi del grande Achille ;
Ma caddi in via con la seconda soma.
Al mio arder far seme le faville,
Che mi scald&r, della divina fiamma,
Onde sono allumati più di mille;
Dell' Eneida dico, la qnal mamma
Fnmmi, e fammi natrice poetando :
Sens' essa non fermai peso di dramma.
E per esser vivato di là, quando
Visse Virgilio, assentirei un sole
Più che non deggio al mio uscir di bando. »
Volser Virgilio a me queste parole
Con viso che, tacendo, dicea: < Taci! »
Ma non può tutto la virtù che vuole;
98. CADDI : morii, mentre attendevo alla
oomposisione dell' Aohillelde.
M. ABDOE: poetico. - BSMB : principio
ed incitamento. Coetr. Furono seme al
mio ardore le fkville, che mi scaldarono,
della fiamma dirina, dalla quale sono
accesi alla poesia più di mille ; ctt. Stai.,
Tk£b, XU, 810 e seg.
06. PIÙ DI MILLI: cfr. Ifkf.l, 82 e seg.
07. MAMMA: madre; la qnale suscitò
in me V amore della poesia e mi edooò
alla buona maniera del poetare.
00. KOH FKRMÀi: sensa VEntide di Vir-
gilio non feci cosa di peso alcuno. « Est
enim drachma parvulnm pondus, quo
ntuntor medici : et bene, quoniam Sta-
tina in suo Tbebaidos [sua Thebaidet]
aeuper nititnr imitar! iBneida Virgllii,
non solnm in numero Hbromm, sed etiam
in omnibus, ut non immerito sit appel-
lataa almia VirgiUi > ; Bmv,
100. QUAHDO : Virgilio mori nell'anno
10 a. C.» drca 60 anni avanti la nascita
diStaalo.
101. UH BOLB : un giro di sole, un anno.
« Legimus, nouinllos ex Bleotis et San-
ctls Tizia olimmo se potius erasos e libro
Vltm, quam ut salns ad fratres snos non
perveniret, eostasi quadam oharitatis et
impotenti deelderio boni communis inci-
tatosi; Prtme. Baeon.,J)e dignU.Haugm,
StSmt, Vn, 1. Cfr. Om». lApi. II. 407 e
seg. Le obUeiioni del Bwrtoli (LeU. Ual.
VI, II, 161) sono inattendibili, non po-
tendosi daU' iperbole contenuta in questi
30. — JHv, Cmm.» 4^ adi».
versi in vernn modo argomentare ohe
Dante non fòsse ortodosso.
102. BAKDO: dal Paradiso.
V. 108-120. Imbaram/o di Dante,
Le ultime parole di Staxio inducono Vir-
gilio a rirolgersi a Dante con uno sguar-
do che, sensa.bisogno di parole, gl'ingiun-
ge di tacere e di non ùm il menomo cen-
no, per cui Stacio possa indovinare che
quel Virgilio, da lui tanto encomiato, è
appunto li presente. Dante, che lo ha
oompreeo assai bene, non può tuttavia
reprimere un sorriso ; onde Stailo tace ;
poi, fissando in tìso il Poeta, gli chiede il
motivo di quel sorriso. Dante ò imbaras-
sato, non sapendo che rispondere; ohe
i sotterfugi e le bugie non hanno luogo
nel Purgatorio. Ha Virgilio lo toglie d'im-
barauo, permettendogli di dire il vero; e
Dante allora dice a Stado che quel Vir-
gilio è per l'appunto la sua gnila e ohe
causa del suo sorriso ftirono le parole
entusiastiche di Stasio.
108. voLBKB: fecero volgere.
104. VISO : atto del volto. - taci : per
modestia Virgilio non vuole essere ri-
conosciuto da Stasio nel momento in cui
questi parla di lui con tanto encomio.
106. LA virtù : la volontà. < Appetitus,
aline est intellectivus, alius sensitìvus:
et sensitivus, alius est irasdbilis, allns
concnpiscibilis ; et aio gaudinm, quod
ostenditur per risum, prooedit ab appe-
titncononplflotbili; etplanotns.qui move-
tur per ininiiam, prooedit ab irascibili ;
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[GIBONIS QUINTO] PUBG. XXI. 106-124 [IMBARAZZO DI DÀNTB]
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Che riso e pianto son tanto segnaci
Alla passion da che ciascnn si spicca,
Che men segnon voler nei più veraci.
Io pur sorrisi, come Pnom ch'ammicca;
Per che l'ombra si tacqne, e rignardommi
Negli occhi, ove il sembiante più si ficca;
E « Se tanto lavoro in bene assommi, »
Disse, < perchè la faccia tna testeso
Un lampeggiar di riso dimostrommi? »
Or son io d'nna parte e d'altra preso;
L'nna mi fa tacer, l'altra scongiura
Ch'io dica; ond'io sospiro, e sono inteso
Dal mio maestro; e « Non aver paura >
Mi disse, « di parlar; ma parla e digli
Quel ch'ai domanda con cotanta cnra. >
Ond'io: «Eorse che tu ti maravigli,
Antico spirto, del rider ch'io fei;
Ma più d'ammirazìon vo'che ti pigli.
Questi, che guida in alto gli occhi miei.
et Ambo irti appeiitas nuit de potentìa
sensitìTa, et alter seqidtar altenim. Bt
appetitila InteUeotiTUs qui eet Tolmitaa,
et per qnem regolator appetitas senal-
tivns, non eemper est potens rapra sen-
eitiTnm, qnia non aemper Irascibile et
cononpiaclbile obedit rationi, dve ratìo-
nali Tolnntati. qofe est snnm ftindamen-
tnm in intelleotn. > Benv.
106. SBOUACi : il riso ed il pianto non
ubbidiscono alla volontà, ma tengon die-
tro prontamente a qnella modiflcaslone
deiranimo, dalla qnale ciascnn d'essi pro-
cede : il riso allaletiiia, il pianto al dolore;
ofr. Thùfn. Aq., A«m. theol. I, n, 17, 9.
107. 81 SPICCA: derlTa ; il riso dall'alle-
gria, il pianto dalla tristessa.
108. MEir : riso epianto palesano gli af-
fetti intemi. Più l'nomo è Teraoe, e meno
egli sa nascondere e dissimulare 1 snol
aflbtti, onde tanto più dii&oile gli riesce
il fere ohe riso e pianto ubbidiscano alla
sua volontà. I meno veraci, massime se
hanno già fette l' abito di simulare, pos-
sono con più feoiUtà reprimere l' uno e
l'altro.
109. PUB: ad onta del divieto di Vir-
gilio. - ammioca : fe cenno ad altri mo-
rendo gli occhi, fe l'occhiolino; lat.
•*<««r«; ofr. DUm, Wort, II», 6.
110. PKR CHB: a motivo del quàl sor-
ridere, Stasio, entrato in sospetto di
qnalche mistero nascostovi sotto, taoque
e fissò gli sguardi suoi ne* miei occhi,
ove s' impronta prinoipalmente 1* aspetto
dell'animo; cfr. Oonv. m, 8.
112. B « BB: Al. cDBH, BB; OOflI poesa
tu finir bene tanta fe^ca, quanta è la tna,
di percorrere col mortai corpo 1 regni
degli spiriti. - Assoma : compisca.
113. TK8TB80: testé, orerà; ofr. Par.
XTX, 7. Anticamente anche in prosa.
114. UH LAMPBOGIAB: un sorrìso tSL
breve come il corruscar del lampo.
115. OR BON: eccomi ora posto tra
r uscio e il raurol Da una parte Virgi-
lio m' impone il silenaio, dall' altra Stado
mi scongiura di parlare.
117. BOBPiBO : non sapendo a ohe rieol-
Torml: parlare? tacere f dire una bugia!
offendere Virgilio f offendere Staciof
130. QUBL : il motivo del tuo sorridere,
-coir COTANTA: come appare dal suo
modo di scooglurartJ, t. 118.
122. Aimco: ritrovandoai già da do-
dici secoli nel Purgatorio.
123. MA PIÙ: ma resterai ben più ma>
ravlgliato ohe tu non sia, quando avrai
intesa la vera cagione del mio sorridere.
124. nr ALTO: su, verso la cima del
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[OntOVI QVIHTO]
PUBO. XXI. 125-186 [STÀZIO s tibg.] 563
È quel Virgilio, dal qaal tu togliesti
Eorza a cantar degli nomini e de' Dei.
117 Se cagione altra al mio rider credesti,
Lasciala per non vera esser, e credi
Quelle parole che di Ini dicesti. »
130 Già si chinaya ad abbracciar li piedi
Al mio dottor; ma e' gli disse: € Frate,
Non fÌEur; che tn se' ombra, ed ombra vedi. »
183 Ed ei snrgendo: < Or puoi la qnantitate
Comprender dell'amor ch'a te mi scalda,
Qoando dismento nostra vanitate,
i8« Trattando l'ombre come cosa salda. »
Paigstocio. AL: Al delo ; ma Dante sa-
per» die Virgilio aon lo arrebbe gol-
dafeo die duo aUa dma dd monte aaoro.
IM. FOSSA : AL VOBZB; FOBTB ; rOBSB.
Cfr. Oom. JUp$, n, 410 e Mg.
It7. ALTRA : dlTena da qndla ohe ora
ti ho detto. Se attribuisti a direna ea-
fkme n mio ridev», lasdala eone non
Tera; e orediml ebe la Tora cagione di
esso ftiTono quelle parole die di Virgilio
dicesti, parlando a hii medesimo sensa
saperlo*
128. PEB lOV TKBA EaSBR, ■ CEKDI :
Al. FSB H<m TUA, KD WBBMR CEBDI, le-
sione plb fMfle, ma troppo sprorrista di
antorttà di eodd. - B cbbdi: sottintendi:
die la Tera cagione dd mio ridere fti-
rono qneUe parole, ecc.
V. 13»-186. Stasto e TirgOU. A\-
Y udire cbe Virgilio gli sU dinansi. Sta-
ilo, compreso da grandissimo e riverente
aflbtto, s'Inchina per abbraedarlo ov
U wnn^rtrtppigUa (cfr. Purg, VU. 16),
amando in ini non sdo il maestro in
poesia, ma edandio cohd ohe lo oonTerti
aUa Jbde; cfr. Pmg, XXII, 66 e seg.
Virgilio Io esorta a lasdaro tali dimostra-
stoni di aflbtto, rioordaiidogli che am-
bedoe son ombro, e perdo faitsogibiH;
oonfr. Purg. II, 80 e seg. (InTece Bor-
dello e Virgilio ri abbracciano, Pwg, VI,
75; VU, 15). Stado d alsa. dicendo a
Virgilio: « Vedi quanto grande è Y amo-
ro che per te m' infiamma I Che io dimen-
tico persino che siamo ombro Tane ed
impdpabili, e tratto le ombro come corpi
solidi.»
181. MA B* au VOSE: AL ma bgu
132. HON FAB! «Stoeddi sntepedes
tiJMBt nt adoraiem eom. Bt didt mihi:
Vide ne feoerls » ; ApoemL XIX, 10. -
ombea: «qoaddicat: nterqae nostrum
set anima separata intangilidlit, insensi-
bilis»; JBrnv.
183. BD Bi : e Stasio.leTandod in piedi,
disse. - LA QUABTITATB : termine scola-
stico * la grandesxa, V intendtà.
134. MI SCALDA: mi accende Terso di te.
185. MSMBKTO : dimentico, mi scordo.
Dd verbo ditmentan (contrario di am-
m&ntar$, cfr. Purg. XTV, 56) non d ha
dtro esempio ohe questo. - vabITATB :
cfr. Inf, VI, 86, Purg. H, 70.
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564 [SALITA]
PUBO. XXIL 1-6
[ANOKLO]
CANTO VENTESIMOSECONDO
SALITA AL amONE SESTO
PBOOATO B C0KVBB8I0NE DI STAZIO
PEB80KAGGI ILLUSTRI NEL LIMBO
GIRONE sesto: GOLA
(Patire Ikme e sete, avendo innanzi agli ocobi cibo e bevanda)
ALBERO MISTICO, ESEMPI DI TEMPERANZA
Olà era Fangel retro a noi rimaso,
L'aogel che n'avea vòlti al sesto giro,
Aveodomi dal viso un colpo raso ;
E quei e' hanno a giustizia lor disiro,
Detto n'avea beati e le sue voci,
Con <!: sitiunt 1^, senz'altro, ciò fornirò;
Y. 1-0. 1/ angelo delia giusHMÌa, I
Poeti hanno già valicato il passo del per-
dono (cfr. Pttrg, XIII, 42), dove l'an-
gelo della giustizia gli ha indirizzati al
sesto cerchio ed ha cancellato il qointo
dei sette P dalla fronte di Dante. L' an-
gelo canta la quarta delle beatitudini
evangeliche: «Beati qnelU che hanno
(Cune e) sete della ginstlzia ; perchò sa-
ranno satollati », Matt., Y, 6, omettendo
la fame, della quale canta l' angelo del
girone sesto, Purg. XXI Y, 161 e seg.
Dante, che all' uscire di Ogni cerchio si
sente sempre più leggiero (Purg, XII,
116 e seg.), tien dietro senza alcuna fk-
Uoa alle ombre di Stazio e Virgilio, ohe
veloci salgono su per la scala.
1. Oli ERA.: non descrive, come altro-
ve, il momento in cui fa benedetto e
perdonato dall' angelo, forse per evitare
ripetizioni monotone.
8. COLPO : uno dei sette P, detti eoipC
perchò impressioni fatte col puntone della
spada.
4. K QUEI: e l'angelo ci aveva detto:
« Beati quelli ohe hanno U lor deairo a
giustizia. » Alla sete dell* oro si oppone
qui la sete della giustizia ; cfr. Tkom. Aq,^
in MaU, 0. V, ed U precetto di Ciiato
Jfott.VI, 33.
6. N* iiVKA : l'angelo. Sulla les. R*AV&aK
oooir. Cam. Lipe. II, 418 e seg. JCbors,
CrU., 405 e seg.
6. 8RNZ' ALTBO : la beatitodlne intiera
ò : < Beati qui esurinnt et sitiunt iosti-
tiam, quoniam ipsi satnrabuntnr » ; Jfot^
V, 6. La frase eeni'aUro vorrà ben dire
che, cantando questa beatitudine, V aa-
gelo ne omise qualche cosa. B vedendo
che Veeuriu$U Io canta l'angelo del eer-
ohio seguente {Purg. XXIV, 151 e seg.),
al dovrà ammettere aver Dante volato
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[salita]
PUBO. XXII. 7-24 [PECCATO DI STAZIO] 565
Ed io, più lieve che per l'altre foci,
M'andava! si che senza aloon labore
Seguiva in su gli spiriti veloci;
Quando Virgilio cominciò : € Amore,
Acceso da virtù, sempre altro accese.
Por che la fiamma sua paresse faore.
Onde, dall'ora che tra noi discese
Nel Limbo dell'Inferno Giovenale,
Che la taa affezion mi fé' palese,
MìtL benvoglienza inverso te fa quale
Più strinse mai di non vista persona.
Si ch'or mi parran cort^e queste scale.
Ma dimmi, e come amico mi perdona
Se troppa sicurtà m'allarga il freno,
E come amico ornai meco ragiona:
Come potò trovar, dentro al tuo seno.
Loco avarizia tra cotanto senno.
Di quanto, per tua cura, fosti pieno ? »
) ohe qoett' angelo cantò Beati
9«< titìmU iìutìtiam, omettendo Vetur
rkmL
7. FOCI : apertole del Porgatorio ; ofr*
IStrg. XII, 112.
8. LABOBX: lat. labor, laToro, &ticai
Toee dell* tuo antico.
V. lO-ae. XI peecato di Stamio. Dante
• Vlq^ hanno udito da Adriano V,
che nel qntnto oercUo si porga l'aya-
riila, Purg. XIX, 115 1 ma non sanno
•aeora ohe tì si pnrga pore il sno con-
trarie, doè la prodigalità ; onde Virgilio.
eoBilderando TaTarisia essere tìsìo di
•■iiai bassi e rolgari (cfr. Oonv. I, 9),
dimanda marayfgUato a Stasio: « Come
wdaTarisia potè troyar loogo in tet » B
Stasio sorridendo risponde: « Ho pianto
P«l Visio contrario} non Ibi avaro, ma
troppe prodigo.»
II. DA Tont: Al. DI TUiTÙ. « Qoello
aaors eh' è impresso da virtù ha tanto
potere, s*elll appare di Ini alonno segno,
Hm gli oonTlene accendere nello amato
Msere inverso qoello ohe cosi prima
■ma »{ A». Fior. Confr. if^. V, 103.
a»». I, 12.
14. LncBO DBLL'lHrxHNO : pare ohe lo
iittingaa qui dal Limbo dei Padri, so-
pendo S. Tommaso (Atm. theoU III
Bvfti., 00, 6-6)} ma neH'/nT. IV, 44-68
questa disUndone non si Cs. - GiovR-
RALK: Decimo Oionio Giovenale, il ce-
lebre poeta satirico latino, nato verso il
47, morto verso il 180 dell* èra volgare,
contemporaneo di Stasio e soo ammira-
tore. Cfr. Ffa/neké, Bxanun eriticum Dee.
JuniiJuvenaH» vitoé, Dorpat, 1827. Bùr»
ghéti. Intorno all'età di QiovtnaU, Bo-
ma, 1847. Widal, Juvenal et $et eatiree,
Par., 1869. Dante lo ricorda pore Oonv.
IV, 12 e 20. Man, II. 8.
. 16. BENVooucrzÀi benevolensa. Il mio
alletto per te iti dei maggiori che mai si
sentissero per persona non vedota e non
conosciota che per fama.
17. STBIKSB: cAr. If\f. V, 128.
18. OOBTB : per il piacere di salire nella
toa compagnia.
20. M'ALLARGA: SO la domanda ohe ti
fkcoio è soverchiamente libera e franca.
21. B OOMB: e rispondimi da amico,
non da ammiratore.
23. TRA COTANTO : Cfr. /V. IV, 102.
L' avariala è troppo sordida perchè si
possa accompagnare colla sapiensa. Un
nomo di gran senno ed avaro, come er«
roneamente Virgilio soppone che fosse
Stasio, sarebbe ona con traddisione{ qoin-
di la domanda.
24. CURA: per Io stodio too longo e
Tirtooso. ^ ,
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566 [SALITI]
Puro. mi. 25-40 [pecoàto di stazio]
25
28
81
34
87
40
Queste parole Stazio mover fenno
Un poco a riso pria ; poscia rispose :
« Ogni tuo dir d'amor m'ò caro cenno.
Veramente più volte appaion cose,
Ohe danno a dubitar falsa matera,
Per le vere ragion che sono ascose.
La tua domanda tuo creder m'avvera
Esser ch'io fossi avaro in l'altra vita,
Torse per quella cerchia dov'io era:
Or sappi ch'avarizia fu partita
Troppo da me, e questa dismisura
Migliaia di lunari hanno punita.
E se non fosse eh' io drizzai mia cura,
Quand'io intesi là dove tu esclamo.
Crucciato quasi all'umana natura:
'^ Per che non reggi tu, o sacra fame
26. UN POCO : nel modo ohe si oonrlene
Al sayio. « Vir sapieiis vix tadte ride-
bit •; SeeUt, XXT, 28. - « 81 conviene al-
l' nomo, A dimostrare la sna anima nel-
rallegreaia moderata, moderatamente
ridere con nn'oneata soTerità e con poco
movimento delle sne membra »; Oontf.
UI, 8.
27. esimo: ogni tna parola mi è caro
segno dell'amore ohe mi porti.
28. TBRAMXHTl: spesso volte appari-
scono coee ohe d fknno sensa ragione
d abitare, perchè non ne conosciamo le
canee vere.
29. MATEBA : materia, argomento. Mo-
lerà, come Purg. XVIII, 87, antica-
mente anche in prosa; cfr. Natmitcei,
Nomi, p. 21 e seg.
81. m'avvera: mi prova essere tao
credere, tna opinione, che nel mondo io
fossi avaro.
83. VOBSK : la toa opinione che io fossi
avaro deriva forse dall' avermi trovato
nel cerchio degli avari e dall'avere ndito
che vi ftai piti di cinque secoli ; cfir. Purg,
XXI, 67 e seg.
84. PARTITA : divisa, lontana da me.
85. TROPPO : sino all'altro estremo, cioè
alla prodigalità. - DreiosuEA: eccesso ;
cfr. JV. VU, 42. « Virtos est medinm vl-
tiomm et ntrinque rednctnm »; Horat.,
JS5PM*. I, xvni, 9.
86. laouAiA: più di 600 anni, Purg,
?^XI,67 eseg., dnnqae oltre sei milamesi.
V. 87-54. JI peiUimetUo di Stamio,
Dopo aver detto che peccò non per «Ta-
risia, ma per il suo contrario, dee per
prodigalità, Stasio racconta del suo pen-
timento, del quale si confessa deWtore a
Virgilio. Ciò che Io fece rientrare In aè e
ravvedersi, fb la sentensa: «Quid non
mortalia pectora cogis, Anri sacra im-
mes 1 » Virg,, Aén. III, 66 e seg. Cioè : « A
che non spingi tn il onore amano, eae-
cranda fkme dell'oro f » Leggendo questo
parole Stasio si accorse la prodigalità ee-
sere nn visio e sì penti di questo oome
degli altri suoi peccati. Gonchinde di-
cendo che nel quinto girone insieme eol-
l'avarisia si porga eiiandlo la prodi-
galità.
87. DRIZZAI : feci dritta, di torto che
era; doè: se non mi fossi pentito.
88. iiTTRSi : posi mente a quel luogo,
dove tu, quasi sdegnato contro la oor«
melone dell'umana natura, esclami -
X8CLAME: esclami j desinensa antica. AL
CBIAMS.
40. PER CBEt Al. A CHE. Passo sssal 0(m*
troverso, del quale si possono distinguere
quattro diverse interpretaaionl; 1*«0
umana natura, perchè non cssut h\ tu la
sacra fkme dell' orot doè lo virtndiose
appetito delle riccheaset Quasi: tnnoa
hai fame sacra d'oro e di rioehesse, e però
le getti via. B nota ch'egli dice mwis,
dò è 9afUa, che, s'elli s'abbandonasse
troppo in quella, elio non sarebbe altr»
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[aiUTi]
Ptme. XXII. 41-54 [pEi^iM.DisYAZioj 567
49
52
Dell'oro, l'appetito de' mortali? „
Voltando sentirei le giostre grame.
Allor m'accorsi che troppo aprir l'ali
Potean le mani a spendere, e pente'mi
Cosi di quel, come degli altri mali.
Quanti risurgeran coi crini scemi.
Per ignoranza, che di questa pecca
Toglie il pentér vivendo e negli estremi !
£ sappi che la colpa che rimbecca
Per dritta opposizione alcun peccato.
Con esso insieme qui suo verde secca:
Però, s'io son tra quella gente stato
Che piange l'avarizia, per purgarmi.
Per lo contrario suo m' è incontrato. »
ohe Avarisia. » Lan., An, Fior,, eoo. Ka
Mervnal passo viigUiano TBÌesteeronda,
non Mmto, erappetttodellerioohesse non
ò mal -vfztnoao. - 2*« Perchè $um reggi, tu
0 MMra/MMtf; cioè o unto desiderio, do-
cile non passi ne H estremi, ohe altra-
neate non è santo, anoo è maladetto e ▼!-
doeo; DeWoro..,. VappetitOf cioè la yo-
kmtà degli oomlnit» Buti. Secondo questa
ÌBteii>retaxiofiM Dante ayrebbe dato alle
parole di VlrglUonn senso che non hanno.
- 3^ Dante non intese Virgilio, ma « forse
ingannato da qaeir epiteto foera, intese a
tiaverso tutta la sentensa, prendendo il
M0ra famet per nna virtù, di coi fosse
oiBxio il regolare l'appetito delle rio-
ebesie »| Buigarini, Ampère, Veni,, To^
TtUi, eoo. Dante non era certo tanto igno-
rante. - 4* « Per che distorte Tle, per che
malvagità non oondoci e gnidi tu, o ese-
ennda fiuno dell'oro, l'appetito degli no-
mini fwJSoMiforando^JSfa^., (Jet,, Tom,,
eoe. Qnestaintexpretasionesarebbe tanto
pHi acoettaMle, inqnantosecondo^riftot,
Aà. IV, 1, tanto l'avaro ohe il prodigo
luumo eseeranda liune dell'oro. Ha c'ò
va altro esempio della voce italiana fa-
mi osata nel senso di é$eeranda, malo-
dettar Ctt, Oom. Lipt, II, il8 e seg.
42. voLTAHDO : pesi per forca di poppa,
nel quarto oerohlo Infernale; ofir. Inf,
VII, J7. - QioSTSK: urti de' prodighi co-
SU svari; efr. In/. VII, SG.-GiUMBt
tristi, dolorose.
^. ApRiB l'ali: allargarsi; altrove
^ le aU agU occhi, Pwrg, X, 26; qui
•Usi
45. DI QUXL: della prodigalità, come
delle altre mie colpe.
46. BCSMI: ofr. /r/. VII, 66-67.
47. PKB IGNORANZA : perchè, stimando
la prodigalità non essere peccato, non
fanno penitenza. Sec<mdo gli aoolastloi,
qnell'lgnoransa che si potrebbe vincere
mediante l'eseroisio ed 11 perfosionamento
della ragione, ò colpevole. « Qoioumque
nogligit habere vel faoere Id quod tenetor
habere vel fiusere, peocat peccato omia-
sionis. Unde propter negligentiam igno-
rantia oorum quie aliquis scire tenetor
est pecoatum ; non autem impotatur ho-
mini ad negligentiam, si needat ea quie
scire non potest. Unde horum Ignorautia
invinoibilis dioitar, qoia stadio soperari
non potest. Et propter hoc talisignoran-
tia, cum non sit volontaria, so qood non
est in potestate nostra eam repellere, non
est peccatum. Bx quo patet qood nolla
ignorantia invincibiUs est peccatum;
ignorantia autem vincibilis est peccatum
si sit eorum qua aliquis scire tenetor, non
aotem si sit eorum qoa qols scire non te-
netor. » Thom. Aq,, Bum, theol. 1, u, 76, 2.
49. KiMBBOCA : ò direttamente opposta.
61. CON B880: nello stesso luogo e modo,
dove e come è punito il peccato diretta-
mente opposto. -suo VBBOE SECCA : OOU-
suma il troppo suo rigoglio ; è espiata con
la penitenza.
64. FXB LO CONTRABIO: per la prodi-
galità, vizio direttamente opposto al-
r avarizia.
V. 66-08. SUuHo eriotiatw oecnaUo.
Udito il racconto del pentimento di Sta-
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W^S^^^^'
SJ8 tSALITA]
PURG. XXU. 55-67 [CONVEBS. Di STAZIO]
55
58
61
67
« Or quando tu cantasti le crude armi
Della doppia tristizia di locasta, »
Disse il cantor de' bucolici carmi,
€ Per quello che Clio teco 11 tasta,
Non par che ti facesse ancor fedele
La fò, senza la qual ben far non basta.
Se cosi ò, qual sole o quai candele
Ti stenebraron si, ohe tu drizzasti
Poscia diretro al pescator le vele? ».
Ed egli a lui : « Tu prima m' inviasti
Verso Parnaso a ber nelle sue grotte,
E poi, appresso Dio, m'alluminasti.
Facesti come quei che va di notte, ^
sio, Virgilio chiede : « Come fbsti gui-
dato alla fede orìstlanat Impeiooobè
dalla ina Tebaidé rianlta che, dettando-
la, ta eri ancor pagano. » B Staziot « Tn
primo mi d inviasti inoonacientemente
colle parole tue. Visitai poi i cristiani, mi
accertai della loro santa vita, n'ebbi pie-
tà, e li soyrenni, quando Domiziano li
persegnitaya; e primadi arere terminata
la Tebaide, ebbi battesimo. Ma per paara
fili cristiano occulto e mi finsi pagano,
la qaal tiepidezza dovetti qpontare cor-
rendo per oltre quattrocento anni laggiù
nel girone degli accidiosi. Il battesimo
ed il cristianesimo di Stazio sono ignoti
alla storia, e sembrano essere una sem-
plice finzione poetica di Dante.
55. CAUTASTi: nella Tebaide. ~lk gru-
DK ARMI: la guerra fratricida.
56. DOPPIA TRISTIZIA: de' due figli di
Giocasta, Eteocle e Polinice; cfr. If\f,
XXVI, 54.- Iocabta: Al. 61OCA8TA;
figliuola di Creonte re di Tebe, moglie
di Laio, madre e poi moglie di Edipo,
al quale partorì Bteoole e Polinice, An-
tigone ed Ismene.
57. CANTOR: Virgilio, autore della Bu-
colica, - BUCOLICI : « fa contrasto cogli
orrori della Tebaide; e accenna forse al-
l'oraziano: Molle cUque/aoetum Vergilio
annuerunt gaudenUa rare Oamence (Sat.
I, X, 44-45). Accenna fors'anoo alla mag-
giore varietà dell' ingegno; varietà che ò
segno insieme di fecondità e verità. For-
s'anoo egli ha in mente la quarta Ègloga,
di cui poi. » Tom.
58. Clio: la Musa della Storia, invo-
cata da Stazio nel principio della Te-
baide I, 41. - TASTA: SQ U lira. Senso:
A giudicare dal tuo poema, quando lo
dettasti, tn non eri cristiano, ma pa-
gano.
60. Fft: cristiaua. - non 'basta : cooft.
Jr/. IV, 34 e seg. « Sino fide impossibile
est piacere Deo »; Ebrti XI, 6.
di. BB eoe) : se veramente dettando la
Tebaidé tu eri ancora pagano, qual lume
soprannaturale itole) ^ o quali insegna-
menti umani (eandeU) dissiparono in te
le tenebre del paganesimo, di modo ohe
ti Csoesti seguace della fède del pescatore
San Pietro!
63. PESCATOR : cf^. MatL IV, 10. Jforco
1, 17. Luca V, 10. Par. XVIII, 186.
65. Parnaso : monte della Fodde. sa-
cro ad Apollo ed alle Muse. - grotti :
« a ber nel fonte Pegaseo, il qual è finto
da' Poeti eh' esca de le grotte di questo
monte, ed abbia proprietà d' infonder in
loro la eloquenza, mediante la quale or-
natamente scrivono in poesia»; YeU,
66. R POI: Al. E PRDfA. IXBetU vuol
leggere s primo, intendendo : « Tupri-
mamenU mi conducesti a bere nella
grotta di Parnaso ; tu primamenU m* il-
luminasti per andare appresso a Dio. »
Ma dal racconto di Stazio si vede ohe,
grazie a Virgilio, egli fu prima poeta e
poi cristiano. - appresso Dio : dopo Id-
dio, ohe ò la causa prima di tutte lecause.
Stazio riconosce in Virgilio il suo maestro
nella poesia, nella morale e nella fede.
67. QUEI : il servo che, accompagnando
di notte il padrone, precede portando la
lanterna dietro, onde egli cammina nel
baio. Una similitudine poco diversa d
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LaàLTTA]
PUBG. XXII. 68-84 tCONYBBS.Dl STAZIO] 569
70
73
70
79
Ohe porta il lame retro e so non giova,
Ma dopo 8Ò fa le persone dotte,
Quando dicesti: ^' Secol si rinnova;
Toma giustizia e primo tempo umano,
E progenie discende dal ciel nuova. „
Per te poeta fui, per te cristiano !
Ma, perchò veggi me' ciò ch'io disegno,
A colorare stenderò la mano.
GKà era il mondo tutto quanto pregno
Della vera credenza, seminata
Per li messaggi dell' etemo regno ;
£ la parola tua sopra toccata
Si consonava ai nuovi predicanti ;
Ond'io a visitarli presi usata.
Vennermi poi parendo tanto santi.
Ohe, quando Domizian li perseguette,
Senza mio lagrìmar non fur lor pianti ;
offre TMitioo rlnutore Paolo Zoppo da
Castano: «SI oome qoel che porta la
lunler» La notte quando passa per la
Tift, Allama assai pih gente della spera
Gke sé medesmo, ohe l' ha in bafìa »;
JNMé mnL Pai., 1817, 1, 1S9.
08. B Bfi: AL ■ ▲ Bk,
00. DOPO aft: dietro sé. Usa qni dopo
a ben» posta, perohA Virgilio iUominò
i posteri. - DOTTB : scorte, istruite del
cauHiiino.
70. DiCMTi : nella quarta Egloga, ▼. 6 7:
MAfaos ab lategro MBdonna asMltar ordo.
lem redit ti Virgo, ndeiuit Satorala r#CDa;
Isa moym pffSfsalM ndo diodlttlar alte.
Ooa tutto il medio evo Dante Tide in qoe-
sta Bgloga nna profesia inoonsoia di Cri-
sto e del cristianesimo, intolUgensa oni
parecchie leggende serrirano 4' appog-
gio; efr. OemporelH, Virg, noi modio ovo
1*, 183 e seg. Oom. JApo, II, 423-488.
73. PBOOVHTB: Virgilio intende del fi-
glio di Aslnio PoUkme ; Dante, seguendo
reeegesi cristiana, del Verbo divino in-
carnato.
73. PBE TB: a te vado debitore e della
nda arte poetica e della mia fede in Cristo.
74. DIBBOVO: dico in generale, accenno,
abbosao.
76. A OOLOBABB: il disegno abbOBxato
••parlerò più chiaramente.
76. PBBGÌfO: ripieno; già la fede cri*
stiana era diffkisa per tatto il mondo.
78. insaÀOOit gli Apostoli di Cristo,
messaggeri del regno dei oieU.
79. LA PABOLA : il passo riferito della
qnarta Bgloga era conforme alle predi-
cadoni degli Apostoli ed Bvangelisti e
degli altri discepoU di Cristo.
81. UBATA: osaQsa.
83. YEKNBRMi : qoanto piti li praticai,
e tanto piti santa mi parre la vita del nno-
Ti predicanti. Già i SS. Padri, come G io-
stino Kartire, Atenagora, Origene, ecc.,
addosserò la santità di vita dei cristUni
in prora della divinità del cristianesimo.
Cfr. Jitft. Jfare.MiN»!. 1, 14. Ath«nag., log.,
11. Minuo. Fel,, e. 81, 87, 88. Orig,, CofUr.
Oa$. I, 30.
88. DOMIZIAH : Tito Flavio Domisiano,
secondogenito di Vespasiano, saocedette
al ftatello Tito noli' impero e regnò dal-
l' anno 81 sino al 80. Fo accasato dagli
antichi scrittori eodesiastlci di aver per-
seguitato fieramente i cristiani (oonfr.
Buteb., Ohron.ll, ad Olymp., 2lS,I^fu$d,,
Sist. tedi, ni, 18, 3. ToHvU,, Apol., e. 6),
il ohe storicamente è assai esagerato ; cfir.
Aubè, Hitt. du poriSmtiono, ecc. 1875.
Baur, Kirchongetehiohto I', 486 e seg.
84. NON FUB : non rimasi indiiferente
alle loro pene, ma secondai colle mie la-
grioM i loro pianti, conforme il precetto
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570 [SALITA]
PUBG. XXn. 85-100 [ÀHIMB ILL. D. lucbo]
86
91
97
100
E mentre che di là per me si stette,
Io li sovvenni, e lor dritti costami
Fèr dispregiare a me tatto altro sette ;
£ pria ch'io condacessi i Ghreci ai fiami
Di Tebe, poetando, ebb'io battesmo ;
Ma per paara chioso Cristian fd'mi,
Lungamente mostrando paganesmo ; .
E qaesta tiepidezza il quarto cerchio
Cerchiar mi fé' più ch'ai qoarto centesmo.
Tu dunque, che levato hai il coperchio
Ohe m'ascondeva quanto bene io dico,
Mentre che del salire avem soverchici
Dimmi dov' è Terenzio nostro antico,
Oecilio, Plauto e Varrò, se lo sai:
Dimmi se son dannati, ed in qual vico. »
€ Costoro e Persio ed io e altri assai »
«postolioo : e Siete onm flentibiis »; Som.
XU, 15.
85. MKRTBi: tatto U rinumente del
tempo che io vìmì nel mondo.
87. TUTTB ALTKK: disprezeai tutte le
Altre oredeuse ed opinioni religiose e filo-
■oflche.
88. Fimo : di Tebe, lameno ed Aaopo,
Tébaide IX. Vaol dire : Prima ohe io oom- '
piasi la Tehaide, nella qoale descrivo l'ar-
rivo dei Greci a Tebe.
90. PAUKA : della perseoodone. - CBiu-
BO : oocolto. -fu'mi : mi foÌ.
03. CKBCHUB : cfr. Pwrg. XVIII, 91 e
seg.; XXI, 68.
V. 94-114. l'ersonagffi UUutri nel
JAmbo, Dopo aver parlato di sé e della
sua conversione, Stasio chiede dove siano
alooni celebri poeti latini. B Virgilio ri-
sponde ohe sono nel limbo insieme oon
lai, coi piti illostri poeti greci e coi per^
sonaggi cantati da Stasio nelle sae opere.
Onesti versi sono per cosi dire nn' appen-
dice airenameradone di abitatori del
Limbo, Inf. IV. 88 90, 121-144.
94. LEVATO : tn danqae che mi levasti
dagli occhi il velo (confr. II, Cor. II,
15*16) ohe mi naacondea si gran bene,
qoale è la verità della fede cristiana, di
che parlo.
96. AVKM: mentre che, salendo, d
avansa tempo da potere spendere ragio-
97. Terenzio: Pablio Terensto Aflro,
poeta comico latino (nato a Cartagine
Tanno 185 a. C, morto verso il 169 a. C.)»
del qoale d restano sei commedie. Pter
pia ampie notisie dei personaggi qni ena-
morati cfr. Com. Lip», II, 426-486. - as-
TIOO : così i più ; AL AMICO; cfr. Moore,
OrU., 410 e seg.
98. Cecilio: Stasio Ceoilio,antoredraiii-
matico latino, m. l'anno 167 a C. Cfr*.
Oieer,, De opt. gen. or, I, 3. Ad AU.
Vili, 3, 10. Eorat, BpiH. H, l, 50.
BneitH.» 841 e seg. - Plauto: fVda Mao-
eiu9 Plauhu, poeta drammatico latino,
n. 254, m. 184 a. C, sotto il coi nome
Yanno oggidì venti commedie. Cfr. JAn-
gen, Plautinieeke Studien, Beri., 1886. -
Vabbo : o intonde pariare di Marco Te-
rensio Varrone Reatino, poeta ed em-
dito latino, n. 116, m. 27 a. C. (ood i più);
oppure di Publio Terensio Varrone Ata-
cino, poeta latino meno celebre del Bea^
tino suo contemporaneo (cosi Ben»,, Fi-
lai., ecc.). Al. intendono Inveoe di Lnoio
Vario, poeta drammatico latino, contem-
poraneo ed amioo di Orasio edl Virgilio
{Blane, Wme, eoe).
99. VICO: in qoal contrada o oendilo
dell* Inferno.
100. Pbesio: Anlo Persio Flaooo. oe-
lebre poeta satirico latino da Voltenm,
n. SI, m. 62 d. C, del quale sono giunto
a noi sei satire.
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[biuta]
PUBO. tXII. 101-118 [A5. ILI. D. LIMBO] 571
in
io«
109
112
Bìspose il duca mio, « slam con quel Greco
Che le muse lattar più ch'altro mai.
Nel pruno cinghio del carcere cieco :
Spesse fiate ragioniam del montCì
Che sempre ha le natrici nostre seco.
Euripide v'è nosco ed Antifonte,
Simonide, Agatone ed altri piùe
Greci» che già di lauro om&r la fronte.
Quivi si veggion delle genti tue
Antigone, Deifile ed Argia,
Ed Ismene si trista come frie.
y edesi quella che mostrò Langia:
Eyyi la figlia di Tiresia, e Teti»
101. QUEL: Omero, V alUeTo prediletto
àéOe Hiue ; ett, Ii^, IV , 86 e eeg.
108. cniGaio : oerehio ; cfr. /V* XYIII,
7; XXIV, 78. - CABCISB CUCO: cfr. IV.
Z, M e aeg. Anehe il limbo edotto ear-
ttr§, I Pietro HI, 19, come l'Inferno,
ipoeoLXX. 7.
lOi. MOim: Pnniaao, t. 65.
105. CHB saMPMM ha: al ce* ▲ snc-
rU; Al. CH' ▲ LE RUTBICI HOBTB 8KMPRK
Bico.-vuTBici : le MoM, nutrici dei poe-
ti, che hanno loro dimora sol Parnaso.
106. BuBiPiDB: celebre poeta tragico
grooD da SalamJna, n. 480, m. 406 a. C,
del qoale ai hanno didannove tragedie. -
AmiroaTB *. tragico greco, occieodaDio-
nWoll tiranno. Altri leggono Am acbsor-
TB, celebre poeta lirico greco, m. Tersoli
i78 a. C. In età di 85 anni.
107. SiM OHiDB: celebre poeta lirico gre-
co, n. 660, m. 460 a. C, del quale si hanno
diTeral e^grammi e poesie liriche. - AoA-
vxn: poeta tragico greco da Atene, n.
^, m. droa 401 a. C, delle cui opere
Bolla 6 giunto a noi.
108. oebIr: Airono poetL
lOO.^uiyi: nel primo cinghio f o nel
^nencUeot-TVK: da te cantate nelle
^ opere, opperò quasi tue oreadoni. Si
••■«vi che nel veral che seguono Virgi-
lio non intende menslonare che perso-
^HS\ cantati da Stasio.
UO. Ahtioohx: flgUa di Edipo e di
^^*<>casta, accompagnò l'infelice padre
BeU' Attica, rimase presso di lui sino alla
•■•morte, quindi ritornò a Tebe, dorè
^^'•onte la fece chiudere e morire in una
esvsma sotterranea, per aver ella dato
sepoltura al corpo del fratello Polinice. "
Devile: figlia di Adrasto re diagli Ar-
giri, moglie di Tideo <cfr. Ii^, XXXII,
180) e madre di Diomede. - aboU: so-
rella di Deiflle e sposa di Polinice. Ad
essa apparteneva «lo srenturato ador-
namento »; Purg, XII, 51.
111. Ismene: figlia di Sdipo e di Gio-
caste, sorella di Antigone. -teista: per
le grari srenture che colsero lei e la sua
fiuniglia. Vide morire tutti i suol con-
giunti ed il fldansato Girreo, e fti da
Creonte condannata a morte insieme con
Antigone.
113. QUELLA: Isifllo, cfir. Inf. XVUI,
03, che mostrò ai sette eroi che guerreg-
giarono contro Tebe il fonte Langia pres-
so Nomea; cfr. Purg. XXVI, 04 e seg.
118. EWi: nel eareoré eieoo, y. 108.-
LA figlia: Manto, Jf^. XX, 55. Altri,
riferendo evvi al primo cinghio, Togliono
che si parli qui di Dafee o di Istoriade,
altre figlie di Tiresia ; ma di queste altre
figlie di Tiresia Dante non sapeva certo
nulla; altrimenti non avrebbe detto la
figlia senta piti, e la sola Manto è men-
Bionata ripetute volte da Stado ne* suoi
poemi. Altri poi si avvisano che Dante si
dimenticasse di aver posto Manto non nel
Limbo, ma nella bolgia degl'indovini. Di-
menticania troppo strana I Cfr. per tutto
ciò Oom, Lipc, II, 481 e seg. Dicono che
ovvi non possa riferirsi ohe al Limbo,
poiché Stasio doveva sapere che quei
personaggi, morti pagani, non potevano
essere altrove ohe nell'Inferno, senza
ohe gUelo dicesse Virgilio. Ma Stado ha
chiesto: Dimmi se som daenati, v. 00.
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872 tOI^ONE SESTOl PUEG. ixii. 114-129
tlBBlVO]
115
118
121
124
127
E con le snore sue Deidamla. »
Tacevansi ambedue già li poeti,
Di nuovo attenti a riguardare intomo,
Liberi dal salire e dai pareti;
E già le quattro ancelle eran del giorno
Rimase addietro, e la quinta era al temo,
Drizzando pure in su l'ardente corno ;
Quando il mio duca: e Io credo ch'alio estremo
Le destre spalle volger ci convegna.
Girando il monte come far solemo. »
Cosi l'usanza fu li nostra insegna;
E prendemmo la via con men sospetto
Per l'assentir di quell'anima degna.
Elli givan dinanzi, ed io soletto
Diretro, ed ascoltava i lor sermoni,
Ch^a poetar mi davano intelletto.
Bonqnel-TRTI: dea marina, moglie di
Peleo e madre di Achille; cfr. Purg. IX,
84 e seg.
114. suoBi : toTelle. - DsmAidA : figlia
di Lioomede redi Soiro, amante di Achil-
le; cfr. Inf. XXVI, 02.Teti, Deidamia e
le sae aorelle tono personaggi cantati da
Staeio néiV Aehilleide,
V. 116-120. Arrivo al Betta fflr&ne.
Sono circa le ore 11 antimeridiane. I tre
Poeti sono arriratl al sommo della scala
e si troyano nel cerchio sesto. L'espe-
riensa ha insegnato a Virgilio che sa-
lendo sa per la montagna del Pargatorto
oonvien tenere sempre a destra, e poichò
Staslo acconsente tacendo, vanno tntti e
tre in tale diresione ; Stasi» e Virgilio
precedono discorrendo insieme; Dante va
dietro ad essi, ascoltando silensioeo i loro
ragionamenti.
117. DAL 8ALIBK: csscndo giunti sulla
sommiti^ della scala. - dai pabeti: dalle
sponde del macigno nel quale la scala era
incavata.
116. ANCELLE: Ore, cfr. Purg. XII, 81.
Le quattro prime ore del giorno (6-9 an-
tim.) avevano finito il loro serviiio, ed
era al timonedel carro solare l'ora quinta.
120. DBIZSAVDO : per salire verso il me-
ridiano. - l'abdkntb cobxo: la punta
estrema del timone del carro solare ; or-
tf«nte, perohò proesimo il meeiogiomo.
131. allo bstbbmo : al di friori, airorlo
estemo del girone; cfr. Purg. XIX, 81.
123. 80LBM0 : sogliamo; come abbiamo
&tto sin qui.
124. ihsbona: guida; etv.Purg. m, 102.
126. B PBBNDEMMO : e oi mettemmo fn
via con minor eaitansa che non altrove,
perchè Stailo, cui il celeste istinto do-
veva mostrare la via, acconsentì.
127. klli : eglino, Virgilio e Stasio.
128. DIBBTRO: questo tener dietro ai
due che precedono, ò bella modeetia, epe»
eie dopo che i « signor dell' altissimo can-
to » lo ebbero ftitto « della loro schiera »,
Inf. IV, 94-103. Accanto alla modestia
non manca però il sentimento del pro-
prio valore. Dante ha la cosdensa di es-
ser toUUo tra' soci contemporanei a se-
guitare le orme gloriose di Virgilio e di
Stario. - SBHMOKi : i loro ragionameati
che mi inspiravano alla poesia. « Daotes
in vita attente ansooltavit et mminavii
dieta VirgiUi et StatU. et multa didioit
poetare ab utroque eorum ; ideo non in-
gratus reddit eie debitnm honsrem»;
Benv.
V. 180-141. L^aibero mittita. Men-
tre Virgilio e Stazio vanno parlando, e
Dante 11 segue asooltando, eooo nn tà-
boro con pomi di soave e gradevole odore.
A diflTerensa dell' abete ohe va scemando
via vlaall'insù, quell'albero digradava in
senso opposto, cioè all' ingiù. A sinistra
dei Poeti cade dall' alta rooda del monte
nn' acqua limpida che si sparge sn per le
foglie dell'albero. B quando VirglUo e
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[anONS 8B8T0]
POBO. XXII. 180-143 [ALBEBO KISTICO] 578
130
133
lae
139
143
Ma tosto nippe le dolci ragioni
Un arbor che trovammo in mezza strada,
Con pomi ad odorar soavi e buoni;
E come abete in alto si digrada
Di ramo in ramo, cosi quello in giuso,
Gred'io percbò persona su non vada.
Dal lato onde il cammin nostro era chiuso,
Cadea dell' alta roccia nn liquor chiaro,
£ si spandeva per le foglie suso.
Li due poeti ali' arbor s* appressare:
Ed una voce per entro le fronde
Gridò: « Di questo cibo avrete caro. >
Poi disse: « Più pensava Maria, onde
Fosser le nozze orrevoli ed intere,
Staiio si anidiuuio, gt ode per entro le
frondi nna Tooe che grld* : « Di questo
dbo STieto penorls» . Più in là trorersn-
00 un Altro slbeib consimile, del qnsle si
dice che deriva da qnello della conosoensa
del bene e del male che Iddio fece ger-
mogliare nel Paradiso terrestre, Purg,
XXIV, 116 e seg. cft-. Oen. II, 9. Per
eonsegnensa quest' albero qoi deriverà
dsU'altio albero del Paradiso terrestre,
doèda quello della vita, i coi fratti riceve
•olamente obi vince; ofr. Apoeal, II, 7.
IM. BAOiOKi: ragionamenti di Virgilio
estasio.
133. B COME : € come r abete mette i
noi rami sempre pih sottili all'alto ohe
al basso. oosA qaeU' slbero li metteva più
•ottiU presso il tronoo e li veniva ingros-
■andò a mano a mano verso la cima, ac-
eioochè persona non vi potesae salire » ;
Cotta, Cosi pare OU., Benv., Br. B,, eoo.
SoUealtreinterpretasionicfr. Oom.Lip§,
n, 484 e seg.
180. LATO: sinistro, dalla parte del
monte. - cbiuso : « doè che non vede-
vamo anoora scala o aperta, nnde potes-
aimo montare : imperò ohe quella era la
ripa del monte, e dell'altro lato era
r aperto dèi monte ohe non ha riparo » ;
ButL
188. SI 8PAHDBVA : 8Ì spargeva sa per
le foglie ohe I* assorbivsao tatto, onde
non ima goccia ne cadeva In terra ; cfr .
Obm. L^. U, 485 e seg.
141. CABO! carestia, penarla, difotto.
Ssrete privati di questo dbo, fioche non
flato mondi del peccato della gola che qoi
si purga. L* albero non è lì per i tre
Poeti, ma per le anime purganti, alle
quali sole è diretta anche la voce.
V. 142-164. JS»empi di bèlla tempe-
ranma'jed asUnenta,, La voceoontinaa,
proponendo esempi che invitano a medi-
tare i beni dell' astinensa. Bssa ricorda
Maria, che non pensava alla propria
bocoa, ma soltanto che le noue fossero
orrevoli ed intere ; le antiche donne ro-
mane, che bevevano solo acqua; il pro-
feta Daniele, ohe spregiò dbo ed acqui-
stò sapiensa } U primo secolo, che fé' sa-
porose le ghiande e nòttare ogni ruscel-
lo; 8. Giovanni Battista, che si nadriva
di miele selvatico e di locuste, e fta d gran-
de. Chi parla, non si vede, oonfr. Purg.
XXIII, 1 e seg. : forse ò un angelo posto
sguardia dell'albero, conforme la dottri-
na che « omnia oorporalia reguntur per
angdos»; Thom. Aq., Bum. thtol. I,
110, 1.
143. NOEZB : di Cana in Galilea ; cfr.
Oiov. II, 1-11. « Maria che siede alla
mensa di Cana, vien proposta dcoome
esempio di due virtù che sono stretta-
mente legate insieme : nel secondo cer-
chio, siccome esempio di carità, Purg.
XIII, 28-30 ; in questo decome esempio
di temperansa. £ invero qudla caritate-
Tole e delicata attendono ohe alla mensa
acoorged di minima cosa che manchi al-
trui, non è se non d' uomo temperante ;
che il ghiottone, tutto occhi e anima nel
proprio dbo, non può avere la mente
a* piccoli bisogni altrui, né attendere a
satisfiu-li. > Perez»
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574 [eiROHE SESTO] PuBO. xxn. 144-154 [esempi di tbmpbb.]
145
148
151
154
Ch'allft sna bocca) ch'or per voi risponde;
E le Romane antiche, per lor bere,
Contente furon d'acqua; e Daniello
Dispregiò cibo ed acquistò sapere.
Lo secol primo, che quant' òr fu bello,
Fe'savorose con fame le ghiande,
E nettare con sete ogni ruscello.
Mòle e locuste furon le vivande,
Che nudriro il Batista nel diserto ;
Per eh' egli ò glorioso e tanto grande.
Quanto per l'Evangelio v'ò aperto. »
144. fiUPOHDB : interoedendo per toì;
ofr. Capri in Omaggio a DanU, 463.
145. AHTiCEn: nei tempi dell» repab-
blica si Mtonevano dal Tino ; « seonndom
YaL Jfoc, n, 1, 8 malieree apad Roma-
Dos antiqoitos non bibebant yinnm » ;
Thùm, Aq., 8mn, theol. II. n, 149, 4.
147. CIBO : le Tivande della taTola del
re di Babilonia, oontentandosi di legumi
e d' acqna ; cfìr. Dan, I, 3-20.
148. SBCOLPBIMO: 1* età dell'oro ; otr.
Otid., Mst. T. 88-112. Virg., Aen. Vin,
324. Jnr. XIV, 9«. Ta9§o, AmitUa, A. I,
Se. 2. Ouarini, Pattorfido, A. IV, So. 9.
140. 8AV0II0BK: saporite; cfr. Ovid,
Met, I, 103-106.
150. KtiTABBt la bevanda degli Dei;
confr. Otid., 1. 0., 111-112. Bùèt., Com,
n. 5.
151. m6lb k T.0CU8TB : di S. Giovanni
Battista JfaM. III. 4: <Sno cibo erano
locaste e miele selvatico » ; cfr. Mare.
I, 6. LnU, XI, 22. TUn,, HitL «uri,
XI. 28.
158. OBAXDE: Ofr. iTott. XI, 11. Lue,
VII, 28.
154. v'ft AFKBTO: vl è fiatto manifesto.
« I semplici fratti e rasoeUi, onde si
diletta il secolo d'oro, e il mèle e le
locaste onde nel deserto si nutre il Bat>
tista, ravvicinano e ragglnngcmo età lon-
tanissime: reta della primitiva Inno-
oenxa, a coi anco non era gasato l'ap-
petito dell' avvelenata natura, e 1* età
della santa generasione ohe le virtù
primitive rloonqnista e avania oon piti
che umana signoria sopra l'appetito fid-
iaco.... B degno tipo ai liberi amatori
della verità è il patrono di Firense, Gio-
vanni, il qnale con parca e austera vita
preparasi a immolare il proprio capo in
nn' orgia convivale, per la verità odiosa
a on re tiranno e a nna femmina ano(W
più tiranna. » Perez.
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[eiBOHl 8X8T0]
Puro. xxui. 1-10 [pina dei golosi] 575
CANTO VENTESIMOTERZO
GIBONE sesto: GOLA
l'aspetto dei golosi, forese DOKATIy NELLA
BDCPBOVEBO ALLE DOHKE FIOBEHTINB
10
Mentre che gli occhi per la fronda verde
Ficcava io cosi, come far suole
Chi retro agli uccellìn soa vita perde,
Lo più che padre mi dicea: e Figlinole,
Vienne oramai, chò il tempo che c'ò imposto,
Più utilmente compartir si vuole. »
Io volsi il viso, e il passo non men tosto,
Appresso ai savi, che parlavan sle.
Che l'andar mi facean di nullo costo.
Ed ecco piangere e cantar s'udle
V. 1-86. Za pema dei goUH. An-
dmdo ftTftott i Poeti iooontrano aoA
•obieracU golod, il cui aspetto è spftTen-
tavole A motiro della loro terribile ma-
grena. Eeei rannooontemplaodo bramo-
Monetnte alberi eariobi di fratta e spn»-
uM d* fresche acque, senaa poter gnstare
né qaelle né queste. Soffrono la pesa di
Tantalo, perobè intemperanti nel man-
giareenel bere. Cantano piangendo : « Si-
gnore, aprimi le labbra; e la mia booea
raeooaterà la toa lode » {fimbm, L, 17),
ehtedendo In grasia di Tingere a IMo ed
aDa sna lode quelle labbra ohe in Tita
ToliOfo aride a bottonerie.
1. fiOHDA X dell' albero mistioo.
8. FIOOATA: per isooprire cU gridasse
gli esempi di temperaoia.
8. AOU XJOCWLLn X Al. : ALL* UOOELUir.
-TWBsnL: la Tooe inrolTe un rlmprore-
ro a sé stesso. «Non è utile a naila la
Tita dell* uccellatore se nonalagolai e
però meriterofanente la riprende qui » ;
4. PIÙ CHK PADRB: altrove chiama Vir-
gilio sovente padre e dcloe padre i qui,
per maggior affetto, a proposito deiram-
monisione di non perder tempo, più ehé
padre. - fioliuolb: figliuolo; fbrma an-
tica, usata specialmente nel vocativo, e
a volte anche negli altri casi. Cfr. Non»
nue„ Nomi, 162.
5. IMPO0TO: assegnato per visitare II
Purgatorio.
8. SAVI : Virgilio e Stailo. - sii t < A
bene e di ooii belle cose » i Dan,
9. COR l'ahdab: il loro pariare Ikeeva
sì che io non sentiva la gravessa della
via. « Comes flMundus in via prò vehi-
eulo est » dice PubUo Siro. « Io vi poi^
terò, gran parte della via che ad andare
abbiamo, a cavallo, con un* delle belle
novelle del mondo »; Boeo., Dee. VI, 1.
10. s*UDÌi! s'udì. «Piangevano per
contrilione et vero pentimento del peo-
oato commesso, et cantavano per la epe-
rania di poterlo purgare, et purgatolo
andare alla salute » ; Land, Nel mondo i
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576 [GIBOMB SESTO] PUBG. XXIII. 11-25
[PENI DBI GOLOSI]
18
16
10
22
25
« Labia mea. Domine » per modo
Tal, che diletto e doglia parturie.
« 0 dolce padre, che ò quel ch'i' odo? »
Comincia' io; ed egli: « Ombre che vaimo
Forse di lor dover solvendo il nodo. >
Si come i peregrin pensosi fanno,
Oiugnendo per cammin gente non nota,
Che si volgono ad essa e non ristanno;
Cosi diretro a noi, più tosto mota,
Venendo e trapassando, ci ammirava
D'anime turba tacita e devota.
Negli occhi era oiascima oscura e cava,
Pallida nella faccia, e tanto scema,
Che dall'ossa la pelle s'informava.
Non credo che cosi a buccia estrema
golosi non bnunMono ohe dbo corporale,
qoi desiderano soltanto il cibo spiiitoale ;
nel mondo le loro labbra ftirono aperte
agli abbietti piaceri del gusto ed all'offesa
di Dio, qui stanno chinse a cibo ed a be-
vanda, nò si aprono ohe alle lodi di Dio.
11. ULBIA : « Domine, labia mea ape-
ries: et os meom annandabit landem
taam »; Piai, L, 17.
12. partubÌk: partorì, predasse. H
canto e la divoxione generavano diletto,
il pianto doglia, eccitando a profonda
compassione.
18. CHE È: non vedeva ancora nessuno,
nò sapeva ancora che fossero le anime
purganti che piangevano e cantavano.
15. FORSE : anche Virgilio non ò ancor
certo del &tto. - solvendo : pagando la
pena debita e soddisfacendo alla divina
giostieia; cft. Purg, XVI, 22-24.
16. PENSOSI : pensando al termine del
loro viaggio. € Non a caso in questi pel-
legrini il Poeta nota il di voto portamento
quando s' incontrano in nomo vivo ; ohe
silenzio e gravità d* atti ò belU soddisfi»-
Eione a nn visio, onde procede tanta ab-
bondansa di parole e d* atti vani, e tanto
scemasi il decoro al passo e a tutta la
persona » ; Perez.
17. OIUGNENDO : qoando per via rag-
giungono gente sconosointa. Le anime
andavano dunque nella medesima dire-
alone, cioè a destra, come i tra Poeti.
19. MOTA: mossa più velocemente, cam-
minando con passo più celere del nostro.
21. TACITA : « par ohe contradica a quel
ohe ha detto di sopra, ohe s* uA pianger
e cantare ; ma il Poeta vuol esprimer old
che sud fi»r ohi sopragiugne altri nel cam-
mino, ohe lascia ogni altra cura, a sola-
mente attende a trar da quelli la inten-
sione, o buona o rea»; YeU.,J)an,,Biag.,
Tom., ecc. Le anime cantavano e piange-
vano € solamente quando noli* aggirarsi
pel balso pervenivano ai misteriosi al-
beri. Essendo adunque i tra Poeti p senati
oltra il divisato albero, ma non di molto,
poterono perciò sentira dò ohe ivi le re-
trovegnenti anime si dioesseio. » Xonsi.,
Pogg,, Gotta, Ed. Pad., Ct., Br. B.,
FraL, Andr., eco. Questa seconda inter-
pretasione ò confortata dai pa«i Purg.
XXIII, 67 e seg. ; XXTV, 106 e seg., né
Pwrg, XXm, 64 oontradioe menoma-
mente alla medesima.
22. OSCURA ■ CAVA: aveva gli ooohi
affossati e senaa splendore; ofr. Owid.,
Met. Vm, 803 e seg.
23. SCEMA: di carne, dimagrata.
24. 8* INFORMAVA : prendeva la tema
della ossa ohe copriva, e pelU me», «m-
sumpUs oamibus, adhiesit oa meom » ;
Job XIX. 20. - « A voce gemifens mei ad-
hmsit 08 meum oarni me» » ; Fsal. o,
6. - € AdhflBsit cutis eorum oadbaa » ;
Lam&nt. IV. 8. - « PelUs noatra, quasi
oUbanus exusta èst a UMie tempesto tnm
fiamis » ; Orat. Jtrtm., 10.
25. A BUCCIA ESTREMA : a non aver più
altro indosso ohe la sda pelle riseooUta
per Dsme. Un proverbio : « Chi non la-
vora si gratta U buocUt, «
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[QIBOHE 818T0]
Pimo. xxin. 26-87 [pknà dsi golosi] 577
28
81
37
Eresitene fosse fatto secco»
Per digiunar, quando più n' ebbe tema.
Io dicea fra me stesso pensando : « Ecco
La gente che perdo lerusalemme,
Quando Maria nel figlio die di becco ! »
Parean l'occhiaie anella senza gemme :
Chi nel viso degli uomini legge *^ omo „
Ben avrla quivi conosciuto l' emme.
Chi crederebbe che l' odor d'un pomo
Si governasse, generando brama,
E quel d'un' acqua, non sappiendo comò?
Già era in ammirar (die si gli affama,
98. Xbibrohb voera: Al. Ebisitoh si
roaax. Srlaltone, 'Eptxnx^KDv, figlio di
Tiiop», re di TMsaglia o di ICirmidone
(0fr. OaUim.,Hifmn. in Oer., 24. AàKan.,
H, V. 1, 27), avendo yolato distniggere
ss» atArtk Mora a Corore, fio punito eon
ona flune inaaaiabile{ onde oonsomò pri-
ma ogni sua Motansa, poi yendetto la
pioprte figlia e finalmente inoominoiò a
■laagiani le proprie membra ; ofr. Ovid.,
JM. vm, 726-881. Laetanl., Pìae. Narr.
YIU, t U. Tutx., ad Lyooph., t. 1890 e
•eg. amtf#r, B^mbolik und Mythol. IV*,
18»eaeg.
27. h'kbbb TEMA: qnando la fiune gli
Iboe yih paura, doè quando non gli re-
■tara più altro a mangiare che il proprio
eorpo. « Vis tamen iUa mali postqoam
eananmaerat onm«n ICateriam, dede-
ratqne grayi nera pabnla morbo, Ipso
saoa artna lacero divellere morsa Coepit,
fl( inftlix minnendo corpus alebat » ;
Ovwi., KM. vm, 878 e seg.
20. LA GBHTB: i Glodei ohe dorante
raosedio di Gemsalemme (70 d. C.) sof-
Jbnero tatti gU orrori deUaflune, talmen-
te ohe ima nobU donna, di nome Maria,
oeeiae e coese il proprio figlinoletto per
cibarsi: ett.JoMpKFÌav., BéO^Jud. VI, 8.
81. l'ooobiau: le cavità degli occhi
seaibraTano dne anelli dal coi castone
fcsaero state levato le gemme, le papille
essendo tanto allbndato da non potersi
vedero.
82. OHI: teologi e predicatori mistid
del medio evo pretendevano ohe Dio
avesse seritto di proprio pagno le parole
S^mo Dei sol viso dèli' nomo. « Dice si-
eano che nel viso deQ* uomo si può leg-
gere JBohmIM in questo modo : ano deUi
87. — INt. Oornm,, 4^ edis.
orecchi è VE, e Taltro orecchio per l'al-
tro verso rivolto è ano JD, l'occhio è ano
.0, il naso colle ciglia è ano M, la bocca è
ano 1. Or dice l' Aattore che per la ma-
gressa gU occhi erano si fitti nella testo,
che r M chiaramento si scorgea. » An.
Fior. Vedi l' esposlaione relativa di an
oontomporaneo di Danto, Oom. Lipt. II,
443. Danto non ricorda l'opinione come
saa propria, ma come d'altri.
86. si OOV1KNA88I: ftMscsse tal gover-
no, oondasse qoelle anime in modo ri
q>aventovole.
86. QUXL: odor. - BAPPmrDO: forma
dell' uso antico ; ofr. Nannue., TwU, 417
e seg. Al. SAPINDO. - comò : come, in
qaal modo, dal lat. quomodo; frequento
negli antichi anche in prosa; Danto non
l'osa ohe in rima, ofr. In/. XXIV, 112.
V. 87->67. i^orese J>onaH» Un'anima,
avendo volti gli occhi profondamento af-
fossati a Dsnto, lo riconosce ed alsa nn
grido di gioia. B Danto riconosce lei alla
voce : è il già BQo amico e parento e con-
cittadino Forese Donati, soprannominato
Bicci Novello, figlio di Simone e fratollo
del fiunoso Corso (ofr. Pwg. XXIV, 82
e seg.) e di Piccarda (ofr. Purg. XXIV,
10 e seg. Par. m, 84 e seg.) morto il
28 loglio 1296. Faceva tra altre cose U
rimatore, come si ha dalla noto tonzone
di sei sonetti, cattivelli e scapestrati ansi
che no. scambiati tra' due amid (ofr. Del
Lungo, Dino Oomp, II, 610 e seg. DemU
nei toinp< di Dante, 485 e seg.) . Già in qae-
sti sonetti Danto rinfooda all'amico la
saa golosito, della qaale accnsano Forese
anche totti i oommentotori antichi.
87. Oli BRA : non conosoendo la cagione
della magreasa di qaelle anfano, io stova
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578 [QIBONB SESTO] PUBO. xxiu. 88-56
[F0BS8E DONATI]
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43
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Per la cagione ancor non manifesta
Di lor magrezEa e di lor trista squama;
Ed ecco del profondo della testa
Volse a me gli occhi un'ombra, e guardò fiso;
Poi gridò forte : e Qual grazia m' ò questa? »
Mai non l'avrei riconosciuto al viso;
Ma nella voce sua mi fu palese
Ciò che l'aspetto in so avea conquiso.
Questa favilla tutta mi raccese
Mia conoscenza alla ({ambiata labbia,
£ ravvisai la faccia di Forese.
« Deh, non contendere all'asciutta scabbia
Che mi scolora » pregava, « la pelle,
Nò a difetto di carne ch'io abbia!
Ma dimmi il ver di te, e chi son quelle
Due anime che là ti fanno scorta :
Non rimaner che tu non mi favelle 1 »
« La faccia tua, eh' io lagrimai già morta,
Mi dà di pianger mo non minor doglia, »
già in ammiraslone che cosa le smagrMie
tanto; ofr. Pwg. XXV, 30 e seg.
30. SQUAMA: pelle inaridita.
40. DSL PBOFOHDO : ofr. Y. 32. Dipin-
ge con terribile evidensa gli occhi aflba-
flati, co' quali qnell' anima lo sta rignar-
dando.
42. QUK8TA: di vederti qni.
45. CONQUISO! ohi spiega guaito, e ohi
eonquittato, oMerrando ohe la conquista
trae seco distruzione e mina; ofr. Om».
Lip$, n, 444 e seg. H senso è del resto
indubbio : Per la terribile sua magressa
non l'avrei mai rloonosointo all' aspetto,
ma lo riconobbi al snono della voce.
46. FAVILLA t la voce: Al. favella. H
snono della voce di qnell' ombra fti come
una fkvilla ohe riaccese la conoscensa di
quel viso cambiato dalla magressa.
47. ALLA: rispetto alla; droala; ofr.
Oinan., PaH. II, 2. - labbia : viso, aspet-
to ; Dante usa {oòMa assai spesso In que-
sto senso.
48. RAVVISAI : raffigurai, riconobbi.
40. OOMTKNDEBB: Bon badare alla mia
pelle asciutta e scolorata come da scab-
bia. Di oanUndétré per Por mente. Ba-
dare e simili si hanno altri esempi negU
antichi ; ofr. Obm. L^, II, 447. Al. pren-
dono ponUndtre nel senso di ntgare, pio-
tare, spiegando: Non negarmi U vero di
te per motivo della mia pelle scolorata (f).
- SCABBIA : Forese « fb nel viso mdtosokb-
bioso, e pieno di grusole»; Ltm., An.
Fior, - « Beco che finge l'autore come U
golosi erano scabbiosi ; Imperò che come
hanno ben pasciuto lo corpo, per fltflo
ben grasso e luccicante, coii finge ohe
per lo dolore e per la oontrisione ora sia
piagato ; e perchè l'abstinensia discolora
e piaga lo corpo, dice Oho mi tcolorm tm
pèUe, cioè la scabbia mi fk pallida e aoo-
loritalapeUe»;£u«.
52. IL VER: come e perchè tu ti trovi
qui. Forese e le altre anime si sono già
accorti ohe Dante è ancor vivo, come
risulto ad evidensa dai versi 112-U4.
54. BOB bimamkb: non lasciare di iia-
vellaiml, non tacere.
55. LACRIMAI : piansi, «quia tensore
mortis ploraverat super amicum ama-
tnm, et post mortem snpe susplravorat
eum»; Bewp.
50. MO: adesso, vedendola cosi tra-
sfbrmata. Al. mi dà di piakokb mg mi-
bob LA DOGLIA; doè: mi addolora e fk
piangere meno, vedendoti in luogo di
salvasione. Questo lesione ed Interpro-
tadone si riscontra con Purg, IV, Itt
e seg., e meriterebbe per avventura ìm
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[GISONS 8B8T0]
PTJBO. XXIII. 57-71 [P0BE8K DONATI] 579
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Bìspos'io Iniy « veggendola si torta.
Però mi di', per Dio, che si vi sfoglia;
Non mi far dir, mentr'io mi maraviglio ;
Cile mal può dir chi ò pien d'altra voglia. >
Ed egli a me: e Dell'eterno Consilio
Cade virtù nell'acqua e nella pianta
Bimasa a dietro, ond'io si m'assottiglio.
Tutta està gente che piangendo canta.
Per seguitar la gola oltra misura,
In fame e in sete qui si rifa santa.
Di bere e di mangiar n'accende cura
L'odor ch'esce del pomo e dello sprazzo
Che si distende su per la verdura.
E non pure una volta, questo spazzo .
Girando, si rinfresca nostra pena:
preferensa (ofr. Chm, Lipt. n, 448 e
8eg.)« so U veggendola ti torta del ▼. se-
foente non p«rtMM troppo fortemente
in fkTore della oomnne.
V. 68-75. Bagione del ditnoffrare
éeUe tmime, Tormentito dalia oorlo-
dtà. Dante non è anoora capace di par-
lare di aè; e, inrece di rispondere alla
domanda dell* amico, chiede a Ini la ca-
gione dello apaventerde dimagramento
delle anime di qoeeto cerchia Foreee gli
dà pronta risposta. Le anime che Tanno
in giro per qnesto cinghio si fermano
deeioaamente ogni yolta che glongono
dinanzi a* bei frntti ed alla fresca vena,
che non possono arriyare né con lab-
bra nò con mano; e dalla vista e dalla
fragransa dei pomi e delle acqne spira
nna segreta virth che sempre più accen-
de il lor desiderio di cibo e di liquore,
e ooal dolorosamente le scema e le strug-
ge. Cfr. Ov., M0L IV, 468 e seg.: « Tibi,
Tantalo, nnllce Deprehendnntnr aqne,
qweqoe imminet, eflTtagit arbos. »
58. SfOOLiA: dimagra; presa l'imma-
gine o dall'albero che perdendo le foglie
b1 disaeeoa, oppure dagli strati mosco-
lari e adiposi che, come fogli in libro,
si sovrappongono l'uno all'altro a com-
porre il corpo dell'uomo o dell'animale.
69. DIK: parìare; non formi parlare
cosi ripieno come sono di maraviglia,
ehè mal pnò ragionare ohi ha l' animo
preoceopato.
61. dell'btkbro: ai. dall' ktkbno.
Dal divino volere, che cod dispone, s'in-
fonde nell'acqua e nell'albero la virtù
ohe mi dimagra a tal segno.
68. BIMASA: erano già passati oltre,
T. 4 e seg. - m'amottiouO: dimagro;
Al. MI BOmOLIO.
64. I8TA : questa. - piakobhdo cauta :
o quando arriva presso l'uno degli alberi
misteriosi, oppure Incessantemoite. Ma
almeno Forese, che non è più presso al-
l'albero ed all'aoqua che cade dall' alta
rocda, non piange e non canta, nà di un
piangere e cantare altrove che presso gli
alberi Dante fa alcun cenno.
65. PER sKOUiTABt per aver seguitato
vivendo. - oltba mibuba: « Hoc solnm
pertinet ad gulam, qnod aliquis propter
oononpiscentiam cibi deleetabilis sdenter
excedat mensuram in sdendo »; Thom,
Aq.» Bum. theol, n. n, 148, 1. Al. OL-
TBE MISURA.
66. SI RIFA: soffrendo fome e sete si
purga dal peccato della gola.
67. CURA : desiderio. La fome è in noi
suscitata dal soave odore dei frutti del-
l'albero, la sete da quello dell'acqua che
casca giù dalla rocda e si sparge in sprua-
tì su per le foglie dell'albero.
68. POMO: cfr. Inf. XVI, 61. Purg,
XXVII, 116 e seg.; XXXII, 73 e seg. -
DELLO SFRAZZO: dell' aspersione ; confr.
JH4g, WSrt. H«, 70.
60. 81 DISTENDE : SÌ Sparge su per le ver-
di fogliedeU'albero ; cfr. Purg. XXIT, 138.
70. SPAZZO : suolo ; ofr. Ir^f. XTV, 18.
Borghini, Studi, ed. Gigli, 248.
71. SI RUfVEiscA : SÌ rinnova. Le anime
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580 [GIBONS 8B8T0] PUBG. ZZIII. 72-79
[FOBBSB DONATI]
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Io dico pena e dovrei dir sollazzo ;
Che quella voglia all'arbore ci mena,
Che menò Cristo lieto a dire '^ Eh „ ,
Quando ne liberò con la sua vena. »
Ed io a lui: € Forese, da quel di
Nel qual mutasti mondo a miglior vita,
Cinqu' anni non son vòlti infino a qui.
Se prima fu la possa in te finita
girano aens» requie, e qnante rolte ease
«rriyano preeeo «D'albero, altrettante d
rinnova il snppllsio. Da qneato Terso al-
onni {BuH, Br. B., FnU,» Andr., eoo.)
inferirono» esservi in qnesto girone non
par due, ma più alberi oondmili. Pnò
darsi ; ma di dne soli Dante fli mendone.
72. SOLLAZZO: le anime purganti sop-
portano le loro pene non solo oon calma
e oon deooro, ma le desiderano e se ne
oompiaodono, oonosoendone lo scopo ed
essendo il loro volere già conforme al vo-
lere di Dio. « Glorlamnr in tribalatio-
nibns > ; Bom, V, 8. - « UH, qni sont in
Purgatorio, sdnnt se non posse perveni-
re ad gloriam, nisi prins pnniantnr : ergo
volont pnniri » ; Thom. Aq., 8um. theoL
III, Sappi., Àpp. 2, 2. - « Non credo che
si possa trovare contentesia da compa-
rare a quella d'nn'anima del Purgatorio,
eooetto quella de* santi nel Paradiso » ;
8. CkU, di Om., TraU. del Purg., e. 2.
78. voQUÀ ; di conformare la nostra
alia volontà di Dio. Se la voglia mena le
anime all' albero, il loro girare e softrire
ò volontario e necessario insieme : volon-
tario, perchè voluto ed amato dalle ani-
me ; fieeettario, perchè voluto da Dio.
74. ▲ DIRE Sci : a soffrire la morto del-
la croce e sentirsi abbandonato da Dio ;
cfr. Jfott. XXVn, ilo. Marco XV, 84.
Salm. XXI. 2. Eli è 1* ebr. «l^^^, che si-
goiflca: Dio mio, D Poeta rammentali
grido di Cristo sulla croce :^« Deus meus.
Deus meus, ut quid dereliquisti mef »
ricordando oon ciò il momento il più do-
loroso e più tremendo della passione del
Salvatore.
75. VKNÀ : col saogue delle sue vene,
collo sparso suo sangue.
V. 76-98. UttatmoffUe e vedova vir-^
tMosa; NMa JDoMoH. Vivendo ancora
Forese, nella ricordata tonsone di so-
netti, Panto così «veva sorfttQ sulla tri-
sta oondlalone fktta alla moglie sua da
Forese:
Chi «dine toMlr la BMl ftttata
MogUs di Bleel, vooaìo Forsis,
Potrebbe dir ehs la fkwM venata
Ore 11 fk *1 eristallo In quel pMW.
Di meno agosto la trovi infreddata;
Or sappi ohe de'Ikr d*Ofnl altro meosl
B non le vai perohè donna oalsata»
Mercè del oopertolo o* ha oortoneee.
La toioe, U fredda e 1* altra mala voglia
Non le addivlen per umor oh* abbia vecohi.
Ma por difetto fih'oUa eeote al nido.
Piango la madre, o*ha più d*Qna doglia:
DIeendo : < Laaea, ohe per Aehl oeoÀi
Mo»M l'avrò* in csm U conto Gnidel »
Come nel rimanento del colloquio con
Forese, Danto deplora pentito il ano
contegno verso l'amico e parento, v. 115
e seg., così in questi versi egli ritratta
ciò che in tempi del tutto dlvéM avev»
scritto di poco riguardoso contro la po-
vera Nella, la quale è qui non solo v^
dova fedele, ma l'unica donna virtnoea
che viva a Firense ; una donna, le coi
preghiere « sorgendo su di cor ohe in
grasia vive », Pttrg. IV, 134, furono udito
in cielo ed accorciarono al marito de-
funto il tempo ohe avrebbe dovuto sta-
re nell'Antipurgatorio. Intorno a Nella
(Nella è accordamento di OiovatMétta)
non sappiamo storlcamento nulla, ed
anche i comm. ant. non fumo che am-
pliare e parafrasare i versi di Danto;
ofr. Bneid., 1817 e seg.
78. VÒLTI: non sono anoora passati
cinque anni dalla tua morto. Storlca-
mento esatto, Forese essendo morto il
28 luglio 1296 ed avendolo Danto, se-
condo la flnsione poetica, trovato nel
sesto girone la primavera del 1800. Ha
perchè non disse quaUr^anni inveeedi
Hnqu'annit
70. 8B PRIMA : SO indugiasti la penitensa
sino sgli estremi. « E questo oosese bene
l'Autore per la oonversaiione oontiaova
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teiBONS 8BST0]
PuBO. ixiii. 80-94 [nella donati] 581
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Di peccar più, ohe sorvenisse l' ora
Del buon dolor oh' a Dio ne rimarita,
Come se' tu quassù venuto ? Ancora
Io ti credea trovar laggiù di sotto,
Dove tempo per tempo si ristora. »
Ond'egli a me: « Si tosto m'ha condotto
A ber lo dolce assensio de' martiri
La Nella mia col suo pianger dirotto.
Con suoi preghi devoti e con sospiri
Tratto m'ha della costa ove s'aspetta,
E liberato m'ha degli altri giri.
Tant'è a Dio più cara e più diletta
La vedovella mia, che tanto amai.
Quanto in bene operare è più soletta;
Chò la Barbagia di Sardigna assai
eii*élli «Ter» ool detto Forese; ed osto
Anfore fii qnegll ohe, per «more ehe
«reT» in lui e flaniUaritede, lo indaaae
aIIa conlènioiie ; e* conlbseoesl ft Dio ansi
r ultimo fine»; Ott,
81. BUOH DOLOB: il dolore del penti-
mento ohe d rioongiunge con Dio.
82. AHOOBÀ : io oredoT» di troyarti «n-
eor» laggiù nell'Antipurgatorio, dove
thì indugiò la penitenxa Ào agli estre-
mi, dere attendere tanto tempo quanto
tìbm; efr. Purff IV, 180 e seg.; XI,
127 e seg. Sulle diTorse lesioni e in-
terponaioni di questo verso cfr. Oom.
L^. n, 468 e seg.
85. OHD* ■OU: Al. MD lOU.
86. ▲ BBB: a gustare quei patimenti
elM d sono dold perchè salnàferi.
89. GOOTà: dell'Antipurgatorio. AI.
▼JLLLB.
90. ani: dei primi dnque gironi del
Purgatorio. Oltre quello della gola, Danto
rfaCseda a Forese nd sonetti mensionati
audio i visi della superbia e della prodi-
gdità.
91. Tjkirr'ft: la redora mia ohe amai
tanto, è tanto più cara e diletta a Dio,
quanto più dia è solitaria a Ilrense nel-
r essere oasta e rereoonda.
92. TAXTO AMAlt Al. MOLTO AMAI. Può
stare Tnna e V altra ledono. Dioe qui per
r appunto il eontrario di quanto aveva
detto nd sonetto toste rifiorito; nuova
prora ohe abbiamo qui una meditota, so-
leone ritrattadono dei sonetti contro
V. 94-111. ZI ravfdo détta meda"
glia: le donne fiorentine. Alle dell-
eato lodi dato a Nella, segue una tre-
menda invettiva contro le sfhcdato don-
ne fiorentine, più impudiche delle donne
della Barbagia, sikcciato a segno da co-
stringer le autorità ad interdir loro certo
mode lasdve e da attirare sopra loro
tremende le punisioni del dolo. Bensa
dubbio Danto ebbe le sue buone ragioni
di inveire ood torribilmento contro le
sue condttadine; ma indubbio è pure,
ohe egli generdissa un po' troppo, e che
le donne fiorentine del 1800 non erano
pd tutto quanto corrotto ad eccedono
della vedova di Forese. Inattondiblle è
l'opinione che queeti verd vadano d-
l'indirisso di Gemma Donati, moglie di
Dante, la cui età, per tacer d' dtro, nd
tempo che Danto detteva questi verd,
aveva già provveduto che non incor-
resse più nd biadmo qui espresso; cfr.
ProUg., 48 e seg. Qiova tuttovia ram-
mentare, che recentemento d affermò
sansa complimenti e, oom' è naturde,
sansa prove, che la moglie di Danto Ai
« una donnaccia fredda di cuore, avara,
gelosa e lussuriosa » {NoeiH, Orar,, 17).
Scusato se è pocol
04. Babbaoia i regione dpestre della
Sardegna, dei cui abitanti 8. Gregorio
(Bp. m, 26, 27) ebbe a dire che vivevano
tutu come anlmdi insMisati. «Montanea
est.... in qua habitat gens silvestris dne
lego, sino religione vera; qua» dldtnr
remansisse ibi, quando insula ftiit reou-
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582 [6IB0NB SESTO] PUBQ. IXIII. 95-108 tl>ONHB FIOBSHTIHl]
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Nelle femmine sue è più pudica
Che la Barbagia dov'io la lasciai.
0 dolce frate, che vuoi tu ch'io dica?
Tempo futuro m' è già nel cospetto,
Cui non sarà quest'ora molto antica.
Nel qual ^arà in pergamo interdetto
Alle sfacciate donne fiorentine
L'andar mostrando con le poppe il petto.
Quai barbare fnr mai, quai Saracino,
Cui bisognasse, per farle ir coperte,
0 spiritali o altre discipline?
Ma, se le svergognate fosser certe
Di quel che il ciel veloce loro ammanna,
Già per urlare avxlan le bocche aperte;
porata de manibiu barbaromm de Afri-
ca, qooram muliereB saiit nimis Inbrlo»
et impodio», permittontibofl vlris. Kain
prò oalore et prava oonraetndine Tadant
indate panno lineo albo, exoollata ita,
nt oetendant pectos et abera. » JB^no.
Cfr. Bau, 127.
96. LÀ Barbagia.: Firenxe, noTolla
Barbagia in qaanto alle sne donne, dove
io morendo lasciai la Nella mia. Così quasi
tutti. LMn. Fior, intende invece della
casa dei Donati ; ma i versi 100 102 pro-
vano ohe Dante parla di Flrense.
97. CHE VUOI : che cosa posso mai dire
di più?
98. M* ft Oli : vedo sin d' ora nella mia
mente; lo prevedo già.
09. CUI NOM BABÀ: pooo lontano; cfr.
Purg, XX, 70. Par. XVU, 118-120.
100. IHTBBDBTTO: proibito in pnbblloo
dal pulpito. Dalla terzina seguente ri-
salta che non accenna qni a prediche
contro lo scandaloso vestir delle femmine
{Lan., OU., An. Fior., BvH, Veli., ecc.),
ma o a decreti vescovili e pene canoniche
bandite dal palpito contro le s&cciate
usanze, oppure a provvisioni della Si-
gnoria simiU agU ordini iktU nel 132i;
cfr. Q, ViU, IX, 245. n fatto spedale al
quale Dante allude, ò ignoto.
103. QUAI BABBARK: « qUCStO diOC iu
Infamia e vituperio delle dette donne; di-
cendo che il primo atto e il pih popolesco
e volgare della onestade della femmina
è il tenere coperte quella membra che la
natura richiede che sieno chiose; e però
quello ohe è naturale, in ogni laogo è uno
medesimo. Onde dice: le Barbare, le quali
sono si partiteda' nostri oostnmi, eie Sa-
radne, che sono oosl date alla lussniia,
che dovunque la volontà giunge, quivi
per l'Alcorano di Maometto si dee sod-
disfare alla lussuria, si vanno coperte le
mammelle e '1 petto; e voi, ohe dovete
vivere per legge romane, avete bisogno
d'essere scomunicate e pubblicate in
piazza. » Ott,
107. DI QUBL : delle sventare ohe il dolo
prepara loro in tempi prossimi. Dopo il
1800 Firenze fin colpita da una lunga se-
rie di sciagure : le ruberie, gli incendi ed
omiddii che tennero dietro alla venata
di Carlo di Valois, <?. ViU. Vin, 49 ; le no-
dsioni per opera di Folderl da Calvoli,
O. ViU. Vm, 59 ; l'infausta guerra dtte-
dina del 1303, O. ViU. VHI, 08, accompa-
gnata da grave carestia; la oadota del
ponte alla Carraia con morte di molta
gente e con gran pianto e dolore di tutta
la città, Q.Vm. Vin, 70; U terribile io-
cendio del 1304 per cui furono distratti
tra palassi e torri e case più di miUeset-
tecento, <?. ViU. VIU. 71 ; la seonfltta a
Montecatini, agosto 1816, nella quale «di
Firenze vi rimasono qoad di tatto le
grandi case e di grandi popolari »; O. VitL
IX, 72. Kon si può indovinare a quali
frktti spedali alluda qui il PoeU. I>el
tutto inattendibile ò l' opinione ohe si
alluda qni alla venuta di Arrigo VII
contro Firenze nel 1812, chò in quel
tempo le donne fiorentine non ebbero
gran motivo di urlare, ma piattosto di
rallegrarsi ed insuperbire.
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[GIBCHrB 8X8T0]
PUBO. XXIIL 109-122 [00NFSS8I0HS] 583
10»
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115
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121
Che, se r antiveder qni non m'inganna,
Prima fien triste che le guance impeli
Colni ohe mo si consola con nanna.
Deh, frate, or fa' che più non mi ti celi!
Vedi che non piur io, ma questa gente
Tatta rimira là dove il sol veli. >
Per ch'io a Ini: « Se ti ridaci a mente
Qnal fosti meco e qnaie io teco fui.
Ancor fia grave il memorar presente.
Di quella vita mi volse costui
Che mi va innanzi, l'altr'ier, quando tonda
Vi si mostrò la suora di colui. »
E il sol mostrai: € Costui per la profonda
Notte menato m'ha da' veri morti,
109. L* AmvsDKB ! 1« previsione degli
eventi ftitari; ofr. Iì^, XXVm, 78.
110. FDDi: swanno dolenti prima ohe
i CuMlnllini adeeso lattanti inoominoino
a mettere 1* barba. Par quindi ohe al
allada a Iktti posteriori al 1304. Del re-
sto r indioasione è troppo indeterminata
per dedurne oonolosloni.
111. 9àxmkx Tooe naata dalle donne
eoHaDdo per addormentare 1 bambini.
V. 112-133. reeeaio eonfmtato Ri-
pregato d* Forese di dirgli oramai il
rero di sé (ofr. t. 62), Dante prima ram-
menta r antioo e poco ediileante modo di
procedere dei dne amici l' uno verso Tal-
tro, tndfsio eerto di una vita tatt* altro
che santa ; quindi raooontasacointamente
eome VtrgiUo lo traesse da tale vite, lo
gnldaase attraverso 1* Inltoio sin qni, e
prometta di guidarlo oltre, sinché Bea-
triee gli verrà incontro.
112. OB FA* : adesso che ti ho soddl-
sihtto, non indogiar più a dichiararmi
per qiiale nnova concessione tn, ancor
vivo, sei venuto qui nel regno della
morta gente; cfr. v. 62 e seg.
112. HOM PUB: non io solamente, ma
anche gli altri spiriti; i quali sembra
aveasero allentato il passo, stope&tti di
vedere colà un nomo vivente.
114. VBU! fld ombra.
115. TI BIDUa A MBRTE: ti ricordi, ri-
Ilo. QUAL rOBTi: quali Airone le no-
stre vicendevoli reiasioni; che non d' al-
teo che di queste relaaioni si parla in
questo luogo e di una vita mal discipli-
nata e scorretta non si fli il menomo
cenno. Quali queste reladoni fossero, si
vede pur troppo dal meosionati sonetti,
che forse non fhrono i soli di questo ge-
nere che i due amici si scambiarono. In
uno di essi Dante si lasciò andare a segno
da oltraggiare la madre di Forese ; nella
sua risposta questi oltraggiava il padre
di Dante, ecc. Si comprende di leggieri
che il memorare questo contegno vicen-
devole dei due amici e parenti, doveva
esser loro tanto pih grave, inquanto la
loro tensone era divulgata e conosciuta
fora' anche troppo.
117. AHOOB FU OBAVB : il BetU vuol in-
tendere: «Se ti rammenti quanto cara
fosse la nostra amicicia, puoi ben credere
quanto mi pesi il dover dire che, rima-
nendo tu in queste pene, io tra poco
n' andrò a vedere le beatitudini del Pa-
radiso. » Ma il Betti non conosceva la
tensone di Dante con Forese.
118. VITA : leggiera e spensierata, come
dovette infatti essere qnelladeldue amici
nel tempo che si scambiavano quei so-
netti. Dante identiaca qui tal vita colla
teUm o«0ttr», dalla quale Virgilio lo trasse
per condurlo attraverso 1 regni dell'e-
ternità.
110. L*ALTB*iBBt Cinque giorni Ih. -
TORDA : cfr. Ifkf. XX, 127.
120. LA 8U0BA: la luna (Diana) sorella
del sole(Apollo); ett.Pwrg, XX, 180 e seg.
121. PBOFONDA NOTTB: T Inforno ; cfr.
Purg. I, U.
122. DA* VEBi: Al. DB* VBBI. Chiama i
dannati veri morti, perché privi non solo
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584 [eiBONs BS8T0] PuBG. xxin. 123-188
[OOHFSSSIONS]
124
127
180
183
Con questa vera carne che il seconda.
Indi m' han tratto sa li snoi conforti,
Salendo e rigirando la montagna,
Che drizza voi che il mondo fece torti.
Tanto dice di farmi sna compagna,
Oh' io sarò là, dove fia Beatrice :
Quivi convien che senza lai rimagna.
Virgilio è qnesti che cosi mi dice; »
E addita' lo: « e quest'altro è qaell^ ombra.
Per cui scosse dianzi ogni pendice
Lo vostro regno ohe da so lo sgombra. >
della Tita corporea, ma etiandio della di-
Tina grada e diyennti preda della « se-
conda morte », Ir^, I, 117. Cfr. Pfolm.
XLVni, 16.
128. VERA CABNB: oon qneeto corpo
reale ohe Ik ombra e tien dietro a Vir-
gilio.-il 8X0ONDA: ofr. If^, IV, 16.
124. iKDi: àaXXm pr(^fànda natte, con-
fortato da Ini, sono vennto quassù, «a-
lendo le scale della montagna che sono
dall'nno all'altro balco e rigirand4> in-
tomo ibaLd.
126. DRIZZA : TÌ ttk diritti, purificandovi
dalle colpe della vita terrena. O forse
drizzare Tale anche qoi, come altrove,
wdirizzaré, dirigere, ed il senso è : che
▼i dirige a Dio, da cni il mondo yi foce
deriare.
127. DICE : cfr. Ir^, I, 112-128. Purg.
VI, 46-48. - compàomà: compagnia, cfr.
Inf. XXVI, 101. Furg, in. 4. Potrebbe
qni anche essere il fomminile di com-
pagno, essendo V anima di Dante ehe
parla e distingne da sé la vera eame,
il corpo.
129. QUIVI: ginnto die sarò dove è
Beatrice, VirgiUo mi lascerà (ofr. JV.
1, 128), onde mi converrà rimanere sensa
Ini; cfr. Purg. XXX, 48-64.
180. VmGiuo : risiMmde ali* altra do-
manda di Forese: «Chi son qneUe due
anime che là ti fonno scortai * v. 6S-68.
181. ADDITA* LO : lo additai, lo mostrai
col dito. - QUI8T*ALTB0: non nomina
Staxio, ma dice soltanto che 1* altro sao
compagno è qnegll, la cni liberasione Ita
annunciata testé dal terremoto, fi diffi-
cile indovinare per qnal motivo Dante
ne abbia tadnto il nome i cfr. €hm. lÀp».
II, 461 e seg.
138. REGNO: il Porgatorio; cfr. Pwrg,
I, 4. - LO sgombra: lo licensia perobè
salga al cielo, essendo già oompinta la
sua pnriflcacione.
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[GOOn 8K8T0]
PUBG. XXIY. 1-8
Oiccàbdà] 585
CANTO VENTESIMOQUARTO
GIBONB sesto: GOLA
P0BI8B DONATI, PICOiBDÀ, BONIOITTIITÀ DÀ, LUCCI, PAPI MASTINO IV
UBALDIN DALLA PILA, BONIPAZIO, MBSSBB XABCHK8K
LA OBNTUCCA, C0B80 DONATI, BBCONDO ALBBBO MISTICO
B8BMPI DI eOLOSITi, L'ANOBLO DBLL' ASTINENZA
Nò il dir randar, nò l'andar lai più lento
Paoea; ma, ragionando, andavam forte.
Si come nave pinta da bnon vento.
E V ombre, che parean cose rimorte,
Per le fosse degli occhi ammirazione
Traean di me, di mio vivere accorte.
Ed io, continuando il mio sermone,
Dissi: cElla sen va sn forse più tarda
T. 1-15. rieenrda JDonaH. Conti-
Biuttido insieme il oammlno per n girone,
Bute domsnd* dove si* Plcoard* e pre-
Ctramieo di dirgli ae tra qneUa gente ri
«i* penona noteTole. Farete risponde ohe
iuiordlaè già in Paradiso. Pioowdftftì
figlia di ffimone e sorella di Forese e di
Clono Donati. Fattasi monaoa di Santa
CUara, fti tratta Tiolootemente dal mo-
ustoro e data in moglie a BoselUno della
Toss; efk'. P»r. m, 8Ì-51, 108-108. To-
d$kMni, SeritU m» D. I, 888 e seg. Fm-
•mOs, Pieoarda Donati, nel Pr^fugna-
t9r€ di Bologna IX, 2, p. 106-127.
L Ha IL IHB: il parlare non UnooTa più
lento l'andare, e l'andare non faooTa più
lotte il parlare, vale a dire andavamo in
fretta oonreraando animatamente; ofr.
Artotto, Ori, XXXI. 84.
2. FOKR: per Dante tìto ; per le anime
tieppo lentamente, efr. r. 8-8, 81 e seg.
8. POTA: spinta. « Addnoe la similita-
dine eke andiavaiio fòrtemente come la
nave quand'olia è spinta dal bnon Tento,
e ood noi oh'eraTamo condotti sa dal
buon volere, guidati dalla grada di Dio »;
BuH. - « Acconcia similitadiDe, in quanto
]' idea del buon vonto che spinge la nave
oonsuoDa metaforicamente al buon desi-
derio che è nel Poeta di giunger presto
al termine del misterioso viaggio; e in Fo-
rese, di compiere reapiasione»; L, Yent.,
Sima., 602.
4. KDfOBTB: morte per la seconda volta,
tanto erano pallide e squallide, fi il bi-
blico: « alberi.... morti due volte»; Giu-
da, 12. Cfr. Cam. lÀp: II, 468 e seg.
6. PER LB FOflSB: ooÌ loTO oochj profon-
damente incavati (cfr. Puirg, XXIII, 22,
81) e stupite di vedere persona viva.
7. SBBMOint: il discorso incominciato
nel V. 115 del canto antecedente.
8. BLLA ! r anima di Stasio (della quale
aveva appunto inoomindato a parlare,
canto antecedente 181-188), per godere
della compagnia di Virgilio (cfr. Turg,
XXn, 86) sale forse in cielo più lenta-
temente che non ikrebbe se fosse sola.
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586 [OIBONB 8B8T0] PUBO. XXIT. 9-
[ILCUNI GOLOSI]
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18
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22
Che non farebbe, per P altrui cagione.
Ma dimmi, se tu '1 sai, dov'è Ficcarda;
Dimmi s' io veggio da notar persona
Tra qnesta gente che si mi riguarda. »
€ La mia sorella, che tra bella e buona
Non so qual fosse piò, trion& lieta
NelP alto Olimpo già di sua corona. »
Si disse prima; e poi: « Qui non si vieta
Di nominar ciascun, da eh' è si munta
Nostra sembianza via per la dieta.
Questi » e mostrò col dito, € è Bonagiunta,
Bonagiunta da Lucca ; e quella faccia
Di là da lui, più che l'altre trapunta,
Ebbe la santa Chiesa in le sue braccia :
9. FBB l'altrui : per amor di Virgilio,
« per troyarsi con lai e star più con lui »;
BuH.
11. DA HOTABt degna di nota; ofir. J^.
XX. 104.
13. TRA BRLLA : « alla domanda satisfa-
cendo, dice Forese ohe Plocarda, la qnale
fa molto bella del corpo e molto intera
dell'anima, e si che non sa se la bontade
avanzò la belletsa, o la bellessa la bon-
tade, già della sna vittoria eh' ebbe con-
tro al mondo, trionfi» net Cielo »; Ott.
V. 18-88. Pertone notevoli «tei gi-
rone del ffotoH, Bispondendo all'altra
domanda di Dante, Forese gli mostra
e nomina dnqae personaggi degni di
nota: nn poeta, an papa, nn fratello di
cardinale e padre di arciresoovo, mi ar-
civescovo ed un nobile cavaliere: dae
persone di Chiesa e tre secolari.
18. QUI : in Pargatorio, dove nessnna
delle anime si vergogna di essere nomi-
nata, come fimno invece molte anime
nell' Inferno.
17. DA cb' È : poichò la nostra sem-
biansa è cosi munto via (— attenuata e
qoasi svanita) per il digiuno, che al volto
non possiamo essere riconoeoiati ; confr.
Pwrg, XXIII, 48 e seg. Altri intendono :
Poichò la nostra sembianza ò molto mun-
to:cfr.£MH 11,78.
19. BoMAQiUNTAt flgUo di Riocomo di
Bonagianta Orblcciani degli Overardi da
Locca, morto poco dopo il 1296, nel de-
oembre del qoal anno si trova mensio-
nato come operaio della Chiesa di San Mi-
chele. Si hanno di lai molte poesie ohe lo
mostrano servile imitatore dei pnrreii-
sali, assolatamente privo di originalità
e rosso nella lingua e nello stile. Dante
lo mensiona con biasimo anche alteove.
De Vulg. EL I. 18. Cfr. MimvioUhk i>.
« « tuo «M., 222 e seg. LMOchetimi, Mem.
€ Dooum. per servire atta itoria dei ducato
di Luóea IX, 82 e seg. Snticl.» 272 e se^ .
« Fait vir honorabiUs, localentns orator
in lingua materna, et UmÌIÌs Inventor
rhythmorum, sed fiMdIior vinomm, qui
noverat autorem in vita, et aliqaando
sorlpserat albi.... Fait maximos magister
gnlositatam. » Benv.
20. FAOCLà : < non dice (Quegli diìàda
lui, ma pur qiuUa faeeiat per tener ohi
1«KS0 pl^ affissato all' idea della emacia-
sione : la quale troppo più ohe altrove
nella facda apparisce; ed anche, po^
chò le flettesse che contraddistfai^aoiio
nno dall'altro, dimorano in Ispadeltà
nella ikooia »; Oet,
21. PIÙ CHS l'altri: quelle ombre
erano qual più qual meno dimagrate,
secondo che avevano più o meno pee-
cato di golosità. Costui, eh* ò il più m*-
gro di tutti, sarà dunque stato il più
goloso. - TRAPUHTAt estenuata.
22. rbbb: fa sposo della chiesa; ofr.
Inf, XIX, 67. fi questi Martino IV,
papa dal 22 febbraio 1281 al 29 marao
1286, che lasdò di so fluna di pontefloe
magnanimo (cfr. Q. YHL VII, 68, 106),
ansi di sant'uomo (cfr. Mwrat,, Serifi,
m, 1), benchò fòsse troppo ligio a Carlo
re di KapoU. « Fo molto visloeo nel Vi-
sio della gola, e fra l'altre ghiottomie
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[«BORB 8B8TO]
t^TJBO. XXIT. 88-81 ULOtNI GOLOBi] 587
25
28
n
Dal Torso fu, e purga per digiano
L'anguille di Bolsena e la vemaocia. :
Molti altri mi nomò ad nno ad uno ;
E del nomar parean tatti contenti,
Si ch'io però non vidi on atto brano.
Vidi per fame a vóto asar li denti
IJbaldin daUa Pila e Bonifazio,
Ohe pastarò col rocco molte genti.
Vidi messer Marchese, ch'ebbe spazio
nel mangiMe oh'eUl hmta, faoea tArre
rangvllle del Iago BolMDft, e quelle fltoe*
anaegare e morire nel rÌDO dell* ver-
medm, poi fktto «rroeto le nuuiglaTa;
ed er» laute aoUiolto a qnel boooone, ohe
eontlniio ne Ti^ea, e fMwale curare e an-
negare odia aoa camera. E circa loflifeto
del Too^v non ebbe né oso né misura
alcuna, e quando olii era bene incerato,
dieea : *' O sanctus Deus, quanta mala pa-
tfanor prò Bcdesiasancta Dei I „9Lan,'
« Fteiebat coqoi angnillas lacos Bolsene
ia Temaooia.... Unde snper eins sepolcro j
fertnr qiiod sant isti dno rersns : Oao-
deat angnille, quia mortans bio iaoet ille
Qui qoaai morte reas escoriabat cas. »
PoiUU. Oà99. Altre notizie Oom, lAp»,
n, 4M e seg. Cfr. Mwat., Script, ni, i,
608 e seg.} XI, 1185 e seg. Baynald.,
Aninal. ced. ad a. 1281-85. Potthoit, Re-
geH. Poniif. Som., 1756 e seg. Duehétne,
Oar^Unaua franf. I, 283 e seg. Iffugd.,
OhaineeUisra de Franu, 284 e seg.
23. DAL T0B8O : Martino IV Ai di Mont-
piaoé nella Brio, ma è detto dal Tono
(cioè di Toors in Francia) per essere
stato ieeoriere di quella città.
26. coHTXirn : non disgnstati ; neestmo
se la prese in mala parte, onde nessono
fece im segno di dispiacere, o on atto
seorteee sentendosi nominare. Il con-
trarlo J«|f. XXX, 100 e seg.; XXXII,
112 e seg.
28. UBAB : Tldi maoTcre invano 1 denti,
come se ridessero mangiare. « Petit ille
dapea anb imagine somni, Oraqoe Tana
moret, dentemqoe in dente ISstfgat, Exer-
oetqne cibo delnsom gattor inani: Pro-*
qne epolla tenoes neqnicqnam derorat
aoraa »; Ovid,, Met, VIU, 827-830.
20. Ubaldin : del ramo della nobile fa-
miglia degli Ubaldini che si denominò
dal castello deUa Pila nel Magello, fra-
tello del cardinale Ottaviano (JV. X,
190) e di UgoUno d'Asso (Pwrg, XIV,
106), padre dell'arcivescovo Bnggieri
{Jnf, XXXm, 14). « Fa molto goloso e
peccò molto in volerne in qnantltà oltra
misera »; Lan, - « Peccò nella eledone di
più diletti dbi »; Ott. - Valente nomo
lo dicono altri comm. anticbi. Vedi pare
Firanco Saechetti, nov. 206. - Bonutazio:
dei Fieschi, conti di Lavagna, genoveee,
nepote di Papa Innooenso lY, arcive-
scovo di Bavenna dal 1274 sino alla saa
morte, awennta il 1^ febbraio 1296. Fn
pinttosto agitatore politico che pastore
d'anime, eccessivamente amante del loa-
so, mentre invece la taoda di goloso fta
procarata alla eoa memoria soltanto da
Dante; ofr. Oom. Lipi, II, 468. Ricci,
UìHmo rifugio, 120.
80. BOOCX) : pastorale o bastone con in
dma ona piccola torre simile al rocco
degli scacchi. CAr. EneicL, 1602 e seg. -
MOLTS OKMTi: che nella soa dignità di
arcivescovo mantenne intomo a sé, vi-
vendo lautamente. Finissimo sarcasmo ;
cfr. Ricci, op. cU., 121 : < Il verbo jKMdt-
rarc presenta in qaesto caso dne tagli
e con r ambiguità determina l' epigram-
ma fra il piuturare il gregge cristiano
con la parola evangelica e U i^età, e il
p<uturare o sfamare il gregge dei corti-
giani che gli si addensavano intomo. »
81. Marchesb: « Iste ftiit nobills mi-
Ics de ArgDgliosis de Forlivio, pater
domines L»tce, quo ftilt mater domini
Bernardini de Polenta, qui taìt domlnos
Bavennatom. Fait iste vir corialis et
placidas maltam. linde cnm semel adia-
raret pincemam snnm, at sibl diceret,
qnid dioeretor de co ; et ilio respondente
trepide: " Domine, didtor, qaod nnm-
qaam ft^itls nlsi bibere „; dizit rlden-
ter t " Et qoare namqnam dicnnt, qaod
semper dtiot „ » Benv. - kbbb spazio :
ebbe, vivendo, agio di bere a Forlì con
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588 [GIBOHI 8BBT0] PUBG. XXIT. 82-48
[OBNTUCCA]
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G-ià di bere a Porli con men secchezza,
E si fu tal, che non si senti sazio.
Ma, come fa chi guarda e poi s' apprezza
Più d'un che d'altro, fé' io a quel da Lucca,
Ohe più parea di me aver contezza.
Ei mormorava, e non so ohe '' Gentucca „
Sentiva io là, ov' ei sentia la piaga
Della giustizia che si li pilucca.
€ 0 anima » diss'io, < che par si vaga
Di parlar meco, fa' si eh' io t' intenda,
E te e me col tuo parlare appaga. »
€ Pemmina è nata, e non porta ancor benda, »
Cominciò ei, < che ti farà piacere
La mia città, come eh' uom la riprenda.
Tu te n'andrai con questo antivedere;
Se nel mio mormorar prendesti errore,
Dichiareranti ancor le cose vere.
minor sete ohe non abbia in qneato Ino-
go; e nondimeno fa tal beyitore, ohe con
tatto li tuo bevere non gli rinsd di estin-
gnere l* Inaadabile ana sete.
V. 34-48. La Gent%teea tueehege* Più
che non agli altri, Dante ftt naturalmente
attensione al poeta Bnonagionta. Qoeeti
mormora Oentueea, e, richiesto che cosa
si voglia dire, predice a Dante che nna
giovine donna gli fttrà piacere la città
di Locca, sebbene da molti se ne dica
male. Questa donna fo Gentocoa Moria,
maritata a Cosdorino Fonderà, la quale
nel 1817 era nel flore della glovinecia;
cft*. Minutoli in D. e U 9U0 iee,, 228 e
seg. Oom. Lipa. II, 470 e seg. Il BuH
afferma ohe Dante essendo a Lucca amò
questa donna « per la virtù grande ed
onestà che era in lei, non per altro amo-
re. » Altri credono che si accenni qui ad
nn amore sensuale. Ma se Dante fti a
Lucca nel 1314, come si crede, egli aveva
49 anni, età ben poco ISsvorevole agli
amori; né è probabile che egli modifi-
casse il sno gindisio sui Lucchesi per
amore di nna bagascia, piuttosto che di
nna donna casta e virtuosa.
84. 8'appbbzza: fk stima di uno più che
di altri. Al. FA PBKZZA; Pretta è lo
stesso che Presso, stima, conto.
86. coimtszA : cognizione ; sembrava
conoscermi più degU altri. Al. Di MB
YOLKB ooMTizzA ; che più degli altri sem-
brava voler sapere di me, o volere di me
alcuno schiarimento; ctt. v. 49.
88. Li : in bocca a lai, fra i denti,
ov'egll più forte sentiva il tormento
della fame.
89. u PiLUCXJA: li dimagra, oonsnma a
poco a poco. Un traslato simile Pìtrg,
XXIU, 68.
42. TB K UE : Bonagiunta desiderava di
aver contessa di Dante, e questi di sapere
cosa Bonagiunta volesse dire con qael
nome di Gentucca mormorato tra i denti.
48. FKMMiKA: così chlsma Dante la
madre Eva, Furg. XXIX, 26, le donne
virtuose antiche, If^. IV, 80, ed anche
Maria, (hnv. n, fi : « Maria Vergine
femmina veramente. » - NOif porta : è
ancora sitella. Soltanto le donne mari-
tate e le vedove portavano bende.
45. CITTÀ : Lucca. - uom : Dante avea
chiamato Lucca un nido di barattieri,
l'nf. XXI, 41 e seg. « Questo dice. Im-
però che li Lucchesi sono ripresi di loro
costumi e del loro pariare »; ButL
46. CON QUIEBTO : oou qucsts mia pro-
fosia che una donna ti fkrà plaoere la
mia città.
47. SB mtL : se traesti il mio momo-
rare ad altro senso, i fktti, che certa-
mente avverranno, te ne daranno poi la
spiegasione.
V. 49-68. Jl ctolM tm fiMovo. Bona-
giunta chiede se colni che egli vede, sia
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[GIBOn BS8T0]
PUBO. XXIY. 49-68 [DOLOB 8TIL NUOTO] 589
52
58
«1
Ma di' s'io veggio qui colai che fuore
Trasse le nuove rime, cominciando :
^^ Donne ch'avete intelletto d'Amore. „
Ed io a Ini: < Io mi son nn che, quando
Amor mi spira, noto, ed a quel modo
Che ditta dentro, vo significando. »
< 0 frate, issa veggio » disse, < il nodo
Che il Notare e Qaittone e me ritenne
Di qua dal dolce stil nuovo ch'i' odo.
Io veggio ben come le vostre penne
Diretro al dittator sen vanno strette.
Che delle nostre certo non avvenne ;
E qnal più a riguardar oltre si mette.
Non vede più dall'uno all'altro stilo. »
E, quasi contentato, si tacette.
9 quel Daoie Alighieri ohe ini-
sfò ana nuova nunier» di poetare. KeUa
tua risposta Dante eepone il principio
fondamentale della poesia, per ooi lo stile
è r intima rispondenxa della parola al
pensiero, e Bonagionta confessa di non
STer oonosdnto e seguitato con altri que-
sto principio, ohe è 1* unico fondamento
di qualsiasi vera poesia.
i9. FUOBB: ftiori dall* animo, dalouore.
60. HUOVB: diverse da quelle della
scuola siciliana provensaleggiante, come
pure da quelle della scuola dottrinale
teorlssante sopra un amore estraneo al
cuore.
51. DOHm; principio di una cansone
di Dante; cfr. Vita Nuova, ^ 10.
53. AMOR MI SPIRA : Al. AUORB SPIRA.
-HOTO: osservo la natura del senti-
mento d'amore.
54. DITTA: estemo gli intimi senti-
menti ispiratimi da amore. « La mia
Ungna parlò quasi per sé stessa mossa »;
Vita Nitova, § 10. - « Parole ohe il core
mi disse con la lingua d' amore.... Par^
verni che Amore mi parlasse nel core, e
nd dicesse ecc. > ibid., $ 34.
56. MgA; adesso; cfr. In/. XXTTI, 7;
XXVH, 21. - IL MODO : r impedimento.
56. IL VOTARO: Iacopo da Lentini,
poeta provenaaleggiante che fiori nella
prima metà del secolo decimotersoe mori
verso fl 1360; cfr. Yulg. Bl. 1, 13. JTon-
gUoTé, BM. Sieul. I, 299. - GuiTTOini:
d' Arexso, capo della scuola poetica dot-
trinale, fiori dopo il 1260 e mori a 7i-
reute nel 1394; cfr. Purg. XXVI, 124.
Vulg. SI. 1. 13 ; n, 0. Quadrio, II. 161.
MazzueehéUi, I, 2 p. 1020 e seg. Porti'
oari, Seritt. del Trecento, 8 e seg. Bcm^
toU, Leu. Ual. U. 379 e seg. Oardueei,
Studi Leu., 86 eco.
67. DI QUA: addietro, lontani. - stil
MUOVO : della scuola fiorentina.
68. VOSTRI: Dante, Guido Cavalcanti,
Lapo Gianni, Dino Frescohaldi, Gianni
AlAml e tutti gU altri poeti della scuoia
fiorentina del dolce stil nuovo.
69. AL DITTATOR : ad amore ohe vi detta
dentro e che voi seguitate strettamente.
61. A RIGUARDAR : Al. A GUARDARE ; A
GUATARR ; A ORADIRR. « B qual più oUre
a riguardar ti metto, cioè lo tuo dire et
lo nostro, non vede più di differeiuda dal
tuo modo del dire al nostro, che quel ohe
ditto è: ohe tu vai stretto al movimento
dell' animo e noi larghi »; BuU. Sulle va-
rie interpretadoni di questo verso cfr.
Ootn. Lip». II, 476. Della Giovanna, NoU
UU. Pai. 1888, 1-36. Moore, Crii., 418 e
seg. n Botti <II, 81) legge ouardarr, ed
interpreta: «E chiunque oggi si mette
più a guardar oltre (cioè ha occhi acuti
in queste cose della lingua), non trova più
paragone tra 1* uno e 1' altro stUe, cioè
fra lo stil nostro rosso, e il vostro si
bello e gentile. »
03. ooHTBifTATO: del SUO Colloquio con
Dante.
V. 04-81. J>anto e Bmtoo, Bona-
glunta e gli altri spiriti purganti vanno
frettolosi avanti ; soltanto Forese si trat-
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590 [OIBONB SESTO] PlJBG. XXI?. 64-76
[DÀNTS B F0BB8R]
M
67
70
73
7«
Oome gli angei ohe yernan lungo il Nilo
Alcuna volta in aere fanno schiera,
Poi yolan più in fretta e vanno in filo ;
Cosi tutta la gente che li era,
Volgendo il viso, raffrettò suo passo,
E per magrezza e per voler leggiera.
E come Puom che di trottare è lasso.
Lascia andar li compagni, e si passeggia
Fin che si sfoghi V affollar del casso ,*
Si lasciò trapassar la santa greggia
Forese, e retro meco sen veniva.
Dicendo: € Quando fia ch'io ti riveggia? »
< Non so > rispos' io lui, < quant' io mi viva ;
tiene anoora a puUure, oamminuido più
lenUmente ooU' «litico unioo, e gli do-
manda quando lo liredrà. « Non ao, » ri-
sponde Dante, «ma desidero ohe aia pre-
sto, peroliò Firense si corrompe sempre
più, e par disposta a rovina. » Se Forese
aspetta di rivedere Dante e qnesti non
osserva nulla in contrario,!] nostro Poeta
s'aspettava anche lai di dover tornare
in questo cerchio. In altri termini Dante
in qnesti versi si confessa colpevole del
peccato della gola.
64. QU AUOKi t le gre, che passano l'in-
verno longo 11 Nilo. « Aves, nM flrigidns
annns Trans pontom fhgat et terris in-
mittitaprids»; Virg., A«n.,Yl, 811 eseg.
- « Strymona sic gelidum , bruma pellente,
relinqnnnt Potar» te, Kile, grues, pri-
moque volata BiBngont varias, casa
monstrante, flgoras »; Luean., Phan. V,
711 e seg. - LUNGO : Al. vbbso.
65. nr ÀKRK: Al. DI BÈ (0 DI LOB)
FAKIfO BCHIBKÀ.
66. ni FILO : r uno dopo l'altro, in ri-
ga i ofr. Inf' V. 47. Par. XVni, 78-76.
68. VOLOKNDO : verso man destra, nella
direzione del loro cammino; fin qui ave-
vano tonato gli occhi rivolti a Dante,
V. 4-6. - BAwnvnòi « per ristorare lo
stallo eh' aveano fistto » ; B%Ui.
60. VOLEA: desiderio di oontinuare la
penitensa e la parlflcaslone.
70. TROTTARE : Correre ; lo dice tuttora
il popolo anche dell'uomo; ott. Booe.,
Dm. II, a. DavamaU, AnnàU I, 19 :
« U figliuolo del legato trottato a difen-
derti. »
71. sì PAssiOGLA. : solo e quietamente.
73. Bi BvooHi: cessi U foga, Timpeto
dell'ansante petto.- apfollàb : da/^Ittt
— mantice ; l' ansare; oonfr. Pwrg, XV,
61. « Arldus e lasso veniebat anheUtos
ore»; Owid., Met, X, 668. - « Qai è da
notare che la radice di questo verbo con-
tiene in germe una delle più belle sco-
perte della Fisiologia. H macchinismo del
respiro nell' animale è in tutto slmile a
quello del mantice. Gli anelli son tenuti
insieme nel mantice dal cuoio, e da* ma-
scoli intercostali son tenute insiemele co-
stole dell' animale. TX mantice prende 1* a-
ria per l' animella, come dicevano i nostri
buoni vecchi, o per la valvola, come dico-
no 1 moderni; e 1* animale per la bocca.
X come r aria scende, per la gravità eoa,
dentro il mantice divenuto neH' aprirsi
più capace; coél, per la gravità, scende
r aria, aprendosi Ù torace, giù nel pol-
mone. E come, stringendo, 0 mantice sof-
' fia ; cosi stringendosi 11 torace, l'animale
respira. Ha benché Dante e il popolo to-
scano chiamassero, gran tempo innanai»
mantice il petto; nonostante la somi-
glianxa perfetta dell' oprar dell* uno e
dell'altro sull'aria, non fu dimostrata
che nel secolo XVII da uno scolare di
QaUleo. Fu il BoreUi il primo a dimo-
strare che non entra l'aria nd p<dnHme
per sucdamento, oome in una tromba,
dò che credevasi comunemente da tatti;
ma per effetto del peso dell' aria, giusto
come nel mantice. » OsMmi. - casso :
torace, petto, inquanto è la sede deA
polmoni; ttt. JnA Xn, IM; XX, It;
XXV, 74.
78. 8l : cosi Forese lasdò passare avanti
a $afMta greggia delle anime purganti.
76. guAVDO riÀ : quando ti rivedrò qui f
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[eiBOVX 8BST0]
PUBO. IIIY. 77-90 [C0B80 DONATI] 591
79
83
Ma già non fia il tornar mio tanto tosto,
Ch'io non sia col voler prima alla rìya:
Però clie il loco, a' fai a viver posto,
Di giorno in giorno più di ben si spolpa,
Ed a trista mina par disposto. >
€ Or va'; > diss'ei: < che qnei ohe pih n'ha colpa,
Vegg'io a coda d'una bestia tratto
Invèr la valle, ove mai non si scolpa.
La bestia ad ogni passo va più ratto.
Crescendo sempre, fin oh' ella il percuote,
E lascia il corpo vilmente disfatto.
Non hanno molto a volger qnelle mote, »
E drizzò gli occhi al ciel, < che ti fia chiaro
Ciò che il mio dir più dichiarar non puote.
77. IL TCBMAB : quii dedderotodi morir
presto, per non veder più a lungo i mah
deOa mlapfttrlft.
80. 81 spolpa: si prir*. •Spolpare è
lararo la polpa, e però si plUia tpoìpart
per prf Tare » ; ButL
T. 82-98. Corto IfonaH, Per conio-
lar Dante, Forese predice, In modo nn
po'oaeoro, la tragloa fine del proprio
fratello Cono, ospo dei Neri e prlnolpal
eansa del mali di Firenze; cfr. 0. Vili,
Vm, 8, 89, 42, 88. Sulla morte di Corso
Donati, Oiovanni Villani, che dorea por
essere assai bene informato, racconta
(Vm, 96) che nel 1808 Corso tu aocn-
sato di tradimento e sens' altro condan-
nato oome ribelle e traditore della patria.
Corso si difese ralentemente, fidandosi
di strer alato da Ugoocione della FSg-
gioola. Deluso in questa speransa, si
vide finalmente costretto a darsi alla
fuga. B «tutto solo andandosene, fa
giunto e preso sopra a BoToazano da
certi Catalani a carallo, e menandolne
preso a Flrenie, oome fti di oosta a San
Balrl, pregando quegli ohe *] menavano,
e promettendo loro molta moneta se lo
soampassono, i detti volendolo pure me-
nare a Firsnse, sicoom' era loro imposto
da'Signori, messer Corso per paura di
venire alle mani de' suol nemici e d'es-
sere glustisiato dal popolo, essendo com-
preso fi»rte di gotte nelle mani e ne'piedl,
rilasciò cadere da cavallo. IdetU Cata-
lani veggendoloin terra, 1* uno di loro gli
diade d*nna landa per la gola d*un colpo
mortale, e lasotaronlo per morte : i mo-
naci del detto monistero il ne portare
nella badia, e chi disse che innanzi che
morisse si rimise nelle mani di loro in
luogo di penltenzia, e chi disse che U tro*
vAr morto, eraltramattìnafh seppellito
in San Salvi con piccolo onore e poca
gente, per tema del comune. » Cosi pure
0U„ An, Fior., Benv., ecc. Altri raccon-
tano il Ihtto un pò* diversamente; ofr,
Oom. Lift, li, 478 e seg. Dante si atten-
ne ad una di quelle tradlsloni che nel-
r esigilo erano venute a sua notizia.
82. VA* : consolato. - Qun : Corso.
83. TRATTO: trascinate a coda di ca-
vaUo.
84. DIVAB! Al. VKBSO. - LA VALLB:
l'Infèrno, cflf. Jf/. IV, 8 Par, XVII,
137, dove le colpe non si rimettono In
etemo. Invece il B«tUi « Non credo ohe
Dante abbia voluto dire che M. Corso
fbsse tratto a coda di cavallo all' Infèrno.
La cosa sarebbe assai puerile. Stimo dun-
que ohe la voUé om mai non ti $edtpa, sia
appunto Firenze, rassomigliata all'Infer-
no. B la seguente terzina lo indica chia-
ramente.-Ov« non ti teolpa, doòdove
ninno può mai purgarsi delle colpe che
gli sono apposte. B Dante 11 sapeva I »
86. LA BESTIA: il Cavallo va ad ogni
passo più veloce, aocrescendo sempre più
lena al precipitoso suo corso, finché lo
percuote e lo lascia ignominiosamente
ucdso.
88. buotb: le sfere celesti. Vuol dire:
non passeranno molti anni.
90. aò: quello che io non posso di-
chiararti più apertamente.
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592 [OIBOKE SISTO] PUBG. XXIY. 91-110
[ALBERO MISTICO]
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Ta ti rimani ornai, che il tempo è caro
In qnesto regno si, eh' io perdo troppo,
Venendo teco si a paro a paro. »
Qnal esce alcnna volta di galoppo
Lo cavalier di schiera che cavalchi,
E va per farsi onor del primo intoppo;
Tal si parti da noi con maggior valchi;
Ed io rimasi in via con esso i due,
Ohe fur del mondo si gran maliscalchi.
E quando innanzi a noi entrato fae,
Ohe gli occhi miei si fero a lai segnaci,
Oome la mente alle parole sne,
Parvermi i rami gravidi e vivaci
D'un altro pomo, e non molto lontani,
Per esser pure allora vòlto in làci.
Vidi gente sott'esso alzar le mani,
E gridar non so che verso le fronde.
Quasi bramosi fantolini e vani.
Ohe pregano, e il pregato non risponde,
Ma, per fare esser ben la voglia acuta,
01. TI BIMANI: indietro oot tao! dne
oompagnl, giaoohè qui nel Purgatorio il
tempo è A prezioso, die,oontiniiMido a ve«
nir teooft pari passo, ne perderei troppo.
V. 94-120. ZI téoondo albero mi-
§Heo, Forese si parte frettoloso per rag-
giungere i sooi compagni ; ofr. If\f. XV,
121-124. I tre Poeti arrivano presso nn
altro albero, e rodono sotto esso gente
alEar le mani, e gridar come ftotolint,
e poi partirsi. Tra le frasche si ode una
voce ohe esorta i viandanti a trapassar
oltre, ricordando che 1* albero trae sua
origine da quello della oonosoensa nel
giii^ino di Eden, U coi frutto proibito
fu gustato da Bra.
94. QUAL B8CK : oome Interriene alcuna
volta ohe, cavalcando schiera di soldati
per incontrare il nemico, alcuno de* più
arditi esce dalla schiera di galoppo in-
contro al nemico per aver egli l'onore di
essere il primo a combattere, oos) parti
Forese da noi con passi maggiori dei
nostri.
06. unoppo: dal primo scontro col
nemico.
07. VALGHI: passi, valichi; cfr.DlM,
Wdrt. II», 78.
98. COK UBO 1 DUK : Al. OOH ESSI DUI ;
Virgilio e Stado, sens'altra oompaipiia ;
ofr, Purg. IV, 27.
99. MAUBCALCHi : marescalchi o mare-
scialli * sommi maestri.
100. B QUAiCDO : ed allorché Forese si fri
tanto dilungato da noi, che io non lo ve-
deva più se non oonftisamente, oonae la
mia mente non aveva inteso che oonfti-
samente le parole oolle quali mi aveva
predetto la morte di Corso Donati.
108. PABVKBia : mi apparvero, vidi. -
GRAVIDI: carichi di frutta e verdeggianti.
104. ALTRO : diverso dal primo, oonfr.
Purg, XXn, 180 e seg. -lomtahi : dal
luogo ove eravamo.
105. FBR 18SKR: perchè rimaneva die-
tro il sommo dell* arco del monte, al di
là del quale solamente allora, avendo gi-
rato, poteva cominciare a vederlo.- LÀca :
è il Ut. mae, là.
108. GEUTB : anime purganti, -ajjeab :
per prendere, se fbsse stato possibile, di
quelle frutta.
108. QUASI : oome pioooU iluictani im-
potenti ad ottenere la oosa che decide*
rane. - FAKTOLDn: « dice la vanità del
vizio e la minore gravità»; IVm»,-VA2ii:
alianti invano le braoda.
110. LA VOOUA : AL LOS VOGLIA.
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[eiB09E 8B8T0]
PuBG. HIT. 111-128 Lalbebo mistico] 593
113
115
118
m
Tien alto lor disio e noi nasconde.
Poi si parti si come ricreduta ;
E noi venimmo al grande arbore adesso,
Che tanti preghi e lagrime rifinta.
€ Trapassate oltre senza farvi presso !
Legno è più su che fu morso da Eva,
E questa pianta si levò da esso. »
Si tra le frasche non so chi diceva;
Per che Virgilio e Stazio ed io, ristretti,
Oltre andavam dal lato ohe si leva.
« Ricordivi » dicea, < dei maledetti
Nei nuvoli formati, che, satolli,
Teseo combatter coi doppi petti ;
111. LOS Disio: 1* oggetto del loro de-
■iderio. - HOL HASOOHDR : per eodUre di
più la loro voglia.
112. roi: qcdndl qaeDa gente si parti
eome dishigannsta, essendosi persuasa
vani essere tatti gli sforsi di cogliere
daOe frutta di qaeQ' albero.
118. ADESSO : sabito ; cfr.Tbo. Or. s. r.
ìli. RIFIUTA t non esaodisoe.
115. TKAPASSATR : oome dal primo, esoe
snebe da qoesto secondo albero ona Tooe
che esorta ohionqne la ode, alla tompe-
nma. Là la TOoe IneominoiaTa dal gri-
dare : « Di questo cibo STreto caro •iPurg.
XXII, 141 ; qai la Tooe esordisce ooH'am-
monlilone: « Trapassato oltre e non vi
STTìelnato I >I dae gridi consaonano Ta-
no con* altro, ed il secondo ricorda pare U
precetto dato da Dio ai progenitori : « Non
nanglar deiralbero della conoscenza del
bene e del male >; Qm, II, 17.
118. Liovo: albero. - nù su: snlla cima
del monte,nel Paradiso terrestre.-M orso:
gustato. Il primo albero annansiaTa ansi
tatto la tcmperanxa di Maria, Purffot.
XXII, 148 e seg; il secondo ricorda la
golosità di Bra. Ckmie i SS. Padri ama-
rono opporre in diversi modi Maria ad
Its, cosi anche il Poeta. « Dae mense
«m posto innanxi aUMmmaginasione e al
pensiero de' penitenti : Tona in Eden, tra
l'erbe e i fiori che poco stanto doyesno
«sagtarsi In triboli e spine ; l'altra in Ca-
os, f^ Tidrie dell'acqaa iniisconda cb'era
P«r tramatarsi nel rino tìtìAco. Vedeei
Bva e Adamo all'nna. Maria e Oesù al-
l'sttra; là Sra, che dall'albero yietoto
tese e versa ne' petti amani il sacco onde
«* STvelena ogni beli' aflbtto ; qoi Maria,
M. - ZNs. Omm., 4^ adi*.
che da Colai il qaale ha detto Io ton la
vUe, trae il vino che restanra e santifica
l'amore ; là cominciata l'ora della caduta,
qoi accelerata l' ora del risorgimento del
genere amano. » Perez, Cénhi, 226.
117. 81 LRVò : qnesto pianta ò nn pollo-
ne dell'albero della sdenia del bene e del
male, che è nel Paradiso torrestre, dove
la prima legge dell* astinensa ih data e
trasgredita; cfr. Purg. XXII, 181 e seg.
118. CHI: forse nn angelo; cfr. Purg,
XXn, 140.
Ili). PKR ohr: per nbbidire al precetto
di non accostorci all'albero. - ristrrtti:
stretti l'ano all'altro, l'albero essendo
nel messo e la via angusta.
120. DAL LATO: a sinistra dell'albero,
dalla parto della costa.
V. 121-129. Baempi di ffototUù. Ol-
tre la menzione di Eva che mangiò del
fratto vietato, la voce nell'albero mistico
ricorda altri esempi di golosità pnnito:
i Centonri che, invitoti dai Lapiti loro
vicini alle noxse di Piritoo e d' Ippoda*
mia, s'inebriarono, e tentarono rapire la
novella sposa con le altre donne; ma furo-
no vinti, e la più parto nccisi, da Teseo e
da'saoi; cfr. Ovid., Mei, XU, 210-686.
Yirg., Georg, U, 466 e seg. HortU., Od.
I, xvnn, 7 e seg. Il secondo è l'esem-
pio degli Bbrei che s' inginocchiarono
per bere, onde furono rimandati a essa
loro e non ebbero vernna parto alla vit*
toria riportata da Gedeone sopra 1 Ma-
dianiti; cfr. CfUuUH VI, 11 -Vn, 26.
122. NRI NUVOLI : secondo la mitologia,
i Centauri ersoo figli di Issione e della
Navola.
128. DOPPI: d'aomo e di cavallo.
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594 [eiROKS SE8T0] POBG. HIT. 124-140 [ESEMPI DI GOLOSITÀ]
124
127
130
133
180
139
£ degli Ebrei, eh' al ber si mostrar molli,
Per che non gli ebbe Gedeon compagni,
Quando invér Madian discese i colli. »
Si, accostati all' un de' due vivagni.
Passammo, udendo colpe della gola.
Seguite già da miseri guadagni.
Poi, rallargati per la strada sola,
Ben mille passi e più ci portar oltre,
Contemplando ciascun senza parola.
< Che andate pensando si voi sol tre? »
Sùbita voce disse ; ond' io mi scossi.
Come fan bestie spaventate e poltre.
Drizzai la testa per veder chi fossi;
E giammai non si videro in fornace
Vetri 0 metalli si lucenti e rossi,
Com'io vidi un, che dicea: « S'a voi piace
Montare in su, qui si convien dar vòlta;
126. MON OLI KBBK: Al. MO* X VOLLI;
lezione bogiard*. Gedeone li voleva ^
m» Dio non volle, onde Gedeone non gli
ebbe; cfir. Oom, Lipt, II, 485.
126. DIBCESB : « il campo de' Madianiti
era disotto di lai nella valle»; Giudt'ei,
VII, 8.
127. all' ux : ali* orlo interiore del cer-
chio.
128. COLPI t esempi di colpevoli golo-
sità segoite da gastighi, danni e pene.
Y. 130-154. J/ angelo deU'a^HneH-
MI. I Poeti vanno avanti silenziosi e me-
ditando soUe cose vedute ed adite. Fatti
oltre mille passi, arrivano al varco, dove
un angelo di colore acceso li tà montare
sa, toglie diUla fronte di Dante, venti-
lando, il sesto P e canta ana delle beati-
todini evangeliche, adattandola alle ani-
me di questo girone.
130. BALLABOATi : non più ristretti ; v.
110. < Brano venati fra la costa e l'albero
ristretti insieme; passato l'albero, si spar-
tirono al largo della via»; Oes. -bola:
solitaria, essendo già le anime purganti
andate tanto avanti, che più non si vede-
vano. Al.: tola, perchònon più occupata
dall'albero che prima la divideva in due.
Secondo altri, sola vale qui unica, non
essendovi da questa infiori verun'àltra
strada.
181. CI fortIe; ofr. Purg. XXVin,
22. AI. a POSTAMMO ; ma ili
portarti per andare, reearH non Ai mai
osato né da Dante nò, pare, da altri scrit-
tori del Trecento.
132. COMTIMPLAXDO : avendo dasonno
di noi tre il pensiero fisso sulle cose ve-
dute ed udite.
183. VOI SOL TRI : voi tre soli ; efr. ili/:
VII, 28. Purg. XX. 4.
134. SÙBITA : improvvisa. - vocs : del-
l' angelo.
135. POLTRI: pigre, sonnadbhiose ; ofr.
JUA XXIV, 46. Al.: PoUedre, gloven-
ohelle. Al.: Spaventate, ombrose. Cfr.
Ario»., Ori. Fur. XXIII, 00. Caro, BnH-
de I, 6. SneicL, 1580.
180. FOSSI : fosse ; cfr. Irkf. IT, 64 ; de-
sinenza antica regolare, e ancora viva.
188. ROSSI : i quattro sacri animali visti
dal profeta Ezechiele 1, 7, erano « sftivil-
lanti quale è il colore del rame forbito » ;
r angelo nella visione di Daniele X, 6, ha
le braccia ed i piedi simili al rame for-
bito ; 1 piedi di Cristo nella visione di
8. Giovanni, Apocal. I. 15, erano « si-
mili all'oricalco, qual egli è nella ardente
fornace. »
180. UN : r angelo dell'astinenaa. - pu-
oi : « questo finge, perchè U ben Ikre
de' essere da la propria volontà » ; Suti.
140. DAR VÒLTA: vdgersl a sinistra
dove ò la scala per salire.
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[eiBONE SISTO]
PUEO. XXIY. 141-154
[ÀHOSLO] 595
14S
145
148
151
154
Quinci si va, ohi vuole andar per pace. »
L'aspetto suo m'avea la vista tolta;
Per ch'io mi volsi retro a' miei dottori,
Gom'uom che va secondo ch'egli ascolta.
E qaale, annunziatrice degli albóri,
L' aura di maggio muovesi ed olezza,
Tutta impregnata dall' erba e da' fiori ;
Tal mi senti' un vento dar per mezza
La fronte, e ben senti' mover la piuma.
Che fé' sentire d'ambrosia l'orezza.
E senti' dir : < Beati cui alluma
Tanto di grazia, che l'amor del gusto
Nel petto lor troppo disir non fama,
Esuriendo sempre quanto è giusto ! »
141. Quinci: dA qoesU pMte d t», ohi
fogttm modàn «Uà befttitiidlne.
142. TOLTA: AbbarbagU*to. per il io-
T«rahio splendore { ofr. Pwrg, II, 89 1 IX,
81 ; XV, 25 e seg., eoo.
143. BSTfiO: Al. DIDIETBO. « Vaol qol
Dante signifloare ohe non potendo egli
•oflHre. pel troppo lame dell' angelo, di
eamminaie di paro oo' doe oompagni, ei
rirolie e ai mise loro dietro, dilìgendosi
nel cammino, noD ooIU rista, che era ah-
barbagliata, ma ooU'odito, ooU'odirea
parìare i oompagni, ai qoali s'era messo
retro »; Lomb. Che Virgilio e Stado an-
dassero parinndo, Dante non dice.
144. SKOOHDO : dietro il soono delle pa-
ro]e,o delle pednte. « Sensit et ad sonitam
Toeis Teotigia torsit »; Vir^., ii«n. in, 069.
145. DBOU ALBÓRI: dell'alba; ofr. IVm-
to, Oer, HI, 1. « Vnole dire ohe, innanii
die d lievi l'dba, comlnda a trarre ano
Toitioello, die d chiama aara, et questa
aara, dò ò qnesto yentiedlo, ohe si liera
da' fiori et dall'erbe odorifSare, rende odo-
le et soATità »; An. Fior,
146. MUOYBn u> OLBZiAt Spira loaTe
ed odorifera.
148. UH TiRTO: il Tontilnre ddl'ala
aagdioa, od qode l'angelo gli oanodla
dalla fronte il penaltimo P, dgnlfioante
il peoeftto ddln gola.
149. LA PIUMA: l'ala dell'angelo.
150. L'OBKZA: l'efflnTio ddl'ambro-
ììa. « H«o dt et liqaidam ambrodse dif-
fimdit odorem, Qoo totom nati corpas
psrdojdt; attlli Dalois oompodtis spir»-
Tit orlnibos sor» »; Virg., Qtorg, IV, 415
eseg.- «Arertens rosea cervice refhldt
Ambrodnqne oooue dlTinam rertioe odo-
rem BpiraTore > ; Tirg.» Asn. 1, 402 e seg.
Or tua, forse da óra^atmi (oflr. Dies,
Wdrt. V, 89 e seg.), soffio leggiero, ven-
ticello, seffiro, è forse qni osato per Ef-
flovlo, flragransa, ecc., cfr. Monti, Prop,
ITI, 1, 304. • « Qais nano non videat
qaantam similitodo dt propria! Qaia an-
gelas nono ventilando propinat ccBle*
stem esoam aatori, qaa pasoeretor allter
qnAm isti galod odore pomi et aqa», quo
ita oradantor amare »; Benv.
151. DIB : ddl* angelo. - alluma : illa-
mina; cfr. Purg. XXI, 96. Par, XV, 70 ;
XX, 1 ; XXVIII, 5.
162. L* AMOB DEL OUBTO : l' appetito
ddla gola.
158. NOK fuma: non ispira, non soscita.
154. BSUBiEinx): appetendo, sentendo
flftme non più di qaanto è giusto, doè
di qaanto basta d sostentamento della
vita. Dante, nelle parole ohe pone in
boooa all' angelo, tradace ed interpreta
le parole del Vangdo ; « Beati qnelli
ohe hanno flftme della giastlda >; MaU,
V, 6. Confr. Purg. XXII, 4-6. trasfor-
mando le parole della Volgata: gii» ««u-
riurU itutUiam in : qui eturiunt »0euiv-
dum iuitUiam, e ricavandone in td modo
il senso: « Beati coloro che servano gin-
sta misara nel dbo, oonservandod mon-
di dal peccato della gola ! » La /oms della
giuiUgia essendo nella beatitodine evan-
gelica l'antited ddU fame sensode, car-
nale, la parafrad dantesca d allontana
ben poco ddla sentensa dd sacro tosto.
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596 [SALITA] PUEO.XXT. 1-8 [L'OBA]
CANTO VENTESIMOQUINTO
SALITA AL SETTIMO GIBONE
TBOSICA DBtLA GIHIBAZIOHS, OTUSIONE DILL'^AHIHA HBL COBPO
COBPI ABBBI DOPO LA MOBTB
GIRONE settimo: LU88UBIA
(Canunfaim nelle flimme, dlTiri in dae echiere ohe Tanno in oppoete diiedoni,
piangendo e cantando inni e salatandoai qoei deli' nna con qoei dell* altra
sohiMa, ogni volta ohe ■' inoontrano, con baoi e grida ammonitrici).
ESEMPI DI CASTITÀ
Oira eira onde il salir non yolea storpio,
Ghò il sole aveva il cerchio di merigge
Lasciato al Tauro, e la notte allo Scorpio ;
4 Per ohe, come fa V uom che non s* affigge,
Ma vassi alla via sua, checché gli appaia.
Se di bisogno stimolo il trafigge;
7 Cosi entrammo noi per la callaia.
Uno innanzi altro, prendendo la scala
V. 1>9. J/ora della aoUla. Sono le dato ponto di un emislisro, quella tiene
dae pomeridiane, onde i viandanti non il ponto diametralmente opposto del-
hanno tempo da perdere. Si avviano l'altro; cfr. DMa Valle, Seneo, 68.
qolndi so per la scala che mette al gi- 4. non s' Amooit non ai ferma; ofr.
ione dei lossoiiosi, eh' è il ?<> ed oltimo. It^. XI, 116. Pwg, XIII, 83 ; XXX, 7 ;
1. ONDI: nella qoale; era tal ora, per XXXIII, 106.
la qoal cagione bisognava fer presto a 6. chscchè : qoalnnqoe ooaa gii ci pre-
salire. Al. CBi IL BAUB, lezione troppo senti dinansi gli oochL
sprovvista di aotorità.-8TOBPio: impe- 6. TBAnoost punge. «Trafiggere è Paa-
dimento, indogio, ritardo ; cfr. Petr, IV, sare da parte a parte. Kel senso proprio
Son. Vn, 1, Dièz, Woti, V, 403. non è scopre Dar morte; nelmetafòrioo
2. IL csBCHio : il meridiano. - mbbiqok : non è qoasi mai. > L. Vent., Sima. S68.
meridies, il cerchio massimo della sfera 7. callaia : probabilmente dal lafe. ool-
oeleste, che passa per i poli e per lo te- U$; adito, apertora ohe si fe nelle siepi
nit; cfr. Purg. XXXIII, 104. per poter entrare nei campi. Chiama
8. BOORPio: scorpione. Come altrove, ooeì lo stretto passaggio dal sesto al
il Poeta personifica anche qoi la notte, settimo cerchio. Altrove eaUa, oonfir.
rappresentandola come on ente reale Pwg, IV, 22; IX, 123.
pari al sole, talché, se qoesto tiene on 8. umàsut «Mimo VTrgilios, secando
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[SÀLITAl
PufiG. 111. d-22 [esNiBÀZiONB] 597
10
18
16
Che per artezza i salitor dispaia.
£ quale il cicognin che leva l' ala
Per yoglia di volare, e non s' attenta
D'abbandonar lo nido, e giù la oala;
Tal era io con yoglia accesa e spenta
Di domandar, venendo infino all' atto
Che fa colai eh' a dicer s'argomenta.
Non lasciò, per l'andar die fosse ratto.
Lo dolce padre mio, ma disse : < Scocca
L'arco del dir, die insino al ferro hai tratto ! »
Àllor sicuramente aprii la bocca,
E cominciai : < Come si può far magro
Là dove l'uopo di nutrir non tocca? »
< Se t' ammontassi come Meleagro
stati OS. tertio Dantes» ; Benv, Cflr. Purg,
XXVI, 1.
9. abtbsa: strtttesn; cfr. Mmtt, VII,
14. Al. KSTCZZA; ALTBZZAf ma né Ter-
tesa uè 1* «Itesu di una teaU oostringe
1 latttofri ad andare l'ano dopo 1* altro.
Cfr. Moorm, OrU., 416 e aeg.
V. 10-60. TeùHa detta generamiime.
Ardente del deeidwio di eapere oome mal
oorpl aerei, elie non abbisognano di no*
trimento, poesano dimagrare, Dante, in-
eoraggfato da VirgfUo, espone il sno dab-
bio. Virgilio prooora di dargli una certa
idea del fiatto con nn esempio tolto dalla
Bitoiogia e con nna similitadine natu-
rale e matematioa; quindi prega Stasio
di STcdgere più ampiamente il problema.
S Staaio, dopo nna gentile scosa a Vir-
gilio ed aloime parole amoroToli a Dan-
te, eepon« la teoria della generaaione e
formasione del corpo ooU* anima vege-
tatira e sensittra, attenendosi stretta-
mente alle dottrine di S. Tommaso.
10. LSTA : « non dibatte né scoote ; ma
l0M» doè i^pena Talaa per proyarsl »;
Om. - « Voloemm sic tnrba recentnm,
Oom redueem longo prospexit in nthere
matrem, Ire cnpit centra, snmmoqne e
margine nidi Szstat hians; iam lamqne
eadat, ni pectore tote Obetet aperta pa-
reas, et amanttbns increpet aUs »-, 8UU.,
Tkéb, X, 458 e seg.
11. ROH s'atrrta! non si astarda,
non ardisce.
12. CALA: r ala, già alaata per Tolar
▼la dal nido.
13. AOOUA: dal desiderio di sapere e
dalla Toglia di domandare. -spknta: dal
timore di importunar troppo i due com-
pagni colle domande.
14. all'atto : al movimento delle lab-
bra, come fia chi si dispone a parlare.
16. PBB L* JJSDAU: quantunque andas-
simo in fretta, Virgilio non tacque.
17. scocca: di' pure liberamente dò
ehe hai già sulle labbra.
18. AL FBBBO : sino alla punta dello
strale. Quando l'aroo é teso del tutto,
la punta ferrata dello strale ne tocca già
il sommo. « Qaad dicat : audaoter solre
lingnam et emitte verbom, quod iam
trazisti usque ad dentes »; Benv,
20. SI PUÒ : come può dimagrarsi chi,
come le anime, non abbisogna più di ye-
mn nutrimento materiale, corporeo?
22. t'aumentassi : ti ricordassi ; cfr.
Purg. XIV, 56. -HsLBAoaot figlio di
Oeneo, re di Caledonia, e di Altea, alla
cui nascita le Fate stabilirono che egli
vivrebbe quanto tempo un tissone get-
tato nel frioco al momento della sua nsr
scita impiegherebbe a bruciare. Altea
si affrettò ad estinguere il tizzone fatale,
e lo conservò accuratamente. Insorta più
tardi una contesa tra Meleagro ed i suoi
sii, questi ftirono da lui uccisi ; ed Altea,
sdegnata, gettò il tissone nel frioco, onde
Meleagro morì qoasi nel medesimo istan-
te; cfr. Ovid., M9t. VIII. 260-546. Con
questo esempio Virgilio vuol mostrare
come r nomo possa non solo dimagrare,
ma anche consumarsi del tutto, e ciò
per tutt' altra cagione che il non soddl-
sCatto bisogno del nuM^ento. Una po-
litizedbydOOglC:
598 [salita]
PviLQ, xiY. 23-87
[OSHEBÀZIOHS]
25
S8
n
34
17
Si oonsnmò al conBomar d' un stizzo.
Non fora» disse, € questo a te si agro;
E se pensassi come, al vostro guizzo,
Ghiizza dentro allo specchio vostra imago,
Ciò che par doro, ti parrebbe vizzo.
Ma perchè dentro a tuo voler t'adage,
Ecco qui Stazio ; ed io Ini chiamo e prego,
Che sia or sanator delle tue piago. »
« Se la veduta etema gli dislego, »
Rispose Stazio, « là dove tu sie,
Discolpi me non potert'io hr niego. >
Poi cominciò : € Se le parole mie,
Figlio, la mente tua guarda e riceve.
Lume ti fieno al come che tu die.
Sangue perfetto, che mai non si beve
tensa inTitibUe ed a lai ignota oodsqidò
Hdeagro e cotà una fona arcana dimar
gra i corpi aerei dei golod. Cfr. Varehi,
LetUml $ul Dani», Firense. 1841, 1, 35.
Com. JAp$. II. 494.
23. AL coxsuMAS: « Creeoont ignis-
qae dolorqoe, Laogaeeeontqne itemm ;
•imalestexsUnctoaoterqae»; Ovid.,MeL
Vili, 622 e Mg. - snzzo : tissone, lai.
iHioi efr. Diez, WdH. V, 410. AI. Tizzo.
24. AOBO: doro, difficile a compren-
dere.
25. ouiZEO : oflcHlasione ; qoÌ per Ra-
pido moTlmento; cfr. Oanx.: «Cosi nel
mio parlar voglio esser aspro » ; v. 48.
Il corpo aereo delle anime purganti ò
lo specchio di esse anime. Or come lo
specchio rappresenta fedelmente ogni
moto di chi Ti si specchia, cotà il corpo
aereo ritrae al di fuori 1 moti e le sof-
ferense dell'anima.
20. GUIZZA : si muove ; cfir. Diez, Wort,
II', 39. - IMAQB : imagine. < Et qaamvis
sabito, qoovis in tempore, qaamqoe Rem
centra specolnm ponas, apparet imago » ;
Lueret., Ber. noi. IV, 156 e seg.
27. VIZZO; molle; cfk*. Diez, WdrL II«,
80. Qai * facile ad intendersi.
28. A TUO volkb: a ina posta. AflBn-
chè ta possa intendere pienamente il
fatto. - T' ADAOS : ti adagi.
29. Bcco : non poteva Dante mettere
in bocca a Virgilio pagano l' esposiaione
d^la dottrina della generadone dei corpi
e della Ibrmasione dell'anima, che ò la
dottrina di S. Tommaso. Onde a Virgilio
sottentra Stasio, secondo Dante, poeUi
cristiano, e nella coi bocca il lingoaggio
dell* Aqninate non ha peteiò noUadi acn^
prendente.
80. piaqe: piaghe, lai. pUgm. D dab-
bio è piaga della mente, la qoale non è
sana che quando si trova in poaaeseo
del vero.
31. veduta: dò che si vede in questi
looghi etemi, cioè il maraviglloao fimo-
meno del dimagrarsi delle anime pur-
ganti. Al. LA WHDBTTA KTBBMA, cioè la
pena inflitta dall'Eterno a quelle anime.
Cfr. OoM, Lipt. II, 496 e seg. Mo^re,
OrU„ 418 e seg. - dibueoo : dichiaro, ma-
nifìMto. Disìegart corrisponde al latino
expHcare,
32. Li DOVE ; te presente, coi 1* ufficio
di spiegare starebbe meglio che a me.
83. PAR mzGO: dirti di no; non parlo
che per ubbidirti, e dò mi serva di scusa.
36. GUABDA B RICKVE : le asccdta atten-
tamente e le intende. - «Si suscepecis
sermones meoe,.... tunc intelliges....»;
Prov, II, 1, 5.
36. AL COME : ti chiariranno del dubbio
da te mosso, come le anime possano es-
sere consunte per magresia. - DiB: did ;
cfir. Nannuo., Verbi, 670 e seg.
37. BAMOUBPBBFSTTO : losperma.« San-
guis, qui digestione quadam est pnepara-
tns ad conceptum , est parler et perfbctior
alio sanguine »; Tkom, Aq,, 8um, theol,
in, 81, 5.
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[aiUTA]
PUBO. XXY. 38-51 [OENEBÀZIONB] 599
43
4«
40
Dall'assetate yene e si rimane
Quasi alimento che di mensa leve,
Prende nel onore a tutte membra umane
Virtute informativa, oome quello
Gh'a farsi quelle per le vene vane.
Ancor digesto, scende ov' è più bello
Tacer che dire ; e quindi poscia geme
Sovr* altrui sangue in naturai vasello.
Ivi s'accoglie l'uno e l'altro insieme,
L' un disposto a patire e l' altro a fare,
Per lo perfetto loco onde si preme;
E, giunto lui, comincia ad operare,
Coagulando prima, e poi avviva
Ciò che per sua matera fé' constare.
38. 81 BXMAirB: « qimodo le Tene banno
niedato tMito di sragne, ohe basta per
nutrimento e a ristorare le parti per*
date, elleno non ne socoiano più, non
altrimenti ohe nn modesto nomo e tem-
perato, preso il bisogno soo del dbo, la-
soia il rinumente, e però disse e ti ritna'
ne, eioè resta e aransa, quoH alimento,
non altramente ohe il olbo »; Varehi.
83. LBVS: tn Ieri.
41. DiFORMATivA : ohe dà Tossensa e la
natura » tatto le membra amane. - com :
non altrimenti ohe quello ohe ra per le
Tooe a diventare esse membra.
42. vàjntt va, oome/an« per /a (Por.
XXVII, 83), eoo. Cfr. Nofmw., Verbi,
523. € Alimentam oonvertitar in verità-
tem human» natarsD, in quantum vere
seejpit epedem oamis et ossis, et huiu»-
Bodi pftrtinm »} Thom., Aq., Bum. theol.
1, 119, 1.
48. AiroOB: nuoramente digerito, lo
sperma scende nei vasi semliMrii.
44. QUiKDi: dai vasi spermatici. - OB*
MX: stilla, goodoU; ofr. Inf, XIII, 41.
45. ALTSUi : della femmina. - vabbllo :
matrice. Cfr. Conv. IV, 21. « FoBmina ad
soQoeptionem prolis materiam ministrat
(qo» est sangnis menstmus), ex qua na-
toraliter corpus prolis formatur »; Thom.
Aq,, Bum. theoL m, 83, 4 • « Ad formatio-
nem oorporis.... requlrebator motus loca-
Us quo sanguinee.... ad loonm generationi
oongruum pervenirent »; Hdd, HI, 88, 1.
4«. IVI: nella matrice lo sperma ed il
angoe della donna si riuniscono.
47. L'UHi « questo è il mestruo deUa
donna, il quale è materia propinqua del
parto, e però non ha bisogno d'altro mo-
tore ovvero agente che Io disponga e che
gli dia Ibrma, se non il seme del ma-
schio »; Varehi. - l' altbo : lo sperma
del maschio, il quale è attivo e dà la
forma. < In generatione distinguitur ope-
ratio agentis et patientis. ITnde reli-
qointor quod tota virtus activa slt ex
parte marie, passio antem ex parte foe-
miniB. » Thom. Aq., Sum. theol. ni, 82, 4.
48. LOCO : il cuore (ofr, v.40), dal quale
il sangue dell'uomo ti preme, distilla,
esce quasi spremuto. AI.; Per la perfs-
sione dell'uomo, da cut viene lo sper-
ma. Al.: Per la perfesione dell'utero
materno, dal quale è stretto e serrato ;
cfr. Oom. lÀpe. n, 499 e seg.
49. oiUHTO : congiunto, riunito. - lui :
a lui. E lo sperma, congiunto al sangue
ilsmmineo, comincia ad operare, a for-
mar l'embrione.
50. COAGULANDO : « faccudo diventare
compreso in prima come latte, e poi con-
vertendolo in sangue, e poi facendo carne
lo sangue »; Buti. - « Non poteva trovare
più segnalato vocabolo nò che meglio
esprimesse la mente sua; perohò tale
ò proprio il seme dell* uomo al mestruo,
quale ò il coagulo, che noi chiamiamo ga-
glio ovvero presame, al latte »{ Varchi. -
« Nonne siout lac mulsisti me, et siont
oaseom me coagulasti f » Job X, 10. -
« Decem mensium tempore ooagulatns
sum in sanguine, ex semine hominis »;
Sapien. VII, 2. - avviva t inspira la vita.
61. FEB BUA : como materia necessaria
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600 [salita}
PuBG. xtv. 5^-60
toSKERAZIOV^l
52
56
58
Anima fatta la virtute attiva,
Qaal d'una pianta, in tanto differente,
Che questa è in via, e quella è già a riva,
Tanto ovra poi, ohe già si move e sente,
Come fungo marino; ed indi imprende
Ad organar le posse ond' è semente.
Or si spiega, figliuolo, or si distende
La virtù eh' è dal ouor del generante,
Ove natura a tutte membra intende.
al sao opeiftre. - fb* constabb : coagulò,
diede consistensa. « Fonnatio corporìa flt
per potentiam generativam, non eioa qol
generator, sed ipsins generantia, ex ae-
mine, in qno operatnr yis fonnativa ab
anima patria deriyata»i Tkom, Aq., Sum,
theol. in, 83, 1 ; ofr. 82, 4. AriHoU, Phy$.
II, 25.
52. anima: yegetatiya. - vibtutb: del
seme paterno i cfr. Thom, Aq., Sum,
theol, I, 118, 1.
53. QUAL: come l'anima d'una pianta,
cioè vegetativa, con qneeta differensa
però, che l'anima della pianta è già a
riva, gionta doò alla sua ultima perfe-
aione ooUa vita vegetativa, mentre nel-
l'uman feto la vita vegetativa non è ohe
un avviamento, dovendo passare alla
vita sensitiva, e quindi alla razionale;
Thom. Aq., Sum. theol. I, 118, 2.
54. QUB8TA: l'anima vegetativa del
feto umano ò al principio, l'anima della
pianta al termine del suo sviluppo. « Se
bene pare che Dante in queste parole
non voglia, ohe tra T anima vegetativa
delle piante e quella degli uomini sia al-
tra differensa, se non che quella delle
piante è compita e formata, non aspet-
tando altra anima, né sensitiva, come i
bruti, nò razionale, come gli uomini;
non devemo però credere, che egli vo-
lesse dire questo solo, e che non sapesse
ohe l'anima vegetativa delle piante e
delle fiere e degU uomini sono di diverse
spezie » ; Varchi, Infatti Dante lo sapeva
assai bene: Cfr. Oonv. IV, 7.
56. ovKA: opera. La virtù attiva, Catta
anima vegetativa, continua ad operare,
tanto che quella materia animata si muo-
ve e sente. Il moto proprio e il sentimento
sono caratteri essenziali della vita anima-
le, alla quale dice qui che il feto perviene.
56. PUMoo MARINO : zoofito. Si credeva
ohe i funghi marini fossero dotati di
un' anima più che semplicemente vege-
tativa; ofr. PUn,, Hitt, fuU. Vn,45. -
INDI : da questo atato la virtù attiva del
germe inoominda a formare gli organi
delle dnque potenze, visiva, uditiva, eoo.,
delle quali essa virtù ò prodnttrioe.
58. OB Bi 8PIBQA: la virtù informanto
ora d allarga, spiega, ed ora d allunga,
dietende, secondo il bisogno ohe la muove
per la formadone delle membra.
59. CH'ft DAL cuoB: oho detiva dal
cuore del generante, nd quale la virtù
naturde da Dio poeta nell' uomo è in-
tenta a formare tatto le membra.
V. 61-78. Inftuione deU'animet f-«-
mionais nel corpo. L'origine deU'aalniA
umana ò problema d arduo, ohe, por
tacere dd filosofi antichi, anche i SS. P»-
dri tentarono tre diverse vie per iscio-
glierlo. Origene ed i suoi segoad, aooot-
tando la dottrina platonica della preni-
eterna, insegnarono ohe tutte quanto lo
anime fhrono create da Dio sin dal prin-
cipio dd mondo, e vengono confinate nei
corpi in punizione di peeoati oommoad
prima ddl'inflidone nd medesimi, dot-
trina condannata ddla Chiesa oome ore-
tioa. Tertulliano ed i suoi seguaof pro-
pugnarono il tradueianiemo, seoondo il
quale nel momento stesso che il corpo
del generante genera un nuovo corpo,
l'anima sua ghiera una nuova anima;
oftr. !PertuU.. De anima, 10-27. Con Lat-
tanzio e S. Agostino gli Soolastld inso-
gnarono invece il creatUmitmo, cioè la
dottrina ohe ogni anima è creata immo-
diatamente da Dio ed intasa nd corpo al
momento della generadone o qualche
tempo dopo; ofr. Ugo da S. Vittore, De
Saeram. VII, 1, 8. Petr, JDomò., SenL II,
17. « Anim» non sunt oreat» ante oor-
pora; sed dmul creantor, oum oorpo-
ribns inftmdnntur.... Bieretlcum est di-
cere, quod anima intelleotivatradaoatar
oum semine » ; Thom. Aq„ Sum, theol,, I,
118, 3 e 2. Cfr. Oom, lApe, II, 503 e seg.
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[BJLLTtàì
P0EO. XXV. 61-71 tnWUS. t>ELL*AinMA3 601
67
70
Ma, come d'animai divenga fante,
Non vedi ta ancor: qnesb'è tal punto,
Che più savio di te fé' già errante
SI, che, per sua dottrina, fé' disginnto
Dall'anima il possibile intelletto.
Perchè da lai non vide organo assunto.
Apri alla verità che viene, il petto,
E sappi che, si tosto come al feto
L'articolar del cerebro è perfetto.
Lo Motor primo a Ini si volge lieto
Sovra tant' arte di natura, e spira
Anche In qnwto ponto él difficile e oon-
tfoversoy Dante segne 8. TommMO.
61. AHUCAL; ehiMna eoii il feto nmuio,
prim» ohe 11 CiMitore gli abbia inftaoo
ranlmA Taaloinale; ofr. 0»nv. IT, 7. Ari-
ttaL, De an.Tl, S.' fahtb: fluidallo,
ente TBgjkmewcHe ; da/ori « pariare, che ò
propiiodell*Qonio8olo; cfr. Tii2^.£Zog.I,3.
62. TAL: al difficile ad intenderei.
63. nt SAVIO : ATcrroe <cfr. I^f. IV,
144). n qoale nel ano commento sopra
Aristotele (2>0 An. L m) inaegna eaaerri
due prlneipii inteDettoall, l' ono paaairo,
Taltro attiTo. L'attivo ò impersonale,
eterno, dlsgionto dagli ÌndÌTÌdoi, ohe tnt-
tavla ne diTontano partecipi. Il jmuHvo è
tnmaitorfo e dipende dall'attivo, il quale
perdo, mito ooU' individuo qoanto alla
Ivrma, è, quanto all'eosenss, disginnto
da esso, ed è nn solo per tatti gli nomini.
Dietratt* per tal modo la diverrità del-
l'intelletto possibile, ohe solo ò immor-
tale, dopo U morte non rimane delle ani-
me che TaBità dell'intelletto, onde le
pese e le xfeompense della vita etema
non posaoMO più arer Inogo. Cflr. Oom.
JUp$. n, 668 e seg. Contro questa dot-
trina Tktm, Aq., Sttm. eotUra OetU. U,
73. aum. Càsol. I, 76, 3| 76, 6; 117, 1;
118. 3t I, n, 60, 4, eoo.
65. poasiBiUBt VintéUtao pooOfiU ò,
secondo gli Scolastici, una IntelUgensa
oniversale che al comunica all'anima
senta Hame parte e senza essere addetta
a venm ergano particolare del corpo ;
cfr. l%oi». Aq^ aum. thsol, I, 76, 1 ; 79,
10 } 87, 1 ; 68, 1 1 1, n, 50, 4, 5, eco. Dante
distfaigne co^ ScoUstioi i' inteUetto|>o«-
tibUe, dall'intelletto agente. Il primo, che
non farebbe In fondo se non la generica
capacità nostra d'intendere, è propria-
nente « id per qood homo intelUgit »
(Thom, Aq., Oomp. Theol. 2, cap. 80), ma
esso si limita a ricevere « Ibrmas intelligi-
biles a rebus sensibUibus » (ibid. oap. 81),
e dò mediante le focdtà sendtive (ihid.
cap. 82). Se non ohe, essendo tali forme
« particulares », ne segue ohe « non sunt
Intelligibiles actu sed potentia tantum,
intellectos enim nonnld universalia in-
telligit. Qnod autem est in potentia, non
redudtur in actum nid ab aliquo agen-
te»; e pdohè dò non può esser &tto
dall' inteUeetiu po$tìbilÌ9 che « magie est
in potentia ad inteUigibilia, quam intel-
Ugibilium aotivus,... necesse est ponere
alium intellectum qui spedes intelli-
gibiles in potentU Ikdat intenigiblles
aotu.... et hunc didmus inUXleàtum ager^
fsm. » Ibid. cap. 88.
66. DA LUI: dall' intelletto posdbile. -
ASSUNTO: alla sua operadonew < Non vidde
che nel corpo umano Aisse nessuno orga-
no deputato propriamente a lo intelletto,
come è T orecchie ad udire, 11 occhi a ve-
dere, e cod ddli dtri sentimenti »; BuH.
67. AFBi: disponi la tua mente a rice-
Tere la verità che su questo argomento
sto per comunicarti. Il Ottarini (dtato
dal BetH H, 86) : e Perdoochè la verità,
ohe viene nd seguenti verd, non ò filo-
sofica, d che umano intelletto possa,
ragionando eo' sud corti e deboli fonda-
menti, conoscerla; ma cristiana; e que-
sta prindpalmente non si discorre, ma
d crede t ed il cuore ò fonte della fede,
la credenia dello intelletto dallo imperio
della volontà derivando. »
60. l'articulab: r organissadone.
70. Motor pbim o : Dio ; cfr. Tliom. Aq.,
Bum. theol. I, 106, 2. - a lui t al fato. -
urro : « LcDtabitur Dominns in operibus
snis »; Pél. CHI, 81 ; cfr. Purg. XVI, 80.
71. ABTBt il corpo umano, capo d'opera
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602 [SAUTÀ]
PtTEO. XXT. 72-88 [ÀVnU DOPO LÀ XOBT£]
7S
7«
7»
Spirito nuovo, dì virtù repleto.
Che ciò che trova attivo quivi^ tira
In sna sostanzia, e fan nn'alma sola,
Che vive e sente, e so in sé rigira.
E perchè meno ammiri la parola,
Ghiarda il caler del sol che si fa vino,
Oimito all'umor che dalla vite cola!
E quando Lachesis non ha pid lino.
Selvosi dalla carne, ed in vìrtnte
Ne porta seco e Tumano e il divino:
L'altre potenze tutte quante mute;
Memoria, intelligenza e volontade,
della Batan che è « qoodfdMn i
tam IM moTentU »; Tkom, Aq., <
tkéol, I, n, 6, 1. - 8FIBA: « InsfrfnTit in
flMdeai tivM «iiinunlam Tite »; flwMt.
II, 7; etr. Bmp. XV, 11.
73. smiTO xuoro: la nnoraanim*»-
Bionale. - bkplbto : repUtM$, ripieno.
73. CIÒ CHI TBOVA: l'anima yegetatiya
e la aenrittTa. - quivi : nel feto. L* anima
inteUettiTa novellamente creata Hrat
identifica nella propria aoetansa Tani-
ma vegetattra e eensltira e forma di sé
e di esse un'anima «ola con tre potense:
regetoUva, tendtiTa ed intellettiva.
74. sola: dir. Pwrg. IV, 1-6. • Dicen-
dom est qnod eadem nomerò eet anima
in bomine, aensitiva et intellectiva et nu-
tritiva.... Prilla ombrio habet animam,
qo» eet aensitiva tantum, qua ablata,
advenit perfectior anima, qu» est simnl
sensitiva et intellectiva. » TKom, Aq.,
»»m. theol. I, 76, 8; ofr. iMd., 118. 2.
76. Kianu.: riflettendo in so stessa,
acquista la oosdenxa della propria esi-
stenxa. « Quie (anitna) cum secta duce
motum glomeravit in orbes, In semet
redltura meat mentemque proftindam
Circuit et simili oonvertit imagfne coe-
lum »; BolU., Oan$. PkO, IH, Poca. IX.
16 e seg.
76. LA PABOLA: dò cfao or'ora ti ho
detto; cfr. Ifsf. II, 4S.
77. OUABDA: come il calore del sole
giunto, cioè unito all'umore acqueo della
vite, lo converte in vino, cori lo spirito
novellamente da Dio creato e spirato,
unito all' anima vegetativa e sensitiva
ne (k un' anima sola, obe vive, sente e
peu». Dell'uva Oie^r., De SmmL XV,
^9imqnm et succo teme et calore solis
, prioui est peracwba gostetn,
deinde maturata dnlessdt.»
78. GIUSTO: congiunto, onlto.
V. 79-87. J/miwiefum éètt^tmiwmm
éepo im mt^rie, Continnando il suo ra-
gionamento, Stado espone il modo del-
l' esisteata dell* aniuM dopo la morte del
corpo. Quando V anima si sveste dell' in-
volucro corporeo, le potense organiohe
relative ali* umano composto, quelle cioè
della vita e del senso, restano in lui spen-
te in quanto all'atto, e solo sussistono
nella loro radice ; accadendo fl oontnuio
della sua parte divina, cioè delle fliooltà
intellettuali} le quali non risiedendo ne-
gli organi ma in lei sola, non pure aono
attualmente superstiti, ma acquistano
maggior energia, per la sua separasiooe
dal corpo. Cfr. lÀimtUore in Ommggio
a DanU, ZÌI e seg.
79. LachbIs : la Parea che fila lo sta-
me della vita; cfr. Purg. XXI, 35. Vuol
dire : quando l' uomo è pervenuto al ter-
mine della sua vita, r anima intellettiva
si scioglie dal corpo, portando seco vir-
tualmente le potense corporali e spiri-
tuali. Cfr. Yirg,, Am. IV, 694 e aeg.
82. l'altbb: le ÌiM»1tà sensitive, di-
strutti i loro organi, restan tutte mvU,
cioè inerti. - tuttb quaiitb: ooSI i pib;
AI. TUTTK quasi ; cfr. Oom, lÀpt, II, 607.
88. MUfORiA: le fkcoltà spirituali, li-
bere dal corpo, son pib acute che quando
r anima è unita al corpo, «impràò ohe
hanno memoria sensa dimenttgasione. in-
telUgensia sensa difetto, e v<^ontà ferma
et invariabile »; BuH. - « Hnc Igitor tria,
memoria, intelUgentla, voluntas, quo-
niam non sunt tres vit», sed una vita,
non tres mentes, sed una meas, eonso-
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[SALITA]
PimO. XXY. 84-98 [COBPl ASBSl] 608
S5
91
9i
VI
In atto molto più ohe prima aonte.
Senz'arrestarsi, per sé stessa cade
Mirabilmente all' una delle rive :
Quivi conosce prima le sne strade.
Tosto ohe luogo li la ciroonscrive,
La virtù formativa raggia intomo
Cosi e quanto nelle membra vive ;
E come l'aere, quand' è ben piomo,
Per l'altrui raggio, che in sé si riflette,
Di diversi color diventa adomo ;
Cosi l'aere vicin quivi si mette
In quella forma che in lui suggella.
Virtualmente, l' alma che ristette ;
E simigliante poi alla fiammella,
Ohe segue il foco là 'vunque si muta.
qoentar nttqoe neo (re inbatAntLe sont
aed UBA Bab«tMitia »i 8, Aug,, Trinit. X,
11 ; ofir. Thom, Aq., Bum. Uuol. I, 77, 8.
85. Burz'ABBBSTAUBi: «ppeiiA sdolta
d«l corpo, l'Miima non d ferm* in verun
Inogo, mm Oftde per eò steeea, ett, Ir\f. Ili,
124 e seg., mirabilmente, cioè per inter-
no dlrino impulso, o «Ila riva dell'Ache-
ronte, efir. Im/. Ili, 132 e aeg., o alUi (bee
del Tevere, cfr. Purg. II, 100-105.
87. QUIVI: eU'ona delle dne rive. -
BT&AOB: retemo eoo deetino, te vad*
Beli' Inferno o nel Purgatorio.
V. £8-108. 1 e&rpi aerM. Sttaào con-
chiude il eoo ragionamento esponendo la
genesi e la ooadixione delle ombre. Ap-
pena arrivata ali* ima delle dne rive, la
potensa, inerente all'anima per sé stessa,
d' organarsi on corpo, raggia V attività
sua nell' aria vicina e ne forma nn corpo,
pari nelle iSsttesse e nella grandesxa
a qaello ohe essa animava nel mondo.
Bd arendo essa anima da qoesto corpo
aereo la sua apparensa, facendosi oioò
per esso visibile, ò chiamata ombra.
Di questo nuovo corpo l'anima si for-
ma tutti i sensi sino alla vista, e con
esso piange e ride parla e sospira, onde
il corpo aereo rivela gli affetti intimi
dell' anima.
88. Toero: l'anima si riveste d'un corpo
aereo, non appena all'una delle due rive
essa ò droosoritta da luogo ; of^. Thom,
Aq., Sum. tksol. m, »ipl., 00, 1.
89. YIBTÙ s che è BoU' anima, oonf^.
T. 40 42. - BAOOU: eserdta la sua ai-
tività nell'aria vicina.
90. ooBt B QUANTO : nella stessa forma
e nella medesima misura del corpo ma-
teriale.
01. piOBiro: piovomo, che ò voce po-
polare dell' uso « piovoso, pregno di
Tapori. « Velut aspectum arcua cnm fne-
rit in nube in die pluvi»»; Siseh. I, 28.
92. l'altrui : del sole. U corpo aereo
■i Ibrma nello stesso modo che si forma
l'arcobaleno.
98. DIVBNTA: Al. 81 MOSTRA.
94. così : in egual modo l' aria drco-
stante al luogo in cui l'anima d ò fei^
mata, s'atteggia, quad materia, in quella
forma di corpo umano che in esso im-
prime la virtù ir^ormativa dell'anima.
98. viRTUALHRHTB: per effetto della
conservata virth informativa: cfr, v. 40
e seg. -RISTBTTB: d fermò. Dando un
corpo alle anime, Dante contraddice a
S. Tommaso (« Anima separata a corpore
non habet aliquod corpus »; Sum. theol,
IH, Suppl., 80. 1 ; cfir. ibid., 70, 1 e 8), e
d accosto alla dottrina di Clemente Ales-
sandrino, Origene, e de' loro seguad, in-
dottovi probabilmente dalle regole del-
l' arte ; cfr. Oom. lAps. II, 509.
97. BnaoLLANTR: la /orma novella,
doò il nuovo corpo aereo, segue lo spi-
rito, come la flammdla segue il (tacco;
etr. L. VenL, SimU., 79.
98. LÀ 'yurqub: là dovunque si tra-
sporta. U moto è mutadone di luogo.
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604 [salita]
PtEQ. XXT. 99-114
tCOBPI ABKXl]
100
103
100
109
112
Segue allo spirto sua forma novella.
Però che quindi ha poscia sua paruta,
È chiamata ombra; e quindi organa poi
Ciascun sentire infino alla yeduta.
Quindi parliamo, e quindi rìdiam noi ;
Quindi facdam le lagrime e i sospiri|
Che per lo monte aver sentiti puoi.
Secondo che ci affiggono i disiri
E gli altri affetti, l' ombra si figura ;
E questa è la cagion di che tu miri. »
E già venuto all'ultima tortura
S' era per noi, e vòlto alla man destra,
Ed eravamo attenti ad altra cura.
Quivi la ripa fiamma in fuor balestra,
E la cornice spira fiato in suso,
Che la riflette, e via da lei sequestra;
100. QUINDI : per messo di questo corpo
aereo. - PAEUTAt risiMHtà. L'amima si £s
risibile mediante il corpo aereo, il qoale
è pertanto quasi 1* ombra di essa anima.
101. B Quorin: e ooUa noova materia
del corpo aereo l'anima forma gli or-
gani di daseon senso, sino a quello della
yisU. ohe è il pih complicato di tnUL
108. QUINDI : per messo di questo corpo
aereo. « Bino metonnt coplantqiie, do-
lent gandentqae »; Tirg,, Atn* VI, 783.
100. a AFFIGOOHO : d toccano, ci fanno
impresdone; dal lat. ap^Mirt. Al. af-
Fuoooiro.
107. ALTSl APFBTTi : di spersnxa o di ti-
more, di gioia o di tristessa. - l'ombra :
il corpo aereo. -81 figura : prende forma
lieta o dolente, ordinaria o spaTenterol-
mente dimagrata.
108. DI CHI : e questa è la cagione di
quel dimagramento delle ombre, del qui^e
tu ti maraTigll ; cfr. t. 20 e seg. - tu
MIRI: Al. TU AMMIRI.
V. 10^126. Z lM»9UTÌo9Ì nètte fiam-
me* Sono giunti nel settimo ed ultimo
girone, dorè Dante, come Virgilio gli
ayea promesso, Tede coloro che son con-
tenti del fooeo, Inf. I, 118 e seg. Qui i
lussnriod vanno attorno in doppia ed op-
posta schiera (Inesnria naturale e lussu-
ria contro natura), arrolti da coeentis-
sime fiamme, perchò arsero nd foooo
deUa Ubidine; neU' incontro d festeg-
giano baoiandod. Cantano un inno deUa
Chiesa che contiene una pregliiem di
mondessa. I Poeti vanno per uno stretto
sentiero tra la flamm» e l'orlo esterno.
109. GIÀ: durante il ragionamento di
Stado i tre Poeti sono perrennti al som-
mo della scala, sul ripiano ddl'nltlmo gi-
rone. - TORTURA: tordmento ddla -ria;
cfr. Oonv. IV, 7. -« Intratori ipsnm eir>
culum indpiebant torqnere et fieetere
Tiam; ideo talem deflexionem iqipellat
tortnram »; Benv, Secondo i pih torturm
ha qui il senso moderno di tormanlo; ma
d TorrebtM un esempio che nd tempi di
Dante d usasse mai tortura nd dgnift-
cato di tormento.
111. CURA: di scansare le fiamme.
112. LA RIPA : la eosta dd monte getta
con impeto fiamme che riempiono tatto
il settimo cerchio, lasdando sgombro
sdtanto un oentierusso sul lembo del
ripiano.
118. LA ooRKici: l'orlo manda Tento
in su. - « Finge per conyenienria, che co-
me li beni terreni hanno a muovere la
lussuria et indtano la carne, e la oame
muove lo incendio unde viene la ooneo-
pisoensia e l'atto carnale i cod la ripa
gitti la fiamma ohe tale peccato purghi )
et dlegoricamente, da 1* astlnensla e da
la emaceradone della oame risorga In
quelli dd mondo un fervore di oarità
che purghi ogni carnalità»; Buti,
114. RiTLSTTR: respinge ed allontana
la fiamma dalla cornice. - via: mdto.
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[eiBOVB 8BTTIV0]
PUBO. XXY. 115-180
[LU88UBI081] 605
116
U8
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127
130
Onde ir ne oonyenla dal lato schiuso
Ad uno ad uno ; ed io temeva il foco
Quinci, e quindi temea cadere in giuso.
Lo duca mio dicea : e Per questo loco
Si vuol tenere agli occhi stretto il freno,
Però eh' errar potrebbesi per poco. »
< SummcR Deus demerUioe » nel seno
Al grande ardore allora udi' cantand0|
Che di volger mi fé' caler non meno ;
E vidi spirti per la fiamma andando ;
Per eh' io guardava a' loro ed a' mìei passi,
Compartendo la vista a quando a quando.
Appresso il fine, eh' a quell'inno fassi,
Gridavano alto : € Virum non cognosco »;
Indi ricominciavan l' inno bassi.
Finitolo, anche gridavano: < Al bosco
116. 8CHIU80: ore oonflnATa il yado,
•oli* orlo.
116. AD UHO AD UMO: «IO dopo Taltro,
per U ■tnttossa del sentiero oh' è ir»
r <nio e 1a flemiiiA; onde dallA ainiatrm io
temeT» di «bbruolArmi, dalU deetra di
pieeipliere al baaeo.
119. u YUOL : qni bisogna non ragare
cogli oeehi, ma badare da on lato al ftio-
00, dell* altro al predpisio. « Oooli sont
in «more dnoes » ; Prepari,
120. Fn FOCO : ftudlmente.
131. SaMMJSi principio dell'inno ohe
la Chiesa redta nel mattutino del sabato,
nel quale occorrono le parole : « Lnmbos,
Jeonrqoe morbidam Flammis adoro con-
graia, Accincti nt artns exonbent Lnxo
remoto pessimo », parole ohe ben si con*
Tengono al Inssoriosi purganti. Il prin-
cipio dell' ixmo è «Summ» paretu de-
menti» », mentre « Summ» I^eiaolemen-
tim » è il principio dell' inno ohe si canta
dalla Chiesa alla «BSU dei sette dolori di
Maria Vergine, il quale non ha che Te-
derò coi lussuriosi e col loro peccato.
Sembra però, da quanto si può riloTare
dal eomm. ant., che si tempi di Dante
anche 1* altro inoomfnoiasse colle parole
« Snmmm Dna dementi» ». Potrebbe
anche darsi che, dtando a memoria, il
Poeta scambiasse i comindamenti dd
due inni.
122. AL OBÀHDI: Al. DEL OBAlfDE.
123. MI fs* t quell'inno che io udiva
cantare nd messo delle fiamme mi fece
premuroso di Tolgermi e guardar colà,
non meno che di attendere a non de-
Tiare dallo stretto sentiero.
12i. AiiDAXDO: oho andarano per la
fiamma I cfr. If\f, VII, 25.
125. a' lobo : al pasd degli spiriti ed
ai mid propri. Al. guabdata loro.
126. A QUAHDO : Ora io gnardaTa agli
spiriti, ora a* mid passi.
V. 127-180. Scempi M eatiUà, Al-
l'inno la schiera dd lussuriod intro-
mette esempi di bdla castità, and tutto
di Maria ohe all'annnndo dell' angdo
Gabriele risponde: «io non conosco no-
mo » ; Luca I, 84 { poi di Diana che non
Tuol pih Tederò presso di sé Bllce, ap-
pena d accorge oh' ella ha perduto l' in-
nocensa. Quindi tornano d canto ; finito
11 qude, ricordano diri esempi di ca-
stità, e cod di continuo, purgandod
oon questi eseroid dd peccato della lus-
suria.
127. APPRESSO: quando ebbero finito
di cantare l' ultima stro& dell' inno In-
cominciato.
128. TiRUM: «Maria castisdma fhit
per Tirginitatem i ipsa enim est Maria,
de qua dldtnr: ** dizit antem Maria
ad Angdnm: Vlmm non oognoeco,,»;
S. Bonov0tU,, I9pec, B, Virg., les. IV.
120. BABBI: a Toce bassa e sommessa,
essendo umile preghiera.
130. AKCBE: di nnoTO.
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606 [OIBONS 8KTTIM0] PURG. XXY. 181-139 [B8BMPI DI CASTITÀ]
183
136
139
Si terme Diana, ed Elice caccionne,
Che di Venere avea sentito il tosco. »
Indi al cantar tornavano; indi donne
Gridavano e mariti, che far casti,
Come virtnte e matrimonio imponne.
E questo modo credo che lor basti
Per tntto il tempo che il foco gli abbrucia:
Con tal cara convien, con cotai pasti
Che la piaga dassezzo si ricucia.
181. SI Timri : Al. COBBB ; m« quando
seppe il fiJIo di Elice, Diana era per
rappanto nel botoo, onde non le abbiso-
gnala di corrervi. Il Poeta mol dire che
Diana, per conservarti pnra e casta, ti
tenne al boteo^ dilettandosi de' flfttjcosi
eserclsi della caccia. Cfr. Moore, Orit.,
420. -EUCB : Calisto, nlnfii del seguito di
Diana, sedotta da Giove, discacciata da
Diana, da Ginnone trasformata in orso e
da Giove collocata poi in dolo come Orsa
Maggiore ; cfr. Ovid., MH. II, 401-630.
Par. XXXI, 82. Diana, discacciando Eli-
ce, mostrò di volere che fosse incontami-
nato non solo il proprio cuore, ma anche
il CQore delle compagne ed il bosco nel
quale dimorava.
132. IL TOSCO: il veleno, rinfeadone
della lussuria.
133. TOBNAVAKO : Cantavano di nuovo
r inno, e poi ricominciavano a gridare,
ricordando esempi di donne e di nomini
ohe vissero castamente.
185. MATRUiomo: « anoo nel matri-
monio legittimo e fedele può non essere
castità»; Tom. - mpoirm : ne impone,
prescrive a n<rf nomini.
186. MODO: di alternare il canto colle
grida. - BASTI : duri, continni invariabile
per tntto il tempo della loro purgaiione.
138. CON COTAl: Al. E COHTAI; «OOn OOSl
fktto stimolo e soUedtndine, cantando tal
inno, e oon tai patti, e ricordando tali
esempi, quali son qnisUi ohe veduti ab-
biamo » ; Dan.
139. LA PIAGA : del tosco di Yenere. -
DASSEZZO : da ultimo, alla fine ; cfr. Ji^.
TII, 130. -SI RICUCIA: «sicot mediona
suit plagam magnam, et allquando nrit
illam igne ne putrescat, ita «temus me-
dicus peccatum Inxuri» hic pnrgat per
ignem ne pariat saniem » ; Benv.
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[GIBONB SETTIMO] PUfiO. XXYI. 1-12 [LUSSUEIOSI] 607
CANTO VENTESIMOSESTO
GIBONE SETTIMO : LUSSURIA
DU£ SCHIERE OPPOSTE DI LUS8UBI08I
ESEMPI DI LU88TJBIA, GUIDO OUINIZELLI, ARNALDO DANIELLO
Mentre che si per V orlo, uno innanzi altro,
Ce n'andayamoi e spesso il buon maestro
Diceva: < Guardai Giovi, ch'io ti scaltro ! »,
4 Ferlami il sole in sa l' omero destro.
Che già, raggiando, tutto l'occidente
Mutava in bianco aspetto di cilestro ;
7 Ed io facea con l' ombra più rovente
Parer la fiamma ; e pure a tanto indizio
Vidi molt' ombre, andando, poner mente.
10 Questa fu la cagion ohe diede inizio
Loro a parlar di me ; e cominciarsi
A dir : « Colui non par corpo fittizio » ;
Y. 1-24. Mat^vigUa deUe ofiinM destro. Sono droa le qn*ttro pomeridi»-
purgmnti, 1 Poeti procedono Tnn do- ne; il sole, già molto «bbMsato, ferisce
pò r altro per il sentiero stretto che le Dante alla spalla,
flamine lasciano rerso 11 vano. Av«i- 0. mutava : « imperò che di sao colore
do U sole ohe gli splende a destra e la è l' aere cilestro ; e quando il sole ò sensa
fiamma alla sinistra, Dante coli' ombra nnyole, si lo biancheggia per la Ince de'
del corpo sno fa parere pih rovente la suoi rasai »; An, Fior, - asfbtto: co-
fiamma. Le anime, avendo fatto atten- loro,
alone a si insolita cosa, segno certo di 7. coir l* ombba: che il mio corpo get
corpo materiale, si marafigliano, ed al- tava a sinistra. - bovehte: viva, rossa,
enne si aTanzano Terso il Poeta, chie- 8. b pubb: e solamente a così piccolo
dendogli per qoal motivo mai col corpo indialo, quale era qaello del giallume del
suo egli fttocia ostacolo alla lace del sole, faoco ohe tomaya in rosso all'ombra mia,
eonse se foese ancor rivo. Altri intendono : Sd anche qoi, come al-
1. 8Ì : come ò stato detto in Purg, trovo ; cfr. Oom, Lipt. U, 619.
XXV, 115 e seg. - uvo uiirAMZi altbo: 9. andando : camminando per messo
Al. UHO Ajm l' ALTBO. alle fiamme.
8. OUABDA: bada dove metti i piedi e 10. inizio: occasione, argomento,
ti giori che io ti rendo avvertito. ll.ooMiNCilBSirsioomindaronoadire
4. fsbIami : il sole che, raggiando, mn- tra loro,
tara già totto l' ooddente di oOestro in 12. fittizio: aereo, come qaello delie
Manco aspetto, mi feriva in sa l'omero ombre che non impedisce il Ubero pa^
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608 [OIBONE SETTIMO] PURO. XXYI. 18-29
[LUBSUBIOBI]
18
10
19
22
25
28
Poi yerso me, quanto potevan &rsi,
Certi si feron, sempre con riguardo
Di non uscir dove non fossero arsi.
< 0 tn ohe vai, non per esser più tardo,
Ma forse reverente, agli altri dopo,
Bispondi a me, che in sete ed in foco ardo !
Né solo a me la tua risposta è uopo ;
Che tutti questi n'hanno maggior sete.
Che d' acqua fredda Indo e Etiòpo.
Dinne com' è che fai di te parete
Al sol, come se tu non fossi ancora
Di morte entrato dentro dalla rete. »
Si mi parlava un d' essi ; ed io mi fora
Già manifesto, s'io non fossi atteso
Ad altra novità ch'apparse allora;
Che per lo mezzo del cammino acceso
Venne gente col viso incontro a questa,
saggio ti raggi solari; ofr. Purg. m,
26; V, 84.
18. FABSi : avansarsi sensa uscire dalla
fiamma per non interrompere nn mo-
mento solo la loro penitenza e porifloa-
sione.
14. CRBTi: alooni di qaegU spiriti.
10. VAI ! eammini dopo i tao! compagni,
non per lentesza o pigrisia, ma forse per
roTerensa, riconoscendo in essi 1 mag-
giori, in te il minore.
18. IN SBTS : nel desiderio di sapere se
ta sei veramente viro, come sembri. -
IN roco: in qoeeta fiamma nella qnale
io mi parifico. « Mitte Lazamm ot intln-
gat extremam digiti sai in aqnam at re*
frigeret Ungoam meam, qoia crodor in
hac fiamma »; Luca XVI, 24.
20. QUBsn: miei oompagnL - bbtb:
brama ardente (« Sitivit in te anima
mea »; P$al. LXII, 2) di sapere ciò di
ohe ti richiedo; « aviditatem bibendi
Torba toa»; Bsnv,
21. CHE d'acqua: « che non bramino
r acqua fresca i popoli dell' India e del-
l'Ktiopia, regioni dal sole riarse » ; Lomb,
- « Aqoa frigida anim» sltientl, et non*
oias bonus de terra longlnqoa »; Prav,
XXV, 26.
32. PABBTH: opaca. Com'è che tafai
col tao corpo ostacolo ai raggi del sole,
tal ombra, come se ta fossi ancor vivof
ofr. Purg, lU. 88 e seg.
24. BETB: « more enim pisoator in ma-
gno mari mortaliom, et omnia genera
animantiam eapit»; Bttiv.
V. 25-86. Incontro dotte duo ooMofo
di luoowHooL Mentre Dante è H per ri-
spondere e manifestarsi, ecco on'altim
schiera di anime (loseariosi contro nm-
tara) renire in diresione opposta. Inoon-
trandosi, le anime delle dae sohiere ai
badano scamblerolmente, secondo l'ani-
mooisione apostolica: «SalatatOTi acanti-
bioTolmente col bado santo»; J2om.XVT,
1«. I Cor. XVI, 20. U Oor, XHI. 12. I
TheMol. V, 30. I Pietro V, 14. Ma que-
sto bacio ddle anime ricorda loro nello
stesso tempo 1 baci libidinosi de* qoali
nn dì ftirono tanto ghiotti; dodiè eaae
co' bad santi espiano i bad peeoami-
nod.
26. uir : ò questi, come dirà in seguito.
Guido GuiniseUi: ofr. t. 91-lt6. - m
fora: mi sard manilbatato subito, se
non aresd tetto attendono ad un* altra
novità ohe apparve in qud momento.
20. MAMIFISTO : manifestato ; ofr. Wmn-
nue.,V«rbi, 403. -hon tossi Aimo : non
avesd badato. Oli antichi aooompagna-
rono attendere ooU' ausiliare SMsrs, inro-
ee di avere ; cfr. Obm. lÀpe, II, 6S1.
28. DEL CAiaoirot della ria oooupata
dalla fiamma.
29. VBirNBt Al, VBI(U.-A QUB8TA : alla
gente ohe andava ndla stessa dirssiose
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[GIKOVI 8ITTIX0]
PUBO. XXYI. 80-48 [B8. DI LUSSURIA] 609
81
U
S7
43
La qoal mi fece a rimirar sospeso.
LI veggio d' ogni parte farsi presta
Ciascan' ombra, e baciarsi una con ona,
Senza restar, contente a breve festa.
Cosi per entro loro schiera bruna
S'ammusa l'una con l'altra formica,
Forse ad espiar lor via e lor fortuna.
Tosto che parton l'accoglienza amica.
Prima che il primo passo 11 trascorra,
Sopragridar dascnna s'affiitìca;
La nuova gente : < Soddoma e Gomorra ! »;
E l' altra : « Nella vacca entra Pasife,
Perchè il torello a sua lussuria corra I »
Poi come gru, eh' alle montagne Bife
d«i Poeti e ohe si era loro ATTicinAt»,
T. IS. Cfr. Inf, XVIU, 26 e aeg.
SO.MirBCB; ftttiratndoaaètatUqiuuita
U mi» ftttenxioiie, qneet» noora gente
fece A^ ohe io Indogùi a rispondere sIU
domuidA fkttimL
81. lì : al ponto dell' incontro delle due
iddere. > FABSi PBBBTA : affrettarsi.
S2. CU0CUH' OMBRA : delle doe schiere.
- UKA OOH UHA : ad una ad una; « in im-
{«operinm nefkriie conlnnotionfs, qnam
in seeolo peregemnt » \ Benv. Cfr. Oom.
Lip9, n, 522.
83. BBSTAB : sensa farmarsi nn istante
dopo il bado, contente di tanta « Liete
«rano qoeste anime nel vedersi in qnel
Inogo di salyasione, malgrado del peo-
calo die rendoTale eosi somiglianti nella
edpa»; BMtL
84. 8CHIB&A EEUiTA: linea bruna for-
mata dalle formiche.
85. 8* AMMUSA : si scontra moso a mnso;
efr. Yirg., Am. IV. 404 e seg. Ovid,» UH.
TU, 634 e asf .
86. AD mpiAB: a spiar le oondirioni
ieOa Tiache percorrono, e la loro ibrtona
nd trovar dbo. AL a bpiab. « Qo» tono
eamm cooTorsatio f Qnam diligens onm
obvlIsqiuDdam coUooatio atqneperoonta-
tfof» FfSn,, Eim. nat. U. Cfr. L. YetU,
V. 87-48. B9emp4 di brutta Imssm-
rfo. SoUto die qndle anime si sono
badate, prima di allontanard, gridano
a ehi plii può, ricordando esempi di naa-
seaatelaasaria. L'onaschierarammenta
fliiWsMa e CkmMvna, le elttà snlle qoall
8t. — Di9, Ohmm., 4* edis.
il Signore fece piovere foooo e solfo in
pena de* loro peccati, tra' qnali non ul-
timo il peccato di lossnria contro natura;
l'altra rammenta Padfo, la madre dd-
r « infomia di Greti »{ Ir^. XU, 12 e seg.
tipo della donna che, calpestata la coniu-
gale interessa, imbrutisce il suo appetito
e sviad dietro a tde ohe ha meritamente
il nome di Tauro ; cfr. HoraL, Od, II, v,
1 e seg. Ovid,, Heroid. V, 17 e seg. Dopo
tali grida, le due schiere d separano.
87. PABTON: compiono; appena d se-
parano e prima che abbian fotto il primo
passo. Oppure, come intendono altri:
Tosto che cessano dd ford lieta acco-
gliensa.
88. LÌ t dd luogo ddl' inofmtro -« nd-
r atto stesso di scostard.
88. BOPRAOBiDAB : gridare d disopra,
r una più forte ddl' dtra. Al. bopbao-
eaiDAB.
40. HUOVA ouiTX: la Schiera dd lus-
suriod contro natura, arrivata mentre
Dante stava osservando l' dtra schiera.
- Soddoma i Gomorra : cfr. (hn. XVIII,
20; XIX, 25.
41. l'altra: la schiera ddlnssuriod
secondo natura, della quale era il Gni-
nizelli. " ENTRA : Al. EHTRÒ ; cfr. MooTé,
Orit., 120 e seg. - Pabivb : figlia di Apdlo
e dellaninfo Persdde, moglie di Minosse,
Ifif, V, 4, ohe entrò ndia vacca di legno,
eddsuooommeroiocol toro di Poseidone
oonoepì e partori il Minotauro ; cfr. Irsf,
XII. 12 e seg. ApoUod. HI, 1, 2, e seg.
Ovid,, Art Am, I, 2, 205 e seg.
48. GRU : una similitudine slmile Ji^.
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610 [GIBONE BBTTIXOJ PUBG. XXVL 44-56 [RISPOSTA BITÀRDÀTA]
40
40
52
55
Volasser parte, e parte invèr le arene,
Queste del gel, quelle del sole sohife;
L'una gente sen va, l'altra sen viene,
E toman lagrimando a' primi canti,
Ed al gridar che più lor si conviene.
E raccostarsi a me, come davanti,
Essi medesmi che m'avean pregato.
Attenti ad ascoltar ne' lor sembianti.
Io, che due volte avea visto lor grato,
Incominciai: € 0 anime sicure
D'aver, quando che sia, di pace stato,
Non son rimase acerbe né mature
Le membra mie di là, ma son qui meco
V, 46. La 8imllitadine è qni ipotetlo*,
ohe yeramente le granon Totano mai nel
modo qui dofloritto.-BiFE: Blfee, oome
T\fo per Tifeo, Inf. XXXI, 124. I Greci
oollocavano vagamente i monti BiM,
detti anche Iperborei, nelle regioni eet-
tentrionall dell' Bnropa, reeidngendoli
sempre più verso il nord, a misura ohe
acquistavano oognlxioni geografiche più
estese. Sembra die Dante li nomini qni
come monti nel Settentrione in genere,
ofr. Virg., eféOTff. I, 240 e seg.'; IV. 518
e seg.
44. LE ARKNS : gli arenosi deserti del-
l'Africa; ofr.Inr, XXIV, 85. Virg,, Atn,
X, 264 e seg.
46. QUBBTB: legra, schifo del gelo, vo-
lassero verso le arene; le gm, sohife del
sole, verso i monti Rifei. « Pone per ipo-
tesi ciò ohe manca alla piena rassomi-
gliansa della comparasione; cioè chele
gra volassero parte alle montagne Rifee,
e parte verso le arene libiche; qaeste
teh^e del gèlo, figgendo il freddo ; qaelle
del »ol«, friggendo il caldo » ; L, VerU,,
SimU., 434.
46. l'uita: \a nuova gente, v. 40, cioè
la schiera del sodomiti, se ne va a sini-
stra in direzione contrarla a qnella dei
Poeti, r altra procede a destra nella me-
desima diredone.
47. a' fbhu : a ricantar piangendo l'in-
no « SnmmiB Dens clementiffi », Purg,
XXV, 121 e seg.
48. AL GBiDAB: a gridar gli esempi di
castità più convenienti alla oondiiione ed
alla colpa di oiasoano; ofr. Purg.. XXV,
128 e seg.
V. 48-00. JtUpoeta ritardata. Dopo
ohe le due sdhiere si sono separate, Dante
risponde alla domanda Cattagli prima del
r incontro, v. 16 e seg. Qoei medesimi ohe
loavevan pregato, gli si raccostano oome
avean fktto innanxi, composti a grande
attenzione per ascoltarlo. Ed ^;li ri-
sponde : « Sono ancor vivo ; salgo in alto
per illaminar la mente mia, A che io
non abbia più a errare. Una Donna del
cielo acquista grazia a noi mortali ; e per
essa grazia reco qui dal mondo il mio
corpo mortale. »
48. DAVANTI : prima dell* incontro deUe
dae schiere, v. 13 e seg.
51. siMBiANTi: prendendo atteggia-
menti di persone attente per ascoltare.
52. DUB VOLTE : adesso e prima deU' in-
contro coi sodomiti. - GBATO : il loro gra-
dimento, ciò che desideravano.
54. QUANDO CHK sLàt prosto o tardi;
cfr. Purg. XXI, 67 e seg.
55. RUiASi: non sono ancora morto,
nò giovine nò vecchio. Acerbe sono le
membra di chi muore in gioventh, ma-
ture qoelle di chi muore nella vecchiaia.
56. DI Li : nel mondo. - meco : « Ad
naturam spedei pertinet id qnod algai-
ficat definitio. Deflnitio autem in rebus
naturalibns non significat formam tan-
tum, sed formam et materiam. Unde
materia est pars spedei in rebus natn-
ralibus, non quidam materia signata,
qn«B est prindpinm indlviduationis, sed
materia commnnis. Sicut enim de ratio-
ne huius hominis est qnod dt ex hao
anima et hls oamibns et bis osdbus ; ita
de ratione hominis est quod dt ex anima
et camibus, et osdbus ; oportet enim de
substantia spedei esse quldquid est oom-
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[OIBONE SETTIMO]
PUBG. XIVI. 57-71
[LUSSURIOSI] 611
S8
«1
6i
67
70
Gol sangue sno e oon le sue giunture.
Quinci su vo per non esser più cieco :
Donna ò di sopra che n'acquista grazia,
Per che il mortai pel vostro mondo reco.
Ma se la vostra maggior voglia sazia
Tosto divegna, si che il ciel v' alberghi,
Gh'ò pien d'amore e più ampio si spazia,
Ditemi, acciò che ancor carte ne verghi,
Chi siete voi, e chi ò quella turba
Che se ne va diretro ai vostri terghi. >
Non altrimenti stupido si turba
Lo montanaro, e rimirando ammuta,
Quando rozzo e salvatico s'inurba,
Che ciascun' ombra fece in sua paruta;
Ma, poi che furon di stupore scarche,
mmiter de sabstantiA omnlam indivi-
doomm sab tpede oontentomm. »Thom,
Aq., Oum. théol. I. 75, 4.
57.8UO:loro; ofr.Jf^.X,18.Veremem-
htm, non aeree, come quelle delle anime.
58. QUINCI : d« questo laogo. - su vo :
Al. vo su. -eneo : della mente; ofr. II
Pittro I, 5-0.
50. DONKA: la Vergine Maria, oonfr.
Inf. n, 04-06. Oom, Lipi. n, 527.
60. FKK CHI : In virtù della quale gra-
fia impetratami dalla celeste Donna. -
IL MORTAL: la parte mortale, il eorpo;
«fr. Purg. V, 106. - vobtbo : per lo « se-
colo immortale >; It^, II, 15 e seg.
V. 61-66. Brughiera aìie an<ine.
Avendo appagato il loro desiderio, Dante
prega qo^le anime di maoifestarglisi e
di dirgli nello stesso tempo obi sono quelle
altre ohe corrono nella fiamma in dir»>
sione opposta, promettendo di soriveme
a memoria degli nomini.
61. BS: cosi sia presto soddisfiitto il
maggior vostro desiderio della beatito-
dlne celeste. «Nota, obe Dante augura
aqnsste anime, già ree di colpe amorote,
d'andare appunto a quella pa^ del cielo
cb'è tutta amore, oome si dice Par,
XXX. 40, 62»; BetH,
63. piKN D'AMOSi: per essere la sede
del beati, cfr. Por. XXX, 40 e seg. - PIÙ
AMno : essendo sopra tutti gli altri cieli
e contenendoli tutti in sd ; ofr. Oonv, II,
4. Thom. Aq„ Ami. theol. 1, 66, 3 ; 1, 102,
2;I.112,1. JV. U, 84.
64. HK vxBOHi: ne scriva, ricordan-
dovi, affinchè ottoniate suffragi de' vi-
venti.
66. BE KB VA : Al. BÌ NI VA. -DDUBTBO :
in diresione contraria alla vostra.
V. 67-00. Le due echiere ed il laro
peccato. Dopo un momento di universale
stupore, prodotto dal vedere coU chi ò an-
cora nella prima vita, l'anima che ave-
va già rivolto la parola a Dante, rispon-
de alle sue domande : « Coloro che vanno
in direzione opposta a noi, ftirono sodo-
miti. Noi peccammo di lussuria confor-
me a natura ; ma non avendo osservato
le leggi del matrimonio ed altre, si
grida in nostro obbrobrio il nome di
Paaife.*
67. STUPIDO i pieno di stupore ; conftr.
Oonv. rV, 25. - Bl TUBBAt si conftmde.
68. ammuta: ammutolisce, sta lì guar-
dando a bocca aperta.
60. BOZZO : « rosso, quanto alle parole
e agli atti ; Selvatico, per quel modo om-
broso e quasi selvaggio, onde pare ch'egli
eviti il consorzio degli uomini civili »; L.
Veni., 8im. 207.-b'iiiurba; entra in città
rouo e telvatieo, doè la prima volta* Spe-
daliter poeta intelligit de montano habl-
tante in alplbus Florentiie, qui prima
vice qua venit Florentlam, videns ex-
celsa palatia, homlnes oiviles, mirabiles
sirenes, non satiator visu, et videns tot
nnmquam visa obstupescltt hunc actum
viderat poeta allquando in ipsa patria
sua »; Bénv,
70. fabuta: apparenza, sembianza.
71. BCABCHS: scarichOi^libere.
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612 [OIBOHB 8ITTIX0] PUBO. XXYL 72-84
[LU88UBI08I]
78
76
70
82
Lo qoal negli alti oaor tosto s'attuta,
€ Beato te, che delle nostre marche, »
Bicominciò colei che pria m' inchiese,
€ Per viver meglio, esperienza imbarche !
La gente che non vien con noi, offese
Di ciò per che già Cesar, trionfando,
'' Begina „ centra s& chiamar s'intese ;
Però si parton *^ Soddoma „ gridando,
Rimproverando a so, com'hai adito.
Ed aiutan l' arsura vergognando.
Nostro peccato fu ermafrodito ;
Ma perchè non servammo umana legge.
Seguendo come bestie l'appetito.
72. NEGU ALTI CUOB : ft dlffereosA dello
■tapore deU'ignorans» del ylllAno. -s'at-
tuta: ai apegne, d dimlnaieoe e oese»;
ofr. Diez^Wort, 1*. 434e seg. Al. 81 muta;
ofr. Jfoora, OriU, 421 e seg.
73. MABcm: contrade, regioni; ofr.
Fwrg. XIX, 46.
74. ooun : r ombra del GniniselU, ofr.
y. 16-26. > M'DfOHIBSB: Al. HE CHIB8B.
76. FSB YiVBB: Al. FBB MOBIB. Danto
va aa « per non eaaer più deoo » v. 68,
danqae per vivar meglio. Del reato ohi
ben Tire, ben mnore. Cfr. Mowre, Orit.,
422 e aeg. - imbabchb: metti nella tna
barca, nella « navicella del tuo ingegno »
(Purg. I, 2); raccogli.
77. DI CIÒ : aodomia. - Cbsab ; a motivo
del nefimdo ano commercio conNioomede,
re di Bitinia, nn certo Ottavio aalato Ce-
Bare in nna grande radananaa col nome
di regina e fti chiamato regina biUnica
dal ano collega M. Bibolo. Nel trionfo
gallico i aoldati romani cantarono, tra
altre, la laida cansone:
OAlUaaGBBMr tabeglt. Kieomedet CaBSArem;
BooeOBMrnano iHamphat.qal sabefitOalUat;
Nioomedei non trinm^at^ol i ab«flt CeMarem.
Goal racconta Svetonio, Vita Jul. Ocd$.,i9,
Danto, o conftiae in ano i dae Iktti divor-
ai, oppore traaporto a bella poeto il mot*
toggio di Ottovio e di Bibnlo al canto nel
trionfo gallico.
70. pbbò: perchè peccarono di aodo-
mia. - Bi PABTOif : da noi, andando in di-
rezione oppoata.
81. AIUTA»: ikoilitano, promuovono.
La vergogna volontaria di qnelle anime
contriboiaoe a compire 1* opera della loro
pnriflcasione, aiuta qnaai le ilamme a
parificarli.
82. BBMAFBODiTO : biaeaaoale, tonnine
tolto daH'Bnnafrodito della ihvola ohe «I
ani colla Naiade Salmaoe in an corpo aolo
avento i dae aeaal; cfr. Ovid,, MeLIV,
288-888. Sono i laaaarioai ohe non peoon-
rono contro natura. « Peccatam loxnrijD
conalatit in hoc qaod aliqaia non aecnn-
dam rectam rationem delectatione vene-
rea ntitor. Qaod qaidem contingit da-
plioiter : ano modo aeoandnm materiam
io qaa halaamodi deleototionem qoasrit;
alio modo aecandam qaod, materia debite
exiatonto, non obaervantar ali» debitae
condì tionea. > Thom. Aq., Bum. CAaol.II, u
164, 1. Aloani ai awiaano ohe la aohiere
del Gainizelli aia di C(4oro che peccarono
di beatiaUtà, come ae i colpevoli di be-
atialità foaaero tatti nel Paigatorio ed
i colpevoli di laaaarla natarale tatti nel-
r Inferno; ofr. Ohi». LipB, n, 681-634.
83. BBBVAMMO: oaoervammo. « Uans
venereoram poteat eaae abaqae peoeato,
ai fiat debito modo et ordine, aecaedoaì
qaod eat oonveniena ad flnem genere-
tionia haman».... Hoc pertinet ad ratio-
nem laxari» at ordinem et modam re-
tionia ezoedat drca venerea »; Tkom Aq,,
i9um. (A. II, n, 168, 2 e S.-UMAHA! non pec-
carono danqae contro le leggi di natora.
84. OOMB BBBTIB : « cho non oaaervano
né matrimonio né parenUdo »^Oif(».->« Si-
no ratione humana »; Bmv. Cfr. Ptalm.
XLYIU, 21..< Chi dalla ragione ai parte,
e oaa par la parto aenaitiva, non rive
nomo, ma vive beatia »i Oonv, II, 8.
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[eiBOKI SETTIMO]
PuBO. XXVI. 85-97
[GimnziLLi] 618
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In obbrobrio di noi, per noi si legge.
Quando partiamci, il nome di colei
Che s'imbestiò nell'imbestiate schegge.
Or sai nostri atti, e di ohe fummo rei:
Se forse a nome vuoi saper chi semo,
Tempo non ò da dire, e non saprei.
Faretti ben di me volere scemo :
Son Quido Quinizelli; e già mi purgo,
Per ben dolermi prima ch'alio stremo. »
Quali nella tristizia di Licurgo
Si fér due figli a riveder la madre.
Tal mi fec'io, ma non a tanto insurgo,
Quand'i' odo nomar s& stesso il padre
SS.siuuoi: ti dtoe, ai gridai cfr. Inf,
X«65.
86. PABTiAMa: ci dlyidiamo dftU'Altra
■ohlenL -OOLB: Paaife. Per gli uomini
del medio ero le ferole di Peaife ere noe
eflegorle, e PesUbil tipo delledonna rotte
el Tieio di liuenrie. Cfr. Sng,, ad Tirg,,
Atn, VI, 24. Horai., Od. II, Y, 1 e aeg.
Owid,, Beroid, V, 17, 18.
87. 8*iMBt8Tiò : Qiò de beetie. - SCBIO-
ob: U«fUeeTeece», Inf, XU, 18, fktte
90. TBMFO : eeeendo già sere. - non 8A-
rsn : tento grende è il numero dei loaea-
rioei, che il tempo non beate e nominerli,
né io li oonoeoo tattt
T. 81-186. Guido GutnimeUi. Qoel-
r anime contlnoe menifeatendo e Dante
fl eoo nome, eU' udire il qnele Dente vor-
rebbe correre ed ebbrecderle, ae le pen-
re deUe flemme non lo tretteneaae, onde
^tun^in». riguerdendo quell'eniuA, e poi
le olfre con emor flgliele i aooi aerrigi.
- « Perchè mi moatri tento effottof « A
motivo dei dold ed immorteli voatri ver-
aL » « Fretello, qneati oh* io ti addito fta
miglior poete di me. Bgli auperò tutti,
checché ne diceno gli atolti ohe gli ente-
pongono il Lemoaiiio. Goal eltri predi-
cerone già aommo poete Guittone d' A-
reeio, finché le verità fri rioonoadute de
moltL B giecohé le greeie divine ti con-
cede di endere in Perediao, prege leaati
per me. » Cié detto, il Guiniselli dlapere
nel ftioco, Anee per der luogo e quell' el-
trodeloiedditeto.
81. FABOTTI: ti aoddlsfliré benrà in
qnento e me, dicendoti il mio nome.
82. Guido Guinisblu: bologneae, ce-
lebre poete volgere delle aeoonde metà
del aecolo XIH, precuraore delle nuove
acuole del « dolce atil nuovo », morto
caule nel 1278. Di lui cfr. BnMa,, 87i
e le atorie letterarie; Oonv, IV, 20. Vulg,
Bloq. 1, 15. Bartoli, LeU, iM. II, 284
e aeg. - mi puboo : qui, invece di eapet-
tere enoore leggiù nell' Antipurgetorio.
88. PBR BKN : per eaaermi pentito pri-
me di giungere elio atremo di mie vite.
84. TB18TIZIA : dolore per le morte del
figUo Ofelte, deto in cnatodle ed laifile,
che lo depoae auU' erbe per moatrere al
Bette contro Tebe il fonte Laogie (Purg.
XXII, 112), onde il figlioletto peri morao
de aerpentL -Licurgo: re di Nomee.
86. Flou : Toente ed Buneo, erriveti
e tempo per aelvere laifile delle meni
dei cemefloi cui ere atete oonaegnete
de Suridice, moglie di Licurgo, per ven-
dicer le morte di Ofelte. Appone i due
flgU ebbero riconoaciuto le medre, cor-
aero ad ebbrecderle. « Per tele menua-
que Irruemnt, metremque evidia com-
plexibua embo Diripiunt fienteo, elter-
neque pectore mutent »; Stai,, Théb, V,
720 e aeg.
86. TAL : eoe! ench' io mi aentii preao de
un viviaaimo deaiderio di correre ed ab-
brecoiere il GninlselU (cfr. Ii\f, XV, 48
e aeg.; XVI, 46 e aeg.), me mi eatenni
del ferlo, temendo 11 ftiooo, v. 102. Goal
i più. Sopre eltre interpretecioni oonfr.
Oom, Lipi. II, 687. - A TANTO t e correre
ed abbreodere il Guiniselli, come i figli
d'Iaifile coraero ad abbreodere le medre.
87. odo: Al. UDi'.-PADRB: mecatro
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614 [GIBOITB BBTTIMO] PuilG. XXYI. 98-117 fOUlKlZELLl]
Mio e degli altri miei miglior, che mai
Rime d'amore os&r dolci e leggiadre:
100 E, senza adire e dir, pensoso andai
Lunga fiata rimirando lui,
N&, per lo foco, in là più m'appressai.
103 Poi che di riguardar pasciuto fui.
Tutto m'offersi pronto al suo servigio,
Con l'affermar che fa credere altrui.
ICO Ed egli a me : € Tu lasci tal vestigio,
Per quel eh' i' odo, in me, e tanto chiaro,
Che Lete noi può tórre né far bigio.
109 Ma, se le tue parole or ver giurare,
Dimmi : che è cagion, per che dimostri
Nel dire e nel guardare avermi caro? »
112 Ed io a lui: € Li dolci detti vostri.
Che, quanto durerà l' uso moderno,
Faranno cari ancora i loro inchiostri. »
116 « 0 frate, » disse, € questi ch'io ti scemo
Col dito, » ed additò un spirto innanzi,
€ Fu miglior fabbro del parlar materno.
nel poetare. Dante dà questo titolo di XXXI, 01 e seg. ; XXXIII, 01 e seg. ~
solito a Virgilio ; soltanto in questo loogo tòbbk me far bigio : oanoellare né oeca-
lo dà pare ad an altro poeta. rare. Al. mol può tòb, né fablo bigio.
98. MIRI :« degli altri poeti migliori di 109. farolb: le nltime, y. lOfi. Con-
ine »; Benv. Buti, Land., eoo. -e Degli al- oetto : Ciò che dicesti drca la grazia a
tri migliori poeti a me cari »; 0o9ta, Ed, te concessa, ha fatto tale Impressione sa
Pad,, eoo. -« Degli altri migliori italiani me, che non me ne scorderò mal più.
miei oonnaaionall »; Tom,, Br. B„ Frat., Ha se le ultime tne parole sono veraci,
Ctom., ecc. La prima interpretazione me* dimmi quale sia la cagione dell'amore
riterebbe la preferenza se si potesse ere- che mi porti.
dereaverDante considerato per migliori 112. dktti: componimenti poetici; le
di lui altri poeti contemporanei. vostredoloi rime. L'ammirarione di Dan*
99. ubIb: dettarono versi d'amore di te è tutta letteraria.
dolce ispirasione e forma leggiadra. «Non 118. quakto: cf^. Jn/. II, 60.-l'ubo:
satis est pulohra esse poemata : dulda di poetare in lingua volgare. - moderno ;
sunto I»; Horat., Art poet., 09. cfr. Vita nuova, 25 : « Anticamente non
100. B SENZA: ed andai unpezso a nul- erano dicitori d'Amore in lingua voi-
r altro badando che a guardarlo ; oonfr. gare, ma erano dicitori d'Amore eerti
Giobbe II, 18. poeti in lingua latina.... B non è molto
102. IN LÀ : verso di lui ; non mi acce- numero d' anni passato, che apparirono
stai di pih a lui per cagione del fhoco. prima questi poeti volgari. »
105. CON l'affkrmab: conginramen- • 114. faranno: saranno sempre letti
to, V. 109. con diletto; cfr. Purg. XI, 97-99, dove
106. VESTIGIO; memoria. Dante sembra dire il contrario.
107. ODO : della grazia a te concessa, 116. o fbate : otr. Purg. XI, 82 e seg.
V. 55-60; cflr. V. 78, 75. - QUBSTI: Arnaldo Daniello, v. 142. -
108. LsTÈt le acque del flnme della bcbrno: mostro.
«mentlcanza, cfr. Putì^. XXVIII. 180; 117. FABBRO: poetò megUo nella sua
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tOIRONB SETTIMO]
PUBG. XX7I. 118-128 [GUnriZELLl] 615
UB
121
134
127
Versi d'amore e prose di romanzi
Soverchiò tutti, e lascia dir gli stolti,
Che quel di Lemosi credon ch'avanzi.
A voce più eh' al ver drizzan li volti,
E cosi ferman sua opinione
Prima ch'arte o ragion per lor s'ascolti.
Cosi fèr molti antichi di Guittone,
Di grido in grido por lui dando pregio,
Fin che l'ha vinto il ver con più persone.
Or, se tu hai si ampio privilegio.
Che licito ti sia l'andare al chiostro.
Bngnm proreiuAle ohe lo non facessi nella
nostra. « MaUmo sta qui in opposizione
al latino in oni molti oomponeTano a quel
teiapo, ma ohe non era più lingua popo-
lare o materna »; Br, B.
118. VBB8I D' AMOBB : canzoni erotiche
in ttngnaproToizale.-FBoeKDiBOMAH-
o : romanzi in prosa francese antica. Il
senso è indubbio: Soperò tatti gli altri
trovatori provenzali e romanzieri fran-
eeal. Si paò oostniire: Soverohiò tutti i
Tersi d' amore e tutto le prose di ro-
manzi {Lomb., Br. B., eoo.), oppure,
ft»rse meglio, ammettendo una olissi:
Superò tutti gli altri fabbri del parlar
materno nel dettar versi d' amore e pro-
se di romanzi {Benv,, Andr,, eco.)
120. QUBL: Oirault de Bomelh («Gè-
rardos de Bomello », ViOg. El, II, 2, 6),
celebre poeta provenzale, nativo di Ss-
sidu^ nel Limosino ; fiorì dal 1775 sin
verso il 1220. Fu chiamato da' suoi oon-
temporanM il maestro dei trovatori, da
Dante il cantore della rettitudine. Qui
Dante lo pospone ad Arnaldo Daniello,
forse perchè le sue poesie erano agli oo-
ehi suoi troppo chiare e semplici. Cfr.
J>Ì4Z, Lebmund WerU, ed. U, 110-124.
Oom. IÀp$. II, 541. OanéOo, VUatdop.
del trov, Arn. DanitUo, Halle, 1883, 88
e seg. - LemosI : lat. Lemovieé9, si può
intendere della città di Lemogeo, oppure
del Lemogino o Limosino, provincia di
Trancia.
121. A VOCI: « Non sequeris tnrbam
ad fzdendum malumi neo in iudicio,
phirimomm acquiesoens sententlfe, ut
a vero devies»; Bxod. XXin, 2. - driz-
2AH: gU tMU, V. 110, attendono più al
rumore di vana fSama ohe alla verità dei
filiti.
122. bua: loro. Badando soltento al-
l' opinione comune, costoro fermano la
loro opinione senza intorrogare le leggi
dell'arto e della ragione. « Flures enlm
magnum sepe nomen fiUsis vulgi opi-
nionibus abstulerunt »} Boet., OofiM.phU.
ni, pr. 6.
124. GurrroNB: d'Arezzo; cfr. Furg,
XXIV, 66. Vulg. SI. H, 0. «Frate Guit-
tone d'Arezzo fa antico et valento di-
citore in rima, et fece molto canzone
morali, et sonetti et ballato, et al suo
tempo avanzò ogni altro trovatore;, et
durò tanto la Cuna antica, ohe, ben ohe
poi ne fossono di quelli che dioessono
meglio di lui, come ta noterò Iacopo da
Lentino, Ser Buonagiunte Orblciani da
Lucca, messer Guido Guinizelli da Bo-
logna, pur la fama di frato Guittone
tenea il campo, infine a tanto che '1 vero
ta conosciuto di quelli che dissono me-
glio di lui »; An. Fior,
125. DI GRIDO: gridando alla deca ciò
che altri gridavano. - pub lui : soltanto
a lui. « Quelli eh' è deoo del lume della
discrezione sempre va nel suo giudldo
secondo il grido, o diritto o ftdso ohe
sia »; Oonv. I, 11.
126. CON PIÙ : con un numero di per-
sone maggiore di quei motti antiehi che
dottoro il pregio tà solo Guittone. Al.:
Col merito maggiore di parecchi poeti
successivi che scrissero meglio di lui.
Ha le più persone stanno in opposizione
coi molti emUehi, e se Guittone non ta
superato ohe dai postori, i moUi antichi
avevano ragione se davano a lui solo 11
pregio.
127. PRTViLBOio: cfr. Purg. XVI, 87
e seg.
128. AL CHI08TB0: al Paradiso, dove
Cristo ò capo della sodetà dd beati ; « in
Paradiso lo quale è ohiuèura de' beat*
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616 [aiBOHB SBTTIXO] PUBO. XXVI. 129-140 [ABNALDO DAHIELLO]
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188
180
189
Nel quale è Cristo abate del collegio,
Fagli per me un dir di un paternostro,
Quanto bisogna a noi di questo mondo,
Dove poter peccar non ò più nostro. >
Poi, forse per dar loco altrui secondo
Ohe presso avea, disparve per lo fuoco.
Come per l' aoqtia pesce andando al fondo.
Io mi feci al mostrato innanzi un poco,
E dissi ch'ai suo nome il mio disire
Apparecchiava grazioso loco.
£i cominciò liberamente a dire:
€ Tari m* abellia vostre cortes deman^
oome lo chiostro è de* religiosi ohiusora
oonsolAtori* e refrlgeiAtori* »; Butù
129. ABATI: padre, oapo, daoe. « Im-
però che come l' ahhate è padre e signore
dei monaci ; cosi Cristo via maggiormente
ò padre e signore de* beati »$ BuH,
180. FAOLi : recita per me dinansi al
trono di disto tanto del Padr$ noiiro,
quanto bisogna a noi anime del Parga^
torio, ohe, non potendo più peccare, non
abbiamo più bisogno di pregare 1* ultima
delle preghiere del Padre nottro; oonfk*.
Purg. XI, 22 e seg.
182. NOSTRO: in nostro potere.
188. roBSB : per dare forse posto ad al-
tri, secondo ohe via via gli venivano ap-
presso. AL : Forse per dare il secondo
luogo all'altro che avea presso di sé,
oioè ad Arnaldo (t>. Cfr. Faf\f„ Stud. ed
Oit; 112 e seg.
186. AifDAVDO: oome il pesce ohe si
caccia verso il fondo scompare dalla su-
perficie dell'acqua. « Beco che adduce
propria similitudine: l'acqua è traspa-
rente sicché si vede in essa quel che
v'ò, e cosi la fiamma del ftiooo è tra-
sparente che si vede in essa quel che
v*è; e come lo pesdo non si vede per
lo profondarsi ne l'acqua, co^ quell'ani-
ma per lo profondarsi ne la fiamma » ;
BuH.
V. 186-148. Arnaldo nanieUo. Dante
si avvicina, quanto la fiamma glielo
permette, a colui che il Guiniselli gli
avea mostrato, pregandolo di rivelargli
il suo nome. B l'interrogato risponde
in provenzale, sua lingua materna, di-
cendo ohe egli ò Amault Daniel e pre-
gando egli pure che Dante lo aiuti con
•a© orazioni. Fu oostoi un trovatore
provensale reso più celebre da questi
versi di Dante che non da' suoi lavori
giunti a noi. Fiori nella seconda metà
del secolo XII e pare vivesse sin verso
od oltre U 1200. Sulla sua vita, della
quale s^^piamo lien poco, e le sue ope-
re, delle quali ben poche sono giunte a
noi, eft. Diti, Lèb&n und Werke, edis.
I, 8U-860{ ed. U, 279-202. Owi.l^ps.
n, 589 e seg. OanOlo, op. dt.
186. MI FIGI: mi accostai un poeo a
colui ohe il OuiniseUi m'avea additato,
v. 115 e seg.
187. DisnuE: desiderio di oonosoerlo,
dopo quel tanto uditone dal Guinlaelli.
« Gli dissi, oh' era si vivo il mio deside-
rio di sapere ohi si Ibsse, ohe avrei
accolto con ispedale^ amore il suo no-
me»; Poi.
188. GRAZIOSO LOCO : « scUicet, seri-
bendi aliquid de eo oum redissem ad
mundum viventium»; Benv.
189. LIBKRAMSRTB: sousa fkxtì pre-
gare pih oltre, nella sua lingua mater-
na, con pronta cortesia. lÀòtramefUe
per UberalmerUé, tpontansamentB, oome
Ifkf. XUI, 86. Pwg, XI, 184. Parad,
XXXni, 18.
140. TAN m'abkllis: tradotti letteral-
mente questi versi provensali suonano :
« Tanto m' abbella (—mi è bella, mi pia-
ce, cfr. Par, XXVI, 182) la vosb« cortese
domanda, che io non mi posso né mi vo-
glio a voi coprire (« nasoondere). Io sono
Arnaldo, che piango e vado cantando;
pensoso io veggo la passata follìa, e veggo
(esiandio) giubilando il giorno che spero
dinansi (a me). Ora vi prego, per quel va-
lore die vi guida al sommo di questa scala
(del Purg.), sovvengavi a tempo del mio
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[GIB. SETTIMO] PUBO. XX7I. 141-148 - IXTO. 1-2 [ANOILO] 617
142
146
14S
QuHeu no me puese, ni-m voill a vo$ cobrire.
leu sui Amaut, que plor e vau cantan;
Consiros vei la paesada folor^
Eveijausen lojom, qu'esper, denan.
Ara US preCy per aquella valor
Que vos guida al som d*esia esealina,
Sovenha vos a temps de ma dolor. >
Poi s'ascose nel faoco ohe gli affina.
dolore. » Per le direrse ledonl di qaesti
reni, ehe Tenunente non offrono verana
diAeoltà, ma ohe ftirono guasti dm ama-
niMaai ed editori ignari della lingoa prò-
vei»a]e.efr.aim»J[^JI,544-548.Abblam
•ignito la les. quale fti reetitiiita dal Bs-
ntar in Oiom. ttor. d. UU, «oZ.^toI. XXY,
pag. 816 e seg. Combinandoli ooUe rime
del testo, 1 rersi si possono tradarre:
TSate m* è bel TOitro gsotll dimando,
Qi*lo DSB mi poMo 0 Toglio a voi «oprlrs.
Arnaldo k> sod, ehs pUago e to esalando;
» io Tefco Un'
B TSdo lo ipsrsto di Sfratando.
Or Akoelo |««fo a voi, por quel Talora
Ch*al fommo d*stta teala TMneamaJna,
▲ tsmpo rlpoauite al mio dolors.
142. FLOB ! piango lagrime di penitenta
per i peooati commessi, e canto pensando
allabeatitndine etema che mi attende.
144. DKHAif : dinansi, nsato anticamen-
te per tosto, presto.
147. BOVXKHA: Ti soTTonga; pregate
per me.
148. AFFniA! pnrlfloa delle loro colpe;
cfr. Purg, Vni, 120.
CANTO VENTESIMOSETTIMO
aiEONE settimo: lussueia
L' ANGELO DELLA PURITÀ, PASSO ATTRAVERSO LE FIAMME
SALITA AL PARADISO TEBEESTBE
ULTIME PAROLE DI VIRGILIO
Si come quando i primi raggi vibra
Là dove il sao Fattore il sangue sparse,
V. MS. X/angéto detta eattUà. Sono
le ore 6 V* di sera. I Poeti scorgono nn
sngelo che soll'orlo estemo della cornice
U inTita ad entrare nella fiamma. Kegli
altri cerdhl del Purgatorio non si Ik men-
ikme ehe di nn solo angelo guardiano i
bi questo inTeee sono due: V ano di qna,
l'sltro di là dalle fiamme. H primo è
l' «ngeto della castità, il secondo sembra
essere l' angelo guardiano dell' entrata
nel Paradiso terrestre.
1. b1 come : il sole si stara nel monte
del Purgatorio in quella medesima posi-
zione come quando manda i suoi primi
raggi sopra Gerusalemme; era cioè tÌ'
Gino al tramonto, al quale non manca-
Tano pih ohe venti minuti.
2. Fattore: Cristo, pecioni tutte le
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618 [GmONB 8ETTI1I0] PURG. XIVII. 3-15
[ÀNaSLO]
10
18
Cadendo Ibero sotto Talta Libra,
E l'onde in Gange da nona riarse,
Si stava il sole; onde il giorno sen giva,
Quando l'angel di Dio lieto ci apparse.
Fuor della fiamma stava in su la riva,
E cantava € Beati mundo corde! ^^
In voce assai più che la nostra viva.
Poscia € Più non si va, se pria non morde,
Anime sante, il fuoco ; entrate in esso,
Ed al cantar di là non siate sorde ! »,
Ci disse, come noi gli fummo presso :
Per ch'io divenni tal, quando lo intesi,
Quale & colui che nella fossa ò messo.
0086 furono oreate. « Omni» por Ipsom
ÙMtA sont, et «ine ipso ikotom est nlhil
qnod fiMtmn est »i Giov, I, 8. - e Crea-
re oonvenlt Deo seoandom suiim esse,
qnod est eins essentU, qn» est commo-
nis triboB personis. Uode creare non
est propriam alieni personie, sed oom-
mnne toti Trinitati. » Thom. Aq,, Bum,
theoU I, 45, 0.
8. CADENDO : essendo messanotte snl-
r Sbro, ali* estremo confine occidentale
a 00 gradi da Gemsalemme, nel qnal
tempo la oostellazione della Libra si trova
al meridiano insieme con la notte ; of^.
Cfom. Lip». II, 660. - Ibrso : lat. Iberu9,
l'Ebro, finme della Spagna, il qnale
nasce dai Pirenei, percorre l'Aragona
e la Catalogna, e si getta nel Mediter-
raneo. - Libra : segno dello sodlaco in
cui il sole entra 11 21 settembre, e for-
ma reqainoEio d'antnnno; cfr. Par,
XXIX, 2. Oonv.. m, 6.
4. B l'ohds: e cadendo le aoqne del
Gange, estremo confine orientale a 90
gradi da Gemsalemme, nel mare sotto
gli ardenti raggi del mezEodi. Al. b 'n
L'ONDB. - NONA: la quinta delle sette
parti nelle quali si diTide l' nflaio divino,
recitata a messodì; cft>. Oonv, IV, 28,
dove si legge : « B però sappia dascnno
che la diritta Nona sempre dee sonare
nel oominciamento della settima ora del
dì. » Nona vale qni mezzodi. AI. da no-
ta, DI NOVO, eoe. oflr. Jfoora, Orit., 428
e seg.
6. OHDB: per la qnal condicione di
tempo nel Purgatorio si faceva sera.
8. URTO : o di vedere anime sante, v.
11, cfr. Ltiea XV, 10 ; oppure in aspetto
lieto per fiur ben confidare i viandanti
del restante cammino.
7. IN BU LA RIVA : Bopra la stretta via
estema di quel girone, per la quale i
Poeti andavano ad uno ad uno; confi*.
Pwrg, XXV, 112-117.
8. BBATi : è la sesta delle beatttodini
evangeliche: « Beati 1 puri di onore,
percioochò vedranno Iddio »; MùUt, V, 8.
0. VIVA: chiara, sonora ed armonio* ;
cfr. Purg. XIX, 48 e seg.
10. POSCIA : finito il canto, come noi gli
fummo vicini, V angelo ci disse : « Anime
sante, non si può pid procedere se pri-
ma non siete purlfleate da questo fào-
co ». - « Si per oordis munditiam Ubidl-
nis fiamma non extinguitur, inoaseom
qnniibet virtntes oriontnr »; Chregorio
Magno, Moral, XXI, 0.
12. DI Li : dal ftaooo, cfr. v. 68 e seg.
Porgete ascolto alla voce che risoona
di là dal fuoco, in bocca ad un altro an-
gelo I essa vi servirà di guida.
14. FBR CH* IO : air udire l' invito di en-
trare nel faooo, io rimasi atterrito come
colui che è condannato alla dolorosa pe-
na della propagginazione.
V. 16-45. Z^eBitamione delio apm-
venia. Dante guarda quel ftaooo tatto
sbigottito. Virgilio lo conforta ad en-
trarvi, ricordandogli di averlo guidato
salvo attraverso ben altri periooU. Ha
Dante non si muove, finché Virgilio non
gli ha detto quel fioco essere Tnlttmo
ostacolo che lo separa dalla sua Beatrice.
All' udir dò, Dante si risolve ad entrar
nelle fiamme.
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[GIBONB BXTTIMO]
PURG. XIYn- 16-84
[B8ITÀZI0NB] 619
16
10
28
n
u
In su le man commesse mi protesi,
Gaardando il fnoco, e imaginandò forte
Umani corpi già vedati accesi.
Volsersi verso me le buone scorte ;
E Virgilio mi disse : € Figliuol mio,
Qui può esser tormento, ma non morte.
Bicordati, ricordati.... E se io
Sovresso Gerion ti guidai salvo,
Che farò ora presso più a Dio?
Credi per certo che, se dentro all'alvo
Di questa fiamma stessi ben miU'anni,
Non ti potrebbe far d'un capei calvo;
E se tu credi forse ch'io t'inganni,
Fatti vèr lei, e fatti far credenza
Con le tue mani al lembo de' tuoi panni.
Fon giù omai, pon giù ogni temenza I
Volgiti in qua, e vieni oltre sicuro ! >
Ed io pur fermo e contra coscienza.
Quando mi vide star pur fermo e duro.
16.coMMaBBS : oonglunte. -mi pbotibi :
■poni II oorpo «rantl. « Inorodoohi* le
dito deUe mani, e distesele, sopra vi si
iBoarr», in aUo di spaventoto»; Ou,
17. OUABDAHDO: oome goardiamo co-
sa che oi riempie di terrore. - fobtk:
al riro.
18. TEDirn : eradanqae stato presente
ed ATsa rodato ardere qoalohe oondan-
19. 8COICTS: Virgilio e Stasio.
21. HON MOBTB: qoesto ftiooo del Pur-
gatorio può bensì tormentare, ma non
22. ucoBDATi : « maestrerole retioensa,
ehe diee dieci tanti piti, ohe a ricordargli
ad nn per uno i tanti pericoli da' qnall
r avaa cavato, e le ragioni che egli aTca
di fidarsi di Ini»; (%«.
23. 8OTB180O : persino sul dorso di Gè-
rione; cfr. JV> XVII, 01 e seg.
24. FBB880 nò A Dio : Al. OB OHI 8011
rtìj FBxeeo a Dio. « Quasi dlcat, longe
mèUna ; idest : si traxi te de Inferno, per
•amia genera fraadinm, quanto magia
nnae to pnrgaiam per omnia genera
Tlttomm «mam de igne Pnrgatoriif »
26. D»TB0 all'alto: nel bel mesco,
nella parte più intensa di questo fiamma.
27. FAS : non ti potrebbe ardere un sol
oapeUot cfr. MaU, X, 80. Luca XXI, 18.
Atti XXVn, 34.
29. FATTI : appressati alla fiamma. - k
FATTI FAR CSSDKMZAt «SÌOUt timentCB
Teneunm fscere solent, sino piiBindicio
tuo»; Benv. Assicurati ohe la fiamma
non consuma, toccandola col lembo della
tua vesto. « Fa ohe il lembo de* tuoi pan-
ni ne fiuwia credensa, ponendolo tu al
fkioco colle tue stesse mani »; BttH,
81. PON GIÙ : deponi ogni timore e vol-
giti da questo parto, sensa tomere questo
fiamme ohe possono bensì tormentare, m a
non uccidere.
88. PUB FKBMO: ed io seguitova nondi-
meno a stormenelìimmobUe, sensa osare
d'entrar nella fiamma, disubbidendo non
solo a Virgilio, ma anche alla mia co-
sdensa ohe m* imponeva di fare quanto
mi prescriveva la « verace guida ». Vuol
Ibrse fkrci intendere ohe la propria sua
cosoiensa Io ammoniva di purgarsi dal
peccato della lussuria!
34. FERMO K DURO : immobOo ed osti-
nato. Férmo si riferisce al corpo, duro
all' animo, e Die qui in suo sensu perse-
verat, rigldus et dwru$ per similitudi-
nera vocator • ; Thom. Aq., Bum, theoh
ni, Suppl, I, 1.
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620 [amoNB bittiico] Pubo. xxyii. 35>46
[ESITÀZIOIIB]
37
40
48
40
Turbato un poco disse: « Or vedi, figlio :
Tra Beatrice e te è questo muro. »
Come al nome di Tisbe aperse il ciglio
Piramo in su la morte, e riguardolla,
Allor che il gebo diventò vermiglio ;
Cosi, la mia durezza fatta solla,
Mi volsi al savio duca, udendo il nome
Che nella mente sempre mi rampolla;
Ond'ei crollò la fronte, e disse: € Come!
Volemci star di qua? > Indi sorrise.
Come al fanciul si fa eh' è vinto al pome.
Poi dentro al fuoco innanzi mi si mise.
35. TUBBATOt a motiTo della mift osti-
BAzione. - un foco : « more saplentis » ;
Benv,
86. TBA BSATBICK : nuli* altro ohe qae-
•ta fiamma ti separa ornai da Beatrioe.
Virgilio oonosceva già l' eflètto di queste
parole sai onore di Dante, ofr. Purg. VI,
40 e seg.
87. AL NOMI : «Ad nomon Thisbes oca-
loB iam morte gravatos Fyramns erexit » ;
Ovid,, MH. rv, 145 e seg. - Tibbb: giovi-
netta babilonese, amante di Piramo, con-
tro il volere dei genitori. I dne amanti si
dettero convegno sotto un gelso presso
la tomba di Nino. Tisbe vi arrivò la
prima ; ma nn leone la costrinse a f nggire
e ne insangoinò il velo cadutole dal capo,
mentre fbggiva. Arrivato Piramo, vide
le tracce della belva e Tinsangninato
velo, e credendo lacerata e divorata 1* a*
mante, si feri mortalmente. Ritornata
di lì a poco, Tisbe trovò Piramo mori-
bondo in terra, lo chiamò per nome, pre-
gandolo di rispondere alla sua Tisbe, ed
al nome di Tisbe il moribondo riaperse
gli occhi, rigaardò nn momento la diletta
amante, e spirò. Tisbe si ncclse accanto
all'amante. Per compassione il gelso
mntò in vermigli i bianchi suoi fratti;
ofr. Ovid,, Met. IV, 65-166.
88. IN 8U LA HOBTK : in procinto di spi-
rare. - BiouABDOLLA: « Vlsaqao reoon-
didit iUa>; Ovid,, %Hd., 146.
89. IL GBLSO: bagnato dal sangue di
Piramo. « Arborei fetns aspergine ctedis
in atram Vertantar fsciem, made£»cta-
qne sanguine radix Puniceo Unxit pen-
deatlamoraodore»; Ovid,,ibid.,l26ewg,
40. BOLLA ! cedevole, arrendevole; ofr.
iV. XVI, 28. Purg. V, 18.
41. IL Nom: di Beatrioe, ohe è sempre
presente al mio pensiero.
42. la BAMPOLLA: mi SOrgO;
nuovi rampolli di amorosi ed alti i
sieri. «Sempre ne la mente mia ai rtn-
nuova ; però che quanto più l' odo ricor-
dare, tanto maggiore desiderio di lei mi
cresce »; BuH. Cfr. Purg. V, 16.
43. LA FBOKTB: Al. LA TBSTA ; non «ad
modum indignantis » (Benv.), ma con
ischenevole alfetto, come se vtrfeaae di-
re: Ve* che ho trovato il messo di fiarti
mutar opinionet ( Veti,, Lomb., ecc.). « At-
to naturale di chi vuol mostrare d* aver
indovinato l' altrui pensiero •; Oiul,
44. voLEMa: Ci vogUamo noi stare di
qua, mentre Beatrioe ti aspetta al di là
di questa fiamma f Ironia piena d'afleito.
45. OOMB: nel modo ohe si sorride ad
un fiinoinllo il quale dalla promessa di
un pomo si lascia indurre a fsr cosa ohe
prima non voleva fere, -pomb: pomo;
anche fuor di rima, v. 116. « Vederne li
parvoli desiderare massimamente nn po-
mo»; Obnv, IV, 12.
V. 46-68. Il pasto aUraitm'Bo ìa
/lawtmo. Vedendo Dante risoluto ad ub-
bidire, Virgilio entra primo nel ftxooo e
prega Staslo di venire ultimo, onde Vir-
gilio è primo, Dante secondo e Sta^e
torco. U calore là dentro nella fiamma
è indicibile. Per confortare Dante, Vir-
gilio gli va parlando di Beatrice. Fuori
della fiamma, là dove è la scala per mon-
tar al Paradiso terrestre, ò un angelo
che invita: Venite, benedetti dal Padre
mio! ed esorta i tre viandanti ad affret-
tare il passo prima ohe annotti.
46. INNANZI : per Aur coraggio a Dante
e servirgli di guida.
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[OntOlfl BKTTIXO]
PUBO. XXTII. 47-68 [NELLA FIAMMA] 621
52
55
58
61
Pregando Stazio che venisse retro,
Che pria per lunga strada d divise.
Come fui dentro, in un bogliente vetro
Gittate mi sarei per rinfrescarmi,
Tant'er'ivi lo incendio senza metro.
Lo dolce padre mio, per confortarmi.
Por di Beatrice ragionando andava.
Dicendo : € Gli occhi snoi già veder parmi. »
Gnidavaci una voce che cantava
Di là; e noi, attenti pose a lei.
Venimmo fiior là dove si montava*
€ Venite^ henedicti patria mei ! >
Sonò dentro ad un lume che li era,
Tal, che mi vinse e guardar noi potei.
€ Lo sol sen va, > soggiunse, € e vien la sera :
Non v'arrestate, ma studiate il passo.
Mentre che l'occidente non s' annera. >
47. Stazio: « il quale per lungo tratto
di etrada aveva diviso me da V&gilio. B
Dante vuol dire ohe in quella stretta via
Virgilio andava avanti, poi segnita^a
Staaio, indi procedeva Dante. Allora però
Dante ai pose tra Virgilioe Stacio» ; BetU,
" ESTBO : forse per sospingere Dante, se
mal avesse volato fermarsi o tornare in-
dietro.
48. CI mviBE! eamminando dietro a
Virgilio ed innaniti a Dante; oft>. Purg.
XXII, 127; XXin, 7 e seg.j XXIV,
110; XXV, 8 e seg.
49. DBRTBO: nella fiamma. - vrrBOt
« qood est somme calidnm »; B*nv. lì pih
terribfle ardore ohe nom possa immagi»
narsi in questo mondo, è come aoqna fre-
sca in paragone all'ardore di quella fiam-
ma parificante. Cfr. Ariot., Or{., VIII, 20.
61. SBHZA MVTBO! sonsa misura, indi-
cibilmente intenso.
68. PUB: di continuo.
64. QiA oooHii « Gli occhi di questa
donn» SODO le soe dimostradoni, le quali,
dritte ne^ occhi dello inteUetto, inna-
morano l'anima» ; Oanv, II, 16. - « GU oc-
chi di Beatrice sono le ragioni sottilissime
et effioadssinie, e l' inteUetti sottilissimi,
ohe hanno avuto II Teologi in conside-
rare e contemplare Iddio et insegnare a
considerarlo e oontemplarlo » ; Buti.
65. GUiDAVAa: dentro all'alvo della
fiamma 1 Poeti non potevano bene ac-
certare dove riuscirebbero; ma seguen-
do il suono della voce, possono tenere la
via diritta, ftla voce dell'angelo, il quale
però non si dice ohe cancellasse dalla
fronte di Dante l'ultimo dei sette P;
questo forse fri tolto via per l' appunto
dalla fiamma.
66. ATTKNTi : badando soltanto alla vo-
ce e non ad altri indisii per conoscere
la via dirìtU.
57. VBifiMifO ! uscimmo dalla fiamma là
dove per una scala intagliata nel sasso
si saliva al Paradiso terrestre.
68. vBinTB : parole ohe Cristo dirà agli
eletti il dì del giudisio finale: «Venite,
benedicti patria mei; posaidete paratum
vobis regnum a constitutione mundi >;
MaU, XXV, 84.
69. LUMB : lo splendore dell'angelo, pih
lucente degli altri vedati sin qui, perohò
più presso a Dio. - lì: nel luogo stesso
dove i Poeti uscirono dalle fiamme e dove
inoominoiava la scala.
60. TAL : tanto splendente che m'abba-
gliò; cfr. Purg. II, 89 ; IX, 81 ; XV, 10-80.
68. MKNTBB : prima ohe tramonti il sole,
vigendo anche lassù la legge Purg, VII,
44 e seg.
V. 64-93. Principio détta Matita e
riposo. Mancano dieci minuti alle sei
ore di sera, e il sole sta per tramontare
anche lassù alla settima cornice. Secon-
do il consiglio dell'angelo, i Poeti si af-
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622 [SALITA]
PuBG. xivn. 64-80
[RIPOSO]
64
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79
Dritta salia la via per entro il sasso
Verso tal parte, ch'io toglieva i raggi
Dinanzi a me del sol, ch'era già basso;
E di pochi soaglion levammo i saggi,
Che il sol corcar, per l'ombra che si spense,
Sentimmo dietro ed io e li miei saggi.
E pria che in tutte le sue parti immense
Fosse orizzonte fatto d'un aspetto,
E notte avesse tutte sue dispense,
Ciascun di noi d'ui^ grado fece letto;
Che la natura del monte ci affranse
La possa del salir più che il diletto.
Quali si fieinno ruminando manse
Le capre, state rapide e proterve
Sopra le cime, avanti che sien pranse.
Tacite all' ombra, mentre che il sol ferve,
Guardate dal pastor, che in su la verga
frettano a salire V altima scala ; ma, dopo
pochi scalini, il sole tramonta, il cielo si
oscura e la legge del Porgatorio costrin-
ge i Poeti a fermarsi ; onde claacnno di
essi fa sno letto d' ano scalino. H modo
con coi si adagiarono, aspettando il nao-
▼o sole, è descritto con dne similitudini :
Dante come capra custodita dal pastore,
Virgilio e stazio come mandriani che at-
tendono al gregge. Dall' augnata scala
dove riposa, si mostrano a Dante le stelle
pid lucenti e più grandi del solito.
64. DRITTA : « dice che quest' ultima
via, scavata essa pnre nel masso vivo,
era diritta; che era battuta dai raggi
solari prossimi a estinguersi; che, sa-
lendo per essa, il Poeta aveva dinansl
r ombra del proprio corpo. Era dunque
in prospetto dell' occidente questa estre-
ma scalea e dirigeva a levante. » Anto-
netti.
65. PABTB: oriente.
66. BABBO : Al. LABBO, lesione di pochis-
simi antichi e di moltissimi moderni.
67. LEVAMMO I BAGOi ! fiMcmmo Tcspe-
rimento, salendoli. Erano saliti pochi
scaglioni, quando si accorsero del tra-
montare del sole, vedendo mancare l'om-
bra del oorpe di Dante ; ^pochi, non per
rapporto all'unità numerica, ma in senso
relativo per rapporto al tempo ed alla
lunghetta della scala >; AsUoneOi.
69. SENTIMMO : ci accorgemmo, -saggi :
Virgilio e Stasio.
70. ncMSNSK: lassh in alto rorissonte
era piti ampio assai che non nelle nostre
regioni terrestri.
71. ASPETTO: oscuro.
72. E NOTTE: e prima che la notte
avesse dispensate, diffuse dappertutto le
sue tenebre. - avesse : da supplirai n
partio. fatto del v. antec. - dispense : di-
stribuzioni, repartidoni.
73. FECE LETTO: 8Ì corìcò sop» uno
scalino.
74. LA NATURA : tale, che, tramont«to il
sole, non si può salire ; efr. Purg, VII,
44 e seg. - ci afpranse: ci tolse.
76. IL DILETTO: la voglia, il piacere.
76. RUMINANDO: rlmastioando l'erbe
mangiate. - manbb: mansuete, addome-
sticate.
77. RAPIDE : veloci e rapaci. « Ut clan-
sis rapidns fomaoibuslgnis» ; Virg, Qoorg,
IV, 263. - PROTERVE : petulanti. « Ovea
hndique petulci»; Ubid, IV, 10.
78. CIME: su per le balze. «Dumosa
pendere procnl de rupe videbo»; Yirg.,
Belog., I, 76. - pranse : pasciate, sazie :
cfr. Borat., Sat. I, vi, 127 : «pransos non
avide. »
79. MENTRE: durante le ore più calde
del giorno.
80. VERGA: bastone.
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[SALITA]
FUKG. IIYII. 81-
[BIPOSO] 628
Poggiato s'è, e lor poggiato serve;
82 E qaale il mandrìan che faori alberga,
Lungo il peculio sao qaeto pernotta,
Chiardando perchè fiera non lo sporga;
85 Tali eravamo tatti e tre allotta,
Io come capra, ed ei come pastorì,
Easciati qninci e quindi d' alta grotta.
88 Poco potea parer li del di fnori;
Ma per quel poco vedev'io le stelle,
Di lor solere e più chiare e maggiori.
91 Si rominando e si mirando in quelle.
Mi prese il sonno ; il sonno, che sovente,
Ansi che il fatto sia, sa le novelle.
81. 8BBTB: oottodendole. Mentre ohe
le capre d lipoeiiu», il pesiere, eppog^
gielo sol eoo baetone, le euetodiece, ed in
tei modo serre loro di goardie. Le le-
akne: x lob di poba bbbts non pereao-
eettebile, perehè il pastorello, riposando,
non ùk eon oÌÒ ripoeace le sue capre; e
l'interpretaaione: ce qaesto lor romi-
naze all'ombra serre alle capre di ri-
poso >, non è consentita dalla sintassi.
Ctt.Oom,L^.U,59ù, Moon, OriL, 425
eseg.
82. MAJiDBLàM : oostode di una mandra,
a dtllbrenza del pattare, che pnò anche
essere il eostode di poche bestie. -Fuosi :
di casa soa, in campagna. « Ipse Tehit
stabilii onstos in montibos olim, Yesper
obi e pasta Titoloe ad teota redadt An-
dlfeisqne Inpos aoaont balatibas agni,
Gonsidit seopnlo medins nameromqae
reeenset»; Virg., €féorg. IV, 433 e seg.
83. LUVGO : presso la saa gregge passa
riposato la notte Tei^iando. - pxcuuo in
in seneo di gregge, ma riferito metafori-
camente ad nomini, si ha anche in Par,
XI, 124.
84. SOH LO SFntOà: non disperga, di-
stragga il eoo gregge.
85. ALLOTTA: allora; cfr. It\f. Y, 58;
XXXI, 112; XXXIY. 7. Purg, III, 88;
XX, lOt.
80. O: Virgilio e Stailo, paragonati
ai nuuidriaDl, mentre Dante si paragona
al peonlio o gregge.
87. FASCLkTi : olroondati da ambo i lati
dalle pareti di quella ftnditora della mon-
tagna dov^ era la scala. > d'alta : Al.
DALLA. Che Im grotta fosse aita risalta
chiaramente dal rerso segnento.
88. pooo : le pareti essendo att0 e la Tia
stretta. - pabsr: apparire. A motiTo
della stretteaaa e profondità della fen-
ditura si poteTa Tederò solamente una
sMsda di delo.
90. m LOR 80LBUE : del loro solito. -
MAQGiOBi: « L'aocresoiata ohiaressa si
spiega coll'anmentata parità e finesse
dell' aria in qoell' alta regione ; e quanto
alla parrensa di pih grande Tolame, bi-
sogna dire che il Poeta credesse di aver
salito tanto, da essersi arrioinato in mo-
do appressabile alla sfera stellata, si che
le stelle dovessero comparire più grandi ;
eoncetto ohe per la dottrina di quel tem-
po sulla distansa di questi astri niente
ha di assurdo »; AtUoneUi,
91. b1: cosi, volgendo e rivolgendo nella
mia mente le cose trascorse, come le ca-
pre ruminano l'erba pasciuta, e mirando
ooA nelle stelle taì preso dal sonno, il
quale rivela sovente i Jktti prima che av-
vengano; cft>. JfiAXXVI, 7. Purg. IX,
18 e seg. - « Il sogno, che si sogna dalla
nona ora della notte inflno al principio
dell' aurora, dicono che si dee compiera
infra a uno anno, o sei mesi, o tre, o in-
fra '1 termine di dieci dì. S questi sogni,
che si fenno intomo all' alba del dì, se-
condo che dicono, sono i più veri sogni
che si fecoiano, e che meglio si possano
interpretore le loro dgniflcasioni. > Pot-
eavanH, Speeekio dipen., Ffr., 1843, 407.
Y. 04-108. aofpto mUtieo di JDante.
Verso 1* alba, quando del ver si sogna.
Dante vede in sogno una bella e giovane
donna andar per un prato cogliendo fiori
per inghirlandarsene U capo. Essa canta,
e nel suo canto dice che è Jtia, la quale si
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624 [SALITA]
PURG. ixvii. 94-106
[SOGNO MISTICO]
04
97
100
103
106
Nell'ora, credo, che dell* oriente
Prima raggiò nel monte Oiterea,
Che di foco d'amor par sempre ardente,
Qiovane e bella in sogno mi parca
Donna vedere andar per una landa
Cogliendo fiori; e cantando dicea:
« Sappia, qualanqae il mio nome domanda,
Ch' io mi son Lia, e vo movendo intomo
Le belle mani a farmi una ghirlanda.
Per piacermi allo specchio qui m'adorno;
Ma mia sacra Rachel mai non si smaga
Dal suo miraglio, e siede tatto giorno.
Ell'& de' saoi begli occhi veder vaga,
diletta dell* operosità, mentre Baohele,
eoa sorella» si diletta di oontemplarsi di
oontinao nello speochio. Come l' aquila
di quell'altro sogno (Purg, IX, lOeseg.)
gli annansiava Loda, cosi la bella donna
gli annonsia Hatelda ohe egli vedrà nel
Paradiso terrestre. B per 1 SS. Padri, e
per gli Soolasticl (ofr. Oom. Lipi. II, 561
e seg.) Lia e Baohele, figlie di Laban e
mogli del patriaroa Giacobbe, figurano la
prima la vita attiva, la seconda la vita
contemplativa. Come Lia è la precorri-
trice di Matelda, cosi Rachele di Bea-
trice. Ma come S. Giovanni Battista, il
precursore di Cristo, non ò Cristo, come
l'aquila dell'altro sogno non ò Lucia, cosi
né Lia ò Matelda, né Baohele ò Beatrice.
04. kell'oba: Bante suppone che il
pianeta Venere sorgesse al Purgatorio
poco prima dell'alba solare; cfr. Purg.
1, 10 e seg. Vuol dire che sognò presso al
mattino; cfr. Inf. XXVI, 7.
05. MONTE: del Purgatorio. >Citebsà:
Venere, cosi chiamata dall' isola di Cite-
rà, oggi Cerigo. presso la quale, secondo
la mitologia, la Dea nacque dalle spume
del mare, e dove ella era particolarmente
venerata.
08. LANDA: pianura, prato, cfr. Ii\f.
XIV, 8. Diez. Wàrt, I», 342.
101. UA: nt<S (— aflbticata, stanca),
figlia maggiore di Laban e prima moglie
di Giacobbe; cfr. Oen. XXIX, 16 e seg.;
XXX, 17 e seg.; XLIX, 81. « Per Liam,
qu» txAt lippa, sed fecunda, signiflcatur
vita activa, qu» dnm oooupatur in opero,
minus videt ; sed dnm modo per verbnm,
modo per exemplum ad imitaticnem soam
proximos aocendit, multoe in opere bono
fllios generat»; Oreg, Magn,,Hafn. 14 in
Bgeeh, - «Quid per Liam nisi aotivA vita
signaturf Quid per Baohelem nisi con-
templativa f In eontemplatilone prlnd-
pium, quod Deus est, qunritur ; in opera-
tioneautem sub gravi necessttatum Casce
laboratur»; Id., Maral. VU, 88. Confr.
Thom. Aq„ Sum, théol. II, n, 170, 2.
102. MANI : « significano li atti vir-
tuosi, li quali, oome fiori vari, iknno co-
rona di loda e di gloria a ohi li oollic e
ponseli a capo, cioè in su lo suo inteOet-
to »; BuH. Cfr. Oonv. TV, 22. De Mon. J, 4.
108. PER FlACEBMi: io mi adomo qui
colle opere (/ort) per piacere a me steooa.
quando mi specchierò in 'Dio, ohe è lo
specchio della cosdenxa, oome questa del-
l' uomo. I
104. Baohkli 7n*ì ("" pecorella), •»-
••T
oondogenita di Laban e seconda moglie
di Giacobbe; cfr. Oen. XXIX, lOeaeg.;
XXX,22 e seg. ; XXXI, 10 e seg.;XXXV,
16 e seg.; simbolo della vita oontemplm-
tiva ; cfr. Ir\f. II, 102. - a SMAGA ; si al-
lontana; cfr. Pwg. X, 106.
106. MiEAQUO: dal SUO spooofaio, ohe è
Iddio. Per miragKo, prov. wdràlk, usato
dagli antichi nel senso di tpecokio, co&fr.
Diex, Wki, II*, 878. Jftmnue,, Verbi,
748. - SIEDE: « Sedens seous pedea
Domini audiebat verbum iUius»; Lmca
X, 80.
106. DE* SUOI: ella è vaga di vedere t
suoi begli occhi nello speoddo, coma lo
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[SALITA]
Puro, xxyii. 107-115
[RISYEOUO] 625
109
uà
115
Com'io dell'adornarmi con le mani;
Lei lo vedere, e me Fovrare appaga. »
E già, per gli splendori antelucani,
Ohe tanto ai peregrin sargon più grati,
Quanto, tornando, albergan men lontani.
Le tenebre fhggian da tutti i lati,
E il sonno mio con esse; ond'io leva'mi,
Veggendo i gran maestri già levati
< Quel dolce pome, che per tanti rami
dell'adomArmi oo'flori trasoeltl oofle mie
mani; ella si bea neUa oontemplaiione,
eoroe io neiroperare.
108. LO VKDERB: « vita hominla oonro-
nienter diyiditar per aotìyam et eontem-
platlTun»; Thom. Aq., Sum, theol. II,n,
179, 1.- «Iste dfiiBTitfe aignifloantiir per
diias nxores laoob: activa qaidem per
Uam, contemplativa vero per Baehe-
lem..^ DItìiìo lata datar de vita tinma-
na, qn» qvidem attenditur seoandnm
intelleetam. InteDectos aatem dividltar
per aettrnm et oontemplativnrn, quia
fiata InteUeotiT» cofnitionls rei est ipsa
oognitio reritatis, qaod pertiaet ad in-
teSectam oontemplatiTnm ; rei est ali-
qoa exteiior actio, qaod pertinet ad in-
teOeetmn praotienm sire aotiram. » ibid,
n, Ut 179, 2. - «Deam diligere secandam
se est magia meritoriam qnam diligere
prozimnm.... Vita aatem contemplativa
direote et immediate pertinet ad dilec-
ttenem Dei. . . .Titaantem activa directios
ordiBatur ad dilectionem proximi. St
ideo ex ano genere contemplativa vita
est maioris meriti qoam aotiva»; Qfid,
II. n, 182, 2. Cfr. Oonv. II, 6 ; IV, 17. De
Mon, HI, 16. Oom. Lipi. Il, 66Leseg.
V. 109128. SalUa al TairadÌ$o ter-
restose. Sono le ore 6 '/• di mattina. Dante
si Svezia, e vede Virgilio e Staslo già le-
vatL Virgilio gU dice: « Qaella felicità
che g^ omnini vanno cercando per tante
e A diverse vie, appagherà oggi nel ter-
restre Paradiso le toe brame. » Oltremo-
do lieto di tà fiansta promessa, sente rad-
doppiato il volere di gimgere sa la som-
mità del sacro monte, così che egli sale
il rimanente della scala qaasi a volo.
109. AHTXLUCAKi : precèdenti la lace.
Chiama tpl&Hdori nnUlueani quel chia-
rore che precede V aurora. « Tamqnam
gotta roris omUluoani, qn» desoendit in
terram»; BapUn, XI, 23.
4» — im. Oomm,, 4» edia.
110. PIÙ ORATI: per la speransa di ri-
vedere più presto la patria.
111. MKH LONTANI: Al. PIÙ LONTANI,
ohe il iMn. spiega; e Quanto lo pelle-
grino è pih lontano dalla sua casa, tor-
nando dal sao viaggio, tanto gli è pih
a grado lo die e Taarora; quindi ttf
stlna e viaggia. » Veramente più lon-
tani ò lesione del più dei codd. ; ma
l'altra contiene un concetto ikmigllare
a Dante, e Qaanto la cosa desiderata
più s' appropinqua al desiderante, tanto
il desiderio è maggioro; Oonv. III, 10. -
« Omne dlllgiblle tonto magia diUgitar,
qaanto propinquins est diligenti »; De
Moti. 1, 11. In secondo luogo si poò du-
bitare se r aurora sia tanto pih grata
al pellegrino quanto più lontano egli ò
da casa sua; il contrario ò per avven-
tura il vero. In terso luogo Dante non
era più, ma mxn lontano e dal Paradito
torre«(rtf,destinato già per patria all'nman
genere, e dal PciradUo eéUtU, vera patria
dell' nomo. Vedi pure Moùre, OriX., 420
e seg.
113. leva'mi: mi levai.
114. OBAN MAS8TBI : Virgilio e Stazio
«che fir del mondo si gran maliscalchl »,
Purg. XXIV, 99.
116. POHK; pomo, cfr. v.45. Otmr.IV,
12. Il pomo che la cura dei mortali va
cercando per tanti rami, è il vero bene,
ciò che rende 1* nomo veramente felice.
« Omnis mortalium cura qnam multipli-
cium studiorum labor exercet, diverso
quidem calle procedit, sed ad unum ta-
men beatitudinis flnem nititur perveni-
re. Id autem est bonum quo quia adepto
nihil ulterins desiderare queat. » B'ótt.^
Oont. phU, III, pr. 2; cf^. Oom. Lipi.
II, 565 e seg. - per tanti rami : per
A diverse vie. « Hnno diverso tramite
mortales omnes conantnr adlplsoi. Est
enim mentibas hominum veri bocl na-
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626 [SALITA]
Puro, xxyii. 116-182 [comoido di yiboilio]
118
121
184
127
190
Cercando va la cura de' mortali,
Oggi porrà in pace le tue &mL »
Virgilio inverso me queste cotali
Parole osò ; e mai non foro strenne
Che fosser di piacere a queste eguali.
Tanto voler sopra voler mi venne
Dell'esser su, eh' ad ogni passo poi
Al volo mi sentia crescer le penne.
Come la scala tutta sotto noi
Fu corsa, e fummo in su '1 grado superno,
In me ficcò Virgilio gli occhi suoi;
E disse : « H temperai fuoco e l'eterno
Veduto hai, figlio, e sei venuto in parte
Dov'io per me piti oltre non discemo.
Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;
Lo tuo piacere omai prendi per duce:
Fuor sei dell'erte vie, fuor sei dell'arte.
iaraliter inserta oapiditM, aed ad fiOsa
devins enor abdiudt.» Boei., 1. o.
116. LA. CURA: primo caso; i mortali
con tanta cara.
117. LE TUB Fun : i tnoi doafderii, che
saranno oggi appagati.
119. B MAI: e nessun dono fa mai ricevu-
to con tanto piacere, qoanto Ita quello ohe
io provai ali* udire queste parole di Vir-
gilio. - BTBKinnt : « munera qufe montics
appellantnr; undeolim romani impera-
tores dabant strennas militibus » ; Benv,
123. UE FBifinE: la forsa a cammioare.
Si è oramai avverata la profesia di Vir-
gilio, Purg. rv, 91 e seg.; XII.121e8eg.
Cfr. Par, XVni, 58 e seg.
V. 124-142. UlUme paroU di Vit^
gUÌ4K Arrivati al sommo ddla scala, al-
l' ingresso del Paradiso terrestre, Virgilio
guarda fiso il suo alunno e si coUgeda da
lui, dicendogli : < Tu hai già vedute le
pene dell' Ii^emo e del Purgatorio, e sei
ora giunto in luogo, dove io non so pih
esserti guida. U tuo proprio volere ti sia
pertanto guida sino all' apparisione di
Beatrice. Da me non aspettar più parole
o cenni; oramai tu sei pienamente pa-
drone di te.
125. IN su 'l grado sufkrno : sull* al>
timo scaglione, all' entrata del Paradiso
terrestre.
12«. Fiooò : mi guardò fisamente; ofr.
7V. XII, 4«j XV, ^. Pu»y. xm, 48, ecc.
127. TEMPOBAL: del Purgatorio. - ktbb-
HO : dell' Inli»mo. « Posna damnatomm
est «tema, ut dicitnr Matt. XXV, 46 :
IkuffU in ntppUeiwn aUmum. Sed pnr-
gatorius ignis est temporaUs.... etemus
quantum ad substantiam, sed teaipora-
Us quantum ad eflbotum pnrgattoi&la. »
Thom. Aq., 9um theoL HI, A^.. ArU
duo de Purg. art. 2.
128. IN PABTB : nel Paradiso terrestre,
figura della beatitudine di questa vita,
alla quale l' uomo perviene per ^U am-
maestramenti filosofid, operando secon-
do le viltà morali ed intellettuali, e sotito
la guida dell' autorità imperiale ; cfr. De
I£on. in, 16.
129. P8B MK: sensa il lume della Bi-
velasione; cfìr. Pwrg, XVm. 40 e ae-
guentL « Ove la mia sotensa puramente
umana niente altro conosce ; trattandoai
omai di cose teologiche »; Betti,
130. CON IHGIGKO: trovando quanto
era mestieri al tuo campare, ofr. If^, II,
67 e seg. - con Jkxni studiando quanto
ti fosse di soccorso ad ogni Uaogna; ofr.
Purg, XVni, 139. < Kationibus et per-
suasionibus, qu» possunt haberi per ar-
tem aoqnisitam ingenio humano»; Banv.
131. PRENDI : or va' a tuo senno. « Deoa
reliquit hominem in manu consQii sol »•
EeeU», XV, 14.
182. BRTi : ripide. - arte : strette; ofr.
Jnf. XTX, 42. Par. XXVIU, 89.
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[SALITA]
PUBQ. XXYII. 183-142 [CONeiBO DI YIBO.] 627
183
136
139
14t
Vedi là il sol ohe in fironte ti rilnoe;
Vedi l'erbetta, i fiori e gli arbnsoelli.
Che qui la terra sol da so produce.
Mentre che vegnan lieti gli occhi belli.
Ohe, lagrimando, a te venir mi fenno,
Seder ti puoi e puoi andar tra elli.
Non aspettar mio dir più, nò mio cenno :
Libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
E fallo fora non fare a suo senno :
Per ch'io te sopra te corono e mitrio. »
las. nr FBomn : « le 1 Poeti aTermo il
•ole «De spalle» qfumdolaaera precedente
oominolaiono a eaUie la aoala, giunti in
oima ad ena poco dopo il tergere di quel-
r aatro, doveva qneato eaeer loro in prò-
epeUo, sebbene nn poco a ilniatraytiLf»-
toMO<.-Dio è n Mie spirituale e intelli-
gibfle (€km9. in. 12); daUa fronte di
Dante sono caneeUatl i sette P, onde egli
ò ornai disposto a rioerere la divina hioe.
« Polche la somma Deità, doè Iddio,
vede apparecchiata la sna ereatora a
ricevere del suo beneflolo, tanto larga*
mente in quella ne mette, quanto ap-
parecchiata ò a riceverne »} (kmv. IT, 21.
125. SOL DA gt; sensasemet ofr. Pitrg.
XXVm, 60 ; e senxa nman lavoro. < Ipsa
quoque immunis rastroqae intaota nec
nllis Saoda vomeribns per se dabat om-
nia teOns»; Ovid., MeL 1, 101 e seg. Se-
condo la Genesi (II, 15) Dio « posoit ho-
minem in paradiso volaptatis, vi opera-
rttvr et costodiret illom. » Ma, secondo
gU scolastici, qael lavoro non era fatica,
era ansi dOetto. « Kec tamen fUa operatio
esset laboriosa, sicnt post pecoatom ; sed
fUsset inoanda propter experientiam
virtotis natnns. Costodla etiam Illa non
esset contrainvasorem ; sed esset ad hoc,
qnod homo albi paradisom costodiret, ne
ipsnm peccando amitteret. Bt hoc totmn
in bonom hominiscedebat » Thom. Aq,,
Smm. thsol 1, 102, 8. Chm, IAp$, H. 562.
186. MBrrBB: finché.- Lncn : della tea
salvasione, mentre già lagrimarono ve-
dendoti smarrito. - oocaii di Beatrice,
cfr. V. 54.
187. LÀOBnUNDO: cfr. /nf. n, 116.
188. BKDBB t vita contemplativa, v. 106.
-AHDAB: vita attiva, v. 101. -tba bl-
u: traTerbetta, i fiori e gU arbnscelU,
V.184.
182. MIO DIB: TirgOio non abbandona
Da^te che all'apparire di Beatrice, cfr.
Purg. XXVUl, 146 e seg.} XXIX, 56
e seg.; XXX, 48 e seg.i ma non gli paria
pih, né (à veron cenno; è d'or innansi
nn compagno tutto passivo.
140. LiBBBO: da qualsiasi infloensa di
appetiti peccaminosi; ofr. Oonv, lY, 2,
De Mon. 1, 12. - DBnro : conibrmanteei
a quella giostisia « la quale ordina noi ad
amare ed operare dirittura in tutte le
cose »; Oonv, IT, 17. - aaho : non plh im-
pedito nelle sue operasioni.
142. COBOVO B MiTBio : ti metto la co-
rona mitrata degl' imperatori; « fado te
super te r^^m et dominum »; Benv. In-
tende qui della mitra imperiale, che il
papa poneva anticamente in capo all'im-
peratore, e snlla mitra la corona. La mi-
tra eoclesiastioa non ha qui ohe vedere,
non potendo Virgilio conferirla, né Dante
essendo quindi innanzi vescovo e pa-
store di sé stesso, ma sotto la direilone
della guida spirituale, che è Beatrice.
L* invocare In ikvore dell' interpretap
sione " Ti affido la diresione politica
ed il governo spirituale di te stesso „ , i
passi scritturali ilpoMl. 1. 6; Y, 10, ecc.,
è un sacrilegio. Cristo ne fk re e sacer-
doti; ma Virgilio non è Cristo. Sopra
questo verso confronta Oom. Lipt. II,
670-672.
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628 [PAB. TBBBK8TBB] PUBG. XXYIII. 1-8
[KNTBATA]
CANTO VENTESIMOTTAVO
PAEADISO TEBBESTEE
IL FIUME LETE, LA DONNA SOLETTA
ORIGINE dell'acqua E DEL VENTO NELLA DIVINA BELVA
CONDIZIONE DEL LUOGO
Vago già di ceroar dentro e dintorno
La divina foresta spessa e viva,
Ch'agli occhi temperava il naovo giorno,
Senza più aspettar, lasciai la riva.
Prendendo la campagna lento lento
Sa per lo saol che d'ogni parte oliva.
Un'aura dolce, senza mutamento
Avere in so, mi feria per la fronte
V. 1-21. BtUraia neUa divina fo-
resta, È la mattina del settimo ed ai-
timo giorno del viaggio dantesco. I Poeti
entrano nel Paradiso terrestre, selva in-
cantevole, dove il suolo olessa d* ogni
parte e spira nn' aura dolce e sempre
ngoale. -Come in tante altreoose, Dante
si mostra fedelissimo discepolo di S. Tom-
maso anche nella topografia del Paradiso
terrestre, il qaale, secondo l'AqniDate,
è sitaato in Inogo altissimo nelle parti
OTlentlltdelIa terra. « Cam antem oriens
sit dnctera ccbTI, dextera antem est nobi-
Hor qoam sinistra: conveniens foit nt in
orientali parte paradisns terrenns insti-
tneretur a Deo.... Pertingit nsqae ad In-
naremciroalom.... Seclnsas est a nostra
habitatione aliqoibos impedimentis vel
montinm, vel mariam, vel alioaiosiestao-
s» regioDis, qnsd pertransiri non potest. »
8um. theol, 1, 102, 1 ; cfr. Itidor., Etym,
XrV, 8. Pttr, Lonib., Sent. II, 17, eco.
loh. Damate., De orthod. Fid. II, 11.
S. Aug., In Genet. Vili, 7.
1. VAGO : desideroso, a causa delle pa-
role di Virgilio, Pwrg, XXVU, 115 e
seg. - DENTBO : nel messo. - dixtobho :
in giro.
2. DivncA : piantata da Dio ; cfr. Oen,
n, 8. - BPiBB&à: folta (V. 108) di erbe,
fiori ed arboecelli. - viva : sempre ver-
deggiante e fiorente.
3. TEMPERAVA: la qoal foresta, IMta
e verdeggiante, temperava, rendeva me-
no vivi Agli occhi miei (a motivo de* snc»!
frondosi rami) i raggi del sole recente-
mente sorto.
4. A8PBTTAE : oonstgUo o cenno di Vir-
gilio; cfr. Purg, XXVII, 180. - la riva:
r estremità di quel piano, l' ingresso del
Paradiso terrestre.
6. PRENDENDO: avviandomi lentamente
per qnella pianerà. < Fra quelle délisie
non poteva aver voglia di correre »; Ou.
6. OLIVA: olessava, mandava graditi
odori, essendo smaltato di fiori, di er-
betta e di arboscelli ; oA:. Purg. XXVU,
184. Boee., Dee. U, 5.
. 7. DOLCE: perchè dessante. - skhxa
MUTAMENTO: Sempre d*on modo, non
soggetta ad alteraaioni e pertarbacieai,
come r aria snlla^ostra terra.
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[PAB. TBSBS8TBB]
PUBO. XXVIII. 9-21
[BMTBATA] 629
10
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19
Non di pib colpo che soave vento;
Per cai le fronde, tremolando pronte,
Tutte quante piegavano alla parte
U' la prim' ombra gitta il santo monte;
Non però dal lor esser dritto sparte
Tanto, che gli augelletti per le cime
Lasciasser d'operare ogni lor arte:
Ma con piena letizia V óre prime.
Cantando, rìcevieno intra le foglie,
Che tenevan bordone alle sue rime;
Tal, qual di ramo in ramo si raccoglie
Per la pineta in sul lito di Chiassi,
Quand'Eolo Scirocco fuor discioglie.
9. SOM DI PIÙ : qaeU'Mir» mi ferirà per
U fronte ooDM un 80fl^ leggiero di Tento
MMTe.
10. PIB CUI: pel sofflare di qneH'Mini
doloe, le fronde degli arboecelli si piega-
rmao tutte obbedienti Terso ooddente,
dm qnelln medesima parte doTO il santo
m<nBte in qnell' ora mattutina gettava la
sua ombra.
IS. MOH PSBÒ : quelle fronde non si soo*
starano però tanto dalla loro posixicme
aatorale, obe gli oooelletti lasoiassero di
volare di ramo in ramo cantando e sol-
laciandosi. Il moTimento dei rami non
era dunque Ibrte.
Ig. L*6RBt le prime aure, le aurette
mattutine} ofr. P^irarea, San, I, liS :
Fami d'ndirUi. «dtado 1 ntml e TAre.
17. jacBrmrot rieereTano, respira-
rano.
18. TEKEVAM BORDont : feooTanoil oon-
trabbaoso.aooompagnaTano, stormendo,
il loro canto. - allb bve mìuk : al loro
canto; al canto degli augelletti.
19. TAL : come risnona lo stormire nella
pineta di Bareana, quando spira lo Sci-
rocco. « Qualia suooinotis, ubi trux insi-
bilst Knrus, Hurmura pinetis flunt, ant
qualia ftuetus Ainorei (kciunt, si quis
proonl audiat illos>; Ovid., Mei. XY,
eoa e seg.
SO. CHtàflSi: oggi Oloise, castello o
dttà ebe si stenderà sul celebre porto
di Bavenna, cui era unfto da una ria
detta Oetarea. Non rimane oggi che la
splendida basilica di 8. ApolUnare, detta
appunto in Oìat$é, presso la quale sorse
•Btlotmeate im' abada abltaU dai Gas-
sinesi, ai quali nel 1188 succedettero 1
Camaldolesi; ofr. Ricei, UUimo rihurio
di 2>., 117.
21. Eolo : il dio e signore dei venti,
òhe li tiene chiusi in una grotta e li
sprigiona a suo beneplacito. « iBoliam
venit. Hic vasto rex .fiolus antro Luc-
tantes ventos tempestatesque sonoras
Imperio premit ao vindis et «aroere tn-
nat. > Virg.,Aen, 1, 62 e seg. - Scirocco :
vento meridionale. « Quando lo Scirocco
spira, di tra levante e metsogiomo, tutte
le fronde del pinete ravennate, posto sul-
r orlo dell'Adriatico, si piegano ad occi-
dente mormorando con dolcessa e con una
specie di ritmo e di fremito uguale e co-
stante che ò proprio de* pini, per la loro
forma quasi piana al di sopra e per la qua-
lità deUa chioma a steli rigidi ed aouU.
Corì gli uccelli non impauriti da stormire
improvviso né da troppo ondeggiamento
dei tronchi schietti e forti, cantano per
le dme senza interruzione come raccolti
in dilettoso convegno o in viva gara di
voci e di canti. » JUeci, op. dt., 116.
y. 22-38. li flumé Lete. Addentra-
tosi nella divina foresta. Dante giunge
alle sponde di un fiume dalle acque chia-
rissime, e lì si forma. H Poeta tolse dalla
Geneti II, 10 e seg.. Tidea dei fiumi del
Paradiso terrestre, che nascono da una
sola sorgente e scorrono in direzione op-
posta; ma i nomi di essi prese dalla mi-
tologia classica: soltanto i nomi però, e
nulla pih. H Leto dantesco non è il Lete
degli antichi, ohe, spegnendo la me-
moria di tutte le cose trascorse, fi ve-
ramente morte le anime de' trapassati,
immemori al tutto di so e d' altrui, spo*
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680 [t>A&. TSBBiiSTBK} PuBd. tltltL 22-33
[IL FmXX LBTfi]
32
25
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81
Già m'avean trasportato i lenti passi
Dentro alla selva antica tanto, ch'io
Non potea rivedere ond'io m'entrassi:
Ed ecco più andar mi tolse un rio,
Che invèr sinistra con sue picciolo onde
Piegava V erba che in sua riva uscio.
Tutte l'acque che son di qua piti monde,
Farrleno avere in sé mistura alcuna,
Verso di quella che nulla nasconde;
Awegna che si muova bruna bruna
Sotto l' ombra perpetua, che mai
Raggiar non lascia sole ivi, né luna.
glie d'ogni oosoiensa e deohe d'ogni lume
di oognisione distinta. Il Lete dantesco,
Ubato dall' anima, cagiona in lei beni-
gnlBsimo eflfetto : le fi dimentloare totto
dò che il peccato ha di profondamente
amaro e vergognoso Anch' esso non ò ap«
pieno espiato, o si teme che espiato non
sia, o ahneno s'ignora il gran bene che
Iddio, moderatore dell'universo, ne ha
tratto, prima permettendolo nella crea-
tara, che sola il commette, e poi, egli
insieme odia creatnra, cancellandolo, e
tra esso e il glosto ponendo qod non
più rarcabile abisso che ò tra Cielo ed
Inferno. Cfr. Perez, Delle/ragame onde
VAligh. prq^*ma il Purg, e U Par,, 25
e seg.
22. Oli : mi ero già addentrato tanto
nella selva, eh' io non vedeva più il Inogo
onde io era entrato. Un concetto tatto si-
mile Jf{f. XV, 18 e seg.
25. PIÙ ANDAR: Al. U. PIÙ ANDAB. -
MI T0L8K : m' impedi. - rio : Lete, v. 130.
27. PUOAVA : « Tennis (tigiens per gra-
mina rtvos » j Virg., Georg, rv,19. - uscio :
nsd, nacqne salle sae sponde.
28. DI QUA: nd nostro mondo. -iiOH-
DB: limpide; « più chiare e più belle »;
Suti.
29. PARBÌmo : sembrerebbero torbide
a paragone dell'acqua di qad rio che
lascia vedere ogni piùpiodola cosa sino
al fondo, tanto è limpida.
31. AVVEGNA OHB: Sebbene scorra in
Inogo del tatto ombreggiato.
82. PERPETUA : « valt dicere qaod tanta
est ibi densitas arboram, qnod ex con-
nexione ramornm radii soìls vd lon» pe-
netrare non possont»} Bene, Cfr. XicH,
JUitugio, ue.
V. 84-84. JAthéOadtmnm tulle Bpon-
de del XeCd. Fermatod, Dante giutfda
oltre il flnme e vi scorge una donadla di
bdlessa edeste die, pari alia lia dd
sogno mattatine {JPwrg, ZXVH, 97 e
seg.), va oantando e cogliendo floii. La
prega di avvicinarsi, ed eUa d aoeosta
dlariva; di modo che ilPoetaneèseparato
dal solo flnme. Chi è qaesta beltà ange-
lica! Dante conversa oon Id sensa diie-
derle ohi siaj il che suppone ohe egli
la riconoscesse sabito ; cflr. Qiom. XXI,
12. B qaando più tardi ne ode il nome,
MaMda, ofr. Purg, XXXIU, 119, egU
non chiede ohi da qaesta Jfotelda; mo-
stra and di sapere assd bene tele eeaere
il nome della donna solette. Se dunque
Dante la riconobbe sensa chiedere né a
lei nò ad dtri chi fosse e oome dohia-
masscdoveva averla conosdnte ndla pri-
ma vite; onde queste donna non paò es-
sere storicamente nò la oontessa Matilde
di Toscana, nò la moglie di Arrigo I im-
peratore, nò nna monaca tedesca t ma
una giovine donsdla ohe Danto oonobbe
a Firense; per avventa» nnadeUe donne
ricordato da Danto ndlaFite Jftio9a.Tale
opinione ò confortate dd ritratto ohe il
Poete fi di Matelda, il qnde non ò certo
qadlo ddla Gran Contessa e mdto meno
di nna monaca. Bd essendo Matelda 1*
guida e maestra di Danto nd Paradiso
torrestre, odei che lo guida a Beateioe,
lo immerge ndle mistiche acque dei doe
fiumi e lo presente alla dansa delle Tirtil
cardinali, pare*che allegoricamente ella
figuri il ministero ecdesiastleo, il pastore
idede delle anime. Seoondo dtri , eli* alm-
bdeggia la vite attiva, l'amore della
Chiesa, l' innooenaa, eoo. Sull'ardui qii*-
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[^12. TSltBKSTBB] PUBe. XXYUI. 84-53 [LÀ BELLI DONNA j 68l
84 Coi pie ristetti, e con gli occhi passai
Di là dal fioinicello, per mirare
La gran varìazion dei freschi mai;
87 E là m' apparve, si com' egli appare
Subitamente cosa che disvia
Per maraviglia tatt' altro pensare,
40 Una donna soletta, ohe si già
Cantando ed iscegliendo fior da fiore,
Ond' era pinta tutta la sua via.
43 « Deh, bella donna, oh' ai raggi d' amore
Ti scaldi, s'io vo' credere ai sembianti
Che soglion esser testimon del core,
46 Vegnati voglia di trarreti avanti »
Diss'io a lei, « verso questa riviera,
Tanto ch'io possa intender che tu canti!
49 Tu mi fai rimembrar dove e qual era
Proserpina nel tempo che perdette
La madre lei, ed ella primavera. »
63 Come si volge con le piante strette
À terra ed intra sé donna che balli,
sttone ofr. Oom. lApt. II, 696-617. Jahr- 46. voglia : Al. m voglia ; oompUdti
hfiek der 4md§ck^ Dant«-e«teUmhttft di tr«rti avvitì, di ftooostartl.
IV, 4U-480. Bor^o^noni, Jfoteliia, Città 48. chi: dò che ta OMiti. Udiva il
di Castello, 1887. Gaioétini, ItieU datk- eanto, ma non ne intendeva le parole.
fMdW,FiienM,1884, p. 22 e seg. .0imM., 49. tu la fai : tu mi rechi alla mente.
1816 e aeg. Dal Bò, MaUUda: itudio dan- - dove : l' ameno e fiorito prato. - qual :
tetco, Catania, 1894 etc. raggiante di beUessa ; efr. Ovid,, Mèt. V.
84.Bi8Tnn:mifermaiaUaainifltradel 886-408.
flnmioeUo e drisaai gU occhi all'altra rivm 60. Phoserpima t moglie di Finto che
86. VABlAEiOHt la gran varietà degU la rapì; cfr. If\f. TX, 44. -tucpo: del
aUMri fioriti. Maio^ voce dell' oso, sta qni ratto.
per albero bello in genere; ofr. lHtf,Tr9r(. 61. madbs: Cerere. - pbimavsra: i
I*, 269. Oavntd, VoH • Modi, 78 e teg. fiori raooolti che eUa lasciò cadere. * Ut
87. B LÀ: di là dal flnmicello. - bqu: snmma veetem hmiarat ab ora, Collecti
riempitivo. floree tnnioii oeddere remiaeis»; Ovid,,
88. DisvÌA: distoglie. «B qni è da no- 1. e, 898 e seg. Cosà i più {Lan., An,,
tare che, sieoome dice Boeslo nella sna Fior,, Poti., Oa$., JB&nv., Land,, VeU.,
O^nadatione, 'ogni subito mntamento di Dan,, ecc.). Al.: La verdeggiante e flo-
coae non avriene sensa alonno discorri- rita valle d' Snna {BuH, Lomb., Biag,,
meato d' animo , » ; Oonv, II, 11. Vedasi Ou., Frat., ecc.). AL; La verginità {Stroc-
In8sttf Boet,, Oons. pkU. II, pr. 1. Cfr. «M)< Primavèra '^t /lori nsa Dante an-
Pebrar. I, Son. 186. che Por. XXX, 63. ed il passo di OTidio
42. rarrA: dipinta, smaltata. esdade ogni dubbio chej»rimaMra sia da
44. b' io vo' t se voglio credere al tno prendersi anche qni nel medesimo senso.
aspetto. 62. stbbttb : sensa quasi levar pie da
46. TUTIM09: «lo viso mostra lo co- terra.
lor del core» YUa N., 16. Confr. Oonv, 63. intra sa: strette tra loro; Tona
m, 8. giunto all'altra.
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é82 [PÀB. tsbksstbk] Puro. xxYin. 54-tO (hk bella donìià]
55
58
61
67
70
E piede innanzi piede appena mette;
Volsesi in sui vermigli ed in sni gialli
Fioretti verso me, non altrimenti
Ohe vergine che gli occhi onesti avvalli ;
E fece i prieghi mìei esser contenti|
Si appressando sé, che il dolce snono
Veniva a me co'saoi intendimenti
Tosto che fu là dove l' erbe sono
Bagnate già dall'onde del bel fiome,
Di levar gli occhi snoi mi fece dono.
Non credo che splendesse tanto lame
Sotto le ciglia a Venere, trafitta
Dal figlio fbor di tutto suo costume.
Ella rìdea dall' altra riva dritta,
Traendo più color con le sue mani,
Che V alta terra senza seme gitta.
Tre passi ci facèa il fiume lontani :
54. E PIEDI: cfr. Purg. XXIX, 9.
55. YERMiou: colore dell* oftrità. -
GiALU: come l'oro; ccriore della purità.
67. AWALU : chini, abbasei ; ctt, Purg.
Xni, 63. « Ibant Inolgnes mltiiqiie h»*
bitaqae yeiendo. Candida porpareom
tnusò ■oper ora niborem, Deieotoqoe
gena*»; Stat., Théb. II, 280 e aeg. Cfr.
Oanv, IV, 25.
50. 8U0H0: del di lei canto.
60. mTENDiMERTit oon le parole del
canto chiare e distinte, sicehò io non udi-
rà soltanto 11 dolce saono, ma ne faiten-
deva anche le parole.
61. Li : snl margine erboso del flame.
62. GIÀ: non ò particella riempitiva
(Lomb.), ma serve a dinotare nn deter-
minato spazio di luogo (OiuL). Matelda
si avvicinò al Poeta fin là, dove le onde
già piegavano le erbe.
63. OCCHI : tenuti sin qui bassi per ve-
recondia, V. 57. - DOHO : grada; cfr. It^,
VI, 78.
6i. NOK CBEDO : per descriver la sovru-
mana beilesaa degli occhi di Matelda, il
Poeta trae l' immagine da Venere, i cui
occhi dovettero risplendere d'insolito lu-
me, allorché, ferita a caso da Cupido suo
figlio, si senti presa d' amore per Adone.
« Pharetratus dnm dat pner oscula ma-
trl, Insoius ezstanti distrinxit arnndine
pootos, eto. »j OHd., Mei. X. 625 e seg.
66. FUOE: inavvedutamente, a oaao,
dò ohe Cupido non soleva mai fhre.
67. BiVA DETiTA : riva destra di Lete.
Al. riferiscono driUa a Matelda: eli»
rideva stando ritta in su l' opposta rl^ra.
Può uno coglier fiori sttndo rittoff
68. TSAEinx) : cogliendo altri fiori <dtre
quelli già colti. Al. TEATTAinX), ci^r
mentre andava intrecciando e volgendo
tra le sue mani divorai fiori ohe gjA
aveva colti. - più colob: più fiori di
varii colori.
69. ALTA: per essere al sommo della
montagna elevatissima del Purgatorio. •>
SENZA SEME; cfr. Pwrg. XXVII, 186.
« Ver erat SBtemum, pjaddique tepentl-
bus aoris Muloebant Zephyri natos atne
semine flores »; Ootd ., MeL 1, 107 e a^. >
«Questa elevatissima regione terrestre
oonserva, giusta l' opinione del Poeta, la
proprietà ohe il Signore dette alla terra
primitiva, di produrre da sé erba ver-
deggiante che fiu)esse il seme a seconda
della sua specie e piante fruttUtoie»;
AtUoneUi.
70. TRE PASSI : cfr. Purg. IX, 106. Oom,
Lipt. II, 585 e seg. I tre passi figurano
i tre gradi della podtensa: oontrislone,
confessione e soddisfasione, ohe riman-
gono da flursi prima che Dante possa
passare al vero Paradiso terrestre; efr.
Purg. XXX, 76-78; XXXI, 84-86, 86-87.
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[PAB. tsbbbstbb] Pime. xinn. 71-85 [la belli dohba] 633
73
7«
7»
sa
Ma Ellesponto, là 've passò Serse,
Ancora freno a tatti orgogli umani,
Più odio da Leandro non sofferse,
Per mareggiare intra Sesto ed Àbido,
Ohe quel da me, perchè allor non s' aperse.
« Voi siete nuovi; e forse perch'io rìdo »
Cominciò ella, « in questo loco eletto
All'umana natura per suo nido,
Maravigliando tienvi alcun sospetto :
Ma luce rende il salmo '' Delecta$ti „ ,
Ohe puote disnebbiar vostro intelletto.
E tu che se' dinanzi e mi pregasti.
Di' s'altro vuoi udir; ch'io venni presta
Ad ogni tua question, tanto che basti. »
« L' acqua » diss'io, € e il suon della foresta
71. Bllmpohto: lo stretto dei Dftr-
daoelli. - LÀ 'VB : Al. DOVI : Al. Li 'YB 'L
PAflBÒ. Sene, flgUo di Dftriore di Peni*,
eoi aQOoeese nel ngno 1' «imo 486 a. C,
pAMÒ nel 480 oon un gnnde esercito so-
pra dne ponti di nari l' Ellesponto, oggi
stretto de* Dardanelli, per portar gnem
aDa Oreeia. Sconfitto nella battagUapree-
so Halamtna, Serse ripassò foggendo TBl-
toeponto, lasciando colla sna ftiga ai po-
steri nn aererò esempio delle ftmeste
conoegnense dell'orgoglio nmano; cfr.
D€ M»n. n, 9.
78. Lbaxdbo : gioTine greco di Abfdo,
sollo stretto dell' JBllesponto, il qnale per
Tiaitare la sna amante Bro, che abitava
a Sesto snll'altn rira dello stretto, tra-
Tersara ogni notte a nooto l' BUesponto,
llnohè Ti si annegò; cfr. Owid, » Bp, TJJL,
Heroid^ XVII. - mom bowwkbsk: non fo
pili odiato da Leandro ohe Lete da me.
74. FSR KASBOOLàBK : per l' ondeggiare
impetuoso delle soe acqne.
75. QUEL : il flnme Lete. - b' àpkbsi : co-
me il mar rosso ed 11 Giordano agl'Isne-
Uti; cfr. Purg. XVni, 134.
76. HUOYit in questo loogo, arriyati di
freseo; cfr. Inf, IT, 62.
78. KiDOt dimora, abitaslone.
78. MABAyiQLiAKDO: « quia oreditis
qnod sim philocapta, nt tn dicebas panie
ante mibi »; B§nv,
88. DsLKCTAsn: BoL XCI, 6 e seg.:
« Tu mi bai letificato, o Signora, qplle
eosa cute da te; o io esulterò nelle opera
delle tue mani. » In queste parole ò il
motivo del sorriso e della gioia di Ma-
telda: ella esulta nel vedersi circondata
da tante meraviglie della oreasione.
81. DISNBBBIAB! sohiarin, facendovi
oonosoera la cagione della mia gioia.
82. DiMAH ZI : agli altri due, Virgilio e
Stario.
88. s'altbo: di' liberamente se vuoi
s^MTO od ndira altra cosa da me, ohe io
sono venuta al tuo invito, pronta a ri-
spondere ad ogni tua domanda per modo
ohe ne abbi ad essera soddis&tto.
84. TAHTO CBB BASTI: flnchò tn non
sii chiarito d'ogni cosa; cfr. v. 184 e seg.
y. 86-108. Cauta del vmUo nel ^ara^
éUo terrmire. Da Staslo Dante aveva
udito, non esservi più dalla portadel Pur-
gatorio in su nò venti, nò pioggie, nò
brine, nò rugiade, nò nevi, nò nuvole,
nò lampi, nò alcun* altra cosa di questo
genera ; cfr. Purg. XXI, 43 e seg. Que-
sto insegnamento sembra or contrad-
detto dal fSstto, essendovi lassù, nelle al-
tura del Paradiso terrestra, acqua, ed
udendovisi risonar la foresta per il sof-
fiaro del vento. lUspondendo a questo
dubbio del Poeta, Hatelda dichiara come
causa del vento lassù non aleno le altera-
sionl, dalle quali esso trae origine quag-
giù ; ma il movimento dei deli, la cui
sottile sostanza, girando, percuote la
selva e ne muove, qoal vento, le fraudi.
86. l'acqua : del Leto. - il buoh : delle
lòglio percosse dall'aura dolce ; cfr. v. 18.
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684 [PAB. TBBBB8TRB] PURO. XXYIII. 86-101
[il VBOTO]
91
94
97
100 *
Impugna dentro a me novella fede
Di cosa, ch'io adi' contraria a qnesta. >
Ond'ella: «Io dicerò come procede
Per sua cagion ciò ch'ammirar ti face,
E purgherò la nebbia che ti fiede.
Lo Sommo Ben, che solo esso a sé piace.
Fece l'nom buono e a bene, e questo loco
Diede per arra a lui d' etema pace.
Per sua diffalta qui dimorò poco;
Per sua diffalta in pianto ed in affanno
Cambiò onesto riso e dolce gioco.
Perchè il turbar, che sotto da sé fanno
L'esalazion dell'acqua e della terra,
Che, quanto posson, dietro al caler vanno.
All'uomo non facesse alcuna guerra,
Questo monte salio vèr lo ciel tanto,
86. impugna: Al. dcpuohan; combat-
tono la recente credenza in me fermata
dalle parole di Stailo, vedendo qui gli
effetti di alteraiioni atmosferiche e net-
taniche.
88. COME PBOCBDB: di qnale caosa
siano effetto qaest' acqoa e questo vento
di che ta ti maravigli.
00. B PUUGHBRÒ: e Sgombrerò T igno-
ranza che ti abbuia la mente; «ignoran-
ti» nebola elnetor > ; De Mon. II, 1. Cfr.
W. VII, 71.
91. Sommo Ben: Dio, che solo piace a
so, non potendogli piacere nnlla di non
pnro e non perfetto, come sono tutti
quanti gli altri esseri. < In angelis suis
reperit pravitatem »; Job IV, 18. -« OobIì
non snnt mundi in conspectn eins » ; ibid,
XV, 15. - « Luna etiam non splendet, et
steli» non sunt munde in conspectn
eios »; - ibid. XXV, 6. - CHE bolo esso :
Al. OHE BOLO A BÈ PIACE.
92. BUONO : « E Iddio vide tutte le cose
ch'egli avea fotte: ed erano buone as-
sai »; Genes. I, 81. -A bene: atto a bene
operare ed a conseguire il Sommo Bene.
Cfr. Oom. Lipt. II, 688 e seg.
93. abra: pegno della celeste beatitu-
dine. Arra — caparra s cfr. B\f, XV, 94.
94. DIFFALTA: fsllo, pecoato, colpa (da
faUiré), - poco : cfr. Par. XXVI, 139 e seg.
90. onesto eibo : « qualis erat risus
Hathildis paulo ante»; B^nt, - Gioco :
gioia, diletto I cft. Gmim. UI, 16-19.
97. IL TUKBAB: «il turbamoito ohe
nelle basse regioni dèlia terra avviene
per le meteore acquose e ventose, altri-
buisoesi ottimamente dal Poeta all'esa-
lazione dell'acqua e della terra, cioè al-
l'evaporazione; la quale ben dice ohe,
quanto può, va dietro al calore, doò dal
calore dipende, giusta leggi opportune-
Aodocchò, poi, quel turbamento non mo-
lestasse r uomo, ohe doveva, innocente,
esser felice anche su questa terra, sup-
pone il Poeta ohe l' abitatone ai nostri
progenitori destinata saUsse cosi grande-
mente verso il cielo, tanto da non vi es-
ser possibili quei turbamenti. •AnUméOL,
Colle dottrine di Dante droa il sito e le
condizioni meteorologiche e cUmatiidie
del Paradiso terrestre cfr. Thom, Aq»,
Svmt, Uuol, I, 102 e seg. - botto: neUe
parti più basse della porta del Purgate-
rio in giù.
99. CHE: le quali esalasioni, tendendo
naturalmente verso il sole, salgono in
alto più che possono, doè sino all'altessa
della porta del Purgatorio. Secondo Ari*
stotele, 11 caldo esercita sui corfd nn«
forza attrattiva: natura ealidi est ai-
traheré.
101. VÉB LO OIBL : Al. VRB80 'L COI» -^
TANTO: quanto hai potuto vedere Salen-
dolo. DeU' Olimpo S. Agostino, de. 2M
XV, 27 1 « Supra quem perhibentnr nnbee
non posse consoendere, quod tam snbU-
mis quam ccslnm sit, ut non ibi sii aSr
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D»AB. TXBBBSTBS] PUBG. XXYni. 102-118 [TIBTÙ SSHIKALl] 685
lOS
106
109
113
E libero n' è d' ìndi ove si serra.
Or, perchè in circuito tatto quanto
L'aer si volge con la prima vòlta,
Se non gli è rotto il cerchio d' alcun canto.
In questa altezza, che tutta è disciolta
Nell'aer vivo, tal moto percuote,
E fa sonar la selva, perch' è folta ;
£ la percossa pianta tanto puote,
Che deUa sua virtute V aura impregna,
E quella poi, girando, intomo scuote;
E r altra terra, secondo eh' è degna
Per sé e per suo ciel, conoepe e figlia
IsteerAsdor, obi renti, nebol» imbresqne
gignnntiir, neo aUendoni onmiiim el»*
mentomm cnuritrimam temun ibi esse
pataimt.*CtT9m,Aq.,aitm,tk»ol.l,l(ì2,%
108. n BiBEA: 1* porto del Pnrgftto-
Tio: efr. Pwrg. IX, 76, 180 • seg.
108. OR: sili qni ICsteld» h« oonfer-
nato elò che Danto AVM adito dire a Sto-
sio, Pwrg, XXI, 43 e seg.} ora procede
dSehiaraiido la caoaa dell'aura ohe moore
le fb^ie, e dell'acqua. Secondo le opinioni
del tompo,latorraglaoeimmobilenel cen-
tro dell' oniTereo. L* aria «{ tH>(^ in giro,
ai gir» con la prima 90ÌU, cioè col Primo
Mobile e con tottt i deli a quello sotto-
poeti da oriento a ponento, poiché giran-
do il Primo Mobile ik girare anche l'aria
aottopoeta. I rapori che liuino il vento,
danno quaggiù molto Tolto all'aria altro
moto che non quello da oriento ad occi-
dente. LaMÙ i rapori non salgono: dun-
que l'aria Ti gira sempre col Primo Mo-
bile, se non è in qualche parto interrotto
da impeto estraneo. MoTcndosi dunque
da oriento ad ocddento l'aria troTa lassù
qualche resistensa nella spessessa della
sslTa, il ohe produce quel suono udito da
Danto e di cui egli ha chiesto la causa.
104. LA PSIMA VÒLTA : il Primo Molale.
Cosi tutu ; il solo Antonetti intonde in-
Teoe della sfera del Itaoco, «la quale suc-
cedeva immediatamento all'oceano aereo
o fluido »(f;.
106. BOTTO: interrotto. - ontomo : mo-
Timento rototorio, 11 suo girare.
109. OHI tutta: Al. OHX IR TUTTO:
che si Blanda libera nell' aria pura.
107. VIVO: perfettamento libero dalle
esalarioni di laggiù. - moto: dell'aria,
T. lOS e Big.
108. BONAB: eia ragione che il Poeto
assegna al suonar ddla sdva dimostra
che egli conosceva la rifleedone e la con-
centradone dd suono per messo ddle
pianto } eflbtti che d producono dagli d-
beri quanto più sono fitti, e quanto per
questo loro spessessa cod Ibrman quad
ddle pareti riflettontl »; AntontUi,
Y. 100-120. Virtù aemituai dette
piante. Le fronde di quegli dberi lassù
sono piene di ogni virtù seminde, e, per-
ootondo gli dberi ddla sdva antica,
r aria s' impregna di questo virtù, e, ai^
rivendo col suo moto drcolare intomo
die parti dd globo da noi abitoto, le
depone sulla nostra torra, la qude i>d,
secondo i vari climi, produce varie spe-
cie di pianto, ddle quali l'uomo non
getto in essa i semi. Conoscendo questo
flitto, gli uomini non ferebbero le mera-
vig^e vedendo nasoere nuove pianto, il
cui seme d resto del tutto ignoto. Tutto
la campagna lassù è piena di ogni se-
mensa, e dà frutti cod buoni, quali nel-
r emisfero abitoto dagli uomini non si
hanno.
110. viBTUTB: vcgctotiva.
111. K QUELLA: e r aura impregnato,
rotando in tomo alla torra, scuoto intorno
quella virtù vegetotiva, diifondendola per
le regioni torrestri.
112. L'ALTRA : qudla abitato dagli uo-
mini, a diflbrensa di quella dd Paradiso
torrestre. Al. con pochissimi codd. e sen-
aa aotorito di com. ant.: l' alta tkbba }
cf^. Oom. Lip9. II, 691 e seg. - diqna:
atto a ricevere dò che l' aria scuoto In*
tomo.
118. FSB BÈ : per il terreno, qua più, e
làmen buono, -per buo cul: per il dima.
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686 [PAS. TIBftlSTBB] PUBO. XXTin. 114-130
[l'acqua]
115
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130
Di diversa Vìrtb diverse legna.
Non parrebbe di là poi maraviglia,
Udito questo, quando alcuna pianta
Senza seme palese vi s* appiglia.
E saper dèi che la campagna santa
Ove tu sei, d'ogni semenxa è piena,
E frutto ha in sé che di là non si schianta.
L'acqua che vedi, non surge di vena.
Che ristori vapor che gel converta.
Come fiume eh' acquista e perde lena;
Ha esce di fontana salda e certa.
Che tanto dal voler di Dio riprende,
Quant'ella versa da due parti aperta*
Da questa parte con virtù discende,
Che toglie altrui memoria del peccato ;
Dall'altra, d'ogni ben fatto la rende.
Quinci Lete; cosi dall'altro lato
1 14. DIVUI0A : secondo Ia qualità delU
plMita dall* qoAle muore. - lbgna : al-
beri.
115. DI LÀ : nel rostro mondo.
116. UDITO : se akmno aresee ndito dò
ohe or ti ho detto.
117. s'appiglia : germoglia, sensa che
alcnno sappia onde sia renato il seme.
119. d'oori sucEifZA : d'ogni spedo di
alberi e di piante : cosi VeU., Lomb., Oo-
Ha, Bt. S„ Frat,, Andr,, eco. Alonni : Di
quella qualità e rirtù, di ooi s' ò V aria
imbemta dal toccare quei fiori, qnel-
l'erbe e qnelle piante (Veni.» Pori.,
Blog., ecc.). - pikha : < pregna d'ogni se-
mensa in sé stessa, senza bisogno che ri
sigitti,comesaocedeqoiin terra»; BtUi,
120. di là: nel rostro mondo. - sì
soHiAifTA : si coglie. Allude forse (come
si arrisane BwU» Land., VélL, ecc.) al
flutto dell'albero della rita; oflr. Gtné$.
n, 9 ; m, 22. Apoeal, II, 7 : XXIT, 2, U.
V. 121-188. Cauta deU'aoqua nel
Paradiéo ierrettre. Spiegata l'appa-
rente rentUasione, Matelda passa alla
soluzione del secondo dubbio di Dante:
come lassù ri possa essere acqua senxa
pioggia. Quest' acqua non è generata da
rapori acquei condensati, come sono le
acque della terra, doro 1 fiumi ora gon-
fiano ed ora si assottigliano ; ma è pro-
dotta perennemente da Dio; oAr. Gemt.
U, 6, 6, 10 e seg. Da una so£i fonte soata-
risoono due riri die scorrono in direiioDe
opposta; l'acqua dell* uno, Lete, fia di-
menticare le colpe, r acqua dell'altro,
£anoè, reca a memoria tutte le buone
opere Iktte, a patto però die si bora
prima di qudla e poi di questa.
122. OONTEBTA: allude alla do4Miia
esposta altrore, Purg, V. 109 e seg., ohe
il freddo sia generatiro dell'acqua; cfr.
Clonv.IYylB.Ari$M.,€hnerat.HOorr^9L
U, 4. Senec, QwBtt, noi. lU, 9.
123. ch'acquista: Al. CH'ASPBTTA. - ■
PiBDi. AI.o PBBDB.I fiumi terrestri acqui-
ttan lena, cioè si gonfiano, eptrdon iena,
doè si disseccano, secondo che le loro sor*
genti ricerono o non ricerono alimento
dalla pioggia ; inrece nel Paradiso terre-
stre tali rariarionl non lianno luogo; o' è
sempre la medesima quantità di aoqoa.
124. SALDA B CEBTA: inrariabilo ed
inesauribile, che oonserra sempre lo ates-
so suo essere e la medesima sua oondi-
xione.
125. RiPBBNDB: riacquista per rdonlà
e dispoeixione di Dio, sensa messi natu-
rali, altrettanta acqua, quant'essa ne ri-
rersa per due canaU, o riri.
130. quiKCi : da questa parte scorre il
fiume Lete, doè dell' oblìo, fiume dell' A-
remo della mitologia dassica, il quale,
secondo Dante, nasce sulla retta della
montagna dd Purgatorio, attrareraa fi
Paradiso terrestre, cade quindi appiè dd
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[PÀB. TEBBB8TRS] PUBG. XXYIII. 131-148 [ETÀ DELL* ORO] 687
183
136
139
m
Eimoè si chiama; e non adopra.
Se quinci e quindi prìa non ò gustato.
A tutt' altri saporì osto è di sopra:
Ed avvegna eh' assai possa esser sazia
La sete tua, perch'io piti non ti scopra,
Darotti un corollario ancor per grazia ;
Nò credo che il mio dir ti sia men caro,
Se oltre promission teco si spazia.
Quelli che anticamente poetare
L'età dell'oro e suo stato felice,
Forse in Parnaso esto loco sognare.
Qui fu innocente l' umana radice ;
Qui primavera sempre ed ogni frutto ;
monte e di lì t* giù per fl foro d' un
MMo fino ài centro delU tem; oonftr.
JV. XXXIY. 130 e seg. Purg. I, 40.
131. BuHOÈ: come Lete, voce di deri-
▼asUnie grec», ohe aignifloa Baon» me-
BoriA, oppure Bioordansa del bene. -
iroM AOOPRA : V «oqoa non fa H sao ef-
fetto, doè di rendere l' nomo degno di
■alire al eielo, se non gottata da ambe-
due i rlvL Fuori di aIl^(oria : per diren-
tar degno di aalire al olelo, è necessario
di laaoLffe il male (gustare Xetó) edl eser-
(AUatA nel bene (gnstare Bunoè),
132. Qunoi: da qnesta parte, dorè
raoqoa scorre nel riro chiamato Leto.
- Qumftì: dall'altro lato, dorè scorre
l'Eanoè.
133. B8T0: qncsto sapore, quindi, di
Eonoè; ett. Purg. XXXUI, 188.
136. 8CTB : desiderio di sapere ; oonfir.
Purg. XXI, 1. - pebch' io : anche se io
non ti rlTeU altra cosa.
136. ooBOLLABio : ona giunta al pre-
cedente ragionamento; cf^. Par, Vili.
138. « Igitnr veloti geometne solent de-
Bonstraas proposttis aliqold inferro qne
porismata ipei Tooant, ito ego qnoqoe
tibi Telati oorollariam àBho»iBdet., don»,
pkQ. Ili, pr. 10. - « Memento corollarli
UUos qood paolo ante pneoipnom dodi » ;
ittid. IV.pr. 8. - Corollarfom appellatnr
ultima condusio, qn» datur post alias
qnasi condusio conolusionum, sic dJctum
a corolla, idest, parva corona, quasi co-
lonariom, quia datur diqnitantlbus in
pnemlum »; Benv. - poi obazia : libera-
mente, scusa esseme richiesta e sensa
avertslo promesso.
188. SI SPAZIA: si allunga e distende
oltre la mia promessa.
y. 130-148. I/eUt éMVoro nel Po-
fwliso i9rrt9tre, I poeti che descris-
sero Tetà dell'oro, videro ibrse nella loro
fiuitasia poetica, come in sogno, questo
luogo, nel quale veramente ta l'età del-
l' oro degli uomini, che qui ftirono in-
nocenti. In luogo ddisioso, dove si hanno
sempre fiori e flutti, e la cui acqua è il vero
nettare, di che tanto si parla. All' udire
tali parole, Dante volge uno sgn*rdo a
Virgilio e Stasio, li vede sorridere, e quin-
di rivolge di nuovo gli occhi a Matdda.
138. QUELLI: principalmente Ovidio,
Met, I, 88 e seg. - poetabo : poetarono,
finsero poetando.
140.FKLTCE: <felixnlmÌumprior»tas>{
Boet., Oona. phU, II, metr. 6.
141. FOBSB: «forse travidero per so-
gno questo luogo nelle loro poetiche aspi-
rasionl»; Betti. - Parnaso : monte della
Fodde, sacro ad Apollo ed alle Muse;
ofr. Purg. XXII, 65 e seg.; tognar in
Parnaso vuol dire veder poetando, qnad
in sogno. Dice dunque, che quando gli
antichi Poeti cantarono dell'età dell'oro,
esd videro forse come in sogno lo stato
felice dell'uomo dorante la sua breve
dimora nel Paradiso terrestre.
142. BADICI: i primi uomlnf. Adamo
ed Eva, progenitori dd genere umano ;
cfr. Purg. XX, 43.
143. PEIMAVBBA SKMPBX : Al. PBDIAVB-
BA È SBMPBK. Qui è sempre nello stesso
tempo stagione del fiori e del fhitti, pri-
mavera ed autunno. « Ver erat eter-
num»} Ovi4., UeL I, 107.
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638 [PAB. TEBB.] PUBG. XXYIH. 144-148. - XXIX. 1-4 [MATILDA]
U5
li8
Nettare ò questo, di che dascan dice. »
Io mi rivolsi a dietro allora tutto
A' miei poeti, e vidi che con riso
Udito avevan l'ultimo costrutto:
Poi alla bella donna tornai '1 viso.
lU.NÈTTABB: Ofr. FWQ. XXII. 150. -
CIABCUS : di qaéUi òhe «ntloamente poe-
tuo.
145. la BIYOLBI A DIBTBO : OOéi 1 più.
Al. MI BiYOun A BiTBO: il Witu legge
col cod. di S. Croce : mi yolbi di rbtbo.
Tool redere qaale impreesione le altiine
parole di Mfttelda abbiano fatto eoi saoi
dae oompagni, ambedae di « qaelli oha
antloameiite poetare ».
146. BI0O : di oompiacenca òhe approva
tacitamente le ooee udite.
147. L' ULinCO 008TBUTT0 : 1* Ultima
condneione, le ultime parole di ICatelda.
148. TOBHAI : mi rirolil nnoramente a
CANTO VENTESIMONONO
PABADISO TEBBESTBE
LUNGO LE RIVE DEL LETE
PROCESSIONE MISTICA, OSSIA IL TRIONFO DELLA CHIESA
Cantando come donna innamorata,
Continuò col fin di sue parole:
^Beatif quorum teda sunt peccata! :
E come ninfe che si givan sole
T. 1-12. J>anU e Xateìda lungo le
rive del Lete, Finito il eoo discorso, la
bella donna ritoma al canto; e eoe) can-
tando se ne va a passi lenti su per la
riva in direxione opposta alla corrente,
e lungo 1* altra riva di pari passo con lei
se ne va il Poeta, seguito da Yirgilio e
da Staxio. Fatti appena cinquanta passi,
il corso del flame li costringe a volgersi
verso oriente, da dove apparirà la mi-
stica processione, alla qoale Dante va
incontro sotto la gnida di Katelda.
1. CAMTAHDO: versQtoltoda Onido Ca-
valcanti, Ball. IX :«Cantandocome fosse
innamorata. »
2. COL mr : appena finite le parole a me
dirette.
8. BBATi : parole del 8almo XXXI, 1 :
« Beato cdid, le coi Iniquità sono state ri-
messe, e i cui peccati sono stati coperti. »
- < B viene questo Salmo a proposito à»
la materia: impera che 1* autore era per
passare lo fiume òhe telile la memoria
del peccato»; JBtiti.
4. COME MTNFB : con tal vereconda leg-
glediU ne*aaol movimenti. « Nympfaaii-
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[PAB. TEBBK8TBX]
PUBO. XXIX. 5-22 [LUCE E MELODIA] 639
10
18
16
19
32
Per le salvatiohe ombre, disiando
Qnal di veder, qaal di faggir lo sole;
Allor si mosse centra il fiume, andando
Sa per la riva, ed io pari di lei,
Picciol passo con piociol segoitando.
Non eran cento tra i sno' passi e i miei,
Quando le ripe igualmente dier vòlta
Per modo, eh' a levante mi rendei.
Né anco fìi cosi nostra via molta,
Quando la donna tutta a me si torse.
Dicendo: «Frate mio, guarda ed ascoltai »
Ed ecco un lustro subito trascorse
Da tutte parti per la gran foresta,
Tal, che di balenar mi mise in forse ;
Ma perchò il balenar, come vien, resta,
E quel, durando, più e più splendeva.
Nel mio pensar dicea: < Che cosa ò questa? »
Ed una melodia dolce correva
qne ■orares. Centoni qn» bUtm, oentom
qiUBllamiiiftseiTMit»; Virg., Georg. IV,
SSSeaeg.
5. BALTATiCHi OMBBB : ombre delle sel-
Te. « Ibftni obioiiil sol* sob noote per
nmbram»; Yirg,, Am, VI, 268.
6. QUAL: le ime in oeroa di più aprioo
Ino^ per vedére il «ole, le altre in cero»
di più epoMe ombre ^r fuggirlo,
7. OOHTRA n. FIUMI: nelU diresione
9. ncciOL : ofr. Pwg. XXVin, 64. «Se-
qnitorque patrem non pasaiboB teqnis » ;
Twg„ Aen. H, 724.
10. TRA I SUO*: sommati insième, dnn-
qoe cinquanta per nno.
11. lOUAuntNTB: rimanendo equidi-
stanti. • DIBB VÒLTA : piegarono a si-
T. 13-86. Xmm e molodia annun-
aiatriH dtUa gran proeo90Ìone* Fatti
poehi passi nella nuora diresione rerso
levante, ICatelda, alla quale nulla ò qui
nuovo od inaspettato, esorta Dante a flir
attensione alle cose ohe subito si mostre-
ranno. Bd ecco una luoepariaqnellad'un
lampo, ma òhe non Isvanlsce come que-
ste, and va ognor crescendo I E si ode una
melodia per la selva, si dolce e soave, che
Dante non può astenersi dal riprendere
entro sé la madre Bva, pel cui ardimento
l' umanità è privata di tanta doloessa. Il
lustro intanto diviene fuoco, e la melodia
canto. Sulla visione finale del Purgatorio
cfr., oltre la letteratura registrata Oom,
Lipt, II, 618 e seg., principalmente Ohi-
rardifU, Visione di D, nel Par. Urrà-
ttré nel Propugnatore di Bologna, X, II,
193-227; XI, 1,2776.
18. Mi^ ANCO : e non eravamo ancora an-
dati altrettanto dopo esserci vòlti a le-
vante.
14. DONNA: Matelda. - si tobsb: si
volse tutta a me. La Ics. : Quando la
DONNA MIA A ME SI TOBSB ò inattendibile.
Donna mia Dante chiama la sola Bea-
trice.
16. LUSTBO SUBITO : uu lume subitaneo,
proveniente dal sette candelabri, v. 60.
18. MI MI8B : mi fece dubitare che bale-
nasse. « Hic primnm nova lux ocnlis of-
ftilsit et ingens Visus ab aurora coolom
transcurrere nimbns »; Virg., Aen. IX,
110 e seg.
19. RBSTA: cessa, sparisce colla mede-
sima velocità oolla quale nasce.
20. QUEL : quel luitro durava e si avvi-
vava sempre più.
21. NBL MIO FBNSAB : fra me stesso. U
pensare è un parlare intemo.
22. MBLODLà: il canto dei ventiquattro
seniori, v. 85 e seg.
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640 [PAR. TEBRE8TBB] PURO. XXIX. 23-86
[LUCB B KBLODIÀ]
25
26
81
Si
Per V aere laminoso ; onde buon zelo
Mi fé' riprender l'ardimento d'Eva,
Che, là dove ubbidia la terra e il cielo,
Femmina sola, e par testé formata.
Non sofferse di star sotto alcan velo ;
Sotto il qaal se devota fosse stata,
Avrei qaelle ineffabili delizie
Sentite prima, e più lunga fiata.
Mentr' io m' andava tra tante primizie
Dell'eterno piacer, tatto sospeso,
E disioso ancora a più letizie.
Dinanzi a noi, tal qaale un faoco acceso,
Ci si fé' l'aer sotto i verdi rami;
E il dolce suon per canto era già inteso.
23. BUOH ZBLO: giosto selo o sdegno.
Al.: L' amore del prossimo : attenendosi
ai T. 29 e 30 si direbbe meglio l'amor pro-
prio! L*amor del prossimo non ha qai
ohe Tederò.
24. BiPBKNDBB : Sgridare, rimprovera-
re. - d'Bva: più colpevole d'Adamo;
« Et Adam non est sednotos: mnlieraa-
tem sedacta in pravarioatione ftilt •; I
Timot. II, 14. - « Peooatnm mnlierts ftilt
gravios qnam peooatnm viri »; Thom.Aq.,
Sum. theol. II, li, 188, 4. Ctr, Petr.Lomb.,
Seni. II, 22. Boìun., Brevtt. IH, 8 e seg.
26. Li : ò qai arv. di tempo, non di luo-
go — Mentre tntto qaanto 11 creato, terra
e cirto, era ubbidiente al creatore. Se-
condo altri LÀ ò avv. di Inogo — Nel Pa-
radiso terrestre, dove tatto ubbidiva a
Dio. Ma, era tatta la terra, e di gianta
anche il Cielo, nel Paradiso terrestre?
26. FEMMINA : onde avrebbe dovuto es-
sere meno audace. - sola : dirimpetto a
tutto r immenso creato. Al.: Sicché non
poteano averla stimolata nò emulaslone,
nò desiderio di soverchiare le sue pari. -
TB8TÈ FORMATA : priva di esperiensa e di
oognisloni.
27. VELO : dell*ignoranxa. Bva cedette
infatti alla lusinga : * Gli occhi vostri si
apriranno, e sarete come dèi, avendo
oonoscensa del bene e del male »; Gène»,
III, 5. Taluno intende invece del velo
dell'ubbidienza; ma Bra dwoòÒMfi per-
chè non vóUé tta/r totto U vélo dell' igno-
ranza del bene e del male. « In stato pri-
mm oonditionis hominis vel angeli non
eratobscaritasoulpa» vel pcsn»; Inerat
tamen inteUeotui hominis et angeli qnss-
dam obsonritas natoralis »; Thom. Ag,,
Sum.théol. II, n, 6, 1. Qaesta obtettritas
naturàUt è il vélo di che paria Dante.
28. DEVOTA: ubbidiente a Dio. In altri
termini : Bensa la odpa di Bva avrei gu-
stato tali delifie sin dalla mia nascita e
poi per tutta la mia vita, ohe il Paradiso
terrestre sarebbe tuttora il luogo di di-
mora dell' umanità.
80. E PIÙ LUNGA t Al. E POI LUNGA ; Si-
no al mio passaggio dal Paradiso terre-
stre al celeste.
81. PRIMIZIE: primi saggi delle ineAk-
blK delisie del Paradiso.
82. SOSPESO : incerto e pieno di stupo-
re. « Lo stupore è uno stordimento d'ani-
mo, per grandi e meravigliose oose to>
dere, o udire, o per alcun modo sentile ;
ohe in quanto paiono grandi. Canno reve-
rente a sé quello ohe le sente; in quanto
paiono mirabili, fumo vogUoeo di sape-
re di quelle quello che le sente»; Oon9,
IV, 25.
33. LETiziB: ansi tutto quella di rive-
der Beatrice; cfr. Purg. YI, 46 e seg.;
XXVII, 86 e seg., 62 e seg.
86. CI SI FÉ*: Al. COSÌ PB*. -BAMI : deUe
piante della divina foresta.
86. BEA Gli INTBBO : SÌ intendeva già
ohe quel suono era un canto.
V. 87-42. JftvoMMrfone dèUe JffMae.
« Avendo a trattar di oose altissime, oo-
me sono le celesti e divine, e molto diffi-
cili solamente a pensare, non ohe a soli-
verle, eonveniente oosa è oh' egli invochi
l'aiuto di tutte le Muse In genere, e di
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[PAR. TIBRS8TSB]
PUBO. XXIX. 87-49 [INTOOAZIONI] 641
87 0 sacrosante Vergini, se fami,
Freddi, o vigilie mai per voi soffersi,
Gagion mi sprona., oh' io meroè ne oMami.
40 Or convien ch'Elicona per me versi,
Ed Urania m' aiuti col suo coro
Forti cose a pensar mettere in versL
48 Poco più oltre, sette alberi d' oro
Falsava nel parere il lungo tratto
Del^ mezzo, ch'era ancor tra noi e loro;
40 Ma qoando fid si presso di lor fatto,
Che l'obbietto comon, che il senso inganna.
Non perdea per distanza alcon suo atto,
48 La virtù eh' a ragion discorso ammanna.
UnniA in parttooUre, perchè qaeat» 0*-
letU wign\fifm»i YàU,
ti, ViBonn: MoM, giàinTooate piti
Toltef Inf.n,!', XXXU. 10. Pwg, 1, 8.
88. m VOI ! per amor Toetro ; eonfr .
Fmr, XXV, 8. Oofw, m, 1, 0. Oom, IAp§,
n. 6)6.
88. CAGioat neoessità mi ■pron» orm %
otdedeme in gniderdone il Toetro aiuto.
40. BuooHA : monte della Beoxla, aede
delle Hnae. dette perdo SKeonidi, o do»-
zeOé SUconie. Nomina il monte invece
dei fonti di Aganippe e d* Ippoorene che
di là agorgano, rolendo direi Ora con-
▼iene <Àe BUoona mi ai» largo delle aoqne
che da lai acatariacono. - «Pandite nmìC
Helleona,dea,cantnaqne movete » ; Virg.,
Am. VU, 841. Ctt, Und, X. 188.
41. UrakU : quella Hoaa ohe preaie-
de alle coee aatronomiche e oeleati.
43. VOKTI: difficili; m' aioti a mettere
in Terai coee difficili pnr a penaarle; cfr.
Oonv. JH, 4.
V. 48-80. iMtte eand^ahri. La mi-
atica prooeaaione va avricinandoai. Si
apre eon aette candelabri, che a prima
▼iata aembrano a Dante aette àlberi
d*oro. Stnpe&Mo, il Poeta ai volge con
ano agoardo interrogativo a Virgilio,
die gU riaponde con iagoardo eh' eapri-
me pari atnpore. - I aette candelabri
acno tolti dalla Scrittora Sacra (conlt.
Mtod. XXV, 87. Num, Vili, 2. Jj^oc.
I, 18, 20; rv, 8) e figurano «i aette
aplifti di Dio » Upoeal. IV. 5), cioè lo
Soffio di Dio aettempUoe (confr. InUa
XI, 9), fonte del aette doni deUo Spi-
rito Santo, onde i ventiquattro aeniori
tengono dietro ai candelabri, cioè allo
41. - Dft. Omm».* 4^ edia.
Spirito, o&me a lor duci, v. 64. Sopraàltre
interpretadoni cfr. Oom, Lipt, II, 827-
828. Stufici., 802 e aeg.
48. PIÙ OLTBB : al di là di qudlo aplen-
dore qoal di ftioco acceco, v. 84 e aeg.
44. FALSAVA : U lungo (rotto dèi «muso,
doè lo spade intermedio tra il luogo do-
ve io mi ritroTava, e la luminoaa appari-
done, fìMeva Cdaamente apparire quegli
oggetti come sette dberi d' oro, mentre
in redtà erano candelabri.
47. l' obbutto oomuh : dò che divwd
oggetti hanno di comune tra loro, come
la forma, la grandessa, il colore, ecc.,
oasia il ientibUé eommum degli acola-
atld (cfr. Arittot., De An, II, 8| confr.
Cfonv, IV, 8), doè qnd che d percepì-'
aoe da più aend eeteriori per le apode
modificate dd sendbiU proprli, come la
quantità e la dittawa.
48. ATTO: particolare qualità.
48. viBTÙ: la focoltà di diacemere,
fondamento di ogni cognisione e sapere
umano, « la quale apparecchia alla ra-
gione discorrimento dell'uno individuo
nell'dtro, tanto ch'ella viene a l'uui-
verdtà»; Buti. In sostanza: Da lon-
tano mi pareva di vedere aette alberi
d'oro; quando fui pih presso vidi ohe
non erano alberi, ma candelabri, ed in-
ted che d cantava Otanna Ì/^oh, tal-
va!), cioè le parole colle quali fki salu-
tato Criato la domenica delle Palme:
« Osanna d Figliuolo di Davide! Bene-
detto odui che viene nel nome dd Si-
gnore! Osanna ne' luoghi dtìsdmi ! 9
Jfott. XXI, 8; cfr. 8alm. CXVn, 26,
28. Mareo XI, 8. Luca XIX, 88. Giov.
Xn, 18.
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642 [PAB. TEBBXSTBE] PUBO. XXIX. 50-67
[CANDBLABBI]
52
55
58
«1
6i
67
Si oom' elli eran candelabri apprese,
E nelle voci del cantare : « 0$anna. »
Di sopra fiammeggiava il bello arnese
Più chiaro assai che lana per sereno
Di mezza notte nel sno mezzo mese.
Io mi rivolsi d'ammirazion pieno
Al buon Virgilio, ed esso mi rispose
Con vista carca di stapor non meno.
Indi rendei l'aspetto all'alte cose,
Che si moveano incontro a noi si tardi.
Che foran vinte da novelle spose.
La donna mi sgridò : « Perchè por ardi
Si nell'affetto delle vive luci,
E ciò che vien diretro a lor non guardi? »
Genti vid'io allor, com'a lor daci,
Venire appresso, vestite di bianco ;
E tal candor di qna giammai non fuci.
L' acqua splendeva dal sinistro fianco.
52. DI BOPRA: Dell» soa parte inpe-
riore. - abitesk: il bell'ordine del sette
candelabri. Parlando del aette candela-
bri col singolare, Dante accenna ali* unità
loro; cfr. Stod. XXV, 81 e Mg.
58. CHIABO ! « in dae yersi raccoglie le
drcoatanie generali del maaeimo Inme
dilona. Per termo, cioèlimpidessad'aria,
Bensa navi^, nemmeno sottili e traspa-
rentl ; di mezza natte, quando sono pib
remoti gli albóri mattutini e serali del
sole, e quindi la notte più cupa dà più
risalto al ohiaror della luna ; nel tuo «ims-
to tiieM....mentreIalunaèperfettamente
nella £sse ohe piena appelliamo »; Ant.
57. CON TTSTA: con uno sguardo non
meno stupeiMto del mio. Virgilio non sa
e non può rispondere alla domanda con-
tenuta in quello sguardo, essendo Te-
nuto in parte dove egli per sé più ol-
tre non disceme; confr. Purg. XXVII,
129, 189.
58. RENDO : tomai a mirare quelle cose
sublimi e meravigliose, le quali renirano
Terso noi più lentamente che non TSr
dano spose noTelle.
V. ei-81. Xe eeUe liste, Matelda esor-
ta Dante a non guardare soltanto ai can-
delabri, ma eslandio a dò ohe vien loro
dietro. Dante obbedisce; e Tede dietro
ai candelabri procedere una gente Te-
stita di bianco, mentre dall'acqua di Lete
scorge riflessala propriaimmaglne. I can-
delabri si aTansano e lasciano dietro di
so, neir aria, sette strisele o liste dei co-
lori dell'arcobaleno, lunghe tanto che
r occhio non arrlTa a Tedeme la fine, le
due estreme distanti l'nna daIl*aHim
eirca dled passi. Le 7 liste figurano i
7 doni dello Spirito Santo: «sapiens»,
intelletto, consiglio, fortessa, sdensa,
pietà e timor di Dio» {Oanv. IV. 21);
Tirtù per aTTentura indicate anche dai
colori dell'arcobaleno e dell'alone. Cfr.
Con». Ltpe. II, 888 e seg.
81. DONNA : Hatelda. - pub ibdi : per^
ohò ti mostri talmente acceso dal solo
desiderio di rimirare le vive Utei, i sette
candelabri f Un rimprovero simile Por.
XXm, 70 e seg.
62. nill'atfetto : Al. nbll'aspitto.
84. GKNTI : 1 Tentiquattro seniori, t. 8t.
- tid' io ! guardando più In là.
85. AFPBnso : dietro al candelabri, oo-
me dietro alle loro guide.- bianco t co-
me I Tentiquattro seniori nella Tislone di
8. GioTanni, ApoeàL IV, 4.
88. DI QUA: nel nostro mondo; «et Te-
rum didt, quia nunquam In Tlta appar
mit tanta olaritas in els, dout post be»-
tiflcationem »; Bene,
87. l' acqua: dd fiume Lete. - bflbi*
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[PAB. T8BSBSTBS]
PuBe. XXIX. 68-80 [7 listb luìtinosb] 648
70
73
76
7»
E rendea a me la mia sinistra costa,
S'io riguardava in lei, come specchio anco.
Qoand' io dalla mia riva ebbi tal posta,
Che solo il fiume mi facea distante.
Per veder meglio, ai passi diedi sosta,
E vidi le fiammelle andar davante,
Lasciando dietro a sé l'aer dipinto,
£ di tratti pennelli avean sembiante;
Si ohe li sopra rimanea distinto
Di sette liste, tutte in quei colori.
Onde fa l'arco il sole e Delia il cinto.
Questi estendali dietro eran maggiori
Che la mia vista; e, quanto al mio avviso.
dita: per il iUmmegglAr de* candela-
bri. - DAL SINISTRO : daUft siDlst» rlTft
hmgo \m quale mnàmrm,
•8. ■ BmiDKA: e mi fiwea yedere,
come uno speochio, il mio fianco alni-
atro, rivolto ad eata.
70. UVA : dalla riva alnistra soDa qnale
mi ritrovava. -PO0TA: poaiiione.
71. DirrAUTB: dalla prooeatione.
72. DIEDI SOSTA : mi fermai, cfr. Purg,
XIX, 93.
73. LE FIAMMSLLK: 1 Candelabri, detti
teetè vive hici, v. 62. - davahte : Aionni
AVARTB.
75. ■ DI TSATn: e quelle fiammelle
sembravano liete fi»fcte con tratti di pen-
nello, «come flrega lo pittore qoando vnol
tue Dna lista»; Suti. Così (OU., Benv.,
Bttth Land., VeU., Vvnt., Lomb., Biag.,
Cu., Andr., eoe.). Al. prendono jp«nn«U<
per bandiera, stendardo (cfr. v. 70). o,
come d esprime 11 Dan., « portati sten-
dardi et gonfaloni. » Cosi, oltre il Dan,,
Monti, L. Biondi, Tom., Br. B,, Frat,,
WUU, eoo. Al. lessero panklu, ohe sono
viluppi di cenci intrisi d* olio e di sego
per f!sr lorainare; cosi An. Fior., Mauro
Ftrr., O. Ferrari, Fanf., eco. Ma panbl-
u è lesione priva di autorità; cfr. Oom,
Lipe. H. 081-683. « Koctisqne per um-
bram Flammarum longos a tergo albe-
soere traotos»; Yirg., Georg, 1, 866 e seg.
76. sì CHS: Al. DI CHE. - LÌ 80PBA:
in qu^'aere B al di sopra dei candelabri.
77. LISTE: « Nootnmasque faoes «eli
sublime volantislironne videe longos flam-
mamm dnoere Cactus t» Lueret., Ber,
noL II, 207 e seg. - colobi : dell'arooba-
leoe e dell' Mone.
78. Deua! soprsnnome di Diana, nata
in Dolo ; qui Delia sta per la Luna,
79. OSTEIIDAU: Al. STENDALI; Sten-
dardi, cioè i tratti pennelli del v. 76.
« Ostendalia enim appellantur in mon-
do signa imperatorie, qun ostenduntur
quando vadit in ezpediUonem, et ista
snnt signa summi Imperatorie qui ve-
niebat cum suo exeroltn »; Benv. - die*
TBO: ai candelabri, -maooiobi: più lun-
ghi. La settemplice virtù illuminante e
santificante dello Spirito Santo si esten-
de co' suoi doni sulla Chiesa sin ai tempi
venturi più lontani, i quali non è dato
a nessuno di conoscere; confr. Matt,
XXIV, 86.'
80. E, QUANTO: e, secondo la mia esti-
mazione, le due estreme liste, o code lu-
minose delle fiammelle, distavano tra loro
un died passi. Dieei è il numero com-
piuto, peribtto, «conciossiacosaché dal
dieci in su non si vada se non esso
died alternando cogli altri nove, e con
so stesso»; Oonv, II, 16. I dieci passi
flgnrenuino quindi la oomplutessa e per-
fneione della UlumlnaRione e santifica-
Kione accordata alla Chiesa dallo Spirito
Santo. Inveoe, secondo i più, i died passi
figurano i dieci comandamenti, 1* ossero
vanza dei quali ò necessaria per otte-
nere i doni dello Spirito Santo. Cosi An,
Fior,, BuH, Land., VeU., Dan,, 7ent.,
Lomb., Biag., Tom., Br.B,, Frat,, Andr,,
Benna*., Frane., ecc. Meglio si direbbe:
I doni dello Spirito Santo non si esten-
dono oltre r osservanza dei dieci coman-
damenti; oppure viceversa: Chi non os-
serva i comandamenti di Dio, non è par-
tecipe dei doni dello Spiato Santo* Ifa
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644 [PAR. TIBBX8TBK] PUBG. XXIX. 81-94
[8BNI0BI]
85
88
91
94
Dieci passi distavan quei di faori.
Sotto cosi bel ciel, oom'io diviso,
Ventiquattro seniori, a dae a due.
Coronati yenian di fiordaliso.
Tatti cantavan: « Benedetta tue
Nelle figlie d'Adamo, e benedette
Siene in etemo le bellezze tael »
Poscia che i fiori e l'altre fresche erbette,
A rìmpetto di me dall' altra sponda.
Liberi far da quelle genti elette,
Si come luce luce in ciel seconda,
Vennero appresso lor quattro animali.
Coronati ciascun di verde fronda.
Ognuno era pennuto di sei ali;
come pnò una dittanta flgumre 1 died
oomandAmentif B perohè dice Ihuite
qtUMto al mio aniiot Ignoray» egli
forae il nnmeTo predao del died oomMi-
damentif
V. 82-87. I ventiquattro mmIoH.
Sotto le sette liste di luce più langlie
della vista Tengono ventiquattro seniori
a dne a dne, coronati di fiordaliso e can-
tando le parole di lode colle qoali ta. sa*
Intata la madre del Salvatore. « B In-
torno al trono ventiqoattro sedie; e so-
pra le sedie ventiquattro seniori sede-
vano, vestiti di bianche v&ti, e snlle
loro teete corone d* oro »; ApocaL IV, 4.
Qaesti seniori figurano nell'Apocalisse 1
dodid patriarchi ed 1 dodici apostoli.
In Dante essi figurano 1 libri del Vec-
chio Testamento, che, secondo la divisio-
ne di S. Gerolamo nel Prolcgu» CfaUtUut,
sono per r appunto ventiquattro, « quos
sub numero viglntiquatuor senlorum
Apooalypsis Joannis Inducit adorantes
Agnum, eco. » Cfr. Oom, lApt. II, 036.
82. DiviBO: descrivo, racconto; dal
lat. dividere '^ distinguere; confr. Die»,
WlSrt. 1\ 154 e seg. Secondo il Blanc
dal liranc. d$vit$r « parlare, raccontare.
84. noBDAUSO : giglio ; frano. JUur de
Us, La corona di gigli figura la purità
della dottrina contenuta nei libri dd Veo-
chlo Testamento, e fbrs' anche la fede
nel Messia venturo.
86. BKNSDBTTA : parole eolie qusli Ma-
ria Ita salutota dall'angelo Gabriele e da
BUsabetto (cfr. Luca I, 28, 42), aggiun-
tevi le lodi della divina beDena.
V. 88-106. I quattro omImmIC Ap-
presso al ventiquattro sealori vengoao
quattro animali coronati di fronde verdi,
con sei ali daocuno, e le penne ocèhiute,
quali U deeexlve U profeta Sseohlele, I,
4-14 (e X, 1-22), salvo che non avevano
solo quattro, ma sei ali, oonforme la de-
scrlsione di 8. Giovanni, ApoeàL TV, fi-8.
Questi quattro animali sono persenlflea-
sionl dei quattro Vangeli r non dei Van-
gelisti, ohe 8. Luca e 8. Giovanni sa-
rebbero in tal caso raddoppiati, aaal
8. Giovanni triplicatp. Anche 1 venti-
quattro seniori non figurano gH autori
(cinque Mosèf!), ma sono peraoniflea-
alonl dei UbH del Vecchio Testamento.
Cfr. Oom. lApt, n, 688 e seg.
90. oEirn: 1 ventiquattro seniori, 1
quali passarono oltre lasciando un istan-
te libero lo spade fiorito ed erboao salln
deetra sponda dd Jhtmé taero,
91. 8100VDA : come nd ddo una stella
succede ad un' dtra e ne occupa H luo-
go. «A dipingere l'ordine, la maestà
dd movimento, la bellesia e la gtooon-
dità dd personaggi ohe passavano di-
nand d Poeta, a piccola distinta aol-
l'dtra riva, non d poteva soegUeie
Imagine più conveniente di qndla del
pasuggio degli astri ad un oerohio oa-
leste, cui sia rivdto lo sguardo d' <
osservatore » ; AntontìlL
98. OOBOMATI: Al. COBOKATO. -
FBOHDA : lauro, sempre verdeggiante co-
me il Vangdo.
94. ALI : ndle vidonl di BseoUele e del-
l'Apoodisse le aU degU aBlnaU figurano
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tPAB. TXBBSSTBB] PuiG. XXlX. 95-109 [QUATTBO ANIMALI] 645
«7
100
103
10«
109
Le penne piene d'occhi; e gli occhi d'Argo,
Se fosser yivi, sarebber cotali.
A descriver lor forme più non spargo
Bime, lettor; ch'altra spesa mi strigne
Tanto, che a questa non posso esser largo.
Ma leggi Ezechiel, che li dipigne
Come li vide dalla fredda parte
Venir con vento, con nnbe e con igne ;
E quali i troverai nelle sne carte,
Tali eran quivi, salvo eh' alle penne
Giovanni è meco, e da lui si diparte.
Lo spazio dentro a lor quattro contenne
Un carro, in su due ruote, trionfale.
Ch'ai collo d'un Grifon tirato venne.
Esso tendea in su l'una e l' altr' ale
oome U pTOTTideim diTina opermnelme-
dfliinio latente in tatto le parU. Nella t1-
■tona danteaea le ali dei qoattro animali
flgorano la reloeltà eolia qaale il Vangelo
ai diAiae per tutte le parti del mondo
{OoH., Br. B., FrtU., Andr., Frane.,
^i«<.,eeo.). Secondo altri, leali flgnraoo
le le^ naturale, morale, profetica, evan-
gelica, apoetolica e canonica (An, Fior.,
Féir. IkuU., Tom,, ecc.); oppare V àltes-
sa, largheasa e profondità della Scrittura
iXia»., Buti, Land., eoo.) o i tre tempi:
paasato, preeente e fìitaro {VM., Ben-
nat., eoe.); o V alteasa del toIo {Benv.), o
la pronteaaa ed nbbidiensa alla voce di
Dio (Biag., Trio»., eoe). CCr. Oom, lAp».
U, 630 e seg.
M. OCCHI: «....atantibaa coram qna-
tnor anima» boa, ooolatia et retro et ante,
ideet in preteritam et in ftitaram reepi-
eientìboB »; 8, Hioron., Prol, gal.^ A bqo :
il onatode di Io, pieno d*oocbl, ingannato
ed oodao da Merenrio; ofr. Otid., Mei. I,
5d8-747.
06. BK rossiB : erano oome gli occhi di
Argo vivo. - COTAU : in atte ^ oontinaa
figUansa.
07. FOHMK t AL rOSMA. - HOH 8PABG0 :
non dedico altri yerd.
08. SPESA : neceaaitè, dovere ; mi reggo
eoetretto a parlare di altre cose.
00. A QUCBTA : Al. VX QUESTA.
100. Ezechiel: capitolo 1, v. 4-14.
103. E QUALI I TBOVXRAI: Al. E QUAI
LI TBOVIBAI.
105. GiOTAimi t nell' ApotfoNfM IV, 8.
V. 106120. n 04Èrro od U Grif&no.
In mecxo ai quattro animali a'avania, più
bello non pur del pib magnifico ohe Berna
maiTedoMe.ma di quello atcModel Sole,
un carro trioiifìUe au due ruote, tirato da
un Grifone ohe tende in au le ali; e queate,
passando tra quelle liste luminose, salgo-
no tanto da non potersene vedere la punta
estrema. H carro, figlio delle quattro ruo-
te di B£echielea,l5-81). ftratellodel« Cur-
rus Dei deoem millibns mulUplex» (iSoIm.
LX VII, 18) e del carro di ftiooo di Blla
IV Reg. II, 11-12). ò il simbolo della
Chiesa universale (così tutti quanti sino
al Lomb. che nel carro Tede figurate la
solaCsttedra Pontificia). Nelle due ruote
i più vedono figurati idue Testamenti, il
Vecchio ed il Nuovo (Potr, Dant., Falto
Booo., Buti, Land., VeU., Lomb., ecc.):
altri la vite attiva e contemplativa<£an.,
An. Fior., Benv., ecc.); altri i due ordini
di S. Domenico e di S. Francesco (Ott.,
Ponta, GiiU., WUU, ecc.); altri la Sa-
cra Scrittura e la Tradisione {FUal.,
Siane, ecc.); altri la Chiesa greca e la
Chiesa latina (Bareni altri i due ordini
del chiericato, l claustrali ed i secolari
{Loop. WUU, ecc.). II Grifone (leone-aqui-
la, cfr. Itid. Hitp., OHg. Xn,2) ò il sìm-
bolo di Cristo, r Uomo-Dio, nel quale
sono due nature, la divina e l' umana,
congiunto nella unità della divina per-
sona del Verbo. Confr. Oom, Lip$, II,
641-646.
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e46 [PAB. tsebsbtbb] Ptmo. xxix. 110-125
[OBirOHS]
112
115
118
121
124
Tra la mezzana e le tre e tre liste,
Si eh' a nulla, fendendo, facea male.
Tanto salivan, che non eran viste ;
Le membra d' oro avea quanto era uccello,
E bianche V altre, di vermiglio miste.
Non che Boma di carro cosi bello
Rallegrasse Affiicano ovvero Augusto,
Ma quel del Sol sarla pover con elio;
Quel del Sol, che sviando fu combusto.
Per Torazion della Terra devota,
Quando fu Giove arcanamente giusto.
Tre donne in giro, dalla destra rota,
Venian danzando: l'una tanto rossa,
Ch'appena fora dentro al fuoco nota;
L'altr'era come se le carni e l' ossa
Fossero state di smeraldo fatte ;
110. TEA LA MBZZAirA: «il Grifone, mo-
Tendo dietro i candelabri e nel messo di
essi per nno stesso sentiero, era per con-
seguente in quella Usta ohe ne aveva tre
da dascnn Iato ; e tenendo egli 1* nna e
l'altra dell'ale all'insti, oocnpava con
esse i due spasi laterali alla detta lista
metsana, di maniera che fendendo quegli
spaci, a nuUa faeea male, oioè non in-
terseoara nessona delle colorate Uste »;
Br. B.
112. VISTE: essendo in terra, Cristo
è in pari tempo anche In cielo (Nomo
asoendit in ocelnm nisi qni deeoendit de
coelo, Filine homlnis, qni est In coelo;
Qiov. Ili, 18), dove l'occhio mortale non
118. d'oro : « Caput elus aumm opti-
mum »; OafU. OanlUe. V, 11. - quanto:
nella sua parte anteriore di aquila.
114. l'altre : le membra inferiori di
leone; ctt. OarU. OanHe. V, 10.
116. Affrigano: Publio Cornelio Sci-
pione, il vincitore di Annibale. - Augu-
sto: «Cnmles triumphos tres egit, Dal-
maticum,Actiacnm,Alexandrinum; con-
tinuo triduo omnes»; 8vet., VU. Aug., 22.
- « At Ciesar triplici invectus Romana
triumpho Mcenla •; Virg., A#n. Vili, 714.
117. QUEL: carro; cfr. I^f. XVII, 106
e seg. Purg. IV, 72 ; - COK rllo : a ri-
spetto di quel carro tirato dal Grifone il
carro del Sole sembrerebbe povero.
118. svLàVDO: per opera di Fetonte;
cfr. Tnf. XVn. 107. Ov<<i.,jrsCafii. 1,751;
II, 828. > FU combusto: « Ferventesqne
auras velnt e fornace proftmdaOre trahit,
cnrmsque suos candesoere sentlt»; Ooid,,
JTsC. II, 229 e seg.
119. l'orazion: per l'oradone della
devota Terra} confronta Ovid,, MtL II,
278-300.
120.ABCA]rAifEirrB: inmodo impersoni-
tabile, avendo punito nel figlio la eolp*
del padre (Lan., An. Fior,, Tom,, eoe);
oppure misteriosamente, volendo Inse-
gnare agli uomini quanto la preaiin-
sione tomi finalmente in danno de' pre-
suntuosi (Benv. Lomb., C$i„ Br, B,,
Frat., Andr., Triài,, Frane,, ecc.).
V. 121-129. Le ire ViriU TeeUkgaiU
Dalla destra ruota del bellissimo oarro
vengono danssndo In giro, fiOMkdo doè
ballo tondo, tre donne, personiflcastonl
delle treVlrth Teologali. L'nna,la Carità,
ò tanto rossa ohe, come ferro rovento, a
Iktica si distinguerebbe in mosso a car-
boni acoesi ; la Speranza è il verde, oone
se avesse carne ed oesa di smeraldo (Fwrg,,
VII, 75) ; la Fede è bianca come nove
recentemente caduta. Guidate ora dalla
Fede ed ora dalla Carità (ohe la Sporanta
non può mai andare innanzi ad esse dne),
le tre donne muovono a tempo la dansa
loro, ora tarde ed ora celeri, seocndo il
oanto della Carità, radioe, madre e fer-
ma di tutte le altre virth. Cfr. I, Cor.
XIU, 2. 2%oii».A7,. Ami». tiWoLI, n. 68,41
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[PAR. TIKBSSTBS]
PXJEO. XXIX. 126-138
[VIRTÙ] 647
127
180
188
186
La terza parea neve testé mossa;
Ed or parevan dalla bianca tratte,
Or dalla rossa; e dal canto dì questa
L'altre togliean l'andare e tarde e ratte.
Dalla sinistra quattro faoean festa,
In porpora vestite, dietro al modo
D'una di lor oh'avea tre occhi in testa.
Appresso tutto il pertrattato nodo,
Vidi due vecchi in abito dispari,
Ma pari in atto ed onesto e sodo :
L' un si mostrava alcun de' famigliari
Di quel sommo Ippocràte, che natura
Agli animali fé' eh' eli' ha più cari ;
66, 8 : 71, 4. U, n, 38, 6, 8; 104. 3} 117, 6;
141, 6. 186, 7.
196. MOSSA: cadaU d'alto; ofr. JnA
XVm, 114. « Albo rar» fido* Telata
panno » ; HoraL, Od, I, xzxv, 21 e aeg.
« Qnlppe color nlvls Mt, qnarn neo VMti«
già dori CaloaTore pedis, neo solvit aqoar
ticna Anater » ; Ovid,, M0I. II. 852 e aeg.
V. 180 132. L€ quattro VirtU Car-
dim4$lL Dalla siniatra mota del carro
temo festa quattro altre donne, Tostite
di porpora, aegnendo il modo del dansare
dell'nnadieBaeohehatreooobi. Qoeete
qoattro donne sono le personificadonl
delle quattro virtù oardinali : Oiostiaia,
7orteesa, Temperanaa e Prndensa. La
porpora di color rosso, di che sono vestite,
è l'emblema della carità sensa la qaale
BOB possono essere (cfr. Tham. Aq., Bum,
tktoL I, n, 65, 2). Son gnidate dalla Fra-
densa, fondamento e regola delle altre
tre, la qoale ha tre occhi, essendo sao
nlBcio dii ricordarsi dslle cose passate,
ordinare le presenti e prevedere le ai-
tare; otT.Thom, Aq.,8um, thsoU I,n, 60,
1; 64, 8; 66, 8. III, 86, 8. Oon9, IV,
17, 27.
V. 133-154. La retrofftuirdia, Chio-
dono la processione otto personaggi, ve-
stiti di bianoocomeiventiqaattro smiiori,
salvo che essi non sono coronati di gigli,
ma di rose e d'altri fiori vermigli. Prima
vengono dae vecchi, personiflcasioni dei
Fatti degU ApostoU e delle Epistole di
San Paolo. Seguono quattro d' umile
aspetto: le personiflcasioni delle Epi-
stole cattoliche di S. Pietro, S. Giacomo,
8. Giovanili e 8. Giuda. Ultimo vien dor-
mendo, ma ooUa Ikcoia vivace, un vecchio
solo: personiOcasione dell' AjTocolitM di
8. Giovanni (le altre interpretaslonl di
questi personaggi sono Inattendibili), on-
de si vede in questa processione tuttala
dottrina della Chiesa inspirata dallo Spi-
rito Santo, dalla Qeneti sino all'ilpMMi-
lUte. Giunto il carro dirimpetto a Dante,
s'ode un tuono e tutti si fermano.
138. NODO: dopo tutto quel gruppo
intomo al carro, del qoale si è fin qui
trattato. Cfr. If\f, XI, 80. « Primns Aban-
tem Oppositum interlmit, pngn» nodum-
quemoramqoe»; Virg., A«n. X, 427 e se-
guenti.
134. DISPARI : inquanto alla foggia del-
l'abito di color bianco.
135. PARI : « consimili nell' atto, o reg-
gimento della persona, composta ad one-
stà e dignitosa, specialmente nell'andare
e nel tardo muovere degli occhi. If\f, IV,
112. Purg, VI, 68»; Gtid.- SODO: fer-
mo. Altre lezioni: ed ohibtato k sodo;
OaNUHO onesto K SODO; K OOH IBTATO
sodo.
186. L'UIC: quegli ohe personifica i Fatti
degli Apostoli, dettati, come si crede, da
San Luca, Il fedel compagno di S. Paolo;
cfr. U Tim. IV, 11. PUem., 24. Si mo-
stra famigliare di Ippocrate, il famoso
medico greco e padre della sciensa me-
dicinale (470-856 a C), essendo egli il
« medico carissimo », come Io chiama
8. Paolo, Colo»*, IV, 14. Cfr. Oom,Lipt.
II, 650 e seg.
138. AHiMALi: enti dotati di anima, uo-
mini; cfr. Ii\f,Y, 88. Oonv.U, 9; HI, 2;
IV, 27.
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648 [PiB. TnBKTKs] PuBO. xxn. 189-158
[ssnooviSDiA]
U9
142
146
148
IM
Mostrava l'altro la contraria cura
Con una spada Incìda ed acnta,
Tal ohe di qna dal rio mi fé' panra.
Poi yidì qnattro in ninile pamta;
E, diretro da tntti, nn veglio solo
Venir, dormendo^ con la faccia arguta.
E questi sette col primaio stuolo
Erano abituati; ma di gigli
D'intorno al capo non £Etcevan brolo,
Anzi di rose e d' altri fior vermigli :
Giurato avria poco lontano aspetto,
Che tutti ardesser di sopra da' cigli.
E quando il carro a me fu a rimpetto,
Un tuon s'udi; e quelle genti degne
Parvero aver l' andar più interdetto,
189. OOMTRASIA : n «ledieorlflMiA le pla-
ghe, òhi porta U spada le Hk. Qoeett è
S. Paolo eome autore delle quattordici
Epistole del Knoro Testamento a hii at-
tribuite. La ipadaè per arrentQraqaella
dello spirito, J^M. VI, 17; ofr. Sbrei,
TV. 12.
141. DI qua: del flome Lete. - mi vb'
PAURA: perohòf Cfr. IX, 112 e aeg.;
XXX, 67.
142. UMILB: come autori di Hbri sacri
di piooola mole. - pabuta: cfr. Purg,
XXV, 100; XXVI, 70.
143. VBGUO: secondo la tradixkme; l' au-
tore dell* ilpooolitM mori decrepito. - so-
lo: essendo VApoealUie non soltanto
r ultimo, ma anche l'nnlco libro profe-
tico del NnoTO Testamento.
144. DOBMBBDO: assorto nelle rlsioni
à»]ì'ApoeaìÌ9$€. - abouta: VApocaliste
essendo scritta «per tu comMcere le cose
ohe debbon tosto accadere»; Apocal. 1,1.
146.PBIMAIO STUOLO: ddTcntiqaattro
seniori.
146. ABrruATi : restiti nello stesso mo-
do dei 24 Teechi ; cfr. Par. XXXI, 50-60.
147. BBOLO: ghirlanda; confr. Polii.
Btatu., I, 68. JHéz, WòH. 1\ 88. Enei-
òLy 264. «Di qoesta Toce ò rimasto vi-
rente nell'aretino il t. ébroUare. Da
brolo poi, che rale e ghirlanda di fiori,
e siepe fiorita che chinda nn orto, stm
▼ennti 1 nomi a molte ville della Toeca-
n*, come BroUo, BroUo e simiU »; Oa-
148. TBEiaou : il color di rosa e Termi-
gUodinotarardoredellacarità, ondeflano
inft»nnati i libri del KnoTO Tectaasento,
destinati a spargere oTnsqne il ftaooo
d' amore che Cri^ yenne a mettere in
terra; cfr. Lue. XII, 48.
148. GIUBATO : nn Mpseeo poeo lontano,
doè chi mm (bese stato ooak Ticino eome
era io, in modo da non poter dlstingnere i
fiori, ma Tederò soltanto 1 colori, aTrebbe
giurato che quei sette nlUmi ardessero
tutti di sopra da*cÌgH.
160. ABDDSBB: « Ardot apex eiqiitì
oristisque a Tertioe fiamma Fundltur yj
Tirg., A^n. X, 270 e seg.
162. UN TUON : Che dà alla mistica pro-
oesslone il segnale di Ibrmarai. Si dorrà
intendere che questo tuono Tenga dal
dolo. « JX Poeta ha deeoritto la chiesa
in fbrma di croce, e T<4ta a occidente,
come tutte s'usano da costruere, perchè
ha posto prima i sette candelabri, ohe
bnno il piede di quella ; poi rentlquattro
seniori a due a due, che fiume il reato del
primo legno sino all'altro che s' incrocia;
e qui ha posto in luogo di essa ineroda-
tura fl nodo, doè il carro tirato dal Gri-
fone in messo a* quattoo animali, et in
luogo della parte destra del kgiiio ha
posto le tre, e in luogo della sinistra le
quattro donne in giro. Poi in luogo della
parte di sopra ha posto i setle abltaatt
eoi primaio stuolo, y TéU.
168. PIÙ : più oltre. «Parrero arere in-
terdetto r andar più » ; BèOL
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[PAX. TIBBK8TBS] PUBO. UH. 154 - XXX. 1-7 [PBSLUDIO] 649
164 Fermandos'iyì con le prime insegne.
154. nreiflVB: i oandèUbil eogU oeten-
datt. Primi a ftmuual nelle prooeaeioni
•ODO i gonflhloiii. - In qneetA pute delift
gran visione, la Chiesa si mostra a Dante
qnal baon Pastore che ya in cerca della
pecorella smarrita ; cfr. Luca XY , 4-10.
CANTO TRENTESIMO
PABADISO TEBBESTBS
APPABIZIOKE DI BBATBICE, SCOMPARSA DI VIRGILIO
RIMPROVERI DI BEATRICE A DAKTE
Qaando il settentrion del primo cielo,
Che né occaso mai seppe, né òrto,
Nò d'altra nebbia, che dì colpa, velo,
E che faceva li ciascuno accorto
Di sno dover, come il più basso face
Qoal tìmon gira per venire a porto,
Fermo s'affisse; la gente verace.
V. 1-21. Fréhidio défP oppwHmUmB
«K BeaUrieé, l^rmatasi la processione,
iTsntlqnattro seniori si volgano al carro ;
e rune di cesi, quasi fosse depntato a tale
niBeio dal delo, grida tre volte, secon-
dato da' sool compagni, invitando Bea-
tdee a venire. A tale invito, nna gran
Boltitadine di angeli si leva sol carro
per festeggiare coM che è in procinto di
apparire, e sparge a piene mani fiori di
sopra e d'intorno.
1. snrsRTBiON: i sette candelabri,
detti HtUmtriom dal nome delle sette
stette dell* Orsa minmre, che illaminano
la parte settentrl<male del nostro deio.
-PUMOoncLO: rSmpireo iAf^' Fior., Pott,
Omn., Petr. i)an<., Bmc,, BvH, Land,,
rOL, Dan., ecc.). Alconi: Iddio {Oti.,
Frane., eoo.). Al.: JX Paradiso terre-
stre, eha ta tt primo cielo de' nostri pro-
gentitori {FaUoBoec., Br. B., Qr$g., ecc.).
T. CBS: il qnal settentrione non andò
mai soggetto alle vicende del sorgere e
del tramontare, nò fu celato agli sguardi
dell'amano intelletto da altro velo che
da quello della colpa. « Vuol dire l' au-
tore ohe quello Settentrione, cioò li sette
doni dello Spirito Santo, stanno lucidi,
chiari e appariscenti a quelle persone
ohe sono sensa colpa, e a quelli che sono
in peccato -sta ascoso e velato, e noi di-
cemono, imperquello ohe la ditta colpa
gli ò nuvolo e velo 9\ Lan», An. Fior.
4. FACEVA: guidava tutti 1 membri della
processione, come il settentrione del no-
stro emisfero fk accorto del suo dovere
chiunque gira timone per venire a porto
(che ò scopo d' ogni navigasione).
6. BABBO : nell' ottava sfera, a differenza
del t^tontrion dtì primo cielo, eh' ò più
alto.
6. QUAL: chiunque.
7. b'aftibbk: si fbrmò} cfr. JV* ^It
115.-0KNTB: 1 ventiquattro seniori.
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650 [PAR. TBBBK8TBB] PUBO. XXX. 8-22
tPBELUBIO]
10
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Venuta prima tra il Grifone ed esso,
Al carro volse sé, come a sua pace;
Ed nn di loro, quasi da ciel messo,
€ Venif sponsa^ de Ubano! p cantando,
Ghddò tre volte, e tutti gli altri appresso.
Quali i beati al novissimo bando
Surgeran presti ognun di sua caverna,
La rivestita voce alleluiando ;
Cotali in su la divina basterna,
Si levar cento, ad vocem tanH senis.
Ministri e messaggier di vita etema.
Tutti dicean : € Benedictus qui venis ! »
E, fior gittando di sopra e d' intomo :
« Manilms o date lilia plenis. »
Io vidi già nel cominciar del giorno
8. «8601 settentrione; confr. Pìurg.
XXJX, 82 e Mg.
0. Y0L8K sft : ai Tolse indietro. - tace :
« oome a sao fine: ciò olie si fece nel veo-
Ohio testamento, si fece a fine di oosti*
taire la s. Chiesa, e Cristo a qael fine
Tenne •; BuH.
10. uiT : dei Tontiqnattro seniori, qnegU
ohe rappresentATa il OàtUieo dei OanHei
di Salomone. - DA ctkl: Al. dal cul.
11. TBNi : « Vieni dal Libano, o sposa! »
Oant. Oantic. IV, 8. AltroTO Dante iden-
tifica la sposa dei Cantici oolla sdenta di-
Tina; ofr. Oonv. II, 15.
12. TBB tolte: oome nel Cantico (se-
oondo U Volgata : « Veni de Libano,
sponsa me*; Toni de Libano, Toni»).-
ALTBI: seniori.
18. NOTISSIMO t ultimo; air inTito ohe
s'ndirà U dì del giadiiio finale.
14. OATKRHA: tomba, sepolcro.
15. ALLBLUiAifDO: oantsndo alleloia
ooUa Tooe dei corpi riTostiti. « St aio
Tide quantum comparatio sit propria ex
omni parte, de beatis ad angeloe, de ba-
sterna ad caTemam, de Tooe angeli ad
Tooem Salomonis »; Benv, - Al. la ritb-
BTITA CABHB ALLBTIANDO, leriono priTa
di autorità, potohò VaUeuiandoùì molti
eodd. non è da leggero alleviando ma al-
ìeuiando, doè cantando lUlenia o alle-
loia; oonfir. Oom. ZÀp», II, 659 e seg.
Moore, OriL, 429 e seg.
10. nASTXRHA : Tooe lat. SorU di carro
coperto o lettiga, ohe presso i Bomani
•orvlT» specialmente aUe matrone. Qui
per simil. il carro mistioo. « Basterna è
carro adomo di predosl drappi e dili-
oati y; An. Fior,
17. CBNTO; un gran numero di angeU;
ofr. T. 29, 82. Suppone il mistico oarro
popolato di augeli rimasti sin qui invi-
sibili, non sTendone ancor fktto il mini-
mo oenno.-AD tocem : alla Tooe di tanto
Teoohio, quale era colui che aTca gridato :
« Veni, epon$a, de Ltbanot »
18. MiHiSTBi: denomlnasione scritta-
rale degli angeli; ofr. Salm, CH, 20, 21.
JBbrei, I, 7, 14.
19. BKNBDICTUB : be$iedetto tu eke viewL
Sono le perole colle quali Cristo, entran-
do in Gerusalemme, fti salutato dal GHo-
del; ofr. MaU, XXI. 9. Jforeo XI, 9.
Luca XIX, 88. eU>9. XII, 18. Le i»a-
role non sono dirotte a Dante (Lùtnb,,
Biag., Cotta, Oee.» Br, B., Oreg,, Andr,,
eoe), né al Grifone (An, Fior,, BuH,
Land., Tom., Senn., Oom,, ecc.), ma a
Beatrice, iuTitata a Tenlro, t. 11, e che
in&tti sta per giongero, mentro Dante
ed il Grifone non Mni^ono, ma sono già IL
21. MAHIBU8: 0 tpargóe gigU a man
piene ì Parole tolte daVir^., Aen, VI, 888.
V. 22-83. AfiparimioHé di Baatri4^
Dentro quella nuTola di fiori ohe gli an-
goli spargono al disopra e all' intomo del
oarro, cor<»iata di fttmde d' uIìto sopra il
candido Telo ohe ha in testa, apparo Bea-
trice, Tostita degli stessi colori di ohe
sono Tostite le tro Virth Teologali; ofr.
Pwg. XXIX, 122 e seg. « DaUa dxoo-
stanxa meteorologica, per la quale t»-
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[PÀB. TIBBS8TRB}
Ptma. XXX. 2d-4l
[BKATBICB] 651
La parte orientai tutta rosata
E V altro ciel di bel sereno adomo ;
25 £ la faccia del sol nascere ombrata
Si, che, per temperanza di vapori,
L'occhio la sostenea lunga fìata:
28 Cosi dentro una nuvola di fiorì,
Che dalle mani angeliche saliva,
E ricadeva in giù dentro e di fuori,
81 Sopra candido vel cinta d' oliva,
Donna m' apparve, sotto verde manto
Vestita di color di fiamma viva.
84 E lo spirito mio, che già cotanto
Tempo era stato, che alla sua presenza
Non era di stupor, tremando, affranto,
37 Senza degli occhi aver più conoscenza,
Per occulta virtù ohe da lei mosse,
D* antico amor senti la gran potenza.
40 Tosto che nella vista mi percosse
L' alta virtù, che già m' avea trafitto
dlsno non di rado emer sereno tatto il
eielo, fkior che m ponente o a levante, ove
ano strato poco denso di Tapori s'infiam-
ma ai raggi solari, prende nna tinta ro'
•ata, e fh velo al grand' astro diamo per
modo, da permetterci di rimirarlo sansa
offesa; lera il Poeta Timagine di nna
deOe più soaTi e Miei pittare, ch'egli
mhbiM saputo ideare e che noi poesiamo
ammirare »; AnUneiU, Confr. L. Veni.,
SSmUmg V*
23. bosata: del colore della rosa;
« Xrt aolet a8r Pnrpareas fieri, oom pri-
mnm anrora moretar »; Ovid., MeL VI,
47-48.
24. l' altro cixl : le altre parti del
delo.
28. FEB TOCPKRAXZA: per essere la
faccia, la Inoe, del sole temperata dai
Tapori.
28. MUTOLA: oonsaona all'immagine
deIsoieombrato>«X'aloite me fioribas»;
CatU. OiiKla. II, 6.
80. DKKTRO: dentro e intorno alla di-
vitM ÌMuUma, cioè al carro.
81. CANDIDO: tre eolori: bianco, yerde
e rosso ; i colori della Fede, della Speran-
sa e delln Carità. L' olivo è simbolo e di
•apieosa e 41 pace. Cfr. YUa Kwtva, 2,
I. 28, 40.
V. 84*54. X 99ifni dM' antica fiam-
ima. La vista non paò discemeie chi sia
qaesta donna eotà velata ; ma per arcana
virtù che mnove da lei. Dante sente la
gran potensa dell' antico amore. SI volge
per dire a Virgilio dello stato dell'animo
ano. Ma all'apparire di Beatrice. Virgilio
è disparito, di ohe Dante piange ad onta
di tatto le delisie del Paradiso terrestre.
Sali' effetto che Beatrice vivente proda-
oeva sai Poeta cfir. Vita Nuova, 2, 11,
14, 24, eco.
84. COTAHTO: died anni; cfr. Pvirg,
xxxn,2.
85. CHE ALLA bua: Al. OOIT LA SUA.
Cfr. Oom. Lipt. II, 665.
36. AFFRANTO: abbattuto, vinto, tre-
mando in presensa di Beatrice.
87. SENZA: sensa ohe, gaardandola, la
potessi riconoscere, essendo ella velata.
- PIÙ : altra, maggior conoscensa.
88. vjRTÙ: meravigliosa, giù speri-
mentata in vita di Beatrice.
40. NELLA VISTA : negli occhi — tosto
che la vidi (benohò non la conosoessi
ancora).
41. TRAFITTO : « Vulnerasti cor meom
soror mea, sponsa, vnlnerasti cor meam
in ano ocolornm taoram, et in nno orine
colli tai»; Oant. Oaintic, IV, 9.
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652 [PAB. nSBISTEB] PUBO. XXX. 42-57 [8C01IPAB8A DI TIBOIUO]
62
55
Prima eh* io fbor di puerizia fosse,
Volsimi alla sinistra col rìspiito
Gol quale il fantolin corre alla mamma,
Quando ha paura, o quando egli è afflitto,
Per dicere a Virgilio : < Men che dramma
Di sangne m'è rimaso, che non tremi ;
Conosco i segni dell'antica fiamma! »;
Ha Virgilio n' avea lasciati scemi
Di sé; Virgilio, dolcissimo padre;
Virgilio, a coi per mia salute die'mi:
Né qnantonqne perdeo l' antica madre,
Valse alle gnancie nette di mgiada,
Che, lagrimando, non tomasser adre.
€ Dante, perchè Virgilio se ne vada.
Non pianger anco, non piangere ancora I
Che pianger ti conyien per altra spada. »
43. pbimà: in età di nore anni; efr.
VUa Nuova, S. - fobbe: tomi.
43. USPITTO : dal proT. respieU, — fldn-
da, speranza. AL: Bispetto, Tenerasionet
U fimtottno corre alla mamma ocm fido-
eia; di rispetto e Yeneraaione non sa an-
oor nolla. Cfr. Nann., Vod § ìoeuz. itml,
deHoaUdaOa lingua pro9. Flr., 1840, 131
e seg. Par. XXII, 3-8.
48. coHOfloo: « Adgnosoo veteris ye-
stigia flamnuB »; Tirg., Aen. lY , 33.
40. SCEMI: privi, mancanti; cfr. If\f.
IV, 148.
51. DiB*Mi : mi diedi, mi affidai. Il ripe-
tere il nome di Virgilio per tre versi oon-
secntiTi è espressione di affetto ; « Bn«
rydicen tox ipea et fHgida lingna, A
miseram Enrydioen, anima fbgieote to-
cabat, Barydicen toto referebant flami-
ne ripe »; Firj^., Georg, IV, 525-637.
52.QUAirruifQUE: quanto; efir. J^A Y,
13. Purg, XV, 71. -madre : Eva. Tatto le
bellesse e le gioie del Paradiso terrestre,
perdate già per soa colpa da Bva, non
mi trattennero dal commaovermi sino
alle lagrime per il dolore della scomparsa
di VirgiUo.
53. KBTTK: nettate da VirgiUo con rn-
giada; cfr. Pwg. I, 05 e seg., 134 e seg.
64. ADRE: atre, escare, fosdie per le
lagrime.
V. 56-81. AeoogUenma inaoptUattu
n Poeta sorprende U lettore col racconto
del severo salato flittogU dalla saa Bea-
trice. Dal principio del mistioo aao viag-
gio sino a questo momento la apennia
di riveder lei, amata già tanto, lo ba
fortificato a sostenere le fittiohe ed i do-
lori del cammino; cfr. jy. II, 18S o aeg.
P%a^. VI, 48 e seg.; ZXVII, 86 e aeg. I
sette F essendo cancellati dalla eoa fron-
te, ne segno che egli è purificato da tatti
qoei peccati che si porgano via via sa
per i gironi del saero monte. B Virgilio
ha dichiarato il sao arUtrio onunai li-
bero, diritto e sano ; Pvtrg, XXVII, 140.
Ciò nonostante Beatrice lo aooogUA oon
parole aspre, annnnxiandogli nn dolore
più profondo che non qadlo della perdita
di Virgilio. Bd egli la vede solla sinlatia
sponda del carro, ancora velata ed in ap-
parenaa altera e disdegnosa; eleaeeon-
de parole sono, percbò ironiche, piti ama-
re delle prime ; onde egli, che tanto avea
sospirato il momento del rivederla, ata li
tatto confoso e oon gli occhi abbassati
per vergogna, non osando miraria. Fra
Dante e Beatrice c'è ancora on altro ma-
io, oltre qoello di Aioco (Pwrg. XXVII,
86) ohe Dante ha oramai oltrepassato.
55. Dahte: « qoest' oscita «e abrupto
è on tratto di soblimissima poesia. Con-
veniva ricondoT tosto a Beatrice il let-
tore; ed ecco fo ella stessa T affisio *% Or«.
67. PBB aluul bpada : per ben altro do-
lore che non qoello di vederti abbando-
nato da Virgilio. Qoell' alerò tpada sono
le parole di riimirovero che Dante ndirik
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[PAB. TBBBI8TBK]
Pttbo. m. 58-78
[BIXPSOTSBI] 658
58
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78
Qoasi ammiraglio, ohe in poppa ed in prora
Viene a veder la gente ohe ministra
Per gli altri legni, ed a ben far l'inoaora;
In su la sponda del oarro sinistra,
Quando mi volsi al suon del nome mio.
Che di necessità qui si registra.
Vidi la donna, ohe pria m' appario
Velata sotto P angelica festa,
Drizzar gli occhi vèr me di qua dal rio.
Tatto che il vel che le scendea di testa,
Cerchiato dalla fronde di Minerva,
Non la lasciasse parer manifesta;
Regalmente nell'atto ancor proterva
Continuò, come colui che dice,
£ il più caldo parlar dietro si serva :
< Guardaci ben ! Ben sem, ben sem Beatrice !
trm breve per bocca di Beatrice; confr.
Ef^rwi rv, 12.
58. QU.A0I AMìUSLÀQUOi « la aimllita-
dhie, oon la dignità dell' affido e del per>
sooaggio, accenna alla dignitosa nobiltà
di Bestrioe; e toccando le core e le pa-
iole benigne volte da an ammiraglio alla
gante degli oftH UgiU, delle altre navi
minori, per incoraggiarla a ftw il dover
■no, DMMtra che dagli atti e dallo agoar-
do di Beatrice teaepariva altessa d' a^
fatto <f). Anche il carro misterloeo, sa
od ella ai poca, ha qualche analogia con
la BATe maggiore, ove l' ammiraglio ri-
siede.» L. Veni., SUnU., 850. Cfr. Obnv.
IV, 4.
59. icnnBTBA: tk il serrixlo; «Ipee ra-
tem conto sabigit velisqne ministrat»|
rtry.. Ami. VI, 809.
60. ALTBi : « imperò che nel sno non tk
bisogno, ma nelll altri si »} Bufi. Al.
ALTI.
61. BPOVDA: «parola ohe conviene si
àQ'Idea di carro, di a qaella di nave»)
L. Veni,, Le- BuriBTiLà.t alla sinistra
del mistieo oarro era Dante; cfr. Pwrg,
XXIX, 97 e seg.
63. DI mcEBBnk: confr. Oonv, II, 8.
« IMee ebe di neoessitade qai si scrive il
soo nome, perocché convenne che la don-
na O chiamasse per nome, per due oagio-
oi: Tana, perchè certa fiMse la persona,
taitra tante, aUa qaale diriasava il sao
i ; l'altra, perocché come più ad-
dolcisce nello amano parlare il nomare
la persona per la proprio nome, in ciò
ohe più d'aflbsione si mostra; cosi più
pugne il reprensivo, quando la persona
ripresa dalla riprendente é nomata »; OU,
64. DONNA : Beatrice. - FBU : cfr. v. 82.
- M* appabIo : mi apparve : confr. Pwrg.
n, 23.
65. festa: nuvola di fiori; cfr. v. 28
e seg.
66. DAL RIO: di qoa del fiume Lete.
68. PBOHDi: dal rami dell'ulivo (cfr.
V. 81) sacro a Minerva.
70. nkll'atto : non che nelle paiole.
. PBOTBBVA : altiera e rigida. « Dal prin-
cipio essa filosofia parca a me, quanto
dalla parte del sno corpo, doé saplensia,
Mra, ohe non mi ridea, inquanto le sue
persuasioni ancora non intendea; e di-
adegnota, ohe non mi volgea l'occhio,
cioè oh' io non potea vedere le sue dlmo-
strasionl»; Oonv. Ili, 15.
72. DUCTBO : SÌ riserva per più tardi il
parlare più acerbo e più animato. « Sem-
pre quello che massimamente dire inten-
de lo dicitore, si dee riservare di dietro ;
perocché quello che ultimamente si dice,
più rimane nell'animo dell' uditore »;
Canv, n, 9.
78. BKM: siamo. Beatrice parla nel plo-
rale della maestà. Al. ouaxdami un!
BKN 80N, BXN BON | ofr. Oom, lÀpi. Il,
670 e seg. Moore, Orit,, 431 e seg. Boit,,
Oont. phU. 1, pr. 8.
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6S4 [PAB. ntBESTBB] PCBO. XXX. 74-84
[ISOJCLl
Come degniatì d'meeedere mi monte?
Non npM ta che qui è rnom felice? »
n Oli occhi mi caddw gid nel chiaro fonte ;
Ma, veggendomi in esso, i traasi all' erba.
Tanta vergogna mi gravò la fincmte !
7f Cosi la madre al figlio par soperba,
Com'ella parve a me; perchè d'amaro
Sente il saper della pietade acerba.
82 Ella ri tacque, e gli angeli cantaro
Di sabito : <In tej Domine^ speravi »;
Ma oltre ^ pedes meos „ non pimoaro.
74. cxnn DwaaAMrti « Chi «ittià «1
lioBte d«l mgaonì O eU stafà ad
luogo no Matof L' bobo teaoeeoAo di
maai, • parodi eaoro, fl goalonon oIotb
l'animo m ranità. » Arfm. XXIU, t, 4.
Danto arerà elevalo I'obìbìo ano a Ta-
nltà (Purg. XXX, lai e sag.; XXXI, 14,
SS, M) e non era poro di cnore (Pmrg,
XXXI, 58 e eeg.). IVpiafv ai naò antiea-
mente nel aenao di pcierg ( •■ provens.
75. non aAPÉit non saperi ; efr. Jro».
i»u«., 7erM, 189 e seg. 871. « Qoaai dicat,
adre debebaa, nee hne accedere pote-
rà* nial ego tibl gratlam procorasaem »;
77. I TBAaei: li traasi ; cfr. If\f. Y, 78.
K OD aottenendo di yedere la ina steaaa
immagine nelle acque del Lete, Tolse gli
occhi all'erba.
79. MADBB: la Chiesa è la madre dei f!»-
deli e l'antorità ecclesiastica è la rappre-
sentatrioe della Chiesa. Quindi Beatrice
è paragonata più volte ad nna madre;
oflr. Par, 1. 103; XXU. 4. La pietà del-
l'amor materno è qoi severa; ma è par
sempre pietà. La madre pan superba,
mentre invece è amorevole. Beatrice |ni-
réva, ma non era né proterva (v. 70), né
saperba.
81. SKMTS: Al.: SBHTt. Trattandosi q ni
evidentemente di nna massima generale
e non di nna esperiensa isolata, il tenta
dei eodd. va letto •enfU (— tenU U) e
non mtUT 2 (— tena il). La pietà che ca-
stiga sa sempre di amaro al castigato.
AMTha si riferisce qni alla cosa, cioè alla
pUià raffigurata oome cibo; amaro si
riferisoe alla sensasione. Fra acèrba ed
amaro vi ha la dliferensa ohe passa tra
taporo e §uttc.
V. 8i-ff .
BeaMee tace; e gli angeli sulla dlTim
baatstua cantano, qoaai in nonte di Dan-
te, nn salmo della speransa in Dio. E
Dante, prima gelato od impietrito pei
n dolore, tocco da qneD'amore degli an-
geli, ohe lo oompaàaoono e par ohe di-
mandino a Beatrice perchè tasto Io
stnigga eogli acerbi rimproveri, afog*
il ano dolore con lagrime e singUossi:
onde r interno suo gelo si liquefa.
82. ou AnawLi: *^ì aogioH, ch*oroD«
in sol carro in persona di Danto xispoo-
dono a Beatrice: BgU ardi di aalire al
monto sperando in Dio » ; An, Fior. Cfr.
BbrHXIh22.
83. IH TK: cantano 1 primi nove verd
del Salmo XXX : « fflgnore, io ho spfl^
rato in to; fb* ohe io non sia ginmin
oonftiso; liberami per la toa ginatish'
Piega ame le tue orecchie, afflrettati
liberarmi. Sii tn a me Dio protottore
casa di asilo, per fkrmi salvo. Pei
ta sei mia forteasa e rifàgto; e, pel
Nome, mi guiderai e mi darai il
tomento. Mi trarrai del laodo ohe mi
hanno teso di nascosto; poiché ta sei I
mio protottore. Io raccomando il vM
spirito nelle toe mani; ta mi hai re*^
dento, o Signore, Iddio di verità. Tl^
odii quelli che sensa prò stanno dioH
tro alle vanito; ma lo sperai nel 8lgno-j
re. Bsoltorò e mi rallegrerò nella
misericordia; perocché ta gettasti
sguardo sulla mia abbiedone, aal
dalle angustie 1* anima mia. Né mi chii
desti tra le mani dell'inimico; aprisi!^
spasloao campo a* miei piedi. » B qai gH
angeli si fermano, il concetto de' ver*
setti seguenti non essendo pih a prò*
posito.
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[PAB. TBBBSBTBB]
PUBO. IIX. 85-99
[▲NOBLI] 655
01
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97
Si come neve tra le vive travi
Per lo dosso d'Italia si congela,
Soffiata e stretta dalli venti Schiavi,
Poi, liquefatta, in so stessa trapela,
Por ohe la terra ohe perde ombra, spiri.
Si ohe par fboco fonder la candela;
Cosi fili senza lagrime e sospiri
Anzi il cantar di que' che notan sempre
Dietro alle note degli etemi giri;
Ma poi che intesi nelle dolci tempre
Lor compatire a me, più che se detto
Avesser : € Donna, perchè si lo stempre ? »,
Lo gel, che m'era intomo al cor ristretto.
Spirito ed acqua féssi, e con angoscia
Per la bocca e per gli occhi usci del petto.
85. oom nmvm : « al come telor yedemo
cadere FaoqiiA misohiAte di belUnere,
eoii mi perea vedere le loro p«role asoire
mlaohiaiedl eoepirl *i Tita Nuova, 18. -
▼IVI TBAVi: Algeri Terdeggùuitit oonfir.
Tirg., Am,YI, 181. Oató., Jfrt.Vni, 820;
X, 372 e seg.; XI. 861 ; XTV, 800.
88. FSB LO DOSSO : Siili* Appennino, ohe
è qnsBl spina dorsale dell' Italia.
87. sornATA: pereossa ed indorata
dai Tenti boreaU ohe Tengono di Sohia-
Toida.
88. tkafbla: qnella di sopra, eh' ola
prima a Uqneikrsi, penetra in quella di
lotto.
89. LA terra: porohò spiri Tento dal-
l'AilHca, OTe talTolta i oorpi non man-
dano ombra, perehò il sole sta perpen-
dicolare sopra di esst «UtTO sub adTenta
■pirantisleneFaToniSole remoUesoit qn»
frigore constltlt nnda, 8ie laorimis oon-
ramptasoisPhcBbelaByblis»; Ovid,,MeL
IX, 681 e seg. - pbrdi ombba ; « proprie-
tà delle regioiii tropioali, o della sona tor-
rida, OTe dne volte all'anno a messogior-
no il aole tocca lo seni t di daaoan punto ;
e quindi l' ombra di nn oorpo opaco, in
sitnaaione Tcrticale, cede snUa sna base,
onde non comparisce da aloon lato »; An-
UméOL
80. PAB FUOCO : « Slcut floit cera a
fiKde ignis »f Piai. LX VII, 8. - « Vallee
Bdndentiir slcat cera a ikole ignls »; Mi-
ehem I, i. - e TJt intabesoere flaTn Igne
IsTl cera, matotinaqne proine Sole te-
pente solent »; Ovid., ir<rt. UI, 487 e seg.
01. COSÌ: prima che gli angeli cantas-
sero, era congelato come ncTC; udito il
canto, si liqnefeoe. Paragona aò stesso
alla ncTC, le parole di Beatrice ai Tenti
settentrionali, le parole del canto ange-
lico ai Tenti meridionali.
92. qub': angeli. -hotan: cantano In
nota. « Loontione qua angeli loqnnntar
Deo, landantes ipsom et admirantes,
semper angeli Deo loqnnntor (^ TKom.
Aq., aum, theol. I. 107, 8.
98. DIBTBO : in conformità dell'armonia
delle sfere ,celestl.
94. TBMPBB: nelle parole degli angeli
A dolcemente temprate, o armonissste.
« In quelle note dolcemente temprate a
compassione»; Betti,
96. COMPATIBB: «Pcocatores.... quam-
din sunt in hoc mundo, in tali statu
sunt, quod sino pr»Ìudicio diTin» insti-
ti» possnnt in beatitudinem transferri
de statu miserie et peccati. St ideo com-
passio ad eoa looom habet et seoundnm
electionem Toluntatis (prout Deus, an-
geli et beati eia oompati dlountar, eorum
salotemTolendo),etsecundampaBaionem,
riout oompatiuntur eia homines boni. »
Thom, Aq., 8um. UuoL III, 8uppl,, 94, 2.
96. BTBMFBX! stempri, mortiflohi, st-
tUìscì.
98. FÉSSI: si risolse in sospiri ed in
lagrime.
99. PBB LA BOCCA : in sospiri. - PBB OLI
OCCHI : in lagrime. - usci: il gelo disciolto.
V. 100-146. TraviamenH di Dante.
Beatrice Tolge la parola agli angeli, in
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6h6 [PAB. TIBBKSTBB] PUBO. XXX. 100-109
[TBÀTIAMBHTI]
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103
106
100
Ella, par ferma in su la detta cosoia
Del oarro stando, alle sastanzie pie
Volse le sne parole cosi poscia:
€ Voi vigilate nell'eterno die,
Si che notte né sonno a voi non fora
Passo che fieiccia il secol per sue vie ;
Onde la mia risposta è con più cura
Che m'intenda colai che di là piagne.
Perchè sia colpa e daol d' ona misara.
Non por per ovra delle rote magne,
modo però d» ewere udita ed Inteta dal
Poete, eh* ella rimpTOvera de' puniti tra-
▼iamentL La Vatma e la Orasia gU tur
Tono larghe di loro doni, dei quali egli
non fooe roto dovuto. Vivendo, Bea-
trioe gli fta guida al Sommo Bene ; ma, lei
morta, egli d sviò e corse dietro a beni
ikllaci ; né giovarono 1 tentativi di riohia-
mario snlla bnona via per messo di so-
gni e di visioni. Cadde, cosi, tanto in
Immso, ohe, per salvarlo, non o* era pih
ohe nn sol messo: mostrargli i dannati
e le loro pene. Ora, prima di passare il
Lete e dimentioare il male oommesso, la
divina Oiostlsia esìge oh' ei ne senta vivo
pentimento e versi lagrime di penltensa.
I rimproveri di Beatrice non possono rife-
rirsi a verone di qnel peooati ohe si por-
gano nei gironi del Potgatorio; ohe i
sette P sono cancellati dalla fronte del
PoeU ed U soo arbitrio è libero, diritto
e sano (Purg. XXVII, liO). Ma Beatrice
gli rimprovera d' essersi datoqoasl esolo-
slvamente alla sdensa omanatrascoran-
do qoasi del tatto la divina; ofr. DanU-
Handbueh» 211-238. «Bitrovandosi Dante
ftiori de* primi anni della soa poerisia,
ne' qoali egli era siato instroito e am-
maestrato.... de' principii della fede, e
delle altre cose appartenenti a la reli-
gion cristiana.... e dandosi a gli stodii
di filosofia e delle scienze omane, dove
si troovono molte opinioni contrarie di-
rittamente al lome della iMe, cominciò
a poco a poco a lasciarsi svolgere e ti-
rare al tatto nella lor sentensa da qoel-
le.... Per il ohe egli entrò.... nel laberinto
delle varie e diverse opinioni de* savi del
mondo, per il qoale egli camminò inaino
alla metà della viU soa. » GeUi, I, 72
e seg.
100. n su LÀ dkttjl : solla sponda si-
nistra del oarro, come fti detto nel v. 61.
Al. IR BU LA DiBTEA ooaciA. Ma Bea-
trice stava pur/mrma ; donqoe non si era
volta a destra; ofr. Omr. Lipt, U, 67«.
101. BUSTXXZDE Fii: aj^ angeli pie-
tosi e compassionevoli; cflr. TKofls. Aq..
Sum. thsol. I, 60, 5; 60, 1, 2. Pie, perehè
sante e perchè hanno pietà di Dante.
102. POSOLA. : come gli angeli taoqneio.
108. DÌK: giorno { «in diem «temlta-
tls»; n Pttr, III, 18. -«La ssatensa è
che le creatore angeliobe a niona gnJss
ed in nesson tempo ponno essere di*
sciolte della contlnoa contemplacioiie di
Dio.... Dice adunque Beatrice a|^ an-
geli, che essi stanno sempre vigilanti
ed atteoti a contemplar il Creator loro,
si Dsttamente, che notte né sonno Atra
o toglie l<»o passo, ohe per soe vieos-
minando fscda il teeoio, ponendo il se-
colo per il tempo, il qoale altro non èche
ombra dell' eternità ; e perchè le eose
mondane soggiacciono al tempo, pren-
desi ancora il secolo per il mondo, ed il
mondo per gli nomini in esso oontsuo-
ti. » Dan.
106. PA880: cosa che nel mondo sac-
ceda. « Sioot Deos per soam eseentiaii
materialia cognoeoit, ita angeli ea co-
gnosoont per hoc qood sont in eia per
soas inteUigibiles spedes; Tkom» Aq.,
Bum, theol. I, 67, 1. - « Angeloa per
nnam intellectivam virtotem ntraqne
[cioè tanto vnivértàtia «t immmUriaUm,
quanto tingviaria ei corpor^Uà] oogno-
sdt»; ibid,, art. 2.
100. ONDI : conosoendo voi già ogni
cosa che nel mondo saccede, scopo deUa
mia risposta non pnò essere di istmlrvoi,
ma d' essere intesa da colai che piange
di là dal fiome Lete, affinchè il ano dolore
sia proponionato alla colpa.
109. PBB ovsAt per naturale influenaa
dei cieU{ ofr. JV* XV. 66eseg.PiVf.
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[PAB. TERBB8TBB]
Puro. xxx. 110-124 [travi amenti] 657
112
115
118
121
124
Che drizzai! ciascun seme ad alonn fine,
Secondo che le stelle son compagne ;
Ma per larghezza di grazie divine.
Che si alti vapori hanno a lor piova,
Che nostre viste là non van vicine ;
Questi fa tal nella sua vita nuova
Virtualmente, eh' ogni abito destro
Fatto averebbe in lui mirabil prova.
Ma tanto più maligno e più silvestre
Si fa il terren col mal seme e non colto,
Quant' egli ha più del buon vigor terrestro.
Alcun tempo il sostenni col mio volto :
Mostrando gli occhi giovinetti a lui,
Meco il menava in dritta parte vòlto.
Si tosto come in su la soglia fui
XVI, 78 e teg. - bote maqns: le tfere
oelMti ohe danno a dasciin eaaere ohe
naaoe, indlnaiione ad un qoalohe fise,
biHmo o cattiTO, secondo la Tirtù di qoeì
pianeta netto il qaale ò generato.
113. FiovA: pioggia, della qoalel ya*
pori sono la cagione. Bice donqne che
a disoemere le ragioni per le qnali Id-
dio infonde la soa grazia negU eeaerl,
non giunge occhio d'intelletto nmano;
nò tanto pnò vedere lo stesso intelletto
angelioo o Beatrice (nottre Tiste!); ofr.
Par. XX, 118 e seg. « Seoandnm natn*
ralem cognitionem angeli oognoscnnt ree
tom per essentiam snam, tnm etiam per
speeles innatas ; et hao cognitione my-
steri» grati» angeli oognosoere non pos-
snnt.... Lioet angeli beati dlTlnam sa-
irfftntiain oontemplentor, non tamen eam
compreheodant ; et ideo non oportetqnod
eogaosoant qoidqoid in ea latet. » Thom,
Aq., awm theoh I, 67, 6.
114. YiciKE : « nonché raggiongere, nep-
pnr s' ATTidnano »; Tom,
115. irsLLA SUA YiTA ifUOTA : nel tempo
in cni e'Iù rigenerato per virtù d'amore ;
d^. Oom, iS*. II, 678 e seg. Al.: Nella
saa età giovanile (Lan., Post. Ckui.,
Beno., Buti, Land., Dan.» Volpi, Veni.,
XofM&.ed il plh dei moderni). Al.: Qaando
seriase il sao libro intitolato YUa Nuova
{OU., An. Fior., PorL, ecc.).
116. vnrruALiaNTB: in potensa, ossia
in poter essere, per virtù ricevute dai
deli e per abbondanza di grazie divine.
* L*^IMto dioeei oontenoto nella canea,
4Z ~ Div^ Qomm., 0 sdii.
fomuHiter, quando in essa se ne trova
la natura, come il calore nel fttoco; tir-
tualiUr, qaando nella canea non si trova
la natura dell' effetto ; la itatua per es.
è contenuta virtualitòr nella mente del-
l'artefice»; Dini. - ABITO DB8TB0: «ta-
lento felice, buona disposizione»; Bl. -
«Sdentia vel virtus: nam scientia est
habitus condusionis demonstratse, et vir-
tus est habitus electivns »; Benv.
117. FA'vo AVKBKBBB : Sarebbe riuscito
a qualsiasi più mirabile prova.
118. MA TANTO: « quanto una terra ha
più di naturale vigorìa, tanto più essa
diventa maligna, se si butta in essa cat-
tiva semenza e la si lascia incolta. Una
terra priva di vigore è incapace di dare
buone piante o cattive.... Uomini di alto
ingegno non diretti al bene e viziati
hanno fatto danni stragrandi a so stesd
ed alla sodetà. Gli stupidi sono incapad
di far gran male e gran bene. » Oom.
120. DKL BUON: Al. DI BUON.
121. ALCUN TSMPO: circa sedici anni. - il
BOSTEifNi : drca gli effetti di Beatrice sul-
r animo di Dante cfr. Vita Nuova, 11, 10,
21, 27, ecc. Oom. Lipi. U, 680. - « Alcun
tempo doè in puerizia, dove l'autore non
cercava drca le sue cognizioni ragione
alcuna, e a lui soddisfacea quia eieeet.
[Poi] volle ragionare, e in tutte cose do-
mandare dimostrazione a senso ; diventò
di teologo filosofo, abbandonando teolo-
gia ed ogni argomento ab auctoritate »;
Lan., An. Fior.
124. sì TOSTO : circa due anni dopo ; cfr.
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058 [PÀB. TRBI8TEK] PUBd. ZZI. 125-136
[TRITI AJfnrril
m
180
133
180
Di mÌA seconda etade, e mutai vita,
Qaesti si tolse a me, e diessi altnn.
Qoando di carne a spirto era salita,
^ £ bellezza e virth cresciuta m'era,
Fu' io a lai men cara e men gradita;
£ volse i passi suoi per via non Yera,
Ttnft£rìni di ben seguendo false,
Che nulla promission rendono intera.
Nò l'impetrare spirazion mi valse,
Con le quali ed in sogno ed altrimenti
Lo rivocai; si poco a lui ne calse !
Tanto giù cadde, che tutti argomenti
Vita K„ 85, 86. Cbnv. n, S» 14. - soglia :
in piineipio dellA miA gioveiitù. « La
oiDMiA TiU li pftrta per qoAUro «tedL
La prima li ehiama adoleaeensa, doè ae-
ereaoimento di vita; ia seconda si chiama
gioventù.... Della prima nullo daWta, ma
dascnno serio s*aooorda, ch'ella dora in-
flno al ventioinqnesimoanno»; Omv, IV,
24. Beatrice mori il 9 (10 f) giugno 1290
in età di yenUdnqne anni e quattro
mesi droa.
125. MUTAI VITA: passando dalla ter>
restre alla celeste per la mia morte.
128. ALTRUI : ad altra « donna gentile »|
cCr. Tila y.» 86-89. AllegoriJUnente : si
tolse alla sciensa divina per darsi tatto
alla soienza umana. Oppnre, come vnole
il QtUi (II, 9), seguito da molti, comin-
ciò « ad aver qualche dubbio de gli ar-
ticoli della religion cristiana. »
127. BAUTA: di donna mortale iktta
doDua immortale.
128. CBBsauTA : « quia anima beata
separata a corpore est Uberior in volun-
tate, ratione et memoria»; JS^nv.
129. MIN CABA : non cessò dunque di
amarla, ma il suo amore intepidì. Alle-
goricamente: la sua trsscuransa della
sacra dottrina fta relativa, non assoluta.
180. VIA NON VERA: la via delle spe*
culazioni filosofiche; ctr. Par, XXIX,
85 e seg. ; la « via che non è buona, die-
tro ai proprii pensieri »; J9aia LXV, 2.
181. iMAOiNi : cfr. Furg. XVI, 91 e seg.
132. BRNDONO : non attengono mai bene
le loro promesse. « Non igltur dubium
est, quin h» ad beatttudinem vi» devia
qutedam sint, nec perdncere quemquam
Taleant, ad quod se perduoturas esse
promlttunt»; BoH., Con: phd, III, pr. 8.
« Hsc igitor Tel imagine$ veri boni rei
imperfeota qwsdam bona dare mortall-
bns Tidentor; vemm autem atque per-
ibetom bonum oonforre non possont ; »
Urid. m. pr. 0. Cfr. Oom. Lipt, U. 6S3.
188. BPIRAZION: silfide sensa dubbio
alle visioni raccontate nella YUa Nuova,
40 e 48, le quali, se non rimasero sensa
effetto, come si comprende dal racconto
della Vita Nuova, non produssero altoo,
però, come risulta da questi versi, se non
un pentimento passeggero, il quale agH
occhi di Beatrice non poteva avere il
menomo valore.
134. ALTRIMENTI: in visione.
185. LO RIVOGAI: « lo richiamai dalla
torta strada del visto alla dritta -via
della virtù »; Dan, - sì POCO: tanto poco
egli si curò di quelle «spirasloni ».
186. CADDE I non tanto moralmente,
quanto intellettualmente. Ripetiamo ohe
nei rimproveri di Beatrice e nelle con-
fessioni di Dante sulla riva sinistra di
Lete non c'entrano nò i peccati che si
purgano nel Purgatorio, né difetti che
Virgilio avesse potuto riconoscere, nel
qual caso egli non io avrebbe licensiato
odle parole Purg, XXVn, 140-142. Ar-
rivato in luogo dove Virgilio più oltre
non discerné (Purg. XXVII, 129), e da
dove in là Dante deve attenersi alla sola
Beatrice, ò naturale che ei rimproveri
dell'una e le confessioni dell'altro de-
Tono stare in reiasione non colla mo-
rale, ma colla fede cristiana (cfr. Purg.
XVIII, 46 e seg.) ; onde gli amori veri o
supposti di Dante, le deboleaae rlnfeoda-
togli sul serio od in ischeno, a ragione
od a torto, da Guido Cavalcanti e da Fo-
rese Donati, noo hanno qnl a<i9o!nts-
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[PAB. TBEBSSTBI]
PUEO. XXX. 187-145 [TBAYIAMENTI] 659
1»
142
145
Alla salute sua eran già corti,
Fuor ohe mostrargli le perdute genti.
Per questo visitai l' uscio dei morti.
Ed a colui che Pha quassù condotto,
Li preghi miei, piangendo, furon porti.
Alto £ato di Dio sarebbe rotto,
Se Lete si passasse, e tal vivanda
Fosse gustata èenza alcuno scotto
Di pentimento che lagrime spanda. »
Beato ohe Todere; efr. Oom, Ltp$, II,
71^733. - ▲BOOMiHTi: meui, espedienti.
187. COITI: iBfaffldeiitl, inelfieaoi.
188. ut PBBDun oran : il peccato nellA
na Ten nato» e nelle eoe ultime con-
•egneue. « QomÌ diont: lelyo qoAm in-
ottnMe ftnimnm etiu ad oonaiderandam
ndaetiam et inlMicftatem miaeromm»;
Bmv,
189. PBB QD18T0 : pcrobò totti gli al-
tri mesii erano Insofflcfenti alla sua sa-
lute, ed lo roleTa por salvarlo. - visitai :
efr. IV. II, 62 e seg. - L'usao : ofr. JV".
in, 1 e seg. - MOBTi: dannati. «Morte
diee privasione »; (kmv, IV, 8; i dannati
•ODO priTatl per sempre del Sommo Bene,
che è Iddio.
140. COLUI t VirgUto.
141. PLàHOKNDO : efr. If\f, II. 116 e seg.
142. VATO : ginstisla. « Fatnm est ordi-
natio seoondaram cansamm ad effeotns
dlrinitns prorisoe. QnaMnmqne igitnr
ssnsis seonndls snbdantnr, ea saMnn-
ter et fiito.... Fatnm refertnr ad yolnn-
tatem et poteetatem Dei sicnt ad pri-
mnm principinm. * Thom. Aq., Bum,
theoh,!, 110, i. - « Ipea Dei Tolnntas, vel
potestas, Ikti nomine appellator > ; Aug„
Oiv, Dei, I, 8, 0. - « ProTidentia est ipea
Illa diTina ratio in snmmo omnium prin-
cipe oonstltota qa» cnnota disponit:
iktum rero inhaerens rebus mobilibns
dtspositio per qoam providentla snis
quDBqne neotlt ordinibus. Proridentia
namque cnnota pariter, quamvis dlTersa,
quamris infinita, oompleotitur; fistam
yero singola digerit in motum locls, for*
mls ao temporibus distrlbuU; ut beo
temporalis ordinis ezplioatio In divlnie
mentis adunata proepectu providenUa
sit; eadem Tero adunatlo digesta atque
expHcata temporibus £atum rocetur. »
Boet., Oom. phU, IV, pr. 8. - rotto :
violato.
148. vrvAHDA : le acque del Lete, ohe
iknno dimentioare il male commesso.
144. SCOTTO: compenso. « Prima di
bere l'acqua che porta l'obbUo delle
oolpe, è mestieri piangerle con profondo
dolore : questo ò lo iootto, cioè il presto
da pagarsi da chi vuol bere tale acqua »;
Oom. - « Vive la frase : Pagare lo eeoUo
di aleuna eoea, per soffrirne la pena me-
ritata ed il danno »; Oavemi.
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[PAR. TKBSKSTBB] PUHO. XXXr. 1-10
[C0NFS8SI0NS]
CANTO TRENTESIMOPRIMO
PABADI80 TEBBE8TBE
C0KFE88I0NI DI DAinTE, IMMERSIOKE HEL FOTHE LETE
LE AKCELLE DI BEATRICE, BEATRICE SVELATA
10
€ 0 tu che sei di là dal fiume sacro, >
Volgendo suo parlare a me per pmita.
Che par per taglio m' era parato acro,
Ricominciò, seguendo senza canta,
« Di', di' se questo è vero ! A tanta accusa
Tua confession conviene esser congiunta. »
Era la mia virtù tanto confusa.
Che la voce si mosse, e pria si spense,
Che dagli organi suoi fosse dischiusa.
Poco sofferse; poi disse : € Che penso?
V. 1-21. Zapritna eonfe^Hone, Be»>
trioe rivolge direttamento I» parola a
Dante, invitandolo a confermare la ve*
rità di ciò, di ohe ella, disoorrendo cogli
angeli l' ha aocnsato. Dante ò sgomenta-
to a segno da non potere profferir parola ;
e, esortato la seoonda volta a rispondere,
mormora no ài appena intelligibile, più
visibile al moto delle labbra che non
percettibile all' ndito ; poichò, sotto il
grave carico ohe gli pesa sol onore, la
voce è affievolita e la parola gli moore
•nlle labbra.
1. FIUME: Lete.
2. PUB PUNTA: direttamente, volgendo
la parola al Poeta stesso, mentre fin qni
aveva parlato di Ini in terza persona;
metafora della spada; oonfironta Purg,
XXX, 67.
8. PBR TAOUO: indirettamente, par-
lando agli angeli; ofr. Purg. XXX, 103
e seg. - ACBO: acerbo.
4. cuNTA: indnglo, dal lat. eunUari —
'ndnglare. H BtUi punteggia: Bicotf^n'
ciò Mguendo: •Senxa eunta Di', di^, m
questo è vero, > ed intende: « Di', di\ su-
bito, sensa esi tanca (« abiecta onmi con-
cUtione», Cie., De off. I, 21) se qaesto è
vero. > Ma la frase : Sema eutOa di', di
ò tott* altro ohe dantesca.
6. Di', Di' : «oondnpUoaxione esprimen-
te veemenza di parlare »; Lomb. - qub-
STO : di ohe ti accuso ; ciò ohe io dissi di
te; ofr. Purg. XXX, 109-138. - takta:
si grave e severa.
7. confusa : per gli uditi rimproveri
che gli risvegliarono la cosdensa.
8. SI MOasK : volle dire, ma non potò ar-
ticolar parola; tanto era oonfbso ed inti-
midito. - SI 8PBNBI: la parola gli mori
sulle labbra.
0. OBGANI : la gola e la bocca, organi
della voce. « Vox fauoibus hesit »; Virg.,
Aen. II, 774; lU, 48; IV, 280; XH,
868. eoe.
10. S0FFBB8B! Beatrice non aspettò
ohe alcuni istanti.- pensi: pensi; efr.
/!/. V, 111. <<)uMi dioftt; hic non 00^
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[PÀB. TEBUBStBl]
PUBO. ttJì. 11-26 tCONtKSÓlOKE] 661
13
10
19
26
Eiapondi a me ; che le memorie triste
In te non sono ancor dall' acqua offense. »
Concisione e paura, insieme miste,
Mi pinsero un tal ^' si „ fuor della bocca,
Al quale intender fur mestier le viste.
Come balestro frange, quando scocca
Da troppa tesa, la sua corda e Parco,
E con men foga Pasta il segno tocca;
Si scoppia' io sott'esso grave carco.
Fuori sgorgando lagrime e sospiri,
E la voce allentò per lo suo varco.
Ond' ella a me: € Per entro i miei disirì,
Che ti menavano ad amar lo Bene
Di là dal qual non ò a che s'aspiri,
Quai fosse attraversate o quai catene
opo8 oogitatìone, quia non habes nisi di-
cere lie »; Benv.
11. MEMOBist de* tuoi traTiamentl.
13. ACQUAI di Lete. - OPFBRSB: of-
fese, spente, oanoellate; cfr. If\f. Y, 109.
« E che te ne sei dimenticato t Ha to non
bereeti ancora l' acque, dell* oblìo, che
ricordare tn non debba la passata tna
▼Ita. > Betti.
18. 001IFU8I01I1I : « de la mente, che
▼enia da Tergogna, e paura ohe procedea
da la pena che merita la colpa del pec-
cato»; Buti.
14. PIH8KB0: esprime la yiolensa che
gli convenne Care a so stesso. - tal : oo^
debole, detto con voce tanto fioca, ohe
a ben intenderlo fu necessario vedere e
notar il moTiroento che egli fece colle
labbra nel profferirlo.
16. COMB BALBSTBO : « comc il balestro,
qnando egli è troppo teso, scoccando rom-
pe et speifla l' arco e la corda, onde Io
strale vola più lento a toccare il desti-
nato segno; cosi scoppiò egli sotto il so-
Torchio carico della conftisione »; Dan.
Goal pare Benv., Buti, Land., F«I{.,eoo.;
àtc, Oom, lÀpe. II, 688 e seg. e II bale-
stro scoccando da corda troppo tesa,
rompe in qaell'atto e la corda medesima
e r arco, sicché poi l' asta ginnge meno
impetuosa al segno »; BeUi.
17. TESA: tensione; da tendere.
18. L' ASTA : della freccia.
10. CABOO: carico di confasione e di
paar».
31. YABCO : le labbra, che sono il Taroo
della voce ; cfr. Txrg. Aen. XI, 160 e seg.:
« bteret lacrimansqne gemensqne Bt via
Tiz tandem voci laxata dolore est. »
V. 22-80. Im B0coinda tonfMtUme,
Mormorando nn " si , , t Dante ha confes-
sato esser vero tatto ciò di ohe Beatrice
lo ha rimproverato. Chiesto ora della ca-
gione de* Baci traviamenti, egli risponde
lagrimando di essersi lasciato sedarre
dai fUso piacere delle cose presenti, cioè
terrene, mentre le celesti sole sono vere,
stabili e ferme.
22. PER ufTBO : nel segoire i buoni de-
siderii da me inspirati.
23. MENAVABO : « vita del mio core so-
lca esaere nn pensiero soave; e questo
pensiero se ne già spesse volte a* piò
d' Iddio, ciò è a dire, oh' io pensando
contemplava lo regno de' beati >; Oonv.
n, 8. - « Dio ò nostra beatitadine som-
ma»; Oonv. IV, 22.
24. A CHE: cosa alla qaale. Qoando
l'uomo ha conseguito il Sommo Bene
che è Dio, nulla più può desiderare.
« Chi è per me in cielo ftior ohe te ? io
non voglio altri ohe te in terra »; 8alm,
IiXXII, 25. - « Veram beatitudinem in
sommo Deo sitam esse necesse est ; *
Boet., Oone., pkil. Ili, pr. 10.
25. F088B: Al. FOSSI. -CATENE: sbarre
all' entrata delle fortesxe. dei ponti, dei
porti ed anche delle vie. Quali impedi-
menti e forti ostacoli attraversarono la
via sulla quale ti eri messo, che tn la-
sciasti la speransa di progredire sulla
medesimat
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[PAfi. T^RfiEdl&E] PUBO. XXXI. 26-41
tOOHVBflSIOKB]
S8
81
84
87
40
Trovasti, per ohe del passare innanzi
Dovessiti oosi spogliar la spene?
E quali agevolezze o quali avanzi
Nella fronte degli altri si mostrare,
Per che dovessi lor passeggiare anzi ? »
Dopo la tratta d'un sospiro amaro.
Appena ebbi la voce che rispose,
E le labbra a Settica la formare.
Piangendo dissi : « Le presenti cose
Col falso lor piacer volser miei passi,
Tosto che il vostro viso si nascose. »
Ed ella : € Se tacessi, o se negassi
Ciò che confessi, non fora men nota
La colpa tua; da tal Giudice sassi I
Ma, quando scoppia dalla propria gota
L' accusa del peccato, in nostra corte
26. DiL PASSABS : del oontfaiiure come
KTvri oominoUto.
27. sPBiat : speranu. e Io perdei Ia ipe-
nuiM dell'altesM »; Ii^, I, 54.
28. JLVAH2I: gaeda^, Yantaggi.cQiiali
■tati, qnai meriti, qttali avanzi arrebbom
Cfttto Gisippo noD earar di perdere i saol
parenti e quei di Sofronia »; Boce., Dee,
X, 8.
29. ALTRI : beni, doè del beni mondani.
« Qoal verità troyasti più in altra eden-
aia olle in Teologia, perchè lasciasti essa,
e tenestiti alle altre, e quelle volesti stu-
diare e Teologia abbandonaref» ^n.lVor.
e Lan. La lezione drllk altkb ò troppo
sprovvista di autorità; cfr. Ifoor^, OrU.,
433. Alconi riferiscono aiiri a detiri, v.
23, intendendo dei desiderii di beni tem-
porali. L'uomo corre dietro all'aspetto
dei beni mondani, e Dante confessa su-
bito di essere corso dietro ai beni, non
ai dieiri; v. 84 e seg.
30. PA88E0OIARB AKZI: «vagheggiarli,
e flw con essi l'amore; come si suol dire
degli innamorati, i quaU hanno in costu>
me di passeggiare dinansi la casa delle
amate loro »; Dan. e con lui il più dei
oomm. posteriori. Benv. spiega seguire,
eeqvi ea» ; ma eeguire sembra il contrarlo
di paeeegffiare otiti. Al. diversamente ;
« Passeggiando fisrti lor incontra»; Buti.
- «Proceder avanti e non ti partire da lo-
ro »;I«imI., FsO.- O la frase è tolto daU'u-
•o dd servi di precedere i loro padroni, e
allora vuol dire: « Che tndovoasl porti al
loro serrìsio ;* oppure la fraee è pieaa dai
costami degli amanti, ed allora vuol dire :
« Che tu doveail vagheggiarli. » Cfr. A»-
eicL 1443-45.
83. LA voBifASO: formammo la rispo-
sto. « Suspirans imoque trabens a pect<>-
re vooem »; Virg., Aen, I, 871.
84.PBR8EBn: le cose di questo mondo,
riochesse, onori, gloria, diletto, sdensa
mondana, ecc.; in una parola: le « fiUae
imagini di bene »; efr. Purg, XXX, IBI.
35. FALSO t « che nulla promiadon ren-
dono intera »; Pvrg. XXX, 132.
36.ToeTO: dtre un anno dopo la morto
di Beatrice; otr.YU. JIT. e. 35 e 3«, Purg,
XXX, 134 e seg. -ai maboobb: d tolse
per la morto vostra agU occhi sdd ; efr.
Chtn, lApe. II, 001 e seg.
y . 87-«3. Nuovi rùmprQmri di J!»e«-
tHee. Continua Beatrice a rimproverare
il Poeto per indurio a compiere la sua
penitensa. Blla gli mostra la vanito e la
stoltessa de' suoi traviamenti, aonsabili
in giovanetti inesperti, ma non In nomini
d'eto matura.
39. SASSI: d sa da Dio, il quale è tal
giudice, che non abbisogna ddla tua con*
fasdone e davanti al quale nulla ti gio-
verebbe il negare la tua colpa.
40 . SCOPPIA : esce con dolore ; « esprime
lo sibrso »; Tom, - psopbli: ed pecca-
tore. - gota : booea.
41. ooBTB: oelesto.
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[pah. TBBBKSTSSJ
t^UEG. XXXI. 42-58 [NUOTI BIHPBOYBBI] 6^
43
49
62
55
58
Rivolge BÒ contra il taglio la ruota.
Tuttavia, perchè me' vergogna porte
Del tuo errore, e perchè altra volta
Udendo le sirene eie più forte,
Fon giù il seme del piangere, ed ascolta :
Si udirai come in contraria parte
Mover doveati mia carne sepolta.
Mai non t'appresentò natura o arte
Piacer, quanto le belle membra in ch'io
Rinchiusa fui, e sono in terra sparte;
E se il sommo piacer si ti falUo
Per la mia morte, qual cosa mortale
Dovea poi trarre te nel suo disio?
Ben ti dovevi, per lo primo strale
Delle cose faJlaci, levar suso
Diretro a me, che non era più tale.
Non ti dovea gravar le penne in giuso.
42. JOVOLGI : metafora tolta dalla raota
o oote dell'arrotiiio, la quale, voltata
eontro fl taglio della spada, lo rintnasa
inveee di afillarlo. La confessione bk che
la mota si Tolge indietro contro il taglio
della spada della divina giustizia, e la
ottunde in modo ohe non taglia più.
43. Mi' : meglio, più. Al. MO — ora,
adesso. Se Dante era tanto confoso (v. 13
e seg.), egli portava glÀ vergogna e Bea-
trice voleva che ne porta$§e on po' di più.
Infatti» nditi i nuovi rimproveri di Bea-
trice, la vergogna del Poeta si aumenta
e non poco; cfr. v. 85 e seg. - porte:
porti; deeinensa regolare antica.
46. soumB: cfr. Purg, XIX, 19 e seg.
Per Sirene intende qni tutti i fidsi beni
che allettano a perdislone. « Artes libe-
ralee, et poetica pnecipne, quie duldter
eantant et sua delectatione abdnount ho-
mines a Sacra Scriptura » (t); Bénv.
46. IL SEME: il grave careo della con-
ftiaione e della paura, ohe non ti permette
di seguire attentamente il mio discorso.
Cfr. Ocm, Lip$. U, 803 e seg.
47. sì : cosi. - CONTBAKIA : distoglien-
doti sempre di più dai fslsi beni.
48. OABHK: eorpo morto e sepolto.
40. T' APPBBSKnrò : ti mostrò. Distin-
gue due bellesse: della natura e dell'arte,
eome Oowo, I, 6: « Pare l' uomo essere
bello, quando le sue membra debitamen-
te si rispondono iinaJtwra) ; e dicemo bello
il canto, quando le voci di quello, secondo
il debito dell' arU^ sono intra so rispon-
denti. »
60. PLàCRR: cosa tanto piacente, per-
chè tanto bella.
61. RINCHIUSA: alla morte corporale
pare all' anima di « uscire dell' albergo e
ritornare alla propria magione »; Conv.
IV, 28.-SPARTS: sono ora disoiolte e ri-
dotte in terra; ofr. 0en9$, III, 19. Par.
XXV, 124. Al. EBONOTEBRABPARTE^e,
disciolte, sono terra. Cfr. Com. Lip§, II,
695. Moore, OrU., 488 e seg.
62. TI VALLÌO: ti venne a mancare, ti
andò perduto.
64. MBL suo Disio : a desiderarla, a vo-
lerla possedere. « B se una cosa così som-
mamente bella, com' io era, andò tutta-
via, nel modo die tu vedesti, a mancare
per la morte; e qual altro mortale og-
getto poteva più prendere i tuoi desi-
deri r»^^^.
66. STRALE: dopo la prima ferita ri-
cevuta dalle cose fikllaoi e periture del
mondo.
66. SUSO : al cielo ed alle cose celesti,
eteme.
67. TALE: fkllaoe e peritura.
68. DOVEA: Al. DOVEAJf. - GRAVAR t
farti tendere a terra, per poi esperi*
montare altri colpi di strale o altri di-
singanni. In sentensa: Per la mia morte
tu fosti ferito oome4a strale acuto (il
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d64 i^kìL. tebbestbb] I^ub0. XXXI. 59-*^ 1
tPBNTlliENTO]
«1
04
67
70
Ad aspettar più colpi, o pargoletta,
0 altra vanità con si breve uso.
Nuovo angelletto due o tre aspetta;
Ma dinanzi dagli occhi dei pennati
Bete si spiega indamo o si saetta. »
Quali i fanciolU, vergognando, muti
Con gli occhi a terra stannosi, ascoltando,
E sé riconoscendo, e ripentati ;
Tal mi stav^io; ed ella disse: € Quando
Per udir se' dolente, alza la barba,
E prenderai più doglia riguardando. »
Con men di resistenza si dibarba
Robusto Cerro, ovvero al nostral vento.
primo «Croie è natarmlmente U morto di
Befttrioe), perdendo 11 aommo piacere,
l'aspetto delle mie belle membra; onde
aTTesti domto comprendere che le ooee
torrene sono fMlacl e non correre più
dietro ad esse per non essere nnovamento
ferito, ma aspirare soltanto alle cose
etome, inoorrattibili, celesti.
69. FABGOLBTTA: « Ipsc Dantcs se de-
dit pargoletta», idest pcrnsl, et alliis man-
danis sdentiis »; Petr. Dani.
60. sì BBBVB: « come fb l' oso del som-
mo piacer che tn avesti di me »; BuH.
- « Pamm darat omnia gloria hamana
etiam qne yidetnr dnrabilior»; Benv.
61. NUOVO : tonerò, piccino. - dub o
TBB : Tolto. - ASPBTTA : le Insidie del cac-
ciatore.
63. INO ABITO: perchè gli nooelli pen-
nati sanno sfiiggire la reto e gli strali.
Similitodine biblica; « Frnstra iacitnr
reto anto ocnlos pennatomm »; Prov. J,
17. Cfr. Becl. VII, 27.
V. 64-90. Vergogna e pentimento.
Air adire quelle parole acerbe, Danto se
ne sto lì mato, e cogli occhi rivolti a tor-
ra, come fkneiallo che si vergogna di
&llo rinftMJclatogli. Invitoto da Beatrice
a levare il viso, e' la vede tanto bella,
sebbene tuttora velato, che qaesto visto
accresce il sao pentimento, e sento di
odiare tatto le altre cose tanto più,
qnanto più esse contri boirono a stra-
niarlo dalla sna Beatrice. Non potendo
più reggere al peso delle colpe, della ver-
gogna e del pentimento, il Poeto cade
tramortito.
04. I FANCIULLI : « bnono e ottimo se*
-gno di nobiltà è neDi pargoli e imper-
fetti d' etade, quando, dopo 11 fililo, n«l
viso loro vergogna si dipigne »; Oon*,
IV, 19.
66. RICONOSCENDO : rioonoscondosi col-
pevoli dei fidli loro rimproverati • pen-
tondosene. « A qaesto età ò necessario
d' essere penltonto del fklto, sioohè non
a' ansi a fallare »; Oont. IV, 26.
67. QUANDO : giaochè, qtuindoquidetn.
68. LA BABBA : Il vIso, V. 74. Danto si è
paragonato al Atncinlo vergognoso e pen-
tito. Dicendo alta la barba, per alta il
Vito, Beatrice gli tà intondere che egli
non ha più la scusa dell' età iml>erbe, •
che certo leggeresse non sono scusabili
in nn uomo di età matura.
60. FBBNDBBAi: il mio aspetto ti re-
cherà maggior doglia che non le mie
parole, vedendo qnal bellezsa celestiale
fb da to negletto per amore delle tono-
stri vanità.
70. CON i£BN ; durai tanto Astica a le-
vare il mento, che meno ne dura una
quercia robusto a diradicarsi al vento di
tramontana o all' australe. « Pino ad ora
era sempre stoto ad occhi bassi ; ed aden-
do le trafitture di Beatrice, ne avea avuto
buona derrato; ora dee anche sgaardar
in viso il sito giudice : che vorrà essere f
e quanto pena a dover levare il viso
verso di lei I » Oet. - si dibabba : si sbar-
bica, si diradica. La similitudine esprime
la grandezxa e profondità della sna ver^
gogna.
71. NOSTBAL: al vento detto Borea
« che vien da tramontana, verao la qnal
parto ò r Europa, ove noi siamo »i VM.
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tPA&. tEBBEStBS]
PUKO. mi. 72-86 tP«HTlMB!hX)] 665
73
76
7»
82
85
Ovvero a quel della terra di larba,
Ch' io non levai al sao comando il mento ;
E quando per la barba il viso chiese,
Ben conobbi il velen dell'argomento.
E come la mia faccia si distese,
Posarsi quelle prime creature
Da loro aspersion l' occhio comprese :
E le mie luci, ancor poco sicure,
Vider Beatrice vòlta in su la fiera,
Ch'ò sola una persona in due nature.
Sotto suo velo ed oltre la riviera
Vincer pareami più sé stessa antica,
Vincer, che l'altre qui, quand'olia c'era.
Di pentér si mi punse ivi l' ortica.
Che, di tutt' altre cose, qual mi torse
72. ▲ QUSL : ftl vento ftostrale ohe spira
diU'AflHoa, detta qui Urrà di larba dal
re di Libia di questo nome, protettore
e amante di Bidone; otr.Virg., Aen. IV,
IM e seg. luatin, XVni, 6.
74. CH1B8B: ohe io alsassi la barba,
▼.«8.
75. YBLDl : « ben m'arridi oh*eI1a ar*
gomentava sottilmente e latentemente,
come corre lo veleno al onore: tn non
•e'ftaidallo ohe tn ti possi sonsare per
non eognoeoere per pogo tempo ; imperò
ehe ta se* barbuto »; BuU. - « Chiedere
il mento per la barba era nn dirgli :
Con tanto di barba tn se' nn fsnoinllao-
do»; Off.
78. SI DISTESI : in alto, si rifeoe diritta.
77. CBIATUBK: angeli; ofr. If\f. VII,
K. Purg. XI, 8. « Quidam dicnnt qnod
snte omnem oreationem geniti snnt an-
geli»; loh. Damate., De orthod. Fid, U,
'; efr. Tham. Ag., Bum. theol. 1,81, 8.
78. DA LOBO : oome alsai 11 viso vidi che
gU SDgeli avevano cessato di spargere
fiori ; cfr. Pwrg. XXX, 20 e seg. , 28 e seg.
- ABPKBSiOK : dal loro aspergere Beatrice
di fiori. Altre lesioni : APiasiON, opkba-
nON; APPABSI05; APPRKH8IOK, eCC.
79. LUCI : e gli occhlmiei, che per vergo*
gna, timore e riverensa non ardivano an-
cora di fissarsi francamente sa Beatrice.
80. Finu. : sul mistico Grifone ; confr.
iWj. XXIX. 108; XXXI, 128.
81. DUI MATUii: di leone e di aquila
-> umana e divioa (di Ciiato).
82. SOTTO : benchò velata tuttavia ed
alqnanto lontana da me perohò al di là
del fiume. Beatrice mi pareva che su-
perasse in bellexxa plh f^ etetia anUea
(quando viveva nel mondo), ohe non
avesse superato qnaggih tutte le altre.
La Beatrice celeste è più bella assai della
terrestre, che non fosse la Beatrice ter-
restre più bella delle altre donne.
88. viRCKB: Al. VBSDR, loftione ohe
rende il costmtto più facile e dà un otti-
mo senso, ma alla quale manca l' appog-
gio di autorità ; ofr. Oom. Lipe. II, 700 e
seg. - ANTICA: anteriore, di prima, vi-
vente nel mondo.
84. l'altri : donne. - qui: in terra. -
c'irà: mentre viveva.
86. PINTÉR: pentire, pentimento; ofr.
Purg. XVII, 132. - IVI: In quel luogo
(BuH); in quel termine di cose (Cet.);
allora, in quel momento (Torelli, Lomb.,
Port, ecc.). - L'ORTICA : i dolori del pen-
timento. Paragona il pungolo del penti-
mento alla puntura dell'ortica, e dice
che questa puntura ta così forte, che
di tutti gli oggetti diversi da Beatrice
gli vennero in maggior odio quelli che
più lo avevano allettato e distolto dal-
l'amore di lei.
80. TORSI : « la cosa che lo torse nel suo
amore, cioè il bene minore che attrae
Dante a sé, è qui modo ambiguo ; ma il
torcerti nM'omore non degno, ha pure
potensa, e dice in nno perversione e sfor*
so »; Tom, ^ i
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666 tPAB. TBlUlSSTEK] t^UBO. XZll. 87-100
tL«rt]
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Più nel sno amor, pia mi si fé' nimica.
Tanta riconoscenza il cuor mi morse.
Ch'io caddi vinto; e qnale allora femmi.
Salsi colei che la cagion mi porse.
Poi, quando il cuor di faor yirtù rendemmi.
La donna eh' io avea trovata sola,
Sopra me vidi, e dicea: « Tiemmil Tiemmi ! »
Tratto m'avea nel fiume infino a gola,
E, tirandosi me dietro, sen giva
So vr' esso l'acqua, lieve come spola.
Quando fui presso alla beata riva,
« Asperges m6 » al dolcemente udissi.
Ch'io noi so rimembrar, non ch'io lo scriva.
La bella donna nelle braccia aprissi.
88. BicovoectHZA : de* miei peecati, ri-
mono, pontimento ; « reoognito erroris »;
Benv.DÌ riconoteenza petpenHm&nto non
muicano eaempi negli «ntiohi; ofr. Voc
Or. : T.
89. CADDI: ofr. I^f. V, 142; andfti ftaor
dei sensi. - FBMm : mi fed, direnni.
90. BALBI: ofr. Purg. V. 185. - COLKit
Beatrioe ohe eoi snoi rimproYori mi ri-
dosso a tale stato e che Tede ogni oooa in
Dio; «qniaipea me videbat, non ego »;
Benv.
V. 91-102. ItnmerHone nei Zeiè^
Biacqnistati i sensi, Dante vede sopra
di sé Hatelda che già lo ha toflkto nel-
r aoqna sino alla gola, e lo esorta a tener-
si bene stretto a lei, e ohe, camminando
leggiera come spola sovra l'acqua, se lo
trae dietro. Arrivati presso la riva de-
stra del flome, si ode cantare nn verso ; e
Hatelda allarga le braccia, prende Dante
per il capo, lo immerge tutto nelle onde,
oostringendolo per tal modo ad inghiot-
tire di quell'acqua della dimentioansa.
91. IL CUOR: caso retto. - yibtù : quarto
caso. Nel deliquio il cuore avea ooncen-
trato in sé tutta l'attività, di maniera che
i sensi esteriori ne erano rimasti privi.
« Al tornar delia mente che si chiuse >
(Inf, VI, 1) dinanzi al pungolo del penti-
mento, il cuore restituì di fuori, cioè ai
sensi estemi, essa virtù prima in so tutta
concentrata.
02. LA. DoinrA: Hatelda. -BOLA: ofr.
Pwrg, XXVIII, 40.
98. SOPRA MS: Dante era immerso nel
fiume lino alla gola, Hatelda andava sul-
l'aoqua lieve come spola ; dunque era so-
pra Dante; oonfr. Cbm. JÀpt, U, 70S.-
nsHin: tienimi, attienti a me.
94. TRATTO: per togliergli, fkoendogU
bere di quell'acqua, la memovia deUe
colpe confessate. « L* autore intese ohe,
poi ch'eli! ebbe la debita contiixione del-
l'errore suo, Hatelda, ohe signiflo» l'aa-
torità sacerdotale.... T assolvesse; im-
però che al sacerdote s'appartiene di
predicare e lodare la sdensia divina, e
00 la sua dottoina menare lo peccatore
per r acqua de la mundadone, e co la
sua autorità sacerdotale assolverlo »;
BuU.
06. COMB SPOLA: « scorrendo sopra
l'acqua con quella leggeresia eoa oui
la spola delle tessitrici corre da un* ban-
da aU' altra deU'otdita tela »; Br. £. -
«Ferret iter oeleris neo tingueret «quo-
re plantas»; Fir^., Atfn.VII, 811. - « Sum-
maque decurrlt pedibus super eqnora
siocis »; Ovid., Mei, XIV, 60.
98. ABPKROE8: parole del Sàlm. L, 8:
«Tu mi aspergerai con l'issopo e sarò
mondato ; mi laverai e diverrò più bianco
ohe neve.» - « Questo A^Mr^et al dice
quando per lo prete si gitta l'acqua be-
nedetta sopra il confesso peccatore, il
quale elli assolve » ; (Mt. - DOLCKMKRn :
ofr. Pwg. n, 118 e seg.
99. KOL BO: non che desorivere la
doloeua di quel canto non so nemmeno
rammentarla, essendo cosa sopnnnate-
rale.
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tPAE. tlMBBtBl] PUBO. IXXI. 101-117 [ANCBLLB DI B.] 661
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Abbraociommi la testa, e mi sommerse
Ove convenne ch'io Tacqaa inghiottissi.
Indi mi tolse, e bagnato m' offerse
Dentro alla danza deUe quattro belle,
E ciascuna del braccio mi coperse.
« Noi sem qui ninfe, e nel ciel semo stelle:
Pria che Beatrice discendesse al mondo,
Fummo ordinate a lei per sue ancelle.
Merrenti agli occhi suoi; ma nel giocondo
Lume, ch'ò dentro, aguzzeranno i tuoi *
Le tre di là, che miran più profondo. »
Cosi cantando cominciare ; e poi
Al petto del Grìfon seco menarmi,
Ove Beatrice vòlta stava a noi.
Disser : « Fa' che le viste non risparmi:
Posto t' avem dinanzi agli smeraldi,
Onde Amor già ti trasse le sue armi. >
101. UL TESTA : Danto ei» nell' tttoqnm
staio «Uà goU ; mdeaao Matolda ye Io Im-
iB«rg6 tino topra il capo, sedè della me-
moria, per fftrgll inghiottire l'aoqnadel-
TobBo. L'immersione significa il lavacro
estomo, V inghiottir l'acqua V intomo.
V. 10»-117. Le aneelie di Beatrice,
Trattolo ftiori dal flnme, Hatelda ofl^
Danto dentro la dansa delle quattro
Virtù CardinaU, Fwg, XXIX, 180 e seg.
ehe lo abbraodano e lo menano al petto
del Grifone, e però dinansi a Beatriee.
* Poi ohe la dottrina et autorità sacer-
dotale hae mnndifloato e lavato l'omo
da l'atto e dal fornito del peccato si, ohe
rha rendnto innooento, cosi lavato lo
metto dentro da la dansa de le qnattro
Virtù Cardinali, aodò ch'elli vegga lo
tripudio e TaUegresea loro, e come elle
servono a la santo Teologia»; BtUi.
103. Mi TOLBi: mi trasse dall'acqua.
105. DEL BRÀCCIO: « oon la soa possanza
e eoi ano alato ; peroioochò il braccio della
giostisia difende daO' ingiostlsia, la pra-
densa dalla stoltìzia, la fortessa daUa ti-
midità, la temperanxa daOa libidine»!
Xond.
106. SnC: Al. SIAM.... SIAMO.- STELLI:
efr. Furg. I, 23, 87 e seg.i Vili, 01. Le
Virtù Cardinali splendono in cielo qnali
loci ohe illaminano il mondo, e sono nel
medesimo tempo in torra qoall Ade con-
sigUatrioi degU nomini.
107. DiscBXDiBSSS: Beatrice pareva a
Danto « cosa venato Di Cielo in terra a
miraool mostrare» , Vita N., 26 1 danqae :
Prima che Beatrice nascesse. Allegorica-
mento: Le Virtù Cardinali prepararono
già nel Gentilesimo la via al Cristianesi-
mo; fìirono donqoe ordinato per ancelle
all'aatorità ecclesiastica già prima delU
fondaaione della Chiesa.
109. MERsmiTi : ti meneremo. AI. meic-
BBMTI.
HO. DiHTBO : agli occhi di Beatrice. -
l TUOI : occhi.
111. LB TU: le ViHù Teologali (cfr.
Pwrg. XXIX, 121 e seg.) « per le quali si
salea fllosofisre a quella A tono, celestiale
dove gli Stoici e Peripatetici ed Epicu-
rei, per r arto della Verità etoma, in un
volere ooncordevolmento oonoorrono »;
Oonv. Ili, 14 e cfr. il cap. 16.
114. VÒLTA : stando sul carro, Beatrice
erasi vòlto a guardare il Grifone ohe lo
tirava, v. 80 e seg. ; e però Danto, vòlto
al petto del Grifone, aveva Beatrice di
fronte a sé.
116. fa' ! non risparmiare gli sguardi.
116. SMERALDI: occhi di Beatrice, detti
smeraldi per il loro splendore. Cfr. I*wrg.
VII, 76. « Nolliusoolorisadspectus incun-
dior est»; Plin., Eitt. fuU. XXX VU, 6.
117. OVDB: dai quaU ooohi Amore un
tempo vibrò gli stoali onde rimanesti fe-
rito. Un sonetto di Danto incominola :
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OAB. TKBBB6TES] PURG. XXtl. 118-132 tOCCHI t)I BSATBICS]
118
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124
127
180
Mille disirì più che fiamma caldi
Stringermi gli occhi agli occhi rìlacenti.
Che por sopra il GrifoDe stavan saldi.
Come in lo specchio il sol, non altrimenti
La doppia Fiera dentro vi raggiava,
Or con uni, or con altri reggimenti.
Pensa, lettor, s'io mi maravigliava,
Quando vedea la cosa in sé star quota,
E neir idolo suo si trasmutava.
Mentre che, piena di stupore e lieta.
L'anima mia gustava di quel cibo.
Che, saziando di sé, di so asseta;
Sé dimostrando di più alto tribo
Negli atti, l'altre tre si fero avanti,
Danzando al loro angelico caribo.
« yegli ooohi porta la mU donna Amore»;
nn idtro:
D»«ll ooohl dtlU Bla donna it mnor*
Un lame rt gesitl. che dove appare,
81 Tedon oose eh* nom non può ritrare
P«r loro alt«cta • per loro eeeer naOTt.
B dA* taci rafgl sopra '1 mio eaor ploro
Tanta paura che mi fk tremare.
V. 118-120. Oli oeehi di Beatriee,
tpeechi del Qrifùns, Danto guarda
Beatrice, i cai ooohi rilacenti eono ancora
immobilmente fissi ai Grifone, e vede ohe
qoesti, sempre fermo e quieto, dentro yi
si speodiia e dentro vi raggia ora cogli
atti propri del leone, cioè della natura
amana, ed ora oon quelli dell' aquila, cioè
della natura divina ; di ohe Dante forte-
mente si maraviglia.
110. STaniBBBia: m' indussero a fissare
1 miei ooohi negli occhi splendenti di Bea-
trice.
120. PUB: oontinuamente. «I miei oc-
chi son del continuo verso il Signore » ;
StUm, XXIV, 16.
121. OOMI : r immagine par tolta da
Ovid., Met. IV, 848 e seg.: « Non aliter,
qnam cum puro nitldissimus orbe Oppo-
sita speculi referitur imagine Phoebus. »
Cfr. Oanv, ni, 15.
128. BBOoiinom : atti, gesti : efr. Oonv,
III, 7; IV, 25. Il celeste Grifone, Cristo,
rUomo-Dio, si specchia in terra nell'au-
torità eoolesiastioa, ohe lo rappresenta
visibilmente, ora secondo la divina ed
ora secondo la natura umana.
125. LA ooea: U Grlibne. OoM è qui
usato nel senso fliosoflcodi fM — n reale,
antitesi ù.t\Vidolo, che è il soggetto. -
STAR QUETA: Star ferma ed immobile
nella reale sua figura.
126. mbll' idolo : e nell'immagine sua,
riflessa dagli occhi di Beatrice, rariava
le sue forme. Cf^. Thom, Aq,, Sum, théoL
III, 16, 4. 5.
V. 127-145. BeotWoa «vaiata. Pregata
dalle tre Virtù Teologali di mostrare al
suo fMlele la propria seconda bellona.
Beatrice si svela agli occhi di Dante, fi
quale si con féssa incapace di deoorivome
le celestiali bellecce.
127. 8TUPORK: vedendo la traamnta-
Eione del Grifone negli ooohi di Beatrioe.
- LISTA : di sentirsi sgravata da ogni
colpa e di trovarsi dinansi a Beatrice.
128. CIBO: « del mirar Beatrioe ed O
Grifone»; Dan,
129. ASSETA : « Qui edunt me, adhno
esurient; et qui bibnnt me, adhno ai-
tient»; EeeUt.XXlV, 29; confk-. er$g,
Magn., EomU., 16. Omv. IV, 18.
130. TRIBO : dal lat. tribù» * ordine,
grado; qui forse per Gerarchia.
181. L' ALTRE: lo tre donne dalla deatra
del mistico carro {Purg. XXIX, 121),
doè le tre Virth Teologali.
132. DA2fZAlCD0 : Al. CANTAKDO. - CA-
RIBO: (da éharivariumf ofV. Dia, IforC
II', 251 e seg.) probabilmente Canzone a
ballo, oome sembra risultare dal ▼. Iti e
Purg. XXIX, 128, 120. Cosi Parenti,
Biag., OoH,, Bd, Pad,, Berg., Br. B,,
Frat,, Or$g.,Andr;^pom,, FÌka,,BL, eoo.
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[PAR. TKBRE8TRB] PUBG. XXII. 133-145 [BBATR. SVELATA] 669
188
136
189
142
145
€ Volgi, Beatrice, volgi gli occhi santi »
Era la sua canzone, € al ino fedele,
Che, per vederti, ha mossi passi tanti !
Per grazia fa' noi grazia che disvele
A lai la bocca tua, si che discema
La seconda bellezza che tu cele. >
0 isplendor di viva luce etema,
Chi pallido si fece sotto V ombra
Si di Parnaso, o bevve in sna cisterna.
Che non paresse aver la mente ingombra.
Tentando a render te, qnal tn paresti
Là dove armonizzando il ciel t'adombra,
Quando nell' aere aperto ti solvesti ?
Goal sembra arer inteso anche Benv.
Solle altre interpretaskmi oonfr. Oom,
Lipt. II, 710-712. Nel senso di Cansone
a ballo sembra osasse la voce caribo già
prima di Dante, Giacomo Pugliese; cft*.
jy Ancona e Oomparetti, Antiche rime
volff, J, 888 ; V, 351. La voce doveva es-
sere oonosciatissima nel Trecento non ee-
aendoai veron commentatore sino a Benv.
carato di dame nna spiegssione qaainn-
qae. Secondo il Betti, la voce caribo o ear-
riòo vale carro, e la costmzione sarebbe ;
« L' altre tre cantando, si (èro InoanEl al
loro ani^oo carribo. » Cfr. JBneid., 820.
134. sua: Al. LA LOB. - FSDELK: COSÌ
ddamano Dante ad onta dei rimproveri
lattigli da Beatrice ; cfr. If{f. II, 61. « Fe-
dele d'amore e di desiderio se non d'ope-
ra»; Tom.
185. TAKTi : per V Inferno e su per i
gironi del Purgatorio.
136. fa' HOIt Al. FANNE.
137. LA BOCCA : il dolce riso. L' anima
«dimostrasi nella bocca, qaasi siccome
colore dopo vetro.... Ahi, mirabile viso
della mia Donna, di coi io parlo, che
mai non si sentìa se non dall'occhio t»
CoM, III, 8.
138. BXCONDA BELLEZZA: la bocca; la
prima b^leeaa di Beatrice sono gli oc-
chi saoi, al qnali Dante fb menato dalle
quattro Virth Cardinali, v. 109; oonfr.
Oonv. Ili, 8. Le altre interpretazioni
sono inattendibili; cfr. Oom. Lipt. Il,
713 e seg.
139. o UPLENDOB: Beatrice si toglie
il velo. Dante nò descrive T atto nò la m-
ponda belUzia della soa Donna, ma pro-
rompe invece in un' esclamasione che ò
più sublime ed efficace di qualsiasi de-
scrizione. « Candor est enim lucie nter*
nie, et speculom sino macula Dei maie-
statis, et imago bonitatis illins »; 8ap.
VII, 28. Cfr. Vita N., 2, 26, 80, ecc.
140. PALLIDO ; chi mai si aibticò tanto
nello stndio della poesia!
141. 0 BEVVE : ìì/artipaUido all'ombra
di Parnaso d riferisce agli studi, il bevere
alla sua fonte si riferisce al dono naturale
dell'immaginazione. Il senso ò dunque:
Chi si affaticò mai tanto negli studi, o
chi fu mai dotato di tanta eloquenza e
forza d'immaginazione, che non sembras-
se avere la mente offuscata tentando di
descriver te quale ti mostrasti svelata f
144. T' ADOMBRA: ti slmboleggia, ti rap-
presenta ; « là dove il cielo, armonizzando
con la terra dell' innocenza, appena con
la sua bellezza rende imagine di tue bel-
lezze divine! » AntoneUi. Altri diversa-
mente. - « Là dove le sfere, risonando
colle loro usate armonie, ti iSacevano co-
perchio, ti circondavano » ; ootà. BtUi,
Land , VeU., Dan., Voi., Veni., Biag.,
OoH., Ce$.. Br. B., Qreg., Cam.. Filai.,
Bl., Witte, ecc. - « Là dove gU angeli,
cantando, ti coprono di fiori»; così 8er-
rav.t Torti., Lomib., Fort., Fogg., Tom.,
Frat., Bennae., Oom., ecc. - « Là dove
il cielo, col volgere armonioso delle sue
ruote, effigia e rappresenta tutto il corpo
della scienza, della quale tu sei 11 sim-
bolo »; così Dion., Bd. Ano., Ed. Fad,,
Borg., Tris»., ecc.
146. TI SOLVESTI: quando ti svelasti e
mostrasti le tue bellezze nell'aere aperto.
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670 [PAI. niKisni] Pubg. xxxn. 1-12 [tboppo f»o]
CANTO TRENTESIMOSECONDO
PABADISO TEBBESTBE
TICINDI DBL BACIO CAXKO, ILBISO SIMBOLICO, L' AQUILA
LA TOLPK B IL DBAGO, TEASTOEMAZIOn M08TBU08A DBL CABBO
LA MBBBTBICB BD IL GIOABTB
Tanto eran gli occhi miei fissi ed attenti
A disbramarsi la decenne sete,
Che gli altri sensi m' eran tatti spentì ;
4 Ed essi quinci e quindi avean parete
Di non caler, cosi lo santo rìso
A so trae'li con V antica rete ;
7 Quando per forza mi fu vòlto il viso
Vèr la sinistra mia da quelle Dee,
Perch'io udia da lor un : < Troppo fiso! p
10 E la disposizion, eh' a veder òe
Negli occhi pur testé dal sol percossi,
Senza la vista alquanto esser mi fée;
V. 1-12. Troppo fiéo. Tatto quanto aeconda belUtta, di Beatrice tettò sr»*
Mwrto nella contemplazione delle cele- latad; la bellesza che risplende nella
•tlall bellezze di Beatrice, Dante non pon bocca; ofr. Purg. XXXI. 188.
mente a cosa alcnna ohe attorno a lai 6. trac' u: li traeva. -reti : d'amore,
avvenga. Onde le tre Virtù TeologaU con 8. Dki: le tre donne rafBgaranti le Vir-
on Troppo /Ito ! lo invitano a considerare tu Teologali, le qoali erano alla destra del
esiandioqoelle altre cose, poiché neppnre carro, Purg, XXIX, 121, quindi alla al-
la contemplazione della bellezza etema nistra di Dante vòlto verso la parte ant«-
deve tndarre l' acme a mettere in non riore del carro, Pvrg, XXXI, 118 e seg.
cale le cose inferiori. Volgendosi, il Poeta 0. troppo nso: ta guardi Beatrice
si trova alquanto tempo abbagliato, co- troppo fisamente,
me se avesse guardato nel sole. 10. èe: è; cfr. If^. XXIV, 90. E quel-
2. DKCKNMB : dal 1290 al 1300. - SETE : l' abbagliamento, ohe è negli occhi di fro-
di veder Beatrice. sco percossi dai raggi solari, mi fece
8. SPEHTI : sopiti ; cfr. Purg, IV, 1 eseg. essere alquanto oema la fHtta, cioè ab-
4. essi: e gU occhi miei erano impe- bagllato. Beatrice è paragonata al sole;
diti di muoversi e vagare dalla noncu- cfr. Por. Ili, 1, XXX, 76.
ranza loro di tutte le altre cose circo- V. IZ-^.Il ritorno dOlaproooooi^
*^»^* ne. Biaoquistate le forse visive. Dante
6 . wow CAi,BB : noncuranza. - Btoo : la vede U carro e tutti la proces^fon© v^ltt
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[PAR. TKBBESTBE]
PUBG. XXXII. 13-80 [PROCESSIONE] 671
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Ma poi che al poco il viso riformossi
(Io dico al poco, per rispetto al molto
Sensibile, onde a forza mi rimossi),
Vidi in sul braccio destro esser rivolto
Lo glorioso esercito, e tornarsi
Col sole e con le sette fiamme al volto.
Come sotto gli scadi per salvarsi
Yolgesi schiera, e so gira col segno,
Prima che possa tutta in so mutarsi ;
Quella milizia del celeste regno
Che precedeva, tutta trapassonne,
Pria che piegasse il carro il primo legno.
Indi iftle ruote si tornar le donne,
E il Orifon mosse il benedetto carco
SI, che però nulla penna croUonne.
La bella donna che mi trasse al varco,
E Stazio ed io seguitavam la rota.
Che fé' l'orbita sua con minor arco.
ft destr» e litonitfe indietro veno orien-
to, liatelda, D«nto e Sfaudo segoono «Ila
mote destra del eano.
13. AL POCO ; tanto grande lo splendore
di Beatrice ohe, al paragone, quello delle
altre eoae celestiali era poco. - kifob-
M066lt si abituò di nnoro.
14. AL MOLTO: allo « Splendor di Tira
Ince etema •; Purg. XXXI, 139. Il moUo
genHbiU Tale qni la sorerohia Inoe.
15. A VOBZA :▼.?.- MI BIM08SI : per le
parole delle tre Virtù Teologali.
17. C8KBCIT0 : la processione descritta
Purg. XXIX, 64-150 era Tonata Terso po-
nente incontro a Dante ohe camminaTa
Terso leTante; adesso il carro si Tolge,
e la processione ritoma indietro Terso
oriento, <md*era prima Tonata.
18. FIAMME: dei setto candelabri che
preoedeTano la processione, PurgcUorio
XXIX, 48-64.
19. BOTTO : riparato sotto gli scadi per
salTarsi dalle nemiche offese.
90. YOLOBSI : gira eè stessa colla ban-
diera innansi.
31. MUTAB8I : cangiar diresione di mar-
cia. «ITna sehiera longa dcTO tue più
rirolto innansi ohe totte sia matoto di
diresione. Prima Infatti si mnoTO la fronto
ooìiegno, la bandiera; poi agrado a gra-
do il corpo, e da ultimo la retrogoa^ia.
CoA qpì: prima i candelabri ohe prece-
dono, poi la schiera de' santi, e ultimo
il carro. » L, YenJt., SimU., 854.
22. MiuziA: i Tontiquattro seniori,
Purg, XXIX, 83, che precedono al car-
ro, come la legge ed 1 profeti preoedet-
toro alla Chiesa.
23. PBKCKDBVAt Al. PROCEDEVA.
24. IL PRIMO LSORO : il timone. Prima
che U timone piegasse a destra il carro.
25. LE DONNE : le tre dalla destra e le
quattro dalla sinistra ruoto del carro
(Purg. XXIX, 121-182) ripresero il posto
di prima, abbandonato dalle quaUro per
menare il Poeto agli occhi di Beatrice
(Purg. XXXI, 109) e dalle tre per farsi
aTanti danzando a pregare Beatrice di
STolarsi (Purg. XXXI, 130 e seg.).
26. CARCO: il carro.
27. PERÒ : benohò egli tirasse il carro,
non per questo si mosse pur una delle sue
penne d* aquila. « Quia nihil de dlTinitoto
mutotnm est, quamTis mutoretor fórma
ecclesie * ; Bnw. Cristo non guida la sua
Chiesa con mezzi estomi, ma colla sua
parola e col suo spirito, né, r^^^dola,
egli si affatica o turba.
28. DONNA: Matolda, chemi féocTarcare
U fiume Leto ; cfir. Purg. XXXI, 91 e seg.
29. ROTA: destra, ohe nel Tolgersidel
cario avea descritto on arco minore.
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672 [PAB. TEBBE8TBK] PUBG. XXXII. 81-42 [ALBBBO MISTICO]
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SI passeggiando l'alta selva vota,
Colpa di quella eh' al serpente erose,
Temprava i passi un'angelica nota.
Forse in tre voli tanto spazio prese
Disfrenata saetta, quanto eràmo
Rimossi, quando JBeatrice scese.
Io sentii mormorare a tatti : < Adamo I » ;
Poi cerchiaro una pianta, dispogliata
Di fiori e d' altra fronda in ciascun ramo :
La coma sua, che tanto si dilata
Più, quanto più è su, fora dagl'Indi
Nei boschi lor per altezza ammirata.
81. Bì: nell'oidine desoritto. -vota:
di Abitatori.
82. COLPA: per colpa di Bva ohe ore-
dette alle talae promesse del serpente;
ofr. Gene*. Ili, 6. Purg. XXIX. 23 e seg.
Per colpa del mal goyemo non T'ha nel
mondo ohi operi virtù e oonsegna la bea-
titudine di questa rlta; oftr. Oom, Zip»,
II, 728 e seg. - crksb: credette; fbrma
dell'oso antico; oA*. Nann., Verbi, 544
e segaenti.
83. temprava: on canto angelico re-
golava i passi di tatta la processione. -
UN'AMQSLICA : Al.: in ANQBLICA. - MOTA :
canto, parole che si cantano; ofir. Jt^,
XVI, 127; XIX, 118.
V. 34-63. 1/albero tnistUso. AUonta-
nati forse on tre tiri di saetta dal laogo
onde la processione era partita, Beatrice
scende dal carro. Sono giunti all' albero
della conoscenza del bene e del male; e
tatti gridano biasimando Adamo, tatti
accerchiano l'albero; poi lodano il Grifone
che non discinde di qael legno ; ed egli
lega il timone del carro all' albero, il qua-
le acquista nuovo vigore. L' albero ò il
simbolo dell'impero, come il carro ò 11
simbolo della Chiesa. Gfr. Oom, Lipt, II,
780-784.
84. YOU : tiri di saetta. « Tantum abe-
rant summo, quantum semel ire sagitta
Missa potest»; Ovid., MeU Vni, 698 e
seg. - < Quale qnater iaculo spaUum, ter
arundlne vincas »; Stat., Theb. VI, 854.
85. u^BKNATA : rilasciata dall' arco,
dove pnma era quasi ritenuta in freno.
- ERiìfO: eravamo.
86. BCKSi: per umiltà. Questo scende-
re di Beatrice dal carro triouAUe figura
l'mniUarti dell'autorità eccleai«9tica dl-
nansi alla civile, giusta il preoetto apo-
stolioo: « Omnis anima potestatibns so-
blimioribus snbdita sit»; J2om. XIII, 1.
87. MOiUf OBABB : biasimare Adamo che
disubbidì per superbia alla suprema au-
torità.
88. pianta: cfr. Oen, li, 0, 17; HI, 3.
Daniele IV, 7 e seg. I pia dioono <die
questa pianta figura l' Ubbidiensa (e può
stare in quanto l' Impero esige obbidien-
sa); altri la Croce ; altri U Città di Boma ;
altri la Morale; altri la Chiesa; altri al-
tro. Qui non è il luogo di disoatere i«-
tomo a punti tanto oecurl e difficili.
89. FIORI: foglie e fiorì sono romib-
mento dell'albero; la virtù è T orna-
mento dell'uomo, predpoamente delio
stato. Vuol dunque dire, ohe ai tempi
della fondasione del Cristianesimo 1* Im-
pero era ovunque spogliato di virtù;
cfr. Bom, I, 18-32.
40. coma: Al. CHIOMA; la forma di
quest'albero, simile a quella dell* albe-
ro del sesto girone, Pwrg. XXII, 138-1S5,
figura r intangibilità dell* impero.
41. daql' Indi : ohe nelle loro selve
hanno alberi si alti, che saetta 8cag1i*ta
dall'arco non arriva sino alla obna di
essi. < Gerit India Iucca, Bxtremi alnoa
orbis, ubi aera vincere summam Arborla
haud olle iaotn potuere sagittte » ; Virg.,
Georg. II, 122 e seg.L'altessa dell' altm
figura la somma autorità dell' impero,
«altissimanell'nmanacompagnia»; Omwu
IV, 4. Dell'albero deUa Monarchia Dm^
IV, 7 e seg.t < Ecce arbor in medio ter-
ne, et altltudo eins nimia. Magna arbor,
et fortis; et prooeritas eius oontliigeBs
coelum; aspeotus ilUus erat iisqiia ad
torminot noiv^rs» teme. >
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[PAB. TBBBKSTBE]
PUBG. XXXII. 48-58 [ALBBBO MISTICO] 678
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« Beato sei, Grifon, che non discindi
Col becco d' esto legno dolce al gusto,
Poscia che mal si torce il ventre quindi. »
Cosi d' intorno all' arbore robusto
Oridaron gli altri ; e V animai binato :
« Si si conserva il seme d'ogni giusto. »
E, vòlto al temo eh' egli avea tirato,
Trasselo al piò della vedova frasca,
E quel di lei a lei lasciò legato.
Come le nostre piante, quando casca
Oiù la gran luce mischiata con quella
Che raggia retro alla celeste lasca^
Turgide fansi, e poi si rinnovella
Di suo color ciascuna, pria che il sole
Giunga li suoi oorsier sott' altra stella;
Men che di rose e più che di viole
49. DiBcnmi : Uoeri, strappi i è lo «sdii-
dtre Imperinm > del i>< Mon, m, 10.
Cristo non solo inoaleò l' nbbicUenss al-
r impero (ofr. 3£aU. XZII, 21). ma gli
fti egli stesso soggetto ed ubbidiente;
ofr. De Mon. U, 12, 18.
45. MAL SI TOKCi: è il lat. mdU ior-
quéri; si dibatte in atrod dolori. Alcuni
MAL 81 TOBSB. « Agli avidi di potere e
di rioohesse piaceva prendere nn po' per
sé di oodesto imperio, dalla qoale asor-
pedone inoontrarono grave male »; Cbm.
46. ABBORB ROBUSTO t l'impero roma-
no; ofr. DanieU IV. 17: «arbor robusta.»
47. ou ALTKi : la mlUsia del celeste re-
gno, T. 32. - BiMATO : partecipante di due
natore, di leone e d* aquila (umana e di-
vina); ofr. Pwg, XXXI, 81.
48. ai : parafrasi della parola di Cristo
al Battista. MaU. lU. 16. Cosi operan-
do si mantiene 11 fondamento di ogni gin-
stlaia. Cfr. De Mon, 1, 18.
49. AL TBMO : al timone del carro, figu-
ra o simbolo della Sede papale.
60. VKDOVA : dispogliata di ibgUe e di
fiori, T. 38 e seg. Confr. Fwg. VI, 118 ;
XX, 58.
61. B QUKL: e lasdò legato all'albero
quel timone formato dal legno di esso
albero. Cristo lega la Sede apostolica,
d'origine romana, al romano impero,
Cfr. Ootn. JUpe. U, 788 e seg.
62. HOSTBB : di qussto nostro mondo. -
QUAHDO CASCA: nella primavera.
48 — INt. Omm^ 4» edis.
68. LUCI: del sole, mescolata con
quella del segno dell'Ariete.
64. LASCA: la costellarione deiPesd,
cbe precede quella dell'Ariste.
66. TUBQIDB 7AMSI : rigonfiano le loro
gemme. Della verga d'Aronne : « Tur-
gentibns gemmis eruperant flores »; Jfum.
XVII, 8. -« lam lento turgent in palmite
gemmn»; Virg., Eclog. YIl, 48.- « Pru-
menta in viridi stipula laotentia tur-
gent»; Georg. I, 816.
57. GiUNOA : ooDglunga, attacchi i suoi
cavalli— intraprenda il suo quotidiano
viaggio «ott'attra «tejto, cloò sotto il se-
gno del Toro. < Nec tam aversus equos
Tyria Sol lungit ab urbe »; Tirg., Aen.
1, 688. - « lungere equos Titan velodbus
ImperatHoris »; Ovid., Met. IL, 118.
68. MBN CHB DI BOBB: OOlor mlstO.
« Aureus Ipso, sed in folils, qua plurima
ciroum Fnnduntur. viole sublucet pur-
puranigne »; Virg., Georg. IV, 274 e seg.
Pare cbe intenda del color purpureo,
che è quello delle quattro Virtù Cardi-
nali, Purg. XXIX, 181. Onde l' allego-
ria sarebbe, ohe, ooU'innestarsI la Chiesa
neir Impero, questo verdeggiò e fiori per
le virtù cardinali. I più intendono del
colore del sangue, con allusile al san-
gue sparso di Cristo {BuH, Lam^., Veli.,
Vent., Lomb., Port., Pog., Biag., Oott.,
Oee., Tom., Frat.,Andr.,Bennae.,Prane.,
eco.) , oppure al sangue del martiri ( WiUe,
Oom., ecc.). Cfr. Oom. Lipt. II, 740.
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674 [PAR. TBBBB8TBB] PUBG. XIXII. 59-74 [SONNO E BISYKGLIO]
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Colore aprendo, s' innovò la pianta,
Che prima avea le ramora si sole.
Io non lo intesi, nò qai non si canta
L'inno che quella gente allor cantaro,
Nò la nota soffersi tutta quanta.
S' io potessi ritrar come assonnaro
Oli occhi spietati, udendo di Siringa,
Gli occhi a cui più vegghiar costò si caro ;
Come pittor che con esemplo pinga.
Disegnerei com'io m'addormentai;
Ma qual vuol sia, che l'assonnar ben finga.
Però trascorro a quando mi svegliai,
E dico eh' un splendor mi squarciò il velo
Del sonno, ed un chiamar: < Surgi : che fai? »
Quale a veder dei fioretti del melo.
Che del suo pomo gli angeli fa ghiotti
60. LB BAMORA ; i rami ; forma di neu-
tro plorale dell' nao antico, oggi diamea-
sa; oonCr. Nannuc., Nomi, 860 e aeg.-
SOLE: spogliate di fronde, vedove, v. 50.
61. QUI: in terra. -NON si canta: es-
sendo sorramano come il cantico del-
TAgnello, Apocal. XV, 3, e le parole
ndite da S. Paolo nel terso cielo, II Cor,
XU, 4.
62. OAlCTAiiO: cantarono; «accorda j7«nte
con cantaro per esser gente nome collet-
tivo»; Torelli,
63. NOTA: canto, come v. 83. - SOF-
FERSI : vinto dalla dolcezsa del canto, mi
addormentai.
V. 64-84. Sonno e risveglio. Non reg-
gendo sveglio sino alla fine del celeste
canto, il Poeta si addormenta. Qaesto
sonno Agora la pace e la felicità perfetta
che regna nel mondo là dove lo doe ao-
torità, imperiale ed apostolica, sonod'ao-
cordo ecorrispondono Mnbedoe all' ideale
vagheggiato da Dante. Risvegliatosi a
on noovo chiarore e ad on grido. Dante
non vede presso di sé che la sola Matel-
da. Qoi Dante imita il racconto evange-
lico della trasflgnraeione di Cristo. Come
i tre discepoli di Cristo si addormenta-
rono sol ^||l>orre, cosi Dante si addor-
menta sémi montagna del Purgatorio.
Come i discepoli al loro svegliarsi ed an-
cor sonnolenti videro la gloria del loro
Maestro (Luca IX, 82), cosi Dante ve-
de lo splendore che procede dal Grifo-
ne. Come Oesù si accosta ai disoepoU,
li tocca e dice Surgite {MaU. XVII, 7),
cosi Dante ode dirsi Surgi, Come i di-
soepoU, svegliati, non videro ohe Gesti
totto solo (MaU. XVII, 8. Marco IX,
7. Luca IX, 86), co^ Dante, rlsvegUa-
tosi, vede la sola Matelda.
64. EITRAB: descrivere. - abbonhabo:
si chioserò al sonno.
65. OCCHI : d'Argo (cfìr. Pwg. XXIX,
96. Ovid,, Met, I, 568-747), il rigoroso e
vigilante oostode di Io. Per ordine di
Giove, coi Argo impediva di Avvicinarsi
all'amata Io, Meroorio lo ocoise, dopo
averlo addormentato col racconto dagU
amori di Siringa, ninfk amata da Pane.
66. PIÙ VSGQHIAB : più che non Tolers
la natora. - caro : la vita.
67. ESEMPLO: modello, esemplare.
69. MA QUAL: ma dipinga l' addormen-
tarsi chi vuole ed ò oapaoe di fisrio bene;
dal canto mio, sentendomi inabile a ol6,
passo a parlare del mio risveglio.
71. SPLENDOR : del Grifone e degli altri
della processione che tornavano al dolo.
72. CHIAMAR : da Matelda ohe sola gli
era rimasta presso.
78. FIORETTI: pregosto della gioris di
Cristo, nella sna trasflgnrasione. - melo ;
chiama oosl Cristo, allndendo alle parole
del Oawt, OaniUe, II, 8: «Sloat iialiis
Inter Ugna sylvarom, do dUeotos mena
Inter fllios. »
74. POMO: la piena gloria di Cristo,
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[PAB. TBBBE8TBE]
PUEO. XXXII. 75-91
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E perpetue nozze fa nel cielo,
Pietro e Giovanni e Iacopo condotti,
E vinti ritomaro alla parola,
Dalla qnal furon maggior sonni rotti ;
E videro scemata loro scuola
Cosi di Moisò come d'Elia,
Ed al Maestro suo cangiata stola;
Tal toma' io, e vidi quella pia
Sovra me starsi, che conducitrice
Fu de' miei passi lungo il fiume pria.
E tutto in dubbio dissi: < Ov'ò Beatrice? »
Ond'ella: < Vedi lei sotto la fronda
Nuova sedere in su la sua radice;
Vedi la compagnia che la circonda:
Gli altri dopo il Grifon sen vanno suso,
Con più dolce canzone e più profonda. »
E se più fu lo suo parlar diffuso.
delU quale U trasflgarMkme non fa ohe
un Mggio. - OHiom : bniinoei di vedere ;
« In qnem (Spidtaun sanotom) deeiderant
angeli» prospicere»; I Petr, 1, 12.
75. HOZ2M: ofr. MaU. XXII, 3. Apo-
ad, XIX, 9.
77. Tom: dallo splendore di Cristo
trasfigurato e dalle parole adite, oome
Dante dal oanto; cfr. MaU. XVII. 6.
- PABOLA: di Cristo ohe « si aooostòad
oasi, e tooeòlli. e disse loro : AlsatOTi,
e non temete >; MaU. XVII, 7.
78. sona : di morte, nelle persone ri-
soseltato da Cristo oolla parola saa ; ofr.
Luca VII, 14. Oiov. XI, 11, 43.
79. acuoLA: compagnia, detta $euola
a motiTO del dlvin Maettrof ofr. MaU.
XVII, 8.
81. suo : loro. - STOLA t resto ; non più
trasflgorato.
82. TAL: cosi io mi risvegliai sUe pa-
role : Sorgi: du/ai t ~ QUKLLA : Matolda.
83. SOTKAICB! levata in piedi presso
di me.
84. IL vmiOL : Leto ; cfr. Furg. XXIX,
7 «Mg.
V. 85-99. Beolrlee aeiiwta in terra.
« Dov'è Beatrice f » chiede Danto, non ap-
pena desto. B Ifatolda: « Eccola ohe siede
foUa radice dell'albero, droondata dalle
ietto ntnfb, mentre gli altri se ne ritor-
nanoool Grift>ne al dek». » Beatrice siede
ioUo la fronda ed in tu la radice dell' al-
bero, flgara dell'Impero, la cai radice è
Roma, dove risiede T autorità ecolesia-
stioa all'ombra e sotto la protesione del-
r Impero. Intorno ad altre intorpretar
sioni dell' allegoria di questi versi confr.
Oom. Lipt. II, 743 e seg.
85. IN DUBBIO : tornendo di essere no-
vamento abbandonato da Beatrice.
86. OND'KLLA: Al. BD BLLA.
87. NUOVA: novamento prodotto.- sua :
la radice dell' albero ò pnre la radice della
fronda.
88. COMPAGNIA : delle setto ninfe, cioè
delle setto Virth.ohe tongono in mano oia-
sooaa ano dei setto candelabri ,v. 98 e seg.
89. ALTRI : i seniori, i setto formanti la
retrogoardla e gli angeli. - dopo : « Chri-
stas .... primiti» donnientlam » ; I Cor,
XV, 12. - «ITnasqaisqaeaotom in suo or-
dine: primiti» Christns, deinde ii qai
sont Christi, qai in adventn eias credi-
derant »; ibid. v. 28. - suso: al dolo,
donde erano vonati.
90. PIÙ DOLCI : che non txk V inno ohe
tn udisti e la cui doloessa ti vinse. Dolce
si riferisce al suono, profonda ai con-
cetti del canto. Nel risalire del Grifone
al cielo sembra ohe il Poeto abbia vo-
luto figurare l' ascensione di Cristo.
91. BK PIÙ : se disse altro, non so, per-
chè lo era già di bel nnovo tutto quanto
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676 [PAR. TEBBBSTBB] PUBO. XXXII. 92-103
[BBATBICB]
Oi
97
100
103
Non 80, però che già negli occhi m' era
Qaella eh' ad altro intender m'avea chioso.
Sola sedeasi in su la terra vera,
Come guardia lasciata li del plaostro,
Che legar vidi alla biforme fiera.
In cerchio le facevan di so claostro
Le sette ninfe, con quei lumi in mano,
Che son sicuri d'Aquilone e d'Austro.
« Qui sarai tu poco tempo silvano,
£ sarai meco, senza fine, cive
Di quella Roma onde Cristo è Romano.
Però, in prò del mondo che mal vive.
assorto nella oontemplaxione dì Beatri-
ce, sì ohe non ponevo mente ad altro.
93. emuso : distolto ed impedito d' at-
tendere ad altro, 7. 1 e seg.
94. ykba: nnda; non aveva altro seg-
gio che la nnda terra (così Benv., Dan,,
VerU,,Torèl.,Ed,Pad.,Bftti, FraL,Trùt.»
Cam., ecc.). I primitivi vescovi di Roma,
rappresentanti e depositari dell'autorità
ecclesiastica, non avevano veron corteg-
gio di cardinali, cortigiani e servitori
(tola)t ma erano circondati da tatto le
virtà e dallo Spirito Santo co* saol doni :
essi erano poveri, nò avevano altro seg-
gio ohe la nuda terra. Secondo altri vera
vale qni verace, e Dante chiamò cod la
terra del Paradiso terrestre; cl^. Oom,
JÀpe. II, 7i4 e seg.
05. DEL PLAUBTBO: del oarro della Chie-
sa. « Attendite vobls et universo gregi,
in qno vos Spiritos Sanctus posult epi-
scopos regere ecclesiam Dei, qnam acqui-
si vit sanguine suo»; Atti XX, 28.
96. LEOAB : all'albero, v. 61.- bIFOBMB:
avente due forme, di leone e d'aquila.
97. 0LAU8TB0 : circuito, corona.
98. LUMI: i sette candelabri, i quali
pare che durante la processione si mo-
vessero da so, e ohe le tre e le quattro
nii\fe li prendessero in mano alla par-
tema del Qrifone e degli altri, mentre
Dante dormiva.
99. SON 8ICUBI: non si spengono mai.
Nomina per tutti 1 venti i due piti ga-
gUardi.
V. 109-108. Xa tninione di Jhtnte.
Beatrioe ammonisce 11 Poeta di &re
molta attensione al oarro della Chiesa,
e dopo avergli rammentato che egli non
sarà che brevi istanti colà nel Paradi-
so terrestre, aggiunge che, essendo sin
d'ora del numero degli eletti, destinato
ad essere dopo la sua morte in eterno
cittadino del cielo, egli ò atto ad ammafe-
strare i viventi, ritornato che sarà nel
mondo. Pertanto lo ammonisce di acri-
vere, quando sarà ritornato nel mondo,
ciò che avrà veduto, a documento ed uti-
lità degli nomini che, causa il guasto del-
l'ordine voluto da Dio, vivono povera
vita morale e sociale, religiosa e politica.
Udito dò, Dante volge gli sguardi e la
mente al carro, attento alle cose ohe
sono per succedere.
100. qui: dove siamo, nel Paradiso
terrestre. Al.: Nel mondo. Ka il mondo
si distingue col di 2d del v. 105 troppo
chiaramente dal qui; cfr. Oom. Lips,
U, 746 e seg. - silvano : abitatore di
questa selva; cfr. Purg, XXVIII, 23;
XXXU, 31, 158.
101. ciYBt cittadino. <Iam non estSs
hospites et adveme, sed estis cives saii-
ctornm et domestici Del > ; J^«. II, 19.
Cfr. Purg. xni, 9A e seg.
102. Boma: celeste. - BomaxO: « cit-
tadino in quanto omo, et in quanto Iddio
re e signore »; Buti, - « Prende Sòma ge-
neralmente per città santa, come da tutti
gli scrittori ecclesiastici si chiama; e
dice : Sarai meco cittadino eternamente
di quella città santa, cioè del Paradiso,
di cui ò cittadino Oesù Cristo. Qnesto
passo sembra preso da S. Gregorio Ka-
Eianseno nell* oraiione ftmebre di Gor>
gonla, dove dice : I>i«o che la patria <U
Oorgonia fu la «stette QenuaXemm; la
ffittd invitiìbiiU, che ti vede tote ccXCinUi-
letto,... Oriate v'è cittadino egU pure. »
Betti.
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[PAB. TKUBSSTBX] PUBO. XXXII. 104-118
[AQinLA] 677
106
100
112
115
118
Al carro tieni or gli occhi, e quel che vedi,
Ritornato di là, fa' ohe ta scrive. »
Cosi Beatrice ; ed io, che tutto ai piedi
De' suoi comandamenti era devoto.
La mente e gli occhi, ov' ella volle, diedi.
Non scese mai con si veloce moto
Foco di spessa nube, quando piove
Da quel confine che più va remoto ;
Com'io vidi calar Puccel di Oiove
Per V arbor giù, rompendo della scorza.
Non che dei fiori e delle foglie nuove ;
E feri il carro di tutta sua forza;
Ond'ei piegò come nave in fortuna,
Tinta dall' onda, or da poggia, or da orza.
Poscia vidi avventarsi nella cuna
106. 8CBlv»r toriy»; cfr. Purg. XV, 82.
Apoeal. I, 11, 10} XXI, 5.
100. CHS TUTTO : obe era pionunente
disposto sd ubbidire a' suoi comanda*
menti.
108. DIKDI: rivolsi i pensieri e gli
sgnardl al carro; cfr. Pur^.III, 14.
V. 109-117. I/aqHOa nemica del
earra» Vìh yelooe del ItiUnine scende
1* aquila gih dall' albero, rompendo della
scorsa non che de* fiori e delle nuore
tbgUe, e ferisce il carro di tntta (brsa,
onde esso si piega barcollando. La tì-
stime deli' aqnila è tolta da SuehUìs
XVH, 8 e seg., dove l'aquila figura il re
di Babilonia, perseontore della Chiesa
dell'antico Patto. Qui l' aqnila figura
gì* imperatori romani, persecutori della
Chiesa di Cristo, da Nerone a Diode-
siano, e il ferire il carro simboleggia le
coA dette dieci persecnsioni; cfr. Aug.»
0i9. Dei XVm, 52. SuipU. Sev., Hitt.
mier, II, 38. Omn. Lipt. II, 748-750.
110. FOCO: ftilmine; cfr. Purg, IX,
28 e seg.- spbbsa; condensata. cPertur
ut excnasis elisus nubibas ignis »; Ov/d.,
Mei. VHI, 830. - « Ocyor et patrio venlt
igne, suisque sagittis »; SUU,, Theo. VI,
886.
111. BSMOTOr < quando piore dalle piti
remote regioni plnritU, e però vengono
ivi a formarsi nuvole, queste si trovano
nel massimo avvicinamento alla supposta
sferadel ftaoco, la quale oredevasl potesse
Influire su quelle, nel flir loro concepire
e concentrare maggior copia di calore ; il
perohò il divampare di questo in luce e
ftaooo, e quindi il precipitare del Ailmine,
fosse in tsl caso e più fragoroso e più
violento, in regione appunto di quel più
grande ooncentramento per cui doveva
prodursi quella che oggi diremmo straor*
dinaria tensione »; AnlanelH, Cfr. Par,
XXIII, 40 e seg.
112. l'uookl: Tequila, dettacJovis
alee »; Virg., Am. 1, 304. Cfr. Par. VI, 4.
118. KOMPKMDO : l'aquila & più danno
all'albero ohe non al carro. Le perse-
cuzioni suscitate dagl' imperatori dan-
neggiarono più r Impero romano stesso
obe non la giovane Chiesa cristiana che
essi perseguitavano.
116. IN FOBTiHiA: In tempesta.
117. VINTA: spinta. « lam validam
Ilionei navem, iam fortis Achati, Et qua
vectns Abas et qua grand» vus Aletes,
Vicit hiems »; Virg., Aen, I, 120 e seg.
- OB DÀ POOOIA : ora su questo, ora snl-
r altro fianco. Poggia chiamasi quella
corda che lega l'antenna dal lato destro
della nave, orza quella che la lega dal
lato sinistro ; cfr. Fretti, Quadr. IV, 3.
V. 118-123. Za volpe. Usa volpe af-
famata s' avventa alla cuna del carro,
ma Beatrice la volge in ftaga. In questa
volpe è figurata l'eresia che fece guerra
alla Chiesa primitiva, oomerEbio^tismo
e principalmente 11 Gnosticismo, com-
battuto vittoriosamente dai Padri della
Chiesa. Cfr. Oom. Lipt, li, 750 e seg.
118. hklla cuna : contro la cuna, os-
sia contro U fondo del carro.
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678 [PAB. tb&esbtbb] Pubg. xxlii. lld-185
[DEAGO]
121
124
127
180
138
Del trionfai veicalo una volpe,
Che d'ogni pasto buon parea digiuna.
Ma, riprendendo lei di laide colpe,
La donna mia la volse in tanta fata,
Quanto sofferson l' ossa senza polpe.
Poscia, per indi ond' era pria venuta,
L'aquila vidi scender giù nell'arca
Del carro, e lasciar lei di sé pennuta;
E qual esce di cuor che si rammarca,
Tal voce usci del cielo, e cotal disse :
« 0 navicella mia, com' mal se' carca I »
Poi parve a me che la terra s'aprisse
Tr'ambo le ruote, e vidi uscirne un drago.
Che per lo carro su la coda fisse ;
E, come vespa che ritraggo l'ago,
A so traendo la coda maligna.
Trasse del fondo, e gissen vago vago.
120. PASTO BUON: sana dottrina; ofr.
I Oor. ni, 2. Ebrei V, 14.
121. COLPE: i Padri della Chiesa ebbero
a rimproverare i gnostici di morale indif-
fsrensa, lassaria, stregonerie ed altre
colpe; cfr. Iren,,Adv. Hceret. 1, 13-21, 25.
Eu9$b„ HUt, eed, IV, 7. Bpiphan., Adv.
Hcer, 27, 84. Hippol., Hmre$. J24/W. VI, 8»
e seg.; VII, 82. Olem. AUxand,, Stroin,
lU, p. 511 e seg.
122. FUTA: fbga ; forma dell' aso antico,
nò ancora spenta.
123. BOFFRBSON : qaanto a qaeUa ma-
grissima bestia permetteya la saa estre-
ma deboleaxa.
V. 124-120. Il regalo deU' aquila,
L* aqaila scende la seconda volta dall'al-
bero nel carro e vi lascia sae penne;
qnindi si ode dal cielo nn grido di do-
lore. L'aqnila figura anche qai gì' impe-
ratori ; le penne figurano i beni temporali
donati dagl' imperatori alla Chiesa. In
ispede alinde alla famosa donazione di
Costantino, I^f. XIX, 116 e seg. Par.
XX, 65 e seg.Oom. Lip$. II, 768 e seg,
124. PER IKDI: giù per l'albero, v. 118,
sol qoale l'aqnila ha saa stanza.
127. K QUAL: e dal cielo venne nna voce
dolente, quale esce di onore aflUtto. Al-
lude alla nota leggenda» che dopo la do-
nasione di Costantino si adisse dal cielo
una voce gridare : « Hodie diflàsum est
venenum in Ecclesia Dei » , la quali iMrole
Dante traduce liberamente: « Oh navicel-
la (—Chiesa) mia, come sei tu malcarioa!»
V. 180-141. U drago. Tra le due note
del carro si apre la terra, e ne eaoe on
drago ohe ficca la coda su per il carro,
e, ritirandolai trae a sé parte del fondo
e s* allontana. Il rimanente del carro ai
copre tutto lestamente delle penne lascia-
tegli dall' aquila. La figura del drago è
tolta àtXV Apoctditté (XII, 8, 4), dove il
drago ò detto essere « quell'antioo ser-
pente, che diavolo appellasi, e Satana,
il quale seduce tutta La terra »(Apoeal.
XII, 9; XX, 2). Anche neUa visione dan-
tesca il drago ò Satanasso, il quale de-
ruba la Chiesa dello spirito di umiltà e
di povertà ed accende ne* cuori la cupi-
digia di beni terreni. C^fr. Oom. IAp9. H,
755 e seg.
181. tr'ambo li ruote t la cupidigia
di onori e di denaro nacque nel clero
alto, del quale le due mote del carro,
sono per avventura il simbolo.
182. LA CODA : il proverbio : « Dove il
diavolo non può mettere il capo, paette
la coda. »
138. VESPA: paragona la coda del dra-
go al pungiglione della vespa, perofaè
occulto e maligno.
185. FONDO: del carro. - vago: non con-
tento del male fotto alla Chiesa, ma deai-
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[PAS. TKKBXSTB^] PUBO. XXXU. 186-147 [CABBO-MOSTBO] 679
130
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142
146
Quel che rimase, come di gramigna
Vivace terra, della piuma, offerta
Forse con intenzion sana e benigna.
Si ricoperse, e fnnne ricoperta
E Pana e l'altra mota e il temo in tanto.
Che più tiene un sospir la bocca aperta.
Trasformato cosi, il-dificio santo
Mise fuor teste per le parti sue,
Tre sopra il temo, ed una in ciascun canto.
Le prime eran cornute come bue.
Ma le quattro un sol corno avean per fronte :
Simile mostro visto ancor non fue.
deroflo di fargliene ben altri; appunto
eome la hipa, JV* It 9S-99. «Andoe-
aene d* mia fklsa openione In nn' altra
peggiore vagando, et dalla legge della
▼iitb diaoeae a qaella della rolattà et
▼ani piaeeri terreni »; Dan. - « Et re-
eeeeft Tagnt, Ideet avidi» ad male fa-
clendnm »; Serrav.
136. BiMAU: del carro, dopo ohe il
drago ebbe rapita nna parte del fondo.
« Pars vero qne remansit, ftiit venenata,
quia pastores Sooleaie et viri eooleaia-
stioi, qni remaneeront, vestieront se
fllaa pennaa, qnas dlmisit aquila, ideet
pompas dominandi, et divitlas, et dede*
ront se vltUs mnndania, onde tajtM sant
pravi et mali »t Serrav,
187. TiVACB: feconda, fertile; oonfr.
L, V§tU., akma., 189. -piuma: beni ter-
reni. - OFFBBTA ; non ooo^ttoto ; gì' Impe-
ratori sono ibrse da sooeare, i papi no
138. BAMA! buona, intendendo di fir
bene. Al. casta.
141. CHK PIÙ : in meno tempo ohe non
istà aperta la bocca quando si sospira.
«L'immagine del sospiro bene sta in
luogo, ore narra il Poeta cosa simboleg-
giante i goal della Chiesa »; L. Veni,,
Sima, 479.
T. 142-147. Le tette teete e le died
eomm» Cosi trasformato, il carro caccia
ire teste dal timone ed nna in dasoan
canto ; le tre hanno due coma e le qaat-
tro nno. Soko qnindi sette teste e dieci
coma; cfr. lf\t. XIX, 109 e seg. Il carro
si trasforma donqae sino a prendere la
Agora della bestia dell*iliH>eaÙfM (XVII,
1-18). « Le membra che vide organarsi
in lo ditto animale hanno a significare 11
sette Tisii datali, li qnall risii entronno
nella Chiesa si tosto com'ella possedlo
ricohesse temporali, li quali sono: Su-
perbia, Ira, Ararisia, Invidia, Lussuria,
Accidia e Gola. B perohò li primi tre
peccati oflbndono doppio, cioè a Dio e al
prossimo, sì li figura per quelle tre te-
ste del timone che aveano ciascuna due
coma. E perohò li altri quattro sono pure
diretti centra Io prossimo, sì pone a cia-
scuno pure uno corno. » Lan. Cosi, con
lievi modiflcasioni, OU., An. Fior., Poti,
Cau., Falio Boct., Benv., Veli., ecc. So-
pra altre interpretasionl cfr. Oom. lApt.
II, 769-763.
142. IL DiFiciO: il carro; confr. Inf.
xxxrv, 7.
146. ut FBDii: le tre teste del timone.
148. LI QUATTRO : le teste dei canti
del carro.
147. VISTO ANCOR NON PUB: AI. IN VI-
STA MAI NON Firn.
y. 148-160. Xa meretrice ed U gi-
gante. Sopra il carro trasformato in mo-
stro appare una meretrice con le ciglia
in tomo pronte, Agora della Chiesa ro-
mana qual era al tempi di Dante, spe-
cialmente sotto i pontefici BonifasioYIII
e Clemente Y . A fianco della meretrice
appare un gigante che la bada, simbolo
dei re di Francia e particolarmente di
Filippo il Bello. Ma avendo la meretrice
volto uno sguardo a Dante, il gigante
la fiagella tutta, discioglie il carro mo-
stmoso e lo trae con lei per la selva.
Nellosguardo della meretrice sono adom-
brate le pratiche di BoniAisio YIU con
Carlo re di Napoli, Federigo re di Sicilia
e principalmente con Alberto d'Austria;
nella flagelladone si adombrano le in-
giurie fotte da Filippo il Bello a Boni-
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680 [PÀB. TBBBS8TEE] PUBO. XXXn. 148-160
[eiQANTS]
148
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167
160
Sicura, quasi ròcca in alto monte,
Seder sopr' esso una puttana sciolta
M' apparve, con le ciglia intomo pronte ;
E come perchè non gli fosse tolta,
Vidi di costa a lei dritto un gigante ;
E baciavansi insieme alcuna volta.
Ma, perchè l'occhio cupido e vagante
A me rivolse, quel feroce drudo
La flagellò dal capo infin le piante.
Poi, di sospetto pieno e d'ira crudo,
Disciolse il mostro, e trassel per la selva
Tanto, che sol di lei mi fece scudo
Alla puttana ed alla nuova belva.
fuio vili, specie la fiMnosa scena di
Anagni, ofr. Pwrg, XX, 80 e seg. H tra-
scinare il carro per la selva figura il tra-
sferimento della Sede papale in Avignone
nell'elezione di Clemente V(1804). Per
tatto ciò ofir. Cbm. IAp$. II, 763-768. La
fonte, alla quale Dante attinse questa soa
ihntasia, è di nnoro VApocaHtte XVU,
M8;XVUI, 2eseg.
148. 8ICU11À: segno di grande sfisccia-
taggine.-MOim; «Non potest dvitas
absoondi sapra montem posita »; Jfott.
V, 14. -< Fabricasti lapanar taom in ca-
pite onmls Ti», et exoelsam taom fé-
dsti in omni platea »; Bfeh, XVI, 81.
140. saoLTA: sfrenata, lieendosa.
150. PRONTE: volgendo lascivamente gli
occhi in qaa e in lÀ. « Fomicatio malie-
ris in extolientiaocaloram etin palpebris
illias agnosoetar »; BceÌ49. XXVI, 12.
151. com: e qaasi facendo la gnardia
perchò nessano gliela togliesse.
152. DI COSTAI a lato, accanto a lei.
- DRITTO : stando in piedi, in atto di di-
fendere la saa drada, se alcuno volesse
rapirgliela.
163. uraiiMB: «nota la mataa volon-
tade la qaale denota colpa da ciascuna
parte »; Lan, Alcana volta BonifesioVm
e Filippo il Bello parevano essere d*ac-
oordo.
164. VAGARTI: mobile; «qoiaBonifia-
cias nolebat amplios pati servitatem
PhilÌppi»;BMio. Cfr. Od, IUtynald.,Ann,
éeol. ad a. 1808, n. 3 e seg., 84.
156. A KB :« ogni fiata che li papi hanno
guardato verso lo popolo cristiano, cioè
hanno voluto rimaoversi e astenersi da
taleavolterio, li detti giganti, cioè quelli
della Casa di Francia, lumno flagellatoli
e infine mortoli, e ridottoli a sno vede-
re »; Lnn.
167. DI 808PKTT0: ohe la drnda gU
fosse tolta, o ohe ella si desse altro!. -
IRA: perchè la druda aveva volto l'oc-
chio desideroso e mobile al Poeta.
168. DI8CI0L8R: dall' albero al quale il
Grifone avea lasciato legato A carro,
V. 51. - IL MOSTRO : il carro trasformato
in mostro, v. 186 e seg.
169. TANTO : si addentro nella selva, ohe
questa mi tolse dagli ooohi e la meretrice
ed il carro che era divenuto mostro mai
più veduto. - BOin)0 : « quasi dioat, quia
Inter me et monstrum interpodta est
Sylva»; Benv,
180. MUOVA: strana, insolita, non mai
vista; lat. nova.
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[PAB. TBBBEBTBK]
PlTBG. XXXIII. 1-10 [CANTO B 808PIB0] 681
CANTO TRENTESIMOTERZO
PABADI80 TEBBESTBE
VATICIKIO DI BEATRICE, IL CINQUECENTO DIECE E CINQUE
ULTIMA PURIFICAZIONE DI DANTE, IL FIUME EUNOÈ
10
« DenSf venerunt gentes » alternando
Or tre or quattro dolce salmodìa,
Le donne ìncominciaro, e lagrìmando,*
E Beatrice sospirosa e pia
Quelle aécoltava si fatta, che poco
Pi& alla croce si cambiò Maria.
Ma poi che l'altre vergini dier loco
A lei di dir, levata dritta in piò.
Rispose, colorata come foco :
€ Modicum^ et non videbitis me,
y. 1-12. Ccmlo e tospiro. Allo atra-
rio del carro, ohe rappreseota la Chiesa
neOe sneTioende, le sette ninfo, flgaranti
le «ette Tlrth, cantano alternamente dol«
ce e lagrlmoaa melodia ; Beatrice le ascol-
ta seaptrosa, ool Tolto atteggiato a pietà;
poi, diyampante di solo, risponde annon-
siaódo yioino il soccorso.
1. Dkus: Dens, venenmt gentes in
hereditatem tnam ; pollaemnt templnm
sanctom taam »; Ps. LXXVIII, 1. Dante
appUca questo Salmo, nel quale si pian-
ge la distruzione di Ctomsalemme e del
sno Tempio per opera dei Caldei, ai gaa-
sti della Chiesa descritti alla Une del
eanto antecedente.
3. OB TBS: « le tre [virtadl] diceano
rimo verso, e le quattro diceano Taltro
T6C80 con pianto e con canto » ; Ott. -
DOLCB aALiioi>U: « cantnm psalmi dnl-
oem, lioet esset de materia amara »;
4. BOSFiBoeA K PIA s gemente per pietà
della Chiesa straaiata.
0. 81 CAMBIÒ: mutò di colore, yedendo
Cristo, il dlTin suo figlio, in croce. « Qno-
modc... mntatns est color optimns »;
LametU, Jer. IV, 1.
7. L* ALTEE: le tre e le quattro ninfe.
- DiBB LOCO : arcndo finito di cantare il
salmo.
0. COLORATA: di ftiooo di santo telo
ed amore, come pare di santa ira per i
gaasti della Chiesa, della qnale ella ò
gaardiana; ofir. Fwg, XXXII, 95. «Coi
plnrimns ignem Soblecit mbor et cale-
fkota per ora cacarrit » Yirg., Aen* XII,
65 e seg.
10. MODicUM: parole di Cristo a* suoi
discepoli: « Un pochettino e non mi tc-
drete ; e di nnovo an pochettino, e mi ve-
drete»; (7to«. XVI, 16. Come i discepoli
di Cristo ftarono privati della vista del lo-
ro Maestro, così Dante e gli altridella vi-
sta del mistico carro ; come Cristo pro-
mise al discepoli ohe lo rivedrebbero tra
poco, cosi Beatrice annnniia con qoeste
parole che tra poco il carro sarebbe ri-
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[PAB. TKEEESTBB] PUBO. XXXIII. 11-80 [DANTE E BEATRICE]
13
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Et iterutrif sorelle mie dilette,
Modicum, et vos videbitia me »
Poi le si mise imianzi tutte e sette,
E dopo so, solo accennando, mosse
Me e la donna e il savio che ristette.
Cosi sen giva, e non credo che fosse
Lo decimo suo passo in terra posto,
Quando con gli occhi gli occhi mi percosse ;
E, con tranquillo aspetto, < Vien più tosto, >
Mi disse, € tanto che, s'io parlo teco,
Ad ascoltarmi tu sie ben disposto. »
Si com' io fui, com' io doveva, seco,
Dissemi : « Frate, perchò non ti attenti
A domandarmi omai venendo meco ? »
Come a color che troppo reverenti
Dinanzi a' suoi maggior parlando sono,
Che non traggon la voce viva ai denti,
Avvenne a me, che senza intero suono
Incominciai : < Madonna, mia bisogna
Voi conoscete, e ciò eh' ad essa è buono. »
condotto Dell* soa sede stabilita da Dio
(In/. Ili 22 e seg.), e ripristinato noli' an-
tica, primitiva soa forma. Questi Tersi
esprimono la speransa della restitnzione
della Sede papale da Avignone a Roma,
e della riforma morale della Chiesa. Cfr.
Oom, Lipt. n, 770 e seg.
V. 13-83. Colloquio tra JDanU e
Beatrice, Si allontanano dall' albero,
movendosi nel medesimo ordine della
processione : le sette ninfe coi candelabri
precedono, poi viene Beatrice, da nltirao
Dante, Hatelda e Stazio. Fatti appena
dieci passi. Beatrice invita Dante a ftir-
sele pih vicino per intender bene qaanto
ella gli dirà. Qaindl gli chiede perchò egli
non le faccia lUcana domanda ; al che Dan-
te risponde, che ella conosce ciò che a lui
giova sapere. Beatrice lo esorta a non
temere e a non vergognarsi omai più.
14. SOLO AOCKfHANDO : Soltanto con nn
oenno, sensa profTerir parola.
15. LA DONNA E IL SAVIO : Matelda e
Staiio. - RISTETTE: rimase presso a noi,
allorché Virgilio si allontanò; ofr. Purg.
XXX, 49 e seg.
17. DECIMO! ha/oTM im senso aUego-
rioo; ma quale! cftr. Purg, XXIX, 81.
18. QUANDO : allorché, gnardandomi in
viso, percosse (cfr. Purg, XXX, 40 e seg.)
gli occhi miei ooUo splendore d«* «noi.
« Modo efficacissimo a significare la gran
forza d'nno sgoardo di Beatrioe »; Setti.
19. TRANQUILLO : non pih severo e sde-
gnoso, come quando gli rinfliodaTa 1 tnoi
traviamenti, P%wg, XXX, 70 e a^., né
pih Mtpirota e pia come testé, quando
deplorava 1 mali della Chiesa. - yien :
« accelera il passo, acciò mi stìi di paro,
e ben disposto ad ascoltarmi »; Lomb.
22. DOVEVA : per ubbidire. - seco : di
fianco a Beatrioe.
23. NON TI ATTENTI: non hai animo,
non ardisci interrogarmi.
26. REVERENTI : « Klverenza non è al-
tro che confessione di debita suggeslone
per manifesto segno »; Oonv. IV, 8.
26. MAGGIOR: «sicirtdisoipulnsoonra
magistro»; Benv.
27. VIVA: intera, pronunziata discin-
tamente. Cfr. Homsr,, Ody: IH, 82-35.
Ariot., Ori. Pur., XLII, 98.
28. INTERO: senza prononsiare oona-
pintamente le parole.
29. BISOGNA : dò ohe mi oocorre e può
essermi utile di sapere.
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[PAB. TSBBS8TBK]
PUEO. XXXIII. 81-42 [CHIESA 1 IHPEBO] 683
31
34
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40
Ed ella a me : « Da tema e da vergogna
Voglio che ta omai ti disviluppei
Si che non parli più com' nom che sogna.
Sappi ohe il vaso, che il serpente mppe,
Fa e non è; ma chi n'ha colpa, creda
Ohe vendetta di Dio non teme snppe.
Non sarà tatto tempo senza reda
L' aquila che lasciò le penne al carro,
Per che divenne mostro e poscia preda;
Ch*io veggio certamente, e però il narro,
A dame tempo già stelle propinque,
Sicore d'ogni intoppo e d'ogni sbarro;
82. MSViLUFFK : disvllnppi, Uberi. «Te-
in» e Tergog^ft (oome nel CMito XXXI,
13: Oof^'utions « paura intiems mitU)
fumo xm Tiinppo tra sé, e «yyilappano
il sentimento e H pensiero, e quindi la
parola di Dante »; Tcm.
88. COM'UOM: con parole tronche e
eonfiue, come Ik olii parla dormendo.
« Qoalia non totas pera^^nt Insoronla
▼oeeo »; StaL, Thèb. V, 648. Ckmfr. Pe-
trarca I. 8&IÌ. XLI, 7 e seg. Ta$»o, Qe-
ru». Xni, 80.
V. 34-61. 1/nvvm^re detta Chieaa e
deit^Ianpero, Beatrice predice ohe Iddio
farà Tondetta dello etrasio della Chiesa
e ohe r aquila avrà a saa volta nn erede,
polchò un Hesso di Dio verrà ad ucci-
dere la meretrice insieme con quel gi-
gante ohe pecca con lei. Blla ha la co-
edema di parlare oecaro; ma i fatti che
avrerranno tra breve, scioglieranno pie-
namente V enimma.
34. IL VASO : il mistico carro. - bkr-
PSKTB: il drago, cfr. Purg. XXXII, 180
e eeg. - « Qael gran dragone, quell'an-
tico aerpente, che diavolo appellasi e
Satana »; Apoeal. XII, 0. - ruppb: fic-
cando la ana coda sn per il carro, e con
casa poi traendone parte del fondo.
85. FU B M02V ft: parole iisAV Apoealiite
XVII, 8 : « La bestia ohe hai veduta fu
e non è. » Secondo la mente di Dante, la
sedia papale in Avignone non era la cat-
tedra di 8. Pietro, ma una brutta cari-
catara di essa; i papi Bonifìisio Vili e
demente V non erano successori legit-
timi di 8. Pietro, ma usurpatori ; confir.
Piar. XXVII, 22 e seg. - chi : il gigante
ohe trascinò via il oarro trasformato in
- CREDA ; resti persuaso.
86. SUFPK: « qui [il Poeta] Intromette
una usanza ch'era anticamente nelle parti
di Grecia in questo modo, che se uno uc-
ddea un altro, elll iK>tea andare nove di
oontinui a mangiare una soppa per die
suso la seiK>ltura del deftiutof ne'l Co-
mune nò i parenti del morto non Aioeano
più alcuna vendetta. Ed usasi a Firense
di guardare per nove di la sepoltura d'u-
no ohe fosse uociso, acciò non vi sia suso
mangiato snppa »; Lan, A. questo uso
superstisioeo riferiscono 11 presente verso
tutti gli antichi ed il più dei moderni. Al-
tri per la tuppa intendono il Sacrificio
della Messa ( Dan., Aroua, B^nna$., ecc.).
Altri interpretano in modo diverso ; cfr.
(hm. Lip». II, 774-776.
87. SEDA: erede; cfr. It\f. XXXI, 116.
Purg. VII, 118. Al. erbda. L'impero
non sarà sempre vacante. Dante lo con-
siderava come tale ; cfr. Oonv. IV, 8.
88. L'AQUILA: Al. L'AOUQLLA.-LBPEN-
ICB: cfr. Purg. XXXII, 124 e seg.
89. PKB CHB : per avere accettata la
piuma offerta (—beni temporali) il carro
della Chiesa si trasformò mostruosa-
mente, e poi divenne preda del gigante ;
ofr. Purg. XXXII. 142 e seg.
40. cu' IO VEooio ! peroiocchò lo vedo
in Dio con oertessa, e perciò me ne fac-
cio annunsiatrioe, sorgere tra breve stelle
sicure da ogni c<nitrasto e da ogni osta-
colo, che ool benefico loro influsso ci ap-
porteranno nn tempo migliore, nel quale
un Messo di Dio ucciderà la meretrice
ed il gigante.
41. STELLE: una costellazione già vi-
cina.
42. SICURE : Al. SICURO. - SBARRO t OSta-
colo ; cfr. DiBZ, WdH. V, 56 e seg.
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684 [PàB. TBBBE8TBB] PUBG. XXXIU. 43-51 [CHISSÀ B IMPEBO]
43
46
40
Nel quale un oinquecento dieoe e cinque,
Messo di Dio, anciderà la fuia
Con quel gigante che con lei delinque.
E forse che la mia narrazion, buia
Qual Temi e Sfinge, men ti persuade,
Perch'a lor modo lo intelletto attuia;
Ma tosto fien li fatti le Naiàde,
Che solveranno questo enigma forte.
Senza danno di pecore o di biade.
43. oiNQUiCENTO: Dmnto imito uiohe
qui il lingaaggio àtUTApocoliué (Xm,
18), dove col nomerò 660 è deaignAto il
nome Neron Ocmar, lì numero DXY dà
la paroU DYX, daoe, capitano. Il Poeta
esprime pertanto la speransa in xm daoe
Tentoro ohe riformi la Chieaa e ripristini
Taotorità Imperiale. Non si pnò decidere
con qualche oertezia, se egli mirasse ad nn
personaggio determinato, oppnre espri-
messe nna speransa vaga, generale, in-
determinata. I più identificano U DX7
col Veltro (cfir. Jf\f. 1. 100111). Snlle di-
Terse interpretasioui dell' enimma ott,
Oom, Lipt. II, 801-817. Alla letteratora
oolà registrata sono da aggiungere : Sug-
g»o della Torr; Poeta-Veltro, 2 toI. Ci-
Tidale, 1887-90. G. Paletto, Aieuni etudi
iu D. AL Siena, 1802, p. 85-110. DalF^tt.
in poi i pih si avvisano ohe il DXV sia
Cangrande della Scala. Ruggero della
Torre dettò nn grosso volnme per dimo-
strare che Dante allude a sé stesso I On-
de altri volle leggere Dante Xrieti Ver-
tagu». Ma Dante scrisse un cinquecento
diece e einqxie non già DXV. Lo stesso ò
da osservare a ohi vuol leggere Dominut
Xrietue Victor, o Vltor (oltor), o Vindex,
ed intendere della seconda venuta di
Cristo; come pure a chi legge Domini
Xrieti Vicariai, intendendo di un papa;
ofr. Eneiel., 878 e seg.
i4. DI Dio : Al. da Dio. - fuia: ladra.
Chiama cosi la meretrice perchè si usur-
pò il luogo sopra il carro, dove ta vista
sedere; cfr. It\f, xn. 00. Par, IX, 75.
45. CON QUKL: Al. K QUEL. - OiaANTB:
la Casa Reale di Francia. - dbumqub:
pecca, prima coli* esserle drudo, Purg,
XXXII, 153,cfr. JnA XIX, 108, e poi col
farsene il camefioe ohe la flagella « dal
capo insin le piante»;Puffy. XXXII, 156.
46. MABRAZiOR: predislone, vaticinio. -
BUIA: oscura, di difflcUe intelligensa.
47. Tsm: lat. Themie, gr. Béinq, per-
sonaggio mitologioo, Temide, figlia di
Urano e della Terra, celebre per 1* oscu-
rità de* suoi oracoli; ofr. Ovid,, Mei. I,
847-415.irom., Od^t. U,9S,Bwr^., Ipkig,
1181 e seg. - Spingb: ente &v(doao deUa
mitologia greca, egisiana ed indiana, fi-
glia di Tifone e della Chimera (ofr. Be-
-eiod., Theog., 826), dalla &ooia muliebre e
di natura feroce, che abitava sul montò
Fino presso Tebe, uccideva 1 viandanti
che non sapevano sciogliere il suo enim-
ma, il quale ta sciolto da Edipo. « Si
Sphingos inique Callidus ambages, te
pr»monstrante resolvi »; Stat., Theo. 1,
66-67. Cfr. Ovid., Met. VII, 750 e seg.
48. PBBCH* A LOR MODO : perchè la mia
narradone oscura ed ofibsca il tuo in-
telletto, come gli oracoli di Temide e IV
nimma della Sfinge. - attuia : « obtorat
et obscorat »; Benv.
40. TOSTO : ma i fiotti esplicheranno ben
presto la mia predizione. -Kaiàdb : ninfe
feUdiche, con allusione ad Ovid,, Met,
VII, 758 e seg., dove si legge Laiadee.
cioè Edipo figlio di Lato ; ma ai tempi di
Dante nei manoscritti di Ovidio ai leg-
geva Kaiadee. Senso: i fettl saranno in-
terpreti della cosa. Cfr. Monti, Saggio
dei moUi errori, ecc., 05 e seg.
50. BNIOMA: del DXV. -fosti: diffi-
cile ed oscuro; ofr. Purg. XXIX, 42.
51. DANNO: sensa che ne derivi quel
danno ohe sofl!»rsero 1 Tebani. ai quali
Temide mandò una fiera che divorò le
loro gregge e devastò i loro oampi; ofr.
Ovid., MeL VII, 762 e seg.
V. 52-57. Za mUeione di Jkmie.
Beatrice prega Dante di dsre attenaione
a ciò che gli ha detto ed a ciò ohe ancor
gli dirà, e di raccontare poi ai mortali,
una volta ritornato nel mondo, dò che
ha veduto ed udito, e prindpahneBte
quale egli ha veduto la pianta nel Pa-
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[PAB. TSBB8STRE]
PUBO. XXIIII. 52-66 [PIANTA BACBA] 685
52
6S
61
M
Ta nota; e si, come da me son porte.
Cosi queste parole segna ai vivi
Del viver eh' è nn correre alla morte ;
Ed aggi a mente, quando ta le scrivi,
Di non celar qual hai vista la pianta,
Ch'è or due volte dirabata quivi.
Qualunque ruba quella o quella schianta,
Con bestemmia di fatto offende a Dio,
Ohe solo all'uso suo la creò santa.
Per morder quella, in pena ed in disio
Ginquemili'anni e più l'anima prima
Bramò Colui che il morso in sé punio.
Dorme lo ingegno tuo, se non istima
Per singular cagione essere eccelsa
Lei tanto, e si travolta nella cima.
ndlflo terrestre, dae Tolte dembata. Cfr.
Pelato, Sludi, Siena, 1892, p. 201-210.
52. PORTE: efir. Tf^. II, 185.
63. SBOITA: Al. IHSRGHA.
54. DSL viYBB: della prima Tita, ohe
ò un passaggio alla morte; cfr. Oonv.
IV, 28.
65. Aooi! abbi ofr. yantwc.. Verbi,
488. JHa, Boman. Oram. II*, 611.
56. qual: «la di lei altezza, il modo
di spandere i rami, il dlspogliamento in
eiti si trovava di fiori e di frondl prima
elle ad essa fitsae legato 11 trionflile car-
ro .; Zomb. Cft. Purg. XXXII, 88.
57. DDE VOLTE : la prima da Adamo, la
necooda dal gigante. GoALan., OtL, An.
Fur., Poti, Oa$9., Pttr, Dani., Andr.,
Witte, eoo. La prima volta da Adamo, la
seconda dall'aqtdla; Benv. La prima volta
dall'aquila, la seconda dal gigante ; BuH,
Land., VelL, Dan., Tent., Lomb., ecc.
La prima volta dall'aquila, la seconda dal
drago; TvrtUi, Bd. Pad.,Borg.,TrU9.,eoo.
La prima interpretazione pare la vera;
cfr. Oom. lÀpt. II, 783 e seg.
V. 68-78. 1/ int/MaìMitù, gaerotanta
deW Albero deiVItnpero, Beatrice con-
tinoa il sno ragionamento. Chionqoe de-
ruba 0 schianta l'Albero figurante 1* Im-
pero, offènde ooi fistti l' onore di Bio ohe
lo santifioò alla Sua gloria. Per aver mor-
so e gustato il frutto di qnell' libero, l'a-
nima di Adamo stette oltre cinquemila
anni nel Limbo, aspettando Colai che,
morendo sulla orooe, espiò tale colpa. E
, non senza una parifoolare ragione l' li-
bero ò tanto alto e travolto nella dma,
vale a dire si dilata quanto più s'in-
nalza. Solamente per tali e sì gravi oir*
costanze si può conoscere la giustisia di
Dio e gli alti suoi fini nell' interdetto
fstto in riguardo dell' albero, appostan-
done il senso morale.
58. BUSA : ruba la pianta chi le toglie
il carro, come fece il gigante ; chiunque
si usurpa cose e diritti che appartengono
i^r Impero, come fa la gente che do-
vrebbe esser di vota e lasciar seder Ce-
sare nella sella, Purg. VI, 01 e seg.
Schianta l'albero chi attenta all'autorità
imperiale.
60. DI FATTO: bestemmia più grave
assai che di parole.
60. ALL'UBO SUO: per rappresentarlo
in terra; cfr. Bom. XIII, 4, 6.
61. PBU MORDER: per aver mangiato
del frutto della pianta. - pena : di pri-
vazione. - Disio t di salvazione ; oonfr.
lT\r. IV, 42.
62. CINQUEICILI' AKNI : 6232, cioè 080
sulla terra e 4802 nel Limbo; cfr. Par.
XXVI, 118 e seg. Dante si attiene alla
cronologia di Eusebio, secondo il quale
Cristo nacque 1* anno 6200 dopo la crea-
zione del mondo. Cfr. Oom. Lipt. II, 783.
- L* AKIMA : di Adamo.
68. Colui : Cristo, morto per espiare
il peccato di Adamo.
64. DORME: non è in azione. - istdca:
argomenta.
66. ECCELSA : alta ; cfr. Purg. XXXII,
40 e seg. ^ i
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686 [PAR. TEEE1C8TRB] PUBO. XXXllI. 67-78
[PIAKTA 8ACBA]
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73
76
E se stati non fossero acqna d'Elsa
Lì pensier yani intomo alla tna mente,
E il piacer loro nn Piramo alla gelsa,
Per tante circostanze solamente
La giustizia di Dio, nello interdetto,
Conosceresti all'arbor moralmente.
Ma, perch'io veggio te nello intelletto
Fatto di pietra, ed impietrato, tinto
Si, che t'abbaglia il lame del mio detto.
Voglio anco, e se non scritto, almen dipinto.
Che il te ne porti dentro a te, per quello
Che si reca il bordon di palma cinto. »
67. SE STATI: e se i ▼•ni pensieri non
avessero indorato la toa mente. - acqua
d' Busa : che, essendo satura di addo
carbonico e di sotto-oarbonato di calce,
ha la proprietà d' incrostare i corpi che
vi s' immergono. L' Blsa è nn flamicello
della Toscana che esce dal fianco occi-
dentale della montagna di Siena, bagna
parte del territorio Sanese e parte del
Fiorentino, costeggia la strada volter-
rana e si scarica nell'Amo a pochi chi-
lometri da Empoli e da Ponte d'Blsa.
< Kisi mens tna labilis esset saxificata
eo modo qno aqaa Elsie»; Beno.
68. nrroRMO : pone i p&niisri vani non
neUa mente, ma intorno ad essa, avendo
forse rispetto agli oggetti sai qoall la
mente s'aflissa.
69. IL PIACER: e se il diletto che pren-
desti de* vani pensieri, non avesse mac-
chiato il candore della tna mente, come
Piramo col sno sangae macchiò il can-
dore dei flratti del gelso, che di bianchi
divennero rossi ; ofr. Ovid., Metam, IV,
56-166. Purg. XXVII, 87 e seg. - gelsa :
il ftntto del gelso, la mora.
70. PEE TAUTB: per tutto ciò che ti è
mostrato in tante figaro ed i^legorie,
avresti potato conoscere moralmente la
giostisia di Dio nel precetto dato ai pri-
mi parenti, qaaai cioè fosse in quello in
qaalohe modo significato o dettato ciò
che Dio volle sulla inviolabilità ed in-
tegrità dell'Impero, e sul rispetto ed
ossequio dovutigli.
71. iutebdetto : di manomettere 1* al-
bero.
72. MORALMEHTB: cfr. OonV. II, 1.
74. FATTO : Indarito come pietra : « In-
iravernnt facies snaa supra petram »i
lerem, Y, 8. - < Auferam cor li^iideum
de carne vestra »; Bteeh. XXXVI, 26. -
ED IMPIETBATO, TUTTO : ed, in consegueu-
sa del tuo indurimento, oscurato nell* in-
telletto. < Qual dica : io veggio ciò che
io ho detto di sopra a te, cioè parlando
dell'acqua d* Elsa e di Piramo, che t'ha
impetrato, e la pietra è tinta di brano,
sicché tu non se* atto a ricevere la luce
fùlgida del mio mistico parìare > ; Ott.
Al. IN PECCATO TDiTO, ciò cbe, dopo aver
bevuto di Lete, Dante non era più.
76. SCBIITO : se pure non chiaramaite
inciso, che l'attuale ofltiscamento del
tuo intelletto noi consentirebbe, almeno
adombrato.
77. POETI : che ti porti dentro a te il
mio discorso per dar segno agli altri di
quello che hai veduto ed udito, come i
pellegrini che ritornano dalla Palestina,
portano il bordone, cioè il bastone, or-
nato di foglie di palma per provare die
essi sono veramttite stati in Terra san-
to. Cfr. Vita N., § 41.
y. 70-102. UulUmo rimprovera, lì
Poeto protesto che le parole di Beatrice
gli sono profondamento impresse nella
mento, e domanda poi, perchè il parìa-
re di lei s' innalzi cotanto al disopra del
suo intendimento. < Ciò avviene > gli ri-
8p<mde Beatrice, «per farti conoscere Tia-
suffidensa di quella scuola filosofica alla
quale tutto ti desti, e per forti compren-
dere quanto inforiore è la sua alla mia
dottrina. > « Ma io non mi ricordo di
essermi mai straniato da voi. > € È na-
turale, avendo tu quest* oggi bevuto di
Leto, che cancella anche la memoria
del male; ma appunto la tua dimenti-
oansa prova la tna colpa. Però da om
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[PAB. TEBBISTRB] PUBO. XXXIII. 79-95 [ULTIMO RIMPBOV.] 687
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Ed io : « SI come cera da saggello,
Che la figura impressa non trasmuta,
Segnato è or da voi lo mio cervello.
Ma perchè tanto sopra mia veduta
Vostra parola disiata vola,
Che più la perde, quanto più s'aiuta? »
€ Perchè oonosehi » disse, « quella scuola
G'hai seguitata, e veggi sua dottrina
Come può seguitar la mia parola;
E veggi vostra via dalla divina
Distar cotanto, quanto si discorda
Da terra il ciel che più alto festina. »
Ond'io risposi lei: < Non mi ricorda
Ch'io straniassi me giammai da voi,
Né henne coscienza che rimorda. »
€ E se tu ricordar non te ne puoi, »
Sorridendo rispose, < or ti rammenta
in poi le mie parole saranno ohiare quan-
to sarà necessario per esser comprese
dalla ottusa e oorta vedata del tno in-
telletto. >
79. COMK CKEA : ofr. Fwg, X, 45. Oonv,
1, 8; II, 10. De Moti, n, 2. Come la cera
serba inalterata la figura impressavi dal
suggello, cosi la mia mente serba le vo-
stre parole.
82. VEDUTA: intelUgensa.
83. DISIATA : desiderata da me ; oonfr.
Vita N, § 3. iTkf. Y, 138.
84. FUDK : ohe riesce tanto più oeeura
ed inintelligibile al mio intelletto, quanto
più esso si adopera ed aflistioa ad inten-
derla.
86. scuola: della scienza nmana, alla
qnale Dante, in qael periodo della saa
vita «die inoomlndò dopo la morte di Bea-
trice e dorò sino al suo risveglio nella
selva osonra, fa dato qnasi esclosiva-
mente, trasoorando la sacra dottrina
rappresentata da Beatrice.
86. BAI BBOurrATA: qoando ti toglie-
sti a me e volgesti i passi tool per via
non vera; conte. Pwrg, XXX, 124-182. -
DornuHA : gli insegnamenti deUasdenxa
87. COMI : quanto essa ò incapace ed
inetta a sollevarsi alla contemplaeione
dei misteri deUa dottrina sacra e rive-
lata. « Hon oognovit mnndns per sapien-
tlamDeom»; I Oar. I, 21; confr. ibid,
n. 14.
88. VOSTRA : omana e mondana. - via :
« in generale dice vostra via, non dice
vostra dottrina assolatamente, cioè ha
rignardo alla pratica, che non ò qaella
volata da Dio »; Oom,
89. Bi DISCORDA: è distante. «Nonenim
cogitationes me», cogitationes vestrsa;
neqae vi» vestne, vi» me», dicit Do-
minas. Qoia sicnt ezi^tantar coeli a ter-
ra, sic exaltat» sont vi» me» a viis ve-
stris, et cogitationes me» a cogitationi-
bas vestris. » Itaia LV, 8-9. - « Sidera
terra Ut distante et fiamma mari, sic
utile recto»; Luean., Phart, YIII, 487.
90. PESTINA : si ain^tta. « Il cielo che
più velocemente mota ò il Primo 3fo-
hiUt secondo il sistema di Tolomeo. Per
impulso di questo tutti i cieli Inferiori
movendosi inrieme uniformemente, è
cliiaro che il più alto o più remoto dal
centro comune sarà il più veloce. » An-
toneUi.
91. oxd'io: per avermi ella rimpro-
verato d' aver seguitato una scuola di-
versa dalla sua, e d'aver camminato per
una via diversa dalla divina. - lei : a leL
92. STKAiriASBi: mi allontanassi mai
da voi per seguitare nn'altra scuola.
93. BDf orda: che mi rimproveri d'aver-
vi lasciata.
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688 [PAB. TBBBXSTBB] PUBG. XXXIII. 96-110
[EUNOÈ]
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Come bevesti di Leto anooi :
E se dal fummo foco s' argomenta,
Cotesta oblivion chiaro conchiude
Colpa nella tua voglia altrove attenta.
Veramente oramai saranno nude
Le mie parole, quanto converrassi
Quelle scovrire alla tua vista rude. »
E più corrusco, e con più lenti passi.
Teneva il sole il cerchio di merigge,
Che qua e là, come gli aspetti, fassi;
Quando s'affisser, si come s'affigge
Chi va dinanzi a gente per iscorta,
Se trova novitate in sue vestigge,
Le sette donne al fin d'un' ombra smorta,
Qual sotto foglie verdi e rami nigri
96. INCOI: ftnooTO^, qaest'oggi; ofr.
Pttr^.Xin,62;XX.70.
97. E SS: « qol esemplifloa • dmile
Beatrioe ohe, A come quando si Tede
fommo, egli è notorio che qoivl è faooo,
oosì qnando i' nomo per la detta aoqoa
è in obliyione, egli è notorio che prima
▼I fa Visio *; An. Fior.
08. CONCHIUDB ; prova ohe V aver tn
rivolta la tna voglia altrove ohe a me,
fa atto colpevole, perohò delle sole colpe
toglie Lete la memoria.
100. oiUMAi: da ora in poi. - hudb:
chiare, qoanto è necessario per esser
comprese da te.
103. SCOVBIRE: aprire, manifestare. -
BUDK: rosea, incapace di comprendere.
V. 103-145. Za dolce bevanda del-
V aequa dell' I^WNOè. È imminente il
messogiomo. Beatrice, Dante, Matelda,
Staxio e le sette ninfe arrivano al fiame
Eanoè. Guidato da Matelda, Dante vi si
accosta, ne beve e ne gusta la dolcessa
che non può descrivere. Cosi egli final-
mente si sente ri&tto e disposto a salire
dal terrestre al Paradiso celeste.
103. C0BBU8C0 : fiammeggiante, splen-
dente. - PASSI: più lento nel sao corso;
cfk>. Par. XXIII, 11 e seg. A mezsodi
sembra che il sole sia pih fulgido e ohe
vada più lento.
104. IL OBBCHio DI MKBIGQB: il Meri-
diano; cfk". Purg. XXV, 2.
106. CHB QUA : « il qual meridiano cer-
chio non è un medesimo a tutti, così
pooo oome ancora quel deli' Orissonte,
ma ai fa ora qua ed ora là, nel volger
il globo della terra, secondo gli aspetti.
Perchè ogni parte ddla terra dietro il
corso del sole vien a riguardar in suso »;
Veli. 0 più chiaramente: «il qual meo-
sogiomo si fis ora qua ora là, secondo i
vari gradi di longitudine, in ohe i paesi
son posti, o secondo i luoghi da cui ai
guarda »; FrtU. CoA ì più. Invece VAn-
tondU: «il quale meriggio si fkin questo
e nell' altro emisfero seoondo le relaslosii
di posÌsi<me »; oppure : < B il sole tenera
il cerchio di meriggio con più splendore
e oon più lenti passi ohe nei preoedentt ;
perciocché in questo e nell'altro emialb-
ro si fìi (avviene) seoondo le reUdoai 4i
posixione. » Cfr. Oom. lApt, II, 793 e seg.
106. b'affissbb : quando le sette ninfis
si fisrmarono oome si ferma ohi prece-
de una compagnia oome guida, se In-
contra qualche novità sulla strada eh'el
tiene.
108. IM SUB: ne' suoi passi. Al. o sub
B* qualche novità, o vestigia di novità.
109. AL F»: là dove finiva l'ombra
della selva, bruna oome quella che l'Alpe
porta sopra i suoi rivi scorrenti soào
verdi fòglie. « Per questa ombra inten-
de la tenebrositade in ohe rimagnono le
virtudi quando della Chiesa ò latto mal
governo »(f); L<m,
110. QUAL : ombra; quarto caso. - m-
GBI : neri per antichità. « Stonbi nignim
Hioibus crebris sacra nemusaocnbet um-
bra »; Yirg., Georg. HI, SSSeaeg. - « Ki-
gne ferad firondis in Algido»; JSoraf..
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[PAR. TKBBBSTRB] PURO. XXXIII. 111-126
[BXTKOÈ] 689
112
115
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124
Sopra suoi freddi rivi l'Alpe porta.
Dinanzi ad esse Eafrates e Tigri
Veder mi parve uscir d' una fontana,
E, qnasi amioì, dipartirsi pigri.
« 0 lace, o gloria della gente umana,
Che acqua è questa che qui si dispiega
Da un principio, e sé da sé lontana ? »
Per cotal prego detto mi fu: < Prega
Matelda che il ti dica » ; e qui rispose,
Come fa chi da colpa si dislega.
La bella donna: < Questo ed altre cose
Dette gli son per me ; e son sicura
Che l'acqua di Leto non gliel nascose. »
E Beatrice: < Forse maggior cura,
Che spesse volte la memoria priva,
Fatt' ha la mente sua negli occhi oscura.
Od, rv, TV, 68. - « Obsoamm oiogena
eonnexJB aSr» ramls, Et gelldM alte sub-
motis solibua ombras »; Lttean,, Phart,
in, 809 e seg.
113. SUFBATR8 B TiGU : i doe floml del
Pandiao terrestre, ofr. €hne*. II, 10 e
Mg. Yeramente la Genesi parla di quat^
tro flmnl deriyanti dalla medesima sor-
gente. Dante sego! forse qnegl* inter-
preti obe fanno derirare il Pison ed il
Gehon dell' Eufrate e dal Tigri ; oppure
egli mirò qoiad nn passo di Boezio, Oont.
pha. Y, met. 1 : « Tigris et EapÀirates
nno se fonte resolmnt Et mox abinnctis
dissooiaiitiir aqnis. » Cfr. Oom. Lipt,
n, 795.
114. QUABI AMia : « qne' doe flnmi mo-
stravano d* andar lenti per il dispiacere
di doversi dividere, come sogliono gli
ami<d. Concetto aflbttoosamente genti-
le. » L, VenL, atmU. 182.
116. LUCE: ofr. JV. n, 76 e seg. « Ln-
eema pediboa meis verbnm tnnm, et lu-
men semitismeis»} Ptatm.CXYìXI, 105.
- « Ego som Inx mundi »; €fiov. Vili,
12. - « E^ lux in mnndum veni, ut omnia
qui credit in me in tenebils non ma-
neat»; ibid, XU, 46. Beatrice ò luce
della gente umana quale depositaria deUa
parola di Dio e rappresentante di Cristo.
116. SI nsPDEQA: scaturisce da una
sola fontana, e, diramandosi poscia in
due rivi, allontana una sua parte dal-
raltr».
118. PKB COTAL : per aver fotte io tale
preghiera, mi fo risposto da Beatrice, die
mi rivolgessi a Matelda. Anche in delo
Beatrice ripetute volte indirissa Dante
ai dottori che vanno man mano inoon-
trando, per avere risposta alle sue do-
mande.L'autorltàeccIesiastioa (Beatrice)
rimanda ifodeli al sacerdote (Matelda) ed
ai Dottori della Chiesa.
120. SI DISLIOA: si difonde da colpa im-
putatagli. « La colpa è nodo obe avvince
l'animo; e, come tale, lo slegarsene è più
di sciogliersene »; L. Veni., SUnU. 266.
121. ALTRB 006B: Matelda avea istruito
il Poeta non solo intomo alle acque del
Paradiso terrestre, ma esiandlo intomo
al vento di lassh, alle condiaioni del luogo
ed a* suol primi abitatori, cfr. Purg,
XXVIII, 88-144.
123. HABCOBB: non gliene tolse la ri-
oordanta, poichò quell' acqua toglie so-
lamente la memoria del male commesso,
ma non quella di cose buone o indlifo-
renti.
124. CUBA : di contemplare Beatrice,
di riflettere su tutto dò che ella gli aveva
detto, e spedalmente sui rimproveri da
Id fotUgli, e di fare atteniione alla pro-
cesdone, alle vicende dd carro ed alle
profoxie di Beatrice.
126. pbiva; della sua virtù.
126. FATT' HA : ha ofltascato gli occhi
ddla sua mente per modo, cbe non vi
vede più l'impressione lasciatavi dai tnd
44 -Dio. am
4» odia.
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690 [PAB. TMBB8TBE] PUBO. XXXin. 127-141
[BUHOfc]
127
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133
136
139
Ma vedi Ennoò che là deriva:
Menalo ad esso, e, come tu se' usa,
La tramortita sua virtù ravviva ! »
Com' anima gentil, che non fa scusa,
Ma fa sua voglia della voglia altrui.
Tosto eh' eli' è per segno fuor dischiusa ;
Cosi, poi che da essa preso fui.
La bella donna mossesi, ed a Stazio
Donnescamente disse : € Vien con lui. »
S' io avessi, lettor, più lungo spazio
Da scrivere, io pur cantere' in parte
La dolce ber che mai non m'avria sazio;
Ma perchè piene son tutte le carte
Ordite a questa cantica seconda,
Non mi lascia più ir lo fren dell' arte.
ammaestrameiitl. Per leggere ciò ohe la
mente Borisse (I^f. II, 8) è neoeesario ohe
gli ooohl di essa mente non sieno otta-
soati.
128. UBA: e oome ta sei abituata a
ilaooendere la soa virtù illanguidita,
riaooendigliela di naovo, fiu)endogli bere
dell*aoqaa di Eonoè. Aooennaa ràacionl
tra Dante e Matelda nel mondo di qua
ed all' ayerlo ella toflkto n^' aoqaa di
Leto.
130. OBHTIL: « l'anima gentile ò piena
di yirtù e eoA è piena di carità, e però
imbasciata o richiesta a bisogno altmi
non si scusa, ma adopera quello che sa
o può»; Butù
181. FA SUA: oonlbrma il suo volere
al volere altrui, non appena questo le è
fiitto manifesto per messo di un qua-
lunque segno, o di voce, o di cenni, o
d' latri atU.
138. PRESO: per mano da Matelda.
184. Stazio : ricordato qui per l'ultima
volta.
135. DomrBBCAMSNTR: con quella graxla
e gentUezsa ohe sono 11 pregio e la qua-
lità distintiva delle donne. Così Bmv.,
VeU,, Dan.,B%aff.,BùO.A},'. Con atto signo-
rile (ikm.« Veni., Lomb., (kt,,Tom., ecc.).
ft dcnneteo un atto signorile ! H BuU leg-
ge con qualche codice oksStamkntb.
180. AVB8SI: « Atque equidem, estre-
mo ni iam sub fine laborum Velatraham
et terris fostinem advertere proram, For-
«itan et pinguls hortos qne cura colendi
Omaret, canerem »; Virg., Georg, IV, 116
e seg.
187. IH PABTB : per quanto sarebbe pos-
sibile ad ingegno e lingua mortale, ohe,
in tutto, ninna lingua ed ingegno po-
trebbe. Così Dan,, Biag., Br,B., Frat,,
Triit., Frane,, eoe Al.: In disparte, in
un altro canto {X^onib,, ecc.). Ma ò evi-
dente ohe il pur contraddice a questa
interpretasione.
188. BBB: dell'acqua di Snnoò. I pia
suppongono ohe vi fosse attnflBsto, oome
nel Lete. Ma di una immersione nell* Sn-
noè il Poeta non fa cenno.
139. PiEKB: compiuti i trentatrè canti
destinati a questa seconda cantica. Nella
divisione del suo poema, Dante osserva
rigorosamente le leggi della simmetria.
Ogni cantica ha 83 canti (il 1» deU' JV-
essendo il proemio generale a tatto il
Poema), il poema ha 14,288 versi, oioò
rinf, 4730, U Purg, 47S5, U Par. 4758.
Le parole sono 99,542, doò 38,444 nel-
l'I»/., 38,379 nel Purg., 82,719 nel Por.
Ba questo passo sembra ohe il Poeta
avesse fissato anticipatamente persino il
numero approssimativo dei versi di ogni
cantica.
140. ORDITE: predisposte, oome l'or-
dito aliatela.
141. LO FRBN : la nonna dèU' arte, la
quale richiede la proporslone, vuole ohe
io ponga qui fine a questa seconda can-
tica. « Sed nos immensum spatiis confò-
dmns lequor, Bt iam tempus eqaom fìi-
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[PAB. TEBBI8TBB] PUBG. XXXIII. 142-145 [BUMOÈ] 691
142 Io ritornai dalla santissim'onda
Rifatto si, come piante novelle
Binnovellate dì novella fronda, •
ii5 Poro e disposto a salire alle stelle.
nuuitU solvete ooUa »^ Virg,, Qtùrg, II, mali frigore viBonm Fronde ylyere no-
541 e aeg. r% »; Aén„ VI, 205 e Mg. Cfr. Furg.
142. BiTOBHAi: là doT6 Beatrice era XXXII, 52 e eeg.
rimasta ad aapettanni, ▼. 128. 145. btklls : con qaesta parola flni-
148. RIFATTO : « Poet abi ooUeotom ro- scodo tutte e tre le oantiolie del poe-
hìiTrii9èqnentectm»iVirg.,€horg.lU, ma, forse ad aecennare dorè Toochio
235. - « Annis animisqoe refecti » i Tirg,, dell'acme deve mirare, cfr. Pwrg, XIV,
Am, Xn, 788. 148 e seg., e dorè egli trora l' ultima
144. Bnm OYSLLATB t rinverdite alla pri- pace e la vera beatitadine. ft come l'esor-
maTenk«BeaoTaminiaotem spirita men- tastone del Segnati, Pr$d. Xt «Al de-
tis Tesine »; ^e$. IV, 28. - «Borsos re- lo ! al delo ! » Del resto Dante si oonlbr-
nerari ad pcBnitentiam »; Htbr, VI, 6. ma ali* oso dei poeti del tempo, che ama-
VirgiUo del ramo d*oro svelto da Enea vano terminare colla stessa parola più
e ripollolante: « Quale solet silvis bru- cansool formanti on ddo.
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LA
DIVINA COMMEDIA
CANTICA TERZA
PARADISO
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CANTO PRIMO
PROEMIO DEL PABADISO
INTROITO ED INVOCAZIONE, SALITA ALLA SPERA DEL FUOCO
MODO DEL SALIRE, ORDINE DELL'UNIVERSO
La gloria di Colai che tutto move,
Per V universo penetra, e risplende
In nna parte più, e meno altrove.
Nel ciel che più della sua luce prende,
Fu' io; e vidi cose che ridire
Né sa, né può chi di lassù discende;
V. 1-12. ItUroito, o propoBUfione
détP argomento. La gloria di Dio, pri-
ma oanaa e primo motoro, penetra e ri-
Bplende per tatto i'imlyereo, essendo
SgU sostandalmente presente a tatto le
Goae. Ma essa rlsplende nel creato più
o meno, secondo la maggiore o minore
perfesione delle oreatare. Neil' Empireo
Dio si manifesta immediatamente alle
ereatnre intelligenti; opperò V Empireo
è più di qualsiasi altro cielo o regione
deU*anÌTerso mostrato della loco di Dio.
Lassù ftd io e vidi cose che non so ridire ;
perchè, appressandosi al fine di tatti 1 saol
dealderii, il nostro intelletto si profonda
tanto, che non pnò essere segaito dalla
memoria. Dirò tnttayia del celeste regno
qael tanto, di ohe ho potato fkr tesoro
nella mia memoria.
1. Colui : Dio, il qoale è «movens non
motnm >; Tkom. Aq., 9um, theol, 1, 105,
2. - « O qói perpetna mandnm ratdone ga-
bemas Terrarnm coellqae sator, qai tem-
pas ab ero Ire inbesstabilisqae manens
das eoneta moreri »; SoH,, Oont, phU,
m, metr. 0. - « Con Lei [la Sapiensa] Id-
dio cominciò il mondo e spesialmente il
morimeato del delo, il qoale tatto le
cose genera e dal qnale ogni movimento
ò principiato e mosso»; Oonv, HI, 15.
2. PKMXTRA : « jMiwCroe qnantom ad es-
sentiam, retplendet qaantom ad esse »;
Bp. Kani, 28. Conflr. Salm. XVIII, 2 ;
CXXXVin. 7-12. JBcelet, XLn. 16.
Isaia VI, 8 ; LXVI, 1. Gerem. XXIH,
24. Bum. XI. se.
8. Fiù, E MKKO : seoondo ohe la cosa è
atta a riceverla. « La divina bontà in
tatto le cose discende ; e i^trimenti es-
sere non potrebbono; ma ayregnacliò
qnesta bontà si maova da semplicissimo
principio, diversamente si riceve, secon-
do più o meno, dalle cose riceventi »;
Oofw. ni, 7. Cfr. Vidg. Et. 1, 16. Uaia
LXVI, 1. Thom. Aq., Bum, theol. I. 8, 1.
Biynav., Oomp. theol. Hognnt., 1609, p. 695.
8. Berhh. Médit., 1 : « Dens in creaturìs
mirabilis, in hominibas amabilis, in an-
gells desiderabUis, in se ipso incompre-
hensibilis, in reprobis int<àerabilis, item
in damnatis nt terror et horror. »
4. ciBL : empireo, sede della Divinità ;
cfir. Oonv, II, 4. Sp. Kani, 24.
6. HE SA: non ricordandosene. - nà
PUÒ: essendo qnelle cose tanto eccelse
e sablimi, ohe il lingnaggio amano non
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696 [proemio]
Par. I. »-l8
tlKYOCAZIOKB]
10
18
16
Perchè, appressando sé al sao Disire,
Nostro intelletto si profonda tanto,
Ohe retro la memoria non può ire.
Veramente qoant' io del regno santo
Nella mìa mente potei far tesoro,
Sarà ora materia del mio canto.
0 buono Apollo, all' ultimo lavoro
Fammi del tuo valor si fatto vaso,
Come domandi a dar l' amato alloro.
Infine a qui Fun giogo di Parnaso
Assai mi fu; ma or con ambedue
M* è uopo entrar nell' aringo rimase.
è oapaee di esprimerie ; ott, II, Cor, XII,
1*4. Sp, Kam, 29. Thom, Aq„ Bum.théol.
n, n, 175, 8. - OHI : Al. QUAL. Ghionqne
dftl cielo ritorna in qnesta mortai Tita,
ò tuttora mortale (ohò i beati non oi di-
scendono più) ; ed ò quindi ancor soggetto
alle amane debolesse, qoali sono dlmen-
ticansa ed ineffloada di linguaggio.
7. DisiiUE: Dio, 11 Sommo Bene e fine
ultimo dei deaiderii dell'uomo. Gfr. Fwg,
XXXI, 24. Por. XXXHI, 46e seg. Oonv,
n, 15 ; IV. 12, 22. Ep. Kani, 28. Thom.
Aq., 8um. théol, I, 44, 4; I, 66, 2.
8. 81 PBOFONDi: penetra sì a fondo
mirando in Dio, che la memoria noi può
seguire. « La lingua non è di quello ohe
lo 'ntelletto vede oomplutamento segua-
ce»; Oonv. Ili, 8. Cfr. Conv. IO, 4. Ep.
Kani, 28. - « Non può il senso tener die-
tro all' intelletto, nò l' anima, sincbò ò
nello stato in cui debbo valersi de' sensi
del corpo, può giungere a veder obiara-
mento il vero»; Qioberti,
10. VERAMBICTR: ma, oontuttodò, non-
dimeno ; lat. Mruf?itom«n;ofr. Purg, VI,
48, Par. VH, 61; XXXII, 145. - Bi-
ONO: Paradiso.
11. MicifTB: memoria; ofr. In/. II, 6,
8, eoe. Conv. III, 2. cMens prò memoria
aocipitur, quia mens a meminisse descen-
dit »; 8. Aug., de Trin. IX, 2. Cfr. Thom.
Aq., 8um. theoL I, 78, 8. - fab tbsobo :
adunare e conservare come cosa presio-
sa; ofir. J^. Kani, 18.
V. 18-86. Invoeamione, Nelle altre
due cantiche invocò le Muse; qui in-
voca Apollo, il Dio della poesia, padre
e duce delle Muse; ofr. Boecace., Gen.
J>eor. I, 2, 6, e. 3. « Et dividitur isto
pars in partes duas : in prima invocando
petit, in seounda suadet Apollini petltio-
nem fiMtam, remunerationem qnamdam
prenuntians»; Ep. Kani, 81.
18. Apollo : « idest virtus inteDeotiva
circa ccDlestia »; P«fr. Dani. Aptdlo fti
identificato col Sole (cfr. Sere,, Ad Aen.
VI, 68. Mmcr., Sai. 1, 10); e per Danto
il Sole ò lo stesso Iddio (Pwrg. VII, 26.
Par. X, 58; XTV, 86. Conv. ni, 12).
Dunque il nostro Poeto invoca il divino
aiuto. - LAVOBO: della torca cantica.
« Bztremura hunc, Arethusa, mihl con-
cede Uborem»; Virg., BcL X, 1.
14. FAMMI: infondimi tanto del valor
tuo, quanto tu ne esigi per concedere
r alloro.
15. AMATO : da to, perchè tn laoro fa
trasformata Daùie ; cfr. Ovid., JMom. I,
452-567.
16. l'uk : sin quimi bastò V alato deDe
Muse ; ma quindi innansi mi è necessa-
rio esiandlo l'aiuto tuo. Il Parnaso ha
due gioghi, Elicona e Cirra, l'uiio sacro
alle Muse, l' altro ad Apollo; cfr. Ovid.,
Met. I, 816 e seg.; U, 221. Fati, IV,
88. Lucan., Pkart. V, 78. XKd., Orig.
XrV, 16. Allegoricamento: Fin qui mi
basto la sdensa umana, da ora innansi
mi è necessaria oltre alla umana anche
la sciensa divina. < SI ergo hnc est sa-
pienti» et sdentile recto dUtinotio, ut ad
sapientiam pertineat «temarom reram
cognitio intellectualis, ad solentlam vero
temporalium rerum cognitio rationalis,
quid cui prmponendum slve postponen-
dum sit, non est difficile Judioare»; 8,
Aug., De THnU. U, 15, 25.
18. hbll'abuioo: nell'impresa difficile
che mi rimane, di descrivere la gloria
dei beau.
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'^^''4"'^-":'^^^)?
[PBOIKIO]
Pab. 1. 19-85
[intocazionb] 697
19
22
25
31
Entra nel petto mio, e spira tue,
Si come quando Marma traesti
Della vagina delle membra sue.
0 divina virtù, se mi ti presti
Tanto, che l'ombra del beato regno
Segnata nel mio capo io manifesti ,*
Venir vedra'mi al tuo diletto legno
E coronarmi allor di quelle foglie,
Ohe la materia e tu mi farai degno.
Si rade volte, padre, se ne coglie,
Per trionfare o Cesare o Poeta,
Colpa e vergogna dell'umane voglie,
Che partorir letizia in su la lieta
Delfica deità dovrla la fronda
Peneia, quando alcun di sé asseta.
Poca favilla gran fiamma seconda:
Forse dietro a me con miglior voci
19. TUK: ta. Inspirami in modo, che io
■la abile a cantare con qaella potente
dolceoa che ta spiegasti, aìlorohè, pro-
Tocato da ICania a ohi meglio sonasse,
lo Tinoesti e lo soortioastl. Solla ùtTola di
MaraUofr. Htrodot, VII, 96. Zen., Anab.
I, 2, 8. Ovid., Met, VI, 882-400.
21. VAODIA : la pene che Teste le mem-
bra oome il fodero la spada. Anche nel-
r inrocasione del Purg, I, 10-12 ò ri-
eordato 11 castigo inflitto air audace
ignoraasa.
22. 8B MI TI PBKsnt se ti doni a me, mi
eonoedl la toa fbrsa. Al. sì m ti pbbbti.
28. L* OMBRA: quella debole immagine
die del beato regno è rimasta nella mia
memoria.
24. SBOHATAt impressa nella mia men-
te ; efr. Purg, XXXUI, 81. JSp. Kani, 19.
25. VBDRA*Mi: mi vedrai. - lboho : al-
loro; ofr. Ptw. XXV, 9.
27. CHB : delle qoali sarò fatto degno e
per r intrinseca eooellensa della materia,
e per 1* aiuto che ta mi presterai a trat-
Uaìm degnaatente, secondo le esigenxe
deU'arte.
28. PADBE: Apollo era Tenerato qaal
padre degli eroi, dei Tcggenti e dei poeti.
29. Cbbuuib: d'alloro s' inooronarano
imperatori e poeti ; « cai geminae florent
Tatomqae dacamqae Certatim laaras »;
MaL Adu, l, 14-15. Cfr. Petr. I, son. 225.
80. colpa: per colpa ed a vergogna:
oonfr. Purg. VI, 97 e seg. Oanv. IV, 12.
Eglog. I, 86 e seg.
81. CHB PABTOBIB: quasl tatti spiega-
no t La fronda peneia dorrebbe accrescer
letizia al già lieto Apollo, quand'essa
mette in ideano desiderio di sé. InTcce
Fofkf,'. A Delfo dovrebbe nascere alle-
greua e farsi festa, quando 1* alloro ac-
cende in chicchessia voglia di sé. Ha
queste interpretasioni non appagano pie-
namente; cfir. Oom. XApi. Ili, 8 e seg.
Anche il PoL a questo luogo non fi» che
rimandare ad un sunto del Gom. Lipt,
dato da altri.
82. DELFICA: « Hihi Delphioa tellus....
servit »; Ovid., Mtt, 1, 515 e seg. - «Apol-
line Delphos Insignes»; Horat., Od. I,
vn, 8-4. Cfr. Ghignom, lUuttratione a
(re pasti dèlia Div. Oomm. Fir., 1880.
Oriftqfolini, Deifica D€Uà9Txìw\A, 1896.
88. FBMBIA: <AA9m9kY9ÌXoTO fronda Pe-
ntia, perchè Dafne, figlia del fiume Pe-
nco, fu trasmutata in lauro; cAr. Ovid.,
Met. I, 452-567.
84. skcomda: segue, si accende di lei.
È r antico adagio : « Parva siepe scintilla
magnum exdtavit incendium. » Cfir. Par.
XXIV, 145 e seg. Oonv. lU, 1.
35. DIETRO A MB: Al. BETBO DA MB.
Al. DI DISTRO A ME. - MIOUOB VOa : più
degnamente ; meglio di me. < Forse dopo
me, avvivati dalla mia piccola Cavilla, ver-
ranno altri poeti, che seguitando il mio
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608 tPSOKMIO]
1>AB. I. 86-44
[salita]
87
40
43
Si pregherà perchè Cirra risponda.
Surge a' mortali per diverse foci
La lucerna del mondo; ma da quella
Che quattro cerchi giunge con tre croci,
Con miglior corso e con migliore stella
Esce congiunta, e la mondana cera
Più a suo modo tempera e suggella.
Fatto avea di là mane e di qua sera
Tal foce quasi, e tutto era là bianco
esempio, oanteranno cose più gravi di
quelle che si cantano a qaeeti di » ; Betti.
Qoàli cose da cantarsi sono più gravi di
qoelle cantate da Dante!
80. CiBBJL : il giogo del Parnaso, sacro
ad Apollo, è preso qai per lo stesso nume.
« Dante era modestissinio : sperava che
altri venissero dietro di so per cantar
più degnamente 11 Paradiso. I snoi voti
furono e fieno invano. E chi potrà salire
più alto! rifare.
y. 87-81. SàUta atta 9 f «radei fuoco.
Come il Poeta è ritornato dal flome Eo-
noò al loogo lì vicino dove si trova la
eoa Beatrice, qaesta si volge verso set-
tentrione e fissa gli occhi nel sole. Dante
si accinge a fare lo stesso; ma, non po-
tendo r occhio sno sofMre tanta luce, egli
fissa gli occhi SQoi in qoelli di Beatrice.
Qain^ salgono colla velocità del lampo
alla sfera del fuoco. Di Stazio, di Matelda
e delle sette ninfb non si fii più meneione.
Tatto assorto nella contemplazione di
Beatrice e del Sommo Bene, Dante non
si cura d' altro. Circa il tempo della sa-
lita i più si avvisano ohe fosse il mat-
tino del giorno seguente a quello, nel coi
meriggio Dante bevette dell' acqua del-
l' Eunoò, ma non sanno poi render conto
del come fossero spese quelle dioiotto ore.
Meglio s' intenda che Dante e Beatrice
salirono, appena egli fu tornato dalla
santissim' onda, eh' è quanto dire a mee-
zod) di quello stesso giorno. Non potendo
qui entrare nell'ardua discussione, ri-
mandiamo lo studioso al Chm, Lipt. HI,
10 e seg. ed ai lavori che qui si registra-
no: vaia VaUé, Sento, lOl-lOB i /Suppl.,
10-19 1 Nuove iUfutrazioni, 93-97. Anto-
néUi, Studi particolari, 21-25. Vaccherie
Sertaeehi, Vieione di D. Al., 208 e seg.
SohiaparéUi, Nuova Antolog, VI a867),
792 e seg. Agneìii, Topo-Oroiwgrafia, 122-
129, 189169.
87. 8UBOB : il sole nasce agli nomini da
vari punti dell' oriiconte, seoondo le sta-
gioni.
88. LUCERNA : « PhoBheiB lampadiB in-
star »; Virg., Ami. IH, 087 ; cfr. Qrid. TV,
6 ; yn, 148. Lucret,, Ve ter, noi. Y, 408,
609; YI, 1195. - QUELLA! da quella fboe
che è il punto dell'orizzonto, ove lo bd-
dlaoo, r equatore e il ooloro equinoziale,
intersecandosi coU* orizzonto medesimo,
formano tre orod. Intende déQ'equim»-
zlo di primavera.
89. QUATTRO CEBCm : allude forse alle
quattro virtù cardinali ed alle tre teolo-
giche {Lan., OU.,Po9t. Oaet., BeiM.,eooO.
onde il senso allegorico sarehhe ohe Iddio,
il Sole spirituale, splende più propizio do-
ve le setto virtù si trovano armonicamen-
to congiunte. - oiunok: congionge.
40. MIGLIOR CORSO : perché giunto in
Ariete il sole incomincia a portar giorni
sempre più lieti e più belli {Ooet., Br.
B., Andr., Frat., Frane., ecc.). -stella :
colla costellazione d'Aileto, che esercita
sulla torra benigni infiussl; etr, Inf. I,
88 e seg. Oonv. II, 4.
41. cera : matoria. Paragona finfloen-
za del delo sulla terra all'impressione
che fk il suggello nella cera. La etra è la
materia, la /orma è l'attività della terra,
procedento dal sole.
48. DI LÀ: nell'emisfèro del Purgato-
rio. " DI QUA : nel nostro emisfero. « Per
mane si intonde lo spazio ohe corre dalla
levato del sole fino a mezzogiorno, e per
eera quello compreso tra U mezzodì e
r occaso »i Agnelli, 127.
44. TAL FOCE QUASI, E TUTTO : Al. TAL
FOCE, E QUASI TUTTO. Coufir. BorUnp,
Oontrib., 319 e seg. « Un emisfèro per es-
sere tutto bianco, dee, seoondo 1* inten-
sione del Poeta, tutto iUuminato, è ne-
cessario assointomento che il sole batto
l snoi raggi dirottamento sol merldiaiio
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[PBOBKIO]
Pàb. I. 45-64
[SALITA] 69d
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58
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64
Quello emisperio, e l'altra parte nera;
Quando Beatrice in sul sinistro fianco
Vidi rivolta, e riguardar nel sole:
Aquila si non gli s'a£Bsse nnquanco.
E si come secondo raggio suole
Uscir del primo e risalire in suso,
Pur come peregrin che tornar vuole;
Cosi dell' atto suo, per gli occhi infuso
Nell'imagine mia, il mio si fece,
E fissi gli occhi al sole oltre a nostr'uso.
Molto è licito là, che qui non lece
Alle nostre virtù, mercè del loco
Fatto per proprio dell' umana spece.
Io noi so£Fersi molto, né si poco
Ch'io noi vedessi sfavillar d'intorno,
Qual ferro che bogliente esce del fuoco;
E di subito parve giorno a giorno
Essere aggiunto, come Quei che puote,
Avesse il ciel d' un altro sole adomo.
Beatrice tutta nell' eteme rote
ohe dlTlde in dae parti tgnaH qntAV emi-
sfèro stesso ; vale a dire t ò assolatamente
neoessaiio ehe sia mesaogiomo, o qaanto
meno Imminentissimo»; AffnMi, 128.Gfr.
AiUon€Ui,8huU,22 9Wg.
46. snnsTBO : prima gnardava Terso le-
Tante, ora si Tolge Terso settentrione;
efr. AgnéUi, 161 e seg.
48. AQUILA: il eoi occhio paò patire il
sole; cfr. Par. XX f 81 e seg. ArUtot., De
animai., 84. S.Aug. in Jean. tr. 36. Brun.
Lai., Tet., lU, 8. Lucan., Pkart. IX, 002
• se^. - UMQUAHOO : giammai ; o/ir. Purg.
IV. 76.
40. OOm SIOOIIDO : AI. COMB 'l bbooh-
DO. Come raggio riflesso segno al diretto
e risale, a guisa di pellegrino che, giunto
alla mòta del sno viaggio vnol tornare
indietro; cosi Dante, Tedendo Beatrice
Tolgere gli occhi in alto e guardare nel
sole, fi» lo stesso; confr. Purg. XV, 16.
Frwi, Quadr. IV, 2.-buolb: non in-
dica qui frequenta di atto, ma costansa.
Ogni Tolta ohe un raggio di luce cade
sopra un corpo opaco, toma indietro, e
ai ha ooi^ un altro raggio che Dante
ehiama ieeondo ed i fisici rifts$9o^
61. TOBIAS t in patria, cfr. (knv, IV, 12.
62. ATTO : di riguardare il sole. - nr-
ruBO : Tenuto per gli occhi nella mia im-
maglnatlTa ; cioè Tenuto nel senso e nel
pensiero.
64. OLTBB : sopra r uso umano, essendo
una proprietà del sole < che Y occhio noi
può mirare»; Oonv. II, 14.
66. LÀ : nel Paradiso terrestre, creato
da principio apposta per abitaaione del-
l' uomo, anche la parte corporea di que-
sto ò piU forte, ooA che egli può mirar
nel sole. - qui : in questo mondo.
58. HOL SOFFERSI: uou sosteuni molto
tempo la tìsu del sole, ma nemmeno rt
brcTC tempo, che io non potessi dlsoer-
nere che sfoTillaTa d' intomo come ferro
roTODte.
60. QUAL FBBRO: Cfr. Inf* IX> H^ «
seg. Pwg. XXIV, 138. Par. XIV, 76 e
seg.; XXVIII, 80 e seg.
61. DI SUBITO : tanto veloce il salire. -
GIORNO A aiORN o : parve che lo splendore
del di si fosse raddoppiato ; cfr. Ario».,
Ofì., X. 109. ToMto, Qtr. lib., XIV, 6.
62. COME QuBi: come se Dio, che lo può,
avesse ornato il delo di un altro sole.
64. BOTB : i cieli, detti altrove « etemi
giri>;Piir9.XXX,08.
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700 [PROEMIO]
Par. I. 65-78
[salita]
67
70
73
76
Fissa con gli occhi stava; ed io in lei
Le luci fissi, di lassù remote.
Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
Qual si fé' Glauco nel gustar dell'erba,
Che il fé' consorto in mar degli altri dei.
Trasumanar significar per verba
Non si porla; però l'esemplo basti
A coi esperienza grazia serba.
S'io era sol di me quel che creasti
Novellamente, Amor che il ciel governi,
Tu il sai, ohe col tuo lume mi levasti.
Quando la rota, che tu sempitemi
Desiderato, a so mi fece atteso,
Con l' armonia che temperi e discemi,
66. FIB8I: flBsal gli ooohi nel Tolto di
lei, rimoTendoli dal sole.
67. MKL SUO: goAidando lei mi tma-
manAi; ofr. Par, XXXI, 87.
68. GLAUCO: rxa^xo^ pescatore di
Antedone nella Beozia, il qnale, veden-
do ohe i peeoi da Ini presi riTivevano
mangiando oerta erba, e saltavano nel
mare, assaggiò di qnell'erba e diventò
Dio marino. Cfr. Ovid., Met, XHI, 89&-
968. Oaedeehent, Olaukot der MurgoU,
Gotting., 1860. « Siooome Glauco di pe-
scatore diventò Iddio marino gustando
r erba ohe avea quella virtù, cosi l'ani-
ma nmana gnstando le cose divine di-
venta divina»; Buti.
70. TBASUMAMAB: Al. TBANSUMAN AB ;
il diventare più ohe umano, il passare
dall'umanità alla divinità, e Faoultas vi-
dendi Deum non oompetit intelleotul
creato seoundum suam natnram, sed per
lumen glori», quod iutelleotum in qua-
dam deiformitateconstituit » ; Thom. Aq.,
Swn. theoi, I, 12, 6. - per vkbba : oon
parole. Confr. Nannueei, Nomi, 831 e
seg., 761.
71. L' R8EMPL0: di Glauoo. n linguag-
gio umano non ò sufficiente a descrivere
r atto della trasumanasione, poiché e la
lingua non è di quello che lo 'ntelletto
vede compiutamente seguace»; Oonv,
III, 8. Basti pertanto l' esempio alle-
gato a colui, al quale la divina grazia
riserba di poter sperimentare ed avve-
rare la cosa in so stesso.
78. qubl: spirito, isie»,tonoveUamente,
cioè da ultimo, dopo il corpo; olir. Purg,
XXV, 87-75. Parafrasa le parole di
S. Paolo: € Non so, se nel oorpo, non
so, se fbori del corpo, Dio lo sa»; II
Cor, XII, 2, 8. Cfr. Par, II, 87. Oam,
lApt, HI, 16. e Dante qui mostra di du-
bitare se questa ascensione al cielo aia
stata ftitta o colia sola anima ohe fìi (no-
véUatMnU) da Dio creataneirultimo tem-
po della generasione di oiascnn uomo, U
qual tempo dioesi animaaione; od anobe
col corpo, il quale sebbene sia stato nel
seno materno organato, tuttavia la ma-
teria, ond' ò composto, fti al principio
delle cose terrene creata »; Owm,
74. AMOR: DÌO « cobIo imperitans amor > ;
BoH,, Oont.phiL U, metr. 8, 16.
76. LUMB : riflesso dagli oeohi di Bea-
trice, V. 64 e seg. - levasti : al delo.
76. LA ROTA : il movimento del deli. -
BEMPiTKRMi: Toudi otemo.
77. DESIDERATO: «Lodelo Empireo....
è cagione al Primo Mobile per avere ve-
locissimo movimento ; che per lo ferven-
tissimo appetito ohe hadascunasna parte
d'esser congiunta oon ciascuna parte di
quello divinissimo delo quieto, in queUo
si rivdve oon tanto dedderio, ohe la san
vdodtà è quad incomprendhile. » Oon».
II, 4. Cfr. Ep, Kant, 26. H dedderio di
Dio è il prindpio motore delle sfiBre ce-
lesti, -mi FECE ATTESO : ridiiamò la mi»
attensione.
78. l'armonia; delle sfere; ofr. Purg.
XXX, 98. Par. VI, 126. Secondo Pita-
gora, le sfere edesti fiuino ne* loro giri
un armonioso concento, di ohe d diletta
la stessa divinità. Tde dottrina, (
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[iPBOxmo]
PàB. I. 79-93 [DUBBIO SCIOLTO] 701
7»
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Parvemi tanto allor del cielo acceso
Dalla fiamma del sol, che pioggia o fiume
Lago non fece mal tanto disteso.
La novità del snono e il grande lame
Di lor cagion m'accesero un disio
Mai non sentito di cotanto acume.
Ond'ella, che vedea me si com'io,
A quietarmi V animo commosso,
Pria ch'io a dimandar, la bocca aprìo,
£ cominciò : < Tu stesso ti fai grosso
Col falso imaginar, si che non vedi
Ciò che vedresti, se l'avessi scosso.
Tu non se' in terra, si come tu credi;
Ma folgore, fuggendo il proprio sito,
Non corse come tu, che ad esso riedi. >
baUaU da AristotUe, fti ripristinate da
Fiatone e da Cicerone (nel Sofnn. 8eip.),
dal qoale Dante aembra averla presa ;
Oft*. Oom. Lipt. ni, 17. - TBMPKBI B DI-
■CKBX1 : aooordi e dietribniaol. « Hic dnl-
Gla sonos eet, qai interrallis ooninnctns
imparibos, sed tamen prò rata partiom
ratioDO diatìnotis, impulsa et mota ipso-
nun orbiom oonfldtor; qoi aonta cam
graribos temperans, rarios leqaabiliter
coneentas effioit »; CHe., Somn. Seip,
79. PASVEMi: mi apparve cosi gran
parte di delo aooeso dalla fiamma del
sole, ohe pioggia caduta o fiume non
fecero mai lago al ampio. Sin qui il Poeta
aveva tonoto lo sguardo fisso io Beatri-
ce; tratto dall'armonia delle sfere, si
guarda ora intomo; ed essendo giA ar-
rivato alla sfera del ftaooo, dò ohe egli
igBOia. gli pare di essere in un gran
lago di fkioco.
V. 82-93. Un dubbio 9eMto. Non es-
asikdosi accorto del velocissimo suo salire
in alto e credendo di essere tuttora sulla
•ommità del Monte Sacro, il Poeta non
sa indovinare la cagione della dolce ar-
monia eh' egli ode, e di quel grandissi-
mo aumento di luce. E Beatrice, che gli
legge nel cuore, gli dice che non è più
in terra, ma, veloce pih del lampo, è sa-
lito in alto.
83. suono: delle sfere; suono tutto
nuovo, perehò in terra non si ode.
83. DI LOB CAOIOM : di Conoscerne la
cagione. Le oose grandi e maravigliose
«ia quinto paiono mirabili, turno vo-
glioso di sapere di qaelle quello che le
sente » ; Oonv. IV, 25. - «Ad CMdem causie
non pertìngentes, novum effectum com-
muniter admiramur »; DeMon. II, 1.
84. DI OOTAMTO: di si forte stimolo,
si acuto, che io non aveva mai sentito
r ugnale.
85. MS: l'animo mio ed i miei più in-
timi pensieri.
86. C0MM0660: dallo stupore che « è
uno stordimento d' animo, per grandi e
maravigliose cose vedere, o udire, o per
alcun modo sentire »; Oonv. IV, 25.
88. GROSSO : grossolano, ignorante ; cfr.
Jnf. XXXIV, 92. Pwrg. XV, 54 e seg.
S9. IMAGINAB : d' essere tuttavia sulla
terra.
90. scosso : se tu avessi rimosso da te
quel tuo fkdso immaginare.
92. SITO: la sfera del ftaooo: cfir. Par.
XXIII, 40 e seg. « Fulminis odor alis > ;
Yirg., Aen. V, 310. - « Non odus alti In
terrascaditiraIovis»;iaat.,Z%«ò.IU,817.
93. AD BB80 : al tuo proprio dto, doè
al ddo. - BiKDi : ritomi. L'anima umana
esce dalle mani di Dio e sospira sempre
il ritorno a Dio; otr, Pwrg. XVI, 85 e
seg. Oonv. IV, 12. «[La nobile anima] ri-
toma a Dio, siccome a quello porto, on-
d' ella si partio quando venne a entrare
nel mare di questa vita»; Oonv. IV, 28.
V. 94-142. 1/ ordino dell' universo.
All'udire che non ò più in terra, il Poeta
resta sorpreso, non sapendo compren-
dere come un corpo materiale possa vo-
lare in alto. S Beatrice scioglie il suo
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702 [PBOSMIO]
Par. 1. 94-105 [ordine dell* ukiysiso]
M
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100
103
S'io fui del primo dubbio disvestito
Per le sorrise parolette brevi,
Dentro ad un nuovo più fui irretito ;
E dissi: «Già contento requievi
Di grande ammirazion ; ma ora ammiro
Com'iq trascenda questi corpi lievi. »
Ond'ella, appresso d'un pio sospiro,
Gli occhi drizzò vèr me con quel sembiante
Che madre fa sopra figliuol deliro;
E cominciò : < Le cose tutte quante
Hann' ordine tra loro; e questo ò forma
Che l'universo a Dio fa simigliante.
naoTO dabbio oon nn ragtonamento ta-
goto e profondamente filosofico, nel quale
ai espone saoointamente l'ordine dell' nnl-
verso. Tatto le oose sono ordinate tra
loro; e quest'ordine, informando l'oni-
yerso, lo rende simile all'Iddio dell'or*
dine, fine ultimo di tutto il creato. A
questo grande ordine tendono le varie
nature degli enti per varii gradi e per
varie vie. L'istinto dell'ordine ò un
moto di quell' amore che opera sui corpi
inanimati e sugli spiriti ohe intendono
ed amano liberamente. Dal cielo sapre-
mo s<mo governati tutti i moti inferiori,
e ad esso tendono tutti, specialmente gli
umani, se l' abaso della libertà, o altra
forza nel corpo, non ne li stomi. Ecco
la ragione del tuo salire in alto, il quale
ò tanto naturale, quanto lo scorrere di un
ruscello giti per la china. Ed il non salire,
purificato qual sei, sarebbe non meno
contro r ordine naturale, che il vedere
la punta della fiamma piegarsi a terra.
04. PBDio DUBBIO : circa la cagione del
suono e dell'accrescimento di luce. - Dia-
VESTITO: liberato.
05. B0BBI8E: proferite sorridendo.
96. IBBETITO : avviluppato, e Irretlvit
enm multis sermonibus » ; Prov. VII, 21.
07. BRQUIEVI: ebbi quiete; mi trovai
soddisfatto; cessai d'essere in ammira-
Eione.
99. CORPI LiRVi: la regione dell'aria,
dell'etere e del ftioco. Dall'aria e dal
fuoco < resta intorniata la terra, che, es-
sendo il più grave elemento e la più sal-
da Bostansa, conviene che la si tragga
nel messo o nel fondo dell' altre che in-
tomo di lei sono »; Brun. Lat., Te*. II,
26; cO:. 09nv. lU, 8.
100. PIO : per la compassione ohe sente
della ignoransa di Dante.
101. DRIZZÒ: Al. VOLBB.-SKMBIAKTK: di
mesto affetto; cfir. Petrar, II, son. 19 (244).
102. DELIRO : delirante; oft. Par, XXII,
4-6. - « La maggior parte degli aomini
vivono secondo senso e non secondo ra-
gione, a guisa di pargoli ; e questi ootAli
non conoaoono le oose se non semplice-
mente di fhori, e la loro bontade, la
quale a debito fine è ordinata, non veg-
giono, però che hanno chiusi gli ooohl
della ragione»; Oonv. I, 4.
103. LE COSE : « Beatrice £» un discorso
tanto dotto e tanto sottile, che a me pare
impossibile che tante ooee e A grandi m
potessero ristringere in tanto pochi veni
e così leggiadre parole »; Yarehi.
104. ORDINE : le une rispetto alle a^
tre e rispetto al tutto di cui sono parte.
Cf^. De Man. I, 6. - «Est autem duplex
orde considerandus in rebus. Unos quo
àliquid creatum ordinatur ad aliud crea-
tnm, sicut partes ordinantnr ad totnm,
et aoddentia ad snbstanUas, et unaquB-
que res ad snum finem. Alius ordo, quo
omnia creata ordinantur in Deom. >
Thom. Aq., Stim. thed. I, 21, 1.- « Knn-
dus iste nnus didtur unitate ordinis, se-
cundum quod qusddam ad alia ordi-
nantur. QufiBCumquo autem snnt a Deo,
ordinem habent ad invicem, et ad ip-
snm Deum. » Und. I, 47, 3. - « Finis uni-
versi est aliquod bonum, in ipso exi-
stens, sdlioet ordo ipsius universi > ; ibid.
1, 103, 2. - QUESTO: quest'ordine. « Co-
testo ordine è come la forma onde il
mondo ritrae l' imagine delle divise per-
fraioni » ; Oom,
105. BiMiniiiiNT»; «quia mondai aoD
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PAB. I. 106-117 [OBDINE DBLL'UNIY.] 703
106
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Qui veggion V alte creatore l' orma
Dell'eterno valore, il qaale ò fine.
Al quale ò fatta la toccata norma.
Nell'ordine ch'io dico, sono accline
Tatte nature, per diverse sorti,
Più al principio loro e men vicine;
Onde si muovono a diversi porti
Per lo gran mar dell'essere, e ciascnna
Con istinto a lei dato che la porti.
Questi ne porta il fuoco invèr la luna;
Questi nei cor mortali è permotore ;
Questi la terra in sé stringe ed aduna.
est OMa flioftoa m Deo p«r inteUeotum
mgento, noooaee e«t qood in mente diyin*
tit forma ad aimllitodinem ooios mondos
mttaoUM',»Tkam,Aq,,aum.UuoLI,15,l,
106. QUI: in alffiitto ordine dell' nni-
yeno gU esseri intellettnali e razionali
(angeli, spiriti beati ed nomini) conosco-
no 1* impronta della divina sapienza e
potensa. Cfr. De Jfon.. I, 8. 8. Àug., JH
IVin. VI, 10. Tkwm. Aq., Swn, theol, I,
45, 7. Boet., Oont,phil.Uhine%r,S.
107. FDTB: e omnia appetnnt Denm nt
finem»; Thom, Aq., <9um. theol. I, 44, 4.
Prof. XVI, 4.
108. MOBMA: l'ordine sopraccennato
che hanno tra loro le cose tatto quante.
109. ACCLISB: inclinate, propense.
« Cam omnia procedant ex volontate
divina, omnia sao modo per appetitam
inelinantar in bonom, sed diveraimode.
qatoÙMm enim inelinantar in bonom per
edam natnralem habitodinem abeqneco*
gnitione, slcat plant» et corpora inani-
mata; et talìs inclinatio ad bonnm to-
oator appetitos natnralis. Qa»dam vero
ad bonom Inclinantor aliqoa cognitione ;
non qoidem sic qood cognoeeant ipsam
rationem boni, sed c<>gnoeennt aliqaod
bonom particolare, sicot sensos, qui oo-
gnoBdt dolce et albom et aliqoid hoio»-
modi. IndinaUo aotem hano eognitio-
nem seqoans dloitor appetitos sensi ti vos.
Quiodam vero inelinantar ad bonom com
cognitione qoa cognoeeant ipsam boni r a-
timiem, qood est propriom iuteUeotos;
et luBO perfectissime inclinantor in bo-
nom; non qoidem qoasi ab aUosolom-
modo directa in bonom, sicat ea qoss
cognitione carent; neqae in bonom par-
tiimlariter tantom, sicot ea qoiboa est
sola sensitiva cognitio ; sed qoasfr incli-
nata in ipsom oniversale bonom. Bt beo
inclinatio dldtor volontas.... Inclinatio
ad aliqoid extrinseoom est per aliqoid
essenti» soperadditom, sicot inclinatio
ad locnm est per gravitatem vel levita-
tem. » Thom, Aq., 8um. thsol, 1, 59. 1, 2.
110. TUTTE MATUBX: tottl gli enti di
qoalsivoglia natora hanno Istinto nato-
rale di cercare Iddio come loro fine. -
FEB D1VKB8B: sscondo le diverse loro
condizioni. « Nell'ordine intellettoale
dell' oniverso si sale e discende per gradi
qoasi centinai dall' infima forma all'ai'
tissima, e dall'altissima all' infima, sic-
come vederne nell' ordine sensibile »
Chnv. m, 7. Confr. Thom. Aq., Sum,
theol. 1, 19, 1 ; I. 59. 1. BoeL, Oom.phU,
IV, pr. 6.
112. POBTI: fini. «Appetitos oniosoo-
iosqoe rei natoraliter movetor et tendit
in finem sibl oonnatoralem » ; Thom. Aq.,
Sum. theol. I, ii, 62, 8 ; oontr, II. U, 102,
2. Conv. IV, 28. 8alm. CVI, 30.
113. UARi « per magnitodinem et prò*
fttnditatem essentiao natora» rerom » ;
Benv.
114. PORTI t spinga, V. 132, e conduca
al sao fine.
115. QUB8TI : qoesto Istinto ; « il ftiooo
stendesi infino entro la Iona, e aggira
qoesto aere dove noi siamo. Disopra al
qoarto elemento ohe è il fooco sta assisa
la lana. » Brun. Lai,, Tee. III, 8. Cfr.
Pttr^. XVn, 91 e seg.; XVIII, 28 e seg.
116. COB MOBTAU: nelle creature che
ion /uore d'inUlUgemia, cioè nel broti.
- PKBMOTOBR: Al. PBOMOTOEB; COnfr.
Oom. Lipe. III, 23.
117. ADUHA : « tiene In eò onita e ser-
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704 [PROEMIO]
Par. r. 118-128 [ordinb dell' ukiterso]
118
121
134
127
Nò por le creatore ohe aon fìiore
D' intelligenzia, quest' aroo saetta,
Ha quelle e' hanno intelletto ed amore.
La provvidenza, che cotanto assetta,
Del sao lume fa il ciel sempre quieto,
Nel qnal si volge quel e' ha maggior fretta.
Ed ora li, com'a sito decreto,
Cen porta la virtù di qaella corda.
Che ciò ohe scocca, drizza in segno lieto.
Ver è ohe come forma non s'accorda
Molte fìate alla intenzion dell'arte,
rata 1* tem p«r le forse di attrazione,
di ooealone, eoo. »; Br. B. - « Ciaaoima
cosa.... ha U suo spedale amore, oome le
corpora semplici hanno amore naturato
in sé al loro Inogo proprio; e però la
terra discende al centro; il ftioco alla
circonferenza di sopra lungo '1 delo della
lana; e però sempre sale a qnello » ;
Oonv. Ili, 8. Cfr. De Mon. I, 16.
118. FUORB: prive d'Intendimento;
gli animali irrazionali. Questo naturale
istinto spinge al fine loro proprio non
solo le creature irragionevoli, ma anche
quelle dotate d' intelletto e di volontà,
cioè gli angeli e gli uomini.
110. ABCO: questo istinto naturale. -
8ABTTA: dirige, domina.
120. AMOBB: « gli uomini hanno loro
proprio amore alle perfotte e oneste co-
se.... Per la natura vera umana, e, me-
glio dicendo, angelica, cioè razionale, ha
l'uomo amore alla verità e alla virtù. »
Oonv. III, 8. - « Omnia, appetendo pro-
prias perfectiones.appetunt ipsumDeum,
in quantum perfectiones omnium rerum
sunt quedam similitudines divini esse.
St sic eorum qu» Deum appetunt qua»-
dam cognoscunt ipsum secundum se ip-
sum, quod est proprium oreatune ratio-
nalls; qusdam vero cognoscunt aliquas
participationessue bonitatis, quod etiam
eztenditur ad cognitionem senslbUem;
quiedam vero appetitum naturalemha-
bent abeque cognltione, utpote inclinata
ad suos flnes ab alio superiori oogno-
soente. > TJunn. Aq,, Sum. thsoL I, 6, 1.
121. AsanTA: ordina e predispone;
«ordinat et disponit nniversitatem orea-
turanun in mundo » ; Benv,
122. IL cntL: l'Bmpireo, che è e im-
mobile per avere in sé, secondo ciascuna
parte, ciò ohe la sua materia vuole. » E
questo quieto e padfloo delo è « lo luogo
di quella Somma Beltà ohe sé sola .com-
piutamente vede. » Omw. II, 4. Cfr.
BoH„ Oant. phU, HI. metr. 8.
128. QUEL: n Primo Mobile; cfr.v.77 nt.
124. LÌ: al delo Empireo. - DBCBSTO :
decretato determinato. « Al delo Empi-
reo d porta la virtù della divina poten-
za che indirizza sempre a buon fine
l'ente cui muove »; OÒm.
125. CORDA : di quella virtù che drizza
la creatura a fine sempre lieto, perchè
destinato da Dio. « Ad illum autem ad
quod non potest aliquid virtnte so» na-
turo pervenire, oportet quod ab allo
transmittatur, dcutsagitta a sagittaote
mittltur ad signum » ; Thom, Aq., tìitm,
theùl. I, 23, 1.
126. DRIZZA: « die in dò ohe Ik non
s' inganna mal ; cada ohe tutte le coss
ohe fi, le Cz per nostro bene ; easendod
a dò dato l'istinto »; BeUL
127. VRR È : siccome avviene die U di-
segno di un'opera concepito dall'artista
molte volte fallisce, perchè la materia
per eseguirlo è mal disposta a licevers
la forma da lui immaginata ; cod l'uomo
può per la libertà deU'arbitrio dipartinl
dalla via dd bene, a cui naturalmente è
indlnato, ed esser piegato al male. «Con
sottile concetto paragona l'amore dd
bene, spirato da Dio nd onoro deU'uomo,
ali* intendimento che ha l'artista di tu
buona l'opera sua; e 11 mal uso della
volontà, la quale deve traduire in atto
quella incUnadone, alla forma, per od
r intendimento dell'artista d fk opsn
d' arte > ; L. Vtnt., aimU., 880. Ctt, (ba».
II, l.DeMim,n,2,Tkom,Aq„ Sum.tL
I.16,1}I,17, l;I.n,4.4e5. 7.
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I^BOKinO]
Par. 1. 129-142 [obdutb dill'uniy.] 705
180
133
186
139
142
Perohè a risponder la materia è sorda;
Cod da questo corso si diparte
Talor la creatura, e' ha potere
Di piegar, cosi pinta, in altra parte,
(E si come veder si può cadere
Foco di nube), se l'impeto primo
A terra è torto da falso piacere.
Non dòi più ammirar, se bene stimo,
Lo tuo salir, se non come d'un rivo.
Se d'alto monte scende giuso ad imo.
Maraviglia sarebbe in te, se, privo
D'impedimento, giù ti fossi assiso.
Come a terra quieto fuoco vivo. »
Quinci rivolse invèr lo cielo il viso.
120. SOBDA: non arrendevole. Fa bel
riseontio ool verbo ritpondsn,
130. ooBflO: dalla via segnata dal na-
turale iatlAto. « Siooome la materia non
riceve aempre la forma per la eoa indi-
■poelsione, eoel gli nomini per lo avere
fl libero arbitrio non legnitano la loro
indinasione: ansi, ingannati dal hìao
plaoere, si volgono altrove »; Varchi,
131. CBXATDBA : l'nomo dotato di libero
arbitrio, del qnale abnaando ri lascia
trarre al piaeere Mao e piega a terra
eontro l'istinto della propria natura.
134. FOCO : Ailmine. - l' mrwio fri-
MO : la tendensa primitiva verso il cielo.
Se r Inolinarione naturale è vòlta alla
terra dal fidso piaeere, la creatura do-
tata di libera volontà ri diparte dal corso
ri quale essa inolinasione la spinge.* Bst
mentfbos hominum veri boni natorali-
ter Inserta capiditas, sed ad frisa devine
error abdacit»; Boét,, Ootu. phU, m,
pr. 3.
185. ▲ raSRA ÈTORTO : Ai. L* ATTERRA,
TORTO, lerione di molti codd., ma dalla
qnale non ri ricava costrutto riie regga ;
cfr. Oom, Lipi. in, 26 e seg. Moar§,
OrU,, 43e e seg.
180. 8B BSETR 0TDCO : SO la mia argo-
mentarione è giusta, il tuo salire ri rido,
ora ohe sri purgato d* ogni colpa, è cosa
ritrettanto natnrrie, quanto lo scendere
d'un ruscello dri monte già nella valle.
Cfr. Thom. Aq,,Swm, thia, II, n, 175, 1.
180. Uf TR: di te, rispetto a te.
140. mPRDiMRNTO; morale, dee dri
peccati e dri torti appetiti. - assiso :
rimasto attaccato alla terra. Cfr. Oonv.
ni, 3.
141. OOMR A TRRRAt oomc SO la viva
fiamma, ohe per la sua natura tende a
salire, ri giaceste fermaaterra. AL oomb
m TERRA QUIETE IN FOCO VIVO : Ìl senSO
sarebbe lo stesso. Cfr. Mooré, Orti,, 480
e seg. « Perfì50tio ignis est, secundum
quod in loco suo quiesdt »; Thom. Aq,,
8wn. théol. I, 0, 8. - e Ignis non semper
movetur sursum, sed quando est extra
locnm snum »; ibid, I, n, 10, 1.
142. Quma : compiuto questo ragiona-
mento. Beatrice, che aveva vòlto amore-
volmente lo sguardo ri Poeta, v. 101, lo
volge di nuovo verso il cielo. Se durante
il discorso Beatrice e Dante rimasero
ftrmi, o continuarono il loro volo verso
il ddo, non è detto.
45. — iNf . Oomm,, 4» edU.
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706 [COLO PBIMOl
PlB. 11.1-8
[▲MMOKIMIHTO]
CANTO SECONDO
CIELO PBDfO O DELLA LUNA
BiANCANTI AI VOTI DI CASTITÀ
AMMOHIMEHTO AI LETTORI, SALITA AL PRIMO CIBLO
LE MACCHIE DELLA LI7HA, LE INFLUENZE DEI CIELI
0 voi che siete in piccioletta barca.
Desiderosi d' ascoltar, segniti
Dietro al mio legno che cantando varca,
Tornate a riveder li vostri liti I
Non vi mettete in pelago; che forse,
Perdendo me, rimarreste smarriti.
L'acqua che io prendo, giammai non si corse :
Minerva spira, e oonducemi Apollo,
V. 1-18. ArnmoiUmemto «U ìettori.
Cominciando a dMorivere le beUease e le
gioie del regno de' dell, il Poeta sente
oreeoere le ali al proprio ingegno, e dà
però nna intonasione qoasi lirica al pre-
eente canto. La navicella del suo inge*
gno, Purg. 1, 2, è direnata un legno ohe
cantando yaroa maestoso le onde. « Voi
ohe non t1 siete dati allo studio della
vera sapienaa filosofica e teologica, e,
leggendo, mi avete segoito fin qnl nel
poetloo mio viaggio, cessate dal seguir-
mi, che non intendereste più ciò ohe io
canto. Seguitemi invece voi pochi che vi
dedicaste di baon'oraallostodiodel vero,
e vi maraviglierete di dò che io andrò
cantando. » I concetti di questo proemio
si riscontrano col proemio del Oonv. 1, 1,
dove il lingnaggio è però assai meno
pomposo. Cfr. ^uret,, Rmt, ruU. I, 1 e
seg. Paganino, NavigaHon$ di Dante
nel suo libro Accademia ditunita. Pisa,
10S6, p. 197 e seg.
l.BABOA:conpicoÌoloorredodl sdensa.
8. DIKTRO : Ai. URSO. - VABCA : « 8*apre
nn vareo, trapassa ad altre aoqoe »; tì^iicL
4. TOBXAis : contentatevi della lettura
delle due prime Cantiche. « ProeoI o pro-
col oste, proftmi»; Vlrg,, Am. VI, 35&
6. voH VI MBiTSTB: Bon vi aodngete
alla lettura di questa tersa caotica, per-
chè, non intendendo le dottrine proAnds
che io esporrò, rimarreste amarriti ; efr.
Virg., Aen. V, 8 e seg.
0. PiBDnrDOt non avendo forse snfii-
denti a seguitare la mia traoda.
7. L* ACQUA: la materia ohe ora im-
prendo a cantare, non fti sinora trat-
tata mai poeticamente. Non manoaaode*
sorisioni poetiche dd Paradiso e ddle
sue gide prima di Dante ; ma o egli non
le conosceva, oppure non avevano agli
occhi suoi nessun valore.
8. MiHEBVA: la sdensa divina è U
vento che mi spinge, Apollo è il mio ti-
moniere, le Muse, doè le Arti, sono la
mia bussola. - bfira : confr, Orrid,, ÌUi.
I. 2-3.
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CCISLO PBIMO]
Pab. II. 9-20
[AMMONIlflNTO] 707
10
18
16
19
E nove Muse mi dimostrali Y Orse.
Voi altri pochi, ohe drizzaste il collo
Per tempo al pan degli angeli, del quale
Vivesi qm, ma non sen vien satollo,
Metter potete ben per l'alto sale
Vostro navìgio, servando mio solco
Dinanzi all'acqua che ritoma eguale.
Quei gloriosi che passare a Coleo,
Non s'ammiraron come voi farete,
Quando Giason vider fatto bifolco.
La concreata e perpetua sete
Del deiforme regno cen portava
9. Novs: tante esMBdo le Moae. Nove
per il nnmero deUe Muse intandono LtM.,
OiL, An, Fior., Po$ta. Oa$$., Pttr, JkmL,
Fal9o Boùò., Bmiv., Bud, Land., VeU.,
Varchi, Voni., Lanib,, Poi., eoo. Secondo
Altri novo è qai il plor. di nooa (nnom),
ed n Poeta perU di Mnee noyelle, cioè
erlstlane; eoel Arme., Dan,, DoL, Voi.,
Pog., Biag., Tom,, Br. B„ eivi., eec. H
Beta : « DAQto tqoI dire ohe dò oh' egli è
per cantare, è al tabllme, ohe mai non fn
oantata altra simile cosa. Imperocché
Apollo non fk che guidarlo oon le leggi
della poesia; ma chi lo spira, è Minerra,
cioè la Sapienza. Talché non le osate
mnee, ma muse nuovo gU sono allato per
insegnargli 11 canto. » Ma qnali sono qoe>
sto nmooo mnse ohe dimostran V Orse al
Poeta spinto da mnerra e coadotto da
ApoUof - l'Obbb: il polo.
10. POCHI: ofr. MaU, XX, 19. Oonv.
I, 1. Thom, Ag., Sum. oont. GorU. 1, 4. -
DUZZA8TK: aliaste di baon' ora la mento
alla aelansa delle cose dirine } ofr. Prov,
Vili, 17.
1 1. AL VAX: alla sdenca sacra; ofr. Sahn,
LXXTII,25. Sapien. XVI. 20. Oonv. 1. 1.
12. TiTKBl : del qnal pane spiritnale il
sario tìtc in terra, ma non pnò sasiar-
sena a Tog^ sna, non conoscendo che
ben poco ; cfr. Oonv. IV, 22. Salm. XVI,
16. n. Oor, V. 7.
13. RALS: lat. talum, il profondo mare ;
efr. Horat,, Bpod. XVU, 54 e seg.
li. HATioiO: «non disse barehetta,
ma navigio, per dimoetrare ohe, essendo
in gran legno e saldo, doè usati a spe-
eolare, non portano pericolo di rimanere
indietro e smarrird come quei primi •;
Vartki Cfr. Virg., Aon. H, 711, 758. -
bkbvàKdo : tenendo dietro al solco della
mia naye. Accenna alla forte e conti-
noata attensione necessaria si lettori di
qnesU cantica.
ri6. DiNAiia: prima che la inperflde
delle acque siad riappianate ; cfr. Sapion.
V, 10.
10. OLOBiosi: gli Argonauti, ohe anda-
rono a Ooloo, o Cok^de, a rapirne il
Vello d*oro; ofr. Hotn., Od. XII, 00.
Héiiod., Theog., M2. Pind., Pyth., ULpol-
lod, I, 0, 10 e seg.
17. a'AMMiBABONt st mera7Ìgtiarono ;
ofr. Ovid., Mot. VII, 100 e seg.
18. Giason : duce degli Argonauti, cfr.
JnA XVm, 80. - BIFOUX) : aratore. Per
conquisterò il Vello d' oro, Giasone do-
Tctte arare un campo con due bud da
lui domati, i quali spirayano fiamme dalle
nari : cfr. Ovid., MH. VII, 104 e seg.
V. 10-45. Salita al eMo dotta JJuna.
Beatrice guarda nd sole, Danto in Bea-
trice. In un attimo arrivano al primo
cielo, quello doy' è la luna (Oonv. II, 4).
«Ringnda Iddio • gli dice Beatrice* che
damo nella prima stella ». A Danto pare
di essere ayrdto da una nube Indda,
spessa, solida e pulite, qussl diamante.
La luna riceve il Poeta e Beatrice come
l'acqua riceve il raggio di luce.
10. oomcrbata: innata air umana na-
tura; ofr. Purg. XXI, 1; XXXI, 128 e
seg. Oonv. IV, 13. Bod. XXIV, 29. Thom.
Aq., Bum. thool. I, u, 88, 2; 07, 4. -per-
petua : non potendo la natura mai spo-
gliarsene.
20. DEIFORME : formato ad immagine di
Dio; cfr. Par. 1, 105. Chiama cod TBm-
pireo, che « non è in luogo, ma formato
fri sdondla prima Mcnle^ OonvJDit 4.
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708 [cnsLO PBiMO]
Pab. II. 21-
[SALITJL]
22
25
28
81
Veloci, quasi come il oiel vedete.
Beatrice in suso, ed io in lei guardava;
E forse in tanto, in quanto un quadrel posa,
E vola, e dalla noce si dischiava,
Giunto mi vidi ove mirabil cosa
Mi torse il viso a sé; e però quella.
Cui non potea mia ovra essere ascosa.
Vòlta vèr me si lieta come bella,
« Drizza la mente in Dio grata, > mi disse,
< Ohe n' ha congiunti con la prima stella. »
Pareva a me che nube ne coprisse
Lucida, spessa, solida e polita.
Quasi adamante che lo sol ferisse.
«Delformes, id est Deo similes»; Tkom,
Aq., aum, theol. 1, 12. 5. Cfk-. iUd. l, 4. 8.
21. OOMB: quasi oon qaeU* relooità,
ooUa quale yedete mao^ersi il cielo stel-
lato, cioè circa 84 mila miglia al minato
secondo. Alcuni credono ohe Dante al-
luda qni al suo salire in moto circolare
(VcU., Varchi, Veni., Dion., ecc.); ma di
nn moto di cironixione Dante non (k pa-
rola. Cfr. Della Valle, Sento, 147 e seg.
J^^d.. Nuove iUtutrationi, 98 e seg.
« Assidoa rapitur yertigine coelnm, Sl-
deraqne alta trahit celeriqae ▼olumine
torqnet»; Ooid., Mei. II, 70 e seg.
22. IN BUBO: cfr. Par. I, 142.
23. IN TANTO: e forse in tanto tempo
in qaanto uno strale di balestra si di-
sfrena, e Tola, e toccata la mèta si ferma.
Cfr. Ifkf, Vm, 18 e seg.; XVII, 188 e
seg. Par, V, 01 e seg. Virg., Aen, XII,
855 e seg. Pulci, Morg. XXVI. 75. Ario9.,
Ori, IX, 70. L. Vent., SimU., 487. II Be^
ti: « Qui Danio indicar Toole un atto re-
pentissimo: e dice che cori avvenne oon
tanta celerità, come è a vedersi nn qua-
drello nell' atto che si posa e già prende
il volo, e già disohiavasi dalla noce. Que-
ste cose vanno considerate insieme ; e ve-
ramente non puossi immaginar prestes-
ca maggiore di un quadrello, che il vedi
ad nn tempo posarsi e uscir della noce.»
-QUADBBL: strale.
24. nocb: osso della balestra, ove si
pone Io strale. - dischiava: si libra e
quasi schioda dall'arco.
25. COSA: il globo della luna, la cui
luce mite era maravigliosa al paragone
di quella della sfera del fuoco.
26. QUILLA : Beatrioe, alla quale non
poteva essere nascosto vemn atto della
mia mente.
27. MIA OVRA: Al. MIA CURA: * Mia
ovra, cioè opera, presa in questo luogo
per lo desiderio o pensiero, il quale è
operaaione della cogitativa»; Vawthi,
28. TÒLTA: dopo aver sin qui guar-
dato in alto, V. 22. - lieta : cfr. DanUl,
XII, 8. MaU, XIII. 48. LueaXV, 7, 10.
Thotn, Aq., Sum, theol, II, n. 180, 3;
II, n, 145, 2. « De sui natura pukerrlma
erat, et gratulabatur super felicitate «o-
toris, qui indpiebat intrare regnum de-
sideratum »; Benv,
30. STELLA : la luna, rispetto alla terra
il prln^ dei pianeti (secondo il sistema di
Tolomeo).
81. FABEVA A ME: Al. PASKVAMI. -
COPRISSE : essendo entrati nel corpo deUa
luna.
82. LUCIDA : « n Poeta, mancando di
telescopi per esplorare la superdcie dei
pianeti, s'attiene alle opinioni del suo
tempo su dò. I tre primi attributi sono
convenienti; il quarto è improprio, es-
sendo scabrosissima la feccia della luna
che sempre sta volta alla terra : contiene
grandi catene di monti, disposte etroo-
larmente; e vi si osservano dei picohi
elevati sul fondo, anche più di setteodla
metri; che è quanto dire straordÌiiaite>
mente piti alti delle piti alte cime deUe
nostre montagne, avuto il riguardo aUa
tanto maggiore picodesaa ddla loBa ri-
spetto alla terra. » AntoneUi.
88. FERISSE: cflr. Virg,, Aen, VIU, 25.
Ovid., Mtt, II, 100 e seg.
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COIXLO PBIMO]
Pàb. II. 84-46
[SALITA] 709
3i
87
43
4»
Per entro so l'eterna margarita
Ne reoepette, oom' acqua recepe
. Baggìo di luce, permanendo unita.
S'io era corpo, e qui non si concepe
Com'xma dimension altra patio,
Ch'esser convìen, se corpo in corpo repe,
Accender ne dovria più il disio
Di veder quella essenza, in che si vede
Come nostra natura e Dio s'unio.
Li si vedrà ciò che tenem per fede,
Non dimostrato, ma fia per so noto,
A guisa del ver primo che l'uom crede.
Io risposi: < Madonna, si devoto
34. BTKRNA: seooDdo gli Molastiol il
sole, ìm lana e le stelle sono inoornitti-
bili ; efr. Thitm. Aq., Bum. tkecì. Ili, St^
pL, 74, 4; 01, 2, 5. - MABGABTTA: peri*;
cfr. Par, VI. 127; XXII, 29.
35. BBCXPX: riooTe. « L' immagine del
raggio di loce che penetra nna massa
d' acqua sensa disnnirla, è felicissima, e
l'onica ohe la Fisica ei somministri per
Tedere come sensibilmente possa renire
iin*eoeesione ad una delle leggi della na-
tara, la impenetrabilità de' corpi. Con
qoella immagine yiene a ritrarci, meglio
che con looga dissertazione fllosoflca, la
feUce trasformasione ayrennta nel corpo
ano. E da questa specie di miracolo, del
penetrare la sostansa di quel pianeta
sensa disnnirla, si tm strada a oontem-
plasione di piti alti misteri, e al desi-
derio di eonosoere qnel che oonoeme
r ineffabile incamasione del Verbo di-
vino. » AntoneUi.
37. COBPO: cfr. Par. I, 73. - qin: non
in questo mondo {Benv., BìM, Land.,
Y(M., VareJd, Dan., Vent,,Lomb., Biag.,
Obì., Br, B., Andr,, eoo.) ma: in questo
caso (Torti., Frat., értg., ecc.). Se io era
oorpo, e se, essendolo, non si comprende
come doe dimensioni possano oompene-
trarsi in nna, il ohe è ineritablle se nn
oorpo penetra In nn altro eto. « Vlrtnte
diTina fieri potest, et ea sola, qood oorpori
remaneatetf« distinotam ab allo oorpore,
qnam vis eios materia non slt dlstinota in
iiUk ab alterine corporis materia: et sic
miraoalose fieri potest qnod dno oorpora
sfait stami in eodem looo »; TKom. Aq.,
attm. Ùuol, ni, BwppL., 83, 3. Cfr. ihid.
I, 67, 2; UT, 64, 2; IH, 87,4.^
83, 2-4. Com. lApi. Ili, 35 e seg.
89. BEPB: entra, penetra; dal lat. repere.
41. K88EITZA : di Cristo, r Uomo-Dio.
42. B Dio: Al. in Dio. Al. ▲ dio. Cfr.
Par. XXXIII,127eseg. Thom.Aq.,8um.
theol. III, 1-8. Alb. Magn., Camp. th. IV,
14. Oom, Lipi. Ili, 36. Moore, Crii., 442
e seg.
43. lì: nel cielo vedremo ciò che in
terra crediamo. Cfr. I Cor. XIII, 12.
II Cor. V, 7. Thom. Aq., Sum. theol HI.
Suppl, 92, ì.Oreg. Magn., MoraX. XVIII,
18. Oonv. n, 9.
44. NON DIMOSTRATO: non per Tia di
rasiocinio, ma per evidenia intnitiva.
46. YKB PBIMO : le idee innate. Al.: Dio.
Cfr. Arietot., Anaìyt.pott. I, 1, 2, 8, 14,
27, 38; II, 3. Thom. Aq., 8um. theol. I,
3, 1 ; II, II, 1, 1. -CBBDB: consente, pre-
sta assenso coli' intelletto.
V. 46-106. Xe macchie lunari. Kel
Oonv. II, 14, Dante aveva attribuito,
seguendo Averroe, la diversità di splen-
dore che si scorge nella superficie della
luna a varia distrìbnxione nelle varie
parti della superficie medesima: cioè che
alcune fossero più, altre meno dense,
e ohe da questa maggiore o minore den-
sità procedesse la diversa capacità riflet-
tente. Qui confuta per bocca di Beatrice
tale opinione, insefni*i>do la cagione delle
macchie Innari essere la virtù che dsl
Primo Mobile si diffonde sulle stelle sot-
toposte, la quale, rimanendo sempre una,
si differensia secondo i differenti corpi,
come r anima nelle membra del corpo
umano. Cfr. BoUagieio, Ouervas. topra
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710 [oiBLO PRIMO] Pah. n. 47-67 [macchie luhibi]
Com' esser posso pifi| ringrazio Lui,
Lo qnal dal mortai mondo m'ha remoto.
40 Ma ditemi: ohe son li segni bui
Di qnesto corpo, che laggiuso in terra
Fan di Cain favoleggiare altmi? >
62 Ella sorrìse alqaantO| e poi « S' egli erra
L'opinion > mi disse, « dei mortali,
Dove chiave di senso non disserra,
55 Certo non ti dovrìen pimger gli strali
D' ammirazione omai; poi dietro ai sensi
Vedi che la ragione ha corte l'ali.
58 Ma dimmi quel che tu da te ne pensi. »
Ed io: < Ciò che n'appar quassù diverso.
Credo che il fanno i corpi rarì e densL »
61 Ed ella: « Certo assai vedrai sommerso
Nel falso il creder tuo, se bene ascolti
L' argomentar eh' io gli farò avverso.
64 La spera ottava vi dimostra molti
Lumi, li quali e nel quale e nel quanto
Notar si posson di diversi volti.
67 Se raro e denso ciò facesser tanto,
la fitica dd Poemtk di D. Veron», 1807. quelle doTremo ohe i sensi tnwoendono! •
Kao7a edis. curato da Q. L. Ptu$erini, Oiobtrii.
Città di Castello, 1894, p. 51 e seg. lae. 55. strali : « ogni impressione piolbn-
Maneifd Politiano, Tre lei. iopra al- da è con qnesto tropo dipinto » ; Tom.
euni verti di D. intorno aXìé Macchie 56. poi: polche tn vedi ohe anche die-
dcUa Luna, Genova, 1500. Yarchi, Lez, tro al sensi la ragione si alca poco nelle
iul Dante I, 471-508. sne investigasioni.
47. Lui: Dio, che mi ha allontonato dal 50. ciò : le macchie Innari,
mondo del mortali. 60. rabi: la maggiore o minore dea*
49. SEGin BUI: le macchie oscure di sitodeioorpi. Secondo Averroe, la cagio-
questo corpo lunare. ne delle macchie della luna ò la disfermità
51. Cain: cfr. JnT. XX, 126. Prato, e diveraito delle sne parti, alcune essendo
Caino e le tpine eeeondo D., eoo. An- più rare, altre pib dense; alcune pih buie,
cena, 1881. altre più chiare. A'tempi di Danto si cre-
52. 80BBI8B : o della (kvola di Caino, o deva esser questoladottrinad' Aristotele,
dell' ignoranza di Danto, o d* ambedue. Cfr. Oonv. II, 14. Par, XXII, 139 e seg.
«Quasi volens dicere tacito : Non solnm 61. bommsbso: vedrai sansa dubbio
vulgares errant fabnlando de co quod quanto falsa sia la tua opinione, se tei
nunc petis, sed etiam magni sapientes attensione agli argomenti coi qnali io la
philosophando de hoc errant»; Benv. oombattorò^ Cfr. Oon9. IV, 2.
64. DOVB : in quelle cose nelle quali 11 64. la spera : il cielo delle stelle fisse,
senso non basto. - chiavi di senso : le detto qui lumi. Ctv, Oonv. II, 8, 4.
cognizioni che riceviamo per mesEodel 65. nel quale e nel quanto: neUa
sensi. « Dal senso comincia lanostraoono- qualito e nella quantito della luce. « Bi-
Bcenxa » ; Con». II, 5. - « Se e' ingannia- stingue la intonaito e laqnaUtodella Inee,
mo In qaeUe cose medesime neUe qnaU la brillanteiBa ed il colore » (1) ; BonehM,
abbiamo per guida i sensi, quanto più in 67. tanto j solamento ; latino etflitwii.
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CCISLO PRIMO]
PAB. II. 68-80 [MACCHIE LUNARI] 711
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Una sola virtù sarebbe in tutti,
Più e man distribnta, ed altrettanto.
Virtù diverse esser convengon frutti
Di principii formali, e quei, fuor ch'uno,
Seguiterleno a tua ragion distrutti.
Ancor, se raro fosse di quel bruno
Cagion che tu domandi, od oltre in parte
Fora di sua materia si digiuno
Esto pianeta, o, si come comparte
Lo grasso e il magro un corpo, cosi questo
Nel suo volume cangerebbe carte.
Se il primo fosse, fora manifesto
Nell'eclissi del sol, per trasparere
« PrimA di tutto non paò eaaere in astrat-
to, ohe la dlreraità Sì cui trattasi, ^me
quella ohs si vede nel oolore e splendore
ddl« stelle, derivi soltanto da parti più
rare e piti dense, dovendo virtù diverse
esser fratto di prindpil formali. Né paò
slare in oonoreto la tna snpposisione :
perefocohè, o la rarità delle parti, a cai
attxlbaiaoi la minore luce, si estende per
tatta la grossessadel corpo lunare, o nel-
r interno del medesimo ha un limite. Se
fiMse il primo supposto, si dovrebbe ve-
dere diafana la hma negli eolissi del sole,
leatando essa tra qoesto e la terrai se il
secondo, 1* riflessione della lace solare
proverrebbe da parti più remote che non
sono le snperflfliali, ma dovrebbe acca»
derof i raggi verrebbero un pò* più di lon-
tano, ma non potrebbero mancare, e quin-
di non potrebbe nascere la parvensa di
macchia veruna. » AtUimèUù
88. viBTÙ : d' influire sopra la terra. -
IH Tirm: i lumi, o corpi celesti.
e». ▲LTRKTTAHTO: egualmente. «Or è
r argomento così tktto, che, se raro e
denso fbsson cagione di tale apparencla,
èlio si seguirebbe tutte le ludde esser
d' una natura, tutte le nubilose d' un'al-
tra, tatto le tenebrose d'una tersa; la
qualeonseguensa è assurda»! Lan., OU.,
An.Fwr.
71. FOBifÀU: la scdasticadistingne due
principii di tutti i corpi : il materiale,
cioè 1* prima materia, in tutti 1 corpi
lo stesso, ed Ìl/orma2e, cioè la forma so-
sbmsiale ohe costituisce le varie specie e
virtù dei oor^. « Obieotum movet deter-
minando aetum ad modum principii for-
malis, a quo in rebus naturaUbus acUo
spedflcator, sicut calefiBotio a calore. Pri-
mum antem prindpium formale est ens,
et verum universale, quod est obieotum
inteIlectus»;T%om. l9.,i9iMii.<A. 1,11,0,1.
72. BBOuiTSidKiro : sarebbero conse-
guentemente. - Virtù diverse conviene
ohe siano prodotte da diversi prindpii
formali, non da un solo. Ma a tua ragion,
al tuo modo di vedere, che la diversità
di Incensa non sia prodotta ohe da più o
meno della sostansa di un tal principio,
esso si rimarrebbe un solo.
73. AKOOB : « inoltre, se dal raro venis-
sero le macchie, o la luna sarebbe ba-
cata da banda a banda, o avrebbe strati
densi e strati radi; come grasso e ma-
gro »; T<mh, ' BBUHO : macchie.
76. DIGIUHO: non privo aflktto, ma tanto
da costituirlo raro.
78. CAMGBBBBBB : « ammuochierebbo
strati densi e rari ; metafora presa dai
libri, de' quali le ammucchiate carte, a
guisa di strati, ne formano il corpo * ;
Lonth, Un traslato simile Far, XII, 121
e seg.
70. IL PBIMO : nel primo caso, se cioè U
corpo della luna fosse qua e là bacato da
parte a parte, oppure privo di materia
cosi da essere costituito raro, di modo
ohe il raro attraversasse per diritto tutta
la sua mole, dò apparirebbe chiaramente
quando la lana sta tra noi e il sole, doè
quandoc' è ecdi8d,perchò attraverso quei
buchi o quelle parti rare si vedrebbe la
luce del sole, come la si vede quando
s'intromette in altro eimUe raro, p.es.
nel crivello.
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712 [CIBLO PBIMO]
Pae. II. 81-96
[MÀOCHIS LUNÀBI]
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Lo lume, come in altro raro ingesto.
Qaesto non è: però ò da vedere
Dell'altro; e s'egli avyien ch'io l'altro cassi,
Falsificato fia lo tno parere.
S'egli è ohe questo raro non trapassi,
Esser conviene nn termine, da onde
Lo sno contrario più passar non lassi;
Ed indi l'altmi raggio si rifonde
Cosi, come color toma per vetro,
Lo qual diretro a so piombo nasconde.
Or dirai ta eh' ei si dimostra tetro
Qaivi lo raggio più che in altre parti,
Per esser li rìfratto più a retro.
Da qnesta instansia può diliberarti
Esperienza, se giammai la provi.
81. DIGBSTO: introdotto, intromeaso ;
Ut. inge$tu9,
82. NON È : « ohe lo lame dei ra^ so-
lari pani per lo corpo lanare ; dnnqua se-
guita che sia falso l'antecedente, doò ohe
il corpo della lana abbia rarità penetranti
da r ana snperfloie a l' altra » ; Buti.
83. DELL* ALTBO ; della seconda parte
del dilemma, oioò che il raro sia a strati
ool denso, cosicché il corpo lanare aro-
mnochierebbe strati densi e strati rari, a
qnel modo che nn corpo sovrappone il
grasso al magro, o a simiglianza de' libri
eompostl di carte, le une sovrapposte al-
l' altre. - cabsi : annulli, conftiti.
84. FALBIFICATO: dimostrato fidso.
85. 8' BGU È : « se qaesto raro non tra-
passa da ana parte all'altra, ci conviene
essere an termine, dal qoale il denso non
lo lassi passar più oltre, ma che rifletti i
raggi nella gnisa che ùk il piombo dopo
il vetro dello speochio »; Dan. Cod pare
Biai, Fiial., BonoheUi, ecc. I pih riferi-
scono invece il non Ioni del v. 87 al
raggio del v. 88 e spiegano : « Se la rarità
da te sapposta non è da banda a banda,
bisogna che vi sia an termine oltre il
qnale lo tuo contrario, cioè il denso, non
lasci passare il raggio laminoso; e di là
0 raggio d'altro corpo Incido si rifletterà
come da specchio» . Cwà. Ott., Benv,Land.,
VélL, YerU., Lomb, ecc. Cfr. Chm, Lipt.
in, 43 e seg.
88. l'altrui I del sole. - si lUFOn)!:
«refleotitor ibi, et per conseqnens Inceret
in ipso raro in saperfloie »; Bonv,
S9, com COLOR : come i raggi colorati
che formano l' immagine di aloan oggetto
sono riflessi dallo speochio, che « è vetro
terminato coki piombo »; Oonv, III, 0.
Cfr. In/. XXIII, 26.
01. ou DIRAI : secondo le dottrine di
Avicenna (De CM. U, 4, 01) tn potresti
opporre che dove il raro è più fondo, e il
denso più lontano, qnivi il lame riflesso
è più langaido e pare macchia. - ch' ki
SI : Al. CHB 81. - TETRO : oscnrato.
02. QUIVI: nelle macchie della lana.
98. RIFRATTO : riflesso. La fisica antica
non distingneva tra rifl4$9ione • ri/ra-
Mioné della laoe. - a rktro : da più in-
dietro, doò non dalla saperfloie della
lana, ma dal denso che dentro al soo
corpo è al di là del raro.
04. IN8TANZL4.: obbieslone, dobMo. Kel
lingnaggiosoolasticoohiamavaalinJtenM
il replicare alla risposta. Seoondo Aristo-
tele Vinttanxa è proposisione contraria
ad altra proposislone. Cfr. Oonv. IV, 13
e22; DeMon.U, 6, 10, U. BneiO. 1040.
05. B8PER1RNZA: nn'esperimonto. « Se
ad imitasione del iWtto sn cai si ngiooa,
si ponga an lame in alto dietro le spalle,
e tre specchi dinansi, per modo ohel dne
laterali siano ad ana egaale distania, e
il terso nel messo an po' più remotoi ve-
drai che tatti e tre ilsplendono in egoal
maniera, sebbene dal più lontano la toa
vista non rioeva la qaantità stessa di
Inoe; ma certo non diaoovrir^ parvenu
di macchie : e ootà. dovrebbe avvenire nel
secondo sapposto •lAnUmMù
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[CIBLO PBIMO]
PAE. II. 96-107 [MACCHIE LUHAEI] 713
97
100
103
ice
Ch'esser suol fonte ai rivi di vostr'arti.
Tre specchi prenderai; e dae rimovi
Da te d'un modo, e l'altro, più rimosso,
Tr'ambo li primi gli occhi tnoi ritrovi.
Rivolto ad essi, fa' che dopo il dosso
Ti stea un lame che i tre specchi accenda,
E tomi a te da tutti ripercosso.
Benché, nel quanto, tanto non si stenda
La vista più lontana, li vedrai
Come convien ch'egualmente risplenda.
Or, come ai colpi delli caldi rai
Della neve riman nudo il suggetto
96. FORTI: ftmdameiitodelle Arti« deHe
SotooM. Cfr.Omti, Stor.deUaJUo$.Il,lH.
97. TBB BFIOCHI : cfr . Mo»9oUi, Lèttera
a B, Boncompagni intorno ad un pai§o
dèOa D. a Bom*. 1866. ]^ju»d„ lUuttr,
mannam., ed. Pautrini, Città di Ca-
•leUo, 1894. p. 38 e aeg. Bo&Oifisio, Fi-
9iea del Poema di Danio, ed. Paooerini,
M, 1894. p. 61 e aeg. DeOa ValU, Nuovo
JUuUr., lao e aeg. Oom. Lipt, III, 45 e
Mg. « ▲ me pare ohe Dsate eoU'eaem-
pio dei tre specehi h» Toloto segnalare
U principio ohe le eaperfiol piane lumi-
note, od illamlnate In egoal grado ap-
paiono della steasa ohlaresaa a qualunque
diatanta alano peate, perohè la grandezza
dell'immagine e la qoantità di laoe che
rioere la pnpUla da olaacnn pnnto dimi-
Boando Tnna e l'altra nella ragione in-
reraa del quadrato della diatansa, vi ò
un oompenao, ed ogni elemento d'egual
ealenalone dell'immagine apparente ò
aemprerapproaentatodaunaateaaaqnan»
tttà di luce nell'occhio a qualunque di-
atansa ai oaaerri la anperfide » ; Jfo«-
$oUi, op. dt. pag. 8.
98. D' UH MODO t mettili ad ugual di-
atansa da te, e poni H terso pih distante,
e in maaiera che ai oflha agli oodii tuoi
medio tra due' primi.
100. DOPO IL DOSSO: dietro le tue spalle.
101. AOCDiDAt illumini; oonfr. Virg,
Goorg, I, 251.
103. BiPBBOoeso t rifleaao da tutti e tre
gli apeochi; cfr. Tirg., Aon. Vili, 22 e
aeg. Ofrid., MoL II, 110.
108. HKL QUAHTO: nella quantità della
luce. La luce dello apecchio plh lontano
è men riva, ma non èmacebla. - STSirDA :
non ai eatenda tanto nella grandessa.
104. UL VISTA: il lume reduto nello
specchio medio che è 11 più lontano. -
VEDRAI : « In cotale eaperimento vedrai
oome lo aplendore ala ne' tre specchi
uguale; quindi concluderai che, aebbene
la luce del sole ai rlbatteaae da alcune
parti plh remote dalla auperficle della
luna, dò non basterebbe a produrre in
eaaa luna quelle macchie ohe vi ai veg-
gono »;£r.B.
V. loe-148. Le infiuenae dot eioii.
Conftitato l'errore drca le macchie della
luna, Beatrice procede alla dlmoatraslone
del vero. « Claecuna apera ò governata
da una beata Intelligensa, la quale mani-
festa la molteplice sua virtù nell'astro al
qual ella presiede, come fa l'anima uma-
na per le varie membra del corpo che in-
forma. Queste diverse virtù de' deli fanno
diversa lega, formano doò dlverae compo-
dsioni, producono diverd effetti, co' pre-
siod corpi ohe avvivano, e nei quali d
legano, come la vita in noi. Da queata
unione naaoe una vita mieta, la quale,
per la natura lieta da cui procede, ri-
aplende pel corpo, come letida nell'ani-
ma noatra d fa manifesta per viva pu-
pilla. Da queata virtù pertanto, e non da
denao e raro, deriva ciò che par difTerente
da luce a luce: e la steesa mista virtù ò
formale prindpÌo,che, a norma di sua bon-
tà, produce 11 chiaro e il torbe nei diversi
volti dd varii lumi edesti. » AntoneUi.
106. AI COLPI : ofir. Purg, XXX, 85 e
aeg. Ovid,, Metam. II, 808. Ariotu Ori.,
XIX, 20. « Ecco la costrudone del ter-
setto : Or come ai colpi de'caldi rai 11 sog-
getto della neve riman nudo e del colore
e del fk^do che aveva prima»; B«M.
107. IL BUOGBTTO : Il terreno sottoatan-
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714 [CIBLO PBIMO] PAB. II. 108-125 [INFLUXH. DXI CIBI.I]
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E dal colore e dal freddo prunai ;
Cosi rimaso te nello intelletto
Voglio informar di luce si vivace,
Che ti tremolerà nel suo aspetto.
Dentro dal del della divina pace
Si gira un corpo, nella eni virtate
L'esser di tatto sao contento giace.
Lo del seguente, e' ha tante vedute,
Qaell'esser parte per diverse essenze
Da lai distinte e da lui contenute.
Oli altri giron per varie differenze
Le distinzion, che dentro da so hanno,
Dispongono a lor fini e lor semenze.
Questi organi del mondo cosi vanno.
Come tu vedi ornai, di grado in grado,
Che di su prendono, e di sotto fanno.
Riguarda bene a me, si com'io vado
Per questo loco al ver che tu clisiri.
(e, tal qiuUe giace la ntve. Cosi BuH,
Land., VeU., Dol., Dan., Voi., VmL,
Gr$g., Blanc, WitU, Poi., eoo. Al.: La
soatanaa della nere ; Lomb., Pori., Pog.,
Oott., Tom,, Br. B., FrtU., Andr., L,
Veni., eoo. Gfr. Oom. lAp. Ili, 47.
108. PBIMAI : di prima.
100. ooeì: libero dall'errore, oome il
suolo dalla noTO. Cfr. Boet, Ootw.pAa. I,
pr. 6. « Volendo la malisia d' alquanti
dalla mente lerare, per ftmdarri poi raso
la laoe della yerità >; Oonv. IV, 8.
110. IHFOBMAB: voglio illaminarti di
yerità al lucente ohe « ti scintillerà nel
preaentartiai davanti »; L, VorU., SimU,
115.
112. CIEL : Empireo, ofr. Oonv, II, 4,
15. Sp. Kant. 24.
118. ux CORPO: il Primo Mobile, dal
quale viene virtù a quanto oontengono
cielo e terra. Gfr. Oonv, II, 1. Thom, Aq.,
Sum. theol, 1, 116, 8 ; U, u. 90. 2.
114. ooMUOfTO: Contenuto ; ofr. Ir\f. II,
77. Nella virtù del Primo Mobile, comu-
nicatagli dall'Empireo, ha ftmdJamento
reeaenxa di tutte le oose che dentro il
•uo giro aono contenute. Gfr. Alb, Magn.,
De Minerai. II. 8, 8.
115. BMUBMTB: U Cielo deUe stelle fia-
^, dette vedute, o perohò si ofbono alla
vista (Bonv, Buti, eoo.), o perchè sono
tanti punti ohe veggono, quasi ooohi del
elelo (Dan., eoo.). « Aut quam sidera
multa, cnm taoet noz, Fnrtlvoe honii-
num vident amores »; OoL, Oarm., 5.
116. PARIS: oompartisce, distclbalsoe
quella virtù che riceve dal nono olelo,
nelle diverse stelle.
117. DurrorTB: contenute in quel dolo,
ma distinte da esso; ofr. Cono. 11,4. Al,
DA LUI DI8TRATTS.
118. ou ALTRI: i sette deli inteiori va-
riamente, ciascuno con le debite diflb-
rense, dispongono al loro lini ed al loro
efletti le virtù diverse ohe hanno in sé;
cfr. Oonv. n, 7, 14; IV, 21.
120. FiRi: effetti.- SRMBifZR : caose ef-
fettive. Cfr. Virg., Aon. VI, 6, 780 e seg.
121. QURBTi : i deli, membra del corpo
dell* universo e strumenti per i quali il
mondo si governa; efr. Oonv. HI, 6. De
Mon. U, 2.
128. PRENDONO : ricevono 1* Inflnenxa
dd delo superiore e la oomunioano al-
l'inferiore; ofr. Sp. Kani, 81.
124. A MS: Al. OMAI; Ofr. Oom,IÀpi.
ni, 60. Moore, OHi., 444 e seg. Oonv.
IV, 15. De Mon. I, 2.
125. Looo : per questo mio ragiona-
mento.
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[cielo pbixo]
PAB. II. 126-140 [INFLT78V. DBI CIBLI] 715
127
180
183
136
139
Si che poi sappi sol tener lo guado.
Lo moto e la virtù dei santi giri.
Come dal fabbro l' arte del martello^
Dai beati motor convìen che spiri ;
E il del, cui tanti lami fanno bello,
Dalla mente profonda ohe Ini yolve,
Prende Y imago e fassene suggello.
E come V alma dentro a vostra polve
Per differenti membra, e conformate
A diverse potenze, si risolve;
Cosi l'intelligenza sua bontate
Multi plicata per le stelle spiega,
Girando so sopra sua unitate.
Virtù diversa fa diversa lega
Col prezioso corpo eh' eli' avviva,
126. 80L : per te stetso, aensa bisogno
di toorta. - TBinn: arriyare alla cono-
aeensa del yeio. • ouxdo : oonfr. Pwg.
VIU, 6».
127. viSTÙ : influensa. - giri : dell ;
oonlk*. Purg. XXZ, 93. Par. Ili, 76;
XXVin. 189.
128. FABBBO: oome il martello non
opera da so, ma riooTO dal fiibbro la
▼irtù di operare ; così i cieli non 8Ì mao-
Tono nò esercitano le loro inflaenie da
so, ma ricevono dai beati motori, cioè da-
gli angeli (intelligense) , ogni moto e virtù
d* influire. Cfr. Ariitot,, De Anima, 2. De
Mon. in, 6. Oonv. I, 13 ; IV, 4. Brun,
Lai., Tu. H, 80. Oom. Lips. Ili, 51.
139. MOTOB: le Intelligense motrici;
cfr. I^f. VII, 74. Oonv. II, 5, 6. Thom.
Aq., Sum. tkeol. I, 110, 8; I, 70, 3; I,
U, 6, 6. Alò. Magn., De Ood. U, 3, 5, 15.
Tano, Otr. IX, 61.
130. aBL: stellato; cfr. Boet., Oont.
phU. m, metr. 9.
131. MSMTB: divina, dalla quale il cielo
stellato riceve la sna forca e la imprime
nei cieli inferiori. Cosi Ott., Fotta. Oa»».,
Bono., Buti, Land., VoU.,Tom., Oam. ecc.
Meglio forse: Quella IntelUgensa, od An-
gelo, da coi il cielo stellato è mosso. Cosi
Varchi, Del., Dan., Vent., Lomb., Biag.,
(fcf ., Br. B., Frat., Oreg., Andr., Filai.,
Bìano, Witto, ecc. Qaesta interpretasio-
ne ò confiBrmata dal v. 136. Confr. Par.
XXVm. 99 e seg. Oonv. II, 6. Oom.
Lipt. m, 52.
132. PBEMDB! riceve l'impronta che
poi Imprime nelle stelle; cfr. Thom. Aq.,
Sum. theol. 1, 106, 1-8.
138. l' alma : « siccome V anima razio-
nale, infine ch'òoongìonta col corpo(detto
qxd polve, secondo Oeneé, III, 19. Salm.
CHI, 20. Beel. XII, 7), per diversi organi
adopera sna virtnte, per V occhio la vi-
sta e per l' orecchio V ndire ; cori la in-
telligenxa aopera sna boutade per suoi
organi, li quali sono le spere e le stelle > ;
CU., e così anche Lan. e An. Fior. Cfr.
Virg., Aen. VI, 726 e seg.
134. CONFORMATE : ordinate e disposte.
135. POTSMZB : ai diversi sensi, del tat-
to, della vista, dell'udito, del gusto, eco.
- SI RisoLVB; si spiega. « Come l' anima
umana spiega (ti risolve) la propria virtù
nelle differenti membra corporee per mes-
so di varie potense o fMoltà, cosi la in-
telllgensa separata (angelo) sebbene sia
una, spiega nelle innumerabili stelle, co-
me in tante varie potenze, la sua virtù » ;
Oom.
138. OIBAHDO: cfr. Par. XIII, 60.
139. DivBBSA : « adopera essa motrice
Intelligenza in ciascuno di qne' pretioti
corpi, in ciascuna stella, a cui quasi a
darle vita si lega, varia virtù, dando a
chi un' influenza, ed a chi un' altra »;
Lomb.
140. OOBPO : celeste, detto pretioeo per-
chè incorruttibile. -oh' ell' avviva ; Al.
CHE l'avviva ; ma l' Intelligenza avviva
la stella, non la stella l' Intelligensa.
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71(1 [ciKOPBmo] PAK.U. 141-148 [nrPLUiH. dh COLI]
14S
145
148
Nel quali ai come vita in voi, si lega.
Per la natura lieta onde deriva.
La Yirtù mista per lo corpo luce,
Come letizia per papilla viva.
Da essa vien ciò che da luce a luce
Par differente, non da denso e raro:
Essa è formai prìnti^Oj che predace,
Conforme a saa bontà, lo torbe e il ch^uro. »
141. n TOl: eoHM Tmìba Bnuna il
oonghiiife eoi eorpo, eoià riateUigensa
coUa alali*. Omì Lm^, OtL, An., Fior.,
Bm9, e qmmà tatti i »o4enL AL a un
— B«l qaaleocpo rimtelHgeBtt d lag» ed
vniM» eo— aaiBA ìa eotyo. Gota Ari^
TeU., eoe. Cfr. Moor*, OHf., 445 e Mg .
143. MAXUmA: dlTiBA, di Dio; ofr. iV.
TII, §4 e Mf. Pwry. XVI, 80. Vftig. BL
I, 4. Al : Par 1» BAtan liete daU' iDtoUi-
gmMtk BOtriee (Bom9., Dtnt,, VomL, Pori.,
Pog., Bimg,, Br. B„ FrmL, eoe.).
148. mvca: « dal dirino potere e dal-
r angetioo, a deOe proprietà di ciMenn
corpo e di qoeOe ehe ad eaeo Taagono
da tatti i corpi nperiori e da daacbe-
duBO»; T9im. Forae BegUo JBmo.r « tìt^
145. DA BSA : atrM <fia«r««, T. 139. doò
dalla Tirta dlTeraaflMnte inilcdta daU'In-
taOifeMn Motriea naoca la diSbrenmdi
laee tra piagata e pianeta, ed aache tra
la Tarie parti deOo ateaM pianeta, cone
144. vita: come brilla Uletisia in Tira
papUla. « La virtù, allato per lo corpo,
loco per la lieto natura da coi deriva,
eoBM la latisUlnce per la TiTadtà della
papilla. Perobè è la TiTadtà della popUla
che & apparir la letisia»; BettL
147. baìl: qneato Tirtù, o IntemgeBia,
è/fwtal prine^U, doè principio attiro,
cagioBe intrinaeca e aoataasiale ehe pro-
dacatodilhmsa dell* oacuoedel chiaro,
aecondo O diTcrao ano coDgiangimento
alla ateOa. U^rtadspia/ormafa è TaUivo,
a «uMmolf è U paaiiTo.
148. TUSBO: tot. twrbUm» f Q tori»,
roecnro. Cfr.FcrdU, Im. nU Dante, I,
583 e aeg. Om. i;^. lU. 54eaeK. - « St
hic oltinM» noto qaod Dentea non Tid«tar
condodere niai qnod maento to lana pro-
cedit a primaria caoaanniTcraali, tamen
BOB aaaigBat aUqnam caaaam partionla-
rem qo» eat a raro et denso. Aliqni to*
meo dioont qood eat a iònaa apeciilca.
■ioQt TidcBuia aliqnando qood in aliqao
li^de apparet orato ombra. » JBeitv.
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[CULO PBIXO]
Pab. ni. 1-7
[VISIONE] 717
CANTO TERZO
CIELO PBIMO O DELLA LUNA
MANCANTI AI VOTI DI CASTITÀ
VI8I0KS DI ANIME BEATE, PIOOABDA DONATI
GBADI DI BEATITUDINE, GOSTANZA IMPERATRICE
Quel sol che pria d' amor mi scaldò il petto,
Di bella verità m'avea scoverto,
Provando e riprovando, il dolce aspetto ;
Ed io, per confessar corretto e certo
Me stesso, tanto quanto si convenne
Levai lo capo a profferer più erto.
Ma visione apparve, che ritenne
V. 1-83. rUione di 9piHtL Mentre ù
Poeta lera la fronte per oonfaesani a Bea-
trice oonTinto del proprio errore e per-
soaao della nnora yerità dimoetratag H,
nnm lisknie attrae l'attenzione di Ini
per modo, eh -egli dimentica la oonfee-
done. Gli spiriti di coloro olie neglee-
•ero, o non oaservarono interamente i
Totl, appariaeono oome immagini riflesse
In Tetri trasparenti o in aoqae nitide.
Credendo di rodere infutti immagini ri-
flease. Dante si Tolge indietro per guar-
dare doTO siano gli spiriti; e, non to-
deodo nolla, giiaida dubbioso Beatrice,
la qoale, dopo nn sorriso, lo trae dal
soo IngMino, insegnandogli che qaelle
ohe T^, non sono immagini riflesse
ma Tere sostanse, ed esortandolo a par-
lare ad esse. Cfir. Tkom, Aq., 8wm, theol,
in, »ifpL, 86, 2.
1. SOL : Beatrice ; ofr. Par. XXX, 76. -
pbia: sin dalla mia pnerisia; cfr. Pwrg,
XXX, 42.
2. TKBITÀ : intomo alle macchie lanari
ed alle infloense dei cieli. Ofr. Oonv. lY ,
2, 8. Tkom. Mu Bum. a#o{. II, u, 16, 1.
8. FBOTANDO : la Tora sua sentensa.-
BiFBOVANDO: conftitando la flUsa mia
opinione; ofr. Oonv. II, 2.
4. BD IO: « ed io più erto loTal il capo
a parlare, a flne di confessare me stesso
tanto corretto e certo, quanto era dioe-
Tole ch'io fòssi dopo le ragioni addotte
da tal maestra» (f); JB«tti. - oorbbtto :
del mio errore. - orbto : della Torità di
quanto Beatrice mi aroTa dimostrato.
6. OOM VBNifB : leyai il capo quanto era
necessario per parlare, « sì eh' io non
passai Io modo » ; ButL Al. riferiscono il
tanto quanto ti eonwonno al oof^e$$are ;
ma allora ci aspetteremmo nn conveniva.
6. A PBOFPKBKB : per esprimere la mia
confessione. Proforort, dal lat. pr<i/(nre,
lo stesso che Prqforiré, Articolare le let-
tere, le sillabe, le tocì, mandandone ftaori
i snoni.-KBTO: per poi chinarìo con cen-
no d'assenso.
7. Visioni appasti: AL tuioh m'ap-
parvi; ma qui si tratta di una Tlsta di
cose reali, oggettiTo, non di una Tisione
soggettiTa del Poeta. Una scena consi-
mile si ha in Pturg. XV, 82 e seg.
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718 [CIELO PBIXO]
Par. III. 8-26
[VISIONE]
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A sè me tanto stretto per vedersi,
Che dì mia confession non mi sovvenne.
Quali per vetri trasparenti e tersi,
Ovver per acqae nitide e tranquille,
Non si profonde che i fondi sien persi,
Toman dei nostri visi le postille
Debili si, che perla in bianca fronte
Non vien men tosto alle nostre pupille ;
Tali vìd'io più facce a parlar pronte;
Per ch'io dentro all'error contrario corsi
A quel ch'accese amor tra l'uomo e il fonte.
Subito, si com'io di lor m'accorsi,
Quelle stimando specchiati sembianti.
Per veder di cui fosser gli occhi torsi,
£ nulla vidi, e ritorsili avanti.
Dritti nel lume della dolce guida.
Che sorridendo ardea negli occhi santi.
€ Non ti maravigliar perch' io sorrìda »
Mi disse, € appresso il tuo pueril cote,
8. TANTO STRETTO: taoto flsso ed at-
tento. - Pia VEDESSI: per essere da me
Todota; ofr. Pwg. XIV, 126; XVII,
22 e seg. Yirg,, A$n, 1, 495 : « Dom sta-
pet optntnqiie hjsrei deflzns in uno. »
10. PER VETRI: cfr. Virg., Atn. VH,
769. Oonv. lU, 9.
11. PER ACQUE: ofr. Prov. XXVII, 19.-
NITIDE: ofr. Ovid., Met. HI, 407. Horat.,
Od. Ili, xin, 1. 8tat„ Thèb. IV, 817. -
TRANQUILLE: ofr. Luean., Phor». IX,852.
12. PERSI : i più spiegano perduti di ri-
tta ed intendono: Non per altro tanto pro-
fonde ohe i fondi non si veggano; poichò
in questo caso l' immagine riflessa dalle
aoqae non sarebbe si languida. Cort Petr.
Data., Benv., Buti, Veli., Dan., VorU.,
Lomb., ecc. Secondo altri, perti ha anche
qui il senso di oteuH, neri (cfr. Ir^f. V, 89 ;
VII, 108. Pwg. IX, 97. Ctoni». IV, 20).Co-
sì Lan., An, Fior., Land.,VoL, Benna*.,
Blane, Cavemi, eoo.
13. LE POSTILLE: i lineamenti. e PoffO-
la ò quella immagine nostra, che ci si rap-
presenta in aoqna o in ispeochio, o altro
corpo trapassante, o vnoli l'immagine
della oosa speoohiata della materia » ; OU.
- « Probabilmente vnol dire ohe qnelle
deboli Immagini sono all' immagine per-
fetta riflessa in ano speoohio oiò ohe le
note saoointe sono al testo d' nn li1m> >;
Siane.
14. PERLA : bianoa perla è difllclle a di-
soemere in fronte bianoa. Cfr. Arietie,
Ori., XXIV, 66.
15. MEN TOSTO: Al. MIN FORTE; cfr.
Oom Lip». Ili, 59 e seg. Jfoore, OrU.,
447 e seg.
16. TALI : cosi indistinte, pooo laoenti.
-PRONTE : la voglia di parlare col Poeta
si leggeva loro in viso, ardente di oele-
ste carità ed amore.
18. A QUEL: all' errore di Nardso, che
credette l'immagine speoohiata dall' so-
qna vero viso (ofr. Ovid., Mei. Ili, 407-
510. Inf. XXX, 128), laddove Dante ere-
de immagini i veri visi.
19. DI LOR: delle dette f!sooe.
20. BPECCHLATi SEMBIANTI: immagini
riflesse di visi che mi stessero dietro.
23. guida: Beatrice.
24. ARDEA: ett.Virg., Aen. n, 405; V,
277. 648.
26. APPRESSO : in seguito al tuo pen-
siero fisnciullesoo. - COTO : Al. QUOTO.
Cfr. In/, XXXI, 77. Aeqttini, Jntomo
ai vero eignijkaio deUa parola Ceto ueata
da DanU, nel Oiom, Aroad., 1884, LXI,
162-62. Nanwuee., Sopra la parola Ooto,
Fir., 1839. Oom. Lipt. UI, 61.
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[CULO PBIMO]
Par. iu. 27-38 [piccabda donati] 719
28
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Poi sopra il ver ancor lo pie non fida,
Ma ti rivolve, come suole, a vóto:
Vere sostanzio son ciò che ta vedi,
Qui rilegate per manco di vóto.
Però parla con esse, ed odi, e credi;
Che la verace luce che le appaga,
Da sé non lascia lor torcer li piedi. »
Ed io all'ombra che parca più vaga
Di ragionar, drizzarmi, e cominciai.
Quasi oom'uom cui troppa voglia smaga:
€ 0 ben creato spirito, che a' rai
Di vita etema la dolcezza senti.
27. POI: poiohè fl tao pensiero non al
ftadA anoora sopra 1» rerltà, mft ti Ik pur
▼aneggiMe dietro i sensL « Ta se' asato
di ricorrete «Uà flsioa per le oagioiii delle
eois natorali, e oosi t1 rioorri ora per
cafione delle cose sopra natara, et a que-
sto non ò soflOdente i» flsioa, m» 1* teo-
logia»! BuU.
28. 8UOLB : Ogni pensiero Cuioiallesoo.
- À VÓTO : in yano.
29. BUBTAKzn : Spiriti reaU e non im-
magini riileeee.
80. KiLiOATB: eonflnate. Appariscono
qiri, ma hanno, come tatti i beati, la loro
tede nell'Empireo} ofr. Par. IV. 28 e
Mg. Pone le anime di coloro che man-
carono de' voti nellA Lana, pianeta in-
oosUnte; cfr. Eedes, XXVII, 12. - pkb
MAKOO : per mancamento ai voti fatti.
n. LUOB : Dio, in cai trorano l' appa-
gamento di ogni loro desiderio.
88. tobckr: non lascia dir loro ohe
il Tsro.
V. 84-67. PloMM-vkiX^onaM. Dante si
▼<dge ad ana di qnelle anime e la prega
di manifestargli il eoo nome e di istrnirlo
wUa eondisione dei beati di questo cielo.
Sl'saima beata risponde : « Sono Piccar-
<la; e nd troro con altri spiriti in questo
isilmo delo, perchè né io né essi adem-
pimmo i TOtt flitti. >
Pioearda fti figlia di Simone (cfr. JV*
^CXX,82essc.)esorelladiForese(Pur^.
yyiTT, 48) e del ftunoso Corso Donati
UHtry. XXrV, 82 e seg.). « Entrò nel
monasterio di santa ChUra, dell'ordine
^Minori; ftae bellissima donna. Stata
^QMU donna nel ditto Honistero, con-
«onealdittomesserCktrsobisognodi ilare
QBo parentado in Florenia) non area né
ohi darené ehi tArre,d che ftae consigliato:
* Toi Picoardadd monistero, e Ik tale pa-
rentado. , Credette costai a tal consiglio,
e sibnosamente la trasse del monistero
efb* tale parentado. » Lan. - « I sad fkm-
telU l'aTCTano promessa di dare per
moglie ad ano gentile nomo di Firense,
nome Bossellino della Tosa, la qnal cosa
perrenata alla notizia del detto messer
Corso, ch'era al reggimento della città di
Bologna,ogni cosa abbandonata,ne venne
ai detto monisterio, fi quindi per fbrsa,
contro al volere della Piocarda e delle
suore e badessa del monlsterio, la trasse.e
centra suo grado ladlede al detto marito;
la quale immantanente Infermò, e finì li
suoi d), e passò aDo sposo del Cielo, al
quale spontaneamente s' era giurata. »
OU, Cosi pure Peir. Dant., Ocu»., Benv.,
Serrat., eoo. CCr. TodéithUii, SeriUi «u
D. 1, 836 e seg. FnueeUa, Picearda Do-
fuM<,nel Propugf%atoré, IX, 2, p. 10&-127.
Oom. Lip: III 64. Dtl Lungo, Dino 0,
II, 115. Vemon, Inf. voi. Il, p. 461 e seg.
34. VAOA : avendo avuto reiasione col
Poeta nella prima vita.
86. OOM* UOM : quasi couftaso e turbato
per il soverchio desiderio di conversare
con qudl'anima ; ofìr. PUrar., Ball,, 1, 3 e
seg. -BMAOA: ùk smarrire o sviar l' ani-
mo, turba.
87. BXN CBKATO : o Spirito orcato per
l'eterna felicità, ohe a noi mortaliinon é
dato di comprendere, perché. Illusi dai
piaceri terreni, non la possiamo gustare.
-a' RAI: riguardando in Dio, sole degli
angeU, luce etema e nostro sommo be-
ne; ctr. Par, X, 68; XI, 20; XIV, 47.
88. snrn: godi l'ineflkbile gioia del
Paradiso.
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720 [CIELO PRIMO]
Pab. ui. 89-52
[PICOABDA DOHATI]
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52
Che, non gastata, non s' intende mai,
Grazioso mi fia, se mi contenti
Del nome tao e della vostra sorte. »
Ond' ella pronta e con occhi ridenti :
« La nostra carità non serra porte
A giusta voglia, se non come quella
Che vuol simile a sé tutta sua corte.
Io fui nel mondo vergine sorella;
E se la mente tua ben si riguarda,
Non mi ti celerà l'esser piò bella;
Ma riconoscerai ch'io son Piccarda,
Ohe, posta qui con questi altri beati,
Beata sono in la spera più tarda.
Li nostri affetti, che solo infiammati
39. NOH S'UCTKNDl: cdà pOT gli OOOhi
una doloessa •! core, Che intender non
U pnò ohi non 1* prora»; Tito N.,
§ 26, son. 15. « Quando non abbiamo
esperimentato in nessun modo nna spe-
do di sapore, ò impossibile che oe ne
formiamo l' immaginaaione » } Oom.
40. OBAZioso : mi sarà grato se appaghi
il mio desideiio di sapere olii sei e perdio
siete qoi. e Questa dimanda semplice,
senza alcuna promessa di fkma nel mondo
e d'aintod'orasionl, òconyeniente al Pa-
radiso dorè la carità non serra porte » ;
SetUmbHni.
42. BiDKNTi : di quella gioia che nasce
da celeste amore.
43. NOH BKRBA : uou uoga soddisfiizione
ad un giusto desiderio. « La nostra carità
qui è simile alla carità di Dio ohe vuole
che tutti di sua corte (tutti i beati) sieno
a lui simili » ; Oortu
44. BB NON: non altrimenti ohe la ca-
rità di Dio, il quale vuole che tutto il
regno dei beati gli sia simile, ardente
della stessa carità che Sgli ò in essensa ;
cfr. JBp. I 8. Oiav, IV, 16.
46. yEBaiMK B0BKLL4 : suora vergine,
oioò religiosa di S. Chiara, ossia Fran-
cescana. « SoreUa per tuora, titolo delle
sacre Vergini velate » ; Vmt.
47. SI BiouABDA : ritorna sopra so me-
desima. « n riguardare della mente a so
stessa dimostra por oonvenevol modo
r atto del ricordarsi, o richiamare alla
memoria alcuna immagine di oosa altre
volteoaduta sotto i sensi o pensieri»;
Giul. Al. BER MI BiouABOtA: ma Dante
si era già tutto drisaato a qnell* ombra s
oolla voglia maggiore, v. 86 ; quindi non
avevamestleri d'altro ecdtamentoabens
e più fissamente liguardaria.- <Kel Para*
disc dantesco le sembianie umane, fatte
celesti, son divenute cosi spirituali in loro
purissimo ^lendore, che in sul primo il
Poeta pena a raffigurar le persone; ma
tornando a loro lo sguardo, e aiutandosi
dell* assodaaione delle idee ohe si ride*
stano nel parlare con loro, viene pei a
riconoscere anco di meaio alla nuova bei-
lessa i tratU individuali ohe le distingue-
vano una volta»; Persf. Conft. Tkom.
Aq., awn, théd. ni, 54, 1. ni Si^ppL,
79 e seg.
48. OKLBRl : e V esser io divenuta più
bella non fkrà si ohe tu non mi liooao-
sca. B s'aooorda oon dò ohe Dante ri-
sponde co' versi 68 e seg. » ; BetU,
51. IN LA BPKRA : Al. KKLLk SPISI. -
PIÙ TABOA : secondo fl sistema TdemaioD
la sfera lunare ò più piccola delle altre,
quindi, girando oon quelle intono la
terra si muove più tarda. «Eie spera
lume appellatur tarda, idest parva, quis
describit minorem oiróulum ; vsl dloìtor
tarda quia est remotior a primo moMU
et vidnior terr», qn» est JmmohiHs st
gravis, vel quia Ikdt tardos »; Brut.
52. AFFETTI: dealderii. Risponde aDa
domanda : dsOa toitra toffts, V. 41. «Vuol
dire : Koi godiamo di avere quella beati-
tudine ohe a Dio piace ohe ndabUaiDo,
perchè amiamo il solo piaotrediloi»; 0».
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[CIELO PBIMO]
Par. III. 53-66 [gbadi di bsatit.] 721
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Son nel piacer dello Spirito Santo,
Letizian del suo ordine formati.
£ questa sorte, che par giù cotanto,
Però n' è data, perchè fur negletti
Li nostri vóti, e vóti in alcun canto. »
Ond'io a lei : € Nei mirabili aspetti
Vostri risplende non so che divino,
Che vi trasmuta dai primi concetti.
Però non fui a rimembrar festino;
Ma or m'aiuta ciò che turni dici.
Si che raffigurar m'ò più latino.
Ma dimmi: voi che siete qui felici.
Desiderate voi più alto loco
Per più vedere, o per più farvi amici? »
68. HBL PIACER: neirftmore, nella di-
lettetdane; ctt. It^Y, 104.
64. umziAH : ai rallegrano, prendono
duetto. - rOBM4Ti: prendono la forma di
beatiiadine da lai ordinata; oppure:
« hanno forma dall'ordine in che lo Spi-
rito Santo li pose» ; Tom. formati è lei.
di qnasi tatti i oodd. e oomm. ant. ; al-
eani pochi hanno imforiiati.
55. BORTS: qoeeto ordine di beaiita-
dine, ohe pare tanto basso, ci ò dato da
Dio, perchè i noetrl voti furono da noi
ne^tti e non oaserratl pienamente.
V. 63-00. eiradi di beamudine.l>antò
■i scosa di non arer riconoecinto Piocar-
da, causa la sovrumana bellesea di lei. Poi
chiede se la beatitadine di qneste anime
noa sia velata d' alcuna mestizia per il
desiderio ohe può rimaner loro di siUlre a
Tederò altre anime beate, colle qnali in
terra ftirono strette da amicisia o a cono-
scerne di nnoTC. Piccarda risponde che
i beati non hanno altro Tolere che il vo-
lere di IMo, e che qoeeto divin volere 11
f^PP*£[* appieno e li rende perfèttamente
beati. Dante si conforma anche qai pie-
namente alle dottrine dei SS. Padri ; cfr.
Aug., De civ. 2M XXII, 80, 2. Oreg, No-
ziam., OrtU. XXVII, 8 ; XIV, 5 ; XIX,
7 ; XXXII, 88. BaHl. Maffn.,inEunofn.,
8. Hieron., Adv. loo., 2. Hugo da 8. Via.,
Srud. a., n, 18, 20. E}iud., ImtiL mon.
De an. IV, 16, eco.
58. ABPim: nelle vostre meravigliose
sembianse.
60. VI TRASMUTA: altera le primitive
sembiaase che aveste in terra.
i6. — Di». Omn»., 4* odia.
61. FBSTINO : presto, solledto} lat. /«•
tHnut.
68. LATINO : tà/dìe, «Perohò a* tempi di
Dante le persone dotte scrivevano e par^
lavano latino, latino usavasia significare
discorso ornato o sermone (Por JQI, 144 ;
XVII, 35). E perchè tutto ciò ch'è ornato
è fkcile, e ansi è la facilità una condizione
essenziale alla grazia ; latino venne a si-
gnificare anche fadle, agevole. Di questa
voce in tale significato è vivo latinare,
oh' è detto da' conciatori per togliere con
fiMilità la lana alle pelli di pecora, quando
per la calcina son ben ricotti 1 bulbi
de' peli. » Oavemi. Nel Oonv, II, 8, lati-
namente ^Tfaoilmenté. £ latino per fa-
cile usò G. Fitt., Cron. XI, 20.
64. DIMMI : « Dioite, felloes animie tu-
que optime vates »; Virg., Aen.YI, 660.
La domanda potrebbe sembrare super-
flua, avendo Piccarda già detto che il
volere di quegli spiriti beati è in tutto
oonfdrme al volere di quel Dio che as-
segnò loro tal posto. Ha Dante voleva
svolgere il concetto pih chiaramente.
66. PiR PIÙ : desiderate voi di essere
in luogo più alto per vedere più amici
già fattivi in terra e che lassù si trovano,
o per fkrvi un maggior numero di amici
tra' beati che in terra non conosceste f
Dante è ancora ignaro del fatto, che tutti i
beati sono nell'Empireo. Cfr. Luea XVI,
e. « Creatura spiritualls ad hoc quod
alt beata, nonnisi intrinsecos adiuvatur
stemitate, ventate, charitate Creatoris:
eztrinsecus vero si adinvari dicenda est,
fortasse hoc solo adiuvatur, quod ee in-
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722 [CIELO PRIMO]
PAB. III. 67-80 [GBADI DI BEATITUDINB]
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Con queir altr' ombre pria sorrise un poco ;
Da indi mi rispose tanto lieta,
Ch'arder parea d'amor nel primo foco:
« Frate, la nostra volontà quieta
Virtù di carità, che fa volerne
Sol quel ch'avemo, e d'altro non ci asseta.
Se disiassimo esser più superne,
Foran discordi li nostri disili
Dal voler di Colui che qui ne cerne ;
Che vedrai non capere in questi giri.
S'essere in cantate è qui necesse,
E se la sua natura ben rimiri.
Anzi è formale ad osto beato esse
Tenersi dentro alla divina voglia.
▼ioem Tideot, et de boa sooietote ggu-
dent » ; Avg., in Qen. Vm, 26. -« Vide-
tor qaod amid sint necessaril ad beati-
tadinem.. .Ad bene ease beatitodinia focit
■odetaa amiooram.... Qnaaioonoomitan-
ter ee habet amloitia ad perfeotam bea»
tltadinem. > Thom. Aq., 8utn. theol. I, ii,
4, 8. 1 piti spiegano invece: Desiderate
voi di essere in Inogo pih alto per mirare
piti da presso la Divinità, o per farvi più
famigliai! a Dio; in terpretasione contrad-
detta dai rv. 52-64
67. ALTB* OMBRE ! « qnia non solom Con-
stantia, sed e^am molte aliae virgines
erant ibi in pari grada » ; Bénv. - SOR-
BiBB : « desimplioitateqasDrentis»: Benv.
68. DA INDI : ò qnl il lat. deinde — quin-
di, appresso.
69. NKL PRIMO FOOO :nel più veemente
fooco di un primo amore. Così VéU., Tom, ,
Frat, Chreg., L. Vtnt., eoo. Al.: Kella
Lana, oheò primo splendore e primo pia-
neta a noi; Benv», Buti, Land., eoo. Al.:
Nel fiiooo dell'amor divino, ossia in Dio
ohe ò U primo amore ; Fent., Lomh -, Port,,
Fog., Biag., Oee., Br.B.,Andr., Bennae,,
Cam., Frane.^ Oiul.,eeo. Kell'amor divi-
no, Piocarda non i>ar«va soltanto ardere,
ma ardeva veramente ; ed appanto que-
sto ardore nell'amor divino vuole Dante
fkrci conoscere, paragonandolo ad altro
ardore ohe anche in terra si conosce.
70. VOLONTÀ: quarto caso. -quieta:
appagata, sazia.
71. VIRTÙ: caso retto. -fa volerne:
ci fa volere, desiderare soltanto ciò ohe
abbiamo.
72. AB8ETA: noB 0* invoglia, non ci
rende bramosi di altro-* di ma^oKior bea*
titadine.
78. PIÙ BUPBBHB: in Inogo più alto.
75. CERNE: vede: JV. Vili, 71. Par.
XXI, 76: XXVI, 85. Se desiderassimo
di essere in laogo più alto, i nostri desi-
derli non andrebbero d'aooordo col vo-
lere di Dio che qui ci vede, perchè qoi
ci ha aggiudicati e qui veder oi vuole.
Sulle altre interpretasioni oonAr. Cbm.
Lip$. IH, 68.
76. CAPERE : aver luogo. H non oonlbr-
marsi alla volontà di Dio non pad aver
luogo in Cielo, dove dimora e domina la
carità, la cui essenza ò per l'Apponto
r acquetarsi neldivin volere. Cfìr. Thom.
Aq., Sum. theol. I, n, 17, 6} 65, 5; 109,
8: n, II, 23, 2.
77. NECB8SE:necessario,necessità. tNe-
eeite era parola oomunlssima nelle sooole,
di senso logico e libero, diverso dal ma-
teriale e servo senso pagano » ; Tom.
78. NATURA; non ia natora di questo
luogo (Buti), né la natora di Dio, nella
quale non può essere discordia o disere-
pansa alcuna (Véli.) ; ma la natora e l'in-
dole della carità, ohe in cielo ne rende
perfettamente conformi al volere di Dio.
(Benv., Dan., Veni., ecc.).
70. FORMALE: proprio della forma;
oggi si direbbe teeenziaU. - ad ebto bea-
to : a questo vivere beato; alla natura
particolare di questa beata esistenza. AL
A QUESTO; AD ESSO. - ESSE : essere; forma
latina, anticamente dell' uso soolastico.
80. TENERSI : Tolere ciò ohe Dio vuole,
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CCIBLO PBIKO]
Par. III. 81-93 [obadi di bbatit.] 728
83
85
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Per ch'una fSanai nostre voglie stesse.
Si che, come noi sem di soglia in soglia
Per questo regno, a tutto il regno piace,
Com'allo Re eh' a suo voler ne invoglia;
E la sua volontate è nostra pace:
Ella è qael mare, al qual tutto si move
Ciò eh' ella crea e che natura face. »
Chiaro mi iu allor com' ogni dove
In cielo è Paradiso, e si la grazia
Del Sommo Ben d' un modo non vi piove.
Ma si com'egli avvien, se un cibo sazia
E d'un altro rimane ancor la gola,
Che quel si chiere, e di quel si ringrazia;
uè mai oltrepanare i limiti del divin to-
lore.
81. UHA: le nostre voglie, del tatto
conformi al volere di Dio, formano oon
eaeo una sola voglia. « Sola divina vo-
lantas, qate semper est reota, est regola
haman» aotionis.... Divina volantss est
prima regala qaa regalantar omnes ra-
tionaleo volantates. » Thom.g Aq. 8um.
thed. II. II, IM. 1.
82. DI SOGLIA m SOGLIA : di cÌoIo in cie-
lo; ofr. Par. XXXII, 18.
83. A TUTTO IL BBGiiO ; a tatti i beati
abitatori del celeste regno.
84. RR : Dio. - A suo VOLSB : Al. IN SUO
VOLKS. Piace a noi di esser dove siamo,
come piace a Dio, il qnale fa ohe il sao
volere sia pare il nostro.
85. PACI : principio di nostra beatitodi-
ne. « Cam beatitado niliil aliad sit qaam
adepUo Samml Boni, non potest esse bea-
titodo sino delectatione concomitante....
ex hoc qaod meroes alleai redditor, vo-
lantas merentis qaiescit, qaod est deleo-
tari »; Thom, Aq., 8um. theol. I, ii, 4, 1.
86. MABB X « qael floe in che consiste la
nostra felicità, e a ohe è diretto ogni ra-
gionevole atto delle creatnre»; Lan. e
An. Fior, - si move: come al sao prin-
cipio; cfr. Ckmv. IV, 12.
87. CBBA : direttamente. - B chb ; Al.
o CHB. - FACE: Crea pel ministero delia
natura. « Tatto le creatore che sono im-
mediatamente da Dio creste, o qaelie ohe
sono mediatamente da Dio ed immedia-
tamente prodotte dalla natnra, in modi
diversi, secondo la diirersità di loro na-
tara, tatto sono dirette ad altimo flue, e
tatto, in modi pnre diversi, sono ordi-
nate a foro la volontà di Dio»; Oom,
88. ooxi DOVB: ogni parte dei cieli,
ogni sfera, alta o bassa che sta.
80. B si : e dò nonostante t e qaantan<
qne sia ootà. Al. btsi.
80. d' un MODO : dove più, dove meno,
secondo i meriti ; beati e felici tatti, ben
chò la beatitodioe sia in differente grado
e misara loro dispensata. Cfr. Thom, Aq.
8wn. théol. IU, Suppl, 93. 2. 8. - «Co
meohò la distribnsione delle di vinegrasie
non sia egaaie per tatti, ciò nonostante
tatti sono in Paradiso, cioè head. Cia-
scana anima ò come nn vaso ; ma sono
di di Tersa capacità : e tutte sono piene e
perciò incapaci di riooTore di più, quindi
sono beate »; Oom.
y. 91-108. Il voto inadempUUo di
Ficearda» Pienamente soddisfatto quan-
to alla domanda, se i beati desiderano nn
più alto grado di beatitudine, Dante vuole
sapere da Piccarda qaale sia stato il voto
da lei negletto; onde Piccarda racconta
oome entrò nel chiostro di S. Chiara, e
come ne fo tratta violentemente.
02. LA GOLA : 11 desiderio. la brama.
03. quRL : del quale rimane il desiderio.
- 81 chibbb : Al. si chibdb. Ohorére, dal
lat. qtuerere, si disse anticamente per
chiedere s cfr. Diez, dram. U», 622. - B di
QUBL: e di quell'altro cibo, del quale già
si è sasi, si ringrazia ohi V offre. « Invece
di qìutto e queUo, il Poeta osò avverti-
tamente queUo e quello, perchè si l' aao
che l' altro Hbo sono del pari indetermi-
nati nel caso generale ivi accennato »;
Qiul,
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4
724 [CIBLO PRIMO]
Pab. ih. 94-104
[VOTO DI PICCABDA]
94
97
100
103
Cosi fec'io con atto e con parola,
Per apprender da lei qnal fa la tela,
Onde non trasse ìnfino a co' la spola.
« Perfetta vita ed alto merto inciela
Donna più sa, » mi disse, « alla cai norma
Nel vostro mondo giù si veste e vela,
Perchè in fino al morir si vegghi e dorma
Con quello Sposo eh' ogni vóto accetta,
Che cantate a suo piacer conforma.
Dal mondo, per segairla, giovinetta
Fuggirmi, e nel suo abito mi chiasi.
94. eoe): con atti e oon parole rin-
gradal Piocarda dell'aTermi sdolto un
quesito; e la pregai di sdogllerineiie nn
altro, dicendomi quale fosse stato U roto
ohe ella non area condotto a oompimento;
ofr. y. 50 e seg. La vita di Piocarda non
era naturalmente ignota al Poeta; ma egli
finge di non esserne informato per trovar
motivo di parlarne.
95. LA TELA: « qnesto secondo dubbio,
del quale volea esser chiarito, era d' in-
tendere qoal fti la vita sua ohe essa co-
minciò nella religione ma non la finì ; e
parla per traslazione, chiamando la vita
tela, della quale essa non trasse la spola
insino al co*, cioè insino al capo, cioè in-
sino al fine, perciocché la spola ò quella
che conduce il filo della trama di qua in
là tanto, che la tela s* empie »t La-nd,
96. co* : capo; cfr. Ir^f, XX, 70; XXI,
64. Purflf. Ili, 128.
97. vita: contemplativa. « Perfectio
hominisest, ut, oontemptistemporalibus,
spiritualibusinhereat»; Thom,Aq.,S\i,m.
theol. I, n, 99. 6. Cfr. f*Wd. H, n, 184, 6;
II, II, 186, 7. > MESTO: «meri tum virtuosi
actus consistit in hoc quod homo, con-
temptis bonis creatls, Deo inhieret slcut
fini »; Thom. Aq., 8um. theol. II, ii. 104,
3. - INCIELA: colloca in piti alto cÌ6lo.
98. DORMA : Santa Chiara d'Assisi, na-
ta nel 1194; si chiamò nel secolo Chiara
Sciffi, e fta donna ricca e bellissima. Aman-
te sino dalla sua fìmoiullessa del ritiro e
della penitenxa, e presa d' ammirazione
per le virtù del suo concittadino S. Fran-
cesco, Chiara si pose sotto la direzione di
lui, ed incoraggiata da'snoi consigli fondò
nel 1213 cm monastero per le vergini ed
una regola che in breve si diffuse per
tutta r ItaUa. Ce«ò di vivere l' undici
agosto del 1258. Ccmflr. J. von Onhach,
Lebon der heU. Olara, Aachen, 1844.
JDtfmors, Leben dtr hi. Clara «on Ajuir
ti, Aegensburg, 1867. Oom. Ltp: III,
78. - ALLA CUI HOBMA: seoondo la eoi
regola.
99. 81 VESTE E VELA : sl prende r abito
religioso ed il velo monacale.
100. 81 vEOom E OOBMA: SÌ Stia glomo
e notte in compagnia di Cristo. Allude
forse alla parabola evangelica delle died
vergini, McM. XXY, 1 e seg.
101. Sposo : cosi ò chiamato Cristo nel
Nuovo Testamento, ofr. Matt. IX, 16;
XXV, 1, 6. Jfareo n. 19. Luca V, 84.
Giov, III, 29. Blfu. y, 25. - aocktta:
cui è accetto ogni voto offertogli per li- >
bora e pura volontà di plaoere a lui.
«Ad votum tria ex necessitate requi-
runtur: primo quidem deliberatio; ae-
cundo propositum voluntatis ; tertlo pro-
missio, in qua perfloitur ratio voti....
Yotum est teetiflcatio quiedam promia-
sionis spentane», qu« Deo et de his qua
sunt Dei, fieri debet.... Votum est pro-
mlasio Deo facta. Promlssio autean est
aliouius quod quls prò allquo volnntarie
fscit.... Cum omne peocatum sitoontra
Deum, neo aliquod opus sit Deo aooe-
ptnm, nisi sit virtuosum, oonseqnens est,
quod de nullo illicito, neo de allquo indif-
ferenti debeat fieri votum, sed solum de
aliqoo aotu virtutis.... Vota qu« snat de
rebus vanis et inutillbus, sunt magis
deridenda quam servanda. » Thom, Aq.,
Bum. th. II, II, 88, 1, 2.
108. oioviKETTA : « Idest, puèlla adultn
SDtatis »: Bcnv. Cfr. Thom. Aq., 8um. th.
n, n. 88, 9.
104. Fuooi'm : mi fuggii e presi l'abito
di Santa Chiara, ml,lbci m^nao».
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CCIBLO primo]
Par. in. 106-111 [costanza impeb.] 725
106
io«
E promisi la via della sua setta.
nomini poi, a mal più eh' a ben usi,
Fuor mi rapiron della dolce chiostra;
E Dio si sa qnal poi mia vita fusi.
E qaest' altro splendor, che ti si mostra
Dalla mia destra parte, e che s' accende
Di tutto il lume della spera nostra,
105. PBOiosi : feci Toio di Tivere nella
r«goI« di 8. ChiATft. -YIA: U modo di yì-
rere, la regola ; ofr. Atti IX, 2. - bitta :
■égnito, oompagnia, ordine (lat. féotoa
§mUtndoh Setta naarasi antJoamente an-
ehe in buona parte; ofr. Pwrg, XX IT,
87. « Ha qaeeto Tooe il signifloato inno-
eenie, ohe le Tiene dalla origine, anche
nel proirerUo toscano: Una peoora in-
fi»tta ne ammorba nna ietta »; Oavemi,
106. uOMun: i Donati, e Della oaaa
de* Donati era capo meeaer Corto Do-
nati, e egli e quegli di sua casa erano
fentlU nomini e gaerrìerl, e di non so-
perchia riochexsa, ma per motto erano
chiamati Malefkmi»; G. TiU. Vin, 80.
Cfr. Oionaeei, 8L deUaB. UmUiata, lY , 4.
107. RAPiBOic : « CnrsoB frater adrerans
sororem Tirginem ira peroitna, aatnmpto
seeom Farinata doario famoeo, et aliis
doodecim perditissimis tyoophantia, ad-
motiaqaeparietibneachaliB, ingressas eet
aepta monaaterii : oaptamqae per yim ao-
rorem ad patemam domnm secnm abdo-
zit, et «acri» diaoiaaia Tcetibns, mnndania
indntam, ad nnptiaa coegit. Anteqnam
•ponaa Cariati onm viro oonTcniret, ante
Imaginem Cmdflxi virginitatem saam
•ponao Christo oommendavit. Moz to-
tnm oorpne eins lepra peronsanm fùit,
nt oementibns dolorem incnteret et hor-
rorem ; itaqne, Deo disponente, post ali-
qnot dice onm palma TirginitatLs migra-
vit ad Dominmn. » Bod. da TotiifffMno,
HUt. 80raph. Selig. 1, 188. Racconto leg-
gendario.
108. FÙ8I: si fa. «Tnol dire che per-
dette la Torginità, e doTette fbr tatto le
volontà del marito »; Betti. - «Chi legge
atteotamente il torco ed il qoarto canto
del Paradiso scorge manifesto, essere sta-
ta ferma persuasione di Dante, ohe Pie-
carda non mai si acconciasse con animo
Toleoteroso alla condisione Tiolentemen-
te impoetale dal fratello, ma pare non
osasse di sdogUersene per timore di
iiiioTi danni ; eh'ella conservasse l'amore
ddla sna profesdone rdigiosa, ma poro
non aresse il coraggio di rompere riso-
Intamente gli ostacoli, che il mondo
aveva frapposti all' osservanaa de' soci
voti. Le parole di Dante d lasciano
campo a credere che fosse abbreviata
, la vita di Piooarda dal vivo contrasto
sorto nell'animo di Id; ma di' ella, ap-
pena data a marito, ardentemente pre-
gasse e prodigiosamente ottenesse di es-
sere immantinente sottratta agli effetti
della violensa usatale da messer Corso,
dò dee metterd scusa fello per una di
quelle narradoni raccolte, non so s' io
dica dalla bonarietà o dalla imprudenza,
che s' acquistarono il titolo di leggende
fhktesohe. . . . Dante oondderava bensì Pio-
carda come vittima dell'altrui violensa,
ma pure non isoema affatto di colpa, nò
certamente di virth straordinarie dotata,
o per grado segnalate distinta. » Tode-
eehini I, 887 e seg. Cflr. Chm. Lipe, III,
75 e seg.
y. 100-120. C&etanaa impsratrioe.
Plccarda tocca poi di un altro spirito beato
che sta dia destra di lei e oh* ò raggiante
di tutto il lume di quella sfera. B Co-
stansa, figlia postuma di Ruggero I, ul-
tima erede dei Normanni e regina delle
Due Sicilie, moglie di Arrigo VI impe-
ratore e madre di Federigo II, nata nel
1154. sposata nel 1185, morto nd 1108.
Qui Dante segue una fevola, a'suoi tempi
creduto un fatto storico, ohe Costonsa si
fosse monacato e dall' ardvescovo di Pa-
lermo, Gualtieri Oflfemilio, tolto dd chio-
stro. Su questo ed dtre favole concer-
nenti r imperatrice Costanza cte, Oom,
Lipe, ni^ 77-70. G. Fitt. IV, 20 j V. 16.
Vigo, Dante e la Sicilia, p. 14 e seg. Bar-
ìow, Oontr,, 887-60. Oiannone, let, XV, 2.
100. BPLKNDOB: confr. Oono, III, 14.
Thom. Aq., Sum, theol. lU.Suppl. 85, 1-.3.
111. TUTTO: « secundum quod anima
erit mdoris daritotis secundum mdus
meritum, ito etiam erit differentia dari-
tatis in oorpore >i Thom. Aq„ ibid., 85, 1.
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726 [CIBLO PRIMO]
Pab. in. 112-125
tCAHtOD^ addio]
113
115
118
121
124
Ciò ch'io dico di me di sé intende:
Sorella fd, e cosi le fa tolta
Di capo V ombra delle sacre bende.
Ma poi che pur al mondo fa rivolta
Centra sao grado e centra buona usanza,
Non iu dal vel del cor giammai disoiolta.
Quest' è la looe della gran Costanza,
Che del secondo vento di Soave
Generò il terzo, e l'ultima possanza. »
Cosi parlommi, e poi cominciò ^Ave^
Maria ^ cantando; e cantando vanio
Come per acqua cupa cosa grave.
La vista mia, che tanto la segalo
Quanto possibil fu, poi che la perse.
112. iHTENDB: lo intende detto mohe
di sé; 1* miA stori* è pure i» sna.
118. SORELLA : monaoa. - così : a fona,
oome a me.
114. l'ombra: la oopertnra del velo
monacale.
115. PUR: eeea pure, oome tal io.
116. CONTRA : Tiolentemente, e contro
il bncm nao ohe non permette tornino
al secolo monache profasse.
117. HON FU: rimase sempre monaca
col onore, serbando ognora afTetto allo
stato monacale. « Av vegna che fosse in
privasione dell' abito estrinseco, sempre
lo sno onore ftae olii oso e Telato dalle
sopradette sacre bende, qaasi a dire che
sempre ebbe 1* animo e la voglia alla vita
promessa per sno voto »; Lan. e An,
Fior,
110. BBOONDO! Arrigo VI imperatore,
flgUo di Federigo I, n. 1165, m. 1107. -
VENTO : gloria umana; PoH. Càit., Petr,
Datti., BuU, Land,, Veli., ecc.; onore, lu-
me della Casa di Svevia ; Benv., Parenti,
Frane., OitU., ecc.; superbia, per essere
stato superbo od altiero; Dan., Voi.,
Vent., L&mb., ecc.; prepotento, violento;
Pog., Greg., Cam., Filai., ecc.; vento
per venuto, cioè venuto dalla casa di
Svevia; Pertieari, Oo$t., Betti, ecc. Me-
glio Blane : • la potensa impetuosa e paa-
seggiera dei principi della casa di Svevia,
paragonata acconciamente ad nn vento
impetuoso. » - SOA vb : dal ted. Stihwaben,
la Svevia.
120. IL TKRZO : Federigo n. - ultima :
nel Cono. IV, 8, chiama Federigo U « ul-
timo Imperatore dei Bomani. » VUimm
po$$anza avrà dunque qui il senso di
vMmo imperatore.
V. 121-180. Jleaitfo <r«uMlo. Giunta
alla fine del suo racoonto, Piooaida in-
tuona un' Avemaria, e cantando dispa-
risce colle altre anime beate sne compa^
gne. Dante guarda loro dietro ; e quando
non le può pih vedere, riveggo lo sguardo
alla sua Beatrice, della quale non gli è
possibile sopportare Io sptondore, onde si
vede costretto a sospendere alcuni istanti
il parlare.
122. VANÌo : disparve, si tolse di vista ;
confr. Virg., Aen, U, 701; IV. 278; IX,
658, ecc.
128. PER ACQUA : cfr. Purg. XXVI, 185.
Beodo XV, 10. « Gli spiriti beati e pei^
petui abitatori dell'Empireo appariscono
nell'una o nell' altra sfera a seconda del
grado di beatitudine loro stabilito {Par.
IV, 81-30) t ed intanto si mostrano al pri-
vilegiato viatore per (krgli festa ool dire
e colla luce intellettuale e dimostrativa
del vero che li illumina e riscalda (Par,
XV, 76; XXI, 66). Quindi è, che non
appena finiscono di contentarlo nelle
sue espresse o tacite voglie, ed essi
spariscono, fkeendo ritomo alle proprie
sedi loro destinate nel sommo cielo. »
Oiul.
124. 8BQUÌO i disparve dunque a poco a
poco. Cfr. Virg., Aen, VI, 100 e seg.i
VIII, 602.
125. PERSE! « poi ohe la mia vista per>
dette lei, che non la potetti più vedere »}
BuH,
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[CIELO PRIMO]
Pab. III. 126-130 -lY. 1-4
[DUBBI] 72t
127
130
Volsesi al segno di maggior disio,
Ed a Beatrice tutta si converse ;
Ma quella folgorò nello mio sgaardo
81, che da prima il viso non sofferse;
E ciò mi fece a domandar più tardo.
120. BTCVO: Beatrice, oggetto del piti
intenso mio desiderio.
128. FOLGOBÒ: « sooenna il divaHo
grande, ohe suppone, tra lo q»lendore
delle anime della Lana e quello di Bea-
trice »; Lomb.
120. NON BOFFiBSit non potè in sol
prindpio sostenere tanto splendore.
CANTO QUARTO
CIELO PEIMO 0 DELLA LUNA
MANCANTI AI VOTI DI CASTITÀ
LA SEDE DEI BEATI, IL BITORNO DELLE ANIME ALLE STELLE
IL LIBEBO AEBITBIO, VOTI INFRANTI E LOBO BIPABAZIONE
Intra due cibi, distanti e moventi
D'on modo, prima si monda di fame.
Che liber uomo l' nn recasse ai denti ;
Si si starebbe an agno intra due brame
V. 1-9. JhibM M JknUe, Udito 11 ra-
gionamento di Plooarda, Dante òoombat-
toto tra doe dubbi d'egoal peso e che
lo premono con egnal ibria. Dipinge la
soa eoodlslone con dne slmilitndini ri-
Bgnardanti nna pooo felice questione fllo-
soflca del tempo. Cfir. L. VetU,, Simil.,
408. Ferroni, negli AtU dèlia Onuea I,
l-ll. Zanthi, AÙune armonie, eoo. Ve-
rona, 1808, p. 164-181.
1. DUB: « si aliqna dao snnt penitns
eqnalia, non magia moretnr homo ad
nniim qnam ad aliod ; siont fkmelicns si
habet oibnm «»qnaliter appetlbilem in di-
Tetsia partfbBB, et seonndom SBqnalem
distantlam, non magia moTetar ad nnom
qoam ad altenim »; Thom, Aq,, Sum,
theol, I, n, 13, 6. - MOVENTI : l' appetito,
« che non ci fosse motiTO più per l' ano
che per l' altro »; Tom.
8. UBNB : dotato di libero arbitrio.- si-
CAB8B: Al. UOM L'UN SI BKCAS6I.
4. AGNO : lat. agtm», agnello ; cfr. Par,
IX, 181 ; X, 94. - DUE BRAME : tra dae
fiuneliol lupi, non sapendo da qaale dei
doe più tosto foggjre. «Tigrls nt aaditìs
diversa valle dnonim Bxtimalata fune
mogitibas armentonim Nesdt, ntro po-
tins roat, et mere ardet ntroqne; Sic
dQbins Persens»; Ovid., JfstV, 164 e seg.
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728 [CIELO PRIMO]
Par. IV. 5-28
[DUBBI]
10
13
16
19
22
Di fieri lupi, egualmente temendo ;
SI si starebbe un cane intra due dame.
Per che, s'io mi tacca, me non rìprendO|
Dalli miei dubbi d'un modo sospinto.
Poi eh' era necessario, né commendo.
Io mi tacca; ma il mio disir dipinto
M' era nel viso, e il domandar con elio.
Più caldo assai, che per parlar distinto.
Fé' si Beatrice, qual fé' Daniello,
Nabuccodonosor levando d'ira.
Che r avea fatto ingiustamente fèllo ;
E disse: € Io veggio ben come ti tira
Uno ed altro disio, si che tua cara
So stessa lega s), che fuor non spira.
Tu argomenti : *' Se il buon voler dura,
La violenza altrui per qual ragione
Di meritar mi scema la misura? „
Ancor di dubitar ti dà cagione,
Parer tornarsi l'anime alle stelle,
0. 8Ì: oorà immobile, non sapendo an
quale piti tosto gettarsi. - dame : dam-
me, lat. dama o damma — daino. < Cnm
canibos timidi Tonient ad poonla dam-
mro »; Yirg., Bclog. Vm, 28. - « Timidi
damm» oerviqae ftagaces Nano interqne
canee et oiroam te<^ vagantnr •xYvrg,,
Georg. ITI, 539 e seg.
7. PKR CHE : in virtù di questa legge na-
tnrale, il mio tacere non meritava né
biasimo nò lode, poiché, essendo io egnal*
mente spinto da' miei due dnbbi, il mio
tacere era necessario. Soltanto dò che
r nomo ttk Uberamente, pnò meritar lode
o biasimo.
V. 10-27. I d%*bbi indovinaH ed
eapostt. Dante tace ; ma sai suo volto
ò espressa la domanda che le labbra
non profferiscono. Beatrice che, vedendo
ogni oosain Dio, legge nel caore di Dante,
formala i doe dabbi di loi. Tono circa
rj2tÌgine..d«UlaaÌBUkAil.jiuMito>Ba.aUfi.
stelto ; r altro intomo a ciò ohe oostitoi-
sceTa natara^ell* anima stessa, ossia al
u^^,^ arlritTJTT
11. CON KLLO t col desiderio. EUo per lui
vive nel llngnaggio del popolo.
18. FK' sì: Al. FK88I; ma Beatrice non
fece tè, fece ansi per l'appanto coti come
fece il profeta Daniele. Qaesti hidovind
prima II sogno, del qaale il re di Babilonia
si era dimenticato, quindi ne dette 1* in-
terpretadone calmando oorà Tira di Na-
bacoodonosor, che aveva ingìastamente
comandato di acddere ta^ i aaol in-
dovini, perché non gli sapevano rac-
contare il sogno da lai dimenticato (cf^.
Daniele II, 1-45) : Beatrice medesima-
mente indovina prima i dubbi non rive-
Iati di Dante, quindi li scioglie, ed in
tal modo tranquilla la mente ikgltat» del
Poeta.
15. FÈLLO : crudele, iniquo ; ole. Dia,
Wort. 1», 174 e seg.
16. TI TIRA : ti spinge a domandare.
17. CURA ! e cura sta qui per pensiero.
Né la significazione ò strana in lingua »i
Betti.
18. lboa: impedisce sì, ohe non si ma-
nifesta con parole. « Die pedem referens
et iuatjlis inque ligatus Cedebat »; Virg.,
Aen. X, 794 e seg.
19. volbb: di osservare ed adempiere
i voti fatti a Dio. Se la volenti^ penlura
nel proposito buono e l' altrui videnxa
m'impedisce di eseguirlo pienamente,
per qual ragione mi si scema la misura
del merito! Questo per ciò che riguarda
Piccarda e Costansa.
28. T0RNAB8I : PUtoue hiseguò òhe pii-
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[CIBLO PBIMO]
Par. iy. 24-34 [sbdb dei beati] 729
25
28
31
34
Secondo la sentenza di Platone.
Queste son le qaestion, ohe nel tuo velie
Fontano egualemente; e però pria
Tratterò qaella che più ha di felle.
Dei serafin colui che più s' india,
Moisè, Samuel, e quel Giovanni,
Qual prender vuoli, io dico, non Maria,
Non hanno in altro cielo i loro scanni,
Che quegli spirti che mo t' c^pariro.
Nò hanno all' esser lor più o meno anni ;
Ma tutti fanno bello il primo giro.
DM di trovarsi le anime nei corpi umani,
gi4 oiinteeeoTo nelle stelle, e ohe alla
morto dell'uomo tornassero alle stelle
medooimo ; ofr. Plot,, Tim. ree.Hermarm,
p. 41 A; Aug., Cfiv.DeiXUl» 10. Thom,
Aq., Bum. eonL gent, II, 47, 48; III, 78,
84; opinione rlproTSta da Dante per
booea di Beatrice, ma ohe sembrava con-
fermata dal tetto del ritrovarsi le anime
nella Lnoae nelle altre stelle.
25. VSLLB: termine soolastloo*— il vo-
lere, la volontà.
26. POHTAiffO : s'appuntano nel tao vo-
lere, lo stimolano ugualmente, chiedendo
spiegaeione.
27. FKLLB: fiele, veleno, pericolo di
male. Si può chiedere, se il Poeta In-
tende che la dottrina platonica sia più
pericolosa in generale, o tale sia partico-
larmente per lui, nel qual caso egli con-
feeserebbe qui di aver dubitato una volta
droa l'anima umana. Veramente i dubbi
che egU va manifestando e facendosi
sciogliere da Beatrice, sono da conside-
rarsi come dubbi reali, non solo come
finzioni poetiche. Più sopra. Par. II, 46
e seg.. Dante combatte per bocca di Bea-
trice una opinione da lui propugnata nel
Oonv. Si dovrà iufbrime, aver egli ve-
ramente dubitato un tempo della verità
o fkkità della dottrina platonica saìle
anime ed avere più tardi riconosciuto
tale dottrina essere pericolosa e contra-
ria alla fede cristiana. Cfr. Com. lApt.
m, 85.
y. 28-63. Za sede dei beati. Bea-
trice combatte la dottrina platonica sul
ritorno delle anime alle stelle. Tutti quan-
ti i beati senza eccezione dimorano nel-
rBmpireo ; e si mostrano in diverse sfe-
re, non già per aver sortito diverso luo-
go, ma per significare il loro grado di
beatitudine. Cosi conviene parlare al-
l' umano ingegno, perocchò solo da sen-
sato apprende ciò che poscia fii degno
d'intelletto; onde anche la Scrittura
Sacra, parlando delle mani o d'altre
membra di Dio, si accomoda all' umana
capacità, come tà pure la Chiesa rappre-
sentando gli angeli con aspetto umano.
Forse però il concetto di Platone ò di-
verso da quello che sembrano suonare
le sue parole, ed egli allude aD' influenza
operata dalle stelle sulle anime umane ;
nel qual caso la sostanza del suo concetto
non meriterebbe derisione.
28. 8' ncDÌA : si unisce a Dio, gli ò più
prossimo. Nomina prima 1 serafini, per-
chè sono sopra tutti gli angeli, Oonv,
II, 6; poi Moisè, il massimo dei profeti,
Deuter, XXXIV, 10, al quale accoppia
Samuele, secondo Qerem. XV, 1 : quindi
1 due Giovanni, l' Evangelista, il disce-
polo ohe Gesù amnva, Oiov. XIII, 23 ;
XIX, 26. ed il Battista, il maggiore tra i
nati di donna, MaU. XI, 11 ; finalmente
la Vergine Madre, alta più che creatura,
Par. XXXni, 2. Vuol dunque dire: I
sommi angeli ed 1 sommi santi del Pa-
radiso non hanno altrove loro sede ohe
quegli spiriti che or ora ti apparvero.
30. NON Mabli: non eccettuata nep-
pure Maria.
31. ne ALTBO: tutti nello stesso cielo,
benché diversi i gradi di beatitudine ;
sulla quale diversità ofr. Thom.Aq.,Sum,
theol. 1, 12, 6. Vedi pure Oonv. II, 4.
33. ANNI : « tutti sono etemi ; non noi
luogo e nell'eternità loro è differenza, ma
nella beatitudine »; Land. Contro l' opi-
nione di Platone, che le anime separate
dai corpi rimanessero nelle stelle loro più
o meno anni, secondo i meriti riportati.
34. IL PRIMO : r Bmplreo. Ivi sono tatti
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730 [OIKLO PRIMO]
Par. IV. 35-50
[SBDE DBI BBATI]
87
i3
46
49
E differentemente han dolce vita,
Per sentir pia o men V etemo spiro.
Qai si mostraron, non perchè sortita
Sia questa spera lor, ma per far segno
Della celestial e' ha men salita.
Cosi parlar conyiensi al vostro ingegno.
Però che solo da sensato apprende
Ciò che fa poscia d'intelletto degno.
Per questo la Scrittura condiscende
A vostra facultate, e piedi e mano
Attribuisce a Dio, ed altro intende;
E santa Chiesa con aspetto umano
Gabriel e Michel vi rappresenta,
E l'altro che Tobia rifece sano.
Quel che Timeo dell'anime argomenta,
Non è simile a ciò che qui si vede,
1 beati. La loro riU ha nn direno grado
di doloessa, non per ossei e locati in di-
Tend deli, ma perchè sentono direna-
mente lo spirare di Dio, qaella beatitn-
dine che Dio intomo a sé diffónde. Cflr.
Thom. Aq., Sttm. theol III, Suppl. 93, 3-S.
87. SORTITA : assegnata loro in sorte.
88. PBB FAB SBQRO : per signifloare sen-
sibilmente la loro sfera celestiale, cioè,
il grado della loro celeste beatitadine,
che ha «iMn taiiia, è U meno alto, l'in-
fimo di tntti.
39. CELESTIAL : della sfera obeatitndine
celestiale. Al. spiutual.
40. ooel : per messo materiale e sensibi-
le ; ott. Th4>m. Aq., Bum. thtol, 1, 84, 1, 0.
41. DA 8K1I8AT0 : « da Oggetto sensi*
bile apprende qnel che poi dlriene intel-
ligibile >; Tom. Cfr. Thom. Aq., Bum.
théol. 1, 1, 9; 1, 13, 4, 11; I. 77, 7 ; I, 78,
4;I, n.8, 3;III, 30,3.
43. con DI8CBKDB : parlando del braccio
e dei piedi di Dio. la Sacra Scrittura
usa traslati tolti da cose corporee, per
adattarsi al modo amano d'intendere.
Cfr. Thom. Aq., Sum. théol. 1, 1, 10 ; I,
19. 11 ; I, n, 4. 7. TertuU., Adv. Mare.
II, 10. 8. Aug., In etn. XVII. GaliUi,
Opp., ed. AlbèH II, 7 e seg.; 32 e seg.
Oom. lÀpt. Ili, 89 e seg.
45. ALTBO : da qnel ohe snonano le pa-
role. « Intende di manifestarci attribnti
immateriaU dirini simboleggiati nelle
mani e nei piedi; » Oom.
47. Gabbikl: cfr. DofiMe Vlh, 16;
IX, 21. Luca I. 19, 26. - Micbbl: efr.
DaniéU X, 18 ; XH, 1. W%Aa, 9. ApocoZ.
xn. 7. 8. Jnr. vn. ii. fwy. xm, si.
Ambedue aroangdi.
48. l'altbo: l' arcangelo Baflbale che
rendo la vista al Tecchio Tobia; eonfr.
Toh. UI, 26; VI, 18.
49. TiMBO : Platone nel suo dialofo in-
titolato Timeo. - ASOOMKRTA : oiroa la
derivasione delle anime dalle stelle ed U
loro ritomo ad esse. « Plato e altri vol-
lero ohe le nostre anime proeedeisero
dalle stelle, e fossero nobili più o meno,
secondo la nobUtà della stella»; Oonw.
rv, 21. Oonfr. Aug., 0i9, Dei Xm, 19.
Thom. Aq., 9um. eotO. g*nL II, 48, 48;
III, 78, 84.
50.8miLB: non è, come eiò ohe al redo
qui nella lana, ana figura di eoa» per
fame intender altre, poioh* egli sembra
crociere realmente tal qaale saonaao le
sae parole. Il Betti: « Qaello <die Timeo
argomenta intomo alle anime, non as-
somigliasi al vero, che è qni a noi beati
spiriti manifesto. Peroochò pare, oh'egli
non parli figuratamente, ma ohe ansi
creda ohe la cosa sia cosi, come la dice,
n prender dunque letteralmente ciò ohe
Timeo dice delle anime, sarebbe un ma-
nilbsto contradire a dò ohe qui al vede.
Dice, per esempio, ohe le anime eoo.; ma
forse la sua sentensa è d' altra guisa che
la voce m
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[CIELO PBIXO]
PaB. IT. 51-68 [SBDB DBI BBATl] 781
52
58
ei
Però ohe, come dice, par che senta.
Dice che l' alma alla saa stella riede,
Credendo qnella qaindi esser decisa,
Quando natura per forma la diede ;
E forse sua sentenza è d' altra guisa.
Che la voce non suona; ed esser puote
Con intenzion da non esser derisa.
8' egl' intende tornare a queste rote
L'onor dell'influenza e il biasmo, forse
In alcun vero suo arco percote.
Questo principio male inteso tòrse
Già tutto il mondo quasi, si che Oiove,
Mercurio e Marte a nominar trascorse.
51. SKHTA: ored*.
52. DiCB: Tim., ed. dt, 41 A; il pas-
so è rtfìralto tMtaalmente Oom. Lipi.
in. W.
53. Qunmi: dA eaa» sa» stella. - DECISA :
tolta, separaU ; ofr. Pwrg, XVII. 111.
54. LA DODK : al oorpo, come fórma t1-
tale. «Forma hominis est anima rationa-
lis; materia aatem homini est corpus » ;
Th, Aq,, aum. théoL n. u, 164, 1. - « Ani-
ma rationalis est forma sni corporis » ;
Hrid.l, 76, 1, 7, 8; ofr.iHd., I, 00, 4;
91, 4, eco.
66. K FOBSK: pnò essere tattayla che
l'opinione di Platone sia diversa da qaella
che sembrano esprimere le sae parole
prese alla lettera, e ohe sia concepita
con tale intendimento da non doversi
prendere a gmblK».
68. BOTB: « revolndoni del cielo e del
pianeti»; JHcfi. Se Platone intende, non
già «die le anime discendano dal cielo e
ci ritornino, ma eh» dalle stelle discen-
dano gì* Inflossi bnoni o cattivi, onde le
anime addivengono virtooee o prave, d
sarebbe nn po' di vero nella soa sen-
'.ensa, essendoché dai cieli e dagli astri
lisoende veramente qualche inflnsso in-
diretto, che però non è nocivo alla 11-
^rtà;efk'. P^^. XVI, 78. Par. II, 67 nt.
60. ONOB : degl' influssi bnoni. - bia-
smo : degl' Influssi cattivi.
60. FXBOOTB: forse egli si appone in
parte.
61. pBiHano : « diotom Platonis, qnod
ponebator a philosophis antiqnis tam-
qnam prindpinm per se notnm, mal in-
t€to, insta Uteram tantum, tor§«, scili-
cet, in errorem magnnm >; Bmv. La
sentenza di Platone, presa nel senso che
le anime discendano dalle stelle e vi ri-
tornino, traviò già qnasi tutto il mondo
antico, diffondendo la perversa opinione
ohe le anime di uomini illustri, quali
Giove, Meronrio e Marte, andassero ad
abitare certe stelle e fossero pertanto
degne di ricevere quegli onori ohe sono
dovuti alla sola divina Bssensa.
62. QUASI: il solo popolo giudaico foce
nn'eccezione.
63. A NOMnf AB : a dare ai pianeti 1 nomi
degli uomini illustri, le cui anime cre-
deva fossero in essi ritornate. « Deos
enim octo esse dioit Xenocrates: quin-
que eos qui in stellis vagis nomlnantur » ;
Oie., De nat, Deor. 1. 18, Cfr. Oom, Lipt.
Ili, 92.
y. 64-117. X voH infranH, L'altro
dubbio ohe occupava la mente di Dante
era: Se il voto non s'adempie per altrui vio-
lensa, non già per proprio volere, perchè
scema il merito f Beatrice argomenta :
Quelle anime, di Piccarda, di Costan-
sa, ecc., non consentirono al male; ma non
vi si opposero colla dovuta energia, nò lo
rimediarono, ritornando, quando poteva-
no, alchiostro.Yolontànons'ammorsa.se
non vuole. Bsse non ebbero la volontà che
tenne S. Lorenso su la grata e fo' Music
severo alla sua mano; però il loro me-
rito non è pieno. - La teoria dei voti
religiosi, in questo canto e nel seguente,
mira a far risaltare la dottrina dell'uma-
na libertà ed a mostrare che nessuna
cosa esteriore può fkr piegare un'anima
che vuol conseguire oon^^ergia lo scopo
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732 [CULO PBiMO]
Pab. IT. 64-74
[?OTi nirRAvn]
«7
70
7S
L'altra dubitanon che ti commove,
Ha men velen, però che sua malizia
Non ti porla menar da me altrove.
Parere ingiusta la nostra giostizia
Negli occhi dei mortali^ è argomento
Dì fede, e non d'eretica nequizia.
Ha, perchè pnote vostro accorgimento
Ben penetrare a qnesta ventate,
Come disiri, ti &rò contento.
Se violenza è quando qael che paté,
Niente conferisce a quel che isforza.
pr«flMo. Cfr. Th9m, Aq., Ah». CAmL I,
81 e 82; I, n, «-21; II, n, 88.
64. DUSTTAZIOH: tennliM seoisstleo —
dobbio eooeeracBto i Toti inflrMitt.
M. DA MB ALTBOTS: U dottlilUI pUto-
Btea, proftwiti d* Origene, Kemesio,
Pradaosio e dm altri teologi oristùmi,
er» «tate oondamiata dall' aatorità ec-
eleaiastkm nel ConeiUo di CootanttnopoH
dell'anno 510 ; eiroa i TotI inAranti, l' ao-
torità eodeaiaetica non ai era ancor pro-
nonsiata in modo predao ed indubbio.
87. RO0TRA: oeleéte ; ofr. Thom,Aq.,
Bum tÀéol. m. Stappi,, 89. 1. Se U di-
vina ginatiziA pare ingiusta agli oochi
dei mortali, tale apparenxa dovrebbe
guidarli alla fède e non ali* incredolità,
sapendo esai che i giodisi di Dio sono
inoomprensibUi (cfr. Rotm. XI, 83 e se-
guenti). Poiaando a tale incomprensibi-
lità, ta già dovresti i4>pagarti e non vo-
ler comprendere 1* inoomprenaibile. Ma,
kiittandoai in questo caso specisle di
cosa alla quale l'umano intendimento
può penetnire, io soddisferò al tuo de-
siderio. Confr. Antel. OanL, ProH., 1.
^fu»d., JBc ineam. Verbi, 2. J^iud., De
taeram. aU. II, 2. I^u$d., Our Dtu» homo
1, 2. ^fuéd., J^. II, il. Thom. Aq., Sum.
eont. géfU, Proem., 0. Sulle diverse intera
pretasioni di questi versi cfr. Oom, L^.
Ili, 98-96. Le diverse spiegaaioai si ri-
ducono esaensialmente a tre : 1<* Che la
giustizia divina appaia ingiusta in qual-
che caso particolare ò prova di fede in
questa giusUxia in generale (Ott., BuU,
Land., Dan., V<d., VenL, Oreg., Andr.,
Blane, WiUe, ecc.). 2^ Che la divina giu-
■tlsU sembri ingiusts, d quistione di fede,
un problema che non l'umana ragione,
»a]asoU«Bdepiiòsoiogliere(IV)r0{.,aiff ,
KmmMeg.,900.). ^ Qie 1* divina glnstisia
ci sembri inginstft, è un motivo per noi di
credervi {Lomlb., PoH., Pog., Biag., en-
tità, Tom., Br. B^ FmL, Btnmn., Oam^,
Frane, FOaL, ecc.). H Cbm.. « H non sa-
per giustiilcare con la aol* ragione uma-
na il flttto predetto deHaviolensa, ecce
una ignoranaa non Iktale, ohe si poòeoi^
rigare con la fede. »- 2W..- « Nam qiMUtt-
visnon eognosceres que eseet eaoaa quia
minueretur meritus alicnins, hoc est si-
gnum fldei et bone crednlitatia, et non
erronee credulitatis. » > Betti: « lo spie-
gherei cosi in tanta lite de* oommente-
tori, e fbrse oscurità del Poete: Che agli
occhi umani sembri talora ingiusta 1a di-
vina giustisi*, ciò è segno d*unA gran
fede che abbiamo nell* giustisiA aaede-
sima di Dio, quando crediamo di'eUa
tuttavia non sia ingiusta; e non è punto
UA segno di neqnixia ereticale. oVrero:
Essendo Iddio giustissimo, il parere agli
occhi umani ingiusta la sua ginstixia, dee
esser motivo d'aver sempre più lède, e
non di divenire eretico, fecendoai ardito
d* investigare i divini segreti. >
68. ABOOMEXTO: «didtur argumentom
aliquod sensibile signum quod indncitor
ad alicuius veritatia maoifestationem »;
Thom, Aq., Sum, thsoL III, 56. 5.
70. AOCOBOiioifTO: r intelletto umano.
73. PATB : patisce, solfre ; cfr. Pttr, XX.
81, 94. Se vera violenxa presuppone che
lo sforsato non contribuisca in venm
modo colla sua volontà al violentatore,
le anime, di cai parliamo, non ebbero
scusa di vera violenxa ; esse ocmtribniro-
no, perchè, pur potendo, non tornarono al
chiostro. Cfr. Ar%$tal„ JSth, III, 1. Thom,
Aq., Sum, TheoL II, n. 175, 1.
74L coHFUiecs : favorisce, aeomida.
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[CIBLO PBIMO]
Par. iy. 75-91
[VOTI INFRANTI] 788
7»
85
91
Non far quest'alme per essa scusate
Che volontà, se non vuol, non s' ami
Ma fa come natura face in foco,
Se mille volte violenza il terza:
Per che, s' ella sì piega assai o poco,
Segue la forza; e cosi queste fero.
Potendo ritornare al santo loco.
Se fosse stato lor volere intero,
Come tenne Lorenzo in su la grada,
E fece Muzio alla sua man severo,
Cosi le avria ripinte per la strada
Ond'eran tratte, come faro sciolte;
Ma cosi salda voglia è troppo rada.
E per queste parole, se ricolte
L'hai come devi, è l'argomento casso.
Che t' avria fatto noia ancor più volte.
Ma or ti s' attraversa un altro passo
78. VUOL : « ooaotionia neoeMitM Omni-
no repagnftt TolaiitAti »; Thom, Aq,,
Som, tkeol. I. 82, 1; cfir. I, u, 6, 4-6. -
SOH 0* AMMORZA : non oeaaa ; trMlatiTam.
dal oeMare ohe tà 11 ftaooo ammorsandosi.
77. DI rooo : ohe ad onta di ogni rio-
lensa toma pnr sempre al eao naturale
tendere in tn ; ofr. Ptarg. XVIII, 28 e
ftog. Par, I, 141. Oonv. Ili, 8. Ih Man,
1. 15. Ovid., Miei, XV, 242 e eeg.
78. TOBZA: toroe violentemente; da
iortmré, fireqnentat. di torcere ; cfr. Diez,
WSH. I*. 417 e aeg. Oavemi, Voci « Modi»
134eaeg.
79. 81 FUGA : M Urolontà cede assai o
poeo, essa aooondisoende e s* aooomoda
alla Tlolenza, nel qnal caso non è più as*
•dota e ferma, ma difettosa, conoorrendo
eon an suo atto a segnlre Taltrni yio-
lenxa ed adattandosi in qualche modo
all'altmi forxa.
81. AL SAHTO LOCO : al loro monastero,
dal quale erano stoto tratto con Tiolen-
sa. Ckwtansa, rimasto Tederà nel 1197, vi
avrebbe potato rientrare; ma Piocardaf
82. ivTEBO ! oostanto nel suo proposi-
to, come il Tdere di Lorenso e di Mnaio.
83. LOEBCZO: martire, diacono di Be-
rna, soffrì U martirio ai tompi di Vale-
riane (258). Impostogli dal prefetto di
Boma di consegnare il tesoro della Chie-
sa, gli menò i poveri ed infelici, dicendo
questi essere tal tesoro. Fu strasiato a
colpi di frusta e di bastone per mano del
carnefice, quindi posto sopra una grati-
cola (grada) sotto la quale erano carboni
accesi. Soffrì questo supplizio con ammi-
rabile costansa, deridendo i camefloi e
pregandoli di rivoltarlo sulla gratella,
perohò tatto le parti del suo corpo fos-
sero egualmente arrostito; ofr. Prudén-
tiuM xepl oTsqxiYCDY Hymn,, 2. Breviar.
Rom. ad iO Augniti.
84. Muzio : C. Mndus CordusScfBTola,
giovine romano, che si arse quella mano
che errò a ferire, quando volle ucddere
Forsenna. Cfr. TU. Lio. II, 12 e seg. Tal,
Max., MUmorab., 12. Seneca» Spiti., 88.
Oonv. IV, 6. Do Mon. II, 5.
85. cosi : come la volontà costante ten-
ne 8. Lorenso in su la graticola e indusse
Music a punire col fuoco la sua destra del
colpo fallitogli; cosi una volontà simile
avrebbe ricondotto quelle donne al chio-
stro sobito che furon scioltedalla violenza
lor fette e libere di tornare alla loro cella.
88. RICOLTI : se le hai ben comprese,
fecendovi la debite attentione.
89. L* ABOOMRifTO : 11 dubbio enundato
V. 19 e seg. - cabso : cancellato, distrut-
to; cfr. Par. II, 83.
90. ROiA : questo dubbio, non Isdolto,
ti avrebbe tormentato in più altre occa-
doni, ripresentandod alla taa mento.
91. TI 8' ATTBAVBHSA : d presenta alla
tua mente nn'altradiffioolta,^od grande,
HtizedbyVjOOgle
734 [CIXLO FBIMO]
Pab. IV. 92-107
[YOTI IHFBASn]
97
100
108
106
Dinanzi agli occhi tal, che per te stesso
Non nsciresti; pria saresti lasso.
Io t'ho per certo nella mente messo,
Ch'alma beata non porla mentire,
Però che sempre al primo Vero è presso;
E poi potesti da Piccarda udire
Che Paffezion del vel Costanza tenne;
SI eh' ella par qui meco contradire.
Molte fiate già, frate, addivenne
Che per fuggir periglio, contro a grato
Si fé' di qnel che far non si convenne ;
Come Àlmeone, che, di ciò pregato
Dal padre suo, la propria madre spense,
Per non perder pietà si fé' spietato.
A questo ponto voglio che tu penso,
Che la forza al voler si mischia, e fanno
ohe oon 1* potrMti «dogliere da te, ohe
prima ti staiiohereeti. Se qaeUe anime
aderirono pooo o tanto a ohi le trasse dal
monastero, come poteva Picoarda affer-
mare ohe Costansa « non fa dal rei del
oor giammai disdolta» {Par, III, 117) t
La solosione segoe t. 100-114.
04. 10880: ti ho detto oome cosa certa;
Par. Ili, 81 e seg. Ctt. Thom, Aq., OonL
gerU, IV.
06. t pai880 : è sempre rlcina a Dio,
fonte del rero. AL pibò ch' è sempre al
FBIMO Ybbo apfebsso, chc è lesione di
parecchi ottimi oodd.
07. UDIRE: Par. Ili, 116-117.
08. TERNE : conservò, desiderando sem-
pre di ritornare al chiostro.
00. ELLA! Piccarda. - contràdirb:
avendoti io detto che queste donne ade-
rirono in parte al volere do' loro rapitori ;
onde, se la contradixione fosse reale, e
non solo apparente. Tana o l'altra di noi
dne si scosterebbe dal vero.
101. CORTEO A ORATO : a mal grado, di
mala voglia. Spesso per paura d' nn niale
si fls ciò che non si conviene. « Qui tocca
della voglia rispettiva, eh' è messo tra lo
appitito volontario assolato, e lo invo-
lontario semplicemente»; OU.
103. ALMEOREt che per ubbidire al pa-
dre uocise la madre Sriflle; cfr. Pwrg.
XII. 40 e seg.
104. PADRE: Anflarao, cflr. Jr|A XX,
81 e seg.
105. PIETÀ ! verso il padre. - epistato :
verso la madre. « Ultasqne parente pa-
rentem Natus erit Csoto pina et aoelera-
tus eodem »; (hrid., M«t. IX, 407 e seg.
Cfr. Oom. Lip$, III, 100.
108. A QUESTO pukto: olroa la que-
stione in discorso. - PERSE : pensi, rifletta.
« Debbiamo sapere che sono due vcrtootà :
r una assolata, la quale non può volere
lo male; e l'altra respettiva, la quale
vuole minor male per cessare h> mag-
giore; e cosi può l'uomo volere oon vo-
lontà respettiva quel che non vorrebbe
secondo la volontà assoluta. Ma può ee-
sere che 1* uomo s* inganni nel diooemere
qoal sia maggior male e qual minore, e
allora si fk quello che non side*, come
fece Gostansa, che elesse lo minor bene
parendole fuggire maggior male ohe non
Aiggitte e che non arebbe fuggito, se
avesse seguitato lo maggior bene. £ però
è vero ohe Gostanza colla vduntà asso-
lata sempre tenne la religione; ma ooUa
respettiva no ; e però vero dico io Bea-
trice che intendo della volontà reepet-
tiva, e vero disse Piccarda che intese
della volontà assolata. B così è solato
lo dubbio. > Buti. Cfr. Ari$U>t., Eth. UI,
1. Tkom. Aq., Sum. thMl. 1, n, 6, 4-6.
107. 81 MISCHIA : alla violensa dell' uno
si unisce in parte la volontà dell'altro.
« Quelle cose che per timore si fluino, so-
no miste, ed ansi volontarie ohe invc^on-
tarlo»; Ariflof., 1. o.
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PVm?
[CULO PSIXO]
Par. ly. 108-123 [nuoto dubbio] 735
109
112
115
118
121
Si, ohe BCQsar non si posson l' offense.
Voglia assolata non consente al danno,
Ma consentevi in tanto, in quanto teme.
Se si ritrae, cadere in più affanno.
Però, quando Picoarda quello espreme.
Della voglia assòluta intende, ed io
Dell'altra; si che ver diciamo insieme. »
Gotal fu l'ondeggiar del santo rio,
Ch'usci del Fonte ond'ogni ver deriva;
Tal pose in pace uno ed altro disio.
« 0 amanza del Primo Amante, o diva, »
Diss'io appresso, e il cui parlar m' inonda
E scalda d, che più e più m'avviva.
Non è l' afifezion mia tanto profonda.
Che basti a render voi grazia per grazia;
Ma Quei che vede e puote, a ciò risponda.
108. OFFBRin : le offese a Dio, i peccati
non ai poasono sonsare, « quia ad id qaod
agitar per metam, Tolantaa Umentis ali-
quid confert»; Thom. Aq,, Swn, theoL
I, u, 6. 6.
109. voouA: la volontà, quando ad
eeaa ai mieobia la forza, non acoonaente
al male aaaolntamente, ma vi aooonsente
in qnanfeo teme mali ohe stima maggiori.
« Blad qnod per metam agitar, absqae
oonditiooe est volantariam, id est, se-
oondam qaod aota agitar ; sed involon-
tariam est snb oondìUone, id est, si talis
metos non immineret »; TÀom. Aq., iòid.
112. nPBKiCBi esprime; ofir. Nannw.»
Verbi, 207 nt. 4L Quando Plocarda dice
di CostAnsa, ch'ella non consentì mal
alla sofferta violensa, ella intende della
volontà assoluta; io invece intendo della
volontà mista, o condizionata; opperò
ambedae didamo il vero.
116. OOTAL: in tal modo ragionò Bea-
trice, attingendo a Dio, fonte di ogni ve-
rità. « Felix qni potai t boni Pontem vl-
sere laddam »; Boet,, Oont, phiL HI,
metr. 12.
ne. JPowTEt da Dio, flmte di ogni ve-
rità. « Deos est veritas, et eqaidem sam-
ma, maxima et prima veritas, et ab eo
estomnls veritas»; Tham. Aq,, Swn. ih.
I, 1«, 5; I, n, 8, 7.
117. tal: questo ondeggiare, questo
ragionamento di Beatrice sciolse i miei
dubbi droa la inoolpabllità dei violen-
tati, e circa l'apparente ritomo delle
anime alle stelle.
V. 118-142. Un nuovo dubbio. Dante
ringrasla Beatrice degli insegnamenti ri-
cevati, confessando che, siccome dalla
cognisione del vero nascono altri dubbi,
cosi dopo questa dicliiarasione sorge per
lui an'altra difficoltà, cioè, se Tuomo pos-
sa soddisfsre con altre opere buone ai
voti da lui non adempiuti. La risposta
è data nel canto seguente.
118. AMANZA! donna amata da Dio,
donna celeste, divina.
110. m'inonda: « applica al parlar di
Beatrice, riguardo a sé medesimo, l' ef-
ficacia dell' acque e del 8ole ad avvivare
piante ed erbe: dell'acqua coli' innon-
dare, coir innaffiare, e del Sole col ri-
feoZdars»; Xrotnò.
121. NON È: non sono abile a rendervi
le dovute graxie ; ots, Virg., Aen. I, 600
e seg. - PROPONDA: « suffioiens et di-
gna»; Benv,
122. VOI : a voi. - QBAZU FEB GRAZIA :
ringraziamento adeguato al fkvore.
123. Qusi : ma Dio ve lo dica e ve ne
rimeriti. Questo verso ò prova sicura
che la Beatrice di Dante, pur essendo
simbolo, è anche in pari tempo donna
reale. O forse che Dio fora le veci di
Dante ringrasiando la teologia, la Chie-
sa, l'ideale della donna^-^eocf t
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736 [CIELO PBiMO] Pae. IV. 124-133
[NUOTO DUBBIO]
124
127
130
133
Io veggio ben che giammai non si sazia
Nostro intelletto, se il Ver non lo illustra,
Di fuor dal qual nessun vero si spazia.
Posasi in esso, come fera in lustra,
Tosto che giunto l'ha; e giagner puollo:
Se non, ciascun disio sarebbe frustra.
Nasce per quello, a guisa di rampollo,
A pie del vero il dubbio; ed è natura.
Ohe al sommo pinge noi di colio in collo.
Questo m'invita, questo m'assicura
124. n bazul: r intelletto amano non
•i sasUk mai, se non è ÌUamin«to didU
verità divina, ftior deD* qnale non vi è
Tero nlenno. Cflr. Aug,, Ow^, 1, 1. Tk»m.
Aq., Sum, ths4tL I, n, 2, 1 ; I, n, 5, S. JVa»-
eioH, ScritH doni., Fir., 1876, p. 101 e eeg.
125. IL Vkb : Dio, U sommo Vero. - il-
lustra : riichinra. « Deoi ipae eet qni il-
Insirat.»
126. 01 SPAZIA : si spande, si diilbnde.
« Veritas inveiiitar in intelleota, seonn-
dom qood i4>prehendit rem ut est; etia re,
seonodom qaod habet esse eonformabile
intellectoi. Hoc antem maxime invenitar
in Deo. Kam esse eins non solom est con-
forme suo intelleotai, sed etiam est ipsnm
saam intelligere ; et snum intelligere est
mensnra et caosa omnis aiterias esse, et
omnia aiterias intellectos; et ipso est
sonm esse et intelligere. Uode seqoitar
qaod non solnm in ipso sit veritas, sed
qaod ipso sit ipsa somma et prima ve-
ritas. » Thom. Aq., Sum. théol. 1, 16, 5;
cfr. ibid. I, n, 8, 7.
127. LUSTKA : tana, covile ; lat. luHntm,
Come la belva si riposa nella saa tana,
raggiante che V abbia, cosi 1* intelletto
anumo si riposa in Dio. «La divina sden-
ea, ohe piena ò di tatta paoe.... perfet-
tamente ne Ca il Vero vedere, nel qnale
si cheta Vaniaia nostra»; Oonv. II, 15.
Cfr. Par, XXVIII, 108, Thom. Aq„ Bum,
thM4>l. I. 19, 1. - «L'inteUetto ha natu-
rale desiderio di conoscere il vero ; e poi-
ché il desiderio che procede da natora
non paò essere fallace, la cognizioDe del
vero è possibile. Sd appanto per lo stesso
motivo, ottonato il vero, I* intelletto in
esso trova pare diletto, come la fiera,
dopo lango corso, si posa tranquilla nel
sao covile. » Oom.
129. musTRA: invano. « Si inteliectns
'•tionalia oceatone pertkngere non poa-
slt ad primam eaosam rernm, remaaebit
inane deaiderinm natone »; Thom. Aq.,
aum, theol. I, 12, 1.
180. PSB QUKLLO : per il detto de^de-
rio naturale dell' uomo di conoeoere il
Vero. « n dubbio buono e fecondo, quello
ohe viene da istintodi natura, e che serve
all'ascensione dell'anima umana, è U dub-
bio che nasce a piedi del vero, ed è germe
di quello. Se 1* uomo dubita, il genere
umano erede ; se l* uomo esita, V uma-
nità procede; se alcuni uomini ai divi-
dono tra sé, la fiuniglia umana si aduna
in sé stessa più e più intimamente »;
Tom. > A GUISA: come ai piedi degli al-
beri nascono i rampolli.
181. NATURA : ordine posto dalla nntnra.
«Naturaliter aoddit, qaod cognito uno
vero per intellectam oriatur dnbium ali-
quod penes illud rerum, et do Terom
intelligendo et dnbia habeudo disdtor
soientia gradatim de gradn ad gradum »;
PostOL Oatt.
182. DI CX>LLO ni COLLO: di grado in
grado, da un vero all' altro. Oolh per
eolie usarono gli antichi ; cfr. Kammo.,
Komi, 107, 109, 118, 740. «Vedere ai
puote che l' uno desiderabile sta dinanzi
all'altro agli occhi della nostra anima
per modo quasi piramidiUe, ohò *1 minimo
li copre prima tutti, ed ò quasi punta
dell' ultimo desiderabile, eh* è Dio, quasi
base di tutti. Sicché quanto dalla punta
vèr la base più si procede, maggiori ap-
pariscono li desiderabili; e qoest*é la
ragione perché, acquistando, li desideri
umani si Canno più ampi i* uno appresso
r altro. » Oonv. IV, 12 ; otr. SoH. Oant.
pkU. IV, pr. 6.
183. QUBBTO: tutte queste ragioni; la
doloessa de' vostri ragionamenti, la sete
insaxUbile del mio intelletto, la possibi-
lità di oonoaoere il vero, ed il nuovo dub-
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[ciBLO FBWO] Pie. iv. 184-142 [nuoto dubbio] 787
Con riverenza, donna, a domandarvi
D'un' altra verità che m' è osoora.
136 Io vo' saper se l'nom può satisfarvi
Ài vóti manchi si con altri beni,
Ch'alia vostra staterà non sien parvi. »
189 Beatrice mi goardò con gli occhi pieni
Di faville d' amor, con si divini,
Che, vinta, mia virtà diede le reni,
142 E quasi mi perdei con gli occhi chini
Uo mito dentro di me, -tatto dò m'in- leggiere, pesate aallft celeste hOanda.
Tit» e m* inoongglA a ikre ana nuova « Si possono commatare i TotI cosi che
dowìnida. tale commataaione sia accetta alla divi-
1S5. oecuBA: nascosta. na ginstixiat » Cbm.
186. IO vo' : desidero di sapere, se si 140. cos sì Divm : Al. così diyihi.
auunetle in delo commntasioBe di voti; 141. diedb: non ebbi più la ibraa di
problema ampiamente discusso da San mirarla in viso, tanto eDa risplendeva.
Ttenmaao, Ami», thsol. n, u, 88, 10 e seg. Al. diedi: cosi legge il Betti, che spiega:
188. ALLA. VOSTRA BTATUU : aUa Ulan- < Essendo rimasa vinta la mia virtù visi-
dm (statem^stadera) di voi, membri del- va, diedi le reni (mi rivolai indietro) cogli
1* Corte celeste; confr. v. 67. - sibn ooohi diinl, e qnasi mi perdei. »
PASTI : cosi ohe qne^ aUri beni, quelle 142. mi psbdbi: perdetti qnasi l' oso
opere bnone, non sleno trovate troppo dei sensi.
4Y. - Jh9. Oowm., 4» odia.
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788 [CULO PBiMO] Pab. ?. 1-7 [axob Dimio]
CANTO QUINTO
CIELO PBDCO O DELLA LUNA
MANCANTI AI VOTI DI CASTITÀ
SAETTITÀ DEL VOTO E POSSIBILITÀ DI PERMUTAZIONE
SALITA AL SEGOHDO CIELO
CIELO SECONDO O DI MEECUEIO
SPIBITI ATTIVI E BENEFICI
OIUSTINIAKO IMPERATORE
< S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore
Di là dal modo che in terra si vede,
Si che degli occhi tuoi vinco il valorOi
4 Non ti maravigliar; ohe ciò procede
Da perfetto veder, che, come apprende, *
Cosi nel bene appreso move il piede.
7 Io veggio ben si come già risplende
V. 1-15. Xta fiamma dtiVamor di' deUadiTÌiiA looe, tanto più progrediscono
vino» Beatrice spiega a Dante perchè nel fiunene sfolgoranti. Cosi Lan,, Ott..
ella si mostri più sfavillante del solito. An. Fior., jBsnv., FtfZt.. YenL, Lomh.,
n sao è splendore di celeste letixia e oa- Biag., Ou,, Br, B,, Frat., Qrtg., Andr^
rità; ò la gioia di chi vede ogni cosa in JVtal., Poi., ecc. Questa interpretasione
Dio, ed esalta accorgendosi ohe la divina è coniiormata dai passi hiblici concernenti
luce penetra anche nelle altmi menti. lo splendore della fMda di Mese; efr.
1. FiAMMiGOio : se io mi mostro a te Eiod. XXXIV, 28 e seg. DeuL XXXIV,
risplendente nei raggi dell' amor divino 10. II Cor. m, 7. Thom. Aq, , Bum. théoL
oltre r nso e la condisione umana. Cfr. Ili, Suppi., 85, 1. ^futd., Oomp, th., 165.
VUa 2f., § 21, Bon. 11 e § 26, son. 16. Altri rirerisoonofliMf/0Mov«Ì0rsa Dante
Oonv. m, 15. espiegaaoiQaesto accrescimento di splsD-
8. IL VALOBS ! la forsa del tao sguardo dorè proviene in me dal tao perlbtto ve-
ohe non pad resistere a tanto splendore ; dere, ossia dalla perfetta conosoeiua ohe
cfr. Par, rv, 180 e seg. tn acquisti di ona verità, eco. Cosi Buti,
6. DA PEBrsTTO: dalla perfbiione degli Land., Dan., Tom., BennoM., Ftmnc.,
-echi miei, ohe quanto più percepiscono WHU, eco. Ofr. (km, Lipt, UT, 10».
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r^HiP^
[CIKLO PBIMO]
PaB. Y. 8-28 [SANTITÀ DEL YOTO] 789
10
13
16
19
Nello intelletto tuo l'eterna Lnoe,
Chei vista sola, sempre amore accende ;
E s' altra cosa vostro amor seduce,
Non ò se non di quella alcun vestigio
Mal conosciuto, che quivi traluce.
Tu vuoi saper se con altro servigio,
Per manco vóto, si può render tanto,
Che l'anima sicuri di litigio. »
Si cominciò Beatrice questo canto ,*
E si com' uom che suo parlar non spezza,
Continuò cosi il processo santo:
€ Lo maggior don che Dio per sua larghezza
Eèsse creando, ed alla sua bontate
Più conformato, e quel eh' Ei più apprezza,
Eu della volontà la libertate;
Di che le creature intelUgenti
8. Lue»: « lo lame del sommo bene e
lo wme del vero, lo quale oreeoe quando
lo intelleMo a' eaeroita in ooniiderarey in-
Teetigaie la yerità e lo sommo bene, lo
qnales'aooende a oomprendere, e fiamma
ereece di carità d'amore qoanto pth lo in-
telletto ne cognoece e comprende •iButi.
9. TUTA SOLA : solamente a roderla. -
8IMPRB : € alooome II disino amore d tatto
etemo, ooél oonTiene ohe sia etemo lo
sao oggetto di necessità, si ohe eteme
cose siano qaelle eh' egli ama »; Oonv,
m. 14.
11 . m QUKLLA: dell'eterna laoe « Tatto
ciò diie qol amiamo è appreso qoale bene,
e qoindi qoale partecipazione (vestiffio)
del sommo bene ; il qoale ò tale, ofoò som-
mo bene, alla volontà, ed 6 eterna luee al-
l'intelletto. Ma in terra per errore si
crede tal fiata essere bene quello ohe
tale non è; e però ò mal conosdato. »
Oom, Cfr. Oanv, TV, 12.
12. QUIVI : nell'afra coea, doè nei beni
della terra. L' anima dell' nomo desidera
nataralmente il baono ed il vero ; se dan-
qoe r nomo corre dietro al male ed al
falso, lo ù^ perohò si lascia sedurre dal-
l'apparensa del boono e del vero. Cfr.
Thom, Aq., Sum, theol, I, 60, 2 1 1, ii, 78,
1. Afietat., DeAn,, 3. Purg. XVI, 86-93.
li. uàmco : mancante, non adempiate.
Ta desideri sapere se l' aomo può com-
pensare con altra offerta il voto non adem-
piate, si ohe r anima ne sia assolta.
15. BicuKi: renda sicora, liberi da ogni
contrasto colla divina giastliia.
V. 10-83. La a«u%tUù éM voto. H mas-
simo dono Aitto da Dio all' nomo è la li-
bertà del volere, il Ubero arbitrio. Fa-
cendo il voto, r nomo sacrifica pertanto
a Dio il massimo sao bene : qnal oompen-
sasione potrebbe egli danqne dare?
17. von BPKZZA: non tronca, non in-
terrompe. In senso inverso Virg,, Aen.
IV, 888 : « His mediam dlctis sermonem
abrampit ».
18. PBOOIBBO: del discorso; continnò
senxa intermsione U suo santo ragiona-
mento.
10. MAOOIOB DON: « Primom princi-
piam nostra libertatis est libertas ar-
bitrii.... Hiec libertas, sive prindpiam
hoc totias libertatis nostne, est maxi-
mam donam hamanie natar» a Dee col-
latam; qala per ipsam hic felicitamar
at hominea, per ipsam alibi félidtamar,
at Dii. » i>« Mon. I, 12.
21. coNFOBUàTO : Conforme. « Dice ohe
questo ò il dono più conforme alla divina
bontà, perchò veramente il poter peccare
è insieme la facoltà di ben meritare, la
possibilità del dolore è la possibilità della
gioia»; Tom, Cfr. Thom. Aq,, Sum, theol,
I, 88. OorU, geiU, II, 2. Barlovo, Con-
trib,, 368 e seg.
23. CBIIATUBE INTBLLIOXMTI: angeli 0
nomini; cfr. Jiut, MarL, ApoL II, 7. Dial.
eum Tr}fp., 88, 102, Ul. «Keane enim
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740 [CULO PRIMO]
Par. V. 24-87 [siktitI dbl voto]
25
28
31
U
87
E tutte e sole foro e son dotate.
Or ti parrà, se tu quinoi argomenti.
L'alto valor del vóto, s'è si fatto.
Che Dio consenta, quando tu consenti;
Che, nel fermar tra Dio e l'uomo il patto,
Vittima fassi di questo tesoro,
Tal qual io dico; e fassi col suo atto.
Dunque ohe render puossi per ristoro?
Se credi bene usar quel e' hai o£Ferto,
Di mal toilette vuoi far buon lavoro.
Tu se' omai del maggior punto certo ;
Ma, perchè Santa Chiesa in ciò dispensa,
Che par centra lo ver ch'io t'ho scoperto,
Convienti ancor sedere un poco a mensa,
ftierit olla ratioDaUt oreatim, quia ei-
dem llbertM adsit arbitrii»; Boa., Chnt.
pha. V, pr. 3.
24. TUTTE E SOLE : tatte quante le crea-
ture intelligenti, ma soltanto esse, le al-
tre no. - FC7B0 E SON: ftirono dotate, quan-
do Dio le oreò, e sono dotate anche dopo
laoolpadel primo padre; cfr. Thom. Aq.»
Sum, thécl. I, 59. 3; 88, 2; I, II, 1, 1.
Com. Lips. ni, 111 e seg.
25. TI FAREI : ti si manifesterà, -quin-
ci : da quello che ti ho detto drca la li-
bertà del Tolere, ohe essa è il maggior
dono da Dio (ktte ali* nomo.
26. sì FATTO : ralido, doè tale, ohe alla
promessa dell' nomo si aggiunga U con-
senso di Dio ; cfr. Thom, Aq., Sum, theol,
U, u, 88, 1 e seg. Invece il Betti: « Se è
flitto alla età debita; com' d ohiaro dal-
l' arrerbio i^utMdo. » Forse che lefte,
T. 66 e seg., avera iktto qnel sno voto
in età non debita?
28. FBRMAB: mediante il Toto.
29. TESORO : della libera Tolontà. «Paoe-
si argomentare cosi: lo libero arbitrio è
lo maggiore e lo migliore dono ohe l'nomo
ricevesse da Dio, e nel voto s' obliga la
volontà dell'arbitrio a Dio; Imperò che
la promissione obliga la voÀnntà: dnn-
qoa lo voto flttto direttamente a Dio è
lo maggiore e migliore dono die si possa
Ikre a Dio »; Buti,
30. TAL : cosi piericeo. - col suo atto:
con nn atto deUo stesso libero arbitrio.
« Ad votom tria ex necessitate reqniron-
tnr : primo qnldem deUberatio; seonndo
propoaltoa volnntatis; tertio promiasio,
in qna perfldtor ratio votL Snperad-
dnntnr vero qaandoqne et alia dno ad
qnamdam voti confirmationem, sdUoet
pronnntiatio oris, et itemm teettmoniiim
aliomm. > Thom, Aq,, Sum fJUd. U, n,
88. 1.
31. ' BtSTOBO : compenso. Come potreb-
be l'nomo surrogare al voto un'altra
cosa ohe lo ugnagli, nulla essendovi ohe
ugnagli la lilwra volontàf
82. CREDI: se credi bene usare in al-
tra opera santa la libertà a Dio oflbrta,
tnvuoifisrefttkm Iseofo, buona opera, di
cosa malamente tolta e rubata altrui.
38. maltollettO! mal tolto, roba di
mal acquisto; cfr. /f/. XI, 36.
V. 34-63. IH9pen»amU>ne e parMMC-
tamicne. All' essensa del voto conven-
gono due cose : 1^ la eonvtniénta o con-
venzione che si ùk con Dio, il patto doè
di ikre un sacrifldo; 2^ la maUrUt dd
voto, ossia la natura del sacrifldo pro-
messo. La eonvenUma riman sempre ;
la maieria si può cangiare, dipendendo
dalla autorità legittima, laquale permuta
la materia del voto. Cfr. Thom, Aq,,
Bum. theol U, n, 88, 8, 11. Chm, Lipe,
III, 113 e seg.
34. MAOOIOB FUSTO : che U voto in sé
stesso non ammette compenaadone.
35. IN CIÒ : nd voti fktti. La dispensa
dai voti ihttÌ,aocordatadal]a Chiesa, sem-
bra essere In oontradisione con dò ohe
Beatrice ha sin qui esposto. Nuovo dub-
bio da sdogUerd.
37. 8BDBBB: stanai a udire. « Oh beati
qud pochi ohe seggono a qaeOa mensa
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[CISLO PEIMO]
PAB. ?. 88-65 [PEBHUTAZIONB] 741
43
49
52
55
Però che il cibo rigido e' hai preso,
Richiede ancora aiato a taa dispensa.
Apri la mente a quel eh' io ti paleso,
E fermalvi entro; ohe non fa scienza,
Senza lo rìteneroi avere inteso.
Due cose si convengono all'essenza
Di questo sacrificio: l'nna è quella
Di che si fa; l'altra è la convenenza.
Quest'ultima giammai non si cancella,
Se non servata ; ed intomo di lei
Si preciso di sopra si favella*
Però necessità fu agli Ebrei
Pur l'offerére, ancor che alcuna offerta
Si permutasse, come saper dèi.
L' altra, che per materia t' è aperta,
Puote bene esser tal, ohe non si falla,
Se con altra materia si converta.
Ma non trasmuti carco alla sua spalla
doTe il pane degli angeli si mangia I »
Oonv, I, 1.
88. RIGIDO : darò difficile a digerirsi.
« Bams eel hle ■ermo »; Johannet VI , 0 1 .
89. DiSFKZfSA : digestione, la qnale di-
spensa 1 eibi per vari canali ; affinchè
.to possa pienamente intendere. « Qoad
dieat : indiget adhao dedaratione circa
dispeasatlonem yeti » ; B*nv.
41. wwaMAWi: ttenlo bene a mente. -
■OH VA: sentenza platonica : tapen non
è altro ^e ritenere le notisie ricevate di
cosa aleona. « Più sool tàr prode, se tn
ritieni in memoria pochi oomsndamenti
di sapere, ed arerU in pronto e in aao,
ebe se tn impari molto e non tenessi a
mente niente » ; Albertano I, 50.
44. BAcainao: del libero arbitrio.
46. DI CHS 81 fa: fl soggetto, la ma-
teria del roto, come la verniti, il di-
giuno, eco. - LA con VBM BASA : la conTon-
sione, U patto ohe si ik con Dio, Tabdica-
ilone deUa propria rolontà.
46. CAXCBLLA ! rimane sempre. H patto
bisogna adempirlo ; la materia si pnòmo-
tare, offerendo nna cosa per l' altra ; ma
sempre più del promesso e colla Ucensa
della Chiesa.
49. racnsTTÀ FU : AL nscbssitato fu.
Presso il popolo Bbreo l'offerta era neces-
saria, perchè prescritta dalla legge in
modo assolato; lecita la oommntasione;
ofr. LevU. XXVII, 1-38.
50. ALCUNA : non tatto. Proibita era la
permataeionedi animali mondi, Totatial
Signore, di ogni cosa consacrata per in-
terdetto, delle decime del bestiame, ecc.,
cftr. LévU, XXVII, 9, iO, 28-83.
52. l'altba: delle dae cose che si
convengono all' essensa del voto, queUa
di ohe ti /a, ossia la materia del Toto ;
cfir. Tkom, Aq., 8unu th. II,n,88, 10-12.
Dante si mostra più serero di 8. Tom-
maso, il qnaie ammette che in certi casi
si possa dispensare dal voto, mentre
Dante, ohe non ne ùk parola, sembra
non creder lecita la dispensa. - apibta :
chiara, manifesta.
63. PALLA: oongiantivo da faUart;
oggi: fallii cfr. Nannw., Verbi, 291.
55. NON TRASMUTI : la permatadone è
lecita in certi casi, ma non pnò mai es-
sere arbitraria. È assolatamente'necessa-
riala lioensa delle potestà ecclesiastiche.
Il legame del voto è considerato come
nn carico che l' nomo si è imposto. «Mo-
strato che il voto non si pnò dimettere,
ma che la cosa di che si Cs il voto si pnò
permutare ; ot^ mostra ciò che è neces-
sario a fsre la permataxione. E dice che
sono dne cose : l' nna è 1* antoritade del
pastore che abbia a ciò ppi^stade uè però
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742 [CIKLO PBIMO]
Pàb. ?. 56-66
[PXBIIUTÀZIOHB]
68
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64
Per suo arbìtrio alcun, senza la vòlta
E della chiave bianca e della gialla;
Ed ogni permntanza credi stolta,
Se la cosa dimessa in la sorpresa,
Come il quattro nel sei, non è raccolta.
Però qualunque cosa tanto pesa
Per suo valor, che tragga ogni bilancia,
Satisfar non si può con altra spesa.
Non prendan li mortali il vóto a cianciai
Siate fedeli, ed a ciò far non bieci,
Come leptò alla sua prima mancia ;
dice eh* elli d«e essere tale, ohe possa pro-
sciogliere e legare; si che ogni pastore
non ha qaesta batta ; e dice, ^e neesnno
ardisca per sno arbltoio permatarsi il
roto : r altra è che la cosa, nella quale
ta pennati la cosa rotata, sia maggiore
di qnella, sì ohe contenga in sé quella,
e la metà di quella ; A come il numero
del sei contiene il numero del quattro,
e la metà più ; o almeno sia maggiore
di quella.» OU.
66. 8BRZA LA TÒLTA: senxa la girata
delle Chiavi, cioè sensali consenso del-
r autorità ecclesiastica.
67. BLUICA : cfr. Purg. IX, 117, e seg.
Thom.Aq.» Sum, theol. III. Supp,, 17, 3.
68. CRVDi: e ritieni essere Tana e di
nessun valore qualunque coromutasione
di materia nel Toto, se la materia di che
constava dapprima il Toto, non ò conte-
nuta in quella scelta in appresso come
il 4 nel 6; cioè, se la nuora offerta non su-
pera notevolmente per valore la prima.
50. DiMBSSA i lasolaU. - sobprisa: pre-
sa dopo. Cfr.i>ta. XXVII, 13,16,19. 31.
60. RACCOLTA ! Contenuta. Sacrificando
dò che ha presso minore, si perde 11 me-
rito che si acquisterebbe coir offerta di
un saorifisio maggiore.
62. TRAGGA : fiMxia tracollare. Se la cosa
votata è di si grave peso e valore, da non
poter essere contrappcsata da alcun' al-
tra, da non aver, cioè, equivalente, ogni
permutasioneè esclusa. Or 11 libero arbi-
trio, non ha equivalente ; dunque il voto
di verginità non ammette oompensaxione.
È la dottrina di 8. Tommaso, ma fondata
sopra un argomento che airAqninate
sembrava insufficiente. Cfr. Thom. Aq.^
Sum. theol. II, n, 88, 11.
V. 64-84. AeKcM dei voti. Conside-
rata la gravità e rindissolaUUtà del roto,
si esortano 1 Cristiani a prendere sol ae-
rio tutto quanto lo oonoeme e a non
essere imprudenti nel fkr voti, né troppo
ùuAÌÌ a porsi un legame; imperocché
molti altri sono i messi che oondoocno
a salvamento, né ogni sorta d*aoqna,
cioè d' olforta, è bastante a toglier ria il
peccato che commette chi non adempie il
voto nna volta fHtto. Qui Dante si sooata
alquanto dall'Aquinate, secondo il quale
« fkcere idem opus cnm voto est meUos
et magia meritorlum qnam fhoere slne
voto »; Thom, Aq., Sum, th. Il, n, 88, 6.
64. A CLLNOA: cfr. If^. XXXII, 7.«Noii
prendan li signor le imprese a danoia» ;
Faxio, Dìttam, II, 80. Prendere a ciancia
è frase dell' uso vivente.
65. BIRCI: biechi; cfr. Jfif, XXV, 81.
Par. VI, 136, Bieco, dal Ut. obiiquue,
dicesl degli occhi. Guardar Heeo è guar-
dar torvo o a traverso. Chi guarda bieco,
non può osservare ed esaminare acen-
ratamente gli oggetti. Onde bieei vale
qui : Inconsiderati, poco accurati nel con-
siderare le cose. Quindi il Poeta vuol
dire : Siate fedeli ad ogni cosa; ma non
pensate ad ogni occasione di dover ma-
nifestare la vostra fedeltà fkoendo incon-
sideratamente un voto.
66. COMS lEFTft : Al. COÌTR FU (O FB*)
Ikptr. - IBPTÈ : lefte, giudice d' Israele,
la cui storia è raccontata Giudici XI,
l-XU, 7. Fé' roto che, se fosse ritornato
Tindtore degli Ammoniti, avrebbe sacri-
ficato al Siznore dò che prima nsdrebbe
dall' nsdo di casa sua. Prima ad nadme
ta V unica sua figlia, alla quale egli, ben-
ché addoloratissimo, « fsoe seoondoil voto
ch'egli aveva Cstto >, doé, come ék« oo-
mune opinione ai^tempi di Dante, la le-
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[CULO PBIXO]
PAB. V. 67-81 [SBBIKTÀ DBI YOTi] 743
<7 Coi pib si convenia dicer: *^ Mal feci! „ ,
Che, seryando, far peggio: e cosi stolto
Ritrovar puoi lo gran dnca dei greci,
70 Onde pianse Ifigenia il sno bel volto,
£ fé' pianger di sé li folli e i savi,
Ch'udir parlar di cosi fatto cólto.
7t Siate, Cristiani, a muovervi più gravi! \
Non siate come penna ad ogni vento, I
E non crediate di'ogni acqua vi lavi !
70 Avete il vecchio e il nuovo Testamento,
E il pastor della Chiesa che vi guida:
Questo vi basti a vostro salvamento.
79 Se mala cupidigia altro vi grida.
Uomini siate, e non pecore matte.
Si che il Giudeo di voi fra voi non rida I
^
Int.V^T^.
oIm. «Ipae Anam limooentem ooddlt prò-
piar Totom » ; Thom. Aq., Sum. theol,
II, n, 88, 3.- MAiroiA: dono, ofTertaflbtta
» Dio. La dine prima oon aUasione alle
parole del tetto sacro : « Qaioamqne pri-
iR«cf faerit egreesas de foribae domae
me», mihlqoeoooiirrerit revertentl oam
pace aflUia Ammon, enm holocanstam of-
CBram Domino»; Giudiei XI, 81. SoUe
dlTarae interpretasioni di questa loou-
tioae danteaca ofr. Oom. Lipt. Ili, 118,
e aeg.
87. MAL Fici : iSMendo un Toto cosi in-
eonaiderato.
68. SKRVAirDO! il TotoCitto, immolando,
eloè, la figlia; cfr. Thom, Aq., A«m. th. II,
n, 88, 2. - Piooio: « In vovendo ftiit atnl-
tne, qnia diocretionem non habnit, et in
reddendo impiaa»; Hieronym., In cap.
VI et TIIMichem, oit. dalI'Aquinate.
fio. DUCA : Agamennone, ohe sacrifioò
sua figlia Ifigenia per ottenere dagli Dei
IkToreroIe il vento. Cfr. Hom., 11. ed
(Mytff. passim ; ApoUod. IH, 2. 1. 2.
AefcA., Affam.Lucrél., Dt rer.nat.1, 85 e
aeg. Pind., PytK XI, 23. Otid^ Mei. XU,
27 e seg. TWg., A»n. II, 116 e seg.
70. OH DB i per un yoto sconsiderato ;
efr. Ewripid,, Iphig. Taur, I, 1, BoH.,
Chm, phU. IV, metr. 7.
71. u FOLU V I 8ATI : tutti ; modo pro-
yerbiale virente nel dialetto milanese:
«Ghe Tonni i savii e i matt a fi^hela
eapL » Cfr. Bonehetti, Appunti, 180.
72. CÓLTO : colto religioso \ ofr. Par.
XXU, 45.
78. A MUOVXBVi : a fkre i Toti.- oravi :
canti, ritenuti.
74. 00MB PENNA: sl leggieri. «Non
ventiles te in omnem ventnm»; EccUt.
V, 11. - « Ut iam non simos parvnll flao*
tnantes et circnmferamnr omni vento
doctrinse » ; ^feH IV, 14.
75. LAVI: come l'acqoa del S. Batte-
simo. Senso: «Non crediate inconsulta-
mente che per qoalanqne motivo, e da
qaale sl sia, possa esser tolta l'obbllga-
sione per voto contratta »; Oom.
77. GUIDA : « opns Aiit homlnl daplici
direotivo, secondnm daplicem flnem: sci-
lioet sommo Pontifioe, qal secnndam re-
velata hnmannm genns perdoceret ad
vitam etemam, eto. >; De Mon. Ili, 16.
70. CUFIDIGIA : < sicnt copiditas vin-
dictiB compnlit Agamemnonen, et copi-
ditas viotorie lephthe, ad tam c»ca vo-
ta • ; Benv. Il solo PotHl. Oae*. vede qni
un'allosioneai Fratidi 8. Antonio: «Ideat
propter avaritiMn velletis vos faoere ab-
solvi ab istis fratribos a campanellis, qni
prò modica pecunia absoIvnntqaem[cam-
que] ab omni delioto et exoessu ,et ab omni
voto qnooumque modo facto. > Cfr. Oom.
lApe. m, 120 e seg. Beoearia, Luoghi di/-
fteili detta D. O. Savona, 1880, 103-198.
80. PBCOBB MATTK: oomiol privi di di-
scernimento; cfr. Conv, I, 11. II Petr.
II, 12.
81. IL GiUDBO : qui nominato per aver
più sopra (V. 40 e seg.) ricordato qoaoto
intomo ai voti la legge mosaica prescri-
veva ai Giodet Cfr. U Reg, I, 20.
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744 [OIKLO SBCONDO] Pab. y. 82-95
[SALITA]
85
91
04
Non fate come agnel, che lascia il latte
Della sua madre, e, semplice e lascivo,
Seco medesmo a suo piacer combatte! »
Cosi Beatrice a me, com' io scrivo ;
Poi si rivolse tutta disiante
À quella parte ove il mondo è più vivo.
Lo suo tacere e il trasmutar sembiante
Poser silenzio al mio cupido ingegno.
Che già nuove questioni avea davante.
E si come saetta, che nel segno
Percote pria che sia la corda quota,
Cosi corremmo nel secondo regno.
Quivi la donna mia vid' io si lieta.
Come nel lume di quel ciel si mise.
82. AONKL : iMdando U guida dei libri
laori e della Chiesa, V nomo si fk simile
all' agnello ohe abbandona la madre e,
imbiKsarrito qua e là saltellando, naooe
a so stesso.
83. LABCiYO : petulante, lat. Icueiwu.
Ctt, Prov, VII, 22. Otea IV, 16. Lueret,,
RéT. nat. II, 320. Oirid,, Met. VII, 320 e
seg. XIII, 791. Seoondo il MonH, Prop,
III, 1, p. 18 e seg. lateivo vale in questo
luogo AUegro, gaio, vivace e simili. Così
pure Br, B., Frat., Oreg., Andr., ecc.
84. SECO : a proprio suo danno. € Et sÌo
oadit in os lupi ; et ita vos ignorantes oa-
ditis in 08 diaboli »; Benv,
V. 85-00. Salita al seoondo cielo.
Beatrice tace, ed il suo splendore si au-
menta; onde Dante non osa proporle
altre questioni che avrebbe già pronte.
In un attimo salgono al dolo di Mercu-
rio, dove Beatrice si Ca piii Inoente ed
accresce lo splendore del pianeta, nonchò
la gioia celeste del Poeta.
85. COU' IO SCRIVO. Al. con' IO LO
SCRIVO. Al. OOM* IO VI SCRIVO.
87. PARTE : gli uni intendono : Verso
oTiente(Ott.,ButhLand.,VM,,J>ol.,Vol.,
VerU,, Pogg., Cotta, WiUe, ecc.). AJ.: Al-
l'insù, verso l'Empireo (Pott. 0<u.,Benv,,
Tal., Lonib., Pori., Ou., Oreg.,Andr,,
Triit., Benfuu., Oom,, ecc.). Altri: Alla
parte equinosiale (Dan., Biag., Monti,
FSlaX,, ecc.). Altri : AlF Equatore, dove
allora trovavasi il sole (Br, B,, Anton.,
Frane., ecc.). Non facendosi il menomo
cenno di una qualsiasi dlfferensa tra il
modo di saUre al seoondo, e quello di
salire al primo delo, ragion vuole al am-
metta, essere intendimento del Poeta
ohe il modo di salire alla sfera di Meroa-
rio fh del tutto simile a quello tenuto per
salire alla sfera della Luna. Dunque Bea-
trice riguardava nel sole (ofr. Por. I, 47)
il quale era allora sull'Equatore ; siocfaè,
per guardare nel sole, ella doveva vol-
gersi verso r Equatore. Ed essendo il
sole in alto. Beatrice doveva pure gnar*
dare all' insh verso 1* Empireo, appunto
come aveva fatto salendo nel delo deDa
Luna, nella qual salita il suo riguardar
nel tote (Par. 1, 47) era pure un guardare
in eueo (Par. U, 22). Ctt. Oom.Lipt., Ili,
121-123.
88. TACBRB! Al. PIACERE; ma il^io-
cere qui non c'entra. Cfr. Moore, OriL,
440. - TRASMUTAR : fsceudosi pih Usta,
pih bella e più lucente.
80. CUPIDO t di nuovi ammaestramenti.
00. N uovs QUESTIONI : Dante non dice
quali queste nuove questioni d fossero,
ed U volerlo indovinare, come ftee il
Buti, è fktloa gettata.
01. SAETTA: < la celerità dell'aaosnsiotte
è stressa con la medesima dmilitudhie
della freccia [come Par. II, 28 e seg.],
ma oon varietà d'Immagine. La saetta
ha già colto nel segno, e la oorda dell'arco
tremola ancora. » L. Veni., SimU., 488,
dove d dta Virg., Qeorg. IV, 813 e ssg.
02. QURTA : cessata la vibradoae della
corda. Cfr. Inf. Vm. 13 e seg.
03. REGNO t nd delo di Mercurio, da
Dante comparato alla dialettica ; oonfr.
Oonv. n, 14.
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[CIKLO 8XC0NDO]
PlB. V. 96-107 [SPAITI OPBBAHTl] 745
97
100
108
106
Che più lucente se ne fé' il pianeta;
E se la stella si cambiò e rìse,
Qoal mi fec'io, che pur di mia natura
Trasmutabile son per tutte guise I
Come in peschiera eh' è tranquilla e pura,
Traggonsi i pesci a ciò che vien di fuori
Per modo, che lo stimin lor pastura;
Si vid'io ben più di mille splendori
Trarsi vèr noi, ed in ciascun s'udia:
€ Ecco chi crescerà li nostri amori I »
E si come ciascuno a noi venia,
Vedeasi l'ombra piena di letizia
96. PIÙ LUcnTB: per eseeni anrld-
nate, Mlendo, al trono di Dio.
97. n CAMBIÒ : per la beneflca inflaen-
sa di Beatrice. - ribi: « e ohe è ridere,
se non nna oorroaoaadone della diletta-
sifoae dell'anima, doè un lame appa-
rento di ftaorl eeoondo ohe sta dentro f ...
Ahi, miralrilerisodella mia Donna, eoo.»;
Oonv. m, 8.
99. TEASMUTABILK : e qnia som mor-
talis reoeptibilis omnis infloentie, obi
stella est impermntabilis » ; Benv. Gft*.
BaidaedUni, Pro§e II, 130 e seg. Fer-
TUtH IV, 414.
V. 100-139. SpiriU opermUt. Nel
eielo di Meronrio appaiono gli spiriti di
coloro che fàrono in Tita operosi per de-
siderio di onore e di gloria; e appaiono
come sfdMidori fiammeggianti ohe dan-
sano cantando, e Canno gran festa, appena
Todono i doe inistloi viandanti. Dante de-
sidera sapere ohi quelle anime siana Par-
landogli, nna di esse lo incoraggia a chie-
dere, e prtmette risposta alle sne Inter*
Togasioni; ond'egli le domanda chi ella
sia e come abbia sortito qnd laogo di
gloria. L*anima, ohe ò quella di Ginsti-
nlaao, s&TiUa di Ince, e, tutta nascosa
in essa, comincia a parlare.
100. TBANQUILLA ■ PUBA i quiota 0 lim-
pida; cfr. Hùrat,, Od, m, xvi, 39. « I due
epiteti tranquOla « pura rispondono alla
quiete somma e alla serenità della sibra
celeste; e l* immagine del pesd, che si
Tolgono a ciò che stimano cosa di lor
pastura, concorda col desiderio che han-
no qneDe anime di pascersi di carità.
Di piti: come i pesd, i quali viiti in
Amdo aOa peschiera d distinguono ap-
pena, saliti al sommo si TCggono chia-
ramente ; cod qud beati ria yia d fumo
più risplendenti per la carità che gì' in-
fiamma, e che noli' avridnard a Dante
▼a crescendo. » L. Ytmi,, SimU., 410. Cfr.
8ehìo$$^, Btudien, 391.
101. TEAOOOHBi; accorrono. Al. tbao-
OONO.
108. splbhdobi: anime risplendenti;
ofir. Salm. CIX, 3.
105. CHI: « ecco Dante, il quale au-
menterà la Tirtù della carità in nd, per-
chè di quella nd solyere i suoi dubbi
potremo usare» ; Féa.-cL'amoredei beati
cresce oggettivamente preso, perchè cre-
sce il numero degli amati»; Oom. Cfr.
Virg., sa, X, 53 e seg. Sulle srariate
interpretadoni di questo Terso cfr. Oom.
lAp». Ili, 136 e seg. H Beiti: «Io credo
che amori stieno qui per doloesse, eoa-
Tità, eco.; e il Terso d riferisca agli al-
tri 90 e 97 : OTTcro che per amori deb-
bad intendere il fbooo de' nostri santi
amori. »
100. ■ si : e quanto più dasouno di que-
gli splendori a noi d aTTloinaTa.
107. L* OMDBA : l'anima. « Veda qui il
lettore di spiegare nel senso ohe si to-
desse la figura dell'ombra distinta den-
tro dd ftilgore ohe in segno della sua
letida essa omanaTa, e diora potrà ca-
pire il sttcoesdTO contrapposto : Per piò,
letizia »i mi ei tMfeoee, t. 180. È poi
ben naturale ohe in segno di un minor
grado di gloria così queste anime come
le già Tiste dol primo cielo dano meno
rischiarate delle dtre, in cui la figura
sarà tutt' aiiktto celata ddla luce ohe
le droonda; e d noti Inflitti come que-
sta diflérensa sia da Dante aTrertita
anche con similitudine per gli spiriti dd
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746 [CULO SBCOiDO] Pab. v. 108-124
[SPIBin OPIBAHTI]
100
112
115
118
121
124
Nel folgór chiaro che di lei nsda.
Pensa, lettor, se quel che qui s'inizia
Non procedesse, come tn avresti
Di più sapere angosciosa carisia;
E per te yederai, come da qoesti
M'era in disio d'ndir lor condixicni.
Si come agli occhi mi fnr manifestL
« 0 bene nato, a coi veder li troni
Del trionfo eternai concede grazia.
Prima che la milizia s'abbandoni,
Del lame che per tutto il ciel si spazia,
Noi seme accesi ; e però, se disii
Da noi chiarirti, a tao piacer ti sazia. »
Cosi da an di qaelli spirti pii
Detto mi fa; e da Beatrice: < Di' di'
Sicaramente, e credi come a dii! »
€ Io veggio ben si come ta t'annidi
delo •egnento, che Un dal primo loro
iiiMtr«ni gli ftppftrìaoono tatto eelftti
nel lume '* Qomì ftoimal di eoa aeta
fiMcJftto, „ Par, Vili. 64. » Rirnehetti,
Appunti, 140.
108. DI LD: AL DA LD.
109. PBfBA : se. dopo ATorti dato que-
sto oenno, io tacessi, ta saresti tormen-
tato dal desiderio di più sapere riguardo
a quei più di roHle splendori.
111. CARiziA: carestia, pennria; dal
lat. carerei cfr. Purg, XXII. 141. Goai
tatti, tranne BuH e Lamd, che attriboi-
seono alla Toce il senso di « angoscioso
desiderio. »
112. Da Qunn: da questi splendori che
ci venivano incontro con tanta letisia.
118. M' IRA n Disio : desideraTO: « Uoc
erat in Totis»; HoraL, 8at. II. ti, 1.
115. BKHS RATO : cft. Purg. V. 60 : Pa/r.
UI. 87. - TBOHi: cfr. Par. XXVm, 103
e seg.
117. milizia: la Tita terrestre, detta
nna millxia anche nel linguaggio sorit-
tarale; cfr. Giobbe VII, 1. cKota ohe
il rivere qni è nno militare ; e però di-
cesi militante Ecdesia qoesta qoa giù
e trinnCuite quella del Cielo » ; OtL
118. DSL LDMs : della luce della dirina
sapiensa e carità, diflisa per tatto le re-
gioni celesti. - n spazia: confr. Pwrg,
XXVI, «8.
119. PBRÒ : perchè Tediamo ogni coca
in Dio e siamo accesi dall*aideato carità
diTina.
130. DA KOI : AI. DI VOI. Come si Tede
dal canto seguente, il Poeta fti eM«rito
non solo della condisione di quelle ani-
me, ma esiandio di molte altre coee; dun-
que DA HOI.-TI SABA : paria a tao pla-
cere. domanda liberamente, che aiaino
pronti ad appagare ogni tao desiderio.
121. UK: Giustiniano. Par, VT. 10.
122. Dì' DI* : paria pure e chiedi libera-
mente. Cfr. per la rima JV* VH, 28.
123. CUOI: cfr. Par, lU. SI e seg. -
DU : cfr. A<KÌ. Vn. 1. AOm. LXXXI. 1.
e. Oiov. X, 84. 85. SceL, (Mmt. pkSL
UI. pr. 10. Thom, Aq., aum. tkeol. 1. 18.
9 e seg. € I beati non possono nò errare
né mentire : però sono Cstd partecipi di
due riloTantissime proprietà della dlTi-
124. Tieaio: Tede dai tuoi occhi sor-
ridenti che ta trai dal riso di questi fl
tuo splendore, perchè questi ridono cosi,
come ta risplendi. Esprime con grarioso
scambio dei Terbi il concetto ripetatis*
Simo (cfr. Par, IX. 70 ; X. 108, 118 eoe.)
del ridere per 0 godere e del risplendere
pel riso. Cfr. Aoneàstti. 1. e - t'ahmidi :
ti circondi e rinchiudi nel tao proprio
splendore. « Amictus lumino slout Testi-
mentojPsi.CIII, 2.
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[CIXLO 8IC0HD0]
Pah. V. 125-189 [spiriti opwtiirn] 747
127
180
183
186
130
Nel proprio lume, e che dagli occhi il traggi,
Perch'ei corroscan si, come tu rìdi;
Ma non so chi tn sei, né perchè aggi,
Anima degna, il grado della spera
Che si vela ai mortai con altroi raggi. »
Questo diss'io, diritto alla Inmiera
Che pria m'avea parlato; ond'ella féssi
Lucente più assai di qael eh' eli' era.
Si come il sol, che si cela egli stessi
Per troppa Ince, come il caldo ha róse
Le temperanze dei yapori spessi;
Per più letizia si mi si nascose
Dentro al sno raggio la figura santa;
E, cosi chiosa chiosa, mi rispose
Nel modo che il segoente canto canta.
125. TBAflOi: € il lume eh' è in te d»-
dad e Ui quasi ■gorgare da^ occhi »;
126. PKBCH* n OOBBUBCAN : Al. PEB-
CH* ■* OORBUBCA. Pa» ohc aianofliocchi
ehe eormaoaiio (-» Bcintniano, brillano),
Boa 11 lame. - « Io reggo bene, che tn ti
riposi (f ««mirf»), «ome nella tna nioehia,
nel lume di carità ehe hai detto testé, e
che è ora tao proprio. Ora, segno Dante,
di dò m* accorgo io bene, al segno che
me ne daano i tnoi occhi, per li qnali ta
trai dal cuore il fboco dell'amor too den-
tro; ond* essi cormseano e brillano se-
condo la ina letìsia orrero il rìdere
della tna bocoab Leggo eorrutean e non
comuea; conciosslachd per gli occhi so-
pra tatto si sfogano i moTimenti del coo-
re. e meglio 1* idlegretsa che altro. > Ou,
127. AOGi: tu abbia; cfr. Diez, (Tram.
n\ 611.
ItS. COR: Al. CON OLI. - ALTRUI: del
•ole, poichd Meroorio è la steUa che « plh
▼a Telata de' raggi del sole, che nnll'al-
tra steUa » ; Oonv, n, U.
180. DiKlTTO: indiriizandomi a qael-
l'anima risplendente.
132. Fiù ASSAI: per la gioia di poter
esercitare la soa carità, rispondendo al
Poeta.
138. CELA: « qoando i rapori, fbtti par-
venti per abbaMamento di temperatnra,
s'interpongono tra l'occhio nostro e il
sole, d Telano quest'astro, e talvolta d
permettono di guardarlo ; ma se avvenga
cheli calore promosso per la presensa dd
sole istesso, rarsfiu>da questi vapori a
poco a poco, qaad U roda e li consomi e
U renda quanto più d può trasparenti,
allora il sde d cela egli stesso con la
sovrabbondansa di sua luce, che dalle
nostre pupille non può sostoierd» ; Anr
UmMi, - sou BTI88I : so stesso. SUui
per tUtio d disse anticamente anche in
prosa. Cft*. Inf. IX, 58.
134. COMI IL CALDO: AL QDAHDO IL
CALDO.
188. RASCO0B: colla soa Ince. «Certi
[corpi].... diventano d raggianti, che
vincono l' armonia dell' occhio, e non d
lasciano vedere senza fktica dd viso»;
Oonv. ni, 7.
188. CHIUSA CHIUSA : intieramente ve-
lata e nascosta nel sno splendore.
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748 [CIBLO 8X00KD0]
Pab. vi. 1-4
[OIUBTnUVO]
CANTO SESTO
CIELO SECONDO O DI MEBCUBIO
SPIRITI ATTIVI E BENEFICI
VITI DI OIUSTINIÀHO IMPXBATOBX, 8T0BU DBLL' ÀQUILA BOMAHÀ
INVXTTIVl CONTBO I OHIBlLLim
OLI 8PIBITI BBITI NBL BBCONDO OIBLO, BOMBO DI VILLAHOVl
« Poscia che Costantìn l'aquila volse
Centra il corso del oiel, ch'ella segnio
Dietro all'antico che Lavinia tolse,
Cento e cent'anni e più l'nccel di Dio
V. 1-27. rUa di Giustiniano. Nelle
parole dette d«l Poet* a qaeir Anima
beata, Par, T, 127 e seg., erano contenu-
te doe domande: «Chi edf » e: «Perchè
edqni f » Alla prima si risponde in questi
Tersi, alla seconda nei TT. 112426. Quel-
l'anima incomincia narrando come lo
scettro perrenne nelle sue mani, quindi
si nomina e ragiona della sna conTersio-
ne e delle soe opere. Cft*. Inventiti, De
rébu» gettU JiuHniani M. Roma, 1738.
Ludeufig, VUa JutHniam M, Halle. 1781
Itamhwt, HisL d* JiMftnwn, 2 toI., Pa-
rigi, 185e. Nel cVI deU' Inf, cantò le vi-
cende di Firenset nel VI del Purg. pian-
se le condisioni d' Italia : nel VI del Par,
fa la storia dell' Impero romano. Firen-
M, ritaUa,!' Impero 1
1. COBTAxmi: Costantino I detto il
Grande, n. 274, m. 837, ohe nel 830 tra-
sfeii la sede dell' impero da Roma a Bi-
sansio. -l'aquila. : l' insegna dell' Impero
romano.
2. OOHTRA : da occidente in oriente. Le
parole inchindono biasimo. Ai tempi di
Dante si crederà ohe Costantino trasfe-
risse la sede dell' impero a Bisancio per
donare al papa « tutto lo' mperio di Ro-
ma » 0. VUL I, 59, la qnal donaaione se-
condo Dante fki illegale e ftmesta ; ofr.
De Jfon.ni, 10.JnAXIX.116eseg. Purg.
XX XII, 124 e scK. < Aquila portata ab
Enea ab Asia in Italiam venit cum eursn
coell, quia sdlicet ab oriente in ooddeiì-
tem ; quando vero ftait reportata per Go-
stantinum de Italia in Gnactam irlt con-
tracnrsumccBli.quiascilicetabocddeaite
in orientem >; Btnv. - ch' slla asouto :
« idest, quemcursum ipsa aquila acquata
est » ; BétMf, Al. CHB LA SBOUtO : OOOfr.
Oom. Dipi. Ili, 130 e seg. Tenendo die-
tro ad Boea, l' aquila s^oì il corso del
dolo, non il dolo il corso dell' aquila. U
Betti intende : « H delo si fece obbediente
a seguire il toIo delle aquile romane, do-
▼unqueélleandaTano. » Maallora l'aqui-
la non sarebbe mai andata Mnira il corso
del delo.
8. Aimoo: Bnea, vissuto drca 1900
anni avanti Cristo. - Lavuoa: l'unica
figlia di Latino, re dd Lado; cfr. Iftf.
IV. 126. Pwrg. XVII, 85 e seg. G, YiU.
I, 28. - TOLSI: in moglie, sposò.
4. ■ Fiù : dal trasferimento della sede
imperiale aBlsando, 830, all'incorona-
done di Giustiniano, 527, scorsero 107 ;
ma duo alle conquistedi Giustiniano nd-
r occidente (nd 536) scorsero 206 anni. -
l'uockl: l'aquila; cft*. Purg, Tirm,
122. Cbnv, IV, 5. D$ Mcn, H, jKMtiai.
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[CIBLO SIOOUDO]
Pab. vi. 5-20
[OIUBTINIANO] 749
'10
13
16
19
Nello stremo d'Europa si ritenne,
Vicino ai monti de'qnai prima uscio;
E sotto V ombra delle sacre penne
Governò il mondo 11 di mano in mano,
E, si cangiando, in su la mia pervenne.
Cesare fai, e son Qiostinlano,
Che, per voler del primo Amor ch'io sento,
D' entro le leggi trassi il troppo e il vano.
E prima eh' io all' opra fossi attento,
Una natura in Cristo esser, non piùe,
Credeva, e di tal fede era contento ;
Ma il benedetto Agapito, che fue
Sommo pastore, alla fede sincera
Mi dirizzò con le parole sue.
Io gli credetti; e ciò che in sua fede era,
Veggio ora chiaro si, come tu vedi
5. vnxo 8TRIII0 : a BitMisio o CosUn-
ttnopoU, dttà potto aU* ettramiU dd-
TBaropa.
6. MOBn : della Troade, donde l'aquila
moaee dietro ad Bnea.
7. l'ombra : « Sab ombra alamm iixa>
ram protege me»; Balm, XYI, 8. L'aqui-
la goremò 0 mondo, il quale era sotto
r ombra deOe ali, o faor« p«niu, di lei.
8. li : a Coetantinopoli. - m maho nr
MAHO: soeoeeeiTamente, d'imo in altro
imperatore.
9. GAVOiAHDO: panando dalle mani
defl'nno in quelle dell'altro, pervenne
nelle mie mani.
10. FUI t nel mondo: in Paradiso non ▼!
sono Cesari. - eov: il nome rlcemto al
sacro Ibnte resta. - GiubtiuIàno : primo
di qneeto nome, n. 482, m. 666, celebre
perle sne fnerre Miai contro i Vandali
in AiHoa egU Ostrogoti in Italia, pib ce-
lebre ancora per la raccolta e l' ordina-
mento di tatti gU elementt del Diritto
romano iktto per eoo incarico da Tribo-
niano dal 638 al 684. « Dante pone qui in
delo Oiosttniano, principe soellen^iaBi-
mo, eh'Brapio nel lib. V , pone a tormen-
to nell'Infono. Se Dante avesse più cono-
seinta la storia bisantina, e non si Ibsse
lasciato illodereda ciance cnriaU, avreb-
be ripotato rettitodine il cacciar qnesto
tiranno in una delle bolge. » (f) BtUi,
11. FSB Tòuut: per iipiraslone dello
Spirito Bantoi t. 23; ofr. Inf. m, 6.
12. D* KHTBO : dal corpo delle leggi levai
il soperfloo (« troppo) e l'innttle {Q turno).
Parafrasi delle parole; «omni snperva-
cna similitodlne et iniqaisslma discordia
absolnt» », nel § I del primo decreto di
Giostiniano. Ci^. Oom, Lipi. m, 182.
18. all' OPRA: di riordinare le leggi.
14. UNA natura: oonlbrme la dottrina
enttcbiana, e monoflsitica, ohe in Cristo
fosse soltanto nna natura, la divina,
unendosi odia quale l' umana n' era ri-
masta come assorbita ed annientata. C è
qui un errore storico. È vero che Giusti-
niano soggiaceva aU' inflaensa di Teodo-
ra, sua moglie, selantissimadeUadottrina
monofisitica ; ma egli non la professò mai.
Del reeto l' errore «ra comune nel medio
evo; ofr. Oom. IÀp9* m, 188. Brtui»
Lai., Tot,, n, 26.
18. AQAnTO : Agapito I, romano, papa
dal 686 al 688, m. a Costantinopoli dove
era andato per trattar pace tra Giusti-
niano e Teodato, re degli Oetrogoti. Cfr.
Mangi, OoUeet. Oone, XVm, 873. Ada
Sana.» Stpt. VI, 188 e seg. AntUi, Btor,
della Okiéta 1, 466 e seg.
18. MI DDtBZÒ: Al. MI RIDRIZEÒ.
10. nr BUA viDB : ciò che Agapito cre-
deva ed aibrmava, dee che In Cristo vi
sono due nature, l' umana e la divina,
la cui unione Ib &tta in quanto in essa
sussiste la persona del Verbo. Al. r ciò
CHR suo (OHB 'N BUO) DIR RRA.
20. sì, OOMR: con quella stessa evidensa
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750 [OIBLO SECONDO] PlB. TI. 21-34
[IQVILl BOICAHA]
32
25
81
34
Ogni contraddizìon e falsa e vera.
Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,
A Dio per grazia piacque di spirarmi
L' alto lavoro, e tutto in Ini mi diedi ;
Ed al mio Bellisar commendai Tarmi,
Coi la destra del oiel fa si congiunta,
Che segno fu ch'io dovessi posarmi
Or qui alla qnestion prima s' appunta
La mia risposta; ma sua condizione
Mi stringe a seguitare alcuna giunta,
Perchè tu veggi con quanta ragione
Si muove centra il sacrosanto segno,
E chi '1 s'appropria, e chi a lui s' oppone.
Vedi quanta virtù V ha fatto degno
die Bel tno nnuuio intendimento h» il
principio di oontnddisione, doè ohe di
dne termini oontraddittorii l' uno è ne-
oessariftmente veio, l'altro flJao.
22. MOflSl: camminai di pari PM80 oon
la Cliiesa, avendo abbracciato la eoa
dottrina.
28. DI SPIRARMI: Al. D* IHSPIRARKI.
Dante osò spirare in Purg, XXIV, 53
ed altrove; ofr. Fay, Oonoord. qfthé D,
0., 680 e seg. : inipirare egli non usò mai.
24. LAVORO: del riordinamento dèlie
1«KKÌ* - » LUI: Al. A LUI.
26. BKLUBAB:BellÌ8ario(n.605,m.666),
il Dotlaaimo e celebre generale di Giuati-
niano che ritolse l' Italia al Goti, e che
nel 562 Ginstiniano fece incarcerare ; efr.
<7. ViU, II. 6. Mahon, Life qf BaUari
Lond., 1829. L' ingratitadine di Qiurti-
niano verso Belisario sembra foste ignota
a Dante come al Villani, non conoscendo
essi le opere di Procopio. Sembra inoltre
che Dante non sapesse ohe il vero rifor-
matore delle leggi fti Triboniano.-COM-
MBKDAi; affidai.
27. POSARMI: sotto il comando di Bel-
lisario le armi ebbero tal &voredeI cielo,
che io l'ebbi per segbQ esser volere di
Dio ohe io non mi occnpàssi che delle arti
della pace, lasciando le eafee della guerra
a' miei generali.
V. 28-36. IntroduiHonk otta Haria
detVaquUa romana. Prima di rispon-
dere alla seconda domanda di Dante:
< Perchè sei qni t » Qiostinlano parla della
origine ed importansa dell'impero ro-
mano, figurato per l'aquila. B lo fit per
dare nna severa lesione e ai Guelfi e ai
Ghibellini, mostrando ai primi il loro
torto nel combattere, ai secondi dell'ap-
propriarsi il flosrosanto «fimo.
28. QUR8TI0M PRIMA : non tockHam'i
Par. V, 127. - s' appunta: £s ponto, hm
suo termine. Con ciò ho risposto alla tua
prima dimanda ; ma la qoaùtà della mia
risposta mi costringe a continuare il di>
scorso, aggiungttidovi alcune altre eoee.
29. BUA coNOiziOHR : la qualità o na-
tura della mia risposta. Al. la ooxi»-
zioirs, intendendo: La mia oondirione
d' imperatore.
81. OOH QUANTA: cou quanto pooa ra-
gione ; con quanto torto.
82. coiTTRA: dunque, secondo Dante,
i Ghibellini sono nemici dell'impero,
come i Guelfi. - SACRoaANTO: eosondo
r aquila li simbolo dell'autorità imperia-
le, istituita e voluta da Dio.
83. cm'L s'appropria: i GUbeUiai.
V. 101 e seg. - CHI A LUI 8* oppom : i
Guelfi, V. 106 e seg. « Nessuno signore e
nessuno comune dovrebbe appropriani
lo segno dell' aquila per riverenaia de lo
imperio, se non l'avesse già di graaia
dallo imperadore; .... ognuno lo dovrebbe
obbedire nelle cose temporali, secondo
la sentenxia di Cristo: Reddite ergo gum
twU Chuari» Oeesari, et qw» $%mt Zhi
Deo ; dunque centra ragione fis chi sei
piglia di sua attorità e ohi lo dÌM>bedi-
sce>}Bu(i.
84. VIRTÙ : degli eroi romani; ofr. De
Mon, n. Vico» De un, jur, jfrino., 186.
Oom» Lipe. HI, 186.
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[CULO SXCOSDO]
PAB. ti. 35-46 [AQUILA SOMAKA] 751
Di riverenza! » E oominoiò dall' ora
Ohe Fallante mori per dargli regno.
« Ta sai oh' e' fece in Alba sna dimora
Per treoent' anni ed oltre, infino al fine
Che i tre ai tre pugnar per lui ancora;
E sai eh' ei fé' dal mal delle Sabine
Al dolor di Lucrezia in sette regi,
Vincendo intomo le genti vicine.
Sai quel eh' ei fé', portato dagli egregi
Bomani incontro a Brenne, incontro a Pirro,
E centra gli altri principi e collegi ;
Onde Torquato e Quinzio, che dal cirro
S5. ■ ooiasaò : « adlioet namtlonem
■uun »; Bmv. I più inveoe intendono t
B qoeito ylrUi deU' aquila oominoiò, ooo.
Se non ohe 1a Tirtù dell'aquila non oo-
mindò dall» morte di Fallante, ma per
lo meno da quando eesa aquila segui il
cono del dolo dietro ad Enea, v. 2 e aeg .
36. Pallahtb : Aglio di Evandro, re del
Luio. Mandato da suo padre in aoooorso
di Enea, morì nella battagUa oontro Tur-
no; oonfr. Virg., Aen. Vni-X. Secondo
Dante, Enea ereditò i diritti di Fallante
al r^gno.
V. 87-96. Sioria éeWaquOa roma-
f*a da Bnea sino a Curio Moffno.Tet
tre secoli fiori air ombra dell'aquila la
potenxa degli Albani. Si rese poi più ri-
■pettabUe nel dintorni dalla pugna degli
OrasH e dal ratto delle Sabine dno aUa
morte di Lnereilaed allacaodata del re.
GlorlosadiTenne quindi nelle guerre con-
tre { GaUi e gU Epiroti, nelU inesorabUe
giostixia di Torquato, nella rigida porer-
; tà di Qoindo, nel nobile saerlfldo dei Do-
di, nelle militari grandette dei Fabii,
nelle tittorie di Sdpione, di Pompeo, di
Cesare, nella morte di Cristo e nella di-
stradone di Gerusalemme. Da Tito il
Poeta salta a Carlo Magno; e con un
naoTo salto giunge ai suoi tempi. In
\Oon9, IV e Ut Mon, III d enumerano
[press' a poco i medesimi esempi della
.storia romana.
37. b' t il MoerosaiUo iegno, V aquila. -
Alba: Alba Longa nd Lado, dtt^ fon-
ata da Ascanio, figlio di Enea, condde-
ntaoomela madre di Boma. Secondo la
ttadldone, i difendenti di Enea vi re-
, gnaiono per dtre tre secoli; ofr. Liv, I,
8 e 29. a ViU. I, M e seg.
88. nrFDro al fdib t sino al termine
della dimora dell'aquila in Alba, ohe fti
quando i tre Curiad combatterono per
eesa coi tre Orad romani, e per la vitto-
ria degli ultimi l'impero tramutosd in
Boma; cfr. Liv. 1, 24-27. Dion. Hai, UI,
11, 22. Orof ., Hitt, II, 4. Cbn«. IV, 5.
De Mon, n, 10-11.
39. lTBKAiTU:codipiù;^trelez.:
TBBATBB;TBBRTIUi; I TBB ■ I TBB.
40. SAI OH'U FB' ! Al. SAI QUBL CHB
rm\ - MAL: ratto; cfr. Virg., Aen, Vni,
686. Tu sd qudi fórono i trionfi dd taero-
tanto segno sotto i sette Be di Boma. dal
tempo cbe furono rapite le donne Sabine,
sino a quando, morta Lucreda, ftarono
cacciati i Tarqulnii. Cfr. O, VUL I. 26.
41. Lucrezia : la virtuosa moglie di
Collatino, Tiolata da Sesto Tarquinio ;
ofr. Liv. I, 57, 58. Itkf, IV, 128. Oonv.
IV, 5. e. Vm, I, 28.
48. BQBBQI : « HuÌc progeniom firtute
ftatnram Bgregiam et totnm que yiribna
oeoupet orbem »; Virg, Aen. VII, 257 e
oeg. Tu sai pure come il sacrosanto se-
gno dell' agalla vinse Brenne coi suoi
GalU, e Pirro co* suoi confederati.
44. BRsmfO : capitano dei GaUl Senoni,
Tinto da Camillo; cfr. Liv. V, 83-49. Po-
lyh. 1, 6. Jutt, VI, 6. Horat., Od. HI, VI,
85. Oonv, IV, 5. De Mon, lì, 4. - PiBBO:
cfr. Inf. XU, 185. Pl%A„ Pyrr. 18 e seg.
Liv. XXXV, 14. JuH, XVin, 1 e seg.
De Mon, U, 10.
46. OOLLBQI: collegati, confederati. Odi-
ìegi per oolUeghi, come piage per piaghe,
Pwrg, XXV, 80; Mm0 per hioohé, Inf,
XXV, 81. Fa/r, V. 66: confr. Nannue.,
Tmrhi, 280.
40. Torquato : Tito ManUo Torquato,
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752 rciXLO 8KCOin>o] Pab. ti. 47-54
[AQUILA BOMAXA]
49
62
Negletto fa nomato, i Ded e' Fabi
Ebber la fieuna che volontier mirro.
Esso atterrò l'orgoglio degli Arabi,
Che diretro ad Axmibale passare
L'alpestre rocce, di che, Po, ta labi.
Sott' esso giovanetti trion&ro
Scipione e Pompeo, ed a quel colle,
Sotto il qoal ta nascesti, parve amaro.
il vincitore dei Galli e dei Latini; ofr.
Uv, Vn, SIS. Old., De Of. IH, 81. 8ai-
lut„ OoL, SI. Virg., Atn, VI, 384 e aef.
Oonv. IV, ft. - QunrDO : il eelebre ditta-
tore romano tolto dall' aratro, detto Oin-
oinnato dall' aver egU tempre armflktl i
capelli {cirro. Ut. eirrui, le chiome); cfr.
Liv. rV, 26 e seg. Oon9. IV, 5. De Mon.
n, 6. Par, XV. 12».
47. Dici: cittadini romani. Dante in-
tende dei tre aegoentl :!<> F. DmIm ifitf
tribuno militare e oonaole, morto nella
guerra contro 1 Latini; ofr. Xriv.VTII,
10 e seg. 00., IMv, 1, 24, 51. Tute. 1, n,
89; - 2» il figlio di lai P. DeoiuM Mua,
console, morto néDa battaglia di Santl-
nnm; ett, Liv» X, 27 eaeg.j-S^ilcootoi
figlio P, DéeiuiMui, ohe gaerreggiò con-
tro Pirro e contro gU aohlayi ; ofr. Fior.
I, 18, 21. Cono. IV, 5. De Mon. n, 5. -
Fabi: patrisli romani; intende dei ire-
eento, e di Fabio Maetimo Ridiano, il
▼inoltore dei Sanniti (ofr. Liv. Vni, 80 ;
IX, 85 e aeg.i X, 15. 27-29. Potyb. U, 19.
Diod. Afo.XX, 27, 85), diCeM»FabioVi-
bnlano e de' suoi fratelli Qointo e Marco,
come pare de' snoi nepoti Quinto Fabio
Vibolano, Harco, Kamerio,eoo. (Liv.ll,
48 e seg. £VI. VI. 687. Dion., Hai. IV, 16)
e sopra tutto di Quinto Fabio Massimo
Verrucoso, che colla sua prudensa pose
fine ai trionfi di Annibale ; cfr. lAv. XXI,
18 ; XXni, 82, 89 ; XXVII, 11; XX Vm,
40 e seg. i XXIX, 87. Oic., Oat. Màj. IV.
10. Brut. XrV. 57.
48. YOLOirruEB: in delo non avendo
luogo verunA invidia. - mibbo : « qui è
da sapere ohe gli antichi usavano di un-
gere di mirra gli corpi morti eh' egli to-
leyono che si conserrassero, sa come gli
moderni usono di balsimare; onde l' Aut-
tore, volendo conservare tal duna di ro-
mano impero, al la descrive nello presente
eapitolo, e dice la fama éh*io volontior
^n*rro, dò è: ongo di tal mirra, che la
t per lo tempo futuro»; An, Fior.
KeOo stesso senso di aonssrsar» preaoio
pare la voce mimmo Pott. Cam., Petr.
Dofd., Bon9.,VeU., Del.,VoL,Vemi., eoo.
Altri intendono : Incenso con mirrm, ren-
do omaggio; cosi OU., Ponto, TorélU,
Mona. 0$$., Tom.. Br. £., Fral., Andr.,
Bìame, eoe. Altri od BuU : « mirre,
doè miro, dee lodo, nm è scritto per
due r per la oonsonanda ddla rlm* » ;
cosi Dan., Vareki, Lomb., Pori., Pog.,
Biag., Ootta, Qrtg., ecc. Cfr. Oom. Lipe.
m, 189 e seg.
49. ABÀin : Oartagined.«IlBmne AmW
s'adopera dal Poeta, oom' era in oso an-
tico, ed è par oggi, qoal nome geaerieo
a signifloare qualsivoglia abitatore dd-
1* Affrica settentrionale »; Biag, - « Gbla-
matl ood gli africani, perchè erano'no-
madi »; Bem. Altrove chiamò loastartfi
i parenti di Virgilio, Inf. I. 68. Cflr. Ji|r>
XXVm, 10 eseg. Ocnft, IV. 6. De Mon,
n. 11.
51. BOOOI: plnr. di rooeia; le Alpi,
dalle qoali discende il Po. - labi: da ìà-
bore, lat. toò<« cadere, seortere, dlsoen-
deie, Cfr. Ovid., Mot. V. 850 e seg.
52. ESSO: sacrosanto segno. - giova-
Hsm: P. Cornelio Sdpimie Affrlcano
maggiore combattè a dieiassette anni
contro Annibale al Tidno {Li». XXI,
46. Fior, n, 6) ed a didannove anni in
Canne (Liv. XXEE, 68); a venti anni con-
quistò la Spagna, a trentatrè anni ri-
portò la vittoria decisiva sopra Anni-
bale {Lt9. XXIX, 1 eseg. Poiyb., 14).-
On. Pompeo Magno combattè da giovine
per Siila contro Mario ed ottenne il trion-
fb a ventioinque anni. 0. Viikud, 1, 86, lo
nomina tra i dud romani ohe aasediaro-
tto e distrassero Fiesole.
53. COLLI: di Fiesole, sotto il qoaleè
situata Flrenie.
54. PABVB AMABO : 11 saoTOsanto segno
deU' aquila; cfr. G.ViU. I, 87.
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[CIKLO SECONDO]
PAB. YI. 55-68 [AQUILA ROMANA] 753
06
58
61
67
Poi, presso al tempo che tatto il ciel volle
Ridar lo mondo a sao modo sereno,
Cesare, per voler di Roma, il tolle ;
E qael che fé' dal Varo infino al Reno,
Isara vide, ed Era, e vide Senna,
Ed ogni valle onde Rodano è pieno.
Qael che fé' poi eh' egli asci di Ravenna,
E saltò Rabicon, fa di tal volo,
Ohe noi segniteria lingna né penna.*
Invèr la Spagna rivolse lo staolo,*
^ Poi vèr Darazzo ; e Farsaglia percosse
Si, eh' al Nil caldo si senti del daolo ;
Àntandro e Simoenta, onde si mosse,
Rivide, e là dov* Ettore si caba;
56. TUTTO : si riferiaoe a lo mondo. Vi-
duo a qael tempo (avaoti la veonta di
Cristo) in coi il cielo volle ohe totto 11
mondo foeie tereno e padfloo come egli
stesso ò. Cesare per volere del senato e
del popolo romano impugnò il sacrosanto
segno contro la G^aUia. Cfir. Oonv» IV, 5.
i>0jron.I,16.
56. A 8U0 MODO: Ì più Intendono: In
pace, a slmilitodine del cielo. Altri : Alla
natura di esso cielo, alla monarchica.
Cfr. BetH, Scritti Dani., 42-46.
57. n. TOLLB; lo togUe; ofr. Ifif, XXIII,
57. Por. XVn, 83.
0S, X QUEL: Isara. Era, Senna ed ogni
valle dalla qnale il Rodano riceve i flnmi
che lo ingrossano, videro dò che il segno
deiraqoHa fece dal Varo Insino al Beno,
doè nella Oallla transalpina. Descrive in
qnest* terrina 11 teatro delle gnerrecom>
battate da Giulio Cesare nella GalUa, se-
gneiido Lwan,, Phart. J, 89 e seg. -
DAL Vabo : Al. DA VARO. H flamo Varo
formava il confine tra la Gallia transal-
pina e la GalUadsalpina. Cfr. Pstr,, LeU.
Fam.II, 7; V, 3.
69. IBAJU : oggi Isère, flnme di Francia
ohe ebooea nel Rodano. -Bra: lat. Arar,
la Saooa, sltro flnme di Francia che sboc-
ca nel Rodano. - Sknna : lat. Ssquana, il
flame di Francia ohe passa per Parigi.
Cfr.Forbiger, Alt» Qwgraphie, III*,90-92.
60. OHDK RODANO: Al. ONDI IL RODAHO.
61. fb' : ciò ohe il sacrosanto segno
dell'aquila fece, dacché esso nscì di Ra-
i con Giulio Cesare, che, di ritomo
48. — Di9. Oomm,, 4» ediy.
dalle Gallie, vi d era fermato qualche
tempo; oflr. Sueton», Ocb»., 80.
62. SALTÒ: passò. - RUBICON: Al. IL
Rubicon ; piccolo flnme tra Ravenna e
Rimini, anticamente confine tra la Gallia
dsalpina e l'Italia; cfr. Flin. lU, 116.
Forbiger, o. e, 872 e seg. - Di tal volo:
di tanta rapidità ; oonfr. Purg. XVm,
101 e seg.
64. INVÉB LA Sfaona: Contro Petrdo,
Afrsnlo e Varrone, legati di Pompeo. -
BIV0L8B } guidò r eserdto di Cesare. Del
resto sotto il segno dell' aquila romana
combattevano anche i seguad di Pom-
peo. - STUOLO : schiera, nel qnal senso
l'usò pure il Vitt. VI, 16.
65.DUBAZZO: Tantico iB^<f omnutf, poi
Dyrrhaehium, dttà marittima dell* Illi-
ria, dove Cesare fa assediato delle genti
di Pompeo; cfr. Oou,, Bel. eiv. IH, 18 e
seg. - Fabbagua : Phartaltu, città della
Tessaglia, presso laqnale Cesare sconfisse
Pompeo; cfr. Cast,, Bell, eiv, III, 00'99.
66. si, CH'AL NlL: Al. sì CH'IL NiL. -
81 BKKTÌ : Al. BKNTIB8I. Cosi ohe siu pros-
so al caldo Nilo d sentì dolore per quella
sconfitta, essendovi Pompeo stato uc-
ciso proditoriamente.
67. Antandbo : dttà marittima della
Frigia minore, donde Bnea foce vela per
venire in Italia; cfr. Virg., Aen. Ili, 6.
-SmoBNTA: Simou, ora Mendee, piccolo
fiume ddla Troade. Cfr. Luean., Phart,
IX, 050 e seg.
68. L^ : a Troia. - bi cuba : riposa, è
sepolto; cfr. Virg., Aen, I, 90; V, 871.
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754 [CIBLO 81C0HD0] Pab. yl 69-84
[AQUILA ROMANA]
70
73
76
7»
82
E mal per Tolommeo poi si riscosse.
Da indi scese folgorando a laba;
Poi si rivolse nel vostro occidente,
Dove sentia la pompeiana tnba.
Di qnel ch'ei fé* col baialo seguente,
Bruto con Cassio nello Inferno latra,
E Modena e Pemgia fé' dolente.
Piangene ancor la trista Cleopatra,
CUe, fuggendogli innanzi, dal colubro
La morte prese subitana ed atra.
Con costui corse infino al lite rubro ;
Con costui pose il mondo in tanta pace.
Che fu serrato a lano il suo delubro.
Ma ciò che il segno che parlar mi face,
Fatto avea prima, e poi era fatturo,
Per lo regno mortai eh' a lui soggiace,
09. ■ MALs e rsqnlUi si liieoase pot,
riplglUuido 11 «no volo, oon danno di To-
lomeo, al quale Cesare tolse il regno
d' BgiUo, dandolo a Cleopatra* sorella di
lai; cfr. Sueian,, lui. Oc&t., 86.
70. DA nrDI 80KBS t Al. DA ORDB VUniB ;
DA OMDSBCMS | DTDB D10CBBK. DaU*EgittO
Taqnila piombò come folgore sopra luba
o Giuba, re della Ifiaorltania; e(t. Dio
Om. XLin, 8, 0. AueU beL Afr,, 35, 55,
57, 08 e seg.
71. POI 81 BITOLBKt Al. POSCIA SI YOL-
BK. -oociDBHTB: alla spagna, dovei figli
e segoad di Pompeo, ohe ri si erano af-
fonati, forono sconfitti nella battaglia
di Mnnda, il 17 mano dell'anno i5 a. C.
75. TUBA: tromba ; cfr. Purg. XVTI, 15.
78. BAIULO ! lat. baiuhu — 11 portatore.
Chiama così Ottariano Aagnsto « perchè
portò la detta insegna, e bali e governò
lo imperlo di Roma »; BuH. Nel Chnv,
IV, 5, i primi sette re di Boma sono
detti € qoasi balii e totorl della soa pne-
rixla.» Cflr. Diéz,Wdrt. 1\ 4S. Oom, IAp§,
III, 146 e seg. Alconi leggono bailo ; ma
« Angosto non fti il boUo, doè Taio, di
qaéll' aquila, di quell'insegna; ma si il
òaitifo, il portatore, colai ohe la condaase
a Filippi, a Modmia, a Peragla, ad
Asio, ecc.»; .BMK.
74. latba: annanxiano col loro rab-
bioso dlTinoolarsl in bocca di Ladforo;
cfr. Jur. XXXIV, 64 e seg.
76. MODBBA : Al. MODOIf A. PWiSO Mo-
dena OttaTiano Angusto dlifooe Haroo
Antonio, ed in Perogla assediò e prese il
fratello IfUdo Antonio e Fnlvia, sua mo-
glie (41 a. C), e dopo la Tittoria ri com-
mise molte stragi e barbarie, di die la
dttà si risentì per lungo tempo. Cfr.
Lucan,, Pkart. I, 41.
76. PlAHOBifB: di dò ohe il segno del-
l'aquila fe* con Angusto. - Clbopatba:
cfr. Inf. V, 68. Dopo la battagUa di Ade,
non essendole ilnsdto di sedurre il rin-
dtore, d uodse ed Tdeno di un aspide.
Cfr. SutL, Aug. 17. Pktt,, Amt, 78-86.
Vétt, PaL n, 87.
77. INNABSI : all' aquÌla.-OOLUBBO ; lat
cduber, serpe; cfr. Virg., As». VTH, 695
e seg. HoraL, Od. I, zxxm, 25 e seg.
78. ATBA: atroce; cfr. Ifìo, PerctU,
OoTftuoop, BpigT,, S.
79. COSTUI: con Augusto, che conqui-
stò l' Bgitto, l'aquila corse sino al Har
Bosso; cfr. Yirg., Am, VIII, 686.
80. PAOB: cfr. De Mon. I, 4; ni, 16.
Thom. Aq., 8um, theoL IH, 85, 8.
81. DELUBBO; tempio; lat. dOubrum.
n tempio di Giano d semra soltanto,
quando i Bomani non areTano guerra
oon nessono: cfr. Li9, I, 18.
83. MI PACBt cfr. ▼. 39 e seg.
88. PBIMA, B POI: prima e dopo il tono
Cesare. - bea fattubo: era per fore;
lat. facturum eroi,
84. BBOBO : della terra, da Dto asse-
gnato aU'aquUa, doò al popolo roqM^.
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[CULO 8IC0ND0]
PAB. ti. 85-97 [AQUILA BOMANA] 755
85 Diventa in apparenza poco e scuro,
Se in mano al terzo Cesare si mira
Con occhio chiaro e con affetto puro;
88 Che la viva Oiostizia che mi spira,
Oli concedette, in mano a quel ch'io dico,
Gloria di far vendetta alla sua ira.
Or qui t'ammira in ciò ch'io ti replico:
Poscia con Tito a far vendetta corse
Della vendetta del peccato antico.
E quando il dente longobardo morse
La santa Chiesa, sotto alle sue ali
Carlo Magno, vincendo, la soccorse.
Ornai puoi giudicar di quei cotali
91
91
97
86. 8CUB0: di pooao i
i impor-
86. TBBZO GssABB: Tiberio, sotto U
eid impero Cristo mori; si qnsl iktto
Dante attribolsoe somma importansa;
oft*. De Jfon. U, 13.
87. CHLàBO : iUomiiiato dalla fede. - pu-
BO : « ohe non lo vinoa pih affesione d' ano
che d* nn altro »; BuH. - e Hoc dlcit qoia
multi negant Istam ratlooem qnam au-
tor Ide fiìdt, sed ipse ubique habet istam
oplnkmem quloqadd sit »{ Bmv. - € La
ehiaressa <LA Todere dipende in gran
parte dalla purità dell' animo »; Jfarf .
88. LA TXYAi la glnstisia divina che
m' ispira e mi muove a parlare.
89. ou : al segno dell* aquUa. - quk.:
Tiberio.
90. DI FAS vniDBTTA : di placare la giu-
sta ira di Dio. Avendo Cristo, 1* Uomo-
Dio, scelto spontaneamente di morire
sotto Tiberio, Bgli contribuì con ciò alla
gloria dell' aquila, insegna dell' impero
romano, rioonosoendone col flutto non la
ginstiaia, ma l' autorità { cfr. D$ ifon.
II, 18. Le altre interpretasioni sono
inattendibili ; cfr. Orni. Up9. Ili, 148
e seg.
91 . t' ammiba : maravigliati. La morte
di Cristo fti giusta, necessaria e volata
da Dio per la redenaione del genere
umano ; ma quella stessa morte ta in pari
tempo il più gran peccato commesso
dagU nomini. La massima gloria del-
l' aquila romana Ai di essere ministra
ed Istmmento della divina giustisia, as-
sistendo al gran sacrlilcio di Cristo che
gasava l'in divina contro il genere
Djoanoi ma neUo st9Sso tempo fu gran
gloria dell' aquila vendicare la crocifis-
sione di Cristo, alla quale essa aveva as-
sistito. Dante procura di sciogliere l' ar-
duo problema Par. VII, 19 e seg. L'aquila
è chiamata a sua gloria a punire in altri
dò che essa medesima aveva operato alla
sua massima gloria!
93. Aimoo ! del primo nomo. La morte
di Cristo Al vendetta del peccato di Ada-
mo; la distrusione di Gherusalemme fti
vendetta della crocifissione di Cristo.
94. DBim : termine biblico, cfir. 8aìm.
HI, 8; LVI, 6; CXXin, 6. Quando i
Longobardi perseguitarono la Chiesa ro-
mana, Carlo Magno le venne in soccorso
sotto le ali dell' aquila e vinse i nemici
della Chiesa. « Come Stefluo n aveva
invocato il soocorso di Pipino contro
Astolfo, cosi Adriano I nel 773 l'aiuto
di Carlo Magno contro Desiderio. A dir
vero solo 27 anni più tardi Leone III
con feri la dignità imperiale al re dei
Franchi. Ciò nonostahte il Poeta po-
teva ben dire ohe sin d' allora l' aquila
prese sotto la protesione delle sue lUi
un'impresa che doveva condurre al ri-
sorgimento dell' Impero Occidentale. »
TTitte. Secondo la mente di Dante, l'im-
pero romano non cessò mai di esistere
ds iure, benché cessasse temporanea-
mente di esistere de faeto.
V. 97-111. Invettiva eontro i Gueìfi
edi QhibetUni, Dal sin qui detto. Dante
deduce per bocca di Giustiniano una sen-
tenxa giusta ed imparxiale contro le parti
de' Guelfi e dei Ghibellini. I primi pec-
cano contro il Sacro Boroano Impero, vo-
lendone infhmciosare la plenipoteoxa ; i
secondi, fiioendo 9ervire41 sacrosanto se-
Jtizedby'LiOOgle
756 [CIELO SECONDO] Pab. yi. 98-111
[AQUILA BOXAKA]
100
103
106
100
ChMo accusai di sopra, e di lor falli,
Che son cagion di tatti vostri mali.
L' ano al pubblico segno i gigli gialli
Oppone, e F altro appropria quello a parte;
Si che forte a veder è chi più falli.
Faccian li Ghibellin, faccian lev arte
Sott' altro segno, che mal segue quello
Sempre chi la giustizia e lui diparte !
E non rabbatta osto Carlo novello
Coi Guelfi suoi ; ma tema degli artigli
Ch'a più alto leon trasser lo vello!
Molte fiate già pianser li figli
Per la colpa del padre; e non si creda
Che Dio trasmuti l'arme per suoi gigli!
gno Ai loro intereisl di parte. Cfr. Ma-
miani, in D, e Unto tee., 162 eseg. Barel-
li, AUsgwria, 118 e seg. Borio, in Omagffio
a D,, 80 9 Mg. Bonffiovatùu, Prolego-
meni, IM e seg. Amdt, De D. AL eerip-
tore ghibeUino, 00 e seg.
08. DI 80PBA: ▼. 81 e seg.
100. L'UNO: il Goelfo oppone all'aquila,
insegna dell' impero ani versale, i gigli
d' oro, insegna della Casa di Francia,
quindi di Carlo li, redi Paglfa,alIora capo
dei Guelfi. - pubblico SBoiro : cTespres-
sione ò del latino l>arbaro ; leggendosi nel-
l'isorislone sepolcrale del Drootulfo, duca
longobardo del secolo vi, la qnale è a
S. Vitale di BaTcnua: Hio et amane
semper romana et publioa signa, Vasta-
tor gentls adftait ipso su» »; BetH,
101. l'altbo : il Ghibellino vuol fsr ser-
▼ire il pubblieo eegno ai soli interessi della
sua parte.
102. POBTR : difficile ; cfr. Purg, XXIX,
42 ; XXXIII, 60. Al. 8Ì CH'ft FORTI A VB-
DKB CHI FIO BI FALLI ; SÌ CH'ft FORTI A VB-
DBB QUALE PIÒ FALU. - « Il Guelfo oppone
all' aquila i gigli d' oro di Francia. H
Ghibellino vuole averla per so a segnale
di fltfione; cotalchè ò difficile determi-
nare ohi sia peggiore. Prendano 1 Ghi-
bellini non r aquila, ma al tre segno ; sono
indegni di aver l' aquila, perchè sono in-
quieti. Carlo II, Re di Puglia, non si ado-
peri per abbatterla aiutato dai Guelfi, e
si rammenti ohe l' aquila oo' suoi artigli
strappò il pelo a leone più valoroso di lui.
Come avvenne in passato, rispetto ad al-
-ri padri, i figliuoli potranno piangete
•opra la sua oolpat né al dia a credere
che Dio oessi di avere per sua armm
r aquila e voglia tramutarla nel gigli di
Francia, cangiando l' Impero Somano in
Impero Franco. » Oom.
103. ABTB : cfr. Inf. XV, 78 e seg. Por.
XVII, ei e seg.
lOi. QUELLO I il jmòMwo M^no dell'aqui-
la imperiale.
106. DIPARTE: Al. DDPABTE; Chi fk
l'aquila segno di guerra ingiusta.
100. BOTO : questo. - CARLO : re di Pa-
glia, secondo di questo nome, figlio di
Carlo I d' Angiò. - novello : per rispetto
al padre.
107. ARTiou: potenaa imperiale.
108. LEON: a ohi era assai più fòrte di
Carlo.
109. PIAN8RB t cfr. Btod, XX, 6. fi una
sentensa generale; ma forse allude in
pari tempo alle sventure di Cario Kar-
telio, figlio di Carlo III cfr. Por. VIU,
49 e seg.
111. L'ARME: l'aquila, uoeèl di Dio,
V. 4, che anche in avvenire rimarrà sem-
pre l'insegna dell'autorità imperiale uni-
versale, voluta da Dio.
V. 112-120. QuaUtA e oondùet^no d^
gUepiriU boaH nei Helo di MeremHo.
Dopo la lunga digressione sull'aquila ro>
mana, Giustiniano risponde alla seconda
domanda di Dante, cfr. Por. V, 127 e
seg. Kel delo di Mercurio sono coloro
ohe operarono il bene, ma indottivi prin-
cipalmente dall'amore di fluna mondana;
per il che sono in un grado di gloria piut-
tosto basso, subito dopo coloro che noa
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[CtKLO ÈSOOHDO]
Pab. vi. 112-126 tflPlBlTi beati] 757
US
115
118
121
> 124
Onesta picoiola stella si correda
Dei baoni spirti, che son stati attivi
Perchè onore e fama gli sncceda;
E quando li disiri poggian quivi
Si disviando, pnr convien che i raggi
Del vero amore in sn poggin men vivi.
Ma nel commensurar dei nostri gaggi
Col morto, è parte di nostra letizia,
Perchè non li vedem minor né maggi.
Quindi addolcisce la viva Giustizia
In noi l' affetto si, che non si puote
Torcer giammai ad alcuna nequizia.
Diverse voci fan giù dolci note ;
Cosi diversi scanni in nostra vita,
Bendon dolce armonia tra queste rote.
ad«aq»troiio perfettamente i voti fktti.
Vnratio ambiskMl, ohe ambisione è cu-
pidifi* di onori monduiL « Importatenim
■oiUtlo enplditatom honoris.... UUi qoi
•ohim propter hooorem rei bona fodont,
▼el mala Titant, non soni Tirtnooi. »2%om.
Ag., Am». tked, U, n. 131, 1.
112. PiociOLA : « Hercnrio è la pih pio-
ool* ateU* del oielo»; Oonv. H, U. - bi
COBBBDA: il adoma.
114. ou BUOCSDA: incoeda loro; olir.
Ifaiumo., Verbi, 129. Oavemi, Voci •
Modi, M e aef .
115. POGOLur : mirano a questo scopo,
di oonsegnire ftuna ed onore in terra; cfr.
Thom, Aq,, Bum. thtoL U, u. 182, 1. 8, 4.
ne. DIB7IAHOO : deviando cosi da IMo,
ohe dere essere l'onioo nostro scopo.
117. ÀMOBi: divino. - FOQonr: s'tonal-
tino più deboli Terso Dio.
118. USL comoHSUBAB : una parte del-
la nostra beatitodine e gioia consiste ap-
ponto nel rodere ngnagUato il premio al
merito. - OAOOi: premi; efr. Diez, Wóri.
Vy 194. « Sono rimasti al popolo i gaggi
militari, d' onde s* è iktto il verbo ingag-
giarti *; Oavtmi,
120. MAGGI ! magii^ori ; cft*. Ir^. VI, 48 ;
XXXI. 84. Par. XIV. 97 ; XXVI, 29, eco.
121. quunn : mostrandoci come il pre*
mio è pari al merito. Dio. viva ginstisia,
addoleisoe eosi la tendensa della nostra
volontà, ohe non pnò torcersi ad invi-
dia, eco. Cfr. Par. m, 70-87.
124. FAN Qlt : Al. FAICHO DOLa HOTB.
Come diverse voei ftnno in terra dolce
armonia, così diversi gradi dt gloria ren-
dono qoi nn' armonia celeste.
125. SOAHHI : gradi di beatitudine! ott,
€fio9. XIV, 2. - « Domns est nna, qnia
nnnm est snmmnm Bonom, id est Dens
ipso ; sed diversitas mansionnm ibi erit »;
Pttr, Lomb., Sent. IV.
126. BOTI: allude forse anche qui al-
l'armonia delle sfere; oflr. Par. I. 78.
V. 127-142. JBpiMdiio di Bomeo. Giu-
stiniano pon fine al suo discorso, dicendo
che nel cielo di Mercurio trovasi pure
r anima di Bomeo. del quale narra sue*
ointamente la storia. Bomeo (Boméé, Ro-
mieu) di ViUanova, nato verso il 1170, fti
primo ministro, conoestabile e gran sini-
scalco di Baimondo Berengario IV, conte
di Provensa. Morto il conte nel 1245, Bo-
mée rimase amministratore della Pro-
vensa e tutore di Beatrice, quarta figlia
di Baimondo, la quale Bomeo maritò a
Carlo d' Angiò. Mori in Provensa nel
1250. Secondo la leggenda, seguita da
Dante, perchè a' suoi tempi si credeva
storia, questo Bomeo fti un pellegrino
ohe tornando da S. Giacomo di Galizia
capitò in Provensa; e, acconciatosi in
casa del conte Baimondo, ne amministrò
ed accrebbe i beni, e ne maritò le figlie
a quattro re ; quindi, reeo dagl* invidiosi
baroni e cortigiani sospetto a Baimondo,
si parti da lui ed andò mendicando la
sua vita. Cfr. G. ViU. VI, 90. Fonianini,
Sloq. ital. 1, 10. Baynouard, Journal des
tavawtt, 1825. p. 294 e seg. Boueké, HiH.
de Ptotenu U, 242-204. Vai»9au, Hitt.
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758 [CIELO SECONDO] Pab. VI. 127-142
[BOMEO]
127
180
183
18«
189
142
E dentro alla presente margarita
Luce la lace di Bomeo, di coi
Pa V opra bella e grande mal gradita.
Ma i proyenzali che fér centra lui,
Non hanno riso; e però mal cammina
Qoal si fa danno del ben fare altmi.
Qoattro figlie ebbe, e ciascuna regina,
Bamondo Berlinghieri ; e ciò gli fece
Romeo, persona ornile e peregrina;
E poi il mosser le parole bieco
A domandar ragione a questo giusto,
Che gli assegnò sette e cinque per diece.
Indi partissi povero e vetusto;
E se il mondo sapesse il cuor eh' egli ebbe
Mendicando sua vita a frusto a frusto,
Assai lo loda, e più lo loderebbe! >
de Langutdoe XXV, 91 e seg. Cbm. I^,
IH, 164 e seg.
127. MABGABITA; Moroorio; ofr. Far.
n, 84.
128. LUCE : rltplende 1* anima chiara di
Bomeo.
129. l' opra ! del rloidinameiito degli
aifiirl del conte Balmondo e dell' ingran-
dimento della fluniglia con quattro ma-
ritaggi reali. - mal gradita: avendogli
il conte reso la solita ricompensa degli
ingrati.
180. wtB,'. lo accasarono e calunnia-
rono presso il conte.
181. HON HANNO BI80: « Ìmmo amare
fleverant, et s»pe saspiraTemnt Ro-
menm; nam offlciales regls Franoisd et
Caroli non ftienmt postea ita benigni et
gratiosi erga eoa, siont ftierat Baymon-
das Comes et Romens yloecomes»; Benv,
182. QUAL : chiunque volge a suo danno
le altrui buone opere, finendosi reo d'in-
vidia e di calunnia. Al.: Chiunque reputa
suo danno, si prende come priorie male
l'altrui ben Aire.
138. QUATTRO nQUMxMarghtTÌta{\ÌSl-
1295). maritate nel 1234 a Luigi IX, re di
Francia; BUwMra (m. 1291), maritata
nel 1236 ad Arrigo III, re d' Inghilterra ;
Samióia (m. 1261), maritata nel 12a a
Riocardo,oonte di ComovagUa, fratello di
Arrigo, eletto nel 1267 re di Germania;
Beatrice, erede della Provensa e moglie
di Carlo I d'Angiòi cfr. Q. VOI. VI. 89.
186. UMÌLK K PXREORncA: cignobUls et
ignota virtnte snat quod non Ibdaset
Raymundus stmplidtate sua, nec auUel
malignitate sua»; Beno.
186. BIRCK: bieche, prave, ingiuste
(cfr. Inf. XXV, 81. Por. V. 66), doè le
calunniose parole degl' invidiosi.
187. RAGIONE: dell' amministrasione.
188. ASBBGNÒt equi aeeegmtre, credo
stia per rassegnare, cioè dare in nota »;
Beta, - BRTR B aNQUK : dodici per dieci,
cioè gran guadagno.
189. vrruBTO : vecchio ; onde tanto ptb
è ammirabile il suo disinteresse.
141. A FRUSTO : a tosxo a tosso. « Pars
in frusta secant » ; Virg., Aen» 1. 212. Cfr.
OoHV. I, 8. Par. XVII, 66 e seg.
142. FIO: il mondo lo loderebbe assai
più che non fa, quando sapesse formarsi
un' idea della magnanimità e fbrtesaa di
cuore che indusse Bomeo, già vecchio, ad
andar mendicando il suo pane a toseo
a tosso per non rendersi infedele od ar-
viUrsi.
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tCIELO SBOOHDO]
Par. ?n. 1-9
[CANTO] 759
CANTO SETTIMO
CIELO SECONDO, O DI MEBCUBIO
SPIEITI ATTIVI E BENEFICI
LA MOSTI DI CBI8T0, LA BBDBNZIONB B L' IM MOBTALITI DBLL' ANIMA
€ Osanna, sanctus Deus sabaoth,
SuperiUustrans daritate tua
Felices ignes horum malacTioth ! »
Cosi, volgendosi alla nota sua,
Fa viso a me oantare essa snstanza,
Sopra la qnal doppio Itune s'addiia:
Ed essa e l'altre mossero a sua danza;
E quasi velocissime faville,
Mi si velar di sùbita distanza.
V. 1-9. 21 eonto d'addio, TenninAto
11 tao ragloiiuun«nto, GiiutlniAno intooo»
un MBto al Dio degU esereiti ; e «abito
egU e gU altri beati al alloatanano oome
Tolodaaime IkTille. L' inno è in latino, il
Ungaagflo della Cbieaa e dei beati (ofr.
Poir. XVt S8 e aeg.), con meaeolansa però
di Tod ebraiche; e in tal modo V inno è
nelle dne lingne della Chiesa, dell'antica,
o gindaica, e della criatiana.
1. OfiAHHA : Salve, santo Dio degli eser-
citi, che dall'alto illamini col tao splen-
dorè i beati ftaoohi di qnesti regali OfoiMMi
è Tooe ebraica ohe significa: Oh talval
InTOcaaione soperflaa in bocca ai beati.
lia, essendo qnesta Toce il solito salato
deg U Ebrei, ed essendo eosi stato sala-
tato il Bedentore (cfr. Afott. XXI, 9, 15.
JTflrs. XI, 9. Qiov. XII, 18), Dante, che
probabilmente ignorara il valore della
Tooe, pcme qxiesto salato in bocca ai
beati. - Sabaoth : degli eserciti.
9. Malachotb : aTiebbe dorato dire
KAMLACBOTH « iv^fionim; ma, non sa-
pendo di ebraico, copiò la Toce dal Pt'oio-
gui gaUatut di 8. Girolamo, dove legge-
va : « maiaehoth, idest regnorum, > L'er-
rore è oggigiorno corretto} ai tempi di
Dante era comnne a tatti i codici della
Volgata.
4. ALLA NOTA : al tenore del sao canto.
Al. ALLA BOTA SUA.
5. FU VISO: fta visto, parve a me; cfr.
Virg., As». I, 320 ; U, 778, ecc. - su-
BTAMZA: Giastioiano.
e. DOPPIO : delle leggi e dell' impero,
secondo la sentensa di Giastlniano nel
proemio delle Institaxiooi : « Imperato-
riam maiestatem non solam armis deoo-
ratam, sed etiam legibas oportet esse
armatam. » - b'addua : si fa dae, si rad-
doppia. Al. 8'IKDUA.
7. MOBSKBO ! ripresero il loro moto cir-
colare, e, come fkTille, mi asoiroao in an
batter d'occhio di vista.
8. FAVILLI: « lasti Mgebant, et tam-
qaam sointiU» in anmdineto disoar-
rent »; Sap, III, 7.
V. 10-24. Un dubhio. La mente di
Dante è occnpata dal dabbio, oome gin*
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760 [CIBLO SECONDO] PAB. VII. 10-25
[DUBBIO]
10
13
16
10
22
25
Io dubitava, e dicea < Dille, dille! »
Fra me; € Dille » diceva, « alla mia donna,
Che mi disseta con le dolci stille! »
Ma quella riverenza ohe s'indonna
Di tutto me pur per be e per ice,
Mi richinava come Puom ch'assonna.
Poco sofferse me cotal Beatrice,
E cominciò, raggiandomi d' un riso
Tal, che nel foco farla V nom felice :
« Secondo mio infallibile avviso.
Come giusta vendetta giustamente
Vengiata fosse, t'ha in pensier mise;
Ma io ti solverò tosto la mente:
E tu ascolta, ohe le mie parole
Di gran sentenza ti faran presente.
Per non sofi&ire alla virtù ohe vuole
sUyendetU fosse ginstaments panila;
cfr. Par, VI, 91 e seg., ma per rìverenui
non osa interrogarne Beatiloe. Se non che
ella, che legge nel sao onore, oon nn sor-
riso beatificante, si ofllre non richiesta a
sciogliergli il dubbio.
10. DUUTAVA: lo era agitato da on dub-
bio, e fra me diceva a me stesso: « Di' di*
a Beatrice, che colle soavi sue parole sa-
zia la mia naturai sete di sapere I >
12. 8TILLB: gocciole di verità.
18. 8'iifDONifA: s* impadronisce, sifii
donna o signora di me.
14. PBB BB ■ PIB ICE : all' adire pure
una parte del caro nome di Beatrice.
« Pare intenda che pure una parte del
suono di qnel nome, pare gli elementi
del suono lo commuovono e raccolgono
in so ; come il tocco d* uno strumento ri-
sveglia nella memoria e nell'animo una
lunga melodia tutt* intera » ; Tom.
15. ìa BiCHnc AVA : tornava a formi te-
nere il capo diino, oome chi è preso dal
sonno.
16. POCO: Beatrice mi lasciò pochi istan-
ti così ansioso; ofr. Purg. XXXI, 10.
18. NBL FOCO : confr. Purg. XXVU,
52 e seg.
10. INFALLIBILB : in Paradiso non vi è
errore. « Secondo che la santa Chiesa
vuole ohe non può dire mensogna»; Oonv.
U, 4 : è dunque infiallibile.
20. ooMB t cfr. Par. VI, 88-M. « Se Cri-
sto patendo morto sul legno della croce
aveva giustamento vendicato in sé stesso
l'antico peccato de' primi parenti; come
poteva Tito giustamento aver vendicato
la morto di Cristo negli Bbrei ohe lo oro-
dflsserof» Véli.
21. vengiata: al punita; cfr. ifeo-
ré, Orit., 449 e seg. Par. YI, 92 e seg.;
Vn, 51. - t' HA nr PEB8IBB : AL t' hai
IN PBNSIBB. - MI80: lat. fMistvt, antioo
Part. pass, di fMttsre, Messo ; confr. JV*
XXVI, 54.
22. TI SOLVEBÒ: dal nodo del dubbio.
24. DI GRAN : ti faranno dono di pro-
fonda dottrina.
V. 25-51. Za tnarte «U CWsto. Scio-
gliendo il dubbio di Danto, Beatrice di-
mostra che fii giusto la morto di Cristo e
che giustamento ta vendicato negli asto-
ri di e8sa.Gin8to la morto, perchè, avendo
Cristo assunto l'umana natura, dannata
nel padre comune, questo umana na-
tura meritova quella punisione. Ma,
avendo Cristo conservato la sua divina
natura accanto all' umana, la divina na-
tura ta saorilegamento perseguitato ed
ofiesa. In altri tonnlni : La morto di (M-
sto fu giusto inquanto egli era nomo,
sacrilega inquanto egli era Dio. Arguala
scolastica che dimentica V unità della
persona. Sulla croce non morirono mi
Dio ed un Uomo, ma una sola persona.
Cristo, rXTomo-Dio.
25. ALLA viBTÙ : alla voIouU { ùtt^Pitrg,
XXI, 105; XXIX, 27.
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[CIKLO SECOHDO]
Par. vii. 26-43 [mobtb di cbibto] 761
28
81
8t
S7
Freno a suo prode, qnell' aom che non nacque^
Dannando so, dannò tutta sua prole;
Onde Fumana specie inferma giacque
Giù per secoli molti in grande errore,
Fin eh' al Verbo di Dio di scender piacque,
TP la natura, che dal suo Fattore
S'era allungata, unlo a sé in persona
Con r atto sol del suo etemo amore.
Or drizza il viso a quel ch'or si ragionai
Questa natura al sao Fattore unita,
Qual fu creata, fu sincera e buona;
Ma per sé stessa fu ella sbandita
Di Paradiso, però che si torse
Da via di verità e da sua vita.
La pena dunque che la croce porse.
S'alia natura assunta si misura.
Nulla giammai si giustamente morse;
E cosi nulla fu di tanta ingiura.
98. WBMKOi «frsBiiiimooiionpisoenti»»}
ùtt, Aug,, Op, imp, eanL Ivi., 70. - pbodbi
ali* utile sao. - UOM t Aduno, ereato tan-
nwdiatameBite da Dio. «Ylraiiieinatre,
Yir itala laote, qal noqoe papillarem »(a-
tom, Mo Tidliadiittaiii >{ Ftt^. Bloq. 1, 6;
ofr. Tkcm. Aq., Bum. tk«ol, 1, 106, 1.
27. PBOLB : tatti i suoi dlaoendentij cfr.
JSom. y, 12. I 09r. XY, tì.Aug., Oont,
Imi, TI, 28. Otv. Dai XIV, 1. Tom. Aq,,
Atm.<A. I,n, 81, 1. Obmp. th,, 186 e seg.
Omn. Lfp9. IH. 188 • seg.
28. IHFBIMA: in iatato di poocato; ofir.
J§a4a, I, 6 e seg.
28. Giùt laggiti nel Toatro mondo. -
EEBOiuc: « Omaea noa qnaai oreaerra-
Timiia»;Xfa<aLIII, 6. -« Semper errant
ooide»} jEb&r. m, 10. -«Bratta aloatorea
anaatea »f I P«tr. II, 26.
80. Ynao: Criato; cfr. €Hov, I, 1 e
aag . Tkom. Aq., Bum. theol, I, 84, 2.
81. u' t in tana, dora la natura umana
araal allontanata da Dio per il peccato,
«▼olendolaamiaoralyile Bontàdivina l'n-
manA natora a aè rioonformare, che per
lo peceato della proTarioaaione del primo
nomo dA Dk» era partita e diaformata,
eietto Id in qnell'altiaaimo e oongiontia-
alao ooDolatoro divino della Trinità che
U ligHoolo di Dio in terra diaoendeaae a
i»f(ten».IV,6.
82. m PBBSOVA : In onità di peraona.
• Unio eat DMta in Terbi peraona, non
aatem in natura»; Thom. Aq., Sum. ih.
ni, 2, 2.
38. CON l'atto: per aola Tirth ed opera
dello Spirito Santo } ofir. Thom, Aq., Bum.
tà«ol.in.82, 1.2.
84. A QUKL CH' OR: Al. A QUKL CHI 81
BAOIOHA.
86. MATUSA: umana, aaaunta dal Ver-
bo; cfr. Thom. Aq., Bum. thooim, 16, 1.
87. PKS 8È 8TBWA : per aua propria col-
pa. < Qual Ita creata in Adamo l' umana
natura era pur alnoera da colpa e buona
per Tirtti inftiae. Mm por $è ttetm, doè
in quanto natura umana (quindi tutti
gli uomini ohe l' ayoTano o ayrebbero
avuta) (t), fu abandita dal Paradiao, per-
chè Adamo in cui era come in radice
tutta contenuta, peccò e peccando per-
dette la vita della graaia per aè e per la
aua progenie. » Oorn.
88. aA VIA DI yuutA : da Dio, che è
Tla, verità e tIU ; cfr. Giov. XIY , 8.
Al. DA VIA, DA VERITÀ.
41. HATURA : umana, aaaunta da Orl-
ato, la quale per aè steaaa era degna di
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42. NULLA : neaauna pena. - mobsr: col»
pl,al&i8ae.
43. raoiUBAt ingiuria, ingluatiaia} oo-
,y Google
762 [CULO sicovDOj Pae. tu. 44 -52
[XOBTl DI CRISTO]
51
Onmrdando alla persona die sofferse,
In che era contratta tal natura.
Però d'nn atto uscir ooee diverse;
Che a Dio ed ai Giudei piacque una morte:
Per lei tremò la terra e il del s'aperse.
Non ti dee oramai parer più forte.
Quando si dice che giusta vendetta
Poscia vengiata fu da giusta corte.
Ma io veggi' or la tua mente ristretta
me MTM per «orcio, JV- JLSXL, 58 : jnnm
per pmnié, Inf. XXI, 114 ; oaropereerio*
jy.IX, 115 iMfora per w^aUHa, Pvrg.
XVm, 17 ; XXn, », eccNiiiim pMH
fti tento ingioflle, ee tA guardi alUdirtiift
ptncmm eoa eai U natoim uBABaenMi
ulta.
45. OORTSATTA : OQBgiimte. - HATUKA :
ninaiiA. « La eoddialhsioiie date de Qeeù
CriatoiAoroeeeUedlTtee gioeUsle, per
lo peeeeto d'Adeae e di totke U eoe
prole peeeetriee, ere eeeoado rigore di
gioflttsie. Inflitti la gravità deirolbeed
ndsara dalla viltà deU'oflbnoore compa-
rata aUa dignità deU*oflRMO. Quindi l'of^
fBM Iktto da WMM> vile a Dio di dignità
infinita, ha, da qaeeto lato, deli' infinito,
né pnò eoeere a tatto rigore riparata
eonsanna aoddieCuione d*inilnito valore.
B tale fa la eoddiefttfione daU da Geeà
Ciieto, nel qnale alla pereona divina era
oonginnta la natura umana, e per la di-
gnità infinita della eteeea pereona, la eoa
■oddieflwione aveva valore infinito. Ma
appunto neU'noddere Geeii Oriate, a ca-
gione della dignità infinita di sua pereo-
na, ai fé* ingiuria a Dio eonuna. » 0»m.
46. D* UM ATTO; dalla morte di Cristo
nacquero diversi eflìBtti: essa piacque a
Dio, essendo per essa soddisfatta la di-
vina giustiBia, e piacque ai Oiudei, che
per essa sfogarono la loro invidia. Ctt.
Tkom,Aq., Bum, tJud. IH, 47, 5 e eeg.
48. TKBMÒ : cf^. MaiL XXYII, 61.
Thom. Aq,, Swn. th. UI, 44, 4; IH, 41. 6.
« La terra tremò per orrore del deicidio,
e il delo, per allegressa della redenslotte,
che ne fti Teffetto, si aperse»; Betti,
41. FORTI: difildle a comprendere.
60. SI DICK: ofr. Par, VI, 11 e eeg.i
VU, 10 e seg.
61. vxiioiATA : vendicato I cflr. JV- IX,
64; XXVI, 84..00RB: da Tito Impera-
tore, eome da giudice competente. Cosi
£•«., Ott., ilm. Fior,, Po§L Ostt., Bem^
Bma, VM,, Dmm,, Vemt,, Triet^ ece.;cfr.
Par. VI, n. AL: Del giusto trihunale di
Dio(l^MKÌ^.B.,JV«f.,Aiftlr.,Cbni.,ece.).
V. 61-110. Zm r srfsweir wc Conttouan-
do, Beatrice avolge la questkae, della
quale si eccnperonoiSS.Padri, ee r«maa
genere non si sarebbe potute redimere
per altra via, che per la morte di Cristo.
Creata da Die immediatamente, TanlaM
umana è iacormttll^le, etema. Per di-
ritto di origine essa poeriede le qualità
pHi spedali, onde covrale eostanae tutte
aoBiglia al Creatore, e pth vivo iagg;ia
en lei Tamor divino. Ma per il peccato
ruoBso perdetto le odeoti sue preroga-
tive, rimase vuoto d*ogni sorto di bene,
privo dell* amidsia di Dio e dannato a
certo perdiaione. Per ritornare alla coe-
diaiooe primieia bisognava riempire quel
vuoto con prop<»sionato soddisfltrioni.Or
a riacquistare la divina graaia e la pro-
pria dignito era necessario o che I'ucbm
riparasse il suo reato da aè, eppure che
Dio stesso pensasse al riparo. Ma all'ne-
mo era impoeslbile ricomprarsi col pro-
prio valore. Bimaneva dunque che Dto lo
rieomprasse. Bd egli potova Ibrio per due
vie: o della misericordia, odellagiustida.
A Dio piacque procedere por ambedue.
La misericordia spinse Udivin Verbo ad
incarnarsi; la giustisia lo inchiodò sulla
croce. Ogni altro meato sarebbe stato in-
sufllciento a soddisfare alla divina giusti-
aia, tranne TumiUaBlone del Pif^oel di
Dio. Questo dottrina dantesca s'incontra
prineipalmento con quella di Anaelmo di
Canterbury, svolto nel celebre trattato
Our Deitf àomof Inoltre olk*. ffàem. Aq„
atim.thsoLUl,i»-i9.Aug.,Deag.Cfkri$L,
ll,€h'eg.Mmgn,,Mor,XX, 86.Pslr.Xome.,
aera, in, 11 e seg. Aìb, Magn,, 8emL UI,
10, 7. Alo», ad H9l„ /Bum, HI, l,4essg.
61. siRRRTA:ÌnvÌlnppata,]
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[CIELO SBCONDO]
Pab. tu. 58-72
[BBDBNZIONl] 763
65
58
ei
64
67
70
Di pensier in pensier dentro ad nn nodo,
Del qoal oon gran disio solver s'aspetta.
Tu dici: " Ben discerno ciò ch'i' odo;
Ma perchè Dio volesse, m' è occnlto,
À nostra redeni^ion por questo modo. „
Questo decreto, firate, sta sepulto
Agli occhi di ciascuno, il cui ingegno
Nella fiamma d' amor non è adulto.
Veramente, però eh' a questo segno
Molto si mira e poco si disceme,
Dirò perchè tal modo fu più degno.
La divina Bontà, che da sé speme
Ogni livore, ardendo in so, sfavilla
SI, che dispiega le bellezze eteme.
Ciò che da lei senza mezzo distilla.
Non ha poi fine; perchè non si move
La sua impronta, quand'olia sigilla.
Ciò che da essa senza mezzo piove,
Libero è tutto, perchè non soggiace
Alla virtute delle cose nuove.
d* mo ad altro pensiero, dentro ad ana
dfffleoltà, dalla quale aspetta con gran
deriderlo dleaaere Uberata; ofr. JV* Z.
•5 eseg.
67. PUS : questo solo modo, la morte di
Criato, inghutalnqoaato aUaaaa natura
diTina.
68. DICBITO: Al. 8BCSIT0.- BIPULTO:
•epolto, OMolto, naaeoato.
60. ADULTO: maturo; non oonooce per
eaperieBaa la fona della carità ; ottJl Oor.
XIV, 20. Jeref. U, 4 ; IV, U iBbrelY, 18,
14. «Udeereto della redensione, tale quale
fa, non è capito da yemno, per sapiente
cbe si*, se non ha in sé vera carità »; 09m.
61. TXEAMKHTl: «ma perchè molti in
dò atndisno e pochi intendono, e ai può
pure Intendere e deresl » i Tom, - sbono:
al dogma distiano deli' bicamasione di
Cristo e della redensionedel genere uma-
no per messo della sua morte in croce.
64. anouiB: lat. tp^mitt rimove, ri-
gett* t efr. Boét,, €km$.phiL III, metr. 9.
66. uvoiB: ogni affetto contrarlo alla
eacità. - w avola : AL soomujL. Ar-
dendo in sé deU'inUnito suo ftaoco di ca-
rità, sfiSTiUa taf che dispiega all' occhio
deUeao» flieature le eteme sue hellesse.
Cosi i più. Meglio forse: La divina bontà,
cherimooTo da sé tutti gli affetti contrari
alla carità, ardendo in sé, risplende per
modo, che esplica anche al di foorl le sue
eteme bellesse. Cfir. Aug., IH sera réL,
16. Petr, Lomb.» Sent. U, 1.
67. 8KKZA MKZZOt immediatamente,
senza il concorso di cause seconde, -di-
stilla: è creato.
60. iMPBBiiTA: impronta; cfir. Purg,
XXXIII, 79 e seg. Ciò che è creato da
Dio immediatamente.dara in etemo, per-
chè r impronta della propria sua mano
non si può giammai cancellare, e Signa-
tum est soper noe lumen Tultos tui, Do-
mine » ; 8alm, rv, 7. - « Didici quod om-
nia opera, qu» feoitDens, persererent
inperpetaum» } £ed, m, 14. Ctt, Tkom,
Aq., Bwn, ih. I, 66, 1 ; 104, 4.
71. LIBEBO : < Ubi spiritns Domini, ibi
libertas»;n Cor. lU, 17.
72. 008B HUOYE : sUc inflaonse dei deli,
che sono nnoTi in qaanto sono creati;
Xon., OU., An. Fior., Pott, Oatt., Bonv,,
BuH, Land,, VéU., Dan,, ecc. A nuovi
congiungimenti di cause seconde, acci-
dentali, e però mutabili e rinnovantisi i
Lowib., Biag,,Tom„ Br, B„ Frat,, Andr.,
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764 [ciKLO 8IC0ND0] FiB. VII. 78-89
[BKBmion]
78
76
79
83
86
Più Pè conforme, e però più le piace;
Che P arder santo ch'ogni cosa raggia,
Nella più simigliante è più vivace.
Di tutte queste cose s'avvantaggia
L'umana creatura; e, s'una manca,
Di sua nobilita convien che caggia.
Solo il peccato è quel ohe la disfranca,
E falla dissimile al Sommo Bene,
Perchè del lume suo poco s'imbianca;
Ed in sua dignità mai non riviene,
Se non riempie dove colpa vota,
Centra mal dilettar, con giuste pene*
Vostra natura, quando peccò tota
Nel seme suo, da queste dignitadi.
Come da Paradiso, fu remota;
Nò ricovrar poteansi, se tu badi
Ben sottilmente, per alcuna via,
Gteg.t eoo. Alle mntuloiii delle ooee oon-
tingenti; Oom.
* 78. OOHVOBMB : dò ohe proTiene imme-
diAtMoente dal!» diviiiA bontà, è più eo*
migUante a Dio e più % Dio piaioe \ oonfr.
Oofiv. m, 8. Aooenn* * tre prerogatiYe
dell'uomo, creato immediatamente dA
Dio: immortalità, y. 68 ; Ubero arbitrio,
▼. 71; simigliansa a Dio, ▼. 78-75. Quin-
di r nomo è oggetto di tpeolale compia-
cimento per la Divinità.
74. l' abdob: r amor diTlno. -raoou. i
illamina. « La divina bontà (obe è Tog-
getto primario delVamore divino) la quale
riaplende in ogni ooea, in qaelle ooee, ohe
sono a Dio più eomiglianti, più risplen-
de » ; Owm. Cfr. (Xmv. III. 7. Y^, EL
I, 16. AXh, Magn., JH InUUeotu et In-
tOLig. m, a.
76. OOSB: immortalità, libertà, divina
eomigliansa più risplendono nell'anima
umana, laqnale, perendone alcuna, per-
de r alta sua nobiltà. Al. Tum qubsts
dotb.-s'awamtaqoia: ò privilegiata.
79. disfeahca: toglie la libertà. «Omnis
qui fiMsit peccatum servus est peccati » ;
Qiw, Vili, 84. D peccato solo toglie
alla creatura umana la libertà dalla colpa
e la & dissomiglianto dm Dio.
81. 8* DiBLàHCA : s'avviva, si rischiara {
ofr. Ji|r. n. 128. Pwrg, IX. 1. «Peroioc-
«hè poco s' iUumina del lume del som-
mo bene, cioè deDa ragione, che è hme
di Dio, ed è ciò per cui ad esso rassomi-
gliamo » ; B§tti,
88. BiSMPU : se non ristora con propor-
sionata penltensa la perdltadeUn grasia,
cagionata dal peccato. La sola pena può
restaurare i rapporti di equilibrio tra
r ordine morale e l' nomo ; e la pena deve
essere proporslonata al wuA dtlstto dsUs
colpa : conflr. Antétm», OurDmti àom«I.
11-14. XAtmonooo, J>, gimnootuuiU, 37
e seg.
84. MAL DELBTTAB : « mala mentis Geo-
dia»; Fir^r., Ami. VI, 278 e seg.
85. TOTA: tutta; oonfr. Par. XX, US
Tato e Ma, per fvtto, tutta usarono por»
altri poeti antichi, ma però soltanto ia
rima ; conik-. jPasio, Dittam. 1, 28. JVttA,
Quadr. n, 8.
86. XML 8KMB: in Adamo; cfr v. 29 e
seg. -DiOMTTADi: incorruttibilità, UboTtà,
somigUansa a Dio, amor divino per Id ;
cfr. TAom. Aq., JShim tiUol. I, n, 85, 2-5.
87. BSMOTA : rimossa allontanata. Per-
dette le sue dignità come perdette il Pa*
radiso terrestre.
88. POTBAKSi : e le perdute dignità del
r umana natura non si potevano rseape
rare per altra via. Al. potbasi <fotub^
81), cioè : la natura umana non poteaii
ricuperare, non potea tornare ad esisro
quello che in origine Ai.
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[CULO SBCOHIK)]
Par. vii. 90-103
[BBDBNZIONE] 765
91
97
100
103
Senza passar per l'nn di questi goadi :
0 ohe Dio, solo per saa cortesia,
Dimesso avesse; o che V aom per sé isso
Avesse satisfatto a sua foUia.
Ficca mo V occhio per entro V abisso
Dell' etemo consiglio, quanto puoi
Al mio parlar distrettamente fisso.
Non potea V nomo ne' termini saoi
Mai satiB&r, per non poter ir gioso
Con nmiltate, obbediendo poi,
Quanto disobbediendo intese ir suso;
E questa è la ragion per che l' uom fne
Da poter satisfar per so dischiuso.
Dunque a Dio convenia con le vie sue
90. ouADirpMtIcImli
SÌA: o oIm Dio «TeMe tempUoemeiito
perdonato, o ohe 1* nomo «reMO ooddi-
■(kUo per tè etooeo. Al. gbadi. Confr.
Oom. IAp9. m, 173 e aeg.
01. SOLO: per so* sol» Ubermlltà. AI. :
Dio per eè aolo. - cortesia : ofr. Tifa K.,
$4S: « e poi plJM)Cia a Colai. ofa*èSiro delU
eorteeia»; Chnw. lY, 30. Inf, XVI, «7.
P^Ètg. XVI. 110.
02. PER Bft ISSO: per eè stosso. l4$o.
Ut. ip$$, si osò Anttounento anche in
prosa; ofr. iroMnvc., Verhi, 227.
98. fouìa: alla sua colpa. He! Un-
fiisnlo del Tecohio Teatamento il peo-
osto è detto pasiia e sdoooheosa: confr.
Ohii. 1;ì^«. ni. 178.
94. MO: ora. adesso { ofr. Inf, X, 21 }
ZXm. 7, 28 ; XXVn, 20. 25. 109. eoo. -
L*oocHio: e Idost. speenlatlooom Intel-
leotnalem »; Benv. - ABUSO: profondità
del dlTlno consiglio.
90. DBTBKTTAMXHTB: attentamente, se-
gneodo eolla maggior possibile attensio-
se il mio ragioBamento. « Qnantom possi-
bile est inteUeotni in oorpore hominis vi-
▼entis et per ocelmn disoorrentls »; Benv,
07. RB* TBRMiHi: noUa eoa oondisione
di ente finito. AJ.: Perfettamente ne' ter-
mioi doTotl alla sua colpa. « La ragione
perchè egli non potea satlalhre in qnanto
BOOM. è. che egli avendo peccato per sa-
perWa, per Toler appareggiarai a Dio
(perdocchè Tolendo sapere il bene ed il
Bude» era aggoagUarsl a Dio), egli non
potsaabMdiendodlscendeie in tantobae-
pariaU'alteaaadiDio,
alla qaale disabbidiendo era Tolato sa-
ure. PerdooohèraltesxadiDioèinflniU;
ma nessona bsssesia ai trora, ohe non
sia finita. » Land., segaendo il BmK. Cfr.
Bug, a 8t,VioL, Srud, tktol, d* taeram.
1, 7. 16; I. 8, 4. Thom, Aq., Bum, tk^ol.
n. U. 168.2; UI. 1,2.
100. IR SUSO: salire in alto. Tolendo ee-
sere come Dio; cfr. Oenei. III. 5. 6.« La
soddisflMione dell' nomo è finita; la col-
pa, oonsiderata qaale ingioriafktta a Dio. .
oh* è l'offseo, ha ana gravità infinita »;
CfOTfi.
101. RAQIOH: AL OAGION.
102. DI8CHIU80 : esdoso. « Ad hano pie-
nitodinem oportait. nt tanta esset homi-
liatio in expiatlone. qoanta fàerit pne-
samptio in preTaricatlone. Bationalis
aatem snbstantiie Dens tenet sommom,
homo vero imam gradom. Quando ergo
homo prsMampsit centra Denm. fkota
est elatio de imo ad sammam. Oportait
ergo, nt ad ezpiatlonis remediam fleret
hamiliatio de sommo ad imam. » Rieh,
a 8t. Tiet., De Terb, ineam,, 8. Confr.
Thom. Aq.» attm, tMéoU IH. 1. 2.
103. DUHQUR : « Se danqne l' nomo non
poterà per sé stesso satlsfkre al fkllo,
oonvenne ohe Iddio satìelkcesse e rica-
perasse l'aomo nella saa intera vita oon
Tana delle dae vie, o piattosto oon amen-
dne. oioò oon la saa misericordia e oon la
giastiaia. Perdoochè se Iddio havesse
creato an nomo si eccellente, ch'avesse
potato satisfsre, sarebbe stata sola già-
stisia. B se d avesse liberati dal pec-
cato per potenaa assolata, m sola mise-
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766 [CULO SECONDO] Pab. VII. 104-120
[BEDBNZIOHI]
10«
109
112
U5
118
Riparar l'oomo a soa intera vita,
Dico con l' una, oyyer con ambedue.
Ma, percliò Fovra è tanto più gradita
Dell'operante, qoanto più appresenta
Della bontà del cuore ond' è uscita,
La divina Bontà, che il mondo impronta,
Di proceder per tutte le sue vie
A rilevarvi suso fu contenta.
Né tra l'ultima notte e il primo die
Si alto e si magnifico processo,
0 per l'una o per l'altra, fu o fie:
Che più largo fu Dio a dar sé stesso
A far l'uom sufficiente a rilevarsi.
Ohe s'egli avesse sol da sé dimesso ;
E tutti gli altri modi erano scarsi
Alla giustizia, se il Figliuol di Dio
Non fosse umiliato ad incarnarsi.
rioordia. Ifft neU'inoarnsskmedel Veri»,
quanto alla diTinità, osò mlaerioordia ;
quanto all' umanità, giasUxia »; Land.
CAr. Hugo a S. Viti., Brud. th, dàSacr,
I, 3, 4. Thom. Aq., Bum. theoL III, 46, 1.
Chmp. théoL 198-200.
106. OOH l'una: o oon nna sola della
vie eoe : la miserioordla ; oppure con am-
bedue : la misericordia e la ginstìsia.
100. L*oviiA: dM' opéranU,
107. APPBB8BHTA: presento, dimostra.
« È tanto più da pregiare quanto più per*
fettamento e cortesemento è elargita »;
Lan.
109. ncpRKfTA : impronta, gli imprime
il proprio suggello. « Informat tamquam
formale prinoipium »; Ben», - « Imprime
la sua immagine nel mondo e nelle sue
creature»; Vent.
110. DI PBOOXDBB: < elcsse per redi-
mervi e rialxarvi su, precipitati e caduti
in quel profondo abisso, di procedere per
tutto insieme le due dette sue rie, cioè
per la misericordia insieme e per la giù-
stisia »; Lomb,
112. TBA L* ULTIMA : né giammai, dal
primo mattino della oreasione all'ultima
sera del giudisio finale, dalla giustisia o
dalla misericordia di Dio si fece o fkrà
più alto e magniUoa opera.
118. PB00B880 : atto, procedimento. « H
protetto inelude colpa, sentensa e pena
a<Ula colpa dell' uomp. s Ai opti magni-
floo die tale altro non fa o sarà dal ^4n-
ciplo alla fine del mondo. » Obm.
114. l'una: delle due vie, quella della
miserioordla. -l'altba : la via deU« gin-
stisia. La rodendone, operato daHa di-
Tina misericordia e {^nstiiia, è 1* «qpera
più eccelsa di ambedue, dal prtnolplo
alla fine del mondo. Al. o pdk l* uho o
pkbl' ALTBO, doè t 0 per Iddio o per l'oo-
mo. Se la crocifissione di Cristo fti n più
gran peccato oommesso dagli uomini,
▼. 4S, essa non fu l' opera più magnifica
dall'uomo operata. Cf^. Oom, Lipt. Ili,
176 e seg. BarUno, Oonlrib., 888. Moóre,
OriL, 451 e seg. - FUB: sarà; forma del-
l'uso antico; ofir. OorUeeìlil, 82. Xan-
mu,. Verbi, 464 e seg.
116. PIÙ LABOO : quanto alla miseri-
cordia, Dio ta più liberale a dar so stes-
so, unendosi personalmento aII*QOBae per
iuAo atto a rialsarsl, che non se Bgtt
avesse per sola sua cortesia perdonato
il peccato. B quanto poi alla glnstlsia,
nessun altro modo sarebbe stato bastante
a soddis£srla, te Io stesso FlgUuol di Dio
non si fosse umiliato. -BÈsmso: «Tra-
didit semet ipsum prò me »; QàL H, 20.
116. A FAR : Al. PIBFAB ; DT FAS.-ftUFFI-
GiEim : atto a rialsarsi dalla sua caduta.
117. DIMBBSO : perdonato.
118. 8CABSI: inadeguati per dò ohe ri-
guarda la divina giustlsia.
190. umolUto^ « QamiUavit
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[CUBLO BSCOHDO]
PAB. vii. 121-136 [IMMORTALITÀ] 767
121
124
127
180
188
186
Or, per empierti bene ogni disio,
Ritomo a dichiarare in aloon loco,
Perchè tu veggi 11 cosi oom'io.
Ta dici : '' Io veggio V acqua, io veggio il foco,
L' aere, la terra, e tutte lor misture
Venire a corruzione e durar poco ;
E queste cose pur fur creature ! „
Per che, se ciò e' ho detto è stato vero.
Esser dovrien da corruzion sicure.
Gli angeli, frate, e il paese sincero
Nel qual tu se', dir si posson creati.
Si come sono, in loro esaere intero ;
Ma gli elementi, che tu hai nomati,
E quelle cose che di lor si fanno,
Da creata virtù sono informati.
Creata fu la materia eh' egli hanno ;
{pmim faetns obediena nsqne ad mortem,
mortem antem oroeU »; Philipp, II, 8.
Cft*. Thom. Aq,, Swm, thsol III, 40, 6.
y. 12M48. Ortatur^ ct^rruiHhiU e
ewtat*»r€ incorruttiMU. Beatrioe ave-
ra detto (▼. 87 e Mg.) che tatto dò ohe
ò dA Dio Immediatamente oreato. non ha
fine ; poiché l' impronta poeta da Dio non
ai iMtioM. Come mai dunque gli elemeU'
H, ohe pare neoirono dftUa mano di Dio,
•cmo oorrattihilif In yerltà gli elementi
non ftarono ereati da Dio immediatamen-
te, ma aono effetto di oreato ylrtù; e
pcórò si corrompono. Inreoe l'anima orna-
HA, ohe derira immediatamente da Dio,
•eBsa oooperadone alcuna di cauae se-
conde, è di neocMltà etema. Anche la
£9Rna del corpo umano procede imme-
diatamente dA Dio, aTcndo il Creatore
di proprlA mano formato U corpo dei
progenitori, fi pertanto cosa necessaria
I* rienrreslone del corpo.
121. PBB BHFiRRTit per soddis£ire al
tao desiderio di conoscere il rero. e D
desiderio si pad rlsguardare come un
-ruoto ; empUo e rimane soddisfatto »;
3ÌAg.
123. ▲ OICHIÀBABI : dò che ho detto al-
trore, t. 67 e seg.
123. LÌ: in tal materia. - così: con
quella stessa chlarena.
124. TU DICI ; « potes dioere et obiioere
mihl »; B^nv. - « Accenna Dante a cose
^ flonp B^tto l'uomo, e dioe: questo
coee, perdio oreato da Dio, doTettero
essere immutobili : come dunque Tanno
a oorrusionef » Oom,
125. lOBTUBiB: « ogni compotisione dei
detti quattro elementi»; BuH,
127. CBKATUiut: create da DÌO, onde do-
▼rebbero esse pure essere incorruttibili.
130. PASSE: i deli, che sono di pura
materia; ofir. Ep, Kani, 28. Secondo le
dottrine degli soolastioi i deli sono inoor-
ruttibUi; cfr. Thom. Aq., Sttm. theol. 1,
10, 5; 66, 2: 97, 1; I, U, 49, 4. Oom.
Lipi. III, 177 e seg.
131. CBKATi : « nos aatom didmus quod
materia et coelum producte sunt in esse
peroreatlonem»; Thom. Aq., 8t*m. theol.
1,46, 1; 66, 2; 75, 6.
132. niTBBO : « perfBcto, sino cormp-
tione Td fine, quia sunt immediato a Deo
sino opera natar» •; Benv. - e In quello
essere intero che ora sono; imperò che
Iddio insieme creò la materia loro e la
forma.... B però si può conoliiudere che
debbono essere perpetui e liberi. > BuH,
184. CHI DI LOB : chc d compongono dei
detti elementi.
185. DA CBKATA : hanno la loro forma
da virth creato da Dio, dm una causa se-
conda ; dunque non sono create immedia-
tamente da Dio, come la materia e la virth
informatiya dd deli. - isfobicati : deter-
minati ad avere queste o quelle forme so-
stansiali.
18f . CBKATA : immediatamente d{^ Pìq,
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768 [CHILO SECONDO] PAB. VII. 187-145
[mOBTAUTl]
189
142
145
Creata fa la virtù informante
In queste stelle, che intomo a lor vanno.
L'anima d'ogni bmto e delle piante
Di complessìon potenziata tira
Lo raggio e il moto delle luci sante.
Ha vostra vita senza mezzo spira
La somma Beninanza, e la innamora
Di so eà, ohe poi sempre la disira.
E quinci puoi argomentare ancora
« Lft mmteria piinui deg U elementi ta fan-
medUtamento create, in principio, d»
Dio ed eeaa peidnr» sempre sotto sao*
ceaaiye e rmrìe fvnne sostansiali »; Oom.
187. ynrrù ihfobmabtk: la Tirth ohe
dà i prindpii spedild «i^ dementi.
188. TAHMO: s'aggirano intorno agli
elementi.
180. l'ahima: il concetto di questo
passo, del resto assai osonro, è indubbio ;
l'anima, doò il principio vitale, dei broti
e delle piante, non è immediatamento
creata da Dio; quindi non èincorrottibUe
ed immortale: all'incontro l'anima umana
è creato immediatamento da Dio, e perciò
è immortale. Sulle diverse interpreta-
tioni oflr. Oom. Lip$. lU. 178-180. Se-
condo i più, l'agento del verbo tira è Io
raggio ed U motOt onde il senso: Dalla
materia elementare, ohe nella sua com-
plessione ò potonsiato a dò, le stelle,
splendendo e girando, tirano e ridaoono
in atto r anima sendtiva de' bruti e la
vegetotiva delle pianto. God, astradon
facendo da alcune differense secondarie,
Lan., OtL,An. Fior., Bmv., BuH, Land,,
Veni., Biag., Oet., Tom., Br. B., Frat.,
Qreg., Andr., Benncu., Oam., Frane.,
Filai., Blane, WiUe, FU., eoe Questo
modo d' intondere è confortoto dalle dot-
trine soolastlohe ; ofr. Thom, Aq., 8um.
theol. I, 75, 8. 6; 118. 1, 2. Secondo al-
tri, l'agente dd verbo tira ò l'anima,
onde il senso: L'anima sendtiva de' bruti
e la vegetotiva delle pianto trae dalle
luci Mante, doò dalle stdle, lo raggio e
il moto, V essere e l' adone, di complee-
tione potenziata, doè da struttura di esse
stelle dototo di potenza. Cod sembra
aver inteso VeU. ed intendono Betti, Chet.,
Borg., Triit., ecc. La prima costruzione
è da preferirsi.
142. MA. VOSTRI. : ma l'amor divino crea
immediatomento, sensa oaqse seconde.
Tanima umana e U innamora sempre di
sé. Cfr. Thom. Aq., Swn. lUoL 1.00,2,8.
-8PXBA: < inimam hmnanam creando In-
ftmdit et tnftuidendo ereat sino opsra-
tione coBli »; Bene,
148. BKNiHAazA: Al. BEirrcarAinÀ, be-
nignità ; ofr. Par. XX, 80. NammMù., Ver-
bi, 87 e seg. - la tkkamoka. : « Tu fe-
dsti noe ad Te, et inquietum est oor no-
strum, doneo requiescat in Te. Quiea
apud Te est valde et vite imperiorba-
bills. » Aug., Oonf. I, 1.
14i. dibirà: deddera la somma Beni-
nansa. « 1/ anima umana, eh'è Ibrm» no-
billsdm» di questo che sotto il ddo sono
generate, pih riceve della natura divina
che dcun' dtra. B perocotiè naturalis-
simo è in Dio volere essere,....!* anima
umana esser vuole naturdmento con
tutto dedderio. B perocché il suo essere
dipende da Dio e per qudlo d conserva,
natoralmento disia e vuole a Dio essere
unito per lo suo essere fortificare. »
Oowo. in, 2. Cfr. Pwrg, XVI, 80 ; XXV.
70 e seg.
146. Qunra: dal prindpiostobUlto (v. 67
e seg.) che dò che proviene immediata-
mento da Dio, non ha fine, é di neoes-
dtà etomo. Dd ttXto che i corpi di
Adamo ed Bva ftirono creati immedia-
tamento da Dio, sensa il concorso di
cause secondarie, d deduce la neoesdtà
della risurresione dd oorpL Anche qui
Danto segue fèddmento San Tommaao ;
cfr. Ami». ihéoU 1, 01, 2; 08, 4; 07, 1;
HI, 48, 8. ecc. Oom, Lipe, IH, 181.
Inquanto ai corpi dd dlsoendoati di
Adamo, che non sono creati immediato-
mento da Dio, il Land, osserva: « Iddio
foce il corpo del primo uomo sensa messo»
e per questo sarà perpetoo ; e di quello
foce la prima femmina: adunque deve
esser perpetuoi e cod i nostri ohe sono
da quelli. >
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[CULO TIBZO]
PAB. VII. 146-148 -TIII. 1-2 [TBHBRB] 769
148
Vostra resarrezion, se ta ripensi
Come l'umana carne fèssi allora,
Che li primi parenti intrambo fftnsi. »
147. Ftea : fta flktte qnindo/ffui, si fe-
cero, ftarono creati «mbedne i primi pa-
renti. Adamo ed Sra. « Se riflettiamo
alla mamima ohe dò ohe è fatto Imme-
diatamente da Dio, è inoornittiblle, poe-
aiamo arer fondamento per argomentare
alla riwifieiione del morti. Poiché la ge-
neri deD* nomo non fa egoale a qaeUa del
corpi inorganici e degli altri rlrentl. Dio
Immediatamente fsce il corpo di Adamo
e di Ira, Immediatamente creò le loro
da principilo,
fece 11 composto amano. Quindi è da cre-
dere che sebbene ora l' nomo macia in
pena della saa colpa, posda abbia a ri-
sorgere. » Omn, È inattle dire che tatto
dò è detto secondo la teologia e filosofia
del medio evo, che era pare qaeUa di
Dante. Lo stesso 0(Mmoldi confMsa che
« a qaesto argomento non d appoggia
la risarredone della carne come a solida
base.»
148. iRTBAiiBO ! ambedoe, tatti e doc;
cfir. W, XIX, 26.
CANTO OTTAVO
CIELO TEBZO O DI VENEBE : SPIBITI AMANTI
IL NOME DEL PLàNETA, GLI SPIRITI AMANTI
CABLO MARTELLO, ROBERTO RE DI NAPOLI
CAGIONE DELLE VARIE INDOLI PERSONALI
Solea creder lo mondo in suo perielo
Che la bella Ciprigna il folle amore
T. 1-12. OHgine del n&tne di Ve-
nere pUmHa, Sol panto di entrare nel
terso ddo, 11 Poeta esordisce svolgendo
nn concetto già espresso Por. lY, 61 e
seg. CredcTano 1 pagani che la bella Ye-
nere, rdgendcsi nell'epiddo dd terso
cerchio, hiflnisse co' sooi raggi lo stolto
amore, che nasce dall' appetito sensaale.
Onde non pare a Id ftMCTano onore di
saerifld e di preghiere con voti, ma ono-
raTsno altred Dione e Copido, l' ona co-
me madre, 1* altro come figlio di Yenere,
credendo ohe anch'esd infloissero l'amor
ssBsaale \ e thrctoggUyano che Oapido d
tf. — IKi. Ommi^ ^ adls.
posò nd grembo di Didone, e, cancellan-
dole dal onore, l' antico, tì accese nnovo
amore. Da oostd tolsero il nome del
« bel pianeta ohe ad anuur conforta », e
lo chiamarono Yenere.
1. IN suo PEBICLO: con pericolo del-
l'eterna dannadone; OU,, Benv., JBiifi,
Land., V§rU., Lomb., Qrég,, Andr,, eoc.i
nel sao oonsaeto errore dell'idolatria, nel
qnde era perieli tato e perduto; Xon.» An.
Fior.,VeU„ Tom., Br, B., Frai,, ecc. P«-
rielo è sincope di pericolo, lat. j^srielum.
2. CiPBiONA : Yenere, nata in Cipro ;
ofr. Otid., Met, X, 270. -folle: sensnde.
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770 [GIBLO TBRZO] PAK. Vili. 3-19
[SPIRITI AMANTI]
10
13
16
19
Baggìasse, vòlta nel terzo epiciclo;
Per che non pare a lei faoean onore
Di sacrificio e di votivo grido
Le genti antiche nell'antico errore,
Ha Dione onoravano e Cupido,
Questa per madre sua, questo per figlio;
E dicean eh* ei sedette in grembo a Dido;
E da costei, ond'io principio piglio.
Pigliavano il vocabol della stella
Ohe il sol vagheggia or da coppa, or da ciglio.
Io non m'accorsi del salire in ella;
Ma d' esservi entro mi fece assai fede
La donna mia, ch'io vidi fieur più bella.
E come in fiamma favilla si vede,
E come in voce voce si disceme,
Quando una è ferma, e l'altra va e riede;
Vid'io in essa luce altre lucerne
8. BAGOIABBB: infondesse oo'snoi raggi.
«Dioo anche, ohe qoesto spirito Tiene per
li raggi della stella: perchè sapere slynole
ohe li rag^ di oiaaoono <Aéio sono la via
per la qoale discende la loro virtù in qoe-
ste cose di quaggiù > ; Oonv. n, 7. - yòir
TA : girando. - EPICICLO : « secondo Telo*
meo, i pianeti flMevano i loro movimenti
in dlreaione opposta al moto diamo della
respettiva spera, in nn circolo partico-
lare, ohe appellavano epiciclo, o perchè
sovrapposto al droolo chiamato eeeentrìr
eo, solla clroonferensa del quale sempre
doveva trovarsi il centro dell* epiciclo {
o perchè circolo principale, come qnello
ohe doveva rappresentare le apparense
più singolari, dipendenti dal moto pro-
prio del pianeti. Ciascuno di questi aveva
l' epiciclo suo, tranne il Sole: quindi, co-
miDoiando la numeraalone daUa luna, il
terso epiciclo apparteneva alla stella di
Venere. 9AfUan«Ui. Gfr. Oonv.U, 4. Oom.
X<p«.ni,188eseg.
5. VOTIVO OBIDO : preghiera congiunta
con voti.
6. XBBOBi: del paganesimo.
7. DYoNK : madre di Venere ; ofir. Virg,,
Am. Ili, 19 e seg. SUU., Siflv. 1, 1, 84. -
Cupido : figlio di Venere, il dio dell'amo-
re; ett. Oonv, II, 6.
«.BiDBTTE: cfr. Viro., Am, I, «67 e
•^., 716eseg. - Dnx) : cfr. Ir^f. V, 61, 86.
10. C06TBI : e da Venere, onde io iaoo-
mincioilpresentecanto;ofr. Yiarg.^Qtorg.
rv, 818. ÀÉn. rV, 384.
H. DA COPPA; dalla parte posteriore
(JV. XXV, 22), la sera {Btperc), - daq-
OLIO : dalla parte anteriore, U mattina
{IHcma o lÀie^ero).
V. 13-80. apiHU ammniL Dante non
si accorge del suo salire nella stella di Ve-
nere, ma la cresciuta beUesaa di Beatrice
ne lo rende accorto. Come si vede favilla
nella fiamma, e come si discerné vooe In
voce, cosi egli vede In quella Inoe altre
Ind muoverai in giro e venirgli veloois-
sime incontro, e dentro a quelle ohe pri*
me appariscono, ode cantar* Omnna,
Sono gli spiriti di coloro ohe amarono,
o furono acoesi di carità. Anche in cielo
ardono d' amore, non però di amoreyW-
U, V. 2, ma di amore celeste, aagettoOi
divino.
18. nr ella: nella stella di Venere;
cfr. inf. xxxn, U4.
16. FAB: flffsL La sua bellsMa ereace
a misura ohe si avvicinano alla sode
di Dio.
17. u DUCBunt : «due vod che oantiao
all' unisono, paiono una sola. Ha se una
tenga Darma la nota, e r altn gorgheggi,
si discerné questa da quella. > L, Y99A.,
SimiU,, 74.
19. LUOiuiiiB: anime lucenti.
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[CIILO TEBZO]
PAE. TIII. 20-85 [GÀBITi CELESTE] 771
22
25
28
n
Zi
Moversi in giro più e men correnti,
ÀI modo, credo, di lor viste eteme.
Di fredda nube non disceser venti,
0 visibili 0 no, tanto festini,
Che non paressero impediti e lenti
A chi avesse qnei lami divini
Veduti a noi venir, lasciando il giro
Pria cominciato in gli alti Serafini.
E dentro a quei che più innanzi apparirò,
Sonava « Osanna » si, ohe nnqne poi
Di rìndir non fai senza disiro.
Indi si fece Pan più presso a noi,
E solo incominciò: € Tutti sem presti
Al tuo piacer, perchè di noi ti gioi.
Noi ci volgiam coi Principi celesti
D' un giro, e d' un girare, e d' una sete.
21. BTEBmt secondo il loro più o meno
Tederò in Dio, il qn*! vedere dorerà in
«▼rentre per sempre, « diiferenxa delle
▼iaioni terrestri, le qoallnon dorano ohe
poolil istanU. Al. imtbkmb, doè : a seeon-
da delle loro inteme visioni. Qni in terra
si hanno visioni interne; in cielo eteme,
22. HUBB: secondo Aristotele, i vapori
ealdi e secchi, montando all'estremo della
tersa regione dell'aria, commuovono que-
sta easendo percossi da fredde nuvole;
quindi il vento.
23. VISIBILI: al cacciar ohe iknno in>
nansi a sé la polvere o le nuvole. - fs-
sma: rapidi: cfr. Par. m, 01. Yirg,,
Aen. V, 319 ; VU, 806 e seg.; Vin, 288 ;
XU, 733. Horat,, Od. H, xvi, 24.
26. VKDUn : Al. VSOUTO. - LABCIANDO :
« interrompendo la dansa, ohe ha il suo
principio insieme ooll'altlssimo cielo, det-
to il Primo MobOe, preceduto dal ooro
dei Serafini, il quale dolo aggira seco tutti
gli altri deli sottoposti. Quo' santi adun-
que, elM nd ddo Smpìreo dansa vano in-
sieme coi Serafini (i più sublimi degli spi-
riti beati), discedin Venere per scon trare
Dante e Cugli oneste e liete aoooglienze,
ooDtlniiavano ancora la loro dansa, e non
la lasdarono, se non quando egli vi fti
giunto. » MàriotH. Al.: Lasdando di ag^
glrard con Venere (t).
28. DBMTBO: AI. dutbo. Il suono non
sra dietro, ma déntro, in messo a quelle
29. OflAHNA : cfr. Par. VII, 1. - UNQUK :
mai ; cfr. Pwrg. Ili, 105 j V, 49. D* aUora
in poi non ftil mai sansa il desiderio di
riodlre qnd canto in dolo.
V. 31-89. Carità eeieeté. Uno di qoe-
gU spiriti (Carlo liarteUo) d fit avanU,
dicendo a Dante che tutti sono pronti
ad appagare i suoi desideri, affinchè egli
prenda gioia di loro. La gioia altrui ò la
gioia delle anime beate ; cfr. Thom. Aq.,
Sum. theol. Ili, i9ujg>p{., 73, 2.
83. oioi : gioisca, prenda gioia. Oioi da
gioiare, usarono gli antichi in rima ed
in prosa; cfr. Nannuc,, Verbi, 19.
84. COI FBurciFi: cd coro angelico dei
Prindpatl, motori dd cielo di Venere.
Secondo Dante, a dascuno dd nove deli
materiali è preposto uno dd nove cori
angeUd, che sono i motori, dascuno del
suo delo; cfr. Par. XXVIII, 40-129.
Cfom. L^§. ni, 188, 763 e seg.
85. D* UH aiRO : droolare, rispetto allo
spade; d*un girare etemo, rispetto al
tempo, e d'una eete dell'amor divino,
quanto all' affetto. < Koi anime beate ci
volgiamo e moviamo a quello moto che
d muovono gli angeli di questo ddo,
mossi da amore etemo, il qude ci è re-
gola d'una medesima mensura, d'uno me-
desimo dedderio, d' uno medesimo af-
fetto, d oome è nello intendimento degli
predetti, che posseggono questa regione ;
e però siamo simili » 9ssi»f An, Fior,
oonforme a Lan^ ^ j
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772 [CIBLO TBSZO]
Pae. viiL 86-51
[CABLO MABTBLLO]
t7
40
43
46
49
Ai quali tu del mondo già dicesti:
<' Voi che intendendo il terzo ciel movete „ ;
E sem si pien d' amor, che, per piacerti.
Non fia men dolce nn poco di quiete. »
Poscia ohe gli occhi miei si foro offerti
Alla mia donna riverenti, ed essa
Fatti gli avea di sé contenti e certi,
Bivolsersi alla luce, che promessa
Tanto s'avea, e «Di': chi siete ?> fae
La voce mia di grande affetto impressa.
E quanta e quale vid' io lei far piùe
Per allegrezza nuova che s'accrebbe,
Quand'io parlai, all'allegrezze suel
Cori fatta, mi disse: <I1 mondo m'ebbe
Giù poco tempo; e se più fosse stato.
Molto sarà di mal, ohe non sarebbe.
86. AI QUAU: ai Principi edetti; ofr.
Gmv, n, 3, 6. - DBL MOlfDO: Al. HSL
MONDO. Da mondo vale Oittadino éM
mondo; ofr. Furg, V, 105.
87. TOi ; principio della Cansone oom-
mentata da Dante nel U9 tratt. del Cb»-
vivio; ofr. per il 1® reno i oap. 2-6.
80. MOT DOLCA : del canto e della danaa.
« L' amor di Dio e l' amore del proaaimo
non powono mai essere in contesa tra
loro ; r nno non può mai esoladere l'altro.
Aml>edae sono essenslàlmente nno, e si
aumentano Ticenderolmente. > FUal.
V. 40-81. Cario Martello, Collo sguar-
do Dante dimanda a Beatrice licensa di
parlare ; collo sgnardo Beatrice acconsen-
te. Chiede a quello spirito chi egli sia; e,
brillando di gioia, lo spirito gli si manife-
sta. È Carlo Martello, llgUo di Carlo II
d' Angiò, n. 1271, coronato re d'Ungheria
nel 1290, m. 1295. Da qnesti versi risolta
ohe Dante lo conobbe nella prima ylta,
ed ebbe forse con Ini relazioni amiohe-
voILProbabilmente Dan telo Tide, quando
nei primi mesi del 1294 Cario fa a Firen-
se, andatovi da Napoli per incontrare il
padre e la madre che tornavano dalla
Francia. Cfr. Todetehini, Scritti au D,
1, 171-210. Del Lungo, Dino Oomp, II,
406 e seg. Sehipa nélVAreh, stor, napol.
XIV, 17 e seg., 204 e seg. £;josd. darlo
Martano Angioino, KapoU, 1800. invi-
tta itoriea italiana, a. VII, fase a», pa-
gina 662 e seg. Oom. Lip$, HI, 192 e seg.
40. OFFum : rivolti a chiedere Umb-
sa di parìare.
42. DI 8È : della sua approvaslone. Obn-
tenU riguarda il cuore, ositi la niente.
44. DI' : om sms: dimmi: ohi ael tu,
e ohi sono le altie anime teoot Una do-
manda simile Par. IH, 40 e seg. AL In-
tendono : * Di* ohi tu sei ', rammentando
Par. XVI, 16. AI. leggono sensa auto-
rità di codd. : Di' CHI ss' TU ; Deh, cm
BIBTB, eco. Cfr. Om». Lip», IH, 190-191.
Tutti gli antichi, sensa ecoesione, leese-
ro; Di' chi bietb. U Dan. ta il primo a
scostarsi da questa lesione. BÒtw, ha:
DEH, CHI BiBTK, lesione propugnata da
Dion., Fo»e„ Betti, Bm.-Oiud,, Qrtg.,
Br. B., Frat., eoe
46. E QUANTA E QUALE! «SÌ mostrÒ
per gioia pih grande rispetto alla quan-
tità, più luminosa rispetto alla qualità »;
Oom. Cfr. Virg., Asn. U, 274, 691 e seg.
- FAB PIÙE : crescere in grandessa ed fai
luoenteua per la letisia di poter appa-
gare il desiderio espresso dal Poeta.
49. cosi FATTA: 00^ miiaUlmente ore-
sduta in grandessa ed in {splendore. Se-
condo alM, 0O«i fatta sarebbero parole
dell' anima — ooi& bella qual mi vedi. If a
ta Carlo Martello in terra quale Dante
lo vide nel pianeta di Venere!
50. FOCO TEMPO: venticinque anni.- Piti
se avessi avuto più lun^ vita in terra.
61. MAL : molti mali avverranno ohe ti
sarebbero evitati. « Quasi dica : lo avrei
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[CULO fBBZO]
Par. yni. 52-63 [cablo màbtbllo] 778
6S
55
68
«1
La mia letizia mi ti tien celato.
Che mi raggia d' intomo e mi nasconde.
Quasi animai di sua seta fasciato.
Assai m'amasti, ed avesti bene onde;
Che, s'io fossi giù stato, io ti mostrava
Di mio amor più oltre che le fronde.
Quella sinistra riva che si lava
Di Bedano, poi eh' è misto con Sorga,
Per suo signore a tempo m'aspettava;
E qnel corno d'Ànsonia, che s'imborga
Di Bari, di Gaeta e di Catena,
Da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
composte le ooee di SloUia con quelle
d*AnigoiiA per modo, ohe aeiebbe tolte
ìm gnerrft, ìm quale oonttmio Tafflii^ »}
Ott. - «Quìa meUm gnbenMtem regna
mea UbertUtete, qnun Bobertns eimoa-
pidltate, eom tote sapienti* eoa » ; Bénv.
63. CELATO : cfr. Par. Ili, 48. « H cielo
di Tenere è Y nltimo, in coi gli epiriti
beati hanno oonaerrato i lineamenti del
loro corpo terrestre. Nelle sfere inferiori
d^ Paradiso gli spiriti beati mostrano
aneora ftittesse amane. Pfh in sa essi
non appariscono die come fiamme, finché
noli* Empireo tatti rlaoqaistano la pro-
pri» loro fbrsa, ma trasflgnrata. » WUte,
64. AKiMAL! come baco da seta nel sao
bMCoIo. - WABCUTOi ctt. Par.XXVI, 186.
65. M* AMASTI: Carlo Martello « in Fi-
reose stette pih di Tenti A, attendendo
H re Carlo suo padre e* ftatelll, e da' Fio-
rentini gli fb Cstto grande enorOp ed egli
motitTÒ grande amore a' Fiorentini, on-
d' ebbe molto la grada di tottl » { G. Vili,
VIII, 18. Accanto a queste parole del
cronista, il senso del yersi di Dante po-
trebbe eeeere semplicemente t «Mi ama-
sti aasai come Fiorentino »; né inohinde-
lebbero vn accenno ad amioida perso-
nale. Potrebbe essere insomma nna pro-
testa di Dante di aver posto on di e
grande allbtto e grandi speranse nel gio«
▼Ine re titolare d* Ungheria. Del resto
efr. Om». lAp». m, 108 e seg.
69, GIÙ : in terra. Se io fossi vissato pih
hmgo tempo, non mi sarei contentato di
oflHrti speranse, ma ti aTrei dato più
solidi pegni del mio amore. Le/Vonds
potrebbero alludere a speranse raghe,
e tamort potrebbe essere in generale
qoeDo che Carlo pose a* Fiorentini.
68. RITA : la ProTcnsa meridionale che
era de' re di Napoli e nel coi goremo
Carlo Martello come primogenito del
Ciotto doveva sncoedere. - si lata: cfr.
Horat., Od, II, m, 18. Tìrg., Aen. Ili,
896 e seg., 419.
69. Sorga : la 8orgu», fiamicello ohe
nasce dalla fonte di Valchiosa e entra
nel Rodano nn po' al nord d'Avi-
gnone.
60. A TEMPO : dopo la morte di Carlo II,
avvenuta nel 1309.
61. B QUBL: e m'aspettava per suo si-
gnore il regno di Napoli. - COBXO: la
parte estrema: cfr. Yirg., Aen. Ili, 649.
- AUBOMIA: Italia. - 8' IMBOROA: SÌ em-
pie di borghi. « Non si potoTa con mag-
giore sobrietà né con più precisione dr-
coscrivere il reame di Napoli. Bari ao-
cenna alla costa Adriatica, Gaeta, al
Mediterraneo, Crotone a quella del Mar
infero, 0 inferiore (t) ; il Tronto e il Ver-
de d confini con gli Stati della Chiesa
tra l'nno e l'dtro mare»; AnUmMi.
62. Catona: paesello su l'estrema
punta ddla Cdabria. Al. Crotona, dttà
in prov. di Catansaro, presso la foce del-
l'Bsaro, sul mare Ionio {Bau., 276 e
seg.). Ma in fevore di Catona sta l'au-
torità dd codid ; e la mendone di questo
paesello, ben noto nd M. E., pare, dopo
queUa di Bari e Qaets, opportuna a de-
dgnare il vertice di un triangolo che
drooecrive l'antico reame di Napoli.
Vedad dò che 11 De Chiara, che già
aveva propugnato la les. Crotona, scris-
se in fevore di Catona nel Giom, ttor,
d. UU, itoL, XXX, p. 314 e seg.
68. DA ovs: Al. LÀ OVB.- Vkrdb: il
Liri, oggi Garigìianof confr. Purg, III,
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774 [cméTiBzo] Pax. TUL 64-77
[CJJUO UltlUQOl
7t
Fulgauni già in fiùnte la eorom
Di giuDa teirm de fl DaamUo rig»t
Pm die le rq>e tedeeche abbesdona;
£ la bells Trisaeris, de ealiga
Tra Padnno e Peloro, sepia il golfo
die rìeere da Earo maggie»' briga.
Non per 'nfeo, ma per naeeente solfo,
Attesi arrebbe li sooi regi anooiay
Nati per me di Carlo e di Bidolfo;
Se mala signoria^ die sempre acecMm
Li popoli soggetti, non avesse
Mosso Palermo a gridar: ^ Mora! Moia! „
£ se mio frate qaesto antivedesse,
L'avara povertà di Catalogna
m. Altri fcrfwawin età ftifrnwn; <fr.
On». ZÀpt. m, IM e mg. Bmm, m •
«5.TnBA:rUaiMte,Mte4"rieCHto
M«rt«lW (Iglie « lCari% MnllA « Liidl-
■laoIV, re d' (Taglieria, Borio ad 12M
eeri eaeeeeiIflBfi) tm. ineoroBato re. Ma
n troM il «eeopato da Aadrea HI, fl
Veaesiaao, oade Cario Martello bob fa
die re titolare. Soo flgifo Cario BdMrto
otteuo pd od UlO ed tttole anehe il
troBO. Cfr. T94€$«kini, BcriUi tu D„ J,
173 e eer. eìMmoiM, XXI.S.fioèrtedk«r,
Aor.ddUOMMa,XIX,252.-DOA: ba-
fna ; efr. Tirg., Aen. VII, 738.
67. Tboucbia; SioOia. - CAUOà: d
eopre di eaUgine; ctt, Yirg., Am». m,
KO eae«.
68. Pachuio: Capo Paasaro. - Pilo-
BO: Capo Faro.
68. MAOOiOB: ebe d*altro rento; efr.
Loria, L'JUMa néOm D. O. IP, 628.
78. Ttrmo t gigante ftilminato da (More
e eepdto eotto l'Etna, di dorè, sboAuido^
manda ftiori forno e ealigine; efr. JV*
XXXI, ISi. 09id., Met. Y, 346 e eeg.
Virg,, Aen. Ili, 570^587. - eOLFO: efr.
PUn., HiH, nat, XXXV, 6. «Vado U
Poeta additard l'origine e la cagione
proeeima dd vnleano nededmo, appd-
lato Mongibello, eopponeadola aeoorta-
meote ndJa natura enlforea di qnd ter-
reni, e mettendo da parte le Ibrole di
Tifeo e di Bneelado »; AntonOli,
71. ATraBi : aepettati. > bboi: legittimi,
diaeendendo per linea matemada Bidolfo
imperatore.
73. MALA nraronA: di Cario I é'AM-
glò; cfr. Vigo, J}mmltéìm8U,,U^a6g,
87. - AOOOKA : taaepriaee ; efr. Mmmii,
Fr^. I, 8. 33 e oeg.
76. PAUtSMO: deve eMieto prindpio i
Veepri SdlianL - mora: « ineoatanaMte
tatta la gente d rifreeeeno aeBa etttà, e
glÌBominiadarBMrd,gTidndoiJftnw— 0
iFrmtuueka^e.VOLYJI, 6t.Cfr.AaMri,
F<npr. Adi. Ajpeiui.
76. FRATB: ee prima di eaeece re, odo
fratello Boberto (eallto sai troAO ad 1809)
preTedeeee ohe on governo opproaalf u e
tiraudeoinaeprieee eempre i popoU aog^
getti, egli friggerebbe ain d*era V aTara
povertà dd Catalani, affinchè non gU
ayeeee a mooeere.
77. Catalogsa : Lodorieo, Boberto e
OloTanni, fratelli minori di Cario Max^
tdlo, dati dd padre loro Cario II In
oetaggio pd riaeatto della na persona,
dorettero rimanere in Catalogna ndla
Spagna dd 1288 d 1285 (efr. Jb^a., Atm,
BeéL ad. a. 1286, n. 22). Durante <|iieato
tempo Boberto « aoqoidyit amldtlae et
fkmiliaritatee moltonnn, qnoe poatea in
Italia pTomorebat ad offlda, qui nore-
rent bene aeoamolare. Ad qood duo im-
pdlebant eoe, edttoet, paopertaa, qnm
ftoadet bomini fartam et n^dnam ; et
avaritia, qo» reddit hominem ingealo-
snm ad omnia QUdta ioera»; Bene, Ma
il Betti'. « I eddatt mercenari in Itdiia
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tCI£LO TIBZO]
Par. yiii. 78-93 [figli dboevbbi] 775
70
82
85
88
91
Già fuggirla, perohè non gli offendesse ;
Che veramente provveder bisogna
Per lai, o per altrui, si eh' a sua barca
Oarcata più di carco non si pogna.
La sua natura, che di larga parca
Discese, avrla mestier di tal milizia,
Ohe non curasse di mettere in arca. »
« Però eh' io credo che l'alta letizia
Che il tuo parlar m'infonde, signor mio,
Là 've ogni ben si termina e s' inizia,
Per te si veggia, come la vegg'io,
Orata m'è più; e anco questo ho caro,
Perchè il discerni rimirando in Dio.
Fatto m'hai lieto, e cosi mi fa' chiaro;
Poi che, parlando, a dubitar m'hai mosso,
Come uscir può di dolce seme amaro. »
■I eblMBaTMio allon Oatàlani, qiutttaii-
qne bob IbMero tatti di qaen« proTinda
di Spagnai ma aTrentarteri apagnnoli,
70. OR* TnuMXHTB: peroiooohò biso-
gna Tvnmieiite ohe il prorreda, o per
opera éì lui medatimo, o per opera d'al-
tri, cioè parenti ed amld, affinoliè l' ava*
risia sua non ■' aggrarl oon l' altrui, e le
•nec^^pe oon altre naore eolpe. Al. per
la borea Intendono il Regno e spiegano:
Affinale il Begno, già gravato assai per
raTarlaia eoa prozia, non sia grarato
anoor più per V avarisla de* suoi mini-
sili. Ma il ooUoqnio nel pianeta di Ve-
nere ai Ange arrenato nel 1800, mentre
Boberto non sali al trono ohe nel 1309.
8S. ULHOA : in confronto eolia natura di
Boberto ; del resto era stato on po' avaro
anehe 11 OioMo : ofr. Pury. XX, 70 e seg. -
PARCA ; avara. Bgli. ehe di padre liberale
naoqne avaro, avrebbe bisogno di offi-
ciali ohe non badassero soltanto a Ikr de-
nari. Sall'avarisia di Boberto cfr. G, Viti,
XII, 10.
83. muiiA: lat. mUiUs, l'insieme de-
gli officiali od impiegati del Begno.
S4. niABCA: « mlM piando ipso domi,
slmnl ae nnmmoe contemplor in arca »;
HeroL, Sat, I, i, 67.
Y. 86-08. JgigUdeif9HeraHdai 0penf-
iori. Qoal è l'albero, tale ò il frotte; cfr.
MatL yn. 18-17 ; XII, 88. LuM YT, 48-
44. Gid0. in, 11-12. Ma Carlo Martello
ha detto che Boberto sao fratello nacque
avaro da padre liberale. Quindi il dabblo
ohe Dante prega di sciogliergli: Come
possono nascwe cattivi figlinoli da baoni
genitori f
87. Ll'vK: Alcuni intendono del Pa-
radiso, e spiegano : Poichò io credo che
qui nel Paradiso, dov' ò il principio ed il
fine d'ogni bene, si veda e senta da te,
come la vedo e sento io, l'alta letisia che il
tao parlare m' infonde, questa letisia mi
è più grata. Cosi Bmv., Lomb,, Port,,
Pog., Br, B., Frat., Greg., ecc. Meglio :
Però che io credo che l'alta letizia, che
il tao parlare mi ha inftisa, si vegga da
te in Dio prineipio e fine d* ogni bene,
essa mi ò pih grata ; ed ho pur caro che
tu la discemi rimirando in Dio, antiche
leggendomi direttamente nel cuore. Cfr.
però Orni. Lipt. Ili, 202.
88. DI DOLCB: da seme dolce un frutto
amaro, doè da buon padre cattivo figlio.
Y. 04-186. Cagione delie varie in-
doli pereonaìi, Carlo Bfartello scio-
glie 11 quesito propostogli argomentan-
do: Yeramente, ogni slmile dovrebbe
sempre generare il suo simile, onde la
natara de* figliuoli sarebbe sempre con-
lorme a quella dei genitori, se la divina
Prowidensa non disponesse altrimenti.
Nella generaaione dell' uomo non è da
considerare soltanto la natura del ge-
nerante, ma anche la virth Influente dei
cieli, la quale opera indipendentemente
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776 [CULO TBBZO] Pàb. vm. 94-108
[VÀBIB IHDOLI]
07
100
108
106
Qaesto io a Ini; ed egli a me: e S'io posso
Mostrarti un vero, a quel che tu domandi
Terrai il viso come tieni il dosso.
Lo Ben, che tntto il regno che ta scandi
Volge e contentai & esser virtnte
Sua provvidenza in questi corpi grandi;
E non pur le nature provvedute
Son nella Mente eh' è da sé perfetta,
Ma esse insieme con la lor salute :
Per che, quantunque quest' arco saetta,
Disposto cade a provveduto fine,
Si come cosa in suo segno diretta.
Se ciò non fosse, il oiel che tu cammino,
Producerebbe si li suoi effetti.
Che non sarebbero arti, ma mine;
dmUftikAtar»de1genenuito. Dio imprime
U BUA prorridenM nel oorpl celesti co-
mnniottlido qneHe virtù ohe tendono ad
«ttaarla, onde esd infloiaoono «nlU terra
in modo conveniente a' eooi Ani. Avendo
egli creato 1' nomo 9oci<a€ e la società
non potendo sussistere senaa an ripar-
timentodi professioni e di affici, bisognò
provvedere che gli nomini nascessero di-
versi d* indole, ^ tendense, di capacità.
Pertanto egli diede alle stelle la virtù
d' influire eversamente sai diversi indi-
vidoi generati, sensa alcana dlpendensa
dalla natura dei loro generanti non solo,
ma edandio sensa verona distlnxione tra
i diversi ceti dell' nmana società. Cfr.
OiambuUari, IHgli injhuti etU$H, nelle
eoe Lezioni. Fir., 1651, p. 86-125.
96. UN VKBO : nna verità fondamentale.
Se mi riesce di farti chiara certa verità
òhe è base della soloiione del tao dab-
bio, ti si farà evidente ciò che ora ti ò
OBCoro.
96. TBBBAi : vedrai qnello ohe ora non
vedi; cfr. V. IM. Aug., Ownf, IV. 16.
97. BkN: Dio: cfr. Pwrg, XXYIH, 91.
Par.YII, 80 ; XIY, 47. - rboho : celeste.
-BCAHDi: ascendi.
98. VOLGI: cfr. Pwrg. XXV, 70. Par,
1, 1. - ooNTBifTA : & lieto, appaga. - fa
E88KB: fl» che la saa prowidensa sia
virtù inflnente in qnesti corpi celesti ;
cfr. IHultr. IV, 19.
100. B HON : e la ICente divina perfei-
wstma provvede non solo all'essere, ma
anche all'essere intiemu, alla vita aocUIe
ed alla saRite delle natore. Cfr. Tkom,
Aq.,»»m, ÌhèoLl,n, 1-4; 28, l.« Me-
diante la virtù dei cieU, dalla mente di
Dio la natar» delle oose viene a coetì-
taird non solo nell'essere, ma edandio
nel ben essere. Per lo che tatto dò che
cagionano le predette virtù, va ad imo
scopo inteso dalla divina mente, come va
a bersaglio inteso il dardo scoccato dal-
l'ardere. » Cbm. Salle altre interpretn-
doni di qaesta terdna cfr. Oom. X^.
lU, 208 e seg.
101. DÀ sÈ: a diffBrensa di tatto lo al-
tro creatore, che da lai hanno la loro
perfedone.
102. SALim: benessere.
108. QUAHTUHQUK: tottodòChO; ofr.
Pur^.XXX, 62. Tatto lo Inflaonao dd
deli sono disposte a fine già prowedote
da Dio, tendono a qaesto fine corno dardo
alsegno.-ABOO: inflaensadl opecadod
edesti. « Tatto le operadoni di qaaosù
sooo disposte a fine infkIlibUe •% Tom.
106. COSA: come la cosa landat» riesce
d segno d qnde è stata diretta, oooa
hanno qaad tatti i codd.; la lea. cocca
è priva di autorità.
106. SI CIÒ : se non fosse questa regola
e qaesto ordine, i ddi prodanrobbtfo 1
loro eflfotti non somiglianti d divino ar-
chetipo, madovrd>bond diro Ikttl aoasot
onde non sarebbero eflfottl dell'arto di-
vina, ma conAidooo, ndnOb n
scompaginato, -oammuis: cammini.
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[CIXLO TIBZO]
Par. vili. 109-125 [vabib indoli] 777
109
U2
115
118
121
124
E ciò esser non pnò, se gl'intelletti
Ohe mnovon queste stelle, non son manchi,
E manco il Primo, che non gli ha perfetti.
Vuoi tn che qnesto ver più ti s'imbianchi?»
Ed io: cNon già; perchè impossibil veggio
Che la natora, in quel eh' è uopo, stanchi. »
Ond'egli ancora: « Or di': sarebbe il peggio
Per l'uomo in t^erra, s'è' non fosse cive?»
« Sii » rispos' io; e E qui ragion non cheggio. »
« E può egli esser, se giù non si vive
Diversamente per diversi offici?
No, se il maestro vostro ben vi scrive. »
Si venne deducendo infino a quici ;
Poscia conchiuse: € Dunque esser diverse
Oonvien dei vostri effetti le radici :
Per che un nasce Solone, ed altro Serse,
Altro Melchisedech, ed altro quello
109. nrRLLiTTi : lotelUgense motriol.
Se il efolo prodnoeMe disordine inyeoe di
produrre ordine, le intelligence ohe mno-
-rono i oieii, sarebbero imperfette, ed im-
perfcttft pure si dovrebbe dire V Intelli-
goDsa prim». Dio, il creatore delle intel-
Ugense motrid, non avendole create atte
a governare V universo.
111. IL Pbimo : Dio; cfr. JBp. Kani, 20
>FKKFBrn : perfìBsloDati ; cfr. Yirg,, Aen,
HI. 178.
112. VEB: verità fondamentale. - 8' DC-
BiAHcn : ti si fiMcia pili chiaro.
113. non GIÀ: non occorre dichiarare
ìm cosa nltetlormente ; perchè comprendo
ohe è Impossibile che la natara venga
mano nelle cose necessarie.
115. n. riooio : sarebbe nn male, se
r nomo non fosse in sodetàf
110. aVB : dttadlno; Fur^.XXXH^lOl.
Ctt.ArùM,,PolU.I,l,2ìIJI,9iYU,8.
117. non CMSQQio : non chiedo altra
prova, questa essendo cosa chiara.
118. BGU: e può r nomo essere dtta-
dlno, può esservi società dvile senxa di-
versi ntUdt
120. IL HAISTBO : Aristotele. « il mae-
stro della umana ragione » (Om«. IV, 2),
« degnissimo di fede e d' obbedienca »
(Omo. IV, 0), il qnale e nella Politiea e
néù'Stiea dimostra la necesdtà dd di-
vini nffld da eeerdtard da nomini che
vivono in sodetà.
121. DBDUCKNDO : argomentando sino a
qnesto pnnto ; indi trasse la segaente con-
dosione. - QUia : qni ; cfr. Purg, VII,
66. Par. XII, 130.
122. BSBEB DiVKBSB ! è dnnqoe necessa-
rio che gli nomini abbiano diverse attitn-
dini, le qnali sono le radid ddle umane
operadoni. < A ben vivere in sodetà oc-
corrono nffid diverd, per i qnali si ri-
chieggono diverse attitudini; alle diverse
attitvkiini occorrono, come all'albero le
radid, indoli diverse ohe le producano »;
De Oub.
124. SOLOITB : con le qualità proprie del
legidatore, come Solone, il legislatore di
Atene, nato a Balamina nel VII secolo
a. C. La ledono Absaloh è faiattendi-
Ule, -SsBSX: bdliooso e odio qualità
proprie di chi deve guidare eserdtì, come
Serse, il bellicoso re dd Persiani; cfr.
Purg. XXVni, 71.
126. MiBLCHlSEDECH: un altro nasce
con le quaUtà proprie dd sacerdote, come
Melchisedech, il sacerdote di Ssleme, ti-
po e figura di Cristo ; cfr. Qenéi, XIV,
18-20. Saim. CIX, 4 SbrH, V, 6; VII,
1-2. Thom. Aq,, 8wn, thwl, ni, 22, 6. -
QUELLO: ed un altro nasce per creare
congegni meooanid, atto alle arti ed in«
dustrie, come Dedalo, ohe con uno di qud
congegni volò ed insegnò a volare al
figlio, e lo perdette ; cfr. If^. XVn, 109
e seg.; XXIX, 116.
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778 tcnew) TEBzo] Pah. viii. 126-186
[TABIB IKDOLI]
127
180
183
136
Ohe volando per l'aere il figlio perse.
La ciroolar natura, eh' è suggello
Alla cera mortai, fa ben sua arte,
Ma non distingue Pun dall'altro ostello.
Quind addiyien eh' Esaù si diparte
Per seme da lacob ; e vien Quirino
Da si vii padre, che si rende a Marte.
Natura generata il suo cammino
Simil farebbe sempre ai generanti,
Se non vincesse il provveder divino.
Or quel ohe t'era retro, t' è davanti :
127. CIBCULAB NATURA : U Tirth ftttlTA
dei deli ohe Tanno sempre in giro, \m
qoale imprime ai morteli le Tmrie «ttita-
dini, determina benti l'indole degli no-
mini, ma aensa distimdone di aebiatte,
non badando ponto all' origine della per-
sona, alle eaae e fiunigUe.
120. OBTBLLO : albergo, dimora ; oonfr.
Pwrg. VI, 76 Por. XV, 182, eoo. Lavooe
è qni forse nsate in senso più esteso per
Steto, Condisione e simili.
130. Quma: non avendo i corpi celesti
nelle loro inflaense riguardi per chicches-
sia, r nno nasce di indole tntto diversa
da qnella dell'altro, come si vide in
Esaù e Giacobbe, che, gemelli, ebbero in-
dole diversa fino dalla loro generasione,
di modo ohe contrasUvano nel seno ma-
temo ; cfr. Oenét. XXV, 21-27. JRom, IX,
10-18. « Esaù e lacob naoqoeno d* ano
padre e d' nna madre, e d' nno parto et
ad nna ora; e niente di meno 1' ano, doè
Esaù, fti bellicoso, e l'altro, lacob, ta
pacifico. Ecco che, benché ftisiwno d' nno
seme, l'uno si parta dall' altro per condi-
sione e disposltlone ; e benché li deli
mandasseno le loro inflnenaie, all' nno
s'applicò r nna et all' altro l' altra se-
condo la Provideniia Divina. » BuU,
181. PEE SBMS : « radioalmente, non per
edncasione. E dò avvenne perché la na-
tura ta diversa aflktto da quella ohe la
virtù de' deli inftise in Giacobbe suo fra-
tello. » Betti, - viKN : nasce. - Quirimo :
Bomolo; cfr. Virg., Aen, I, 274, 202.
181. SI BiOfDB : d dà a Marte la gloria
di essergli steto padre, il suo vero padre
essendo tanto vilej ood Buti,Land„ VeU.,
Dan., Vtnt., eco. Inveoe B^nw. : « ex sa-
cerdote vili, otioso, obi Romnlus Mi bel-
Uoosus, Inqnietus, che H rende a MmrU,
sed vere potuit did fllins ICartis, quia
beUator viotoriosus et autor popnU beUi-
ood romani.»- J2ofMftétt{, 140: cs'intsiida,
ohe Quirino steaso d rendea ICarte, d tk
doé attribnirelapatemite divina.» One-
sto poteva fkrlo anche quando il vero suo
padre fòsse state della più nobile stirpe.
Cfr. Ut, I, 4.
188. OKNBRATA : la natura de' flgll sa-
rebbe sempre conforme a quella dd ge-
niteri, se la Prowidenia non dispones-
se diversamente per il bnon ordine dd-
r umana sodata. Cfr. Thom. Aq., 8mm.
Uteol. n, n, cuLXh Ot « In rebus natura-
Ubns Ibrma generati est dmiUtodo qui-
dam fbrmie generantis. »
185. vnfCBSBK : se per opera della Prov-
vidensa le varie inflnense dd dell non
togliessero tante monotona uniibrmità.
V. 189-148. Nmtura e FérUauu Come
Matelda, Pwrg, XX Vm. 184 e aeg., an-
che Carlo liartello aggiunge un oonUs-
rio della poste dottrina. Se nella seelta
dello stato la fortuna non le d opponga,
lanatnra, ministra ddla Prowideasa, fi
sempre buona riusdta. Ogni vdte invece
che il naterale sortito dall' uomo non ri
riscontri con nna condisione, un oserei-
do a séconibrme, Ik mala rinadta, eoaie
ogni semensa ftior dd olima a M eoove-
niente. Se in questo mondo d poaesw
menteall'indde naturate in daaoim voBo
dalla virtù de' ddi, e d awiasaero i gio-
vani a quegli uffld a od li diqioBe la
natura, d avrebbero ottimi fflosoA, goei^
rieri, sacerdoti, artisti, eoe. Ma peirabé
gli nomini non oonslderaao le inoUaa-
doni naturali, e flumo prete ohi haatttta-
dine ad essere soldato, e vioevena, vana*
ùiori di strada.
1315. OB: posta queste dottrina, tain-
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[CIBLO TEEZO]
Pab. vin. 187-148 [natuba b fobt.] 779
139
142
li5
148
Ma perchè sappi che di te mi giova,
Un corollario voglio che t'ammanti. .
Sempre natura, se fortnna trova
Discorde a so, come ogni altra semente
Fuor di sna region, fa, mala prova.
E se il mondo laggiù ponesse mente
Al fondamento che natora pone,
Seguendo luì, avria buona la gente.
Ma voi torcete alla religione
Tal, che fia nato a cingersi la spada ;
E fate re di tal, eh' è da sermone :
Onde la traccia vostra è fuor di strada. »
tendi onmài dò ohe ta non oomprende-
Ti; ofr. T. M.
187. MI GIOVA: ho piacere d' intntte-
nenni teoo e guidarti mila oonoeoensa
deUa verità.
188. OOROLLARIOS cfr. Purg. XXVm,
186. Boet,, Oont.pha,IlI, pr. IO.-t'àm-
MAMTi: riceva, pTendaaoomptmentodeUa
emdisione della mente tua, come il manto
flniaoe di vestire la iteraona.
189. FOBTUllA: oonfr. JV- ^n, 67-9«.
« Provvida ne' snoi ordinamenti ò la na-
tura; ma le flMìoltànatarali, se combatta te
da oondisioni di stato o di ibrtona, intri-
sttseono come semensa in dima non con-
venevole»; L.Vmt., Sima. 188.
140. mnooiTBt ofr. Boet., Oom. phU.
Ili, pr. 11. Oonv. in, 8. Petr,, 8<m. 1, 49.
Ariot., OrL XIII, 69.
148. AL roWDAMXKTO: alle naturali in-
cUiiaBioni ddle singole persone.
144. BBGUIHDO: regolandosi e ndl'eda-
castone e ndia scelta dello etato e della
vooasione a norma di quest'indole natu-
rata neU'nomo dalla virtù dd deli. Cfr.
Oie., De off. I. 81.
145. TORORTK ALLA BKLIGTOKB: fKte
monaco, prete, eodedastioo chi natura
dispose invece a fsre il soldato. Allude
forse a Lodovico, figlio di Carlo II e fra-
tello di Roberto, che entrò nell'ordine dd
frati minori, fu assunto al sacerdosio e da
Bonififtsio Vili consacrato vescovo di To-
losa; cfr. Baynald.t ad a. 1296, n. 16.
147. DA 8EKM0NB: nato piuttosto pcr
predicare che per governar popoli. Al-
lude senza dubbio a Roberto re di Napoli ,
il quale d dilettava di comporre sermoni
sacri; cfr. Q,YiU.:ai,\fi.Bo€e.,Gen. deor,
XIV, 9. Faraglia, ufAVArch, ttor. Hai.,
ser. V, voi. Ili, 316 e seg. « Videtur hoc
dicere prò rege Roberto qui bene flujie-
bat sermonem et mnltum ddectabatur »;
Btnv. Cfr. Chm. Lip». Ili, 210 e seg.
148. DI strada: della diritta via, che
è quella segnata dalla natura.
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780 [GIBLO TBBZO]
PAB. IZ. 1-6
[VATicnno]
CANTO NONO
OIBLO TBBZO 0 DI VBNEBE : SPIRITI AMANTI
VATICINIO SOPPRESSO, CUKIZZA DA BOMAKO
LA MARCA TRIVIQIAHA, FOLCO DA MARSIGLIA
LA MERETRICE RAAB, L'AVARIZIA DEGLI ECCLESIASTICI
Da poi che Carlo tao, bella Clemenza,
M' ebbe chiarito, mi narrò gV inganni
Che ricever dovea la sua semenza;
Ma disse : « Taci, e lascia volger gli anni ! »
Si ch'io non posso dir se non, che pianto
Giasto verrà diretro ai vostri danni.
V. 1-6. Un vaticinio BoppreMo, D
Poeta Tolge 1» parol» » Clemensa, non
ali* moglie (Pttr. Dant., Folio Boec.,
Bénv,, Tal., FrcA.» Qreg., eco.), ma alla
figlia di Carlo Martello {Lan., An. Fior.,
Post. Oaut., BuH, Land., Véli., Dan.,
Voi., Veni., Lonib., Biag., eoo.), dicendole
oome Carlo Martello oontinoaste a par-
lare de' torti ohe ei irebbero a* eaoi di-
eoendenti, e oome yatidnaste i castighi
ohe piomberebbero addoeao al defìranda-
tori del ramo primogenito, ingiangendo-
gU però di tacere e non rlTolare la bo-
•tanca del Tatioinio.
1. Clbmemzà: nata yereo il 1290, nel
1816 menata in moglie da Luigi X re di
Francia, Tivente ancora nel 1328, oCr.
G. VOI. X, 106. La moglie di Carlo Mar-
tello, Clemenia, figlia di Rodolfo I d' Ab-
■bargo, mori prima deUa fine di agosto
del 12d5. Cflr. O. M. Riccio, Genealogia
di Oarlo II d* Angiò, nell' Ardiiv. «tor.
napoUt., KapoU, 1882, VII, 15 e seg.
L'Ott. intende della madre di Carlo Mar-
tello, morta nel 1328; ma ella si chia-
mava Maria d'Ungheria. Cfr. Oom, Lip9,
ni. 212 e seg.
2. CHUBiTo t soiogUendo i miei dabbU.
8. BKiCBNZA : figli, Specialmente il figlio
Carlo Roberto, erede legittimo del regno
di Napoli e di Sidlia, nsnrpato da Ro-
berto sno sio.
i. VOLOKB: Al. MUOTSB; gli anni non
si mnoTono, si volgono.
5. PLàiiTO: giusto castigo. Avendo U
Poeta taciuto, è inutile voler indovinare
se ed a quaU flitU positivi egU aUnda.
Porse egli aooenna soltanto in generale
a ftature disgrasie angioine in poniskuw
delle colpe di Boberto; cfr. però Oom.
lApi. in, 2U.
6. VOSTRI: figlia del primogenito di
Carlo II, anche Clemensa aveva diritti
alla oorona di Napoli.
V. 7-36. Cuniooa da Botnano* Si tk
avanti un altro di quegli splendori e parla
di so e della sua sorte. È Cunissa da Bo-
mano, figlia minore di Bsselino U, nata
verso il 11P8. morta verso il 1279, nel
qnal anno fi»oe il suo testamento, od
quale donò i suoi beni ai figli del conte
Alessandro Alberti di Mangona(ofr. Jf%f.
XXXII, 67). Pn donna dissoluta e lasci-
va. Bbbe tre mariti e più amanti, tra 1
quali il trovatore Sordello (ofr. Purg. VI,
58 e seg.). Perchè Dante la mettease in
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[CULO TBBZO]
PAB. IX. 7-25
[CTTNIZZA] 781
10
13
16
19
25
E già la vita di quel lume santo
Bivolta s' era al Sol che la riempie,
Come quel ben, eh' ad ogni cosa è tanto.
Ahi, anime ingannate e fatture empie,
Che da si fatto ben torcete i cori,
Drizzando in vanità le vostre tempie !
Ed ecco un altro di quelli splendori
Vèr me si fece, e il suo voler piacermi
Significava nel chiarir di fuori.
Gli occhi di Beatrice, ch'eran fermi
Sopra me come pria, di caro assenso
Al mio disio certificato férmi.
€ Deh, metti al mio voler tosto compenso,
Beato spirto, » dissi ; € e fammi prova
Oh' io possa in te rifietter quel ch'io penso! »
Onde la luce che m' era ancor nuova.
Del suo profondo end' ella pria cantava,
Seguette, come a cui di ben far giova:
« In quella parte della terra prava
Paradiso è diffioile indovinare. Forte per
arer rasUtiiito nel 1285 la Ubertà agU ao-
mioi di masnada del padre e dei fhttelli,
finrae perchè si oonvertì in età proretta,
come aflTennano alonni antichi, e forse
per altri motivi a noi ignoti. Cfr. Boiata
dino, Ohron, in Murat., 8eript,Tni, 178.
VerH, moria degli BeéUni, I. lU e seg.
Salvagnini ìnD.e Padova, 407-440. Zam-
boni, Gli Szzelini, D, e gU «eAiaoi, Vien-
na, 1870; noova edis., Flr., 1807. BartO'
tini, giudi danteschi, 1, 152 e seg. Bar-
UM, Leu. ital, TL*, 144eseg. Oom, Lipt.
m, 218 e seg.
7. VITA: anima beata di Carlo Martel-
lo ; ofr. Par, XU. 127 ; XIV» 6 ; XX, 100;
XXI, 65; XXV, 20.
8. AL Sol ; « a Dio ohe la riempie di fe-
Ueità. perchè egli & la feUcità di tatto le
cose proporsionatamente all' indole lo-
ro»; Oorn.
0. OOMS QUKL: Al. OOMB A QUKL. -
TANTO : saffloiente ; tanto quanto basta i
efr. Gerom, XXIII, 24.
10. FATTUBB EMPIS: Al. FATUB EO BM-
ni. « Impia /«ttvra è quella ohe non
seguita lo sno fattore, et impia creatura
è quella ohe non seguita lo sao creato-
re >i BtUL
12. TEMPIE: 1 vostri occhi, i vostri da'
siderU.
18. SPLENDORI : anfano risplendenti.
14. voLBB: il suo desiderio di compia-
cermi.
15. NBL CHIABIR : nel SUO estemo splen-
dore; oAr. Par, V, 100 e seg., 181 e seg.;
VIII, 46 e seg.
17. COME PBIA: come quando le chiesi
il permesso di parlare a Carlo Martello,
Par, VIII, 40 e seg. - DI oabo : mi fecero
certo ohe Beatrice dava il desiderato con-
senso al mio desiderio di volgere laparola
a queir anima beata.
10. METTI: dà' soddisftudone alla mia
voglia, mostrandomi ohe tu vedi per ri-
flesso ciò che io desidero.
22. NUOVA: non conosciuta. Quell'ani-
ma, il cui nome io non conoeceva anco-
ra, dal sno interno, end' ella prima can-
tava (cfr. Par, Vili, 28 e seg.), continuò
a parlare come £s ohi gode di compiacere
altrui. Al.: Dal centro della stelia di Ve-
nere, in cui prima cantava.
24. BEN FAB : « lo pardo... sono quasi
seme d'operadone»; Oanv, IV, 2. Cfr.
Par. II, 27.
25. PARTE : nella Marca Trivlgiana, che
ha la Piave alle spalle, la Brenta dinausi,
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782 [CULO TIBZO]
TàM. IX. 26-89 [CUNIZZÀBFOLOODAMAS.]
28
SI
84
87
Italica, che siede tra Rialto
E le fontane di Brenta e di Piava,
Si leva on colle, e non sorge molt'alto,
Là onde scese già una facella,
Ohe fece alla contrada un grande assalto.
D'una radice nacqui ed io ed ella;
Cunizza fui chiamata, e qui rifulgo,
Perchè mi vinse il lume d'està stella.
Ma lietamente a me medesma indulgo
La cagion di mia sorte, e non mi noia;
Ohe pania forse forte al vostro vulgo.
Di questa luculenta e cara gioia
Del nostro cielo, che più m'ò propinqua,
Grande fama rimase ; e, pria die moia.
e » diiiitok Vendila, in oilgfai» ristretto
eUft eoU iaolA di Bielto. - terbà: Italia,
ofr. If^. XVI, 0. Purg- VI, 76 e seg.
26. BiALTO: col nome della prinoipale
iaola Dante indica il territorio di Venesia.
37. FOifTUfS: sorgenti. -Piava: lat.
Flavi», ora Piavé,
28. COLLE: di Bomano, eolia eoi Gima
•orgeya il oaeteUo degli Esselini.
20. Li OHDKt Al. LÀ d'onde.- PAGEL-
LA : il flunoso tiranno Bsselino III da
Bomano, «mater oolaa, dom partoi eine
eeset vioina, somniabat qood partnriebat
anam facem igneam, qoscombarebat to-
tani Marohiam Trevieuiani ; et ito fedt
eoa horribili tyrannide. St tangit hoc
anotor, dom dioit de fiMiella. » Petr. DarU.
Di Bxselino ofr. Inf, XU, HO. O, VW. VI,
72. Romboidi» DanU • Trev,, Trer. 1868.
BretUaH, Bea. da Bom., Padova, 1880.
80. ALLA ooiTTRADA : < alla Marca Tri-
Tigiana ed alle parti di Lombardia »; Ott.
- UH GBAICDE: Al. OSANDE; « Ecoclimas
prenominata*, mortno Priderioo II, oni
foerat confcBderatoe, ecspit exeroere om-
nem sevitiam In tota Marchia Trivisana.
Qni Oomet de Bomano primo favore Mon-
ticnloram babnit dominiam in Verona;
deinde habnit Padaam, Vicentiam, Ter-
vislnm, Feltrom, Tridentnm. et nltimo
Brixiam. Comantem Bcoelinas, medieta-
tie pene toUoe Lombardi» dominoe, eeeet
in obiidione Manto» oom ftyrti exeroito,
aodito amiaelone Pado» oapt» per lega-
tom Eooiedie, in rabie ftiroris reversos
Veronam, omnee padoaaoe captoo qooe
•eoom habebat nomerò doodedm millia,
ferro, igne et flune oonrampdt ; et ai quia
inveniebatar ftagiena, pedibna et mani-
boa tnmoabatar. Boeelinos oonsanpil-
neia et amicia non peperoit. » IXmv.
81. D' UNA RADICE : dagli ateeai genito-
ri, cioè da Bsselino n detto U Monaco, e
da Adelaide degU Alberti, conti di ICaa-
gena, tona moglie di Baeelino II. Cfr.
Pwrg, XX, a. Per. XV, 80.
82. BiPULOO : riaplendo in qoeetoatolla
di Venere, perchè llii vinto dagli amori
sensoali.
84. ncDULOO : godo della divina prede-
■ttnaaione, ohe fo cagione della mia sor-
to; ofr. Aug., JH (Kv, Dei, XXU, 80. 4.
Hugo a 8, Yiet., De meram, H, 18, 22.
Elueidar,, 70. Oom, Lipe, IH, 220.
86. CHE parbU: al vostro volgo par-
rebbe doro il comprendere come, ser-
bando la memoria del fUli commessi In
vita, qoesto memoria risvegli in boì A
sentimento non già della colpa, ma della
grati todine verso Dio, che léce coope-
rare ogni cosa alla nostra salote.
V. 87-45. Fama oegwistate e fmmkm
negletta* « Melios est nomen bonom
qoam ongoento pretiosa »; BeoL VII,
2 e « Melios set nomen bonom qoam d^
viti» molt» » (Prov. XXII. l). n Poeto
accenna qoi alla Ikma che si aoqoisto
Folco da Marsiglia, prendendone argo-
mento di redargoire gli abitanti d^la
Marca Trivigiana, ohe allora, oociqMiti
di tott' altro, nolla si curavano di fluna
pora e dorevde.
87. CABA : Al. CHL4EA ; cfr. Par, X, 71 ;
XV, 86; XX, 16; X^ai,28e86g.
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[CIILO TBBZO]
Pab. IX. 40-51
[PKOFIZU] 788
40 Questo centesim' anno anoor s* incinqua.
Vedi se far si dee l'uomo eccellente,
Si ch'altra vita la prima relinqua!
43 A ciò non pensa la turba presente,
Ohe Tagliamento ed Adice richiude;
Nò, per esser battuta, ancor si pente.
4e Ma tosto fia, ohe Padova al Palude
Cangerà l'acqua ohe Vicenza bagna.
Per esser al dover le genti crude.
49 E dove Silo e Oagnan s'accompagna.
Tal signoreggia e va con la test' alta,
Che già per lui carpir si fa la ragna.
40. s'niClHQUA: SÌ qnintoplioft — pM-
Mcanno anoon doqne seooli. Vam li nu-
mero detenninato per V IndetermiiiAto,
▼olMido dire: U flun» di Fotoo dorerà
per molti eeooli. Go^ Lan., An. Fior^
PoaL Oau„ FetT. Dani., B^nv., BuH,
Land., Dan,, Ywd., Lomb., Biag., Oh,,
Ton^, Br, B., Fr<U„ Andr., FOal., Wit-
te, eoo. AL: Si & 11 quinto oentesimo; do-
rerà eioè anoora doeoento anni (dal 1800
■1 1600) : eoA VéU., B&rmat., Oawemi, eoo.
Inreoe VAntonelli intende: Prima ohe
finisoa l*anno ohe oorre» la fiuna di Foloo
sarà quintoplioata.
41. lOCBLiJERTS: ooo opere rlrtooso 0
magnanime; ofr. Virg., Aen, VI, 806.
42. BELDIQUA: sl ohe la Tito del Gorpo
UuH dopo Bè la vita del nome.
48. A aò: all'aoqaistarai fiuna, Caoob-
dosi eooellento.
44. Taguamihto : oonftne della Marca
Trivlgiaaa all'oriente.- Adige : confine
dell* detta Marea all'occidente.
46. FBB lasxB: qoantonqoe afflitta da
pierra; ofr. laaia, I, 6; IX» 12, 18. Oe-
rem. U, 80.
V. 40-68. Frofeaia di OunUma, Come
Carlo Martello, anche Conissa termina
U sw> ragionamento con nna profesia di
proeilmo edagore delle native contrade,
alludendo alle stragi sofferto dai Pado-
Taai, alla morto violenta di Biooardo da
Camino, alla perfidia e erodéltà del ve-
aeoTo di Feltro. Cfr. Mercuri, Nuopiaitna
epiegoHmté del TeneUo del O. IX delPar.
« Matoelofia, • eoo. Soma, 1868. Todeeehi-
ni, SeritU §u D,, 1, 166 eseg. ZanMa, Di
FerreUf dt^ FerreU, Vtoensa, 1861. ^vid.
in Danis e Padova, 263 e eeg. Lampertieo
in DamieeVieema, 41 e aeg. tlftud,. Detta
interpreL della Unt. i6nel O. IX da Par.
Venesia, 1870. €floria. Intorno al pasto
deUaD, (7. •Matoetojla» »«oo. Pad., 1860,
FIfued., Ulteriori eontideraz., eoo., ibid.«
1870. Élfved,, Un errore netta edii, detta
D. O., ibid., 1886. Tommaseo néXV Areh.
etor, ital, XII 0870), 174 e seg. Ferreto
Vieent. in Murai,, Seript, X, 1065 e seg.
Atb, Mueeato in Murat., 8er^, X, 865 e
seg.; 411 e seg. G, VOL, IX. 14, 68, 80.
46. MA TOSTO: i più intorpretsoo: Ma
presto accadrà ohe i Padovani, per esser
erudi al dovere, cioè ostinati contro la
giastisia, cangeranno in rosse, fiffsnno
sangoigne le acqoe del palode ohe il Bao-
chi^ione forma presso Vicen8a.-Jf«re«ri;
« I Padovani devieranno le acqoe del Bao-
ohigUone rompendo le dighe come fecero
per innondare Vicensa a motivo ohe le
genti, cioè i guelfi padovani, sono erodi e
restii ai dovere, oioè alla soggeslone ad
Arrigo VII ed al eoo Vicario Cane della
Scala. »- 0iorta.*«Prestoaocadràohei Pa-
doTani cangino al Palode di Brosegana,
con la sostitosione dell' acqoa del Brento,
r acqoa del Baoohiglkme, per continaare
la goerra, oioè per non essere costretti
daUa mancansa dell'aoqoa a venire a pace
00* Vicentini. > Cf. OonuLipe. III. 228 e seg.
40. DOYB : a Treviso, dove si congion-
gono insieme i doe fiomi Sile e Cagnano.
60. TAL : Bissardo da Camino, figlio del
buon Gherardo {Purg, XVI, 124), coi soc-
cesse nel Capitanato di Trevigi, avendo
esiandio l'officio di Vioario imperiale. Fo
ocoiso proditoriamento il 5 aprile 1812,
mentre giocava agli scacchi. Cfr. Ferret.
Vieent, in Murat., Seript. XII, 783 e seg.
e. B. Bambaldi, Dante e Trevigi, 24 e seg.
61. CABPIB : prendere. - ragna : reto dtk
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784 [OIBLO TBBZO]
Pab. IX. 52-65
[PBORZU]
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Piangerà Feltro ancora la difBalta
Dell'empio ano pastor, che sarà sconcia
Si, che per simil non s' entrò in Malta.
Troppo sarebbe larga la bigoncia
Ohe ricevesse il sangue ferrarese,
E stanco chi il pesasse ad oncia ad oncia,
Ohe donerà questo prete cortese, «
Per mostrarsi di parte; e cotai doni
Oonformi fieno al viver del paese.
Su sono specchi (voi dicete Troni)
Onde rifolge a noi Dio giudicante,
Si che questi parlar ne paion buoni »
Qui si tacette; e fecèmi sembiante
Ohe fosse ad altro vòlta, per la rota
oooelUre. Già si ita Ikoendo ìtk reto per
pigliArio, doè si oonginrm per Qodderlo.
62. DIFTALTA: oolpA, nuuuMuneiito di
IMe, tradimento ; ofir. Pwrg, XXVni, M.
58. rjkSTOB: Alessandro Korello, re-
sooTO di Feltre dal 1296 al 1830, il quale
nel loglio del 1814 feoe prendere e conse-
gnare alonni foorosoiti ferraresi ripara-
tisi presso di lai, ohe ftarono decapitati.
Cfr. Oom. Lift, lU. 225 e seg.
64. si ; questa di/aita sarà tanto enor-
me, che mai per delitto ai orrendo alonn
malfattore entrò in MàUa, prigione pres-
so il lago di Bolsena, come ritennero i
più, o, come rollerò altri, di Viterbo, o,
come altri sostennero, di Cittadella, edi-
ficata da Sssellno III. Cfr. Murat., An-
tiq. IV, 118». OrioU, La prigione Mal-
ta pretto D. in Spighe e PagUt, Corfli,
1844; I, 82 e B^. Oiampiin Arti e Let-
tore, 52. Oom. Upt, in, 227. F. dan.
La MaUa dantetea, Torino, 1894. Batt,
p. 296 e seg. Nopak in Oiom. tL d, l.
il., XXIV, 804. Dopo le osserradoni di
qoesti tre nltimi, e In Ispeoie del Oian,
pare da preferirsi seni* altro la prima
interpretadone.
68. CHX: il qoal sangue. - oobtese:
Terso parte gaelfe. Ironia tremenda.
50. PABTE: guelfe.
60. AL YiVKB: al costumi de* Feltrinl,
gente sleale e sanguinaria.
61. su : nell' Bmpireo. - SPBCCHi : intel-
Ugense celesti, ohe come specchi ricevono
la luce immediatamente da Dio e la riflet-
tono aUe altre creature. - Tnoin : inteUi-
geose motrici del dolo di Venere; ofr.
Par. XXVm, 104. Omt. II, 6. OMos. I.
16. Thom. Aq., Sum. tkooL I, 108, 5, 6.
62. ONDI: cfr. Par. XIX, 28 e seg. -
oiUDXGAHTi! cfr. Soim. IX, 5.
68. Qunn PABLAB i queste mie predi-
doni. - BUONI; « sapendo noi esser Tari,
perchè ogni ooea Tera è buona, come ogni
felsa è rea »; FsO. - « 81 che queste parols
non sono calunniatrid ; ma sono piene di
Terità, perchè le abbiamo lette nel tribu-
nale di Dio, oh' è per gindiearle »; AM&.
V. 64-108. Woico da MaraigUou SI fe
aTanti un' aìtr* anima e parla al Poeta.
CiroosoriTe la sua dttà nataUda e d no-
mina con una modestia che fe bel con-
trasto al Tanto datole da Cuniaaa. Con-
fessa di essere soggiadnto in Tlta ali* in-
fluensa di Venere, passando sotto aUensio
le atrod cruddtà commesse oonke gfi
Albiged. È Folco, o Fdchetto da Ifaid-
glia, troTatore prOTonaale delU 2* mela
dd scodo xn, che lasdò U mondo per
ferd monaco e nd 1205 fu detioTseooTO
di Tolosa, « feroce tcscoto, collegato ai
erodati die andavano a distruggere la
sua porera patria» (BartoH, LotL HaL, \
II, 23). Mori nd 1281. Cfe. Diot^Loboml
und Worke der Trovò., 284-251. PialscA.
Biogr. d. Troub.,Folqvet v. MormiOt^Bef
Uno, ISia.RokrbaOM', Stor. Btol., ttb. 71.
64. FBCEMi: mi dimostrò di riTolgerd
ad dtro pensiero, lasciando di eoiiTen
meco e seguitando ad aggirard od nH»ta
dell' astro siccome diand, sansa toroexti
a me. Cfr. XV- IX* 101 e seg.
65. BOTAt oerohio di anime beatst età
Par. X, 145) XIV, 20} XXV. UT. J
Googk I
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[CIELO TEBZO] PAB. IX. 66-86 [FOLCO DÀ UABStQLIA] 785
In che si mise, oom' era davante.
67 L' altra letizia, che m' era già nota
Preclara cosa, mi si fece in vista,
Qoal fin balascio in che lo sol percota.
70 Per letiziar lassù falgor s* acquista,
Si come riso qui; ma giù s'abbuia
L'ombra di fuor, come la mente è trista.
73 « Dio vede tutto, e tuo voler s' inluia, »
Diss' io, « beato spirto, si, che nulla
Voglia di sé a te puote esser fuia.
76 Dunque la voce tua, che il ciel trastulla
Sempre col canto di quei fuochi pii
Ohe di sei ali fannosi cuculia,
7» Perchè non satisface ai miei disii ?
Già non attenderei io tua domanda,
S' io m' intuassi, come tu t' immii. »
82 « La maggior valle in che l' acqua si spanda »
Incominciare allor le sue parole,
« Fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
g5 Tra discordanti liti, centra il sole
Tanto sen va, che fa meridiano
66. DAVAHTS : ofr. Far, VIU» 16 e aeg. 108) XX, 84; XXU, 46; XXIV, 81; XXV,
67. LBTiziA : Miima lieto, perchè beato. 87, 121. Saìm, Cm, 4.
- MOTA : dellA quale lo sapera già, per le 78. bu au : « Seraphim stobant snper
pande di Cimiisa r. 87 e teg., ohe era illod: sex al» ani et sex ale alteri : dna*
persona di preclara Cuna, qaantnnqoe boa velabant fadem eina, et doaboa ve-
lo non aapeeal anoora ohi ibtae. labant pedes eina, et doabns Tolabant»;
69. BALAflao: ^ecie di nibino: ofr. Ifoia VI, 2. - FAiniosi cuculla : ai am-
Ovid,, Mei, n, 108 e teg. FuM, Morg, mantano di sei ali. Oueuìla, dal lat. eu-
XrV, 46. cuUut, lo atesso ohe eocoUa, Par, XXII,
71. QUI : in questo mondo. Kel Paradiso 77, sopravveste, o toga monacale.
ìm letlsia ti manifesto col crescere dello 78. disii : di sapere chi tn sei.
•plcndore, come in terra col riso; cfr. 81. m'intuabbi: se lo vedessi 1 tool
Par, T, 126 ; XXVII, 4 ; XXX, 40. Oonv, pensieri come to vedi 1 miei ; s' io mi
HI, 8. -GIÙ t nell' Inferno, dove le anime potessi trasfondere in te e penetrar la
dot dannati si fimno tanto più escare, toa mento, come tn ti trasfondi in me
qoAnto più sono tristo e dolenti. e penetri la mento mia.
78. B'iirLUiA: si profonda colla medi- 82. vallb: il Mediterraneo, U mag-
tadone in Ini. giore dei mari intomi, in coi si versa
75. DI 8È: ooai che nessun volere pad l' acqoa dell'Oceano.
eaaertl oelato. - futa: cfr. Ir^, Xn, 80. 84. mab: Oceano. - iif ohiulanda : cir-
Purg, XXXIII, 44. Kon paò esser ladra oonda ; cfr. Ir\f. XIV, 10. Purg. XHI, 81.
di sé, doè non ti si pnò occoltare. Cfr. 86. un: dell'Europa e dell'Attica; cfr.
Oom, JJ^. Ili, 280 e seg. Virg., Aen, IV, 628. - oontba: da ocoi-
76. TBA8TULLA: diletto, oautando sem- dento ad oriento; cfr. Par, VI, 2.
pre OMwma insieme coi Serafini ; confr. 86. fa mkkidiaho : si estonde tanto da
fVir. Vm, 26 e seg. ocddento ad oriento che quel cerchio, il
77. FUOCHI: Serafini; cfr. Par. XVIII, quale da principio gli fs da ^riseonte,
50. — . ZMv. Omm»., 4» edis. oigitized by GoOglc
786 [CIBLO TBBZO] PAB. IX. 87-101 [FOLCO DÀ MAB816LI1]
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Là dove V orizzonte pria far suole*
Di quella valle fu' io littorano
Tra Ebro e Magra, che, per cammin eorto,
Lo Genovese parte dal Toscano.
Ad un occaso quasi e ad un orto
Buggea siede e la terra ond'io fui,
Che fé' del sangue suo già caldo il porto.
Folco mi disse quella gente, a cui
Fu noto il nome mio; e questo cielo
Di me s'impronta, com'io feì di lui ;
Che più non arse la figlia di Belo,
Noiando ed a Sicheo ed a Greusa,
Di me, infin che si convenne al pelo;
Né quella Eodopeia che delusa
Fu da Demofoonte, nò Alcide,
dÌ7l«ne poi il «no meridiano. « Ckm tatto
ohe il Medltemaeo si eatenda dall'oreet
ali* eet per soli 42 gradi di longitodine,
nondimeno al tempo del Poeta dall' una
all' altra estremità di questo mare si am-
metteva droa un quadrante (ohe sarebbe
il quadrante di G^emsalemme), o circa 90
gradi.... Dante sbagliò, e con lui sbaglia-
rono gli astronomi ed i geografi del suo
tempo »; DéUaYaUe. Seoondoaltri, Dante
▼noi dire ohe in certo drooetanze all'estro*
mo orientale è meosodi, quando spunta 11
sole per l' estremo occidentale del Medi-
terraneo. Cfr. Della Valle. Seneo, lOS-
110. JE^ued., Suppl., 46-48. Penta, Opp,
9u D., 226 e seg. AniUmeUi, Studi par'
HeolaH, 29-86. Oavemi, La Seuda, I,
176 e seg. Mariani, La D. (7. eepoeta al
giovinetto, 270 e seg.
88. UTTOEAHO: rivierasoo; nacqui e
▼issi sui lido di quel mare.
89. Magra: piccolo fiume che in an-
tico ser^i^a di confine tra rBtruria e
la Liguria. - cobto: la Magra ha un
corso di 64 km. dal nord al sud. Mar-
siglia è in messo tra la Magra e l'Bbro.
90. PARTI: divide.
91. QUASI: Buggea, (Bugia, dttà ma-
rittima dell' Aiirica settentrionale in Al-
geria) è posto quasi sullo stesso meri-
diano su cui è mia terra natica. « B, da
Tolomeo sapendosi ohe Maniglia e B%^
già diflerlsoono appena di due gradi e
messo, oon quell'elemento geometrico re-
sto e^identomento additoto MarHglia »;
AnUmem. ^
93. CHE n* : aUode alla strage de'Mar*
sigUed flstto da Bruto, quando per or-
dine di Cesara espugnò la loro città ; cfr.
Om., BeU. eiio. IL, 4-6. Luean,, Phetre.
UI, 671 e seg.
95. FU NOTO: Cunissa esalto U Cuna
di Folohetto come duratura (▼. 37 e
seg.); egli parla invece di so come di
persona la cui fkma rimase entro angu-
sti limiti ed è già pressoché spente.
96. 8' IMPEKHTA : s' impronto dell* mia
luce, come io in rtta m'improntai di luì,
sentii il suo influsso. « Kel mondo segui-
tai i* influensia di questo pianeto, TiTea-
do amoroso: ora torna la loda del mio
▼irera a la ▼irtù Infbrmattva di questo
ptaneto»; BuH.
97. ARSE : cfr. Virg., Aen. JY, 2, 68, 101.
- FIGUA: Didone; cfr. Virg,, Aen, 1, 631.
98. KOIANDO: fìbcendo dispiacere; cfr.
If^. XXTQ, 16. Purg, IX, 87. Bidone
era ▼edova di Sicheo; Bnea vedovo di
Crousa ; cfr. Virg,, Aan. 1, 720 e seg.; IT,
662. JV. V, 62. De Mon, H, 8.
09. AL PRLO: all'età giovanile.
100. BODOPiiA : Fillide. figlia di Sttone
re della Trada, la quale abitova preaso
il monto Bodope, onde il suo soprannome.
Fu amato da DemoftHmto, ohe giurò di
sposarla. Ma avendo prima dovuto anda-
re in Atene sua patria, nò essendo ritor-
nato al tempo stobOito, FOÌlde s' imidcoò
ad un àlbero e fb trastormato in man-
dorlo; cfr. Ovid,, Heroid^lLVirg., JBeleg.
y, 10. - DELUSA t cfr. Virg,, Aen, I, 352.
ipi. pEMOPOQiffTR : fl^o di Teaeo e di
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PlB. IX. 102-111 [FOLCO DÀ MABSIOLU] 787
103
106
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Qoando Iole nel cor ebbe rìnohiiisa.
Non però qui si pente, ma si rìde,
Non della colpa, eh' a mente non torna,
Ma del Valore ch'ordinò e provvide.
Qai si rimira nell'arte che adoma
Con tanto affetto, e discemesi il bene
Per che al mondo di su qnel di giù toma.
Ma perchò le tue voglie tntte piene
Ten porti, che son nate in qnesta spenti
Procedere ancor oltre mi conviene.
Vedn, re di Atene; efr. Hom., II. HI,
liA e aef. - Alcidk : Broole, il quale, ar-
dendo di amore per Iole, figlia di Borito
re di Tessaglia, e Tolendo eposaria, eo*
dtò la geloda di Deianira sua moglie,
ohe gli diede la camicia di Keeso, onde
egli mori ; ofr. It^. Xn, 67 e seg. Otid,,
Md. IZ, 184-228. HMToid, IX, 5 e seg.
108. HOH rasò : in Paradiso non hanno
luogo i dolori del pentimento, anzi i beati
si raUegrano della divina virth, la quale
dispose ohe fossero soggetti agi' infiossi
de' dell e provvide alla loro salote; efr.
V. S4e seg. -Bi bidè: ofir. ScUrn. CXXV, 2.
104. KO!f TOBNA : ossendono spenta la
nemoria in Leto ; etr. Purg, XXVIII,
187 e seg., XXXIII, 01 e seg. Al.: « Non
vi si pensa più. » Ila né l'una né l'altra
interpretasione basta a sciogliere saffi-
deatemeoie la difficoltà, che Fdohetto
H riecrda della soa colpa e vi jmua,
poiché la mensiona. MegUo adonqaet
Kon toma a mente e<nȎ eolpa, essendo
da Dio perdonata.
105. Valore: divino. - ordinò: l'in-
fiusasa sn noi eserdtata da questo cielo.
- rBovvunt! all'eterna nostra salote.
« Ordina vit in me charitatem»; CàtU,
Otntic. II. 4.
107. OOH TAICTO AFFITTO t Al. COTAHTO
xnvno. - m ducerrisi t « e conosoesl
chiaramente il beneficio che la stella di
Venere (il mondo di so) fti influendo sulla
terra (sul mondo di giù) »; Betti,
108. AL MOVDO: Al. IL MONDO. Qui nel
Psndiso si considera e vede addentro
nell'arte del Creatore ohe con tanto amo-
ve ogni cosa adoma; e qui si riconosce
il ilne ultimo dell'amore, cioè il Sommo
Bene, che rieondnoe le anime dalla terra
al delo, loro yera patria. Cosi Dan.,
fUtU., eco. L' interpretadone i^ù comu-
ne è xiaasuiita dall' AfMir. ooUe parole :
« Qui si oontempla il divin magistero
ohe abbeUa questa grand' opera della
sua creasione, e si conosce il buon fine,
la sapiente prowidensa per cui il mondo
di su (cioè 1 deli) . infiuendo sue virtà nel
mondo di giù, viene in oerto modo a ri-
solverd in questo, riducendolo a sua si-
militudine.» I10i>m.: «B valore divino
e la divina provvidenza ordine, come in
fine ottimamente inteso da Dio, gì' In-
flusd amorod di questa stella alla pro-
pagadone ordinata del genere umano,
quantunque prevedesse, che per propria
rea volontà, molti avrebbero trascorsi i
limiti delle divine leggi che nella società
coniugale restringevano sapientemente
le animali tendense. Dalle anime qui
beate d rimira l'arte divina che prov-
vide in tal modo alla molttplicasione
degli uomini, e il bene che deriva dal
supremo movimento dd deli alle cose
inferiori. » Cfr. Obm. Lip$. lU, 288-288.
V. 109-128. Baab, laprtmt» §altfata
tra U animte «M termo eièlo, Folchetto,
ohe oonoece i ponderi di Dante, conti-
nua: « Voglio appagare tutte le brame
che dentro di questa stella sonod in te
eodtate. Tu desideri sapere qual anima
è dentro di questo splendore ohe qui a
me vidno fiammeggia come raggio in
acqua limpida. È Baab, la meretrice di
(Serico ohe nascose e salvò gli esplora-
tori della terra promessa, mandati da
Giosuè (ofIr. Qiotuè, II, 1-24; VI, 17-25.
Ebrei, XI, 81. Qioó. n, 25). Fu accolta
in questo delo prima di ogni altr* anima
salvata da Cristo, in premio di aver fa-
vorito la prima impresa di Giosuè in
quella terra promessa, della quale il
papa poco d rloorda.
109 PiBCUft: aflinchè dano soddisftitti
tutti i tuoi dedderii, nati in questo cielo
di Venere. ^ i
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788 [ciBLO TERZO] Pab. iz. 112-128
[BAIB]
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134
127
Tu vuoi saper chi è in qnesta Inmieitti
Che qui appresso me cosi scintilla,
Oome raggio di sole in acqua mera.
Or sappi ohe là entro si tranquilla
Baab ; ed a nostr* ordine conginntai
Di lei nel sommo grado si sigilla.
Da qnesto cielo, in coi l'ombra s'appmita
Che il vostro mondo face, pria eh' altr* alma
Del trionfo di Cristo fn assunta.
Ben si convenne lei lasciar per palma
In alcon cielo dell'alta vittoria,
Che s'acquistò con l'una e l'altra palma,
Perch'olla favore la prima gloria
Di Qiosuò in su la Terra Santa,
Che poco tocca al papa la memoria.
La tua città, che di colui ò pianta
Che pria volse le spalle al suo Fattore,
118. SCIHTILLA : ofr. Yf/rg., Am.Vn, 9.
114. MKiU.: limpida ; ofr.OvM., Ari. am.
II, 721. IautH., Ber, nat. IV, 212 e «òg.
116. 81 tramquillà: gode 1» beatlto-
dinedeUapM6etenia.Cfr.ilti^., Olv, Dei,
XIX. 13. Tkom,Aq„aum.thMlSl,u, 29-2.
116. OBDliiB: e oongiont» al nostro
ooro, M8o«' impronte dello «plondore di
lei ohe è nel più eminente grado di bea-
titudine. Cfr. Thom, Aq., 8wm, theol, I,
108. 8.
118. s'appumta: flniaoe a pnnta. Se-
condo t'aatronomia del tempo, nel olelodl
Venere termina oon la ana pnnte il oono
ombroso che fa la terra, quando il ade
la illamina nella ana parte inferiore.
120. TBIOHPO : cfr. I^f. IV, 46-63. Par.
XXUI. ISeaeg.Tftom. Aq., Sum, th«ol.
in. 62, 6.
121. PALMA: segnale.
122. YiTTOEiA t riportate da Giosuè oon
la presa di Gerico.
123. OON L*UNA: colle mani giunto,
cioè colla preghiera; cAr. EoeXs». XLVT,
1-8. Purg, Vni, 10. 1 più intendono ohe
Raab aia poste come segno della vittoria
di Cristo; ma e tutto quanto le altre anime
beato, di qual Tittoria sono segno f B se-
oondoqnal mai sistemadommi^ioo riporto
Cristo l'otta friUorim «oon l'una e l'altra
pahna »t TntU i beati sono paXme della
▼ittoriadi Cristo i ma Baab è nelio stesso
tempo palma della vittoria di Giosnè,
aoquistote « in toUendo manna «nas»;
£oeì4». XLVI. 8.
124. FAVOKÒ: ikvoTÌ.- OLOaiA: acqui-
state coli* espngnasione di Garioo (cfr.
Giotmè, VI, 1-27), ohe fb il primo fii^
d'arme di Giosuè in Terra Santa.
126. CHB FOGO t la qual Terra Sante
poco ste nella mento del papa, « aoilicet
Bonifeeii, qui tono sedebat et fiusiebak
guerram onm ohrlatianis, non enm sara-
oenis[ofr. JV.XXVII,86eseg.]; atta-
men debnisset flusere bellnm oam aaraos"
nis, quia habebat tnnc materlam »; Ben».
V.127-1Ì2. L'avarimiuOaipréUUL
Dal cenno Iktto di Terra Santa, alla
quale il papa non pensa, prende il Po^
occasione cU inveire contro l'alto doro,
intento solo a cosa mondane. Virense,
Ikbbrioate dal demonio, conia e dif-
fonde il fiorino d' oro, che ha disvteto
tutto il mondo e trasformato i paatoil in
lupi avidi e rapaci. Per amor del flortn
d'oro si negligono i buoni studi, e si eeroa-
no gli stedl luerosL Per esso papa a cardi-
naliatutt'altvo pensano ohe al riacquisto
di Terra Sante. Ma Roma e la Chiesa sa-
ranno presto liberato da tale adulterio.
127. PIASTA : fondate dal diavolo. Har-
to, patrono di Firanse {hi/, XUI, 144
e seg.), era per i SS. Padri un demonio
oome tutto le altre divinite pagane; cfr.
I Oor. X, 20.
138. pjtu : eha fti il primo libsile aPtiDv
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tonCLO tEBZO]
Pae. IX. 129-142
tivAfti^tA] 789
130
las
U6
189
142
E di cai è la invidia tanto pianta.
Produce e spande il maladetto fiore
C'ha disviate le pecore e gli agni,
Però che fatto ha lapo del pastore.
Per questo l' Evangelio e i Dottor magni
Son derelitti; e solo ai Decretali
Si studia, si che pare ai lor vivagni.
A questo intende il papa e i cardinali:
Non vanno i lor pensier a Nazzarette,
L^ dove GFabriello aperse l' ali.
Ma Vaticano e l'altre parti elette
Di Roma, che son state cimiterìo
Alla milizia che Pietro seguette,
Tosto libere fien dell'adultèrio. »
129. B DI CUI : e 1» oal invidia fti cagione
di tatte le miaeile e oonaegnentemente di
tutti i pianti del genere ornano. - tanto
nAiTA: AL TUTTA QUAHTA. Qran yen-
tnra, aeil diaToloaveeeetattaqnantarin-
▼idia \ Sirentantamente ne hanno anche
gli nomini la lor buona parte. Ct Ir\f. I,
IH; VI. 74. Jfoor», OHt., 453 e eeg.
180. MALADRTO : per gli eflbtti trletl
ohe predace. - fiobb : fiorino d'oro, coii
ohiaaaato dal giglio ohe vi è improntato.
Cfr. ff.FiO. VI, 68. «2; IX, 171, 278.
131. AGHI : agnelli ; confr. Par. IV, 4.
QUn. XXI, 16-17. «li grandi e U pio-
188. PBB QUESTO : per amor del fiorino
d'oro. - Dottor maghi : i Santi Padri.
184. Dmsitau: le coetitoslont del papi
ed il Diritto canonico in genere ; ttt. IH
Jfoa. UI, 3. Sp, Oirdifi. BaU, 7.
186. TiTAONi: margini, nntl e oonaa<
mett (Bmmt., (hm,, ecc.), o plottoeto pieni
wppl di chiose e di annotasioni. « Ore-
gorio IX fìBce compilare i primi dnqne
Uhri delle IHer^taU da Raimondo di Pen-
aafort nel 1284. Bonitesio VIU re ne ag-
gianae un sesto libro. Le Deentali intro-
dasieronDOTo sistema di disciplina, nnite
sll'ignoransa e miseria dei tempi. » Xo-
ni. Otr.JStnrieus Card. Oitisnsis, Sut»-
SM tup. tu. Dteretta., 4 e seg.
186. A QUESTO : allo stadio lucroso delle
Bttsretsli oppnre al maladttto flore.
187. A Kazzahittb ! dorè Cristo nac-
que povero ed amile. Pone qui la parto
per U tatto, Tdendo dire : Kon pensano
al riacquisto di Terra Santo.
188. Oabbixllo : cfr. Luca, I, 26 e
ssg. Pwrg. X, 84. Par. IV, 47. - afkbsb
l'au : drixKò 11 volo per recare alla Ver-
gine Maria il grande annansio.
182. BLCTTB:da DÌO; ot Inf. II, 22 e seg.
141. MiuziA : ai martiri ed al santi che
ssgoirono l'esempio di S. Pietro; oppu-
re : ai papi, saccessori di S. Pietro.
142. adultèrio ! dal mal governo del
papi t cfr. Inf. XIX, 1 e seg. AI. adul-
Tteo, forma osato antlcamento anche
in prosa. Secondo alcuni, il Poeto allu-
de in questo passo alla morto di Bonifa*
sio VIII, avrenota nel 1803 ; OU.., Oau.,
Bénv.,8errav,Land., Qreg.^ Oom, ecc.);
secondo altri, al trasferimento della Sede
pontificia in Aylgnone per Clemente V
{BuH, Lotnb., Bennoit., WitU, ecc.); se-
condo altri, alla discosa di Arrigo VII
imperatore, che venne a dar sesto alle
cose d' Itolla (VeU., Vtnt., Frane., eoe.).
Probabilmento Danto esprime anche qui,
come tanto volto nel suo poema (cfr. In/*.
1, 100 eseg.P^iM^.XX, 18 e seg.; XXXIII,
48 e seg., ecc.), la speransa indetorminata
In un fatoro Uberatore d'Italia e riforma-
tore del mondo. Così Tom., Br. B., Ftat.,
Andr,, Cam., eco. Vedi pare B%ue.-Cam.,
i»tMiai>ane.,edi8. del 1894, p. 238 e seg.
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790 [ciBLO quarto]
pAk. 1. 1-6
tCBBASlOHBl
CANTO DECIMO
CIELO QUABTO O DEL SOLE
DOTTOBI IN FILOSOFIA E TEOLOGIA
DIO SUPREMO ARTEFICE, ORDINE DELLA CREAZIONE
SALITA AL QUARTO CIELO, SPIRITI SAPIENTI
TEOLOGI E FILOSOFI SCOLASTICI ED ANTICHI
Ghiardando nel suo Figlio con l'Amore
Che l'nno e l'altro etemalmente spira,
Lo primo ed ineffabile Valore
Quanto per mente o per loco si gira
Con tanto ordine fé', eh' esser non puote
Senza gustar di Lui chi ciò rimira'.
y. 1-6. Im ereatdone, Operm della dh
Tina intelligensa e dell'eterno amore,
rnnirerso fta creato dal Padre per il Fi-
glio nello Spirito Santo. Lo primo ed intf-
/abUe Valore^ ciò Dio Padre, che ha la
virtù creatrice da eè, guardando nel di-
vin Figlinolo, che è la Sapiensa, il Pen-
niero, il Verbo del Padre, e prendendo da
lai la norma del creare insieme coli' Amo-
re, cioè collo Spirito Santo, il qaale con
etema spimzione procede dall'uno e dal-
l'altro, fece il Tiaibile e l' invisibile con
tanto ordine, che chinnqoe lo consideri,
non paò non assaggiare alcun che della
li^rande^sa di Dio. Cfr. Oian^niUari, Or-
dine deU'univ. in ProieJlorent.Il, 84-54.
1 . GUABDAHDO: DÌO i l Padre creò il mon-
do mediante il Figlio ; cfìr. Oiov. I, 3, 10.
Oolos. 1, 10. Ebreil, 2, Thom. Aq., 8um,
theol. I, 45, «. Oom. Lipe. HI, 246 e seg.
2. l' uno B l'altbo: lo Spirito Santo
procede dal Padre e dal Figlio ; cfr.^tf^.,
I>e Triti. IV, 20; V, 11, 14, 15. TKom. Aq.,
Sum, theol. 1, 80, 4.
4. p«R LOCO: Al. PEB L'OCCHIO; cfr.
Moore, OrU., 464 e seg. « InteUettlva-
mente o localmente »j OU,
6. GUSTAR: senu prender gatto.-
Lui: di qael valore primo ed ineflkWk
che fece ogni cosa con ordine si meravi-
glioso.
V. 7-27. Ord*M€ della ereamioné,
« C inviU il Poeta a levar seco la vieta
alle sfere saperiori e appanto a quella
parte dove peronotonsi i dna movimenti
opposti, il diano o equatoriale da le-
vante a ponente, e il planetario o aodia-
oale da ponente a levante; e per tal mo-
do fissa la nostra atteniione ai ponti
eqainosiali, ove lo scontro, per la oppo-
sisione de'dne moti, si fa. Da quel ponti
vuole che abbia principio la noatra oen-
sideradone rispetto all'arte del divino
Maestro nell'arohitettara del mondo; ti
viene ricordando come da esso diramasi
l'obliquo cerchio ohe porta 1 pianeti, doè
lo sodlaoo.... Passa indi a ùatì ammirare
l'altissima importansa, che qoeUa sona
sia obliqua, e di quella determinata oUi-
quità ch'ella ha rispetto all'equatore, e
al movimento dell'alte spere; aocennaa-
do con rettissimo giudisioaUe inMiel eim-
disioni in cui saremmo quaggiù se quella
strada planetaria o nim fosse tolta, oiba-
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[cielo quabto]
Pàe. X. t-22
[CBBAZlONl] ìiì
10
13
16
19
Leva dunque, lettor, all' alte rote
Meco la vista, dritto a quella parte
Dove Pun moto e l'altro si percote;
E 11 comincia a vagheggiar nelP arte
Di quel Maestro, éhe dentro a so l'ama
Tanto, che mai da lei l' occhio non parte.
Vedi come da indi si dirama
L' obliquo cerchio che i pianeti porta,
Per satisfare al mondo che li chiama :
£ se la strada lor non fosse torta,
Molta virtù nel ciel sarebbe invano,
£ quasi ogni potenza quaggiù morta;
E se dal dritto più o men lontano
Fosse il partire, assai sarebbe manco
E giù e su dell' ordine mondano.
Or ti riman, lettor, sopra il tuo banco.
■e più o meno di quel oh' di* è. » AnUh
nsOL Cfr. Oom, Lipt. UI, 247.
7. BOTI] sfere eelesti } ofr. Purg. vm,
18; XI, 8«; XIZ, 08; XXIV.88;XXX«
100. Pmt. I, 04» 70; rV, 58; VI. 130, eoo.
Bo0i., 0»n»,phiL in, pr. 8.
0. DOTS: a quel punto del delo, dorè
r eqoAtoie e lo sodlaoo ■* inoroeioohijmo,
nel quel ponto 11 eole arriya negli eqol-
nodL - ■ L'ALTBO : Al. all'altro. « Ao-
oemift al dlTorto mnoTeni dell' equatore
e del sodiaoo, TogUo dire al moto del delo
stellato da oriente in ooddente; il quale
è naeaimo all'equatore ; ed all'altro moto
dei pianeti eoi lodiaoo yerso l'ano e l' al-
tro polo andando obliqnamente eempre
YOTBO all' oriente >; Fonia.
11. Masbtbo: Dio; efr. I>0 Jfon. n. 2.
-l'ama: Dio ama tanto il proprio magi-
stero, serbato da Lai nella sua idea, che
sempre lo mira con oompiaoensa, e mal
non lera da esso lo sguardo. Sotto questo
simbolo è signifloata la prorrldenu oon-
serratrioe, necessaria quanto l'arte mo-
trloe dell'universo; cfr. Par, XXXIII,
134eseg.
13. DA nnn : dal droolo dell' equatore
- SI DiBAMA ! esce da esso oome il ramo
dell* albero. « Con altexsa di concetto*
giusta lo stato dell'astronomia di quel
tempo, manifesta il suo penderò droa
la ragione per la quale da questa obli-
qua sona sono portati i pianeti, suppo-
nendola nella eonveniensa di soddisfare
al mondo che li chiama, doè alla terra,
e a dò ohe tìto sulla superflde di lei,
creduto abbisognare ddle influense rarie
che a qud corpi celesti, in qndla inrersa
diredone recati in giro, d attribuivano»;
AMUmetU, Cfr. Oom. IAp§. UI, 247.
10. STRADA : lo todiaco. - torta : obli-
qua, cfr. Ovid., Met, II, 180. « Se il Zo-
diaco non fosse obliquo, doò se il sole e
i pianeti (nell' antico sistema) tenessero
sempre la stessa strada, non d sareb-
bero le Tarlo stagioni, e gli influssi dd
Tari pianeti non si diflTonderebbero in
tempi diverd egualmente di qua e di là
dell'Equatore»; Oom,
18. MORTA : « non sarebbe quaggiù gè-
neradone, nò vita d'animde e di piante;
notte non sarebbe, nò dì, nò settimana,
nò mese, nò anno; ma tutto l'universo
sarebbe disordinato »; Oonv, II, 16.
19. DAL DRITTO: Al. DA DRITTO; SO lo
Zodiaco d allontanasse più, o meno, dal-
l' equatore.
20. IL PARTIRB : cfr. Oonv, n, 8. - MAH-
00 : mancante, imperfetto.
21. GIÙ R su : nd due emisferi terrestri,
tra i quali il sole continuamente sale e
discende; cod Dan., Onvemi, Mariot-
ti, ecc. I più : In terra e in delo (Lon.,
OU., An. Fior., Bono., BuU, Land., TeU.,
Vont., Lomb., Biag., Br.B., Tom., Frat,,
Qreg., Andr., Bonnat., Ponta,Ant.,9oe,).
22. TI R1MAK t raccogliti in silendo, e
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Ì92 [CULO QITIBTOJ PàM. X. ÌMIÌ
(salitaI
2S
28
ti
ti
t7
Dietro pensando a ciò ohe si preliba,
8' esser vaoi lieto assai prima che stanco.
Messo t'ho innanzi; ornai per te ti ciba I
Che a sA torce tntta la mia cura
Quella materia ond' io son fatto scriba*
Lo ministro maggior della natura,
Che del valor del cielo il mondo impronta,
£ col suo lame il tempo ne misora,
Con qnella parte che sa si rammenta
CongiantOy si girava per le spire
In che più tosto ognora s* appresenta ;
Ed io era con lai : ma del salire
Non m'accors'io, se non com'aom s'accorge,
Anzi il primo pensier, del sao venire.
È Beatrice quella che d scorge
2t. n FUUBA: d dà qui solaoMiite
nn pleoolo mgglio, un anttpMto.
t4. LISTO :« qiiMl diflftt : quuDTit labor
hQiafl inrettigattonto alt miadiniM, tamen
tanto art deleetatio, qiiod non pennitttt
animom ùMad ; nnm eontinao mifit et
nuigii Moenditar appetitin ; nam admi'
rabUaadeleetatkiifla aA»rt inqniaftlo t»-
rltatla poientlbaa oanaas ranun oofDO-
aeere »t Benv.
26. TOBCBt Al. BITOBCB. HI ò naoeasario
pailAre di dò oba ò mio proprio aoggaito.
V. 28-«t. SaUia ai MMo del Sote.
Sansa cha Dante al aocorgeaaa del aaUra,
antarano nel Sole. ConfìBaaa di non aaper
porger nn* idea adegnata dell* interiore
del Sole, dorè le ooae d diaoemarano non
per diveraita alcuna di oolore, perohò
aplenderano dello ateaao otdore del Sole,
ma per la maggiore o minore intonaita
del loro Inme. Eaortotone da Beatriee,
Danto ringraaia Iddio eoo tonto fcrrore
di apirito, che per nn momento non pen-
aa più alla ana donna ; di che qneato ai
compiace e aento celeato letiria.
28. icnfiBTBO : il Sole, « lominare ma-
ina »; Oen, I, 16. Cfr. Dian. Areop.» De
div, nom., 4.
29. IMPRESTA ; imprime nei corpi mon<
diali a lai aottopoeti la virtù che riceve
dal cielo. Oh. Oonv, III, 14. Cane. Poteia
eh* Amor del tutto, ecc., «tr. 6.
80. mauKA : cfr. Thom. Aq,, Sttm. théol,
I. 10, 4. Ootn. IV. 2. Petr., Son. 1, », 1.
ti. PABTB: congiunto con Im coetella-
sione di Ariete. -su: r.Be aeg. di qm&-
ato canto.
t2. Bnu: « nel riatoaui Tdemaleo na-
gnlto dn Danto, H Sole andando d* «n
tropico all'altro d aggira in iagin. Qai
al accenn* al venire del Soto veno di
noi, doò dal tropico del Caprteoaao n
quello del Oaaoro, nel qnal viaggto ere-
scono a mano n mano i glond e nnaee
ognor» più toato U Sole »; (hm. Oaatt,
Oom. lÀpt. in, 250 e aeg.
84. coir LUI ! già entrato nel Sole, aeaiBn
eeaermene accorto; cfr. Thom.Ag., fktm.
fA«o<. ni, ift«^, 84. t. € Dice che in eaan
apera del Sole era venuto, mn noa ae
n* accorse del venire, al Ita in prima gha-
to; a guiaa del pensiero ^e viene nel-
Tuomo, del cui venire U penaanto non ai
accorge, mn bene il aento quando è in
lui ; li primi movimenti nmi aono in na-
stra potestade»; OtL Cfr. X. YtiU^ Si-
ma., 476. XonehetH, AppnmU, 162.
87. ft Bkatbicb: rende ragtoae del
non eaaersi accorto del suo aallre : mJ
guidava Beatrice, la quale conduce dm
un ddo ad un più alto con tanta rapi-
dita che non misura il auo moto di tn-
slasione col tempo. Al. leggono: oh (b,
ut) Beatrice, e preadendo teorgo nel aen>
so di vede, spiegano: Oh quanto dove*
eaaer lucento per sé medesima Beatrice,
che d vede passare di bene in mogHa,
Ihrd più bdla, d repentlnamento die O
tempo nd miauraf God il più degli an-
tichi. Cfr. Oom. Lipt. ni. 362 e aag.
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tCIXLO QtJlBTO]
Pah. X. 88-58
[salita] 798
40
40
49
63
5$
Di bene in meglio, si sabitainente.
Che V atto suo per tempo non si sporge.
Qoant' esser convenla da sé lucente
Quel ch'era dentro al sol, doy'io entrarmi,
Non per color, ma per lume parvente I
Perch'io lo ingegno, l'arte e l'uso chiami,
Si noi direi, che mai s'imaginasse;
Ma creder puossi, e di veder si brami !
£ se le fantasie nostre son basse
A tanta altezsa, non è maraviglia;
Che sopra il sol non fu occhio ch'andasse.
Tal era quivi la quarta famiglia
Dell'alto Padre, che sempre la sasia,
Mostrando come spira e come figlia.
£ Beatrice cominciò: «Ringrazia,
Bingrazia il Sol degli angeli, eh' a questo
Sensibil t'ha levato per sua grazia! »
Cuor di mortai non fu mai si digesto
A devozione ed a rendersi a Dio
Con tutto il suo gradir cotanto presto.
Come a quelle parole mi fec' io ;
89. BPOBGi: non d stende, non oecopa
m eerto tempo, eesendo Ittantaoeo.
40. DA BÈ: aeoa» bisogno del Sole.
41. QUBLt le anlnie beftte.-BrrKA*in:
BlentnL
49. OOLOB : quelle snime enno TisIbUi,
non perohè eoloimte dnl Sole, ma perebè
laminose entro il Sole: erano dunque più
hMenti del Sole. Cfr. DanMe, XU, t.
48. FSBCHÈ: per quanto. Inrano mi
sforaerei di deserlrere lo splendore di
quelle anime; ma se non può essere de-
soritto in modo ohe altri se lo figuri,
Wn si può credere ohe esso ò, e doTesi
desiderare di roderlo da noi In Paradiso.
40. ■ BBi non è marariglìa se l' im-
maginar nostro non può eonoeplre una
laee maggiore di qu^a del Sole, polohò
nessuno ride mai tale luoe. hm/antoiia
ò la potensa ImmaginatlTa dell'anima
ohe non può fbrmare immagfne se non
di dò ohe onde sotto i send; ma nessun
oeehk» ride mai lume maggiore del Solej
opperò all'uomo non ò possibile Imma-
ginaral luce pth Tira di quella del Sole.
Cft. AriaioUt JH An, TXL, 8, 11, 18.
49. TJLL: tanto luoentl di proprio lume,
ohe Tinoeyano il lume del Sole. - fami-
OUA : le anime beate del quarto oielo.
60. sazia; « Satiabor oum appamerit
gloria tua »; Pél. XVI, 10.
61. 00MB BPIBA: oome oò cBUmo Egli
generi il llgllo, e oome da ambedue pro-
ceda aJb aUmo lo Spirito Santo ; il mi-
stero della Trinità, noli' inteUigensa del
quale gli scolastici IkosTano oonslstere
parte deUa beatitudine; ofr. Jok, Soot,
Erig. V. 81 e seg. Fetr, Lomb. IV, 49 A.
Mueiéar., 79. Thom, Aq., 8um. theol,
III, Suppl., 93, 1. i^ftod., Chmp. th9ol.
108 e seg.
68. IL Sol: Dio, sole spirituale e intel-
ligibile ; cflC. Oonv. Ili, 18. - A qubbto :
a questo Sole sensibile.
56. DI0B8T0 : disposto. Cfr. L, V§rU,,
SimU., 200.
60. BBNDBBSi! oonfr. Inf. XXVII, 83.
(kmv. IV, 28. Cuore umano non fu mal
cosi disposto a diTOsione, né cosi pronto
a darsi a Dio con tutto U piacere suo,
oome mi ibd io allorohò ebbi udite le
parole di Beatrice» .
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794 [CIBLO QtJABTO]
Pab. X. 59-74
tlKiMs]
01
64
«7
70
73
E ri tatto il mio amore in Lai si mise,
Che Beatrice eclissò nell'obblio.
Non le dispiacqne; ma si se ne rìse.
Che lo splendor degli occhi snoi ridenti
Mia mente anita in più cose divise.
Io vidi più falgor vivi e vincenti
Far di noi centro e di so far corona,
Più dolci in vocCi che in vista Incenti.
Cosi cinger la figlia di Latona
Vedem talvolta, quando l'aere è pregno
Si, che ritenga il fil che fa la zona.
Nella corte del ciel, ond'io rivegno,
Si trovan molte gioie care e belle
Tanto, che non si posson trar del regno;
E il canto di quei lami era di quelle:
Chi non s'impenna si, che lassù voli.
60. IH Lui: in Dio.
60. BCU88Ò! fti edlaMtft— midimen-
tio«i un momento di Beatrice.
6L DISPIACQUE : di rodermi assorto nel
pensiero di gratitudine Terso Dio asegno
da non pensare più a lei. - bisb : se ne
oorapiaoqne, e sorrise di santa letisia.
62. LO SPLENDOR: il sorriso di Beatrice
fa A celeste, ohe lo splendore degli ooohi
soci ridenti disunì la mia mente, prima
unita, cioè tutta raccolta in Dio, fMon-
do si ohe io la rirolgessi anche ad al-
tre cose, cioè ansi tatto a lei, nn istante
dimentioata.
y. 64-81. Le aninte del quarto OiOo.
Appariscono gli spiriti dei dotti in divi-
nltA, totti vestiti di ardentissimo splen-
dore, secondo la sentensa scrittarale.
Daniele, XII, 8 ; ofr. Thom. Aq,, 8wn»
thsoL III, Suppl,, 96, 7. Cantano inni, la
cnl dolcessa supera il loro splendore.
Danzano circolarmente tre volte intomo
a Dsnte e Beatrice; quindi sospendono
il canto e la dansa e si fermano, pronti a
soddisfture ai desiderii del Poeta.
64. fulooe: anime fulgidissime, vin-
centi il lume del sole ; cfr. v. 40-48. - vin-
certi : «Certi [corpi] sono tanto vincenti
la purità del diafiuo, che diventano sì
raggianti, che vincono l'armoniadeiroo-
Ohio, e non si lasciano vedere sensa fa-
tica del viso »i Oonv, lU, 7.
66. OOEONA t disposti intomo a Dante e
Beatrice a modo di dieonferenaa, della
quale i due viandanti erano al centro.
« Consedere duces, et vulgi stante eero-
nasargit....Aiax>; Ovid., JM.XHI, 1-S.
66. DOLCI : piii ineffàbile del loro splen-
dore era la doloessa del loro canto; ofr.
V. 78 e seg.
67. LA FiQUA: la luna col suo alone;
ofr. Purg. XX, 131. Virg., A*n. I, 50i. I
più intendono t Cosà talvolta vediamo
una cena cingere la luna, quando raem
è pieno di vapori in modo, che ritenga
in sé i raggi luminosi ohe formano rs£>-
ne. Cofli Lomb,, P<trL, Pog., Biag., Br,
B., FroL, Frane., ecc. Altri invece, eome,
p. es., AfMir. : «Così vediamo talvolta 1*
luna cingersi di una sona, eoo. ». Cfr. X.
Yent., Simil,, 88. Mariani, La D. O, etp,
al giov., 273.
68. PEBONO: piono di vapori.
60. FIL: di luce ; cioè i raggi che for^
mano 1* alone, qui detto sona.
70. OND* IO : Al. D* OND' IO.
72. TEAE: descrivere nel nostro lin-
guaggio umano; ofr. Par. I, 6. « Non ai
possono descrivere alcuni misteri più se-
creti della gloria del Paradiso; tolu U
metafora da certe merci più rare, oome
pitture, statue, ed altri lavori di celebri
artefici, le quaU per la loro presiosità
non è lecito esportare fuori di paese. » Co-
si Land., Dan,, 7oU, Vent., Lowtò., eoo.
78. DI QUELLE : gioie; oosa da non po-
terai descrivere oon paiole.
74. B'iifPBiRfA: si ibndsoe di panno;
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[CTXLO QtÀBTO]
Pab. X. 75-91
[dottobi] 795
76
79
82
86
88
91
Dal mato aspetti quindi le novelle.
Poi, 8i cantando, quegli ardenti soli
Si fur girati intorno a noi tre volte.
Come stelle vicine ai fermi poli;
Donne mi parver, non da ballo sciolte,
Ma che s'arrestin tacite, ascoltando
Fin che le nuove note hanno ricolte;
E dentro all'un senti' cominciar: < Quando
Lo raggio della grazia, onde s'accende
Verace amore, e che poi cresce» amando,
Multiplicato, in te tanto risplende.
Che ti conduce su per quella scala,
U' senza risalir nessun discende;
Qual ti negasse il vin della sua fiala
Per la tua sete, in libertà non fora.
Se non com' acqua ch'ai mar non si cala.
Tu vuoi saper di quai piante s'infiora
quindi Anche di ali. « Qui spennt in Do-
mino, Msoment pennM 8iea( ftqnlle »;
1ji9im, XL, 81. Cfr. Thom, Aq,, Bum. theol
m, Sttppl., 84, 3. Chi non si dispone %
aeUre nn di in Pandiao, non potrà mai
tormàoA xm* idea di qoaato canto e sarà
eome ohi aspettasse notlsle da nn muto.
78. FOi : poiché } cfr. Purg, X, 1. - 80U:
anime splendenti più del Sole.
78. FOU: intorno a noi che eraTamo
formi , come le stelle Intorno ai poli. « Snm-
mis....qn» ilxa tenentnr Astra polis»!
Lmean., PAort. V, 688. - « Nella oni {dèi
cisto) giradone conviene di neoessità ce*
sere doe poli fermi »; Oonv. Ili, 6.
78. BaOLTKi non aaoor del tatto fer-
me, non essendo per anco torminsto il
hallo. « Qui esempliOca ohe, si come le
donne che sono in hallo s* astaUano per
riprendere la ripresa di sua ballata, rei
caosone, cosi fecero qnelle anime beato,
mettendo in posa soo movimento oiroo-
lare»; An. Fior, come già Lan.
81. BtooLTK : « iinohò hanno conosoloto
qoali siano le noto del nuovo soono, onde
all'armonia di quello possano franoamen-
to riprendere il ballo»; BoM,
V. 83-18B. Zt$ prima corona dei
Jkfttori. Un* anima, ò San Tommaso,
dioe a Danto che tatti i beati sono pronti
ad appagare i snoi desideri, Tedendolo
eoel priTileglato da Dio. Né é neces-
•aito ehe i soci desideri siano espressi
oon parole, poiché i beati, che rodono
ogni coea in Dio, conoscono poro le To-
glie ed i pensieri taciati. Onde San Tom-
maso, sapendo già ohe Danto desidera di
conoecere lai ed i snoi oompsgni, gli si
manUbsto, e nomina ad nno ad ano gli
altri ondici teologi e iilosofl, ohe, quasi
fiori di Paradiso, compongono insieme
con lui la prima ghirlanda di qiiriti beati
nel cielo del Sole.
88. all'un: dentro all'uno dei detti
splendori. - quando: poiché.
87. u' : dove; cfr. Fvrg. Il, 91. « Chi
già é stato in Paradiso, se toma in torra,
non sarà mai vinto daUelusinghe torrone
a merltor dannatone, tanto la memoria
delle eose veduto sarà efficace »; Oom.
88. ifBOAflSB: ricusasse di chiarirti di
dò che tu desideri di sapere. - n. vm :
« Sapientla.... miscuit vinum»; Prov,
IX, 1-2 e 6 ; cfr. Uaia» LV, 1. - fiala :
ampolla, oaraflDs per dissetarti.
80. NON FORA : dovrebbe avere la pro-
pria libertà -vincolato ed impedito, come
acqua ette solo da un ostacolo può essere
impedito di scorrere all' ingiù verso il
mare.
81. PIANTE: anime. Tu tuoÌ sapere ohi
siano i beati che compongono questo viva
corona la quale all' intomo vagheggia la
bella donna che Ifawolora, ti dà fi>rsa e
rende abile a salire al dolo. - a' infiora i
oonfr. Par, XIV, 18; XXTII, 78 e seg.
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996 tCIlt.0 QtTlBTO] P1B.X. 92-104
[dottosi]
M
07
too
108
Qaesta ghirlanda, ohe intorno vagheggia
La bella donna ch'ai ciel t'avvalora.
Io foi degli agni della santa greggia
Che Domenico mena per cammino
U'ben s'impingua, se non si vaneggia.
Questi, che m' è a destra più vicino,
Frate e maestro fammi; ed esso Alberto
Fu di Colonia, ed io Thomas d'Aqaino.
Se si di tutti gli altri esser vuoi certo,
Diretro al mio parlar ten vien col viso
Girando su per lo beato serto.
Quell' altro fiammeggiar esce del riso
Di Ghraslan, che l'uno e l'altro fòro
98. T* ATTALOBA : è foise U teologU, 1a
■denia che rende l' nomo capace di aa^
lire in delo I Secondo Daote, la guida aUa
beatttndlne di yita etema, la guida al
delo, è r aatorità ecclealastica; cfr. De
Mon, ni. 16.
94. AGNI: agnelli. H aenao è: Fui frate
dell' ordine del Predicatori, fondato da
San Domenico con nna regola che, ret-
tamente oaserrata, dirige alla perfcslone
cristiana.
99. DoMKnoo : cfr. Par. xn, 4e e aeg.
- KKRA : guida colla regola da lui data.
96. s'iMpnrauA: si aransa nella per-
fedone cristiana chiunque non corre die-
tro alle eose Tane del mondo. « Anima,
qu» benedidt, impinguahltur >} iVov.
XI. 25. Cfr. Par. XI, 29 e seg.
97. QUI8TI: prima di nomluar 8Ò stes-
so, nomina il suo maestro.
98. Albkbto: Alberto Magno, dei contt
di BoUstaedt, n. 1198 aLanlngen nelU
SvcTia, m. a Ck>lonia il 25 nov. 1280. Si
monacò nel 1222 o 1228 ; Terso il 12U
insegnaTa a Colonia, doTe Tommaso di
Aquino gli fii discepolo prediletto, e lo
accompagnò nel 1246 a Parigi. Nel 1254 Uk
eletto ProTinoiale deirOrdine a Worms,
e nel 1260 yescoTO di Begensbnrg. Fu
uno dei pih dotti teologi e fllosoll del suo
tempo. A motivo del suo Tasto sapere Io
chiamarono Dottor univ«r»aiii. Cfr. Què-
tsfét Behard, Script. Ord. Pred. I, 162 e
seg. Sighart, Alò. Magmi», Begensb.,
1857. HerUing, Alò. Magnui, Colonia,
1880. Oom. Lipt. III, 260.
99. TflOMAS d'Aquuio: il gran Dot-
tore della Chiesa, n. da femigUa princi-
-» » Boeeaseeca presw» monte CÉe-
sino nel 1227; m. mentr*era in Tin per
recarsi al oonciliodi Lione, il 7 marao 1724
(cfr. Pwrg. XX, 69). Fu maestro di teo-
logia a Colonia, a Parigi ed a KapoU, e
scrisse un gran numero di opere, alle
quali Dante attinse largamente. Cfr. Aetm
Ametorwii, MmtU, I, 656 ad 7 mari.
ThouTim, VU de B. Thotn. d'Aq., Parigi,
1787. QuHif§iE$Kard, Script, Ord, Prvi.
I, 271 e seg. BarHUe, ERtt. d» 8. 1%.,
4» ed. LoTan., 1862. Okognmd, YUm §d
op. di 8. Tom. Yenes., 1874. O&m. JUpt.
II, 872 e seg.i in, 966 e seg. JFVvikwJUM»-
ifMT, Die PhUoéophié d$i Thom, •. Aq.
Lipsia. 1889.
100. 8B al: Al. 81 TU.
101. COL TUO: ossetya collo agoarde
quelli che io nominerò percorrendo tutta
la beata oorona per ordine dalla deatra
sino al primo ohe mi è a sinistra.
102. BKUTO : corona o ghiriandn di spi-
riti beati; cfr. t. 92.
108. FiAMMioaiAKB: Splendore finn-
meg giante. - dkl uso : della gioi» beata.
104. GbaiìUn: Francesco Graalaiio,
celebre canonista del secolo dedmoae-
condo, natlTO di Chiosi in Toeoaaa, fu
benedettino camaldolense e compilò Terso
li 1150 la celebre OonoordU «teortfm-
tium Mfumum.ordinariamente detta Ds-
erttumGraUani, cbe ò una oompilasSene
di testi della BibbU, Canoni degli Apo-
stoU e dei Condili, DecretaU dei papi ed
estratti dal SS. Padri, in cui si ingegna
di stabilire la conoordaasa delle le^ eo>
deeiastiehe colle cìtOì. Cfr. ANt<. I>f da-
ris Archigìfm. Bonon. pr^. Boi., 1889,
I, 880 e seg. - l*uho b l'altbOi Q clTllt
er« "
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[CULO QUABTO]
Pie. X. 105-119
[DOTTOBl] 797
IM
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116
118
Aiotò ri, che piace in Paradiso.
L'altro, ch'appreaao adorna il nostro coro,
Quel Pietro fo, che con la poverella
Offerse a Santa Chiesa sno tesoro.
La qninta lace, eh' è tra noi più bella,
Spira di tale amor, che tutto il mondo
Laggiù ne gola di saper novella:
Entro v'è l'alta mente n'sl profondo
Saper fo messO| che, se il vero è vero,
A veder tanto non sorse il secondo.
Appresso vedi il lame di qnel cero
Che, ginso in carne, più addentro vide
L' angelica natura e il ministero.
Nell'altra piccioletta loco ride
Quell'avvocato dei tempi cristiani,
KTT. PmrBOt Pietro Lonbaido, n ee-
lébre MàgUUr mUmtUnrum, b. mi Ko-
Tsrew àtk pMenti poTori ed oeeori nei
primi eani del eee. XII, m. nel 1160 a
Parigi, dorè er» maestro di teologi» e
▼eocoTO. La nie opera SenUntìa/rum li-
hHJVtan modello di tatto le eaooee-
■tre Somme teologiche e flloeoflohe. È
qui nominato accanto aGraiiano, arendo
flttto per la dommatiea ciò che Orasia-
no fece per U Diritto canonico. Cfr. Du-
b9i9, HiH. ecd. Pari», Par., 1000, 1, 110
e aeg. BiH. UtUr, de la Franee, XII,
686 e aeg. F. Protoi», Pierre Lamò. Par.,
1881. Negnmi, Bibbia 9olg, V, p. VII e
e eeg. - povkbilla : olir. Luca, XXI, 1
e etg, Allade alle parole del Lombardo
nel prologo alla sna opera: «Gopieotee
aliqaid de penarla ac tenaitate noetra
cnm paopercola in gasophyladom Do-
mini mittere, ardoa scandere et opna ra-
pra Tiree noetraa agore preeompilmna. »
100. quutta: Salomone re d'Israele.
110. AMOB: come antere del cantieo,
ohe pel medio evo era l' inno nnxiale
della Cliieea.
111. ITI eoLA : Al. h'ha GOLA ; desidera
ardentemente, perchè i teologi disputa-
Tane se fosse salro o dannato, a motivo di
oiò che di hiisiracoonUIU, £«9. XI, 1-0.
US. omo y' È : Al. hbll' alta mbitb
UH si, eoo. Cfr. Moore, Orit,, 456 e seg.
US. niLTBSO: se la Sacra Scrtttnra,
che è la stessa ToriU, dice il rero. Al-
lade alle parole sorittnrsU ni, Reg. ITI,
13: « Bcoe.... dadi tibi cor s^iens et ia-
telUgfliiSfin tantum QtnnUns ante te slmi-
Us tni ftierit noe post te snrxectnms sit. »
114. non suBiX: come re; eome nomo
è inferiore ad Adamo ed a Cristo; cfr.
Par. Xin. M e seg.
116. cibo: laminare della Chiesa. In-
tende di Dionigi r Areopagita, oonTerti-
toda 8. Paolo al Cristisnesimo, cfr. Atti
XVn, 84, creduto erroneamente autore
della celebre opera J>e eceUtii hierarphia.
Cfr. Buteb., Biti. eed. lU, 0; IV, 88.
Conti. Apott. VII, 40. Baumgarten-Oru-
Éku, De Dion, Areopag, Jena, 1828. Bar"
6otf, (Butret de 8. Denyt VAréop. Par.,
1846. Niemeyet, Dien. Areop. doelr, phi-
lo», et iheol. Halle, 1800.
HO. VIDI: eonobbe e spiegò m^io di
tatti gU altri U natura e r ulBcio degU
angeU.
110. AVVOCATO t Paolo Orosio, prete
spagnuolo del quinto secolo, la cui opera
principale: «Historiamm libri VII ad-
versns Paganos » fa scritta dietro i con-
ferti di Sant'Agostino. Confr. Baekr,
Ofcri«tf. rdm. TfteoL, 800 e seg.; 818 e seg.
Teafél, Bdm. LU., 8» ed., 1072 e seg.
Bbert, OhrieU. lat. Lit. I, 838 e seg. Di
Orosio intendono i pih t alcuni antichi
{Poet, Oats., Petr, Dani., Paleo Boce.,
TéU., ecc.) intendono inreoe di S. Am-
brogio; pochi moderni di Lattansio; efr.
Oom, lApe. Ili, 204 e seg. Zama, Oroeio
e Dante, Roma, 1803. Moore, OHt., 467
e seg. Mancini, Ohi è V avvocato de^tem'
pi crietianitjìtiCfiomaUDant. Il, 888-
43. - TSMSl: Al. TKHEU. j
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798 [CULO QUIETO] Pim. X. 120-134
[oonoBi]
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Del cm latino Augostìn si provvide.
Or, se ta l' occhio della mente trani
Di Ince in Ince, dietro alle mie lode,
Qìk dell'ottava con sete rimani:
Per vedere ogni ben dentro vi gode
L'anima santa che il mondo fallace
Fa manifesto a chi di lei ben ode.
Lo corpo, ond'ella fa cacciata, giace
Gtinso in Cieldanro; ed essa da martire
E da esilio venne a questa pace.
Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro
D'Isidoro, di Beda e di Riccardo,
Che a considerar fa più che viro.
Qaesto, onde a me ritorna il too rigoardo,
È il lame d'ano spirto, che in pensieri
120. Auouamr: Sant'Agoattno; ett.
Par. XXXn, 36. - bi fbovtidi : « ftoen-
dolo fiwe iniuuiti, per aTore poi meno ik*
tic* a rltroTftre le etorie»; BuU,
121. TRAMI: mooTl oltre. IVanar« —
trainare, finmc. trainer, prov. trakinar;
cfr. Dia, Wdrt, l\ 421. Oa/wrM, Voci é
Modi, 135.
122. LODBt pi. di loda, cfr. J^f. U. 108.
128. OTTAVA: looe. - BBTB: desiderio
di oonoeoere V anima beata che in eata
8Ì nasconde.
124. FKB viDBBB : per la visione di Dio,
nella quale consiste la beatitadine.
126. AHIMA! Anldo Manlio Severino
Boeslo, la coi vita ò doeamento della
fUlaoia del mondo, ohi ben la consideri.
Boesio, n. a Boma verso il 470, m. pri-
gione a Pavia nel 524 o 525, fti nel 6L0
console di Boma. Si rese sospetto di tra-
mare la llberasione di Boma dai Goti;
onde Teodorioo lo lisoe incarcerare e dopo
sei mesi uccidere. Prigioniero, scrisse il
sno celebre libro De OontoìaÙone phUo-
eophitB, al quale Dante attinse non poco.
Cfr. Bdhr, Bdm. Liter. IIIS 157 e seg.
é le opere ivi citate p. 168, nt. 3. Oom.
Upe. ni, 266. Q. Vm. II, 5.
126. BEN ODE : non basta ndire, bisogna '
ben adirei cfr. Cbnv. II, 13. Bawr, Boet,
und D., 11.
138. CiBLDAUBO : Ciel d' oro, chiesa di
San Pietro in Pavia; cfr. Sooeae,, Dee,
X, 9.
128. PAOB: cfr. Par.XV, 148. Thom.
'<jr.. Oum. th4oi, I, u, 70, 8.
131. l8lDOBO:lMdorM«HÌQ>«l0iuiiodi
Sivi^ia, n. verso U 580 ;m. 4 Irrito 688.
Fa vescovo di Siviglia (eletto probsbil-
mente l' anno 000) ed ano dei più dotti
nomini del tempo, venerato come Vortr
odo della Spagna. Scrìsse ptù opere, oh«
si ebbero in sommo pregio. Cfr. Baekr,
Ohri$a, SSm. Theol,, 455 e seg.t le mo-
nografie di Oc^etano (Boma, 1616), Dv*
metnU (1843), e OoUombet (1846); ^>tri,
Ohrita, lai, Lit. I, 655 e aeg. - Beda:
BedaVentrabiUt, n. 674 a Wearmooth io
Inghilterra, m. a Jarrow 26 maggio 735.
Si rese eelebre per pietà e dottrina, ed
ordinato prete a trent* anni dedicò tatù
la sna vita alla preghiera ed agli stadi.
Le principali sae <^re sono: Hist. JSSoelef.
gwlbU Britonum, compiata nel 731 ; Di
ration» Umporum; De noL rerum, ecc.
Cfr. Baehr, I . o. , 475 e seg. Werner, Beda
der Ehrvf., Vienna, 1876. - Biccabdo:
Biccardo da San Vittore, il Magnue Con-
templator, teologo mistico del see. XU,
dal 1162 in poi priore del Chiostro di San
Vittore presso Parigi, m. verso il 1173,
aotore^di parecchie opere teologiche. Cfr.
Engelhard, Richard v. 8, Vietare, Brian-
gen. 1838. JAebner, Bieh, a S, Vietere,
(attinga, 1887-89. Cam, TApe., IH. 267.
132. VISO : nomo ; cfr. If^, IV, 30. Par.
XXIV, 34. La sua dottrina ta più che
da nomo, sovrumana.
133. ONDE: ohe mi ò a sinistra più vi-
cino, V. 07, dal quale pertanto il tao ri-
guardo (— rigaaidare, vista, sguardo) ri-
torna a n)0*
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[CIBLO QUABTO]
Pab. X. 185-143
[NUOYÀ DANZA] 799
136
139
142
Gravi a morir gli parve venir tardo:
Essa è la luce etema di Sigieri,
Che, leggendo nel vico degli strami,
Sillogizzò invidiosi veri. »
Indi come orologio, che ne ohiami
Neil' ora che la sposa di Dio sarge
A mattinar lo sposo perchè l' ami,
Che Tona parte l'altra tira ed urge,
Tin tin sonando con si dolce nota,
186. TÀMDO : deaideraya hi morte, oo-
nosoendo per meditosioni U ranltà dal
mondo. « Qui al diohian U morte del
flloaofo, non U morte dell' nomo ohe pe*
n*»( OipoUa.
180. Siouou: Sigleri di Brabante (da
non oonfonderal con Sigleri di Coortray,
ohe fb nno dei fondatori della Sorbona),
eelebre filoaofò del aeoolo XIII, n. verso
fl 1226, m. di morte violenta Terso il 1288,
processato per eresia nel 1277-78, il quel
proceaso aembra flniase in nulla. Dettò
tea altre opere: QuoMHtmet naturale ed
Impo89ibaia, Ctt, Hitt. liU, de la Franee
XXI, 96 127. Oom, Lip9. HI, 267 e seg.
OipMa, nel Giùm. ttor, deOa Idi, Hai.,
ftMO. 22-28 (Tol. VIU, 1886), S8 e seg.
e. Pari», nella Botnania, XVI, 611, ecc.
187. VICO DIOU 8TKAMI: la flM d«
^gurré, o dtt Fouarre a Parigi, vioina
alla piaica Hanbert, dove erano le di-
verse sonole di filosofia, aperte dalle
quattro naiioni della Facoltà delle arti.
Vuoi dire in sostanza: insegnando nel-
rnnirersità di Parigi.
188. siLLOOizsò: argomentò, dimostrò
ecA suoi aiUogismi (Par, XXIV. 77) in-
vidiosi veri, cioè verità degne d' invidia
e che iniktti gli partorirono invidia ed
odio.
V. 139-148. Nuova danva e nuovo
vanto. Dopo aver dato contessa degli
apirM magni componenti quella ce£»-
atiale gbirianda, quelle anime beate,
quaai richiamate da aegreto invito all'e-
terno loro tripudio, ai rimettono a dan-
zare ed a cantare con una dolcessa ohe
non si conosce nò si può gustare se non
in Paradiso. « L'istantaneo torneare
del coro celestiale, e fermarsi sui com-
plnti giri, suggerisce al Poeta il giuoco
del terrestre orologio; e dice ohe vide
quo* beati muovere circolarmente ao-
cordando lor voci, come si ve4e muo-
verai orologio che ne desti ed inviti al
liattutino, r una parte del quale tira e
spinge l'altra produoendo tintinno di
soavissima nota: con che rischiara per
immagine due cose, l' atto e la droular
figura delle beate dance, e l'armonioso
ritmo del canto onde quelle avean tenore
e misura: la prima colla sola menxione
dell' orolf^o, la seconda con tutto quel
che segue »; AguUhon, DelU ore inmaa^
zi r oroloffio, 62 e seg. Cfr. Par. XXIV,
18 e seg.
189. OBOLOOio : *iveglia con eariglione,
la quale, rimontata a tempo, fMcva udire
ad ora previamente determinata un dilet-
tevole concerto di campanelle; tornava
acoonoio a segnar con essa l' ora della
mattutinale salmodia; di più non era ca-
pace»; Aguilhon,
140. kill' oba : nel principio del mat-
tino.-sposa : la Chiesa; ofir. Par, XI,
82; XII, 48; XXVII, 40; XXXI, 8;
XXXU, 128. Qiov, III, 20. Apocal.XXl,
2, 9; XXII, 17.
141. ▲ MATTINAB: a dire il Mattutino,
spiegano i più. Mattinare ò propriamente
far maUinata, cioè il cantare e sonare
ohe fiuino gli amanti in sul mattino da-
vanti alla casa della donna amata. Per
Dante la musica sacra è on' armoniosa
serenata della Chiesa al suo sposo Cristo
perchè l'ami, doè per meritarsi e conser-
varsi il suo amore.
142. TIRA : una molla tira la posteriore
ed urge (lat. ur^«t), spinge contro la cam-
pana l' anteriore. « U tirare e l'urgere,
cdoò spingere d'una e d'altra parte, deve
riferirsi nell'orologio alla codetta del
battaglio, tatto bicipite nell'interno della
oampana, or tirata ed ora spinta dal
semplice ordigno messo In moto di va e
vieni dal movimento della ruota a ciò
destinata»; Antonelli.
143. T)]f TUI : « Tinnltttsque de et M»-
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800 [CIELO QUABTO] PAB. X. 144-148 -XI. 1-4 [CUBI TEBBS8TE1]
145
li8
Che il ben disposto spirto d'amor targo;
Cosi yid'io la gloriosa rota
Maoversiy e render voce a voce in tempra
Ed in dolcezza, eh' esser non pnò nota,
Se non colà, dove gioir s'insempra.
tris qnAtec^ymbalAdroiim »; Virg., Qtorg,
IV, «4.
144. TUBOB: prop. Gonfia, latiirgidiiee;
qui traal. per Bimnpie d' unor divino lo
spirito del credente, diepoeto » pregsre.
146. BOTA! U ooron» di spiriti beati i
cfr. y. 65 e 92.
140. MUOYBBSi : in glro. - nr tbmfba:
« in tnnpemnaa, zfspcmdendo runa toc*
aU* altra »; £«tfi. -«ProportlonaUter ooa*
Ibrma^ rocee eoram in eantii»; Ben.
148. a' DfSBifPBi. t d etema, dora In
perpetuo; cioè nel Paradiso, dorè il
gioire darà in etemo.
CANTO DECIMOPRIMO
CIELO QUARTO O DEL SOLE
DOTTORI IX FILOSOFIA E TEOLOGIA
VANITÀ DELLE CUBE TEBBE8TBI, DUE DUBBI
VITA DI SAN FBANCESCO, BIMPBOVEBO AI DOHENICAKI
0 insensata cara dei mortali,
Qaanto son difettivi sillogismi
Quei che ti fanno in basso batter Tali !
Chi dietro a tura, e chi ad aforismi
V. 1-12. Cur9 térreatri e gioia oa-
leste. Circondato dal coro dei beati ohe
si maoTOoo in giro cantando a verso a
verso oon inefbUle simmetria e doloessa,
il Poeta volge nno sgoardo di pietoso di-
sdegno alla terra, deplorando gii nomini
che corrono dietro a cose vane e fhgaoi,
invece di cercare le gioie reali ed eterne.
Cfr. Pert., Bai. 1, 1. Lucrit,, Ber. nat. II,
Ueseg. Boet., Oom.phU, I, pr. 8. Com.
Lip$, in, 27S.
2. 0ILLOOIBMI: i discorsi, le ragioni.
« Sylloglsmns est oratio, in qua, oonsen-
sis qnibnsdam et oonoossls, aUnd qal^
qnam qn» concessa sint per ea qn» osa*
oessa snnt neoessario oonfldtar »i ^rf-
Uva, XV, 26. Cfr. AHieeC. AnaL pr,l,\.
Tkom. Aq., Bum. théoL I. n. 78, 1 : tO, 1.
DM, IHm, tomttUco é teeUuHe; 172-216.
8. aiTTBB L* AU t Tolger r animo alle
cose terrene. « Come argomentate male
ad attaccarvi alle cose mondane »; 1M(«*
4. A imuLt aUe sciensa ginidiche. -
AD AfOBiBMi: di Ippocratoi qni per lo
studio della mediotoia, designala per gfi
Afofi9mi di IppMrata,
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[CULO QVÀBTO]
PAB. XI. 5-19
[DUB DUBBI] 801
10
18
16
1»
Ben giva, e ohi segaendo sacerdozio^
£ ohi regnar per forza o per sofismii
E chi rubare, e chi civil negozio,
Chi, nel diletto della carne involto,
S'affitticava, e chi ai dava all'ozio;
Quando, da tutte queste cose sciolto,
Con Beatrice m' era suso in cielo
Cotanto gloriosamente accolto.
Poi che ciascuno fu tornato ne lo
Punto del cerchio, in che avanti s'era,
Fermossi come a candellier candele.
Ed io senti' dentro a quella lumiera.
Che pria m'avea parlato, sorridendo
Incominciar, facendosi più mera:
< Cosi com'io del suo raggio risplendo.
6.SACKBDOZIO : looTOflo, « slooi presby-
tori et pnelatl qui Mqauntor torà oano-
alea; et isti queront megn» benefloi*
et pnebendas ut Tirant expenale Craoi-
flxi»; Bénv.
6. B CHI : e ohi ai sforuTa di regnare
per fona o per inganno.
7. aviL: « la onra AunigUare e oirlle
omiTenevolaiaite a sé tiene degli nomini
il maggior numero, tioohò in osto di epe*
onla^me esser non possono»; Oorw, 1, 1.
0. b'affatigàva : per soddisfkre le sue
passioni. CotH i più. Ha il .BMei; « Se oo-
stoTo erano già involti nel diletto della
carne, dnnqne erano giunti già ai pravi
loro deeidert. AfatUarti qni sta per tra-
vagliarsi: e non serve altra spiegadone.»
- « Boeo ohe ha contato lo nostro antere
nove ocre e solUdtndinl ohe gli nomini
mondani pigliano ingannati Gl'amore
mondano, cioò dei beni mondani, oioò li
indici delle leggi canoniche e cìtììì, li
medid della fisica e della oimgia, li obe-
rici degU ordini ecclesiastici e de' bene-
fici, li aignori di signoria, li rabatori in
rubare, U artefici nei loro artifici, li car-
nali e ioasnriosi nei diletti carnali e lus-
sarlo, e U pigri ne Tosio ; nude ha toccato
quasi tutte le diversità degli eseroisi de-
gli uomini mondani, da li quali dime-
stea eè eMore libero per lo studio preso
de la santa Teologia»; JDitf».
10. QUAKIX) : Al. QUAND* IO. - SaOLTO :
etr.Virg., -4«fi.lV, WS. Horat., 8at.l, vi,
128 e •eg.
V. 18-27. Ihte dubbi. Dopo aver dan-
SI. — Dkf. (bmm., 4^ edis.
aato e cantato un momento, la corona di
spiriti beati si fòrrnm di nuovo, e la luce
di S. Tommaso, fiMondcei pih chiara, con-
tinua a ragionare con Dante, dicendo:
« Conosco i tuoi pensieri e la loro origine.
Due dubbi t'ingombrano la mente. Tu
non intendi che cosa io volessi significare,
quando dissi che nell'ordine di san Do-
menico ben t' impingua, m non ii vaneg-
gia; nò comprendi come si possa aflbr-
mare che la sapienza di Salomone fta tale,
che a Veder tante non twrte il iecondo.
18. CLàSCUHO: dei dodici spiriti beati
nominati nel canto anteo. - tobitato :
danzando.
14. ▲VAim : quando San Tommaso ra-
gionava con Dante; ofr. Par. X, 6i e
seg., 76 e seg.
15. FBBMOSSI: Al. FERMO 8Ì. Tomato
ciascuno nel punto di prima, si fermò
e restò immobile come candela fissa nel
candeliere. - CAMDELO : forma antica e
poetica di candela; ofr. Par, XXX, 54.
16. LUMIEBA: l' anima risplendente di
8. Tommaso; ofir. Par. V, 130; IX, 112,
« Finge che l' anima beata stia dentro
nello splendore vestita e iJudata da es-
so »; BwtL
18. PIÙ MIRA: pih lucente per novello
impulso di celeste carità.
19. così: a quel modo che io risplendo
del raggio delle luce etema, cosi pure, ri-
guardando in essa, apprendo da che tu
traggi cagione di pensare, da qual cagio-
ne i tuoi pensieri procedono. « Vedendo
Dio, oonosco la causa de' tuoi pensieri.
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802 [CIELO quàbto] Pàb. XI. 20-85 [campioni della chiesa]
23
26
28
81
84
Sì, rigaardando nella lace etema,
Li taoi pensieri onde cagioni, apprendo.
Tu dubbi, ed hai voler che si rìcema
In si aperta e in si distesa lingua
Lo dioer mio, eh' al tuo sentir si sterna.
Ove dinanzi dissi: '^ u' ben s'impingua „ ,
E là u' dissi: ^' non surse il secondo „ ;
E qui è uopo che ben si distingua.
La Provvidenza che governa il mondo
Con quel consiglio nel quale ogni aspetto
Creato è vinto pria ohe vada al fondo,
Però che andasse vèr lo suo Diletto
La sposa di Colui eh' ad alte grida
Disposò lei col sangue benedetto,
In so sicura ed anco a lui più fida,
Due principi ordinò in suo favore,
Cioè, non solo veggo i tool penaieri, ma
▼eggo il perohò sono tali. » Oom» - bi-
SPLENDO : AI. H ' ACOKITDO ; Cfr. Oofn,L^9.
m, 276 e seg.
21. CAGIONI: onde traggl cagione al
tool pensieri; Tale a dire: Conosco i
taoi pensieri e ne conosco pare l'origine,
il fonte. Aloani leggono: ond'è caoio-
NB, lesione accettata da Perazz., Ed,
Pad., Betti, ecc.
22. BICERNA : ridistingaa, dichiari me-
glio. Al. DISCBBMA.
24. SI 8TBBNA : SÌ appiani, adatti al tao
intendimento ; ofr. Par, XXVI,37,40, 48.
26. DIBBI: Par. X, 06.
26. LÀ: Par. X, 114. - NON 8UB8B: Al.
NON NACQUB. Qaesta seconda lesione ha
per so la gran maggioranza dei codid;
oft:. Moore, Orit., 460 e seg. lia il subsb
dei due Inoghl Par. X, 114; XIII, 106
parla in fisvore della prima.
27. QUI: e sopra qaestl dne dabbi è
mestieri ohe si faccia boona distlnsione
a volerli ben dichiarare. Cosi Lan., OU.,
An. Fior,, Benv., Buti, Land., FsK.,
Dan., ecc. Al.: Qaanto appartiene a que-
sto secondo dabbio {Lomb,, Port., Pog.,
Bìag., OoHa, Tom., Br. B., Frat., Or«g.,
Andr., ecc.); ma del secondo dobbio si
parla solo assai più tardi, Par, XIH, 31
e seg.
V. 28-42. X due campioni détta
ChlBoa, A soccorrere la Chiesa la di-
vina ProTTidensa mandò dne campioni,
San Francesco e San Domenico, che por-
sero modello della perfMsione eTangelioa
al loro coetanei. Parlerò dell'ano, poiché,
avendo ambedue operato ad un fine me*
desimo, qnello di ben gaidar la Chiesa,
lodando l'ano, si lodano entrambi. Dante
pone le lodi di S. Francesco in bocca al
Domenicano Tommaso d'Aqaino, e le
Iodi di S. Domenico in bocca al Franco*
scano Bonarentara, forse, come alenai si
avrisano, io argomento di amidsisdd
dne ordini religiosi ; d* altra parte Tom-
maso biasima i snoi Domenicani, e Bo*
naventnra i suoi Francescani deÙa loro
decadenaa.
29. A8PBTT0: occhio, vista, sgaaido,
oome Puiv* X V, 114 : XXIX. 68, 149 eoo.
80. VINTO : ogni ocohio di oreatnra s'ab-
baglia e si confonde prima ohe antri a
penetrare i profondi secreti della divina
Prowidenaa; ofr. Rom. XI, 83 e seg.
Thom. Aq., Bum. theol. I, 12, 7. Orni.
IV, 6.
81. PBBÒ CHB: affinchè. - DiLBTTO:
Cristo.
82. SPOSA: la Chiesa; ofr. Par. X, 140.
- OBiDA : allnde alle parole dette da Cri-
sto in croce; cfr. MaU. XXVII, 46. 60.
Mareo XV, 34, 87. Lnc XXIii, 46.
Giov. XIX, 26-80. Atti XX. 28. Bórri
V, 7.
84. m BÈ: sicara in sé stessa e più fi»-
dele allo sposo suo, Cristo.
85. PBlvoin : capi, condottori: 8. Fran-
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[CULO QUÀBTO]
Pab. XI. 86-47
[8. FBAK0B8C0] 808
87
40
Che quinci e quindi le fosser per guida.
L'un fu tutto serafico in ardore;
L'altro per sapienza in terra fue
Di cherubica luce uno splendore.
Dell' un dirò, però che d'ambedue
Si dice Pun pregiando, qual ch'uom prende,
Perchè ad un fine far l'opere sue.
Intra Tupino e l'acqua che discende
Del colle eletto del beato Ubaldo,
Fertile costa d'alto monte pende.
Onde Perugia sente freddo e caldo
Da porta Sole ; e diretro le piange
C6MO e S. Domenloo. - nr suo favobb : a
prò delU ChÌ0ML
86. QUIHCI B QuniDl: *quinei, oioò in
T«Ddeiì|^Ìel»pÌùfld»i • quatto è S.Fnai-
oewo mediante il 8Q0 teràfioo «more, per-
ohè aUon è fedele U epoe» allo sposo,
quando ti vede esser aooesa nel suo amo-
re. JB qtdndi, cioè in rendergliela sionraf
e questo ò S. Domenloo mediante la sua
grandissima saplenea e profondissima
dottrina che la difende da <^nl eretica e
fUsa opinione. » Veti.
87. L*UN; S. Franoesoo. - BKiunoo:
ardente; cflr. Thom. Aq., Bum theoL I, 63
7; 108, 6. Thom. Oelanu$, Vita Frane,
I, 4, 28. -ABDOBK: Al. AMOBK.
88. L* ALTRO : San Domenioo.
80. chxbubica: »Gberobin interpre-
tator pUnUudo teientùB.... et sic patet
qaod Chembin denorolnetnr a scientia»;
Thom. Aq.» Bum, theol. I, 68, 7; 108, 6.
40. DELL' UN: di 8. Franoesco. Lo-
dando Tnno, qualunque dei due si pren-
da, si lodano entrambi, amendue avendo
operato al fine medesimo di sostenere e
ben guidare la Chiesa.
T. 48-117. rUa di 8. VrancMeo
d^AMiH, In modo commoventemente
affettuoso San Tommaso narra la vita
di Francesood' Assisi, e conclude: «Pensa
adesso qual fb colai che gli fta collega a
reggere la barca di San Pietro, Dome-
nico, il nostro patriarca. » Sulla vita di
S. Francesco cfr. Jordani de Jane, De
primiHvorum fratrum, ecc. e. II. Le Vi-
te di TommoBo Odano colle appendici dei
Tre SoeU, e del Bonaventura negli Aeta
Sana, Oet. n, 545-1004. (Jhavin de Ma-
lan, HUt. de 8L Frane, Par. 1841 e 1861.
JTorin. A. Frane, d*A$9.,Tu.t 1868. Karl
Hate, Franz v. Aeriti, Lipsia. 1856. E,
JRonan, NouveUee étudee d'hitt. relig.,
2* edic. Par., 1884, p. 828-861. Bonghi,
San Frane, d^Ate,, Città di Cast., 1882.
Di Giovanni, San Frane. d'Att., Gir-
genti, 1883, 2* edis., 1802. Oom, Lipt.
ni, 279 e seg.
48. Tupino : o Topino, flumicello che
scorre vicino ad Assisi e versa le sue
acque nel Tevere, -l'acqua : il Chiasoio
che versa le sue acque nel Tapino. As-
sisi ò sita tra i dae flumicelli ; 11 Tupino
all' oriente, ed il Chiascio all' occidente.
Cfr. Bate., 266 e seg.
44. Ubaldo : Sant'Ubaldo Baldasslni,
n. 1084, m. 1160, prima eremita, dal 1120
al 1160 vescovo di Gobbio; cfr Teob. da
Ctubbio, Vita di S, Ubaldo, Loreto, 1760.
46. costa : « questa ò la costa del monte
detto Sabaso, nella quale costa ò Ascesi;
lo qual monte ò situato in questo modo,
che da ponente (T) li viene Tupino, e da le-
vante Agobio, da tramontana Nocca e
Gualdo, da meuodì la Paglia. £ lo detto
monte ha una costa molto (Guttifera che
pende in verso Perugia, et in su questa
costa in luogo basso giuso ò Ascesi.» BxUi,
46. SRMTK : il Subasio (o Sabaso) a le-
vante di Perugia, ò sorgente di fk^ddo e
di caldo a questa città, d' estate riflet-
tendo da qnel lato le vampe e d'inverno
coprendosi di neve.
47. POETA SoLK : porta di Perogia verso
Assisi. - DiBKTBO: dlctro da essa costa
Kooera e Gualdo si dolgono, essendo sud-
dite a Boberto di Napoli ed oppresse di
imposte. Cosi i più. Invece Benv,: « quia
recipit ventum, fHgus et incommoda a
diete monte. » Altri dicono che Nooera e
Gualdo mal volentieri stavano sotto Pe-
804 [CIBLO QUABTO]
Pàb. XI. 48-64
[8. FBAHCS8C0]
49
63
65
68
61
6i
Per grave giogo Nocera con Oualdo.
Di questa <3osta, là dov'ella frange
Più sna rattezza, nacque al mondo un sole.
Come fa questo talvolta di Ghmge;
Però chi d' esso loco fa parole
Non dica Ascesi, che direbbe corto,
Ma Oriente, se proprio dir vuole.
Non era ancor molto lontan dall' orto,
Ch' ei cominciò a far sentir la terra
Della sna gran virtute alcun conforto;
Che per tal donna, giovinetto, in guerra
Del padre corse, a cui, oom' alla morte,
La porta del piacer nessun disserra;
Ed innanzi alla sua spiritai corte.
Et coram patre le si fece unito;
Poscia di di in di l'amò più forte.
Questa, privata del primo marito.
mgia (Voi,, JBiag., Oom., eoo.). Ma il
grave giogo potrebbe essere inteso in sen-
so geografloo anslohò polltioo.
49. FRANOB : diminolsoe la sua ripides-
sa. Assisi ò situata sai pendìo.
60. NACQUB: nel 1 182.- BOLI : S. Fran-
oesoo, la cai VUa, scritta da Tommaso
Celano, Inoomincia ooUe parole: « Quasi
sol oriens in mondo Beatas Frandsons
▼ita, dootrina et miraonlis olamit »; Acta
8anet. Oet. II. 652. Bonaventara (ibid.,
742) appropria a S. Francese le parole
delI'ilpocoZ. VII, 2: « Vidi altemm An-
gelnm asoendentem ab orta soUs. »
61. QUESTO : qaesto vero Sole nel quale
ci troviamo. - talvolti : nel solstisio
estivo, quando il Sole nasce dalla parte
delle foci del Gange, e a noi snol essere
più caldo e piti risplendente. Cosi i più
(Petr. DatU., Benv., Buti, Lomb., Biag,,
0$8., Tom., Ant., Br. B., Frat., Cfreg.,
Andr., FiUU., Oom., ecc.). Intorno ad
altre poco attendibili interpretazioni cft:.
Oom. Lipt. m, 282.
63. ASCISI: cosi chiamavasi comune-
mente Assisi ai tempi di Dante. - cokto:
troppo poco; cfr. Par. XXXIII, 106.
64. Obikrtb: secondo l'evangelioo:
«Visitavit nos oriens ex alto » j lAiea I,
78, cfr. Zaear, III, 8. - 8B PBOPRio : se
▼noi parlare propriamente.
66. DALL' OBTO: daU' Oliente, dal suo
"••ouaento. Continu» la sinUlltudinedel
sole. A ventiquattro anni B. Franoeeoo,
che sino a quéU*età aveva atteso alls
mercatura, fta fatto prigioniero in ano
scontro dei cittadini di Assisi ofA Peru-
gini. Liberato e rimpatriato, cambiò te-
nore di vita, rinunsiando interamente
ai beni della terra e dedioandoai tatto
ad opere di pietà.
60. coHiNOiò : « il mondo prese aloono
conforto che ritornerebbe la virtù ne li
omini, ohe pareva già abbandonata, ve-
dendo uno si giovanetto con tanto virtù > ;
BfUi. - LA TEERAt quarto caso, qui per
aUa Urrà.
68. DOKNA : la povertà; cfr. OdanxM I,
8, 22. HoMe» 2» edlz., p. 26 e seg.
69. GOBBE : per amore della povertà si
attirò addosso l'ira del proprio padre. -
A CUI: alla povertà, alla quale, come alla
morte, nessuno apre con piaoere le sue
porte, oioò nessuno fa buona aocogUensa.
61. COBTB : curia ; la curia episcopale di
Assisi, sua paMa.
62. ET COEAK PATBB : ed al ooapotto,
in presensa del padre suo si uni tn ma-
trimonio colla povertà. H oonootto del
matrimonio ò tolto dall' inno di S. Fran-
cesco alla povertà.
68. PIÙ FOBTB : a dlflbrensa dei matri-
moni carnali, nei quali non di rado Tamo-
re si va intepidendo ool tempo, ed alla
volte si spegne anche del tatto.
64. QUESTA : la povertà. - PBmo mat
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[OIBLO QUàBTO]
Pab. ti. 6S-80 [8- f &1KCB8C0] 805
«7
7©
78
76
Millecent' anni e più dispetta e scora
Fino a costui si stette senza invito;
Né valse udir che la trovò sicura
Con Amiclate, al suon della sua voce,
Colui eh' a tutto il mondo fé' paura;
Né valse esser costante, né feroce,
Si che, dove Maria rimase ginso,
Ella con Cristo pianse in su la croce.
Ma perch' io non proceda troppo chiuso,
Francesco e Povertà per questi amanti
Prendi oramai nel mio parlar diffuso.
La lor concordia e i lor lieti sembianti
Amore e maraviglia e dolce sguardo
Faceano esser cagion de'pensier santi;
Tanto ohe il venerabile Bernardo
Si scalzò prima, e dietro a tanta pace
RITO; Cristo; ofr. Luca IX, 58. II Cor.
vm. 9.
66. B PIÙ ! dalla morte di Cristo a San
FranoMco. - dispetta e scura: « aotor tì-
dotar dioore falsun, quia malti saoctl pa-
tree et heremit» dilezemnt paapertatem
et despexenmt mandam propter Chri-
•tnm, et antiqnitns et modemiter.... DI-
eeodnm broTiter, quia oaUos tantum et in
totnm amaTit paapertatem tam perfecte,
tam generaliter, tam volenter. » B&nv.
68. AjacLATR ; povero pescatore, ohe,
«nohe dorante le scorrerle del soldati di
CoMtfe e di Pompeo, dormlTa ad asolo
Aperto, e rimase Impertarbato dinanzi a
Cesare, ohe 0Me paara a tatto il mondo;
efr. Ltumi, Phars. V, 521 e seg. Oont,
rv,i8.
70. vk VALSI : alla povertà, per ren-
derla accetta e gradita agli nomini, -fk-
BOCB: alteramente ferma nell'amore di
Cristo. Feroce per altero, eoraggioio, non
eédeooU e simili osarono altri Trecenti-
sti. Cfr. Horat,, Od. II, V, 13-14.
71. oiUBO! sotto la croce; cfr. Qiov.
XIX, 25.
72. ELLA : Cristo morì ignado ; donqne
1* povertà era con lai sulla croce, -pian*
8B: «preoes sopplicationesqae.... com
oUmore valido et laorymis offerens » ;
Ebrei y, 7. Al. salse, lezione priva di
autorità; oTr. Com. Lipt. Ili, 286 e seg.
73. cmuao : oscoro, coperto ; of^. Puirg,
XU, 87.
75. PBENDI: intendi. - DIFFUSO: Inngo,
esteso. Intendi oramai che idne amanti,
dei qoali ti ho a lango parlato, sonoPran-
cesco e la Povertà.
76. LOS : dei dne amanti e sposi. « La
concordia ch'era tra loro dne, el'alle-
grezsa e la benlvolensa e li miracoli e
le contemplazioni, era materia ch'elli
fhssecrednto Santo da chi '1 vedea»; OU.
Cosi in sostanza anche Benv.^ * Con tanta
pace s. Francesco stava nella povertà e
con si lieta Cscoia viveva con essa, ch'elli
fiftoeva ogni ano inamorare e meravi-
gliare di lai e guardare con dolcezza la
saa santa vita, e per questo venire in
pensieri di fare Io simile e seguitarlo *;
Buti. Altri intendono: L'aspetto della
loro felicità e concordia, chiamando su di
essi r attenzione della gente, fkoeva sì
ohe la maraviglia da ciò eccitata, e la
vista di queir amore e di que' dolci sguar-
di cagionassero santi pensieri anche ad
altri. Veramente 11 costrutto ò oscuro : il
senso per altro ò chiaro, cioè che l' esem-
plo dato da San Francesco fh edificante
e salubre, ed indusse altri ad Imltarìo.
79. Berhardo: di Quintavalle, ric<^o
cittadino di Assisi, primo discepolo di
S. Francesco, coi egli seguì sin dal 16
maggio 1209; ctr. Baee, 2^ ed. 81.
80. SI SCALZÒ: ad esempio di S. Fran-
cesco; cfr. Oelan. I, 8. 22. - prima:
« idest primus induit habitom Franoi-
sd > { Beni»,
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8M [CIELO QUABTO] PàE. XI. 81-94
[8. FRlVdSCO]
82
88
91
Corse, e, correndo, gli panr* esser tardo.
O ignota ricchezza, o ben ferace I
Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
Dietro allo sposo, si la sposa piace !
Indi sen va quel padre e quel maestro
Con la sua donna e con quella famiglia,
Che già legava l' amile capestro;
Né gli gravò viltà di cor le ciglia
Per esser fi' di Pietro Bemardone,
Nò per parer dispetto a maraviglia;
Ma regalmente saa dora intenzione
Ad Innocenzio aperse, e da loi ebbe
Primo sigillo a sua religione.
Poi che la gente poverella crebbe
81. TAXDO: « U pArre d' arer tro|»po
indngUto a pigliare tal tìU; il era ter-
TODte &t(o *i BuU, Cftr. Par, X, 185.
82. lOHOTA : ett. Luican., Phan. V, 531
e seg. Oonv. IV, 18, - tiraci : fscondo,
lattìfero. Al. vnucB; cfr. Moort, OriL
483 e seg.
88. Egidio : terso diaoepolo e seguace
di S. Franoeeoo, autore del libro Verta
aurea, m. nel 1272 a Perugia. Pietro, il
•eoondo discepolo, non è mendonato,
forse perobò premorì si fondatore, e forse
perebò Dante non ne oonosoera il nome,
taointo dal Celano e da Bonaventura. -
Silvestro: altro seguace di 8. France-
sco, già prete di Assisi, « qui expulit d-
vile bellnm de Assisio, et vidit in somnio
oruoem exire ex ore Frandsoi » ; Benv.
84. SPOSO: 8. Francesco. - sì: cod,
cotanto. - SFOBA : la Povertà.
85. VA : a Soma per ottenere da Inno-
censo IH r approvasione e conferma del-
la nuova regola (nel 1209 o 1210) ; cfr.
Mot. Parù, £r<ffe.ma>.,Lond.;1840, p, 340.
Eaee, 83-37.
86. FAMIGLIA: compagnia di undici di-
scepoli.
87. CAPESTBO: il cordone dei France-
scani ; cfr. Inf. XXVn, 02. Par. XII,
132 « Capestro era voce propria di quel
rosso cordone, onde non solo i frati mi-
nori, mai poveri nomini del secolo XIII
e XIV, si cingevano le vesti » ; Betti.
88. OBAVÒ : di vergogna ; non arrossì ;
cfr. Purg. XXX, 78. « Konobstantequod
easet flUus ditissimi propter quod vide-
batar debere ire ex vereoundia cum bas-
sa fhmte, seoiire ivit ad Tnaocentiani
papam ut approbaret eius regulam »;
Beno,
80. FI' : fl^; antioanienta voce deQ*ii-
ao ; vive ancora in qualcbe dialetto: Cfr.
Nanmte., Komi, 180. - Pistbo Bbshab-
DOHS: ricco mercante di Assiai, oni Pica
sua mogUe rese padre di 8. Francesco.
90. DISPKTTO: spregevole a segno da
fsr meravigliare i riguardanti, e dònos
solo per il suo abito vile, ma perohè
aveva « vultum despUcabilem »; MatL
Parie, L e.
91. bsoalmbntb; «magnanimiter»;
Benv. ' « Con animo regio ed invitto »;
Land.. - dura nrriHziORi: fl suo arduo
proposito di ubbidiensa, povertà e ca-
stità. O veramente per la dwra inUntìone
intende la regola di 8. Francesco, la qua-
le parve sulle prime cosi dura a papa
Innocenso IH, ohe ne soqieae la for-
mile approvasione.
03. PRIMO SIGILLO: la prima approva-
sione papale, data nel 1310, ma soltanto
a voce, provvisoriamente e con tutte le
riserve. -REUQloNi: ordine monastloo.
94. CRIBBB : un contemporaneo, Jac. de
YUriaco (Hiet. oeeid., e. 82), racconta:
«Non solum autem predicatione, sed
et exemplo vite sanct» et oonversatlo-
nis perfeote, multos non solum inferio-
ris ordinis homines, sed generoeos et no-
biles, ad mundi oontemptum invitant;
qui, relietis oppidis et casaHbus et am-
plissimis poesessionibus temporales di-
vitiaa et spiritnales fblid conunerdocom-
mutantes, habitum fh^irum Minomm,
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[CIELO QXTABTO]
Pie. XI. 95-107 [B. fbàncbsco] 807
97
100
103
loe
Dietro a costui, la oni mirabil vita
Meglio in gloria del ciel 8Ì canterebbe,
Di seconda corona redimita
Fa per Onorio dall'eterno Spiro
La santa voglia d'esto archimandrita.
E poi che, per la sete del martlro,
Nella presenza del Soldan superba
Predicò Cristo e gli altri che il seguirò,
E, per trovare a conversione acerba
Troppo la gente, per non stare indamo,
Beddissi al fratto dell'italica erba;
Nel crudo sasso intra Tevere ed Amo
Da Cristo prese F ultimo sigillo.
i. e. tonicam vili pretil, qua indnantnr»
et Amem, quo aodngimtar, assampse-
nmt. Tempore enim modico adeo mnl-
tiplioatl Bont, qnod non est aUqna Chri-
stìanomm provinola, in qoa aliqaos de
fratriboa suÌb non habeant. >
96. m GLORIA: alla gloria del cielo,
cioè di Dio, pinttoato ohe alla gloria
della persona del santo. «Non nobis, Do-
mine, non nobis; sed nomini tao da glo-
liam > ; StUm. CXIII, 1. - « Cantanda erat
etcelebrandaperorbem ad glorlam Dei,
qui dedit slbi tantam gratlam, nt.canta-
letnr et celebraretar in gloria del ciel,
quia elnsTita plosqnam humanacederet
sd glorlam grati» dlTlnte et inftislonis
OGBleetis>;B(nv. Sopra alcnne altre in-
terpretasioni di questa terzina cfr. Ootn.
Upi. Ili, 290 e seg. Betti: < A cantare
degnamente lecnl mirabili asioni sarebbe
necessario nn angiolo. » Ma non canta
B.Tommaso nella gloria celeste f II Betti
invoca Porod. XII, 7 ; ma in questo Ino-
go si parla del canto di spiriti beati, non
di angeli.
97. DI bscoitda: l'ordine francescano
fti solennemente approvato da papa Ono-
rio III nel 1223. - brdimita : decorata,
coronata.
88. DALL'imuro Srmo : dallo Spirito
Santo per messo di papa Onorio.
M. ABCHIMAICDBITA : pastore, capo del
gregge, cioè dell'Ordine dei Minoriti.
100. B POI: allade alla missione di San
l'rancesoo tra' Saraceni nel 1219.
101. SoLDAH: Malek al Kamel. cai
8> l'ranceeco tentò invano di convertire
■1 crietìanesimo. « Videns enm bestia
onideliB, in aspeotn viri Dei in mansne-
tndinem conversa, per dice aliqaot ipsnm
sibi et sais Chrlsti fldem prsedicantem
andivit » ; Jae, de Vitriaeo, Eiet. Oecid,,
e. 82; cfr. ^ftud. Bpist. adFamU., inGeeta
Dei per Franeoi, p. 1149. - bupebba: al-
lade forse al titolo di òeeHa erudelit, del
qaale il vescovo di Acco onora il Sal-
tano.
102. Qu ALTBi : la « milizia cbe Pietro
segaette »; Par. IX, 141 ; dunque : Cri-
sto ed i suoi seguaci. Al.: San France-
sco predicò Cristo, e predicarono pure
Cristo i Frati saoi cbe l'accompagna-
rono. Ma di questi Frati tuoi il Poeta
non fa alcun cenno.
108. ACEBBA: non disposta, immatura
a convertirsi. Cfr. Fioretti di 8. Frane.,
24 : « Gli disse il Soldano : Frate Fran-
cesco, io volentieri mi convertirei alla
fede di Cristo, ma io temo di farlo ora. »
105. BIDDI88I : Al. TOBNOSBi. « Yidens
se non proflcere in conversione gentis
illins, nec suam assequi posse proposi-
tnm, ad partes fldelium remeavlt >; Bo-
nav., 1. e, 768.
100. BABBO : neU' aspro monte Pernice
o Alvemia o Verna del Casentino, posto
precisamente tra le fonti del Sieve e
quelle del Sette ; cfr. Loria, L'Iial. neUa
D.O. II*, 350. Base. 108 e seg. Sulla vetta
di questo mont« i discepoli di S. France-
sco avevano edificato (nel 1215) un Ora-
torio, nel quale dicesi che nel 1224 il Santo
ricevesse le Stimate.
107. l'ultimo : dopo quelli ricevuti da
Innocenzo III e da Onorio III.-bigillo :
le Stimate. I biografi più antichi del San-
to, Celano, Tre Soeii e Bonaventura, rac-
oontano che, trovandosi Francesco nel
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808 [CIBLO QUARTO] PlB. XI. 108-117
[8. FRANCESCO]
100
112
116
Che le sue membra dae anni portarno.
Quando a Colnì eh' a tanto ben sortillo,
Piacque di trarlo suso alla mercede
' Ch'ei meritò nel suo farsi pusillo.
Ai frati suoi, si com' a giuste rede,
Raccomandò la sua donna più cara,
£ comandò che l'amassero a fede;
E del suo grembo V anima preclara
Muover si volle, tornando al suo regno,
Ed al suo corpo non volle altra bara.
12Si Bai monte Alvemi», Cristo gU ap-
parre e gli imprease nolle mMii e noi
piedi i 8^^ dell' inohiodatim, e nel oo<
Btato il segno della ferita di landa, delle
quali oinqne plaghe il Santo fti assai
lieto, benohò esse (ossero assai dolorose.
Gregorio HI oonfermò oon tre bolle la
verità di questo miraoolo. Ctt, Hoie,
0. e; 90-96; 105-148. Ohanin d4 Malan,
o. 0., 826 e seg.
108. DUBAHia: dal 1224 al 1226. San
Francesco moti nella Chiesa di Santa
Maria degli Angeli {PorMiuneola) il 4 ot-
tobre 1226. Bra renerato non por come
santo, ma poco meno ohe come Dio, già
dorante la saa vita; cfr. Celan. I. 8, 62.
109. A Colui : a Dio, che lo aycTS de-
stinato a tanto bene. - sortillo : oft.I^f,
XIX, 96. Virg., Aen. Ili, 634. Petrarca,
Trionfo détta Fuma, I, 61.
110. MERCEDE : cfr. Mott. V, 12.
111. FUSILLO: povero, piodolo, nmlle;
cfr. MaU, XVm, 6, 10, 11. Marco IX,
41. lAUM Xn, 32 ; XVn, 2.
112. BBDB: eredi. Sede o erede è il
plur. di reda o ereda usato anticamente
anche in prosa; cfr. Ir^f. XXXI, 116.
Purg. VII, 118. Nann., Nomi, 217 e seg.
118. donua : la Povertà. Dal testa-
mento di S. Francesco: « Preeciplo flr-
miter per obedientiam fratrlbns nniver-
sls, qnod, nblonmqne snnt, non aadeant
potere aliqoam literam in caria Bomana
per se, neo per interpositam personam,
nec prò ecclesia, nec prò alio looo, neqae
snb specie pnedicationis, neqne prò per-
seoatione saomm oorpomm: sed obi-
cnmqne non fherant recepti, fbgiant ad
allam terram, ad fhoiendam poeniten-
tiam, cnm benediotione Del.... Bt om-
nibos fratribns meis, clerids et lalds,
pnecipio flrmiter per obedlentam, nt
non mittant glossas in regala, nec in
istis verbls (i, e, in Uttam»fniò) dieendo:
lU volnit intelligi. Sed deat dedit mihi
Dominos pure et simpUeiter dSeere, et
soribere regolam et ista verba, ita alm-
plidter et pare sino glossa Intelllgatis, et
oam sanota operatone osqnein flnem ob-
servetis. » Wadding, ad an. ±226, n. 36;
Aeta Sanct, Ott. II, 663.
114. ▲ FBDB : fedelmente, ohe le fos-
sero fedeli.
116. OBKMBO : della Povertà. Cosi Biils,
Lomb., Pori., Cotta, Oe»„ Tom., Br.B.,
Frat,, Oreg., Andr., PUaL, eoo. AL: Dal
oorpo nel quale dimorava; ooA PotL
0a$9., Beno,, VtXL, Dan., Biag., eoo.
Volle forse Dante scrivere: « L'anima pre-
clara volle muoversi dal mio «orpo e non
volle al tuo carpo altra bara» t D mio del
V. 116 si riferisce alla donfia piA cara,
V. 113; il suo dei w. 116 e 117 ai riferi-
soe invece air anima preclara.
116. TOBVAicDO : < et spiritns redeat ad
Deum, qui dedit illum > ; EcoL XII, 7.
Cfr. Oonv. IV, 28.
117.ALTEA: che il grembodella Povertà.
Sentendosi presso alla morte, S. France-
sco si fece trasportare dal palaaao veeoo-
vile, dove abitava, nella suadUetta chiesa
di Santa Maria degli Angeli, e quivi si
spogliò tutto ignudo in terra, in segno
di amore invariabile alla povertà: oosi
raccontano (Man., Tre 8oc e JBoiiav. Al-
tri intendono: non volle nessuna bara,
nessuna fonerea pompa ; altri diversar
mente; cfr. Chm. IÀp$. III, 296.
V. 118-189. Za degenerawUme 4mi
l}omeHiean{. Dalla vita di S. Fraii-
cesoo, Tommaso d'Aquino prende occa-
sione a soggiungere una parola in lode del
proprio patriarca, e a censurar quindi
fieramente i Domenicani del tempo, che
non sono più animati dallo spirito del
fondatore. Solla deoadenxa deJili ordini
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[CULO QUABTO]
Pab. XI. 118-186
[DOMiKioim] 809
118
121
124
127
130
138
m
Pensa oramai qua! fa colui, che degno
Collega fa a mantener la barca
Di Pietro in alto mar per dritto segno !
£ qaesti fa il nostro patriarca ;
Per ohe qnal segae lai, com' ei comanda,
Discemer paci che baone merce ca^ca*
Ha il sao pecalio di naova vivanda
È fiotto ghiotto si, ch'esser non puote
Ohe per diversi salti non si spanda;
E qaanto le sne pecore remote
E vagabonde più da esso vanno,
Più tornano all'ovil di latte vote.
Ben son di quelle che temono il danno
£ stringonsi al pastor; ma son si poche,
Ohe le cappe fornisce poco panno.
Or, se le mie parole non son fioche.
Se la tua audienza è stata attenta,
Se ciò o' ho detto alla mente rivoche.
In parte fia la tua voglia contenta;
monastidofr. J^AW., Annoi, ad an. U15.
Jfott. Parit ad an. 1248, 1248, 1247. Oom,
Lipt, m. 207.
118. COLUI: San Domenioo.
110. LA BABCA: la diiesa, raifigarata
neUa lUiTioella di 8. Pietro; ofr>. Furg.
XZXIX,120.
120. ur ALTO MAR: « in nmndo Jstopro-
oelloeo • ; B*nv, - biomo : « la nave della
ChieM lia per suo segno dritto U porto
del eielo, al qnale tende oontinnamente
la ma prora >; BennattuH,
121. patbiaboa: il fondatore del no-
stro Ordine. È 11 Domenioano 8. Tom-
maso ohe parìa.
128. OAJiCà: rimanendo nell'allegoria
deQa barca, dice ohe ohinnqoe segae
S. Domenico, osservando rigorosamente
la tegola del sao ordine, é simile a qael
mazlnaio ohe carica la soa nave di bno-
aa merce, ftoendosi tesori per la vita
eterna.
124. PECULIO: gregge! i frati domenl-
esni.> VIVANDA! onori e dignità ecde-
126. SALTI : pascoli nei monti e nelle
•«Ivo ; lat. fottus. « Deve sbandarsi foori
dall'ovile o dal chiostro in laoghi peri-
f- eoissi»; O^n».
127. PKOOBi: i ft«ti domenicani, cosi
chiamati con ona similitadine freqaente
nei VangeU; ofr. Moti. IX, 86 1 X, 6,
16; XV. 24. ifareoVI, 34. Giov. X, 3,
4, 16, 16, 27, eoo.
128. DA ESSO : dal pastore, o patriarca,
e Qaanto pih si dilungano dalla regola
dell'Ordine, più sono vòtedel nutrimento
della regola »; OU.
120. LATTI : alimento spiritnale ; ofir.
I Oor. Ili, 2. > « Idest, dald doctrina qoa
deberent alere et cibare alice »; S$nv,
180. DI QUKLLB: pecore di San Dome-
nioo. Sonvi bensì Domenicani non trali-
gnati, ohe si attengono fedelmente alla
regola del fondatore ddl'Ordine, ma sono
cosi pochi, che non occorre molto panno
per fornirli tatti di cappe. I più adunque
sono guasti e corrotti.
183. FIOCHI: deboli e quindi non bene
intelligibili, come é difficile intender bene
ohi parla con voce fioca : se ho parlato
chiaramente.
134. AUDlufZA : r ascoltare, l'atto del-
l' udire : se hai ascoltato attentamente.
185. Bi VOGHI : rivochi ; se richiami alla
mente qaanto son venato dicendo.
186. IN PABTI: in ciò checoncemel'uno
dei dubbi enunciali più sopra, v. 26 e seg.
810 [omo qttàbto] Pab. xi. 187-189 - xn. 1-8 [sxcohda cobova]
Perohè vedrai la pianta onde si scheggia,
E vedrai il ooreggiòr che argomenta,
189 << U' ben s'impingua, se non si vaneggia. „ >
187. SI BOHBOOIA. : vedrai dA qual piAnt*
io levo le schegge, cioè intenderai ohe la
oorrosioine dei tniA domenicani porse
argomento alle mie parole che ti erano
tanto oscure. Cosi intendono 0U.,Ben9.,
Butii,Lomb.,Biag.,Ou.,Gng.,Andr,,9O0.
Altri : Vedrai come e perohò la religione
domenicana si ra assottigliando e per-
dendo della soa prima bontà; così Vtnt.,
Toni., Tom., Frat., Frane., eco.
188. IL OOBIGOIÈR ! il ftete domenicano,
detto co^ dalla coreggia onde è cinto, co-
me il Francescano dalla corda è detto
eordigUero, cfr. If^. XXVII. 67. B senso
è donqne : B vedrai cosa Tnol dire Q frate
domenicano quando si esprime come kd
io. -« Vedrai qoal* ola causa del decadi-
mento dell'ordine del Domenicani, ed an-
cora dalla fiktta corrosione argomente-
rai la signiflcadone della mia frase »(f);
Oom. Bolle altre svariate interpreto-
Bioni, come pnre sulle diverse lesioni 41
questo verso cfr. Bncid. 474.
180. u* BBT : cfr. Par, X, 00.
CANTO DECIMOSECONDO
CIELO QUAETO O DEL SOLE
DOTTOEI IN FILOSOFIA E TEOLOGIA
SECONDA CORONA DI VIVI SPLENDORI
VITA DI SAN DOMENICO, RIMPROVERO AI FRANCESCANI
BONAVENTURA ED I SUOI COMPAGNI
Si tosto come l'ultima parola
La benedetta fiamma per dir tolse,
A rotar cominciò la santa mola;
V. 1-21. Xa Beeonda eorona di vivi
splendori. Non api>ena San Tommaso
ha terminato il suo ragionamento, la co-
rona dei dodici beati ricomincia a rotare.
Ad essa si aggiunge di subito un'altra
corona di dodid vivi splendori, la quale
gira cantando intomo alla prima. Come
appaiono due arcobaleni paralleli e con-
colorì, ooaì quelle due ghirlande di sem-
piterne rose si volgono con tripudio e fe-
sta intomo a Dante e Beatrice.
2. FIAMMA: ofr. P«r.XIV, «6; XXVI.
2. -PKB DIB TOLSE: tolse a dire, proffsri.
8. MOLA : la prima ghirìanda di dodici
anime beate, detta altrove « gloriosa
rota», Par. X, 145. Mola non dipinge
che il giro, mentre la lentessa qui non
c*eDtra. Nel Conv. in, 5 dice ohe il sole
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tonLO QtABtO]
PaB. tu. 4-20 [SECONDA COBONà) 811
10
13
16
10
E nel suo giro tutta non si volse,
Prima eh' un' altra di oeroliio la chiuse,
E moto a moto, e canto a canto colse ;
Canto che tanto vince nostre Muse,
Nostre Sirene in quelle dolci tube.
Quanto primo splendor quel eh' ei rifuse.
Come si volgon per tenera nube
Due archi paralleli e concolori,
Quando Giunone a sua ancella ìube,
Nascendo di quel d' entro quel di fuori,
A guisa del parlar di quella vaga,
Ch' amor consunse come sol vapori ;
E fanno qui la gente esser presaga,
Per lo patto che Dio con Noè pose,
Del mondo che giammai più non si allaga;
Cosi di quelle sempiterne rose
Yolgeansi circa noi le due ghirlande.
gira sopr» sé € non a modo di vite, ma
di mola. » Cfr. Monti, Prop, IH, 1, 140.
4. TUTTA t non ebbe oomplto nn intiero
giro, ohe un'altra moI«, nn'altr* ghir*
landa di viri splendori, la oiroondò, ac-
oorAando il moto ed il canto al moto ed
al canto della prima.
e. C0L8K: accordò, pose all' unisono.
7. ROBTBX MuBB: i nostri poeti; cfr.
Par. XV, 26. Al.: le Hase mitologiche.
8. Snunn: oantatrfd: Al.: le Sirene
della mitologia. Aveva Dante ndito il
eanto delle Mose e Sirene mitologiche t
n concetto é: Qael canto vince il canto
nxnaao, quanto la Ince diretta del sole
▼inoe la luce riflessa della lana o di altro
corpo opaco. - tubi : in qne' soavi organi
splrltaali, celesti.
0. FBIMO SFLKfDOB : raggio diretto. -
KiWSBi riflettè. Rifondere per riflettere
aoche Par. II, 88. - « lalia qna ponto
longo eonat nnda refuso »; Virg., Oeorg.
TI, 168. - « Saxa fremnnt lateriqae inlisa
refbnditar alga»; Vitrg., Aen. VII, 690.
10. Bl VOLGON : « nel Purg, XXV, 91 e
aeg., il Poeta accennò in generale alla na-
tartk dei fenomeni Incidi degli aloni e del-
l' Iride; qni specialmente a qaeet'nltima,
descrivendola qnando ci si presenta più
Isella in arco daplice e bene determina-
to »; Ant. Cfr. Ddla VàUe, Memoria to-
^ra due ìuoghi della J>. C. Faensa, 1874.
.- tMXERA.: « sottUo, trasparente »; OU.
Al. TxmjAt lesione troppo priva di au*
torità. Cfr. Chm. Lipe. lU, 804 e seg.
11. ARCHI: i dne archi simlU e concen-
trici dell' iride.
12. ANCELLA : Iride, figlia di Tanman-
te (cfr. Purg. XXI, 60), messaggera de-
gli Bei, speciahnente di Gianone. - « Knn-
tia lononis varios indota colores»; Oetef .,
jr«t. 1. 270. -« Inno. ... Irim demlsltOljm-
po »; Yxrg., Aen. IV, 808 e seg. - « Irim
de c»lo misit Saturnia Inno »; ibid., V,
608. - lUBS : ò il lat. iubet, comanda.
18. NASCRNDO: si Credeva che l'arco
estemo dell' iride fosse cagionato dall'in-
terno, come per riflessione di voce si for-
ma r eco.
14. DI quella: della ninfa Eco che si
consumò per amore a Narciso e tu. dagli
Dei trasformata in sasso ; cfr. Ovid., Mei.
ni, 839-610. - VAOA : vagante.
16. C0NBUN8B: consumò, come il sole
consuma i vapori; cfr. Ovid., 1. o., 895
e seg.
16. FANNO : gli archi dell'iride fanno che
l' umana gente, memore del patto ferma-
to da Dio con Noè, sicuramente presagi-
sca ohe la terra non sarà mai più allagata
da diluvio; cfr. <?en. IX, 8 e seg.
19. ROSE ! anime beate dei due giri con-
centrici, dette roee così, come i giri son
detti ghirlande,
20. VOLOBANBI : Al. V0LQ6N8I ; VOLGEN*
DO. - CIRCA: attorno.
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812 tOiSLO QtJÀBTO] PÀB.XIL 21-35
[8. bohayshtubaI
22
25
81
34
£ ed r estrema all' ultima rispose.
Poi ohe il tripudio e l' alta festa grande,
Si del cantare e si del fiammeggiarsi
Luce con laoe gaudiose e blande,
Insieme a pnnto ed a voler quotarsi,
Pur come gli occhi, eh' al piacer che i move,
Conviene insieme diiudere e levarsi;
Del cor dell' una delle luci nuove
Si mosse voce, che l' ago alla stella
Parer mi fece in volgermi al suo dove;
E cominciò: « L'amor che mi fa bella,
Mi traggo a ragionar dell' altro duca,
Per cui del mio s) ben ci si favella.
Degno è che, dov'è l'un, l'altro s'induca;
Si che, com' elli ad una militare,
21. l' I8TBBMA : qnella di faorl, l' este-
riore. " ALL* ULTIMA t A quella di dentro ;
mi . ALL' ncTiMA. - BiapoBB : oorriopoee nel
moto e nel CMito.
V. 22-80. Itpw%«ffirUta di Ban no-
menieo. Cessato insieme il tripndio ed
11 canto, nna delle anime della seconda
ghirlanda, San Bonaventura francescano
(cfr. y. 127), alca la voce per cantare le
lodi di San Domenico. Ali* udire quella
yooe, Dante si rivolge subito verso il
luogo deve lo spirito si trova, come l'ago
calamitato si volge alla stella polare.
22. TRIPUDIO: del cantare. - l'alta:
Al. l'altra. -FB8TA: dèi fiammeggiarti,
cioè del mostrarsi liete coli' apparire piti
luminose.
24. GAUDIOSI B BLAHDB: piene, esee
loci, di gaudio e di affetto.
25. A puirro: si fermarono tutte in-
sieme nello stesso momento per concorde
volere, in quella guisa che gli occhi si
accordano insieme nel chiudersi e nel-
l' aprirsi ; ett. Par, XX, 147.
26. AL PIACRB: secondo che li muove
la volontà, fbrsa è ohe entrambi si chiu-
dano e si aprano ad un tempo.
28. DSL COB: dall'interno dell'una
delle luci della ghirlanda testò soprav-
venuta.
29. L'AGO: calamitato della bussola. -
STBLLA: polare.
30. AL suo DOVB : al luogo dov'era quel-
la luco dal cui intemo la voce s'era mossa.
«E vuol dire, ohe mi trasse a sé con ir-
resistlbUe fowa, doò ohe io non avrei
potuto non rivolgermi ad essa ; tanto «ara
il rapimento di quéUa voce »; Beiti,
V. 81-46. lHtr0dM»ion€ alia vUa di
San lìomenieo. Prima di cantare le lo-
di di San Domenico, Bonaventura eepone
il motivo che lo induce a far dò. È la oa-
rità celeste che lo muove a parlare del
fondatore dell'Ordine, al quale appar-
tenne colui, ohe nel canto antecedente
cantò le lodi di San Francesco. Avendo i
due Santi militato al medestmo fine di
sostenere la Chiesa, pericolante per i de-
pravati costumi del clero e del popolo, ò
conveniente che dove si fa mensione del-
l'uno, si mensioni anche l'albo. Ambedee
furono mandati da Dio per aoooorrere
alla sposa di Cristo.
82. dbll' altbo : di San Domenico. >
DUCA : capo e guida di religiosa fkadi^ia.
88. fbb CUI: i più intendono: A dimo-
strare r ecoellensa del quale si ò qui ra-
gionato sì bene del patriarca mio San
Francesco ; cfr. Par. XI, 40-43. 118-130.
Cosi Benv,, Dan., Lomb., Pori., Pog.,
Biag,, Cotta, Br»B.,Frat,, Ghrtg., Oum.,
Frane., ecc. Invece Ou.: e La cui umiltà
e carità insegnò a S. Tommaso suo allievo
a parlar A bene del mio Patriarca ». £d
il BuH: «L'amore dello Spirito Santo
che mi (k beata, tira me a ragionare di
santo Domenico.... per lo quale aoMire
del mio campione A ben ci ai fkveUa. »
Cfr. Chm. lApt. ITI, 307 e seg.
84. S'INDUCA: si introduca, ai men-
sioni.
85. BLU : eglino ; of^. Purg, XXII , 1 27.
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[CISLO QUIBTO]
PlB. XII. 36-51
[8. DOMBMICO] 813
87
40
43
49
48
Cosi la gloria loro insieme luca.
L' esercito di Cristo, ohe si caro
Costò a riarmar, dietro alla insegna
Si movea tardo, sospiocioso e raro,
Quando lo Imperador che sempre regna.
Provvide alla milizia eh' era in forse,
Per sola grazia, non per esser degna;
E, com'è detto, a sua sposa soccorse
Con due campioni, al cui fare, al cui dire
Lo popol disviato si raccorse.
In quella parte ove surge ad aprire
Zefiro dolce le novelle fronde.
Di che si vede Europa rivestire.
Non molto lungi al percuoter dell' onde.
Dietro alle quali, per la lunga foga.
Lo sol talvolta ad ogni uom si nasconde ,*
-AD UHA: ad un medesimo fine. - mu-
TABO: combatterono per la Chiesa.
36. LUCA : iltplenda ; cfr. If\f. XVI, 66.
MaU, V, 16.
37. L' KSKBCITO : il popolo Cristiano. -
CABO: «Empti estis pretio magno»; I,
Oor, VI, 20. - «Bedempti estis.... pretloso
sanguine lesa ClirisU »; I, Pttr. 1, 18-19.
88. BiABMAB ! contro 1 nemici splritaali.
Goal i pHi. Invece il JUtH: tCheoon tanto
sangae di martiri tornò a rionirsi dopo
essere stato qna e là disperso da tante
persecnsioni » (f). - all' in bxon a : alla
croce, insegna delli^ redensione.
89. 81 movba: « segniTa la croce, sno
vessillo, con pooaperfeiione (tordo), spes-
so qoa e là titubante per gli dubbi sparsi
da^ eretid (iotpeecioso) e in poco nn-
mero (raro)} » Cfom,
40. Impkbadob: Dio; cfr. Inf. I, 124.
Par. XXV, 41. -sbmpbb: cDomlnns re-
gnabit in letemom et ultra »; Bxod. XV,
18. - « Domlnas regnabit in eternnm, et
in ssDonlam siecali »; Psl. IX, 87.
41. MILIZIA : cristiana ; cfr. I, Timot, I,
18. - IK F0B8B : In dubbio, vacillante nella
fede, e perdo in pericolo. Le due diverse
interpretaiioni (cfr. Oom, Lip*. m, 809)
ai riducono dunque essenzialmente ad
ima soIa, poichò chi é in dubbio ò pure
in perieolo.
48. SPOSA: Chiesa: ofr. Par. X, 140.
^ug., Oiv. Dei XXII, 17. Sjutd., Doctr,
Ohritt, I, 16.
45. Bi BA0C0B8B : SÌ rawide ; da raceor-
perti/coaìipiti (Benv.,BuiitVéU,, Lomb.,
Biag.»Br, B.» Frat.,Andr., FOal., Siane,
WitU, ecc.). Al.: Si radunò, da raeeogliere
{Land., Dan., Veni., ecc.).
V. 46-105. Vita di San Damenieo.
Bonaventura discorre a lungo della vita
di San Domenico, descrivendo 11 luogo
dove nacque, la sua infimcia e le sue
gesta. Sulla vita di S. Domenico confr.
Aeta Sanet, Aug., I, 645>632. QuW et
Eehard, Script. Ord. Fred. I, 26-69. La-
eordaire, Vie deSt. Dom.PAV., 184a Caro,
S. Dom. et lee DonUmcaine, Par., 1853.
Dauxae, Étude tur let tempe primitifs de
l'ordre de 8t. Dom. 3 voi. Par., 1874-75.
46. PABTK: occidentale dell' Bnropa,
nella Spagna.
47. ERFFIBO: venti dell'oceano, die i
poeti dicono fecondo ; cfr. Ovid., Mei. 1,
64, 107-108. Lueret., De rer. nat. l, 11.
49. OKDB : dell'Oceano Cantobrico, oggi
golfo di Guascogna. Sopra questa terzina
cfr. Ponta, Opp. tuD.,p. 252 e seg. DeUa
Valle, Seneo, p. 110 e seg. Ejutd., Nuove
Uluttr., p. 82 e seg. Ejued,, Dante-Jahr-
bueh IV, 868-871. Oom. Xtpt. UI, 811
e seg.
50. FOGA : il lungo e rapido corso del
sole durante il solstizio d'estate.
51. TALVOLTA: intorno al solstizio di
estato. « Quando siamo verso il colmo
della state, e perdo non sempre (talvol-
ta), rispetto all' Italia il eole andando per
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8U [CULO QUABTO] Pab. xn. $2-99
[8. DOMmCO]
a
56
58
«1
04
67
Siede la fortunata Galaroga,
Sotto la proteaon del grande scudo.
In ohe soggiace il leone e soggioga.
Dentro tì nacque l'amoroso drudo
Della Fede cristiana, il santo atleta,
Benigno ai suoi ed ai nemici crudo;
E come fu creata, fu repleta
Si la sua mente di viva virtute,
Che, nella madre, lei fece profeta.
Poi che le sponsalizie fiir compiute
Al sacro fonte intra lui e la Fede,
IT si dotar di mutua salate;
La donna che per lui l' assenso diede.
Vide nel sonno il mirabile frutto
Ch'uscir dovea di lui e delle rode.
£ perchè fosse, qual era, in costrutto,
Quinci si mosse spirito a nomarlo
Del possessivo di cui era tutto.
U Innga iiut foga o oono, d nMoonde al
di là dell* acqae dell' Oceano nella dire-
zione del lito, non lungi dal qnale sede
Callaroga » (f), Oam.
52. FOSTUHATA! per camil nato San
Domenico. > Calabooa: V antica Oolo-
gurrii, oggi Calahorra, città della Carti-
glia Vecchia, tnll' Bbro, non Inngi da
Osma.
58. SCUDO: V arme del re di Castiglia
è ano sondo dorè s' inquartano dne ca-
stelli e due leoni così che da nna banda il
leone è sotto (toggiaee), dall' altra banda
esso leone è sopra {toifgioga} il castello.
55. HACQUB: nel 1170. - L'AMOBOSO
DRUDO : V amante fedele della Fede, doò
San Domenico. La rooe drudo non avera
anticamente la cattiva signiflcaiione ohe
ha oggi; cfr. Diez, Wdrt, P, 168 e seg.
Oom. Upt. Ili, 313.
67. AI suoit a quelli della sna fede. -
CBUDO: crudele, avendo messo a ferro
e ftiooo gli Albigesi.
68. BBPLBTA : ripiena; ofr. Inf, XVIII,
24. Purg. XXV, 72. Lue, 1, 16. -«Non
est credendom allqnos alios sanctiiloatos
esse in ntero de qnlbns Scriptora men-
tionem non fecit »; Thom. Aq., Sum. theoL
HI, 27, 6.
60. OHE : la qnal manto. - Ln : la madi«.
AJ. intendono: La virtii fece profeta la
mente. Profeta non fu il bambino, ma la
madre: cfr. Lue, 1. 41. Ootn, L(pé, UI,
314 e seg. Dicono che la madre di Ssa
Domenico, essendo di Ini incinta, sognas-
se di partorire nn cane bianco e nero
(oolori dei domenicani) con nna fece fai
bocca; oonfr. Aet. Band. Aug. I, 648,
666, 669. Bokrbuck^, Storia deUa Ohiem
XVn, 1, 71.
61. BPOKaALizix: battesimo. « Poi ohe
al sacro fonte del battesimo si fece sposo
della Fede »; Dan, - « Domenico nel batte-
simo promise sé alla Fede ; la Fede a Ini
vita etema»; Tom.
64. LA dohna: la madrina che die per
Ini r assenso alla fede, vide in sogno die
egli aveva nna stella in messo alla fronte,
segno ch'egli avrebbe illaminato i popoU ;
cfr. Aet. Sanet. Aug, I, 666.
66. DBLLB BEDB: Al. DELL* BBBDB ; dei
frati dell'Ordine da Ini fondato i cfr. Par,
XI, 112. Cosi i più. Al., leggendo ddTert-
de, intendono di S. Tommaso, erede della
sna santità e dottrina (VeO, ecc.).
67. IH ooeTBUTTO: néUa denominasio-
ne; aifinché il sno nome fosse Teq^res-
sione genuina del suo essere.
68. guiHCi: di quaasà. dal delo. - ari-
BiTO: ispiraiione mandata dal delo al
padre e alla madre.
69. poe8i88iyai>I>oiiiifii6M« postoadto
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[CIILO QUÀBTO]
Pie. ih. 70-84
[8. DOMENICO] 815
70 Domenioo fa detto ; ed io ne parlo
Si come dell'agricola che Cristo
Elesse all'orto suo per aiutarlo.
73 Ben parve messo e famigliar di Cristo;
Che il primo amor che in loi fa manifesta,
Fu al primo consiglio che dio Cristo.
76 Spesse f^te fa tacito e desto
Trovato in terra dalla soa natrice.
Come dicesse : '' Io son venato a qaesto. j,
79 O padre sao veramente Felice !
0 madre saa veramente Griovanna,
Se, interpretata, vai come si dice !
83 Non per lo mondo, per cai mo s'affanna
Diretro ad Ostiense ed a Taddeo,
Ma per amor della verace manna,
di Domlmit. « DonUnicut denominatlTe
dkttor a Domino.,., Dominiotu non di-
dtar de hls do qniboi Dominui pnedioa-
tnr ; non enlm oonraevlt dld qaod aliqnli
honto qoi est domioiu, dt dominimu ; aed
fUod qood qndltercomqae eet Domini,
dotHbiicum dicitoT; doat dominio» yo-
limtM, vel domlnioa manna, vel dominioa
pudo^ Thom. Aq„ Bum. theol. Ili, 16, 3.
71. AOBICOLA: i^ooltore.
73. OSTO : Chieaa ; efr. Par, XXVI, M.
0 se^. - iJUTASLO : « o per aiutar Vorto,
e rana ripurgarìo; o per aiutar Oriate,
e varrà cooperare con esco nella ooltnra
dell'orto »t Jjomb.
73. PABVK : apparve, d manifMtò nnn*
do e Aunigliare di Cristo. Dante non ri-
ma il nome di Oricto oon altra rooe, non
eaaendoTl Idea da pareggiard a quella
delia divinità. Cfr . Par, XIV, 104 e leg. ;
XIX, 104 e seg.; XXXII, 88 e seg.
75. oORSiouo : alla povertà (otr, Matt,
XIX, 21). doè alla profesdone dd pri-
mo «oi»dpUo dato da Cristo, oome fonda-
! mento della vita perfetta; ofr.2%om.J.g.,
I Sum, ihool. I, n, 108, 4. - «Illad vero
qua potali dlstriotlone prohibnit, ne qnis
naqnam in ano Ordine poesesdonee in-
doeeret temporalee, maledictionem Dd
omnipoteiitls et soam terribillter impre-
oans d, qoi Prtsdloatomm Ordinem,
qoem prseoipne paopertatts decorat pro-
I ibado, terrena snbstantisvenenoresper^
gerelaboraret»! OocttmUmUf Yita Do-
miHM, t>9 46.
} 78. A QUBHTO : a pregate eolia nuda
terra. € Essendo inflmtolo, ohe anoo sta-
va appresso la nntrioe, speese volte fti
trovato da lei nsdto del letto in terra gi-
nooohione, svegliato innanti a la flgnra
ad adorare »; BuH, Cfr. Aet. Sanet. Aug.
I, 586.
70. Felici: non por di nome, ma an-
che di tetto.
80. GiovAHKA: questo nomedgnifloa
in ebraico la donna cai Dio ò benigno.
San Girolamo interpreta: DonUnuc gra-
tta due.
81. 81: non sapendo di ebraico, Dante
non vnol deddere se l' interpretadone
di San Girolamo da giusta.
82. PBB LO MONDO: non d fece gran
dottore per aoqnistard cose mondane. -
MO: adesso.
88. OSTUNBB: Enrico di Snsa, vescovo
di Sisteron, poi ardvesoovo di Bmbron,
nel 1261 creato cardinde e vescovo di
Ostia, m. 1271, celebre commentatore
delle Decretali; oh.Murat,, Script. XL,
1158. - Taddeo : i pih intendono di Tad-
deo d'Alderotto fiorentino (12161-1295)
medico cdeberrimo ed antere di molte
opere (G, ViU. Vili, 66. Tiraòoechi, Lett,
iUU. IV. 227 e seg.) ; cfr. Murat., Script.
XTV, 1112. Cod OU., Poh, Oaee., Petr.
Dant.tFal»oBocc.,Benv,,Land., VèU.,too.
Altri intendono di Taddeo Popoli, giore-
oonsnlto bolognese contemporaneo di
Dante. Cod Lan., An. Fior., BuH, Dan.,
Pog., Tom., eco. Cfr. Oom, lApe. m,
810 e seg.
84. MANNA : dd oibo spirituale, op^
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ritoale, opposto
y Google
816 [cnsLO QtJÀBTO] PiB. Tiu 85-99
[8. DOMXHICO]
85
91
94
97
In picciol tempo gran dottor ed feo ;
Tal che si mise a circuir la vigna,
Che tosto imbianca, se il vignaio ò reo;
Ed alla sedia, che fa già benigna
^iù ai poveri giusti, non per lei.
Ma per colui che siede, che traligna,
Non dispensare o due o tre per sei,
Non la fortuna di prima vacante.
Non deeimaSj qtuB sunt pauperum Dei,
Addomandò ; ma contro al mondo errante
Licenza di combatter per lo seme
Del qual ti fascian ventiquattro piante.
Poi con dottrina e con volere insieme
Con l'officio apostolico si mosse.
Quasi torrente ch'alta vena preme,
al beni terrestri mi quali gli aomini ao-
gUono correre dietro e per amor dei quali
studiano iura e ^fonimi; ofr. Par, XI, 4.
86. CIBCUIB : « girare intomo per gnar-
dia e ooltora»; Tom, - vigha : la Cliieaa t
ofr. Itaia, V, 1, 8, 4; XXVn, 2. ifott.
XX, 1 e seg.
87. IMBIANCA: perde il sno verde, si
seeoa.- yionaio : il pastore déUa Chiesa.
- REO: di pigrisia, negligensa, o d'altro
Visio. Cfr. eeretn. H, 21.
88. 8RDIA : pontificia. Domenico andò a
Soma nel 1205.
89. PIÙ : ohe non al presente. - pkb
Ln : non per oolpa della tedia, ma per
colpa di colai ohe la ooonpa attualmente,
doè del pontefice, il quale non esercita
il ano ministero di carità e di amor cri-
stiano come sarebbe sno sacrosanto do-
vere.
91. HOH : non addomandò, v. 94, doò
non chiese fisooltà di dare dne o tre per
guadagnare sei. Oppare : « non domandò
dispensasione di dare doe o tre, quando
doveva dare sei, imperò che molti sono
ohe dò addomandano »; An, Fior., Lati.
Cfr. Oonv. IV, 27.
92. DI frdca: Al. DI PSDfO; non do-
mandò le rendite del primo benefldo va-
cante.
9S. HON DBOIMAS: non domandò le de-
dme che sono dd poveri dd Signore.
94. MA OOHTBO : « ma dimandò Ikcoltà
di combattere per la fbde che è il seme
del qoAie nacquero queste ventiquattro
piante ohe in dne concentriche ghirlande
ti droondaao»; Oam. Sino dal 1215 Do-
menico chiese rapprovaaione dd soo
ordine. Ma il Concilio Lateraoo prdU
la fondadone di nuovi Ordini religiosi.
Si di^ che, su ripetute istanse e pre-
ghiere di Domenico e di altri per lui, In-
nocenso m conl^rmasae dò non ostaate
l'Ordine, ma soltanto a viva voce. Fa
pd confermato sdennemente da Ono-
rio lU, nd 1216. Cfr. Oom, LiiM- HI, 821.
96. 8BMB: la fede; cfr. Moti. Xm,
24, 27. Luea, VHI, 11.
96.TI FASCIAH : AL 81 FASOAIf . -PUJm:
per queste ventiqnatkt» piante gli antldii
intendono unanimemente i libri dd Vec-
chio Testamento; cfr. Purg, XXIX, 82
e seg. Cod Lon., OU,, An. Fior,, PotH.
0a$9„ P€tr, DanL, Fram. PaL, Arti,
Land., VeU., ecc. Meglio Bm». : « ided.
cuius seminls fldd viginti qnatnor flo-
ridi doctores dnguntte.» Cfr. Par, X,
91 e seg. Cod tutti i moderai
97. POI: piccolo anacronismo. Sino dal
1206 Domenico erad adoperato per coa-
vertire gli Albiged, prima odia dotMas
e coli' doquenaa, quindi odia violensa,
col friooo e odia spada. Ma finse qod
poi d riferisce all'andata di Domenico s
Boma nd 1206.
98. con L'onnao : con 1* autorità con-
feritagli dd pontefice Innocenso m.
99. PiUBMB :« qnad fiume ohe scende di ,
monte, che vena d'acqua, die vegns
d'dto, spinga; quando la vena dell'acqua
dd fiume viene d'alto, allora corte piti
rapidamente e pih fortemente »; BvH,
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[CULO QUARTO]
PlB. III. 100-114 [PBANCE8C1NI] 817
100
103
106
100
112
E negli sterpi eretici percosse
L'impeto su0| più vivamente quivi,
Dove le resistenze eran più grosse.
Di lui si fecer poi diversi rivi,
Onde l'orto cattolico si riga,
Si che i suoi arbuscelli stan più vivi.
Se tal fu l'una ruota della biga
In che la santa Chiesa si difese,
E vinse in campo la sua oivil briga.
Ben ti dovrebbe assai esser palese
L'eccellenza dell'altra, di cui Tomma,
Dinanzi al mio venir, fu si cortese.
Ma l'orbita che fé' la parte somma
Di sua circonferenza, è derelitta.
Si oh' è la muffa dov' era la gromma.
Cfir. Imia, LIX, 19. flbm., JZ.V,110«aeg.
Tirg., Am. II. 805 o aeg. Lucret, 1, 282.
100, stirpi: ofr. Ir\f. Xin, 87. Purg,
XIV, 95. « NoU obo li fìsdeli sono le-
gittimi ftrbaoelli e li eretid sono ster-
pi >; Lan„ OU., An, Fior,, Cfr. Oiov.
XVI. 2.
101. QUI7I : nella Proyensa, ansi totto
nel distretto di Tolosa, nel qoale piti obe
altrove florivano gli Alblgesi. Snlle guer-
re orribili contro gli Albigesi, alle qnali
Dante qoiallnde, cAr. Petr.VaU. (kmaji,
Hiit, Albig. in B^r. OaU. et Frane. Seript.
XIX, 1. Otta, de Podio Lawentii, Super
Biat. negai. Frano, adv. Albig. ibid., 103
eseg. JSiet.dela eroieade eonire tee AUd-
geoie, pubi, par S. Fauriel, Par.. 1837.
Barrau et Darragon, Hiet, dee eroieadee
eont. lee Alb., 2 toI.. Par., 1840, AneUi,
Stvr. delia Ohieea, I, 888 e seg.
103. BIVI : avendo detto torrente S. Do-
menieo. ohiama rivi i snoi segoaoL Do-
menioo morì il 8 agosto del 1221. 1 riti
potrebbero anobe essere i tre Ordini do-
104. L*OBT0: la Cbiesa; ofr. Oant. OanUe,
IV, 12; V. 1. Luea, XHI, 10.
105. ABBUflCBLLi: 1 membri della Cbiesa.
- PIÙ VIVI : più ferventi nella fede.
V. 106-126. Za dogeneramtone dei
Frem^esoettU, Fatto il panegirico di
8. Domenioo, Bonaventura neinfèrisoe
reooelknaadi San Francesco. Domenico
e Franoesoo furono le dne mote del
carro, sopra il qoale la Clilesa combatto
la eiva briga, la guerra oontro gli Al-
da. — iNv. Oraim., 4» edl«.
blgesL Se Tona mota ò di tanta ecoel-
lensa, l'altra sarà egnale. L' argomenta-
zione ò slmile a qnella di S. Tommaso.
Pair. XI, 118 e seg. B come 8. Tommaso
oontinnava lagnandosi de' suoi correli-
gionari depravati, cori 8. Bonaventura
passa a deplorare il tralignare de' snol
oorrellgionari Francescani. Poobi sono
ancor fedeli alla regola, e questi poobi
non vengono nò da Gasale nò da Aoqua-
sparta. Cfr. la lettera circolare di S. Bo-
naventura del 6 aprile 1257 in Wadding,
ad an. 1257. n. 10. dove si leggono press'a
poco le stesiM lagnanse.
106. l'uva : 8. Domenico. - biga i carro
a due mote ; cfr. Pwrg. XXIX, 107. « Gli
antichi duci guerreggiavan sul carri ; ed
anche la S. Cbiesa doveva alla maniera
de' capitani scendere a combattere sopra
un mistico carro, di cui formavano le
mote S.Domenico e S. Francesco. Dice
Hga, perobò altro obe sulle bighe, per
non aver imbarassodl molti cavidll, gner-
regglavasi anticamente. » Betti,
108. BBIGA: questione; confr. Pwrg,
XVI, 117.
110. DBLL* ALTRA t dell'altra mota, doò
di San Francesco. -Tomma: Tommaso
d'Aquino.
111. VKMiB: apparirti. - oobtbse: di
elogi.
112. l' orbita: l'orma obe segnò la
parte somma della oirconferensa della
ruota, oioò l'orma di S. Francesco, non
ò più gradita.
U4. la mufta: ò il m#le dove prima
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818 [OIBLO QUARTO] PlB. XII. 115-127
[FB1NGB8CAHI]
115
118
121
134
127
La saa famiglia, che si mosse dritta
Coi piedi alle sue orme, è tanto vòlta,
Che quel dinanzi a qnel diretro gitta;
£ tosto si vedrà della ricolta
Della mala ooltora, quando il loglio
Si lagnerà ohe l' arca gli sia tolta.
Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio
Nostro volume, ancor troveria carta
U' leggerebbe : '' Io mi son quel ch'io soglio „ ;
Ma non fia da Casal, né d'Acquasparta,
Là onde vegnon tali alla scrittura.
Che V un la fugge, e l' altro la coarta.
Io son la vita di Bonaventura
or» il bene. - « Le botti piene di bnon
Tino ftuino 1a gromma, doè il tartaro,
Tuotate fiuino la mnAk. Qui 8. Bona-
reotora aflbrma che al tempo presente i
Bnoi fkrati non andavano nella carreggiata
come andavano da principio. » Ctom.
115. FAMIOLIA: i Francescani; oonfr.
Par. XI, 86.
117. GITTA t va a ritroso, ponendo le
calcagna dove J^anoesoo e i snoi primi-
tivi segnaci ponevano la pnnta de' piedi,
tanto ò la tua /amiglia svolta dal dritto
cammino. Ctt. però FUomuti Chteljl, Il
verto « che <iuél dinangi a quél diretto
gitta >, Verona 1898. POUgriniTif^ BuXL
n, I, 97 e seg.
118. SI VKDBÀt Al. 6'AvyiDEÀ; SÌ ve-
drà presto qnale sia 11 frutto della mala
ooltivasione. Il Poeta allude qni alle di-
scordie insorte nell' Ordine dei France-
scani ed all' aboliiione degli Spirituali^
che si separarono poi dai Francescani e
dalla Chiesa, e si costituirono in setta.
Cftr. Eaynald. ad an. 1294 e 1318. Wad-
ding, ad an, 1294, n. 9, ad an. 1801, n. 1.
Extravag. Joh. XXII, iU. VII, Oom,
Lips, ni, 826.
119. IL LOGLIO : gli Spirituali, o Ere-
miti Celestini, discacciati dall'arca della
Chiesa. Invece Oom.: « pagherà il fio,
perohò all'ordine tralignato che mal col-
tiva la vigna del Signore 11 popolo cri-
stiano non gli fsrà quelle elemosine, onde
egli trae il suo mantenimento »(f).
121. Foouo A Foouo : a frate a frate,
n volume è r Ordine, i fogli i frati. Cfr.
Par. XI, 180-132.
122. CABTA; frate.
128. QUBL : sono quale debbo essere,
fedele ai princlpii della regola, <
levano esser i primitivi segnaci di Saa
Francesco.
124. DA Casal: da Casale nel Ifoafsr-
rato, onde venne fra Ubertino da Casale,
che nel capitolo generale del 1810 si fboe
capo dei solanti per istringere soverchia-
mente la regola ; cfr. Oom. JApt. HI, 827.
- D'ACQUABPASTA: nel contado di TodU
d'onde venne Matteo d'Acquasparta ohe
rilassò la regola e fa Ministro generale
e poi cardinale. Sulla sua missione a Fi-
rense nel 1800 cfr. G. Via. VILI, 40, 49.
126. ALLA scbittdra: alla regola torU-
ta di San Francesco.
126. l'uk: qnel d'Acquasparta /«^p*
la regola, sembrandogli troppo rigida;
quel da Casale invece la coarta (lat. ooor-
etcU), la ristringe, limita.
V. 127-146. Gli tpiriH òoaH déOm
•oeonda ghirlanda. Sensa aspettare di
esseme richiesto, Bonaventura nomina sé
ed i suoi compagni del cerchio esteriors.
127. la VITA: l'anima; ofr. Par. IX,
7.-BoifAyuiTUBA: il Doetor mrapkiemt
Giovanni Fidansa, n. 1221 aBagnoregI»,
oggi Bagnorea, presso 11 lago di Bolseaa,
entrò nell' Ordine dei Franoeooani nel
1248. eletto nel 1266 Ministro Genecale
dell'Ordine, nel 1272 cardinale e vescovo
di Albano, m. 16 luglio 1274 a Uone, aa-
toro di molte opere teologiche, il PlaloDS
degU scolastici. Cfr. HoUenberg, Studitn
Mu Bon., Beri.. 1862. Richard, Audétmr
lemif9Ueieme9péeulat^d$SLBon,,'P9r,,
1873. Borgognoni, Dottrine JUot. di Bois..
Boma, 1874. A, M. Da Vicenza, Vita di
San Bon., 2<^ed., Monca, 1879. Com. lÀpe,
m, 828.
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[CULO QUÀBTO]
PAB. XU. 128-189 [SPIEITI BBITI] 819
180
133
136
139
Da Bagnoregio, che nei grandi o£Sci
Sempre posposi la sinistra cnra.
Illaminato ed Àugostin son quici,
Che far dei primi scalzi poverelli.
Che nel capestro a Dio si fero amici.
Ugo da San Vittore è qui con elli,
E Pietro Mangiadore, e Pietro Ispano,
Lo qual giù lace in dodici libelli ;
Natan profeta, ed il metropolitano
Crisostomo, ed Anselmo, e quel Donato
Ch'alia prìm'arte degnò por la mano;
Rabàno è qui; e lucemi da lato
120. BiNiBTBA: temporale. « SapientU
pertlnet ad dextnm. aiont et o»tere spi-
ritoalla bona ; temporale aatem nntri-
moitom ad sinistram »; Tkorn, Aq., Sum,
tkéol. I. n, 102. 4.
189. Illuminato : da Rieti, nnodel pri-
mi segnaoi di S. Franoeaoo e ano compa-
gno in Oriente ; efr. Wadd%ng,adan.lM9,
- AuouOTUr : anohe oostoi ano dei primi
oegnaei di S. Franoeaeo, eletto Ministro
dell'Ordine in Terra di Lavoro nel 1216.
- QUICI : qni.
182. NBL CAFB8TB0 : oingendoai del oor-
done firancesoano.
183. Ugo da San Yriroiue : celebre
teologo mlatioo, n. rerao il 1097 preaao
Ipres in Fiandra, Tisae alno al 1116 nel
oonrento di Hameraleben preaao Hagde-
bnrgo ; entrò quindi nell'abbasia di San
Vittore preaao Parigi e vi morì 1*11 feb-
braio lUl. Cfr. lAebner, Hugo v. St.Yiù'
ior, Lipa.. 1832. Thom, Aq., Sum. thed,
II. n. 6. 1. Oom. Lipt, III, 329 e aeg.
184. PiBTBO Manoiaookk: Petrut Co-
metter, teologo francese n. in Troyea ani
principio del aec XII, fu Decano della
Cattedrale di Troyea e dal 1104 in poi
cancelliere dell' nnireraità di Parigi ; ai
ritirò quindi neU'abasia di S. Vittore e vi
morì nel 1179. La ana opera principale è
la Hittoria §€hoUuHea. - Pietro Ibp ano :
Pietro di Giuliano da Liabona, n. rerao
il 1226, Al prima medico, poi teologo, car^
dinaie ed arotveaoovo di Braga, eletto
pi^ia nel 1276 (Giovanni XXI), m. 20
maggio 1877 a Viterbo aotto le rorine di
unaoaaa. Dettò, tra altre opere, le celebri
BummnicB logioaUi, alle quali ai allude
nel rerao aeg. Cfr. G. ViU. VII, 50. Poi-
(ktbtt. Moffetta Pontìf, Barn., voi. U.
135. GIÙ : nel mondo. - LUCI : riaplende
per fluna. - libklli i libri.
186. Natan : il profeta ebreo ohe ebbe
il coraggio di rampognare il ra Davide
per il ano peccato ; cfr. n Beg. XII, 1
e aeg. Ili Bfg. 1, 34. fi qui nominato ac-
canto a Criaoatomo, perchò ambedue dia-
aero amare verità ai Grandi della terra.
137. Gbibostomo : Giovanni d' Antio-
chia, detto Criaoatomo (—bocca d'oro) a
motivo della aua eloquensa, n. da no-
bile fkmiglU verao il 847 in AntioohU
fu preabitero nel 886, patriarca (=■ me-
tropolitano) di Costantinopoli nel 308, m.
nel 407 in eaiUo nella chieaa di Baai-
liaco preaao Coniano nel Ponto. Fu uno
dei più eloquenti Padri della Chieaa gre-
ca e de' campioni pih animosi del criatia-
neaimo; cfr. Neander, Der. hi Cfhry$otto-
mia, 3* ed., GK>tha, 1858. Socr hist. eed.
VI, 2-21. Sozom. Vili, 2-28. Eieron,, De
vir, iUuetr., 129. Rivière, J, OhrieoeL
eomme prédieateur, Strassb., 1845. -An-
sblmo : arcivescovo di Canterbury, il ce-
lebre antera del Our Deut homof e di
altra opera teologiche, n. in Aosta verso
il 1033, monaco di Bec nel 1060, abate
nel 1078, araivesoovonel 1098, m. 21 apri-
le 1109. Cfr. B, Haete, Ant. von (km-
Urbwry, 2 voi., Lips., 1843-53. - DoNATOt
BUo Donato, vissuto verso la metà del
sec. rv, insegnò a Boma, fti maestro di
San Girolamo e grammatico celeberri-
mo. Dettò un Ubro di elementi gramma-
ticali che fb più secoli in uso nelle scuole,
e commentò Teroniio e Virgilio; cfr.
Baehr, Ròm, IM. III«, 888 e seg.
188. pbim'abtb: grammatica; ofr. Cowa,
II, 14.
139. Basano : BabaiuKlfanroi n. 776
.itizedbyV^OOgle
820 [CIKLO QUARTO] Pab. xii. 140-145
[SPIBITI BBATI]
142
145
n calabrese abate Gioacchino,
Di spirito profetico dotato.
Ad inveggiar cotanto paladino
Mi mosse la infiammata cortesia
Di fra Tommaso, e il discreto latino;
E mosse meco questa compagnia. »
• MagoBtt, aUioTO del monMtero di Ful-
da del qaale Ai eletto abate nell' 823, ar-
oiveaoovo di Magonsa nell' 847, m. 866.
SoriMe pareoohie opere teologiohe, tra le
qoali commenti a più libri della Bibbia.
Confir. Aet, Sanet. IV, 2, p. 20 e eeg.
J>ronké, Cod. dipi. Fuld., 181 e aeg. Hi9L
liU, déìa Frante, Y , 151 e «eg. Baéhr,
mm. ZAU, im Karoling. ZeUtOUr, 415-
447. Sbert, LOL dM MUtOaUer; n, 120
e Mg. SohnvUs, BustbUekér und Bum-
di$9ipKn, 1888, p. 788 e teg. Cam, lApt.
Ili, 882 e Mg. - LUCIMI : Al. rULGKMl. -
LATO: sinietro.
140. CALAMBMBJt: O CàLÀVRESI, Ohè gli
antichi diooTano anche Oalavra per CMo-
briai cfr. Q, ViU. UI, 4. Oioaocbino da
Celioo in Calabria, n. Terso il 1180, abate
del monaetero di Flora preaao CoMn-
sa, m. 1202. fta forM profeta, e forM im-
postore. Ctt, E. Renan, Joaehim de Fio-
re et VEvangUe étemel nella JRevue dee
deuxmondee, 1868, 94-142. Seuter, Oeeeh.
dee Av/klàrung, II, 191-218. Janaueehek,
Orig. Oietere. I. p. lxxi. Oom. Lipe.m^
883 e Mg. 8. De (Mara, Dante e (kOa-
bria, Coeensa, 1894, p. 69-66.
142. AD niTEOOiAB: « ad inTidendom,
soilioet in bona parte »; Tal. Nel Purg,
VI, 20, inveggia per invidia. Imviooiab
leggono qaasi tutti, intendendo ohi invi-
diare in biMna parte, oioò emnlare in be-
ne, qaindi encomiare (OU., Benv.,Land.,
YeU., Dan., Voi., Veni., Lomb. e qnasi
tntti i moderni); chi rinnovare ìa i
ria {Lan., An, Fior,, eco); chi mani^èetart
e MUure (BvH, Andr,, ecc.). Kei codd. e
nelle edd. ant. ata 4t»M^0!9<ar che è fbrse
nn sempliciMimo «baglio per inneffgiarf
lesione che renderebbe il testo chiaris-
simo; ma la quasi nnanimità dei oootm.
antichi decide in flsTore della les. ietveg-
gioir: o^* BneieL 1066 e seg. -PALADao i
titolo che 1 romanai caTallersaohi danno
ai dodici campioni di Carlo Magno. Dan-
te lo attribnisee a San Domenico, cam-
pione della Chiesa.
148. nrFiAMMATA: ardente di carità.-
oosmiA: nel Atre Telogio di San Fiaa-
144. FBA: Tommaso d*AqaÌiio noalh
canonissato ohe nel 1828, dae anni dopo
la morte di Dante. - discbro : retto e
modesto; cAr. Cane. 1, 11. JfotiK, Prof.
I, 2, 281. - LATIMO : « perchè a* tempi di
Dante le persone dotte sortreTano e pa^
layano latino, latino nsaTasl a significare
discorso ornato o sermone »; Ca/vemi.
Chiama dieereto ìatino U discorso di Ssa
Tommaso in lode di San Francesco, Par,
XI. 48-117.
146. mossi: al tripudio descritto nsl
principio di qoesto canto. - oompaoiia:
gli altri miei andid eompagni. « 8. Boaa-
Tentora afferma che tutte le anime che
erano seco, ftirono pure da S. Tommaso
mosM a fere Mgni di laude (f) odi festa»;
Oom.
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toiKLÓ iìUlBTo] t^AB. liti. 1-d tt>AK2B È ÒAtTtt] 821
CANTO DECIMOTERZO
CIELO QUABTO O DEL SOLE
DOTTOBI m FILOSOFIA E TEOLOGIA
KUOyA DANZA B NUOVO CANTO
IL BAPBBB DI 8AL0M0NB, DI ADAMO B DI CBI8T0
TAHITI UMANB NBGLI STUDI, NBLL' INTBNDBBB LA 8CBITTUBA BACBA
B NBL OIUDICABB DBLL'ALTBUI SALYAZIONB
Imagini ohi bene intender cupe
Quel ch'io or vidi (e ritenga Pimage,
Mentre ch'io dico, come ferma rape),
4 Quindici stelle che in diverse plage
Lo cielo avvivan di tanto sereno,
Che soperchia dell'aere ogni compage;
7 Imagini quel Carro a cui il seno
Basta del nostro cielo e notte e giorno,
Si eh' al volger del temo non vien meno ;
Y. 1-30. J>anme e canti in nuova 1. cupi: desidera, brama; lai. eupU.
mumiera. Come di eolito nel Paradieo 2.iMAOK:imagliie;cfr.Pttr^ XXV,26.
danteeco, doTe i ooUoqoii ei alternano coi 4. stelli : delle più splendenti, che ooi
oanti e con le danae dei beati, tosto ohe loro raggi passano l' aere ancora adden-
BonaTentnia ha finito il soo discorso, i sato.-PLAGB: ]at.pìagcB, plaghe, regioni
rentiqaattro spiriti formanti le doe gbir- del cielo.
lande di viventi ind ritornano alla dansa 6. skbbno : ohfaresza ; ofir. Lueret. II,
ed al canto. Per dard nn' idea della for- 140 : « At vapor is qaem sol mittit lomen-
ma e della bdleisa dei dae celesti drap- qae serenam. »
pelli formati dai ventiquattro santi Dot- 0. compaob: lat. eompaget; densità,
tori, U'Poeta ricorre alle stelle. « Imma- « In nnbem cogitar aer >; Virg., Aen,
gin! dnnqoe il lettore > cotà. il Poeta, Y, 20. Cflr. Nannueei, Nomi, 76 e seg.
« colle sette stelle dell' Orsa maggiore le 7. Gabbo : le sette stelle del Carro di
doe più grandi dell' Orsa minore e qoin- Boote, ossia dell' Orsa maggiore, ohe non
diei altre delle più splendenti stelle del tramontano mai, compiendo il loro giro
eielo; immagini che queste ventiqaat- nel nostro emisfero intomo alla stella po-
trò stelle formino in cielo due costella- lare. Arturo da Dante non fu compreso
staili simili alla corona d'Arianna, le nel Carro, cfr. Cam.: «Io son venato,
quali siano concentriche e girino insie- eco.»str. 8. Bogt., Cotu.phil. IV, metr.6.
me ; ad avrà una qualche idea della cosa 0. timo : timone; ofr. Purg. XXII, HO;
da ma rodata. > Cflr. Peroz, Sette Cerchi, XXXn, 40. 140. Par, XXXI, 124. - non
69. OfMsnU, La Beuola, 1872, 1, 180 e seg. yikn : non ci toglie lUla vista , nessuna
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[CULO oniBTo] Flfi. Xttl. 10-^
[DAKZI 1 OANTI]
10
13
16
10
22
25
Imagini la bocca di quel corno.
Che si comincia in panta dello stelo
A coi la prima rota ya d'intorno,
Aver fatto di sé dae segni in cielo,
Qnal fece la figlinola di Minoi
Allora che senti di morte il gelo ;
E Pan nell'altro aver li raggi snoi,
Ed ambedue girarsi per maniera,
Che l'uno andasse al prima e l'altro al poi;
Ed avrà quasi l' ombra della vera
Costellazion e della doppia danza.
Che circulava il punto dov'io era;
Poi eh' ò tanto di là da nostra usanza,
Quanto di là dal muover della Chiana
Si muove il del che tutti gli altri avanza.
Li si cantò non Bacco, non Peana,
Ma tre Persone in divina natura,
delle sue steUe, ohe ai «gglrsno intorno
alla BtelU polare ooéi dayrioino che re-
stano notte e giorno sopra l'orizsonte.
10. LA BOCCA : le dae ultime stelle del*
rOrsa minore, la qaale si può por as-
somigliare ad nn corno ricarvo.
11. «PUNTA : nell'Orsa minore le stelle
son disposte a mo' di corno che incomin-
cia presso la ponta dell* asse (in punta
dello ttelo), intomo al qnale si aggira
la prima rota, cioè il delo delle stelle
fisse.
13. AVRB : immagini ohe queste 24 stollo
formino in cielo doe oostelladoni, da-
soana di'dodioi stollo disposto a cerchio.
- BEONI : costellasioni ; cfr. Yirg., Georg,
I. 854.
14. FIGLIUOLA : Arianna (cfr. Inf. XII,
20), la cai ghirlanda di fiori fta da Bacco
cangiato in noa costdlarione ; cfr. Ovid.,
Mei. Vili, 174 e seg. Faet. Y, 845. -
Mingi: Minosse (ofr. If^. V, 4 e seg.;
XIII, 06). Minoi antic. anche in prosa;
ofr. Nannue., Komi, 208.
16. B l'uh : e che le detto dne oostol-
laxloni si cangino in doe ghirlande con-
centriche, le qnali si aggirino in senso
contrario. -l' UN nell'altro: Al. L'UNO
K^ l'altbo ; e l'uno aver a l'altro ; e
L'uN VÈR l'altro; cfr. Oom. JJpe.UI,
888.
18. AL PRIMA : Al. AL PRIMO ; AL PRIA.
« espressione oacnra di signif . dubbio,
oomnnqae si legga. Danto mol dire ohe
due corone concentriche formato di stél-
le, girano oppoeitamento, l' usa innaasi,
l' altra dietro. > Blanc. Al. intendono di-
yersamento ; cfr. Oom. lApt. Ili, 889.
19. QUASI : questo immagine non è ohe
una debole ombra dei fero, la bollnain
dei beati essendo assai maggiore di qaeila
delle più ludde stelle. - della tsra: « di
quello che era veramento la ooeteUasioiie
ohe quei Beati formayauo »; Lowìb.
20. DOPPIA : delle dne ghirlande d! tì-
Tentl lumi.
21. dRCULAVA : girava intomo al ponto
nd quale io mi trorava.
23. DI Li. : superiore ad ogni uso umana
28. Chiana: fiume di Toscana il od
corso ai tompi di Danto era lentissimo;
cfr. Loria, L'Italia neOa D. O., I*, 878
e seg.
24. IL ciBL : il Primo Mobile ; ofr. Purg.
XXXUI, 90. Oonv, II, 4.
25. Peana: inno in onore di Apollo.
Cfr. Virg,, Georg.U, 2, 248. Aen, VI. «57.
« Non si cantoTano cansoni a Bacco o ad
Apdlo, ma d oantoTa come le tre divine
persone snsdstono neU' unloa divina na-
tura, e come la natura divina ed umana
in Cristo sono nell' unica persona dd
Verbo»; Oom.
28. tre Persone: il mistero della Tri-
nità e quello ddl'Incamadonof la oobo-
■oenaa dd quali hanno natualmeato 1
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tClBLO OTTÀBTO]
Pàb. xlH. 27-41
tSALOMONK] 82d
28
81
87
40
Ed in una persona essa e l'umana.
Compio il cantare e il Tolger soa misura;
Ed attesersi a noi quei santi lami,
Felicitando so di cura in cura.
Buppe il silenzio nei concordi numi
Poscia la luce, in che mirabil vita
Del poyerel di Dio narrata fumi,
E disse: e Quando Tuna paglia è trita,
Quando la sua semenza è già riposta,
A batter l' altra dolce amor m' invita.
Tu credi che nel petto onde la costa
Si trasse per formar la bella guancia,
n cui palato a tutto il mondo costa,
Ed in quel che, forato dalla lancia,
E poscia e prima tanto satisfece.
beAtip ohe, e in dò ito U loio pwfteHa
ÒMf{(vdo,Tedone ii^om^^ntrMam^ Primm
OauMB; Tkom, Aq., Bwm. Th,, I, n, 8 e 8.
17. PIB80NA I AI. SUSTAHZIA t Im. ORO-
IMA, la CldeM non »Tendo mai insegnato
che le due natore, divina ed omana, Ibe-
aero nnite in Cristo in naa iotiama, ma
in nna pertona, Cfr. Pwrg. XXXI, 81.
Jfoofv. OriL, 488 e seg.
88. coMPilt : tennlnaronsi 1 oantl e le
dance. - sua misura : il ginstoloro tempo.
29. ATTBSKB8I : 8Ì fermarono agoardare
me e Beatrioe; ofr. JnA XVI, 18.
80. DI CUBA nr CURA: della dansa e del .
canto all' attendere a noi. « Qoia felloiter
fBcerant motam et oantnm, et Ito felioi-
ter oeesaTemnt ab ntroqae, siont iam
atUs Tioibos Ibeerant, quasi dioat, dando
■ibi tempos in dlTorsis aotibns»; Benv,
Cfr. Galani, Po9$, dèi trovai., 477.
Y. 81-111. XI sapere di Satomans, di
Adaim0 e di Critt», «A yeder tanto non
■orse il secondo », avoTa detto S. Tom-
maso di Salomone, Pwr. X, 114. Questo
parola ayera flstto nasoere on dabbio
nella mento di Danto (cfr. Par, XI, 28),
al quale parcTa che il sapere di Adamo
• di Cristo doresse essere più profondo
ohe non qneDo dell*antioo re d'Israele.
8. Tommaso sdoglie il dubbio. « Più sa-
Til di Salomone farono veramento Ada*
mo e Cristo; ma la mia sentonxa non
dice ohe Salomone ibsse 11 più savio di
tatti gli uomini, ma il più savio del re. »
Cfr. F. K, JET. Hase^foct, Ohio$a DanU-
soa, Itr., 1888 (6iom. Dawt. YI, 27-86).
81. NUMI : dii| chiama coidl 1 Beiti, per-
chè sono come Dii; cfr. Par, V, 123.
82. LUOi: S. Tommaso che aveva nar-
rato la maravigliosa vita del pcmértl di
Dio, cioè di S. Tranoesoo. - in chb: Al.
IN CUI.
84. QUANDO: dopo avere sciolto l' uno
dei tool dubbii {Par, XI, 25 e seg. 188
e seg.) r amor oelesto m' invita a scio-
glierti r altro. « Come non si trae il seme
della piglia, cioè della spiga, se non si
trito bene; così non si trie il bene ascoso
tra molti flUsi, se con somma diligensa
non si batto e scuoto»; Land.
87. NNL PITTO: in Adamo, della cui
costo fri formato Eva; cfr. i3hm. n, 21,
22. Par, XXXU, 5.
88. GUANCIA: di Bva, che mangiò del
frutto proibito e ne diede anche sd Ada-
mo; cfr. Gtn. ni, 8.
88. costa: essendo cagione dei mali
dell'umanita; cfr. Pwrg, XXIX.24e8eg.
40. m QUBL: e nel petto di Cristo. -
FORATO: « Unus militum lancea latns
eius aperuit »; Giov, XIX, 84.
41. POSCIA B prima: dopo essere stato
forato e prima. « Poi che fta forato, discen-
dendo il limbo a trame i santi Padri ; e
prima che forato fosse, per li gravi inoom-
modi sofferti il mondo trentatrè anni che
visse»; YeU, Così Bmv., BuH, Land.,
Dan,, YenL, Lomb., Port,, Pog,, Biag.,
Br, B., Frat., Grog., Andr., Chm., ecc.
Al.: Soddisfoce alle colpe passato ed alle
venture; così Prtr. Dani,, Voi,, Tom,,
Benna$., ecc. ^ .
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624 [CIELO QUABTO] PlE. liti. 43-57
tsiLOHOHB]
43
49
69
55
Che d' ogni colpa vìnce la bilancia,
Quantunque alla natura umana lece
Aver di lume, tutto fosse infuso
Da quel Valor che V uno e V altro fece :
E però ammiri ciò ch'io dissi suso,
Quando narrai che non ebbe il secondo
Lo ben che nella quinta luce ò chiuso.
Or apri gli occhi a quel eh' io ti rispondo;
E vedrai il tuo credere e il mio dire
Nel vero farsi come centro in tondo.
Ciò che non muore e ciò che può morire,
Non ò se non splendor di quella idea
Che partorisce, amando, il nostro Sire ;
Che quella viva Luce che si mea
Dal suo Lucente, ohe non si disnna
Da lui, né dall'Amor che a lor s'intrea,
43. VINCI: Al. viHSK; Cristo toddi^eee
una Tolte per Mmpre; m» la saa soddi-
sfitfione vinee oontinaamento, ftt col tao
maggior peao «Isare U biUnote d'ogni
colpa in etemo.
43. QUANTUifQUK : quantolomedisoien-
■a paò essere nell' nmana natura.
45. Valob: potensa divina che creò im-
mediatomente Adamo e Cristo.
46. AMMIBI CIÒ : Al. MIBI A CIÒ. - 8U80 :
di sopra. Par. X, 112 e seg.
48. LO BEN: il beato spirito di Salomone,
«o nella mia ghirlanda; cfr. Par. X, 109.
49. QU. OCCHI: « della ragione e dello
intelletto » ; BuH. Cosi i più. Invece Betti:
« Kon gli occhi della mente, ma quelli del
corpo, come soooede qoand' nno attenta-
mente ste ascoltando, che fissa più aperto
r occhio in chi parla. »
61. NKL VEBO: « attendi e vedrai ohe
ciò che ta credi e ciò che io dissi s'iden-
tifica come nello stesso centro s'identifi-
cano i raggi di nn circolo»; Oom. - «E
vedrai ciò che tn credi e ciò che io dissi
fand ano nel vero, come ano ò 11 centro
nel cerchio »; Betti, Sai sapere di Adamo
cfir. Thom. Aq., Sum. theol, I, 94, 8 ; sai
sapere di Cristo cftr. ibid. Ili, 9-12.
52. Ciò CHE NON MUOBR : le crcatarc tn-
corrattibili : gli Angeli, V anima nmana,
i deli. - CIÒ CHE PUÒ MOBIBS: le crea-
ture oorrattibill, gli elementi e « le sin-
golari forme delle corporali cose » ; Lan.
68. 8PLKin)0B: nn raggio di qaeU*Sdea
ohe U nottro Sire, Dio, genera nell'aoK»
ano. « Ad prodacUonem oreatoramm iii-
hil aliad movet Deam, nisi eoa bonitaa,
qoam rebos aliis oommonioare voloit se-
oondam modam asslmilationiaad Ipaom »;
Thùm. Aq., Oontr. QenL II, 46. H Crea-
tore mira il prototipo della creasione nel
Verbo soo, che ò !' espressione ipoetetica
della saa intolUgensa ; confr. Tkom. Aq.,
Bum. theol. 1, 16, 1-8 ; 1, 34, 3. BoeL, Oauf,
pka. Ili, metr. 9. Par. X, 1 e seg.
54. SiBE: signore. « H Padre, gene-
rando il Verbo ed amando, partorisce
creando le immagini finito di sé mede-
simo, qaali sono totto le creatore incoc^
rattibili ed Immortali, e tatto le crea-
tore corrattibill e mortali. Qaesto, perdio
immagioi di Dio, possonsi dire tpUndori
dell* idea che è il Verbo. » Oom,
65. VIVA : Al. VBBA. - LUCE ! il dlviiL
Verbo, Cristo. - mea : lat. meat, procede,
deriva; cfr. Por. XV, 55; XXIII, 7».
56. Lucente: dal Padre. - disuna : se-
para, distacca ; « non si diparto dall'unità
de la snstanxia del Padre •; BuH,
57. A LOB: Al. IN LOB. - S'iSTBXA:
forma un' unità di tro. Danto formò la
voce intrearti per esprimere l'indivlai-
bOite deUa SS. Trinità. U LueemU è Q
Padre, la viva Luce il Figlio, rAmort lo
Spirito Santo, detto anche altrove il Fri-
mo Amore.
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toiBLÒ aUÀBTÒ]
Par. xirt. 58-70
[baloxovb] d2S
68 Per sua bontate il sao raggiare aduna,
Quasi specchiato, in nove sussistenze,
Etemalmente rimanendosi nna.
81 Qaindi discende air ultime potenze
Qìh d' atto in atto, tanto divenendo,
Che più non fa che brevi contingenze;
M E queste contingenze essere intendo
Le cose generate, ohe produce
Con seme e senza seme il ciel movendo.
«7 La cera di costoro, e chi la duce,
Non sta d'un modo; e però sotto il segno
Ideale poi più e men traluce :
79 Ond'egli awien eh' un medesimo legno.
58. BOBTATS : non oostretto d* neoea-
■ftà. « n Verbo è laee intem» increate,
ohe pure rimanendosi un*, Tiene alle
erealore m mMiifeetorri oome In altrei*
tenti apecohi. Come lo splendore del iole
■i i»TTÌaA negli speeohi nei qnali impri-
me la SUA iminagine, eotà. Io splendore
de) Verbo si rayrisa nelle creature ohe
fono soA Immagine. H Verbo rimane
etemalmente nna sola persona o sossi-
atenxa, qonntanqne le speochiato imma-
gini sieno moltissime. » Oom,
M. DI KOTB 8U88I8TIHZB : nei no7e cori
0 gerarchle angeliche. Cosi Ott., Land.,
VeU., Don., Bétmat., WitU, eco. Confr.
TkoM, Aq., Bum. théol, 1, 20, 2. Oonv. II,
6. 8; III, 14. Sp. Kani, 21. Par. XXIX,
142-145. Al.: Nei nove deli (Benv., BuH,
Lomò., Biag,, Off., Br. B., Frat., Cfreg.,
Àndr., eoo.). Al. leggono muovi, inten-
dendo ehi dei naovi deli {Lan., An.,
fior., ecc.), e chi dell' nniversalite delle
ooss erente ( Tot., V§nt., Pogg.,Tatn., ecc.).
61. QunrDi: per messo di queste nove
nutiiUngm il raggiare della viva luce,
igendo dalla snperiore alla inferiore, di-
leende infine alle creatore inferiori, così
deeresoeodo sempre in attività, che final-
mente crea soltanto cose cormttibili. Cflr.
Tkom. Aq„ In Arittot,, Metaph. IX, 1 e
leg. Bum. theol. I, 41, 5. - poteneb: nd
Ungoagglo fllosofloo poUnta significa dò
ohe non è ma pnò essere, atto dò che ò.
62. DlVKliUlDO: Al. DIVIDENDO; rida-
ceodod a tanto, da non prodarre final-
mente ohe creatore eorrattibili. « Kote
eh' etti è nella nona spera nna virtù infor-
t Jnativm universale! poi, per le hnmagini
della otteva, si viene singolnrissando; an-
cor per 11 movimenti, aspetti e congian-
doni di pianeti d viene tanto stngolarlx-
lando, oh' ò virth dngolare a produrre
singolare forma qual corpo adatto ad ani-
BUk vegetetiva, qual a sendtiva, qnal a
radonale. S note che tal virtnde d è
sovra quelle cose, doè materia oh' è sud-
dita al dolo, ed ò in potensia ad acqui-
stare teli forme. » Lem. e An. Fior.
63. COMTIHGKIIZR : Creatore corruttibili
e di breve durate. « OonHngene eet quod
potest esseet non esse »; Thom. Aq., Bum.
ikeol. I, 86, 8.
66. CON BBMS: cfr. Purg. XXVIII,
103-117.
67. LA CIBA: la materia o il soggetto
onde nelle mntadonl o generadoni sono
fatte le cose, e la virth dei deli che ad essa
materia dà la forma, non sono sempre ad
un modo. E perdo sotto il dgUlo dell' idea,
doè sotto r impronte della divina luce,
la materia risplende ove più, ove meno ;
cflr. Oonv. Ili, 7. Par. I, 8. - s cm : e la
forse, r infloenxa dei deli ohe duce, tem-
pera, informa la materia. « Vivosduoent
de marmore vultos » ; Virg., Aon. VI, 848.
68. SROHO : il segno ideale è l' idea ar-
cbetipa. « Ogni cosa è splendore d' idea
divina >; Tom,
60. TBALUCS: in ogni cosa create ri-
splende r idea divina, noli' una più, nd-
r altra meno.
70. MEDESIMO: non individualmente,
ma quanto alla spedo. Due alberi della
stessa spedo hanno frutto diverso. - le-
gno : piante, albero; cfr. JV* XIIÌ, 78.
Purg. XXIV, 116, eoo. ^ .
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82tt [oniiO QUiBTO] Pàb. un. 71-8ft
[SALOVOms]
78
7«
79
82
Secondo specie, meglio e peggio fratta;
E Yoi nascete con diverso ingegno.
Se fosse a ponto la cera dedntta,
E fosse il cielo in sna virtù snprema,
La Inoe del snggel parrebbe tatta;
Ha la natura la dà sempre scema,
Similemente operando all'artista,
C'ha l'abito dell'arte e man che trema.
Però, se il caldo Amor la chiara Vista
Della prima Virtù dispone e segna,
Tatta la perfezion qaivi s' acquista.
Cosi fa fatta già la terra degna
Di tutta l'animai perfezione;
7S. VOI: nomini; ofr. Pwr, Vm, 124 e
■eg. Oon9. Ili, 7. - ditsbao : nellm fona
e nelle «ttttadiBi.
78. ▲ PUKTO: ae la mateila ibese ti-
nto a tatto punto, nella maggior perfe-
mione, e ae le inflneue oeleeti fossero
nella loro massima attività, le cose create
risplenderebbero di totto la luce del sog-
geDo, sarebbero doò perfette. « Se la di-
sposlaione del cielo fosse a prodarre ano
agrioda, e la materia fosse a dò dispo-
sto, allora nella ditto cera, oioò materia,
apparerebbe totto ia forma del sigillo,
cioè quella virtù celeste, e sarebbe per-
fetto agricola»; Lan,, An. Fior. - didut-
TA : « menato e fatto molle, aedo che rice-
Tesse la impresdone del saggello »; BuH.
74. 8UPRKMA: e non discesa d' atto in
atto, y. 01 e seg., e però affievolito. « Si
spene coelestss essent in earam malori
virtote; verbi gratta, d planeto lovls,
qui est optimos, esset in pisdbos, qood
dgnnm est domos dos; vel d esset in
sna ezaltotione, gandio vd termino, vd
esset in bone aspeota bonoram planeta-
ram, et liber a eonianctìone maloram ;
tono res qn» generaretor, respondens
illi planetiD, esset optima, et apparerei
in ea virtos lovis perfoote qoie dat dbi
formam»; Benv,
75. PABBEBBK; apparirebbe, d mostre-
rebbe perfettamente, In tatto la soa vi-
vessa.
70. iiATUBA: quale Istnimento ddla
eread<me; oonfr. Par. Vili, 127 e seg.
Thom. Aq., 8um. thed. I, u, 1, 2 ; 0, 1 ;
30, 1; 07, 1. - Di: essa loco dd sng^
geUo. - souiAt imperfetto.
78. V ABITO : possedimento intfen» dd-
l'arte in tatti i sud dementi; efr. Thom,
Aq., Bum. thsoL I, U, 40, 1-4. ArigioL»
Metaph. V, 25; VH, 42 e seg.
70. PBBÒ: dopo aver dimodrato dM
quando Dio opera mediante cause seoon-
darie, doò per messo ddla Katora, sna
ancella, l' efllstto ohe ne viene, non è roaà
nella pienessa della soa perfedone, passa
a dimostrare che, qoando Dio open im-
mediatamente e senxa vderd di eanse
seconde, V eflbtto ohe ne riesce, è perfet-
tissimo. E vdendo esprimere V atto «es-
tivo unico operato da tatto e tre le di-
vine persone (cfr. Inf. ITI, 4-0. Por. X,
1 e seg.), egli d dà in un giro di frase le
tre distinte operadoni creative dicendo:
Però se lo Spirito Santo {U caldo Amorfi
dispone e segna l' idea, il Verbo (to dUo-
ra YiMta), coir impronto del Padre onni-
potente (ddZa prima VUfà, efr. Per.
XXVI, 84), in allora d oonsegae tatto
la perfesione posdbile. Kd v. 52 e seg.
la creadone ò detto opera dd Padre; nd
V. 65 e seg. è spiegato come atto dd Fi-
glio ; qui è attribuito In ispede allo Spi-
rito Santo, mostrando ood in questi tre
modi la perfetto equivalenca ddle tre
persone divine, nd mentre sono edandio
indicate nel loro ordine gerarehioo. Otc.
Sonehetti, Appunti, 160 e seg.
82. cosi: per tde immediato opera-
done divina. - la tbbra : dalla quale fti
formato il corpo di Adamo. Al. inten-
dono di tutti gli animali ; ma qui non d
tratto che dell'uomo, e gli animali ftirono
prodotti non immediatamento da Dio,
ma per messo ddla Katnra; ofr. Otnea.
I, 24, 27; n, 7.
88. AmMALr-oonveolonto alla i
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[CIXLO QVÀÌtTO]
PiB. xm. 84-101
[sALOXoirB] 8S7
88
91
04
97
100
Cosi fa fatta la Vergine pregna ;
SI ch'io commendo tua opinione^
Che romana natura mai non Aie,
Nò fia, qnal fa in quelle dae persone.
Or s'io non procedessi avanti pibe,
''Donque, come costai fa senza pare? ,,
Comincerebber le parole tue.
Ma, perchò paia ben quel che non pare,
Pensa chi era, e la cagion che il mosse,
Quando fu detto: " Chiedi!,, a domandare.
Non ho parlato si, che tu non posse
Ben yeder eh' ei fu re, che chiese senno.
Acciò che re sufficiente fosse;
Non per saper lo numero in che ònno
Li motor di quassù, o se necesse
Con contingente mai neeesse fenno;
Non, 81 est dare pritnum motum esse,
0 se del mezzo cerchio far si pnote
• Soppone nellA terra ttessa, e
Mplantemeote, !• dispoaislone a fornire
più o men docili gli organi della Tito » ;
84. oost: per l'immediata operadone
di Dio. - fregna: incinta, cfr. Lnea,
l, 81« 85.
86. OPimoHBt cheli sapere di Adamo
e di CMeto ooperaase quello di Salomo-
ne ; cfe. T. 87 e Mg. « Hai ragione di dire
ohe il primo nomo, inquanto nomo, fti
perfettiaeimo, e coti dell' umanità di Cri-
sto bene si aflinrma > ; Oom.
87. dui: Adamo e Cristo.
88. OB: se io, dopo aver confermato
che Adamo e Cristo Itarono perfettissi-
mi, non agglongessi altro, tn mi ikresti
questa obUeslone : * Come donqne bai ta
detto che Salomone fti sensaparif
88. COSTUI: Salomone. - farr: pari,
eguale; cflr. Ptur. X, 113 e seg.
81. PAIA: appaia ben chiaro ciò che
pare oecaro.
82. fbda: eoBsIdera ohe Salomone
era re, e che sapientissimo fb eome tale,
non assolatamente. - la oagion : il desi-
derio di ben governare il suo popolo ;
efr. m Meg, III, 4 e seg.
88. Darrot da Dio a Salomone; cflr.
in lUif, m, 6. Ome. IV. 27.
84. tìii A osenro. - poen: per p<ni0.
antio. anche in prosa. Cfr. Nannued,
Verbi, 664.
86. sufpicXkntb : abfle. « auJfieUnU
aveva senso quasi di pienammUé «Jl-
denU^i Tom.
97. LO NUMERO : Salomone non chiese
sapiensa per sapere quante sieno le an-
geliche intelligense che presiedono ai
celesti movimenti. Kel racconto bibli-
co (lU Beg. IH. 11 e seg.) ò detto che
Dio lodò Salomone di aver chiesto in-
telletto per ben governare il popolo, in-
vece di chiedere lunga vita, o riochessa,
o vittoria sui nemici. Dante lo loda per
non aver badato a quesiti di metafisica,
di dialettica e di geometria, che a' suoi
tempi erano il paradiso degli scolastici.
98. SI NiCBBBB : SO da due premesse,
di cui runa sia necessaria, l'altra contin-
gente, possa dedursi conseguensa neoes-
saria ; cfr. Arittot, Analit. pr, I, 16.
100. SI BST: se conviene ammettere
che esista un primo moto che non sia
r efletto d* un altro moto, ossia nei mo-
tori e nei mossi si possa andare all' in-
finito, oppure se bisogni fermarsi in un
motore ohe non è punto mosso; confr.
Thom. Aq., Oontr. GetU, 1,18: « in mo-
ventibus et motis non est procedere in
infini tnm **
101. DEL MBZ20: SS in ua^semiceidiio,
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[OIKLO QÙABTO] Pkt. Hit. 102-1 14
tSALOHOn]
108
IM
100
113
Trìangol si, oh'nn retto non avesse.
Ond'è, se ciò ch'io dissi e questo note,
Begal prudenza quel vedere impari,
In ohe lo strai di mia intenzion percote.
E se al '^ sorse „ drizzi gli occhi chiari,
Vedrai aver solamente rispetto
Ai regi, che son molti, e i hnon son rari.
Con questa distinzion prendi il mio detto;
E cosi pnote star con quel che credi
Del primo padre e del nostro Diletto.
E questo ti sia sempre piombo ai piedi.
Per farti muover lento com'uom lasso.
Ed al si ed al no che tu non vedi ;
prendendo come baee II diametro, ai po»-
Mi iecriTere un triuigolo ohe non ftmnl
nn angolo retto; ooeaimpoefllbile.
108. owD'ti onde, se ta fid attenslone
» qaeUo che io diasi (Par. X, 114) ed »
quello ohe ti ho eapoato ora, ti aooorgerai
ohe qnel vedere aenaa pari, del qnaleio
Intoai parlare, è sapiensa reale. In eoetan-
■a : Salomone Ai 11 più savio dei re, non
il più savio degli nomini. Qnaai tatti leg-
gono questa tendna nel modo segnente :
Onde, M «Aò oh' lo dissi e questo note,
Rsgml pradenis e qool veder Impari,
la ohe io stral di mia Intsnsk» porooie ;
ledono dalla quale è diffioile oavare co-
strutto ohe regga. Altri : Onde.... ò
quel, eto.: cfr. Oom, Lipi. lU, 865 e seg.
104. impìlBI : ohe non ha pari.
106. AL BUB8R : e se rifletti attontamen-
te sul valore del verbo torgeret da me
usato parlando di Salomone, vedrai che
esso accenna solo ai re, che sovra i sud-
diti targono. Altri diversamento. Ott. :
« E dico iurte, il quale ò di caduto le-
varsi. Adam non era: dunque non si
potea levare. Cristo non cadde mai, e
sempre fa eretto, ed egli è sapiensa non
inflisa altronde. » Cosi pure BxOi, ecc. -
Benv.i « ... si dirigis oculos intollectuales
ad illud verbum turte, quod est aliqnld
surgere in suo esse, ito quod non habet
respectum ad Adam qui fuit formatus a
Beo, noe ad Christam qui fbit incam»-
tus slne opera humana. • - chiari : ott.
Par. VI, 87.
10». DI8TIHZI0N: tra l'uomo e il re. -
DITTO : ohe «A veder tanto non surse
U secondo.»
110. 8TAB: aocordanL - obkdi: efr.
V. 87 e seg.
111. padre: Adamo. -DiunTO: Cri-
sto. « Qratiflcavlt nos in dileeto FIUo
tuo » } JSIfm, 1, 0.
V. 112-142. Contro igtudiLH^r^ei'
pitaH. Sdolti i dubbi di Dante, San
Tommaso conohinde, ohe MsognA oarohi
d'intender bene e giudichi poi laitunento
chiunque non voglia incorrere in gravi
errori, come fecero gli eretici. % proprio
del savio V andare a rilento e neU* mBèr-
mare e nel negare cose, le qaali poaeono
esser vere nell'uno, fklse nell'altro aeDeo.
Scendendo nel campo pratioo,rimprovera
coloro che ardiscono giudloare deU'altrui
salvasione o dannasione. Dei secreti di-
vini r uomo non può, e però non deve
sentenxiare. Tale che è credoto aaato,
può cadere e perdersi ; altri, creduto em-
pio, può invece surgere e salvarsi.
112. TI SIA : Al. TI FIA. Ciò ti aerva a
renderti cauto in avvenire. « Che mai tn
non sia subito a giudicare l' altrui dette
per libero s), o per libero no ; mn sem-
pre procedi con distinsione, oonstdeorando
che si possono ad una medesima oosa
avere diversi rispetti » ; Ott.
118. LBiiTO: nei giudici ed esser rite-
nuto ad alTermare o negare ciò cbe ehia-
ramento non discemi. - lasso : efr. /V.
XXZIV, 88. In sostaasa: questo mk>
ragionamento ti ftboda In avvenire an-
dar canto nel dire di ti o di no, ogni
volto ohe ta non vedi bene a qnali deter-
minato propoaisi<|pi la oòea ai rilbiieoa.
Cflr. B<meh«tH, Appunti, 100 e se^.
114. KON VEDI: non disceni ohlara-
mento se si debba aflbrmaie o ;
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[CULO QUABTO]
PAB. XIII. 115-127 [GIUDIZI UIUNI]
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134
187
Che quegli ò tra gli stolti bene abbasso,
Che senza distinzion afferma o niega,
Cosi nell'nn come nell'altro passo;
Perch' egV incontra che più volte piega
L' opinion corrente in falsa parte ;
E poi l'affetto lo intelletto lega.
Vie più che indamo da riva si parte,
Perchè non torna tal qnal ei si mnove,
Chi pesca per lo vero e non ha l' arte;
E di ciò sono al mondo aperte prove
Parmenide, Melisso, Brìsso e molti,
I qnali andavano, e non sapean dove.
Si fé' Sabellio, ed Arrìo, e quegli stolti
115. ABBASSO : collocato tn gli stolti in
bMdsalmo laogo. « È Msai stolto ehi seni»
tmn slemui dtottnslone •ttnmik o negm,
sia eho si dica una cosa, sia che se ne
dica nn' altra, anco contraria»; Oom,
117. così HILL* UH t tanto nel caso di
affermare, come in quello di negare.
119. CORBEHTE: oorrìva, precipitosa.
« L* opinione corrente, che non si fsrma
a dlstingnere, più volte piega a fslsa
parte che a la yera parte; e la cagione
■i è, che de le cose non certe ò opinione;
imperò che de le certe è sciensia, e qoan-
do r opinione si dirixsa a la verità, non è
più opinione, imperò che diventa eden-
aia; sicché, stante T opinione che è cre-
dere che cosi sia sensa certesxa, piega
lo *nteUetto a la lislaità, per ohe a fa ve-
rità non adionge e però piegasi a qael
cho erede esser vero »; Buti. Così inten-
dono 1 più (Benv., Land., Lomb., Pori.,
Oe9., Tom.^Br.B,^ Frat.,Andr.,B€nna$.,
Oom., FUtU., ecc.). Al. : L' opinione vol-
gare ohe corse per il mondo ( V$U.,Dan,,
Vmti., Biag,, ecc.). L'opinione cornane
non ha qnl ohe vedere, e Dante non osò
mal ccrrenU per wmwu o volgare.
190. LI0A2 n gtndislo sArettato cade
spasso nel falso, e poi l' amore alla prò-
pria opinione impedisce ali* Intelletto di
spogliarsi del suol preglndizl. « Nihil est
torpins qnam cognitioni et peroeptioni
aJfeeUonem approhattonemqne procnr-
rere »; €iMr., Aead, IV. - « Quando si è
Armata In noi l'opinione a noi stessi
oar% allora la volontà lega VitiMUtto In
essa. Impedendo che esamini da ogni lato
la questione, e cosi riposa col suo giù-
diflo ool iWso »; a»rt>.
121. VIS PIÙ: peggio ohe inutilmente,
doè con danno suo, si mette a cercare il
vero chiunque è privo d'arte; poiché,
non movendosi, resterehbe nell' ignorane
ss; ricercandolo, abhraoda Iki^mente
r errore, che é peggiore dell' Ignoransa.
Confr. Oalsnut, De oognoeoendii eufxtn-
dUque animi mortii, e. 10 f. vers.; ed.
Kuekn, 6. De Mon. I, 13.
125. Pabmknidv: filosofo greco della
scuola Bleatioa ohe fiori verso il 600 a.
C. « Scrisse che la generaslone degli uo-
mini ebbe principio dal sole, e il sole es-
sere caldo e freddo, e da quello essere
ogni oosa»; Land. Cfr. Diog. Laert. IX,
21-28. Theophr., De Sene., 8 e seg. Fr.
Biaux, Beeai eur Parmen. d'Blée, Paris,
1841. Volte, Parm. VeHeneie doobrina.
Beri., 180Ì.-1CKLIS8O : altro filosofo elea*
tlco, nativo di Samo e discepolo di Par-
menide, fiori verso il 450 a. C. « Ebbe
opinione che questo universo fosse infi-
nito, immutabile ed immobile, e che 11
moto non fosse, ma paresse. Diceva che
non dobbiamo difllnir alcuna cosa d' Id-
dio, perché di lui non abbiamo certa co-
gniaione »; Land. Ctr. Diog. Laert. IX,
24. De Mon. IH, 4. - Busso : Bryeon o
Dryeon filosofo greco, figlio e discepolo di
Stilpone ; secondo altri, discepolo di Bu-
clide. Si occupò assai della quadratura
del circolo. Cfr. Arittoi., Soph. El. 1, 10.
126. AHDAVAHO : camminavano nel pen-
sar loro alla cieca. « Qui ambulat In te-
nebria, nesoit quo vadat »; Oiovanni,
XU, 85.
127. Sabkllio : dal filosofi passa agli
eretici. BaMiio, fkmoso eretico nel III
ieoolo, nato a Pentapoli neU'AflHoa, m.
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8S0 [CULO QUÀBTO] Par. xni. 128-141
[GIUDIZI UHAHI]
130
188
186
139
Che faron come spade alle Sorìttare
In render torti lì diritti yolti«
Non aien le genti ancor troppo aicnre
A giudicar, si come qnei che stima
Le biade in campo pria che sian mature;
Ch'io ho veduto tutto il verno prima
n prun mostrarsi rigido e feroce,
Poscia portar la rosa in su la cima;
E legno vidi già dritto e veloce
Correr lo mar per tutto suo cammino,
Perire alfine all' entrar della foce.
Non creda donna Berta o ser Martino,
Per vedere un furare, altro offerére.
Vederli dentro al consiglio divino ;
▼enoU 265, nogftTaÌldogm»delUSS. Tri-
Dltà nel tenao ammeBso e stabilito dalla
Chiesa. Cfr. GiestUr, Kirehenge»ek., 4*
ed. I, 8, 399 e seg. - Arbio : Il Aunoso au-
tore della setta de^H Ariani, prete di
Alessandria, m. 886, il qnale insegnara
il Verbo divino non essere etemo e oon-
soetandale al Padre, perobò spiri tnal-
niente dal Padre generato. CAr. O, Jf.
Travaaa, Storia della vita di Ario, Ven.,
1746. -STOLTI: e tatti ooloro che mutila-
rono la Scrittora e ne tramntarono in
fklsi 1 giosU e retti sensi.
128. BPADi: i quali ftarono come quelle
spade che rendono torti e deformi i volti
di ooloro ohe vi si specchiano. Cosi Pott,
Oatt., OU., Benv,, Buti, Land,, VeU.,
Dan., YoL, Fent., Off., Frane., ecc. In-
veceLomò. (seguito da Pori., Pog,,Biag,,
Gotta, Tom., Br.B,, Frat., Oreg., Andr.,
Benna*,, ecc.): i quali mutilarono la Scrit-
tura come una spada mutila un bel viso.
130. NON siKN : rimprovera nel campo
pratico la inconsideratezsa di ooloro che
giudicano temerariamente dell' altrui sa-
lute o dannazione ; e il rimprovero toma
qui molto a proposito, trattandosi di quel
Salomone, della cui salvasione alcuni du-
bitavano. « Kolite ante tempus indicare,
quoad usque veniat Dominus, qui et in-
luminabit abscondita tenebramm et ma-
nifestablt Consilia cordium »; I Cor. IV,
6. Cfr. Giacomo, IV, 18 e seg. Oonv.
IV. 16.
181. STIMA : appressa, tà il presso alle
biade prima che sieno mature.
134. FBf|Oc«; selvaggio; oonfr. Virg,,
Georg. II, 86t «frootosque feroa mol-
lete colendo ».
186. ■ LBONO : e vidi già nave ohe, dopo
aver veleggiato foliosnente e velocéoMn-
te dorante tutto il viaggio, affl»dò en-
trando in porto.
137. CORRER: «Di qoibos imporiom pa-
lagi est, quorum »quora curro »; Virg.,
Aen. V, 285. -TUTTO: per tutto il viag-
gio ohe doveva fare.
188. FOCB: porto.
189. DONNA : Al. MONNA. - BlRTA : Ogni
vile femminella ed ogni omioiattolc.
Oonv. I, 8 : « Onde suole dire Màrtimo, »
Paeeav., Speechio dipmt,ll, 400 : «De* so-
gni, ohe sono dal dolo, doè dalla infloen-
sia delle stelle e delle pianete, e dalla di-
sposiaione e impressione degli elessentì,
e* sono buoni fllosoil e buoni astrologhi,
che possono fiir buona interpretaaioBe,
ma e' son ben pochi quo* cotali. B qoslU
tanti, che bene sanno, più dnbiterebboao
che gli altri di giudicare, temendo di non
errare, che non fhrebbono coloro ohe poco
sanno. Onde eer Martino dell'aia ò donna
Berla del muUno più arditamente si met-
tono ad interpretare i sogni, che nen t^
rebbe Socrate e AristotUe, maestri so-
vrani della naturale filosofia.» Cfr. Oh».
Lipt. Ili, 362.
140. FURARE : rabare. - oitxrérb : of-
ferire, fer pie offerte.
141. VRDKRU : < veder queUo ohe la di-
vina sai^ensa ha determinato di dasoon
di loro »; YelL II Dan, legge veder s),
e spiega: « Quali li vede quaggiù, ve-
derli tali dentro al oonsIgUo di Dio. » D
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[CULO QUARTO]
Pah. XIII. 142 -xiy. 1-2
[DUBBIO] 881
14S Ohe quel paò sorgere, e quel paò cadere. »
( Panetrsre intorno • loro 1 con-
sigli di Dio. »-« De hoc, qnem ta Instia-
simnm ot equi serraatiasimmn potas,
omni* adenti providenti» divenom tÌ-
detnr »; BoeL, Oom.phU. IT, pr. 0. - « O
iettdttaeime e Tilisslme bestìnole olie a
gaia» d* nomini pasoeto, che preanmete
contro a nostra Fede parlare; e yolete
s^ere, filando e sappando, dò ohe Iddio
oon tanta prorvidensa ha originato f Ma-
ledetti siato voi e la vostra presnnaio-
ne e ohi a Toi crede! » Oonv, lY, 5.
142. QUIL: il ladro pnò iurgers, doè
pentird e salyard, come l' nno del dne
ladroni orodflsd insieme con Cristo.
« San Brandano ta sommo ladrone, e
poi per le finali opere piacque a Dio»;
OtL -B QUEL : e oolni che tn Tedi tu pie
offèrto, paò cadere in grave peccato, co-
me Salomone che. già vecchio, sedotto
dalle sae donne e concubine pagane, di-
venne idolatra; cfr. m Bsg. XI, 4-9.
« Qoi se existimat stare, videat ne ca-
dat »; I Cor. X, 12.
CANTO DECIMOQUARTO
CIELO QUAETO O DEL SOLE
DOTTOEl IN FILOSOFIA E TEOLOGIA
LO SPLBKDOBB DBI BEATI DOPO LA BISUBBBZIONE DB! COBPI
TBBZA GHIBLANDA DI YIYBNTI LUCI, SALITA AL CIBLO DI MABTB
CIKLO QUINTO 0 DIMABTE: MABTIBI DELLA EELIGIONE
LA CfiOCB DI MABTB, ABXONIA DI CONCENTI, ESTASI DI DANTE
Dal centro al cerchio, e si dal cerchio al centro,
Movesi l'acqua in un ritondo vaso,
Y. 1*18. Ihtbbto nascente. Danto e
Beatrice stanno in mexzo a due corone di
spiriti beati, come centro di dne cerchi
concentrici efr. Por. XII, 1 e seg. Dopo
che S. Tommaso ha parlato, parla Bea-
trice ai beati. La voce di S. Tommaso»
mossa dalla droonfiBrensa al centro, e
U voce di Beatrice, mossa dal centro
alln droonferensa, offrono al Poeto una
fimiUtndine nn^va, $he risponde a cii-
pello. Ck>me aoqaa in rotondo vaso movesi
dal centro al cerchio e dal cerchio al cen-
tro, cod a Danto parve accadesse là dove
aveva parlato S. Tommaso. E nel centro
Beatrice inoominda a parlare: «Qaesti
brama di sapere se la loco ohe infiora la
vostra aostanxa, rimarrà sempre con voi,
anche qnando riavreto i vostri corpi e ri-
tomereto ad essere visibili; e se, rim»-
nendoTi cotanto splendore dopo ohe neHn
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8)2 [cmu> 4)rABT0] pAX.xnr.S-18
[mrBBio]
!•
u
16
Seeoado di' è pereoon fbori o doitro.
Helk mia meote fé' sabho caso
Qiieato ch'io dico, si come n tacque
La boriosa vita di Tommaso,
Pmt la oimilitadiiie die nacque
Del suo parlare e di qoel di Beatoice,
A coi tà cominciar dopo hd piacque:
€ A costui fa mestieri, e noi vi dice
Né con la voce, né pensando ancora.
D'un altro yero andare alla radice.
Ditegli se la Ince onde s'infiora
Vostra sostanzia, rimarrà con yoi
Etemalmente ri, com' ella è ora ;
E, se rimane, dite come, poi
Che sarete visibili ri&tti.
Esser potrà ch'ai veder non vi nói. »
f«Benl« rteurrasioBe «rrato liprato il
corpo, la Totte* tMo non no restenuuM
Abballato. » D dobbio non è per aaeo
•orto nelU mooto di Danto; ma Bei^
irioo lo prerode.
8. O DBITBO: Al. B DK>TBO. 8o Q Taao
cbe oontlone l'aoqoa è pereoaao ai dimori,
r aoqoa d maore dal eerehio al eentro,
andando in drooli di maff^iori in min<wi ;
ae raoqna è porooaaa nel centro, eeaa si
moore in drooU di minori in maggiori
dal eefUro al cerchio,
4. CASO: cadato^mi cadde anbito in
mento. Di caco osato latinamente per ca-
duta ai lianno altri eeempi; cfr. Monti,
Prop, I, 2, 144 e seg. CoA qoaei tatti da
Benv. in poi. Oli antichi diTcreamento.
OU.'. «Come in nno bacino d'acqoa, il
quale Taomo dall' nno lato peroaota«
l'acqua per la perooaaa si sparto dalla
drconferenza e va verao il centro, e poi
è ripinto e ritoma dal centro alla ciroon«
ferenaa; cosi fiu)ea l' animo suo A tosto
come si tace V anima gloriosa di S. Tom-
maso. E questo acddento gli arrenneper
la slmilitndlne del parlare sao e di quello
di Beatrice. O vero, secondo che il vaso
è percosso di ftiori, l' acqua tonde Terso
il centro, o percosso dentro, l'acqua ton-
de Terso la drconferensa ; cod nella
mento dell'Autore ibce anbito caso, cioè
didueae in Tolere sapere quello ohe se<
goirà delle precedenti parole di S. Tom-
maso, » Ofr. Oom, lApt, m, S9$.
7. flOnuTUDin : la Toee di 8. Ts«-
■uwo Tenendo dal cerchio al cealce, dorè
erano Danto e Beatrice; la Toee di Bea-
trice moTeadoal dal centro ni escdiio,
doTC erano i beati.
9. A CUI: a Beatrice. -DOPO UJI: AL
DOTO A LUI; DIRBO A UJI.
10. COSTUI: Danto.
11. PBX8AVD0: dò ohe i b«ntf aTTeb>
bere vednto. lì dnbUo stara par ns-
12. AHDABS : sapere a fondo nn'altr»
Tsrità; cfr. Par, IV, ISOeseg.
13. 81 LA LUCI: ae i corpi dai beati
dopo la risnrrBci<me saranno raggiaoti
di luce ; qneetione STolto ampiamente da
8. Tommaso, Bum, (AsoL, III. SkuL,
85, 1 seg., il quale rifonde aflbmati-
Tamente. I paaai rèlatiTi ai leggono nsl
Oom. lApc. m, iM5 e seg.
14. auBTAXZiA : la tostefiM non è la
ìuee, ma queste una qualite di quella.
18. SI BiMAm : se questo splendore tì
reste dopo risorti i Tostri corpi, come po-
trete Tederri seambierohnente t Confr.
TKom. Aq„ Bmrn, thool, IH. 9v^pL, 8S, 4.
18. VI RÒi : Ti apporti noia agli oodii,
abbagliandoTì.
V. 19-88. JI<H^md<o<Mr oiMoree-
Issee. trdite la domanda di Beatrice, 1
Beati mostrano la gioia che sentono a ri-
spondere, col muoTeni tripndiantiin giro
e col dolcissimo canto di un triplice bino
io lode deQa SS. TriiUtà, Parugonaodo
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[OIBLO QUARTO]
PlB. XIV. 19-38
[TBIPUBIO] 838
19 Come da più letizia pinti e tratti
Alla fiata quei ohe Tanno a rota,
Levan la vooe e rallegrano gli atti;
23 Cosi all' orasion pronta e devota
Li santi oerchi mostr&r nnova gioia
Nel tornear e nella mira nota.
25 ' Qnal si lamenta perchè qui si moia
Per viver colasse, non vide qnive
Lo refrigerio dell'eterna ploia.
38 QaeirXJno e Due e Tre che sempre vive,
E regna sempre in Tre e Due e Uno,
Non circonscritto, e tatto circonscrìve,
31 Tre volte era cantato da ciascnno
Di quegli spirti con tal melodia,
Ch' ad ogDÌ morto saria giusto mnno.
dans» e «ùito celeste con dMisa e canto
nwuaio, U liiniUtadlAe oogUe V atto eete-
riore deUa letìaia di quelle -viventi lad.
19. vnm : « Quelli che danzano In dr-
oolo, nella dansa ti riscaldano e mo-
strano maggiore letisia negli atti più
che si aggirano. Ooai le anime mostra*
rane gioia maggiore ooU' andare più ve-
loei e col più risplendere, poscia ohe udi-
rono la subita e umile dimanda di Bea-
triee.» Oom,
20. ALLA vTata : ad una fiata, tutti in-
sieme. - A BOTA: ballando in tondo; ofr.
Par, X, 146.
21. LEVAH: Al. MUOVOH.
22. OBAZIOM : preghiera o dimanda. -
FBOSTA: fiiitta subito che S. Tommaso
ebbe Unito di parlare. Così i più. Ma H
Setti: « PBOMTA, cioè prima che io la pen-
sassi e la dicessi coUa yoce. » L' arerà
detta prontamente Beatrice. - devota :
riverente, umile.
24. TOBirsAK: muoTcrsi damando in
giro. - MiBA NOTA : nel mirabile canto.
26. QUAL : < chi qua giù piange quando
di questa misera vita si parte alcuno, li
eoi atti ragloncTolmente sieno giudicati
giusti, non ha veduta la gloria del cielo »;
Ott. Me^o Oom.i «Chi si lagna della
legge che ognuno debba morire per ire
al Cielo, non mai pensò o conobbe la
pioggia dell' etema felicità onde godo-
no i Beati. » Del resto c£r. Oom. Lip»,
ni, 868.
26. vnn : colla mente ; non considerò. -
QUiYE: quivi, in Cielo. «Non vide quivi,
53. — JHo, Omm»., 4» edii.
come ho veduto io, qual refrigerio reca
a' beati l' etema luce. S perdo ò scusa-
bile se si lamenta, ecc. » BétH.
27. PLOIA; pioggia, lat. j^Iuvia, frane.
pìuie, prov. pU^: cfr. Par, XXIV, 91.
28. XJiio : r Iddio Uno e Trino ; Vno »
il Padre; Due^ìX Padre e il Figlio;
Tre i- il Padre, il FigUo e lo Spirito
Santo; cfr. Par, XXVII, 1 e seg. Kel
dué alcuni vedono un'allusione alle due
nature in Cristo, che qui non e' entrano
né punto nò poco.
80. NON C1BC0N8CR1TT0 : Cfr. Pwg, XI,
2. Oonv, IV, ».
82. TAL: con si ineffibile dolcessa, ohe
r udirla sarebbe premio degno a qua-
lunque merito, anche grandissimo.
88. Mimo : Ut. munuf, premio, ricom-
pensa. « ifimtw è quello dono ohe viene
nella offerta, o quello dono che si fa per
via d' oblasione dalli principi »; Ott.
V. 84-60. I corpi gìoHfteatL Un
beato della ghirlanda interiore risppnde
alla domanda ftttta da Beatrice in nome
del Poeta: « Quanto durerà la festa del
Paradiso, tanto avremo intomo questa
vesta raggiante ; vale a dire in eterno.
E quando rivestiremo nostra carne, an-
ch'essa sarà addobbata di luce, come
carbone che rende fiamma, e per vivo
candore la soverchia. Allora avremo in-
tera e la nostra persona e la grasia di
Dio. Né lo splendore sarà molesto agli
occhi dei corpi risuscitati. Che, per la
riunione della carne collo spirito crescen-
do in perfesione, i beati cresceranno
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834 [CIBLO QUABTO] Pab. xiy. 84-48
[CORPI 6L0&IFICATI]
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Ed io ndì' nella Ince più dia
Del minor oerohio una voce modesta,
Forse qnal fa dall' angelo a Maria,
Risponder: « Quanto fia lunga la festa
Di Paradiso, tanto il nostro amore
Si raggerà d' intomo cotal vesta.
La sua chiarezza seguirà l'ardore,
L' arder la visione, e quella è tanta,
Quanta ha di grazia sovra suo valore.
Come la carne gloriosa e santa
Fia rivestita, la nostra persona
Più grata fia per esser tutta quanta :
Per che s'accrescerà ciò che ne dona
Di gratuito lume il Sommo Bene,
Lume eh' a lui veder ne condiziona;
eziandio nell' abito e noi Inme di gioii*.
Ed essendo in loro dall'altro canto dispo-
sti e forti Ooatl per qaesta ragione gli or-
gani del corpo alle dilettasloni sovroma-
ne, godranno perpetoamente di quelle,
inrece d' esseme aflhtloatì. » Ctr. Thom.
Aq., Bum. theol. in. »^?pL, 82, 4 ; 86. 1.
84. udì' : Al. UDn. - dia : lat. diva, di-
vina, quindi più risplendente, fi proba-
bilmente Salomone; ofr. Par. X, 100.
Con artifldo poetico il Poeta fo parlare
in cielo in modo sì soblime dei misteri
della risnrresione qnel Salomone ohe in
terra ne aveva parlato da scettico e da
materialista; cfr. Bed. IH, 18-22. Di Sa-
lomone intendono tatti, tranne il Land.
che intende del Magister Senténtiarum
Pietro Lombardo.
85. MiiroB : intemo. - modista : soave
e piana; cfV. iV* Hi &0 e seg.
86. dall'angelo: Gabriello, nell' An-
nnnriadone; cftr. Purg, X, 84 e seg. Al.
dell' ahorlo.
87. QUANTO : finché durerà la giota^del
Paradiso; dunque in eterno. - festa:
ofr. Pwg. XXX, 65.
88. AMORE: il nostro spirito ardente
d' amore spargerà d' intomo questa Inoe
ohe ci ammanta.
40. 8EOUIBÀ.: Al. SEGUITA. La chiaroz-
sa raggiante di questa fulgente vesta
nasoe dall' ardore della carità ed è pro-
poreionata ad esso; l'ardore è conse-
guente alla visione beatifica, e questa
risponde alla grasia oh' è aggiunta so-
prannaturalmente al valore o merito na-
turale di dascuno. Dunque retoooedan-
do: propormionata al merito scende la
grazia da Dio; dalla grasia viene la vi-
sione, pure proponionata; dalla vlaioBe
procede la carità, anch'essa proponio-
nata ; finalmente dalla carità procede la
chiaressa del pari proponionata.
42. SOVBA suo : Al. SOPRA IL SUO. - VA-
LORE: merito. «Per i nostri quantunque
grandissimi meriti non possiamo perve-
nire a questa cognlsione di Dio; ma la
sua gnsia, vincendo l' impossibilità no-
stn, ce ne fu abili e rende capad »; Jkm,
48. COME: quando; nella risnrresione.
-GLORIOSA: glorificata.
45. ORATA : « più bella, più splendente,
e perciò affetta di maggior pLsoere, per
essere nella sua integrità, cioè in corpo
ed anima, e conseguentemente più per-
fetta »; Br. B. I piii intendono : Più gra-
ta, cara a Dio. Altri : Più grata a noi.
Altri : Piùgrata a Dioed a noi. Cfr. Oém.
L^i. Ili, 871. - TUTTA QUANTA: anima
e corpo che, scstanslalmente uniti, tot"
mano la persona.
46. NE: ci. Venuto il beato a sua per-
fìwione per la riunione dell'anima col
corpo, riceverà più largo lume di grasiA,
e questo nuovo lume rinforaerà i4ù la
vista dell' anima a vedere Iddio ; rlnfor-
sata la vista ed aumentato il vedere,
questo aumenterà V ardore, il quale, au-
mentato, spargerà una luce più viva in-
torno al corpo. Cosi l'anima, più abbellita
e perfBsionata, ne piglierà più diletto.
48. NE ooNDisiONA : oÌ abilita, ci leade
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[CIELO QXFÀBTO]
Par. hy. 49-60 [corpi globuicati] 885
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Onde la vision crescer conviene,
Crescer V arder che di quella s' accende,
Crescer lo raggio che da esso viene.
Ma si come carbon che fiamma rende,
E per vivo candor quella soverchia,
Si che la sua parvenza si difende ;
Cosi questo fulgor ohe già ne cerchia,
Pia vinto in apparenza dalla carne
Che tuttodì la terra riooperchia;
Né potrà tanta luce affaticarne;
Che gli organi del corpo saran forti
A tutto ciò che potrà dilettarne. »
•iti. ParlA del lume Tiaivo, non delU laoe
raggiante delle anime, eh' è conaegnensa
di qneQo.
51. LO SAGGIO: lo splendore eetemo,
Tlaibile che procede dalla vidone intema.
In soatansa: La ohiarexsa dei beati non
solo rimane, ma d aamenta dopo la ri-
sarrealone, essendo essa effetto della gra-
zia diTina ohe si oomonica e riceve tanto
più, quanto pih è perfetto l'ente ohe ri-
cere. Or la perfesione dell' anima nmana
esige che essa sia oongianta ad an corpo.
Bieonginnta al corpo sno, l' anima sarà
dunque più perfetta, e perdo più atta a
ricevere ed a riflettere nello splendore
di ftiori il lume della grada. Cfr. Thom,
Aq„ Som. theol, I, 00, 4; I, li, 4, 5. De
An. I, a. Oom, Lipi. IH, 872 e seg.
52. CABBON: « Aspectns eomm qnad
carbonum ignis ardentium >; Ezeeh. I,
13. - BBNDB : dÀ. « Come il carbone acceso
dk la fiamma intomo a so, ma più di qoe-
st* risplende, ed ò perciò vidbile entro la
fiamma stessa, cosi la came (che ora la
Urrà rieoperehia) quando sarà risorta e
sarà qui unita all'anima, sarà cinta di
luce, ma di questa sarà più luminosa e
la si vedrà entro essa»; Corn,
68. CAin>OB : colla vivacità della sua in-
candescenaa.
64. PABVBHZA: apparenza. « La visibi-
lità del carbone acceso d mantiene di-
stinta dalla fiamma che noi può sover-
chiare »; L. Tmt., 9im. 88. - « B fenomeno
qui deserittod rende manlfestissimonelle
fucine, ove l' incandescensa del carbone
è portata ad alto grado per mezzo di mac-
elline aoflSanti »; AntonèUi,
66. FULOOB: questo splendore, che sin
d'ora ci bsola, sarà soverchiato in appo-
rema, doè in vidbilità, dalla nostra car-
ne ora sepolta.
67. TUTTODÌ: tuttavia, ancora.
68. RÈ POTBl : tanta luce non potrà ab-
bagUard; otr. v. 16-18. Se la facoltà sen-
dtiva del corpo risorto e riunito alla sua
anima fiosso qual fh nella vita caduca,
essa non potrebbe veramente sopportare
cotanta luce ; ma Iddio oondidona il sen-
so, adattandolo al più forte stimolo. Que-
sto ò il dono dell' impasdbilità, sul quale
cfr. Thom, Aq., 8um. Iheol. III, BuppU,
82 1 8 4
V. '61-66. Desiderio dei beati. Tutti
gli altri spiriti delle due ghirlande rispon-
dono alle ultime parole di Salomone con
un Amme (amen — cod sial), con che
mostrano di dedderare la resurrezione
de' corpi, il qual dedderio si estende a
tutti coloro che furono lor cari in terra, e
che desideranodi rivedere in cielo. - « Si lo-
qnamur de perfecta beatitudine, qn» erit
in patria, non requiritur sodetas amico-
ram de neoesdtate ad beati tudinem ; quia
homohabet totam plenitudinem sn» per-
fectionis in Deo. Sed ad bene esse beatitu-
dinis faoit sodetas amicorum nnde Aug.
dldt 8 super Oen. ad litt. cap. 25, quod
ereatura tpiriiualit ad hoe guod eit beata,
nonniti intrimecut c^iuvatur ceUmitate,
veritaU, eharitate Cfreatorie f extrineeeue
vero ti adiuvari dicendo ett, fertatte hoe
solo adiuvatur quodseinvieemvident, et
de tua eoeietate gaudent,.. Perfectio ohari-
tatis est eesentialis beatitudini quantum
ad dilectionem Dei, non quantum ad di-
lectìonem proximi. Undesi esset una sola
anima fraens Deo, beata esset, non ba-
bens prozimum qnem dillgeret. Sed, sup-
886 [CIELO QUABTO] Pab. XIY. 61-73
[TSBZA COBOHA]
61
M
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78
Tanto mi parver subiti ed accorti
E l'uno e l'altro coro a dicer: < iimme/»,
Che ben mostrar disio dei corpi morti;
Forse non pur per lor, ma per le mamme,
Per li padri e per gli altri che fur cari
Anzi che fosser sempiterne fiamme.
Ed ecco intomo, di chiarezza pari,
Nascere un lustro sopra quel che y' era,
A guisa d' orizzonte che rischiari:
E si come al salir di prima sera
Cominoian per lo ciel nuove parvenze.
Si che la vista pare e non par vera;
Parvenu li novelle sussistenze
ex perfBota dileotione Dei. Unde qiiAd
oonoomitanter se habet amloitia ed per*
feotam beatitadlnem. > Thom. Aq„ 8wm.
theol. I. n, 4. 8.
61. SUBITI ED ▲OCOBTI: pronti ed av-
vedati.
62. L* uxo E L* ALTBO : ambedue le oo-
rone di vivi splendori. - Alfine : atnm&n,
oioè Così aia; cfr. Inf. XVI, 88. •Amme
dice lo volgare; ma la Grammatioa dice
Amen »; BvH,
63. DEI CORPI: di ricongiangerai ai loro
corpi, allora morti.
64. HOif PUB: non solo per la propria
gioia e gloria. - mamme: madri, confr.
Purg. XXI, Q7.
65. ALTRI: figli, fratelli e sorelle, co-
niugi, parenti, amici, eoo. Mensiona no-
minatamente i cari che tatti hanno: la
madre ed il padre; non menziona nomi-
natamente altri, perchè molti non hanno
figli, molti non hanno fratelli, molti
maoiono celibi, ecc.
66. ANZI: nella vita terrestre, prima
ohe divenissero Ind beate sempiterne.
V. 67-78. Terma corona di vivi aplei^
dori. Ecco di là dalla seconda ghirlanda
di beati ona tersa gliirlanda, nna laoe a
guisa di orissonte albeggiante al mattino,
e di mezso a questa luce pare al Poeta di
veder nuove anime cosi come verso sera
si veggono le stelle, ohe dubitiamo se
tali siano o no. « Prima di levarsi alla
stella di Marte, il Poeta vuol fard sapere,
ohe oltre ai beati spiriti dei quali si com-
ponevano le due lucenti corone, altri molti
« ne erano in quella sede, meravigliosa
r grandessa e splendore. Però ivi gli si
Iboero parventi a poco a poco, qoaai ve-
nissero di lontano, preceduti da un lustro
chiarissimo a guisa d'orinonte sa dd fiao-
olasi giorno, più su de'ventiquattro I>ot-
torl, e formanti una tersa corona di rag-
gio maggiore che l'altre due. Per dipin-
gerei! modo di questa graduata parvensa,
si vale del &tto ovvio e molto a proposto
per r analogia, che è U primo oomparire
delle stelle al oomindare della sera, quan-
do la vivadtà del orepusoolo, che ee ne
toglie la vista va notabilmente attenuan-
dod ; e allora oomindamo a vedere qual-
che lucore, ma non A die slamo CMii di
aver visto distintamente il punto lumi-
noso onde emana, remdendod dubbiod la
debolessa dd ra^o, e l' intermittoisa a
oui questo va soggetto per le condisloni
atmosibiiche. » AntonOiL Sulle altre in*
terpretasioni cfr. Oom. lA^, HI, 876.
67. PARI : splendido egualmente in ogni
sua parte.
68. UH LUSTRO: Un lume, una più am-
pia ghirlanda di anime beate. - bofra: d
di là, al di fhori di qud butto ohe già mi
circondava in duplioe corona.
60. A OUI8A : Al. PER GUISA. - KUOHIA-
RI ; d Ibcda chiaro, s* illumini.
71. PARVENZE; /mofiMfK» app«rÌaloni,
splendori, doè di stelle.
72. LA VISTA t Al. LA COSA. ▲ parSMtfS
d accorda «ilio, non sosa. Cfr. Moon,
Ora,, 464. ' FARE: oonfr. Pwrg, VII.
10-18.
78. PARVBMi: non vedendde anoon
òhe indistintamente - li s dove «raTamo,
nel lAtAo del Sole. - sussiSTBifES : soalan-
■e, anime; ofr. Par, Xm, M.
[CISLO QUIKTO]
Par. XIV. 74-90
[salita] 887
76
79
82
Cominciar a vedere, e fare un giro
Di fuor dall'altre due oiroonferenze.
0 vero isfavillar del Santo Spiro,
Come si fece subito e candente
Agli occhi miei che, vinti, non sofi&iro !
Ma Beatrice si bella e ridente
Mi si mostrò, che tra quelle vedute
Si vuol lasciar che non seguir la mente.
Quindi ripreser gli occhi miei virtute
A rilevarsi; e vidimi traslato
Sol con mia donna in più alta salute.
Ben m'accors'io ch'era più levato,
Per l'affocato riso della stella.
Che mi parea più roggio che l' usato.
Con tutto il cuore e con quella favella
Ch' è una in tutti, a Dio feci olocausto,
Qual conveniasi alla grazia novella ;
74 WÀBM UN ono: foTmwe una tersa
ghirlaiìd» attorno alle altre dne.
76. Spibo : Spirito. La laoe delle anhne
beate è come fiamma eofilata dallo Spi-
rito Santo.
77. CAMDmim: aoceao, inoandeeoente.
78. TENTI: da tanto splendore. « St bene
flagit, qnod Intellectoa eina non erat snf-
fieieiis intneri et speculari Ineem et cla-
litatem tot et tantonun antomm ; nec
etìam snifecessit maximns oodez ad de-
seriptionem ipsomm »; Sénv.
T. 79-90. atMta «I eielo di Marte.
Abbagliato dal grande splendore degli
■piriti beat! ultimamente apparsi nella
sIlBra del Sole, Dante volge lo sguardo
alla sna Beatrioe, la quale gli si manilbsta
eon tanta bellesxa e luoe, che egli noi
poò ridire, come non può ripensare ooUa
niente alle altre bellesse e luci di quelle
corone oonoentriobe di tìvì splendori. In
questo momento salgono a luogo di mag-
gior g^ria, eloè al quinto cielo. Anche
qui il salire si fk in un attimo, sì che il
Poeta non si accorge del rapidissimo suo
Tolo. Soltanto dopo easere arrivato nella
■fera di Marte, egli se ne avrede, e ne
ringrasia Iddio. Cfr. SanU BatHani, D,
Al. nelpiansla <Si MarU e VapoUoH della
Orocé àicnua, eoe Napoli» 1873.
80. TRA QUELLE: Al. TRA L* ALTRE. -
▼EDUTEt spiriti risplendenti. < Ed ao-
crebbe la beUessa ed il gaudio tanto in
Beatrice, che il Poeta nan lo può esprì-
mere, e per questo lo lascia tra quelle
vedute cose, che non seguono, ansi ab-
bandonano la mente, quando le vuole de-
scrivere»; Land.
82. QUINDI t « a Beatrice exaitata » ;
Benv. - « Dal guardare in Beatrice, la
sdensa divina, gli occhi abbagliati rian-
no virtù >{ Tom.
84. IN FIÙ : Al. A PIÙ. - SALUTE : in più
alto grado di beatitudine.
80. ArrooATO : ardente. - riso : confr.
Pur. Y. 97. - STELLA : Marte ; cfr. Oonv.
II, 14. « Quanto a la lettera è vero ohe
lo splendore di Marte viene più affocato
che quello del Sole; imperò che rosseg-
gia, e lo Sole gialleggia: ma quanto id-
Tallegoria, si de' intendere che maggiore
ardore di carità, doè più ardente, ò in co-
loro che combattano e vincono li tre ini-
mici detti di sopra [U mondo, U dimonio e
la eanu], che in coloro che sé esercitano
ne le Scritture»; ButL
87. ROGGIO: rosso infocato, cfr. Ipf,
XI. 78. Pwrg. IH. 18.
88. FAVELLA: coll'orasione mentale ohe
è la stessa in tutti i preganti, anche se
d' idioma diversi. Dantenon aspettaomai
più che Beatrice lo esorti a rlngraiiare
Iddio ; cfr. Par. X, 52 e seg.
89. OLOCAUSTO : saoriflsio di ringrasia-
mento; cAr. Thom. Aq., 8wm. théol. I, lì,
102, 8.
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888 [CULO Qunrpo] Pab. xiy. 91-102
[CBOCK DI MlBn]
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E non er' anco del mio petto esausto
L'arder del sacrifizio, ch'io conobbi
Esso litare stato accetto e fausto;
Ohe con tanto lucore e tanto rebbi
M'apparvero splendor dentro a due raggi,
Ch'io dissi: « 0 Eliòs che si gli addobbi I »
Come, distinta da minori e maggi
Lumi, biancheggia tra i poli del mondo
Ghklassia si, che fa dubbiar ben saggi;
Si costellati, facean nel profondo
Marte quei rai il venerabil segno,
Che fan giunture di quadranti in tondo.
Y. 91-136. Xa croce di Marte, Ap-
pena terminat» la tacita saa preghiera
di rlograiiamento, al Poeta si porge ar-
gomento di credere, eeeer qneUa stata ao-
cetta al Signore e gradita. Ad an tratto
Tede lami accesi e rossi, distribaitl in
due raggi. B come la Via Lattea è distin-
ta da lami maggiori e minori, così nel
profondo Marte sono costellati da lami
di vario splendore i doe raggi formanti
ana croce, nel messo della qaale lam-
peggia Cristo. 6U splendori si maovo-
no tra la cima ed il basso, e di corno
in corno, scintillando forte nell' incon-
trarsi e nel trapasso. B come suono lon-
tano d' arpa e di giga, s'accoglie per la
croce ana melodia che rapisce il Poeta;
il qaale, par non intendendo b«ie le pa-
role, si accorge che l'inno ò: Ri$i>rgi e
vinci, inno cantato in lode di Cristo dal
martiri nel pianeta di Marte.
91. B8AUST0: esaurito; io non aveva
ancor terminato il mio tacito e fervido
ringraziamento.
03. UTABK: sacrificare ; la mia pre-
ghiera; cfr. Virg,,Aen. II, 118; IV, 60.
- FAUSTO : grato a Dio. « Pih ohe accetto,
segai to da effetto felice»; Tom.
94. LUCORE: splendore, luce difPkisa. -
BOBBI : rossi, incandescenti ; piar, di reb-
bio, lat. rubeut, cft. Din, Wòrt. I«, 8M.
« Sì rossi di colore di fuoco > ; Buti.
95. 8PLBin)OBt spiriti dei martiri della
fede che militarono nell'esercito di Cri-
sto. - BAGGi : dentro a due laminose liste
formanti una croce ; cfir. v. 101.
9S. o Euòe : o Dio, che gli addobbi di
tanta lucei Conoscendo la lingua ebraica,
Dante avrebbe detto J^<dn - feeeUo, ohe
♦uno dei nomi di Dio. JBHòi ò voce «leoa
ohe signifloa Sole; e Dante chiama ade
Iddio anche altrove, Par. IX. 8; XVIIl.
105, eoo. Ctc, Oom. Lip9, m, 881.
97. KAGoi : maggiori ; cf^. In/. TI, 48 ;
XXXI, 84, eoe. I beati apparai al Poeto
nel dolo di Marte splendono qaal più,
qnal meno ; onde li paragona alla Gaia»-
9ia o Tia Lmttea, della quale in poeU
tratti dà i caratteri : « una striscia bian-
cheggiante, procedente da un polo al-
l' altro del mondo a forma di sona cir-
colare, in cai si distinguono molte stelle
di varia grandessa e splendore, intsee
con i lumi minori e maggi; oomeool/ar«
dubbiar ben saggi allude all' incertesca
nella quale erano tuttora gli uomini i più
dotti sulla indole di qae& <n»wMM>aft co-
rona»; AntoneUù
99. FA DUBBIAB : tiene in dubbio va-
lentissimi filosofi circa la sua natura; efr.
Oonv, II, 16. ArietoU, Mete^r. I, 8.
100. OOBTBLLATI: Cospersi, oonse la
Via Lattea, di lumi pih o meno loeentL
101. RAI: Al. BAGOI.-8BQNO: della oTooe.
102. CHK FAN : « bel modo d' indicare
una croce a bracci ugnali. I quadranti
perchè possano stare in tondo, oloè in
circolo, bisogna che abbiano il niedeaiBBO
raggio, ossia che spettino alla stesa» cir-
oonferenxa ; e allora son quattro, e altret-
tanti i punti di divisione da quadrante a
quadrante. Questi punti riuniti altena-
tivamente con rette, fumo nascere doe
diametri, che s' interseeano ad angolo
retto i e queste linee sono le giuntare lo
quali Iknno il venerabil segno, la oroeo,
quale era flstto nel profondo M«rte, cioè
pel centro di qoesto pianeta, da quei
raggi, che sopra ha descritto oon 1* bmi-
gine della Via Lattea. I bimod di q[«iesta
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[CULO QTJIHTO]
PAB. XIT. 108-118 [CBOCB DI MABTB] 889
108
1«6
109
112
115
118
Qui vince la memoria mia lo ingegno :
Ohe quella croce lampeggiava Cristo,
Si ch'io non so trovare esemplo degno.
Ha chi prende sua croce e segue Cristo,
Ancor mi scuserà di quel ch'io lasso,
Vedendo in quell'albór balenar Cristo.
Di corno in corno, e tra la cima e il basso.
Si movean lumi, scintillando forte
Nel congiungersi insieme e nel trapasso.
Cosi si veggion qui diritte e torte,
Veloci e tarde, rinnovando vista,
Le minuzie dei corpi lunghe e corte
Moversi per lo raggio, onde si lista
Talvolta l'ombra, ohe per sua difesa
La gente con ingegno ed arte acquista.
E come giga ed arpa, in tempra tesa
orooe »TeTaao dimqne la longhesM del
diametro di Marte. Dioe ffkmHiwr$ e non
U giwKtum eioè aloime e non tutte, altri*
menti non ne epiooherebbe la flgnra della
croce, ma Ti sarebbe oonginnto il qua-
drato.» AnUmèOi,
108. viHCM : qni la memoria enpera l'in-
gegno, cioò non so deeortrere olò ohe mi
tioordo di arer vedoto. « La memoria mi
diee ohe vidi lampeggiar Cristo in quel
segno; ma l'ingegno non sa trorareesem-
irfo da esprimere il come»; Ost. B osso
viceversa Par, I, 7-0.
105. DBQHO : a rai&gararlo. L'arte s'in-
gegnò di pennelleggiare anche questa vi-
sione; Dante invece si confèssa incapace
di descriverla.
106. CHI: ohi andrà SQ a vedere la cosa,
mi aeoserà s'io ne taodo, non trovando
eeempio degno ed atto ad esprimere qnel
lampeggiare: cf!r. Pwr, I, 70-72. - PBXir-
l>s: cfr. MtUtL X, 88 ; XVI, 24. Mwreo,
VTII, 84. lAua, IX, 28; XIV, 27.
107. LASSO: passo sotto silenzio.
100. DI COBHO: da Un'estremità all'altra
di quella croce, formata di spiriti beati.
110. LUMI: anime beate.
111. VBL OONOIUHOEBSI : sll' inoToda-
tara dei due raggi, dove gli spiriti s' in-
contravano e trapassavano. « Cotesti lu-
mi eran l' anime beate ohe o scorrendo
vicine le une alle altre o unendosi esul-
tavano; e n segno dell' esultaaione era il
brillare con mi^or luce »; Oom,
118. VISTA : apparenta. € Dai più su-
blimi tetti deU'universo passa il Poeta ai
più umili ; ma sempre mirabili, e sempre
felicemente. D calore, la gravità, gli at-
triti, i venti e altre cause meccaniche
distaccano continuamente dai corpi ohe
ci stanno d'intorno delle minime parti-
celle; le quali per la loro tenuità e leg-
geresaa, scorrono per 1* aria in tutte le
diresioni, e per la resistensa di essa vi si
trattengono assai, prima di obbedire alle
leggi del peso e fermarsi su gli oggetti
cirM>stanti per rimettersi in giro a un
nuovo impulso. Questo rimescolamento
di tali miwMgU coU' aria non ci ò par-
vente in piena luce : ma se tengasi diìiBsa
dal chiarore del dì una stansa, e per ac-
cidente o per arte vi penetri un raggio
di sole, questo te contrasto con la oscu-
rità del rimanente del luogo, vi genera
una lista luminosa, detta anche spettro
solare, investe i corpuscoli vaganti, e
rende visibile il ibnomeno qui descritto. »
AntoneUi, Cfr. Luent., IH rtr, noi, II,
116 e seg. Oavemi, La Scuola, 1878, 1.
29 e seg., 68 e seg.
115. KAoaio : che entra da qualche per-
tugio. - SI USTA: « onde ò tagliata, li-
stata, l'ombra che si ottiene per messo
de' ripari, come sono le imposte, le stole,
e simili altri ingegni, che l' uomo con
arte oppone al sole »; Br. B,
118. QIQA : violino : dat ted. ant. gigét
oggi Qtxgt ; cfr. Diai, Wórt. 1*, 212. -
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840 [CULO QUiHTO] Pah. xit. 119-130
[CBOCB Dt MABTB]
121
124
127
180
Di molte corde, fa doloe tintinno
A tal da ctii la nota non è intesa;
Cosi dai lumi che li m'apparinno,
S' accogliea per la croce una melode
Che mi rapiva senza intender l'inno.
Ben m'aocors'io eh' eli' era d'alte lode,
Però che a me venia: < Risorgi e vinci ! »,
Com' a colui che non intende ed ode.
Io m'innamorava tanto quinci,
Che infino a li non fu alcuna cosa,
Che mi legasse con si dolci vinci.
Forse la mia parola par tropp'osa,
TI8A : con le molte corde iosieme armo-
nUsate. « 2Vnd«r« la tompra pare strano ;
ma vale le oorde temperate e l' armonia
ohe di loro esce più o meno intensa >;
Tom.
119. fa: Al. FAH.-TDrnifNO:<^. POT.
X, U3. Yirg.» Georg. IV, 64. Ario*., Ori.,
VU, 19.
120. LA ROTA! la melodia studiata. Co-
me un ignorante di mnsioa ode il doloe
snono della giga e dell'arpa, ma non co-
nosce che note Tengano sonate; così io
ndiva il dolce canto ohe i beati diffon-
devano da tntta la croce ; ma, non inten-
dendone le parole, non comprendeva nep-
pure il senso dell' inno.
121. m'appartmiio: mi apparirono; cfr.
Nannw., Verbi, 197 e seg.
122. s' AOOOaLiOA : e si spandeva ; ma il
verbo dantesco spiega l'unità della me-
lodia risonante nella immensità della
Croce. Così nella mente del Poeta 1* im-
mensa varietà dei minimi veri si racco-
glie neir unità di un vero supremo » ;
L. VerU., Simil., 67. - mklode: melodia;
cfr. Par. XXVIII, 119. « Come si disse
ode e oda, ttr^tfe e ttro/a, ecc., così mo'
lode e méloda »; Nammiua., Nomi, 5.
123. MI RAPIVA: mi faceva andare in
estasi ; cfr, Tomm., Dig. dei Sin., n. 2208.
- l' inno : intendeva alcune parole stao-
cate, ma non l'inno intiero; cfr.Puf^.
IX, 145.
124. ch'kll'kra: che la melodia era di
alte lodia Dio (£Mi«.,£«nd., Lo*»»., ecc.);
oppure: eh'eUi era, doè l'inno (BtOi,
TeU., ecc.). - lodb: plur. di loda, JV- H,
^08. Par. X, 122. Cfr. Thom. Aq., Oum.
•««<.I,n, 101,2;108. 8.
125. VBNlà : io intendeva, dlstingaev».
- BmuBGi: forse le parole Isaia, I«1, 9:
4c Consnrge, oonsurge, induere fortttndi-
nem braohium Domini.» Gli antichi si
avvisano ohe queste parole siane dirette
a Dante {Lan., OU., An. Fior., Boitm,,
Tal., ecc.). Meglio BuU: « Questa è pa-
rola de la Santa Scrittora che si diee di
Cristo; imperò che egli risurreaae da
morte e vinse lo dimonio che aveva vinto
l'uomo, e questo bene è intelligibUe a lo
intelletto umano ; ma l'altre oooe divine,
ohe ftimo flette da Cristo e che in lui
sono, et apprendono e diceno li beati che
sono comprensori, non si possano intm-
doro da noi ohe siamo viatori. B però de-
bitamente finge lo nostro autore ^*elU
non apprendeva se non Ritvr(/i a vinci ;
ma l'altre cose no, perchè eOi era anoora
viatore. » Cosi i più {PoH. Oas$., Lmmd,,
VeU., Dan„VetU.,Lomb.,wx.).Ctt.Oom,
X^f. in, 886 e seg.
V. 127-189. I^ettoH beote, n canto
di quegli spiriti lo rapisce talmente, che
il Poeta affèrmadi non avere mai gustato
sinora piti intenso diletto. Ha fbrae, ag^
giunge, sembrerà a taluno che io dica
troppo, posponendo la gi<^a che m* in-
fondevano gli occhi di Beatrice a qneUa
doloe armonia. Mi scuserà tuttavia ehi
ricordi che, giunto in Marte, io non
aveva ancora volto a lei lo sgnaido.
127. QUINCI: di quella dolce melodia.
129. VINCI : vincoli di piacere. « Vinti
sono quelli legami con che comunemente
si legano gli cerchi delle botti»; Lem.,
An.Fior.
180. OSA : ardita, temeraria} cfr. Purg.
[CULO axriNTO]
Pab. xiy. 131-189 [bstasi beata] 841
138
136
189
Posponendo il piacer degli occhi belli,
Ne'quai mirando mio desio ha posa;
Ma chi s' avvede che i vivi suggelli
D'ogni bellezza più fanno più snso,
E ch'io non m'era U rivolto a quelli;
Escusar puommi di quel ch'io m' accaso
Per escusarmi, e vedermi dir vero :
Ohe il piacer santo non è qui dischiuso,
Perchè si fa, montando, più sincero.
181. ooom: di BMtrioe. «Più ohe ai
monto in sa, divento più poro, pih spl-
rttaAle. Perdo ■empie più è astratto
l' animo dalle betlease spirltnall che dalle
bèllene delle parti oorporee, oome sono
gU ooofal. » Oom. Kon è «fnrOuab U bel-
lesza dei^i occhi di Beatrice?
188. VIVI SUGGKLU ! i deli, cosi chia-
mati per cagione dell' Inflnsso che attrl-
trairad loro soli* anima nmana. Così i più
(OtL,PoH.Ckut.,BuH,Lomb.,Biag.,Oes.,
Tom,, Br, B., FraL, Oreg., Blanc, ecc.).
Altri: Gli occhi di Beatrice {VeU„ Dan,,
Voi, VonL, Andr,, FOal., WitU, ecc.).
184. PIÙ FAHNO : ri manifestano in bei-
lessa sempre maggiore, quanto più si
186. ▲ QUELLI: agli ooehi Mix di Bea-
trice» T. 131.
186. K8CUBAB: lat. ecBoutaré, scasare.
Al. B 8CUSAB. -M'ACCUSO : di non essermi
ancor rlydto a guardare la mia donna.
187. BSCUBABMI : Al. ISCUSABMI ; a mia
scnsa, per ayer detto di non aver mal
gostoto tanto diletto, qnanto all' adire
qael dolcissimo canto nel delo di Marte.
L' OMtMadl non avere ancor mirato gli
occhi belli di Beatrice è la Mouta di es-
serd cosi espresso. - k ykdkbmi : e paò
▼edere die io dico il vero.
188. PiACiB aAXTO ! degli occhi di Bea-
trice. - DISCHIUSO: esdaso; cfr. Par.
Vn, 102.
139. SI FA: anche il i>{a««r iarUo degli
occhi di Beatrice cresce, via via che d
sale, col crescer della bdlessa de' dell. -
8DCCKB0 : puro, perfetto, Cfr. Par. XY,
82 e seg.
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842 [cisLO Qunrro] Pah. xy. 1-12 [silenzio dii bbàti]
CANTO DECmOQUINTO
CIELO QUINTO 0 DI MABTE : MABTIBI DELLA BELIGIONE
CACCUOUIDA, L'AimCA FIRENZI B OLI ANTENATI DI DANTK
Benigna volontade, in cni si liqoa
Sempre l'amor che drittamente spira.
Come cupidità fa nell'iniqua,
4 Silenzio pose a quella dolce lira,
E fece quietar le sante corde,
Che la destra del cielo allenta e tira.
V Come saranno ai giusti prieghi sorde
Quelle sustanzie, che, per darmi voglia
Ch'io le pregassi, a tacer fur concorde?
10 Ben è che senza termine si doglia
Chi, per amor di cosa che non duri,
Etemalmente quell'amor si spoglia.
y. 1-12. n éOeMmio dei betM, Tace 5. cobdb: le Mime beftte ohe ti gìde-
Y Armonia dei beati per dare agio al tarono, doò lasciarono il moto, ai foi^
Poeta di manifettare i snoi desiderii. La maroso.
cortesia della carità nel regno dei cieli 6. allerta ■ tira: «remittitetmoret,
gli è baon angario per obi In terra in- secnndnm qnod sibi placet, tamqaamop>
Tooa r intercessione dei santi, e lo induce timns oithurista, qui semper bene 1
ad esclamare, esser ben giusto che sia perat chordas, nec unquam oberrat » ;
dannato in etemo chi a quell' amore pid Benv.
alto non si disciplina e perlSodona, ma 8. subtavzib; anime beate; cfr. Par.
rivolge il suo amore a cose corruttibili VII, 5 ; XXIX, 82.
durante il breve soggiorno sopra la 9. conoobdb: concordi (cAr. SàMati,
terra. Avveri, II, 10. Nannue., Ifomi, 14» e
1 nv CUI : Al. nr CHE. - si uqua: o è il seg.) a finire il loro canto e fermarsi,
lat. liqust'^éi manifesta {Lan., OU,,An. per provocarmi ad esternare i miei de-
Fior., Benv., BuH, Land., Veli., Dan., siderii.
Voi., Vent., Lomb., ecc.), oppure dal lat. 10. bbh è: sta bene, è giusto. Goofr.
Ugnare — si liqueA, si risolve e toma Thùm. Aq„ Sum. tkeoL HI, Svgppl., M, 1.
in baona volontà (Oes„ Bennat., Cktm., «Chi si lascia condurre alla conoupisoeiH
Blane, ecc.). sa e non all'amore meritamente è dan-
8. cupidità: cupidigia, la quale non nato in etemo»; Oom.
cerca ohe il bene proprio. - lin<)UA : vo- Y. 18-30. XI taUUo detPenUeHoto*
lontade. Pari a quel guino di luce <die muA dirsi
4. UBA : il canto dei beati; cfr. Par. stella cadente, discende dal destro comò
'^^^Ilf 100. della croce luminosa uno dei lumi piti sfa-
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[CULO QinNTO]
Pab. xt. 18-80
[cAOCUeuiDÀ] 843
13
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19
22
25
2S
Quale per li seren tranquilli e puri
Discorre ad ora ad or subito foco,
Movendo gli occhi che stavan sicuri,
E pare stella ohe tramuti loco,
Se non che dalla parte ond' ei s' accende,
Nulla sen perde, ed esso dura poco ;
Tale, dal corno che in destro si stende
ÀI pie di quella croce, corse un astro
Della costellazion che li risplende ;
Né si parti la gemma dal suo nastro.
Ma per la lista radiai trascorse.
Che parve foco dietro ad alabastro.
Si pia V ombra d' Anchise si porse,
Se fede morta nostra maggior Musa,
Quando in Elìsio del figlio s* accorse.
€ 0 sanguis meus, o superinfusa
Ghratia Dei, sieut Ubi, cui
Bis unqtiam cceli tanna reclusa f »
Tlllaatl, e ulaU il PoeU con dololmlme
parole, come sao discendente. Questo la-
me si manifesterà essere V anima beata
diCaodagoida, milite dellafede cristiana
e trisavolo di Dante.
13. SRBMK : per i Sereni nottoml ; cfr.
Ovid., Met. n, 819 e seg. Tirg,, Am.,
n, 698 e seg.
14. IH8CX>BRB : « Aspectns eornm qnasl
ftilgora disonrreatia » ; Na^wn, II, 4.
CCr. iMoan., Phars. V, 661 e seg. ; X,
602. -AD ora: ofr. JV*. XV, 84.
16. MOVBMDO: cqnla sdlicet snbita-
neo mota et splendore terreftudt viden-
tes»; Benw. - bicubi: •Hne cura, ohe
s'oppone allo scotimento ohe porta al-
l' animo qnel sabito goissar di lace » ;
Ckt, Gfir. L, Vent., Sima., 43. BoneheUi,
AppwOit 142 e seg.
16. TRAMUTI: cfr. Fmxi, Quadrir. I,
13. Poliziano, H, 17.
17. ORD'Bi: Al. ONDI s'aockndr. « Stel-
la non è. perchè la stella non cade, e per-
chè qnel taooo è ftaggerole » ; Tom.
18. FXRDB: la stella, onde qnel faoco
mnore, rimane al sno laogo. Cfr. Purg.
V. 37 e seg.
19. DAL ooRiro : dal braodo destro della
oiooe; cfr. Par. XIV, 100.
20. UR ABTBO: miodflì risplendenti spi-
riti della croce di Marte.
21. oosTKLLASsioir: « di quella oongre-
gaxione di beati spiriti, che a modo delle
oostellasioni ohe risplendeno in dolo, li-
splenderano in quella croce: ooiteUatione
è congregasione di molte stelle»; Buti,
22 : UÈ 81 PABii : per discendere appiè
della croce, quell'anima non si diparti
da essa, qual gemma che si spiccasse
da un nastro; ma trascorse per entro 11
raggio di quella a guisa di lume ohe d
muova dietro trasparente alabastro. -
LA ORMHA: l'anima raggiante. - nabtbo:
dalla lucente striscia. « Scorse senza soo-
stard mal dalla croce » ; Oom.
28. RADiAL: dal lat. radiut, raggiante.
« Per la traccia di luce da sé segnata» (?) ;
Tom,
26. sì PIA : con tanta teneressa d' af-
fetto. - SI P0B8V: d prestò; cfr. Virg.,
Am. VI, 684 e seg.
26. Musa: Virgilio, nostro masdmo
poeta; cfr. Pivrg. VII, 16 e seg.
27. dblfiouo: Al. DEL FIOLIUOL: Enea.
28. o BANOUiB : Oiongué mio, o grazia
di Dio in te daWaUo infusa, a ehi, eome
a te, fu mai dieehiuea due volte la porta
del cielo f Parla latino, o per indicare il
tempo in che Caodaguida visse, oppure
per indldo di dignità ; cfr. Purg. XIX, 99,
80. BIS I due volte ; al presente e dopo
morte; cfr. Purg. II, 91. I«» porta del
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844 [ciBLO aiHNTO] Pati. XY. 81-45
[CACCUOUIDA]
81
84
87
40
Cosi quel lume: ond'io m' atlìosi a lui;
Posoia rivolsi alla mia donna il viso,
E quinci e quindi stupefatto fui ;
Che dentro agli occhi suoi ardeva un riso
Tal, ch'io pensai co' miei toccar lo fondo
Della mia grazia e del mio Paradiso.
Indi, ad udire ed a veder giocondo,
Giunse lo spirto al suo principio cose
Ch'io non intesi, si parlò profondo;
Né per elezion mi si nascose.
Ma per necessità, che il suo concetto
Al segno dei mortai si sovrappose.
E quando l'arco dell'ardente aÌPetto
Fu si sfocato, che il parlar discese
Invèr lo segno del nostro intelletto.
dolo fti dlachinBft dae Tolto anoho a San
Paolo, il vaso d' elosiooo ; ett Jikf' n, 28
e 80g. O Dante vaol dire ohe vi andò in
oorpo, mentre Paolo vi andò soltanto in
TiaioneCreO., VmU., eoo.) ; maoonfr.Par.
I, 78 e seg. ; oppure s' ha da intendere :
a ohi mai tranne a Paolo {Lomb,)i o
forse al esprime ood, perohò S. Paolo fa
rapito « sino al terto oielo », e qui siamo
nel quinto. Altri opinano ohe Dante
parli così per la disformità del osso. Cft>.
Om. Lip$, HI, 896.
V. 81-80. Lo 9guardo beoHfteante,
All' adire il salato di Caooiagaida, Dante
guarda prima attentamente quella viva
laoe ; quindi volge gli ooohi a Beatrioe e
la vede fotta sì bella, ohe gli parodi avere
oramai raggiunto il colmo della beati-
tudine.
81. M* ATTX8I : formai lamia attensione
su di lui, lo fissai attentamente.
83. QUINCI E QUINDI i dalla parte del
lume e dalla parte di Beatrioe, il lume
avendolo chiamato suo sangue, e Bea-
trioe risplendendo d' insolita gioia e bei-
lessa.
85. TOOOAB : « mi parve allora vedere
tutti i termini delU beatttadhie » ; Tita
If, § 8.
86. Pabadibo : cfr. Par, XVin, 21.
V. 87-69. 1/ invito dèiPtumor eele-
9te, Dopo il primo saluto, Cacoiaguida
aggiunge cose ohe superano l'intendi-
mento umano e ohe il Poeta non può
inindi oapire. Ciò ohe egli incomincia ad
tendere, è un ringraaiamento di Caco.
aDloper la grada concessa al suo diaoen-
dente. Volgendo poi di nuovo la parola a
questo. Caco, continua: «Salendo quaasii
guidato da Beatrice, hai soddisftitto al
mio lungo e dolce desiderio di vederti,ooo-
oepito per aver letto nel gran volume dei
divini decreti, ove nulla mai si oanoena
né si aggiunge, che ci sareetl venuto un
giorno. B tu ora, persuaso ohe io vedo e
leggo i tuoi desiderii in Dio, stimi super-
fluo dimandarmi dell' esser mio e della
ragione di tanta mia gioia in vederti. Ve-
ramente tutti i beati, qualunque aia il
grado della loro beatitudine, mirando in
Dio, vedono ivi come riflessi in ano spee-
ohio tutti gli umani pensieri. Tuttavia,
aifinohò si compia meglio queU* amore
ond' io sono eternamente acceso, manifo-
stami tu stesso francamente il tuo deside-
rio, al quale è gi4 prestabilita la risposta.
87. GIOCONDO : grato, piacevole ad udir-
lo ed a vederlo.
88. oiUNSK : aggiunse. - PBiNano : aQe
sue prime parole, v. 28-80.
40. BLBZiON : la profondità del suo par-
lare, che io non potei intendere^ non fta
per sua libera volontà, ma perchè diceva
cose ohe oltrepassano i limiti dell' uman»
capacità.
42. DEI MOBTAL: Al. DI ICOBTAU; DI
MORTAI; DEL MOBTAL. - 81 SOVBAFPOSE :
volò più alto.
43. l'abco t r ardore della infiammata
carità.
44. SFOCATO: Al. SFOGATO. > DISCESE :
si abbassò al grado deli' umano intelletto.
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[CIBLO QUINTO]
Pab. xy. 4(J-62
[CACOUOxriDA] 845
40
52
55
58
61
La prima cosa che per me s'intese,
« Benedetto sie Ta, » fìi, « trino ed uno
Che nel mio seme se' tanto cortese ! »
E segnitò : < Grato e lontan digiuno,
Tratto leggendo nel magno Volume
U' non si muta mai bianco né bruno,
Soluto hai, figlio, dentro a questo lume
In ch'io ti parlo, merco di colei
Oh' all' alto volo ti vesti le piume.
Tu credi che a me tuo pensier mei
Da Quel eh' è primo, cosi come raia
Dall' un, se si conosce, il cinque e il sei;
E però chi io mi sia, e perch'io paia
Più gaudioso a te, non mi domandi.
Che alcun altro in questa turba gaia.
Tu credi il vero; che minori e grandi
Di questa vita miran nello Speglio,
46. PKB MSt d* me.
48. 00BTI8S: ofr. Far. VII, 01.
40. LOHTAH: lungo ; efr. If^, II, 60. >
DiGiUHO: defliderio.
50. TRATTO: reoato in me dal leggere
nel gran libro dell* dirln» preeolens».
« DIee per dmiUtadine, doè, ohe oome
r nomo leggendo oaym del libro oh' olii
legge; eotà li beati raggnardando, oome
■i Tede nel libro sorltto la eorlttaraeh'è,
in Dio vedono ogni cosa, e quinde oavano
ogni ooea oh* eUi sanno > ; BuH. Cfr. Ii^,
XIX, 54.-HCL MAOBIO : Al. KKL MAGGIOR.
51. vo> SI MUTA ì nei qoale non d fknno
mai motaaioni ed alterationi oome nei
libri umani (ofr. Pwg. XH, 105. Por.
XVm, 130), ma quello ohe yi è soriUo
è immutabile in etemo, e In ooteeto to-
loine tutto, o da proepero o sia arrerso,
di bene o di male, ab etemo è scritto e
non si muta»; Oorn, Confr. Oom. Lipt,
m. W7.
52. SOLUTO : Boiolto, appagato in me ;
oottfr. JV' 2» 11^* - DKHTRO: in me,
ohe ti parlo dentro a questo splendore.
Al. : Dentro al lume di questo pianeta di
Karte.
54. TI varai: ti diede le ali per Care d
alto Tolo; ti fsoe abile a salire quassh
neUe sfere eelesti. -piums: ofr. Bo€t.,
Oont. phiL IV, metr. 1.
55. Mn: trapasd, dal lat. mearef oAr.
Par, Xm, 65; XXni, 79. Tu credi ohe
il tuo penderò Tenga a me ohiaro da Dio,
ohe è r Essere primo, oome dall' unità
Tengono i numeri tutti.
50. QuBL : da Dio, prima Mente (Omt .
II, 4) e prima Bontà (Oonv, IV, 9); ofr.
JS^ Kani, 20.- RAIA t raggia, deriTa, pro-
cede; efr. Pwrg. XVI, 142. Por. XXIX,
186. Oonv. in, 2.
57. dall' uh : dal conoscere l' unità, la
conosoensa degli altri numeri. « Qui trae
dall'aritmetica una opportuna dichiara-
sione a sublime concetto, dicendo ohe
dalla perfetta cognidone della assoluta
unità d ha contessa delle cose, come dalla
idea chiara dell' unità matematica pro-
cede la Tidone intellettuale di ogni nu-
mero, indicato colla determinacione del
cinque e del sei. Questa Toduta sempli-
oissima ò il fondamento della sdensa dei
numeri. » AnUmelU,
58. B PKRÒ : quindi non domandi chi io
da, nò perchè io ti fecda maggior festa
ohe non tutti questi altri spiriti beati,
aTTisandoti, doè, che io sappia dò ohe tu
60. GALà : Ueto, allegra ; cfr. Diu, Wdrt,
I», 105.
61. MINORI: gli spiriti beati, tanto di
minore quanto di maggior grado e gloria,
mirano tutti in quel Dio die Tede i pen-
sieri prima che deno concepiti.
62. TiTA : edeste. - Spbolio : specchio,
(cfr. JV. XIV, 105. Par, XXX, 85), nd
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846 [CIELO QUIHTO] Pab. XV. 63-76
[CACCUeUIDA]
«7
70
73
76
In che, prima che pensi, il pensier pandi.
Ma perchè il sacra amore, in ohe io veglio
Con perpetua vista e che m'asseta
Di dolce disiar, s'adempia meglio.
La voce tua sicura, balda e lieta
Suoni la volontà, suoni il disio,
A che la mia risposta è già decreta! »
Io mi volsi a Beatrice, e quella udlo
Pria eh' io parlassi, ed arrisemi un cenno
Che fece crescer T ali al voler mio.
Poi cominciai cosi: « L'affetto e il senno.
Come la prima Egualità v'apparse.
D'un peso per ciascun di voi si fenno ;
Però che il Sol che v'allumò ed arse
quale i beati redono tatte le cose; cfr.
Par, XXVI, 106.
63. PRIMA: < lotellezietl eoglUtionee
meM de longe»; Pil. OXXXVIII, 8. -
PAKDi: manifesti, dal latino pandm ed
osato nel medesimo senso anche io prosa;
ofir. Par. XXV, 20.
64. PBBCHft: affinchè. - ykouo: confr.
Purg. XXX. lOS.
66. MBOUO : intendendo il tao desiderio
dalla bocca tna.
67. balda: franca, oorafi^osa. e Tre
cose toccò ohe debbo avere lo parlatore
nella sna yoce ; cioè ohe debbo esser fer-
ma e non tremante, che significa timore;
e debbo essere ardita, cioè alta e non bas-
sa, che significa diffldensia; e debbo es-
sere lieta e non piangolosa, ohe significa
tristizia ; e, vedoto In Ini qoeste tre cose,
crescerà l'ardore de la carità»; BuH
68. suoia: si manifMti con parole.
60. DROBBTA : determinata, decretata,
pronta; cfr. Par, 1, 124. Ho già fissa la
rispoeta da darti.
y. 70-87. 8c%ua a preghieri». Con
nno sgoardo Dante chiede, con no sor-
riso ottiene lioensa di parlare dalla soa
Beatrice ; qoindi e' si scasa di non poter
esprimere l'affetto che sente, e prega
Caociagoida di manlfestarsegll per nome.
La scasa è espressa con qoesto giro di pa-
role: « Daochò Dio,prima e perfetta Ugna-
glianxa, apparve in cielo a voi, padre mio,
il sentire e l' intendere ri si (boero di pari
rigore, perchè, grazie a qoel Sole che yi
lamina di rerità e vi accende di amore,
oonoesione deUa verità e qoella del-
l' amore son tra loro A egnali, che ne«-
snna idea di parità amanapoò esprimere
tale ogoagliansa in modo condegno. Ha
nei mortali volere ed intendere non van-
no di volo si pari; ed io, mortale, non
trovando concetti corrispondenti ali* af-
fetto, molto meno ho parole da tanto ; e
però ringrazio solo ool onore. »
70. UDÌO: m'intese, comprese U mio
desiderio sensa che io aprissi boooa.
71. ABHìHBin: mi ibce sorridendo un
cenno. Cfr. Par, I, 95. Al. ARBoeua—
dal verbo arroger» e varrebbe: Mi ag-
gionse nn cenno; <^. Oom. IAp9, HI,
809 e seg.
72. FBCB CBB8CBB : mi féco pia looto a
parlare; cfr. Pwrg, XXYII, 123.
78. POI COMIHCIAI : Al. B COMINCIAI. '
l'affbtto b ;. vnio : il sentimento e
rintelUgens4.r'j]!r intendere ne' beati è
ngoale al volere^ perphè sono in Dio dove
tatto le Ikcoltà amane, come in fermo e
ogoale fondamento, riposano saldamen-
te»; Tom,
74. Egualità: Dio. « Ogni perfinione
od attriboto divino è egoale all'altro per-
chè tatti si identificano nella divina ee-
senxa. Qoindi si pnò dire : Dio è saplensa»
Dio è amore, eco. Gol soo manifestarsi al
beato lo rende a sé simile. » Oom. Cfr.
I Qiov, m, 2. - v'appabsb! vi ai fbce
visibile ; tosto che voi entraste nel regno
dei cieli; cfr. SaXm. XVI, 15.
76. d' uk PB80 : si fecero in oiasoono di
voi d* nn pesoi»pari, ^oali.
76. Sol : Dio. Perdoochè Dio, che vi U-
laminò ool lame della soa sapiens», e vi
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[GIBLO QUISTO]
PAB. XY. 77-91
[CACCIAGTTIDA] 847
7»
91
Col caldo e con la luce, è si iguali,
Che tutte simiglianze sono scarse.
Ha voglia ed argomento nei mortali,
Per la cagion eh' a voi è manifesta,
Diversamente son pennati in ali.
Ond'io, che son mortai, mi sento in qaesta
Disaggoaglianza, e però non ringrazio
Se non col cuore alla patema festa.
^ Ben sappUco io a te, vivo topazio,
Ohe questa gioia preziosa ingemmi,
Perchè mi facci del tuo nome sazio. » ^
« 0 fronda mia, in che io compiacemmi
Pare aspettando, io fui la tua radice. »
Cotal principio, rispondendo, femmi;
Poscia mi disse : < Quel da cui si dice
riBOftIdò col caldo del ano amore, ò tal-
mente egnale rispetto a qaeed suoi at-
tributi, che neasima oomparadoDe sa-
rebbe adegnata a rendere l'idea di tale
egualità. La oomime : al sol ; lezione
prira d' autorità di oodd. e ohe implica
ana saperflna tantologia. Cfr . Oom, Up$,
m.iOleseg.
77. lOUALi : egaale. Iguali per eguàU
al atng. ò dell* oso antico; oonfr. Oiord.,
Fred., 88 : « il demonio dedderò d'essere
iguali a Dio >; ^U9d., Fred, ined., 135.
Nannue,, Nomi, 17&-218.
70. TOGUA SD ABOOMBirTO : aflbtto e
senno (▼. 78), il primo, atto del sentimen-
to ; il secondo, dell' intelligensa. H Poeta
mol qui esprimere quella dituguagliatiza
onde ool «Mino, col ragionare (argomento)
non può spiegare Vafet^^j^voglia) sao,
né rispondere alla patena « lesta se non
ooD* intensione del onore.
80. MAHiviSTA: per la vostra sapiensa
che tatto conosce.
81. BOH pumun : non Telano l' una
pari dell' altro, ma Itk voglia (il sentimen-
to) vola sempre innanzi all' argomento
(an* intelligenza).
88. DmAOGUAOLiAHZA : tra voglia e ar-
gomento, tra sentimento e intdligensa.
84. COL CUOBS : cfr. Par, XIV, 88 e
seg. -PATBRHA: av^Didolo Gacdagnida
ohiamato tuo tangue, v. 28; tuo $em$,
▼. 48; nto ftgUo, t. 62.
86. A TB: Dante costniisce alla latina
a verbo sappUcare colla prep. a, doè ool
totsoMso; cfr. Far, XXVI, M; XXXIII,
26. - TOPAZIO : pietra preziosa di color
giallo ; cfr. Far, XXX, 76. « Topasio ò
una gemma intra l'altre maggiore; e
sonno di dae ragioni: Tona ha colore
d'anro porissimo, l'altra ha colore di
porissimo aere; ed è si perspicacissimo,
che riceve in sé la chiarezza di tatto
r altre gemme. Dicesi che a colai ohe '1
porta non paò nnocere nemico. > OU,
86. GIOIA: qaesta croce laminosa. Al.:
Qaesto pianeta di Marte ; olir. Far. II,
84; VI, 127.
V. 88-96. La rivéUwions* Uditala pre-
ghiera di Dante, Caooiagalda si affretta a
soddisCsrlo. Ma, anzichò cominciare dal
palesargli il nome, prende a dire : « Tu
sei an mio discendente, io fhi tao proge-
nitore. D tao bisavolo fa mio flgliaolo, ed
è tattora in Pargatorio : prega per lai. »
88. nr chv : Al. m cui, lezione troppo
sprovvista di aatorità e meno elegante. -
ooiiPiACBMMi : micompiaoqai ; cfr. Ptov,
III. 12. Mait, UI. 17. Marco 1, 11. Lu-
ea III, 22. n, Fetr. 1, 17.
89. PUBB! il solo aspettarti mi fh di-
letto ; otr. V. 49 e seg. - radice ; caposti-
pite; di antenati più antichi di Caccia-
gaida sembra che Dante stesso non ne
sapesse nnlla. Cfr. leaia XI, 1. Thom.
Aq., Sum. theol. I, li, 84, 1. Oonv. IV, 6 :
« Fu contemporaneo alla radice della pro-
genie di Maria. »
91. QUEL: colai dal qaale la taa pro-
sapia ha preso il cognome degli Alighieri.
Parla di Aldighiero, figlio di Caociagaida,
memdonato insieme con sno fratello Prei-
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848 [CIELO QUINTO] PAR. IV. 92-104
[FIBBKZE iJmCA]
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100
103
Tua oognazion, e che cent'anni e piùe
Girato ha il monte in la prima cornice,
Mio figlio fu, e tuo bisavo fue:
Ben 8Ì convien che la lunga fettica
Tu gli raccorci con l'opere tue.
Fiorenza, dentro dalla cerchia antica,
Ond' ella toglie ancora e terza e nona.
Si stava in pace, sobria e pudica.
Non avea catenella, non corona.
Non donne contigiate, non cintura
Ohe fosse a veder più che la persona;
Non faceva, nascendo, ancor paura
La figlia al padre ; che il tempo e la dote
tenitto In an doomnento dol 1189. Ulte-
riori noiisle di questo Aldlgfaiero non d
hanno. Fa padre di Bellinoione, òhe ge-
nerò Aldighiero II padre di Dante. Lo
dioono ancor vivente nel 1201 ; ma, ae-
oondo questi versi, dovrebbe esser morto
prima del 1200. Del resto Dante poteva
ignorare l' anno preciso della morte del
sao bisavolo.
93. MOHTE: del Porgatorio.-oOBinCK:
nel primo oerohio del Purgatorio, ohe è
dei superbi ; ofr. Purg. XI, 20 ; XIII, 4.
Alonnt(2^n., OU., An. Fior.), intendono
inveoe del primo balco dell* Antipurga-
torio. Ma Dante non chiama mai comici
i baisi dell'Antipurgatorio.
95. FATICA: di portare il grave peao,
sotto il quale vanno curvati nel Purga*
torio i superbi.
96. OPKRK ! pie, &tte in suifragto di lui.
V. 97-120. J/ antica mrenme. Dopo
ohe Caooiaguida gli ebbe detto: «Aldi-
ghiere I tuo bisavo fa mio figlio » , Dante
doveva già sapere ohi si fosse lo spirito
ohe gli parlava. Onde, prima di parlare
più particolarmente di sé, Caooiaguida
descrive lo stato tranquillo e feliee di
Firenze nel tempo della sua nascita. Con
questa desorisione si confronti quella del
cronista Giovanni Villani, oòntempora*
neo di Dante (lib. VI, oap. 69), il quale
dice su per giù le stesse cose. Gfr. Oom.
Lipt. III, 404 e seg.
07. CERCHIA : dentro dalla cinta delle
antiche mura cominciate nel 1078; cfr. <7.
ViU. IV, 8. -AMTIOA: essendosene inco-
minciata una nuova sin dal 1284. OAr.
OarboM in D. e a tuo secolo, 475-501.
TFftte, DantcFortchungen, II, 1-21.
98. TOOLOB : « sullo ditte Bum veoeUe
si ò una chiesa, chiamata la Badia, la
quale ohiesa suona tersa e nona e Taltre
ore, alle quali li lavoranti delle arti en-
trano ed osceno dal lavorìo »; Lan., An,
Fior, Cosi tutti 1^ antfohi, mentre fai-
vece YAffuUhon (DeUc oro inncmH Vero-
logie, Mil., 1858), intende del M Ara iTiih
vanni. Ma i suoi argomenti non persua-
dono.
99. IN PACK : le dissensioni e lotte qìtìIì
incominciarono a FIrense nel 1177, « per
troppa grassessa e riposo misohlato ooOs
superbia e ingratitudine»; 0. TUL V, 9. -
bobbia: « temperata in mangiare e ta
bere, « pudica, oioò in abito ed in atto
onesta»; OU.
100. VON AVEA : «nou ammetteva la va>
nitàdiauree catene, di diademi, non don-
ne oqn le oalsette ornate, non da tura pre*
siosa' e grande più apparisoente ohe Is
persona»; 0»m. - CATEinELLA : braccia-
letto. - COBORA : ghirlanda d* oro e d'ar-
gento; cfr. (7. TtK. X, 158.
101. coMTiauTB: adomate (ofr. Dia,
Wort. n*. 22. 4» ed., 788). « Oùntigie si
ohiamano calse solate ool cuoio stam-
pato in tomo al pie»; BuU»
102. A VEDER: OhO fÒSSO più VistOSS
ed attirasse gli sguardi più ohe non la
persona stessa ohe se ne adoma; efr.
Ovid., Bcmed. wnor., 848 e seg. Omt.
I, 10.
104. IL TEKPO: pcrchò le figlie non si
maritavano ansi tempo, e la dote non
era smisurata. «Non si usavano oosl sfol-
gorante dote oome oggi, ohe se mio fio-
rentino hae due figliuole, si si pud tenere
distrutto >; Ixin., An. fVor. - «Hailtansi
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[CULO QUINTO]
PAB. XV. 105-116 [FIBKNZB ANTICA] 849
100
109
113
115
Non fagglan quinci e quindi la misura.
Non avea case di famiglia vote;
Non y era giunto ancor Sardanapalo
A mostrar ciò che in camera si puote.
Non era vinto ancora Montemalo
Dal vostro Uccellatoio, che, com'è vinto
Nel montar su, cosi sarà nel calo.
Bellincion Berti vid'io andar cinto
Di cuoio e d' osso, e venir dallo specchio
La donna sua senza il volto dipinto ;
E vidi quel de'Nerli e quel del Vecchio
Esser contenti alla pelle scoverta,
oggi di 10 anni ed anoo di meno.... e dan*
notili 400 fiorini et oltre per dote, oome
se fossono &Te o laphd »; BvH. Ctt, O,
Vm. TI, 70. Dd Lungo, Dino Oomp, 1,
UDÌ. Zdéhauer, Mi9ceU. Jlor, di ervdiz.
• ttoria, 1886, 1, 85. 97 e seg.
106. VOTB: non grandi palassi con ca-
mere vaote per lasso. Ck>si Lan., Ott.,
An.Fior., Poti, dui., Petr, Dani,, Bonv,,
Port., Ow., Tom., Br. B., Oreg,, Andr.,
FUtU., eoo. Al.: Kon erano mote le case
per gii eeigli cagionati dal parteggiare
(BuH, Land., VéU., Dan., Vent., Lomb.,
Blog., Frai., ecc.). Al.: Kon erano le case
vnote di flgUolansa a motivo de' grandi
Tizi de* padri {SalvagnoU, Qiom. aread.,
1824. p. 109. Balbo, Vita di D., 18. Borg.,
Cam., Frane,, ecc.).
107. Sasdàsafalo : re d' Assiria dal
667 al 626 a. C. il coi lasso e la cai mol-
lessa erano proverbiali presso i Greci ;
efr. Aristoph., Ave», 1022. Diod. aie. U,
23-84. Paolo Orot, I, 19. Juven., 8at. X.
862. Secondo i pib. Sardanapalo ò qai il
tipo deUa studiata libidine e deU'impadi-
dsia (Lan., Ott., An. Fior., Petr. Dant.,
Paleo Boee., BuH, Land,, TeU., Dan.,
Yent., Lonib., ecc.). Sembra però ohe non
allodaqniche aliasse ed alla morbidesza,
come intesero Pott. Oaes., Benv., eco.
108. FUOTBt ofr. Virg,, Aen. Y, 4 e seg.
Peirar,, Son., P. I, son. CV, ▼. 9 e seg.
109. MOKTKliALO : MoWUfnario presso
Boma, onde si prospetta la città di Roma.
UO. UocELLATOio : monte a 6 miglia
da Firense, onde si prospettava questa
dttà. Soma non era ancora superata per
magniflcensa d' edifld da Firenze.
111. KWL CALO: nel calare, nella deca-
denza. Firenze, che vince sdosso Roma
5f — iNv. Oram»., 4« ed|a.
in magnificenza, la vincerà anche in ro-
vine; ofr. Pwrg. XXIV, 79 e seg.
112. Bellincion Bkbti: padre della
buona Gualdrada (cfr. Ir^. XVI, 87),
della nobile Auniglia dei Ravignani. ono-
revole cittadino di Firenze (cfr. Q. ViU.
IV, 1), il quale visse nella seconda metà
del seo. XII, e nel 1176 fa deputato a ri-
cevere il castello di Poggibonsi (ofr. IZ-
d^. da B. Luigi, Deliz. IX, 4).
118. D'0880: portar dntura di cuoio
con fibbia d'osso.
114. IL VOLTO : Al. IL VISO. - DIPINTO !
di biacca e di rossetto. Sembra che il
belletto fosse assai in voga in Firenze
ai tempi di Dante.
115. Nkbli : i NerU d'Oltrarno, di parte
guelfs, erano grandi e possenti citta-
dhil di Firenze; cfr. G. Vm. IV, 18 ; V,
89; YI, 83. Iacopo di Ugolino de* Kerli
fu console di Firenze nel 1204 ; cfr. Hart-
wig, Quellen und Forseh. II, 182, 196.
Lord Vemon, Ir\f., voi. II, p. 585 e seg.
- DSL Yrochio : Vecchietti, nobili fioren-
tini del quartiere di porta San Branoazio,
di parte guelfi» ; cfr. O. ViU. IV, 12; V, 89 ;
VI, 88, 79 ; Vili. 89. « Sono due antiche
case della detta oittade; e dice che vide
li maggiori di quelle case andare (ed era
spezisi grazia e grande cosa) contenti
della pelle scoperta senza alcuno drappo ;
chi la portasse oggi, sarebbe schernito;
e vide le donne loro filare ; qaasi dica :
oggi non vuol filare la fante, non che
la donna»; OU. Cfr. Lord Vemon, o. e,
p. 601 e seg.
116. 800VBBTA: «senza panno di so-
pra ; non si fiM)evano le gnamacce né i
mantelli di scarlatto foderati di vaio,
come si ta oggi * ; BuU.
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850 [ciiLO Qunrro] Par. xy. 117-130
[FIRENZE ANTICA]
118
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127
130
E le sue donne al foso ed al pennecchio.
0 fortunate ! Oiascnna era certa
Della sua sepoltura, ed ancor nulla
Era per Francia nel letto deserta.
L'una vegghiava a studio della culla;
E, consolando, usava V idioma
Ohe pria li padri e le madri trastulla:
L' altra, traendo alla rócca la chioma,
Favoleggiava con la sua famiglia
De' Troiani, di Fiesole e di Boma.
Saria tenuta allor tal maraviglia,
Una Oianghella, un Lapo Salterello,
Qual or saria Cincinnato e Oomiglia.
A cosi riposato, a cosi bello
117. AL VUSO: cfr. Prof. XXXI. 19. -
FDnnoomot tócoa.
120. PKB Fbamoli: doTeprinoipalmente
andavano 1 Fiorentini a mercanteggiare.
CoA 1 più. Al.: NeMona era priva di ma-
rito morto combattendo per la Franda.
Non al tratta qai di gaerre, ma di Iomo
smodato, al qnale Dante contrappone la
semplicità e parsimonia dei Fiorentini
antichL
121. A STUDIO: a cnra, al governo dei
flgUnoletti.
122. CONSOLANDO : il blmbo. « Dice ohe
di quelle àlonna vegghiAva a collare 11
eno fimciallo per addormentarlo, conso-
landolo con quelle materne e vessoee e
dolci loainglie; oggi per so è la came-
rlna, per sé la baUa, per so la fimte»;
Ott. Ctt, Furg, XXm. IH. Tibul, n, 5,
03. Oom, Lift, m, 412. - L* IDIOMA: le
voci influitili, primo trastollodel genitori.
128. PBIA LI : Al. PBIMA I. - PADRI : Che
non andavano a cercar trastallo altrove,
ma lo trovavano in seno della propria fi^
miglia, presso la moglie ed i figli.
125. FAVOLiooLAVA: andava ripetendo
le antiche tradisioni popolari sulle anti-
chità di Fiesole, di Troia e di Boma ; cfr.
O. Via. 1, 0 e seg. - famiglia : « non ò qui
posto a caso. La dama, che non usciva
mai la sera al teatro, nò avea cavaliere
che le tenesse il crocchio, filando con-
tava sue storielle e fàvole al marito,
a* figliuoli, alle fanti di casa. » Om.
127. SAidA: sarebbe stato. I tristi era-
no in quel tempi oo^ rari, come ora i
uonit
128. Cianohklla : della famiglia della
Tosa, sposata aLito degli Alidoal da Imo-
la, famosa per la sua superbia e lascivia,
vissuta sin verso il 1330. « H»o mnUer
deftincto marito reversa est Florentiam,
et ibi fliit vanissima, et multos liabuit
prooos et multnm lubrico vlzit. Unde,
ipsa mortua, quidam firater simplex pr»-
dicans super funere eius, dizit, qnod in-
venerat in ista foBmlna unum solnm peo-
catum, sdlicet, quod oderat populnm
Fiorenti». » Benv, Cfr. Boceae., Labir,
d^aman, 125. - Lapo Saltkbsllo : dot-
tore in legge e poeta fiorentino, contem-
poraneo di Dante, insieme con lui con-
dannato colla sentensa del 10 marso 1802,
forse per aver denunziato con due altri
concittadini le trame di alcuni Fiorentini
con Bonlfiisio viu. che voleva inoorpo*
rare la Toscana allo Stato della Chiesa;
ofir. Del Lungo, Dino Comp. 1, 48 e seg.;
174 e seg. ecc. L$vi, Boni/, Vili e U
«né réUu, eoi oom, di Fir., Roma, 1882.
«Giudice.... di tanti vessi In vestire e
In mangiare, in cavalli e famigli, ohe
infira nullo termine di sua oond^ione si
contenne»; Ott.
129. CiNCOiNATO : il Celebre dittatore
romano ; cfir. Par. YI, 46. - Cobniqua :
Cornelia, la madre dei Gracchi, cfr. Inf.
IV, 128. TU. Liv. XXXVni, 57. CU.,
Brut. XXVII, 104. Quifita. I, 1, 16.
V. 180-148. CaeeUaguida, Dopo aver
descritto r antica Firente, Cacdaguida
parla di sé stesso, rispondendo alla do-
manda di Dante v. 85-87. Dice chenaoqoe
f» llrense e fta ba^tessato nel boi S|m
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[CIELO QUINTO]
Par. xy. 131-148 [cacciaouida] 851
133
136
189
143
Viver di cittadini, a cosi fida
Cittadinanza, a co^ dolce ostello
Maria mi die, chiamata in alte grida;
E nell'antico vostro Batisteo
Insieme fni cristiano e Cacciagoida.
Moronto fn mio frate ed Eliseo:
Mia donna venne a me di vai di Pado;
E quindi il soprannome tuo si feo.
Poi seguitai lo ìmperador Currado;
Ed ei mi cinse della sua milizia,
Tanto per bene oprar gli venni in grado.
Dietro gli andai incontro alla nequizia
Di quella legge, il cui popolo usurpa.
Qfaraiuii; ohe aposò ma donna della
VaOe dèi Po ; ohe aefoitò poi 1* impera-
tore Gorrado dal qoale fti fiitto oavaUere,
e ohe moil combattendo contro gì* infe-
deli. Di più non ne eanno nemmeno gli
anttohi biografi e commentatori. L'est-
stessa di Gaodagoida ò posta Itaori di
dnbWo dal dooomentodel 1189, dal quale
lisolta che in quell'anno Gaodagoida non
▼Irera più. Cfr. DeOa Ckua di Dante I,
29 e seg. PatuHni, Famiglia Alighieri,
p. 8. 3. Seaetta, Oaeeiaguida, Pad., 1894.
188. CHiAitATÀ: inTocata da mia ma-
dre nei d<dori del parto} ofir. Pwg, XX,
18eaeg.
134. Batibtio: nel Battletoro di San
Qjorvanni; ofir. fnf. XIX, 17 e seg.
180. nreiBin: ebbi al battesimo il no-
me di Cacoiagnlda.
186. MOBOHTO: di questo fratello di
Caoelagnìda, come pare dell'altro, Eliseo,
non si hanno notisie. H Moronto de Arco,
rieordato In an doonmanto fiorentino del
2 aprile 1070, non ha qni che Tederò. Che
maeo fòsse n oapoetipito degli Blisei.
come aflbrmò il Pelli e ripeterono altri, ò
opinione inattendibile, gli Blisei essendo
assai più antichi. Che Caodagoida appar-
teoesse alla fSuniglia degli Blisei, ò nna
ipotesi in fiiTor della qoale mancano as-
solntamente le prove. Cfr. Oom, Lipe,
m, 415 e seg.
187. VAL m Pado: i più intendono di
Ferrara, alonni di Parma, il Dionisi di
Verona. A Ferrara fioriva nna flunlglia
Alighieri (confr. OUtadeUa, La FamigKa
Alighieri in Ferrara, Ferrara, 1865) ; se
MtelMapìanoaedaYeroiia, non èprovato*
188. QunrDi: dalla mia donna. « A Cao-
dagoida nella soa glovinessa fri ditta
da'sod maggiori per isposa nna donsella
nate degli Aldighieri di Ferrara, cosi per
belleasa e per costami come per nobilita
di sangne pregiata, colla quale più anni
visse, e di Id generò più figlinoli. B come
ohe gli altri nominati d fossero, in ano,
docome le donne sogliono esser vaghe
di fkre, le piaoqae di rinnovare il nome
de' soci passati, e nominoUo Aldighieri;
come che il vocabolo poi, per sottradone
di questo lettera d corrotto, rimanesse
Alighieri. > Boce., VUa di D., 2.
189. CuBBADO : Corrado IH di Svevia,
regnò dal 1187 al 1152 ed andò nel 1147
con Luigi VII di Francia in Terra Sante,
dove assediò inutilmente Damasco. Ma
non passò per Flrenie, nò d trova che
aloon Fiorentino lo segoitasse. Pare ohe
Dante scambiasse Corrado m con Cor-
rado U (1024-1039), che « andò in Cala-
vra contro a' Saradni ch'erano venoti a
goastere il paese, e con loro combatteo, e
con grande spargimento di sangue de* cri-
stiani gli cacdò e conquise. Questo Cur-
rado si duetto assai della dtte di Firenxe
quando era in Toscana, e molto l'avanaò,
e più dttadini di Firense d fedono ca-
valieri di sua mano e furono al suo ser-
vigio. » G, TtU, IV, 9. Anche alcuni
comm. antichi confrisero 1 due impera-
tori. Cfr. Chm. Lipe, III, 417.
140. MI cmsB: mi fregiò dell'ordine
della oavaUeria, mi fece cavaliere.
141. IK QKADO: Al. A OBADO.
148. lbogr: maomettana. Non dice ohe
andò in Terra 9«nte, ma soltanto che an-
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[CIW.0 QUTKTO] Pab. XV. 14Ì-148 - xn. 1-8 [vanto di hobiltI]
145
148
Per colpa dei pastor, vostra giostizia.
Quivi fa' io da quella gente turpa
Disviluppato dal mondo fallace,
n cui amor molte anime deturpa;
E venni dal martire a questa pace. »
dò » eomb«ttere oontro qaolU gente ohe
1* ntorpa; e tali ermao Miche i Buaoenl
di GftUbrU.
144. Dn PAflTOB; dei papi. Al. dil pa-
BTOS. Confir. If^, XXVH, 87 e aeg. Par,
JX, 120. - YOSTEA GIUSTIZIA : Tem San-
ta, ohe appartiene di diritto a toÌ Cri-
stiani. « Lo luogo OTO fa fktta la ioatlsia
del peooato del primo nomo nel seoon-
do nomo, oloò lesh Cristo »; BvH, - « In
Ungna del medio evo si ohiamarano <«-
iUtia ì dritti, le ragioni, gli averi»;
Lami,
145. QUIVI : tra qnel popolo ohe osnrpa
vostra glustiBia. AJ.: In Terra Santa. Ha
Caodagnida non dioe di esservi andato.
-tubpà: tnrpe; aatieamente Anche in
prosa; efr. if«iifMi«., KowU, 11-58.
145. DiBviLUPPÀTO: disoiolto, liberato.
« È lo spiritodl Caoeiagnida ohe parla; e
per la morte del corpo sdogUesi lo spi-
rito, e separasi dal mondo >j Lomb. -
FALLACB: ofr. Par. X, 125.
147. DKTUHPA I * quia iniicit et maenlat
animas de se pnras et mniidas »; Bms.
148. DAL MARTiBO: morendo nel eon-
battere per la tdàe cristiana. CoA l pUt.
Invece Lan, e An, Fior,: «da quella
prima vita oh' è marttro per rispetto di
quella pace òhe non aspetta mai goerra
nò mmore.»-PACB: celeste; ofir. Pur.
X, 129.
CANTO DECIMOSESTO
CIELO QUINTO O DI MARTE: MARTIRI DELLA BELIGIONE
IL VANTO DI NOBILTÀ, OACCIAOUIDA ED I SUOI MA06I0BI
l'antica e la nuova POPOLAZIONE DI FIRENZE
0 poca nostra nobiltà di sangue !
Se gloriar di te la gente fai
Quaggiù, dove V affetto nostro langne,
V. 1>0. H vanto di nobiUA, Avendo
ancor seco di qnel d* Adamo, Dante si
compiace in cielo di ndire ohe il sno an-
tenato fa fktto cavaliere. Bioordandooe-
ne, dice d! compatire oramai chi in terra
va snperbo della sua nobiltà ; ma subito
agginnge che qaesto va diminuendo e si
estingue se non è sempre rinfrancata
•m novelle virtù.
1. DI BAHGUS! a distinsione di quella
dell'animo; ofir. BoeL, Coni. phU. lU,
pr. 6. De Mon. II, 3. dove citasi O verso
di Giovinolo (VIU. SO)
NobUitsi aalmi toU est at^ue «alea rirtsa;
e vedasi Oonv. IV e Oom. JÀpt. Ili,
419 e seg.
8. tAUQUV: è tiepido 4I vero heoe,
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tciELO Qunrro)
Pah. xyi. 4-19
tPBEGfilSltA] 853
10
13
16
Mirabìl cosa non mi sarà mai;
Che là, dove appetito non si torce,
Dico nel cielo, io me ne gloriai.
Ben sei tu manto che tosto raocorce;
Si che, se non s'appon di die in die.
Lo tempo va d' intomo con le force.
Dal '' voi „ che prima Boma sofferle,
In che la sua famiglia men persevra,
Ricominciaron le parole mie ;
Onde Beatrice, eh' era nn poco scevra,
Ridendo, parve quella che tossio
Al primo fallo scritto di Ginevra.
Io cominciai: < Voi siete il padre mio,
Voi mi date a parlar tutta baldezza.
Voi mi levate si, ch'io son più ch'io.
Per tanti rivi s'empie d'allegrezza
5. Li : in delo, dove 1* app«tito noa si
tene a* iklsi beo! mondani.
7. RAOOOBOB: 8i rMOorda. La nobiltà
di ■angue adorna qnal riooo manto la
penona di chi la possiede ; ma se non tà
sopperiaee ogni giorno a rinfrancare tal
pregio eon naove yirtù, li tempo gli va
attorno oon le forbici raccorciandolo e
ifaudmente consumandolo.
8. 8'afpon I si aggiunge. - dìb : dì ; olir.
Purjr.XXX, 108.
9.F0IICB: ÌM%,/mrJlee9, ibrbici ; otr.Arùh
Ho,, Ori,, XV. 8«.
V. 10-27. JPreghiera al trisavolo.
Come a tutti gli altri, tranne Beatrice
e Bmnetto Latini. Dante areva dato del
tu anche allo spirito di Cacdaguida. Udi-
to il suo ragionamento, gli dà rlvèrente-
meote del voi, di che Beatrice sorride.
Dice dunque il Poeta al suo trisavolo :
« Voi mi riempite di baldansa e di gioia.
Ditemi chi furono i yostri maggiori, quali
gli anni della vostra puerizia, quali le
condisloni di Firenze e quali i suoi prin-
oipaU cittadini al vostro tempo. »
10. BOFFBBÌB: sofferse. Si credeva co-
munemente che il voi fosse stato dato la
prima volta dai Bomani a Giulio Cesare,
quando riunì nella sua persona tutti gli
affld della repubblica. Storicamente 1
Bomani non incominciarono a dare del
«oi ad una singola persona che nel terzo
secolo dell* èra volgare. L* erronea cre-
denza ai fbodava fórse sopra Luoan.,
Phart, V, 888 e seg.: « Summum dictator
honorem Contigit. et lietos fedt se con-
snle flMtos. Namqne omnes vooes, per
quas iam tempore tanto Mentimur do-
ninis. hno primum repperit ratas. »
11. IN CHB: nel voi, cioè nell'uso di
adoperare il voi invece del Cu, la gente
romana persiste meno di altre, essendo
escile a dare del tu, mentre gli altri
italiani danno del voi, CoA intendono i
più. Altri: Nel qual voi non perseve-
rano i Bomani, che più non conoscono
la dignità imperiale.
18. SCEVRA: discosta.
14. QUELLA : la dama di Mallehault, ca-
meriera della regina Ginevra nel Hunoso
romanzo di Lanoiiotto ; cfir. It^f. V, 127
e seg. -Toaeìo : tossì, vedendo Laucilotto
baciare la regina. Beatrice sorride per es-
sersi accorta della vanagloria di nobiltà
che suggerì a Dante di dare del voi al
suo glorioso antenato.
10. VOI: lo ripete tre volte ; voleva dun-
que che fosse inteso da Caociagulda.
17. SALDEZZA : « sicurtà, fiducia, confi-
danza, colla giunta pere di qualche cosa
di buon ardire »; Cei.
18. PIÙ ch'io : più di quello che io pri-
ma mi sentiva ; superiore a me stesso.
19. PEB TANTI : per tanti modi si empie
d' allegrezza la mente mia. che si ralle-
gra di sé medesima, considerando die
ella può sostenere tanta allegrezza senza
tpuzarti, ossia rimaner oppressai Cosi i
854 tciBi'^^ QtnNTo] Pàb. iti. 20-àS
tAMOB CSLBSTK]
22
25
28
81
La mente mìa, ohe dì so fa letizia,
Perchè può sostener che non si spezza.
Ditemi dunque, cara mia primizia,
Quai fur li vostri antichi, e quai fìu* gli anni
Ohe si segnare in vostra puerìzia :
Ditemi dell' ovil di San Giovanni,
Quanto era allora, e chi eran le genti
Tra esso degne di più alti scanni. »
Come s'avviva allo spirar dei venti
Carbone in fiamma; co^ vidi quella
Luce rìsplendere a' miei blandimenti ;
E co;ne agli occhi miei si fé' più bella,
Co^ con voce più dolce e soave,
Ma non con questa moderna favella.
più. Al.: « La mente mi* li empie ooal di
AllegrenA, olie oonTerte In letiEÌ» tatte
Uk propria eseensa, altrimenti non pò*
trebbe a meno di easeme sopraflktta»;
Cori Torà., BonehetH, eoo.
22. PBiMiziA: stipite, primo della mia
famiglia; cAr. Par. XXV, U. Dante non
oonoeoe eaot antenati più antiohi di Cao-
dagnida, e non ne oonotoe la storia,
fiaoohò non sa dird di ohi Caooiagolda
fosse figlio.
28. QUÀi rus GLI AHHi: qoando nasoe-
ste. « Che anni domini correa nel suo
tempo »; An. Fior. eoo.
25. DKLL'oviL : di Pirense, posta sotto
la protezione di San Olovaoni Battista;
cfr. (?.ruZ.IV,10.DitemÌqoanti erano al-
lora gli abitanti di Firense e qnall erano
allora i principali cittadini. Fa qoattro
domande: 1^ qaali ibrono gli antenati di
Cacoiagnida; 20 qaale fu l'anno della sna
nascita ; &<> quanti abitanti aveva in qnel
tempi Firense < 4P ohi erano i cittadini
degni di più alH icanni, cioè di maggior
onore. Nella risposta Cacciagnida in verte
rordine delle dne prime domande e parla:
1^ del tempo della sna nascita, v. 84-39;
29 del saoi antenati, y. 40-46 ; &<> del nu-
mero degli abitanti di Firense, v. 40-48;
40 dei principali cittadini, v. 40 154.
V. 28-88. LetiMia délVamor esimie.
Così interrogato da Dante, lo spirito di
Cacoiagnida mostra per messodl più vivo
splendore la soa gioia ed il sno affetto.
La simUitodine qni osata raoohlode l'idea
sep«ratamenteaooennata Far. XIV. 52e
Mg.; XIX, lOeseg., oogUendo insieme fl
fUgore e il oaSoie della fiamma prodotta
dal carbone aooeso ; cfr. Ovid., MoL VII,
70 e aeg.
SO. BLÀHDDfBHn: parole afIMtaoos.
88. M ODBUlÀ FAVILLA : i più Intendono
ohe Cacoiagnida parlasse latino; altri che
parlasse in flivella angelica e divina; si-
tri nel volgar fiorentino antico. « Tea-
poro illios fiorentini non disonrrebant per
mnndnm, nec per oonseqoena dimitte-
bant propriam idioma patrisD, siont naie
malti fkoinnt. Sed oerte qnidqnid dios-
tar, fiorentini qni hodie peregrinantar.
loqaantnr malto palcrios et omatias,
qaam illi qni namqaam reosaaemat s
limine patri». » Beno,
V. 84-80. I/amno détta nateUm éi
€kuteù$guida* Dal giorno deli* incans*
Siene di Cristo sino al dì della bìs
nascita questo pianeta Marte venne s
riaccendersi sotto le piante della coslel-
lasione del Leone 680 volte. SeoondorAl-
magesto, il mannaie di astronomia di
Dante e del sno tempo, la rirobiBiOBe
del pianeta Marte si compie In 686 glonii
e 04 cent.; onde Caodagaida naoqne V sa-
688.04x680 ^. , ,^^. .,.
"^ -365;24Mr'"^ «^'^^^ ^••^» "^"^
rimperator Corrado e mori In età di 56
anni circa. Cosi I più. Secondo Lma., OtL,
An. Fior., FaUoSocc, BuU,Lmnd., YdL,
Dan., ecc.. 1 qnall caloolano la rivelo*
Siene di Marte dne anni intieri, Caoda-
gaida sarebbe nato nel 1160, eloò dopois
sna morte I Altri al v. 88 leggono nw
TBiiTTA ma TBi (lesione priva di aato«1
rità) e diooBO Cscdagnida natondllOO. j
tciBLO quinto]
Pàb. ivi. Ò4-41
tANTBNATl] 855
84
87
40
43
Dissemi: < Da quel di che fa detto '' Ave „ ,
Al parto in che mia madre, eh' è or santa,
S'alleviò di me, ond'era grave,
Al sao Leon cinquecento cinquanta
£ trenta fiate venne questo fuoco
A rinfiammarsi sotto la sua pianta.
Gli antichi miei ed io nacqui nel loco,
Dove si trova pria l'ultimo sesto
Da quel che corre il vostro annual gioco.
Basti de' miei maggiori udirne questo ;
Chi ei si furo, ed onde venner quivi,
Più è tacer che ragionare onesto.
Tutti color eh' a quel tempo eran ivi
Da poter arme tra Marte e il Batista,
Conflr. Oom. Lipt. m, 424-437. Kraut,
p-21.
84. DÌ: dèli' Ajmimoiasione ; ofr. Luca
I, S8. Pwrg, X, 40. Par, HI» 181.
85. BASTAI bMte.
87. AL suo ! presio la oosteUasione del
Leone. « A Marte oonylene il Leone »;
Oom,
88. FUOCO: ICarto, roMeggUnte oome
ftiooo} ofr. Pwrg, II, 14. Par. XTV, 86
e aeg. « Poteva Dante easer più ehiaro
in ooea tanto sempHoe; ma volle eom*
p«rir dotto ftior di propoeito » (f); JBML
V. 40-45. eu antemoH d* Caeeia^
Hftiéa, Sembra ohe Dante domandaMO
ohi si foeeero gU antiohi di Caodagnida
soltanto per oogllere l' oooaeione di dirci
ohe i anoi antenati abitavano già da se-
eoli nel oentro della città, eegno di an-
ticft origine florentina. Che Caoeiagnida
non dà altra riapoeta; onde vaolai con-
dodere ohe dei maggiori di Caooiagoida
Dante taoqoe perohò, come si ò detto,
Boppnr Ini ne sapeva nnlla; ofr. ProUg,,
p. 15 e seg.
40. LOCO: dove oominoia il sesto di
Porta San Piero ; cfr. G. VOL IV, 11 ; IX,
136. FruUani'Oargani, Dàlia Ckua di
I>anU, I, 8 e seg. ; II, 7 e seg. In qoel
•eeto erano pure le case degU Slisel.
42. GIOCO : delle feste di San Giovan-
ni. «De more est FlorentieD, qood singn-
lìa annis in Ibsto Johannis Baptistie oor-
rant eqni ad bravinm in signom festiv»
IsetitkD.... Cnrrentes ad bravinm transi-
bamt ante demos Heliseoram in princi-
pio ultimi sezterli et prope Mercatom
vetns, qni est looos meroatorom anti-
qnus et flimosns Fiorenti». » B§nv,
48. QUI8T0 1 che avevano le loro case
nel sestiere di porta San Piero.
44. ONDB vsNHKB: non eran dnnqne
« di qnei Boman ohe vi rimaser, qnando
Fn Catto U nido di malida tanta »; It\f.
XV, 77 e seg.
46. OKBSTO : ofr. Iftf, rv, 104 e seg. In
boeea a Oacciaguida queste parole suo-
nano modestia. Caodagnida vuol evitare
ogni apparensa di orgoglio. In boeea a
Dante poi queste parole vogliono dire
ohe degli antenati di Caooiaguida Dante
non sapeva nulla. Quindi l' artiflsio poe-
tico, per aiibrmare dall' un oanto l'an-
tica dimora nel oentro della dttà, e na-
scondere dall'altro canto la propria igne-
ranca in merito agli abitatori di quella
casa. Non pare accettabile l' opinione,
ohe Dante abbia qui voluto accennare ad
una origine ignobile e vile.
Y. 40-48. J/antica popoUufioné di
I%renme. Alla domanda: (guanto era al-
lora Vovil di San Giovanni, Caodaguida
rìaponde : Bra il quinto di adesso. Nel 1800
Firense aveva droa 70,000 abitanti ; dun-
que ai tempi di Caodaguida droa 14.000.
Ma Dante volle aoltanto dire che la po-
polasione si era aumentata assai, non già
fikre un computo di statistica.
47. DA FOTKB : Sottintendi portare. Al.
DA POSTAR. Cfr. Moore, Crii., 404 e seg.
« Potere armi ò una grada di lingua co-
XDunissima a' nostri antidii »; Betti, - Nd
1800 Firense contava 80,000 uomini atti
. porur ««1; dnn^a^;5.3g.|^^C«.
866 [CIELO QUINTO] Pab. xti. 48-62 tFAMiGLii di fibkhzb]
40
55
58
61
Erano il qoìnto di quei che son vivi.
Ma la cittadinanza, cli'ò or mista
Di Campi, di Certaldo e di Piggldne,
Pura vedeasi nell' ultimo artista.
0 quanto fora megUo esser vicine
Quelle genti ch'io dico, ed al Galluzzo
Ed a Trespiano aver vostro confine,
Che averle dentro, e sostener lo puzzo
Del villan d'Aguglion, di quel da Signa,
Che già per harattare ha l'occhio aguzzo I
Se la gente ch'ai mondo più traligna.
Non fosse stata a Cesare noverca.
Ma, come madre a suo figliuol, benigna;
Tal fatto ò fiorentino e cambia e meroa.
Che si sarebbe vòlto a Simifonti,
dAgnida sarebbero stati 8000. - tra 1£ab-
tb: tra la statua di Marte sol Ponte Vec-
chio e 11 Battistero di San Giovanni, al
tempo di Caodagnida limiti della città di
Flrenee; cfr. O.Vm. IV, 8, U. Borghi-
ni, Orig. di Fir., 804 e seg.
V. 49-164. Z^prineipaU famiglie éU
Virtnxe» Dopo aver detto ohe ai tempi
scoi Firense non aveva che 11 quinto della
popolasionedel 1300, Caooiagnlda osserva
che ai tempi suoi non c'era miscuglio di
fomiglle di Contado, deplorando Vattnale
mescolansa. Passa qntndl ad ennmerare
le principali fiunlgUe d'allora, accennando
via via alla deoadenaa del singoli casati.
Cfr. con questa ennmeradone O. yui. IV,
10-18; V. 80. Oom. Lipt, m, 420 e seg.
Lord Vemon, It^., voi. II, p. 899-608.
50. DI Campi : di fomiglie venate dal
contado, come da Campi in Val di Bisen-
zio, da Certaldo in Vàldelsa e da Figghine
nel Valdamo superiore. Cfr. &. ViU. VI,
4, 51. Loria, L'Ital, nella D, 0. I*, 815.
51. PURA: il Poeta dimentica qui, che
sin d' allora la dttadinanxa di Flrense
era mista di Bomanl, Fiesolani e schiatte
venute dall' Allemagna, cornei Lamberti,
gli liberti, ecc. Cfr. G. ViU. IV, 11, 12.
52. VICINE: invece di essere dttadlne.
63. Galluzzo : antico villaggio a due
miglia da Firense sulla strada di Siena,
presso il confluente deU'Bma colla Greve.
54. Trespiako : villaggio a tre miglia
da Firense, tra le fonti del torrenti Mu-
uone e Tersolle, ove più alto trovasi at-
tualmente 11 dmitero della dttà, salla
strada di Bologna.
58. DEL viLLAH : di Bsldo d' AgngHone
(antico castello in Val di Pesa), contem-
poraneo di Dante e di grande aotorità
a Firenze; cfr. P%trg, XII, 105. Jfiinm*,
Oitorv. fior, topra i tigHU, XVIII, 77
e seg. Nella cosi detta riforma di Baldo
d'A^ugUone del 2 sett. 1811, Dante fa
uno degli eccettuati dal richiamo. - m
QUEL: dd villano Fazio dd Kombaldini
da Signa (paesello sull'Amo a poca di-
stanza da Firenze), più (kmoeo come ba-
rattiere, ohe come dottor di legge.
58. OBirrs: di Chiesa, chierld; ooafr.
Purg, VI, 91 e seg.
59. NOVERCA: matrigna; qui figurata-
mente per awer$a, nemica, tdto il tras-
lato dall' odio ohe le matrigne sogliono
portare ai figliastri; cfr. Petron., 8aL,
22. VéUiif. Patere, II, 4.
60. COME MADRE : cfr. De JTo». m, 16.
61. TAL : taluno ò Cstto dttadino di Fi-
renze ed eserdta l'arte dd cambio e ddla
mercatura, che sarebbe ritornato a Semi-
fonte a fkre il pitoooo, qual era l'avolo
suo. I più intendono ohe 11 Poeta parli
solle generali ; altri ored<«o, non senza
fondamento, ohe alluda a persone e fktti
speciali che noi non oonoadamo.
62. Simifonti : Semiftmte, castello in
Vàldelsa. sul Poggio di Petrognano ; cfr.
G, VUL V, 80. Earltoig, i^ueOen fmd P^r-
eohungen, H, 100 e sog' Oom. IAp$,
IH, 482.
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tcilLO QUINTOJ
Pab. xyi. 68-76 f ^miglIb di fib.] 85?
67
70
78
76
Là dove andava l'avolo alla cerca.
Sarìasi Montemarlo ancor dei Conti;
Sarìanai i Cerchi nel pivier d'Acone,
E forse in Valdigreve i Bnondelmonti.
Sempre la confìision delle persone
Principio fa del mal della oittade,
Come del corpo il cibo che s'appone;
E cieco toro più avaccio cade
Che 1 cieco agnello; e molte volte taglia
Più e meglio una che le cinque spade.
Se tu riguardi Luni ed XJrbisaglia
Come son ite, e come se ne vanno
Diretro ad esse Chiosi e Sinigaglia,
Udir come le schiatte si disfanno,
61. ALLA CIECA! pltOOOMldO. « AndOTé
àUa cerea si dice di ohi ta limodnando,
specialmente de' frati »; OaoemL L' naò
H Manzoni parlando di fra GHddino;
Prom, Sposi, e. 3.
64. MoNTKKUBLO : oasteUo dei conti
Guidi tra Pistoi» e Prato, che i Conti,
non potendolo difradere contro i Pistoie-
•l, rendettero nel 1264 ai IHorentinl ; ofr.
9.Tia,Y, 81. Hartwig, o. o. 106 e seg. Il-
d^, da 8. lAtigi, Del. VH, lOt e seg.;
Vm, 185 e seg.
65. FITIKB : parrocchia. - AoONi: in Val
di Sieye; ofr. 0, VOI. IV, 87. EaHteig, 1. e.
38 e seg. Oionaeei, TU. della B. TTmiUata,
Flr., 1862, p. 420 e seg. Nel 1300 l Cerchi
capitanavano parte bianca. Ctc.Todeeehi-
ni, SeritU 9u D. I, 841. Del Lungo, D. nei
tempi di D., 30 e seg.
66. Valdiorrvb: al meszodì di Firen-
ze, doTe era sito Montobnoni, castello
dei Bnondelmonti, del qnale nel 1185 fu-
rono spogliati e costretti a trasferirsi a
Flronse; cfr. O. TUl. IV, 36. Hartwig.o, e,
28 e seg. It^, XXVIII, 106 e seg. Par.
XVI, 186 e seg. « La Greve è nn afDnento
di sinistra dell'Amo, ohe nasce dai monti
del Chianti, e precisamente dal monto San
Michele, bagna Greve, riceve a destra
l'Bma e finisce il sno corso in ftMicia al
borgo di Broxsi, tra Firenie e Slgna»;
Oomb, Conte.
67. LA C0NFUS10N : la immigrasione di
ferestìeii, per i costumi diversi e per
r orgoglio solito di ohi dal basso ascese in
alto, fa sempre principio di comuione
a Firenie, come prima cagione di male
al corpo ò la mescolanBa di cibi diversi.
60. s'apponie : si soprappone a quello
già preso.
70. AVAOCIO : presto ; ofr. If^. X, 116 ;
XXXm, 106. Diei, F»r«,II«,6.-«Po8.
set enim qols obiicere : licet civlNis sit
repleto mstiois, tomen est maior et for-
tior et potontior. Ad hoc reopondet per
simile qnod citias cadit magnns et pro-
tervoB popnlos, sicat tonros, qnam pò-
pnlns parvna, hnmilis et padflcas, sicnt
agnellns; nam quanto maior popolns,
tanto minor inteliectns »; Benv,
71. CHE 'L ciuco : Al. CHE CIECO.
72. aNQUK: da Cacciagaida a Danto il
numero dei Fiorentini atti a portar armi
si era quintuplicato, v. 48. Cfr. Horat.,
8at. l, z, 14-15. Todeeehini, Soritti eu
D. II, 414 e seg. - « E molto volte un pic-
colo esercito è più possente che un eser-
cito grande»; Betti.
73. Luin : Luna, antica dttA sulla ri-
viera sinistra del fiume Maora o Magra,
distrutte sin dai tempi di Dante { cfr.
G.ViU.l, 60. -Ubbibaglia: Vrbit Salvia,
antica città della Marca d'Ancona, non
distanto da Macerate, anch'essa ai tempi
di Dante già distrutte.
76. Cbiubi : Oomartolum, Cfluiium, an-
tite città etrusoa in Valdlchlana, ai tempi
di Dante già indecadeuEa ; cfr. O. VUl. I,
54.-SIKIOAOLIA: SenaOaUiea, città di Ro-
magna che ai tempi di Dante, già in de-
cadenza, faceva parte della Marca d'An-
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858 [oiBLO QtmvTò] Pab. iti. 77-98 [riMiGLiB di FIBBHn]
79
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86
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Non ti parrà nuova cosa nò forte,
Poscia che le cittadi termine hanno.
Le vostre cose tntte hanno lor morte,
Si come voi; ma celasi in alcuna
Ohe dura molto, e le vite son corte !
E come il volger del del della luna
Guopre e discuopre i liti senza posa ;
Cosi fa di Fiorenza la Fortuna:
Per che non dee parer mirabil cosa
Ciò ch'io dirò degli alti Fiorentini,
Onde la fama nel tempo ò nascosa.
Io vidi gli Ughi, e vidi i Catellini,
Filippi, Greci, Ormanni ed Alberichi,
Qià nel calare, illustri cittadini ;
E vidi cosi grandi come antichi,
Con quel della Sannella, quel dell'Arca,
E Soldanieri, ed Ardinghi, e Bostichi.
77. FOBTB: difficile a oamprender».
78. LE CTTTADi : ohe tono tanto più
grandi e più dnreroli ohe non le schiat-
te. «Perpetoo homo non manet.... etiam
ipsa ciTitae defldt •; Tham, Aq., 8um,
theol. ni, 8t^., 99, 1.
79. VOSTRE: terrestri.
80. VOI: individal. - cblabt : in alcune
cose, come nelle città e nelle schiatte,
la morte si cela, non è rednta dall' indi-
▼idao, durando la vita di quelle ben più
a lungo ohe non la vita dell' indiridno.
81. LE VITE: dei singoli individoi.
82. ciEL : si credeva che il girare del
dolo della lana cagionasse il fiosso e ri-
fiosso del mare ; etr. TWg,, Aen, XI, 024
e seg. Luean, Phart. X, 204. Della Valle,
Nuove illuttr., 125 e seg.
83. E DI8CU0PBE: Al. ED I80U0PEB.
Ck>me 11 dolo della Iona col fiosso e ri-
fiosso dd mare ooopre e discoopre in-
cessantemente i liti, ood la Fortuna, ora
innalza, ora abbassa la dttà di Firenxe.
Cfir. Thom. Aq., Sum, thsoL I, 106, 0 ;
110, 3; n, n, 2, 8.
84. DI FiOBENZA : delle cose di Firenxe.
86. ALTI: mostri, grandi, nobili; ofir.
Virg,, Aen, IV, 230; V, 46; VI, 600.
87. habcosa: dimenticata; cfr. Fify*»
Aen, V. 802 ; VII, 206.
88. Ughi : « furono antichissimi, i quali
edificarono Santa Maria Ughi, e totto n
poggio di Kontnghi fi loro, e oggi i
epenti »; O. r«.IV, 12. - Cateluki : « là-
Tono antichissinii, e oggi non n' è ricor-
do»; C?.Fi8.rV,12.
89. FiuPFi : « che oggi sono niente, al-
lora erano grandi e possenti»; O, YQL
rv, 18. - Gbbci: « fa loro tatto il boigo
de' Qied, oggi sono finiti e spenti > ; G,
VUl., ibid. - Obmanhi : e abitavano ov* ò
oggi il palagio dd popdo, e diiamand
oggi Foraboschi > ; O. Vili., Ufid, - Albx-
BiQHi : e fa loro la chiesa di Santa Maria
Alberighi da casa 1 Donati, e oggi non
n'ònollo»; tì^. Vitt. IV, 11.
90. NEL CALABE: nel declinare, ben-
chò ancora iUostri. Kd 1800 erano pd
dd totto calatL
02. DELLA Sakxella s c enno grandi
in tomo a Mercato Noovo » ; G. yitLTV,ÌM.
- « Di qoesti ancora sono alonnl, ma in
istato assai popolesco » ; OU, - dell' Ab-
CA : « molto antichi furono, e oggi sono
spenU»; O.Vai.lV,lt,
03. SoLDANiESi : di porta San Panera-
sio e Ohibdlini; cfir. O, YUl. IV, 12;
V, 89 ; VI, 83. « Qoesti sono ancora ;
ma per parto ghibellina sono fbori » ;
Ott. Cfr. W. XXXU, 121. - AEDOrOHI :
erano « molto antichi » G, VOL rV, 11 ; « so-
no al presento in bassissimo stato e po-
chi »; OU. - BosnoHi : erano grandi In*
tomo a Meroato^oovo,^ parte goeUhi ;
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toiBLÒ quinto]
tAB. Xtl. 94-106 t'AMIGLlB DI FIB J 859
94
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106
Sopra la porta che al presente è carca
Dì nuova fellonia di tanto peso,
Che tosto fia iattura della barca,
Erano i Bavignani, ond' è disceso
Il conte Ghiido, e qualunque del nome
Dell' alto Bellincion ha poscia preso.
Quel della Pressa sapevi^ già come
Regger si vuole; ed avea Galigaio
Dorata in casa sua già l' elsa e il pome.
Grande era già la colonna del Vaio;
Sacchetti, Giuochi, Fifanti, e Barucci,
E GhJli, e quei che arrossan per lo staio.
Lo ceppo di che nacquero i Calfucci,
efr. g. rm. IV, 18; V, 89; VI, 88, 79;
vili, 89. « Sono •! presente di poco va-
lore e di poo* dignitade»; Ott.
94. FOBTA; Sui Piero, dorè nel 1800
abitevaiio i Cerchi, gente selTAggla ed
ingrata {G, TUU TUI, 88), e cosi fMile a
mutar fiixioae (/«Oomia), ohe presto con
r assecondare il partito de' Bianchi Pi-
stoiesi sarà cagione ohe la repabbllca
Fiorentina (òa^) abbia a patire gra-
vissima iattora. Cfr. Tode$éhUii, II, 417
e seg. Oom, hip». III, 438 e seg.
97. Rayiorahi: «furono molto grandi,
e abitavaiio In sn la Porta San Piero,...
e di loro per donna nacquero tatti i conti
Gnidi, della figlinola del buono messere
Bellfausione Berti : a*nostri dì ò venuto me-
no tatto qaellolegnaggio »; Q. ViU. IV, IL
98. Guido : Guido Guerra VI ; cflr. It^f.
XVI, 88. O. Vm, IV, 1. TodeschifU, U,
418 e seg. WUté, JMtnie-Forteh. U, 199
e seg. Hairtwig, (^uMtn, II passim ; Own.
Lipt. m, 489 e seg.
90. Bblurcioh: BelUncione Berti, cfr.
Far, XT, 112. padre di Gualdrada. I di-
scendenti di Ubertino Donati, genero di
Beninolone, presero il nome Sì BeUin-
doni,
100. DILLA PBB86A : « Stavano tra'Chia-
vaiuoll, gentiU uomini »; O. ViU. IV, 10 ;
cfr. TI, 76, 78. -SAPEVA : « erano chiamati
et erano eletti oflBlciali a reggimento de
le terre vicine»; BiUi, Tradirono i Fio-
rentini aMontaperti ; cfr. G. ViU, VI. 78.
101. GAUOAtO: Galigai, nobili ghibel-
lini del quartiere di Porta San Piero ; O.
ViU. T, 89. «Dice che questi erano già in
tale stato, ohe di loro erano cavidieri;
era aono di popolo, assai bassi »; Ott.
102. POMI : pomo ; cfr. Pmrg. XXVII,
45, 115. L' impugnatura della spada do-
rata era de* soli cavalieri.
108. LA COLONNA : 1 PigU, del quartiere
di porta San Pancrasio, «gentili nomini
e grandi in quelli tempi »; <?. ViU. lY,
12. - < Avevano per arma una lista di
▼aio nel campo vermiglio alla lunga dello
scudo »; An. Fior.
104. Sacohetti : di parte guelfii, molto
anUchi ; O. ViU. IV, 13 ; V, 89. « Furono
nlmici dell' autore.... Furono e sono, giu-
sta lor possa, disdegnosi e superbi. » Ott. -
Giuochi : « ohe oggi sono popolani, abi-
tavano daS. Margherita >: e. ViU. IV,
11 ; y, 89. - « Questi sono divenuti al neon-
te oggi dell'avere e delle persone : e'sono
GhibelliDi»; Ott.-FiFANTi: detti Bogo-
leei, GhibeUini ; G. ViU. IV, 18 ; V, 38; VI,
05* « Oggi sono neente d'avere e di per-
sone : sono Ghibellini »; OU. - BABUCa :
« stavano da S. Maria Maggiore, che oggi
sono venuti meno ; bene fbrono di loro le-
gnaggio gli Scali e' Palermlni » ; G. ViU,
IV, 10 ; V, 80, 89 ; VI, 83. - « Furono pie-
ni di rioohesse e di leggiadrie; oggi sono
pochi In numero, e sensa stato d' onore
cittadino: sono Ghibellini»; OU.
105. Galu : abitavano in Mercato Nuo-
vo ed erano GhibeUini ; G. ViU. IV, 18; V,
89.«Caddero al tempo dell'Autore infino
all' ultimo scaglione, nò credo mal si ri-
lievino »; Ott. - quei: i Chiarmontesi,
GuelO, del quartiere di Porta San Piero;
G. ViU. IV, 11; V, 89. - ABB068AN: arrossi-
scono a motivo dello staio, dal quale un di
loro trasse una doga; cfr. Purg, XII, 106.
100. CEPPO : « i Donati ovvero Calfacci,
che tutti furono uno legnagglo ; ma i Cal^
&60 toiBLO QnnrTo] Pah. xyi. 107-128 t'AHiOLii t>i tokhzb]
109
112
115
118
121
Era già grande; e già eran tratti
Alle camle Sizii ed Arrigacci.
Oh, qaali io vidi quei che son disfatti
Per lor saperbial E le palle dell'oro
Fiorian Fiorenza in tntt'i snoi gran fatti.
Goal facean li padri di coloro
Che, sempre che la vostra chiesa vaca,
Si fanno grassi sCando a oonsistoro.
L' oltracotata schiatta, che s' indraca
Dietro a chi fogge, ed a chi mostra il dente
Ower la borsa, come agnel, si placa.
Già venia sn, ma di picciola gente;
Si che non piacque ad Ubertin Donato,
Che poi il suocero il fé' lor parente;
Già era il Caponsacco nel mercato
Disceso giù da Fiesole ; e già era
Buon cittadino Giuda ed Infangato.
facci Tennero meno »; 0, TtQ. IV, 11. -
«Calftiooi, Donftti ed Ucoellini furono
d' uno oeppo ; li Donati spensero li detti
loro consorti Cslfùcoi; A ohe o^ nnllo,
od nno solo se ne mentoy», o i»oohisai-
mi » ; Ott. n fMoquero sarebbe dnnqae
amara ironia. Secondo altri, i Calfticol di-
scesero dai Donati (Bm«.« Land,, ecc.).
108. ALLB OUBULB: alle prime dignità
della repubblica, ohe a Roma davano di-
ritto alle sedie onmli. - Sizii : « erano an-
cora nel detto quartiere (di Porta del
Dnomo) Arrifacoi e Siili », di parte gael-
fb; Q,Via, IV, 10 ; V. 8» ; VI, 83, 79, eoe.
L'OU. dice i Sixii qoasi spenti, gli Arri-
gnooi qoasi Tenuti meno.
109. QUEI : gli Uberti, « 11 qoall furono
in tanta altessa, inOno che non Tenne
ladiTisione della parte, che si potea dire
che qnasi fossero padri della oittade > ;
Ott, Cfir. TodMohini, II, 421-427.
110. LB PÀLLB: ed i Lamberti, ohe fa-
rono i primi ad aver palle d* oro nell'ar-
me, prosperavano allora in Flrenie in
tutte le soe grandi imprese. Cfir. O. ViU,
IV, 12 j VI, 88, 89.
112. cosi : in egoal modo prosperaTsno
gli antenati dei Visdominie dei Todnghi.
« padroni e difenditori del TcscoTado » ( O.
vai. IV, 10) « gli qnall hanno per regalia
«the qnando Tsoa toscoto in Firenze, fino
!a ledono dell'altro, sono iconomi »; An,
>r. Cfir. Ohi». L^, IH, 442 e seg.
114. A coKSMTOBOc adunati insieme
« oome sta lo papa coi cardinali a oonsi-
storo ad ordinare e disponere li fktti della
Chiesa » ; BuH. - «Come fossero padroni,
stanno nel palasse del VesooTo e te la
pappano»; Oom,
115. l'oltracotàta : la schiatta teme-
raria ed insolente, che prende natura e
ferocia di drago dietro a ohi fugge, e si
fk agnello dlnansi a chi le mostra i dentf
o la borsa, e Questi sono gli Adimari, gli
quali erano si piccioli al suo tempo, ohe i
Donati rifiutarono suo parentado > ; An.
Fior. Cfr. a. rm, IV, ll. - «Era irato
a qaest« famiglia il Poeta, perchè Boe-
caocio Adimari occupò i suoi beni, poi
che fa mandato in eeiUoi e sempre gli
ta avrersario acerrimo, che non Aimo
revocato nella patria »; Land. Lo stesso
dicono pure VeU. ed altri.
120. CHB POI: che Bellindon Berti,
suo suocero. Impalmasse 1* altra fl^ia ad
un Adimari, facendolo per tal guisa pa-
rente degli Adimari. Cfir. Oom. Lip», UI,
448 e seg.
121. Capohbaooo: i Caponsaoohi, di
parte ghibellina, che abitavano presso a
Mercato Vecchio, fkirono grandi Fieeo-
lani, e nel seo. XII ebbero consoli e pode-
stà j cfir. flf. F»tt. IV, 11 ; V, 80 1 VI, 83, 65.
123. Giuda: i Giudi «son gente d'al-
to animo. Ghibellini, e molto abbassati
d' onore e di ricchesse e di persone; e
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[CIELO Qunn'O]
PàB. XYI. 124-136 [FAKIGLIB DI FIB.] 861
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186
Io dirò cosa incredibile e vera:
Nel picdol cerchio b' entrava per porta
Che si nomava da quei della Pera.
Ciascun che della bella insegna porta
Del gran barone, il cui nome e il cui pregio
La festa di Tommaso riconforta,
Da esso ebbe milizia e privilegio ;
Avvegna che col popol si raduni
Oggi colui che la fascia col fregio.
Già eran GKialterotti ed Importuni;
Ed ancor saria Borgo più quieto,
Se di nuovi vicin fosser digiuni.
La casa di che nacque il vostro fleto.
quelli ohe y'ermao al tempo dell'Autore
a^^rono ooi detti Cerchi 1» ftag»»; Ott,
lì VUl. non li menslonA, se par VI, 66
non s'abbi» a leggere Óiudi inveoe di
Guidi. Ctr.Sehefér-Bciehortt, Fior. Stud,,
34. Todeiehini, II, 428. - Ihfanqàto:
« intorno a Mercato Knovo erano gran-
di.... gr Infkngatl • di parte ghibellina ;
O. ViU, IV, 18 ; V, 89 ; VI, 65. - « Qae-
sti sono bassi in onore e pochi in numero ;
sono Ohibellini disdegnosi»; OU.
124. IHCBIDIBIUE : « Dioe 1* Autore : Chi
crederebbe ohe quelli della Pera fossono
antichi f Io dico oh*ellisono A antichi,
ohe una porta del primo cerchio della dt-
tade fki dinominata da loro; H quali yen-
nero A meno, che di loro non fa memo-
ri* »; OU. Cfr. (7. ViU, IV, 13. Oom. Lipt.
Ili, 446.
127. CLiSCUH : tutte le fkmiglie (Pulci,
BeUa Bella, Kerll e Qaugalandi) che por^
tano rinsegna di Ugo il Grande, marche-
se di Toscana, morto il di di S. Tommaso
llO^t fàrono da lui decorate dell'ordine
cavaUeresco e di prÌTÌlegÌ di nobiltà, seb-
bene Giano Della Bella, ohe porta per
arme l' insegna di Ugo contornata da un
fregio d'oro, si raduni oggi ool popolo
contro la nobiltà. Le quattro doghe del-
l'impresa di Ugo il Grande ftarono ridotte
a tre nell' impresa del Pold, le quali fu-
rono circondate dal fregio in quella dei
]>elJa Bella, attrarersate da una sbarra
d* oro neU' arme dd Kerli ; ed era inquar-
tata, sempre in tre doghe, in quella dei
Giandonati, dei Gangalandi e degli Ale-
prl, Cfir. BwgkitU, Arme deUe/am. Fior,,
128. BABONE: Ugo; ofr. O. ViU. IV, 2.
Hartwig, QueUeti und Fortch. I, 86 e seg.
« ....dd marchese Ugo, il cui nome e 11
cui valore quando si fa la festa dd beato
Apostolo messer Santo Tommaso, d rin-
nuova; però che allora di lui nella Badia
di Firenze, la quale con molte altre edi-
ficò, si fftnno solenni orasioni a Dio per
la sua anima »; OU. Ctt. PuceineUi, Istor.
deU'eroiehé atHoni di Ugo U grande, Mi-
lano, 1643.
132. COLUI: Giano Della Bella, dicono
tutti i moderni. Secondo gli ant., Dante
intende invece di quei Della Bella in ge-
nerale. Inffttti Giano, esule sin dal 1296,
non d raunava nel 1800 ool popolo di Fi-
renze. Ma dò non poteva impedir Dante
di esprimerd come egli fls.
138. ERAK : in pregio, 6orivano. - Guàl-
TKBOTTi! «in borgo Ssnto Apostolo erano
grandi ChuUteroUi e Importuni, che oggi
sono popolani»; G. ViU. IV, 13. Ambe-
due le famiglie erano di parte gudfs;
G. vai. V, 39. 1 GuaUeroUi « sono pochi
in numero, e meno in onore ; di costoro
[àegV Importuni} appena è alcuno »; OU,
134. BOBGO: Borgo Santo Apostolo,
dove abitavano le due dette famiglie.
185. viaK: dttadini; i Buonddmonti,
che « erano nobili e antichi dttadini in
contado, e Montebuoni fh loro castello,
e più altri in Valdigreve ; prima d può-
sono Oltrarno, e poi tornarono in Bor-
go »; G. Vm. IV, 18. Cft. Hartwig, ^u#t-
Un und Fortch. II, 29 e seg.
136. LÀ CASA : la famiglia degli Ami-
dei, causa del fitto (lat. fi«tu$), c\oé dd
pianto di FirensOi per l'uocido^e di Buoq-
862 [CIELO QUINTO] PAB. XYI. 137-153 [FAMIOLIS DI FIBinil
139
U2
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148
151
Per lo giusto disdegno che v'ha morti,
E posto fine al vostro viver lieto,
Era onorata, essa e'snoi consorti:
0 Baondelmonte, quanto mal fuggisti
Le nozze sue per gli altrui conforti !
Molti sarebbon lieti, che son tristi.
Se Dio t'avesse conceduto ad Ema
La prima volta che a città venisti;
Ma convenlasi a quella pietra scema
Che guarda il ponte, che Fiorenza fésse
Vittima nella sua pace postrema.
Con queste genti, e con altre con esse,
Vid'io Fiorenza in si fatto riposo.
Ohe non avea cagion onde piangesse:
Con queste genti vid' io glorioso
E giusto il popol suo tanto, che il giglio
Non era ad asta mai posto a ritroso.
delmonte Baonddmontf nel 1215, dal!»
quale naoqne la dlyieione dei cittadini in
Gnelfl e Ghibellini. Cfr. W. XXVHI,
103 e aeg. G. Vm. V, 88. Hariwig, QtM^
len ufui For96h. Il, 158 e seg., 323 e seg.,
273 e seg. Sehéfér-Bciehwrtt, Fior, 8tud.,
50 e aeg.
137. DISDEGNO : dell' affronto ricevuto.
« B dice per lo giutto ditdegno, però ohe
li Amidei ebbero cagione maniilósta di di-
sdegnarti, sì oome più nobili, centra li
3aondelmontÌ. E dice ohe pose fine al
Tirerò lieto e pacifico della città, però
ohe inflno a qniyi non aTOva avnto di- '
visioni nella dttade; ed ogni regno di-
viso in sé si dissolve. » Ott.
188. B POSTO fiue: Al. b fosk fiioc. -
viVEB UBTO : descritto in Far. XV, 97
e seg.
130. ONORATA: H VUl. V, 38, ohiama
gli Amidei « onorevoli e nobili cittadini »;
ma rv, 10-14, non li nomina tra*nobili di
Firenae al tempo di Corrado II. - con-
sorti: Uccellini e Gherardini.
liO. MAL : per te che ne fMti morto, e
per Firense ohe ne fti divisa; cfr. J^*
IX, 54.
141. sub : della casa Amidei. - altrui :
di Gnaldrada Donati, la qnale indosso
il Baondelmonti a rompere la fede prò-
messa alla figliola di Lambertuccio Ami-
dei, per isposarsi alla figlia di essa Gnal-
drjKl*.
148. EìtA: finmieello in Valdigrere
che si passa andando da liontelnioDi,
luogo d' origine de* Buondelmonti, a Fi-
renie : e nel quale messer Buondelmoote
fta per aflbgare, quando lo passò la prima
volta per venire a Fiorensa »; ButL Que-
sta droostansa è ignota a tutti gli altri
antichi ed è Ibrse semplicemente desunta
dai versi di Dante. Montebuoni, casteDo
dei Buondelmonti, fti distrutto ain dal
1186 { cfr. G. Via. IV, 86. Hartwig, Quel-
fen n, 8, 20 e seg., 40.
145. PumiA: la statua smotsicata di
Marte ; olir. W. Xni. 143 e seg. G. Y%a.
V, 88. « Alcuna idolatria si parea per H
cittadini contenere in quella statua, ohe
credeano che ogni mutamento eh* dia
avesse, fosse segno di fhtnro mutamento
della citUde »; Ott.
147. POSTREMA : ultima, perchè d'allora
in poi Firense non ebbe più pace.
148. altrb: aU'anno 1216 il Via. V, SO,
ricorda 70 schiatte notevoli di cittadini
fiorentini ; Caodaguida non ne menaioBa
nemmeno la metà.
152. GiGUO : r insegna di FIrente.
153. A ritroso : per vituperio di scon-
fitta. I Fiorentini in quei tempi mai vinti
in guerra, e Hoc didt, quia de more est
victorum sspe pervertere insignia capta
ab hoetibus, ponendo caput hastee su-
perius deorsum et pedem sursum. Qnod
tamen sspe fiiotnm est Fiorenti^ ten»-
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[0III.0 QDISTO]
PlB. XYI. 154-IYII. 1-5
[FUTUBO] 863
154 Nò per division fatto vennìglio. »
pore beUomm oìtIUiiid; qviaftUqmmdo
GhibelUiii «xpoU oapMMOit inaignU in-
tnuMonim ; et rabysTtelMuit in oppro-
biiiun 6iielplionim,eteeontrario^Bm9.
154. YXBMiouo: l*Mitie» arme di Fi-
r«nse era nn giglio bieooo in campo roe-
so. Dopo la gnena eontro Piatola nel
1261 i Goelii Cbooto loro arme nn giglio
roteo in campo bianco, mentre i Ghibel-
lini conaerrarono Tarma antica. « Cao-
eUti i eaporaU de' Ghibellini di nrenie,
il popolo e gli Guelfi ohe dimoraro alla
signoria di Firenae, al mntaro l'arme
del comune di Firenae; e dove antica-
mente ai porterà il campo roeao e '1 gì-
glio bianeo, al fBdono per eontraiio ii
campo bianoo e '1 giglio roeao, e' Ghi-
bellini ai ritennero la prima inaegna; ma
la inaegna antica del Oomnne dimeoata
bianca e roaaa, doè lo atendale eh' an-
dara nell'oste in ani carroccio, non ai
mutò mai »; G. TUk VI, 48. Sopra altre
tradisioni o leggende ofir. Oom. Lipt,
lU, 451 e aeg.
CANTO DECIMOSETTIMO
CIELO QUINTO 0 DI MAETE: MAETIRI DELLA BELIGIONE
I DOLORI dell' ESIGUO, SVENTURE E SPERANZE DI DANTE
IL CORAGGIO DELLA VERITÀ
Qual venne a dimenò, per accertarsi
Di ciò ch'avea incontro a sò ndito
Qnei eh' ancor fa li padri a' figli scarsi;
Tale era io, e tale era sentito
E da Beatrice e dalla santa lampa
V. 1-80. SeMarimtnH intomo aUe
fntftre vicende dei Toeta» Dorante il
•no Tiaggio per V Inforno ed il Pnrga-
torio, il Poeta areTa ndito parlare osca-
ramente del ano eeiglio e del ano andar
errando per le provinole d'ItaUa} cfir.
JV< X, 70 e aeg., 121 e aeg.; XV, 61 e aeg.
Fwrg Vm, 188 e aeg.; XI, 180 e aeg.,
XXIV. 48-^. Aveva anche nna volta
laaniftiatato dedderio di più chiare notisie
a Virgilio, e qneati gli avea riapoato ohe
gliele darebbe Beatrice) cfr. In/. X. 124
e aeg. Ora, avendo ndito Caodagnida de-
aorivere a loogo l'ovil di San Giovanni e
le genti degne di più alti acannl, Dante
^ fratto a xipenaare a quelle cacare ed
infliaate prediaioni, e a deaiderame la
eaplicadone. Confortato a ciò da Bea-
trice, ne domanda Caodagnida.
1. Climkmè: madre di Fetonte, ohe
coree da Id a chiederle ae egli foaae ve-
ramente figlio di Apollo, dò che Epafo,
figlio di Giove, aveva negato; ofr.Otid.,
Jratl,748-U.828.
8. Qum: Fetonte.- SCARSI ! drcoapetti
nell' aeaecondare le voglie dei figli.
4. TALE : cod andoao di sapere il vero.
- BtHTiTO : conoadnto il mio dedderio,
aenaa ohe io parlaaai.
5. LAMPA: Cacclagnida, ohe rfaplen-
deva come nna lampa; oir. F<|r. XV,
;o e ae^.
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864 [CIBLO QUINTO] Pab. xyii. 6-24
[FUTURO]
10
13
10
10
22
Che pria per me avea mntato sito.
Per ohe mia donna < j^anda fuor la vampa
Del tao disio, » mi disse, « si eh' eli' esca
Segnata bene della intema stampa;
Non perohò nostra conoscenza cresca
Per tao parlare, ma perchè t'ausi
A dir la sete, si che l'uom ti mesca! »
< 0 cara piota mia, che si t' insusi,
Che, come yeggìon le terrene menti
Non capere in triangolo due ottusi,
Cosi vedi le cose contingenti
Anzi che sieno in so, mirando il Punto
A cui tutti li tempi son presenti ;
Mentre ch'io era a Virgilio congiunto
Su per lo monte che l' anime cura,
E discendendo nel mondo defunto,
Dette mi fur di mia vita futura
Parole gravi; avvegna ch'io mi senta
Ben tetragono ai colpi di ventura :
e. MUTATO BiTO : disoendondo dal brao-
oio destro appiè delia orooe di Marte.
7. TAMPA : ardore. Manifesta il tao de-
siderio in modo da esprimerne tutta Tin-
tensitÀ.
9. DrrKBllA: Al. KTEEtNA; ofr. JToOTé,
Ora., 465 e seg. Jf^tir^. VUI, 82.
10. CBBBGA: non perchò ta possa dir oosa
a noi ignota, ma per abituarti a pregare^
11. T*AU8i: ti assnefkoda; oonfr. /nA
XI, 11. Pwg. XIX, 28.
12. A Dm : a manifestare i taoi deside-
ri], aflinohò altri ti appagbi. Moralmen-
te : a pregare per essere esaudito. - ti
MESCA : ti risponda a tao piacimento.
IS. PIOTA: pianta del piede: cfr. Iftf,
XIX, 120. Qoi flg. per ceppo della mia
stirpe; ofir. Par, XV, 88 e seguenti. Al.
PIANTA ! cfr. Oom,L^. Ili, 455. - t' di-
susi: ti leyi in sn tanto, che vedi ogni
oosa con oertessa matematica.
15. GAPÉBB: essere contenuti due an-
goli ottusi in un triangolo. « Per produrre
un esempio della certezsa e dellaln varia-
bilità di una visione del nostro spirito, e
spiegare oo^ qnal sia la natura della vi-
sione, ohe in Dio hanno gli eletti delle
cose contingenti ftiture, il Poeta ricorre
al noto teorema di geometrìa pel quale
sappiamo ohe in ogni triangolo rettilineo
la somma dei suoi angoli equivale a due
retti { d'onde la oonseguensa neoeasarla,
che in esso non possono coesistere due
' ottusi, altrimenti la somma di quelli sa-
rebbe già maggiore di due retti •; Aulo-
neUi, Cfr. Conv, II, U.
10. GOHTiMGBHTi: casuaM, ohe possono
essere e non essere. « Conttngens est
quod potest esse et non esse > ; Tkow^
Aq., awK^.th$cl, 1, 88, 8 ; cfr. 19, 8.
17. m BÈ: in fittto; prima che sessista-
no, a diiferensa di quando esistemo sol-
tanto in mtnU Dei. - il Pukto : Dio ;
cfr. Par, XXVin, 16.
18. PBESKirn : « tutto Dio Tede in sé
stesso. Le cose meramente possibili le
Tede nella sua essensa, le oose esistenti
in qualche tempo, in quanto esistenti, le
Tede nell'atto etemo della sua libera vo-
lontà con la quale loro dà queU' essere
che hanno. Pendo l' artefloe Tede nel]*
sua idea la statua che egli può tare ; ed
anche nell'atto con cui la fs ne Tede de-
terminata la eslstensa. > Oom,
20. MOKT£ : del Purgatorio ; t. i luoghi
del poema indicati nella nt. 1-80. " cuba :
sana, purifica da ogni peccato.
21. MOHDO DEPURTO : V Inferno, O « re-
gno della morta gente » ; h^. VIII, 86.
^. T^TRAOOHO : tsrmot inooiieiiaso.
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[OIBLO QUINTO]
PàB. XYII. 25-37 [LIBBBO ABBITBIO} 865
28
31
34
87
Per che la voglia mia sarla contenta
D'intender qnal fortuna mi s'appressa;
Che saetta previsa yien più lenta. »
Cosi diss'io a quella luce stessa
Che pria m'avea parlato; e, come volle
Beatrice, fu la mia voglia confessa.
Né per ambage, in che la gente folle
Già s'inviscava, pria che fosse anciso
L'Agnel di Dio che le peccata tolle;
Ma per chiare parole e con preciso
Latin rispose quell'amor paterno.
Chiuso e parvente del suo proprio riso :
< La contingenza, che fuor del quaderno
e Ttirag&no, ogni figura ohe hft qusttro
angoU. L'imagiiie però del Poete eeolnde
le figure pUne, porge il oonoetto di te-
traedro, il più eempUoe dei poliedri, ohe
è ana piramide triangolare, la qnale vi»-
ne determinata da quattro triangoli, ed
ha quattro angoli aolidi. H oonoetto e il
flitto della stabilità di on'opera materiale
arente questa forma dertra da qaesto,
che 11 centro di gravità di nna piramide
è ad nn quarto della retta ohe onisoe il
rertloe della piramide col oentro di gra-
vità della soa base, misorando qaella
quarta parte della base medesima, il ohe
tk si ohe quello sia poeo remoto da que-
sta, e ohe per tal modo adempiasi nna
delle prinoipaH oondisionl deUa stabili-
tà. » Anton. Cfr. Ariti,, Sthie., 1. Set.
IH, 2. Horat., Bai. II, vn, 88 e sg. - oOLPit
« sono andato mostrando oontro a mia
▼o^Ia, la piaga deUa fortuna »; Obnv.I,
3. Cfr. Ii^. ZV, 91 e seg.
27. LUITA : « non dà tanto dolore } onde
Ovidio: Kam pr»visa minns ledere tela
sotent »; Dan,
28. LUCB: Caooiagnida.
30. ooHmflA: ooniiBssata, dichiarata.
V. 31-45. JVeseianM divina e Uder-
lA utmmna. Con aperto e chiaro fisveUare
Caociag^nida risponde !« Tu tte le oose con-
tingenti si vedono in Dio, ma non sono
per questo rese necessarie. Quindi la
libertà dell' nomo resta intatta, qnan-
tonqne Dio preveda ogni cosa. Dal co-
spetto etemo, cioè dalla divina vista, mi
d preaeatano gli eventi che devono co-
gUertf. > Cfr. Thom. Aq., Bum. tkeol, I,
li, IS. Oom^IApe, m, 467 e seg.
56.
•IHm. Ommn., 4»edii.
31. NÉ PER: Al. NOH PKB. - AMBAI»!
lat. amJbaget, parole oscure, equivoohe,
come quelle degli oracoli pagani. « Hor-
rendas oanit ambages »; Yirg,, Aen. VI,
99. - GBHTB : pagana. - folli : « Dioen-
tes enim se esse saplentes, stnlti fkoti
sunt»; Bom.I,tÌ,
82. e' niviBCÀVA : Al. s' dtvbbcava, si
lasciava prendere come 1* uccello al vi-
schio j cfr. Ifkf, Xin, 67; XXI, 18i XXH,
144. - ANCISO : ucdso ; prima della morte
di Cristo.
88. l'Aqhkl: « Beco Agnus Dei, ecce
qui tollit peccatum mundi »; Oiov. 1, 29.
- tollx : toglie ; cfr. Nannue., Verbi,
04 e seg.
85. LATIN: fiftvellare; cfr. Par. XII, 144.
- AMOR: queir amorevol mio progenitore.
80. CHIUSO : nel suo lume e parvente,
maniibstante la sua gioia col suo splen-
dore.
87. CONTINORNZA : dò cho può csscre, e
non essere. - quaderno : le cose contin-
genti non esistono ohe nel mondo mate-
riale, mentre nel mondo spirituale tutto
è necessario, cfr. Par, XXXII, 62 e seg.
Quindi il Poeta con ardita metafora chia-
ma quaderno detta vottra malteria V in-
demo del mondo materiale, ovvero le
cose mondane che, a modo dei fogli di un
quaderno, d seguitano l'una lil' altra,
mentre in Dio non vi è suocesd<me. Dice
dunque : La serie degli avvenimenti con-
tingenti, ohe accadono nel vostro mondo
materiale e non altrove, tutta ò manife-
sta a Dio; nò però da questa sdensa di-
vina piglia carattere di necesdtà, come
non lo i^gUa il moto di una^Mve, ohe di-
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[CIILO QUINTO] PàB. ito. 88-51
[ssrauo]
40
43
46
Della vostra materia non ai stende,
Tatta è dipinta nel cospetto etemo ;
Necessità però quindi non prende,
Se non come dal viso in che si specchia,
Nave che per corrente giù discende.
Da indi si, come viene ad orecchia
Dolce armonia da organo, mi viene
A vista il tempo che ti s' apparecchia.
Qaal si parti Ippolito d'Atene
Per la spietata e perfida noverca.
Tal di Fiorenza partir ti conviene.
Qaesto si vaole, e questo già si cerca,
E tosto verrà fatto a chi ciò pensa
Là dove Cristo tutto di si merca.
aeende per im flame, dall'occhio di ohi la
sto OMorruido, sebbene in esso ooohio
sia r immagine di leL Coel, in sostansa, i
pih (Benv., BvU, Land., Dan,, Lomb.,
Pori., Pogg., Biag., 0$i., Tom., €freg„
Andr., Oom., FOal., Blane, Witté, eoo.).
Altri per il quaderno éoUa vottra mate-
ria intendottol' umana eonosoensa, e spie-
gano: Le oose oontlngenti ohe per nmana
scienaa voi non potete antivedere, si ro-
dono tatto in Dio (Lan., OU,,An.Fior.,
Poet, Vate., PtAr,, Dani., Yéa„ YenX.,
Br, B., Frai., eoo.)
89. TUTf A : « Bens oognosdt omnia
contingentla, non solom proat sont in
sois cansis, sed etiam pront nnnmqaod-
qne eorom est aota in se ipso. Bt Ucet
oontingentia flant in aota snooessiye, non
tamen Deus soooossìto cognosdt oontin-
gentia, proat sont in sno esse, sioat nos,
sed simal; qolaeins cognitto mensoratar
etemitote. »Thom. A^.^fibm. ih. 1, 14. 18.
40. iiacBBSiTÀ : dalla divina presoiensa
gli eventi Altari non sono resi neoessarii,
onde resto all'aomo la liberto ; ofir. Boet.,
Oom, phU, V, pr. 4. 6. De Mon. I, 18.
Purg, XVm, 22 e seg. Par. V, 19 e seg.
Oom, lÀpe, UI, 460 e seg.
41. nr OHE: in cai la nare rifletto la
saa immagine, si fa vedere.
48. DA nrDi ; dal oospetto etemo, dove
sono dipinto tatto le oose oontingentL
« Sioat enim aaris hamana recipit dal-
oem sonam ab organo bene temperato,
ito intolleotas beatas videt daloitoreren-
tam fatoromm in ilio organo tompera-
tlssimo, a quo emaaat harmosia per di-
▼ersas flstolas organales, odlioet DovsB
ordines angeloram »{ Ben»,
V. 4e-«l. l/es<04<o iU Xkmto. Oontt-
naando il sao ragionamento, Gaociagaldi
predioe a Danto l'esigilo: < Ta dovrai psr-
tlre da Firenie neUo stesso modo die Ip-
polito dovette partire d' Atone. Questo il
vaole e si eeroa iln d'ora a Bossa, U
dove ogni giorno si Ik mercato di Cristo.»
L'esempio d'Ippolito, tolto da Ovidio,
UH, XV, 497-640. è ana protesta dell'ia-
nooenxa di Danto ed allade forse, come
oredono Lan., OtL, An. Fior., Beno, ed
altri, a proposto disoneeto a Ini fiitto e da
lai respinto, delle quali non abbiamo pe*
rò altre nettale storidie. Cfr. Cbm. X^M.
ni, 402.
46. quÀLi « vittima della oalonnia; fai
vooe di colpevole presso tottt »; BettL -
iPPOUTOs figlio di Teseo, oostretto ad
abbandonare Atone per le oalonnie deDa
saa matrigna Fedra.
47. NOvxBCA: matrigna; oonfr. Par.
XVI. 6».
49. B quisTO: Al. Qunro.
51. LÀ : a Boma. « U sao esflto di Fi-
renze fti per cagione, ohe quando niesssr
Cario di Vakis deUa ossa di Fraada ves-
ne in Firense l'anno 1801, e oaosioime la
parto bianca,... Danto era de' maggiori
governatori della notAxa dita» e di quella
parto» O.Vm,lX, 186. Sui Ihtti al quaU
il Poeto qui allude ofr. Leti, Boni/. VITI,
e le tu* relag, col Oom. di Ptrenze, So-
ma, 1882. Del Lungo, IMno Oomp. 1, 174
e seg., 212 e seg.; II, 108 e seg. Bortolì,
Leu. iua. V, 121-182.
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[CIELO QUINTO]
Par. XVII. 52-66
[ISIGLIO] 867
53
55
58
61
H
La colpa seguirà la parte ofiPensa
In grido, come suol ; ma la vendetta
Eia testimonio al ver che la dispensa.
Tu lascerai ogni cosa diletta
Più caramente ; e questo è quello strale
Che Parco dell'esilio pria saetta.
Tu proverai si come sa di sale
Lo pane altrui, e com' è duro calle
Lo scendere e il salir per l'altrui scale.
E quel che più ti graverà le spalle,
Sarà la compagnia malvagia e scempia,
Con la qual tu cadrai in questa valle;
Che tutta ingrata, tutta matta ed empia
Si farà centra te ; ma poco appresso
Ella, non tu, n'avrà rossa la tempia.
V. 62-69. GU affinmi detPeàigUo.
Alla profesU dello sbuidimeiito di Diuite
aegoe 1' «iraimxio delle dolorose umillft-
dmii eh'ei dorrà sabfre nell'eelgtio.
« In primo luogo, ti darà tatto U colpa
agli oppreed, Moondo 11 toUto, che ohi ne
toooe, h« sempre torto. In secondo luo-
go, tu s»nd oostretto ad abbandonare
tatto dò ohe il onor tao ama plh tene-
ramente. In terso laogo, ta sarai co-
stretto ad esperimentare qaanto sia darà
ed omiliiuite la dtpendensa dalla genero-
•ila e benefloensa altroi. Ma il peggio
sarà per te il contegno de' tool compagni
di srentnra. » Ctr. Chnv. 1, 8. BosC., Omt.
pkO, I, pr. 4.
52. pabtb: dei Bianchi, cacdati da Fi-
renze « con molto oflbnsione»; Ti\f. VT,
66.-OFnEN8A: offesa; cfr. Inf, V, 10».
Pwg. XXXT. 12. € La voce sarà ohe
Danto, e quegli che a quello tempo sa-
ranno espaisi, siano persone di mala con-
dizione e contrari della santo madre Eo-
desia » ; An, Fior, e Lan,
54. FiA t la Tendetto farà testimonlansa
dd Tero il quale la dispensa, punlsoe se-
condo il merito. È difficile dire se Dante
sDoda qni a flstti speclaU e determinati,
oppnre in generale a tutto 11 complesso
di failkasti eventi che in Firense tennero
dietro alla cacciato dei Bianchi . Cfr. Cbm.
X^.ni, 468. In sostanaa: « La colpa d
darà a to ed a* tuoi compagni; ma Dio
punirà i veri colpevoli. »
55. 006A: patria, ikmigUa, parenti,
amid, patrimonio, eco.
56. 8TBALE : il primo dolore dell' edgUo.
58. 8A DI BALB: ò amaro. cMemoressa-
Ils, quod in palatio comedlmus»; I Btdrm
IV, 14. n DiM, ricorda la sentonsa di
Seneca: «.Omnium qulppe mortalium
Vito est misera; sed illorum miserrima,
qui ad allenum somnum dormiunt, et ad
aliorum appetltam comedunt et blbont.»
68. VALLB : in questo miseria che io ti
predico. Da questi reni risalto che Danto
d credeva gravemento ofReeo dd Bianchi,
suoi compagni di sventura. Ma in che le
offBse consistessero, non d sa : tutto dò
che Al scritto in proposito, non sono che
congetture più o meno felid, ma prive
di valore storico. VOU.x « La qud cosa
divenne quando elll sé oppose, che la
detto parto Bianca cacdato di Firense,
e già guerreggianto, non richiedesse li
amici il verno di gento, mostrando le ra-
gioni del piccolo firutto ; onde pd, venuto
la stato, non trovarono l'amico com'elli
era disposto il verno ; onde molto odio ed
ira ne portorono a Danto ; di ohe elli si
partì da loro. » La stessa cosa, con qad-
che diiforensa, racconto 11 Fo$HU. del
Fram. Pai. (ofr. Oom, Xips. UI, 465). Ma
è questo racconto degno di fede t Sui fatti
avvenuti dopo lo sbandimento di Danto
atr. Del Lungo, Dino Camp. II, 568 e seg.
BartoH, Lett. Hai. Y, 141 e seg. ProUg,
74 e seg.
65. APPHESSO : poco dopo le ingiurie che
essa ti avrà tetto.
66. BOflSA: di vergogna o di sangue f
SeDanto allode alle sconfitto dd BIsnchI
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868 [CIELO QmHTO] Pab. xvn. 67-79
[PBDIO siFueio]
67
70
73
76
7»
Di sua bestialìtate il suo processo
Farà la prova; si che a te fia bello
Averti fatta parte per te stesso.
Lo primo tao rifagio e il primo ostello
Sarà la cortesia del gran Lombardo,
Che in su la scala porta il santo uccello;
Ohe in te avrà si benigno riguardo,
Ohe del fare e del chieder, tra voi due,
Fia primo quel che, tra gli altri, è più tardo.
Con lui vedrai colui che impresso fue.
Nascendo, si da questa stella forte,
Che notabili fien l'opere sue.
Non se ne son le genti ancora accorte
ed in ispede alUimpieM déllft Lastra, il
doTTà intendere rossa di sangne, inter-
pretasione confortata dalla les. botta,
ohe però ò troppo sprorvista di aatorir
tà. Ha il fiotto è ohe non oonoeciamo pò-
sitiTamente i Iktti, ai qnali Dante qui
allade.
67. PBOOBBBO ; si poò intendere del mo-
do di agire, del saocessiTO procedere dei
Bianchi (Benv., Andr,, Dan,, Blanc,
Beta, ecc.); oppure del seguito dei fatti
e casi snoi (BuH, Lomh., Tom,, eoe.).
68. BELLO t onorerole.
69. PBB TB STESSO: separandoti dai
Bianchi non meno che dai Keri, e la-
sdandoli fisre. Kon si conosce il tempo
preciso in coi Dante si separò dai suoi
compagni di sventora ; di certo sappiamo
soltanto essere ciò avvenuto dopo il giu-
gno 1802 e prima dell'ottobre 1306.
V. 70 08. Uprimo rifugio di Dante.
Proseguendo, Caociagulda predice a Dan-
te la cortesia ohe gli mostrerebbero gli
Scaligeri, vaticinando In ispede la ma-
goifloensa ed il valore di Can Grande,
in cui il Poeta può riporre fldudoso le
sue speranae.
70. PBiifO : dopo « averti fatta parte
per te stesso. » Da questi versi risulta
che Dante d rifogiò presso gli Scaligeri
a Verona, subito dopo esserd separato
da' snoi compagni di parte.
71. GBAK LOM BABDO ! tutti gli antichi
ed il i^ù dd moderni intendono di Bar-
lolommeo della Scala, m. 7 marco 1804.
Boeo. e ManetU di Alberto, padre di Bar-
tolommeo. Ha Alberto, morto nel 1801,
-on poteva ospitar Dante ohe era allora
a Firenae. Altri intendono di Alboino,
fIrateUodi Bartolommeo( VOL^Dol., VmL,
pati, Tirab., Da Lungo, ecc.). Ha H mo-
do con che Dante parìa altrove di Alboino,
Otmo.IV, 16, esdude aasdutamente que-
sta interpretsaione. Altri intendono di
Can Grande (Dion., FraL, Loria, eoe.),
opinione ohe starebbe solo colla leaSone
COLUI VBDBAi, COLUI nel V. 76, escogitata
dal Dùm,, ma sprovvista di autorità. Per
tutto dò cfr. Oom. Lipt. ni, 466-468.
Bartoli, Lett. UaL V, 170 e seg.
72. UCCELLO : l'aquila imperiale ; ofr.
Par. VI, 4. Dante dice qui ohe dn dal
1300 gli Scaligeri avevano nd loro stem-
ma r aquila sopra la scala. Altri allar-
mano ohe lo stemma degli Scaligeri non
portò l'aquila imperiale sopra la acala ae
non dopo che Can Grande ta Iktto Vica-
rio imperiale. In tal caso Dante sarebbe
caduto in un errore di oronologia.
76. QUEL: il dare, egli darà prima che
tu chieda. « Seneca nd libro de* Benefld
(il quale il detto messer Bartoknnmeo
continuo praticava) : Gradodssimi sono
li benefld apparecchiati, e ohe agevd-
mente d (knno verso altrui, ne* quaU
nulla dimoranxa interviene, ae non per
la vergogna del ricevente »; OCt.
76. colui: Can Grande, fratello mi-
nore di Bartolommeo, n. 9 marao 1291,
m. 23 luglio 1829, associato al governo
nd 1811, solo signore di Verona dal 1312
sinoallasuamorte. Cfr. Atto DanlsseoFe-
ronese. Verona, 1865, p. 147-164 e 285-345.
77. STELLA: Harto; nato sotto T in-
flusso di Harte, quindi bdllooao; cfr.
Omv. n, 14.
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[CULO QUIHTO]
Pab. xtii. 8(K98 [pbimo bifuqio] 869
Per la novella età; che pur nove anni
Son queste rote intorno dì luì torte;
82 Ma, pria che il Guasco l'alto Arrigo inganni,
Parran faville della sua virtute
In non curar d'argento né d'affanni.
85 Le sue magnificenze conosciute
Saranno ancora, si che i suoi nimici
Non ne potran tener le lingue mute.
88 A lui t'aspetta ed ai suoi benefici;
Per lui fia trasmutata molta gente,
Cambiando condìzion ricchi e mendicì;
91 E portera'ne scritto nella mente
Di lui, ma noi dirai >; e disse cose
Incredibili a quei che fien presente.
80. HOTV Aifia : Can Qnoìàe oompiva
n suo nono anno il 9 mano 1800 (ofr. Jfu-
roL, Script. Vm, 641. Manara, (knni
itoriH é doeum. che ritguardano (km
Grande, Verona, 1858); onde inatile ed
tnattendlbfle è la contesa, se Dante parli
qnl di rirolnsioni solari, o di rivolgimenti
del pianeta Marte. Sa questa diversità di
opinioni etr. Ocm, XAp». Ili, A69,Ihu!Ì4a.,
304 e seg.
81. TORTI: rivolte, aggirate. «Kore
fiate già, appresso al mio nascimento,
era tornato lo delo della lace qnasi ad
on medesimo punto, quanto alla sua pro-
pria giradone »; Vit, N., § 2.
82. IL Guasco : papa Clemente V, Gua-
scone. Invitò l'otto Arrigo, cioè Arri-
go VII, a venire in Italia, e quando ci fu
venuto, gli fece contro. Cflr. O.ViH, IX,
69. Par. XXX. 142 e seg.
83. PABRAK : appariranno alcuni saggi
della sua virtù.
84. d'abgbmtO: cflr. Inf. I, 108. Ep.
Kami. I. Trcya, VeUro aUeg. di D., 166
e seg. JS^d., VeUro aXUg. de Ohibd.,
150 e seg.; 165 e seg. «Autor in duobns
verbia breviter colligit duo, qnie reddi-
demnt hominem istum gloriosum, scili-
cet, magnifloentia in sumptibus, et au«
dacia in bello ; qu» duo feoerun t fitmosos
mnltoedominos vitiosos, quorum aliquos
ego novi.. ..Bum pater elusdoxlsseteara
sem^ ad vldendum magnnm tbesaurum,
iste illlco levatis pannis mislt super eum;
ex quo omnes spectantes iudicaveruntde
eius ftitora muniflcentia per istum oon-
temptom pecnniarum. > Benv.
88. t'abpbtta: ofr. Purg. XVIII, 47.
89. TRASMUTATA: per opera sua molti
ricchi diventeranno poveri, molti poveri
ricchi. Pare ohe queste parole suonino
lode ; cfr. Troya, VeU. aUeg. de' Ohio.,
171 e seg. Gr interpreti moderni s' avvi-
sano che questi versi includano il presa*
gio d'una rivolutone in Italia, per cui
sarebbero cadati nella meritata miseria
i ricchi oppressori e superbi, e venuti
in buona oondirione gli onesti trascurati
ed oppressi. L'CXt..*< Questo testo ò chia-
ro in parte, e nel rimanente è A oscuro,
che non si può chiosare per parole ch'en-
tro vi sono; ma per lo effetto potrebbe
uomo dire, questo volle intendere. »
91. PORTBRA'm: ne porterai. Al. POH-
TKRAi:fK. -8CBITT0 : ofr. Pwg. XXXIII,
76 e seg. « E di Ini ne porterai scritto
nella tua memoria, sensa appalesarle ad
alcuno, queste cose che io ti predico »;
Br. B. Il Poeta ripete qui in modo al-
quanto enimmatloo le speranse da lui
fondate sul Veltro, futuro liberatore di
Italia. Ci lascia in dubbio sui fatti, sa-
pendo troppo bene ohe le sue speranze
potrebbero non avverarsi, come infatti
avvenne. Scusa il suo silensio colla fin-
sione avergli Cacciaguida ingiunto di
tacere, e dettogli cose incredibili a ohi
le vedrebbe co' propri occhi, nonché a
chi le udisse antioipatamente annunzia-
re. II voler indovinare a quali fatti de-
terminati alluda, sarebbe fatica gettata.
I fotti stessi erano solamente sperati,
e non avvennero mai.
93. CBR FiBM vuE^ìssnRtpretenU sta
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870 [ciBLO quinto] Pab. xvn. é4-106
tiimOBXZIOVB]
04
97
100
108
106
Poi giunse: «Piglio, queste son le chiose
Di quel che ti fu detto; ecco le insidie
Ohe dietro a pochi giri son nascose.
Non vo' però eh' a' tuoi vicini invidie,
Poscia che s'infutura la tua vita
Vie più là che il punir di lor perfidie. >
Poi che, tacendo, si mostrò spedita
L'anima santa di metter la trama
In quella tela ch'io le pòrsi ordita,
Io cominciai, come colui che brama,
Dubitando, consiglio da persona
Che vede, e vuol dirittamente, ed ama:
€ Ben veggio, padre mio, si come sprona
per pn$enU, di di© non manoano e«em-
pl. Al. FIA PRE8KHTB — «M* presente.
V. Oi-0». Amm»m4mi0ns paterna.
CaoolAgolda eeorU Dante » non portare
inTidia a«U ingrati suoi oonoittadini né
natrin odio contro di loro, ooneolandolo
eolla promessa, che essi saranno sma-
scherati e paniti, ed egli avrà flama pura
e durevole nei tempi ventori. « Adatta
la risposta alli dobbil detti e mossi, e
dice: Io non voglio però che tu odii li
tuoi vicini, posda che la tua vita dee
essere tanta, che tn ne vedrai vendetta
per gindido di Dio.... L* autore Imper-
taDto morì in esilio a Ravenna, dove alla
sna sepoltura ebbe dngolare onoro a
nullo latto più da Ottaviano Cesare in
qua, però ohe a guisa di poeta fti coro-
nato con li libri e con moltitudine di dot-
tori di sdensa. * OtL
91, oiuifBR: aggiunse. - le cmosE; lo
dichiarazioni di dò ohe ti è stato pre-
detto nell'Inferno e nd Purgatorio in-
tomo al tuo avvenire; cfr. It^f. X, 79-
81, 124-1E2; XV, «1-78, 88-96. Purg,
Vili, 133-139; XI, 140 e seg.; XXIV,
48-48.
95. LE insidie: locooltiemaohinationes
fortun» et vidnorum tuorum »; Benv.
96. oiBit di sole. La profesia di Cao-
daguida d finge fatta nella primavera
del 1300; la prima condanna di Danta è
del 27 gennaio, la seconda del 10 mar-
so 1802, stile comune.
97. YiciNi: oondttodini, e compagni di
sventura, anch' esd suol oondttadlni. -
iMviDiB: invidH, porti invidia.
98. s* INFUTURA : ri estende nell* awe-
ire, dora. « Vivrai quando e esd e 1 lor
tm
Miì saranno spenti e la pena de'
loro»; Tom.
99. VIE PIÙ : « qnad dioat : pceam «Ito
seqnetur ad frandes eomm, et tua Tito
•xtendetur din landabiliter in mMga^
gloria »; Ben9,
V. 100-120. Parlare o tacere? Udite
le pardo diCaodaguida, nasce nella men-
te di Danto un nuovo dubbio. « Biaoen-
dendo giù per l' Inferno e poi salendo su
per il monto del Purgatorio vidi ed adii
tanto cose, ohe non so se devo xivelarìe
o tacerle. Che se ridico dò ohe vidi ed
udii, dispiaceri a molti, onde il mio par-
lare mi fruttola nuove perseoozioiiJ. Se
invece tacdo e non ho il coraggio di ma-
nifestare il vero, temo di oseurare la
mia tema tra i postori. Devo dunque par-
lare, o devo tacerei *
100. SPEDITA: mostrò d'aver finito,
d' aver compiuta la tola ohe io gli aveva
ordita. « Chi domanda, ordisce in certo
modo la tola; olii risponde alla domanda,
riempie questa tda » ; Br, B.
101. TBAMA : « est enim trama Olud
filum quod dedudtur in telam per ordi-
turam ; immo autor noster dederat onmn
themaordltum, idest inchoatum tantum ;
et ilio Cacciaguida texuit illod iterum
intorserendo multa verba, exponendo et
dedarando >; BeM. Lo stesao txaslato
Pw, ni. 91-06.
103. COLUI: come chi, essendo per-
plesso nel dubbio, deriderà conrigtto da
persona sapiento, virtuosa ed amorevde,
die conosce 11 bene (sede), vuol fiure 11 be-
ne (vttol dirtttoMsnte), e procaccia 11 bene
di dii le obiede oonriglio (ama).
106. BPBOiTA : ri avanaa in fretta. Pa-
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[CIELO QUINTO]
PAB. XVIL 107-120
[DTTBBIO] 871
109
112
116
118
Lo tempo verso me, per colpo darmi
Tal, eh' è piti grave a chi più s'abbandoùa;
Per che di prowedenza è buon ch'io m'armi,
Si che, se luogo m'è tolto più caro,
Io non perdessi gli altri per miei carmi.
Giù per lo mondo senza fine amaro,
E per lo monte, del coi bel cacume
Gli occhi della mia donna mi levare,
E poscia per lo ciel di lume in lume
Ho io appreso quel, che s'io ridico,
A molti fia savor di forte agrume ;
E s'io al vero son timido amico.
Temo di perder viver tra coloro
Ohe questo tempo chiameranno antico. >
mgana 11 tempo al oavaliere ohe oorre
vn* lanoU.
107. COLPO : rosigUo, e le sventure ohe
ne aono inevitabili oonsegnense.
108. s'abbandona : 8l lascia sorpren-
dere, si lascia andare senza previdenea,
ofr. T. 27. Abbandonarti, per lateiarti
andare, come Ifkf. II, 84. Purg. XVn,
186. Par. XXXI, 76.
109. PBO VVBDBNZA : provvidonxa; on-
de ò bene ohe io provvegga sin d' ora
ai Datti miei.
110. LUOGO : la patria, ohe mi converrà
liwoiare; of^. v. 48, 66 e seg.
111. GLI ALTRI: gli altri looghl meno
oari della patria, dove potrei rifagiarml.
- CABMi : « per 1 miei versi pngnentl, ohe
tTAtteranno singnlari mail di dascnna
parte; e per oonsegnente sono odiati da
molti, però che oggi la verltade partori-
sce odio»; OU.
112. MONDO : Inferno.
118. montb: Pargatorlo. - cacume:
retta, cima (Par, XX, 21); il Paradiso
terrestre.
114. GLI OCCHI : efr. Par. I, 64 e seg.
116. DI LUMI: di cielo in dolo, di pia-
neta in pianeta, fin qna.
1U5. B'IO BIDICO: Al. S'IO IL BIDICO.
117. BAVOB: nn sapore troppo forte e
pfungente, che recherà dispiacere. € Sì
oome 11 forte agrume oifende il gnsto,
eoflì temo lo offender la mente a molti
ehe m* adiranno»; YM,
118. TIMIDO : tacendo. « Tracotanza sa-
rebbe r essere reverente, se reverenza
ai poteese dire, però che In maggiore e
più vera irriverensa ai oaderebbe, doò
della natura e della verità. Da questo
fallo si guardò quello maestro de' fllosoilf
Aristotile, nel prindpio dell' JBtiea, quan-
do dice : Se due sono gli amld, e l' uno è
la verità, alla verità è da consentire. »
Oonv. IV, 8. Cfr. De Mon. HI, l.Ep.ad
Card, Hai., 6. Sapienza, Vili, 18 e seg.
119. vivKB: nome, fama. Al. vita. -
COLOBO : le generasionl ventare. « Se lo
sono timido amico alla verltade, temo di
perdere 11 vivere tra coloro che verranno
dietro a questo tempo, il quale tempo
egli chiameranno antico, per lo rispetto
del loro presente ; doò temo di perdere
fama e buona nomlnansa »; OU.
V. 121-142. Il coraggio detta veHià.
« Parlai » risponde Caodaguldat « Non
tacere nò dissimular nulla di dò che hai
veduto ed udito. È ben vero che molti, la
cui oosolensa ò macchiata delle vergogno-
se opere loro proprie o de' loro co^nnti
ed amid, troveranno agre le tue parole.
Tuttavia parla I H vero tornerà sem-
pre profittevole a quel medesimi, cui
sulle prime riusdrà amaro. I tud rimpro-
rerl delle colpe altrui farlraano prind-
palmento i grandi della terra, dò che ò
non piccolo argomento di animo onorato
e grande. Bifletti ohe, appunto a fine di
istruirne 1 tuoi contemporanei, ti ftirono
mostrati gli arcani dell'eternità e le per-
sone più conte per fiuna ohe, nsdte delle
regioni del tempo, già quelle Incontrano
degli etemi destini ; glacchò gli esempi
atti a rendere odiosi i visi c^ amabile
la vlrth devond prendere da persone
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872 [CIELO QmNTO] Pàb. xyii. 121-187
[COBAe^IO]
121
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180
133
136
La luce in che rìdeva il mio tesoro,
Oh' io trovai li, si fé' prima corrusca,
Quale a raggio di sole specchio d' oro ;
Indi rispose: < Coscienza fosca
0 deUa propria o dell'altrui vergogna
Far sentirà la toa parola brusca.
Ma nondimen, rimossa ogni menzogna,
Tutta tua vision fa' manifesta;
E lascia pnr grattar dov' è la rogna !
Che, se la voce tua sarà molesta
Nel primo gosto, vital nutrimento
Lascerà poi, quando sarà digesta.
Questo tuo grido farà come vento.
Che le più alte cime più percuote ;
E ciò non fa d' onor poco argomento.
Però ti son mostrate in queste rote,
Nel monte, e nella valle dolorosa
Uliutri e d' alta oondisione, aflBnohò pio-
daoano il deddento effetto.
121. LUCB : dello spirito di CMoiagaida.
-BIDBVA: del mistioo Grifone dice ra^
giava (Purg. XXXI, 122); di Cacoiagaid«
rideva, 1 qaali dae verbi « rendono con
bella proprietàrimmagine ohe allo splen-
dore dell'uno e dell'altro meglio si conye-
nlTa»; L. y«rU.,aim., 1ì3.-ti»obo: il « vi-
vo topasio»; Par. XV, 85, mio antenato.
122. COBBUBGA : più Scintillante di pri-
ma ; segno della gioia che sente nel com-
piacere al PoeU; cfir. Par. Vm, 48;
IX, 68, eoe. Oonv. IH, 8. Vùrg., Georg. I,
338 e seg.
128. QUALB: come ano speoohlo d*oro
snl quale cadano i raggi del sole.
124. FU80A: nera, macchiata.
126. ALTBUi : dei parenti, antenati, oon-
ginnti.
126. pub: veramente, in iktti. Coloro
cui rimorde coadenta o per le proprie o
per le colpe dei oongianti ed amici, sen-
tiranno in fatti r amaro delle tne parole.
Ciò nonostante di* apertamente tutto dò
che hai veduto ed udito, e lasda che chi
ha la rogna, se la gratti I
129. ORATTAB : e lascia pur dolersi a chi
ne avrà cagione. Modo proverbiale, ma
poco degno di un'anima beata del Para-
diso. Cfr. Oom. Lip§. m, 476.
182. DioBBTA: digerita, flgunt. per Ma-
minato, ben ponderata i cfr. Boet., Oons.
ph. m, pr. 1. « Quando foerit bene discus-
sa, examinataet ruminata. Bt vere autor
Aiit quodammodo propheta sibi ; quia vidi
de facto multosmagnosdominoa, de quo-
rum antecessoribus autor dixit magpoum
malom in libro iato, qui tamen summe
diligunt librum istum et delectantor in
eo ; et licet aliquando verecundentnr ex
bis quiB autor dlcit, tamen tandem as-
sentiuntet dicunt : verum didt. » Bornio.
133. OOMB VENTO : Al. OOMK IL VSinO.
L' articolo ò superfluo nò d trova che in
pochi codid.
134. ALTE : i grandi e potenti della ter-
ra. Cfr. Horal., Od. II, x, 9 e seg. Boét,,
Oona.phil. I, metr. 4. Joaìa, XL, 9, Taooo,
Sor. VII, 9. «Dicendo tu male del pib
grandi e più nobili, moverai ancor piti
l'animo di coloro che leggeranno, o ascol-
teranno r opera tua, che se tu lo dioead
de' bassi ed ignobili uomini »; Dan.
185. NON FA : cosi qnad tutti i oodd.,
tutte le edis. antiche, tranne la Xidob.,
e tutti Bensa eccesione gli antichi cook-
mentatori. Al. non fia., ohe sembra una
fdioe correaione. « Il rimproverare le
colpe esiandìo a' primi e potenti, ik segno
d'animo tenero della virtù, nemico del vi-
de, e di spiriti generod ed arditi »; Om.
186. PiBÒ : afflnchò la tua parola colpi-
sca i potenti e i grandi della terra.
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[cniiO Qunrro]
Pab. xvn. 188-142
[COBÀGOIO] 878
199
148
Por V anime ohe son di fama note ;
Ghò l'animo di quel oh' ode, non posa,
Né ferma fede per esemplo eh' àia
La sua radice incognita e nascosa,
Né per altro argomento che non paia. »
188. FUI: solA^ante. CoiI i più. Non.
baie il JBMi: «pub non Tnol dir qui «o-
iMMnto, mft ORcAé ; e intendeal : ohe però
fra le eoee ebe redeati terribili nell* In-
teso, pietoee nel Pnrgstorio, e divine
nel Pundiao, ti ftarono moetnte anche
le anime tenoee». - di vaua: Al. pkb
VAMAi sembra èhe anche i personaggi
che noi oonoedamo solamente dai Tersi
di Dante, godesoero qualche buona o
eatttra flmia ai tempi snol. Del resto
le anime ohe gli ftarono mottraU da Vir-
gilio, da Beatrice e dagli spiriti dorante
fl mlattoo eoo Yiaggio, aono veramente
toMe di/ama noU. Jj» osoare non gli
ftiTODO nuMtrate; le riconobbe da aè.
189. HOH POSA: non ai acqueta né crede
auUa fede di eaempi cacari, tolti da ignote
e baaae peraone; e gU argomenti pura-
mente raaionaU, non confortati da eaem-
pio aloono, ikrebbero anche minor fratto.
« Inatroenda eat vita exemplls Ulostri-
bas»{ Senee., Bp., 88.
140. àia: abbUt cfr. Inf, XXI, 60.
Ifannue., Verbi, 607 e aeg.
141. RADiCB: ae gli eaempi aono tolti
da peraone cacare e aoonoeciate.
142. NON PAIA: non appariaca, non aia
evidente. « Kon al può inaegnare la coaa
non aapata per la non aapnta»; BuH. -
« Becar eaempi di caatìghi toccati a per-
aone volgari non muove i lettori ; i quali
non vengono moaai per argomenti ohe non
aleno di una palmare evidenaa»; Oom,
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874 [oiBLO Qunrro]
Pab. xtiii. 1-6
[DÀHTX I BSATBICB]
CANTO DECmOTTAVO
CIELO QUINTO 0 DI MABTE: MABTIBI DELLA RELIGIONE
SPIRITI BISPLENDENn KELLA CROCE DI MABTE
SALITA AL CIELO DI GIOVE
CIELO SESTO O DI GIOVE 2 PBINCIPI SAGGI E GIUSTI
DILiaiTB lUSTITIAMy L' AQUILA IMPERIALE, AVARIZIA PAPALE
Già si godeva solo del sno verbo
Quello specchio beato, ed io gustava
Lo mio, temprando il dolce con l' acerbo ;
E quella donna eh' a Dio mi menava,
Disse: «Muta pensier: pensa ch'io sono
Presso a Colui eh' ogni torto disgrava. »
V. 1-21. Sguardo a Beatrice. SI tk
silensio. Caodagaida tace ed è di quoto
tatto assorto nella visione beatifica della
Divinità. Dal canto ano il Poeta ò assoiw
to nella meditasione di ciò che ha testé
adito. Ma pei conforti di Beatrice ai ri-
Boaote { e, guardando lei, eh* è tatta amor
celeste, dimentica le affannose sne care.
Dopo un istante Beabice lo esorta a vol-
gere di nnovo la saa attenzione all' ani-
ma santa di Caodagaida.
1 . VSBBO : concetto, pensiero. « Verbum
dldtar nataralis intellectas motas, se-
candam qaem movetor, et intelligit, et
cogitat»; Joh. Damoie., Ih fide orthod.
I, 9. - « Primo et prindpaliter interior
mentis conceptasMrbtfmdldtar» ; Thom,
Aq,, Sum, theoL, I, 84, 1. Al. prendono
verbo nel smiso di parola, intendendo che
Caodagaida si rallegrasse di dò ohe ave-
va detto a Dante (BtUi, Land., Veli.,
Dan., Siane, WiUe, ecc.). Quetopa Dante
le sae proprie parole, o il sao concetto
intemo t
2. BPIOOHIO: spirito beato di Caoda-
gaida, io che, come in ano spacchio, d
riflette lo splendore ddla divina Inee;
cfir. Far. IX, 61. La Ica. spirto non ò
sostenata da autorità di oodd. - gusta-
va t pensando.
8. LO me : il mio concetto » io e» as-
sorto in ponderi. - il dolck oom l*acb»-
BO: Al. COL DOLCE L* ACERBO. li dùhe è la
promessa di fkuna imperita»; V acerbe il
vaticinio ddl* esigilo e di altre aventare.
« Compensans daloedinem glori» et ho-
noris, vel daloedinem vindiots (f) eom
acerbitate exilii et incommodoram qns
seqoantoT ad illad»; Bene,
5. MUTA PENSIBE: dal verso seg. ri-
salta che in qnesto momento Dante pen-
sava alla vendetta de' sad nemid, il ohe
era ana parte dell' aoerbot non già del
dolce,
6. DISGRAVA! alleggerisce, compeaiaa;
« Mea est altlo, et ego retriboam in tem-
pore»; Dmiter. XXXII, 85. Cfr. JBom.
XII, 18. Ebrei X, 80. « Beatrice diaaei
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LCIILO QUIKTO]
Pab. xyiu. 7-21 [DÀimB i bbatbicb] 875
10
18
16
10
Io mi rivolsi all'amoroso suono
Del mio conforto; e qnale io allor vidi
Negli occhi santi amor, qui l'abbandono;
Non perch'io pnr del mio parlar diffidi,
Ha per la mente che non paò reddire
Sopra sé tanto, s' Altri non la gnidi.
Tanto poss'io di quel ponto ridire:
Che, rimirando lei, lo mio affetto
Libero fa da ogni altro disire,
Fin che il Piacere etemo, che diretto
Baggiava in Beatrice, dal bel viso
Mi contentava col secondo aspetto.
Vincendo me col lame d'un sorriso,
EUa mi disse: < Volgiti ed ascolta;
Che non pur ne' miei occhi è Paradiso! »
8* elli ti fla fktto ingliutisU, io sono pres-
■o a Dio, il quale dirina ogni torto, dove
lo tarò tua aTTooata ; qaasi dioa : sempre
asrò teoo, e moatrerotti li divini giadioU,
e eoaterrotU in ogni passo. • Ott.
8. ooiTFOBTO: Beatrice. Corà chiamò
pure VirgiUo, Purg, III, 32 ; IX, 48, eco.
- K QUALI : 0 non mi proTO a descrivere
quale amore io vidi allora sfavillare negli
occhi di lei.
10. PUB: solamente. Non troverei pa-
role anfadenti a tanto, ed inoltre la me-
moria non può tornare a rappresentarsi
obbletto si trascendente, se non ò aio-
tata da speciale grazia celeste ; ofr. Far.
I. 6 e seg.; XXIU, 49 e seg.
11. MBifTE : memoria, come tante volte
altrove. - mbdduuc : tornar tanto indietro
da riprodarre in sé la immagine delle
cose vedute. « U solo ripensare cotesta
sormmana visione supera le forse natu-
rali»} Com,
12. ALTRI: Dio colla spedale sua gra*
ala; etr, Jnf. V, 81.
18. TAJITO : lat. UnUimn, tatUummodo;
solamente, questo solo ; cfr. Par, II, 67.
- DI QUIL PUXTO : di quel momento io
posso soltanto dir questo: che, mirando
Beatrioe, il mio affetto fa libero da ogni
altro desiderio prima nudrito. L'amor
celeste, spirante negli occhi di Beatrioe,
distrusse in me ogni desiderio di ven-
detta de' miei nemid.
15. LIBKBO FU : non ebbi altra cura fin-
ché il dirin Lume, ohe è il piacere etemo
dd beati spiriti, raggiando in Beatrice
direttamente, veniva per riflessione a ùx
contento e beato me che mirava negli
occhi di lei. Così i più. Sopra altre intoi^
pretadoni cfr. Oom. Lipt, III, 481 e seg.
17. DAL : Al. DKL : d tratta di moto di
riflesdone: dunque o dal, o delin senso
di dal, « Iddio dirinava li raggi sud in
Beatrice, e qndli poi da Id in me riflet-
teano, d che questo »econdo aspètto mi
contentava»; Ott.
18. 8RCONDO I riflesso! of^. Par. I, 49 e
seg. Barn menta la feconda betUua di
Beatrice, Purg. XXXI, 138.
19. TiNCSHDOt abbagliandomi. Gonfì*.
BeUi, Qiom. Aroad. XLVI, 132 e seg.
20. voLOiTf : a Cacciagoida, ed ascolta
dò obe egli ti dirà, ohò troverai un Pa-
radiso anche nel vedere altri beati.
21. NON FUB: non solo. « Quia non so-
lum in contemplatione theologife est fe-
lidtas et beatitudo, sed etiam in exero-
plis valentium virorum >; PotHU. Oaet.
Di versamento da tutti gli altri il Betti:
« PUB sta qui per ancora, B vuol dire : O
Danto, non esser cod preso de' mid ful-
gori, cbe tu trdasci di ragionare per al-
tro tompo con Caooiaguidai peroiocchò
ne' miei occhi non ò ancora la pienessa
della luce del Paradiso, la quale tu nel-
r Bmpireo vedrai » (t).
V. 22-61. L'albero eelette. Alle parole
di Beatrice, Danto si volge a Cacdaguida
e si accorge che egli deddera parlargli
ancora. U trisavolo gli nomina otto spi-
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876 [CULO QunrTO] Pab. xym. 22-35
[ÀLBKBO CXLBSn]
ss
26
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81
84
Come si vede qtii alcuna volta
L'affetto nella vista, s'ello è tanto,
Che da lai sia tutta P anima tolta;
Cosi nel fiammeggiar del fulgor santo,
A ch'io mi volsi, conobbi la voglia
In lui di ragionarmi ancora alquanto.
Ei cominciò: < In questa quinta soglia
Dell'albero, che vive della cima
E firutta sempre, e mai non perde foglia,
Spiriti son beati, che gih, prima
Che venissero al ciel, far di gran voce,
Si eh' ogni Musa ne sarebbe opima.
Però mira nei comi della croce:
Quel ch'io or nomerò, li farà l'atto
riti mAgni ohe nel mondo oombatterono
per oanM MUito, dne dell* «ntioo, sei del
nnoTo Pfttto. Nell'atto steeeo ohe son
nominati daCaociagnida, (€ rassegna bre-
TO e qoasi frettolosa nel ponto della bat-
taglia»} Tom.), i singoli spiriti si mno-
Tono dalle braccia della orooe luminosa
e discendono raggiando. . Dopo di che
r anima di Caociagnlda si mescola a loro
e si perde ne* vivissimi fulgori cantando
dolcemente inni di grazia.
22. QUI : in terra. « Caodagnlda mo-
stra oun fulgore pih vivo il soo desiderio
di parlare col Poeta, in quella gnlsa ohe
nn affetto grande, il qnale assorba ogni
potenza dell'anima, si palesa nel sem-
biante, e massime negli occhi»; L. Vent.,
Sima , 252. Cfr. Par. XIV, 19 e seg. Oonv.
m, 8.
24. tolta: assorbita, rapita.
25. FULGOR: Caodagolda; cfr. Par. X,
64; XXX. 82.
26. A CH* IO : Al. A CUI. < Qoando tutta
l'anima ò applicata ad esplorare ohe cosa
esprima 1* occhio di chi ci mira, legge in
esso occhio 1* intemo affetto, e similmen-
te guardando Dante il fiammeggiare di
Caociaguida, s'accorse che avea desiderio
di parlargli ancora»; Oom.
28. soGLLi: grado del Paradiso; ofr.JJ
PuTff. XXI. 69. Por. III. 82 ; XXX, 118 ;
XXXn, 18.
29. ALBBBOt « paragona il Paradiso ad
un albero, del quale ogni grado di beati
rta oome nn ordine di rami; ma con tre
dilferenae dagli alberi nortiri, i quali yl-
Tono delle radid, non fruttano sempre,
ed ogni anno ai sfkróndano »; ^ntfr. - vnn :
riceve la vita dalla dma, doè da Dio.
80. frutta: i suoi ftnUi, ohe sono le
anime elette, oresoono oonttnnamente, e
ninno mai se ne perde; efr. l%om. Aq.,
9um. theol. I, n, 6. 4. 8alm. I, 8. Bttck.
XLVII. 12. Apocal. XXII, 2.
81. GIÙ: al mondo, mentre rl-revano
vita mortale.
82. VOCB: funai ofr. Inf. VII, 98;
XXXIII, 86. Pìir^. XXVI, 121.
88. OPIMA: ricca, fbrtile; efr. Par. XXX,
111 . Darebbe soggetto degno d* alta poe-
sia ; ogni poeta ne avrebbe tiooa materia
di canto.
84. NKi CORNI : alle braccia della eroee ;
cfr. Par. XIV, 109.
86. QUKL ch'io or VOMRRÒ : Al . QUELLO
CH'IO NOMSRÒ; QUIL CH'IO TI KOMBSÒ. -
FARÀ: trasoorrerà per la croce oone ba-
lene per nube ; ofr. Stat., Thèb. I, 858.
« TL fhoco veloce di una nube, inoogntto
nella sua natura agli antiohl, è una aoa-
rica o una sointUlasione elettiìcai U quale
non sempre passa da nube a nube per ge-
nerare quel che didamo fòlgore o laotta,
ma nella nuvola stessa rimane, e a un
tratto la illumina. Questa immagine cam-
oorre coir altra assai somigliante. Par.
XV, 24: Ohe parve fuoco dUtro ad «lo-
battro, a indicare che in Marte le beate
Lnd non avevano parvensa distinta, ma
si mostravano incorporate nelle ai^len-
denti liste ddla grande Croce, in eoi vt-
ded dal Poeta lampeggiare Cristo. » Ami.
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[CISLO QUINTO]
Pàb. xyiii. 86-49 [albbbo celbstb] 877
87
40
48
46
49
Che fa in nube il suo fuoco veloce. »
Io vidi per la croce un lume tratto
Dal nomar GKosuè, oom'ei ai feo;
Né mi fu noto prima il dir che il fatto.
Ed al nome dell'alto Maccabeo,
Vidi muoversi un altro roteando ;
E letizia era forza del paleo.
Cosi per Carlo Magno e per Orlando
Due ne segui lo mio attento sguardo,
Com' occhio segue suo falcon volando.
Poscia trasse Guglielmo, e Rinoardo,
E il duca Gottifredi la mia vista
Per quella croce, e Roberto Guiscardo.
Indi, tra V altre luci mota e mista,
87. T1UTT0: mosso, spinto.
88. QI06UÈ: il saooessore di Mosè e
conquistatore dell» Tom promessa : ofr .
Purg. XX, 11 1. - OOM* u : appena ohe il
nominare si foce ; subito ohe Cacoiagaida
ebbe nominato Giosnè.
89. Hi MI FU : appena pronunciato qnel
nome, ridi il Inme trasoorrere per la cro-
ce. Udirlo nominare e yederlo Ai an pon-
to. - FBIlfA IL DIB: Al. IL DIB PBIMA.
40. ICaocabbo: Giada Maccabeo, l'eroe
ebreo ohe Uberò il soo popolo dalla tiran-
nide di Antioco BpifSMie, re di Siriai ofr.
I Màehàb. IH e seg.
41. VW ALTBO : lame. - boteàhdo : voi*
gendoei in giro.
42. PKBZA: afema, stimolo ; cfr. Purg,
XIII, 89. Letida era a quello spirito ciò
ohe la afersa è al paleo, cioè cagione del
roteare. -FALBO! strumento col quale
gioooano i fknoiuUi finendolo girare con
una sfersa, già detto anche Fi^re ; cfr.
Virg., Aen. VII, 378 e seg.
43. Cablo Magno : il restauratore del-
l'impero oooldentale e liberatore della
Chiesa ; ofr. I^f. XXXI. 17. Par, VI. 98.
- Oblahdo: paladino di Carlo Magno;
efr. JV- XXXI. 18.
44. DUB: lumi.
45. oom' occhio : oome r occhio del Cal-
coniere segue il folcono che Tola; oonfr.
Virg., Aen. VI, 200. ArUft., Ori, XLUI,
94.- voLAHDO! Tolanto} il gerundio per
il partio. pres., oome nel 1^ Son. della
Titta N.: « Madonna, involta in un drap-
po, dormendo. » Cfr. W, XXXT, 14.
40. GuoLiBLHO: duoa d'Orango, m.
monaco a Gellone noli' 812, eroe dei ro-
manci francesi del medio evo; cfr. Ad,
Sanot, Maii, VI. 798 e seg. HUt. liLdela
Franee, XXII, 485 e seg. - Binoabdo :
Bainouart, che milito sotto Guglielmo
d* Grange e morì in un chiostro, altro
eroe dei romansi francesi del medio evo;
ofr. Hi4t lU délaFranoe, XXII, 638 e seg.
47. GOTTIFBBDI: Goffredo di Boulllon,
il duce della prima crociato e primo re
cristiano di Gerusalemme, m. nel 1100.
Cfr. Konniér, Qod^r. de BouU. elleeae-
Heee de Jirueaìem., Par., 1874. VétauU
Qodtifr, de BouU,, Tonrs. 1874. Froboeee,
Got^fr, V. BouU., Beri., 1879.
48. ROBBBTO GuiscABDO : figlio di Tan-
credi d'Hantoville, cavaliere normanno.
Andò nel 1046 a raggiungere i suoi fra-
telli in Italia, e quindi per U suo valore
e la sua aocortezsa fh fàtU> duoa di Pu-
glia e di Calabria, donde scacciò 1 Sa-
raceni. In seguito s* impadroni pure di
Benevento e di Salerno, prese Corfh,
vinse Alessio Comneno. e mori a Saler-
no nel 1085. Cfr. De BUuiie, La ineur-
rezione Pugliete e la conquitta Norman-
na, 8 voi., Nap., 1874. Vigo, D. èia Si-
eUia, 13 e seg. Inf. XXVIU, 14.
49. MOTA: mossa, allontanatasi da me.
« Indi l'anima splendente di Caodaguida,
che fin allora mi aveva parlato, moesad
e riunitasi all'altre sue compagne, mi di-
mostrò quale artista ella fbsse tra 1 can-
tori del dolo; perdocohè ricominciò a
cantare»; Ooeta,
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878 [CIELO SISTO]
Pàb. xtiii. 50-67
[SALITA]
52
55
58
61
61
67
Mostrommi l'alma che m'avea parlato,
Qual era tra' cantor del cielo artista.
Io mi rivolsi dal mio destro lato
Per vedere in Beatrice il mio dovere,
0 per parlare o per atto segnato ;
E vidi le sne luci tanto mere.
Tanto gioconde, cbe la sua sembianza
Vinceva gli altri e F ultimo solere.
E come, per sentir più dilettanza,
Bene operando, l'uom di giorno in giorno
S'accorge che la sua virtnte avanza;
Si m'accors'io ohe il mio girare intomo
Gol cielo insieme avea crescinto l'arco,
Yeggendo qnel miracolo più adomo.
E qual è il trasmutare in picciol varco
Di tempo in bianca donna, quando il volto
Suo si discarchi di vergogna il carco ;
Tal fu negli occhi miei, quando fui vòlto,
61. ARTISTA: eooellente.
V. 52-69. Salita al eMo di Giùtfe.
Dftnte si rivolge a Beatrice, per vedere
se, o oon una parola, o con un cenno, ella
gU indichi ciò ch'egli debba foro. La
vede Citta più bella, pih raggiante, pih
gioconda. Con essa ò trasferito in on
attimo nel sesto cielo, ohe ò qoello di
Giove, dove appariscono gli spiriti beati
dei principi saggi e giosti.
52. DE8TB0: dove era Beatrice.
53. DOVBBX: ciò che io dovessi (hre.
54. PIB PABLABE: Al. PSB PAROLE.-
ATTO: cenno.
55. LUCI : occhi. - MIRE : serene, pure.
57. vmcEVA OLI ALTRI : solcrf : Taspot-
to di Beatrice s' era fatto più fùlgido che
non fossero stati gli altri aspetti col qoali
crasi fln qni mostrata, compreso 1* ulti*
mo, fiilgidisslmo, ricordiate v. 7 e seg., e
che il Poeta s* ò confessato incapice di
descrivere. -SOLERE: ò qni sostantivo e
valet il solito, Toso; cfr. Purg. XZVII,90.
58. PER SENTIR: « l'amore della vlrth
produce il diletto e 1* accrescimento del
diletto è prova di aumentata virtù.
SimiHtodine degna veramente del délo. •
L. Vtnt., BimU. 259, dove si cita Par.
XXXIII, 91 e seg.
63. ORBBOiuTO: salendo oresoe la oir-
^Qferensa de' deli, oontenatl, secondo
il sistema di Tolomeo, 1* nno entro l'sl-
tro, l'inferiore entro il soperiore ; quindi
Dante, che Insieme coi deli d gira, viene
a descrivere nn arco maggiore.
63. MIRACOLO : Beatrice, < noovo mira-
colo gentile »; VU, IT., § 21, son. 11. -più
ADORHO : Al. sl ADORNO. « Ifanifisslom
indioinm ascensionis Beatrids ad altio-
rem speram erat quando fiebat Inddior > ;
Bétw,
64. E QUAL: « come si vede donna, di
rossa, tornar bianca in viso ; ood da Mar-
te passando a Giove, io vidi nnalnce csa-
dida»; Tom. Dicendoli Poeta che « Marte
appare affocato di colore » e ohe Giove
« intra tatto le stdle bianca d mostra,
quasi argentata » (Cfonv. II, 14), vuole
qni acoennare fi rapido trasmutamente
dd colore del dolo nel passaggio dall'una
all' altra sfera, operato in d piccolo spa-
sio di tempo, in quanto una donna, dive-
nuta rossa in volto per subita vergogna,
riprende il suo naturai colorito Manco.
Ctt. Ovid., Mét. VI, 46 e seg.
66. SI DISOARCHI : Al. SI DISCABCA.
67. FU: non Beatrice (TenL, Lwmh.,
Pari., Oom., ecc.), ma : tal fb il tramo-
tard delia mia vista. « Tal fa. negli ocehi
mid il trasmutare, quale è nella biancs
donna, come è detto di sopra; imperò
che oome io vedeva prima ICaite n^
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[OIILO SESTO]
PàB. XYIII. 68-77 [LKTTIBI MISTIB.] 879
70
78
76
Per Io oandor della temprata stella
Sesta, che dentro a sé m' ayea rìcolto.
Io vidi in quella giovial facella
Lo sfavillar dell'amor che li era,
Segnare agli occhi miei nostra favella ;
E come augelli surti di riviera,
Quasi congratulando a lor pasture,
Fanno di sé or tonda, or altra schiera;
Si dentro ai lumi sante creature
Volitando cantavano, e faciensi
oondo; ooél tosto vidd' io loye bUnoo, e
speui »{ ButL-qvÀXDO rui : AL quan-
do fv, ohe Uaognftva ìtggtm ^vando fu\
68. TKMPRATA : «11 delo di GloTO li può
oomp«nre allA Gteometria per dae pro-
prietà: l*iiii« si è, ohe mooTe tm due
eieli repngiuaiti ali» saa bnona tempo-
nuua, •iooome quello di Marte e qaello di
Saturno. OndeTolommeo dice nello alle-
gatoHbro, eheOioTeèetelladi temperata
oompleoafone, in meno della flreddara di
Satimio e del calore di Marte. L' altra ai
è, ohe intra tutte le stelle bianca si mo*
stoa, qnast argentata. » Conio, II, 14; ofr.
Par, XXIIp 146 e seg.
V. 70-M. XsMare misferlose. Appa-
rlseono le anime beate di ooloro cbe in
terra amministrarono dirittamente la
giostlaia. Sono anoh'esse rinohiose in
altrettanti splendidissimi lami ohe spar-
gendo melodioai canti e girando all'in-
torno, eompongono in Inminose lettere
fai sentensa: DILIOITE lUSTITIAK
QUI IUDI0ATI8 TSBRAM, la qaal
sentensa inneggia qneUa Tirth ohe «or-
dina noi ad amare ed operare dirittura
in tutte ooae » (Ome. IV, 17) ed ò la Tirth
pHi amabile nell'nomo (Obnv. I, 12).
70. OIOYIAL: di Qiore, ohe < ò benivolo
e bene temperato nelle sue qnalitadi }
onde gli antlòhi dissero, ohe la cagione
della fbUcitade era nel circolo di Giove »;
Ott.; ondelA ▼eoe gioviale yenne a signtfl-
eare KfCo, «lUayro. -VAGELLA t Umo, astro ;
cfr. Purg, Vm, 89.
71. LO SVAVILLAB : gli Spiriti beati, sfli-
TiUanti di oarità oeleste.
72. BVOHAKS: rappresentare agli occhi
miei le lettere del nostroaltebeto. € Quelle
anime nellA spera di Giove cantando ù^
esano flgamiioni di lettere che diceano :
DILieiTB lUSXITIAM, QUI lUDI-
0ATI8 TBRBAMt, Sicchò prima fisoea-
no D, poi, I, poi L, poi I, appresso G,
poi I, poi T, poi S; e cosi di qui alla
fine; e qnetavansi ad ogni parola; e
cosi disoriveano le sillabe, e le disioni
della sopradetta orasione in latina Un-
gna. » 00.
78. AUQKLU: «gm, ceceri, e simili »;
Land, SVKTI : levatisi dalla riva di nn
fiume dove si dissetarono, come quelle
anime erano dissetate « nel fonte delle
eteme deUsle > ; L, Vént., SimU., 442. -
BIVIKBA: fiume ; Jf^. XII, 47. Purg,
XTV, 26 ; XXVIII. 47. Par, XXX, 61 ;
oppure: Biva di fiume; Jf\f, III, 78.
74. CORQRATULAKDO : « fbceuti festa
del pasto trovato: cosi i beati godevano
del rinvenuto modo di palesare il loro
giocondo affetto, quasi cibo per essi di
vita oeleete »; L, Yent., 1. e.
76. OB altra: al ob lunga. Confr.
jroor«, OrH,, 466 e seg. Quegli spiriti
non fermavano soltanto figure tondo e
lunghi t ma € cinque volte sette vocali e
consonanti» (v. 88 e seg.); dunque figure
tonde, lunghe ed aUro. « Et vari» volu-
cres, letantia qua» loca aquarum Conee-
lebrant droum ripas fontesque lacusque,
Bt qnie pervolgant, nemora avia pervoli-
tantes: Horum unum quodvis generatim
sumere porge: Invenies tamen ioterse
differre figuris •; Lwret., Ber. noi, II,
844 e seg. Cfr. Luean., Phar$, V, 711 e
seg. BucéUai, Api, 041 e seg. L. Yent.,
luogo cit.
76. CBKATUBB: anime beate, amman-
tate dei singoli lumi.
77. VOLITANDO: volando in qua e in
là. - FAC1KN8I : SÌ fscovano; cfr. Non-
nue., Yerbi, 140 e seg., 614 e seg. SI
disponevano in modo da fermare lettere
"«eiraUkbeto. ^ ,
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880 [CISLO SESTO] PAB. XYIII. 78-94 [LBTTEBK MI8TIEI08I]
79
82
85
91
9i
Or 2>, or 2, or L, in sue figure.
Prima cantando a sua nota moviensi;
Poi, diventando l' un di questi segni.
Un poco s' arrestavano e taciensi.
0 diva Pegasea, che gl'ingegni
Fai gloriosi, e rendigli longevi,
Ed essi teco le cittadi e i regni,
niastrami di te si, ch'io rilevi
Le lor figure com'io l'ho concette:
Paia tua possa in questi versi brevi !
Mostrarsi dunque in cinque volte sette
Vocali e consonanti; ed io notai
Le parti si, come mi parver dette.
" DILIQITE lUSTITIAM,, primai
Fur verbo e nome di tutto il dipinto ;
" QUI lUDICATIS TERRAM,, fur sezxaL
Poscia nell' if del vocabolo quinto
78. OB A OB lì primft Ikoeaad oda 2>,
poi un» I» poi ana L, poi di mano in
nuMio tatto le altre lettore delle quali ai
compone la sentensa: DILIQITB ITT-
STITIAM, QUI lUDIOATTS TBR-
RAM, sentonsa ooUa qaale eeordisoe il
libro della Sapietua, I, 1.
79. FBOfA : o^ Tolta prima di ibrmare
nna lettera dell* allkbeto. - ▲ sua mota :
secondo la nota del canto; cfr. Purg»
XXXI, 182. Par, VII» 4. «Conformaye-
ront motom snnm cantai, ita qaod yerba
qa» dicebant cantando, soribebant vo-
lando, formando flgnras litoraram, qn»
componebant illa verba, sdlicet DiUgite,
etc »; Benv.
80. DxvxHTAiTDO : avendo figurata una
delle detto lettore, si fermavano on mo-
mento e sospendevano il canto, per lasciar
tompo di vedere la lettora figurata.
82. DIVA: divina, oelesto; confr. Par,
IV, 118; XXIV, 23. * PlOASBA: Mosa.
Tatto e nove le Mase si chiamano Pega-
see. 0 invoca la Mass in genere (Benv.,
Land,, Tom,, ecc.), oppnre Calliope, già
invocata Pwrg, I, 9. (Veìl, Dan,,Yol,,
VetU., Lomb,, Biag,, Oe»., Br, B.,Frat.,
Qreg.f Benna:, Oom., FUoL, Blane,
WUU, ecc.), o Urania, essa pare già in-
vocata {Purg, XXIX. il), la quale è ap-
punto diva, oelesto {Andr., ecc.).
88. BSTDiGU: 11 rendi di lunga (kma;
i*uiy. XXI, 86. ♦
84. BD BBSI : e gli Ingegni col tuo alato
etemano la fiuna delle città e d«i regni.
85. iLLUSTBAMi: risohlammi col tao
lume. * BiLEVi : rappresenti, mostri oosae
in rilievo.
86. LOB : delle anime beate.- ooxobttb:
concepito nella mia mento.
87. PAIA: apparisca, si mostri; efr.
Jt\f. II, 9. - BBKVi : « par che senta ooom
i numeri italiani siano ineguali a quelU
del verso antico »; Tom.
88. M08TBÌBSI: si composero danqoe
quelle tanU ereaturo in cinque volto sette
tra vocali e consonanti, cioè soooeesiva-
mento in trentaoinque lettere, quante
appunto sono nella sentensa: DILIQI-
TB lUSTITIAM, QUI IUDI0ATI8
TERRAMi ed io notai questo trenta-
cinque lettere l'una dopo l'altra, nel-
r ordine medesimo nel quale mi ai mo-
strarono.
90. LB PABTi : prima le singole lettere,
poi le sillabe, poi le parole. - pabvbb : si
mostrarono espresse con le figure. « 8e-
oundum quod formabantur in ore iOorum
canentium, et figurabantur in mota Illa-
rum avium voliuitium »; Bmv.
91. PBIMAI : primi di tutto il dipinto
furono verbo e nome DILIQITE lU-
STITIAM t teuai, doè ultimi, ftuoso
QUI lUDIOATia TS&BAM,
94. Quurro : TBBBAM, che è la quinto
ed ultima parola.
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[CIBLO 8B8T0]
PAB. XVIII. 95-105 [AQUILA IMPBB.] 881
97
100
103
Rimasero ordinate; si che Giove
Pareva argento li d'oro distinto.
E vidi scendere altre Inci dove
Era il colmo dell' 3f, e li quetarsi
Cantando, credo, il Ben eh' a so le muove.
Poi, come nel percoter dei ciocchi arsi
Sorgono innnmerabili faville,
Onde gli stolti sogliono augurarsi ;
Bisurger parver quindi più di mille
Loci e salir, qual assai e qual poco,
Si come il Sol che le accende, sortille ;
90. Diemnot fregimto d'oro In tutto
il laofo prato dAlU dett* flgara di if.
Giore or» bianco ; le anime flammea
gianti. « Quale manna addont ebori de-
ona ant obi flaro Argentum Parinsre
lapia eiroamdatnr anro »; Virg., Aen. I,
593 e aeg.
97. acsNDKBB: dall'Empireo. «Per que-
sta flxlone allegorloamente dà ad inten-
dere ohe qneeto Jf del Tooabolo quinto
signiflca lo mondo, e però lo figura per
la lettera Jf, perchè è la prima lettera
ohe abbia questo nome mondo, e però lo
pilUa dal quinto Tooabulo, doè terram,
e non dal secondo, ohe è itutUiam, ohe
anco T* è VM, perchè la terra è lo mondo
de! quale elll intende. B per questo, ohe
finge che rimaseno in questa figura de
l'Jf, dà ad intendere che questi beati
spiriti da lui raduti, e rappresentati qui-
ne Infine a qui, erano li minori offloiaU
e le peraone singnlari e private che erano
ralnte nel mondo nelll atti e nell'amore
deO* instlala. B per quelli altri beati spi-
riti, ohe finge che Todesse scendere poi
sopra lo colmo dell' Jf e Ave gilli a modo
d'ima corona, inteseli regi e l'imperadori
nel mondo, ohe sono stati ntà mondo sopra
li altri e gOTematoli oo la Ìustizla.>Bti«.
Goal pure Land,, VetL, ecc.
99. CBIDO : aflbrmaaione, non dubbio,
- IL Boi : Dio che le muore ed eodta a
segidre lui. Cosi i più {BfM,Land.,V€ll.,
Dan., eoo.). « Landantes dlrinam lusti-
tiam qme dirigi! eas in contemplationem
sui • ; Benw.
V. 100-lU. I/aquila in^poHale. Mo-
Toodosl con grande rapidità ed accomo-
dandooi a nnoTC oombinasloni, gU spiriti
formano insieme la figura d' un'aquila,
simbolo deUaginstisia dell' impero; forse
06. ~ Jhp, Oomm,, 4* odia.
a significare, non potersi altrove dar gin-
stiaia tra gli uomini se non sanno cer-
carla nel sistema della monarchia uni-
versale. Ofr. su questi versi : JfieàWon-
ffélo Oaetani, Prop, di una più prooi^a
dichiarai, intomo ad un patto della
D. O. Boma, 1852, ristampato in Tre
ehiote alla D. O., ibid., 1876. 69eseg.,
neUa Div. Oom., ed. Pattigli, 1852. 742 e
seg. e nel Oom, Lipt. m, 494 e seg.
Inoltre cfr. Land, Sopra alcuni parti-
eolari dMa Dantetea Vitiont nella tftira
di Giove, Boma. 1867.
100. CIOCCHI : tlssonl, ceppi da ardere ;
ofr. Diet, W9rt. 1*. 128. - abbi : « meglio
che ardenti o aceeti, perchè esprime con-
sumati già in gran parte dal tacco; onde
sprigionano, percossi, maggior copia di
&viUe>; L. Vent., Sima., 75.
102. AUOUBABSI: Al.AOUBABBI. «MolU
stolti, stando presso al tacco, e' fregano
in sull'arso degli ciocchi, per la qual fri-
oazione appailo molte faville, ed egli
s'augurano dicendo: Cotanti agneUi, eo-
tanti poreetti, eotantijlorini d'oro, e co^
si passano tempo » ; An, Fior, e Ltm. -
« Non ohe dicano voler aver secohlni
d'oro come fkviUe, che non è poi gran
stolteasa, ma, secondo il modo e la di-
resione di queste, seoondo i loro movi-
menti ftmno proncstloi»; JSotMàetti.
108. PABVKB : Al. PABVB. - QUUIDI : dal
colmo dell' Jf. Si osservi ohe Dante in-
tende di un' Jf gotica, cernie si scriveva
al suo tempo.
104. QUAL ABBAI ■ QUAL POCO: AL
QUAU ABBAI ■ QUAI POCO; -0« -ait
105. BÌ COMB ! « secondo il maggiore o
minor caldo d'amore, di che piace a Dio
d'infiammarie »; Betti. - Sol: Dio; ofr.
Pwg. VII, 26. Par, IX, 8^, 58, - SOB-
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882 [GiBLO SESTO] Pàb. xvm. 106-117 [àquila impebule]
106
109
112
115
E qi^etata oiasoona in suo loco,
La testa e il collo d'on'aqaìla vidi
Rappresentare a quel distinto foco.
Qnei che dipinge 11, non ha chi il guidi ;
Ma esso guida, e da lui si rammenta
Quella virtù ch'ò forma per li nidi.
L' altra beatitudo, che contenta
Pareva in prima d'ingigliarsi all'ilf
Con poco moto seguitò la impronta.
0 dolce stella, quali e quante gemme
Mi dimostrare che nostra giustizia
Effetto sia del ciel che tu ingemme !
tHiLB t le destinò » ptti o meno di glori»,
■eoondo i loro ineriti ; cfr. Fa/r. XI, 109 \
XX, 81-86. « Vnol significare che non
sono le loci ohe di loro consiglio si di-
spongono in flgnr» di aqniU imperlsle,
ma è Dio ohe le determina » (t) ; Oom,
Meglio forse : le one formarono gli occhi,
le altre il capo, altre il oollo, ecc., del-
l'aquila, secondo il grado di gloria loro
destinato da Dio.
106. quIrtata: e quando dasonna di
quelle lad si fti fermata al sao posto.
107. AQUILA: « l' nocol di Giove »;Ptiry.
XXXIT, 112, simbolo della ginstìsia im-
periale. - « Antor flngit snbtlliter qnod
molte anime instoram regom et recto-
mm hio oonstitnont nnnm corpos aqnil»,
per hoc flgnraliter ostendens qnod omnia
regna mundi de lare depend^it a roma-
no, in qno maxime yignlt iostitia, nt
probarl potest mnltipUoiter, et omnes
reges sont snbieoti romano principi, siont
diyersa membra homana ani capiti » ;
108. A QUiEL : da tatto quelle luci, il cui
Igneo folgore si distingueva dall'argen-
tea bÌan<£eBxa del pianeta ; cflr. r. 96.
109. Quo: Dio.-DimfGB: l'aquila nel
pianeta di Giove è una figura dipiota da
Dio, il quale nel figurare non imita la
natura, come devono foro gli umani di-
pintori, poiohò ansi la natura imita Lui,
. rioonosceodo da Lui quella informativa
virtù, mediante la quale essa modella
quaggiù ogni cosa. Cfr. If\f. XI, 09 e seg.
110. SI RAHMBNTA : SÌ riconosce ; qui
forse per deriva, come suppose il Btanc,
111. FOBMA: qui nel senso scolastico»
natura, eesensa. ^ nidi : nei quaU gli ani-
ali esplioano la loro virtù creativa. I
più prendono nidi nel senso proprio, altri
figuratamente per i dèli, Cfr. su questo
verso e le sue diverse interpretaaioni
Oom, lApt. m, 408 e seg. Oom,: « La
divina virtù è quella òhe determina gU
uccelletti a fore i loro nidi. » - SttUt « Pas-
so difflaÌlissiroo.Io però lo spiego eoA : Ma
esso guida ; ed è tanto vero, ohe da lui,
solo da lui si rammenta agli animali la
stupenda virtù, ohe li maove a dar quelle
tali forme, A belle e idonee, a* loro nidi.
Bssi in fotti non hanno altronde impa-
rato queir architettura, ohe dalla provi-
densa divina. »
112. BEATITUDO: le altre anime beate.
BeaHtudù alla latina, oome la ^ìe«e»tA
per i giùtani,
118. IKOIOLIABSI : foro un giglio aull* Jf
gotica, compiendo oon pooo movimento
la impronta, improntaci. Por. VH, 69),
la figura dell* aquila.
V. 1 16-186.^9ar<eiai>apale.L*aBpet-
to deiraquila celeste risveglia nella niente
del Poeta l' idea della monarchia univer-
sale, nella quale soltanto può fiorire la
giustlsia, poiché < iustitia potissima est
sdum sub Monarchia »; De Jfon, I, IL
Invoca quindi la benefica influensa di
Giove sulla terra e 1* intercessione dei
giusti beatificati nel sesto Cielo, e con-
chiude con un'acerbissima invettiva con-
tro il papa, biasimandone la smodata
avarizia e l'abuso di quel potere che più
lo dorrebbe far circospetto e temuto nel
seggio di Pietro.
115. STELLAI Giove; ol^. Far. n, 80.
-GEMME: anime beate e riluoentt; ofr.
Par, XV, 22. 85.
116. NOSTRA: terrestre.
117. ncoEMMB! Ingemmi. « Odoloe steQa
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[CIELO SESTO]
PAB. IVIIT. 118-181 [ÀYABIZIÀ PAPALE] 883
118
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131
127
180
Per ch'io prego la Mente in che s'inizia
Tao moto e tna virtate, che rimiri
Ond'esce il fammo che il tuo raggio vizia;
Si eh' un'altra fiata ornai s' adiri
Del comperare e vender dentro al tempio,
Che si mnrò di sangue e di martiri.
0 milizia del ciel, cu' io contemplo,
Adora per color che sono in terra
Tutti sviati dietro al malo esemplo !
Oià si solca con le spade far guerra;
Ma or si fa togliendo or qui, or quivi
Lo pan che il pio Padre a nessun serra.
Ma tu, che sol per cancellare scrivi.
Pensa che Pietro e Paolo, che morirò
di Giore, quali e quante anime attuate in
qoeUa flgnra dell' agngUa ohe di sé fecero,
ed in qneUo reno DUigiU, eco , mi di-
moetrarono ohe la giostisia ohe tra li
mortali li & per li rettori, aia effetto
delta ina infloénsa I » Ott .
118. LA Mum: Dio che ti dà moto e
▼irtù d'influire in terra gioetìsia; cfr.
Par. XIX. 54 e aeg.i XXVU. 109 e aeg.
119. RIMISI: «0 iam miaerae reepioe
terraa Qaieqait remm fodera neoUa »;
Bo&t,, Q»n$. phil. I, metr. 6.
120. OHDK: dalla Corte di Roma; cfr.
JV: XIX, 104 e seg. Furg. XVI. 97 e
aeg. - BAOOio : la gioatiEia che tn infloi-
•ci. - TIZIA: offbaoa, gnaata.
121. al CBB: di modo che Cristo, il
quale ai adirò già oootro coloro ohe mer-
oanteggiaTano nel tempio del Signore
<efr. MtM. XXI, 12 e eeg. Qiov, II, 14
e aeg.), li adiri nn' altra volta contro i
rinnoratori di tal mercato nella sna
Chiesa, stahilita con miracoli e col san-
goe Suo e dei martiri.
122. TBMPLO: tempio; qni— la Chiesa;
efr. J^M. II, 21. Tftom. Aq., Bum, théoL
I. n, 102, 4.
123.01 MUSÒ: fta ediflcatA. - di sanoub :
del sangne di Cristo. « Qnam [Ecclesiam]
acqnisiTit sangainesno »; Arf .XX. 28. Al.
di sBOin; cfr. Oom. IÀp%. III, 601 e seg.
Uoor; Orti,, 407 e seg.
124. milizia: anime sante e heate del
eielo a Oiore; ofr. Pufy. XXXII, 22.
Twr. XXX, 43 ; XXXI, 2. - comtkmpu) :
Teggo colla mente.
125. AOOBA: Ora, prega; cfr. Fwg.Y, 71.
120. tutti sviati : « Omnes declinave«
mnt»; Jtom. IH, 12.- esemplo: dei pa-
stori e prelati della Chiesa; ofr. Pwg,
XVI, 100 e aeg.
128. OB qui, OB quivi : Al. OB QUINDI,
OB QUIVI: or ad nno, ora ad on altro. B
dice che la guerra, non colle armi, ma
colle soomoniche e cogli interdetti, si fa
ora qoi, ora D, per indicare che 1 papi
e i loro prelati cercavano in ogni tempo
e laogo occasioni di guadagno.
129. LO PAM: il pane spiritaàle, la gra-
sia, che il Padre celeste non nega a nee-
sano, ma aocorda a chionqoe la cerca;
cfr. Purg. Ili, 122 e aeg.
180.TU: apostrofa papaOlovanniXXII,
il Oaortino (18ie-138i). schiavo di Mam-
mona (cfr. e. FtU.XI. 20). il coi pontificato
fri nna serie si pnò dire non interrotta di
soomonioasionl e rioomnnicasioni ; cfr.
YiU. IX. 109. 141. 144, 171, 227. 240, 204,
278, 811 ; X. 80. 78, 184, ecc. Altri inten-
dono dei chierici, o dei papi in generale.
Ma è chiaro che Dante parla di nn per^
sonaggio determinato. Altri intendono
di BooiAiiio Vili o di Clemente V;
ma ambedue erano morti da un pezzo,
qnandoDantedettavaquestiveni.erepo-
ca fitUsia della visione non ha qui che
vedere. Cfr. Oom, Lipt, III, 603 e seg.-
BCBivi : censure, scomuniche, bolle ed al-
tri decreti di questo genere.
181. PiBTBO E Paolo: Al. b Paol: b
Paulo ; cfr. Moore, Orit., 470 e seg. Nel
V. 180 il Pueatore e Polo. Al papa avaro,
il quale non si cura che del fiorino d'oro,
Dante pone in bocca nomi che manlfl»-
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884 [CIELO 8SST0] PAB.xyiii. 182-136 -XIX. 1-2 [aquila pàblàvtb]
138
180
Per la vigna ohe gaasti, anoor son vivi.
Ben puoi ta dire: « l' ho fermo il disiro
SI a oolni ohe volle viver solo,
E che per salti fu tratto al martire,
Ch'io non oonosco il Pescator nò Polo » !
stano Ift poca stfma in ohe hm gli apostoli
di Cristo, rioordandogli ohe anoor ton
viti e ohe a PsMOtor» è Pietro od H Polo
ò Paolo, Ironia resa più fina da questa
Tarietà di nomi.
182. VIGNA: la Chiosai oh. Par, XII,
80. Itaia, III, 14. - vivi: « qnaal dioa:
olii ti rimoneranno di tao opere, pei^
oh'elli vivono, doè possono»; OU.
183. DIRK; ridendotela delle mlnacoe e
boriandoti di Pietro e di Paolo. - fbbmo :
io sono tanto assorto nel vagheggiare
8. Giovanni Battista, effigiato in an i fio-
rini d*oro, ohe non oonosoo pili né San
Pietro né San Paolo. Acerbissima ironia.
184. COLUI : Giovanni Battista. - bolo :
nel diserto ; «Brat in desertis»] Lmco,
I, 80. Qqì— il fiorino d'oro.
185. PBB SALTI : in premio del baDo
della figlinola di Xrodiade ; cfr. Jfott.
XIV, 1-12. Marco, VI, 31-28.
180. IL Pescatob: San Pietro t oonfr.
Purg, XXII, 68. - Polo : San Paolo apo-
stolo.
CANTO DECIMONONO
CIELO SESTO O DI GIOVE : PBINCIPI SAGGI E GIUSTI
l'aquila PARLANTE, NECESSITÀ DELLA FEDE
IMPERSCRUTABILITÀ DELLA DIVINA GIUSTIZIA
LA FEDE E LE OPERE
Parea dinanzi a me con l'ali aperte
La bella image, che nel dolce fmi
V. 1-21. ri Unffuaggto délV aquila
eelesto. Con le ali aperto si mostra al
Poeta la bellaimmaginedell* aquila, in eoi
erano conserto tonto anime, lieto nd doloe
godimento della visione di Dio. Ciasonna
di qnelle anime sembra nn mbino òhe
rifletto 1 raggi del sole. L' immagine oo-
minola a parlare ; e nn solo suono esce di
molti amori, come nn sol calore d Cs sen-
tire di molto brago. Neirnnltà del santo
^gno. la plaralità di anime parla il Un-
leggio deU'nnità. Parlano migUaia di
spiriti beati : ma la fkvella ò una, una la
voce: « Io ottenni la gloria per opere di
pietà e di ginstiaia, virtù ohe si ammirano
l>enal in terra, ma non vi si segoono più,
nò più vi si prendono ad esempio. » Cosi
parlano le anime lucenti ohe formano
Taquila, come se fossero una sola per-
sona.
1. pjjiBA.: appariva, si mostrava. >
L'AU: Al. L*AIS.
2. IMAGE; immagine; oA'.Pttf^.XXV,
26. Par, U, 183j XHT, 2. - VBUit fimi-
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[CULO 8B9T0]
PàB. Xn. 8-21 [AQUILA PABLANTB] 885
10
16
19
Liete faoevan l'anime conBerte.
Parea ciasoona rubinetto, in oiii
Raggio di sole ardesse si acceso,
Che nei miei occhi rinfrangesse lai.
E quel che mi convien ritrar testeso,
Non portò voce mai, né scrisse inchiostro,
Né fu per fantasia giammai compreso ;
Ch'io vidi ed anche ndii parlar lo rostro,
E sonar nella voce ed " io „ e " mio „ ,
Qnand' era nel concetto ^' noi „ e " nostro „ .
E cominciò : « Per esser giusto e pio
Son io qni esaltato a quella gloria.
Che non si lascia vincere a disio ;
Ed in terra lasciai la mia memoria
Si fatta, che le genti li malvage
Commendan lei, ma non segoon la storia. »
Cosi un sol calor di molte brage
Si fa sentir, come di molti amori
Usciva solo on snon di quella imago.
stono. Frui è influito l«t., QMto come so-
•teotiTO. «QaodestsimpUdtorallImniD,
tal quo allquia d«lectatar stont in ultimo
fine, hoc proprie òìcAtnT fruetuè, et eo
proprie dioitiir alIqulB fnd »; Tkom, Aq.,
Amm. theoL I, li, 11, 8.
t. FACKTur: « qaestft ftqollA feoevano
gli «piriti comerti, eioè oonneaai e oon-
gionti 1* mio all' altro •; Land, Al. fa-
ceva. Cfr. Borghini, 8tud„ ed. eigU, 279.
Orni. L4p9, ni, 606 e aeg.
4. PABBA t oiMonn» di qnelle anime ftil-
gidiaaime, elie fbrmayano l' aqnlla, aem-
brsm mbino ohe, aooogliendo on raggio
■oltfe, lo riflettetoe negli ooclii miei. « Lo-
men eios simile lapidi protiooo tamqnam
lapidi inspidis aioat eiystallom »} ApocttL
ZXI, 11. Gfr. Oonv. ni, 7.
7. TB8TI80 : teatè, OTO; ofr. Purg, XXI,
118. IMm, WdrU IP, 74.
8. povi^: ad oreoohlo amano. «Qaod
oeoloa non Tidit neo noria andlTlt neo
in eor hominia aaoendit»; I Cor, II, 9.
Cfr. /V. XXV, 94 e aeg.; XXVIU, 118
e aeg.
10. LO BOSTBO: il beeoo dell' aqniln.
«Vidi et aodiTi Tooom nntna aqoil»
Tolantia per mediom ecalum »; Apoóal.
vni, M.
li. IO: erano moM ohe parlnrano, mn
si adiva ana soln Tooe che parlnra in
prima persona aingolaro.
18. HiL OOHOBTTO: nno il parUro, di
molti il sentimento.
14. A QUBLLA: Al. A QUBBTA.
15. vniCBBB: guadagnare. Sono esal-
tato a quelle gloria ohe ool solo desiderio
neesono poò oonsegoire ; oflr. MaU» Vn,
31; XI, 18. II Tim. n, 5. Par. XX, 94
e seg. Così Peraitlni, DUm., Parenti,
Ooita, FUal,, eoo. I plh preodono inveoe
vincere nel senso di itq>€rar$ e spiegano :
Giostisla e misericordia mi hanno esal-
tato a qaell* gloria ohe supera ogni de-
aiderio.Ckwl J^on.^An. Fior., Bmv., Buti,
Land., Teli., Dan., VoL, Vent., Lomb.,
e giù gih sino al Cam, La prima Inter*
pretaaiooe è confermata dal t. 106 e seg.
di questo canto. Cfr. Chm. Lipt. lU, 608
e seg.
18. LEI : la memoria da me lasciata in
terra. - la btobia: le opero ohe di me
narra la storia. Esaltano la mia memoria,
ma non seguono il mio esempio. Cfr. Lu-
ean., Phart. I, 165.
19. ooeì: come da molti carboni accesi
esce un solo caloro, cosi da quell' aqoila
formata dai moUi amori, dalle molte ani-
me aoeese dell' amor divino, usciva una
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886 [CIELO 8X890]
Pab. XIX. 22-S4
[ySCOHIO DtJBBIO]
23
25
23
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Ond'ìo appresso: € 0 perpetni fiorì
Dell' eterna letizia, che por uno
Parer mi fate tutti i vostri odori,
Solvetemi, spirando, il gran digiano
Ohe lungamente m'ha tennto in £ame,
Non trovandogli in terra cibo alcuno I
Ben so io che se in cielo altro reame
La divina Giustizia £& suo specchio,
Che '1 vostro non l'apprende con velame.
Sapete come attento io m'apparecchio
Ad ascoltar; sapete quale è quello
Dubbio, che m'ò digiun cotanto vecchio. >
Quasi falcone eh' esce del cappello.
V. 22-88. UnveoeMo dubbio non an-
oora «ciotto. DMite pregm qaei beftti for-
manti 1» benedette Immagine di ohiarir-
gU un dabUo, in che da molto tempo
flattnaya 1* animo ano. Non lo speeiflca,
ma dice: « Voi lo oonoaoete. » H dubbio,
che si capone poi ne'rr. 70 e aeg., è qae-
ato: Sensa fede in Criato e aenxa batte-
simo non vi è salate. A tatti dovrebbe
quindi emere offèrte l' occasione di ab-
bracciare la fede e ricevere il battesimo.
Invece la maggioranxa degli nomini vive
e maore sensa aver mai sapato né adito
nnlla nò di Cristo uè di battesimo. Sono
questi nomini dannati f Ma qnale ò la loro
colpa f B dov' ò qoi la divina ginstisiaf
Per tntte risposte ci dirà poi, che la di-
vina ginstisia è imperscmtebile. Cf^.
Thom, Aq,, 8um. theoL II, n, 2, 2 e 7;
lU, M, 11 : 68. 2. Hvg. a 3, Viet., Muo.
Ihang. loh. XV, 22.
22. FIORI: anime che, come fiori, ren-
dono bello in etomo il Paradiso.
28. PUB UHO : come se foste una pei^
tona sola.
24. ODOBi: vod, avendo detto ;CoW le
anime.
25. 8PIBA1ID0 : parlando. - DieiUKO : de-
siderio di conoscere il vero; oflr. Oonv. I,
1 e seg.
27. non TBOVAHDOOUt non trovando
al digiano cibo alcano in terra, cioè non
trovando la solaxione del mio dubbio.
Non la trov^a neppure in cielo; chò il
dire la divina ginstisia essere imperscm-
tebile, non è solnsione del dubbio.
28. SK IN ciKLO : se la divina ginstisia si
•pecchia io altro reame (cioè nei Troni,
Bfr. Par. IX, «1 e seg.), essa si manifeste
senaa velo anche a voL Divenamento
BonehetH, AppwnU, 108: «Bea ao io che,
ae v' ha in dolo alcun reame In eoi tà
specchi la divina ginsUsia, U vostro aazi
più di tatti, easendo U delo dalla gin-
etisia.»
80. OHB t ripetnto per chlanaaa etegan-
te, oome osò il Booeaoeio e coasa al osa
tetterà.
88. vsocmo: la coi aolnalona daaUecs
da tante tempo.
V. 84-90. rmperaorwteòiitt* éoOm
divina gimttimim. L'aqniteoeleate, espo-
sto il dubbio di Dante, dà la aemplioe ri-
sposte: « Oneste è gindisio tiaoitato a
Dio!» CAr. Bofn. XI, 88. Prima però di
parlare del suo dubbio, la htUa imm§t
gi* insegna che, avendo Dio creata YvaU-
verso, non poto imprimere in easo il va-
lor sno per modo, ohe il suo divino inten-
dimento non rimanesse inflnitamesite so-
periore a quello d*ogni oreainm. Onde
Lucifero cadde, quando per aoperbte volle
uguagliarsi al suo Fattore. Né Y amaao
ingegno può Inoontrare altr» aorta, ss
presume d'indagare gli nbteai infiaMi
della divina Saplensa. Dove dunque l*in-
telletto umano non vede QUaro, d vuole
la fede nelle verite riveUte, te quafi d
fsnno certi deirinlbllibileglnsttetedi Die;
e la sdensa più vera in qaeate parte al
è r ignoranaa, l'umile ailenslo in oaaeqiiin
alla fede. Invece dunque di aoiogttere fl
dubbio proposte, presorlve di «isclilaars
la mente al soprannaturale » (IVnn.), chia-
mando mtnti gr—M ed «nttali ttmai
odoro che non istennoocHitentl alte fede.
84. QUASI FALCOKK: AL QUALB n. tàS/-\
OOB OH'uBOWDa eoo.; ofr. Ootn, X4pi*
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[CISLO 8BST0]
PAB. XIX. 85-50 [GIUSTIZIA DITINA] 887
87
40
43
49
49
Muove la testa e coli' ali si plaude.
Voglia mostrando e facendosi bello ;
Yid'io farsi quel segno, ohe di lande
Della divina grazia era contesto,
Con canti, qnai si sa chi lassù gande.
Poi cominciò : « Colui che volse il sesto
All' estremo del mondo, e dentro ad esso
Distinse tanto occdto e manifesto.
Non potè suo valor si fare impresso
In tutto l' universo, che il suo Verbo
Non rimanesse in infinito eccesso.
E ciò fa certo, che il primo superbo.
Che fu la somma d'ogni creatura,
Per non aspettar lume, cadde acerbo ;
E quinci appar eh' ogni minor natura
È corto recettacolo a quel Bene
III, 511. - OAPPiLLO: ooperU di oado
ohe il iklooniere metteT» in testo •! fld-
cwiM, perchè non d dibmtteaM mentre lo
porterà AllftCMoia. Cfr. FuM, Morg. XI,
70; XVI, 04. Ariot., Ori. IV, 40.
86. MUOTB! moetnmdo voglia di nedr
del pngno e Toi«re in c*ooi»; ofr. Fnzgi,
Quadr. IV, 6. - si plaude : battendo le
•U.lkÌBitemeèsteeM>;oft>.Ov»d..jr«tVlII,
3tS { XIV, 607. Tirg., Am. V, 616 e aeg.
80. ToeuA : di spiegare il volo. - pa-
OBiiDOSi BELLO: ringallossandosi ; ofr.
Ario»,, Ori XXIV, M.
87. SBOMO: Taqaila, Insegna imperiale,
oompoato di spiriti lodatori della grasia
divina. - laudb : plor. di lauda, qni — (o-
dmnH, come nel v. 20 amori per omanH,
89. OAUDB : gode. Soltanto nn beato pnò
oonoseere la doloesaa di qnei canti.
40. Colui t < Dio che misurò quasi con
eonapasso 11 giro dell' universo, e tante
ooa« ci pose aperte ed arcane, non potea
tMito spargere nelle creature la propria
luce, che il suo Verbo non rimanesse
madore del loro concetto »; Tom. Ofr.
I^o9. Vin, 87. - IL SBBTO : il compasso ;
etr. Giobbe XXXVUI, 4 e seg.
41. all' I8TBBM0 : Al. ALLO BTKBMO. -
VfKBTRO: nel mottdo.
42. DiBTniBB! divise, distribuì tante
eoae a boI occulte, e tante cose da noi co-
■oacinte.
43. BÌ pabb iMPRiseo: imprimere tal-
44. Vbbbo: concetto, saplensa; si ri-
ferisce alla Divinità, non solo alla secon-
da Persona.
46. IR DiPiNiTO B0CB8S0 : Inilnitamente
al disopra di ogni creato intelligensa.
L' ente influito non può creare enti finiti
sema ohe li superi per un eccesso infinito ;
cfr. Petr. Lomb., SetU. I. 41. Thom. Aq.,
Bum. theol. I, 26, 0. Scotto qui usato
in buon senso, come Bp. Kani, 1.
40. B CIÒ : e se ne ha certessa dal fhtto
ohe Lucifero, quantunque sommo tra le
creature, avea anche lui bisogno del lu-
me divino per vedere più in là ; e, non
volendo aspettare questo lume, oadd»
acerbo, cioè non perfexionato da esso
lume, oome ftirono poi gli angeli rimasti
IMeU a Dio. Cfr. Do VtOg. El. I, 2.
47. SOMMA : la più eccellente tra le crea-
tore; cfr. Purg. XII, 26 e seg. Petr.
Lomb., aont. II, 8, 4. Thom. Aq., Bum.
thool. I, 08, 7. Inf. XXXIV, 18.
48. ABPBiTABt prima di essere confer-
mati nella graaia, gli angeli ebbero un
tempo di prova.
49. APPAB t lat. apparot — è manifesto.
« Se Lucifero, il quale fu la più perfetto
creatura e più eooellente ohe Iddio aves-
se creato, non potè intendere l'infinito
divina prowidensa, meno la può cono-
scere una creatura umana, oh' è molto
meno eccellente che non fti quella» ; Dan.
60. COSTO BBCBTTAOOLO ! piCCOlo VBSO
rispetto alla immensito di Dio.
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888 [OIBLO SISTO]
Par. XIX. 51-65
[GIUSTIZIA Dimi A]
63
55
68
61
64
Che non ha fine, e sé con so misura.
Donqne vostra veduta, ohe conviene
Essere alcun dei raggi della Mente
Di che tutte le cose son ripiene,
Non può da sua natura esser possente
Tanto, ohe suo Principio non disoema
Molto di là da quel ohe l'ò parvente.
Però nella giustizia sempiterna
La vista che riceve il vostro mondo,
Gom' occhio per lo mar, entro s'interna;
Che, benchò dalla proda veggia il fondo,
In pelago noi vede ; e nondimeno
È li, ma cela lui V esser profondo.
Lume non ò, se non vien dal Sereno
Che non si turba mai ; anzi ò tenòbra.
61. 8fi OON BÈ: Al. 8ft IH 8t. « Iddio è
bene infinito, oho oon ninno altro bone
■i pQÒ mltorare, se non oon aè mede-
simo ; imperò ohe ogni altro bene è mi-
nore di lai, slcohè oon ninno altro si può
misurare. B oome elli ò -infinito, oosl le
opere sne sono inlnvestigabili ed incom-
prensibili dall' nomo e da ogni altra crea-
tura. B cosi è dimostrata la maggiore
proposisione; doè ohe ogni creatora è
oorto rloettaonlo d' Iddio e delle sne ope-
re: può bene ricevere parte, ma non
tntte. » BvtL Cfr. Oonv. II, 4, dove Dio
è detto « qaella somma Deità che so sola
compiutamente vede » ; e II, 6 : « la luoe
ohe sola sé medesima vede compiuta-
mente. »
62. VOSTRA : Al. MOSTRA. La les. VO-
STRA ò confermata dal versi 69 e 88.
L'amano intelletto, eh* ò nn tenue rag-
gio della mente divina, non poò essere
tanto potente, che il suo Principio (la
mente divina) non discema assai più in
là di quello ohe ad essa (vostra veduta)
apparisce. Confr. TodeteMni, SeritU tu
D. II, 420.
68. MlMTB: divina; ofr. Par. XVUI,
118; XXVII, 110.
54. RiPiBHB: ofr. Par. I, 1 e seg. Ili
JUff. Vili. 27. Gerem. XXIir, 24. Virg.,
Bdog. Ili, 60 ; IV, 49 e seg. Thom. Aq.,
Sum. theol. I, 8, 1.
66. DA BUA : Al. DI SUA. < La intelUgeu-
sia umana non può per sua natura com-
prendere delle cose di Dio tanto, che
non ne sia ancor più »; BvH.
66. FBINCIPIO: la Mente dirlna, oh'*
prinoipio dell' intelletto oreato.
67. DI iJL: superiore a qneU'appaviBaa
sotto la quale gli si mostra. - chi l' ft
PARvnm: ohe è parvente alla vostra
umana veduta. Cfr. I%om. Aq., Ann. là.
I, 13, 3. Oom, Lip9, ni, 515 • m^.
68. PiRÒ; l'uomo non può penetrare
i segreti di Dio, perohè la vista della
mente noetra vede nella giustisia divina
come rocchio nel mar proAmdo, oloè
niente. «ludida tua abyssus mnltm»;
&ilm.XXXV,7.Cfr.£. rmC,^Hn.»107.
69. BicKVB: la eifto, l' intendlmaato è
dono di Dio. Cflr. I Cor. IV, 7.
61. DALLA PRODA: dal lido, vldmo alla
riva. « (?ome presso il lido v^giaaso il
fondo del mare, ma in alto pelago «ap»
piamo ohe e* è, ma noi vedisAO; cosi di
certe cose ben vediamo il perchè, na ve-
diamo la prowidensa o la ginatùa» aia
nelle più astruse sappiamo ohe essere d
deve il perohè, ma non lo vediamo » ; O&m,
62. IN PELAGO : ndl'alto mare, a dlfle-
rensa della proda.
68. È LÌ: Al. KQU à; Ohe fl fondo «si-
te«, non era necessario di dirlo ; Ba Dante
vuol dire che caso è andlie B, dove U
profondità delle acque lo nascondo al-
l'occhio.
64. KON ft : per l' uomo. - dal Smvo :
da Dio. Lume verace non pnè sbssto ohe
quello che viene da Dio, dunque lo Bi-
veissione.
66. ft TEitàBRA : il lume naturalo è piut-
tosto tenebre ohe lume.
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[CULO 8B8T0]
Pab. XIX. 66-82 [emsTiziÀ ditinà] 889
Od ombra della carne, o suo veleno.
Assai t'ò mo aperta la latebra
Che t'ascondeva la gìnstìzìa viva;
Di che faoói qnestion cotanto crebra:
Che tu dicevi: ^' Un aom nasce alla riva
Dell'Indo, e qaivi non ò chi ragioni
Di Cristo, né chi legga, nò chi scriva;
E tutti i suoi voleri ed atti buoni
Sono, quanto ragione umana vede,
Senza peccato in vita o in sermoni.
Muore non battezzato e senza fede :
OVò questa Giustizia ohe il condanna?
Ov' è la colpa sua, se ei non crede? „
Or tu chi se', che vuoi sedere a scranna.
Per giudicar da lungi mille miglia
Con la veduta corta d'una spanna?
Certo a colui che meco s'assottiglia.
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78
76
79
SS
66. OMBRA: « CaevuM «nlm, qnod oor-
rampitiir, afgimTat «nioiAm, et terrona
inliaUlitio deprlmlt eeniiiiii molta oogi-
tutom »} 8ap, IX, 16. Cflr. Yirg., A§n.
TI, 738etef . !%••». Aq,,8um. theoUJ^n,
ISO, 7.-YBLno:8UiiiolopeooMiiliMMOoho
«TTolena V intelletto. Ombra riguarda
I* intelletto, vthno la Tolontà.
•7. ho: ora. - la latkbba: Il naaoon-
àf ^lo. Ora Tedi abbaotansa òhe l' inniffl-
densa dell'umano intelletto ò quel na-
■oondiglio ohe ti oeU la inAOUWle gin-
•tiala dlTtoa intomo a qnel ponto, del
quale dieeati di aTere tà. epteeo cercato
invano di eoaere sobiarito.
69. FACÈLi howì, antioamente anche
in proea.- cribra: freqoente.
71. dell'Indo: Al. dbl Nilo. - ra-
oiom: « Qoomodo oredent ei qoem noo
andierantt Qoomodo aotem aodient sino
prsDdieantef » J2o«». X, U.-«BeqairìtQr
ad fldem qood oredibllia proponantor
credenti; et hoc qoldem flt per homi-
nani 9t Thom, Aq., Am». theol I, 111, 1.
73. Kft CHI : neiaono predica Cristo,
neeaono legge di Cristo, neesono scrive
di Criato.
75. UT VITA o Ut SERMOHi : In opere o
in parole. Frase biblica : « Vir potens In
opero ot sermone »; Luom, XXIV, 10.
77. OY*ft: come poò la divina ginsti-
aia condannare costoif Se moore sema
Ibdo 0 aeaia battesimo, la colpa non è Boa.
79. TU cm be' : « O homo, to qots eo
qoi respondeas Deof » Mom, IX, 30. -
bbdbrb a boranha X sedere in tribonale,
(krti giodice. 8«rmnnai sedia, tribona-
le, dal ted. aohranm; cfr. Dits» WdH.
U\ 66.
80. DA lungi : o Yool dire, ciò ohe è
assai lontano dal toc intelletto; oppore
si esprime in qoesto modo con i^edal
rigoardo all' « oom che nasce alla riva
dell'Indo»; t. 70 e seg.
81. VBDUTA: intellettoale.- d* una bpan-
NA : non più longa di on palmo. « Inrehlt
centra prsMomptoosam ignorsntiam qoo-
mmdam, qoi temere Tolont indicare de
iostitia Dei, qoia ezcedit ratlonem bo-
manam; et talem Increpat per similita-
dinem propriam dicens, qood talls qosD-
rens raUonem horom est simiUs habenti
▼isom brerlssimom, qoi non Tidet lon-
gios ono palmo, et tamen tentat videro
a longe per mille miliaria »; Bénv» Cfr.
Oonv, IV, 6.
82. b'asbottiolu: « qoi sobtillter co-
nator rationem mee institi», soiUcet
divina, qo» maxime relocet in me »;
B&nv. -« Certo per colo! ohe meco ragio-
nando volesse fkr l'argoto o il sottile,
tofwòòé da dubitare a maravigUa, ossia,
avrebbe costo! molti e molti dobbi da
afBMciare soUa giostisia dei decreti di
Dio, volendo giodicare coli' omana ragio-
ne ; qoando voi altri cristiani non aveste
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890 [CIELO 8K8T0]
Pàb. XIX. 83-96
[GinsnZll DITIHA]
86
88
91
Se la Scrittura sopra voi non fosse,
Da dubitar sarebbe a maraviglia.
0 terreni animali, o menti grosse!
La prima Volontà, eh' ò per so baona,
Da sé, che ò Sommo Ben, mai non si mosse.
Cotanto ò giusto, qnanto a lei consaona ;
Nullo creato bene a so la tira.
Ma essa, radiando, lui cagiona. »
Quale sovresso il nido si rigira,
Poi che ha pasciuti la cicogna i figli,
E come quei eh' è pasto, la rimira;
Cotal si fece, e si levai li cigli,
La benedetta imagine, che l' ali
Movea sospinta da tanti consigli.
m gnidA e oMstra ìm Sftora Soiittm*,
ohe Ti acquieta in ogni dubbio e diffi-
ooltà colla riveladone di un Dio infiUU-
bile, e per easensa buono »; Br. B.^* Chi
mole (mv ragionamenti sottili con Taqni-
la, simbolo figurato della mente di Dio
giosto, potrebbe a^ere scasa ne' sool
dobbii sodaci, s'egli non avesse modo
d'istruirsi nel vero esaminando e medi-
tando le Sacre Scrittore; ma queste de«
Tono aver bene appreso al cristiano quale
e quanta sia la Sapiensa, la Giustizia, la
Bontà misericordiosa di Dio > (f); De Oub,
Cfr. Oom, Lipt. lU, 518 e seg. Boet,,
(hnt, phU. ly, pr. 5.
84. A MABAViOLiA: siuo allo stupore;
cfr. Por. XI, 90.
85. 0B06BB: ofr. In/, ZXXIV, 02.
88. VOLONTÀ: divina. - pbb sÈ: per sé
etessa, non per partecipazione d'altrui
bontà.
87. MOBSB: « Toluntas Dei est omnlno
immutabilis»; Thom. Aq., 8wn. theoLI,
19, 7. - « Bgo enim Dominus, et non mn-
tor »; Maiaek. IH, 6. -< Sino pcenitentia
enim sunt dona et vocatio Dei >;Aom.
XI, 29. -«Or come temi tu (vuol dire),
ohe sia altro che giusto ciò ohe Dio*&t
Quando egli è fonte di bontà, e tanto
essensialmente buono (e però anche giu-
sto), che spira e produce la bontà nelle
coee fuori di sé, non esse in lui; le quali
tanto son buone e non più, quanto par-
tecipano della bontà snaf » Oet,
88. OOTAKTO: ffiuHQ è soltanto ciò che
ò conforme alla divina volontà. Con ciò
il dubbio propoeto è soflboato. Che se la
conformità al divin Tolere è 1* ade» asr-
ma della giustisia, è asenxdn 1» dcaMB-
da, se U volere di Dio sia giuste. Ccé
non può domandare se non ohi h* dsDs
giustisia un oonoetto tutto dlTona. H
dubbio è èofocatOf ma teioUo non 4.
88. LA tibà: la trae a sé. Kèl dubbio
eepoeto v. 70 e seg. è impliri tomento oon*
tenuto r altro dubbio, se forse una feente
non abbia sopra l' altra o prerogativa e
meriti, per cui ad essa è offerta la gnsis
di Dio in Cristo, all' altra no. Qui trottoa
queeto dubbio : ben lungi dall' essere at-
tirato dal bene delle creature. Iddio è
Colui che esso bene cagiona. L'argouMn-
tadone è tolto da 8. Paolo, JSsms. IX;
ofr. FiUpp, U, 18. Ma anche queste ar-
gomentadone soflboa il dubWo, m» le
scioglie ; ofr. Oom. Ltp$, IH, 599 e seg.
90. ràdIamoo : la bontà divina, spar-
gendo i suoi raggi, produoe U berne ereato
93. Quut AL QUBL. Appagato, UFusto
guarda l'aquila con amOTosa maraTJgHa.
La simiUtodine dipinge l' aggtrani 4sl-
r aquila intono al Poeta, ed U i
oh'ei fo in essa i propri ocelli, e Vm
taosa vicendevole compiaeenaa. L'iaatt-
gine si foce come doogna, Danto eosss
cicognino. - PASTOt pasciuto; lattno pa>
ttu$i cfr. Yùrg., SeUg, IX« 24.
94. LBVAI: Al. LEVÒ; ■ SU LMVÒ, La
benedetta Immagine si foce eoma la ci-
cogna ohe si rigira sovra il nido; Duasti
levò li cigli, come il dcognino |
mira la doogna. Cfr. per 11
Iftf. XXIX, 18.
90. MMPUTA.: AL ■oanaxm. L*i
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tOIILO SISTO]
Pàb. XIX. 97-112 [VIDI I opere] 891
•7
100
103
100
109
112
Boteando cantava, e dioea : « Quali
Son le mìe note a te, ohe non le intendi,
Tal ò il giudizio etemo a voi mortali. >
Poi si qaetaro quei lucenti incendi
Dello Spirito Santo ancor nel segno
Che fé' i Romani al mondo reverendi.
Esso ricominciò: € À questo regno
Non sali mai chi non credette in Cristo,
Nò pria, nò poi eh' ei si chiavasse al legno.
Ma, vedi !, molti gridan '^ Cristo I Cristo I „ ,
Che saranno in giudizio assai men prope
À lui, che tal che non conosce Cristo ;
£ tai Cristiani dannerà r£tiòpe.
Quando si partiranno i due collegi,
L' uno in eterno ricco, e V altro inope.
Che potran dir li Persi ai vostri regi.
moTMi le ali, perobè era totpinta da tanti
contigU, doè da tante ananimi volontà,
qtuuitl Mano gli spiriti ohe la oompo-
ir7. BOTBAMDO ì moTOodosI in giro in-
tomo a me. -QUAU : oome ta non intendi
le parole del mio oanto, ood toì mortali
non comprendete la divina ginstiala.
90. TAL ftt «Qais enim hominom po<
terit soiTe ooniUinm Dei? aat qoie pote-
rti eogitareqnld ▼eUtDensf • Ai^.IX, 13.
V. 100-lU. Xo /Me e le opere. Non
t1 è aalote senaa fede, ma la fède raol
easere accompagnata dìuie bnone opere.
In cielo non tal) mal ohi non credette in
Cristo; ma molti, che hanno sempre il
nooie di Cristo sulle labbra, saranno nel
A del giodiito più lontani da lai, che al-
tri, i qoali non conobbero Cristo. Qìi
Btiopi condanneranno i Cristiani. B che
diranno gì' infedeli dei Toetri principi,
qauido in qnel giorno si apriranno i li-
bri dorè sono scritti i loro dispregi t Cflr.
Giaoemo, U, 20, PHr. Lomb., SenL lU,
28. Thom. Aq., Sum, thsol, II, d, 1M. 5.
100. POI: poiché, allorché; ofr.Pttrg,
X, 1. - 81 QUITABO : Al. SIGUITABO. SI
qoetarono dal rotoar«, e l'aquila rioomin-
età a parlare. -iHCEnDi: fiiochi d'amore;
ofr. Pmr. XXV, 80.
101. AMCOB HKL SBONO : continoando a
Idrmare la flgnra dell' aquila.
102. BBVBBBirDi: «degni di reverenza
• d'imore al mondo, per le molte vittorie
e trionfi che ebbero sotto tale insegna »}
Ditn,
104. CBBDBTTB: o In Cristo venturo, o
in Cristo venato : « Non est in aliqno alio
salus : nec enlm àlind nomen est sub cobIo
datam hominibus in quo oporteat non sai-
vos fieri >; AUi IV, 12. Cfr. Thom. Aq.,
Bum. theoL III, 68, 1. - Cbisto : oome di
solito, questo nome sacro é rimato con
sé stesso.
106. CHIAVASSE: inchiodasse sulla cro-
ce: cfr. Iftf. XXXm, 40.
106. MOLTI obidan : «Malti dioent mihi
Difminé, Domine!... Bt tane confitebor
iUis qaia nnnquam novi vos: discedite
a me, qui operamini iniquitatem. » Matt,
VII. 22 e seg.
107. iif GIUDIZIO: nel dì del giudizio
finale. 'PBOPB: presso, vicini.
108. con oecB : Al. con obbb, lesione ohe
sa di corrosione. Cfr. Luca, XII, 47 e
seg.
109. TAI: Cristiani ohe sono tali sol-
tanto di nome. - DAmiBBl : cfr. Matt,
Vin, 11-13; XII, 41-42. Lue, XI, 81
e seg.; Xni, 28 e seg. - L*EnÒPB: U
pagano.
110. PABTiBABiio : divideranno le dae
schiere, alla destra ed alla sinistra del giu-
dice etemo ; cfr. MaU. XXV, 31 e seg.
111. nioPB: povero, « imperò ohe sarà
dannato e privato della grada d'Iddio »t
BuH.
112. PBB8I: anche qui, oome Miòps^
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892 [CIILO 8B8T0] PAB. XIX. 118-125 [PBnfCIPI IHGnJBTl]
115
118
121
134
Oome vedranno quel volume aperto,
Nel qoal si scrivon tatti i suoi dispregi?
Li si vedrà, tra l' opere d'Alberto,
Qaella che tosto moverà la penna,
Per che il regno di Praga fia diserto ;
Li si vedrà il daol che sopra Senna
Induce, falseggiando la moneta,
Quei ohe morrà di colpo di cotenna;
Li si vedrà la superbia ch'asseta,
Ohe fa lo Scotto e l'Lsghilese folle,
Si che non può soffiìr dentro a sua meta.
Vedrassi la lussuria e il viver molle
Di quel di Spagna e di quel di Buemme,
per pagani in generale. - Rwn : prindpi
eriitianl. « Qoaal dioal: certe dioere pò-
tenmt : noe reepectaveetrt fedmoa opera
oliriatlana, et yoa pagana»; Btnv.
118. VOLUMB: « SÀhvi aperti tont: et
aUaa Uber apertoa eat, qni eat fiim; et
Indioall annt mortai ex his qa» acripta
erant in libris seoandam opera ipeo-
min »{ ÀpocoL XX, 12. Oh. TAm». Aq,,
Bum, tkeoL I, ?4, 1.
lU. SUOI: loro.-DisPBBOi: male asto-
ni, per le quali sono in dispregio; l'ef-
fetto per la causa. Opparet i dispregi
ttm n Criato dai principi oriatiani.
V. 118-148. Pervars((ftda<pHtM»^
«rUtUknU Syolge 11 Poeta una pagina
tremenda del libro etemo, nella quale si
leggono i diipregi dei principi cristiani
del tempo, da Alberto imperatore ad Ar-
rigo II di Luslgnano, signore di (Spro.
« Colla enumerasione delle prare opere
di molti re, ci presenta il Poeta un pro-
spetto delle condidoni dell'Europa cri-
stiana, prssents insieme un quadro geo-
grafico dalla penisolalberica alla Boemia,
daUe isole Britanniche aU' Ungheria e
aU'IUiria, dalla Norvegia alla Sicilia, a
Cipro, a Gerusalemme »; ArU.
115. LÌ : nel votame etemo. - Albibto:
d'Austria; Pwrg. VI, 97 e seg.
116. QUELLA : l' invasione della Boemia
nel 1804; cfr. Palacky, Storia deUa Boe-
mia, L IV, e. 7. - MOVKBÀ LA PEITHA : di
Dio a scrivere in quel volume ; cfr. Da-
nMe, V, 5 e seg.
117. PKB CHBi per la quale opera. -as-
OHO DI Pbaoa: la Boemia.
118. IL DUOL: il dimore che cagiona a
^ligi PiUppo il Bello Ikcendo coniare
moneta fUsa ; cfr. 0. FIO. Vm, 68: cper
fornire sua guerm si foce IMaJflcare lo
aue monete, e la buona moaetn del tsr-
neee grosso, ch'era a undici once e measo
di fine, tanto il foce peggiorare, che tonò
quasi n metade, e slmile lamoBetnprima:
e eoa! quelle dell'oro, che di Tcatltrse
messo canti, le recò a men di Tenti, fo-
condole correre per plh assai ohe noa va-
leano : onde il re avansava ogni dì Ubbre
aeimila di pailgin], e plh, mn gnaatò e di-
serto 11 paese. »
lao. OOTBHVA: peUe del cinghiale, qui
per eingbiale; la parte per il tutto. « Kel-
l'anno 1814 del mese di novembre. Il rs
Filippo re di Francia, il quale nvea re-
gnato ventinove anni, mori dlaurvento-
ratamente: che, essendo a una cacda, ubo
porco selvatico gli s' attcmversò tra le
gambe del cavallo In su che er», e feesine
cadere, e poco appresso mori. «VOI. IX,
86. Cfr. HùiLd4lmFranM,U,WI,Fmta
Mrentano, La wioH d$ PAO^rm U Bd,
Paris, 1884.
ISl. AflstTA : accendedi smoderatasste
di dominio. « Ch'astata, che rende am»-
tsto lo Scotto e l'Inglese. - Ohéfti, sot-
tintendi « (e che fi»)»; JBM«.-AcoeoBa
probabilmente alle lotte tm Sdoardo I
re d'Ingfailterm. e Roberto re della 8co-
Bia. Cfr. Barìow, Oontrii^ution», 485-495.
Oom, lApt. UI, 598 e seg. Piirp. VU,
182.
122. LO Scotto: il re di Scoda. -l'Iji-
0HJLK8K: il re d' Inghilterm.
128.8orFBiB : non puòstamentreipro-
pri confinL
126. QUKL m-SPAONA: Ferdinando IV,
re di Castiglia 0286-1812), che tdae gì-
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[CULO 8B8T0]
Par. XIX. 126-139 [principi ingiusti] 898
127
130
138
136
189
Che mai valor non conobbe, né volle;
Yedrassì al Giotto di lerosalemme
Segnata con un' I la saa bontate,
Quando il contrario segnerà nn'if;
Vedrassi l'avarizia e la viltate
Di qael ohe guarda l'isola del foco,
Dove Anchise fini la lunga etate.
Ed a dare ad intender quanto ò poco,
La sua scrittura fien lettere mozze
Che noteranno molto in parvo loco.
E parranno a ciascun l' opere sozze
Del barba e del fratel, che tanto egregia
Nazione e due corone han fatte bozze.
E quel di Portogallo e di Norvegia
bUterra wX Mori e noi 1812 feoe morire a
torto i fr*telli Cary»jal» i quali ani pati-
bolo lo dtarono a oomparire entro trenta
gtorni davanti al tribunale di Dio. Infatti
Pordinando morì entro il detto tonnine,
onde fa òhiamato BlempUuado, il citato ;
ott.MarÌ4SHa, HiH. g^n. d$ Espana, XV,
1 • seg. I piti intendono di Alfonso X
a252-1284): maqid ai tratto di principi
che nel 1800 erano viTenti. - Buismmb:
Boemia. Quel di Buemmé ò Venoealao IV
I (1270-1305); of^. Purg. VII, 101.
127. Giono : loppo. Carlo II re di Ka-
; poli (ofr.PiMry. XX, 79), chiamato il OioUo
\ peceliè era loppo. A Carlo n ai vedrà nel
[ dirin libro segnato la virtù con nn' I, se-
' gno di unità (« ebbe nna virtii, cioè di
largheasa, e con qneeto ebbe mille visi » ;
Falso Boec.s ote.Par, VIII, 82), mentre
vn* JC aegnodimiUe, aegneià il contrario
doèi anoi visi. Cod il più degli antichi e
totti i moderni. Le altre intorpret.aono
inattendibtti; cfr. Oom, Lips. lU, 628.
lai. QUXL: Federico II, re di Sicilia,
1272-1837 ; cfr. Pwg.TU, 110. Ckmv. IV,
9. Ds VtUg.Sl. 1, 12. - ouabda : governa.
" V ISOLA DSL FOCO : la Sicilia, dove è
MflogibeUo; cfr. J^i^.XIV, 56.
182. DOVE: a Trapani} cfr. Yirg., Aen,
m, 707 e seg.
188. ▲ DAXB; a iter eoaoaoere la dappo-
caggine di Federico n, la eoa partito
scritte nd libro divino sarà di leUers
[ motte, etoè di segni abbreviati, che in
pieoolo apaalo noteranno i molti soci
^ visit efr. Amwri, Vsspro, XX. Al.: Bi-
sognerà sòrivere i snoi CslU per via di
abbreviature, mancando lo spasio per
scriverli estesamente. Nel libro divino
non manca lo spailo e di on dappoco
non e' è molto da scrivere. Cfr. Oom.
Lips. m, 529. Diversamento dagli altri
il Betti: « £ a far conoscere quanto egli
è avaro, egli scriverà per abbreviatare,
ai&nchò molto parole aleno in nn picciol
pesco di carto. Vedi avariala estrema e
risparmio curioso che qaesti faceva della
carte. » Ma dove sono le prove ohe lo fa-
cesse! Kei versi di Danto no, che ap-
punto la loro interpretasione è contro-
versa.
185. PAXVO: piccolo; cfr. Pwg. XV, 120.
136. PABBAHNO: appariranno,si vedran-
no scritto nel libro divino.
187. DKL BARBA: dcllo sÌo di Federico II,
Don Giacomo, re delle Baleari, figlio di
Oiaoomo I d'Aragona, e dslfratsUo, Gia-
como II re d'Aragona; cfr. Pwrg. VII,
110. Vigo, D.sla Sicilia, 4XÌ e teg. Barba
(dal basso lat. barbas, barbanus, confr.
Dieg, W^. II*, 0) per zio, vive in parec-
chi dialetti.
188. NAZiORB: prosapia, stirpe; cfr.
J9|A I> 105. - DUB OOBONB : di Maiorca e
d' Aragona. -BOZZB: avvilito, disonorato
« Vituperato, come è vitaperato l' nomo
quando la moglie li fa CiJlo >; Buti, Cfr.
Oavemi, Voci s Modi, 88.
189. QUBL DI POBTOGALLO: Diouisfo
TAgricoU, che regnò dal 1279 al 1825.
« Tutto dato ad acquistare avere, quasi
come uno mercatanto mena sua vito, e
con tatti li grossi mercatanti del suo re-
gno ha afliare di moneto: nulla cosa rea^
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894 [CULO SISTO] Pab. XIX. 140-147 [principi ntoirsn]
142
145
Li si conosoerannoy e quel di Rascia
Che mal ha visto il conio di Vinegia.
0 beata Ungarìa, se non si lascia
Più malmenare ! £ beata Navarra,
Se s'armasse del monte che la fascia!
E creder dee ciascun che già, per arra
Di questo, Nicosla e Famagosta
Per la lor bestia si lamenti e garra,
le, nnlla oom magnifloa li pnote soriTere
di Ini >t OU. Gli storici moderni ne giu-
dicano più fttyorevolmente.- di Kobve-
OIA : Acone VII, deMo il Gkunbalnngft,
re dal 1209 al 1810. Sembra ohe di costui
Dante non sapeese molto, come nnlla
ne aeppero gli antichi commentatori.
140. Babcia : parte della Serbia, cìie ai
tempi di Dante comprendeva ana parte
della Dalmasia. Ofr. Ferrari OapUU, Sul
regno di Rateia, e svi grotti o mutapaM
d'argorUo alterati, nei Saggi di eriL stor,
e leu. di Angelo Nani, Zara, 1875. p. 96 e
seg. Qtui di Raeeia è XTrodo I detto il Mi-
latino (1275-1307), ohe folaiflcò la moneta
▼enesiana, detta i»aea|>ano, alterandone
la bontà del metallo ; cfr. Oom. Lip§. m,
581 e aeg. « Di ooetoi e de'saoi si pnote
dire peggio ohe l'Autore non scrive. Que-
sti, avendo uno figliuolo, e d'esso tre ni-
poti, per paura che non gli togliessero il
regno, li mandò a Costantinopoli allo im-
peradore suo cognato ; e sorissegli, si co-
me si dice, ch'egli cercavano sua morte,
e ohe gli tenesse in pregione. Bcort fece,
tanto che per orribilitade del carcere il
padre de* tre perd* quasi la veduta ; li
due il servivano, ed il terso fh rimandato
allo avolo; finalmente il padre uccise l'uno
de' due suoi figliuoli, e con l'altro si fhggi
di caroere e tornò in Basoia, e prese il
padre, di cui l'Autore parla, e fecelo mo-
rire in prigione. Poi e' poco resse U re-
gno ; che da' suoi figliuoli ricoverò il
cambio. * OU. Cfr. Enciel., 1620 e seg.
141. MAL BA VISTO : cho per lo suo male
conobbe la moneta venesiana da lui fal-
sificata ; cfr. Inf. IX, 54 ; XII, 66. Purg,
IV, 72. Al. CHB MAL» AGGIUSTÒ. Ma Uro-
sio non fUsò il conio di Venexis, ansi la
moneta, i grossi, o matapani. Cfr. Moore,
Orii.. 471.
U2.niiaABiA: govematada Andrea III
(1200-1801), l'ultimo re della stirpe di
Santo Stefimo. B quando Dante dettava
il i'aratfif 0 era re d'Ungheria Carlo Bo-
berto d'Ai^ou a8011842), « sigMie ai
grande valore e prodessa » ; Q. TULXII, 6.
148. MALHBRAIUE: oome la nabneat-
rono i re anteriori ad Andrea IIL « Pe^
che in questo reame erano stati di notti
pessimi re, che l'avevano noal condotto,
però dice che sarà beato, se bob si IsseU
più malmenare >;FsIZ. - Ka.vakra: Gio-
vanna, figlia di Bnrioo I di Navarra ed
ultima di quella casa, si nuarìtò nel 1»4
a Filippo il Bello, ma governò gli Sliti
paterni con assoluta autorità e con esen*
piare saviezxa. MortaGiovaana nel iSOi,
le successe Luigi ITtino suo figlio, viveoto
tuttora il padre; il quale morto, Lbì(ì
Utino gli successe nel regno di Francia
e fa il primo ad intitolarsi redi Frsads
e di Navarra. « Vedendo 1* Autore che il
regno di Navarra pervenia sotto la si-
gnoria de' superbi Franoesehi, ediscado»
alla casa di Frauda, e' dice bètsta, s'elU
si difendesse in su gU monti cbe le ssao
d* intomo e non ricevesse quelli snpwiii
re di Francia, 11 quali la flsnuiBO vÌT«rr
sotto misero servaggio »; Ott. - « Se Ka
varrà scotesse il giogo del re di Fran-
cia, e si fortifioasse ne' suol BMWti » ;
Betti.
146. PBB ARRA: per oaparr», per prora
anticipata di ciò che ho detto di Navarra,
sono da tenoni i lamenti e le grida di Ki-
cesia e Famagosta, dttà priBolpatt dri*
l'isola di Cipro.
146. DI QUESTO ! di doversi U Navarra
difendere dall' imminente giogo ftaBessf,
armandosi del monte che la fateia, tM
del Plreneo.
147. BB8TIA : Arrigo II di lAsigaant.
nel 1800 re di (?ipro, dissoluto e omdeI^
sospetto di avere avveleoato il propria
fratello. Aveva per insegna on teoae.
« Descrive la vita bestiale del re di (^
pri, il quale deverebbe essere tatto mato,
però che dtnansi alla fronte 11 siede la
terra, dove il suo Oeatore il saagoe spsr-
se.... B bene dice kiifte, pece elle tBtIo *
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[ORLO 818T0]
PAB. XIX. 148 - XX. 1-4
[CANTO] 895
148
Che dal fianco dell'altre non si scosta. »
cUfto alle oonoapisoenM ed alle eensiiàli'
tedi, le qfuOi debbono eesere di Inngl dal
re. B dice ohe li laoUmi ae ne lamentano,
e gridano peroh*ellÌ tìto beatUdmente,
ed oaa oon qoélli ohe bestialmente tìto-
BO, né da loro ponto ai partoi e oonohhi-
de in Ini, eome più hìikmato ed iatremo
de* mali, lo XIX oapitolo. » Ott. - « Di-
di qoomodo dvltaa mooal» et I^amagn-
at» in regno Qyprl oonqnemntnri onina
regia armator» eat in parte leo, quod
diota beatia non ae removet a flaneo et
latore siniatro prsMentiam anomm re-
gnm, nt a beatUa qoibnadam; in qno
fianco deferont aootnm piotom dioto leo-
ne > ; Pdr. Dami. - qabra : garriaoa, atri-
da ; efr. JV- XV. M. « ikMiiefi<«rfi di do-
lore, garrire d*ira»; Tcm^
li8.DKLL*Ai;m: beotle, doè degli altri
prlnoipioriatiani. -HOHSi BOoeTA: ma Ta
pari a loro, eoaendo bestiale e vistoso
oome gli altrL
CANTO VENTESIMO
CIELO SESTO 0 DI GIOVE: PBINOIPI SAGGI E GIUSTI
OAKTO DEI GIUSTI
PBINOIPI GIUSTI NELL'llfHAOINE DELL'AQUILA
FEDE B SALVAZIONE, ABOANI DELLA DIVINA PREDESTINAZIONE
Qaando colui che tatto il mondo ali ama,
Dell' emisperio nostro si discende,
Che il giorno d'ogni parte si consama;
Lo ciel, che sol di lai prima s' accende,
V. 1-15. €kuU» del gUuti. Oome l' a-
qnlla. Insegna del mondo e de* suoi daoi,
tAoqne nel benedetto rostro, tntte quelle
Tire tuoi Tieppiù Incendo oomlnoiarono
oanti difinl, la oni dolcessa e soarltà
non si può esprimere nel Ungaaggio
omaso. I lami beati ohe formano la bella
inunagine si mostrano vieppiù sointil-
Uuiti per ardore di carità, in qnel modo
ohe, ealando il sole, il dolo si rarrlTa
di stelle.
1. COLUI: n aole, dal qnale, aecondo
V opinione del tempo, le stelle ricevono
tntto il loro Inme ; ofr. Oonv II, 14 ; III,
12. Oanx, XI («Io son venato al punto
della rota»), 1 e seg.
2. BÌ DUOKMOB: dismonta talmente.
8. d' ogni fabtb : del nostro emisfero. -
SI CONSUMA : vien meno ; « oonsumpta no*
ote>; Virg,, A$n, II, 705.
4. SOL DI LUI: obe aveva per lume,
per Canale anicamente il sole, mentre dì
notte i lumi vengono a moltiplicarsi oon
la lana e le stelle. - s* àockhdb : « Illio sera
mbens acoendit Inminn Yesper »; Virg.,
Qtorg. I, 251.
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896 [CIELO 8E8T0]
PàB. XX. 5-19
[CASTO]
10
18
16
10
Sabitamente si ri& parvente
Per molte luci, in ohe nna risplende :
E quest'atto del ciel mi venne a mente,
Come il segno del mondo e de' suoi dnoi
Nel benedetto rostro fa tacente ;
Però che tutte quelle vive luci,
Vie più lucendo, oominciaron canti
Da mia memoria labili e caduoL
0 dolce amor che di riso t'ammanti,
Quanto parevi ardente in quei flailli
Ch'avieno spirto sol di pensier santi!
Poscia ohe i cari e lucidi lapilli,
Ond'io vidi ingemmato il sesto InmOi
Poser silenzio agli angelici squilli,
Udir mi parve un mormorar di fiume,
5. PARVKBmt Tialbile; 8i ràUomln*
per r apparire dei pianeti e delle stelle,
ohe tatte riflettono nna sola Inoe, cioè
qnella del sole. Parvenu per «appari-
tcenU naa Dante anche in prosa.
6. LUCI: pianeti e stelle. - una : la laoé
del sole, del ooi lame « tutte le altre
stelle s'informano»; Oonv. II, 14. - « Booo
il raggnagliarsi di queste dae cose: oa-
lando il sole, il cielo si ravTiva di stelle ;
e tacendo l' aquila, scintillando via più
que' lumi celesti che lei figuravano, oo-
mindaro a cantare; e però ò da inten-
dere, ohe non più per lo becco dell'aqui-
la, ma dasouno da sé mandò ftiori la
voce»; Oet,
8. BXONO: l'aquila, insegna degl' im-
peratori, che sono i dud del mondo.
0. BOBTRO: che areva parlato sin qui;
cfr. Par, XIX, 10 e seg.
11. LUCBNDO: Al. LUCERTI. - COMIH-
cujtov : « la similitudine è in dò, ohe co-
me all'unica luce dd sole succede la mei-
tiplice delle stelle, così all'unico ragio-
nare dell'aquila sottentrarono i canti
de'singoU spiriti»; Andr, Cfir. Delia
Valle, Nuove iUuitraz,, 126 e seg.
12. LABILI: sfuggenti; «nostro lllina
labatur pectore voltus »; Virg,, Bdog,
I, 63. - 0ADUOI : « non di posdbilità, ma
d' atto »| Tom.
18. AMOR: divino. - t' AMMAHTI: ti fld
un manto di ridente luce; con£r. Sahn,
CUI. 2.
14. PLAILU: Al. FAVILU; FLAVILU.
Flaiai, dal lat. Jlare, sarebbero piccoli
flauti. FaviSH, maso. di /etvOts — Sfdeii-
dori. Pare ohe sia da leggere/oiW, praa-
dendo la voce nd senso di eanH eoa^i,
pdchè nel t. seg. è detto ch'erano ispi-
rati sdamente da santi ponderi. Cfr. del
resto Bndel,, 761 e seg. - Ben», lui:
•/avmi, idest, dbilis, sdlloet. in tocì-
bus oanoris illorum spirituum. »
V. 16-72. Prineipl ffiutH neir<«a.
mofftns dèU' emuUet, Finito 11 canto d«i
beati lumi, il Poeta ode come un mormo-
rar di fiume ; quindi, come suono al collo
della cetra prende sua forma, qud mor>
morare dell'aquila, salendo perU collo,
d ùk Toce ed esce per il becco in ibrm*
di pardo. « Riguardami l* ooohio I » dice
la bella immagine: « QneDe lud di» lo
figurano, furono sommi ginstL » B no-
mina sd spiriti, dd quali l'uno, il re
Davide, ibrma la pupilla, gli altri olnqoe.
Traiano, Esechia, Costantino, Gn^lelmo
e Riibo, formano il dgllo dell' aqnHiL
16. LAPILU: lat. Uipittuii gemme. i»le-
tre predoee; efr. Par. XV, 22; XVJJLL,
116. eoo.
17. n. SBBTO LUHSt Qiovo, il Msto pia-
neta.
18. aiLBN&O: ammutoUaoe il canto dd
singoli per dar luogo di parlare aU' aqui-
la. - BQUILU : canti armoniod.
10. MOBMOSABt un mormorio di aeqne
ohe scendono ballando di pietra in pie-
tra; «vox erat d quad vox aquamm
moltamm »; JBteeh, XLIII, 2, Cfr. Apo-
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[CULO 8B8T0]
PAB. XX. 20-88 [PBINCIPI GIUSTI] 897
25
81
84
87
Che scende chiaro giù di pietra in pietrai
Mostrando Fnbertà del suo cacume.
E come suono al collo della cetra
Prende sua forma, e si come al pertugio
Della sampogna vento che penetra;
Cosi, rimosso d'aspettare indugio,
Quel mormorar dell'aquila salissi
Su per lo collo, come fosse bugio ;
Fecesi voce quivi, e quindi uscissi
Per lo suo becco in forma di parole,
Quali aspettava il cuore ov'io le scrissi.
< La parte in me che vede, e paté il sole
Neil' aquile mortali, » incominciommi,
< Or fisamente riguardar si vuole,
Perchè de' fochi ond'io figura fommi,
Quelli onde l' occhio in testa mi scintilla,
E' di tutti i lor gradi son li sommi.
Colui che luce in mezzo per pupilla.
Fu il cantor dello Spirito Santo,
eaLl,15ì XIV, 2; XIX, «. VWg., Georg,
I, 108 e teg.
21. OACUM»; dma, ove ha la sorgente!
efr. Ptw. XVn, 113. Con qoeetarloohessa
di acque il Poeta tqoI dare un' idea della
rigorosità di quel «nono.
22. AL COLLO : al manico della cetra, do-
ve il saonatore tasteggia. « Come lo snono
della ohitarrapin0nd0 tua forma, oioò sao
essere al ooUo della chitarra, dove tiene
lo sonatore le dita de la mano sinistra,
stringendo le corde al legno, or con nn
dito, or coli* altro, et or con più »} Buti,
23. FOBICA: modolaaione. - al fkbtu-
Gto : « il ilato del saonatore, che penetra
néUe canne della sampogna, prende la mo-
dnlaslone dal jMrto^ <^e quegli va ohia-
doiido o i^rMido con le dita »; L. Veni.,
MmiL, 62. Cfr. Sonohitti, AppunH, 171.
25. BiMoeao : sensa il minimo indugio,
saUtamente.
28. DXLL' AQUILA: Al. PKB L* AQUILA.
Ti mormorare degli spiriti saliva tu per
fl ooUo dsU' aquila.
37. BUGIO : ha comune la sua deriva-
afone con hueo, vuoto, bucato. Bugio da
bugiare, (tcsors — perforare; dunque:
Vuoto dentro, foratoi efr. Diez, Wòrt.
I«, 93. CHtwend, 7oci e Modi, 87.
57. — JH9, Oamm., 4* ediz.
30. QUALI : oonfbrml al mio desiderio,
e che per questa ragione mi s'impree-
sero nel cuore.
81. LA PABTB: l' oochio. - PATX t pati-
sce, sostiene; cfr. Par. I, 48; IV, 73.
82. MOBTALi : 1* aquila celeste ò immor-
tale, essendo immortali gli spiriti ohe la
formano. - mcoMiMOioiaa: l'aquila, Y uni-
tà degli spiriti, incominciò a parlarmi.
« Suppone di esser veduta per fianco e
non di fironte »; Oom,
84. DB* FOCHI: degli Spiriti fiammeg-
gianti, ond' ò formata la mia figura d'a-
quiU; cfr. Par. IX, 77; XVUI, 108;
XXU, 40; XXIV, 81; XXV, 87, 121.
85. QUKLLi: i lumi onde si compone
l'occhio mio scintillante.
80. b' di tutti : eglino sono 1 più nobili
di tutti gU spiriti che per diversi gradi
vanno formando la mia figura, e* (obe
alcuni testi omettono) vale qui Bi, bi.lt,
BOLIMO, non già oongiunrione, come pre-
tendono alcuni ; cfr. Oom. lÀpe. m, 640.
«nii spirìtus splendidiores, ex qnibus
ooulns compositus est tor^ M tommi di
tuiH i loro gradi, quasi dicat: sunt viri
summi et mazlmi » ; Benv.
38. IL CANTOB: Davide, re d'Israele,
r inspirato cantore dei Salmi.
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898 [GIBLO SESTO]
Pab. XX. 89-54
[PBIKOIPI OnJSTl]
40
i3
46
40
52
Che l'arca traslatò di villa in villa :
Ora conoBoe il merto del suo canto,
In quanto effetto fu del suo consiglici
Per lo remunerar ch'ò altrettanto.
Dei cinque che mi fan cerchio per oigliO|
Colui che più al becco mi s'accostai
La vedovella consolò del figlio :
Ora conosce quanto caro costa
Non seguir Cristo, per FesperienEa
Di questa dolce vita e dell'opposta.
E quel che segue in la circonferensa,
Di che ragiono, per l'arco superno,
Morte indugiò per vera penitenza :
Ora conosce che il giudizio etemo
Non si trasmuta, quando degno prece
Fa crastino laggiù dell'odierno.
30. DI YILLÀ IN VILLA: di loogO ÌO IqO-
£0; prima dàU* oMa di Abinadab, ohe
era in sol colle, alla oaaa di Obed-Bdom
Ghitteo; poi dalla casa di Obed-Bdom a
Gerasalemme; oonfr. II, Reg, VI, 1-17.
I, Parai, XIII, 1-14} XV, 1-XVI, 1.
41. UT QUANTO t per la grandessa del
premio, proponionato al suo merito, Da-
vide ooBoeoe ora il merito del tao eanto,
in quanto eeeo oanto Ai effetto del ano
proprio volerei polohè in qoanto ftief-
fstto dello Spirito Santo, qnel eoo canto
non fti merito, ma ffraiSa, Altre inter-
pretaaioni sono inattendibili. Aloonl leg-
gono AFFITTO e slegano: «Qoanto fti
amato dallo Spirito Santo, ano ooniigUe-
re, doè che gli oonaigliò 11 ano canto. »
Ma la les. affitto ò troppo sprovriata
di antorità di oodd. e di oomm. antichi.
42. ALTRETTAHTO: cfr. Par, VI, 118
e leg*
48. PEB CIGLIO: a mo'di ciglio.
44. COLUI : il lome che sta suU* arco del
ciglio più vicino al mio beooo ò l' impera-
tore Traiano, ohe fece ginstàsia alla vedo-
vella, alla qoale era stato morto il figlio ;
cfr. Purg. X, 78-88.
46. CONOBCB: essendo stato più secoli
nell' Inferno, sa per esperiensa quale sia
la pena di ohi non segue Cristo. « Qnia
sdlioet, stetit in infamali angustia per
quingentos annos »; Benv.
48. QUBSTA: beata.- OFPOBTA: inflhmale.
40.quKL:Bieohia,rediQiada,al quale.
essendo infermo, ta dal profeta Isaia aa*
nunslata ia morte ; poi dietro Tumlle sua
preghiera, la vita gli fti prolungata per
16 anni ; cftr. IV. Séff. XX. 1-11. n. Pa-
rai. XXXn. 24. Itaia, XXXVHI, 1-22.
60. DI CES: della quale dreoufetenia,
ocerohio, v.48.-Aitco: ia parte più alta
del dgtio.
61. pBnTKNEA : la preghiera di Saeohii
era tutt* altro ohe di penitensa : « Obse-
cro. Domine, meaiento, quaao. qnomodo
ambulaveiim ooram te in vetitate, et tn
corde perfeoto, et quod boaum «st, in
ocnlis tuis feoerim. » Di un'altra preghie-
ra le sacre carte non riferiscono nulla (cfr.
ìmmo, XXXVIII, 8). Dante pensò qui al
passo n, Parak XXXII, 96, dove si par-
la della penitensa di Eaechla, naa di una
penitensa snssegoente, come il peccalo
commesso, alla sua guarigione. Pare che
il Poeta peccasse qui di anacronismo.
68. QUANDO : AL pnoHfc. - FBBOO : pre-
ghiera; cfr. j&ir. XXVIU. 80.
64. FA GBASTiNOt fe diTonire oosa o
fatto del domani ciò che doveva essere
cosa o fette dell' oggi. Ora Baeohla co-
nosoe, ohe, quando il divtn gindlsio. an-
nuendo aU*acoettevole preghiara dell'uo-
mo, diiferisce a domani dò che ora etabi-
lito per oggi, non per questo si muta.
Cfr. Thom. Aq,, Sttm, th$oL II, n. 88, 2.
Pwg, VI, 28 e seg. «Ideerell. ohe noi
concepiamo come ocndisionatl, in Dio d
risolvono in dooreti assolati»; 0»m.
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(CULO SS8T0]
Par. XX. 55-69 [pbincipi oitjsti] 899
66
58
01
64
«7
L'altro ohe segue, con le leggi e meco,
Sotto baona ìntenzion ohe fé' mal £rattO|
Per cedere al Pastor, si fece greco :
Ora conosce come il mal, dedntto
Dal sno bene operar, non gli è nocivo,
Awegna ohe sia il mondo indi distratto.
E quel che vedi neU' arco declivo,
Onglielmo fìi, cui quella terra plora
Che piange Carlo e Federico vivo :
Ora conosce come s' innamora
Lo ciel del giosto rege, ed al sembiante
Del sno folgore il fa vedere ancora.
Chi crederebbe giù nel mondo errante.
Che Rifeo troiano in qnesto tondo
Fosse la qninta delle laci sante?
65. L*ALTBO: Cottantino imperatore,
ohe, per cedere (con bnoum intensione
ohe ivodoaee poi cattivi fratti) RomA al
Ponteace, traifert in BÌmdbìo U sede del-
l' impero, e per conaegaeni* anche la
•ede delle le^ e delle armi, delle qnali
l'aquila è particolarmente l'inaegna;
efr. Inf. XIX, 115 e aeg.i XXVU, M
e aeg. Pmr, VI, 1 e seg. - oon lb lbooi:
«neoompagnato dalle leggi e dal mio ae-
gno»; BvU,
66. BUOXA: ofr. De Mon. II, 12, 13. -
MAL Fauno: ofr. Ir\f. XIX, 116 e aeg.
67. Piai CXDEHS: per lasciare Roma al
pap*, trasfetl la sua sede nella Grecia.
Cofli secondo la tradidone medioTale.
68. DBDUTTOi dedotto, derivato.
69. NOCIVO : imputato a colpa. « Sven-
tila seqnens non fkoit aotom malam qni
erat bonus, neo bonnm qni ent maina»;
Tham. Aq.,aum.th. I, n, 20, 6.- «Dal tetto
in giù, 11 trasferimentodiCkMtantinoaBl-
sanalo recò al mondo gravi mali ; e tnttl
qnesti vengono deplorati da Dante, il
quale non ne fti colpa a Costantino, per-
chè ebbe retta intensione nò 11 poteva
prevedere »; (hm,
00. DTDi : per il dominio temporale dei
papL - DDIBUTTO t « imperò ohe per qne-
sta rfoehesaa della santa Chiesa sono di-
vM U sommi pontifici da 1* imperadori,
e Iktto parte della Chiesa e de lo imperio
goeUSa e ghibellina, sioohò la cristianità
n' è divisa e rennta in grandi guerre »;
BirtC Cfr. Pwrg, XXXII, 124 e seg.
61. VHJ,*ABOO : nella piega, ossia nel-
r arco inferiore del ciglio. - dicuvo :
declive.
02. Guglielmo : Guglielmo II, re di Si-
cilia, che governò dal 1106 sino al 1180,
nel qnale anno cessò di Ti vere; principe
giusto ed amato dal suo popolo. « Amava
li suoi sudditi di dilesione regale, la qnale
Dm differenzia dalla iniqua volontà tiran-
nica; e teneali in tanta pace e dilettoe tra-
stullo, che si potea stimare uno paradiso
terrestre.Costni era liberaIissimo;non era
cavalieri, nò d' altra condisione uomo, che
fosse in sua corte, o che passasse per quel-
la contrada, che da lui non fosse provve-
duto.... In questa corte era tanta pace,
tanta tranquillità, che li abitanti e sud-
diti notavano in allegressa. » Lan,, OU.,
An, Fior., Cfr. Tigo, D.éìa SieMa, 18
e seg. - TBBEA : Sicilia. - plora: deplora,
lamenta; cfr. PertM, Mon. €hrm,, Script,
XIX, 824.
68. CaslO: il OioUo di Oérutalemmé;
cfr. Purg. XX. 70. Par, XIX, 127. - Fk-
DKBlco : lire di Sicilia; cfr. Purg. VII,
110. Par.XIX, 181. Il morto ò pianto per
la sua bontà egiustlsia; i vivi sono pianti
per le loro ingiustisie e tirannie; oonfr.
Par, Vili, 78 e seg.
66. AL BSMBiAirnE: rispondendo viva-
mente dà segno di conoscere come ò caro
al cielo un principe veramente giusto.
67. KRRANTB : soggetto all'errore ; cfr.
Par, XII, 04. In cielo non vi ò errore.
68. Ri FEO : ricordato da Virgilio, Aen,
n, 830, 804, 426 e seg.; del resto perso-
naìnKio ignoto. -TOHDO Loglio.
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900 [CIELO SESTO]
Pab. II. 70-80
[PAGAHI BEATI]
70
73
76
79
Ora conosce assai di quel che il moDclo
Veder non può della divina grazia,
Benché sua vista non dìscema il fondo.
Qnale allodetta che in aere si spazia
Prima cantando, e poi tace, contenta
Dell' ultima dolcezza che la sazia;
Tal mi sembiò l'imago della impronta
Dell' etemo Piacere, al cui disio
Ciascuna cosa, qnale eli' è, diventa.
Ed awegna ch'io fossi al dabbiar mio
Li quasi vetro allo color che il veste,
70. m QUKL: «Or» egU oonosoe assai
di qoelle cose dalla divina graaia, che il
mondo non può redere »; Betti,
72. IL FONDO : della divina grasia, deUa
quale i beati comprendono infinitamente
più che i mortali, ma non ne conoscono
tuttavia il fondo, Tento finito non po-
tendo mai raggiangere 1* Bnte infinito.
Oli stesai angeli non conoscono pien»>
mente il mistero della grada divina. Cfr.
Aug„ Serm. XXXVIII De Verb. Dom,
Thom, Aq., 8um, theol, I, 12, 8{ 67, 5.
V. 78-84. Pagani beati. DI tre cose,
diceva nn sant'uomo, ci maraviglieremo
in cielo, se Dio ci fiala grasia di entrarvi.
In primo laogo ci maraviglieremo di non
trovare in Paradiso molti, dei qnali te-
nevamo come certo che vi fossero entrati.
Più ancora ci maraviglieremo di trovare
lassù molti, al qoaU noi credevamo che le
porte del Paradiso non si ibssero mai
aperte. Ma più di ogni altra cosa ci ma-
raviglieremo di essere noi medesimi ac-
colti nel beato regno. Una esperlensa si*
mile Al qni il nostro Poeta. Egli non
credeva di trovar pagani in cielo, mas-
sime dopo aver testé edito, ohe non vi
salì mai ohi non credette in Cristo, Par,
XIX, 103 e seg. Bd ora gli sono mostrati
dae pagani beati, morti l'nnoprta, l'altro
poi che Cristo « si chiavasse al legno »;
ma morti ambedue sensa credere in Cri-
sto. Pieno di stupore, non sa trattenersi
dall'esolamare: «Ohe cose son queste!»
I beati fanno festa al suo grido, lieti di
poter sciogliere il suo dubbio.
73. QUALI ALLODinTA : Al. QUAL LO-
DOLBTTA. « Il paragone ò tra uccello ed
ucoeUoj scegliendo la lodoletto, soegae
queUo appunto, cui ò più che ad altri
Ho lo spaaiarsi in aria gorgheggian-
do»; L. VenL, aimU., 440. Cfir. XversC..
Ber. nat, II, 140 e seg.
76. DELL* ULTIKA : della dolc«ua deHe
sue ultime note che contenta appieno la
sua voglia di cantare. Cf^. Tìrg,, €wr$.
I, 412.
70. TAL: contenta delle sue parole. -
ntàoo: cfr. JnA XX, 123. - impresta:
impronta; oonfir. Peur, VII, 60 ; XVUI,
114. « Si fatta mi parve 1* imagtne de la
figurata aquila, che Iddio la figurava
come si figura una figura d' una forma,
imprimendola ne la cera, o in altra cosa
ricettevile di quella: De V etemo piaeerf,
doò d* Iddio che ò etemo piacere, al de*
siderio e volontà del quale ogni ooaa di-
venta tale, quale ella è nel piacere d'Id-
dio; imperò ohe ogni cosa ò tetta da Dio
tale, qnale elli la vuole.... E questo dice
l'autore per togliere dubbio al lettere di
quel che haedetto ; doò che la detta aqui-
la, finita la sua oraaione, cantò ; e poi flui-
to lo canto, si tacque, rimanendo ocmteota
di quello oanto oh'avea fatto al piacere
d'Iddio.» Aili. Sulle altre avariate in-
terpretaxioni di questa teraina dt, Om».
Lipe. la, 547-540. Oom. t « L' aquila
simbolica parsa soddisfiitta del suo can-
to. La d dice imagine del plaoer divine,
giacché in essa aquila (doè neU* Impero
Bomano) Dio ha improntata la sua vo-
lontà, secondo la quale ogni ooaa è quella
ohe ò. >
70. AVVBONA: « Sebbene un dubbio, die
io aveva nell'animo, fòsse veduto dagli
spiriti odesti fta cui io mi trovava, come
si vede un odore a traverso il vetro,
dietro al quale sta; tuttavia quél dub-
bio non sofferse che io, tacendo, aqtet-
tasd tempo alla risposta»; L,VerU,,9Ìm.t
157. È r impaaienia dello atopore.
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[CIXLO SB8T0]
Pab. XX. 81-96 Tfkdb b saIiUTB] 901
83
85
01
04
Tempo aspettar tacendo non patio ;
Ma della bocca « Che cose son queste? »
Mi pìnse con la forza del sno peso ;
Per ch'io di corrascar vidi gran feste.
Poi appresso, con V occhio più acceso,
Lo benedetto segno mi rispose,
Per non tenermi in ammirar sospeso :
« Io veggio che ta credi queste cose,
Perch'io le dico, ma non vedi come;
Si che, se son credute, sono ascose.
Fai come quei che la cosa per nome
Apprende ben; ma la sua qniditate
Veder non può, se altri non la preme.
Regnum codorum violenza paté
Da caldo amore e da viva speranza.
Che vince la divina volontate;
81. PATÌo : patì. Il dubbio non gli por-
miao di aspottaro obo l'aquila gli aod-
diofluMse da aè.
83. FISO : la gravità doL dubbio mi ao-
spinae Ibor doUa boooa qaoUo parolo.
84. 00BBU8GAB : Scintillare, brillare ;
cfr. Pwg, XXI, 60. Par. V, 126. Per il
ohe Tidi gran fbete di lomi fiammeg-
gianti, Ueti di ritpondermi e di soddisfare
ooék al mio desiderio.
V. 85>129. Vede e tahUe, Con Toochio
briUsate di gioia, 1* aquila soiogUe il
dubbio del Poeta. «Tu oredi alle mie pa-
role, ma non comprendi ancora. L'nomo
può acquistarsi la grada per forsa ; colla
fona cioè della carità e della speransa.
A' preghi di Gregorio, Traiano ritornò in
Tita, e credette in Cristo. Rifeo credette
in Cristo Tontnro, e fa salyato per la
Ibde, la speransa e la carità. La salva-
dono del primo fti la mercede della vira
•peransa di San Gregorio; la salvadone
di Bifeo ta la meroede deUa sua carità. »
Cfr. Thùm, Aq,, Bum. theol. I, n, lU, 1-5.
Oom, Lip». III, 650 e seg.
87.UI AMMIRAR! nella maraviglia nata
in me dal veders tra gli eletti del cielo i
pagani Traiano e Rifeo, che morirono
senza aver creduto in Cristo.
89. HOH VIDI COMR: credi, ma non
ne vedi la ragione. Rammenta la nota
aeotenxa di S.Agostino: Credo ut irUel-
99. QIIID1TATR: termine delle scnole —
Tessensa, ciò ohe Ih che nna cosa sia ciò
ohe essa è. Cfr. Thom. Aq., Bum. theol.
II, n, 8, 1.
93. fromr: manifesta, rivela; voce la-
tina, ora fuor d' uso.
94. RioNUM : è la sentenza evangelica,
MtUt. XI, 12 : « Regnum coBlomm vim
patitur, et violenti rapinnt illnd. » - « U
regno de' deli cede all' affetto ed alla
speransa umana, che vincono la divina
volontà, non per prevalenza di forza, ma
perchè vuole esaere vinta. La similitu-
dine negativa [del v. 97 J cade snll' abuso
che gli uomini superbi fanuo della pro-
pria forza, oppostamente a ciò che fa
Dio. Quella è vittoria di prepotenza ;
questa, di carità. >» L. Vent„ SimU., 818.
Cfk*. RoneheUi, Appunti, 172.
96.viifCB: « questo d debbo notare con
nnadlstindono; cioè che due sono le vo-
luntà in Dio : 1* una è assoluta, e questa
mai non d vince, ma ella vince tutto;
l'altra è oondidonata, cioè che Iddio
vuole che, se tu se' infidele di danna-
to; ma potrà tanto amore in Dio es-
sere in te e sì viva speranza, e in altro
parti, che Iddio vorrà che quella prima
volnntà non d tollla, che ella sta pur
ferma, ohe ogni infidele è dannato ; ma
vuole Iddio ohe d trovi modo ohe d tomi
all'ordine che non sia in Addo ; ma di-
venta fidele, e così sta sempre ferma la
volontà d'Iddio assoluta e oondidonata »;
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902 [OIBLO BS8T0]
Pab. XX. 97-109
[FBDB B 8ALUTB]
97
100
103
106
100
Non a guisa ohe l'uomo all' uom sobranza,
Ma vìnce lei, perchè vuole esser vinta;
E, vinta, vince con sua benìnanisa.
La prima vita del ciglio e la quinta
Ti fa maravigliar, perchè ne vedi
La region degli angeli dipinta.
Dei corpi suoi non uscir, come credi,
Oentili, ma Cristiani in ferma fede.
Quel de' passuri, e quel de' passi piedi :
Che l'una dello Inferno, u' non si riede
Giammai a buon voler, tornò all'ossa;
E ciò di viva spene fu mercede.
Di viva spene, che mise la possa
O7.0OBRA1IZA : Aoqnigta il disopra, vili'
oe. Contr, Nannìuei, Voci itaL derivate
daJlaUnguaprot., 88. Par. XXTTI. 85.
M. YiMOB : carità fervid» e vira spe-
mi la Tinoono 11 volere divino, perchè
questo vuole esser vinto, e l'esser OMà
vinto ò vittoria della grazia. - benikah-
EÀ : benignità, bontà ; ott. Par, VH, 143.
Nannue.,Verbi, 87 e seg.
100. LA PRDLà : Traiano, cf\r. v. 43 e seg.
-VITA : anima : cfir. Par. IX. 7 ; XII, 127 ;
XIV, 6. - LA QUINTA: Bifeo nominato
nel V. 07 e seg.
102. LA BBOION : i cieli. Seoondo gli sco-
lastici, 1 cieli sono la regione degli nomini
beati, più che degli angeli; ofr.Thom.Aq.,
Sum. tkeol, I, 60. 3; 102, 2; I,li. 47, 8;
li, n, 175, 3. -DIPINTA: fkcendo parte del-
l' aqnlla ivi dipinta da Dio ; cfr. Par.
XVIII, 109.
108. BUOI: loro.
105. QUBL: lo spirito di Rifeonsd del
corpo in ferma fede nella fatnra, lo spi-
rito di Traiano nella già avvenuta pas-
sione di Cristo. - PA8SUBI : che dovevano
patire. - passi : che patirono. Pasturo
e poeto sono latinismi.
108. l'uha : Traiano ; cfr. Pwrff. X, 75.
«De fikcto Traiani hoc modo potest pro-
babiliter cestimari, qnod precibns B. 6re-
gorii ad vltam ftierit revooatas, et ita
gratiam conaeoatos sit, per qnam remls-
sionem peccatomm habnit, et por conse-
qnens immnnitatem a posna: sicntetiam
apparet in omnibus illis qai ftaemnt mi-
racolose a mortais sasoitati, qnornm pia*
rea constat idololaljras et damnatos fris-
se. De omnibus talibus enim similiter
dici oportet, quod non erant in Inlbmo
flnaliter deputati, sed seoondnm prceen-
tem propriorum merltonun institlam;
•eoundum autem soperiores eansas, qul-
bos pnsvidebantar ad vitam revooaadi,
erat aUter de eia disponendoin. Vel di-
oendum, seoondum qnosdam, qnod aalma
Traiani non fldt simpUdier a reato pos-
ne «ternfe absolata ; sed ef us pomA foit
suspensa ad tempns, sdHcet nsqae ad
dlem iudidi. » Thom.Aq.,8wn, tkeol. TU,
Sappi., 71, 5. Intorno alla leggenda della
risurresione e conversione di Tralane
per opera di 8.<Qregorio cfr. lok, Diae.,
VU, 8. Oreg. M. II. 44. O. Parie, Ln le-
gende de Traian. Par., 1878. Arturo Grqf,
Boma, II, 1 e seg.
107. A BUON voLCB : neU* Infamo non
vi è pentimento; cfir. Tkom. Aq., Am».
thsol. Ili, Stqfpi- 98, l'2.Purg. XXIV, 84.
- all' ossa : a rianimarle di vita ; ofir.
Bzeeh. XXXVII, 2 e seg.
108. BPKNB : « della speranaa ebe San
Gregorio ebbe, che la misericordia di Dio
esaudirebbe lui pregante per la vita di
Traiano, il quale era morto»; OtU Ooii
pure Lan., AruPior., Ben9.,VeU., Dan,,
VerU., Lomb. e tutti i moderni sino al
Oom. Invece BtOi: «Fu merito di viva
speranaa, che Traisao ebbe in Dio acM-
pre che lo illnmiaerebbe de la ss* iMe
e di quello che ftisse sua salute, e que-
sta sporansa non perdette mal» anco
sempre fìi viva », interpretadone aeoet-
tat« dal Land., ma ohe è contraria al
contesto.
100. LA P068A: Ai. SUA FOSSA. KOB d
tratta qui della possa della speransià, ma
della possa ch'era nella preghiera, mee-
savi dàUa viva speranaa. |
ogie
[OllLO 8B8T0}
PàB. XX. 110-126 [FBDB E 6ÀLUTB] 908
112
115
118
121
131
Ne' preghi fatti a Dio per sosoitarla,
Si che potesse soa voglia esser mossa.
L' anima gloriosa onde si parla,
Tornata nella carne, in che fa poco,
Credette in Lui ohe poteva aiutarla;
E credendo s' accese in tanto fuoco
Di vero amor, ohe alla morte seconda
Fa degna di venire a questo giuoco.
L'altra, per grazia che da si profonda
Fontana stilla, che mai creatura
Non pinse l'occhio infine alla prim'onda.
Tutto suo amor laggiù pose a drìttura;
Per che, di grazia in grazia, Dio gli aperse
L' occhio alla nostra redenzion futura :
Ond' ei credette in quella, e non sofferse
Da indi il puzzo più del paganesmo ;
E riprendlene le genti perverse.
111. VOGLIA: non di Dio (FeR., Don.,
VenL, eoo.), m* di Traiano (Benv., BuH,
Jjcmd,, Lcfkb. e tatti i moderni). - mossa:
dalla cUvina grana alla fede.
118. POCO: poco tempo; risse ancora
tanto da credere in Cristo.
114. IH Lui: in Cristo, che poteva sal-
Tarla.
116. ALLA MOBTE SBCOHDA: quando
morì la seconda volta; cfr. Ir^. 1, 117.
117. GIUOCO: giocondità, tripudio, fe-
sta; ofir. Par. XXXI, 133; XXXII. 103.
« Giuoco è diletto e riposo »; Thom. Aq,,
Swm, théol I. n, 1, 6 ; II, ii, 108, 2. Al. a
QUI8T0 LOCO. Cfr. Moore, OrU., 472.
118. l'altra: vita, v. 100, cioèBifeo.-
FXB GBAZIA: aiutata dalla divina grasfa.
110. FOMTAHA! la misericordia di Dio.
« Discende dalla fontana profonda, cioò
àm Dio, della quale fontana di grazia nulla
ereatura vide mai lo principio suo > ; OU,
- « Bsce di sì profonda fontana, che è la
providenaia d' Iddio che predestina ohi
ella vuole a salute, e predestina ohi vuole a
dannazione, che non fu mai creatura che
pingesse rocchio suo nò della ragione nò
de lo intelletto in/fno a laprim' onda, cioè
a quella disopra, non ch'elli vegga quella
di sotto; cioè non fta mai ninno ohe ve-
desse le ragioni da presso, non ohe quelle
da lunga»; BvtL
120. alla PBDf'OHOA : infino ai prin-
cipio, alla fonte della divina misericor-
dia; otr. Purg. VIII, 68 e seg.
121. LAGGIÙ: in terra. -A DRITTUBA:
alla giustizia.
122. APKRSB: «Mnltis gentilium fecta
ftiit revelatio de Chrìsto.... Si qui tamen
salvati fùerunt quibus revelatio non fuit
fecta, non Aiernnt salvati absque fide
Mediatoris; quia etsi non habuerunt
fldem explioitam , habuerunt tamen fldem
implidtam in divina prò videntia, creden-
tes Deum esse liberatorem hominum se-
cundum modos slbi placitos, et secundnm
quod aliqnibus veritatem oognosoentibus
Spiritns revelasset.» Thom. Aq., Smn.
Vuol. II, n, 2, 7.
124. omd'bi : Al. OKDI CBBDKTTB. -NOK
BOPFBB8K : dacchè Dio Io ebbe illuminato,
non tollerò pih 1* infedelitÀ del pagane-
simo, e ne riprendeva le genti pervertite
dalla falsa credenza.
126. IL PUZZO: cfr. Por. XVI, 66.
126. bipbkndìknic: ne riprendeva; cfr.
Nannuc., Verbi, 140 e seg. Al. biprbn-
DBANK. - « Questa è Azione del nostro
autore, come lo lettore intelligente può
comprendere ; che di questo non e' è al-
cuna prova, cioè che Bifeo tooiano sia
salvo ; ma piacque a lui, per le parole ohe
forno dette di ini da Virgilio, di fingere
ohe li fosse mostrato nel detto luogo ed
adduoere le cagioni che potrabbono es-
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904 [ciBLO SISTO] Pàb. XX. 127-140
[PBBDBSTIHÀZIOHB]
127
180
188
186
189
Qnelle tre donne gli far per battesmo,
Che tu vedesti dalla destra rota,
Dinanzi al battezzar più d' nn millesmo.
0 predestinazion, quanto remota
È la radice tua da qnegli aspetti
Ohe la prima cagion non veggion tota!
E voi, mortali, tenetevi stretti
A giadioar; ohe noi, che Dio vederne.
Non conosciamo ancor tatti gli eletti :
Ed ènne dolce cosi fatto scemo ;
Perchè il ben nostro in questo ben s' affina,
Che quel che vuole Iddio, e noi volemo. »
Cosi da quella imagine divina.
Per farmi chiara la mia corta vista.
sere stato instameate eflbttiye della sua
salute, per mostrare come si potrebbe
salvare nno che fosse in si fatto caso, se
a Dio piacesse, servando l' ordine della
instizla divina, olie sempre è accompa-
gnata dalla misericordia; e per dire an-
cora della predestinadone d'Iddio, ohe ò
alta e profonda materia, sicchò nessona
cosa de la santa Teologia rimagna non
toccata da lai »; BuH.
127. DomnB: Fede, Speranza e Carità;
ofr. Furg. XXIX, 121 e seg. -bàttbsmo:
« La fède, la speransa e la carità furono
in lai infinse, quantunque il battesimo,
onde s'infondono gli abiti delle predette
virtù, non fòsse istituito da Cristo che
mille anni dopo Blfeo »; Com. Il Poeta
applica a Bifào la teorica scolastica del
battesimo di penitansa. Cfir. Aug., De
hapi. eonU Don. IV, 22. Thùm. JLq., 8um.
theol. in, 99, 11 ; 68, 2, 8. Oom. Lips,
in, 556.
129. DlNAiczi: prima della istituiione
del battesimo. - più : 1184 anni.
V. 180-1Ì8. ZltniHero deUa prede-
BHntuHone, L'aquila conclude che la di-
vina predestinazione ò un abisso in col
occhio mortale non può fissare lo sguardo.
E dall'imperscrutabile mistero della pre-
destinazione deduce consiglio a non giu-
dicare leggermenta il destino futuro delle
anime umane. Ctr. Par. Xn, 112-142. In-
torno alle dottrine scolastiche della pre-
destinazione cft. Tkom. Aq., Sum. theol.
1.23, 1^; in, 24,1.
180. PRXDBSTiirAZiON: «predestinazio-
ne ò quando Iddio prevede ohe alcuno sia
salvato [meglio : PredetUnazSone è la de-
stinazione alla beatitudine celeste fktta
ab etomo da Dio], ohe non può «saere
che non sia : e preiieienta è quando Iddio
prevede che uno debbo essere perdato.
B perchò l' autore parla qui de* aalvati,
però dice predettinatione e non premie»-
già. 9 BuU.
181. LA RADICI: la ragione, il fondo.
-ASPKTn: sguardi; ctt. v. 70 e aeg.;
118 e seg.
132. tota: tutta; ofr. Par. VII, 85.
133. STRETTI : ritenuti, guardinghi. Non
v' allargate per tema di errare.
136. NON coivOBCiAMO: noi stessi non
conosciamo pienamenta il numero dei fii-
turi eletti, e ci contentiamo di oonJar-
marci in dò al divin volere. « Conlbime
a quella Colletta deUa Chiesa: Dona, coi
soU oognitns est numerus eleotonun in
superna felicitato locandns »; Vent.
136. ÈNNE: ne ò, ci ò ; cfir. Nannueei,
VeHn, 436 e seg. -scemo: difetto di co-
gnizione.
137. B* AFFINA : si perfeziona nel diletto
di conformare del tutto il voler nostro al
volere di Dio.
188. VOLEMO : vogliamo ; cfir. Par, IH,
70 e seg.
130. IMAGINE : dell* aquila, ivi dipinta
a Dio {Par, XVUI, 100) e raggiante
di lui.
140. FARMI : •/anni la mia è modo fia-
migliare, e tanto più caro ed efficace »;
2^in.- VISTA: intellettoale, che non sft>
peva vedere addentro nel mistori della
fede e della salvazione.
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[CIBLO SETTIMO] PlB. XX. 141-148 - XXI. 1-2
[SALITA] 905
143
146
148
Data mi fti soave medicina.
E come a buon cantor buon citarista
Fa seguitar lo guizzo della corda,
In che più di piacer lo canto acquista;
Si, mentre che parlò, al mi ricorda
Ch' io vidi le dne laci benedette,
Pnr come batter d' occhio si concorda,
Con le parole muover le fiammette.
141. ifSDiciiu.:«dTi]cl8per8iU8Ìoqii8B
hftbnit medicare vel oorare tameritfttem
indicudi, qjtm eet magnainfirmiteameii-
timn hnnuuianim »; Benv,
142. X ooMXt come U boon diarista ao-
eorda 11 «nono del suo rtmmento alla
▼ooe del buon eantore, pel quale aooom-
{Mfnamento di saono 11 canto acquista
maggiore soavità; ooél le dae loci di
Traiano edi Biitoo aooompagnavanod'ac-
cordo eoi loro scintillare il parlare del-
l'aquila. Cfr. Oonw, I, li. L.rnU., Si-
mO. 65.
143. LO GUIZZO: il snono prodotto dal
tremolar delle corde toccate. « Usa la
canea per l' eifetto, il gniszo, il tremore
della corda, pel suono di essa» i Br. B.
145. PAfiLÒ : r aquila. - sì mi bioorda :
Al. MKNTRB CHB PABL0B6I MI BIOOBDA.
Al. MI SI BIOORDA.
146. Luoi : le dne anime beate e risplen-
denti di BifiBO e di Traiano.
147. PUB : concordi appunto come il bat-
tere degli occhi, che si fk sempre con-
temporaneamente! cfr. Par. XII, 25
e seg.
CANTO VENTESIMOPRIMO
CIEIiO SEfTTIMO O DI SATURNO! SPIEITI CONTEMPLATIVI
SALITA AL SETTIMO CIELO, LA SCALA CELESTE
PIEB DAMIANO, CONTRO IL LUSSO DEI PBELATI
Qìk eran gli occhi iqiei rifissi al volto
Della mia donna, e l'animo con essi,
V. 1-24. aàUia al ciOo éi Saturno.
Teraalnato il discorso dell'aquila celeste,
Dante volge di naoTO lo sguardo e la
mente a Beatrice ; la qnale piii non ride,
gi^^»rfiA egU non potrebbe sostenere lo
sp]«Ddore di tal riso. Beatrice gli annua-
sia ohe ai sono già elevati al delo di Sa-
turno, dove appariscono gli spiriti con-
templativi e dove regnano serietàe silen-
do. Invitato da Beatrice a fiue attenzione
a dò che sta per mostrarglisi, il Poeta si
prepara con lieta prontessa ad ubbidire.
Sul cielo di Saturno cfr. Oonv. II, 14.
2. L'ANIMO: cfr. Inf. XXJV, laL
Rie
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906 [CIBLO SETTIMO] PàB. XXI. 8-19
[SALITA]
10
18
16
10
£ da ogni altro intento s' era tolto.
E quella non ridea; ma < S'io ridessi, >
Mi cominciòi « ta ti faresti qnale
Fu Semole, quando di cener fèssi;
Che la belleua mia, che per le scale
Dell'eterno palazzo più s'accende,
Gom'hai veduto, quanto più si sale,
Se non si temperasse, tanto splende.
Che il tuo mortai potere al suo folgore
Sarebbe fronda che tuono scoscende.
Noi Sem levati al settimo splendore.
Che sotto il petto del Leone ardente
Raggia mo misto giù del suo valore.
Ficca diretro agb' occhi tuoi la mente,
£ fa' di quelli specchi alla 6gura
Che in questo specchio ti sarà parvente. >
Chi sapesse qual era la pastura
3. TOLTO : tatto Mwrto nella oontem-
pladone, prepAnndosi In tal modo de-
gnamente a salfre nella regione degli qui-
riti oontemplatirl.
4. MON BiDBA : « qoando V nomo tra-
Mende inaino al anpremo grado della
apeonlaxlone dirina, se Beatrioe ridesse,
doè dimostrasse tatto il soo splendore,
l'ingegno umano n' abbaglierebbe, in
forma che, Toleodo veder il tatto, non
vede aknna cosa »i Land.
6. Semblè*. figlia di Cadmo, che, ingan-
nata da Gianone, volle vedere Giove, soo
amante, in tatta la soa maestà, e ne fo in-
eeneriU: ofir. Ovid., MeL III, 258-815.
Ittf, XXX. 2.
7. SCALI: i deli, per i qnaU si sale so
nell* Bmpireo.
0. HAI VKDUTO : ofr. Par, V, 94 e seg. ;
Vili, 18 e seg.; XIV, 7g e seg.; XVIII,
66 e seg.
11. POTKHi: la toa virtù intellettiva.
13. AL SETTIMO : al oielo di Satnmo, « il
qaal pianeta mentre Dsate vlsltavalo,
era dai terreni vedoto nella oostellaslone
del Leone, e perdo, secondo l'opinione
del volgo, mandava i sad Infiassi proprii
misti con qaelll della stessa oosteHasio*
ne »', Oom. L'ascensione d compie anche
qni in an attimo. Altre volte il Poeta
sene accorgeva alla oresdota bdlessaed
al sorriso di Beatrice. Qni, dov' dia non
ride, perchè egli non potrebbe sopportar
tanto folgore, gli annnnsia ella ateesa
colla parola ohe sono UwaU al uttim»
tpUndoré,
14. SOTTO IL PITTO: « nota Òhe n^ 13M
del mese di marso Satnno d era in Leo-
ne » ; Lan,t OU., An. Fior. Ma vi dove-
va essere anche nell'aprile. Cfr. DèUa
Valle, 8&nto, 144. Oom. Lipt. TU, 561.
16. BAOOiAt manda giù in terra 1 sad
raggi misti od forti inflosd dd Leone.
« Nota come la inflaenda viene mlstaalla
terra ddla natura de' corpi oelesti ; Leone
d ò caldo e secco ; Saturno è freddo e sec-
co. Or mischia queste dne complessioni,
averd eccellente seoco; ma le qnaUtà
attive, come cddo e freddo, Tana tempra
r dtra. » Lan., An, Fior.
16. fioca: fissa la taa attensione dove
d saranno fissati gli occhi ; e Ha* ohe ia
esd d rispecchi la fignra che ti apparirà
in questo laccate pianeta. Fieearo la
niente ò il ìaUno Jlgere m«tilM» — fissar
r attendono.
18. SPECCHIO : Satamo ; dtrove chiama
specchio il Sole, Purg. IV, 62.
10. QUAL BEA : chl saposse qnal soave
pascolo la mia v^ta trovava nell'aspetto
di Beatrioe nel momento in eoi, per abbi-
dire, dovd volgere g^ occhi ad altro ob-
bietto, conoscerebbe qnanto rnbUdire a
Id mi rosse gr^, mettendo In bUanda
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PlB. XXI. 20-86 [SCALA 0ÉLS8TB] 907
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2S
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Del viso mio nell'aspetto beato,
QnandMo mi trasmutai ad altra cura,
Conoscerebbe quanto m'era a grato
Ubbidire alla mia celeste scorta,
Contrappesando l'nn con l'altro lato.
Dentro al cristallo che il vocabol porta,
Cerchiando il mondo, del suo chiaro dnce,
Sotto cni giacque ogni malizia morta.
Di color d'oro in che raggio tralnce,
Vid'io nno scaleo eretto in soso
Tanto, che noi seguiva la mia luce.
Vidi anco per li gradi scender giuso
Tanti splendor, ch'io pensai ch'ogni lume
Che par nel ciel, quindi fosse diffuso.
E come, per lo naturai costume.
Le polo insieme, al cominciar del giorno.
Si muovono a scaldar le fredde piume;
dft un Ulto il piacer mio di guardarla, dal-
l'altro il plaoer mio dJ ubbidirle, e tro-
TSBdo ohe il peso di qaeeto fti maggiore.
Goal fntendono 1 più (OU,, Btdi, Land,,
VM., YewL, Lomb,, Tom,, FreU,, Andr.,
Bennata,, Otom., Frane., FUal,, eoo.)*
Altri intendono ohe tanto era il diletto
oh'egU prendeva di mirar Beatrioe,
ohe mal Tolentieri d spicoava da lei per
altra eoea vedere {Dan,, Biag., eoo.), in-
terpretasione del tntto fiUsa; ofr. Oom,
lÀpt, III, 5<n e aeg.
aO. VWO: vlsU; Ofr. If\f. rV, 11.
SI. CURA: di ftm atteosione a dò ohe
era per apparire nel pianeta di Saturno.
14. coirnLàFPB8AKDO : mettendo ambe-
doe i piaeeri, di oontemplare Beatrioe e
di ubbidire a lei, ralla bilanoia.
T. 25-42. Xa aoola eeUHe, Esorta-
to dft Beatrioe, Dante si volge per ve-
dere ì» Afura ohe doveva apparirgli in
qneeto pianeta, e vede nno scaleo di color
d* oro, che s' innalsa sin dove la sna vi*
stA più non arriva, e sn per esso infiniti
splendori che salgono e scendono rotean-
do. !ft qaella scala celeste veduta dal pa-
triarca Giacobbe in sogno; cfr. Oenet,
XX VIU, 12 e seg. Par. XXII, 70 e seg.
« Qaeata ecala Agora lo salimento de le
menti contemplative, ohe ò di virtù in
virtù che sono più preziose che l'oro;
però finge che sia d'oro. B perchè le
menti si levano infine a Dio, però finge
che li raoi ooohi corporali non vedeva-
no la sna alteaia. » BuH, Land., VéU.,
Don., eoo.
26. AL osiBTALLO : al pianeta di Satur-
no, detto testé tpeoohio, v. 18. - il voca-
bol; il nome; cfr. Purg. V, i)7j XIV,
20. Par, Vni, 11. Intende il nome di
Saturno.
26. SUO: del mondo. - CHLUtO: Al.
OABO. - DUCB: il re Saturno.
27. BOTTO CUI : sotto la dominadone di
Saturno, neir età dell* oro, quando nel
mondo non esisteva alcuna malisia; cf^.
Ovid., Mèt. 1. 8»-112. In/. XIV, M. Pwrg.
XXVIII, 180 e seg.
28. d' oeo : « ad denotandum perfeotio-
nem vite oontemplativ», qu«o exoedit
omnem aliam, siont aurum omnia me-
talla»; Beno. - tbaluob: percosso dal
sole, doò fùlgidissimo.
20. SCALEO: scala; cfr. Pwrg. XV, 36.
80. luck: oo6hio. La scala era tanto
alta, che l' occhio mio non arrivava a
vederne la cima.
82. splkndob: spiriti fùlgidissimi. -
oom lumb: tutte le stelle ohe si vedono
nel cielo. « Io credeva oh' ivi fosse sparso
tutto lo splendore, onde i deli si abbel-
lano»; Betti.
36. folk : oomaochie. - al comihciar :
allo spuntar del sole. « La similitudine co-
glie i vari movimenti, e l' andare e il re-
sUre di quei beaU »; L. Ywnt., Sim., 480.
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908 [CIELO SBTTIMOl PàB. XXI. 87-50
[DUI DOmiffDK]
87
40
43
40
Poi altre vanno via senza ritorno,
Altre rivolgon so onde son mosse,
Ed altre roteando fan soggiorno;
Tal modo parve a me che qnivi fosse
In quello sfavillar che insieme venne,
Si come in certo grado si percosse;
E quel che presso più ci si ritenne.
Si fé' si chiaro, ch'io dicea pensando :
« Io veggio ben l'amor che tn m'accenno. >
Ma quella ond' io aspetto il come e il quando
Del dire e del tacer, si sta; ond'io
Centra il disio fo ben eh' io non domando :
Per ch'ella, che vedeva il tacer mio
Nel veder di Colui che tutto vede.
87. ALTBK: le une ai aUonUnuio e
non tomuio indietro; ftltre tornano al
luogo doro hanno passato la notte i altre
noD iknno che aggirarsi nel medesimo
luogo.
40. TAL MODO ; cosi, oomo sogliono fkre
le pole, mi parve che fiaoessero quelle ani-
me beate.
41. DfSiEinc: «imperò ohe quelli beati
spiriti moltiinsieme tutti Tonnono ad un*
ora, et ad un certo grado si partitteno ; e
però dice: 8i come in eerto grado, certo
scaglione della detta scala, Hp«reo$u; cioè
insieme tutti ; imperò che alcuni tomor'
no in su, unde erano venuti, e alquanti
andorono altro' , e alquanti restarono qui-
vi »; BuH, - « Bt sic vide quomodo autor
repnesentat diversoe diseursus anima-
rum per diversos voUtus polaram, qua-
rum oompar»tlo non videatnr alleni alie-
na; primo, quia omnes anim» separate
ubique flgurantur in avibus volantibus
propter earum levìtatem et velocitatem ;
et Inter c»teras animas anim» contem-
platlvorum sunt veloces, leves et expe-
dit», non gravate a carne, non impeditie
ab occnpationibus mundi } secundo, quia
poi» amant solitudinem ; similiter et oon-
templativi, unde ellgunt heremnm prò
habitatione sui; tertlo, sicnt poi» primo
apparent simul glomerat», poatea divi-
duntur et tendnnt ad diversas partes, ita
hio iste anime: pole etiam sunt aros
humiles et piane, et ita anime contem-
plantìum > ; Ben»,
V. 48-00. IHtm éomemde. Uno degli
>iriti della scala celeste, fermatosi pih
presso a Dante e Beatrice appiè della
scala, si £s si chiaro per il grande fervore
della carità, che Dante dice tra sé : « Ben
mi accorgo del tuo amorevole desiderio
di soddis&rmi : tu me ne dal sccbo col
cresciuto fulgore. » Ma Beatrioe, ohe gli
è norma del quando e del come egli
debba parlare e tacere, non gH fii vemn
cenno; onde egli stima opportoao di fre-
nare il suo desiderio e non Care domanda
alcuna. Se non che Beatrice, che mirando
in Dio vede ogni desiderio del Poeta, gli
dice : « Sasla pure 1* ardente tua brama. »
Allora, rivolto a quel vivo lume. Dante
dioe : « J\ mio merito non mi dà diritto
ad avere una risposta da te ; ma per amor
di colei che mi concede ch'Io ti doman-
di, dimmi, anima beata che ti stai na-
scosta dentro alla gioconda tua luce, per
qual cagione tu sei venuta sì presso a
me, più che le altre, e perchè la sinAmia.
che suona si devota perle altre sfere, tace
in questa. Alla prima domanda lo spirito
risponde col v. 108-126 ; alla seconda coi
V. 61-102. Comincia quindi dalla seconda,
come di gran lunga plh importante.
45. M' ACCKXNB : forma regolare anUea
per mi accenni ì confr. Nannueei, Terbi,
68-68.
46. IL COMB E IL QUAiTDO: Il modo ed
il tempo di parlare e di tacere.
47. ei STA: non fk vemn cenno.
48. CH* 10 : Al. s' IO ; fo meglio se non
domando, benché senta vivo desiderio di
domandare. Cosi l.più. Invece Bieg.x
« Fo centra il mio desio. •
60. HSL VBDBB: Vedendolo in Dio.
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[CIBLO SETTIMO]
PAB. XXI. 51-65 [DTJB DOMÀNDB] 909
52
55
58
01
64
Mi disse : < Solvi il tao caldo disio ! »
Ed io incominciai : < La mia mercede
Non mi fa degno della tua risposta;
Ma, per colei che il chieder mi concede,
Vita beata che ti stai nascosta
Dentro alla tua letizia, fammi nota
La cagion che al presso mi t'ha posta;
E di' perchè si tace in questa rota
La dolce sinfonia di Paradiso,
Che giù per l' altre suona si devota. »
« Tu hai l'udir mortai, si come il viso ; »
Rispose a me : « onde qui non si canta
Per quel che Beatrice non ha riso.
Giù per li gradi della scala santa
Discesi tanto, sol per farti festa
5L SOLVI: mppaga, smìa; ofr. Fwr.
XV. 52; XIX, 25.
62. MKBOBDK: merito ; efr. TV* l'V, 84.
P», XXVIII, 112. «SpoMo contrappone
l'idea del merito all' idea della grasia»;
Tom.
54. OOLB : Beatrioe. QoA tatti. U solo
Benw, legge fbb colui, e epiega : « amo-
re dei qni dat mihi gratiam petendi».
&Ia la pratia Intendi fti oonoeaea a Dante
da Beatrice, ▼. 51.
55. TlTA : anima; dr. Par, IX, 7 : XII,
127; XIV. «; XX, 100; XXV, 2».
56. Lmzu : laoe, eflTetto della lettala i
cfr. Par. V, 135 e seg.
57. MI T*HA F06TA: Al. MI T*ÀCOO0TA;
MI T* ▲PP06TA. « Qoal' ò la cagione che
ta, Mkima, sola mi aei venota più presso
di taUe qneste aitret Quasi a dire: Ha'ne
tu ninna cagione estrinseca, come o di
eonoaeensa o di parentado! Imperò che
qoa addietro molti hanno parlato all' Ant-
tore, o perchè ftirono suoi conoscenti
nella prima rita, et alonni gli hanno par-
lato per esser snoi oonsangninei, etc. »
An, Fior., Lan,
58. K DI* : e dimmi anche, perchè in
qneeto delo tace la soave armonia che
e'ode negU altri deU.
00. GIÙ: ofr. Por. m, 122; V, 104;
VI. 120; VII, 5; VIII, 28 e seg., eco.
Y. 61-72. HeOcMefo deU'mnor ede-
•te. QoeQo spirito beato, ammantato di
looe. risponde alle due domande del Poe-
ta, tnoomiiMiaiido daUa seoonda. « Qui
non d canta per la stessa ragione per onl
Beatrioe non ha riso. H too ndlto e la
tna vista, son da mortale, qnindl deboli.
Come il riso di Beatrice, così il canto dd
beati di questo ddo sopraiEuebbe l' in-
fermo tno senso. Quella stessa carità ce-
leste che indusse Beatrice a non sorri-
dere per amor tuo, induce questi beati a
sospendere i loro canti. Né maggior ca-
rità mi fece scendere più presto ddle al-
tre anime, perchè su per questa scala
ferve in tutte altrettanto amore e pih
ancora che non in me, docome ti dimo-
stra il loro fiammeggiare, che è segno
del grado ddla loro carità. Ma qudlo
stesso amor divino che d fa prontissime
eseoutrid dei vderi dell* alta Prowiden-
sa, è cagione ohe dascuna adempia libe-
ramente air ulfido a Id sortito, doè de-
stinatole da Dio. >
63. ONDI: Al. PESÒ.
68. FBB QUBL: per quella mededma
cagione. « Se Beatrioe ti avesse sorriso,
tu non avresti potuto reggerti in vita;
cod sarebbe, se noi innand a te cantas-
dmo »; Oom. Nuovo trovato per dipin-
gere le dolcesse ineflhbili del Paradiso:
r nomo mortde non può sopportarle, non
che descriverle.
64. SCALA : aurea, descritta v. 28 e seg.
« Questa scala è quella per la qude i con-
templativi ascendono suso a Dio, e li
gradi di questa scala sono le cose create
da Dio, le quali oondderando, 1* anima
devota ascende a Dio »; BuU.
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910 [CIBLO BBTTIMO] PAB. XXI. 66-78
[PBBDBSTINlZIOirB]
«7
70
73
76
Gol dire e con la lace che m'ammanta;
Nò più amor mi fece esser più presta;
Ghè più e tanto amor quinci sa ferve,
Si come il fiammeggiar ti manifesta;
Ma l'alta carità, che ci fa serve
Pronte al Gonsiglio ohe il mondo governa,
Sorteggia qui, si come tu osservo. >
€ Io veggio ben, > diss' io, € sacra lacerna,
Gome libero amore in qaesta corte
Basta a segair la Provvidenza etema;
Ma qaest' ò qael eh' a cerner mi par forte.
Perchè predestinata fosti sola
A questo ufficio tra le tue consorte. »
69. COL DiBX: ool mio parlare e oon
questo splendore in ohe sono inrolto co-
me in nn mento.
68. Pf tr 1 TAHTO : negli eltri spiriti fer>
re tento «more qnento in me, e piti an-
oore. Umiltà celeste. - Qunia su : sa per
queste scale. Solla carità dei beati erk*.
Thom. Aq,, Aim. theoL II. il, 26, 18.
70. BBBVS: della dirlna proTridensa,
pronte ad eeegoire i snol voleii imper-
somtabiU.
72. sOBTBOGiAt distribnisce le sorti;
« assortisce a dascnno quel ohe tuoI che
CMcia » ; Land., VM, - < Dedit In sortem
nt yenirem ad te»; Pott. OaH. - ossvR-
VB: osserri, redi. Bene Oom. : « Io non
vengo a parlarti, se non perchè cosi
Toole Iddio che goToma il mondo. »
V. 78-102. Incon^^rengihUitA dèi
misiero <IfHapreclwrtH<Mrloita. Lo spi-
rito beato ha detto che Tenne a parlare
a Dante, non per altro motivo, se non
perohò a dò destinato da Dio. Ciò in-
daco il Poeta a ritornare sairaroano del-
la predestinasione, già toccato Por^XX,
130 e seg. ; laonde domanda : « Ben veg-
gio, beato spirito lacente, che in questo
regno non espresso comandamento di
Dio, ma Ubero amore v' induce a Csre
dò ohe Egli vuole. Ha non so compren-
dere 0 motivo, perohò tra cotante anime
beate per 1* appunto tu ibsti predesti-
nata a venire a me ed a parlar meco. »
Dansando in giro sopra sé stessa, quel-
Tanima raggiante manifesta la sua letisla
di appagare il dedderio dd Poeta ; quindi
risponde: «Luce divina viene a ferire
od suo raggio sopra di me, attraver-
sando questa luce della quale io mi dr-
oondo. B la virtù di questa luce divina,
congiunta colla naturai forse dd mio In-
tdletto, m' innalsa tanto sopra di me,
ohe io veggo la stessa sssents divina,
dada quale la detta luce procede. Dd
vedere questa suprema natura naeee
qudla gioia per cui risplendo ; perdooehè
in me, come in tutti i beati « la ohiaiesxa
dello splendore d pareggia alla étalaresss
della dlWua tldone. Ha uè ira le anime
beate qìr«1lM die ha più chiarena di le-
me benefico, nò tra gli angeli il più su-
blime de' Serafini, potrebbe md soddi-
sfere dia tua domanda. Imperoediè qud
ohe tu ricerchi, d profonda tanto nd-
Tabisso dd decréti di Dio, ohe non può es-
sere compreeo da doun Intdletto creato.
Bitomatovi, annunria d mondo de'mor-
tdi questa imposdbilità di penetrare
r aroans deUvAtrtùa' predestlnadoDe,
aflnidiè nlBuo plft premmmr sadvls
investigando. La mente umana, die ia
ddo ò irradiaU ddla divina Inoe. ia
terra ò ofliDWcata dalla caligine dd ssod;
onde pensa per te stesso com* ella po«a
comprendere in terra dò ohe non poè
comprendere neppure in ddo. » In so-
stansa: Il tuo dubbio sorpassa 1* Intd-
letto ereato, e non d può sciogliere. Cfr.
Thom. Aq,, Sum. eant. SnU. Ili, 161.
78. LUCERNA: anima rlspleadeate ; cfr.
Par, Vra, 18; XXin, 28. Giov. V. 85.
76. CBBHEB: Ut. ssmsre, vedere, in-
tendere} efr. Par, III, 76. - fqbtb: dlf
fidle, osouro.
78. oomOBTE: fem. plnr. dloensorfa»
usato antioamente per oofMort^'Ofr. ifoa-
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[CULO BKTTIMO] PAB. III. 79-98 [PBEDB8T1HAZI0NK] 911
70 Né venni prima all'ultima parola,
Che del suo mezzo fece il lume centro,
Girando sé come veloce mola.
83 , Poi rispose l'amor che v'era dentro:
€ Luce divina sopra me s' appunta,
Penetrando per questa ond'io m'inventro,
85 La cui virtù, col mio veder congiunta.
Mi leva sopra me tanto, ch'io veggio
La somma Essenza della qoale è munta.
88 Quinci vien l' allegrezza ond'io fiammeggio ;
Perchè alla vista mia, quant' ella ò chiara.
La chiarità della fiamma pareggio.
91 Ha quell' alma nel ciel che più si schiara,
Quel Serafin che in Dio più l' occhio ha fisso,
Alla domanda tua non satisf&ra;
M Però che si s' inoltra nell' abisso
Dell'eterno statuto quel che chiedi.
Ohe da ogni creata vista è scisso.
97 Ed al mondo mortai, quando tu riedi,
Questo rapporta, si che non presuma
nued, Teor. dei Nomi, 31. Secondo tAtti 87. Essbhza : divina. - È mu5TA : orna-
contorte sta qui per eontorti. In grasia na, procede. «Dalla qoale vien tratta co-
delia rima t me da poppa latte »; Lomò.
79. vÈTona : Al. MOH Tnna. Kon are- 88. quihoi : dalla visione della somma
TO ancor terminato di parlare, obe qoel eisensa deriva questa beatitadine per
vivo lume cominciò ad aggirarsi intomo oni rispiendo.
a sé steeao colla velocità di una mola. 90. pabxooio: quanto vedo in Dio,
81. MOLA : otf. Par, XII, 8. tanto splendo; ofk*. Pcw, XIV, 40 e seg.
82. L'AMOS : r anima beata ardente di « Tanta est olaritas vlsionls et oognitio-
carità. - DUVTBO : in quel lome. nis mece, quanta est olaritas Inminis et
SS. s'appumta : si ferma, arriva colla splendoris mei. Et bio nota qnod per om-
punta. « Quest'anima vnol dire cbe il nia ista verba iste splritns non volt alind
lume deUa gloria viene dalla divina es- dioere nisi : qnamvis ego alte videam in
senaa in sé e con questo lome vede la Deo multa secreta eius, quia ftii Ita con-
stessa divina essensa : c<«ie il lume di templativus, tamen nesoio, neo sdre pos-
ona lucerna ò quello ohe viene all' oc- sum oansam de qua petis. > Benv,
oUo e con esso si vede la stessa lucerna. 01. si schiaba: di lume divino ; «laqua-
Hon e* è il solo intelletto umano (eoi mio le più diventa chiara, doò che più riceve
peàer) ma con questo v' è il lume divino, lo ragglodella graiiad'Iddio, onde diven-
la Tirtù del quale deriva dalla stessa di- ta chiara e più vede la volnntàsua»;Buti.
vìna essensa. » Oom, 08. satisfarà : soddisfkria, soddisfa-
84. QU0TA : Inoe. - m' mvitMTBO : < di rebbe t ofr. Ncmnue., Verbi, 823 e seg.
ohe io m'inohlndo ed inserro »} VéU. -«Di 04. s'inoltea : perchè la tua domanda
cai io fimno il nuovo ventre, doè il ohio- passa tanto oltre nell'abisso del consiglio
atro al mio spirito, il mio splendido am- divino, che nessun intelletto creato vede
manto »; BetH, Al. m' mrsKTBO— vi sono tanto in là.
dentro; ofr. Oom. Lipe, III, 671 eseg. 06. soisso: disgiunto, lontano; confr.
85. tibtO t della luce divina. Purg, VI, 138.
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912 [CULO BITTIMO] Pab. III. 99-106
[PUB DUOAVO]
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103
106
A tanto segno più mover li piedL
La mente che qui luce, in terra fama;
Onde rigaarda come può laggi&e
Quel che non pnote, perchò il del P assuma. >
Si mi prescrisser le parole sue.
Ch'io lasciai la questione, e mi ritrassi
A domandarla umilmente chi fue.
€ Tra due liti d' Italia surgon sassi,
09. ▲ TAHTO SEGNO: ftd Oli mistoro 0<Mà
profondo. -Movnt: aoooetaxrlil per in-
TMtigario ; caflSkttcaniper acqnittar quo-
•to tanto e ék profondo secreto della pre-
desttnasione, «die solo nella mente di Dio
sta nascosto »; Itaf».
100. LA. MXMTB : V Intelletto creato che
qni in cielo si ammanta di Ince, è in terra
avvolto da làmo, è in densa caligine
d'ignoransaedi errore. Come mai dunque
potranno gli nomini in terra yedere ciò
che non rAtmo 1 beati in delof - fuma :
« dice ohe della mente divina, di cnl In
cielo si vede la luce, in terra non si vede
ohe il ftimo, cioè il paro indillo, come
SQOoede d* alcun ftioco lontano in tempo
che il sole ò soll'oriszonte: ohe noi co-
nosciamo esaervi esso fhoco, perchè ne
vediamo il fomo; ma la luce non ci si Ik
vedere »; BetH.
102. PBBCHfe : sebbene il cielo la riceva;
ork-./Ttf. XXXn, 100. > ASSUMA: conginn-
ti vo di attumere ; ofr. Oom, Lip$. 111,578.
y. 108-iaO. San Pier Damiano. Le
parole di qneiranima sopprimono la cu-
riosità del Poeta in modo, ohe egli lasda
la questione, contentandosi di domanda-
re: «B ohi sei tuf»« Fui Pier Damiano,»
risponde 11 vivo lume, « che negli ultimi
anni di mia vita fui tratto a quel osp-
pello cardinalisio che pur di male in peg-
gio si travasa. » Questo celebre dottore
della Chiesa nacque a Bavenna nel 1007,
da povera ed oscura fttmiglia. KeUa sua
gioventù foce il pastorello ; ma Damiano,
suo fratello maggiore, ch'era arcidiacono
di Ravenna, s* incaricò della sua educa-
sione e gli foce da padre ; onde Pietro,
mosso da gratitudine, volle chiamarsi
Petrut Damiani, come Eusebio si chia-
mò Stuebiut PamphiUi in onore del-
l'amico Pamfliio. Pietro studiò le arti
liberali a Bavenna, a Faensa ed a Parma;
ti quindi maestro a Bavenna, dove In
^ve tempo conseguì onori e ricchesse.
Verso 0 1087 lasdò U secolo ed eutrèMl
monastero di Fonte Avellana nell'Um-
bria, dove si distinse per santità e dot-
trina, onde ne fii eletto abate, e nel 1058
fta creato cardinale e vescovo d*0stia. Ma
due anni dopo ritornò nel suo monastero.
Bgli prece per umilfcàil nomedi Pktropéù-
Mtort. Mori a Faensa 11 28 fobbiaSo 1072.
Cfr. Aota 8a»uL Ptbr, m, 406 eseg. AeL,
88. ord. 8. Ben, «se. VI, n, 245 e aeg.
Ladénki, Vita8. Fsfri 1>m»., 8 voi. Bo-
ma, 1703. Ot^eeOatro, StoHa di 8. Pimr
Dam. € dtl tuo tempo, 2 voi. Fir., 1862.
Neukireh, Leben du Petr. Dam, GSttlng.
1876. Oom, Lip9. m, 578-675. KUSner-
mann, Der heU. Petr. Dam. Steyl, 1882.
103. PBtscBiBSKB : limitarono il mto de-
siderio; cfr. Par. XXIV, 6; XXV, 57.
« Préterivers propriamente aigniflca as-
segnar termine ad alcuna cosa, il quale
da essa non si possa trapassare; adun-
que le parole dello spirito dette al Poeta
posero termine al medesimo »; Dan.
104. LASCIAI: non seguitai a for doman-
de circa la questione déDa predeetlnaak>-
ne che m'aveva tenuto occupato. - mi
BiTRABBi; mi restrinsi, mi limitai.
105. DOMANDARLA: quella vO» beau
(v. 55) e taera lueema (v. 78).
106. LITI: del Mar Tirreno edeU* Adria-
tico.-sabbi: monti, dee gli Ai^pennini.
« Ben descritto il riusoirs del monte Ca-
tria dagli Appennini, dalle cime dei quali
vedonsi non di rado sottostare le nubi
procellose, scoccanti saette. H Catria ri
stacca da questi alla latitudine di Gub-
bio, e si spinge verso l' Adriatloo tra le-
vante e tramontana per otto o dieci ml-
gUa, Aiori afflitto della linea del monti
generatori ; e al disopra della media al-
tessa di quelli, ergendosi la sun sommità
al livello di 1700 metri sul mare. Più in
basso nel fianco che guarda Oreoo, a uno
dei capi del torrente Cesena, ò il celebre
Monastero dell'avellana. » Ant.
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[CIELO SETTIMO]
PAE. III. 107-121 [PIBB DAMIANO] 913
109
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118
121
E non molto distanti alla taa patria,
Tanto, che i tuoni assai snonan più bassi,
E fanno un gibbo che si chiama Gatria,
Di sotto al quale è consecrato un ermo,
Che suol esser disposto a sola latria. »
Cosi ricominciommi il terzo sermo,
E poi, continuando, disse : € Quivi
Al servigio di Dio mi fei si fermo,
Che pur con cibi di liquor d* ulivi
Lievemente passava caldi e geli.
Contento nei pensier contemplativi.
Render solca quel chiostro a questi cieli
Fertilemente ; ed ora ò fatto vano,
Sì che tosto convien che si riveli.
In quel loco fu' io Pier Damiano
108. TANTO : quel terni, cioè monti, tur-
gono, al elerano tanto, ohe eooedono di
molto le nuTole ove al forma il taono.
109. OIBBO : i^obba, rialto. - Catbia :
dirapo o rialto nell'AppenDino centrale
tra Gubbio e la Pergola. Sotto questo
rialto è fabbricato 11 Monaatoro di San-
ta Croce di Ponto Avellana dell' ordine
Camaldoleiiae, del qnal monastero S. Pier
Damiano qoÌ parla. Gfr. Bof$., 244 e seg.
110. KBMO: eremo, romitorio, doè il
monastero di Ponto Avellana ; ofr. Fwrg.
V. 96.
111. LATB1A: colto di adoraxione do-
vuto a Dio solo ; cfr. Aug., De OSv. Dèi,
X, 1. Thom. Aq., Bum, thsol. Il, n, 81,
1; 94. 1.
112. TCRZO: gli aveva parlato già dne
volte, V. 61 e seg., 83 e seg. - sbbmo :
sermone, discorso.
115. CIBI: cqnadrageslmali, conditi con
-oUo e non con altro grasso »{ Lan., An.
Fior. -« Geli eremiti oolÀ abitanti stavano
a due a dne in celle separato, intesi con-
tinaamento a salmeggiare, orare e leg-
gere. Per quattro dì della settimana ci-
baTanai di pane ed aoqoa soltanto; al
martedì e giovedì mangiavano nn po' di
leicamt ohe facean onucere eglino stessi.
Nei giorni di digiano misaravano il pane;
vino non avevano ftior che pel santo sa-
criflsio e pei malati. Camminar sempre
a pie nndi, e disdplinarsi, fiar genofles-
sloni, batterai il petto, star colle braoda
steae qo»nto le forse e la divozione a cia-
aoano consentivano, erano lor oonsaeti
58. — iXf . Oomm,, 4» edia.
eseroisi. Dopo l' ufficio della notte reci-
tavano prima di giorno tutto il salterio. »
Rohrbaeh^, Stor. Eed. XIII, 485.
110. LiBVKMEirrv: « slne magno appa-
ratu et opere »; B^nv. ~ e Sausa fatica > ;
J^ttti.-cPaoilraento, sensa noia»; Voi.,
Lomb., Br. B., Frat., ecc.
118. RKMDBB: anime.
119. VANO : non rende più anime ai cie-
li, perchè vuoto di buone opere, ciò ohe
Dio farà presto palese, e Dice che quello
ermo, detto Catria, soleva essere più ab-
bondevole di romiti ed uomini contem-
plativi, li quali SODO conformi alla dlspo-
sisione di Saturno, ohe non fo ora ; doohò
tosto conviene che si manifesti, che Dio
non soflTera ohe di questo si passi senxa
penitenza o punimento »; OU. Dicono
che Dante esule fosse ospitato qualche
tempo nel monastero di Ponte Avellana
(cfr. Troya, VeUro di D., 105. Veltro dei
Qhib., 174 e seg. PeUi, Mem., 134 e seg.
Balbo, Vita di D. II, 14. Loria, L'Ital.
nella D. 0. 1, 43, ecc.). B in questi versi
Dante esprimerebbe la sua gratitudine
deUa ricevuta ospitalità fi
121. US QUEL LOCO: nel monastero di
Ponto Avellana. Terzetto assai oscuro,
intricato e disputabile. Intendi: Nel detto
luogo Ali Pietro Damiano e nello stesso
tempo Pietro Peccatore; ebbi, cioè, ambe-
due questi nomi. Pui anche a Bavenna,
dove ridussi quella città all' obbediensa
del romano Pontefice. Così per la prima
volta Oom. Lip$. Ili, 580. E cori pure (a
quanto sembra senza conoscere il Oom.
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914 [CIILO SETTIMO] PAR. XXI. 122-126
[PIBB DAMIANO]
E Pietro Peocator; fai nella casa
Di Nostra Donna in sul lito Adriano.
Idi Poca vita mortai m' era rimasa,
Quando fui chiesto e tratto a quel cappello
Che pnr di male in peggio si travasa.
Lipt.)t OSom.:<dopottP«0ealormettUuno
due pan ti: quindi Yti nel Tempio di Ma-
ria SS. presso B*Tenna, dove Ai inviato
dal Papa a lioonoiltare qneUa dttà ooUa
Sede ApostoUoa. > La questione fa poi de-
cisa definitivamentei n favore dellanostra
congettura da Giovanni MereoH, Pietro
Peccatore, oitia Della vera interpreUuione
diParadUo XXI, Ì2i-i23, Boma, 1896,
p. 8-11.- Altri: I. Fui monaco nel mo-
nastero di S. Maria In Bavenna, prima
di esserlo In quel di Catrla ; lì mi chia-
mai Pietro Peccatore, qui Pier Damiap
no. Storicamente ftUso! Pier Damiano
non fta monaco in Ravenna, ed appunto
nel monastero di Catria si chiamò Pietro
Peccatore. -II. Vissi monaco nel mona-
stero dell'Avellana, e da quello passai
ad esser monaco nel monastero di Ra-
venna, dove mi chiamai PletroPeocatore,
Si chiamò Pietro Peccatore nel monastero
di Catria e non fh mai monaco nel mona-
stero di Classe in Ravenna, fondato nel
1096, 14 anni dopo la sua morte. - IIL
Fui col nome di Pier Damiano Ano al
monastero di Catria; ffttto ivi monaco
mi chiamai Pietro Peccatore, e fui con
quel nome sino alla casa di Nostra Donna
nella città di Ravenna. Le preposisionl
in, nétta non significano mai tino a, tino
aUa, e Pier Damiano si chiamò Pietro
Peccatore sino alla sua morte, non solo
sino al tempo eh' egli fh a Ravenna per
la riconciliazione. - IV. Dante conftise
Pier Damiano con Pietro degli Onesti, O
fondatore del monastero di Classe in Ra-
venna, fSftcendo delle due persone una so-
la. Un tal errore storico è inammissibile
in Dante, che ebbe lunga stansa In Ra-
venna. - V. Entrato nell* eremo di Ca-
tria finii di esser PlerDamiano ed assunsi
il nome di Pietro Peccatore, e come tale
morii in Faensa. Fui non vuol dire nò
finii di eeeere, nò morii, e Faenza non ò
tul lito Adriano. - VI. Bisogna leggere
FU, e Dante volle qui correggere l'errore
in voga ai suoi tempi, doò l' identiflca-
Bione di Pier Damiano con Pietro degli
Onesti. La lesione fu ò troppo sprovvi-
sta di autorità, l' errore non era in voga
al tempi di Dante, e questo aarebbe va
modo Inaudito di oorreggere un enew,
A inaudito, che quasi nessun oomm«Bta-
tore antioo se ne accorse. Cfr. per tutte
dò Oom. lÀpe. IH, 677-580; ▼«dipoe
G. Mercati, Ancora Pietro Peoeaton,
Monza, 1897. Luigi Magnani, Pietro de-
gli Oneetidetto* Pietro Peeeatora,9Ìts^
sa, 1897, e Stjg)plémento, Hodena, 1897.
122. NELLA. CABA : nel convento d! Pom-
posa, situato in riva all'Adriatico in una
isoletta formata dalle foci del Po presso
Comacchio, convento dedicato aU*B. V.
Maria e da essa intitolato, dove & Pfer
Damiano, ancora semplloe dmnmoo, fti die-
tro preghiera mandato dall'abate del-
l'AveUua, edove dimorò circa due anni;
cfr. Mèreati, 1. o., p. 3 e seg.
124. POCA : quindici anni. Fa Catto oai^
dinaie nel 1068, in età di anni 61; noci
nel 1 072 in età di anni 66. Kel I07S. quan-
do mori Pier Damiano, Pietro degli One-
sti aveva appena trent' annL
126. TRATTO: contro mia voglia, -gap-
pillo : oardinallslo.
126. 81 travasa: si muta d* oso in al-
tro, ma sempre di male In peggk», an-
dando successivamente a coprir Q cape
di uomini sempre più IndegnL
V. 127-142. IÀU90 delpréUM. DaDa
semplicità di vita degli antichi moaad.
Dante s'apre la via ad Inveire, per bocca
di Pier Damiano.oontro il lusso e le pompe
dei prelati de' suol tempi. « Oli apostofl
Pietro e Paolo fhrono astinentt e poveri,
mangiavano per carità, dovunque capi-
tassero. Ma 1 prelati moderni rog^ioes
chi, dando loro il braccio, li soatsogt
da ambo 1 lati, e ohi a dirittura U pertf
in seggetta, tanto e' sono graasA ! B t«-
gliono il caudatario ohe regga lor disoe
lo strascico, tanto e' sono Ikatoel. Ools
ampie loro cappe ricoprono i oaralli e U
mule sulle quali seggono, ooai ohe dMJ
bestie, il prelato ed il palafreno,
coperte d' un solo manto. Oh, quante s
grande, pazienza di Dio, ohe tanto i
portll » Aquesta esoIamasloneleaBliBed
contemplanti si awidnaao plb da |
a Pier Damiano, lo attorniano ed i
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[CULO SETTIMO] PàB. XXI. 127-142 [LUSSO DBI PRELATI] 915
127
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186
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142
Venne Gephas, e venne il gran vasello
Dello Spirito Santo, magri e scalzi,
Prendendo il cibo di qualunque ostello :
Or voglion quinci e quindi ohi rincalzi.
Li moderni pastori, e chi li meni
(Tanto son gravi!) e ohi di dietro gli alzi.
Cuopron de' manti loro i palafreni,
Si che due bestie van sott'una pelle :
0 pazienza, che tanto sostieni ! »
A questa voce vid'io più fiammelle
Di grado in grado scendere e girarsi.
Ed ogni giro le faoea più belle :
D' intomo a questa vennero, e fermarsi,
E fero un grido di si alto suono.
Che non potrebbe qui assimigliarsi ;
Né io lo intesi ; si mi vinse il tuono.
Taao le toe parole con an altiasiiDO
^rido. Sul hisflo dei prelati ai tempi di
I>aiite ofr. 1 passi di San Bernardo e di
altri oootemporanei, addotti in Oom.
IJpM. ni, 581.
127. CsPHAB: l'apostolo S. Pietro; ofr.
Giov. I, 42. 1 Oor, HI. 22; IX, 6; XV,
6. OùUU, n, 2. - IL OIUH viBBLLO : Tapo-
atolo 8. Paolo, il Vai décticnii, come ò
chiamato negU Atti, IX, 15. Cfr. It^f.
II, 28.
130. PBDTDKirDO : secondo il precetto
apoatolioo, I Cor. X, 27 ; cfr. Luea, X,
7. - OflTSLLO : albergo ; cfr. Pttrg. XI, 76.
« Daqnalonqne albergo ne desse loro per
r «more d'Iddio»; BuH.
180. BDiCALZi : « metta attorno soste-
gni, o fkocia largo a ohi passa, tenendo
indietro la torba > ; 7o^. - « Li calsi,
non ▼olendolo Ave da so medesimi, per
«nperbia, tenendo camerieri e serri»;
182. ORAVI : amaro e yelenoso eqniToco,
eome Bocc,, D$e., 1, 4 : « Arendo forse ri-
guMxdo al grave peso della soa dignità. >
" K CHI : i oaodatari, « quia habent cap-
pa* longas rerrentes terram cnm oanda »;
183. OUOPBON : « quando vanno a c»-
ralTo; imperò che gittanola partod'inanti
de la cappa in sol collo del palafreno, e
quella di rieto In sa la groppa» ; BuH.
134. DUB BiSTR: « bestia ò il cavalca-
tore, però ch'esce ftiori della regola data
al sDo vivere ; ed in luogo di ragione osa
l'appetito, come la bestia ; e bestia ò il
palafreno, e sono coperto ambedue d'una
cardinalesca cappa »; OU. Cfr. Oonv. Il,
8 ; in. 7. W, XV, 73 ; XXIV, 128. Par,
XIX, 147.
185. o PAZIENZA : veramente influita di
Dlo;cfr.i7om. IX, 22.
186. nAHMBLLB: vivllumi, spiriti beati.
187. DI GRADO : della celeste aurea sca-
la ; ofr. V. 28 e seg.; 04 e seg.
188. BBLLK : « gioia severa della giusti-
sja, alla quale ò amore la stessa indegna-
Siene »; Tom.
189. A QUESTA: alla fiammella di che
si ammantava l'anima beata di Pier Da-
miano.
140. UN GRIDO : un fremito di altissimo,
celesto sdegno e insieme preghiera di
giusta vendette; cfr. Far, XXn, 18 e seg.
141. A88IMIGUAB8I: trovare In terra un
termine di paragone sufficiente a dame
un' idea.
142. umsi : udii il grido, ma non ne in-
tesi le parole. - il tuono: quel grido,
assordante come il tuono.
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916 [CIBLO SETTIMO] PlB. IXII. 1-8 [DINTB B BBATBICB]
CANTO VENTESIMOSECONDO
CIELO SETTIMO 0 DI SATUBNO: SPIRITI CONTEMPLATIVI
SAN BENEDETTO, CORRUZIONE DEI HONASTERI
CIELO OTTAVO 0 STELLATO: SPIRITI TEIONPANTI
IL SEGNO DEI GEMINI
SGUARDO AI PIANETI ED ALLA TERRA
Oppresso di stupore, alla mia gaida
Mi volsi, come parvol che ricorre
Sempre colà dove più si confida;
4 E quella, come madre che soccorre
Subito al figlio pallido ed anelo
Con la sua voce, che il suol ben disporre,
7 Mi disse : « Non sai tu che tu se' in cielo ?
E non sai tu che il cielo è tutto santo,
V. 1-21. Boffloné dtl grido dH Con- 2. COKK pabvol; cfr. Puty. XXX, 43
temptativi. L'altissimo grido, assordali- e seg. Hom,, IL Vm, 368 e mg. Ario»^
te oome taoao, tà stupire il Poeta, che, Ori. XLIV, 02.
ansioso, si Tolge a Beatrice, oome il fan- 3. colà : alla madre, nella quale 0 par-
dolio alla madre. Beatrice gli rammenta volo piti si confida.
che è in dolo, dove tatto è santo, e tntto 4. OOMS madbb : confr. /nf. XXIII.
dò che vi si Ca, procede da buon celo. 87 e 9eg, Purg, XXX, 7i^. Pmr, I, 10
Quindi gli dà la spiegatione di qael grido. e«eg.
« Se tn ne avessi inteso le parole, già sa- 0. dispores: € non ado CufU ovore^
presti la vendetta, ohe vedrai prima di ma indarre ogni dispodsiooe traona ad-
morire. Dio punisce sempre a tempo de- l'animo suo »; Tom.
bito, ad onta di chi, o per desiderio vor^ 7. ni cielo: dove non o'è nulla da te*
rebbe affrettare, o per paora indugiare 1 mere. « Lo luogo santo, li abitatoti «aa-
Sad castighi. Ma volgiti ora ad altri di ti, l'opere piene tutte di oarità taHleae
questi spiriti. Vedrai anime illustri, se ogni timore et ammirasione; e ooal per
guardi colà, oome io ti dico. » contrario \6 luogo maladetto, li abitato-
1. OPPBBseo: vinto; csed te, ut video, ri scderati, l'opere viaiodadme daane
stupor oppreedt » ; Boet., Oom. phil. I, ragione vilmente timore e meravi^a ^
pr. S. - GUIDA : Beatrice. BvH.
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[CULO SETTIMO]
PAS. XXII. 9-22 [DANTE E BEATBIOB] 917
E ciò che ci si fa, vien da buon zelo ?
Come t'avrebbe trasmutato il canto,
Ed io ridendo, mo pensar lo pnoi,
Poscia cbe il grido t' ha mosso cotanto ;
Nel qaal, se inteso avessi i prìeghi suoi,
Già ti sarebbe nota la vendetta,
Che tu vedrai innanzi che tu mnoi.
La spada di quassù non taglia in fretta,
Né tardo, ma' ohe al parer di coki
Che disiando o temendo l'aspetta.
Ma rivolgiti ornai inverso altrui;
Gh' assai illustri spiriti vedrai.
Se, com'io dico, l'aspetto ridui. >
Com'a lei piacque, gli occhi dirizzai;
10. CASTO: dei beati; cfr. Par. XXI,
Meaeg.
11. BiOBHOO t ool mio ridere ; cfr. Par.
XXI, 4e8eg., 02 e eeg.- mo : or», adesso.
Or» puoi pensare qoale soonvolgimento
STrebbero In te prodotto 11 canto dei
beati ed il mio ridere in questo pianeta,
•e nn sol grido ti ba tanto oppresso di
stapore.
IS. I pBnom : la preghiera contenuta
in quel grido. « In questa lettera mani*
fetta quello ehe nel grido di quelli beati
Bi contenne ; quasi gridassero: Iddio, firn-
ne rendetta di coloro checommactilano 11
spirituali reggimenti in terra. La quale
▼endetta dloe Beatrice ch'elU vedràansi
ch'elli mnoia. Tatto d), chi guata con la
nmite san», si vede di queste vendette e
ginsUsie di Dio. > OU.
15. CHS TU TBDRAI: Al. LA QUAL TB-
DBAi. - Muoi: muoia, allude forse alla
cattura di BoniCuio Vili in Anagni,
efr. Purg. XX, M e seg. (Benv., Buti,
Lamd,, VeiL, Dan,, VenL, Lomb,, ecc.) ;
0 all'aYTillmento della Curia romana in
Avignone, ofr. Purg. XXXII, 151 e seg.
(Witte, eoo.); o allo sperato messo di
Dio ohe doveva uccidere la lupa; cfr.
Purg. XXXni, 40 e seg. {Tom., Andr.,
FUal., eco.).
16. LA SPADA: la vendetta di Dio non
è celere ae non rispetto a chi la teme,
nò tarda oe non rispetto a chi la desi-
dera ed invoca.
17. KA* CHB; ftaorohd; cfr. W. IV, 26 ;
XXI, 2» ; XXVm, 66. Pwg. XVni,58.
AL MAI AI. PIACKB : Cioè: La spada di Dio
non si muove mal a tagliare in fretta nò
tardo, a seconda del desiderio di chi aspet-
ta, o desiando, o temendo. Cfr. Oom.
Lip$. ni, 586. Moore, OrU., 473 e seg.
21. l'aspetto : Al. LA VISTA. - BIDUI :
riduci, rivolgi.
V. 22-51. /San Benedetto. All'invito
di Beatrice, Dante rivolge nuovamente
gli sguardi suoi alla scala celeste, e vede
cento globetti che insieme più s'abbel^
lano col mutuo splendore. H maggiore e
più lucente si fa innansi : ò 3azi Bene-
detto che parla di so, e nomina ìfàbaflò
'"'nrKomoaldo. Nacque 8. Benedetto nel 480
da onorevoli parenti a Norcia nell' Um-
bria. Abbandonò il secolo nel 404 e si na-
scose in una grotta presso Subisco, dove
dimorò più anni ignoto a tnlil,1irorchè a
certo monaco Romano, che di quando in
quando gli calava 11 vitto giù dalla rupe.
Divulgatasi la fiuna della sua santità, i
monaci di Vicovaro, tra Snbiaco e Tivoli,
lo vollero nel 510 loro superiore, ma egli
introdusse disciplina A rigida, che i mo-
naci tentarono di avvelenarlo. Ritorna-
tosene nella sua grotta, gli si affollarono
intomo tanti discepoli, che si vide co-
stretto a fondare più monasteri, dei quali
riteneva la suprema autorità, dando però
a ciascuno un superiore. Perseguitato da
un malvagio prete Fiorenso,andònel 528
a Monto Casino, vi distrusse il tempio
di Apollo e vi fondò il più gran mona-
stero dell'Occidento, che divenne la culla
deirOrdine. Quivi mori il 21 marco 543.
Cfr. Qreg. M., Opp. ed. Btned. U, 207-276.
AeL Sanet. MarU lU, 274-857. MabUl.,
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918 [oiBLO sBTTmo] Pàb. XXII. 23-42 [s. behidstto]
E vidi cento sperale, ohe insieme
Pib s' abbellivan coi mutui raL
25 Io stava come quei che in so ripreme
La punta del disio, e non s'attenta
Del dimandar, si del troppo sì teme.
28 E la maggiore e la più luculenta
Di quelle margarite innanzi fèssi.
Per far di sé la mia voglia contenta.
81 Poi dentro a lei udi' : € Se tu vedessi,
Com' io, la carità ohe tra noi arde,
Li tuoi concetti sarebbero espressi ;
84 Ma perchè tu, aspettando, non tarde
All' alto fine, io ti farò risposta
Pure al pensier di che si ti riguardo.
87 Quel monte a cui Casino è nella costa,
Fu frequentato già in su la cima
Dalla gente ingannata e mal disposta.
40 E quel son io, che su vi portai prima
Lo nome di Colui che in terra addusse
La verità che tanto ci sublima ;
Aet. Sanet. Ord, 8. Bened., Seo. 1, 8 e 9òg, desldeili; aiearo di non easerd impor-
Situd., Annoi. Ord. 8. Bened. I, M17. tono chiedendo.
Mége, Vie de 8t. Ben., Par., 1696. L. Toeti, 84. tardb : tardi ; non indugi I' alto
8U)r. di MonU Oaee., 2 toI., Kap., 1842. fine del tao viaggio, ohe è di salir» alno
28. OKITO: moltissime; il nomerò de- a Dio.
terminato per l'indeterminato. - spb- 88. pube: risponderò aaehe al solo
BULB: plooole sfere di looe; anime am- pensiero, ohe to non ti anisohi di ma-
mantate di raggi looenti. nifestare.
24. b'abbbluvjlN : radiando Tona nel- 87. quBL momtb: « Gastrom, qnod Ca-
l'altra. slnom didtor, in exoelsi mentis latere
2S.BiFBBiCB:reprime;ef)r.Par.IV,113. sitom est (qoi yideUoet mons distenso
26. LA PUMTA : l'aooto stimolo del de- sino hoc idem oastrom redpit, sed per
siderio. « Dobleqoe in presila menti Ur- tria milia in altom se sobrigeos Tolat
gentesaddant8timalos»;lA<Mn.,PAarf. ad aera oaoomen tendlt), ahi Tetostls-
I, 262 e seg. simnm fanom ftait, in qno ex antiqoomm
27. DBL dimaudab : Al. DI DiMANDAB. moro gentiliom a stolto mstioonim po-
- TBMB : di essere molesto col troppo do- polo Apollo oelebrabator. Cireomqoaqne
mandare. in colto damonom lod excroTerant, in
20. MABOABITE : anime beate ; cfr. Far, qoibos adhoc eodem tempore infideUam
XX, 16. insana moltitodosaciifldissaorilegis fu-
so. DI 8È : per appagare il mio desiderio sodabat. » Qreg. Magn,, JHal. II, 2. Cfr.
di sapere chi egli fosse. Oom. Lipt, IH, 688 e seg.
81. DKNTBO : dal centro di qoella mar- 89. ihoamhata : dalle sne Mse ore-
gfaerìta. La loco non ò l'anima; ò il suo dense. - x mal dibpo6Ta : a rioevere la
manto, qnasi il corpo etereo in coi l'ani- fede in Cristo.
ma dimora. - vbdbssi: cogli occhi della 42. vbbità t cristiana. - ci SDBUiLà :
mente; conoscessi. fsoendod fl^ooU di Dio; ofir. Giow. I.
88. BSPBnsi: già aTresti espostoi tuoi l^IJSIp.diS, Oipw. 1JI,1, «Tanto o'Ib>
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[CISLO SXTTIMO]
Pab. ini. 43-53 [s. bbhbdbtto] 919
4«
40
62
£ tanta grazia sovra me rilusse,
Ch'io ritrassi le ville circostanti
Dall' empio colto ohe il mondo sedusse.
Qaesti altri faoohi tutti contemplanti
Uomini furo, accesi di quel caldo
Che fa nascere i fiori e i frutti santi.
Qui è Maccario, qui è Bomoaldo,
Qui son H frati miei, che dentro ai chiostri
Fermar U piedi e tennero il cuor saldo. >
Ed io a lui : € L' affetto che dimostri
Meco parlando, e la buona sembianza
nalsa, «die d fia montare in olelo in vita
etor]iA»iBMl<.
43. BILUBBX: e tanta gnsia mi Ita «U
Dio concaiMi, d» togliere dall' idolatria^
che «Toya aedotto il mondo intiero, tntto
le genti dei Inoghl d* intomo. « Ulne ita<
qne Tir Bei penrenienBoontrivitidolnm,
sobTertit aram, anccendit loooa atqae
ipeo in tempio Apollinis oracnlom Mari»
Virginia, obi rero ara eioadem Apollinis
foit, oraonlom S. lohannia oonatmxit, et
oommorantem oironmqnaqae mnltltndi*
nem pradioatione contlnna ad fidem to-
oabat»; Brtg. M,, 1. o.
45. CULTO : Al. COLTO | ofr. Par. V, 72.
47. CALDO : della divina oarita, fecon*
djttrioe delle anime; cfk-. Par, XXXIII,
7 e eeg. Bakn, XXXVIU, 4. Lwa
XXIV, ».
48. FIORI ! deaiderii e parole. - FBurn t
opere.
49. Maccàmo : i più intendono di San
ICaoario alet$andrino, detto 6 scoXtn-
xó^, dieoepolo di S. Antonio, Tiaanto
nelle aoUtodini tra il Nilo ed il Mar
Koeao. Bbbe sotto la soa diresione oltre
6000 eremiti. Mori il 2 gennaio 404 { ofr.
Soer., Hist, JSeeUi, IV, 23. Altri inten-
dono di S. Haoario t{ Grande, o V$gi-
giano, aaeh'egli discepolo di S. Antonio,
che Tiese oltre 00 anni vita assai rigida
nei deserti della Libia e morì nel 891 ;
ofr. JSoer., 1. e, Botom,, III, 14. Probabil-
mente Danto, con moltissimi altri, non
distinse i due Maoarii ; cfr. Oom, Lipi,
III, 600 e seg. Sneiùl,, 1172 e seg. - Ro-
MOALDO: SanBomoaldodegli Onesti, nato
in Bavenna verso il 950, morto nel 1027
presso Val di Castro, fa il tondatoca del
monastero di Camaldoli fTISITOrdine dei
ikwfgdofiii. Oft. Fmmyamiani, TUa
S6>A. in Opp,, ed OaUiani, U, 206 e seg.;
trad. d. Fortwnio, Tir., 1580. MaMU,,
A9t, Bantìt Ord, Ben. icms, VI, I, 247 e
seg. J. de Oartaniza, Eitt, de 8. Bom.,
Madrid, 1697; trad. in ital. da Timct,
da Bagno, Venes., 1606. B. OoWna, Vita
di 8. Bom., Bologna, 1748. P. P. Qinanr
ni, 8ùritt. Bavenn, II, 282 e seg.
60. u FRATI : < li miei monaci santi e
baoni e contemplativi »; BuH,
61. LI PODI: «idest, affeotlones, qn»
sont de se vag», a tennero U cuor eàldo,
scilicet, perseverando in proposito san-
et» contomplationis, proptor qaod sont
exaitati ad istam altitadinem beatitodi-
nis. Et didt; dentro ai ehioetri, non va-
gando ad aliena loca, vel apostatando.
Sioat enim meritar pisele extra aqnam,
ita monaohos extra cenam.»^«no.
V. 62-72. Ifotitanda intempoetiva.
Dice Danto: «L'amore che mi mostri
mi fa ardito a pregarti di mostrarti a
me con immagine sooverta, libera del
lame che ti oda.» «Qai no; » risponde
S. Benedetto: « il tao desiderio sarà sa-
ziato più in alto, nell'Empireo, dove tatti
i desideri! si sasiano e sin dove arriva
questa scala. » Cfr. Beod. XXXIII, 18 e
seg. - Al cielo di Satamo Danto non de-
dica che poco più di nn canto. In esso
Beatrice non lo bea del ano sorriso, nò
i beati del loro canto. 11 dnbblo che ivi
propone, non gli viene sciolto; on grido
lo contnrba; il desiderio suo non ò ap-
pagato. Si direbbe che in qaesto delo
più che negli altri egli deva esperimen-
tare la differensa che passa tra i beati
e lai ancor mortale. Perchè f B perchè
appanto nel cielo di Satamo, nella re-
gione degli spiriti contomplativif
63. BBMBLAKZA: amorevole, «die par
pronta a compiacere altrai. « L' amore-
volexsa che veggo, per fisvorirmi, ia tatti
litizedbyV^OOgle
620 to«i»o SKl^IMO] tlB. IXII. 54-70 ^
Ì&. BIMEDKTTO]
55
68
61
64
70
Ch'io veggio e noto in tutti gli ardor vostri,
Cosi m' ha dilatata mia fidanza.
Come il sol fa la rosa, quando aperta
Tanto divien, quant'ell'ha di possanza:
Però ti prego; e tu, padre, m'accerta
S'io posso prender tanta grazia, ch'io
Ti veggia con imagine scoverta. »
Ond'egli: € Frate, il tuo alto disio
S'adempierà in su l'ultima spera.
Dove s'adempion tutti gli altri e il mio.
Ivi ò perfetta, matura ed intera
Ciascuna disianza ; in quella sola
È ogni parte là dove sempr' era ;
Perchè non è in luogo, e non s' impola,
E nostra scala infino ad essa varca;
Onde cosi dal viso ti s'invola.
Infin lassù la vide il patriarca
gli altri beati spiriti, vostri compagni.
Noi diremmo : la boona cera, che mi Cui-
no gli altri. » BetH,
64. ABDOB : in tutte le fiammelle nelle
qnali vi nascondete.
65. m' ha dilatata : ha allargato in
me la fiducia ohe pongo in voi.
56. LA S06A : il cnore del Poeta si di-
lata ai raggi dell'amor celeste, come le
foglie della rosa al raggi del sole. « B
conviensi aprire 1* nomo quasi com' una
rosa che pih chiusa stare non può, e
l'odore ch'ò dentro generato, spandere»;
Oon». rv, 27.
57. QUAifT' kll' ha : quanto essa si può
aprire. «Diviene cosi bella e grossa, come
può ella divenire, dopo che si è aperta > ;
Betti,
60. BCOVKaTA: in aperto sembiante,
non più nascosto nella luce che ti cir-
conda. « LI contemplativi pensano tutte
l'alte cose d'Iddio; contemplandola crea-
tura s' inalsano a contemplare lo crea-
tore; e perchè l' anima umana è fatta a
similitudine sua, però hanno desiderio 11
contemplativi di vedere l' essensia del-
l' anima umana più ohe di niun'altra cosa
creata ; e però finse T autore ohe tale pen-
sieri li venisse in questo luogo » (f) ; BuU
e Land.
61. FRATI: fratello; cfr. Par, UI, 70 ;
VH. 66, ISO. eco.
62. SPERA : néll' Empireo ; dove in real-
tà sono tutti i beati; efr. Par, IV. 28.
e seg. 8. Benedetto si trova iniktti nel-
l'Bmpireo; cfr. P<ur, XXXII. 86.
68. IL MIO: il mio desiderio di mostrai^
miti con immagine scoverta.
64. FBBRTTA: «Ivi Ogni deciderlo è
perfetto, perchè il principale oggetto ae
è Iddio; è vuUuro, perchè ai preoedeati
meriti è dovuto l'adempimento; è iatf-
ro, perchè viene da Dio esaudito in tatla
la sua pienessa»; Pogg,
66. ni QUKLLA: nell'uttiBui iperm, M^
r Empireo non rimane verun ansioeo de-
siderio; ogni brama ivi è appagata.
66. LÀ! il delo Empireo è immobile,
onde le sue parti non mutano mal Inogo;
cfìr. Cfonv, II, 4.
67. IM LUOGO : l' Bflipireo « BOB è la
luogo, ma formato Ita solo nella prima
Mente, la quale 11 Qreoi dicono iVste-
no€*', Oonv, II, 4. - non s' impola : noa
ha poli sopra i quali girl. « Ed è da sa-
pere che ciascuno delo, di sotto del Cri-
stallino, ha due poli formi, quanto a sé;
e lo nono gli ha fermi e fissi e noa muta-
bili, secondo alcuno rispetto»; OMa«.II,ii
68. SCALA: cfr. Par, XXI, 28 e oeg .
69. VISO: vista; la sua dma al sottrae
alla tua vista; cfr. Par, XXI, 29-80.
70. LA viDK: in sogno; oonfr. Q«mm
XXVUI, 12 e seg.
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tcIBLO SBTTlHO]
f AB. Hit 71-86 tBlHlDBTTim] 921
73
7«
7»
82
85
Jacob porgere la superna parte,
Quando gli apparve d'angeli si carca.
Ma, per salirla, mo nessun diparte
Da terra i piedi, e la regola mia
Bimasa è giù per danno delle carte.
Le mura che solean esser badia.
Fatte sono spelonche, e le cocolle
Sacca son piene di farina ria.
Ma grave usura tanto non si toUe
Contra il piacer di Dio, quanto quel frutto
Che fa il cuor dei monaci si folle.
Che, quantunque la Chiesa guarda, tutto
È della gente che per Dio domanda;
Non di parenti, né d' altro più brutto.
La carne dei mortali è tanto blanda,
Che giù non basta buon cominciamento
71. POBOBBBt iniuJsAre ìm tnm dnuu
Al. lAOOB IBPOSaiB.
▼. 78-06. Corr%$mÌ0He del mantut^
rC San Benedetto oontìnna luneoUn-
dosi dei suoi frati. «Kon vi ò più ohi dalla
tori» salga an per la celeste sosia. La
mlA TSgvria è rimasta laggiù in terra non
per altro ohe per sotapare inutilmente
1a earta dove si serire e trasorive. Tutto
nel monasteri è degenerato; l'ararisia
o la rilassatessa guastano i onori. Sol-
tanto nn ndraeolo può rimediare a tanta
eorradone. » Cfr. Toiti, SUnia déUa JfO'
dim di MonUe«ut. UI. 92-09. Lo tUuo,
eU ordini réligioH nétta D. O. in i>. é
U tuo me,, 439 e seg.
73. MO: adesso. Al presente nessuno
alaa più un piede dalla terra per salire la
sealAoeleste, cioè nessuno si dà alla con-
tem^aaione, ma attende soltanto alle
ooeo terrene.
74. KEOOLA: monastioa. Cfr. Bégnla
B^nedieU in QtMandi, Bibl, Fair, XI,
208 e seg.
76. BiMABA : in terra. - psb dahmo : per
oonanmare inutilmente la oarta, su eul
si oopia e ricopia, non essendovi più
cU l'osserrL Cfr. Oom. IÀp$. UI, 59i
e aeg.
76. MUSA: dei monasteri, che soleyano
essere stansa di nomini buoni e devoti.
77. arsLOHCHK: « Numquid ergo spe-
lonca latronnm flicta est domus ista, in
qua inTOoatnm est nomen meumf > Qo-
rem. VII, 11. Cfr. Matt. XXI, 18. -co-
COLLB: Testi monacali; cfr. Par, IX, 78.
78. Pilone t le cappe monacali riouopro-
no persone malvage.
79. TOLLX! insorge contro, si ribella,
offende. Cfr. Ifannue., Verbi, 704 e aeg.
« Se i miei monaci commettessero usura,
dispiaoerebbono meno a Dio, che adope-
rando le rendite in quello in che le ado-
perano »; Cotti. Papa Alessandro ni in
una sua decretale: « Quod monachi, ab-
bates et priores aecipiunt, gravina est
usura. » Cfr. Todetchini» ScritH eu D. II,
481 e ssg.
80. FRUTTO: Tamor degli areri, che
rende si folle il cuore del monaci.
82. OUABDA: custodisce, tiene in de-
posito. Perciocché tutto ciò che ò in cu-
stodia della Chiesa, appartiene ai poreri,
non già al parenti dei chierici, o ad altri
ancor men degni. Cfr. Aug„ De eorreet.
l>onat, ad Boni/, JBp„ 185. 8, Bernardi,
Veelamat., 17. Par. XII, 08.
84. D* ALTRO : nò di tali altre persone,
delle quali il tacere è bello.
85. BUHTDA ! arrendevole alle seduzioni
e lusinghe. « È cosi debole 1* umana car-
ne, che il /errore onde si comincia un re-
ligioso istituto dii&eilmente si conserva
sempre tale da dare quel frutti che do-
Trebbono seguire»; Oom,
86. NON BASTA: nou dura. La pianta
germogliata inaridisce prima di maturar
frutti.
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922 [OIILO BBTTIHÒ] PàB. XXII. 8?-100
[BKHBDKTran]
91
94
97
100
Dal nascer della quercia al far la ghianda.
Pier cominciò senz'oro e senz'argento;
Ed io con orazioni e con digiuno;
E Francesco umilmente il suo convento.
E se guardi il principio di ciascuno,
Poscia riguardi là dov' ò trascorso,
Tu vederai del bianco fatto bruno.
Veramente G-iordan vòlto retrorso
Più fu, e U mar fuggir, quando Dio volse.
Mirabile a veder, che qui il soccorso. >
Così mi disse, ed indi si ricolse
Al suo collegio, e il collegio si strinse ;
Poi, come turbo, tutto in su s' accolse.
La dolce donna dietro a lor mi pinse
88. PuEBt Tapoetolo San Pietro, -co-
Miitcìò ! il tuo nfflsio di prediosre il Van-
gelo. «Petrus aatem dlxit: Argentnm
et aomm non eet mihi »i Atti, III, 6.
00. OOMTEMTO: adonanEtt, oongrega-
ctonei ofr. Purg. XXI, 62.
91. IL PRUrOIPIO : Al. AL principio. - DI
CIABOUNO : dei tre santi or ora nominati.
92. TRA800BS0: nei SQOoessori e di-
Boepoli.
98. FATTO BBUMO: le Tlrtù trasmutate
nei visti opposti. « Qal mostra li buoni
prindpii e li mali segniti, dicendo: S. Pie-
ro, primo papa, oomindò sensa oro; li
successori sono tesanrissanti in terra. Io
Benedetto con orasioni e con digiuno;
▼oi neri e bianchi monaci segnitate con
odo e con gbiottomie e delettasioni mon-
dane. San Francesco con nmiltade ; li sac-
oessori con superbia. » OtL
94. TERAMBMTB : lat. wmmtamen, non-
dimeno, dò nonostante. U oonoetto ò:
Le cose vanno a rovesdo (r. 91-93); non-
dimeno un miracolo della divina bontà
può tu ritornare alla disdpUna intesa da
Cristo gli ecdesiastid, come fece ritor-
nare indietro le acque dd (Mordano (cfr.
Qùmtè m, 14-47) e ritirare le acque dd
Mar Bosso (cfr. Siod, XIV, 21-29), che
furono miracoli ancor più mirabili. Cosi
intendono Lan„ An, Fior^ PoH. Cku$,,
Faito Boee,, Beno,, Fwrt,, Parenti, Oet,,
Tom., Br. B., FrtU., Andr., BemnoMi.,
FrancM., Oom„ ecc. Al. leggono al v. 96:
PIÙ FU IL MAB FUOOIB 0 spiegano t Ve-
ramente fa. più mirabile a vedere H Oior-
Aano, vdto indietro, ftiggir U mare,
qnsndo Dio Io voQe, che qui fl i
(}od VéU,, Lomb,, Cotta, eoo. Al. leggo-
no: Vkbamsmtb Oiordas vòlto è kb-
TB0B80 1 Più fu IL MAB FUGOIB QUAHDO
Dio V0L8B, eco. e spiegano : Le cose vanno
veramente a roveodo come 0 Glordsno ;
ma il ftiggir dd mai», quando Dio volle.
Ita cosa più mirabile a vedere, che qui fl
soccorso. Owi BuH, Land,, Dan., VenL,
Pog., Biag., ecc. Ha die le cose vanno
a rovesdo, ò già detto v. 9 L-98, ed fl Qior-
dano d volse retrorto (ofr. Salm, CXUI,
8) per volere di Dio, mentre gU eodeala-
stid d volgono indietro contro fl divia
vdere. Cfr. Moore, Orit., 474 e seg.
95. VOLBB: volle: ofr. Pvrg. Vili, 06.
Nannueùi, Verbi, 770.
V. 97-111. BaUta da Satme'na al
ef do stellato. Dopo aver deplorato la
corrurione dd monasteri ed aooennato
alla divina potenaa che, volendo, può ri-
mediarvi miracolosamente, l'anima di
San Benedetto d riunisce alla soa com-
pagnia che rapidamente s* inveda, levan-
dod in alto. Dietoo a qnd beati spinge
Beatrice con un oenno il Poeta su per
la odeste seda. In un batter d'oodilo
egU d vede già sdito nd ddo deUe stelle
fisse. Cfr. Oone, n, 15.
98. OOLLBOIO: oompagnia, riunione;
cfr. Ittf. XXni, 91. Pwy, XXVI, 129.
Par, XIX, 110. - SI stbiubb: d rinaL
99. COMB TUBBO : roteando come vento
turbinoso; ofr. Par, XVIII, 41 e seg. -
8'AOGOLBB: d soUevò, ritornando nd-
r Bmpireo.
100. DOBBA: Beatike.
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[OIBLO OTTAVO]
Pàb. xxn. 101-114 [SALITA B iiryocAZ.] 928
103
100
109
113
Con un sol oenno su per quella soala,
SI sua virtù la mia natura vinse;
Né mai quaggiù, dove si monta e cala
Naturalmente, fu si ratto moto,
Ch'agguagliar si potesse alla mia ala.
S' io tomi mai, lettore, a quel devoto
Trionfo, per lo qual io piango spesso
Le mie peccata e il petto mi percuoto ;
Tu non avresti in tanto tratto e messo
Nel fuoco il dito, in quanto io vidi il segno
Che segue il Tauro, e fui dentro da esso.
0 gloriose stelle, o lume pregno
Di gran virtù, dal quale io riconosco
Tutto, qual che si sia, il mio ingegno !
102. MATUBA: ìm ffTATità DfttiiTale del
mio oorpo.
108. Mft HAI : nò quaggiù in terr», dorè
ai monta e cala nataralmente, yì fa mai
moto tà ratto nò se ne lia idea. « Sale
U Poeta con Beatrice al delo delle stelle
Asse; e gnesta ascensione egli spiega oon
ona simiUtodine levata anch'essa dal-
r idea del volo ; bene appropriata, in
quanto, nsdto Itaor de' pianeti, ei mnove
al cielo stellato pei campi sablimi della
oontemplasione »; L.Vent,, Simil., 496.
106. ALA: al mio volare. « B bene dice
alla mia ala, imperò che Tale oon che ai
monta mentalmente sono dne, doò la ra-
gione che ò l'ala sinistra, e lo intelletto
ohe ò l'ala destra : al delo stellifero, ot-
tava q>era, non si paò montare coll'ala
della ragione, che non apprende se non
naturai montamentoi ma coll'ala dello
intelletto, che apprende per grada data
da Dio le cose sopra natura. » BuU.
106. s'io TOfiNi : ottativo— ood possa io
tornare. - lrtobb: il ^oeta d rivolge
sedid volte nd sao poema al lettore :
dnqne neU'inT. (YIII, 04; XVI. 128;
XX, 19; XXY, 46; XXXIV. 23); sette nd
Purg. (Vni, 19 ; IX, 70 ; X, 106 ; XVII,
1; XXIX. 98; XXXI, 124; XXXIU, 186)
e quattro nd Par, (Y, 109, X, 7, 22;
XXII, 106). QaesU òr ultima volU che lo
fa, qnad volesse prender congedo dal let-
tore prima di accostarsi aU'vUima$<UuU,
107. TBIOHFO : cdeste ; alle gioie del de-
lo. - PBB LO QUAL: per consegoire il qode.
108. piccata: peccati; cfr. 2V. Y, 9.
Purg, XYI, 18. Par. XVH, 83. - ru-
CUOTO : segno di contridone e di peni-
tenxa; « pnblicanns. . . . percotiebat peotas
snnm dicens: Dens, propitins osto mihi
peccatori »; Luca XYUI, 18.
109. TRATTO : < la cderità dell' ascen-
dono ò espressa oon una simiUtodine
non meno semplice che originale. Si noti
oome il Poeta dice prima tratto, e poi
méuo il dito. Kon ò sensa avvedimento
qaesta inversione di atto natnrde, per-
dio egli ò cod istantaneo ohe il prima e
il poi sono nn ponto solo; ansi, se fosse
possibile l'immaginarlo, il mettere ò più
rapido del trarre. » L, Yent., mmU,, 486.
110. IL BiGHO : la oostdladone dd Ge-
mioi, che segno qoella del Taoro.
111. X FUI: e mi trovd nella oostdla-
done di (Gemini.
Y. 112-128. XnMNNMtone delle stelle
dei Gemini, Rioordandod di esser nato
sotto qndla oostdladone, e riconoscendo
ddl' inflaensa di essa quanto ha d' inge-
gno e quanto di bene gli accade, il
Poeta ne invoca la sperimentata virtù,
perohò gli giovi a scrivere la parte più
sublime e più difficile ùeì poema eaero,
ohe ancor gli rimane.
118. viitTÙ : « Gemini d ò casa di Her-
curio, lo qude d ò dgniflcadone di scrit-
tura e di sdensia e di conosdbilltà; e
però, secondo la sdenzla, voi arte pre-
detta (Astrologia), colui che ha Gemini
per ascendente, natnrdmente d ò inge-
gnoso e adatto a sdensia litterde, e
maggiormente quando lo sole d trova
essere in esso segno »; An,Fior,, Lan.,
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924 [CULO OTTAYO] Pau. XXII. 115-127 [xbo&taz. di bbatrici]
115
118
121
124
127
Con voi nasceva e s' ascondeva vosco
Quegli eh' è padre d'ogni mortai vita,
Qnand' io senti' da prima V aer tosco ;
E poi, quando mi fu grazia largita
D' entrar nell' alta rota ohe vi gira,
La vostra region mi fu sortita.
A voi devotamente ora sospira
L' anima mia per acquistar virtute
Al passo forte che a sé la tira.
€ Tu sei si presso all' ultima salute, >
Cominciò Beatrice, « che tu dèi
Aver le luci tue chiare ed acute.
E però, prima che tu più t' inlei.
115. 8'aboondsva : tramontava. - vo-
Bco : lat. vobiieum, oon toI ; cflr. Purg,
XI, 60, XVI. 141. K6l 1266 U sole «u-
trara in O^miol il 18 maggio, e ne naoiva
il 17 giugno. E dicendoci Dante di eaaer
nato quando il aole era in Gemini, ne
aegoe ohe nacque tra il 18 maggio e il
17 giugno.
116. QUi&au : il sole, il quale e tutte
le cose col suo calore Tivifioa » ; Oonv.
in. 12.
117. SBNTi' : sentii, respirai ; quando
nacqui. - tosco : ofr. If^. XXIII, 76 ;
XXVin, 108.
118. B POTt essendo salito al Paradiso.
- LARGITA: largamente accordata; ofr.
JnT. XIV, 02. Purg, XI, 182, ecc.
110. BOTA : nel cielo stellato, col quale
voi girate. - vi gira : « imperò che '1 detto
cielo girando so tutto, gira dò che in
esso è »; BuH,
120. SORTITA t mi fti dato per sorte di
passare appunto per quel tratto di cielo
che Toi occupate. < Il Poeta vuol £fur co-
noscere il perohò delle tante stelle che po'
pelano rottavo cielo ebbe in sorte di en*
trare nel segno di Qeminl, ed ò che il
sole si trorava in €tomini quando egli
nacque »t Oreg.
121. ORA SOSPIRA : Al. ÓRA B SOSPIRA.
128. AL PASSO : alla dlflBoile impresa di
descriyere le alte cose del Paradiso, os-
sia alla conclusione del Poema, dove mi
convien trattare le cose pih sublimi;
alla quale impresa, che tira a sé tutta
l'anima mia, ora mi accingo. Cosi i più
' ''•*nv,, Lom^., Om., Tom., Br, B., Frat,,
. Jndr., BmnoM., Cam., Frane.,
WUU, Oom., ecc.). Altri : A passare e
montare alla oontemplasione di Dio {Bw-
tj) i al passo per il quale Tanima si de-
ve dividere dal corpo, cioè alla morte
{YéSL, J>€l., Ptratrini, Blame, ecc.); al-
Talta e difficile impresa di passare soci-
Tendo dal sensibile aU'insensiblle (Don.,
VmL, ecc.); al maraTigUoeo trionfo di
Cristo (Biag., eoo.).-TiRA: «ladiAoolt^
trae a sé le menti e le anime forti eoa
forse degna di loro; solo le deboli re-
spinge »; Tom. Cfr. Par. X. 26 e aeg.
V. 124-154. Sguardi «4 pianeH ed
olla terra. Consigliato da Beatrice.
Dante rirolge gli occhi e Tede quanto
mondo gli sta sotto i piedi; Tede tutti
e sette i pianeti quanto sono grandi e
quanto sono Teloci : Tede questa Terra
ohe é A piccola e che pure tk V uomo
tanto superbo. Quindi toma a flaeaie gli
sguardi suoi negli occhi della sua donna.
Cfr. Otc., Somn. Se^., 8-6. Oom, lApi.
ni. 604 e seg.
124. ALL'ULTIMA SALUTB: a DÌO; alla
Tisione di Dio» cfr. Par. XXXIH, 27.
Salm. XXVI, 1.
126. LB LUd! e delll occhi corporali,
secondo la lettera; ma secondo l'allego-
ria, le lud mentali, cioè la ragione e lo
intelletto; ehiars, cioè non turbate da
passicme; ed aeuie, cioè sottili a disoer-
nere e Tederò le Tiltà del mondo, sicché
bene ti puoi riv^olgere a riguardare Io
mondo, seosa timore che lo suo sguardo
t' Inganni e tiriti a sé»; BuH.
127. T'iicLBi; entri In UÀ. Verbo co-
niato da Dante, come imwtiarH e imr
tuarH in Par. 1X^81, kiMarti in Por.
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[CULO OTTAVO]
Pab. xin. 128-144 [sguabdo all'uott.] 925
330
188
136
189
142
Rimira in giù, e vedi quanto mondo
Sotto li piedi già esser ti fei ;
SI che il tao cuor, quantunque può, giocondo
S'appresenti alla turba trionfante,
Che lieta vien per questo etera tondo. >
Col viso ritomai per tutte quante
Le sette spere, e vidi questo globo
Tal, eh' io sorrisi del suo vii sembiante ;
E quel consiglio per migliore approbo
Che l' ha per meno ; e chi ad altro pensa.
Chiamar si puote veramente probo.
Vidi la figlia di Latona incensa
Senza quelP ombra, ohe Ui fti cagione
Per che già la credetti rara e den^ ;
L' aspetto del tuo nato^'Tperione, 4 .. * .^ "
Quivi sostenni ; e vidi com' si muove
Circa e vicino a lui Maia e Dione; ^
IX. 73, indiarti fu Par. IV, 28, intem-
prarti io Par, X, li8, eoo. Prima ohe
tu più entri in Dio, nltim» salate.
129. TI FBI: ti ho già flttto trasoen-
dere. « Guata in gih, e vedrai il mondo
e le sne oose transitorie ; si ohe tn d'es-
sere cotanto salito t'allegri, e ootale al-
legressa dimostri aUi cori de' beati, li
qaàli vegnono »; OU.
180. QUAXTUHQint PUÒ : quanto più gli
è possibile. « Servite Domino in Uetltia;
introito in oonspeotn elns in exnltatio-
ne »; Salm. XCIX, 2.
181. B'APPBBsnfTl: rada incontro, si
mostri. - ALLA turba: alle sohiere del
trionfo di Cristo, ohe appariranno tra
breve ; òfr. Par. XXIII, 19 e seg.
182. BTKBA: etere; etr. Nannuc., Nomi,
216. •BUrto tondo (ì etera) è il cielo for-
mato deiretere a goisa di sfera » ; Oom.
188. COL vno : colla vista. Ctr.Varehi,
Lez. tu D., ed Arìdb I, 501-631.
184. LB srmE spEBBt i sette ciéU per-
corsi. - GLOBO: terrestre, da noi abitato.
135. TAL : ooéi piccolo. « lam ipsa terra
ita mihi parva visa est, ut me imperìi
nostri pceniteret»; Oie., 8omn. Seip.» 8.
-BBMBiAiiTB: apparenza
180. APFBOBO: approvo; lat. approbo ;
forma dell'uso antioo.
187. l'ha pbb MIMO: lo tiene da me-
00| B0 fli minore stima. Al. ohb là poh
MERTB. « Si tibi [sedes hominnm] parva,
ut est, vldetnr, hsc cslestia semper
speotato, illa hnmana contemnito»; Oie.,
Somn. 8eip„ 6. - ad altbo : alle cose ce-
lesti, spirituali.
139. LA FIGLIA : la luna. - Latona :
madre di Apollo e di Diana ; cfr. Purg.
XX, 181. Par. X, 67. - iifCEmA: infiam-
mata, illuminata.
140. OMBBA: macchie lunari. «Kd dalla
terra vediamo sempre la luna dalla me-
desima parte. Dante or suppone di ve-
dere della luna il disco che è opposto a
quello che noi vediamo, illuminato dal
sole che nella sua ipotesi sta tra lui e
la luna. » Oom,
141. PBR CHB: per la qual cagione. -
GIÀ : cfk*. Oonv, II, 14. Par. II, 46 e seg.
142. HATO : figUo (oAr. Inf. IV, 59 > X,
111), il sole: « Hyperione natus*;Oo<d.,
liei, IV, 192, 241. - IPKBIONB: flgUo di
Urano e della Terra, padre del Sole.
148. 80BTBHHI: scuM abbagliare, per
il vigore novello della mia virtù visiva.
- COM*: come; cfr. Ir\f. XXYI, 12.
Purg. XI, 92.
144. ciBCA : intomo ; eirea ÌI Sole, Mer-
curio, figlio di Maia; vicino al Sole, Ve-
nere, figlia di Dione. -Maia: una delle
Pleiadi, figlia di Atiante e madre di Mer-
curio; cfr. Ovid., Met. I, 669 e seg.; II,
685 e seg.; XI, 808. Virg., Georg, 1, 225 ;
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926 [CIBLO OTTAVO] PAR. XXII. 145-154 [SGUARDO ALL'UHITIBSO]
li5
148
151
154
Quindi m' apparve il temperar di Giove
Tra il padre e il figlio ; e quindi mi fa chiaro
Il variar ohe fanno di lor dove.
E tntti e sette mi si dimostraro
Qoanto son grandi, e quanto son veloci,
E come sono in distante riparo.
Ii!jaÌ5ola che jaLfatanto feroci,
VoìgenSom'io con gli élemi Qemelli,
Tutta m'apparve dai colli alle foci.
Poscia rivolsi gli occhi agli occhi helli.
A«n. I, 207; Vm, 188 e seg. - Dioint
ofr. Par. vni, 7. Ovid,, Fatt. H, 461.
145. IL TBMPKBAB: GloTe, tr« Marte
Boo figlio e Saturno suo padre, tempe-
rando il troppo caldo del primo e il trop-
po freddo del secondo. Cfr. Oonv, U, 14.
Par. XVni, 68.
147. IL vabXab t la ragione del loro mu-
tar luogo, essendo or più or men distanti
dal sole, ed ora innansi or dietro di esso.
- DOW: luogo ; cfk*. Par. Ili, 88 ; XII, 80.
148. TUTTI B SKTTB: i pianeti: Lana,
Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove,
Satamo. Cfr. DeUa Valle, Sento, 117 e
seg.; 180 e seg.t Suppl., 52 e seg. Nuove
lUuitruz., 86 e seg.
150. B OOMB: e di quanto spazio sono
tra loro distanti. - bipabo: « quantità
di corpo, FelocItÀ di corso e distanxia di
loco gli ftie per tale vista nota» ; A.n.Fior.,
Lan. E nella propria distania di' è tn
le dimore dei singoli pianeti, le qaali
gli astronomi chiamano eàte, e Dante ri-
pari.
151. L'AIUOLA : la Terra, piccola aia,
rispetto ai cieli. Dal aegnodel Gemini, col
quale ormai mi Tolgevo, scoprii, dalle
maggiori altezse del suolo sino al UreUc
del mare dove 1 fiumi hanno le loro fbd,
tutto, quanto ò, l'emisferoda noi abitato ;
una piccola aia che ci flt tanto ferod
nel disputarcene il possesso. Cfr. De Men.
Ili, 16, dove chiama la terra artoìa;
Boet., Coni. phU. II, pr. 7.
152. ETEBin: essendo inoormttibffi ;
ofr. Par. VII, 130 e seg. Delta VàUe,
Seneo, 117120. Suppl., 52, 63. Nuove Ih
Ifutr., 86-100. Ponta, Opp. tu D., 215.
154. OCCHI BBLLI: di Beatrice; « ut
sciret quid esset agendnm »; Benv.
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[CULO OTTAYO]
Par. xxin. 1-11 [dantb b beatrice] 927
CANTO VENTESIMOTERZO
CIELO OTTAVO O STELLATO: SPIRITI TRIONFANTI
TBIOKPO DI CBI8T0 ED IKCOBONAZIOHE DI MARIA
10
Come V augello, intra le amate fronde,
Posato al nido de' snoi dolci nati
La notte che le cose ci nasconde.
Che, per veder gli aspetti disiati
E per trovar lo cibo onde li pasca,
In che i gravi labor gli sono aggrati.
Previene il tempo in su P aperta frasca,
E con ardente affetto il sole aspetta,
Fiso guardando, pur che V alba nasca ;
Cosi la donna mia si stava eretta
Ed attenta, rivolta ìnvér la plaga.
Y. 1-15. nanté e Beatrice. Con gli
oeehl flaei verso la parte media del
dolo, sta Beatrice aspettando e mo-
strando desiderio di veìflere nnovo pro-
digio. Vedendola oosi estatica e bramo-
sa, Dante desidera di conoscerne la ra-
gione.
1. L*AUQBLLO r ofr. Tirg., Aen. XII, 478
e seg. - AMATB: « per li figlinoli li qnali
esso nooello v* ha nidificati »; Ott. Ci^.
Sia*., Aehm. I, 212 e seg. Virg., Georg.
I, 413 e seg.
2. POSATO : cfr. Virg., Oeorg. IV, 514.
Herat., Spod. 1, 19 e seg.-HATi : pulcini;
cfr. Virg., Georg. II, 528; III, 178. Aen,
n, 188; IV, 83.
3. LA Rorra: dorante la notte, ohe ci
impedisce di vedere gli oggetti.
4. ABpnn: de' snoi dolei nati,
9. IN CHS: nella ricerca del cibo onde
pascere i snoi pnldni. -labob: latini-
smo, per lavori : cfr. Pwrg. XXII, 8. Gal-
vani, Poe$fa da' trovai,, 479. - aoouatt :
graditi, dold. « In eo qnod amator, aat
non laboratnr, ant labor amatar »; Attg.,
De Bon, Vid., 22.
7. PBBViBirB: abbandona anEi tempo,
prima dello spuntar del sole, il nido, ed
esce in sa le ponte dei rami.
9. PUB CHB: non appena spuntata
l'alba.
10. BBBTTA: « dicendo che Beatrice s!
stava eretta ed attenta, il Poeta la de-
scrive con esatta correlasione alla elmi-
litadine. Eretta risponde al salir dell'an-
gello snU' ultima frasca; attenta, al fiso
guardar di quello : aspettando 1* uno con
ardente affetto il sole, l' altra con desi-
derio amoroso la vista del Sole etemo.
E Jlto sta bene ad augello, come atto più
speciale del corpo ; attenta sta bene a
Beatrice, come atto più della mente. »
L,Vent., Sima., 441.
11. nrvÉB LA PLAGA : vcrso il meridia-
no, ossia verso quella parte del cielo
(cfr. Par, XIII, 4) dov' è il sole nel mex-
sodi, apparendo più lento nel suo cammi-
no: cfr. Purg. XXXIIIr>108. « B questo
itizedbyXl^OOgle
[CIELO OTTAYO] PAB. IIHI. 12-24 [TBIOKFO DI CBT8T0]
18
16
10
22
Sotto la quale il sol mostra men fretta.
Si che, veggendola io sospesa e vaga,
Fecimi qaale è qaei che, disiaado,
Altro vorrla^ e, sperando, s' appaga.
Ma poco fa tra ano ed altro quando.
Del mio attender, dico, e del vedere
Lo ciel venir più e più rischiarando.
E Beatrice disse : < Ecco le schiere
Del trionfo di Cristo, e tutto il fratto
Ricolto del girar di queste spere ! »
Pareami ohe il suo viso ardesse tutto,
E gli occhi avea di letizia si pieni.
Che passar mi convien senza costrutto.
finge r A-ntore, percih'elll ynole moetrare
che Cristo colli eaol apostoli, con tatti 11
beati del vecchio Testamento si rappre-
sentino nel cielo ottaro, tra' qaali Cristo
splendeva come e più che '1 sole; sicché
degna cosa è che olii finga che Cristo si
rappresentasse nel messodi, aoctò sopra-
stesse sopra tatti li beati, come lo sole
sta sopra noi, quando è al meridiano »;
Buti. Ctr. Oom. Lip$. Ili, 614.
18. SOSPESA: in estatica aspettaeione.-
VAGA: de8iderosaw8o4!P0M e vaga risponde
tker§Uaed attenta^ v. 10, 11, e s'illastrano
mutuamente.
16. ALTBO: molte più oose di quelle
che non ha, ed incomincia ad appagarsi
sperando.
V. 16-45. Il trionfo di Cripto. Dopo
alcuni brevi istanti di estatica aspetta-
zione, Beatrice esclama: «Ecco il trionfo
di Cristo ! > Il Poeta vede mlglUia di lu-
mi, e un Sole ohe tatti gli accende, e nella
laoediqael Sole trasparirelaoente ruma-
nità di Cristo. A tal vista la mente sua,
inebbriata di celeste ammiratione, esce
di sé stessa, ed egli né sa rammentarsi
che fece, né, tanto meno, può narrarlo.
16. TBA UNO : tra un tempo e V altro. -
QUANDO: termine delle scuole— tempo;
cfr. Par, XXI, 46: XXIX, 12. Cosi il
dove {Par. IH, 88 , XII. 80 ; XXII, 147),
il come (Pwrg. XXV, 86. Par, XXI, 46),
ecc. Vaol dire ohe tra il suo attendere
ed il vedere il delo fsrsi più splendente
corsero pochi istantL
19. LB SCHIIBB: «Come li Bomani,
quando trlanlkno, menano inanti al carro
preda tolta ai nimld ; co^ finge l' au-
tore ohe velasse Cristo co la preda che
aveva tolto al dimenio, e tH de' santi pa-
dri del Limbo, e si dei santi frrlwtlani
ohe sono salvati per la passione di Cri-
sto »; BuH, Land^YM,, eoo.
20. IL FRUTTO: eoco gli eserdti del «ai-
vati o guadagnati dal trionfo, dalla vit-
toria di Cristo; ed eeoo tutto il frutto
raccolto daUe influenxe di queste sfere
circolanti I Così Poti. Oaet,, Fram. Pai,,
Benv., BuH, Land.,Vea., Lomb, e quasi
tuttii moderni sino al Oom. Altri: Beco
tutta la milisia celeste raccolta, per se-
guire il trionfo di Cristo, da tutte le sfere,
oV eli' era sparsa I CoA sembrano aver
inteso Lan., OU,, Àn. Fior,, PotL Oomm.,
Petr, DarU ,e cosi spieganoIV»rsa», Andr.,
TodeoohifU, eco. Non si tratta del luogo
dove il fratto fri raccolto, ma della cattM
ohe lo produsse, e le oehiore dei triof^o di
Oriito sono tutte nell* Bmpireo. non di-
sperse per tutte le sfere; ofr. Par. IV,
28 e seg. Altri: Bd ecco tutto U fratto
che tu hai raccolto per il girare ohe hai
fatto in queste sfere oelesti! Gort Dm.,
VerU., ObHa, Tom., eoo. L' ultioio frutto
del girare di Dante neOe afer» oèlesU
é la visione di Dio, non la soa visione nel
dolo stelhite. Per tutto ciò ofr. Oom.
Lipe. UI, 615 e seg.
22. ABDiasB: é il solito aooreaoimento
di belleasa e Iettala, a misura ohe asosn-
dono di cielo in delo e si awiolnaoo
a Dio.
24. SKMZA G08TBUTT0 : sensa pariame,
sensa costruirlo in parole. OoetruUo, ter-
mine delle scuole; cfr. Purg, XXVXII,
147. Par. XU, 67.
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[OIILO OTTATO]
PàB. XXIII. 25-89 [TRIONFO DI CBI8T0]
25
28
31
34
87
Qoale nei plenilonii sereni
Trìvia ride tra le ninfe eteme,
Che dipingono il ciel per tatti i seni ;
Vid'io sovra migliaia di lucerne
Un Sol ohe tutte quante V accendea,
Come fa il nostro le viste superne ;
E per la viva luce trasparea
La lucente sustanzia tanto chiara
Nel viso mio, che non la sostenea.
0 Beatrice, dolce guida e caral
Ella mi disse : « Quel che ti sobransa,
È virtù da cui nulla si ripara.
Quivi è la Sapienza e la Possanza
\ Ch'apri la strada tra il cielo e la terra,
^ Onde fu già si lunga disianza. >
25. QUALI: « QoAd stella matatina in
medio nebnljB, et quasi lana piena in dle-
bos enis Inoet »; BeeUi. L, 6. Cfr. L. VmU„
Sima., 15. OoimpantU, Tirg, nel mèdio
wo, 1\ 268.
26. Tri VIA : Diana —la lana ; ofr. Virg.,
Afn, VI, 38. 85; VII, 516, 774, 778j X,
537; XI, 566. 836. Ovid., Met, II. 416. -
NiifFX: le stelle; ofr. Purg. XXXI, 106.
- ETUUIK: essendo esse inoorrattibili;
cfir. HoraL, Bpod. XV, 1 e seg.
27. sxHit in tatte le sne piffti; ofr.
Par. XIU, 7.
28. MiOLLAtà: « Millia inllHnm mini*
strabant ei, et deoies millies oentena mil-
lia assistebant ei»; Daniele VII, 10. -
LUCKBNS: anime beate; ofr. Par, VIII,
19; XXI. 78.
29. UN Sol: Cristo; ofr. Jfott. XVU,
2. Giav, I, 9. ApoeaL, 1, 16; X, 1. Boet,,
Cane. phU, V, metr. 2.
30. IL V08TS0: oome il nostro sole ac-
cende le stelle (secondo le opinioni del
tempo). « Del lame del sole tatto le al-
tre stelle s'informano *;Oonv, II, 14. -
visTBt ofr. Par. n, 115 ; XXX, 0. -«Ben
Ange r antere ohe lo splendore di Cristo
fkcoeee Incide tutte quelle beate anime ;
imperò ohe ne la virtù della passione di
Cristo, e nel suo sangue e ne le sue
virtù tutti li santi sono salvati e san-
tiflcatl»; BuU.
SI. LUCI: di Cristo, il divin Sole. -
TRABPABKA: ofr. Por. II« 80.
82. SUSTANZIA : r umanità di Cristo.
« Essentia TtH peraona Chriati lucidi»-
59. " ZKv. Oomm., 4» «dia.
sima »; Benv. - « La sostansa di Gesù
Cristo ohe si vedea nella luce »; Oom.
38. NBL VISO MIO CHK MOM : Al. OHS 'L
VISO MIO NON.
84. o Bbatsicb i esdamasione ohe sfug-
ge spontanea al Poeta nel momento ohe
si aooinge a descrivere quanto ella lo
guidò a vedere. Cosi intendono OU., Buti,
Land., VeU., VenL,Biag.»Andr.,9oc.80'
condo altri, le parole O Beatrice, ecc. sono
un' esdamaaione che il Poeta diresse in
quel momento a Beatrioe. H Oaee. leg-
ge : B BXATBICK, DOLCI GUIDA B CARA,
Allob mi dibbb. Ottima lesione, alla
quale però manca l' autorità de' oodid e
dei commentatori antichi.
35. BOBBANZA: Sopraffa, vince la tua
vista; ofr. Par. XX, 07.
36. BIPARA: nessun occhio può difen-
dersi (cfr. Apoeal. I, 7); «imperò ch'ella
è virtù divina, che ogni cosa avansa; e
però non è meraviglia s' ella avansa la
tua virtù visiva »; BuH.
37. SAPUDfZA : Cristo ; cfr. I OoT, 1, 24 !
«....Christom Dei virtntem et Dei Sa-
plentiam. » Thom. Aq., Bum. ih. 1, 89, 7 x
«Filius didtur Sapientia Patria, ecc.»
38. LA STRADA : Al. LB STBADB ; ma UUa
sola ò la via per salire su in cielo ; cfr.
MaU. VII, 14. Gioìf. XIV, 6. S1>rei IX.
8. II, Pietro n, 2, 15, 21.
39. ONDB: del qnale aprimento della
strada per salire in delo ta cod lungo
desiderio nel mondo. - lunga : ofr. Purg.
X, 84 e seg. - disianza ; desiderio ; cfr.
Por. XXTT, 65; Xxxiil^ 15.
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980 [CIBLO OTTATO] Pab. xiui. 40-54
[RISO DI BSITBICS]
40
43
46
49
53
Come foco di nube si disserra
Per dilatarsi si, ohe non vi cape,
E fuor di sua natura in giù s'atterra;
La mente mia cosi, tra qaelle dape
Fatta più grande, di sé stessa uscio;
E che si fèsse, rimembrar non sape.
< Aprì gli occhi e riguarda qual son io t
Tu hai vedute cose, che possente
Sei fatto a sostener lo riso mio. >
Io era come quei che si risente
Di vision obblita, e che s' ingegna
Indarno di ridurlasi alla mente.
Quando io udi' questa profferta, degna
Di tanto grado, ohe mai non si estingue
Del libro che il preterito rassegna.
40. coiUB FOCO : « La mento del Poeto,
tra tonti gaadi oelesti fiotto più grande,
eace di $è tteata, del tno essere natura-
le, come il fkiooo elettrico dilatandosi, si
sprigiona dalla nnbe ohe noi può oonte-
nere, e scende a torra contro la eoa na-
tura, la qnale (secondo l' opinione degli
antichi) è di salire »; L. Veni., SimiL, 38 ;
otr. Par, I, 188 e seg. - bi dibsbbra:
ctr. Ovid., Met. VI. 095 e seg.
41. PKB DiLATABSi: perchè si dilato
tanto, ohe non può plh capire entro la
nuvola.
42. NATURA: « ciascuna cosa.... ha il
suo spedale amore, oome le oorpora sem-
plici hanno amore naturato in sé al loro
loco proprio; e però la torra sempre di-
scende al centro; il ftaoco allacirconfe-
rensa di sopra limgo '1 cielo della Luna,
e però sempre sale a quello »; Oonv. Ili,
3. Cfr. De Mon. I, 16. Purg, XXXH,
109 e seg. Par, I, 116.
48. DAPKt lat. dapes, TiyaDde delixio-
se. Chiama così le délixie ineffabili del
Paradiso.
46. 8APB: sa; ofkr. Pwrg, XVIII, 66.
E non sa ricordarsi ohe cosa £M)e«8e in
quei momento.
V. 40<69. n ri9o di BeatrUse, Dao-
ohè erano saliti più in sa del oiélo di Gio-
ve, Beatrice non aveva più mostrato a
Danto il sorriso suo celesto e beatìfloan-
to, non potendo questi sopportare tanto
splendore e l' aspetto di tanto gloria ; ofr.
^ar, XXI, 4, e seg.; 62 e seg. AdesM)
invece, dopo tutto dò che ha contem-
plato, Beatrioe lo dichiara abile a ao-
stenere anche 11 sorriso di lei. Questo è
tale però, che n Poeto si confesse inea-
paoe di descriverlo, e chiede scusa ss gli
è fon» tacere di questo e d' altre gioie
del Paradiso, ohe né mento umana sa
concepire nò lingua mortale può desoti-
vere.
48. bostkksb: «la luce divina gli aovi-
Bce r intolletto alla sdenaa. Dio l'aiuto a
contomplar Beatrice, oom'eUa l' aiutò a
conoscere Dio. Se il meno è soala al più,
il più non può non essere al meno e luee
e incremento. » Tom,
49. BI RiSEHTB: sento anoora la piace-
vole o spiacevole impressione di una vi-
sione che pure ha già obbUato; ùtt. Par.
XXXIU, 68 e seg.
60. VISION : del trionfo di Cristo, or ora
avuto. - obbuta: lat. oblita, dimoiti-
61. DI RIDURLASI ALLA MKHTB: Al. DI
RIDUCBRLA8I A UKSTE,
62. PROFFERTA: di bearsi del sorriso
di Beatrice.
68. GRADO : obbligo, gratitudine ; « de-
gna di ricevere tonto e si grande grado,
o vero d'essere avuto si a grado »; DvK.
Cfr.Pur^.VIII,67.-8lRBT»ous: eoàl-
lage di tempo, per ti uUnffUBrà^ H em^
eéUtrà,
64. LIBRO : della memoria ohe scrive le
passatocose ; cfr. VUalf., Proemio, Gans.
~ ■ 5.
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[CIBLO OTTAVO]
Par. xxin. 55-68 [biso di biatbiobJ 981
55 Se me sonasser tatto quelle lingue,
Che Polinnia con le suore fero
Del latte lor dolcissimo più pingue,
58 Per aiutarmi, al millesmo del vero
Non si verria, cantando il santo riso,
E quanto il santo aspetto facea mero ;
61 E cosi, figurando il Paradiso,
Convien saltar lo sacrato poema,
Come chi trova suo cammin reciso.
64 Ma chi pensasse il ponderoso tema
E V omero mortai che se ne carca.
Noi biasmerebbe, se sott' esso trema.
67 Non è pileggio da picciola barca
Quel che fendendo va l'ardita prora.
66. MO: ora. - lihgub: dai poeti. Cfr.
Tìrg., A0n. VI, 635 e aeg. Ovid,, Me-
tom. VIU, 588 e Mg.
56. POLimilA : Polìfhymnia, qnell» del-
le Bore Mese ohe presiede alla poesia
lirioa. Nomina In particolare la Mnsa
da' moìH inni, avendo inissimamente bi-
sogno di nn lirioo volo. - lb suobk: le
altre liase, sorelle di Polinnia.
57. DSL LATTS: otr. Putg, XXTT, 102.
- FiHOUB : pingui I ofr. Par, XV, 9. Nan-
nueei. Nomi, 241 e seg. « L* ispirasione
ebe Polinnia musa principale oon le al-
tre sorelle dà ai poeti, è rassomigliata a
latto Tltale, onde impingnanai le lingue
loro, dò posto, Danto afferma ohe a mille
tanti non bastorebbono tutto ootesto lin-
gue se Tolessero meco concorrere (t) per
esprimere col canto il riso di Beatrice e
quanto per esso acquistova di candore il
suo aspetto. » Oom.
69. IL BAHTO: Al. AL BASTO.
60. rACBA MBBO : Al. IL FACIA MIBO.
Quanto il santo riso di Beatrice facea
lucente di luce schietto il santo aspetto
di lei. CoA ì pih {Benv., VeU., VetU.,
Lomb,, Pori,, Pogg., Tom., Br. B., Frat.,
Qrtg., Andr,, B^nnoit., ecc.). Altri per
tanto ospstto intendono r aspetto di Cri-
sto, il quale evldentomento qui non c'en-
tra. Cfr. Oom, Lipt. in, 628 e seg. -
KKBO: risplendento, ragglaoto.
61. 006Ì : e come non ho parole per de-
sorlYcre il santo riso di Beatrice, così mi
conTiene saltare molto cose che io Tidl
lassh nel delo, perchè sono veramento
ineAbiU* - riOVBAHDO: dipingendo, di-
segnando, descrivendo ; cfr. Inf. XXXIl,
7 e seg.
62. 8ALTAB : cfr . Par. XXIV, 25 ; XXX,
81 e seg. « Fa qui simiUtodine che, come
salto chi trova la fossa a traverso a la
via; così convien saltare a lui, ora che
truova cosa che non si può esprimere
per Ungua umana > } BuH. Cfr. Par. XXX,
22 e s«g.{ XXXI, 186 e seg.; XXXIXI,
56. 121 e seg.
68. COME Om TBOVA : Al. COM'UOM CHE
TROVA.
64. P0H0KR080: Al. PODEROSO; cfr.
Horat., Art poti., 88 e seg. « Dice l'au-
tore: ohi pensasse di quanto peso è la
matoria di che trattare mi conviene, e
pensasse eh' io sono mortale che l' ho a
portore, non mi biasimerebbe, se io per
debolessa d triemo sotto »; OU.
67. FILEGGIO : tragitto, corso di mare.
Al. PALEGGIO ; PELEGGIO ; POLBGGIO ; PU-
LBGGIO ; PARAGGIO ; PAREGGIO. RlCCa Scel-
to! Cfr. Oom. Lipt. III. 625-627. «Kon
è pelago né mare dapieeiola barca t ma
beue di grande nave, Qmì ché/endendo
va V ardita prora, cioè quello pelago,
o vero mare, Io quale va navigando la
mia ardito navicella ; e de T acqua lo le-
gno, quando va per essa, fende ; e però
fendendo si pone per navigando, et usa
qui l'autore lo colore permutaaione, po-
nendo Io peleggio per la matoria, la bar-
ea per lo ingegno suo, e navigare per
trattore; quasi dica: La matoria che io
bone preso a trattare non è da piccolo in-
gegno. » BuU, Confr. Par. II, 1 e se-
guenti. ^ T
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982 [CIKLO OTTAYO] Pab. XXIII. 69-83
[MILIZIA CBLBBTX]
70
73
76
79
82
Né da noochier eh' a sé medesmo parca.
« Perohè la faocia mia al t' innamora,
Che tu non ti rivolgi al bel giardino
Che sotto i raggi di Cristo s'infiora?
Quivi è la rosa, in che il Verbo divino
Carne si fece ; quivi son li gigli.
Al coi odor si prese il buon cammino. »
Cosi Beatrice ; ed io, eh' a' suoi consigli
Tutto era pronto, ancora mi rendei
Alla battaglia dei debili cigli.
Come a raggio di sol, che poro mei
Per fratta nube, già prato di fiorì
Vider, coperti d' ombra, gli occhi miei ;
Vid' io cosi più torbe di splendori
Fulgorati di su di raggi ardenti.
69. pabcà: lat. tibiparcat, si astenga
dalla fatica, risparmi le sae forse, o per
pigrisla, o per mancansa di valore. Par-
eere è verbo dell* uso antioo; cfr. Vo«.
Onu., B. T.
V. 70-87. Za mUùda oalesto. Il Poeta
ò tutto assorto nella oontemplaslone della
divina bellessa di Beatrloe, la quale con
amorevole rimprovero lo esorta a tor-
nare collo sguardo alla oontemplaslone
della mirabile visione. Già Cristo è asce-
so in alto ; onde Dante non ne vede ^ih
ohe 1 soli raggi, i qoali, illominaDdo i
beati, da questi si riflettono al suo sguar-
do. Come da un raggio di sole che tra-
passa per una rotta nuvola è illomlnato
un prato fiorito, eoaì quelle schiere di
splendori erano illuminate da raggi ar-
denti, dei quali non si vedeva il principio.
70. PBRCHÈ: cfr. Purg. XXIX, 61 e
seg. ; XXXII, 0. Par. XXXI, 112 e seg.
71. GIARDINO : alle anime beate illumi-
nate dal raggi ohe da Cristo disooidono ;
cfr. Par, XIX, 22 e seg. La voce greca
Paradiiio (xopdòetooq) vale giardino.
72. B'umoEA : « finge l'autore [che] Cri-
sto stante più alto come uno sole, spar-
gesse et inftindesse i suoi raggi sopra 11
beatL B come lo sole fk aprire et uUmire
li fiori { così li raggi di Cristo, che sono
le grasie e li ardori della carità che spar-
ge sopra 11 beati, fa gloriosi li beati. »
Buti,
78. LA BOBA: Maria, la Bota mvtHea,
^e è chiamata nelle Litanie.
OABiqs : « Verbnm caro taoUua est »;
€H0V, 1, 14. - u GIGLI t i beati, ed in pri-
mo luogo gli apostoli, maestri ed eeesipi
di santità, che ooU'ardore deUe loro virili
convertirono le genti a Cristo.
76. ODOB: « Beo antem gratias, qui som-
per trìumphat noe in Christo Jesu et odo-
rem notitiie sue manifestai per noe la
omni loco; quia Christi bonus odor ao-
mus, etc. > n Oor, II, 14 e seg. - si
PRBBB: Al. b'aPPEBBB; S'aPBBSB.
77. MI BSirDBi: tomai a mirare quella
eccessiva luce che vinceva 1 miei seoii;
cfr. V. 83.
78. battaglia: « in quanto la eooel-
lensa combatte oon la virth visiva »;
Lan., An, Fior.
79. A BAGOio : « come i miei ooobi, om-
brati da alcuna nube, videro ialv«dta un
prato di fiori illuminato da un raggio di
sole, che schietto trapassi per pieoolo spa-
sio lasciatogli dalla nube rotta, ooéì eco. » ;
L, Veni,» 8imU„ 150. - USI: irapasrfi
cfr. Par, XIH, 66; XV, 65.
81. ooPEBTi: Al. ooPEBrro. Erano ftme
i beati, ad onta dell'eccessivo loro splen-
dore, simili ad un prato coperto d*oai-
braf Gli occhi di Dante sono coperti
d' ombra, vedendo T tllnminaio sensa ve-
dere r illuminante.
88. FULOOBATi: rischiarati. iUaminati
da raggi ardentd che piovevano dall'alte,
senia che io scorgessi onde quei taggi
provenissero.- DI BU: «Bt box ultra non
crii, et non egebnni lumine Incema ne-
quo lumino soUs, quoniam Dominua Deus
illumJnabIt iUo8»t.^|>e0a{. XXH, 6, Ctt.
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[CIELO OTTATO]
PàB. uni. 84-d8 [M ÀBU K OABBISLB] 988
86
91
94
97
Senza veder principio di folgori.
0 benigna Virtà ohe ai gl'impronti,
Su t' esaltasti, per largirmi loco
Agli occhi 11 ohe non eran possenti.
n nome del bel fior ch'io sempre invoco
E mane e sera, tatto mi ristrinse
L'animo ad avvisar lo maggior foco;
E come ambo le Inci mi dipinse
Il qnale e il quanto della viva stella,
Che lassù vince, come quaggiù vinse,
Per entro il cielo scese una facella.
Formata in cerchio a guisa di corona,
E cinsela, e girossi intomo ad ella.
Qualunque melodia più dolce suona
Quaggiù, e più a sé l'anima tira,
Thom. À.q., Bum. iheùL 1, 12, 6. -di bao-
Qi : AJ. DA luooi, les. ohe m di corresione
«d è troppo tproTTtota d' aatorità.
84. FBINCIPIO : Cristo, la laoe ohe li ir-
mdlmTa, asoeM tanto in alto, ohe Danto
non poteva pih vederlo. - di fuloobi:
Al. DBI 7ULOORI.
85. Vistò: Cristo. -ql'impbkhti: gli
impronti del tao Inme. « Qui dice l' An-
toTO ohe Gesù Cristo si levò più in alto,
per lasciare looo più distanto dalla sua
luce alU ooohi dell'Aatore, aodò che fos-
aero più potenti a soiTerire quella visio-
ne»; Ott,
87. MOir VBAN: AJ. KON t'sraN; non
erano capaci di sostenere l' immenso tao
aplendore.
V. 88-111. ApoteoH di Maria, Gnar-
dando il maggior lame, che era la Ver-
gine Madre, il Poeto vede scendere ana
fiacella che, girando, cinge qael lame a
galea di corona e intona nn cantico cele-
•tlftlmento melodioeo. È l'arcangelo Ga-
briele. Tatti gli altri lami ripetono il
U nome di Maria. Cfr. Oa^^, La V.M.
nella D, O. in Omaggio a D., 464 e seg.
88. NOMB : di Maria. -FlOB : della rosa.
89. MI BlBTRUfBB : raccolse tatto la mia
attenzione ad osservare il maggiore di
qoei celesti splendori.
90. MAOOIOB: allontanatosi Cristo, lo
splendore di Maria saperava quello di
tatti gli altri beati.
91. K ooMBt e poi che ad ambedue gli
occhi miei si manifesto il quale, la qua-
lità, e U quarOo, la quantità di laoe che
mandava la viva stella che supera in
delo di splendore ogni spirito beato,
come superò in torra di grasia ogni mor-
tole. - DipnrsB: cfr. Purg. XXXI, 121 e
seg. « Mi dipime, cioò imprimé a me, Dan -
to, secondo quelli che togneno che la cosa
veduto sia attiva, e l' occhio passivo ; la
quale opinione l'autore studiosamente
seguito qui, per mostrare ohe questo fci
grada infusa a lui da la Vergine Maria
ne la mente sua, cioè che èlli potesse si
parlare di lei »} BtUi.
92. STBLLA : secondo l'inno : « Ave, ma-
ria stella, Dei mater alma, ecc. » Cflr. Pe-
tr., Cam., P. U, Can». VHI (49), str. 6.
93. viMCB : Maria in cielo ma|Q^ore in
gloria, come in terra fti maggiore in gra-
sia; cft. Tham. Ag., Bum. theol, I, 26, 6.
94. PBB BHTBO : « dipinge lo scendere
dsUraltlssimo ohe pare come un di fuori
di quella ampiesza»; Tom. - facella:
l'arcangelo Gabriele, il nnnsio dell'in-
oamasione del Verbo, v. 108 e seg.
95. COBONA : « aggirandosi velocissima-
mente intomo alla stolta eh* era Maria,
dava r aspetto di una corona luminosa »;
Oom. - « È r arcangelo Gabriele che al
aggira intomo a Maria. Per esprimere
la rapidità di codesto fulgidissimo ag-
girarsi, il Poeta dice ohe formava un
oerchio di fiamma la quale a guisa di
corona cingeva il capo della Vergine »;
L, Vent., 8imU., 483.
98. B PIÙ A BÈ : Al. KD A BÈ PIÙ.
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934 [oulo ottàto] Pàb. xxiii. 99-111 [kabià e oibbuli]
100
103
106
109
Parrebbe nube che sqaaroiata tuona,
Comparata al sonar dì quella lira,
Onde sì coronava il bel zaffiro,
Del quale il ciel piti chiaro s'inzaffira.
< Io sono amore angelico, che giro
L' alta letizia che spira del ventre,
Che fu albergo del nostro disiro ;
E gìrerommi, Donna del ciel, mentre
Che seguirai tuo Figlio, e farai dia
Più la spera suprema, perchè gli entre. >
Cosi la circulata melodia
Si sigillava; e tutti gli altri lumi
Facean sonar lo nome dì Maida.
M. NUBE: taono ohe sqaardft l6 oreo-
ohie. « Qaalemye tonaai, onin lappitor
atras Inorepolt nab«8, extrema tonltroa
reddnnt »; Otrid^ Met. XII, 61 e seg. Gfr.
Tasto, Qer. XTV, 5.
100. lira: 11 canto dell* arcangelo Ga-
briele; cft*. Par, XV, 4.
101. ZAFFIBO: la Vergine Maria, « ohe
era pih Incida che ogni laOro: qneeto sa-
flro è ona pietra di colore oeleate molto
precioaa»; Buti. Ctr. Purg. I, 13.
102. IL ciBL : r Empireo, sede della Ver-
gine e di tntti i beati. - s'nrzAFFiBA : si
adoma ; « ingemmatnr vel exomatnr da-
rins qnam ex aliqao alio lapide pretioso,
aciUcet, alio beato spiritn »; Benv. - « B
perchè lo Ef^rohae certe virth, che abnn-
dantitsimamente forno ne la Vergine Ma-
ria, però la nomina col nome della detta
pietra »; BtUi.
103. IO BONO : canto dell* arcangelo Ga-
briele. - AMOBB ANOBLico : angelo pieno
di ferventiasimo amore. Cosi Buti, Cotta,
Br. B., Frat., ecc. Altri : Io sono rappre-
sentante deir amore di tatti gli angeli
per te {Lomb., Biag., Oet., Andr., ecc.).
Occorreva nn rappresentante agli angeli
presenti f - gibo: mi aggiro intomo al
grembo onde spira alta letisia. Cfì*. Bon-
ehetti. Appunti, 176.
104. DBL VRNTBB: «Idcst, proccdlt de
oorpore Virginis; et per hoc innnit qaod
Maria est cnm oorpore in ccdIo»; Benv.
105. DisiBO : Cristo, oggetto del nostro
desiderio. « Doneo yeniret desideriam
coUinm fetemomm»; Otnsti, XLIX, 26
- « In qnem desiderant angeli prospi-
oere »; I Pittro, I, 12.
106. MKNTRB : finché (ofr. Iitf. XnL 18 ;
XXXni, 182. Purg. U, 26; XXVII.
186. Par. XXV, 122) tn segniti U tao di-
Tln Figlio risaUto àll'Smpireo (co^ Lmm.,
OU., An. Fior., Btwo., Br. B., ecc.). Al.:
In etemo (BuU, Lomb., FraL, Witts^eoc).
Ma neir Empireo Gabriele ò bend proe
so a Maria, Par. XXXII, 94, sansa però
cingerla e aggirarsi intorno a lei eone
fa qnì.
107. dia: più divina, quindi più ri-
splendente; cflr. Par. XIV, 81.
108. LA 8PBBA : V Empireo, ohe ò il sa-
premo delo. - PBBOBft OLI BKTBS : perchè
ta Ti entri. Oli per vi, come Ii^. XXIII,
54. Purg. VIII, 69: XIII, 7, eoe. Cotì
Ott., Benv., Land.,reU., Lomb.,Ott.,Br.
B., Qreg., Andr., Bennatt., Frane, ecc.
AL leggono lì bmtbb e spiegano : pérobè
ta entrerai in esso {BuH, Veni., Biag.,
Frat., ecc.). La locnsione non pecca in
ogni caso di soverchia cbiaiessa. U Betti :
« Qai dev' esser magagna; ed io non ar-
rivo a curarla. »
109. czbculata: perchè ai aggirava, os-
sia, come espone il Jkin.: « porche ean-
tando intorno alla Vergine l'Arcangelo
s* andava aggirando. » Cfr. v. 95-95.
1 10. Bi SIGILLATA : SÌ apponeva il sigil-
lo, terminava cosi cantando. Coni leggo-
no ed intendono qnasi tatti. Invece Buti :
« SI OIBAVA : girava sé, come detto è. »
111. FACRAK SOMAB: accompagnavano
il canto, rispondendo Maria.
V. 112-120. Bitorno aW^mpirec
Come r arcangelo Gabride ha terminato
il sno canto. Maria, seguendo U divin suo
Figlio, ascende in alto, ritornando al-
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[CIBLO OTTÀTO]
Pàb. xxiu. 112-120 [BIT. all'bmpibbo] 985
112
116
118
Lo real manto dì tutti ì volumi
Del mondo, che più ferve e più s'avviva
Nell'alito di Dio e nei costumi,
Avea sovra di noi V intema riva
Tanto distante, ohe la sua parvenza,
Là dov'io era, ancor non m'appariva:
Però non ebber gli occhi miei potenza
Di seguitar la coronata fiamma,
Che si levò appresso sua semenza.
rBmpireo, onde O Poeta non U Tede
]ilù. e Cedit Virgo Maria, ut anotor ha-
beat loomn videndi et oonveniendi oete-
ro8 eanetos, exemplo filli, ot sapra»}
PotL Fram, PtU,
112. LO BBAL MAHTO : 11 nono delo, oe-
da a Primo Mobile, ohe « per lo ferren-
tÉasimo appetito ('^più ferve) ohe ha da-
■oona ma parte d' eeser oonglonta con
etafloona parte di qaello cielo divinissimo
eqoieto, in qoello si rivolve con tanto de-
■iderlo. ohe la sua relodtà è qaad Inoom-
prendbile (^-più $' avviva) *i Oonv, II,
4. Coei intendono Lan., OU., An, Fior.,
Poti. Oa$e., Petr. Dani., Benv., BuU,
LatuL, VtU., Dan., Dot,, Voi, Veni.,
Lomb,, e qoaai tatti i moderni sino al
Oom. e al De^ Chub. Alcani pochi inten-
dono inTOoe dell' Bmpireo, che, qoad
manto regale, inrolge tatti i deli (Co-
tta, Andr., Bennaet., eoe.). Ctr. Oom.
JÀps* III, 638 e eeg. - volumi : i deli,
che come Tolami raccontano la gloria di
Dio (ofr. 8akn. XVIII, 2), si volgono tatU
in giro ed ogni aoperiore inchiade T infe-
riore t cfr. Apocal. VI, 14. « Volume da
volgere e da rivolgere le sfere sogget-
te » (f)i Tom.
118. s'avviva: è pih operativo ed ef-
feUivo, poiché «ordina col sao movimento
la ootidiana revoladone di tatti gli altri ;
per la qoale ogni di tatti qadli ricevono
e mandano qoaggih la virth di tatto le
loro parti. Che se la revolaxione di qne-
sto non ordinasse ciò, poco di loro vlrth
qaaggih verrebbe o di loro vista. » Oonv.
U, 16.
114. XRLL'ALITO: Al. KKLL'ABIT0i«qa1a
adlioet est sibi propinqaioa qaam aliad
ooelam ; ista enim spera nona est tam-
qnam prindpalis vicaria, qa» recipit vir-
totem nnitam a Deo, qoam spera octava
tamqnam ministra distribait dlstinote
per omnes speras inferiores »; Benv. In-
vece Bua, ohe legge nill' abito : « Nd-
V abito di Dio, cioè seeondo ohe Iddio eter-
nalmente 1* ha disposto ; imperò che abito
ò dispoddone natarale, secondo ohe V o-
mo piUia qadla per molti atti ; ma in Dio
ò etema la eoa dispoddone, e però di-
oendo abito di Dio s'intende l'essere d'Id-
dio, secondo la bontÀ'd' Iddio ; e nei eoitu-
mi, doé nei costami d'Iddio [Ott.t nei
costami delli aomini, li qndl d reggono
per impresdone di qaella spera], ohe
sono sempre di spirare ima grada e virtù
in ohi la dimanda e voUa. Lo nono cielo
è prindpio di moto e di vita, et in esso è
oniversale virth informativa de le mon-
dane dngalarità. S tatto spere e corpi
celesti ricevono da esso, secondo l'ordine
natarale, conservativa virtate et infor-
mativa, sì come da Dio 1* essere natarale;
e però dicel'aatore ohe t'avviva neU't^nto
di Dio, riceve di qainde virtù vivifica-
tiva. »
115. l'imtbrna biva: la saa cavità in-
teriore ; « la sua profondità, l'interna sua
parte, il sao centro »; Betti, Al. L* etkr*
NA, lesione dalla qaale è difficile ricavare
senso che regga. Cfr. Oom. Lipt. Ili,
635. Moore, Orit., 477.
116. PARVENZA: apparenea, vedata;
ofr. Par. XIV, 64.
117. LÀ : dal luogo, dov'io era, ancora
non la distingaeva.
110. FIAMMA: Maria coronata dall'Ar-
cangelo, la qaale ai aitò aopra l' altimo
cielo, aegaendo Cristo, ildivin ano Figlio.
120. AFrBB880 BUA: Al. APPBK880 A
SUA. - SEMENZA : Criato « somon mnlie-
ria»; Oen.in, 16.
V. 121-139. Inno a Maria, Risalita la
Vergine neirEmpireo. i beati, tatti In-
sieme, in ano alando d* affetto d proten-
dono desioded anelanti verso l'dto, verao
la eoronata fiamma-, qaindi d dlafogano
cantando con Btraordinarìadoloessa, nel-
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9S6 [oiiLO OTTATO] Pab. xxin. 121-ld4
[uno ▲ KlBUj
121
124
127
130
133
E come il fantolin, che invèr la mamma
Tende le braccia poi che il latte prese.
Per r animo ohe infin di fuor s'infiamma;
Ciascun di quei candori in su si stese
Con la sua fiamma si, che l'alto affetto
Ch'egli aveano a Muria, mi fu palese.
Indi rimaser li nel mio cospetto,
< Regina ccrIì > cantando si dolce.
Che mai da me non si parti il diletto.
Oh, quanta è l' ubertà che si sofiFblce
In quell'arche ricchissime, che foro
A seminar quaggiù buone bobolce !
Quivi si vive e gode del tesoro
Che s'acquistò piangendo nell'esilio
reflnltftUA dell' amore, TantUbn» ohe
oanla la Chiefla nel tempo paeqoale:
Regina oosli, InUn. all«laUt,
Qaia qnem memlftl portare, alleloi»,
Retnrrexit dcat dlxit, alleluia:
Ora prò nobis Deom, alleluia.
Oaade et toetare. Virgo Maria, alleloia,
Qola eurrexlt Domino* vere, alleluia.
Al rioordo di quella vista e di qael canto
il Poeta prorompe in nna esclamazione
di maraviglia e di gaudio beato.
121. COMK IL FAHTOLUf : Al. OOUB FAK-
TOUN ; cfr. Purg. XXX, 44. « Ut tamen
aocessit natns, matriqne salatem Atta-
Ut, et parvis addiudt oolla laoertis, Mix-
taqae blanditiis paerilibas osonla imi«
xit »: Ovid,, Met, VI, 624 e seg.
123. PER l'animo : per V ardente affet-
to, che anche esternamente, nel riso e
negli att4, si palesa qnasl fiamma.
124. CANDORI: spiriti looenti; oandide
fiamme; cfr. Pw. XIV, 77.
125. CON LA SUA FLAMBIA: Al. CON LA
SUA CIMA.
120. MAI: « il diletto dora in me tutta-
via, benché molti anni sieno già scorsi
dopo cotale adito canto »; L(mh.
180. 81 80FF0LCE : SÌ contiene. «Oqaan-
ta è Tabbondansia della beatitndine e
della gloria che si ripone in qaelli beati
spiriti capaci d' essa più che arca gran-
dissima •; BuH, Sofolcerti e ioffolgerti,
lat. auffulcire, propriamente— #o«e«n«r«;
cfr. Inf. XXIX, 6.
131. FORO: furono: cfr. If^. Ili, 89;
XXU, 7e. Nannue., Verbi, 465 e seg.
182. BOBOLCB: plor. di hoboìca» fem. di
hobùloo, dal lat. huhuìcn y rafani i
natore ; donqne t ohe ftirono in tari* buo-
ne seminattiai; secondo la atmtenma di
S. Paolo, QùX, TI, 8. Coéi OU., Bemm.,
BuU, Land,, VeU., Dan,, VoL, Verni,,
Lomò. e quasi tutti i moderni. Seeondo
altri, boboUe vale Urrt, onde 11 senso oa-
rebbe: Che ftuono buoni terreni da se-
mente, con allaaione alla nota parabcda
del seminatore, Matt. Xm. S-» ; Jfar-
eo IV, 8-801 Luca Vili, 5-16. Così IVw-
toni. Muratori, Dion., PairenH, Ou.,
BennatM,, eoo. Cfr. per tutto eSò OtH».
lÀpt, in, 887 e seg. H Oom,: « BuìnJcug
ò il guidatore dei buoi, qui si prende per
seminatore di grano. Quelle anima beate
seminarono quaggiù il grano deDe eletto
virtù ; in delo sono rieohe per la raooolta
del premio. »
188. QUIVI t in Paradiso le anima frui-
scono dello spiritual tesoro da esse acqui-
stato coi patimenti in queeto mortale esl-
glio, dov' esse non si curarono dei tesori
matoriali. Così in sostansa tatti gli anti-
chi ed i più dei moderni. Invece il Lmmh.,
seguito da pochi : « Sono questi resldai
sette versi un solo periodo, e dee easere
la oostmsione: ijidvi cohA, dke tien ìe
chiavi di tal gloria, 8. Pietro, Mi fede, se
la gode, e tfivo del teeoro celeste. Ohe
e'aeqvittò piangendo neU'etUio di Ba-
bilon, ov'egU lateiò Voto, nel mondaiio
esilio, dov' egli non curoesi né d* oro né
d' argento. » Interpretasione troppo bia-
sarra. - tsoro : cfr. MaU. VI, 1» e seg.
i>uM XII, 21. 83, 84. n Obr. IV, 7. in-
mot. VI, 10. ^ T
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[OIBLO OTTAVO] PAB. XXm. 135-139 - XXIY. Uh [PBIOHIBBA] 987
136
189
Di Babilon, dove si lasciò l' oro.
Quivi trionfa, sotto V alto Filio
Di Dio e di Maria, di sua vittoria,
E coir antico e col nuovo concilio,
Colni che tien le chiavi di tal gloria.
185. BABiLOif : «in tnnsmigratione Ba-
by Ionia»., per qaod qaid«m ezilinm figora-
lÌterdMÌgnatiirp«T«grixiAtiohiiiiiimQndi
in quo raniiu exolea »; Benv. - 81 LASCIÒ :
Al. BGU (BLU) LASCIÒ. Il Oom, : « È Cri-
•lo che iMdò in terra V oro dei saoi me-
riti, i qnaU applicarono a sé le anime
bnone e ootH aooomnlarono il tesoro. I
oommentatori per sottrarst ad nna dlf-
flocHA (a quaUf) leggono ové ti Uuoiò
l'oro, » I eommentatofi ohe ooA leggo-
no, aegnono la gran maggioransa dei più
aotorevoli oodioi. Ci^. Cfom, lAp». m,
088-089.
188. coll' antico : ooll* assemblea (ofr.
Pwrg. XXI, 16) dei beati del Vecchio e
del KnoTO Testamento.
139. COLUI: San Pietro, col Oisto die-
de le chiavi del regno dei deli ; ofr. Jfott.
XVI, 19.
CANTO VENTESIMOQUARTO
CIELO OTTAVO O STELLATO : 8PIBITI TRIONFANTI
SAK PIETRO, DANTE ESAMINATO CIRCA LA FEDE
« 0 sodalizio eletto alla gran cena
Del benedetto Agnello, il qnal vi ciba
Si, che la vostra voglia è sempre piena ;
Se per grazia di Dio questi preliba
Di quel che cade della vostra mensa,
V. 1-9. JPreghUra «K Beatrice, Bea-
trioe prega 1* assemblea dei beati, eletti
allA gran cena del disino Agnello, di dare
a Dante di qnelV acqua ond' egli ha sete ;
dod di concedergli la bramata conosoen-
%m delle cose spiritnall, celesti.
1. SODALIZIO: consesso, compagnia. -
GKNA: cfr. KaU, XXn, 2 e seg. Luca
XrV, 16 e seg. Apoe. XIX, 9.
8. VOGLIA : appetito, seguitando la me-
taA»ra della cena. - riKtrA: soddisfatta;
ofr. Pwr, IX, 109. Apocal. VU, 16-17.
4. PRBLIBA: prcgnsta; cfr. Par, X, 23.
Cono, 1, 1 X « B io adunque, ohe non seggo
alla beata mensa, ma, ftiggito dalla pa-
stora del volgo a' piedi di odoro che seg-
g<mo, rioolgo di quello che da loro cade,
e conosco la misera vita di coloro che
dietro m' ho lasciati, per la doloeisa ch'io
sento in quello eh* io a poco a poco ricol-
go, miaericordevolmente mosso, non me
dimenticando, per li miseri alcuna cosa
ho riservata, la quale agli occhi loro, già
è più tempo, ho dimostrata. »
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[CIELO OTTAYO] PAB. XIIV. 6-20
[ÀXOB CBLBSTB]
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Aliasi che morte tempo gli prescrìba,
Ponete mente all'affezione immensa,
E Foratelo alquanto I Voi bevete
Sempre del fonte onde vien quel oh' ei pensa. >
Cosi Beatrice ; e quelle anime liete
Si f%ro spere sopra fissi poli,
Fiammando forte a gaisa di comete.
E come cerchi in tempra d'orinoli
Si giran si, che il primo, a chi pon mente,
Qoieto pare, e l' ultimo che voli ;
Cosi quelle carole differente-
mente danzando, della sua ricchezza
Mi si facean stimar, veloci e lente.
Di quella eh' io notai di più bellezza,
Yid' io uscire un fuoco si felice,
6. ANZI CHB : Al. PRIMA CHE. - PBK8CBI-
BA : preaoriy*, segni T altlm» boa on.
7. all' AFFJEZIOlOt : Al. ALLA SUA YO-
QUA, lesione ohe sa di ohiosa.
8. BOBATBLO : < Torare vien da rot, ohe
in latino significa rugiada. Onde la Chie-
sa: Borale, eaeli, ecc. Adunque, sì come
questa ravviTa e rinverde 1* erbette, ooA
illuminate voi alquanto il suo intelletto;
la qual oosa vi sarà agevole a fare, per^
ohe voi bevete sempre del fonte, dal
qual vien quello oh' egli pensa, cioè quel-
lo che desidera d' intendere. » VtlL
V. 10-18. Oawdio deU' amor celeste.
Udita la preghiera di Beatrice, i beati
cominciano a roteare quasi sfere su perni
fissi, si Canno più lucenti, mostrando col
roteare e oolla cresciuta luce la loro gioia
di compiacere a Beatrice ed a Dante. Cfir.
Par, X, 189 e seg. L. Veni., Bim., 605.
Bùnehetti, Appunti, 177. Todstohini, Scru-
ti «tt D. II. 433 e seg.
11. SI FERO SPERB : SÌ atteggiarono in
circolo, aggirandosi in tomo a Beatrice ed
al Poeta; cfr. Par. X, 76-78; XIII, 1»-21.
12. FIAMMANDO : AI. BAGQIANDO. > CO-
MBTB : cfr. yWg., Aen. X, 272 e seg.
13. CBBCUI: le ruote che formano il
congegno degli orinoli. - tbmpba: « è la
disposizione delle parti coordinate all' ar-
monia di un tutto»; L. Vtnt., 1. e.
14. IL PRIMO : il cerchio più intemo.
15. QuiRTO : « par formo, perchè ha
piccola circonferenza, al contrario di quel
cerchio che, vUimo, ha la massima cir-
conferenza, ^par ehe 9oU »; L. VéfU., 1. e.
16. cabolb: anime damanti in giro.
« Oarola è ballo tondo»; ButL - diffs-
BBiiTB-MBmit: « la spessatnra ritrae an-
co la differenza»; Tom, Cfr. Ario§., Ori,
XXVIII, 41.
17. DILLA BUA RIOCHXZZA: OOSl qoel
danzanti oirooli, aggirandosi con diver-
sità di moto, mi foMvano giodloare dellA
loro maggiore o minore beatitodine, os-
sia della rioohesza della loro gloria, •»-
oondo ch'erano veloci o lenti; ofr. Por.
Yin, 19-21. Così con tatti gli antichi
Biag., Br. B., Qreg., Bmnau., Frane.,
Todeioh., Boneh., eoe. Al. dalla sua ric-
chezza: in quelle carole dedueevaai la
varia velocità dalla varia ampiesas dei
giri, per ciò che, oomplendoli tatti nel-
r ugual tempo, la oarola ohe deecriveva
più ampio giro, dovea pur essere la più
veloce. Corà Lothb., Port., Pogg., ecc.
Cfr. Oom, Lip§, III, 642 e seg.
y . 10-45. 8. Pietro e Beatriee. Dalla
oarola più bella esoe il lume più giocondo
e più risplendente, e gira tre volte in-
torno a Beatrioe, cantando on oantloo
inefflsblle. Fermatosi poi , questo lame, che
è S. Pietro, dice a Beatrice : « Ta, santa
mia sorella, con la forza del tuo affetto
mi stacchi dal bel cerchio di spiriti ooi
quali io mi giro. » E Beatrioe lo prega
di esaminare il Poeta circa la fede.
19. DI QUELLA: carola; «era quella
degli apostoli e discepoli di Cristo»;
BuH,
20. FiucE: il più risplendente, qolndi
il più beato.
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[culo OTtAYO] Par. xxnr. 21-41 [s, pibtbo i beatb.] 989
Che nullo vi lasciò dì più chiarezza;
22 E tre fìate intomo di Beatrice
Si volse con un canto tanto divo,
Che la mia fantasia noi mi ridice;
25 Però salta la penna, e non lo scrìvo ;
Chò l' imagìne nostra a cotai pieghe.
Non che il parlare, è troppo color vivo.
28 « 0 santa suora mia che si ne preghe
Devota, per lo tuo ardente affetto
Da quella bella spera mi disleghe. »
31 Poscia, fermato, il fuoco benedetto
Alla mia donna dirizzò lo spiro,
Che favellò cosi, com'io ho detto.
84 Ed ella: « 0 luce etema del gran viro
A cui nostro Signor lasciò le chiavi,
Ch' ei portò giù, di questo gaudio miro ;
87 Tenta costui dei punti lievi e gravi.
Come ti piace, intomo della fede.
Per la qual tu su per lo mare andavi.
40 S' egli ama bene, e bene spera, e crede.
Non t' è occulto, perchè il viso hai quivi,
21. NULLO ;«ftVftiiz*Tft in gloria tatti 27. tboppo: oon colore troppo vivo
gli altri »; Lan, - lasciò : nella carola non si poeaono dipingere le pieghe dei
dalla quale ned. panni. E come il pittore coi mancano
22. TKB ^Ute: allndendo forse alla colori delicati, non pnò dipingere le pÌo-
SS. Trinità; OU., Bmo., Buti, Land., ghe dei panni, coA non pare il lingnag-
VeU., eoo. gio, ma l' immaginatlTa umana non poe-
23. DIVO: divino, celeste, per festeg- sono rappresentare la celeste dolcesut
giar Beatrice, la divag cfr. Par. IV, 118. di qael canto.
24. RIDICE : non solo non sa descriverlo, 28. suora : sorella ; cfr. Par. Ili, 70 ;
ma neppure ridarselo a memoria; cfr. TU, 58, 130; XXII, 61.- prbohk: preghi.
Par. I, 0. 31. vuoco: l'anima fiammeggiante di
25. BALTA: passa oltre, ed io non mi prò- 8. Pietro.
vo a descriverlo; cfr. Par. XXm, 02. 82. lo spiro: la vooe che si forma col
26. L'iMAOiirB: la flicoltà immagina- mandare faori il flato.
tiva, la fiuitasia. Al. l'imagikar no- 34. viro: nomo; cfr. Inf. IV, 30. Par,
0TRO. - FiBGHB: « nota che 4 dipintore, Z, 132.
quando vaole dipingere pieghe, conviene 36. oiù: dal delo in terra. -Di: si ri-
avere un colore men vivo che quello della ferisce alle chiavi : cfr. Par. XXIII , 139.
veste, ciò ò più scuro ; e allora appaiono - miro : maravlglioso; cfr. Par. XIV, 24.
pieghe; Imperquello ohe in ogni piega 37. trnta: esamina. - lievi b gravi :
lattiere è più oscuro che in la superficie; più e meno essensiali; ò il modo scola-
e però se lo colore della piega eccedesse stico levia et gravia.
in chiarità, la vesta non farebbe piega ; 30. su pkb lo marb andavi t cfr. Matt.
ansi farebbe della vesta piega, e di so XIV, 28 e seg.
saperflcie, e cosi sarebl>e contrario alia 41. quivi : in Dio, in cui, come in uno
Intensione del maestro pintore»; Lan., specchio, 1 beati vedono ogni cosa quasi
Ott., An, Fior. " ' ^ "
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940 [CULO OTTAYO] Pab. hit. 42-58
[PBBPABAZIOn]
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Dove ogni cosa dipinta si vede ;
Ma perohò questo regno ha fatto civi
Per la verace fede, a gloriarla.
Di lei parlare è buon eh' a lai arrivi. »
Si come il bacoellier s' arma e non parla.
Fin che il maestro la qaestion propone,
Per approvarla, e non per terminarla;
Cosi m'armava io d' ogni ragione, •
Mentre eh' ella dicea, per esser presto
A tal qaerente ed a tal professione.
< Di', buon cristiano, fatti manifesto:
Fede che è? > Ond'io levai la fronte
48. cm : oittodini ; ofr. Par, YUI, 116.
45. ABBIVI: tocchi.' M» perchè qaesto
regno ha acquistato cittadini per messo
della Torace fede, cosi, a renderle glo-
ria, sta bene che a Ini (Dante) tocoU
parlare di eeea ; cfc. Par. XXV, 40 e seg.
V. 46-61. JPreparamitme aU^esatne,
Sentendo di dover essere esaminato in-
tomo alla fsde, Dante si prepara a ri-
spondere. E prima di parlare si arma
di ragioni per approvare, cioè per so-
stenere con prova alonna proposizione ;
non per terminarla, perchè il definire, il
sentensiare spetta al maestro. - « Quello
chemossel'antore a voler trattare de'pnn-
ti della fede cristiana, così in singniaritè,
si fa la 'nvidia di molti rimorditorì ohe
sono al mondo, li qnali non intendendo lo
stile, rei modo, del parlar poetico, veg-
gendo alonna parte di questa Commedia,
gli apponeano di*era detto di resla, et per
eonèeqveru V autore d' essa era paterlno.
Onde lo primo movimento si era da inri-
dia, che, perchè essi non aveano tanta
scienxia, voleano vietare che quegli ch'a-
veano grada da Dio, non dicessono. Lo
secondo movimento era d'ignoransa, im-
però che s'egli avessono inteso lo stile e*l
modo, eglino stessi sarebbono stati gi ndid
di sé màssimi, giudicandoli proprio par-
lare e tale apporre esser fialso. Onde tale
inordinazione d'animo di morditori co-
strinse r autore a legarsi collo cristiane-
simo con si fatti legami e fermi, che non
possono esser rotti né franti da frivole im-
posisionl Tixiosamente fktte ; lo qnal le-
game si è lo santo simbolo, approvato per
la santa madre Bcclesla esser la forma del
veraoe credere cristiano ohe comincia;
*yredo, ecc. » An. Fior., e co^ Lan,, OU,
46. BAOOBLUXR: Boecolamrmu, titolo
che si dava allo scolare che areva Unito
fl suo corso e poteva aspirare aUe dignità
accademiche superiori, oome per ee. al
dottorato. - a' abm ▲ t si provvede di ar-
gomenti, mol per rispondere alle do-
mande, Tuoi per difendere una proposi-
sione.
48. APPBOVABLA.: per addurre le prove
prò e contra la questione proposta dal
maestro, non già per deciderla, elò die
spetta aJlo stesso maestro. Approvare è
qui preso nel senso scolastico di addurre
U proffe : e Urminare nel senso di deci-
dere, eentenglare. Solle altre interpreta-
sioni di questa terrina ofr. Obm. I^,
UI, 6i6 e seg.
50. KLLA : Beatrioe. - pbbbto: « Parati
semper ad satisfactlonem omni poeoenti
Tos rationem de ea, qu» in toMs e^,
spe»; I Pietro, III, 15.
51. TAL! a tanto intem^^ante, quale
era S. Pietro. - pborssiomb: della fede
cristiana.
V. 62-78. C&neetto déOa /Ma. «Che
cosa è la fedet» domanda 8. Pietro; e
Dante risponde colla definislone sorttto-
rale: « Bst antem fldes sperandarom sub-
stantia rerum, argumentnm non appa-
rentìnm > ; Ebrei, XI. 1. « Sta bene; ma
perchè la fade è definita oome sostanca
e oome argomento?» «Perdio le cose
che si mostrano in dolo non sono ve-
dute in terra, onde non si i>ossono am-
mettere con certessa se non per fede, la
quale è perciè il loro sostegno, o la loro
toetama, E la verità delle cose aopraia-
telligiblli che si credono, non si pud
dedurre da altro ohe dalla^feda, la qua-
le è pertanto il loro arrnmeia», • Cfr.
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[CIBLO OTTAYO]
PAB. XXIV. $4-68
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In quella laoe onde spirava questo ;
Poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte
Sembianze femmi, perchè io spandessi
L'acqua di fuor del mio intemo fonte.
< La grazia che mi dà ch'io mi confessi >
Comincia' io, € dall'alto primipilo,
Faccia li miei concetti bene espressi! »
£ seguitai : < Come il verace stilo
Ne scrisse, padre, del tuo caro frate.
Che mise Boma teco nel buon filo,
Fedeèsustanzia di cose sperate,
'jE3~M'golnTOto delle non parventi ;
Bninósta pare a me sua quidltate.*»
Allora udii: € Dirittamente senti,
Se bene intendi perchò la ripose
Tkom, Aq., Bum. tktol. II, n, i, 1. Oom.
Lip9. Ili, 647-649.
54. OHDB SPIEAVA : daUft qmUe renlTa
qaesU interrogMlone.
55. MI VOLSI : prima di rispondere chie-
de con uno sgaardo li consenao di Bea-
trice, dalla qaale ò solito aspettare « il
come e il quando del dire e del tacere »,
Pmr, XXI, 46 e seg. - kd nsA: Al. ■
qUBLLA; BD ILLA.
50. sPAHDuai : parlassi. « Qui credit
in me.... flomina de ventre eios flnent
aqiUDTiT»»; Gicm. VII, S8.-«XTtexpri-
merem verbo ilhid qnod conoeperam cor-
de, inspirante divina gratia »; B«nv.
58. OEAZIA: la divina graaia che mi por-
ge r occasione di professare la mia fede.
59. FBIMIFILO: oapo, capitano; voce
tolta del Itngnaggio militare dei Romani.
Chiama S. Pietro 1' aUo primipUo, per-
chè fa fl primo campione della Chiesa, e
ooDsldera come nna grazia l' essere de-
gnato di profBssare la soa fede dinanii a
tanto confessore, ed invoca l' assistenaa
della grasia, per poterla professare de-
gnamente. La lesione dall'altro pbimi-
FfLO è per ogni verso inacoettebile.
60. BKKB MFEBSSI : Al. ISSIB VPUES-
M, prendendo etpreiti nel senso di chiari,
61. STILO: penna.
02. fbatb: 8. Paolo, creduto antere del-
rspisi. agU Ebrei; cf^. II Pietro, III, 15.
08. HBL BUON FILO : snl bnon cammino
dell* salute, convertendola alla fède in
Cristo*
64. 8U8TANZIA : fondamento sostanoia-
le. Dante traduce letteralmente il passo
deUa Volgato già riferito neUa nt. 52-7a
Secondo S. Tommaso, (Bum. theoL U, u,
4, 1) queste sentensa apostolica non ò nna
stretto de6nisÌone della fisde ; ma « om-
nia ex qnibns fldes potest deflniri, in pne-
diete descriptione tanguntnr. » ConCr.
Pétr, Lomb,, 8etU, III, 33. Thom, Ag,,
Bum. th$oL I, 29, 2. BarUdi, Ragion,
aeoad., fol. 27 a.
65. AKGOMnno t « per argnmentom in-
telleotos indndtnr ad inhisrendnm alieni
vero ; onde ipsa firma adhinsio Intellectus
ad veritetem fldei non apparsntomvoca-
tur hic argumentum...» Per hoc enim
quod didtur argumentum, dlstlnguitur
fldes ab opinione, suspicione et dubito*
tione, per quie non est adhsMio intellec-
tns firma ad aliquid. » Thom. Aq., Swn.
theoh II, n, 4, 1. - NON PABVBNTI : non
si vedono in terra, né con immediato nò
con mediate evidenaa. « Cioè non sono
primi principii dell'umana ragione, né
sono conclusioni che si deducano ooa ra-
lioolnio da essi principii, nò sono fatti
che cadano sotto i sensi dei mortali > ;
Oom.
66. PABB: non esprime dubbio sulla
eosa, ma dubbio sul valore della solu-
sione. Alla presensadl San Pietro, Danto
dubito di saper rispondere a dovere. -
QUiDiTATBt essensa; cfr. Par. XX, 02.
68. BIP08B: SO bene intendi perchò
S. Paolo pose la fede prima tra le tu-
itansié, poi tra gli argom*'^ t
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942 [CULO OTTAVO] Pab. xxnr. 69-84
[MOT]
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Tra le sostanzie, e poi tra gli argomenti. »
Ed io appresso : < Le profonde cose,
Che mi largiscon qoi la lor parvenza,
Agli occhi di laggiù son si ascose,
Che V esser loro v' è in sola credenza,
Sovra la qaal si fonda V alta spene ;
£ però di sostanzia prende intenza.
£ da qaesta credenza ci conviene
Sillogizzar senza avere altra vista;
Però intenza di argomento tiene. »
Allora udii: < Se quantunque s'acquista
Giù per dottrina, fosse cosi inteso,^
Non gli avria loco ingegno di sofista. >
Cosi spirò da queir amore acceso ;
Indi soggiunse: < Assai bene è trascorsa
D'està moneta già la lega e il peso;
71. MI LABOUOOif : die mi si manife-
stano e flmno erldentt qai in oielo. « Le
ooee le quali sono manifeste in delo, sono
sì oocnlte tra gli nomini, otie non le pos-
siamo oonosoere, ma crediamo qnello ohe
non vergiamo, cosi fermamente, oome se
Io yedessimo; e sopra qaesto itondiamo
nostra speranza, sperando per le baone
operasioni pervenire alla visione delle co-
se ohe crediamo. Adnnqne perohò la spe-
ransa è fondata nella fede, meritamente
diciamo qnella essere sostanzia. » Land,
76. nmcNZA: il carattere, il nome;
cfr. Ncmnue., Verbi, 170. Nomi, 14.
77. BiLLOGizzAB : argomentare ; oonfr.
Par, X, 188. Thom. Aq„ Bum. theol. 1, 1.
2. -«Silloglisare altro non vnol dire, die
discorrendo conohiadere; dal qoal o<ni-
ohiadere si cava la ragione ohe ci rende
oertessa delle cose dubbie j e però bene
disse il Poeta, che la fede prende inten-
sione d'argomento, non essendo altro lo
argomento, secondo Aristotile, che qaella
ragione ohe d rende oertezsa d'alonna co-
sa dnbbia, la qnal ragione salta fuori me-
diante la condnsioneche del discorrere d
cava»; BartcH, Ragion, aeead,, fel. 27 b.
78. PBBÒ : perdo la fede prende il no-
me e il carattere di argomento.
Y. 70-87. n po99e990 della fede, « La
fede non ò di totti »; II Teeeal, IH, 2.
Alla domanda: Fede che èf Dante ha
risposto in modo, da meritarsi le lodi
deU'attopriii^pa9.<Se»dioe San Pietro,
«ogni dottrina nd mondo fesse apprssa
cod bene, i sofismi degli stdtl non vi
avrebbero avuto loogo. L'esame sotto
il quale è passata la tua nodone ddla fe-
de, r ha i^provata pw giusta. Ma nen
basta conoscere la fede, bisogna averla.
L' hd tnt » K Dante: « Sì« la posseggo
cod netta ed intera, ohe di nessim punto
di essa io dubito né tanto né poco. »
70. QUAMTUHQUB : quanto in terra per
via di ammaestramento d apprende.
80. ooBl : « come tu hutendi la difllnl-
done ddla fede »; Aiti.
81. non OLI AVbU: Al. ROH V*AVBlà;
qnad tutti spieg.: L'aoutesaa ed i ea-
villi dei sofisti sarebbero indano, per-
chè nessuno d lasderebbe prendere a
quelli. Si può intendere assd i^h memt-
plicemente : Non vi sarebbero laggiù ad
mondo sofisti.
82. BPIBÒ: queste parole usdrono da
quel lume Infiammato d'amore. Sfirmre
per Manifestard in parole. Parlare, ooaae
Par, IV, 18; XXIV, 6i; XXV. 82.
83. T1U800B8A : ripassata, irtraminata
Cod dicevad 2Va«oorrsr« «m Ubro, per
B$wmina/rU.
84. MOHBTA : la fede. « QuesU metalbim
quadra bene in questa materia di fede;
nella qude ha tanto luogo eslandlo il/al-
tare, proprio anche ddle monete »; Oee.
-LA LEGA B IL PB80 : la monete è ^ete
se è di buona lega ed ha il peso dowto.
Lun, ed i suoi oopiatori per te ìsgm ts-
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[CIELO OTTAVO]
Pab. xxnr. 85-97
[FKDB] 948
85
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M
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Ma dimmi se ta l' hai nella tua borsa. >
Ond' io : € Si, ho, si lucida e si tonda,
Che nel suo conio nolla mi s' inforsa. >
Appresso nsci della luce profonda
Che li splendeva : < Qaesta cara gioia,
Sopra la quale ogni virtù si fonda.
Onde ti venuQ? > Ed io : € La larga ploia
Dello Spirito Santo, eh' è diffusa .
In su le vecchie e in su le nuove cuoia,
È sillogismo che la m'ha conchiusa
Acutamente si, che, inverso d'ella,
Ogni dimostrazion mi pare ottusa. »
Io udii poi : € L'antica e la novella
tendono la aostànM, per il péto Targo-
mento della fede, ossia fl modo di oono-
aoerla. Pel BuH la Uffa è ladeflnisione, U
peso l'intelletto e la fentensa della defi-
nizione. Vett. spiega : e La qualità e quan-
tità dell'essere di questa fede. »
86. B0B8A: onore ; oontinoa la metafora
della moneta. « Corde ereditar ad iasti-
tiam, ore antera confessio flt ad saln-
tem »; Som. X, 10.
86. si, HO : AI. sì l'ho ; 8Ì C' È.- LUCIDA :
para. - tonda: intiera. « Sì, io hone la
fede nell'animo, sì chiara, sensa dnbbio
alonno, e sì perfetta, ohe nella sua fer-
ma nulla oosa m' ò in dubbio >(t); SuH.
87. MI b' INF0B8A ! mi 8Ì fa an/oTM, mi
sembra dubbio. « KUiil stat mihi in dobio,
nsl «tM> oonio, Idest, in eius febrica»;
Bsnv.
V. 88-M. Za sorgente detta fède.
Continuando il suo esame, 8. Pietro do-
manda: e Questo prezioso bene della fede,
ohe è il fondamento di tutte le oristiane
Tirtfa, onde ti viene e come ne feoesti tu
l'acquisto?» S Dante: «Dalla parola di
Dio contenuta nei libri del veooliio e del
nnovo Teetamento. » Cfr. Bom. X, 17.
Aug,,IHTrin. XTV, 1. Thom. Aq., Bum,
Ihsol. n, n, 6, 1. Paganini, Sopra un
luogo da O. XXIV del Par., Luoca, 1862.
Oom, Lipt. m, 668 e seg.
88. LUCK : di ohe si ammantava San Pie*
tro, ohe vincerà le altre in bellesia; ofr.
V. 1(».
80. gioia: presioea gemma, doè la fede.
Cfr. MaHL Xm, 45, 46.
00. 81 FONDA ; polchè « oumc qnod non
est ex fide, pecoatnm est»; Bom, XTV,
23; cfir. Ebrei, XI, 6. Thom, Aq., Bum.
theoL n. n, 4, 7.
01. PLOIA: pioggia; cft. Par. XIV, 27.
« La graffia ohe largamente piove dallo
Spirito Santo su le carte del libro della
vecchia e nuova Scrittura »; Dan.
03. CUOIA: le veeehie e le nuove euoia
sono i libri del vecchio e del nuovo Te-
stamento, scritti su cartapecore o per-
gamene, onde in quei tempi si compo-
nevano i libri. Bammenta 11 vellue lanm
di Gedeone cfr. OiudiH, VI, 87 e seg.
04. siLLOGisifO: argomento, ragione;
cfr. Par. XI, 2. - CONCHIUBA: fetta con-
chiudere, dimostrata.
05. d'blla^^ quella « larga ploia dello
Spirito Sairto. » In sostanxa : La fede mi
venne dalle Scritture sacre ispirate da
Dio per messo dello Spirito Santo.
06. OTTUSA: inconcludente.
V. 07-114. Prove detta verità detta
fede. Alla domanda, da qnal fonte gli
venga la fede, Dante ha risposto t « Dalle
Scritture Sacre, ispirate da Dio.» «Va
bene »; continua San Pietro; « ms per qual
motivo credi tu che le Scritture Sacre
Siene ispirate da Diof » « Per i miracoli
ohe le confermarono. » « Ha chi t'assicu-
ra che quei miracoli sieno veramente ac-
caduti t Tu non ne hai altra testimonianxa
che quella delle stesse Scritture, la cui
divinità si vuole provare appunto coi mi-
racoli : il che ò un circolo visioso. » «Se an-
che 1 miracoli raccontati nelle Scritture
non fossero realmente avvenuti, sarebbe
il massimo di tutti quanti i miracoli l'es-
sersi sensa miracoli difltiso il Cristiane-
simo nel mondo per opera di gente sensa
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944 [ciiLO OTTAVO] Pah. ixiy. 98-111
[FEDI]
100
103
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100
Proposìzion che cosi ti oonohiudey
Perohè V hai ta per divina favella? »
Ed io : «La prova che il ver mi dischiude,
Son l'opere segoitei a che natura
Non scaldò ferro mai, nò batto ancude. »
Risposto fummi: «Di': chi t'assicura
Che queir opere fosser? Quel medesmo
Che vuol provarsi, non altri, il ti giura. »
€ Se il mondo si rivolse al cristianesmo »
Diss'io, € senza miracoli, quest'uno
È tal, che gli altri non sono il centesmo ;
Chò tu entrasti povero e digiuno
In campo a seminar la buona pianta,
Che fu già vite ed ora ò fatta pruno. »
lettere e aeoM esteriore potens*. » B qui
di naoTO nn rimprovero agli eooleaUstioi
degenerL I beati, adito dò, cantano il
Te Déum, Abbiamo qui due argomenti :
1^ I miracoli sono prova della divinità
della Scrittura sacra; 2^ La dillaaione del
Cristianesimo è prova della realtà dei mi-
racoli. Il primo argomento ò bìblico ; ofr.
MaU, XI, 4 e seg.; XU, 28. Luca XI,
20, Oiov. V, 19 e seg., ecc. H secondo
ò il dilemma di 8. Agostino t e Si per
Apostolos Christi, nt eis crederetnr re-
sarrectionem atqae ascensionem pnedi-
cantlbosChristi.etiam ista miracola fàcta
esse non crednnt, boc nnum grande mi-
racolnm sufficit, qaod eis terramm or-
bis aine nllis miraÌMilis credidit»r Aug,,
De dv. Dei XXII, 5. Cfr. Arnob., Adv.
geni. II, 44 e seg. Thom, Aq., Sum. oorU,
getU. I, 8. L'argomento fu poi ampliato
dal BoMuet, Hitt. univ, II, 20. Cfr. Oom,
lÀp». ni, 655 e seg.
08. PROPOBizioir: « il vecchio e naovo
Testamento ; ma dice propotitUmé per
oontinnar la presa metafora del sillogi-
smo, il quale consta di due proposizioni,
maggiore e minore, e della conclusione »{
Dan, - TI COMCHIUDR : ti mena a si Ostta
condusione ; cfr. v. 94.
99. PBBCHà: per quali argomenti credi
tu la Scrittura veramente ispirata ùm
Dio?
100. IO DISCHIUDE : mi apre, mi dimo-
stra il vero.
101. l'opebb: i miracoli.
102. NON SCALDÒ: nou fb mai fàbbra.-
▲NCUDX: Al. orcuDC Chiama i miracoli
opere die la natura non ooimpiènAai,diB-
que sopraanatorall: cfr. Amg., De «tìL
cred., 18. De eiv. Dei XXI, 8. Tkom^Aq,,
awm. theol. I, UO/4.
104. F088BB: ohi ti aadoora ohe quel
miracoli avvenissero f Ncm altri lo aftK^
ma ohe quello stesso libro del quale al
vuol provare con essi miraooli ohe è op»-
ra divina. Onde tu cadi in una petMooo
di prindpio. Cod TwrdU, ParmUi, 0>-
tsta, Ow., Br. B„ Greg., Andr., Bennast^
Oam.,Firane.,Oom., Witte, eoe. Altri pon-
gono l'interrogativo dopo provarwi, e
spiegano: Chi ti tà certo ohe qnd mirar
coli fossero veramente oome d dieei Nes-
suno te lo afiTerma oon giuramento. Cod
Xon., Ott., An. Fior., BuH, JavuA,, YeXL,
Dan,, Voi., Yent., Lomb., Biag., eco. Per
questa e per altre interpretasioni ascor
meno accettabili cfr. 0»m. l^pt. IH. €57
e seg.
108. n. CENTUMO: tutti gli altri nlz»-
ooli pred indeme non valgono Ib cente-
sima parte di quest'uno, dell' unm si cioè
il mondo rivolto al Crlstianedmo aensa
miraooli.
109. POVBBO : sensa poteaia eaterioce.
da poter diffimdere la Ibde in Cristo ooOa
vidensa delle anni materiali. -Dmuso :
di sdensa e di lettere, da
vertire il mondo oon 1' doqu«
tua parola. Confr. AUi m, 6. 1 Cor. II,
1, e cfr. i&t'd. I, 21.
110. PIÀNTA: ddla Ibde cristiana: efr.
Man. Xin, 27; XV, 18. 1 Onr. HI, e.
111. VITE: cfr. Par, Xn. 88 e m«.-
PBinr o : « è insalvatichita e diveniiln ato-
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[CIELO OTTAVO]
PAE. XXIV. 112-129
[FBDE] 945
112
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121
124
127
Finito questo, l' alta corte santa
Risonò per le spere un < Dio laudarne ! »
Nella melode che lassù si canta.
E quel baron, che si di ramo in ramo,
Esaminando, già tratto m' avea,
Che all'ultime fronde appressavamo,
Ricominciò : < La grazia che donnea
Con la tua mente, la bocca t'aperse
Infine a qui, com' aprir si dovea ;
Si ch'io approvo ciò ohe fuori emerse :
Ma or conviene esprimer quel ohe credi,
Ed onde alla credenza tua s'offerse. »
< 0 santo padre e spirito che vedi
Ciò che credesti si, che tu vincesti
Vèr lo sepolcro i più giovani piedi, »
Comincia' io, € tu vuoi eh' io manifesti
La forma qui del pronto creder mio.
Ed anco la cagion di lui chiedesti.
rlle come ò lo pmno ; imperò ohe non &
più fratto; ».Bttti.
113. BPBBE: ofr. Y. 11. - Dio lauda-
MO: ofr. Pwg. IX, HO.
114. MKLODKt melodi»; ofr. Par. XIV,
122. I beati Intaonano il Té Dnun, rln-
Traslando Dio della pnra professione di
fede ftitta dal Poeta, ed in pari tempo del
menzionato trionfo della fede cristiana.
V. 115-147. JJoggim0kmi^fede. San
Pietro approva le risposte date dal Poeta
alle domande fkttegli sin qoi drca la fede,
• passa poi air ultima domanda: « Che
oosa oredi ta, e da qoale autorità ti fa
proposto di oredere?» «Credo» rispon-
de Dante, «in on Dio nnioo, e credo in tre
Persone in nna sola essensa. » La fede
nellaTrinità comprende la (bdè in Cristo.
Dante attinse il sao atto di fede al sim-
Ixdo di Sant'Atanasio, art. 8 e 4: « Fides
aatemcatholieahsec est, nt anam Deam
In Trinitate et Trinitatem in Unitate ve-
neremnr, neqae oonftindentes personas,
neqae sabstantiam separantes. »
115. BABOM: San Pietro, che m'avea
interrogato ordinatamente drca le dot-
trine della fade, Ano a scendere ai pnnti
partioolari. - di bamo : di ponto in pnnto
della propoeta questione.
117. FBOHDB : agli alUmi punti risguar-
dantl la fède.
00. — Dio. Omum., 4» edi«.
118. LA GRAZIA : necessaria per conse-
guire la fede ; « Gratia estis salvati per
fldem; et hoc non ex vobls. Dei enim
donum est »; Eph., II, 8. - dohnka: va-
gheggia la tua mente, si compiace in
lei ; cfr. Por. XX VII, 88. Diez, Wórt. 1»,
157. Nanniue., Verbi, 306 e seg. Invece
gli antichi spiegano: donnea — domioa,
signoreggia (Benv., BuH, Land., Veli.,
Dan., ecc.). Si tratta qoi di corrisponden-
za d' amore, non di dominio o signoria.
121. KMBBflB : usci dalla tua bocca ; cioè
approvo tutto ciò ohe sin qui dicesti.
122. QUBL: la forma della tua flsde,
V. 128, cioòquall sonde cose che tu credi.
123. SD ONDI: e la cagione della tua
fede, T. 120; cioè perchò to credi.
124. B 8PUUT0: Al. O SPIRITO ; SPIRITO.
125. vmcBflTl: cfr. Giov, XX, 3-10.
Veramente San Giovanni arrivò per pri-
mo al sepolcro di Cristo, ma S. Pietro ta
primo ad entrarvi. S Dante mira qoi alla
maggior prontezza a credere, e in dò
Pietro ta primo, Giovanni secondo. Cfr.
De Mon. IH, 9.
128. LA FORMA : termine delle scuole >—
r essenza, qoello che io credo : - pronto :
compiato, perfetto ; ofr. ▼. 80 e seg. Oom.
Zip», ni, 661.
121». LA GAOIOB: il perchè io creda
quel ohe dico di credere.
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946 [CIBLO OTTAVO] PlE. HIT. 180-145
[PEDB]
180
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138
142
145
Ed io rispondo: Io credo in uno Iddio
Solo ed etemo, che tutto il ciel move,
Non moto, cori amore e con disio ;
Ed a tal creder non ho io par prov^
Fisico e metafisico, ma dàlmi
Anco la verità che quinci piove
Per Moisè, per profeti e per salmi,
Per V Evangelio, e per voi ohe scriveste.
Poi che V ardente Spirto vi fece almi.
E credo in tre persone eteme ; e queste
Credo una essenza si una e si trina.
Che sofferà congiunto '^ sono „ ed ^^ oste „
Della profonda condizion divina
Ch'io tocco mo, la mente mi sigilla
Più volte V evangelica dottrina.
Quest' è il principio ; quest' ò la favilla
181. MOVB: ofr. Par. I, 1. «Dioe ohe
crede in uno Iddio iolo ; ohe ò oontra oo-
loro ohe dioono easere più dil ; e dioe «Ur-
ne, oontra ooloro ohe poneano principio
a Dio; e dioe oh« tutto il del muové, e
non ò rooBso, oontra ooloro ohe teneano
ch'elli ha in sé moto, oonoiosiaooBaohè
elli eia principio di moto, e dia moto a
tatto le 0060»; Ott,
182. Disio: Dio mnove i deli, amato
e deeiderftto; ofr. Par. I, 77. Arittot., Me-
taph. XU, 6, 11 ; 7, 2, 8; XII, 7, 7. Var-
ehi, Let. nd D. I, 897-414.
138. PBOVB : ofr. Thom. Aq„ Sum, theol.
1, 2, 3, dove si adducono cinqae prove
fteiche e metafieiehe dell' eeietensa di Dio.
Vedi pare Thom. Aq., Oomp.theoU C. 8-6.
Aiig., De lib. arb. Il, 8-15. Boet., Oont.
phU. Ili, pr. 10. Qreg. M., Mor. XV, 46.
Hug. a 8. Viet., De 8aeram„ 7-».
185. Quinci : ohe dal cielo scende a ma-
nlféetarsi in terra porgli scritti di Moisè,
dei profeti, eco.
137. VOI: Apoetoll, chesoriveeteiTo-
stri Atti, le BpittoU, e VApoealieH. La
denominasione del Tocohio Testamento:
Moiiè, pro/eH e talmi ò tolta da 8. Luca
XXIV, 44. 1 libri del nnovo Testamento
ai divisero sin dal terzo secolo in inttrU'
tnentumevangelieum (EwvrfiXioy) ed in-
etrumentum apoHolicum {* AnóaxoXo^) ;
cfr. Iren. I, 8, 6. Olem. Ale»., 8trom. V,
661; VI, 65», VII, 766. TertuU., Depudie.
11, 12. De bapl., 15. Ctontr, Mare. IV, 2.
188. ALMI : natritori, atti a ptodorre ed
alimentare la fede coi Tostri ■crittL Sr-
roneamente gli antichi ed il più dei mo-
derni intendono aiuti — santi, diriiil.
141. SOPPERÌ. : sofl^, forma osata Mi-
che Conv. II, 9, 15. - 80K0 BD lEffTK : Al.
BUHT BT K8TB. Soffre la persona singolare
e plorale aooordata col sao nome di Tino.
Sono tre persone, è an solo Dio. Si oon-
fronti il simbolo di Sant' Atanasio.
142. coiTDizioif : natura. Di qnesto mi-
stero della SS. Trinità, ohe ora io aeoas-
no, pih luoghi del Vangelo m' imprimooe
la eertessa nella mente.
143. CH' IO TOCCO HO, LA UMXTm : Al.
OH' IO TOCCO, NELLA MBITB, lesiOIM zi-
fiatata dalla grande maggioransa del
commentatori antichi e moderni. - Mi n-
QiLLA: m'informa e stampa la meaie.
144. PIÙ VOLTE: in più Inogfai; ofr.
Matt. XXVIU. 1». Giov. XIV. 16. 17.
n Oor. Xin. 13. 1 Pietro I, 2. I JS^.
di Oiov. V, 7. Thom. Aq., a^n. iheoL
l. 82. 1.
145. QUB8T*È: questo punto di Ibde A
il principio, ò la sorgente da cui ema-
nano gli altri articoli della fede wisMana,
la quale ò in me come stella ohe dirada le
tenebre. CoA Lan., OU., An. Fior., FaUo
Booe., Beno., Lomb., Tom., Br. B., Orof.,
Andr., eco. Altri : Questa dottrina evaa-
gelioa è U prindpto della fede, ed è fe-
villa ohe cresce in grande ardore. Cosi
BuH, Landu Frat., Biag„ eoo. Aitdt
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[CIELO OTTAVO]
PAE. hit. 146-154 [BBNEDIZIONB] 947
148
151
154
Che si dilata in fiamma, poi, vivace,
E, come stella in cielo, in me scintilla. >
Come il signor eh' ascolta qael che i piace,
Da indi abbraccia il servo, gratulando
Per la novella, tosto eh' ei si tace ;
Cosi benedicendomi cantando,
Tre volte cinse me, si com'io tacqui,
L' apostolico lame, al cui comando
Io avea detto ; si nel dir gli piacqui !
QaetU è ÌM eagione del mio credere
{Veli., Dan.» eoo.). H Oet.: e Ciò ohe die-
si del mio erodere in Dio uno e teine,
e del fonte dftl qoale attinsi questa mia
oredensa, è il seme della fede mia, ohe
in più altre ooee si estende ohe sono da
credere; la oni professione ft> io chiara-
mente. > C£r. TAom. Aq.» Bum, thsol. II,
n 1 8* 2 8.
V.'l48-164.^Bene(ii»io»e apostoUea.
Dopo la professione fetta dal Poeta della
sua fede, la vita di San Pietro, lì pre-
sente in forma di splendente flaooola,
per esprimere il sno contento gH fe tre
giri attorno e insieme, cantando, lo be-
nediee. Cfìr. BareOi, Allégoria della D. C,
212 e seg.
148. 1 piACBs { Yale gli, a lai ; oCr. Inf.
XXII, 78 ; XXXIII, 16. Al. Ciò CHB PIA-
cs. La novella ohe il senro racconta deve
piacere per V appunto al suo signore ; se
piace o non piace ad altri, ò cosa del
tatto indifferente. La lesione ciò che
PUCB non pnò pertanto stare.
140. DA INDI : quindi - SSBTO : « Dante
paragona sé a servo. Anche nell'Inferno,
preso da timore e rimproverato da Vir-
gilio, usò la stessa immagine (XVII, 80).
Là, servo dignitosamente vergognoso
in feccia alla scienza Timana che lo cor-
remico; V^i In cielo, servo umilmente
lieto rimpetto alla divina che lo bene-
dice. » L. Vtnl., Simil., 250. - oratu-
LAKDO: applaudendo.
161. CAUTAHbo: oantandomi benedl-
sioni.
152. CIN8R: ai girò tre volte (allusione
alla ss. Trinità) intomo alla mia fronte
coronandomi cosi della sua luce ; ofr . Par,
XXV, 12. Alcuni intendono che S. Pie-
tro abbracciasse tre volte 11 Poeta {Ott.,
Land., YM., Veni,, ecc.). Come fe un
luaìA ad abbraceiare un uomof
154. DETTO: professato la mia fede. -
GLI PIACQUI: trattandosi della fede, il
lodare so stesso è lecito, e In hoc glo-
rietur, qui glorlatur, sdre et nosse me,
quia ego som Dominus > ; Oerem. IX, 24.
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948 [CIELO OTTAVO] PaR. XXY. 1-5 [SOSPIRO ALLA PATRIA]
CANTO VENTESIMOQUINTO
CIELO OTTAVO O STELLATO : SPIBITI TRIONFANTI
SOSPIBO ALLA PATBIA, 8AK IACOPO
ESAME IKTOBNO ALLA 8PEBAKZA, SAN GIOVANNI
LUME CELESTE ED OCCHIO TERBE8TBE
Se mai contìnga clie il poema sacro,
Al quale ha posto mano e cielo e terra,
Si che m' ha fatto per più anni macro,
Vinca la cradeltà che fuor mi serra
Del bello ovile, ov'io dormii agnello,
Y. 1-12. 8&$piro iMa patria. Il can-
to dell* speransa celeste si apre con ana
commovente espressione della speransa
terrestre del Poeta. Dall'alto de* cieli,
volgendo lo scardo alla terra, il pen-
siero sno vola alla patria. « Se, vincendo
la omdeltà di chi mi costringe a viver
lontano da essa, il poema sacro mi aprirà
le porte di Firense, lo prenderò la co-
rona di poeta sa la fonte del mio batte-
simo, dove io entrai in quella fede, per
la qnale San Pietro mi girò intomo alla
fronte.» Ma la speranza qni espressa
dal Poeta non si avverò.
1. CORTINOA : lat. eofUing(U, avvenga,
accada. - sacbo : trattando di materia sa-
cra ed il suo concetto fondamentale e sco-
po principale essendo religioso e morale ;
ofr. Par, XXin, 62.
2. HA POBTOt al qoale il deloe la terra
hanno dato materia e soggetto: il dolo,
con la santità dei suoi dogmi e la pro-
fondità de' SQoi misteri ; la terra, coi co-
stami e le asionl degli nomini che l'abi-
tano. Cosi OM., BuU, Yèn., Dan., YetU.,
SU^f.,Oet.,T(>m.,€hreg.,Franò.,Oorn.,eoo.
Al. : Al qnale ha prestato alato la sdensa
umana e la sdenxa divina (OU., Lomb.,
Sr.B.,Frat., Andr., Bennati., ecc.). e Per
'om aator intelllgit gratiam Dei per
qaam inflaentia ooeli feoit aatorean ha-
bllem ad habitam sdentile.... Per terram
verointelligit humanom stadinm atexw-
dtiam, vigillam et laborem tam animi
qaam oorporis. » Btnt.
8. PKR PIÙ àXSll Al. PBB IIOLT*Ainn.
Cfr. Moore, Oril., èli e seg. > macbo:
magro; cfr. If^. XXVII, 08. Puty. IX,
188. Ddle sue veglie e Ostiche parla an-
che Purg. XXIX, 37 e seg. Cfr. Juven,,
Sat., 7 : e Ut dignns venias hederia et
imagine maora.»
4. LA CBUDBLTl: l'odlo di parte, ehe
mi tien chiase le porte di Flrenae; efr.
dono, I, 8.
6. OVILB: ofr. Par, XVI, 26. - AGIIBL-
LO : e Si commonicabit Inpas agno aliqaaa-
do, sic peooator insto » ; Boelet, xm, 2L -
« Et ego qaasi agnas mansaetos, qni por-
tatar ad victiiuun ; et non oognovi qoia
cogita verant saper me consiUa, dioentes :
Mittamas lignnm in panem eiae, et era-
damos enm de terra vi ventiom, et nomen
eius non memoretnr amplins»; Geretn.
XI, 10. S' intenda: innocente, maasoeto
e padflco come agnello. - « Che poi Dante
si contenesse proprio da agnello, e per
qaesto solo abbia incontrata l'ira dei
lapi, egli lo affmna. Sarà verof L'ira
ohe moetra, talvolta eooowiTa ed ingiv-
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[CIELO OTTATO]
PAB. XXY. 6-23
[8. ucopo] 949
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22
Nimico ai lupi che gli danno gaerra ;
Con altra voce omcd, con altro vello
Bitomerò poeta; ed in sol fonte
Del mio battesmo prenderò il cappello ;
Però che nella fede, che fa conte
L'anime a Dio, quivi entra' io, e poi
Pietro per lei si mi girò la fronte.
Indi 8i mosse nn lame verso noi
Di quella spera ond'nsci la primizia
Che lasciò Cristo de' vicari suoi;
£ la mia donna, piena di letizia,
Mi disse : € Mira ! Mira ! Ecco il barone
Per cai laggiù si visita Galizia! >
Si come quando il colombo si pone
Presso al compagno, e l'uno all'altro pande,
Girando e mormorando, l' afifezione;
Cosi vid'io l'un dall'altro grande
Principe glorioso essere accolto,
■tA, nel sacro poem» non ò bnon argo*
mento di qoeUa mltessa eh'è propri* del-
l'agneUo»(f); Oom.
6. LUPI: « i cittadini grandi della olttà
di FIrense eono lapi »; Don. GkmnctH,
Rtpvb, Fior., II, U. Cfr. Pertioari, DO-
Vmmwr patrio di D , $ 13 e seg.
7. VOCE: non pih oftntore di terreni uno>
ri, ma di oose alte e dirine. - con altho
TKLLO : non più giovane, ma già veooliio.
Cfr. IMeoehini, SerUH tu D. U. 313-824.
(hm. lÀpt. Ili, 868. -« Sperando per la
poeéi allo inositato e pomposo onore
della ooronasione dell' alloro poter per-
Tsnire, tatto a lei si diede e atadiando
e oomponendo. B oerto il ano desiderio
▼sala intero, se tanto gli fosse stato la
fortuna graadosa, che egli fosse giammai
potato tornare in Firenze, nella qnal
sola sopra le fonti di San Olovanni s'era
disposto di coronare ; aedo ohe quivi,
dove per lo battesimo avea preso il pri-
mo nome, qnivi medesimo per la ooro-
nasione pruidesse il secondo. » Boecac.,
Vita di />., § 8; ed. MUanéti, I, 41; ed.
JfacH-XtfOfM» 47.
9. IL CAPPELLO: la corona di alloro.
Cosi tatti. Invece pel Todeteh. (1. e, 318)
il coppette è la insegna del dottorato, opi-
nione « afflitto vana ed insossistonto »;
iTodo$ck., 1. 0.).
10. CONTB : conosoìnto. « Per fldem nam-
qae ab omnipotonti Deo oognoscimor »}
Oreff. Magn., In Exeeh., lib. I, hom. 3.
11. QUIVI! nel * fonto del mio batto-
smo », in San Giovanni. - kmtba' io : fbi
assunto.
12. sì : nel modo descritto. Par. XXIV,
152.
y . 13-24. ApparimUme dett'apottolo
San Iacopo. Dalla stossa sfera di spiriti
beati end' era uscito 8. Pietro, si muove
verso Dante e Beatrice un altro lume.
« Beco l'apostolo San Iacopo I » dice Bea-
trice al Poeta. Pietro e Iacopo si flmno
amorevole accoglienza, lodando Iddio,
ohe ò l'unico diletto delle menti celesti.
14. BP£BA : cfr. Par. XXIV, 11, 30. Al.
BCHiEttÀ. Quelle anime formavano non
tehiere, ma tpere. Ctt. Mooré, Orit., 478
e seg. - PRIMIZIA : San Pietro, primo vica-
rio di Cristo in torra.
17. IL BABORB : San Iacopo ; cfr. Par.
XXIV, 115.
18. Galizia: il preteso sepolcro di S. Ia-
copo a Santiago di Campostella nella Ga-
lizia era uno dei luoghi, dove più numero-
si accorrevano i pellegrini nel medio evo.
20. PANDB: manifesta, dimostra; cfr.
Par. XV, 83.
22. l'un: San Iacopo. -dall* altro:
da San Pietro. ^ j
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950 [CIELO OTTAVO] Pae. XXY. 24-33
[SPKBAVZA]
25
28
8t
Laudando il cibo clie lassù li prande.
Ma, poi che il gratular si fu assolto,
Tacito coram me ciascun s' a£Ss8e,
Ignito si, che vinceva il mio volto.
Bidendo allora Beatrice disse :
€ Inclita vita, per cui la larghezza
Della nostra basilica si scrisse,
Fa' risonar la spene in quest' altezza;
Tu sai, che tante fiate la figuri,
Quante Gesù ai tre fé' più chiarezza. »
24. IL oiBOt ofr. Par, XXTV. 1 eaeg.
-u PRANDI: li sasia; « Sfttiabor onm
apparoerlt gloria tua »; Ptalm. XVI, 16.
CCr. Pwrg, XXYII, 78. Al. 81 pramdb.
Y. 25-48. JStatne intomo nUa spO'
roHwa» Dopo ohe si sono l' an ooU*aItro
oongratalati della etoma felicità, Pietro
e laoopo ai fermano dlnanxi al Poeta con
tanto infocato splendore, che egli ò co-
stretto ad abbassare 11 viso. Allora Bea-
trice, volgendo oon nn celeste sorriso la
parola a San Iacopo, dice : « Anima illa-
stre, da cui fa scritto circa la liberalità
della celeste reggia, fb' che si oda il nome
della speranza, non insolito per queste ce-
lesti regioni, dovei* al timasperansaè già
adempita. Ben ti ò noto che to nel nuovo
Testamento sei figura appunto della spe-
ransa, ogni volta che Cristo manifestò
più chiaramente la propria divinità a
soli tre de' suoi Apostoli. » E San laoopo,
rivolto a Dante: «Alea il capo e sta'
di buon animo I Chi dalla terra sale al
cielo, deve abilitarsi a sostenere i celesti
ftilgori. Poiohò è volere di Colui che
quassù regge, che tu prima di morire
ti abbocchi col principi dell* sua corte,
nella più intima parte della sua reggia,
Bicchò tu, avendo veduto la vera condì-
alone della vita celeste, col racconto della
tua visione conforti in te ed in altrui
r uniea verace speranza dei mortali,
quella che gli innamora dei beni superni ;
dimmi ohe cosa è speransa, in qual grado
to la possiedi ed a qual fonte tu la attin-
gesti. »- Anche 8. Pietro aveva chiesto :
Fede ohe è f ed: Onde ti venne f (ofr. Par.
XXIV, 58, 91); ma mentre S. Pietro chie-
se pure : Hai tu la fede t (Par, XXIV, 85)
8. laoopo non domanda: Hai tu tperantaf
ma: Quanta nehaif Forse perohò vi sono
bensì uomini sensa fède, ma non ve ne
sono assolutamente privi di i
qualunque essa alasi.
26. n. QBATULAB: le oongratokiioiii
vicendevoli; cfr. Par. XXIV, 148. -si
FU ASSOLTO: fb terminato; ò Q lat. oiso-
lnJtum fuii.
26. CORAM MB : davanti a me ; dt. Par.
XI, 62. -s'affisse: si f»rmò; tit.Inf^
XVni, 43.
27. IGNITO: tanto infocato, che io non
poteva fissamente mirarlo. - volto : fiie-
da; mi faceva abbassare il viso. Cosi
Benv., Lomh., Oee., eco. Altri : Tinoeva
la mia facoltà visiva (Laii., BuU, Land.,
VeU., Dan., Vent., ecc.). Dove mai osò
Dante vqUo per «iatot
20. VITA: anima, pirite ; ofr. Par, IX,
7 ; XII, 127 ; XI V, 6 ; XX, 100 ; XXI. «5,
-LA LABGRIZZA: Al. L' ALLBQBBZZA. Do-
ve scrisse S. Iacopo deWaUegregta del Pa-
radiso! Della larghezza (-Uberalità) ai,
nella sua JBpistola I, 5, 17. Allbobsisa
è lesióne inattendibile. Cfr. Moore, €Ht,
470 e seg. -e Qui Beatrice, ohiedeodo «aa
grasla aS. Giacomo, non dovevm pregar
nolo per VaUegrezza ch'egli oomandò es-
sere in cielo; ma sk per la tefvà«ua> doè
per la liberalità, per la cortesia. Quasi
dicesse: Inclito spirito, to ette lodasti la
Uberalità dei celesti, sU or liberale a
Dante di parlargli della speransa. » Batti.
80. BASILICA: corte celeste; Q eielo,
tempio di Dio ; ofr. II Beg. XXH, T.
Sahn. X, 6. Apoeal. VII, 15; XI, 10:
XV, 5, 6, 8, ecc. Oom. Ltpe, 111,671.-
SI SCRISSE: 8. lae. 1, 17.
31 . fa' bisonab : parla con Dante deOa
speransa in questo alto dolo.
88. QUANTE: quante fiate. Al. quanto.
Cfr. Moore, Orit,, 481 e seg. - ai rwMt
Pietro, laoopo e OiovaBani- fb' più chia-
BBEZAs mostrò pìù,^lilaBf(iD«nie ete a
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[CIILO OTTAVO]
PlB. XX?. 84-48
LSPKBÀNZA] 951
84
87
40
43
46
< Leva la testa, e fa' che t'assicnri;*
Che ciò che vien qaassh dal mortai mondo,
Convien eh' ai nostri raggi si maturi. »
Questo conforto dal fuoco secondo
Mi venne ; ond'io levai gli occhi ai monti,
Che gV incurvaron pria col troppo pondo.
€ Poi che per grazia vuol ohe tu t'affironti
Lo nostro Imperadore, anzi la morte,
Nell'aula più segreta co' suoi conti;
Si che, veduto il ver di questa corte.
La spene che laggiù bene innamora,
Li te ed in altrui di ciò conforte ;
^ Di' quel che eli' è, e come se ne infiora
^ La mente tua^ di' onde a te venne. >
Cosi* segui '1 secondo lume ancora.
taUi gli Altri la boa diTìnltà, ToIeodoU
soli presenti ali* sna trasflgarasione e
ad altre sae opere; ofr. MaU, XVn, 1
e aeg. ; XXVI, 87. Mareo, IX, 1 ; XIV,
38. JÀtea, Vili, 61; IX, 28. In tatti
qnesti oasi 1 tre flgiirano seoondo alooni
interpreti delle Scrittore, qui segniti
da Dante, la feàe, la speranza e la oa-
rit4. Dante si scosta qoi alquanto dal-
rAqninate; cfir. Thom, Aq., 8um, theol,
lU, 45, 8.
81. LA TJBTA: abbassata testé per il
soTerohio splendore, t. 27. -fa' chic t*ab-
UCUBI; sta' di baon animo, rinfrancati,
poiché il lame di qnesto laogo non ò ad
abbagliare, ma a raflbrsare e perfesio-
nare la rista e le altre potense di chi
dal mondo terrestre sale quassù in cielo.
87. FUOCO BBOONDO: S. laoopo, acoo-
statoei a Dante, secondo dopo 8. Pietro,
e seoondo a parlargli.
38. AI MONTI : ai dae apostoli Pietro e
laoopo, chiamati monti con ardita meta-
fbra seoondo 8akn, LXXXYI, 1 ; CXX,
1. MaU. y, 14. « S questi sono li mon-
ti, cioè li santi apostoli, ohe sono posti
in alto per eocellensia di dottrina, come
U monti »; SuU.
89. OL'iircuByAROif: li fecero abbas-
sare eoi troppo lume; ctt. r. 27.
40. t' AFFBOim : goMrdi a fronte a fron-
te. Affrùntarti aveva senso anche buono.
41. ImP£RADOBB : Dio ; cfr. If^, 1, 124.
Par. XII, 40.
43. AULA: o<»ie; «nella sala regale
oh'é secreta alle oognisioni ornane, e
che non li piace se non per fede »; Lan.
- OOHTI : i beati.
43. VEDUTO : « affinché» oonosdata la
verità, conforti in te e in altro! la spe-
me, che laggiù al mondo, ove tn dèi ri-
tornare, fib desiderose le genti della ce-
leste gloria »; Dan.
44. 8PKN1: speranza della gloria eter-
na, che sola innamora bene, mentre le
sperarne terrene innamorano male, cioè
per delodere ed ingannare. Cfr. Thom.
Aq., Bum. theol. I, Ii, 40, 7 ; II, n, 27, 3.
45. DI CIÒ: cagoderqoesto vero »; BetH.
- OONFOBTB : conforti In te ed in altroi la
speranza nella corte celeste, avendola
redota.
40. B COMB: Al. DI' 00MB; dimmi che
cosa è la speranza, come 1* hai in te e
onde l'avesti.
y. 49-83. ZI possesso detta eperaiutei.
Beatrice previene la risposta di Dante
alla seconda delle tre domande fkttegli
da laoopo, e ciò. come si accenna al v. 62,
perchè in Ini l'esprimere l'eminente gra-
do di questa sua teologale virtù avrebbe
avoto della iattanza : cfr. Prov. XXVII.
2. Dice donqae Beatrice : « Come to stesso
pool leggere in Dio che illomina tutti
noi, non vi è cristiano in terra che sia
dotato di speranza più di lai. B per qne-
sto apponto gii è flitta la grazia di sa-
lire dai mondo al cielo prima che sia oom-
pioto il corso della soa vita terrestre.
Intorno agli altri doe ponti, doè che
962 [CIILO OTTAVO] PlB. XXY. 49-65
[SPBEAM2A]
40
65
58
«1
E qaella^gia^che guidò le penne
Delle mie ali a cosi alto volo,
Alla risposta cosi mi prevenne:
€ La Chiesa militante alcun figliuolo
Non ha con più speranza, com'è scrìtto
Nel Sol che raggia tutto nostro stuolo :
Però gli è conceduto che d' Egitto
Venga in lerusalemme per vedere,
Anzi che il militar gli sia prescrìtto.
Oli altrì due punti, che non per sapere
Son domandati, ma perch' e' rapporti
Quanto questa virtù t' è in piacere,
A lui lasc' io ; che non gli saran forti,
Nò di iattanza : ed egli a ciò risponda,
£ la grazia di Dio ciò gli comporti.'»
Come discente, eh' a dottor seconda
Pronto e libente in quel eh' egli ò esperto,
coBft aia speransa, e onde a lai venata,
- ponti ohe veramente ta non domandi
per sapere, vedendo tatto in Dio, ma
aolo perohò Dante poesa raooontare in
terra qaanto questa virth della speransa
ti aia cara - lasoio rispondere a lai . poiohò
non gli saranno difficili, nò gli daranno
motivo di vantarsi. Bisponda danqae lai;
ed a rispondere lo aiuti la gratta divina. »
49. PIA: Beatrice; cfr. Purg. XXXII,
82 ; XXXIII, 4. - GUIDÒ LX PENKK : Ofr.
Par, XV. 54.
54. Sol: Dio, nel quale i beati leggono
tutte le cose; ofr. Par. IX, 8; XVIU,
105; XXX, 126.
53. D^Bonro: dal mondo; ofr. Purg,
II, 46. Hug, a 8. Via., In Oen. Ili, 1.
De Arca Moral. IV, 0.
56. IN Ierusalimmk; nel cielo, cheò
detto la Gerusalemme celeste; cfr. Oa-
lati, IV, 26. Ebrèi, XU. 22. Apoeal. HI,
12; XXI, 2, 10. Aug., De Oiv. Dei, XIX,
11.- VBDEKB : il ver di questa corte, v. 48. •
57. IL MiLiTAB : il tempo che deve stare
nella chiesa militante, v. 52, la vita ter-
restre. « Militia est vita hominis super
terram »; Job VII, 1. - FBBSCBrrro:
limitato, terminato; cfr. Par. XXI, 103;
XXIV, 6.
59. PBBCH' B': al rBKCHÈ. - BAPFOBTI :
giù oel mondo ; ofr. v. 48*45.
60. T' È IH PLàCBBB : Al. È IH PIACBRB;
GLI È m PUCBBB. e Qui è chJaro oheDante
dice che la speransadev'esaereoara prin*
cipalmente a S. Giacomo, pextdoochè egli ,
come al verso 82, n*era figura in t«m od
Bedentore »; Beiti. '
61. FOSTI : difficili : cfr. Pwg. XXIX,
42 ; XXXin, 60. Par. VX 102 ; Vn, 49;
IX, 86; XVI, 77; XXI, 76, eoo.
62. lattahza: argomento di vanaglo-
ria, oome sarebbe stato quello al quale
risposi lo.
68. ou OOMFOBTI : lo aiuti a rispoadece.
V. 64-69. CcneeUo détta tpermmmtu
Bispondendo alla prima domanda di San
Iacopo, ohe cosa sia la speransa. Dante
traduce fedelmente la definisioiie datene
dal Maestro delle sentense: « Spes est
certa expectaUo ftitune beatttudinis, ve-
ntens ex Dei gratia et ex meritis preoe-
deuUbus»; Pei. Lomb., SenLUl, 26. Cfr.
Thom, Aq., Sum, theol, II, n. 17, 1-S.
Oom. lApe. Ili, 676 e seg.
61. DI8CIHTB: diioepolo; ofr. IV> 3^
104. Par, XXIV, 46 e seg. - sboohda :
« sequitur et respondet voluntarios in eo
quod novit per soientiam, qnam expe-
rientia fìMsit »; Benv, - « Seoindare è ri-
spondere »; B%ai,
65. UBEHTB: lat IBbene, di baon gra-
do, volentieri. - nr quel ch'bou è bspbb>
TOt Al.IHQUBLLOCH*B0Uft8nEBT0iÌa
quello ohe egli sa benf^ .
JtizedbyCjOOgle
[CIELO OTTAVO]
PlB. XXY. 66-76
[8PEBANZA] 053
67
70
73
7«
Perchè la sna bontà si disasconda ;
€ Spene > dissMo, < è^nno attender certo
T}ella gloria fhtara. il qnq.1 prodn^e
Da molte stelle mi vien questa luce ;
Ma quei la distillò nel mio cuor pria,
Che fd sommo cantor del sommo Duce.'i^ -^v--^
'' Sperino in te „ nella sua teodia
Dice, ^^ color che sanno il nome tuo I „
E chi noi sa, s' egli ha la fede mia?
Tu mi stillasti, con lo stiUar suo.
-'<
66. BOSTl : « questa paroU, se Inohiiide
r idea di ralore d' ingegno, comprende
anche quella di animo virtnoso; il quale
nelle prove del Tero esercitando s* adde-
stra, e nel manifestarle s'allieta»;X. Vmt„
Sima., 337. -Bl DIBABOOHDA : si manifèsti.
67. attkhdkb: aspettare. « Si antem
qnod non Tidemns, 8peramas,per patien-
tlam ezpeotamns »; Bom. Vili, 26. Cfr.
Thom. Aq., Bum. théol. 1, u, 40, 2.
68. IL QUAL: quarto caso: il qoale at-
tendere è prodotto dalla grazia di Dio e
da merito precedente. AI. che produce.
V. 70-81. Xa 9orgmUe détta tperan-
ma. San Iacopo aveva domandato : Onde
venne a U la aperanzaf v. 47. Passando
ora a rispondere direttamente a qaesta
domanda, Dante dice ohe tale splendida
virtù gli Tiene dalle parole di molti sacri
serlttori, e principalmente dal Salmi di
Davide, e dalla Epistola dello stesso San
Iacopo. Udita la risposta, lo splendore
di ohe si ammanta T anima beata di San
Iacopo, maniilssta la gioia di questo, man-
dando lampi di Ince. Interrogato circa
la fede, Dante si riferiva, oltre che alla
rivelasione, a prove fisiche e metafisiche
{Far, XXIY, 133 e seg.)i interr«^to
droa la speranica, egli si rlférisce^UA.
solA rlVelailuiiB. IHóemmò clic lì Poeta
^rls^iuiule iiXSlKreUamenU alla domanda
onde la speransa gli sia venuta ; che una
risposta, almeno indiretta, era giÀ con-
tenuta nella definixicue della speranza,
dicend<^ prodotta dalla divina grazia e
da precedente merito (cfr. Petr. Lomh.,
8ent. Ili, 26. Thom, Àq., Sum. theol. II,
n, 17, 7, 8). Ma qui si tratta della sorgente
alla quale 1* uomo attinge la sua speranza
nella gloria futura, e questa sorgente ò
la sola rivelazione. Da essa viene al-
l' uomo la speranza mediante la divina
grazia, quale arra del premio di preoe-
dente merito.
70. STELLE: sacri scrittori, compresi
fors'anco i SS. Padri e Dottori della
Chiesa, e Qui autem docti fberint, ftilge-
bunt quasi splendor firmamenti ; et qui
ad iustitiam emdiunt mnltos, quasi stel-
liB in perpetuas atemitates»; Daniele,
XII, 8. - Bua e Land.: « dalla influenza
di molte stelle» (!).
71. QUEI! Davide, che nei suoi Salmi
esalta in mille guise la speranza. - la di-
stillò : la fece sgorgare, la inftise. « La
luce, quando s' immagini come sostanza,
non come vibrazione, passando per tanti
mezzi può dirsi quasi distillata. B/onte
di luce ò modo noto. » Tom,
72. Duce: Dio; cfr. In/. X, 102. Al-
trove Davide ò detto e il cantor dello
Spirito Santo »; Par. XX, 88.
73. BPERiKO: Al. BPEREHT, lezione sprov-
vista di autorità. Sono le parole del Sttlm.
IX, 11 : « Sperent in te qui novemnt no-
men tunm. » - nella sua : Al. nella tua ;
H BLL* ALTA. - TEODÌA ! (dal greCO Ssóq 0
(pòi\) canto In onore di Dio. Chiama co^
11 libro dei Salmi.
74. SAWSO: conoscono e credono.* La
speranza nasce dalla fede; cfr. Thom,
Aq., Sum, theol. II, n, 17, 7.
75. LA FEDE MIA: testè professata; cfr.
Par. XXIV, 86 e seg., 130 e seg. - « La
fede ò sustansia delle cose da essere spe-
rate, ecc.; sicché chi ha la fede, ha la spe-
ranza »; BuU. - • Chi crede in Dio, non
può non sperare ; e chi crede all' autorità
de' libri rivelati, ha di qui saldo fondamen-
to a sperare >: Tom. Ma qui Dante non
vuol dir questo; il suo concetto è piutto-
sto ! E chi non conosce il nome del Signo-
re, s* egli crede nell' Iddio Trino ed Uno f
76. STILLASTI : insieme.^K>n Davide tu
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954 tCIBLO OTTAVO] P AB. XXV. 77-88
[SPEBAirSA]
Nell'epistola poi; si cVio son pieno,
Ed in altroi vostra pioggia replùo. »
79 Mentr'io diceva, dentro al vivo seno
Di quello incendio tremolava un lampo
Sabito e spesso, a goisa di baleno;
82 Indi spirò: < L'amore ond'io avvampo
Ancor vèr la virth ohe mi segaette
Infin la palma ed all'nsoir del campo,
85 Vaol ch'io respiri a te, che ti dilette
Di lei; ed òmmi a grato che tu diche
Quello che la speranza ti promette. >
88 Ed io : < Le nuove e le scritture antiche
pure initlllMti in me la speranzA; doè:
Ta nella tua Spiatola mi oonfermaati le
promesse cU Davide, A ohe il mio onore è
pieno a riboooo della eperansa da to! in-
stillatavi, e la trasfónde anche in altri.
Veramente nell' Epistola di San ladopo
non si parìa gran ohe della speranca ; non
vi mancano tuttavia passi dettati in stile
davidico ed atti ad infondere sperania
nel onori, come I, 12; II, 5; IV, 8.
77. PIENO: di speransa; cfr. Par. XXIV,
66 e seg. e Son pieno de lo stillamento
d' amendnni voi ; del profeta e di te apo-
stole >; BìUi. - « Sì oh' io V intendo pie-
namente»; Dan.
78. RBPLÒO: lat. repluo, ripiovo, ri-
verso. Risveglio in altri qnella speransa
ohe da voi ho attinta e di ohe son pieno ;
« imperò che quello che io hone imparato
da voi, lo scrìvo, et altrì dal mio scrìtto
lo imparerà»; BtUi.
80. IXCKNDIO: di qaeir anima raggian-
te; cfr. Par, XIX, 100. - LAMPO: cfir.
Szeeh, I, 13.
V. 82-99. JJ oggetto détta speranma.
Dopo aver dimostrato la sna gioia al-
l' ndire la bella risposta di Dante, inter-
pretatrice degli intimi suoi sentimenti,
San Iacopo oontinna l' esame colla do-
manda : « Che cosa ti promette la tna spe-
ransat» B Dante risponde: «Essa mi
promette la beatitudine perfetta dell'ani-
ma e del corpo. » A tale risposta tutto il co-
ro dei beati Intuonal'innodella speransa.
Cfr. Thom. Ag., Bum. theol. II, n, 17, 2.
82. SPIRÒ: pariò, disse; cfr. Par, IV,
18; XXIV, 64, 83. - AVVAMPO: ardo;
cfr. Purg, Vili, 84.
88. AMOOB: andie al presente, quando,
^to in Paradiso, nulla più mi resta a
sperare. Nei beati non vi èfbda, ehè e«i
non credono più, ma vedono; né vi è in
essi speransa, ohò essi non tpormnù più,
ma hanno. Sola la carità dora In etone,
ed è anche nei beati. < Caritas Biimqnam
ezoidit; si ve prophetias evaoaabmitar;
sive lingu» oessabnnt ; sive sotoitia de-
stmetnr»; I Oor. XIH, 8. Cfr. Thom.
Aq., Sum, ihool, II. n, 18, 3. Pmr, XIV,
61 e seg. - SSQUIETTB: segid.
84. IN pur LA : fino alla riportata palma
del martirio — sino alla mia morte da
martire. - all' uscir : «infine a la morte,
ne la quale s' esce del campo ; imperò ohe
infine a qnella stiamo nel campo a com-
battere coi noitri avversari > ; JhUi, Me-
glio: sino al mio passaggio dalla ChieM
militante alla trionfante.
85. BBSPIBI : riparli; v. 88 tpirò — par-
lò; qui rsirpirars —> parlare.
86. ftMMi: mi è. > DICHE: tn dica; cfr.
Jn/. XXV, 6. Hannuc., AnaL eriL, 284
e seg. 577 e seg.
88. LE NUOVE : le Serittnre deU'antko e
del nuovo Testamento pongono II eogno
cui tende la speransa, ed esso segno mi
addita, mi mostra a dito, ciò ohe la spe-
ranza mi promette. Solle svariate Inter-
pretasioni di questi versi cfr. Ck»n. lÀ^.
m, 680-683. Un' interpretaalone a modo
suo, molto contorta, dette Btn9. D Ca-
tini pone il punto fermo dopo omiAe,
facendo dei versi 88 a 90 tutto un co-
strutto, onde il senso sarebbe: Le serit-
tnre manifestano il segno delle anime da
Dio elette, doè 11 fine a oni esse teodooo;
e questo fine, a oni tendono le anime ^t-
te. mi addita dò ohe promette la spenmsa.
Oom. segue ParonU, Ow., eoe.
::^^m^p^
[CIBLO OTTAVO]
Pab. xxy. 89-102
[SPERANZA] 955
91
94
97
100
Pongono il segno, ed esso lo mi addita : ,
Dell'anime che IHo s'iia fatte amiche,
Dice Isaia, che ciascuna vestita
Nella sua terra fia di doppia vesta ;
E la sua terra è questa dolce vita:
E il tuo fratello assai vie più dìgesta^
Là dove tratta delle bianche stole,
Questa rivelazion ci manifesta. %
E prima, appresso al fin d' oste parole,
€ Sperent in te » di sopra noi s' udi ;
A che risposer tutte le carole :
Poscia tra esse un lume si schiari,
Si che, se il Cancro avesse un tal cristallo,
L'inverno avrebbe un mese d'un sol di.
U^v^
di 8. lAOopo; onde il senso: Sd egli mi
disse : Additami questo seg;no posto dalle
Scrittore.
91. Isaia : LXI, 7. - ciascuha : delle
ftnlme ohe Dio i^ha/atu amiche, cioè
eletto.
92. DOPFIA VESTA: la beatitudine dol-
r anima e del corpo dopo la rlsurredone ;
cfr. V. 127.
98. LA BUA: la patria vera di dascona
anima eletta. - vita : il Paradiso.
94. FRATELLO: 8. Giovanid, nell'^po-
eàl. VII, 9. 13-17. -diorsta: distinto,
particolareggiato. Nell'epoca!. VII sono
enumerato le ftitnre delizie degli eletti,
eredi del regno de* cieli.
97. E prima: quando Danto ebbe Anito
di parlare, si udìprvma nn canto dei beati,
poscia venne incontro al Poeto V anima
boriosa di San Giovanni. Al. e prima,
FRS880 ; E PRIMA, E PRESSO. I beati non
intorrompono il Poeta, ma cantano quan-
do egli ha finito di parlare; cfr. Par.
ZXIV, 112 e seg.; XXVI, 67 e seg.
98. SPERENT: Solm. IX, 11. Danto ba
oitoto questo verso nella sna lingua ma-
tema, V. 73 e seg.; i beati lo cantano in-
-vece nella lingna della Chiesa, che è pnie
quella del Paradiso.
99. RISPOSER: cantandoli verso, d'inno
intonato. - carole: cori di beati ; cfr. Par,
3CXIV, 16.
Y. 100-117. AppaHmione di S, Gio-
fmnM* Intonato il Salmo, uno dei Inmi
componenti quelle celesti carole si fk cosi
falgido, ohe, se lacostollasionedel Cancro
poMedesse un tale astro, da messo de-
oembre a messo gennaio si avrebbe nn
giorno non intorrotto da veruna netto.
B come si alca e va ed entra in ballo ver-
gine lieto, non per alcuna vanità, ma solo
per fkre onore alla sposa; così San G-io-
vauni apostolo ed evangelisto, fiittosi
più /àlgido, si unisce a Pietro e Iacopo
ohe dansano cantondo. Beatrice gli aflSs-
sa, come sposa tacito ed immoto guarda
le vergini danxanti in suo onore. Quindi,
rivoltasi a Danto, « Questi » dice, « è co-
lui che giacque sovra il petto di Cri-
sto; è quel Giovanni, che dalla croce
fa prescelto a tener luogo di figlio a
Maria. » Ma Y attontlone, con che ella
guarda gli apostoli, ò tale, che anche
parlando seguito ad affissarli comepri*
ma. - Cfr. Della Vaììs, Sento, 146 e seg.
DiorUti, Anédd. II, 66 e seg. Barlow,
512 e seg.
100. UN LUME: San Giovanni. - si schia-
rì : ai fece più lucento degli altri.
101. CRISTALLO: una stella così bril-
lanto. Vale a dire che quel lume risplen-
deva come il sole ; cfr. Daniele XII, 8.
MaU. Xin, 48. L, Veni., Sim., 41. Com.
Lipi. Ili, 684 e seg.
102. D* UH SOL DÌ : « quando nel verno
/ tramonto la oostollaslone del Cancro, sor-
[ gè il sole, e quando tramonto il sole, sorge
la costollaxione del Cancro. Dunque, se
nel Cancro ci fosse una stella cosà lumi-
nosa, nel mese in cui avviene qnell' av-
vicendarsi del Cancro col sole, ci sa-
rebbe sempre giorno, o determinato dal
sole, o detormùiato dalla supposto stel-
la.» Oom,
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956 [CIBLO OTTAVO] PAB. XXV. 108-117
[8. OIOTÀHHI]
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E come sarge e va ed entra in ballo
Vergine lieta, sol per fare onore
Alla novizia e non per alcun fallo ;
Cosi vid' io lo schiarato splendore
Venire ai due che si volgeano a rota,
Qual convenlasi al loro ardente amore.
Misesi li nel canto e nella nota;
E la mia donna in lor tenne l'aspetto,
Pur come sposa tacita ed immota.
« Questi è colui che giacque sopra il petto
Del nostro Pellicano; e questi fue
D'in su la croce al grande ufficio eletto. >
La donna mia cosi; né però piùe
Mosser la vista sua di stare attenta
Poscia, che prima, le parole sue.
103. 8UB08: «Sorge, propera, amica
mea, colomba mea, formosa mea, et ye-
ni »; Oantie. OafiHe, II, 10. - « Pars pe-
dibos plaodont ohoreae et carmina dì-
oont»; Virg., Aen, VI, 644.
105. NOVIZIA : spoea novella. In alcool
dialetti Toce dell' oso. - fallo : di vani-
tà, per essere vaghegfi^ata. « Non amore
larari» lascivo vel vano »; Beno.
106. BCHIABATO : la luce in ohe era am-
mantato lo spirito di San Giovanni, tetta
più looente; cfr. v. 100.
107. AI DUK: a S. Pietro e S. Iacopo
ohe danxavano in giro.
108. QUAL: con qoella velocità ohe al-
l' ardente loro amore si conveniva. Il più
0 meno rapido volgersi di qoel vivi lojnt '
è 'Wgtìó dt maggiore' o' minore T)éaiita-
dtue, come "H Pueta iSbservò già tante
'^voìie; qol la velocità del giro è misora
della carità.
109. MiBEBi : entrò terso a cantare con
S. Pietro e S. Iacopo le stesse parole:
8per&nt in te, v. 98, in sn le medesime
note. Cfìr. Purg. XXX, 92 e seg.
110. DONNA : e Beatrice fermò lo sgoar-
do sopra i tre apostoli, ascoltando qoieta
e tacita il loro canto.
112. giacque: ctt, Giov, XIII, 28;
XXI, 20.
118. Pellicano : Cristo ; ofìr. SaXin» CI,
7. « Merito vooator pelicanos, qoia ape-
Toit sibi latos ad liberationem noafram,
^oot pelioanos ex sangoine pectoris vi-
mt fllios mortoos. Sst aotem pelioa-
oos avis egjrptia. » Ben», Ctr. Bruna.
Lat., T98, y, 80. Oom. lApi. IH. 686.
114. d'in BU: Al. in BU. - UFFICIO: di
tener loogo di figlio a Maria; cfr. Oiov,
XIX, 26-27.
116. MOS8BB: la mia doDoa mi disse
ooflì; oò però le soe parole mosaaro la
soa vista dallo stare attenta più dopo
che prima; oioè: sebbene ella parlasse
meco, pnre conUnnò a goardare colla
stessa attensione i tre apostolL Al. mos-
se, e al V. 117: ALLE FABOLB SUB, le-
sione troppo osoora e non accettata da
nn solo fra i tanti commentatori antichi ;
Cfr. Oom. Lip$. HI, 687.
V. 118-135. Una leffffenda netUfi-
caia* Da ona parola detta da Cristo sol
conto di S. Giovanni (cfr. Otov. XXI,
20-28) ebbe origine la leggenda, ohe San
Giovanni non fosse morto, ma salito in
cielo in anima e corpo. Dante Ange che,
corioso di accertarsi se fosse veramente
così, fissasse lo sgoardo nella viva loco
di S. Giovanni, in modo da restarne ab-
bagliato. Onde S. Giovanni gli dice ohe
il ano corpo è in terra come qoello di
altri mortali, e ohe soltanto Cristo e Ma-
ria sono in corpo ed anima n^ cielo, in-
giongendogU di riferire il fsM» in terra.
Detto ciò, 1 tre apostoli si fermano. Sofia
relativa leggenda cfr. Aug., In Sv. Joà.
XXI. Thom. Aq., Sum. th, HI, SuppL 77,
1. DI Bnoo e di Blia <ofr. Gen, V , 24. JSSfrm
XI, 5. IV Seg. U, 11 e seg. Ji/. XXYI.
85 e seg.) il Poeta sembra asaeni qol
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[CIELO OTTAVO]
PAB. XXV. 118-138
[LEGGSKDA] 957
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Quale è colai ch'adoochìa, e s'argomenta
Di vedere eclissar lo sole un poco,
Che, per veder, non vedente diventa;
Tal mi fec'io a qnelP ultimo foco,
Mentre che detto fa : « Perchè t' abbagli
Per veder cosa, che qui non ha loco?
In terra è terra il mio corpo, e saràgli
Tanto con gli altri, che il numero nostro
Con r etemo proposito s'agguagli.
Con le due stole nel beato chiostro
Son le due Luci sole che salirò ;
E questo apporterai nel mondo vostro. »
A questa voce l'infiammato giro
Si quietò con esso il dolce mischio
Che si facea del suon del trino spiro.
Si come, per cessar fatica e rischio.
dimenticato. 0 11 passò forse a bella po-
sta sotto sUensio t
118. b'aboomkkta: s* ingegna: come
ohi fissa gU occhi nel sole, sforsandod
di Tedeme il paniale eoollssi annunziato
dagU astronomi, ne rimane abbagliato. 11
sapere ohe il sole sta per eodissarsi pare
che dia coraggio a fissarlo; ed in questa
idea sta la proprietà della similitudine.
120. HON VEDSNTB: chi vnol fissare
con l' occhio il sole, resta abbarbagliato
e non ci vede più.
121. A quell'ultiho: ingegnandomi
di tener fisso lo sguardo a quello dei tre
splendori che mi si era ultimamente av-
Ticinato, cioè alla yira luce di S. Gio-
ranni. ,
122. MXMTRSCHS: finché. - DBTTO FU:
da S. Oioranni.-T* ABBAOU: perchè mi
guardi tanto fissamente da reetame ab-
begliatof
123. COSA: il mio corpo, che non è qui
nel cielo; efr. I Oor, XY, 50.
124. sasJLgli : vi sarà, cioè in terra.
GH per vi, come In/. XXIII, 54. Purg,
Yin, 80;Xni, 7, eco.
125. ALTRI: corpi umani. - numero :
àf^ eletti: cfr. Apoeal, VI, 11. Aug.,
Srem. T, 70.
126. L* WTEBXO PROPOSITO : locusione
biblica; cfr. Bom, THI, 28. ^. I, 4,
11. n Timot. I, 9. Aug., De corrept. et
grett,, 18. Thom, Aq., 8um, fheoh I, 23, 7.
- A* AoauAou t si pneggi.
127. DUE BTOLi! corpo ed anÌma.-OHio*
BTRO : cfr. Pwrg, XV, 67 ; XXVI, 128.
128. DUB : Cristo e Maria, -salirò : al-
l'Empireo; cfr. Par. XXin. 85-87, 112-
126. Ùnicamente Gesù e Maria andarono
in cielo coi corpi loro prima della uni-
Tersale risurrezione.
180. L* INPIAMMATO GIRO : la danza di
quelle tì venti fiamme.
181. MISCBIO: quella soave mlschiansa
di danza e di canto. « Cessarono qui di
girare le tre luci, e cessò il suono dei
loro canti »; Oom^
182. TRINO : Pietro, Iacopo e Giovanni.
188. CESSAR: evitare, sohifitfe; ofr.Jti^.
XVn.SS.cComparatiostatin hoc, quod
sicut nnus salus sibilus patroni navis fa-
cit cessare nautas a navigatlone et cla-
more, ita simplex verbum apostoli fBcit
desistere alios a motn et cantn. Bst enim
sdendum, sicut allquando vidi, quod pa-
tronus galecB, quando vult remiges ces-
sare a ductn remorum, vel ad quiescen-
dum, vel ad vltandum aliquod pericn-
lum imminens, fiioit unum sibllum, ad
quem subito omnes quiescunt; neo est
rex vel dnx in mundo, cui tam cito pa-
reatuT a suis, sicut tali patrono pare*
tur a navigantibus. Ad propoaitnm ergo
autor indicat festinam obedientlam apo-
stolorum, qui statim quietati sunt ad
verbum lohannls, per fostlnam obedien-
tlam nautarum, qni statim quletantur
ad sibilum patroni. Yolebat enim lohan-
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958 [CIBLO OTTAVO] PAB. UT. 134-189 - XXYI. 1-2 [OCCHIO ABBAOi:..]
lÀ remif pria nell'acqua ripercossi,
Tatti si posan al sonar d' un fischio.
Ahi, quanto nella mente mi commossi,
Qaando mi volsi per veder Beatrice,
Per non poter vederla, bench'io fossi
Presso di lei, e nel mondo felice !
136
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net ODUies qatesoete, vA loqaeretnr onm
Mitore. » BeK9.
186. AL BOHAB : dt. StoL, Thàb. IV,9Ù5
e Mg. VI, 796 e Mg. Ariot., Ori. XVIII,
143. Pylci, Morg. XX, 35.
Y. 136-189. 1/oeéhio afrta9l<a«o.0e«-
•ato il girare di quelle tie fiamme be-
nedette, cessata l|k dansa ed il oanto,
Dante si volge per goardar Beatrice e
sapere, come di solito, ohe oosa debba fib-
re ; ma è talmente ablwgUato, ohe non gU
riesce di vederla, benohè sia in cielo e
presso a lei ; laonde egli ò tatto commos-
so. Sol possibile senso aPegorico di qae-
sti Tetri cfr. Pw. XXVI, 7 e seg. Oom.
£^.III,691.LagraBiadiDlopctTarao-
mo aloon tempo deDa vista, per ihrlo poi
tanto plh veggente; efr.Por.XXVI, 13.
1 86. MI oOMMOsn t avendo meco d< «uri
d^ Adamo. I beati né si eommiiovoBO né
sbigottiscono.
187. PEB VEDER: mi vi^jMT vederBea-
bice, e rimasi sorpreso e torbatoper non
poterla vedere JSdtaoto ora siaooorge che
l'occhio suo é abbagliato per essai si trop»
pò fissato nella viva inoe di S. GiovannL
CANTO VENTESIMOSESTO
CIELO OTTAVO O STELLATO : SPIRITI TBIONPANTI
ESAME INTORNO ALLA CARITÀ, ADAMO
IL PRIMO PECCATO, IL PRIMO TElfPO, LA PRIMA LOTOVA
LA PRIMA DIMORA
Hentr'io dubbiava per lo viso spento,
Della fulgida fiamma che lo spense,
y . 1-18. J/oggm» déOa eariiù. San
Giovanni inoominoia l'esame del Poeta
intomo alla carità colla domanda: * Qoale
é l'oggetto degU sifetti taoif Che é quello
ohe ta ami f » Dante risponde che 1* onice
oggetto dell' amor eoo é Dio. Non dà ve-
rona deflniiione della carità, come della
fede e della speransa, la definisione es-
sendo oontenata già nella questione dica
l'oggetto della carità. «Cfaaritas eoi amor
Dei quo diligitnr nt beatitadinis dbie*
otom, ad qnod ordlnamnr per fidem et
spem »; Tkom. Aq., Sum. fàeet. I, u, 65,
5;cfr.t&itf.II,U. 33-87.
1. DUBBIAVA : temeva d'aver penduto 0
senso della vista. -LO viso : Al. lo lumc
2. FIAMMA: di che si ammantavn l'ani-
ma gloriosa di Sao G iovasQl.
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[CULO OTTAVO]
Par. xiti. 3-18
[CABITÀ] 959
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Usd uno spiro che mi fece attento,
Dicendo : < Intanto che tu ti risense
Della vista che hai in me consanta,
Ben è che ragionando la compense.
Comincia donqae; e di' ove s'appunta
L' anima tua, e fjPTttgftTn "BlwSà'"
La vista in te smarrita e non defunta ;
Perchè la donna che per questa dia
Begion ti conduce, ha nello sguardo
La virtù eh' ebbe la man d'Anania. V
Io dissi : « Al SQO piacere e tosto e tardo
Vegna rimedio agli occhi, che far porte,
Qaand'ella entrò col faoco ond'io sempr'ardo.
Lo Ben che fa contenta questa corte,
Alfa ed omega è di quanta scrittura
Mi legge Amore, o lievemente o forte. »
S. SFBO: muoio, Tooe i efr. Pvt* XXTV,
38 1 XXV, 8S. 4»<nif» è osato per il par-
lale degU spiriti.
4. TI Bunras: ti rlsonsf, rlaAqnisti il
senao della Tista. AL ti BiHSiireB.
5. coHSinrrA; ohe ò rimasta abbar-
bagliata guardandomi. Avera guardato
qoel lame più lungo tempo e più atten-
tamente degli altri per IsooigerTi il corpo
di S.GioTaiuil ; cfr. Por. XXY. llSeseg.
6. ooMFKHSi : compensi, lioompensi la
▼iste oon la favella.
7. s^AFFUHTA: tende, è diretta; ofr.
Pury. XT, 49. Tar, VI, 38. « Dove tende
ed aspiraranlma tua, oome a sno ultimo
fine »; FisB. -« Dove il tao amore ha soo
riposo e eoo ftmdamento »; IVm».
8. fa' bàoioh : fa* oonto, tieni per vero
(efr. Imf. XXX, 145) ohe la toa vista è
aoltaato sospesa, non già estinta. Parola
dleonlbrto, ohe il timore di aver perdato
la vista avrebbe troppo distratto il Poeta
nella risposta.
0. DEFUNTA : morta, spenta, distratta.
10. DONNA: Beatrice. - dia: divina;
ofr. Fur, XIV. 84; XXIH, 107. Lueret.,
Ber. ntU. I, 28.
12. AnanU: ohet9l8aJjLQfi^iìà.A.S«e
PMoj^ofr. AUilX, 10 e seg.
^ISTalsuo : some a lei meglio piacerà,
presto o tardi.
14. POBTi : che Airone come le porte per
le qaali entrò In me l'amore onde io ardo.
10. LO Bkh: Dio è l'oggetto del mio
amore, fl principio e il fine di tottì gli
affetti miei piceoll e grandi.
17. ALTA KD omoA: fraso apocalittica {
cfr. ilpoooZ. 1, 8 1 XXI, 6 ; XXII, 18. Sp,
Kani, 38. Solle svariate interpretazioni
di questa tersina cfr. Oom. lÀpt, III,
084-080. La tcrUhira ricorda il « libro
della memoria », Vita IT., 1, ed il « libro
che 11 proterito rassegna », Par, XXIII,
54. L' Amoro che ìeggt al Poeta, ricorda il
verso ; « Amor che nella mente mi ra-
giona», Pttrg. II, 112, ed anche l'Amor
che«splra e dettadentro », Purg. XXIV,
52 e seg. Là Amoro ragiona nella mente
e detta dentro ; qui esso Ugge V intema
scrittura, trattandosi qui di ciò che è già
eeriUo nel libro intemo, cioè dell'amoro
che Dante possiede: «Quanta scrittura
mi legge Amoro » vale dunque: «Tutto
ciò che in me alla carità si riferisce,
tutto l'amor mio », rappresentato questo
amore come una wriOura, ossia come un
capitolo del libro interno. Dice dunque t
Dio è l'oggetto di tutto il mio amoro. Bd
aggiunge o ìie(vtm»nle o forte, volendo si-
gniflcaro che veramente tutto quanto
l'amor suo è dedicato a Dio, giusta il
precetto evangelico, Matt. XXII, 87.
V. 18-00. iSNiMoM atta carità. < Quali
sono i motivi che ti eccitano ad amar
Diot » eontinna ad interrogaro 8. Gio-
vanni. E Dante risponde: < La ragione
e la rivelasione. > « Ma non ci è, oltro
la ragione e la rivelasione, qualche altra
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960 [CIELO OTTAVO] Pab. xiyi. 19-34
[CAsrrl]
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Quella medesma voce, che patirà
Tolta m'avea del sùbito abbarbaglio,
Di ragionare ancor mi mise in cura;
E disse : < Certo a pi& angusto vaglio
Ti conviene schiarar; dicer convienti
Chi drizzò l'arco tuo a tal bersaglio. >
Ed io : < Per filosofici argomenti,
E per autorità che quinci scende,
Cotale amor convien che in me s'imprenti;
Chò il bene, in quanto ben, come s' intende,
Cosi accende amore, e tanto maggio.
Quanto più di bontate in sé comprende.
Dunque all' essenza ov' è tanto avvantaggio.
Che ciascun ben che fuor di lei si trova.
Altro non è eh' un lume di suo raggio ;
Più che in altra convien che si muova
oftOM ohe ti pwta ad amar Diof » « Si,
anche i beneflsi di Dio, il creato, la vita
ohe BgU mi diede, la morte ohe Egli aof-
forae per la mia ealTaaione, Tetema bea^
titadine ch'Egli ha preparata a* suoi fe-
deli, totto dò m'indoflse a lasciare il
fUeo ed appigliarmi al Torace amore.
Qoant* è poi a tntte le creatore, onde
per cara della divina provridensa tt
mondo si adoma, io le amo nella misnra
della bontà, della perfesione comnnioata
loro da Dio. »
20. TOLTA: promettendomi che avrei
rioaperato la vista, v. 4, 5, 8-12.
21. IH CURI.: in sollecitadine; in atten-
aione.
22.yAauo: staccio, qni flgoratamente
per esame —Devi passare per eeame pih
stretto.
23. BcmABAB: « a pih stretto crivello,
doè a più stretto esamlnamento, ti con*
viene diventare chiaro e manifBsto, come
tn dirissi a la carità, come lo crivdlo pih
stretto, più tiene del grano ; imperò ohe
tiene lo granello grosso e minato ; e ood
rimane più netto e paro: cod ta, Dante,
rimarrai pih chiaro, qnando più stretta-
mente sarai esaminato »; BuU. - « Ti
convien più minatamente dichiarar que-
sto tao amore, e convien che tn dica, ohi
fin qaegli che drlsxò il tao amore a tal
fine»; Dan.
24. CHI DRIZZÒ: Al. CHE DRIZZÒ: chl t'in-
■^ò ad amare Iddio. - bkbbaglio : Al.
BBBZAQUO; segno al qaale tendono i bale-
strieri o sagittari; ofr. iX«, FSrt. II*,22l.
26. ABOOMBHTi: « per argmneatl ohe
fiume i niosofl, ohe diceno olie ogni oo-
' me desidera lo Sommo Bene»; Arti. Cfr.
Purg. XVI, 85 e seg.
88. QUINCI : dal dolo— per la livelaiio-
ne, ossia per T autorità dei libri aaeri.
Cfr. De Mon, n, 1.
27. s'iMPHEirri: s'imprima.
28. COMK 8' iRTuroi: tostoohè ala ee-
nosdato come bene, e come tale com-
preso dall'intelletto. Tutta la presente ar-
gomentaiione si può ridurre ai seguenti
quattro punti : !<> H bene, come tale rt-
conosduto ed appreeo, aooende sempre
amore di so ; 80 Questo amore è tanto pfà
grande, quanto più perfetto è il bene ri-
oonosduto ed appreso ; so Dio è U Sommo
Bene; tutti gii altri beni non sono ohe
altrettanti raggi di Lui ; 4^ Convien dun-
que che ami Dio sopra ogni cosa ehion-
que rlconosoe che Egli è il Sonuno Bene.
29. MAOQIO ; maggiore ; Ofr . Iitf. VI, 48 ;
XXXI, 84. Par. VI. 180 j XTV, 07, eoo.
81. ALL' isasirzA : divina. - TAirro av-
vantaggio: Al. TANTO VANTAGGIO; SO*
vrabbondansa di perfbaione.
88. UN LUm DI SUO RAGGIO: Al. UN
LUME DEL SUO RAGGIO ; DI SUO LUMI UH
RAGGIO I ofr. Cbnv. Ili, 7. Par, XIX, 52
e 8eg. Thom. Aq., Sum. théùL 1, 6, 4.
84. IN ALTRA : più ohe verso qualunque
altn essensa. - Al. ni ài/rao.-et muova :
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[CI8L0 OTTAVO]
Pab. iivi. 35-62
[CARITÀ] 961
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43
4S
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La mente, amando, di oiascnn che cerne
Lo vero in che si fonda questa prova.
Tal vero allo intelletto mio steme
Colai che mi dimostra il primo Amore
Di tutte le sustanzie sempiterne ;
Sternel la voce del verace Autore,
Che dice a Hoisè, di so parlando:
" Io ti farò vedere ogni valore. „
Stemilmi tn ancora, cominciando
L* alto preconio che grida V arcano
Di qui laggiù sovra ogni altro bando. »
Ed io ndi': « Per intelletto umano
E per autoritadi a lai concorde
De' tuoi amori a Dio guarda il sovrano.
Ma di' ancor se tu senti altre corde
Tirarti verso Lui ; A che tu suone
Con quanti denti questo amor ti morde. »
Non fu latente la santa intenzione
cfr. JPurg, XVIII, 26: « Qael piegare è
85. CIBHS: dletlngae, riconosoe; ofr.
I^f, Vm. 71. Par. XXI. 76. Chi vede
il rero sa cai si fonda questo sillogismo,
doè ohe Dio è il Sommo Bene, deve ama-
re Lui più ohe altra cosa qualsiasi.
87. TAL vsBO : ohe Dio è il Sommo Bene.
-8TBBKK: appiana, dimostra.
88. colui: Aristotile, il quale disse:
UnuM Mt princept ; e nella Fisioa e nella
lietailsioa pone ano Iddio, e nel libro D$
CbiMit pone Iddio oome oaosa suprema,
oioè Bene Sommo, ed insegna, le anime
umane desiderare naturalmente di riu-
nirsi alla loro prima cagione t Lan., OU,»
An. Fior., Poti. Cast., Petr.Dant,, Fram.
P4a., Fatto Booc., Benv., Land., Dan.,
VoL, Vont., Tom., Andr,, eoe. Cfr. Oonv,
III, 2. Altri intendono di Platone, U
quale nel principio del suo Simpotio dioe
ohe Amore (doè il Sommo Bene in sé dif-
fusivo) è la prima di tutte le sostanie
sempiterne; cosi Lofnb., Port., Pog., Oo-
tL, Ott., Br. B., Frane., eoo. Altri inten-
dono di Dionisio Areopagita, fondandosi
su quanto lasoiò scritto Ih eceU. hior. II,
3; ooéi VéU., FUal., WUU, eoo. Altri di-
versamente; cfr. Chm. JÀpt. III, 699 e
seg. FOofìmui Guelfi, OoM che dimottra
a DanteilpHmo amore dUuUe le tuttan-
61. - INO. Oomm., 4« edia.
zie ttmpiteme. Verona, 1893. (Secondo
questo autore. Dante intende del sole).
40. 8TSBMKL: lo mostrano le parole di
Dio stesso, Stod. XXXIH, 19.
43. BTBBNILMI : me lo dimostri anche tu.
44. L* ALTO PBSOOMio : 1* Apocalisse, do-
ve Dio è detto « V tXIà e l' omega, il prin-
cipio e la fine »; Apoeal. I, 8. Cosi gli an-
tichi. Altri, men bene, intendono del
Vangelo di S. Giovanni, nel cui primo
capitolo si tratta cosi profondamente del
mistero dell' incamadone del divin Ver-
bo. Ctt. Orni. L^. UI, 700-701.
46. OQHI ALTBO: Al. OGNI ALTO.
46. DfTKLLBTTO : per fllosofld argomen-
ti, V. 25, e per F autorità delle Sacre Scrit-
ture, V. 26, ohe vanno d'accordo oogli
argomenti fllosofld, il sovrano, doè n
primo, de' tud amori guarda, ò diretto
a Dio. In sostansa: Tu ami dunque Dio
sopra ogni cosa, indottovi da argomenti
tolti dalla ragione e dalla riveladone.
Cfr. Oom. lApt. UI, 701 e seg.
49. ooBDic: ragioni. < Altri movimenti
ohe ti tirino ad amare Iddio, come la cor-
da tira chi è legato »; Buti.
60. Lui : Dio. - SUONB : snoni, dica ; ofr.
Purg. XVI, 69. Par. XV, 68.
61. OOM quAHTi: da quanti lati e per
quante ragioni sd tirato ad amare Iddio.
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962 [OIBLO OTTAVO] PlB. XXYI. 58-67
[CABRI]
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64
67
Dell' aguglia di Cristo, anzi m'accorsi
Dove volea menar mia professione. ,
Però ricominciai : « Tatti quei moigi
Che posson far lo caor volger a Dio,
Alla mia cantate son concorsi ;
Che r essere dei mondo, e V esser mio.
La morte ch'Ei sostenne perch'io vìva,
£ quel che spera ogni fedel com'iO|
Con la predetta conoscenza viva,
Tratto m'hanno del mar dell'amor torto,
E del diritto m' han posto alla riva.
Le frondi, onde s'infronda tatto l'orto
Dell' Ortolano etemo, am' io cotanto,
Qaanto da lai a lor di bene è pòrto. >
Si com' io tacqai, on dolcissimo canto
solamente non mi il oelò e nasooae il san-
to proponimento dell' Evangelista, figu-
rato per raqoila; anci m'aooorsi doye
egli volea condor la confòssion mia; vo-
leva eh' io confessassi qoali altre cagioni
mi trassero alla carità e ad amare Dio »;
Don.
58. aouglià: Al. AQUILA. Neil' aquila
mensionata Apoeal. IV, 7 i SS. Padri
ravvisarono il simbolo di San Giovanni.
9 Aquila ipso est lohannes sablimiom
pradicator; » Aug., Trad, 35 in lokan,
Cfr. Pwrg, XXIX, 88-105.
66. M0B8I: stimoli, ragioni ; cfr. Thom.
Aq.» Sum, thsol. II, u, 27, 8.
67. COMCOBSI : < e ùotH si vede essere a
questa amistà eoneorte tntte le cagioni
generative ed accrescitive dell'amistà»;
Ckmv, I, 18.
68. l'bsbbbs: la divina bontà e ma-
gnifloensa che si rivela nelle opere della
creasione; cfr. Salm. XVIII, 1. Bom, I,
20.2%om. Aq., 8um, théol, 1, 82, 1.-l'b8-
BKB MIO : l'avermi Dio creato ; cfr. Salm,
Vni, 4 e seg.
69. Bi: Al. BL; Dio amanato, Glesù
Cristo; efr. I Qiov. IV, 9, 19.
60. QUKL: la beatitadine eternai cfr.
I Ckyr, U, 0. Ooloat, I, 6. 2Vto 1, 1 e seg.
61. GOHOSCKMZA: Ohe Dio ò il Sommo
Bene. - viva: perohò credota.
62. DSL MAB : due mari opposti : l' uno
U mare del torto e traviaste amore delle
•>se terrene; cfr. Purg. XXXI, 84 e seg.;
■Jtro il mare dell' amore diritto, celeste»
divino: tempestoso il primo, il
tranquillo. U mare d^ amore torto ri*
corda 1' « acqna perigliosa », /i^. I, 24, e
corrisponde alla < selva osoora », /VI I,
1 e sef . Qui dice che gli alimenti flloso-
Aoi (Virgiliof), l'aatorità della riveU-
slone (Beatrice t> e la consideratone d«i
beneflsi di Dio Oa visione? cfr. Iftf. I,
91 e seg.) lo distolsero dal Mao e lo gui-
darono al verace amore.
64. ut FBOHDi: le creatore. > L'om>:
il mondo. Dopo aver parlato del suo amo-
re verso Dio, passa a toocare brevemeats
del sao amore verso il prosafano.
66. Obtolano : « Pater mena agricola
est»; loh. XV, 1.
66. QUAKTO: nella misoia del bene chs
Iddio porge, oommilca loro ; oaaiA, tanto
più, qaanto più rìoonosoo in loro ^ef-
fetti e l'immagine della bontà di Dio ; ofr.
Petr. Lomb., Soni, IH, 27. Thom, Aq^
Sum, theol, II, li. 25, 6. 10, U; 26, 6.-
«Amo le creature in quanto meritane
di essere amate, e meritano di easere
amate solo in virth di quelle perfeikiai
che loro Dio ha comunicato »; Oom,
y. 67-69. Ptawao dei ^eaU, Sabito
ohe Dante ha terminato di prolèasare la
sua carità, tutti i oelesti. e Beatrioelnde-
me con loro, lodano Iddio del buon esito
dell' esame subito dal Poeta ìhìmbo aUs
tre virth teologali. Tutti cantano :« San-
to, Santo, Santo è il Signor degUeaeroiy !
Tutta la terra è piena della sua gloriai »
l'inno, doò, deiSeraflni, /«.VI, I. Oppure
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[CIKLO OTTAYO]
PAB. XXTI. 68-78 [VISTA BIACQUI8T.] 968
70
73
76
Risonò per lo cielo ; e la mia donna
Dicea con gli altri : « Santo, Santo, Santo ! »
£ come a lame acato si dissonna
Per lo spirto visivo che ricorre
Allo splendor che va di gonna in gonna,
£ lo svegliato ciò che vede, abborre.
Si nescia è la saa sùbita vigilia.
Fin che la stimativa noi soccorre;
Cosi degli occhi miei ogni qnisqailia
Fagò Beatrice col raggio de' saoi.
Che rifolgean più di mille milia:
osntaiio r inno dei quattro «nimali che
rtanno dinaui al trono di IMo: « Santo»
Santo, Santo è il Signore Iddio onnipo-
tente, ohe era, die è, e die ha da Tonire I »
ApocaL IV, 8.
68. DOKNA : «finge ohe '1 eaataaae Bea-
trice inaieme con gH altri; imperò ohe la
Chiesa militante eaata al dlTloo oillolo
della meiea ohe li santi angeli e tatti li
beati cantano si fatto oantico a Dio » ;
BuH. - Beatrix oantabat gratolanter
enm illis beatis »; Benv,
V. 70-81. Lm visto WaogM<stato. Bea-
triee volge ono sgoardo a Dante, e qae-
sto solo sgoardo gli ridona intiera la ùk-
odtà di T^ere, oh* eragli rimasta impe-
dita dalla soTorohia laoe. Aprendo gli
oeehi. Tede ora meglio che non avesse
▼edato prima. Al tre lami, di S. Pietro,
S. Iacopo e 8. Giovanni, se n' è sggianto
an quarto. Stapeiktto, il Poeta chiede
ehi ceso sia.
76. ▲ Lum : Al. AL LUME. « Come al ve-
nire di an lame vivace l' acme si desta
dal sonno per la virtù visiva che rieorre,
si rivolge, al raggio trapassante digonna
in gonna, dall' nna all' altra membrana
dell'oechio; ed egli svegliato riftigge da
dò ohe vede, tanto è netoia. incapace, di
discernimento, la tubila vigilia, il suo
improvviso svegliarsi, finché la riflessio*
ne non viene a Boocorrerlo ; così Beatri-
ce, eoo. »; L, VÉnt,, 9imU., 232. Purg.
XVII, 40 e seg.
71. BPIBTO VISIVO I < risponde per V ap-
ponto a quello eh' è detto fluido da' mo-
derni, ossia a qaeiraora elettrica o altro
che scorre sa e gih per i nervi sensorii
dall'organo al cervdlo, e che Alberto
Ifagno diceva esser generato dalla parte
vaporosa pih sottile del nntrlmento »;
Ctofsffi^.
72. QOiiKA: le membrane o involncri
deH'occhio, le tunietB degli antichi.
73. ABBORU: non pnò patire; non di-
stingae peranco. Snlle diverse interpre-
tasioni di qnesto laogo cfr. SndeL p. 7.
74. NiscLà: inconsapevole. - la sua
SÙBITA : Al. LA SÙBITA. « Qol rcdta come
Beatrice gli rendè la verta visiva, della
qoale era in privaxione ; e addace per
esemplo che, si come ano che abbia dor-
mito, si sveglia, e in qaello laogo abbia
gran looe (come avviene di slate a quegli
che dormono di meriggio), perchè la ver-
ta, vel papilla, è stata nel sonno coperta
dalla prima covertara dell' occhio, se sa-
hlto si dlscnopre, non paò sostenere lo
lame, ma conviene rlohiadere et aprire
tanto l'occhio oon alcane frioaxioni, che
la papilla s'ansi a qaello lame, e riceva
aiate dalla stimativa in qnesto modo che,
aprendo e serrando il ciglio, A si con-
forma a tanto Inmet cosi in proposito
Dante, per lo lame dello Evangelista,
era privo di saa lace; soccorso esso da
Beatrice, tomògli ogni virtù, vel cbia-
reaxa, nell'animo »; An. Fior., Lan„ OU.
76. LA STIMATIVA: Al. L' ESTIMATIVA |
il giadizio. la fìscoltà di valntare. « Fin-
ché l'occhio si avvessa e viene la rifles-
sione del conoscere »; Oom.
76. QUISQUILIA: lat. quiiquilia. im-
mondisie; qai flgarat. per impedimento
a vedere.
78. BiruLOBAir più : Al. rifulgbaii da
PIÙ ; BIFULOBVA PIÙ ; RirULGBA DA PIÙ.
Gli occhi di Beatrice mandavano il loro
splendore lontano più di mille miglia.
Cosi tatti, sino al Fa^f. che, seguito da
pochi, intende: quel raggio degli occhi
di Beatrice era tanto vivo, che risplen-
deva più di un milione di raggi; intera
pretasione inammissibile*
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964 [CIBLO OTTAVO] Pab. iivi. 79-93
[ADAKO]
79
82
85
01
Onde, me' che dinanzi, vidi poi ;
E, quasi stupefatto, domandai
D' un quarto lume oh' io vidi con noi.
E la mia donna: < Dentro da que' rai
Vagheg^a il suo Fattor l'anima prima,
Che la prima Virtù creasse mai. »
Come la fronda, che flette la cima
Nel transito del vento, e poi si leva
Per la propria virtù che la sublima, .
Fec' io in tanto, in quanto ella diceva,
Stupendo ; e poi mi rifece sicuro
Un disio di parlare, ond'io ardeva;
E cominciai : « 0 pomo che maturo
Solo prodotto fosti, o padre antico
A cui ciascuna sposa è figlia e nuro.
70. MB* : meglio : ofr. In^. 1. 112 ; II, 86 ;
XIV, 88; XXXn. 16. Purg. XII, 68;
XVI, 125; XXn, 7ij XXXI, 43.
80. STUPBPATTOt di vedere lì quel
qaarto lame, ohe prima non o'erft. Al.;
stapefktto di arere rloaperata U Tiete,
e più Mata di prima. Ma se domandò
qu€Mi ttup^atto di qael qaarto lame, non
è chiaro che atopiva di vedere quel lume
e non d'altra ooaat
V. 82-06. Preghiera <U primo Po-
dre. Alla domanda, chi si fosse qael
qaarto lame, aggiantosi a qaelli di S. Pie-
tro, S. Iacopo e S. Giovanni, Beatrice ri-
sponde ohe in qaei raggi contempla lieta-
mente il sao Creatore Tanima di Adamo,
ohe fa la prima creata. A tale risposta il
Poeta china maravigliando il capo di-
nanzi al padre dell'umana specie. Qoin-
di, mosso dal desiderio di sapere aloana
cosa da Ini, rialsa con sicartà il capo per
parlargli e pregarlo: <0 ta, ohe solo tra
gli aomini fosti prodotto in età matnra,
e a cai ogni sposa è figlia e nuora, per-
ohò toa figlia maritata ad an tao figlio,
conia massimadevosione, ti prego di par-
larmi. To leggi nel cnor mio dò che desi-
dero sapere da te; opperò non ti esprìmo
nlterlormente la voglia mia, per non per-
der tempo col dirti dò ohe ta già conosd. »
88. PBIMA: gli angeli tarano creati
prima dell'uomo: ma Dante parla di ani-
me» non di ipiriU. Anche gli animali fa-
rono creati prima di Adamo ; ma qui non
intende ohe delle anime intellettuali.
84. Virtù : « la prima aemplidssima e
nobilisaima Virth, ohe solo è inteUei-
tuale, doò Iddio »; Oonv. UI, 7.
85. FLBTTX: piega, dal lat.;CMeerf.Cfr.
Stat., Théb, VI, 851 e seg. Tono, Ber,
XIX, 10.
87. LA SUBLIMA: la riporta in alto, la
raddrixsa ; ofir. Par. XXII, 42. «Per quel-
la sua propria virtù ohe tende aemprea
rialsarsi qaand* è piegata » ; Betti.
88. IN TAHTO, IN QUANTO : i« tanto tem-
po, in qxumto Beatrice mi disse queste
parole. Al. in tanto quanto, e tatti «pie-
gano: intanto, mentre Beatrice parlava.
Oom, : « Mentre parlava Beatrice, nsi ohi-
nai per istupore, e pd pred sionnà, spro-
nato dal desìo di parlare. >
89. BTUPKNOO : meravigliandomi di t(«-
varmi dinansi all'antioo primo padre.
01. POMO : uomo } non troppo deUoato,
risvegliando sabito l'Idea del primo Mio.
-MATUBO!«Adam in virili astate contì-
nno fiactus est, et hoe aeoundam snperto-
res, non inferiores cansas ; id est, aeona-
dum volantatem et potentlam Dei, qnam
natnr» generibns non aUigavit, qiuillt«r
et virga Moysi oonversa est in draocH
nem > ; Petr. Lomb,, 8enL II, 17. Cft.
Thom. Aq., Ann. tà. 1,01, 2-4. I>eT«|9.
El. I. 6. Par. VII. 26; XIH, 82 e aeg.
02. BOLO: Eva ò condderata ooue pari*
d'Adamo e sottintesa; of^. Om. IH, 22-14.
Som, V, 12 e seg. I Oor. XV, 45 e a^.
08. NUBO : lat. nur%$, nuora; ofk-. Nem-
nuù., Nomi, 48.
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[CISLO OTTAVO]
PAB. IXVI. 94-107
[ADAMOJ 965
M
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100
103
100
Devoto quanto posso, a te snpplico
Perchè mi parli: tu vedi mia voglia,
E, per adirti tosto, non la dico. >
Talvolta on animai coverto broglia
Si, ohe V affetto convien che si paia
Per lo seguir che face a lui l'invoglia;
E similmente l' anima prìmaia
Mi facea trasparer per la coverta
Quant' eUa a compiacermi venia gaia.
Indi spirò: < Senz'essermi profiFerta
Da te, la voglia tua discemo meglio
Che tu qualunque cosa t' è più certa ;
Perch'io la veggio nel verace Speglio
Che fa di sé pareglie l' altre cose,
M. supplico t In rfana pernlfipNM, eoo-
atruito, come Par, XV, 85 ; XXXIII, 2S.
90. HOH LA DICO ! AI. LA TI DIOO ; ma
Danto non la dloe ! Cfr. Moore, Orit,,
483 e seg.
Y. 97-114. Jl e%iore »vélaU>. Danto ha
detto ad Adamo: « Ta leggi nel mio ono-
re e yedi il mio desiderio, onde non è ne-
cessario manifettorti lamia voglia con pa-
role. » Per metio dello splendore In ohe si
ammanto. Adamo mostra la lieto sna ro-
lento di oompiaoergli ; quindi risponde:
« Certo, io conosco la toa voglia meglio di
to, che io miro In Dio, nel quale totto si
speeohia. Quattro cose to desideri adire
da me: V* Quanti anni sono passati dal
dì della mia creazione a qnest'ogglf
2^ Qnanto tompo io fai nel Paradiso tor-
reetoe, osslaquanto tempo trascorsedalla
mto oreaalone al primo Mio? d9 Quale fti
ressensa del primo ftllof 4^ Quale fin
la lingua da me creato e parlata t >
97. BBOGLIA: si muove, si dimena, e
ne* suoi movimenti s'avviluppa: cfr. Diet,
Wdrt, 1*, 88. V ardma prima < mostra la
lieto volonto di compiacergli, per messo
dello splendore di cui era vestito. Ad
esprimer ciò pi Poeto] osa la similitu-
dine di nn animale die coperto d' un
panno si agito tà che si veggano i suoi
moti di sotto la copertoni, e flMsda in
tal goisa manifesto dò che brama. Non
felice oomparasione, e non chiaramente
espressa. > L. Veni,, Simil., 416. Vera-
mento la ehiaressa non manca.
98. SI PAUi si manifesti I cfr. If\f.
XXI, 68. Pwrg. XIII, 7.
99. L'iMVOOLLà: dal lat. involvtré, l'in-
volucro, la copertura.
101. OOYIHTA: copertora di Inoe e di
raggi.
102. VERÌA GAIA: quanto si appresto-
va di buona voglia a compiacermi ; cfr.
Fan/,, 8tud., 186.
104. DA TR: ooA ì pih; alcuni leggono
invece Dantb. Ha 11 Poeto, Il quale re-
gistrò di necessito una sola volto il pro-
prio nome, non lo avrà certo registrato
un' altra volto qui, dove veramente non
era necessario; confr. Purg. XXX, 66.
Oom, Lipt, III, 709 e seg. Jfoort, Orit.,
483 e seg.
108. Spbolio: specchio; Dio. Cfr. Par,
XV, 62.
107. PABCOLnSL'ALTBS: Al. PABKGLIO
L' ALTBB ; PABBOLIO ALL* ALTBB. DÌO « tut-
to comprende e nulla può lui compren-
dere; e noto lo modo del parlare: la po-
pilla si fa pareglio della cosa veduto, in
qnanto quella spera visiva, eh' entro vi
ai moltiplica, è colorito e Ugurato al
modo della detto cosa veduto; cosi In
Dio si vede tutto, e però in quanto ìtì si
vede, elio si pareglia a quelle cose che In
lui si vedono ; e però dloe chb fa di bè
PABEOUB L' ALTBB COBB (Ott. PABBOLIO
A L' ALTBB). B RULLA FACB CioÒ Ch' altra
cosa non è che possa comprendere Dio ;
in esse non si può specchiare. *An, Fior.,
Lan., Ott. Sulle svariatissiroe lesioni ed
Interpretazioni di questo toraina cfr.
Oom, Lipi. 111,710-712. -JJme.: *che
fa di «è pareglio V dUre eoee, quia Deus
omnia comprehendit et oontinet in se,
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966 [CIELO OTTAVO] PAB. XXVI. 108-128 ti® FALLO B V» TIMPO}
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E nulla face lai di sé pareglio.
Ta vuoi adir qoant'è che Dio mi pose
Neil' eccelso giardino, ove costei
A cosi langa scala ti dispose,
E qaanto fd diletto agli occhi miei,
E la propria cagion del gran disdegno,
E r idioma ch'usai e ch'io fei.
Or, figliaci mio, non il go&tar del legno
Fa per sé la càgion di tanto esilio,
Ha solamente il trapassar del segno.
I Quindi, onde mosse tua donna Virgilio,
Quattromila trecento e dae volumi "^^z
Di sol desiderai questo concilio ; v^
E vidi loi tornare a tutti i lumi
Della sua strada novecento trenta
Fiate, mentre eh' io in terra fu'mi.
et non e converso; nnde dldt: e nvUa,
scilioet ree, face luiparegUo di $è, idest,
et nil comprebeDdit vel continet enm,
qa{a nnlla rea est in qna appareat totns
Deas tamqaam in speculo , sed bene
omnia apparent in speonlo Dei. > - Oom.t
« Nella divina essensa sonovi le imaKini
perfètte delle cose, ma in ninna di queste
oose v' è la imagine perfetta di Dio. Pa-
BKOLio è Imagine perfetta del sole. (?) »
109. udib: Al. 6APBB, lesione troppo
sprovvista di autorità, oltreché Dante
espresse il desiderio di udire, v. 90.
110. OIABDINO : nel Paradiso terrestre,
dove Beatrice ti fece abile a salire la
lunga scala dei cielL
112. FU DILETTO : e quanto durò quel
diletto del Paradiso terrestre, quanto
tempo vi stetti.
118. PB0PB1A: vera, essensiale. - di-
BDEGMO; deirira di Dio contro tutto il
genere umano.
114. B L' IDIOMA : e la lingua che lo in-
ventai e parlai ; cf^. Oen. U, 19. De Tvlg.
El. I, 6.
V. 116-117. JI primo peccato, Ri-
sponde Adamo alla tersa delle quattro
questioni proposte. Di tanto etiUo, quanto
seguitò poi, deir umana generasione dal
Paradiso terrestre, non ta di per sé stesso
cagione V aver gustato il frutto dell* al-
bero vietato, ma l'aver trapassato fi
^ano della natura umana in ciò, ohe
'Uno volle essere come Dio. Il suo ta
dunque un peccato e di disabbidlensa e
di superbia. Ctc. Jok. Danuu,, DejiM
otUutd. II, 80. Petr. Lomb., Semt.U, 2S,
Hug. a S. Viet,, Erud, theol. de Sacnm.
I. 7, 84. Thom. Aq., Amh. theeU II, U,
168, 1, 2.
V. 118-128. II primo tempo. Bispon-
de Adamo alla prima delle quattro do-
mande : * Quanto tempo scorse dalla sua
creasione al 1800t ' «Fui 4302 anni nel
Limbo e 930 anni sulla terra. » Dallaexea-
alone di Adamo alla morte di Crislo pas-
sarono dunque 6232 anni, e dalla morte di
Cristo alia visione dantesca 1266 anni, in
tutto anni 6498. La data degli aimi della
vita di Adamo ò tolto dalla Gmeti, V, 5;
r altra da Eusebio, che pone la nasdta
di Cristo neir anno del mondo 6200 ; ett.
Purg. XXXIII, 62. Ootn, Lipe, II, 785.
118. QUINDI: AL QUIVI; nel Limbo,
donde Beatrice fece partir Virgilio; ofr.
Itkf. U. 62 e seg.
119. VOLUMI: movimenti, rivoloaioid.
Follimi dÀ tote «» anni. « Addo qaod a»-
sidua rapltur vertigine ooelnm, Sidera-
que alto trahit oeleriqne volomine tor-
qnet»; Ooid., MeL II, 70 e seg.
120. oONauo: dei beati; ofr. Ptarg.
XXI, 16.
121. LUI : il sole. - LUMI : segno dello
Zodiaco. Vidi il sole tornare 930 volto a
tutti Isegni dello Zodiaco — vissi 930 anni.
123. FU'MI t mi fui: vissi; oonfr. Pvrg.
XXII, 90. 0X>1^
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[CIELO OTTAVO]
PàB. XXYI. 124-187 [PRIMA LINOUA] 967
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186
La liDgaa ch'io parlai, fd tutta spenta
"^ Innanzi assai ch'all'ovra inconsammabile
Fosse la gente di Nembrot attenta;
Che nullo efiFetto mai razionabile,
Per lo piacere uman ohe rìnnovella
Seguendo il cielo, sempre fu durabile.
Opera naturale è ch'uom favella;
Ma, cosi 0 cosi, natura lascia
Poi fare a voi, secondo che v'abbella.
Pria ch'io scendessi all' infernale ambascia,
/ s'appellava in terra il Sommo Bene,
Onde vien la letizia che mi fascia ;
EL si chiamò da poi, e ciò conviene ;
Che l'uso de' mortali è come fronda
y. 124-188. Za prima Hnffua. Ri-
sponde «Ila quarta domandft: ' Quale fti
\m Ungoa parlata da Adamo? ' « Qaeeta
lingua era totalmente spenta già prima
della conftaeione babelica. » A q noeta ri-
apoeta è annesso nn accenno all' origine
delle lingne ed al cambiamento del nome
eoi quale fti chiamato 11 Sommo Bene.
124. BPKifTA: nel De Vulg, El. Dante
lasciò scritto, I, 6, ohe la lingua di Ada-
mo ta parlata da tutti i suoi posteri sino
alla confusione babelica, e dagli Ebrei
anche dopo ; qui esprime, non si sa bene
perchè, una opinione tutto diversa. Cfr.
Oom. IAp$, III, 714.
125. nooHBUMMABiLK: impossibile a
compiersi, la torre di Babele dovendo
giungere, secondo il proposito degli edi-
ficatori, sino al cielo ; cfr. Oeneti, XI, 4.
126. Nembrot: cfr. Inf, XXXI, 77.
Purg. XII. 84.
127. irPITTO: Al. AFFITTO. « "E» om-
iies differentiie, atque sermonum varie-
tatee, quid accidunt, una eademque ra-
tlone patebit. Dldmus ergo, quod nnl-
Ina effectus superat suam causam, in
quantum eflbctus est, quia nihil potest
effloere, quod non est. Cum igitur omnis
nostra loquela (prster illara homini primi
ooncreataro a Beo), sit a nostro benepla-
cito reparata post confaslonem illam,
qu» nii fuit aliud, quam priorie oblivio,
et homo sit instablllssimum atque ra-
riabilisslmnm animai, nec dnrabilis nec
oontinna esse potest; sed sicut alia, qu»
Bostoa suBt, pota morse et habitus, per
looonim tempommqne distantias variari
oportet»; DeVxUff. Eloq. I, 9.-bazIona-
BiLB: ragionevole, proveniente dall' ar-
bitrio dell'anima rasionale. «La lingua
ta effetto prodotto dall' uomo rasionale.
n talento dell' nomo non è immutabile,
oome non è immutabile 1* influsso che
scende dagli astri. Perciò il linguaggio
si mutò. » Oom,
128. PKU LO PIACERE : csusa l'appetito
degli uomini ohe soggiace a cambiamen-
to, secondo la posizione e l' influsso degli
astri.
180. OPIRA NATURALE : il Significare
con segni esterni i proprii pensieri ed
aflistti è opera di natura ; il Atrio in que-
sto o in quell'altro modo dipende dal-
l' umano arbitrio.
182. v'abbella: vi par bello, vi piace ;
cfr. Purg. XXVI, 140.
133. ambascia : al Limbo, che è la par-
te prima, superiore dell'Inferno; cfr.
Purg. XVI. 8i>.
134. I: può essere l'ioisiale del nome
Ithovah, od anche un antico simbolo ca-
balistico di Dio. Altre lesioni : el, l, ux,
T. Cfr. Oom. Lipt. lU, 716-720. Moor;
Orit., 486 92.
135. ONDE: dal quale deriva la mia
beatitudine.
136. El : nome solito di Dio nella lin-
gua ebraica C / K, il Forte, il Possente)
che Dante prese forse da S. Isidoro, Etim.
VII, 1 : e Primum apud HebrfBos Dei
momenELdicitur, secundum nomen eloi
est. » Cfr. De Vulg. BL I, 4.
137. COME FRONDA : « Omnis caro sicut
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[CIBLO OTTATO] PAB. XXVI. 188-142
[PRIMA DIX01U}
189
143
In ramo, ohe sen va ed altra viene.
Nel monte che si leva piii dall' onda,
Fn' io, oon vita pnra e disonesta,
Dalla prim' ora a quella che seconda.
Come il sol mata quadra, V ora sesta. >
foenom yetenuMt, et dont foMnmfrno-
tiflouit in arbore viridi »; JBóOet. XTV,
18. Cfr. Hom^., IL VI, 181 e Mg. Ho-
rat,. Art pottiea, 00 e seguenti. Ckmviv,
II, li.
y. 189-142. Za prima dimora, Bi-
sponde finalmente alla domanda quanto
tempo egli dimoraese nel Paradiso ter-
restre. Intorno a questo punto vi fu-
reno diversi pareri. Alcuni credettero
ohe Adamo dimorasse sette anni nel
giardino di Bden, altri 34 anni, altri 40
giorni, altri 8 giorni, ed altri {Ireneo, (X-
HUo, Bp^fiMio, eoe.) soltanto alcune ore.
Seguendo l' ultima opinione, Dante am-
mette che Adamo peccasse in qneUo stes-
so giorno nel quale fh creato e non di-
morasse nel Paradiso terrestre che da
sei a sette ore.
189. MONTE : nel Paradiso terrestre,
sulla dma del monte del Purgatorio che
più d' altri monti terrestri si innalsa so-
pra il livello del mare; cfr. Purg, III,
14 e seg.
140. PURA: innocente; dall'ora della
creadone al godimento del frutto vie*
tato. - DISONESTA : deturpata dal pecca-
to ; dal godimento del frutto vietato sino
al momento che fti discacciato dal Pa-
radiso terreetre.
141. rBiM* OBA : del giorno nel quale Ai
creato.-BE€X>HDA : seguita, accompagna;
cfr. Purg, XVI, 83 j XXHI. 128 ; XXIX,
91. Par, I, 84, eoe. AL CH'i seconda.
142. COME: quando, tostoohè; cfr. 1$^,
IX, 109; XXTI. 29, 186. Pvtrg. TV, 07. ecc.
-QUADRA : quadrante (Pm^. IV, 42. Par.
XrV, 102), un quarto di oerohio, oeda
un angolo di novanta gradi. Ogni sei oce
il sole muta quadra, percorrendo in tan-
to tempo la quarta parte del suo gin»
intomo alla terra. « Dicendo che visse
nel Paradiso terrestre oon vita innocente
e rea dall'ora prima del dì a quella ohe
succede all'ora sesta, come (cioè quando)
il sole mtOa quadra, esprime la opinione
tenuta da vari scrittori antichi, ohe Ada-
mo soggiornasse nel terrestre Paradiso
sette ore soltanto; perchè, supponendo
che la creazione avvenisse in primavera,
il giorno propriamente detto constava di
dodici ore, e la sesta cadeva sul messodi,
quando il sole muta quadra, cioè quan-
do passa dalla prima quarta parte del
giorno completo di ventiquattr'ore alla
seconda»; Antoneìli.
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[OIBLO OTTAVO] % PAB. XIYII. 1-9 [INNO] 969
CANTO VENTESIMOSETTIMO
CIELO OTTAVO 0 STELLATO: SPIRITI TRIONFANTI
PREDICA DI SAN PIETRO CONTRO I PONTEFICI ROMANI
« DOLORE CELESTE, SALITA AL NONO CIELO
CIELO NONO 0 cristallino: gerarchie ANGELICHE
NATURA DEL PRIMO MOBILE
BELLEZZA CELESTE E CORRUZIONE TERRESTRE
« Al Padre, al Piglio, allo Spirito Santo »
Cominciò < gloria ! » tutto il Paradiso,
S) che m'inebbriava il dolce canto.
4 Ciò ch'io vedeva, mi sembrava nn riso
Dell' universo ; per che mia ebbrezza
Entrava per l' udire e per lo viso.
7 0 gioia ! 0 ineffabile allegrezza I
0 vita intera d' amore e di pace I
0 senza brama sicura ricchezza !
V. 1-9. Ttmo di réngrturiamento, 8. m' m raBUAVA ! ofr. Salm.XXXV,
Tutto il Pftnullso intaona an inno di 9 : « Inebriabnntor ab nbortato domos
grado, inoomindando : Gloria al Padre, tam. »
al FigHo ed aUo Spirito Santo I lì Poeta 8. nrmA : ofr. Par. XXII, 64 e aeg.
òinebbriato dalla dolcezsa di qoel canto; 9. senza brama: « il desiderio esser
il trlpadlo di quello splendore gli pare non pnò odia beatitadine, aodocohò la
un riso dell'universo; onde la soa eb- beafcltndine da cosa perfetta e il ded-
bressa è doppia, entrando per l' ndito derio da cosa difettiva; che nullo desi-
ool canto e per la vista coUo stevillar dora quello ohe ha, ma qaello ohe non ha;
de* beati. Prorompe in una esclama- eh' ò manifesto difetto »; Otmv. III, 16.
alone nella qnale celebra quella inef- Ctr,Petrar.,Oamonifrel,Son,CLyiIIf
IkbUe gioia, quella vita intera, tutta amo- 1 e seg.
re e pace, quella riochesxa che, a diffe- V. 10-37. Invettiva eont>ro i romani
k delle riochesse della terra, non ò jHmte/Ioi. Al canto dell' inno alla SS. Tri-
turbata né dal timore di perdita, né dal nità succede un profbndo silenrio. I quat-
deaiderio di maggiore acquisto. tro lumi di ohe si vestono le anime beate
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970 [CIELO OTTATO] PAE. IITH. 10-25 ElHTETTIVA DI B. PIBTBO]
10
IS
16
10
22
25
Dinanzi agli ocohi miei le quattro face
Stavano accese, e quella che pria venne,
Incominciò a farsi più vivace;
E tal nella sembianza sua divenne,
Qoal diverrebbe Giove, s' egli e Marte
Fossero augelli, e cambiassersi penne.
La Provvidenza, che quivi comparte
Vice ed officio, nel beato coro
Silenzio posto avea da ogni parte.
Quando io udi' : < Se io mi trascoloro,
Non ti maravigliar; che, dicend'io.
Vedrai trascolorar tutti costoro.
Quegli eh' usurpa in terra il loco mio,
Il loco mio, il loco mio, che vaca
Nella presenza del Eigliuol di Dio,
Fatto ha del cimiterio mìo cloaca
di Pietro, Iacopo, Olovanni ed Adamo,
stanno aooesi dinanzi al Poeta. Infiam-
mato di santo sdegno, il Inme in che
splende San Pietro, si fa pia yiraoe e ros-
so, qnal diverrebbe il pianeta Giove, se
matasse il sao colore in quello di Ifarte.
E San Piero esclama : e Non maravigliarti
se io cambio colore (ÌEwendomi rosso ; che,
mentre io parlo, vedrai cambiar colore e
farsi rossi di santo sdegno tutti costoro.
Ck>lui che in terra usurpala mia sede pon-
tificale, ehe agli ocohi di Cristo è vacante,
ha fatto di Roma, dove il mio corpo ò se»
polto, una sentina di tante crudeltà e li-
bidini, che Lucifero ne consola laggiù
nell* Infèrno il suo rabbioso dolore. » Se-
condo la flnsione poetica, Y invettiva è
diretta contro Bonlfiuio Vili : ma certo
prende di mira anche Giovanni XXII,
il Oaortino, menzionato nel v. 58, e ohe
Dante morde fieramente anche altrove;
cfr. Par. XVIII, 180.
10. FACB; faci, fiaccole; cfr. Nannue.,
Komi, 241 e seg.
11. QUBLLA: S. Pietro; cft. Par. XXIV,
10 e seg.; XXV, 13 e seg., 100 e seg. ;
XXVI, 70 e seg.
14. Giow: «che intra tutte le stelle
bianca si mostra, quasi argentata»; Oonv.
II, 14. - Mabtx: che « appare aflbcato
di colore »; Conv, II, 14. - « La luce
bianca come quella di Giove, a questo
^nnto si trasformò, per accensione di eo*
in luce rossastra come quella di Marte.
Chò viene a indicarsi col oambio delle
penne tra Giove e Marte, se foaserQ no-
oelli : cosi si rammemora dal Poeta! ohe
la luce di ohe risplendevano qnei beati
spiriti, era oosa distinta dalla leroeaoen-
sa, e quasi una specie di manto. » AnU
17. VICI ED OPFiao : l'avvioendarsl del
cantare, del parlare e del tacere, del nao-
to e della quiete, ed assegna a daaofae-
dnno U suo ufficio particolare.
21. COSTOSO: e quasi a dire: Koi beati
siamo congiunti in una gloria e in uno
amore ; e però, al come io m* adirerò,
tutta questa eompagnia s*adirerà 9;Lan.,
Ott., -In. Fior,
23. IL LOCX) : terribile ripeticione ; ofr.
Gerem, VII. 4, 11. -vaca : è vaoaate agii
occhi di Cristo, perchò Ulegittimameote
occupato e bruttamente abusato.
24. lOELLA PSRSKinA: « ucn dioe asso-
lutamente che vachi, pwoiooohè segui-
rebbe che non fosse vero e legittimo pa-
pa, e per ooosequente non varrebbe ooaa
che fisoesse, ma vaca nel oonspetto del
Figlinol di Dio. perohè ha pervertito Tof-
fioio suo, e per eonsequente Cristo lo
riprova come apostata. Kon vaca adun-
que tra gli nomini perchò il suo decreto
valcMaquanto a Dio non tiene tal grado
di ragione, ma lo usurpa. » Land. - del
FiGUUOL: di Cristo, fondatore e capo
della Chiesa, cui il Padre diede ogni eoa»
in mano ; ofr. Jfott. XI, 27 ; XX VUI, 1&
25. amTKRio : Boma, dove, secondo la
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[CIELO OTTAYO]
Pab. xxni. 26-88 [«idei beati! ^71
38
81
34
87
Del sangue e della puzza; onde il perverso.
Che cadde di qnassò, laggiù si placa. »
Di quel color che per lo sole avverso
Nube dipinge da sera e da mane,
Vid' io allora tutto il del cosperso.
E come donna onesta che permane
Di si sicura, e per l' altrui fallanza,
Pure ascoltando, timida si fané;
Cosi Beatrice trasmutò sembianza;
E tal eclissi credo che in ciel fue,
Quando pati la suprema Possanza.
Poi procedetter le parole sue
Con voce tanto da sé trasmutata,
tradisione, ta sepolto S. Pietro ; ofr. Par,
IX, 139 e seg.
20. SAMOUS: spano innocentemente.-
puzza: dei Tisii e delle tnrpitadini; ofr.
Boceac,, Deeam. I, 2. Petrarca, Oamo-
nUré, Son. GVII. - il pkrvbbso: Lad-
fero. efr. If\f. XZXIV. 12L e aeg.
27. LAOOiù: nell'Inferno. -SI placa: è
pago, si rallegra. « La rabbia de' tristi ò
per pooo attotata dalla gioia del male;
poi di male nnovo bramosa, rinflerisce»;
V. 28-39. Ira dolente dei beati. Si
avrera par troppo oiò ohe S. Pietro ha
detto : Dicénd* io, Vedrai trateolorar tutti
eottoro. Così grande ò la oorraxfone della
Ck>rte papale, che all'adirne parlare tatti
quanti i beati del cielo, pieni di orrore,
di ribresso, di santa e dolente ira, ma-
tano colore, infocandosi come la norola
quando trovasi opposta al sole, da mat-
tina o da sera. Cogli altri anche Beatrice
si trascolora, come donna onesta, inno-
cente e pudica, che arrossisce alla sola
narrazione di colpa altrni. Tatto quanto
il d^o si oscura, forse come aTrenne alla
morte di Cristo.
28. color: rosso, -pbb lo bolk: per
lo stare il sole di riscontro; cfr. Ovid,,
MeL III, 188 e seg.
29. HUBB: caso obliquo, -da HAini: la
mattina: cfìr. In/. XXXIV, 118. «Qael
rossore nel quale si tingono li nuvoli, na-
sce quando il sole si trova aeli orissonti
da sera o da mattina »; Leon, da Vinci,
Tratt. d. piti,, 7.
81. PCRifAHB; rimane, i«8ta nel mede-
simo stato; of^. Par. II, 86.
32. sicuBA: avendo la oosolensa della
propria innocensa. - fallamza : fsllo,
errore.
88. 81 FAifBt si lift timida, arrossisce.
88. Possanza: GesùXrlsto; cfr. Matt.
XXVII.Ì5. Jfar«o, XV, 83.JDt*4W.XXni,
44-46. Thom, Aq., Bum theol. Ili, 44. 2.
V. 87-80. Corruitione dot ehiorieato.
Infiammato sempre più di santo sdegno,
e con voce alterata, non meno di quel che
fosse gik alterato il suo aspetto, continua
San Pietro la tremenda sua predica. La
Chiesa, sposa di Cristo, non ta allevata e
nutrita del sangue mio e dei martiri per
accumulare tesori terrestri ; ma solo per
ereditare la celeste beatitudine, i martiri
sparsero il loro sangue, dopo aver molto
pianto e sofferto. Non ta la nostra in-
tensione ohe parte del popolo cristiano,
cioè i Guelfi, sedessero alla destra dei
papi nostri successori e godessero di
tutto il loro favore, e che un' altra par-
te, i Ghibellini, sedessero alla sinistra,
e fossero trattati come nemici. Né ta
nostra intenzione ohe le chiavi del re-
gno de' Cieli affidate a me da Cristo (cfr.
MaU, XVIII, 18), divenissero insegna
di guerra nella bandiera papale, spiegata
. per andare aoombattereoontroioristiani;
né fu nostra intensione che l' immagine
mia servisse a sigillar bolle vendute per
denari e fondate sopra mensogne, - tutte
cose ohe mi fanno sovente arrossire di
vergogna e sfavillar di santa ira. Guar-
dando giù dal cielo in terra si veggono
ovunque nella Chiesa, in tutte quante le
diocesi, lupi rapad in veste di pastori.
Perchè, o Dio, non sorgi tu alla difesa del
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972 [CIELO OTTAVO] Pab. XXVIl. 8»-66
[nft. DI 8. PDBTBOj
40
4S
48
49
52
65
Che la sembianza non si moto piùe :
€ Non fa la sposa di Cristo allevata
Del sangue mio, di Lin, di qnel di Cleto,
Per essere ad aoqaisto d' oro usata ;
Ma per acquisto d'esto viver lieto
E Sisto e Pio e Calisto ed Urbano
Sparser lo sangue dopo molto fleto.
Non fu nostra intenzion oh' a destra mano
Dei nostri successor parte sedesse,
Parte dall'altra, del popol cristiano;
Ni che le chiavi, che mi fur concesse,
Divenisser segnacolo in vessillo,
Che centra i battezzati combattesse;
Né eh' io fossi figura di sigillo
Ai privilegi venduti e mendaci;
Ood'io sovente arrosso e disfavillo !
In vesta di pastor lupi rapaci
tao gregge? Del patrimonio donato alla
Chiesa da* Meli per divoaioiie al sangue
nostro, s* apparecchiano ad impingoarsi
Caorsini e Ooasohi. Ahi, baon principio
della pontiaoia dignità, a qoal vii flne sei
tn mai glnntol »
39. PIÙB: più ohe la rooe. « Rinnalza
ora e ravviva la espression dello sdegno
col rinforsar della voce, la qnale parca
un' altra da quella delle prime parole ;
il che lift Immaginar nn suono via più spa-
ventevole »; Oet,
40. BPO&à: eh. Par. X, 140; XI, SS.
41. Lm : lino, secondo la traditone il
primo suocessoredi San Pietro t otr.Iren.,
Adv, har. ni, 8. 8. Buieb.,HiH, ted. lU,
2 e 18. Augwt,, Ep,, 63. Kratu, Soma
i<>Uer., 2* ed., p. 08 e 682. -Cleto: uno
del primi vescovi di Boma; secondo al-
cuni, lo stesso che Anacleto, successore
immediato di Lino; secondo altri, suocee*
sere di Clemente ed antecessore di Ana-
cleto; cfir.Irsf»., 1. e. Butàb„Hiit,ée€Ì.TII,
2, 13, 81. TertuU,, DeprcBseript., 82. Con-
§tU. apo$tol, Y, 40.
42. PER ESSERE: affinchè i loro succes-
sori ne fiMeesero poi traffico.
44. Sisto: martire, vesoovo di Roma
dal 117 al 120 (secondo la tradÌKione).-
Pio : vescovo di Roma dal 141 al 160 ; cfr.
SttMéb,. HUt. 9ceL IV, 11; V, 9,lrén.,Ooia.
h49r. Ili, 8. Murat, Script. Ili, 90. -CA-
LISTO : vescovo di Roma al tempi di Elie-
gabalo e di Alessandro Severo dal 217 al
222; ofr. Baro»., AnnaL eeU. II, ad a.
220-220. -XTebaho: successore di CaU-
sto, vescovo di Roma dal 222 al 280 ; efr.
Bu$eb., Hitt. ecd. VI, 21. Oom. Lip$, HI,
728eseg.
46. FLETO : lat. fietut, pianto, lamento ;
ofr. Par, XVI, 180. SoflHrono il mar-
tirio dopo una vita condotta nell' ama-
resxa e nei dolori di lunghe ed atrod
perseousioni.
40. ▲ DESTRA : cfr. ifott. XXY. 83.
A destra i benedety; a sinistra i male-
detti.
47. PARTE: i Guelfi, fisvorlti dai ps»-
teflci.
48. PARTE: i Ghibellini.
60. SROHACOLO: slu dall* aitto 1228
r esercito pontificio si chlamav» dUcsi-
tegnato, perchè portava per divisa le
chUvi della Chiesa. Cfr. JV- XXVH,
86 e seg. Marat., AnnaU d^ItmUm, aU*a.
1229.
62. nouRA: l' immagine di San Pietro
nel sigillo papale.
68. VRHDim E MENDAa: Morde la si-
monia e la fiUsità della corte pontificia.
64. DiAFAViLLO : m* infiammo.
66. LUPI: cfr. Jfott. Vn, 15. - • Ac-
cenna ai vesoovi delle particolari dices-
si »; Oorn,
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[CIBLO OTTAVO]
Pab. xxyii. 56-71 [nrv. di s. pibtbo] 978
58
ei
67
70
Si veggion di quassù per tatti i paschi:
0 difesa di Dio, perchè pur giaci?
Del sangue nostro Caorsini e Ouaschi
S'apparecchian di bere : o buon principio,
A che vii fine convien che tu caschi !
Ma l'alta Provvidenza, che con Scipio
Difese a Boma la gloria del mondo,
Soccorra tosto, si com' io concipio ;
E tu, figliuol, che per lo mortai pondo
Ancor giù tornerai, apri la bocca,
E non asconder quel ch'io non ascondo ! »
Si come di vapor gelati fiocca
In giuso l'aer nostro, quando il corno
Della Capra del ciel col Sol si tocca;
In su vid'io cosi l'etere adomo
Farsi, e fioccar di vapor trionfanti,
56. PABCBi : per tutto le regioni del
mondo oHstiAno.
57. DIVISA : protosione, vendetta. Al.
o VKVDBTTA. Cfr. Moore, Cfrit., 402. O
Dio, dÌfen4ore della tua Chiesa, perchè
to ne stai inoperoso: « Bzorgef qnare
obdormia, Domine f Exnrge, et ne repel-
la* in flnem. » Salm. XLIU, 28.
58. BAXGUK: patrimonio della Chiesa,
fratto del sangue dei martiri. - Caobsihi
B OujLBCHl: 1 doe papi Clemente V di
Onasoogna(ofr. It^. XIX. 82eseg. Purg,
XXXII, 148 e seg. Par. XVU. 82), e Gio-
rannl XXII di Caoraa (cfr. Par. XVUI.
180), insieme oolie loro creatore Qnasoo-
ne e Caorsloe.
y. 61-63. Soecorwo i!peraeo.« LaProT-
yidenia divina, ohe mediante il valore
di Scipione mantenne a Soma 1* Impero
del mondo, quando esso per le vittorie
di Annibale era nel sno maggior peri-
colo, aoooorrerà presto alla pericolante
Chiesa, oome io oonoepisoo, scorgo in
Dio.»
61. Scino: il vincitore di Annibale;
oonfr. JV. XXXI, 116. Purg. XXIX,
U6. Pmr. YI, 68. Oonv. IT, 5. DeMon.
U, 11.
V. 64-66. Mi$9Ume di JMmte. S. Pie-
tro termina la sna terribile predica in-
giongendo al Poeta di raccontare nel
mondo ciò die in cielo ha veduto ed udi-
to. «Tu, flgUnol mio, che per non essere
anoon Ubsrato dal peso delle membra
mortali ritornerai giù nel mondo, parla,
e non tener celato nulla di dò chelo ti ho
rivdato. »
Y. 97-15. mtomoaWSmpireo, Do-
po che S. Pietro ha sfogato il suo sde<
gno, tutti i beati, che al levard di Maria
in alto dietro al di vin sno Figlio d erano
fermati là presso a Dante e Beatrice
(Par. XXIII, 127 e seg.), ritornano an-
ch'esd al cH^Ao empireo. Dante li accom-
pagna collo sguardo, finché per la gran
lontananxa non 11 vede più.
67. si COME: cod, come cade la neve
a flocchi sulla terra, quei lumi fioccaro-
no inversamento all'insh. Cfr. Vita N.
^ 28, eam. 2*: « B vedea (che parean
pioggia di manna) Oli angeli ohe tor-
na van suso in delo.»
68. cosNO: il Caprioomo, nella ool co-
stolladone ò il sole nel sdstido inver-
nale.
60. 81 TOCCA : quando il sole ò in Ci^ri-
corno cfr. Virg., Oeorg. II, 821 e seg. -
« Sì come avviene quando lo sole è in
Capricorno, eh' è entro messo genndo,
ch'alcuna volto l'dere fiocca, cioè ne-
vica, e elio d vede discendere gli fiocchi
della neve 1* uno dopo V altro, ed esseme
r aiere piena, cod quella benedetto con>
gregadone ascendeva in suso e adornava
quello etere delle sue beUesse. Vt^pori
trior\farai : dò sono quegli santi che sono
nelle ecdesia trionfluito, la qnde è la
oongregadone celeste. » A|i. Fior^ Lan.
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974 [CIELO NONO]
Pab. xxtii. 72-86
[SALITA]
78
7«
79
Che fatto avean con noi quivi soggiorno.
Lo viso mio seguiva i suoi sembianti,
E segni in fin che il mezzo, per lo molto,
Gli tolse il trapassar del più avanti.
Onde la donna, che mi vide assolto
Dell'attendere in sa, mi disse : < Adima
H viso, e guarda come tu sei vòlto I »
Dall'ora ch'io avea guardato prima,
Io vidi mosso me per tutto l'arco
Che fa dal mezzo al fine il primo clima;
Si eh' io vedea di là da G-ade il varco
Folle d'Ulisse, e di qua presso il lite
Nel qual si fece Europa dolce carco.
E più mi fora discoverto il sito
Di questa aiuola; ma il sol procedea
78. 1 SUOI BBMBiAim : i loro splendori.
Buoi per loro, come Purg. XI, 12. Par.
XIX. 114, eoo.
74. IL MEZZO : lo tpMio di moKio tim
rocchio ed i vapori trioryfanH. - pkb lo
MOLTO: per essersi flstto troppo grande.
In sosUnsA: Gnard»! loro dietro, finché
per la gran distansa non li vidi più.
75. TOLSE: impedi. -DEL più avanti :
dello spazio di là. Modo di dire, per U
trapanar più avanti.
V. 7e-d9. SaUta al cielo orUtalUno,
o9oia al primo mobUo, Vedendolo li-
bero dal mirare all' insù oome prima fì»-
oeva, Beatrice dice a Dante: « Abbassa gli
occhi,' e mira quanto il delo ti ha aggi-
rato intomo alla terra in questo spade
di tempo. » Il Poeta volge di nuovo lo
sguai^do alla terra, oome aveva (ktto ap-
pena giunto nell'ottavo cielo. Quindi per
impulso d*amore fissa gli occhi in Bea-
trice, e la vede, come di solito, Citta più
bella e più ridente. La virtù che gli pre-
sta lo sguardo di lei, lo innalsa subito
nel nono cielo, ossia nel primo mobile.
78. ASSOLTO : Al. AsaoLTO ; libero dal
mirare in su.
77. ADIMA t abbassa lo sguardo alla
terra.
78. VÒLTO : girato ; girano col primo
mobile, velocissimo.
7». dall' OBA: cfr. Pitr. XXn, 127
e seg. Entrando nel cielo stellato erasi
trovato nella costellasione dei Gemelli,
meridiano di Gerusalemme; adesso si
trova spostato di M gradi verw occi-
dente, onde vede l'Oceano Atlantico fA-
tre lo stretto di GibUterra. Cfr. Poato,
Oro<. Dani., $ 21. Détta VatU, Smoo, 120
e seg. Mariani, La D. O. Mpoka ai giom^
p. 278 e seg. AgikéUi, Topo-eronogrujtm
dttl viaggio dantstco, 129 e seg. Oùm,Lip§.
lU. 738 788.
81. CLIMA: la prima sona. « diti di-
oevansl ab antico le sona neUe qnaU si
divideva lo spasio terrestre dall' equa-
tore ai polL In questi oliati al Botava
la largheaza ed era l'andare dall'equa-
tore ai poU, e com'è chiaro, variavaae
per stagione ed erano di versameata prò-
porsionatl alle varie specie degli animali
La lunghexsa loro era da est ad ovest.
Prima (XXII, 151) avea veduta la tetta
(V aiuola), stando nel meridiano ài Gen-
salemme. Ora ha percorso l'aroo ab.' è
una quarta parte di tutto il cerohio ter-
restre del tropico del Canoro, U quale
divide la sona torrida dalla soaa tempe-
rata. Cioè sono passate sei ore dalla pri-
ma veduta del canto XXII alla presente»
e da questo punto vedea lo stretto di Gi-
bUterra di là di Cadice, e di qua U lite fe-
nicio, (f) » Oom.
82. IL VASCO: ofr. JV- XXVI, 90-142.
88. IL LITO : della Fenicia, dovo Giove.
trasformatosi in toro, rapì Bnropa e sa
la portò via in groppa; cfr. Ovid., JM.
n, 632-875.
86. AIUOLA : cfr. Par, XXII, 151. « Da
quell'alteaaa Dante avrebbe potato di-
sooprire nell'aiuola terrestre, aacho una
parto più orieBli4e; ma U solo ohe M
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[CIELO NONO]
Par. xxyii. 87-100
[SALITA] 975
91
94
97
100
Sotto i miei piedi an segno e più partito.
La mente innamorata, che donnea
Con la mia donna sempre, di ridare
Ad essa gli occhi, più che mai, ardea ;
E se natura od arte fé' pasture
Da pigliar occhi, per aver la mente.
In carne umana o nelle sae pintore.
Tutte adunate parrebber niente
Vèr lo piacer divin che mi rifulse.
Quando mi volsi al suo viso ridente.
E la virtù che lo sguardo m'indulse.
Del bel nido di Leda mi divelse,
E nel ciel velocissimo m' impulse.
Le parti sue vieissime ed eccelse
Poeta ETe», da prima, sotto 1 piedi, quan-
do egli iroTaTaai nel aegno dei Gemelli,
era pattato ben innansi, allontanandoai
di più di un segno sodiacale, nel segno
del Toro; perciò ona parte dell'emisfero
orientale ohe s'afiRMsdava al Poeta dalla
•oa Tedetta occidentale, incominciava
necessariamente ad abbaiarsi, e però oc-
«oltavasi alla rista di Dante »; 2>0 Qub,,
Tar., 349. Ma dorante totta l' adone
del Poema il sole si trovò sempre in
Ariete ; mai in conginnsione col Toro.
87. PASTiTO: diviso, separato da me
più di nn segno sodiacale, cioè più di
nore gradi.
88. DomiBA: vagheggia la mia donna,
si compiace in lei ; cfr. Par. XXIV, 118.
89. BIDUBK: ricondarre, riaffissare. i2<-
dure oon una r (da ridueere, come /are
óm/aeere» dire da dieere) forma primitiva,
ohe più tardi si fece ridurre.
90. PIÙ CHS ìlki i in consegnenza dello
ogoardo vòlto alla povera aiuola. - ar-
pia : e Mihi mena iavenali ardebat amo-
re »; Virg., Am. VHI, 168.
91. HATUBA OD ABTB : OOnf^. Pwg.
XXXI, 49. L. VerU., Sim.t 469. - pabtu-
BB: cfr. Par. XXI, 19. Costr.: E se ns-
tara in carne umana, od arte nelle sae
rappreeentasioni fe' pastore, oon coi al-
letter gli occhi e conquistar qoindi V ani-
ma* tutte adonate insieme sarebbero on
nulla verso la bellessa divina ohe vidi
rtaplendere volgendomi al viso ridente
di Beatrice.
93. PBB aysb: « quia amor transit per
ocnlos ad animam »i Ben»,
98. IN OABNii : nella feccia di bellissima
donna.
95. YÉB : a paragone. - la bipulbk : mi
raggiò; cfr. Par. IX, 82, 82; XXVI, 78.
97. niDULSB : dal lat. indulgere^ mi con-
oesse, mi diede.
98. NIDO DI Leda: la Costellaxione dei
GemelU. Allude alla fevola, secondo la
quale i Gemelli sono Castore e Polluce,
nati dell'uovo di Leda, sedotta da Giove
sotto forma di cigno; cfr. Ovid., Heroid.
XVII, 56 e seg. HoraL, Are poet,, 147.
- MI DIVBL8B : mi allontanò ; cfr. Ii\f.
XXXIV, 100.
99. ciBL ! cristallino, o primo mobile.
- VELOCISSIMO : cfr. Oonv. II, 4. Della
Valle, Nuove Uluetrag., 129 e seg. - m' im-
pulse: dal lat. imp«Uers, mi spinse dentro.
V. 100-120. Natura del nono etolo.
Non potendosi indicare un luogo preciso
se non per qualche differensa che passi
tra esso ed altri luoghi, il Poeta non sa
dire qual parte del nono cielo fosse pre-
scelta da Beatrice alla sua entrata in
esso, tatto le sue parti essendo uniformi.
Ma ella, vedendo U suo desiderio di sa-
pere in qual luogo del nono cielo fosse,
gli dice : « Da questo cielo comincia tutto
il moto, ed esso ò mosso dal solo Dio, il
cui trono ò nell'Empireo immobile. Onde
l'origine del moto ò nel primo mobile, ed
in lui è la prima mlsaradel tempo.» Cfr.
Arietot., De Casio I, 9. Oonv. U, 4, 15.
Della Valle, Nuove UluetraM,, 180 e seg.
Oom. Lipe. Ili, 737 e seg.
100. VICI88IME : le più vicine e le più
lontane. « Dice l'autore : Io non so dire
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976 [CIELO NONO] Pab. XXVII. 101-113
[PRIMO MOBILE]
103
106
109
112
Si uniformi son, ch'io non so dire
Qaal Beatrice per loco mi scelse.
Ma ella, che vedeva il mio disire,
Incominciò, ridendo tanto lieta,
Che Dio parca nel suo volto gioire:
€ La natura del mondo, che quieta
H mezzo, e tutto l'altro intomo muove.
Quinci comincia come da sua meta.
E qaesto cielo non ha altro dove
Che la mente divina, in che s'accende
L'amor che il volge e la virtù ch'ei piove.
Luce ed amor d' un cerchio lui comprende,
Si come questo gli altri ; e quel precinto
In qual parte dell* nona spera Beatrice
mi poneaee, A oome io aeppi dire della
ottava ; però che le eoe parti sono si vi-
cine l'nna all'altra, e sono di «i alta nor
tura, e sono si corritpimdénH intismé, e
d*ana medesima forma, ch'io non scorsi
l'nna dall'altra»; OU. Al. viviasn», le-
sione troppo sprovvista di autorità, per
tacere ohe la vivacità e Véeedlema del
nono delo non haono qui che vedere, vo-
lendo Dante evidentemente dire che il
nono cielo è ovnnqne noiforme, onde non
si pQÒ distingneme parte da parte.
105. VOLTO: Al. VISO; il risodi Bea-
trice pareva nn sorriso di Dio stesso.
100. DKL MONDO: «qui, da questo nono
cielo comincia la natura del mondo, come
da suo principio itnsta)^ la qual natura
quièta, fa posare, il muto, cioè la terra, e
muov («tto V altro intomo, perchò muo-
ve non solameli te dalla terra infiiorì tutti
gli altri elementi, ma tutti gli altri cieli
ancora da lei contenuti. Onde il Filosofo
nel primo della Fisica: Natura ett prin-
eipium mctu9 et quietii. » VM, Al. dkl
MOTO, lesione del tutto priva di auto-
rità.
100. ÀLTBO DOVI : altro luogo ; cfk*.
Par, in. 88; XH, 80; XXII, 147, eoe
< Ciascun cielo è nel cielo superiore. Ma
il primo cielo non può essere In altro
cielo. » Oom.
110. IN OHE : nella divina Mente al ac-
cende il ferventissimo amore ohe tk gi-
rare il nono cielo; cfr. Oonv. II, 4.
111. L'AMOR: ciò ferventissimo appe-
tito che ha ciascuna sua parte.... d' esser
congiunta con d asmina parte di quello
dedmo delo di vinisslmo e quieto » ; Cbnv,
II, 4. Cosi Lan., OtL, An. Fior., Po§L
Oau., Lonib., Br, B., Frat., Oreg., Am-
drÉoli, eco. Al.: L'Intelllgensa motiiee
di esso ddo (Bmv., Buti, Land,, VdL,
Vént,Biag., Ootta,Bennat9.,Firmme.,teo4.
Altre interpretaiioni non sono attendi-
bili} cfr. Oom. Xnm. HI, 740 e seg. - pio-
ve: influisce in tutti gU altri deli aotto-
stanti, da esso contenuti; ofr. Pmr. II,
113 e seg.
112. LUCE: la luce e ramore di va solo
cerchio, cioè dell' Empireo (cfr. Pmr.
XXX, 89 e seg.), contiene in aè (cm»-
preruie) il primo mobile nello steaso m^
do ohe il primo mobile contiene In sé gli
altri cerchi inferiori, doè gli altri otto
deli; e quel cerchio (prtomlo p«r eer-
ehio, oome Ji^. XXIY, 84) di luce e di
amore non è inteso che da Ootaì ab» le
dnge, doè da Dio. Cfr. Oom, II, 4. Se-
pra le altre svariato interpretadoni efr.
Oom. Lipt, UI, 741. Oom, : « Solo Iddi*
con la sua luoe e od suo amora daga
questo delo, oome questo dnge gli al-
tri.-Hs^tiò.: «D primo mobile ohe di^
oonda tutte le altre sforo, è droondato
esso stesso d'amore e di hme; questo
amore e questa luoe spirano dirottammitc
nd primo mobile da Dio; le altre sfere
Dio governa invece mediatamente, per
messo dd primo mobile, degli angeli
motori; nessuno foor die Dio mlsinm,
ossia distingue, fooendolo ora plb rapido,
ora idù lento, Il moto dd primo OMbUa;
tutti gli altri moti dd mondo aono In-
vece misurati e temperati dal primo m»-
bUe. lì primo mobile è U testo ohe dà
legge, la radice dell'albero efae a* Infh»-
da nelle altre afore. »
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[CIELO NONO]
PAB. XXYII. 114-180 [CUPIDIGIE TEBE.] 977
115
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Colai che il cinge, solamente intende.
Non i suo moto per altro distinto ;
Ma gli altri son misurati da questo,
Si come dieci da mezzo e da quinto.
E come il tempo tenga in cotal testo
Le sue radici e negli altri le fronde,
Omai a te puot' esser manifesto.
0 cupidigia che i mortali affonde
Si sotto te, che nessuno ha potere
Di trarre gli occhi fuor delle tue onde !
Ben fiorisce negli uomini il volere ;
Ma la pioggia continua converte
In bozzacchioni le susine vere.
Fede ed innocenza son reperte
Solo nei parvoletti ; poi ciascuna
Pria fugge che le guance sien coperte.
Tale, balbuziendo ancor, digiuna.
115. DirmiTO : misurato. La distiiiKio-
ne sappone misara. Cfr. DeUa Valle,
Nuove Ultutr., 180 e seg.
117. COMB Disci: il 10 ò perfettamente
misurato da mexzo, <Aoè dalla sua metà
ohe è 6, e da quinto, doò dalla sna quinta
parte die ò 2, ansi è il prodotto di qnesti
dae numeri, moltiplicati fra loro.
118. TK8T0: in ootal vaso, nel primo
mobile.
119. BADICI: Tooonlta saa origine. -
ALTBi: negli altri tetti, negli altri deli. -
FBOKDE : i moti a noi visibili. « Fondando
noi r idea del tempo nel diamo moto,
ohe vediamo, de' pianeti, e di ootal moto
essendone cagione il diamo invisibile mo-
to del primo mobile, viene perciò il tem-
po ad avere in esso primo mobile, qaasi
pianta in teeto, in vaso, le radid sae na-
scoste, la nascosta saa origine ; e ne' pia-
neti le fronde, il misuratore a noi visibile
moto »; Lomb.
V. 121-141. Cupidigie terrene. I mor-
tali non comprendono le cose esposte
circa la natura del nono delo. perchè,
sommersi ndle terrene cupidigie, non
BODO pih capad di levare i loro sguardi
in alto alle cose eterne. Or^^Tf *^f mftr^^
l^li nomini incominc^aaio bene ; ma poi, per
KaosifDui stimoli al male, si femiio trisii,
£vagi; non aTtr!meùti cBB iTSoTTfai
' r effetto della continua pioggia
. — JHv. Oomm., 4» odiz.
invece di sudne vere suol dare quelle
abortive, ohe si chiamano bossacchioni.
Non e' ò più fede nò innocensa ; i costumi
sono corrotti ; i legami religiosi rilassati ;
le attinenze di famiglia pervertite. Il
moral candore attivo della spedo umana
col tempo si annera, e questo avviene
perchè in terra non è ohi governi.
121. o CUPIDIGIA : pensando a quel delo
dove hanno loro confine e termine la Na-
tura, lo Spade ed il Tempo, grida contro
gli uomini che dovrebbero essi pure de-
vard al di sopra della Natura, dello Spa-
zio e dd Tempo ; ed invece, accecati e
trascinati dalla cupidigia, corrono dietro
alle cose transitorie, negligendo i beni
celesti ed etemi. Cfr. De Mon. I, 9. - af-
fonde : affondi.
124. BEN : fiorisce bene, dà buoni fiori.
- IL VOLKEB: « Yelle adiacet mihi, per-
flcere antem bonum non invenio »; Bom.
VII, 18.
126. BOZZACcmoNi : Susine che suU' al-
legare sono guaste dagl* insetti per de-
porvi le loro uova, e che però s' amma-
lano, e, ingrossando ftaori del consueto,
diventano vane ed inutili.
127. BEPEBTE: trovate; dal lat. re-
perire.
129. COFBBTE: dai peli della barba;
cfr. Purg, XXm, 110 e seg.
130. TALE: taluno, astinente da fan-
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978 [CIELO NONO] PAB. XXVIL 181-142 [CUPIDIGIE TEBBBHB]
188
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Che poi divora, con la lingua sciolta,
Qualunque cibo per qualunque luna ;
E tal, balbuziendo, ama ed ascolta
La madre sua, che, con loquela intera,
Disia poi di vederla sepolta.
Cosi si fa la pelle bianca, nera.
Nel primo aspetto, della bella figlia
Di Quei eh' apporta mane e lascia sera.
Tu, perchè non ti facci maraviglia,
Pensa che in terra non i chi governi ;
Onde si svia l'umana famiglia.
Ma prima che gennaio tutto si sverni
oinllo, si te Uoentioflo e ghiottone in età
adulta. « Trafigge qne' san tocchi, che di
otto anni tenne i venerdì in pane ed
aoqoa; e poi venendo in tempo, al soaf-
flano, epareoohiando per died, i pasticci
e i bocconi ghiotti nelle digiune e ne* di
negri»; Oea.
182 LUNA: < quando è quaresima e
quando non è ; d' ogni tempo, seguendo
r appetito de la gola; ma dice luna, im«
però che la luna è segno unde si cogUe la
quaresima, acciò <die '1 venerdì santo sia
lo plenilunio, ecc. »; BtUi.
133. ASCOLTA: obbedisce.
134. CON LOQURLA INTEBA: lo SteSSO
che con la lingua geioUa, v. 131, cioè
quando ò cresciuto.
135. 8BPOLTA: «per non sentire pie
correaioni, o per dissiparsi la di lei dote »;
Lomb,
138. PKLLE: l'aspetto, la sembianza.
187. PRIMO ASPETTO: nell'aspetto di-
vino, negli occhi di Dio. - bbli«a fi-
glia: la Chiesa; cfr. 8alm. XLIV, 14.
Cani, Oantie. VII, 1, i quali passi s' in-
tendevanodellaChie8a.ll FUomuti Ouslfit
(Lajlglia del sole. Verona, 1893) intende
di Circe; cfr. Virg,, Aen. VII, 11.
188. DI QUKi : del Sole spirituale ed in-
tellettuale, dì Dio, ohe Dante chiama più
volte Soie. II senso di questa diflBoile ter-
Sina sembra dunque essere : In tal modo
la bianca apparensa della Chiesa si te
nera nell'aspetto di Dio (cfr. v. 28, 24),
cioè la Chiesa che nelle sue origini tn
santa e pura, si ò tetta malvagia e sozaa
nell'aspetto di Dio. Intorno alle altre
^nterpreUsioni cfr. Oom, Lipt. Ili, 746
90g.
140. CHI oovEBin : vacante 1* cattedra
di S. Pietro nel cospetto di Cristo, v. SS
e sei?., e vacante in ItaUa anehe l'im-
pero ; cfr. Purg. VI, 76 e seg. Oonv. IV,
9. IH Mon. I, piuHm,
V. 142-148. Aiuto •parato. Ma tea
non molto, conohiude Beatrice, sarà ma-
tata ogni cosa, e verrà frutto dopo il flore.
Esprime anche qui la sua speransa nel
venturo liberatore d* Italia e dell'umana
società, speransa che il Poeta non abban-
donò mai, ma che non vide avverata.
142. GENNAIO : ò qui di due sillabe e va
ietto gennai'; oca) migliaio, primaio, ecc.;
cfr. Purg. XIII. 22 ; XIV, «6. - 01 SVIE-
NI ! Al. SVERNI. Prima che U meee di gen-
naio esca tutto dal verno e venga a ca-
dere in inimavera per effetto di qnells
quasi centesima parte di un giorno, della
quale giù nel mondo 11 calendario non
tien conto, attribuendola di soverchio al-
l' anno. È chiaro ohe Dante parla di oa
soccorso che egli attendeva in breve.
Presa però a rigore, la fraae Prima eke
gennaio tutto ti evemi Importerebbe mi-
gliaia di secoli. Ma'« il Poeta osa di quel
medesimo color rettorico ohe usò il Pe-
trarca {TrioT\f, d^Am. I, 89 e seg.) là ove
dell'Amor pariando in persona dell' om-
bra disse:
Maaraeto fkneloUo, • ftsro Teglls:
Bea ta ohi '1 prova; e flati oosa pimaa.
Ansi miiranni; • 'afln ad or ti trcglie.
E noi similmente, quando vogUam mo-
strare ad alcuno la cosa inaspettata do-
ver tosto avvenire, molte volte didamo
cosa simile, come: Ma prima ohe passhi
C^to, o mille anni tajp vedrai.* Fstf.
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[CIELO NOHO] PAE. XXVII. 148-148 - XXTIII. 1-2 [PUNTO] 979
145
148
Per la centesma eh' è laggiù negletta,
Buggerali si questi cerchi superni,
Ohe la fortuna, ohe tanto s'aspetta,
Le poppe volgerà u' son le prore.
Si che la classe correrà diretta;
E vero firutto verrà dopo il fiore. >
148. cnrmMi.: « qaelU mininui parte
dell' anno traMorata nel calendario rifor-
matoda Giulio Cesare, ohe fkoendo l'anno
di 865 giorni e 8 ore, veniTa a differire
di droa 18 minati dall' anno vero ; errore
che fh corretto da papa Gregorio XIII »;
Blanc.
144. BUOOBSÀN: cfr. Otrem. XXV, 80.
Otéa XI, 10. OioOe lU, 16. Amos I, 2.
« Faranno toendere salla terra in fiossi co-
si tempestoei e fieri, che la fortuna Oa bnr-
raeca) cotanto attesa, perchè necessaria,
cambierà affatto la diresione dell'italiana
nave»! BstH.
145. LA FORTUHA : « adrentos Veltri,
qui debet estirpare cnpiditaiem de man>
do, qui moltom expectatnr et desidera-
tar»; Benv. Cfr. Purg. XX, 15.
146. volobbJL: rovesciandolostato cat-
tivo del mondo fkrà agli nomini mutar
Tia. - U'SOH LE PBOEI: Al. m su LK PBO-
Ki, lesione che importerebbe nanfìragio,
mentre invece il Poeta spera che la nave
corra a salvamento prendendo oppoeto
cammino.
147. CLAflSB: lat. eiatiit, la flotta; gli
nomini andranno diritti al bene.
148. VERO FRUTTO : 0 non più bouao
chioni, V. 126. Toma alla simllitadine
delle susine.
CANTO VENTESIMOTTAVO
CIELO NONO O CRISTALLINO : GEBABOHIE ANGELICHE
LA DIVINA BBSSNZA S GLI ORDINI AN0BL1CI
COKCOBDANZA DSL SISTEMA DB' CIBLI COLL' OBDINB DB' NOVE CEBCHI
LE OEBABCUIE CELESTI
Poscia ohe contro alla vita presente
Dei miseri mortali aperse il vero
V. 1-21. 1/ Uno, otta U Funto lu-
cente. Poi che Beatrice, a riprensione
della vita presente, gli ha aperto Q vero,
I>«ite, guardando ne* begli occhi di lei,
^ vede specchiato un punto di aoutis-
^jna Inee. SI rivolge perciò al cielo, e
eolà scorge quello che aveva veduto ne-
1^ occhi della sua Donna. Il Pontoè
fl^ura della iadivisibUe divinitàpcS:
Tftom. ^9-, A«m.fA«ol.1, 11, 2-4. IlPonto
raggia di luce, perchè Dio è « amictus lu-
mino sicut vestimento!; Ailm.CIII, 2.
Cfr. DaniéU U, 22. 1 Tim, VI, 16. 1 Ep,
di 8. Gio9. I, 5. V Uno si specchia in
Beatrice, come l' unità di Dio si specchia
neU' unità della Chiesa.
1. COKTBO: Al. IMCOMTBO; INTORNO.
2. 108JUU MOBTAU : frase Virgiliana,
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980 [CIELO NONO]
Par. XXVIII. 8-19
D»UNTO]
10
IS
le
19
Quella che imparadisa la mia mente;
Come in lo specchio fiamma di doppiere
Vede colui che se n' alluma dietrO|
Prima che V abbia in vista o in pensiero,
E so rivolve, per veder se il vetro
Oli dice il vero, e vede ch'el s'accorda
Con esso, come nota con suo metro ;
Cosi la mia memoria si ricorda
Ch'io feci, riguardando nei begli occhi,
Onde a pigliarmi fece Amor la corda.
E com'io mi rivolsi, e furon tócchi
Li miei da ciò che pare in quel volume.
Quandunque nel suo giro ben s' adocchi,
Un Punto vidi che raggiava lume
Acuto s), che il viso eh' egli affoca.
Chiuder conviensi per lo forte acume ;
E quale stella par quinci più poca.
Oeorg, HI, se. Am. XI, 182. - apebsi:
muiireetò il vero; ofr. I^f, X. 44.
8. QUELLA : Beatrice, -impabadisa : dà
aIU mia mente le gioie del Paradiso.
4. IH LO SPKCCBIO : Al. IN IBPECCHIO. -
DOPPIBBO: dal basso lat. dtipl&riut, tor-
chio, o torcia di cera; forse così detto
perchè formato anendo a doppio più can-
dele; oppure dai raddoppiati stoppini,
dei quali la torcia è eompoeta ; cfr. Diez,
Wórt, IV, 26.
5. BE N'ALLUMA: csMllnmioa d*esso
dirieto dalle spalle, cioè che 1* ha acoeso
dirieto da sé »; Buti.
0. IN VISTA : prima che abbia yedato la
fiamma, o che t' abbia pensato; inaspet-
tatamente.
8. BLt il yero. Vede che il vero si ao>
corda collo specchio, come il canto con
la misura del tempo, cioè perfettamente ;
« qoia scilioet idolom apparens in specn-
lam conformatnr et convenit onm re
▼era extra existenti •; Benv.
». nota: canto; ofr. InA XVI, 127.
Purg. XXXII, 83. - METRO : la masica
secondo la qnale si canta.
11. FIGI: mi rivolsi. - RIGUARDANDO :
▼ide negli occhi di Beatrice apecohiato
qnel Ponto lacentissimo di cai dirà poi,
come altrove vide in essi specchiato il
Grifone; cfr. Purg. XXXI, 118 e seg.
12. ONDE : co' quali occhi Amore mi
fece giè soo prigioniero.
14. LI MIEI: i miei occhi. -PARE:
risce, si mostra. - volume: cielo ; efr.
Par. XXin, 112 e seg.
16. quandunque : Ogni qnal volta ben
a* affissi l'occhio nel ^ro di eaao eielo;
cAr. JSaìm. XVHI. 1.
16. UN Punto : Dio, simboleggiato In
nn ponto sensa verona ettenaione per
escludere qualsiasi materialità. « Per es-
sere disposto a più spirituale e più inti-
ma visicme di Dio, qui comincia n Poeta
a contemplarlo nella flgnra d'un ponto,
si piccolo all' occhio' che la più mlnota
stella parrebbe a quel paragone siccome
Iona ; perchè nella sciensa li ponto, pri-
vato d' estensione e astratto dalle i^se di
misnra, è tra le immagini corporee qoella
che più tien dello spirito e trasportali
pensiero dal non misurabile ali* iseo»-
mensnrabile e all' infinito »t fV>m.
17. IL VISO : gli occhi in coi quel ponto
di ftioco divino percuote. - avvoca: fi-
lumina.
19. QUALE: quella stella che di qoag-
giù pare più piccola. • poca: pleooia;
traslato di quantità a grandeita ; cfr*. 7V.
XX, 115. - « Ad esprimere l' infinito aeoH
plidU, nnità ed indivisibilità del ponto
di luce eh' è Dio, il Poeta con immagine
tutta sua dipinge cosi minuto quel ponto,
che la stella, la quale più d'ogni altra
apparisce piccola, parrebbe grande qoal
luna, 90 si ooUooMse vidna a quello, pò-
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[culo kono]
Pab. xxyiu. 20-85 [Note cbbchi] 981
25
28
81
Parrebbe luna, locata con esso
Come stella con stella si colloca.
Forse cotanto, qnanto pare appresso
Alo cinger la luce che il dipigne,
Quando il vapor ohe il porta, più è spesso,
Distante intomo al Ponto un cerchio d' igne
Si girava si ratto, ch'avria vinto
Qael moto che più tosto il mondo cigno ;
£ questo era d' un altro cirouncinto,
E quel dal terzo, e il terzo poi dal quarto.
Dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
Sovra seguiva il settimo si sparto
Gtìà di larghezza, che il messo di Inno
Intero a contenerlo sarebbe arto.
Cosi l' ottavo e il nono ; e ciascheduno
Più tardo si movea, secondo eh' era
me in oielo ò tìoìiia stoU» a «(ella »; L,
VenL, BimU., 626.
V. 22-419. 1 nove eerehi ehe girano
intorno all'Uno, Un oerobio di ftiooo,
distante fone tanto quanto alone da sole
o lana quando 1* aere in coi ti forma, è
piti denso di saporì, gira con tale velocità
intomo al punto laminoso, da vincere il
moto del primo mobile. Questo oerobio
di ftiooo è circondato da un secondo, il
secondo da un torso, e cort via sino a no-
ve. Sono i nove cori degli angeli, i quali
girano oon velocità inversamento pro-
ponionale alla loro grandessa e distanta
dal Punto; cbò il più vicino e più pic-
colo è 11 più veloce, ed il più butano e
più grande è il più tardo.
22. ootauto: quanto poco l'alone è
distanto dal sole o dalla luna cbe gli
danno il colore, tanto da quel Punto di*
stava un cerdiio di ftioco.
23. A.LO: Al. RaLO; ALLO; ALLOB; AL
curoKB. Cfr. Moor§t Orit., 493 e seg. U
fenomeno dell* alone è descritto Par, X,
67 e seg. «Ciò cbe qui v' ba di nnovo,ò la for-
ma della deecrislone e la estensione del fe-
nomeno ad astri diversi dalla luna. In-
fitti l'alone avendo luogo ancbe per il
sole, sta bene cbe si dica quel cerchio
odorato dnffer la luct ehé lo dipinge, qua-
lunque sia questa. » Ant.
24. POSTA : cbe forma esso alone. « Al-
lorché il vapore è più denso, il ponto
da col traspare la luna è più piccolo »;
L. VmU., mmU, 39.
26. D'iomB : di fuoco ; cfir. Purg, XXIX,
102. Par, XXV, 27. fi il cerchio dei Se-
rafini.
27. MOTO : del primo mobile, ohe, ra-
pido e veloce più di totti gli altri cieli, si
volge intomo al mondo ; cfir. Oonv. II, 4.
Par. XXIII, 112.
28. QUI8TO : e questo primo cerchio di
fuoco era oireuneinto (lat. eirewneinctut)
da un secondo, ohe era il cerchio dei Che-
rubini.
29. QUEL : il secondo oerobio era circon-
dato da un torso, cbe era quello dei Tro-
ni i il torso da on quarto, cbe era quello
delle Dominazioni.
80. QUiSTOt Virtadi. - busto : Pode-
stadi.
31. BOVBA : intomo, ftaori del sesto cer-
chio. - SBGUIVA: Al. Bfe GIVA ; BEN GIVA ;
oiuMOBVA. - IL SBTTiMO: Principati. -
BPABTO : disteso, dilatato in larghessa.
32. GIÀ: bencbò non fosse l'ultimo.-
MiBSO: l'arcobaleno, o Iride; ctr.Virg.,
Aen, IV, 894; IX. 1 e seg. Ovid^Hèt. I,
270:XI. &88;XIV, 86.
33. INTERO : ooropiato in un intoro cir-
colo. - ARTO : stretto ; cfr. It^f, XIX, 42.
Purg, XXVII, 182.
34. l' ottavo : Arcangeli. - n. nono :
Angeli.
36. SECONDO : a misura che cresceva
il numero d' ordine di ciascun cerchio.
Quanto più cresce il numero, tanto più si
allontana dall'unità. < Quello che era più
presso al punto, si movea più ratto che '1
982 [CIELO NONO] Pab. xxYiii. 36-45
[HOYs onom]
87
40
43
In namero distante più dall'Uno ;
E quello ayea la fiamma più sincerai
Coi men distava la Favilla para.
Credo, però che più di lei s' invera.
La donna mia, che mi vedeva in cura
Forte sospeso, disse : < Da quel Ponto
Dipende il cielo e tutta la natura.
Mira quel cerchio che più gli è congiunto;
E sappi che il suo movere è si tosto
Per l' affocato amore ond' egli è punto. »
secondo, e oùA raooetsiYamente, A che
roltimo 8i moyea piti tardo di tatU » ;
SvH,
87.8nroBBA: para,ohi«ra4noid«.L'XTno,
Dio, è il padre e la sorgente della Inoe ;
cfr. Iacopo, 1, 17. Quanto più i cori an-
gelici sono Ticini all'Uno, tanto più essi
risplendono di dirina Ince; quanto più
distanti, tanto meno i cfr. Tkont, Aq.,
Bum. théol. I, 65, 8.
88. CUI : dal qnale era meno distante il
Ponto Inminoso.
89. s'invisi.: penetra addentro nella
▼erità della divina essenxa. « Qui rende
la ragione e dice che ò più in laddeBaa,
perchè ^invera, cioè più cognosce e rode
della veritade della divina essensia. B no-
ta 8'invera che è Terl>o informativo, qua-
si ftwsi simile della veritade. » Lan.
V. 40-78. 1 nove cieU od i nove eer-
ehi, I nove cerchi che girano intorno
all' Uno, attirano a so l' attensione del
Poeta, il quale desidera di penetrare più
addentro nella conoscensa cosi degli uni,
come dell' altro. Beatrice gli ricorda una
sen tenia di Aristotele: « Da taU principio
(Ponto) dipende il Oido e la ìf atura Guar-
da quel cerchio ohe ò più vicino all'Uno ;
e' si muove tanto veloce, perchè spro-
nato da ardentissimo amore. > « Se le sfere
procedessero collo stesso ordine ohe que-
sti cerchi, la più vidna al centro girando
più ratta, qnel che tu mi dicesti , mi avreb-
be appagato. Ma nel mondo sensibile os-
serviamo un ordine inverso : le sfereoele-
sti SODO tanto più velod, quanto più sono
lontane dal centro, che è la terra. Se
quindi, in qaestonono cielo, maraviglio-
Bo e santo luogo dfgli angeli, il mio de-
siderio di conoscerne le oondisioni deve
essere pienamente appagato, mi convien
sapere come mai il mondo sensibile, eh* è
nmagine del soprassenaibile, ai diver^
sl6chi dal suo esemplare in dò, die in
questo il cerchio più vicino al centro si
muove più ratto, in quello più tardo. »
« Non è maraviglia se non ti ilesoediade-
gliere tal nodo: tanto la questione, per
non essere da aleuno trattata, è diffidle
a risolvere! Fa' attendone a quante ti
dirò ed aguzsa il tuo ingegno, se vnd
essere appagato. Le sfere mafeeiiall sono
ampie o strette, secondo il più o U meno
deUa virtù ohe sono destinate a ricevere
disopra per influirla disotto. Quanta mag-
gior salate ha un corpo In sé, tanto mag-
gior bene può fare a qudli che da Id
dipendono; e tanto più di salate può
avere, quanto egli (porche abbia tntte
le sue parti perfette) è più grande. 8s
dunque ndle sfere materiali virtù e gran-
dezsa sono tntt' uno, questa nona afera
ohe comprende tntte le altre è la più no-
bile di tutte, e come tale corrisponde
alla più nobile delle sfere spiritaali, la
quale per opposto è la minore di tutte.
Ora, se tu di dascun angelico oeidilo
misurerai non la apparente oiroonferen-
za, ma la virtù degli spiriti che lo com-
pongono, vedrai come dasoun dolo mi-
rabilmente corrisponde all'ordine deDe
celesti Intelligence ohe lo governano : il
maggior dolo all'ordine più perfetto, il
minimo al meno perfetto. »
40. IN CURA: in penderò, in dubbio.
Chi dubita, è come sospeso ; ohi è atooro,
o tale d crede, sta.
43. DIPBNDB: cfr. AritUft., MtL XXX,
7: *£x Tota^^ dpa dpxi^^ l^pnitm 6
oipavò^ wx i\ 9v<n^ Cfir. Oom. lApt.
Ili, 764 e seg.
43. CBBCHio : del Serafini : più proesi-
mo all'Uno e più vdooe degù altri nd
suo giro.
46. AUOEB! cfr. Oonv, II, 4. JSjp. Kmmì,
38. - punro: stimolato.
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toISXO NOHO]
Pàb. xxyiii. 46-é4 [nove oebchi]
40
48
52
55
58
61
64
£d io a lei : « Se il mondo fosse posto
Con V ordine eh' io veggio in quelle rote,
Sazio m'avrebbe ciò che m'è proposto;
Ma nel mondo sensibile si puote
Veder le vòlte tanto più divine,
Qaant' elle son dal centro più remote :
Onde, se il mio disio dee aver fine
In questo miro ed angelico tempio,
Che solo amore e luce ha per confine,
Udir conviemmi ancor come l' esemplo
E l' esemplare non vanno d' un modo ;
Che io per me indamo ciò contemplo. »
€ Se li tuoi diti non sono a tal nodo
Sufficienti, non è maraviglia ;
Tanto, per non tentare, è fatto sodo ! »
Cosi la doona mia; poi disse : < Piglia
Quel eh' io ti dicerò, se vuoi saziarti ;
Ed intomo da esso t' assottiglia.
Li cerchi corporai sono ampi ed arti.
46. POSTO : ordinato, e Pone la dUBcoItA
seguente. La divinità recinta da qaeetì
nove oerohl ò l' esemplare del mondo :
eom' è che nell* ordine predetto del moto
e intensità della laoe ai oppongono esem-
plare ed esemplato? Se io in questo alti-
mo cielo devo essere soddisfatto nei miei
dedderii, bisogna che ne abbia la spie-
gaslo&e. » Cam, •
47. nr qukllb : A.I. nr qubsts. - bo-
ti : nel nere cerchi ohe girano intomo
all'Uno.
48. SAZIO: non ti chiederei altro. -
PROPOSTO: « messo innansi per cibo;
presa la figura della tavola apparecchia-
ta, e della cena di lassù »{ Chs,
50. LB YOLTB : Al. LK BUOTB ; LB COBB ;
cfr. MtHfre, OrU,f 494 e seg. ; i cerchi. -
DiviNB: « più veloci, perchè più amano
Iddio»; ButL
51. CEMTBO: dalla terra, che nel si-
stema di Tolomeo è il centro dell' uni-
verso.
52. AVBB FiNB: rimanere perfettamen-
te appagato. «Parla del suo desiderio re-
lativo a questo cielo, non dell' asscdnto,
perohò questo non dee aver fine se non
più sofwa, in I>io »; Andr.
68. MIBO : ammirabile ; cfr . Par. XIV,
24 ; XXIV, 86 i XXX, 68. - TBMPLO :
tempio chiamasi sovente nelle Scritture
Sacre il cielo-, cfr. II Reg, XXII, 7. 8<dm.
X, 6. Michea, 1, 2. Apoc, VII, 15 ; XI, 19;
XV. 6-8.
64. AMOBB B LUCB : cfr. Par, XXVII,
112.
55. COMB: Al. PBBCHÈ. - L* ESEMPLO :
il mondo sensibile, v. 49. « Le sfere de' cieli
sono esempio, Imagine di Dio, esemplare
supremo, intomo a cai muovono le In-
telllKense, e più le più prossime a lui »;
Tom. Ctr. Boet., Oont.phil. III. metr. 9.
66. l'bskmplabb: il mondo soprassen-
sibile, esemplare del sensibile.
58. DITI: metaforicamente, per: Se
l'ingegno tuo non arriva a sciogliere sì
grave difficoltà.
60. PBE NON TBNTARB : porchò nossuno
ha ancora tentato di scioglierla; ofir. De
Vulg, El. 1,1. De Mon. 1, 1. - sodo : so-
lido, stretto.
61. PIGLIA : pon mente a quello che io
ti dirò.
63. intorno da esso : cfir. Purg. VI,
86. - t'abbottioua : agussa l' ingegno ;
cfr. Purg. Vin, 19. Par. XIX, 82.
64. CORPORAI SONO: Al. COEPORAL SO-
NO; CORPORALI ENNO. I cerchi eorporoli
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984 [cielo nono]
Pab. xxyiii. 65-76
[NOTB CKSCml
«7
70
78
76
Secondo il più e il men della viriate,
Che si distende per tutte lor partL
Maggior bontà vuol far maggior salate ;
Maggior salute maggior corpo cape,
S'egli ha le parti egualmente compiute.
Dunque costui| che tutto quanto rape
L' altro universo seco, corrisponde
Al cerchio che più ama e che più sape.
Per che, se tu alla virtù circondo
La tua misura, non alla parvenza
Delle sustanzie che t' appaion tonde.
Tu vederai mirabil conseguenza
SODO i nove oieli. - abti : stretti ; Ut. ar-
cttu: otr. Inf, XIX, 42 ; qui sopra ▼. 83.
05. viBTDTK: «seoondo 1» maggiore o
minor Tirtù ohe hanno d'influire nelle
oose a loro sottoposte ; cfr. Par, II, 123 »;
Lontb. r « Dei deli del mondo sensibile
quelli che più sono stretti hanno manoo
Tirth, e qaeUi allo *noontro ohe sono più
ampi e grandi, ne hanno più »; Dan,
«7. BONTÀ VUOL FAR: Al. BONTATB
VUOL. « Bontà più grande vuole una più
grande estensione de' aalotari, de' bene-
floi snoi influssi; ed un corpo di natura
sua più grande, se in nessuna delle sue
parti sia mancante, è, per la sua mag-
gior estensione, capace di ricevere in sé
una maggior copia di cotali influssi » ;
Lomb,
68. BALura; quarto caso. - corpo : ca-
so retto. - CAPB : contiene ; cfr. Par.
XVn, 16.
69. coMnuTB: di eguale perfesione.
« Se lo grande corpo ha le sue parti pa-
rimente compiute come lo piccolo, come
si vede, per esempio, maggior forca ha
uno grande uomo che uno piccolo ; e se
il picoolo avesse amendue le mani e lo
grande non le avesse, avrebbe maggior
forza lo piccolo che il grande »; Buti,
70. COSTUI: il primo mobile, nel quale
D»nte si trova con Beatrice. - rapb : ra-
pisce, trascina seco. « La nona spera, che
tra dì e notte rapisce tutte le altre spe-
re »; OU.-* Però il primo mobile che ha
maggior virtù, perohò circoscrive tutto
l'universo, corrisponde al cerchio ìgneo
minore, oh'ò più vicino al punto rag-
giante della divinità, cioè ai Serafini cui
è oomnnicato più amore e più si4>ienxa »;
71. l'altbo : A\. l'alto. Il primo mo-
bile non tira seco in giro tutto V atto
universo, del quale esso mededmo è
parte I ma tutto VeUtro universo, gli al-
tri deli. -SBCO, CORKISrOHDB: AL SB-
COXDO RIBPOHDB; ondo-ondett
72. CERCHIO : de* Serafini, v. 26 e aef;. -
SAPE : sa, conosce ; ofir. Purg. XVIII, 56.
Par. XXIU, 45. I Serafini « veggkmo
più della divina Cagione che aloan' altra
angelica natura »; Cono, II, 6. GAr. Par.
IV, 28t IX. 77; XXI, »2 e seg. Tkom.
Aq., Sum, theoL J, 108, 5. Com, lAf.
m, 759.
78. CIRCOHDB : ciroondi«se ta applichi
la toa misura alla virtù, non alla gran-
desta del cerchi. « Miawra direi io qoi
significare lo stesso ohe ittrummto da
mittu^re, I sartori di Catto e oaUolai ap-
pellano miture qvelle strìscio di carta
che tengono appareoohiate per misurare
le umane membra. Ansi, dal modo con
cui prendono questi artefici le loro mi-
sure, circondando all' nman oorpo cotali
strisele di carta, crederei detto dsl Poeta
eiróondar la mitura per mwurars. »
Lomb,
74. PAEVBHZA: apparensa, mole appa-
rente, estensione nello spaaio ofir. Par.
XIV, 54.
75. BUSTAMZIB : angeliche. - tobdb : di-
sposte in cerchi ; ofìr. v. 25 e seg.
76. ooNSBouBazA: Al. coirvomBA,
lezione, che, per quanto si sa, non ha
l'i^pogglo di un sol codice, e che com-
pare in iscena soltanto dal Dan. In qoa.
Oùnatffuema vale qui Proponione, Con-
formità. « Quanto la cosa ò più presso a
Dio, tanto ella è più perfetta; e potò
quegli angioli ohe sono più presso a Dio,
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[culo HONG]
Pab. xìYiii. 77-88 [MSìn^B illumik.]
79
82
85
Di maggio a più e di minore a meno,
In ciascun cielo, a sna Intelligenza. >
Come rimane splendido e sereno
L' emisperio dell' aere, qaando soffia
Borea da quella guancia ond' è più leno,
Per che si purga e risolve la roffia
Che pria turbava, si che il ciel ne ride
Con le bellezze d'ogni sua parroffia ;
Cosi fec' Ì0| poi che mi provvide
La donna mia del suo risponder chiaro,
E, come stella in cielo, il ver si vide.
£ poi che le parole sue restaro,
• a goyemare qnegU qne' dell ohe
■ooo piti preaeo a Dio ; e poi, disgradando
d'ordine in ordine degli Migioli, disgra-
dAndooiMcmio e dilongiuido il oerohiosao
più da Dlo.tanto più ai dUnngft ftl gorerna-
mento de* pianeti, doè ohe il nono ordine
degH angeli e il più dirleto ordine si ha a
goremare il più basoo pianeto di tatti i
nove i^aaeti. B dioe Beatrice all' altore :
Siccome la nona spera volge e muove
tntte r altre spere, cosi il primo oerohio
d'aogeH, cioè i Serafini, goida e volge
gli altri, e eoal si oonforma insieme l' ano
coli' altro. > FaUo Bom.
77. MAGGIO: maggiore; cfr. Iftf. VI,
tó; XXXI, 84. Pmr. VI, 120; XIV, Wj
XXVI, 29 ; del dolo maggiore alla mag-
giore lateUigenaa, del minore alla mi-
nore.
78. SUA : all'InteUigensa ohe lo maove ;
ofr. Par. Vin, 84 e seg. Omv. II, 8.
V . 79-87. La tnenié iUutninaitu Bea-
trice ha sciolto il dabbio del Poeta « con
tanta laddità, che nella mente di lai si
b ohiaro il vero. > Onde « paragona la
mente soa rischiarata al sereno del dolo,
la visione del vero a stella fiammeg-
giante»; L, YetU., BimU,, 19.
79. BKSBHO : ofr. Lueret., Ber. nat. I,
« eaog.
80. l' BMI8PSBI0 : la messa sfera termi-
nata dal nostro orissonte; cfr. I^f, IV,
09. - 80mA : cfr. yir^., Aen. XII. 865 e
seg. Boet., Ckm$. pkiL I, metr. 8.
81. BOBKA : « i quattro prindpali venti
sono rappresentati da quattro Cscoe ama-
ne. Dalla bocca del Borea escono tre cor-
renti di aria; ona dal messo della bocca,
le altre due da ambi 1 lati alla chiasora
dd labri. H Borea soffia dal messo il
tramontano, dal Iato sinistro il grecale,
dal destro (and' è più Uno) il maestrale
splendido e severo, ohe sgombra gli ami-
di vapori (rojla) cioè la nebbia. » Chm,
- DA QUELLA GUANCIA! Al. DALLA GUAN-
CIA. - LIMO : lene (cfr. Nannue,, Nomi,
119, 128, 142), qui per moderato» tempo-
rato, men/reddOt ecc.
82. BOFFLà : nebbia, caligine ; ofr. Diez,
Wìhrt. 1>, 880. ^Rojfia ò d'oso tuttora ,
benohò non comune, a Siena, per quel
riparo di cuoio che arma dal petto in
giù usato da' fabbri, perohò il fuoco non
abbrud loro i panni»; Fat\f,, Voe. del-
Vuso to»e., 884. - « Potrebb' essere che la
frOiggine della roffia fosse trasporiaU da
Dante a significare la caligine del cielo »;
Oavemi, Voci e modi, 112. Cfr. Horat.,
Od, I, VII, 16.
84. PABROPFL& : Al. PAROPFLà ; VOCe di
origine e dgnificasione incerte. « Parrqf'
>Ia, doè abbondansa »; Zian-,An. JVor. Me-
glio Benv., BuU, Land., Veli,, Dan., ecc.,
ohe interpretano parte. « D'ogni sna par-
te ; e disse paroffia in luogo di parooehia,
e paroeekia ò in una dita quella parte
degli uomini che sono sotto ona medesi-
ma Chiesa»; Land. Cfr. Boeeae., Teeeid,
VII, 114. Oom. Lipt. Ili, 761 e seg. Fi-
Unnuti Guelfi, Le parojle del eielo. Ve-
rona, 1890.
87. stilla: cfr. Par. XXIV, 147. -Bi
VIDI: da me.
V. 88-96. Jinffeli efavUlanH intorno
aW Uno. Come Beatrice si tace, il Poe-
ta vede quei cerchi sfavillare d'innu-
merevoli scintille ed ode di coro in coro
cantare * Otanna' all'Uno. Cfr. Daniele,
VII, 10. Thom. Aq., Bum. theol. 1, 112, 4.
Oonv. II, 8.
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986 [ciBLO iroNo] Par. x^tiii. 8d-100
[iHGlLll
01
•7
100
Non altrìmenti ferro disfavilla
Che bolle, come i cerchi sfavìllaro.
Lo incendio lor seguiva ogni scintilla;
Ed eran tante, che il numero loro
Più che il doppiar degli scacchi s'immilla.
Io sentiva osannar di coro in coro
Al Ponto fisso che li tiene all'uòt,
E terrà sempre, nel qnal sempre foro;
E quella, che vedeva i pensier dubi
Nella mia mente, disse: « I cerchi primi
T'hanno mostrati i Serafì e i Cherubi.
Cosi veloci seguono i suoi vimi.
89. FKBBO s oflr. Pa/r. 1, 68 e seg. Btéch,
I, 7. « Per qneatft oomparuione denota
l'ardente festa e ionnmerabile moltàtadi-
ne delli angelici spiriti , come li oerchi delli
ordini delle angellohe sostansie»; OU,
01. nroBHDio: ogni scintilla, doè ogni
angelo, tegviva il Pnnto, l'Uno, che tutte
di luce incende, si movoya in ^ro sempre
rivolta all'Uno. Circa le altre interpreta-
Bioni di questo verso per verità non trop-
po chiaro ett. Oom. lAp: III, 762 e seg.
Benv.x «singnli angeli trahebant secnm
saam ardorem et splendorem. » - OomA
« i cerchi gettavano scintille ohe si mol<
tiplicavano a mille a mille, oltre ogni
nomerò. »
03. s'immilla: va nei mila, si molti-
plica a migliaia. Allude alla leggenda del*
r inventore degli scacchi, il quale chiese
al re di Persia in premio della sua in-
Tonxione tanti chicchi di grano quant' ò
il numero che si ottiene moltiplicando
successivamente due per so stesso tan-
te volte quanti sono i quadrati nella
scacchiera. Rise dapprima il monarca;
ma, venuto al calcolo, trovò che non
avea grano abbastanza, chò U doppiar
degli ieacehi dà l'enorme somma di
18 446 744078 700661816. Il PoeU vuol
dunque dire che il numero degli angeli
è influito.
04. osANifAB: cantare osanna; ofìr.
Purg. XI, 11. - DI COBO nr cobo : di cer-
chio in cerchio d' angeli, forse così, che
un cerchio rispondeva all' altro ; e forse
che tutte quelle miriadi di angeli can-
tavano contemporaneamente OMmna^
05. AL Punto: in lode del Punto, ossia
dell' Uno. - all' ubi: al luogo; « qui te-
net eos ad se, tamquam ad eomm mbi»;
Benv.
V. 97-120. Xe ff9raréMe rnngmeh;
Continua Beatrice a parlar de^ angeli,
distinguendoli per cori ed uffici. Nel Vec-
chio Testamento si mentdonano aoveats
Sbrafiki e CHXBUBnn. S. Paolo, ^fati, !«
21 nomina Pbimcipati, Podie«taii, Vn-
TUDi e DoMiiCAEioin ; e Oolou. I, le, Tbo-
Hi. Domiinairiani, Principaii e PodmUiéL
Nella I ai TgaaaL IV. 16 e nell'i^, ài
S. Qiuda, 0 ai nominano Abcamobix «
tanto di spesso si nominano Ajtgbu.
Quindi i 88. Padri divisero gU aagdì ii
tre gerarchie, ognuna oompoai* di tre
ordini di angeli. Celebre fìi in qoflala ri-
guardo il libro De ecduti kUruireàim, at-
tribuito a Dionisio Areopagit*. Una di-
visione alquanto diversa si trovm In Ore^.
Magn , Lib. HHomSL in B9an§., S4. 6U
scolastici seguirono di solito Dlonialof^.
Petr. Lomb., SewL 11, 0. Tàom. A«^ Ata»
théol. 1, 108, 1-8). Anche Dantenecne^Eì
Dionisio, mentre invece nel Otrasv. II, <
si era scostato e da lui e dn 8« Gmgusic.
Su tutto ciò dt, ehm. IÀp$. IH, TeS-^Tii.
07. QUSLLA : Beatrice. - DUin : dubbio*,
circa il collocamento degH ordini degS
avgeU.
08. PBiMi: i due primi dei nov« otrd
son composti il primo dell'ordino do^Ser*
fluì, il secondo dell'ordine de'Chombte:.
00. 8raAFi: 8eraflni ofr. Pm.T^ IX. 7T
- Chkbubi : Cherubini ; cfr. Thmwk. Jfi
awn, théol. I, 108, 5.
100. vimi : legami ; lat. «'«Mia. « 8qgw
no r amore ohe al Ponto li lo^n por *■
migliarsi a lui »; Tvkh, - « Vbaenla qai
tenant eos ligatos ad nbl » i JHi— . Gft
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[CULO NONO]
PAB. XXYHL 101-115 [OSBIBOHIB] 987
108
100
100
112
115
Per simigliarsi al Fante quanto ponno ;
E poBSon quanto a veder son sublimi.
Quegli altri amor, ohe intomo gli vonno,
Si ohiaman Troni del divin aspetto,
Perchè il primo temaro terminonno.
E dèi saper che tutti hanno diletto,
Quanto la sua veduta si profonda
Nel Vero in che si quota ogn' intelletto.
Quinci si può veder come si fonda
L'esser beato nell' atto che vede.
Non in quel ch'ama, che poscia seconda;
E del vedere è misura mercede.
Che grazia partorisce e buona voglia ;
Cosi di grado in grado si procede.
L' altro temaro, che cosi germoglia
Scrocca, Il tittcma dantecco dH cidi e
deus loro infiuensc, Napoli, 1805, p. li
e «eg.
101. siMiOLURSi : « Similes ei erimaa »i
I Bp, di 8. Oiov. III. 2 Un oerohio che
si muove oolU nuMoinift velocità, pare an
ponto wlo. Quindi i cerchi che più veloci
•i maovono, più ai aoniif(liano al Ponto,
ohe è Dio. - QUARTO pomio : per quanto
é poaaihile che la creatora ai aomigll al
Creatore, al quale ella non può mai, an-
ohe ae angelica, aimlgliarai perfettamen-
te t ofr. eiobbe, IV. 18.
102. A VKDBB: ad intenderei cfr. Par.
X, 114; XIU, 87 e aeg.
108. AMOB : angeli ; cfr. Par, XXIX,
18, 40: XXXn, 04. - GU VOMHO: Al A
IX>B VOHHO.
104. Tbohi: cfr. Par, IX, 61. Secondo
J>ion., OcbI, Hicr , 7, aono chiamati Troni
« quia primnm torminarunt » ; invece ae-
oondo Qrcg, Hagn,, 1. e, hanno queato
nome perohò « in eia aedeat Deua, et per
eoa iudicia deoemat. » Danto aegne an-
che in queato riguardo Dioniaio.
106. TKBMiNOifNO: tormiuarono; cfr. De
yvlg. Bl. 1, 13. Nannuo., Terbi, 107 e aeg.
107. QUARTO : « di qui a* intonde che
l'eaaer beato oonalato nel vedere, doò
nel oonoacere, e non nell'amore; perchè
l'amore procede dalla cogniaione; e non
Ja oognisione dall' amore. B tanto più
fluna la creatura il Creatore, quanto più
lo eonoaoe, e riceve mercè e grasia ae-
«oBdo la mlaora del oonoaoere. Laonde
di grado in grado quanto più vede, più
ha di grasia, di buona voglia, cioè di vo-
ler quello che vuole Iddio. * Land,
108. Vero: Dio; oonfr. Por. IV, 126.
Oonv, II, 16.
100. Bi FOHDA: Cornell fondamento della
oeleatiale beatitudine aia nella viaione di
Dio, mentre l'amore di Dio vien dopo la
viaione ed è l'effetto di eaaa ; cfr. Par,
XIV, 41. Thom, Aq., 9um. tkeol. I, il, 8,
1-8. Ili JSuppl., 82, 1-8.
112. mBCBDB : il merito, le opere me-
ritorie; cfr. /V; !▼. 84. Par. XXI, 62.
La viaione di Dio è più o men grande ae-
oondo il maggiore o minor merito. H me-
rito è prodotto dalla grasia divina e dalla
buona volontà che colla grasia coopera.
Qneati aono 1 veri gradi per i quali la coca
procede. Nota che qui ai parla della vi-
aione beatidca di Dio in generale, non
aoltanto degli angeli, ma anche degli uo-
mini. Del merito degli angeli in partico-
lare, tratto in «eguito, Par, XXIX, 68
e aeg.
116. TBBNABO : la accenda gerarchia,
compoata eaaa pure di tre ordini di ange-
U; cfr. Tkom. Aq,, aum. thcol, 1, 108. 2. -
oermoolia: « germogliare proprio ai è in
li àlbori nella primavera quando comin-
ciano a germogliare cioè pullulare loro
verdura, e ciaacune brocche producono
nuove foglietto ; eoa! a timiU tatto lo
collegio delli angioli, delH quali aempre
pullula amore, adensa e giuatisia, e ato
aempre in tale pullulare *iLan.,An, Fior,,
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9d8 [OIILO NONO] Pab. XXVUI. 116-129
[OBRAKCHll]
U8
121
124
127
In questa primavera sempiterna,
Che nottamo Ariete non dispoglia,
Perpetaalemente *' Osanna „ sverna
Con tre melode, che suonano in tree
Ordini di letizia onde s' intema.
In essa gerarchia son le tre dee:
Prima Dominazioni, e poi Virtudi;
L' ordine terzo di Podestadi èe.
Poscia ne' duo penultimi tripudi
Principati ed Arcangeli si girano ;
L' ultimo è tutto d' Angelici ludi.
Questi ordini di su tutti rimirano,
E di giù vincon si, che verso Dio
Tutti tirati sono, e tutti tirano.
BuH, eoo. - «Partorifoe grada e baona
TogUa »; VeU, - e Talmente yivaoe e lieta
oonaerrasl »; Lanib.
117. HOTTURHO : « felioe modo actrono-
mioo i»er Indicare la stagione d' aatnnno.
Kella stagione inflitti delle foglie e dei
fiori, nei nostri oUmi, il sole ò in Ariete,
e qoindi la oostellasione omonima sor-
gendo e tramontando ool grande astro
del d), passa di giorno sul nostro orisson-
te, e quindi non è visibile in primavera;
ma quando il sole stesso ha percorso la
parte boreale deireolittioa ed entra in
Libbra, l'Ariete rimane opposto e vedesi
però di notte nella stagione aatannale.
La ooinoidensa pertanto del dispogliarsi
delle piante colla nottoma presensa di
Ariete ha indotto a sapporre poetica-
mente questo fatto oaosa di quello, e ha
offerto al Poeta un nooro argomento per
intrecciare, al solito, con fior di poesia,
fior di sciensa astronomica. » Ant.
118. SVKBNA : canta; ott. Voo. Or. od v.
119. MiLODB: melodie, dal sing. mOo-
da ; cft*. Nannue., Nomi, 5. Par, XIV,
122 ; XXIV, Ili. - TEBB : tre ; paragoge
come è€, mee, /$e, eoo. per è, me, /«*, eoe.
120. s'ufTBRNA : sl fk temo, si compone
di tre— De'quali tre ordini esso ternario
si forma. Oppure si riferisce al canto, ed
il senso ò : B cosi la melodia si fa trina.
121. LB TRB: Al. l'aLTBR; L'aLTB. -
DEB: essente intellettuali ; Intelligense,
ofr. Inf. VU, 87.
122. Domutaziobi : ofk>. Dion., o. e, 8.
Thom. Aq., 8um. theol. 1, 108, 5, 0. Oom.
lA^. IH, 760.
123. ÈB: ò; cfr. I^f, XXIV, 90. Pwrt.
XXXI, 10.
124. TBiPUDi: oerohi tripodiantl.
126. L'ULTIMO: tripudio; il nono eer-
ohioodordineangelico. - Abqbuci ludi:
Angeli Indenti, cioè feeteggianti.« Quan-
tunque l'ultimo ordine o coro dionsi decU
AngM, tuttavia si adopera cotesto nome
in senso genetico, per indicare tatit gli
angelici spiriti, ossia i nore ordini o co-
ri»; Oom.
127. BIMIBAHO: Al. 81 lOBAMO; S'aM-
MIBANO. Tutti questi cori mirano éi m
all'Uno, al Punto, sono cioè intenti nella
visione di pio ; t di giù, dalla parte di
sotto gli uni rincono gli tiìtxi ; i snperìoii
tirano e muovono, o agiscmio sopra gl'In-
feriori, onde tutti sono tirati verso l' Uno,
e tutti tirano i soggetti verso l'Uno ehe
tutti li tira.
V. 130-189. nianiBio e GregoHù, San
Dionisio, conchiude Beatrice, si approfon-
dò con tanto desiderio di conoscere il ver»
nella contem piallone degli ordini snge-
lici, ohe li distinse e nominò appunto oo-
me ho fette io. San Oregorio Ita poi dl-
sorepante da lui in questo, assegnando
agli angelici cori altro ordine ed altri ofiB-
ci; onde, quando in Paradiso vide il vero,
egli stesso rise del suo errore. B se San
Dionisio, mentre viveva anoora in terra
mortai vita, manifestò Terità si oconlte
agli oochi degli uomini, quale la propria
oondisione degli angeli, non devi mara-
▼igliartene ; ohe queste reritlk con altre
molte circa la natura degli angeli gfi
fuono rivelate d|i San Paolo, il qnato
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[CIBLO NONO]
Par. XXVIII. 130-139 [OERAROHrE]
180
133
136
139
£ Dionisio con tanto disio
A contemplar questi ordini si mise,
Che li nomò e distinse com' io ;
Ma Gregorio da lai poi si divise ;
Onde, si tosto come rocchio aperse
In qaesto ciel, di so medesmo rise.
E se tanto segreto ver profEerse
Mortale in terra, non voglio ch'ammiri;
Che chi il vide quassù, gliel discoverse
Con altro assai del ver di questi giri. >
le Tide,' qaando fti rapito sino al teno
dolo; cfr. II Cor, XII, 2 e aeg. Inf. U,
2S e seg.
180. Dionisio: TAreopagita, cfr. Par,
X, 115, oredoto autore del De ectUtti
hierarehia.
132. con' 10 : che ne parlo per Tedata.
188. Gbboobio: Magno, ofr. Purg. X,
76. Par. XX, 106 e seg. -si divise: al
allontanò dall'opinione dlDioniaio ; cfr.
Thom,Aq.,8um.theùl.l, 108, 6.
135. BIBK : ò in realtà U ridere di Dante
stesso, che ripudia la opinione espressa
in Oonv. II, 6. Si tratta però d'on In-
nocente sbaglio, non d' nn articolo di
fede.
186. BiOBBTO vsBt e SO Dionisio rirelò
rerità cosi nascoste. - pboffebsb : ma-
nifestò} ofr. Par, III, 6; XXVI, 103.
138. CHI: San Paolo. cHasantemlntres
temarios ordines digerìt inolytns initia-
tor noster; sire is sit divinns Hiero-
thens, sive potins is qui ad tertinm ood-
Inm eTeota8,ibidein raptns in Paradisnm ;
magnns, inqnam, Panlus»; IKon., Deec^
hier., 6. - DI800VEBSK : rivelò.
180. ALTBO : con molte altre verità con-
cementi questi cieli.
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990 [CULO NOVO]
Pàb. ixix. 1-10
[8ILSKZI0]
CANTO VENTESIMONONO
CIELO NONO O OBISTAlililNO: GBBABCfllE ANGELICHE
TEOBICA DEGLI AKGELI
PREDICA CONTRO I PREDICATORI DI VANITÀ
10
Quando ambedue li figli di Latona,
Coperti del Montone e della Libra,
Fanno dell'orizzonte insieme zona,
Qaant' è dal punto che il zenit inlibra,
Infin che l' uno e V altro da quel cìnto.
Cambiando l'emisperio, si dilibra;
Tanto, col volto di riso dipinto.
Si tacque Beatrice, riguardando
Fisso nel Punto che m'aveva vinto;
Poi cominciò : € Io dico, non domando
V. 1>9. Un «tomento di tOemtio.
Terminato di i»arl«re delle genotsliie u-
geliobe. Beatrice fk una breve paoaa pri-
ma di entrare a parlare della creasione
degli angeli e di altri pnnti ohe adeaai ai
riferieoono. La paoaa non darà che nn
momento, deacritto dal Poeta in aei vera!
con droonlocnsiooe aatron(miÌca.Beatrice
taoqae.rigaardando nel PntUo tanto tem-
po, qnanto il aole e la Inna, atando in due
aegnl dello zodiaco oppoati e olroondati del
medeaimo orissonte, ai trorano perfetta-
mente a riacontro, cioè nn iatante indivi-
ail>ile. Cfr. DeUa Vaiìe, Sento, IM e aeg.
Mariani, La D, O. etpotta al giov., 277.
1. Flou : Sole e Lnna. - Latona : ma-
dre di Apollo e di Diana ; cfr. Furg. XX,
lai. Par. X, 87. - «Qoando il aole ata
aotto il aegno dell'Ariete, e la Iona aotto
quello della Libra, qnello naaoendo e qne-
at' altro aegno tramontando nella ateaaa
sona del noacro orissonte, per wn mo"
mento atanno alla ateaaa diatansa dallo
senit verao l' orissonte medeaimo qoaai
e^olUbrati, e poi l'ano t* aotto, l'altro
aale aol nostro emiafero. Per osa aimile
piccola darasione taoqae Beatrice e al
flaaò nel ponto della divinità che mi area
abbagliato ool ano aplendore. » Om-a.
2. MoHTOifK: Ariete; cfr. Purg. Vxll,
18i.
8. PAXHO : ai fiMciano ambedoe deU' o-
rissonte, lo toccano, cioè, oonteoipora-
i. IHUBBA : tiene in equilibrio. Sulle
varie lesioni di qoeato veno elr. Ootn.
LipM, lU, 774. Moore, OriL, 495-600.
5. curro : da quella sona dell'oriaaomte
meoslonata nel v. 8.
6. CàMBLàHDO: l'ano paaaando dall'ead»
afero noatro a qnel di aotto, Taltro t^
ceveraa. - si dilibrx : ai libera dal detto
cinto, nacendone ftiori; cfr. Par. II, M.
Al.: Ecce d'eqnilibrfo.
9. Punto: Dioi cfr. Par. XXVHI, le
e aeg. - vorrò : abbagliato.
V. 10-45. Craamione éegH «jt#ei<.
Biplgliandolldiacorao,BeatricecoMtfnswi;
« Ti dico aensa taa domanda dò che ta
voci udire, avendolo veduto in Dio^ in e«d
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[CIXLO NONO]
Par. XXIX. 11-21
[ANGELI] 991
13
10
19
Quel che tu vuoli udir, perch'io l'ho visto
Dove s'appunta ogni ubi ed ogni quando.
Non per aver a so di bene acquisto,
Ch' esser non può, ma perchè suo splendore
Potesse, risplendendoy dir: ** Subsisto „ ,
In sua eternità di tempo fìiore,
Fuor d'ogni altro comprender, come i piacque,
S'aperse in nuovi amor l'eterno amore.
Nò prima quasi torpente si giacque ;
Che né prima, né poscia procedette
Lo discorrer di Dio sovra quest' acque.
8* «ppantaognispasio ed ogni tempo. P«r-
buido quindi deUft ore»sione degU angeli
'«ooa i •egoentì ponti : 1^ Perchè creò Dio
jli angeli f Non por Moresoere la propria
beatitudine, ma perohò le emanasioni
ella sua lace, risplendendo di per sé,
.odeeaero della coeoiensa della loro eei-
.«tensa; dnnqae per paro amore. Cfir.
Thom. Aq., Sum. th. 1, 50, 1. Sxim. eontr,
geni, H, 1. - 2<> Q^andofwono ereati gli
angeli fSon avanti il tempo, ma col tem-
po, oioè il primo di della oreasione. Cfr.
Aug., dv. Dei, XI, 9. TAom. Ag., 8um.
ihéol. I, 81, 2 e Mg. - 80 Dove furono
creati gli angeli f Kel cielo Empireo.
Cfr. Petr, Lomb., Sent., II, 2. Thom,
Aq., Sum. theol. I, 81, 3. - 49 Come furo-
no ereali gii angeli f Buoni tutti, anche i
ribelli; pare forme, inquanto in eeni la
formft non organizsa verona materia.
Tattavia anche negli angeli ha luogo la
dlilbrensa tra potensa ed atto, Dio solo
•seendo atto poro aesoloto; cfr. TAom.
Aq., Bum, theol. I, 50, 2.
13. DOVI: in Dio, in coi tutto è, e tutto
ai aoorge. - ubi: loogo, spazio; cft. Par,
XXVm, 95. - QUANDO : tempo. A Dio ò
preaente ogni luogo ed ogni tempo.
18. A sÈ: « Ad productionem oreato-
ranun nihil aliod moret Deom, niai eoa
bonitAS qoam reboa alila oomonicare vo-
loit aecnndom modom aaaimilattonis ad
ipsnm»; Thom, Aq., Sum, centra Qent.
II, 46.
14. PKBOHÈ: ma affinchè lo splendor
soo, riaplendendo in altre soatanse, po-
tesse dire : Subtisto, io sono, oioè affinchè
ogni oreatora godesse della propria esl-
•tensa. Altri applicano a Dio stesso, qua-
le motlTO della oreasione, qoesto bisogno
delln ettrinaeoadone per avere più com-
pleta aflTermaxione di sé. Ha qoesta sa-
rebbe on'eresia bella e boona. Dio, Tente
perfottlssimo, non ha veron « bisogno > ,
nemmeno « della estrinsecaxione. »
18. FUORI : foori. Tempo e spaaio inco-
minciano colla creazione dell' universo.
17. FUOR : « oltra ogni altro compren-
dere che quello d' Iddio, perchè nissnno
intelletto creato può comprendere come
il tempo col tempo cominciasse»; Dan,
Cfr. Aug,, De Oiv, Dei, XI, 8. - 1: gli;
spontaneament-e.
18. IN mJOVI AMOEt Al. or NUOVO
AMOR; IN NOVI AMOR. I nuovi amori
sono contrapposti all' etemo amore. Leg-
gendo NOVI si dovrebbe intendere: in
nove ordini d'angeli. Ha V etemo amore
non si aperse soltanto nei nove ordini
d'angeli, bensì in tutto il creato.
19. PRIMA : della oreasione. -TORPKNTB:
inerte. Non si può dire che prima della
oreasione Dio fosse inattivo, la oreasione
essendo fuori di tempo e l' eternità non
avendo né prima, né poi. Cfr. A%ig., De
Oiv. Dei, VII, 30: XI, 4-8; XH, 15-17.
Thom. Aq., Sum. theol. 1, 10, 1, i, Aug.,
Oonf. XI, 13.
20. PROCEDBTTB : il ditcorrer di Dio eo-
vraquMi^ aeque (istv. Qen, 1, 2), cioè l'ope-
ra della creazione, non avvenne né pri-
ma, népoi. « Tempus nihil alind est quam
numemsmotus secundum prius et poste-
rius. Cum enim in quolibet motn slt suo-
cessio, et una pars post alteram, ex hoc
quod numeramus prius et posterius in
motn, apprehendimus tempus, quod niiiil
aliud est quam numems priorls et poste-
rioris in motu. In eo autem quod caret
motn, et semper eodem modo se habet,
non est accipere prius et posterius. »
Thom, Aq,, Sum, theol. I, 1^0,JU|^
992 [CIBLO ITONO]
Pab. XXIX. 22-88
[AKOBU]
22
25
28
81
Forma e materia, oongionte e parette,
Uscirò ad esser che non avea fallo.
Come d*arco tricorde tre saette;
E come in vetro, in ambra od in cristallo
Raggio risplende si, che dal venire
All'esser tutto non è intervallo;
Cosi il triforme effetto del sno Sire
Neil' esser suo raggiò insieme tatto,
Senza distinzion nelP esordire.
Concreato fa ordine e costratto
Alle sastanzie; e qaelle faron cima
Nel mondo, in che puro atto fu produtto;
22. F0RM4 : Bostansiftle. - matbbu. : la
materia prima. - PUBirm : non oonftiM.
Forma para (créatura ratUmaUt et epir
rituali» — angeli), materia para (crea-
tìtra corporali» -a la natura sensibile) e
materia congionta a forma {ereatwra cor-
porali» et ratUmali»'^ V nomo) asdrono
dalla mente di Dio tutte in an tempo,
come escono tre saette da nn arco obe
abbia tre corde. B cotesto triforme ef-
fetto raggiò totto insieme nel sno essere
perfetto, oome il raggio, venato nel ve-
tro, in an istante e* ò tatto. « Deas d-
mal ab initio temporis ntramqne de ni-
bilo oondidit oreatoram, spiritoalem et
oorporalem, angelicam yidelieet et man-
danam; ao deinde bnmanam, quasi oom-
munem' ex spirita et oorpore constitu-
tam»; Oone. Laler. IV, oap. Fìrmiter.
Ctr. Scrocca, Il »i»tema dantetco dei dtU
e delle loro infiuenze. Napoli, 1895, p. 29
e seg.
23. AD E8SIB : ad essensa. Al. ad atto,
le«. assolutamente priva di autorità. -
VALLO : « Viditque Deus cunota qne fe-
oerat: et erant valde bona»; Geneei,
I, 81.
21. ABOO TBiooROK: «Fassi arobi cbe
banno tre corde e saettano insieme tre
saette; e ooii balestre cbe saettano in-
sieme tre boloioni » ; Lan,, An. Fior. -
« L' arco figura la Divinità ; le tre corde
le tre persone, Padre, Figlinolo, Spirito
Santo; le tre saette, le tre spedo gene-
rali dette di sopra, cioè forma, materia
e ooniunto; imperò cbe in essa oreasione
fbe concreante la potensia del Padre, la
sapienxia del Fi^nolo, e la benivolenaia
dello Spirito Santo»; BtUi.
2&. CRISTALLO : vale qui t un oorpo lu-
cido in genere. Tutta quanta U orea-
sione fta istantanea: « Qui vlvit in «ter-
num, oreavit omnia simul»; Eodee.
XVTII, 1. Cfr. Aug^, 8up. Gtn. IV,
22. 0i9, DH, XII, 9. A4 Oro»., 26. PeU.
Lomb., Seni. II, 1. Tkom. Aq., Svrn^th.
I. 74, 2.
27. BSSSRt nel vetro, neO'ambra. o nel
cristallo. Dal venire di un raggio laddo
in un pesco di vetro o di ambra all*ea-
servi totto, non corre vemn intervallo
di tempo.
28. cosi: in simil modo la creadone di
tutte e tre le cose, forma pura, materia
pura e materia congiunta a Ibrma, Ib
istantaneamente intera, senaa disUnsio-
ne di prindpio, meno e fine. - warru :
opera, creatura; cfr. Purg. XI, 8. - dkl
suot Al. DAL suo. - Sire: Dio; efr. Ii^.
XXIX, M. Purg. XV, 112; XIX, 125.
Par. Xm, 64.
29. HILL* K88KB : nella plenesaa del suo
essere. - baogiò : usd a guisa di raggio.
80. DisTDizIOH : di tempo ; sensa distia*
aione di prindpio, messo e fine.
81. coNCBKATOtcontemporaneameote
dia forma pura, materia pura, e materia
congiunta a forma, tu pure creato e sta-
bilito r ordine loro. - ocentUTro : stabi-
lito, ordinato.
82 . BUSTANZ» : sscondo Aristotele, an-
cbe la forma è sostansa. • quvllk : le so-
stando intdlettuali, gli angeli. - ghia:
furono le più dte, poste sopra di tutti i
ddi.
83. KKL MONDO : Al. DKL MONDO. - IH
CBK : nelle qoall sustansie. - pubo atto :
« fnrma est actus. Qood ergo est forma
tantum, est actus puma. » Thom. Ag.,
/^m. theoL 1, Sfi, i.
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[CULO NONO]
Par. mix. 34-48
[ANGELI] 993
34
87
40
43
46
Para potenza tenne la parte ima ;
Nel mezzo strinse potenza con atto
Tal vìme, che giammai non si dìyima.
leronimo vi scrisse lungo tratto
Di secoli degli angeli creati,
Anzi che V altro mondo fosse fatto ;
Ma questo vero è scrìtto in molti lati
Dagli scrìttor dello Spirito Santo ;
E tu te n'avvedrai, se bene agguati ;
Ed anche la ragione il vede alquanto,
Che non concederebbe che i motori
Senza sua perfezion fosser cotanto.
Or sai tu dove e quando questi amorì
Furon creati e come; si che spenti
Nel tuo disio già sono tre ardorì.
34. POTBirzA : le SMtttDze da Dio pro-
dotte puramente attive, doè le Boetanse
angeliche, per eseroltare asione sopra le
altre, ftirono meese sopra i cieli ; le 80<
■tanse create pnramoDte passive, con la
sola potenca di ricevere 1* adone altrui,
furono collocate nella parte ima, più bas-
sa, oioò sotto la Inna ; le sostanse create
attive e nello stosso tempo passive, cioè i
cieli « che di sa prendono e di sotto fui-
no » (Par, II, 123), ftarono poste nel messo
tra le angeliche e le terrestri.
86. VUOI: legame; ofr. Par, XXVm,
100. - DiviuA: scioglie. Kel messo, tra la
cima e la parte più bassa del mondo, mi
legame cosi forte, che mai non si scio-
glierà, strinse potensa ed atto in quelle
sostanse ohe sono disposto a ricevere ed
a fare; cfr. Par. VII, 130.
37. IKBONIMO : cfr. Hieron., in Spitt,
ad TU. I, 2. - LUNGO TRATTO: del longo
tratto de' secoli ; lat. : « Scripsit de ange-
liscreatismnltissflBcolisantoqnam, ecc. »
Al.: Vi scrisse a longo. Cfr. l%om. .^f.,
JSfum. théol, 1, 61. 3.
38. DI BKCOLI: Al. DB'BECOU.
40. QURSTO VKRO : qneste verità ohe gli
angeli furono creati contomporaneamen-
te al mondo. - molti lati : Oen. 1,1. Ee-
de*, XVin, 1. Cfr. Thom. Aq., Sum. th.
I, «1, 8.
41. ecBiTTOR: autori dei libri sacri;
« Sptirita sancto inspirati locnti snnt san-
eti Dei homines »; Il Pietro, l, 21. Cfr.
De Mon. IH, 4.
03. ~ Dtv. Oomm., 4» edis.
42. AGGUATI: poni mento. Al. bb brn
NS GUATI; BS BKN VI GUATI.
48. ALQUANTO: in parto, potondo la
ragione nmana vedere soltanto nn qual-
che poco delle cose soprannatnrali, ed
anche il poco non chiaramento.
44. MOTORI: angeli, motori dei cieli;
cfr. Oonv. II, 5.
45. PERPRZION: Tatto di volgere le
sfere, che ò il compimento dei motori. -
COTANTO: SÌ longo tompo; cfr. Thom.
Aq., Sum. theol, I, 61, 8.
V. 46-69. Angeli fedeli ed infedeli.
Beatrice contiuaa : « Tn sai ora dove,
quando e come gli angeli fkirono creati.
Ma nna parto di essi si ribellò a Dio.
Quando f Appena creati. Gli altri, rima-
sti fsdeli a Dio, cominciaron qnest' arto
che tu vedi, di girare intomo al luoen-
tissimo Punto. La superbia di Lucifere
fu la causa prima della cadute degli an-
geli ribelli. Gli angeli fedeli riconobbero
in umiltà il loro essere da Dio che gli
avea creati capaci di tante InteUigensa,
onde ricevettero la grazia illuminante, e
la grazia oonsummante, di modo che non
possono più peccare. S sappi che il rice-
vere la grazia ò meritorio, in ragione
della buona volontà nell' accettar! a. Ora,
se tu hai ben inteso le mie parole, puoi
sene' altro aiuto comprendere molte al-
tre cose concernenti queste angelica as-
semblea. »■
47. BPRNTI: sciolti tre dubbi, quindi
spenti tre motivi dell'ardente tua brama.
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994 [CIBLO NONO]
Pae. xiix. 49-65
[▲N6BLI]
i9
52
55
58
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NÒ gìugnerlesi numerando al venti
Si tosto, come degli angeli parte
Turbò il snggetto dei vostri elementi.
L'altra rimase; e cominciò quest'arte
Che tu discemi, con tanto diletto,
Che mai da circuir non si diparte.
Principio del cader fu il maladetto
Superbir di colui che tu vedesti
Da tutti i pesi del mondo costretto.
QueUi che vedi qui, furon modesti
A riconoscer so dalla Bontate,
Che gli avea fatti a tanto intender presti ;
Per che le viste lor furo esaltate
Con grazia illuminante e con lor morto
Si, e' hanno piena e ferma volontate.
E non voglio che dubbi, ma sie certo,
Che ricever la grazia ò meritorio,
40. 0IU0NKRÌR8I : dalla oreadone degli
angeli alla caduta di ana parte di essi
passò meno tempo, di qnel ohe ocooire
per namerare da ano a renti. Gfr. Thom.
Aq., 8ufn, theol. I, 62, 5; 68, 6. « DI
tatti qaeeti ordini si perdettero àlqnantl
tosto che fìirono creati»; Oonv, II, 6.
51. IL suoaiETTO: la terra, sopra la
quale si alsaoo gli altri dementi, doè
acqaa, aria e fuoco; Lan., An. Fior.,
Post. Ooi»,, Folto Boec., Benv., ecc.; op-
pure perchè di questi quattro elementi è
composto il gloho terrestre ; Bonoh., ecc.
Al. MUTÒ 'l subibtto, cÌoò la terra, pri-
ma pura, poi guasta per la caduta di Lu-
cifero (BiUi, Land., ecc.).- eliionti:
AI. ALIMENTI, lesione quasi del tutto
sproYYìsta di autorità. Cfr. Oom. lApt.
in, 788.
52. BiMASK : in delo, perchè rimasta fe-
dele. - ABTE: di aggirarsi intomo al-
l' TJno.
56. bupkbbib: causa prhna della cadu-
ta degli angeli fti la superbia; cflr. Orig.,
in Bzéch. Hom. IX, 2. Aug., De vera
reUg. I, 18. De eaieoh. rwl., 80. De (Hv,
Dei, Xn, 6. Sneh., ad Lawr,, 28. An-
aelm., De eatu Diab., 4. - vedesti : cf^.
If\f. XXXIV, lft-128.
67. oosTBEiTO: lat. oofittrietUM, com-
presso, pressato da tutte le forse della
grarltà.
58. QUELLI: gli aogeU buoni. Dette la
causadel castigo per gli angeli ribelli, ohe
fa il peccato della superbia, dice ora la
causa del premio per gli angeli ied^, ohe
ta la virtù dell'umiltà. - modbbti : nmill ;
cfr. Tkom. Aq., Bum. théol. U, n, ISO,
1 e seg.; 161, 4.
59. BIOOROBCEB: a riconoscerei' essere
loro dalla bontà di Dio. Al.: A moetruBl
grati. - « Furono umili nel rloonoaoore
tutti i loro pregi d' intelUgenaa deiìTati
dalla divina bontà»; Oom.
60. PBBsn : pronti, atti a tante Intel-
ligensa.
61. PER CHE: per il che, per il qnal
motiro. - LE VISTE: la loro oapadtà di
veder Iddio, fimdamento della beatitodi-
ne, cfr. Par. XXVIII, 110. - esaltate:
innalsate; qui in senso Iato per ooorv-
«eiute.
62. mebto: accettando lagrasia iUn-
minante, si resero degni di lioevere la
graaia oonsummante; cfr. l%om, Aq.,
aum. theol. I, 62, 4.
68. HANHO: sono confermati nella gra-
aia e non possono pia peeoare; cfr.
TTiom. Aq., Swn. theol. I, 62, 8.
64. DUBBI : dubiti, dall'antico dubbiare,
-BTE: sii.
65. MSBITOBIO: Al. MXBITOBO, ilnooptt
superflua. Ofr. Thom. Aq., Arni. thooL I,
«2, 2. _ ,
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[OIBLO HONO]
Par. xiix. 66-82
[ANGELI] 995
67
70
73
76
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81
Secondo che l'affetto l'è aperto.
Ornai d'intorno a questo consistono
Puoi contemplare assai, se le parole
Mie son ricolte, senz'altro aiutorio.
Ma perchè in terra per le vostre scuole
Si legge che l'angelica natura
È tal, che intende e si ricorda e vuole.
Ancor dirò, perchè ta veggi pura
La verità che laggìè si confonde,
Equivocando in si fatta lettura.
Queste sustanzie, poi che fur gioconde
Della faccia di Dio, non volser viso
Da essa, da cai nulla si nasconde ;
Però non hanno vedere interciso
Da nuovo obbietto, e però non bisogna
Bimemorar per concetto diviso.
Si che laggiù, non dormendo, si sogna.
67. D*inTORHO: circa tatto dò obesi
riferiaoe * questo «ngelioo collegio; cfr.
Purg. IX, 34.
V. 70-84. Ze faeóUù Oegìi angeU.
Nel mondo e* insegna da talane cattedre
ohe gli angeli hanno intendimento, vo-
lontà e memoria. Qni si combatte tale
opinione. Gli angeli hanno volontà ed
intelletto, memOTia no, perchè vedono
tntto in Dio, onde non abbisognano nò
di memoria, nò di ragionamento. Le bril-
lanti ipotesi dei dottori non sono che so-
gni, nei qnaU non credono nemmeno al-
ooni dioolorochegli insegnano ; e costoro
sono più colpevoli che non i dotti che
credono nei loro sogni. San Tommaso
ammette che gli angeli abbiano memoria;
Bum, thed. I, 64, 6. Negandolo in modo
assolato, Dante si fondò forse sopra nn
altro passo dell' Aqnlnate, 8um, theol. I,
68, 1. Cfr. in proposito Oom.Lipt. Ili,
786 e seg.
71. 01 LBOGB: si insegna dai dottori di
teologia.
75. BQurvocAirDO : « non facendosi in
tale soolastico insegnamento la debita di*
stinsione tra memoria propriamente det-
ta e cognlxione del passato in generale »;
Andr. - « Laggiù s* insegna nelle vostre
sonole flloeoilohe ohe la natura angelica
ha, eome V umana, memoria, intelletto e
volontà. Ka v* ò qui equivocazione. Im-
peroeohò la memoria significa un pensar
di nuovo a cosa che si era da prima pen-
sata, il che importa an V0der$ itUeUettwOe
interciso da nuovo ol>bi€Uo, Ora queste
sostarne dal punto in cui sono state bea-
tifloate veggono sempre Dio, che è il prin-
cipio in cui veggono tutte le cose....
Adunque, a dir vero, gli ang^ non han-
no propriamente memoria, perchè hanno
sempre intuisione. » Oom,
76. 8U8TANZIB: angeliche. - POI CHK :
dacché ftirono beatificate dalla visione di
Dio.
70. FBBÒ : « qoia numquam removent
visnm a faoie Dei; ideo sabdit qnod Illa
fiacie vident prsMentialiter prseteritum,
pnesens et fùturum »; Bmv. -imtsbciso:
interrotto da nuovo oggetto soprawe-
gnente. « C è bisogno di ricordarsi quan-
do il concetto non è presente, e un altro
oggetto sottentra a dividere l' atto unico
della mente »: Tom,
81 . RIMEM ORAR : < nel Ut. de' tempi bas-
si rememorare ', e dice rinnovare l'atto
della memoria, dove rammemorar» dice
piuttosto richiamare alla memoria al-
trui » ; Tom. - DIVISO : separato, allonta-
nato dalla mente, e quasi rimasto addie-
tro e perduto d' occhio.
82. SI SOGNA: laggiù nel mondo si so-
gna ad occhi aperti, si delira; con questa
diflérensa però, che gli uni prestano fode
ai loro sogni e credono di dire il vero ; gli
altri non ci credono essi medesimi, bau*
996 [CIELO MONO]
Par. XXIX. 83-97
[PREDICATOCI]
85
88
91
94
97
Credendo e non credendo dicer vero ;
Ma neir ano è più colpa e più vergogna.
Voi non andate giù per nn sentiero
Filosofando ; tanto vi trasporta
L'amor dell'apparenza e il sno pensiero!
Ed ancor questo quassù si comporta
Con men disdegno, ohe quando è posposta
La divina scrittura, o quando è tòrta.
Non vi si pensa quanto sangue costa
Seminarla nel mondO| e quanto piace
Chi umilmente con essa s'accosta.
Per apparer, ciascun s'ingegna e face
Sue invenzioni; e quelle son trascorse
Dai predicanti, e il Vangelio si tace.
Un dice che la luna si ritorse
no Ia oofloietisA ohe le ooae ohe dloono ed
insegnaiio, noB aono altro ohe sogni, ep-
pare, per parer dotti, le vogliono soatene-
re per vere. In questi aitimi è maggior
colpa e vergogna; ohe i primi peooano
per ignoransa, i secondi per malisia.
V. 86-128. FredicaUn'i di tfanitA e
venditori dHndutffmime»Behtr\ot oonti-
naa : « Voi mortali nel filosofare vi laadate
tanto trasportare dalla smania di brilla-
re, ohe sono qnasi altrettanti I sistemi
ohe i filosofi. Né questo è il peggio. Più
assai eccita Tira del cielo 11 posporre la
divina Sorittnra all' nmana filosofia, o
r Interpretarla tortamente. Non al pensa
in terra con quanto sangue di maitiri la
Scrittura fu diffusa nel mondo, e quanto
sia grato a Dio chi in umiltà ad essa si
attiene. Tale è niel teologi e predicatori
la smania di parere ingegnosi, òhe tutto-
giorno vanno predicando favole invece
del Vangelo di Cristo, e pascono le peco-
relle di dance pur di ftkr guadagno. »
85. GIÙ : oolaggih in terra. - srntibbo :
voi uomini laggiù nel mondo non tenete
una medesima via per arrivare alla oo>
noscensa del vero.
87. suo : dell'apparenaa, doò il penale-
ro di comparire orrevoU, di acquistarvi
ikroa.
88. QUASSÙ: in cielo. -BI COMPOBTA:
quantunque dispiaoola, estendo cosa peo-
caminosa. « Peccare nihil est alind, qnam
progredì ab uno spreto «d ornlta »: De
Mon. I. 15.
89. POSPOSTA: trasoorata; ofr. Ptr.
IX, 188 e seg.
90. TÒSTA: alterata; « tirata m eontra-
rio intendimento, o ad altro che non eb-
bene li Dottori, né ohe ebbe lo Splrìts
Santo, che la dettò per la boom loco »;
BuH. Cfr. Par. XII, 125 e se^.
91. VI: in terra. -BANOus: dei nartbi
- COSTA : ò costato.
92. BRMINARLA : Spargerla, diflbnderla ;
otr. Pwrg. XXII, 77 e seg. - plagi : m Die.
93. con ISSA: colla divina Scurittora. -
CON, vale qui ad, oome in /oc da Todi,
II, 12, 26: « AooostaU con Dio,» cioès
Dio. Kò mancano altri esempi di sisife
locuzione. Beatrioe ha biasimato eeto»
che mettono la Sorittnra in non eak, e
quelli che la torcono a mal aenso. i qoali
tntti, e specialmente 1 secondi, non si ae-
costano alla Sorittnra oolla dovnta bbììI-
tà e riverensa. Quindi dice ohe eeslow
non sanno quanto plaoe a Dio ehi si av-
vidna alla Scrittura sacra colla debita ri-
verensa ed nmiltà.
94. APPARRB; apparire, attirarti Tat-
tensione, « aodò ohe sia opinato savie •
santo di lai»; Lan. - paoi: fis.
95. tbaboobbr: diseorse, trattote. «Di-
ce la predpltosa oonftisione di qaeOa Ib-
eondla da saltimbanohi che è ooaa msDt
antica di Dante >(f); Tom.
97. 61 BITOBBB: retrocedette di ael se-
gni, per interporsi tra n sole e la terra;
cfr. Matt. XXVn. 45. Marco, XV, iL
Luca, XXni,>A4. t
iitizedbyV^OOQle
[CULO HONG]
PAB. XXIX. 98-113 [PBKDICATOBl] 997
100
103
106
109
112
Nella passion di Cristo e s'interpose;
Per che il lume del sol gìd non sì porse:
Ed altri, che la luce sì nascose
Da so; però agP Ispani ed agl'Indi,
Come a' GKudeì, tale eclissi rispose.
Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi,
Quante si fatte favole per anno
In pergamo si gridan quinci e quindi ;
Si che le pecorelle, che non sanno,
Toman dal pasco pasciute di vento,
E non le scusa non veder lor danno.
Non disse Cristo al suo primo convento :
'' Andate, e predicate al mondo ciance 1 „ ;
Ma diede lor verace fondamento ;
E quel tanto sonò nelle sue guancoi
Si eh' a pugnar, per accender la fede,
90. HOH SI POBSB: non 8i estese, non
arrirò inflno alla terra; ofir. Thom. Aq.,
Su/m. thtol, ni, 44, 2. Dante lasda qui
la questione indeolsa, contentandosi di
notare l' hiopportonltà delle Interpreta-
doni sdentiflche dal sacri pergami. Cfr.
Om. IAp9, III, 700 e seg.
100. KD AI^TBI, CBS : Al. K MXNTRB CHS ;
Al. s MSHTV ? CHÀ. Dopo avcT detto : ZTn
dÌMsi aspetta naturalmente di adire cosa
dice r altro. Che poi Dante abbia scritto
1 MIHTS non si paò in verini modo am-
mettere, ohò, focendolo, avrebbe dato del
bugiardo a San Dionisio ed a San Tom-
maso; efr. Thom, Aq,, 8wn. theci. Ili,
44, 2. Si noti Inoltre, ohe Dante non ri-
pone le diverse opinioni relative tra le
&voIe, ma tra le cose da non disontersi
in pergamo ; e ohe lascia dal canto suo la
questione indecisa appunto perohò la ri-
tiene inutile. Vool donqae dire : «Gli ani
dioono ohe la lana retrocedette sei segni,
per Interporsi tra il sole e la terra ; altri
dicono, Invece, che la luce si oscurò da
iè. Ma la questione ò inutile e vana, per^
dio queU' oscuramento fu miracoloso. »
101. Ispani : dai più occidentali ai più
orientali abitanti della terra. Secondo
Dante, la Giudea è nel messo tra I* India
e la Spagna. Senso : onde l'eclissi fu uni-
versale; il sole si oscurò per gli abitanti
dell'estremo oriente e dell' estremo occi-
dente oome per gli abitanti della Giudea.
10$. Lati s Bindi : nomi allora comu-
nissimi in Firense. l^opo è da Iacopo,
Bifido da Ildebrando ; cft. Fanf.^ Toeaib.
dell'uso tote., 624.
104. FAVOLS: le prediche di Giorda-
no da Rivalto, contemporaneo di Dante,
non confermano la sua accusa ; altre pre-
diche di contemporanei non sono giunte
a noi. Ma gli esempi che si leggono nel
Lan. (cfr. Oom. Lip», III, 791 e seg.)
son più che bastanti a giostiflcare il se-
vero giudizio del Poeta sui predicatori
del suo tempo.
108. NON LS SCUSA: tmohe \e pecorelle
eKe non sanno sono colpevoli, perohò nel
cristiano non si ammette ignoransa delle
cose essenziali alla salute. Il danno che
viene agli altri dal saltimbanchi di tutte
le specie ò dovuto in parte alla inescusa-
bile ignoranza e dabbenaggine di coloro
che Canno loro cerchio. -lob danno: Al.
LO DANNO.
109. CONVENTO: ai primi che con Ini
convennero al collegio apostolico.
IH. FONDAMENTO: « socondo la grazia
di Dio, che è stata a me concessa, da pe-
rito architetto io gettai il fondamento....
Altro fondamento non può gettar chic-
chessia fuori di quello che ostato gettato,
che è Cristo Gesù. » I Cor. Ili, 10-U.
112. TANTO: solamente; il solo Mrac«
fondamento fti predicato dagli apostoli.
-SUB : del primo convento di Cristo, cioò
degli apostoli. - guancb : bocche.
113. PUGNAB : a combattejEe il bnon
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[CULO NONO] PlB. XXIX. 114-126
[PREDICATORI]
115
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121
124
Dell' Evangelio fero scudo e lance.
Ora si va con motti e con iscede
A predicare, e, pur ohe ben si rida,
Gonfia il cappuccio, e più non si richiede.
Ma tale nccel nel becchetto s' annida,
Che, se il vulgo il vedesse, vederebbe
La perdonanza di che si confida ;
Per cui tanta stoltizia in terra crebbe,
Che, senza prova d' alcun testimonio.
Ad ogni promission si converrebbe.
Di questo ingrassa il porco Sant'Antonio,
Ed altri ancor che son assai più porci,
Pagando di moneta senza conio.
oomlMittiineiito deUii fede. H solo Van-
gelo Talee agli apostoli per iscado e per
landa, doè per arma di difésa e di oflbsa
nelle battaglie oombattate per la propa-
gazione della fede. Cfr. I Tim, VI, 12.
114. FEBO: fecero. - SCUDO: per dif^de-
re la Code. - lakcb : per combattere gli er-
rori. Cfr. Ebrei, IV, 12. Apoe. 1, 1«; U, 12.
115. ISCKDB : buffonate, « detti beffevili,
ohe stracfegglano econtraflknnole parole
altmÌ»iBM«.-« Cose scipite, e ohe direm
noi oggi lesii e srene volesse; e certe pia»
ceToiease fredde e fastidiose, se piace*
volesse si posson chiamare questi tali,
ma come oredon odoro oh' elle sieno, e
qae* che i Latini direbbono freddo »;Bor-
ghini. - « 8eeda si adopra anche per Lazzi,
Smorfie: Qoante soede mi fail Che soe-
de sono cotesto f Bd è voce antichissima
rimasta nell'uso »; Fanf., Toc. dell' uio
toee., 872.
117. QOHPIA: per soddis&re la ranità
del predicatore basta che U pubblico, ra-
dunato nella chiesa ad ndire la sua pre-
dica, rida a più non posso. - piò : « non
cerca più là se non di piacere al popolo »;
BuH, LantLt ecc. - « Più oltre, di quello
che si ricercherebbe alla salute non si
ricerca »; FeU. Meglio: non si cerca al-
tro che di appagare la propria vanità.
118. uccxL: il diavolo; cf^. Jfif.XXn,
06 ; XXXIV , il, - BKOCHETTO : punU del
cappacdo.
119. VKDBttXBBK: Conoscerebbe il valo-
re dell'i ndalgenza nella quale si confida.
120. LA PKHDONAKZA: il pordoUO, Tiu-
dnlgen8a.-Di chk: Al. di ch'kl ; di ch*£I.
121. PKB CUI : e per tale perdonanza ò
oresciuta in lo mondo tanta stoltizia, ohe
pur ohe promissioni d'essa si
ogni uomo omrre là, né non guardano
se colui ohe la dà, hae la giurisdlsioDe
di darla, né s*eUo ò disposto a rieever-
la »; Lan., Ott., Am.Fior,
122. TESTDfOino : di lettere testimo-
niali, bolle, ecc. che attestino 1* autorità
deferita dal Pontefice.
125. 81 CONVKHBKBBE: la gente aooor-
rerebbe in folla. Al. si ookbxbebbb.
124. DI QUCfiTO : di tale accorrere del
volgo ad ogni promessa che gli sia fktte.
- IL POECO : SsAt' Antonio, V eremita,
n. 251 a Coma nell' Egitto, m. 856 (da
non confondersi con S. Antonio di Pa-
dova) si soleva, e suole, dipingere o scol-
pire con a' piedi un porco, aUnsivo al
diavolo, che, secondo la leggenda, an-
dava sotto quella forma a tentarlo. Ai»-
f Antonio ò qui preeo invece de' «noi
monaci. « In Firenze porci d^ Mona-
stero nutriti dioevansi di Sant'Antonio;
a' quali ninno osava di dar impaocdo,
sebbene, girando per le contrade ed en-
trando per le case, fossero al vioinato
molesti *; Dion., ohe osserva jMyreo esser
qui detto del vero animale, in quanto
era « creduto dal volgo esser sotto la
protezione del Santo abate *. Cft. Sae-
eheUi, Nov., 110. Sulle varie interpretas.
di qaesto luogo ctr. EncUi. 1039 e seg.
126. ALTBi : oltre il porco suo, Sant'An-
tonio ingrassa molti altri (concubine,
figli illegittimi ecc.) i quali sono più aosci
de' medesimi pord. - assai più pobci :
Al. ANCOE più POBCI ; PEGGIO CHK POBCI.
Cfir. Boee., Deeam. VI, 10.
126. monbta: perdonanza non rare,
fandonie; « fiUse Indulgenze »; Ow.
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[OIBLO HOKO]
Par. mix. 127-140
[ANGELI] 999
127
180
183
180
189
Ma perchè siam digrossi assai, ritorci
Gli occhi oramai verso la dritta strada,
Si ohe la via col tempo si raccorci.
Questa natura si oltre s'ingrada
In nomerò, che mai non fu loquela,
Né concetto mortai, che tanto vada.
E se tu guardi quel che si rivela
Per Daniel, vedrai che in sue migliaia
Determinato numero si cela.
La prima Luce, che tutta la raia.
Per tanti modi in essa si recepe,
Quanti son gli splendori a che s'appaia;
Onde, però che all' atto che concepe
Segue l'affetto, d'amor la dolcezza
V. 127-185. Numero degli angeU,
Dopo 1* Inn^ digressione, Be*trioe oon-
ttnoA * STolgere rincomliiciato argomen-
to, dicendo èhe gli angeli sono in ood
gran numero, ohe nessun mortale sa-
prebbe conoepirlo non ohe esprimerlo.
Cfr. Ikmide, VII, 10. Thom. Aq„ Sum.
théd. 1, 112, 4. Oonv. II, 8.
127. SIAM: Al. 8IM. Ma avendo noi fatto
nna longa digressione, rirolgi ornai la tna
attensione all' interrotto dio del nostro
ragionamento droa gli angeli, sì che, oo-
Bie ai aooorda il tempo che oi rimane a
stare in qnesfeo cielo, anche noi Cacciamo
presto a terminare la trattasione della
materia. - diorrssi: dilungati.
128. DBITTA : verso 1* argomento degli
angeli, ohe abbiamo interrotto.
180. NATURA : angelica, -s' ikorada : si
accresce, si moltiplica di grado in grado.
132. TASTO : quanto il numerodegU an-
geli, che passaogoi numero conc^pibileda
mente ed esprimibile da parola d' nomo.
184. DahIkl : VU, 10 : « miUia milllum
ministrabant ci, et dedes millies oentena
millia assistebant ci. »
186. 01 CELA: non si manifesta, le pa-
role dd profeta Daniele essendo un modo
di esprimere un numero da non potersi
determinare con cifre umane.
V. 188-145. GranOemta di IHo tiegli
ongeìi,* Lalucedi vinache colla beatiflca
sua luce irraggia tutta questa angelica
natura, in tanti diversi modi è da ossa
rfoeruta, quanti appunto sono gli angeli
stessi, i quali ammette all'intima unione
con so medesima. Onde, essendo l'amore
in proporsione della visione, a cui con-
seguita (ofr. Par, XXVni, 109 e seg.),
ne viene per oonseguenxa ohe, essendo in
ciascun angelo diversa la intensità della
visione beatiflca di Dio, sia anche in cia-
scheduno di essi più o meno ardente il
dolcissimo amore ch'essi portano a Dio.
Considera omal la grandessa ddl'etema
possanza di Dio, poicbò s' ha fatti tanti
speochi quanti sono gli angeli, ognun
de' quali riflette una parte di lui, rima-
nendo però Sgli sempre nella sua sem-
plioiesima unità indivisibile ed intero, nò
più nò meno di quello ohe Egli era prima
ohe li creasse. >
130. Luce: Dio; ofr. Par, III, 82; V,
8; XI, 20; XXXI, 28; XXXIIl, 64.-
BAIA : irradia, illumina tutta l' angelica
natura. Raia per raggia, come Purg.
XVI, 142. Par. XV, 56.
187. TANTI: in vario modo da dasoun
angdo. - SI kbcepb: ò ricevuta; cfr.
Par, II, 86.
188. SPLENDOBl : angeli. - S'APPAIA :
d accoppia, d unisce. « Denota l' unione
quasi d'uguaglianza, che £s la grazia
colle anime, e il propordonarsi a da-
scnna»; Tom,
130. CONCEPE: concepisce, comprende.
L'aito che eoneepe ò la vidone di Dio, ef-
fette dell' irradiazione della sua luce. Cfr.
Purg. XXVIU, 113. Par, II, 87. Il Atti :
< Ondo, perocchò l'effetto ò uguale alla
sua causa, eco. Cod interpreto atto che
conc$pé, cioò atto del produrre una co-
140. D'AMOB: Al. D'AMAU.
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1000 [EVPiBBO] Pàb. xxiz. 141-145 - XXX. 1-2
[BÀLITA]
142
145
Diversamente in essa ferve e tepe.
Vedi l' eccelso ornai, e la larghezza
Dell' etemo Valor, poscia che tanti
Speculi fatti s'ha, in che si spezza,
Uno manendo in so come davanti. »
141. DiYiRSÀMEifTBt gli angeli sono
diflbrenti Timo dall'altro, differente ee-
•endo la oomnnloaiione déDa divina looe.
B eeoondo ohe più o meno parteoipano del-
la divina laoe, l'amore ò in esd più o me-
no florvente. - imps : lat. tepet, è tiepido.
142. L* BOCBLSO : la snblimità, la gran-
dessa. Cfr. De Vulg.El. 1, 2. Ep.KarU, 21.
Par. IX, 61 e seg.; XXI, 10 e aeg. J^eti,
111.18.
144. SFECULi: apecohi, oioè angeli, nei
quali, oome in tanti speoohi, ai riflet-
tono 1 raggi ddla laoe divina.* Come H
sole restando ano ai spessa in tanti spee-
ohi in quanti manda la soa imagine, ood
Dio restando uno si divide nei snoi splen-
dori, qaaU sono gU angeli da sé arsati »;
Oom.
145. MANKlfDO: rimanendo; dal lat. ma-
nere, osato anticamente anohe in proaa ;
ofr. Par. XIII, 58-60. - DAVauti : prima
della oreasione degli angeli e dell'uni-
verso, « quia in ipsum non eadit addi-
tio, diminotio, vel mutatio eto. »; Ben».
CANTO TRENTESIMO
EMPIREO: DIO, ANGELI E BEATI
SALITA all'empireo, FIUME DI LUCE, LA ROSA DEI BEATI
IL SEGGIO DI ARRIGO VII
Forse sei mila miglia di lontano
Ci ferve l' ora sesta, e questo mondo
V. 1-45. Salita ttU'JSmpireo, Come
a poco a poco dispaiono le stelle all'avan-
sarei dell'aurora, nello stesso modo si
tolse alla vedata del Poeta il trionfo
delle tre gerarchie dei nove cori angelici.
Dante toma collo sguardo a Beatrice, la
cui bellessa non si può descrivere con
linguaggio umano. Ella gli annonsla che
SODO oramai giunti all' Empireo, dftYft.
moto e tempo non hanno pih Inogo, ma
solo amore é luce, e dove gli sarà OOfi^
cesao ar vedenrruna e l'altra milisia del
Paradiso, gli angeU ed i beati, questi
ultimi neir immagine dei loro corpi ohe
riprenderanno di fktto nel dì déDa rissr-
resione universale e del giadido finale.
1. FOBSB: « alla distansa fané di sei
mila miglia dal punto, dove si trova ds-
souno di noi, vi è l'ora sesta, cioè U mca-
sod), quando noi abbiamo 1* aurora di
tanto avaosata, ohe manca un'ora alla
nascita del sole »{ Delia Vaile, Cfr.
Ponta, Orologio danteeeo, n. XXII. l>sl-
la Vaile, Seneo, 1S5 e seg. Oom. J^p».
Ili, 700. Dante valutava la eiroonf^
rensa della terra 30400 miglia t àtr.
Oonv. Ili, 6.
2. FKEVEt è fervente. - L* ora sivta:
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[SUPIBIO]
Pae. XXX. 8-17
[SALITA] 1001
10
13
le
China già l' ombra quasi al letto piano,
Quando il mezzo del cielo, a noi profondo,
Comincia a farsi tal, ohe alcuna stella
Perde il parere infino a questo fondo;
E come vien la chiarissima ancella
Del sol più oltre, cosi il ciel si chiude
Di vista in vista infino alla più bella.
Non altrimenti il trionfo che Inde
Sempre d'intorno al Punto che mi vinse,
Parendo inchiuso da quel ch'egli inchiude,
A poco a poco al mio veder si estinse ;
Per che tornar con gli occhi a Beatrice
Nulla vedere ed amor mi costrinse.
Se quanto infino a qui di lei si dice,
Fosse conchiuso tutto in una loda.
il m«Bsodì; ofir. Ii|^. XXXTV. 98. Par,
XXVI, 1«.
8. CHOIA: il cono dell* terr» manda
Tombr» dalla parte opposta al sole na-
scente.-al lsttopiaho: in linea orli-
aontale. « Riflettendo ohe l'ombra terre-
stre è diametralmente opposta al oorpo
illuminante, si yedrà sobito, ohe, se que-
sto è di pochi gradi al di sotto dell'oris-
aonte dalla parte d'oriente, Tasse del
oono ombroso della terra deye essere di
altrettanto, doè poco elevato sol piano
orissontale della parte d'ooddente \ e ohe
quindi è proprissimo che qaesto mondo, il
terrestre nella detta oontingenasa. China
già VomJbta q^oH al letto piano, cioè al-
l*orissonte. » Ant,
4. PBOFONDO: alto ; il dolo della sfera
stellata, l' nnioo oredato visibile. « Ter-
Tssqne traotosqne maris cielamqae prò-
fandion » ; Virg,, Gtorg. IV, 222.
6. ALCUNA: di qaelle di minor looe.
0. PBRDB: eossa di apparire per i primi
albóri ohe già si mostrano. - il paksbb:
la parreDza, la yidbilità. - fohdo: in
terra. Dalla terra non si vede più.
7. ooifx: ed a misura ohe vien l'aoro-
TS. - AKOKLLA : oonfr. Purg, XII, 81 ;
XXn, 118.
8. 81 CBiUDB: nasconde le sue stelle.
« Ante diem olaoso oomponet Vesper
Olimpo »; Yirg,, Atn. I, 874.
9. VISTA: stella. - bblla : splendente,
M imperò ohe tatto sparisoono ; ma prima
quella ohe ha meno lume, e poi quella
die n' ha più »; BuH.
10. TBIOHTO: de' UOVO oori angeUd. -
ludb: lat. lìAdUt si trastulla, festeggia;
ofr. Por.XXVIU, 126. Altrove ludo per
giuoco, trattuUo ; ofr. It^f, XXII, 118.
Éar„ 1. 0.
11. PuHTO: Dio. - VUTBK: abbagliò;
ofr. Par. XXVin, 10 e seg.
12. uvcuuso : contenuto. D Punto sem-
bra contenuto, o circondato dai cori an-
geUd, i quali in realtà sono contenuti da
Lui, come tutte le cose. « Quoniam spiri-
tus Domini replevit orbem terrarum ; et
hoc, quod continet omnia, sdentiam ha-
bet vods» ; 8ap. I, 7. Cfr. Purg, XI, 2.
Par. XIV, 30. Oonv. IV, 9.
18. SI BSTDIBB : Al. 81 BTI1I8B ; SI 8TBIK-
BE : IL MIO VKD£B DUTiXBB. I cori ange-
Ud si erano mostrati al Poeta in forma
di cerchi di fuoco (cfr. Par. XXVIII,
25), onde dice che quel trion/o angelico
fi é9tinM9 al suo vedere, cioè disparve.
15. rulla vbdebb: il fatto ohe io non
vedeva più nulla ed il mio amore per
Beatrice mi constrinsero a rivolgere di
nuovo a lei lo sguardo.
10. QUARTO : tutto ciò che ò detto sin
qui della beUessa, di cielo in dolo ognor
crescente, di Beatrice, sarebbe, compen-
diato in una sola lode, poco, insufficiente
ad esprimere e descrivere la bellezza di
lei in quest'ultimo ddo.
17. LODA: lode; ofr. Ii^. U, 103.
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PiB. XXX. 18-S4
[8AK1XA]
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Poco sarebbe a fornir questa vice.
La bellezza ch'io vidi si trasmoda
Non pnr di là da noi, ma certo io credo
Che solo il suo Fattor tutta la goda.
Da questo passo vinto mi concedo,
Più che giammai da punto di suo tema
Soprato fosse comico o tragedo; ,
Che, come sole in viso che più trema,
Cosi lo rimembrar del dolce rìso
La mente mia di so medesma scema.
Dal prìmo giorno ch'io vidi il suo viso
In questa vita, infino a questa vista.
Non m' ò il seguire al mio cantar preciso;
Ma or convien che il mio seguir desista
Più dietro a sua bellezza, poetando,
Come all'ultimo suo ciascuno artista.
Cotal, qual io la lascio a maggior bando
18. viCB t i più prendono viee nel senao
di volta, e spiegano : A dire pienamente
dò che questa Tolta dorrei dire di lei
(BuH, Land,, VsU., Dan., Voi., Yent.,
Lomb., Br. B., Orsg., Andr,, eoo.). Se-
condo altri vice vale vjflcio, onde 11 senso :
A compier r officio che ora ho di dire di lei
{Par$nH, Cotta, Cet., Tom., Frat., ecc.).
19. BT TRASMODA : trascende il nostro
umano modo di redere e d'essere, e sor-
passa non solo 1* intendimento amano,
ma io credo di certo che anche in cielo
Dio solo la intenda perfettamente.
22. PASSO : da qoesto ponto della mia
narraeione mi eoneedo, mi confesso vinto.
24. SOPRATO: Al. SUPRATO; superato.
. TRAOKDO : poeta tragico. Cfr. L. Veni.,
SimU., 342.
26. IK VISO : come & la looe del sole su
la più debole vista. Cfr. Obm. lApt, III,
802 e seg.
27. DI 8È MRDEStf A scrma:* Rende la mia
mente minore di sé medesima, inetta doè
a ricordare quello che poco stante pur
ebbe a percepire »; Ronéh,
2». VITA ! terrestre ; oftr. Yiia if . § 1. -
▲ QURBTA : slno alla vista ch'ebbi di lei
in qoesto momento nel più alto cielo.
30. PRECISO : troncato. Potei sempre
dime qualche cosa, e dame cosi una, ben-
ohò pallida, idea. Veramente egli si con-
fessò già prima incapace di descrivere la
celeste beUessa di Beatrice; cfr. Par,
XIV , 70 e seg.; XVIII, 8 e seg.; XXllT.
24. Altre volte s'ingegnò tutUrla di Ur-
lo alla meglio; qoial confessa eostreUo
di rinonaiare ad ogni tentativo.
81. OR: ma da ora in poi bisogna die
io desista dal volere, poetando, tener
dietro alla sua crescente bellesaa, sUaile
a qneir artista che, giunto all'ultime
grado della perfezione a lui posaibila,
non è assolutamente capace di proce-
dere oltre.
88. ALL' ULTIMO : all' estrsnio oonflue
della sua arte.
84. COTAL: di si indescrivibile beOes-
Ka. - BANDO: cfr. Purg. XXX, IS. I pia
intendono : Come lo la lascio descrivere
a poeta di più alto ingegno. Credeva
Dante che un poeta di maggior ingegno
surgesse a cantare la belleasa di Be^ri-
cef S non ha egli detto testé, ohe la
bellessa di Beatrice è superiore nosi pure
air umano intendimento,ma altreslall'an-
geUco(v.l9eseg.)f Dante vuol diro: Tsle
bellessa non si può descrivere d* lingua
umana, ma la si vedrà nel gran dì del
giudisio universale. Kon importa dir»
che s* intende della Beatrice allegorica,
non già della reale, con che sono tdte
di messo tutte le obiesloni di chi, stan^
coi più, intende: « Se un altro poeta do-
vesse sorgere a cantare di Beatrloe, la
sua trom^ dovrebbe essere dotata di as-
sai inagglor robustesaa ohe non la mia. »
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Pàe. XXX. 85-50 [FiTTinB m inox] 1008
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Che qael della mia tuba, che deduce
L'ardua sua materia terminando,
Con atto e voce di spedito duce
Ricominciò : « Noi semo usciti fuore
Del maggior corpo al ciel eh' è pura luce :
Luce intellettual, piena d'amore;
Amor di vero ben, pien di letizia;
Letizia, ohe trascende ogni dolzore.
Qui vederai l' una e l'altra milizia
Di Paradiso, e l' una in quegli aspetti
Che tu vedrai all' ultima giustizia. »
Come subito lampo che discetti
Gli spiriti visivi, si ohe priva
Dell'atto l'occhio di più forti obbietti;
Cosi mi circonfulse luce viva ;
E lasciommi fasciato di tal velo
86. TUBA: tromba; ofr. Purg. XVII,
16. Par, VI, 72; XII, 8. - deduci: oon-
4noe a tersiiiie. « Primaqne ab origine
mondi Ad mea perpetanm dedudté tem-
pora Carmen»; Ooùf., Met. I, 8 e seg.
80. DEL HAG<3iOB: del primo mobile,
il maisgiore dei eeréhi corporali dell'uni-
▼erao; ofr. Par, XXVIII, 64. - cibl:
Empireo, dolo immateriale. - lucb: efr.
I Tkn, VI, le. Thom, Aq., Bum, théoL
I, n, 112, 6. (kmv, II, 4.
40. ihtbllbttual : non sensibile, ma
inteUettiva. « I tre gradi della felioità
sono : V^ La laoe inteUettaale, cioè il Te-
derò Dio ooU' intelletto ; 2® L' amore ehe
ne consegne; 8® H gaadio ohe nasce dal
possedere il sommo bene, gaodio ohe in
so comprende ogni gaudio. » Oom,
43. dolzobb: dolcessa; ofr. Nanmte,,
Tèrbi, 2».
48. MILIZIA: angeli e beati; 1 primi
militarono contro gli angeli ribelli ; ofr.
ApoeaX. XII, 7 ; i secondi militarono in
terra contro le tentazioni ed i tìsìì. Così
i più. Invece Oet,: « Io per me credo che
oe 11 dipinga ooel, per fune nna pittura
più Taga e splendida, mostrandogli come
eserciti schierati ne' loro ordini (ralle Ino-
dcantiarmi, e srolassanti bandiere. »Ma
non li mostra co^, solo appunto perohò
combatterono f
44. l'uha: i beati; li vedrai nell'im-
magine di qnei corpi che essi riprende-
ranno il di del giodifio universale; ofr.
Par. XXII, 68 e eeg. Così tutti, sino al
Poi, Le obiezioni fktte a questa intera
pretaiione non reggono.
V. 46-81. Il fiume di luce. Asceso
nell'Empireo, l'occhio del Poeta non
regge allo splendore che gli riftilge in-
torno da ogni parte, come lampo (^e di-
sperda gli spiriti visivi, sì che gli occhi
abbagliati non tollerino l'azione di ogget-
ti pih luminosi. E Beatrice : « L* amor di-
vino in cui questo cielo si acqueta, acco-
glie sempre in so le anime con stflfktto
saluto di fùlgidissima luoe per disporle
ad essere accese di Lui ; quasi uomo ohe
disponga la candela alla fiamma che le
vuol comunicare. » Udite queste parole,
il Poeta sente ch'ò divenuto maggiore
di so medesimo, acquistata poi nuova
forza visiva, vede ti lume divino in for-'
m&fF tm fTamé^tm thie vive dipinte dt
AeftJ^'^alQrffSmàna escono fafTtte'cli6*
«^ mettono nei fiori e dai fiori si riprofon-
dano nel fiume. Beatrice lo esorta a guar-
dare entro la mistica fiumana. Cfr. Pe-
rez, Fragrarne, 89 e seg. Oom. Lips. III,
806 e seg.
46. DI8CBTTI : disgreghi, separi ; dal lat.
diseeptare.
48. di più fobti : r occtiio abbagliato
dal lampo non vede nemmeno altra luce
più viva.
40. ciBCONFULBB: risplendeite intomo.
« Subito de cobIo oircumfhlsit me lux co-
piosa; » Atti, XXII, 6.^- vita: divina*
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Pab. XXX. 51-66
[FIUICB DI LtJCB]
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M
Del suo fulgor, ohe nulla m' appariva.
« Sempre l'Amor ohe quota questo cielo.
Accoglie in so con si fatta salute,
Per far disposto a sua fiamma il candele. »
Non fur più tosto dentro a me venute
Queste parole brevi, ch'io compresi
Me sormontar di sopra a mia virtute ,*
E di novella vista mi raccesi,
Tale, che nulla luce è tanto mera, O.*-'
Ohe gli occhi miei non si fosséf* difési.
E vidi lume in forma di riviera
Pulvido di folgore, intra due rive
Dipinte di mirabil primavera.
Di tal fiamana uscian faville vive,
E d' ogni parte si mettean nei fiori,
Quasi rubin che oro circonscrive;
51. vullà: TimMi del tatto «bbagUft*
to; ofr. AtH, XXII, 11.
52. Amob: Dio. - QUSTA: fo oontento.
- QUS8T0 CIELO ; Al. L*AHOBS CHK QUIrTA
IL oiSLO. Beatrice non parla del delo in
generale, rà di nn delo spedale, doò del-
l' Bmpireo. L' amor divino muove tatti
gli altri deli e queta 1* Bmpireo.
58. CON 8Ì FATTA : Al. COSÌ PATTA. - BA-
LUTK : aalatastone, salato. In questo sen*
so osa Dante la voce taUde e nella Vita
Nuova e nelle Rime. « Iddio, sommo Amo-
re, ohe ooUa piena della saa beatifica loco
fbrma la oontentessa di qad ohe gion-
gono a qaesto delo, al primo loro ingresso
in qaesto sempre rianisoe intomo a sé e
-vibra loro questa oopia di abbarbagliante
lace, per oosl disporre la facoltà loro vi-
siva alla beatifica saa vidone, come d
fs talora alle oandde, che acoese d spen-
gono, affinchè riaccese siano atte ad ac-
cogliere in so più viva luce »; Pogg,
54. GAKDBLO t candela ; cfir. Por. XI, 15.
« L' idea é bella, ma forse non chiaro d*
gnificata. La grada accende con la saa
lace la lace dell' anima, e dispone qae-
Bta ad accenderd. > Tom.
55. DBRTBO A MB YBKUTB! da me adi-
te; appena adite qaeste brevi parole.
57. soBUOifTAB: essere moItiplioaU la
mia virtù.
58. NOVXLLA: essendo soprav venata la
Trasia. - vista: virtù vidva. - baccesi :
'occhio e del corpo e dello spirito è
qoad fiamma che s'accende aUa Inoe»;
2V>m.
69. lOEBA: para, chiara, risplendente;
ott. Par. XI, 18.
60. DI Piai: ohe non l* avessero soeto-
nnta. « Sentii ravvalorata la mia virtù,
cotald&ò il potere ddla vista mia Ita cre-
sduto di gidsa da sostenere qualunque
luce intensa o paia»; Oom.
01. BlviBBA: fiume; ctc. If\f. XII, 47.
Purg. XIV, 28; XXVIII, 47. L'idea dd
fiume di luce è forse tolta dd pasd 9alm.
XXXV. ».10 ; XLV. 5. DanieU, VH, 10.
Apooal. XXU. 1.
62. FULVIDO: fùlgido, rilaoente. Al.
FULGIDO; FLUVIDO; FLUIDO.
03. PBIMAVBBA: di mirabili fiori ; e£r.
Pwg. XXVm, 51.
05. d'ogni pabtb : da ambedue le rive.
Le faville vive sono angeli, 1 Jtori, beati {
ofr. V. 94 e seg.
00. cibookbcbivb: qoad rubino inca-
stonato in oro; cfr. Virg., Aen. X, 134.
« Perchè la grada de la beatitudine ddle
anime umane immediatamente è da Dio,
però finge ora oh'elli vedesse questa gra-
da a modo d'uno fiume : imperò che co-
me lo fiume è Indefidento, ood la grada
di Dio ; e finge che tale fiume da di lume :
imperò che tale grazia ò illuminante.».
Finge che intomo siano ripe j^ene d'erbe
e di fiori, a significare l'anime dd santi
uomini ehe sono nd mondo ne la grada
d'Iddio, intendendo per le ripe la aanta
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[EMPIREO]
PàB. XXX. 67-81 [FIUMB DI LUCB] 1005
«7
70
7«
79
Poi, come inebriate dagli odori,
Biprofondavan so nel miro gnrge;
E s'una entrava, un'altra n'uscla fuori.
€ L'alto disio, che mo t'infiamma ed urge,
D'aver notizia di ciò che tu véi.
Tanto mi piace più, quanto più turge. "^ ' '
Ma di quest'acqua con vien che tu'ì>étp -
Prima che tanta sete in te si sazii. »
Cosi mi disse il sol degli occhi miei.
Anco soggiunse : € H fiume, e li topazii
Ch'entrano ed escono, e il rider dell'erbe
8on di lor vero ombriferi prefazii;
Non che da sé sien queste cose acerbe ;
Ma ò difetto della parte tua.
Che non hai viste ancor tanto superbe. »
Chleoa ; per l' erbe, le yirtaoee operar
rioni ; e per U fiori 1* anime sante ohe in
eoe* oongregasione dei oattolioi tono ; e
finge ohe li fiori ftaiMno in sa l'erbe, a
significare li atti Tirtaoel, in obeso eser-
citano l'anime ohe sono llloroinate da la
gmxln d'Iddio; e finge che &ville tìto
eoeano dal finme e Tifano in sa' fiori, a
signifioare che H agnoli ohe sempre si
riempiono de la grada d'Iddio, li qaali
sono significati per le focile, imperò ohe
sempre ardono nell'amored'Iddio, vadano
a confortare l'anime sante che sono in tale
grasia, ohe sempre si mantegnino nelli
atti Tirtoosi, e da esse tornano alla detta
gnud», imperò che li angeli Tisitano e
confortano U santi omini, acciò ohe do-
rino nella loro santità, e regnino a loro
e ritornino a Dio, siccome messi da lai
mandati; e però dice che si rimbagoano
nel detto fi amo. » BfUù
67. unniRiATB: cfr. Saint. XXXV, 9.
68. Mmo GUBOB: meraTiglioso gorgo,
cesia flome.
70. MO! adesso. -UROB: spinge, eodta;
cfr. Par. X, 142.
71. VÉI: vedi; sincope asatissiaia an-
ticamente anohe in prosa; ofr. Kannwu,
YerH, 788.
72. TUBOB: gonfia— è forte, intenso;
cfr. Par. X, 144.
78. BÈI : beva cogli occhi guardando il
flame di loco per fortificarti in tal modo
•empre più, affine di poter vedere svela-
tamente ogni cosa.
74. siTB: di sapere; ofr. Purg. XXI,
1 o seg.
76. IL SOL: « Beatrice, che è illamina-
trloe della mia ragione e del mio intel-
letto ; come lo sole è schlaritore del mon-
do et illaminatore delle tenebre, cosi la
Santa Scrittura è fllaminatrloe di tatto
r igDoransie »; Buti. Cfir. Par. m, 1.
76. TOPAZU : le favUU vivt, cioè gli an-
geli; cfr. Par. XV, 85.
77. dbll'bbbb: dei fiori, v. 68, 65, cioè
delle anime dei beati.
78. DI LOB VRBO: della realtà, di ciò
ohe questi oggetti veriMhenté'éòhcr- fbb-
FAZii : piar, di prefoiio-^refkxlone ; cfr.
Nannue., Nomi, 703. Senso: ponn flgnra
predimostratlvedelUrealtA.* Siccome la
^ prefozione espone il contenuto del libro,
sembra che Dante siasi servito della me-
tafora ardita di chiamare il fiume e le
scintille ohe vede in PtknAìao prrfcuioni,
doè: immagini che indicano antioipatar
mente ciò che essi oggetti sono realmente.
Ciò ohe conferma questa Interpretasione
è l'epiteto di ombriferi dato a'pr<Auti,
che ricordando il verbo adombrare, figu-
rare, dare idea, permette di spiegare:
Cenni preliminari, adombrativi, o figure
predi mostrati ve del lor vero.» Bìanó,
70. ACBBBB: oscure, difficili a perce-
pirsi. Non che ci sia difficoltà intrinseca
ad intendere queste coee. Cosi i più. In-
vece il Boneh. si avvisa che acerbe valga
qui inadeguate.
81. viBTB: occhi, CaooUià visiva. -su»
ile
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Pàb. XXX. 82-95
[B08A CBLS8TB]
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Non è fantin ohe si subito ma
Col volto verso il latte, se si svegli
Molto tardato dall' usanza sua,
Come feo'io, per far migliori spegli
Ancor degli occhi, chinandomi all' onda
Che si deriva perchè vi s' immegli.
E si come di lei bevve la gronda
Delle palpebre mie, cosi mi parve
Di sua lunghezza divenuta tonda:
Poi, come gente stata sotto larve.
Che pare altro che prima, se si sveste
La sembianza non sua in che disparve ;
Cosi mi si cambiare in maggior feste
Li fiori e le faville, si ch'io vidi
PBBBi: penetnuiti, acate. < AnooraDaute
non era innalBato a yedere intellettoal-
mente le soetanie spIritoaU con imm&-
diaia intnhlone. Paò solo vederne 1 se-
gni. OU splendori, le loci, le fkvìììe sono
segni della presensa di esse sostarne, non
sono qoeste. » Oom.
V. 82-128. La roaa eelttte. Non ap-
pena il Poeta ha fissi gli ooohi nella fiam-
mante riviera, essa di Innga ohe è, d' nn
trattosi fkdroolare, e diviene lago di looe
A ampio, che vinoe la oirconferensa del
sole; i fiori delle due rive si manifestano
per beati senxa numero, ohe in oandide
vesti soprastanno intomo a quel lago,
qoasi seduti a speooliio di easoi le Ik-
ville, infine, si cambiano in milioni d'an-
geli ohe volano sensa posa tra i beati
e le altesse abiute dalla Triade. Qnel
beato popolo dalle bianche vestimenta
Intorno a quella droolare ampiexsa di
Inoe è disposto in pHi di mille gradini ohe
via via s' allargano verso 1* alto (l* infimo
è più largo del sole : or pensa gli al-
tri !), e ooA disposto oftn V immagine
di candida rosa, ohe dilatando le foglie
ed i petali Innumerevoli, invia odore di
lode a Colui ohe le è sole e vita e tutto ;
mentre gli angeli, ohe con assidua vIgmi-
da scendono per i varii ordhii delle can-
dide foglie e risalgono fino a Dio, ool ven-
tilamento dell'ale immortali raccolgono e
portano sempre npove aure di fragranza
e beatitudine. Cfr. P«ret, Fragranu, 45
e seg. Oom, Lip§. ni, 811 e seg.
82. FANTnr: bambino, fimtolino.-BUA:
-rrai cfr. Ir^. XX, 88. I Pietro, U, 2.
84. USAXSA : di sv^ard e di poppare.
Più tardi del suo solito, e però con ptt
fiune.
85. pn rAS: aflinohè gli occhi miei di-
ventassero specchi ancor migliori, si ftb-
oessero ancor pUi ablU a ricevere quelle
immagini oelestì. - bpiou : specchi t con-
fronte IV. XIV, 106. Farad, XV, C2 ;
XXVT, 108.
87. dbriva: acorre dal divino fbnte,
affinchè vi si diventi migUori; e perd si
Caoda più perfetta la vista di <^ ate per
guardare in Dio. Invece Jtonoà. viud «Ihr
virgola a deriva, riferire il pmrehè » do-
nandomi, e spiegarlo : aIBndhò 1* mie vi-
sta (equivalente, a senso, degli occ&i del
V. precedente) vi si mlgUoraaee, del ohe
mi avea fette cenno Beatrioe (fi >.
88. BBWB: mi ci affissai. - la OBomiiA:
l'orlo delle palpebre. « Per gromdm dàOe
paipelMre dee qui intenderai le gnmde de-
gli occhi, e la gronde degli ooohi aono le
dglia, leqnali, al sudore calante già della
fronte, fanno ufficio di gronde» ; OavtrwL
Insomnuu Quanto prima quell'onde toooò
le mie palpebre, non mi apparve più Im-
ga, ma tonda.
91. SOTTO LABVB: mascherate. Zorw—
maschere; cfr. Pwrg, XV, 127.
98. LA BiMBiAKZA: la maschere. - n-
8PABVB: parve altra de quelle elw vere-
mente ò, oppure: si nascose. Bvti: «Kon
parve quello che propriamente ere. »
94. CAMBIABO : mi al moatrerono in
aspetti più festosi e rilucenti. I fieri d
mutarono in anime beate, le flaville in
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[BMPIBKO]
Par. XXX. 96-1 1 1 [rosa cjelestb] 1007
97
100
103
106
109
Ambo le corti del ciel manifeste.
0 ìsplendor di Dio, per cu* io vidi
L' alto trionfo del regno verace.
Dammi virtù a dir com' io lo vidi !
Lume è lassù, che visibile face
Lo Creatore a quella creatura
Che solo in Lui vedere ha la sua pace ;
E si distende in circular figura
Li tanto, che la sua circonferenza
Sarebbe al sol troppo larga cintara.
Fassi di raggio tutta sua parvenza
Riflesso al sommo del mobile primo,
Che prende quindi vivere e potenza.
E come clivo in acqua di suo imo
Si specchia, quasi per vedersi adomo.
Quando ò nel verde e nei fioretti opimo;
96. AMBO LE coBn : rima e l'altra mi-
IkU di Paradiao ; eftr. r. 43 e seg. - ma-
51PE8TB: nella loro forma Tora, reale.
97. O IBFLSVDOB: cfr. Purg. XXXI,
139. - VIDI: «qaeaia triplice ripetlsione
della mededma parola vidi in rima, non
è aenaa il tao perchè: il Poeta voleva
richiamar l'altmi attenzione sa jg^esta
minuBploea visione, ohe è il tfuntoTm*
irtjrtante è la catastrol^del^ PoenTaT^,
'pstò nota enfifttìoamente prima il fatto*
della visione a lai giunta, poi il messo
onde Tebbe, e qnlndl prega di poter de-
scriverne il eofne, ripetendo per tre volte
in fine di verso qaad a modo di trionfo 11
oonaegnito vidi» ; Br. B,-m Tre volte ri-
pete il vidi, per esprimere con enfasi la
saa verace virione »; Oom.
100. LUMX! è il «lame in forma di ri-
viera » del V. 01, e secondo gli antichi
(Lan., OU., An, Fior., BuH, ecc.), raf-
figara lo Spirito Santo; secondo il Tom.
ed altri, la grazia illnminante. - « Ipsam
inielUgibfle vocatar Inmen vel lax »;
I%om. Aq., Sum. theoL I, 12, 5.
101. ▲ QUELLA ; a qoalanqne creatura
la quale non cerchi né trovi la saa pace
che nella visione beatifica di Dio, come
fo ogni creatara beata. - « Dispone eie
la ereatora beata, ohe vede lo Creatore
tanto quanto a lai piace d' essere per es-
sa veduto, imperquello che solo tale visio-
ne prooeda da grazia, enon da natura; che
elio non è alcuna creatura tanto per sua
natura eccellente, ohe potesse vedere lo
Creatore ; onde quando la creatura lo ve-
de, conviene essere fllnminata da quella
luce ohe procede da quella dritta fontana,
graziosamente a lei largita » ; Lan., An.
Fior. Cfr. Aug., Oonf. 1, 1 : « Feoisti nos.
Domine, ad te, et inqnietnm est cor no-
strum doneo requiesoat in te. >
102. PACE : « quella beatitudine cui è la
razionale creatura soprannataralmente
ordinata»; Oorn.
108. ciBCULAE: touda; la figura circo-
lare è la più propria a significare Teter-
nitÀ.
104. TANTO: spazio.
105. LABOA: maggiore della circonfe-
renza del sole.
106. FAB8I : tutta Xtk parvenza, cioè ap-
parenza di quel lume, origina da un rag-
gio procedente dalla somma ed ineflbbile
luce, il qual raggio si rifiette dalla parte
convessa del primo mobile, che ne ri-
ceve il suo vivere, cioè tutta quella vi-
talità e virtù che comunica a tutto il
sottoposto creato ; ofir. Par. XXIII, 118 ;
XXVn, 110. 2'Aom. iig., ft*m. ffc, 1,00, 3.
109: CLIVO: colHna, colle ricco di ver-
dura e di fiori. - di suo imo : che gli
scorre ai piedi. Di un colle dice il Ta»-
90, Rime I Oanz., 21: « Di vagheggiar
sei vago, U tuo bel seno e la flrondosa
fh>nte. »
111. QUANDO: in tempo di primavera.
Al. quanto. - NEL VEBOE^Al. NELL* EB-
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1008 [BtfPIBEO]
Pab. XXX. 112-123
[B08À CILBSTX]
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118
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S), Boprastando al Inme intorno intorno,
Vidi Bpecchiarsi in più di mille soglie
Quanto di noi lassii fatto ha ritorno.
E se l'infimo grado in so raccoglie
Si grande lume, quant' ò la larghezza
Di questa rosa nell' estreme foglie?
La vista mia nell'ampio e nell'altezza
Non si smarriva, ma tutto prendeva
U quanto e il quale di quell'allegrezza:
Presso e lontano li né pon, nò leva,
Che, dove Dio senza mezzo governa,
La legge naturai nulla rileva.
BE. Cflr. Oom. Lip8, ITT, 814 e seg. - opi-
mo: ricco, fertile; cfr. Par. XVm, 88.
112. BOPRASTANDO: BOprMtftnti.
118. BPBCCHIAR8I : DOl lume; « U OÌttà
stesM poi (la ceUtU O^nudUmmé) oro
paro simile ài vetro poro»; Apooal, XXI,
18. -aoGLiBt gradi.
114. QUAKTO : quante anime umane dal-
la terra ritornarono al delo. Qtr. EecL
XII, 7. L'anima eaoe di mano a Dio,
Purg.JiYlt 86, e salendo in cielo ritoma
a Dio.
115. E 8B: son più di mMe toglie, e
r infima ò più larga del sole; qnanta de-
ve danqne essere l'ampiessa degli ul-
timi gradi ! Gtt. BarMi, Allegoria, 210,
e seg.
117. FOGUR: negli estremi gradi. « D
Poeta, per trovare immagini ohe rendan
sensibile tanto trascendente sabbietto,
esplora ansioso V intero regno della na-
tura. Qui, dopo rimmagìnedel fiume si^
villante tra' fiori, si appiglia a quella di
una immensa rosa, il cui giallo di meaxo
sia formato dal divin lume, e il digra-
dato fogliame da* beati seggi a mano a
mano innalzantisi intomo. Ed in questa
immagine si ferma per tutto il resto del
Poema. » Andr.
118. AMPIO : nell' immensa ampieisa ed
altezsa della rosa celeste.
119. PRENDEVA: abbracciava. Oltre i
confini del tempo e dello spacio, non es-
sendovi nò un prima, uè un dopo, nò un
dove, nò un quie A, vicino e lontano, cessa
naturalmente, o piuttosto soprannatural-
mente, per la fona visiva la difficoltà di
abbracciare In un istante tatto quanto
"immenso, l'infinito. Onde la vista del
età abbraccia nel medesimo istante
tutto U quale e U quanto, tuttala qua-
lità e quantità della celeste beatitudine.
È uno lo sguardo ohe àbbraooia e com-
prende r immenso. Oltre i oonllni della
natura le leggi della natura non sono in
vigore. Per <{ ^tMmto s il ^uoie ai può In-
tendere r intensità ed U modo, od anche
il Inogo e le persone.
121. NÉ PON Nà LEVA i nou aggiunge, nò
toglie ; la vidnanaa non rischiara, U lon-
tananza non abbuia gli oggetti.
122. SENZA MEZZO: immediatamente;
cft-, W, I, 127. Por. Vn. 142.
128. NULLA RILEVA : nou ha luogo, non
vige. « L'essere quelle anime o più prce-
so 0 piii lontano dal centro, non monta
alla loro felicità. La ragione ò che Dio ò
da tutte immediatamente veduto, e tutto
le govrana immediatamente. Kon vale
lassii il principio della legge naturale cui
soggiaooiono le cose di quaggiù, ohe le
più lontane dal centro d'aiione ricevono
minore virtù. » Oom, Ctt. Tkotn. Aq.,
Sum,theol, I, 12, 10; 89, 7. Ck>m.IAp9.
m, 816 e seg.
V. 124-148. n seggio di Arrigo TUL
Beatrice conduce il Poeta nel centro della
rosa celeste, la quale, dllatandoei In pro-
gressivi ordini di foglie, coda gradi, man-
da, quasi suo òleoo, un oonoento di lode
all'Eterno. Mira, dice, quanto ò grande
l'adunansa dei beati, quanto vasta la
città eterna e come popolata, essendone
ripieni gli scanni telmente, ohe poca
gente manca ancora per compiere il pre-
destinato numero degU eletti. In qoel
gran seggio vuoto che trae a sé gli sguar-
di tuoi, per esservi sopra una oarona im-
periale, sederà, prima che tu, morendo,
venga a questa beatitudine, l'anima ohe
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[IMPIBBO]
Pab. xxz. 124-137 [ROSA celeste] 1009
124
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133
136
Nel giallo della rosa Bompiterna,
Che si dilata e digrada e redole
Odor di lode al Sol che sempre verna,
Qaal è colai che tace e dicer vuole,
Mi trasse Beatrice, e disse : € Mira
Quanto è il convento delle bianche stole !
Vedi nostra città quanto ella gira!
Vedi li nostri scanni si ripieni.
Che poca gente ornai ci si disira !
In quel gran seggio, a che tu gli occhi tieni
Per la corona che già v'ò su posta,
Prima che tu a queste nozze ceni,
Sederà l' alma, che fia giti agosta,
Deir alto Arrigo, eh' a drizzare Italia
flftrà angusto, di Ani goVn, il quale Terrà
per drisxare l' Itolia prima ohe essa sia a
ciò dispoeto. La oieoa cupidigia che affa-
sdna Tot mortoli, tì ha fatti simili al bam-
bino che muore di fame e caoda la balia
lungi da so. Sarà allora capo della Chie-
sa tale* che ooonltomento ed aperta-
mente ed opporrà al disegni dell'alto Ar-
rigo. Ma tide pontefice non sarà da Dio
tollerato lungo tempo nel sommo suo uf-
ficio ; ohe la giostlsia etema Io caccerà
gih noli' Inferno, nella bolgia dei Simo-
niaci, e Bonifksio Vili, che durante il
ponttfioato di lui sarà rimasto entro il
foro dorè tu vedesti Niccolò III, preci-
piterà più giù per cedere il posto al
nuoTo Tenuto.
124. KEL GIALLO: nel messo, dove la
roaaaperto mostra alcuni filigialU.Èchia-
mato ffiallo della rota il lame circolare at-
torno a coi si eleva la gradinato immensa,
dove siedono i beati.
126. DiORADA: va di grado in grado.
AL lUORADA. -BBDOLR : lat. TtdoUt, Spar-
ge odore, olexsa ; cfir. Yirg,, 6f«ory.IV,109.
Ami. I, 436.
126. AL Soli a Dio. -verna : forma ivi
primavera etema; « sempre diletto col
suo splendore la sua corte»; BuJti,
127. QUAL: mentre io era simile a co-
lui ohe, pur desiderando di parlare, sto si-
lenaioso per la gran maraviglia, Beatrice
mi trasse, ecc. CU. In/, XVHI, ti.Purg.
IX, 106. 1 più riferiscono questo simili-
tudine a Beatrice, che - non tace, ma dice
ciò ohe «Koer «Itole/
129. COHVSMTO : assemblea, congrega-
1^i.--Jh9. Omm., 4* edi».
Eione ; ofr. Purg. XXI, 62. Par. XXII,
90 : XXIX. 109. - STOLE : vesti ; cfr. Apo-
caì. VII, 18 e seg. dove dei beati è detto
che « hanno lavato le loro stole, ed im-
biancatele nel sangue dell'Agnello. »
130. CITTÀ: cft. Apoeal. XXI, 2 e seg.,
10-27. - OIBA : quanto immenso è il suo
circuito.
132. POCA : questo è detto secondo la
oredensa dei cristiani di tutti i tompi,
partioolarmento del medio evo, che la
fine del mondo fosse vicina. Così i più.
Per altre intorpretasioni cfir. Oom. Lips.
III, 818.
133. TiEKi : hai fisso lo sguardo. « Sup-
pone Danto che veduto fosse da Beatrice
tener esso gli occhi ad un gran seggio so-
stonento, non persona, ma un* imperiai
corona > ; Lomb,
184. PBB : a motivo della corona impe-
riale postovi sopra. In cielo non vi sono
però imperatori; cfr. Por. VI, 10.
135. CENI : prima della taa morto.* Bea-
ti qui ad coenam nuptiarum Agni vocati
sont » ; Apoc. XIX, 9. Cfr. Par. XXIV, 1.
136. AG06TA: augusto, rivestito della
dif^nito imperiale.
137. Abbico : l'imperatore Arrigo VII
di Lussemburgo, eletto imperatore il 27
novembre 1308. m. a Buonconvento il 24
agosto 1813. Un tempo Danto pose in lui
le sue speranse, tonto per l'accomoda-
mento delle cose d' Italia, quanto per il
proprio ri tomo aFirenee, credendo in lui
scorgere l'uomo del suo pensiero, che,
uniti in concordia l' Impero e la Chiesa,
e dato ordine all'Italia, sotto di so a^gna-
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IQIO [BMPIBBO]
Pab. XXX. 138-148 [sbooio di àbbtoo yii]
130
142
146
148
Verrà in prima ch'ella sia disposta.
La cieca cupidigia che vi ammalia,
Simili Catti y' ha al fantolino,
Che muor di fame e caccia via la balia.
E fia prefetto nel fòro divino
Allora tal, che palese e coverto
Non anderà con lai per un cammino.
Ma poco poi sarà da Dio sofferto
Nel santo officio ; eh' ei sarà detroso
Là dove Simon mago è per suo merto;
E farà quel d' Alagna entrar più gioso. »
gUMae, ubitro lopremo, le sorti del mon-
do composte a giastlsia ed » temperata
Ubertà.Cfr. e. yiXLlX,l-Sè.Bonaini, Aeta
HenriH VII» Plr., 1877. Gino Oapponi,
8tor. ddla Repub, di Fir., 2* ed., 1, 146 e
seg. DatUe-Handbueh, 188-147. - a DRIZ-
zabb: « ad ordinar le rettorie italiche e
torlo di mano a tanti ohe inginstamente
le si teneano : onde driuaire ItàUa altro
non intende, se non ohe lo imperio sia
sovra le sne ragioni »; Lan,
188. m PBIMA : troppo presto. Altrove
dice che Arrigo VII sarebbe ginnto trop-
po tardi; Purg. VII, 06. - «Non v'ha
però contradisione. Là ò Sordello che
dice di Bodolft» ehé potea Sanar le pia-
ghe eh'kanno Italia morta 8i che tardi
per aUri ti ricrea-, e sia ohe questo ri-
erta lo s' intenda di Rodolfo o dell'Italia,
sempre significa che, cnrata in tempo,
avrebbe in breve potato esser salvata,
mentre ora, prima che lo possa, ci vorrà
ancora del tempo. E a ciò non oontrad-
dice, ansi lo oonforma, se inteUi non lo
potènonmeno Arrigo. » Roneh, Cfr. BttH
in. 108.
189. CUFIDIOLL: cfr. I^A XII, 4U. Par.
XXVn, 121 e seg. Bp. ai Fior^wU, 5.
141. CACCIA VIA : cfr. Par, V, 82 e seg.
142. PBERTTO : papa. -mo. FÒRO: neDa
Chiesa.
148 TAL: Clemente V; ett. Ir^, XIX,
82 e seg. Par. XVII, 82.
144. HON AiTDERl : SÌ Opporrà ad Arrigo
con provvedimenti aperti ed oomiltl.
146. POCO: Clemente V mort il 20 aprile
1814. otto mesi dopo Arrigo VII.
140. OFFICIO: pontlfloato. - Dsmoso:
precipitato, inabissato.
147. LÀ : nella tersa bolgia deU*ottavo
cerchio dell' Inferno; àts. In/, XIX.
148. QUSL d'alaona : BonlAudo Vni ;
cfr. Inf, XIX, 62-67, 70-87. Purg, XX.
88. -BMTBAR: Al. BMIB; ANDAR. -Qoe-
ste parole di tremenda minaccia aoao le
ultime di Beatrice nel poema.
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Cbmpibio] Par. xxxi. 1-12 [angbli] 1011
CANTO TRENTESIMOPRIMO
EMPIEEO: DIO, ANGELI E BEATI
Ul candida boba e LE API ANGELICHE, SAN BEBKABDO
OBAZIONE A BBATBICE, GLOBIA DELLA VEBGINE MABIA
In forma dunque di candida rosa
Mi si mostrava la milizia santa.
Che nel suo sangue Cristo fece sposa;
4 Ma l' altra, che volando vede e canta
La gloria di Colui che la innamora
E la bontà che la fece cotanta,
7 Si come schiera d^api, che s'infiora
Una fiata, ed una si ritorna
Là dove suo lavoro s'insapora;
10 Nel gran fior discendeva, che s'adorna
Di tante foglie, e quindi risaliva
Là dove il suo Amor sempre soggiorna.
V. 1-27. Arigli votanU «u e giU per ett. Par. XXX, 120. - bosa : ofr, Innoa.
la eanétda rosa, I Jjjfii^ redenti da III, Strm. 18. Dom, Iettare.
Crtoto col saogne sdo,' ai moatrano al- 2. milizia : cfr. Par. XXX, 43 e seg.
l>ititioo Poeta jella fornaUTuna im- 3. fbcb sposa: acquistò col proprio
^i^isa rosa. 011 9D^eirnilS!(&''aI "beati sangue; ctt. Atti, XX, 28. Par. XI, 33.
€ìOta9Ttpe alla rosa, èìiTolano a Dio co- i. l'altra : la schiera degli angeli. -
me l'i^ al miele. Le ]o^o.jfoc9e sQQodi^ volando: non sedendo come i beati,
fiamma Tira, 1^ ali'd'oro, il reslaldfil£ 6. racB : Al. face. - cotanta : SU bella,
iljj^im è uaudi3ò piti che nc^e. Quando nobile, numerosa e gloriosa.
scena?nào nelle foglie della rosa co- 7. b'infioba: siprofbndanei fiori per
manicano ai beati quella pace e quella estrame il succo; cfr. Firy., Aen.Yl, 707
carità ch'essi hanno acquistate nel loro e seg.
TOlo a Dio. Dal giallo centrale jino alle 8. ed una: Al. bd altea. La similit.
estreme sue foglie T imTnffflsg'ro8ag]^ie- non dipinge l' incostante vagare, ma l' in-
nft daOa moltttudiiienlègli àìjggTiliEevo- cessante e puntuale succedersi nell'appa-
lane su e gih, 3an)«8tl~B iJio e da Dio ren te disordine delle due operadoni di im-
ff BéaQ. I^Osfesnte questa pienessa il mergersi ne' fiori e fax ritomo all'alveare.
Poeta vede il divino splendore come se 9. lavobo t il raccolto succo dei fiori. -
lo spaalo occupato dagli angeli fosse b'insafoba: si converte in miele; cfr.
vuoto del tutto. Virg., Georg. IV, 168 e seg.
1. CANDIDA : i beati che compongono la 12. Ahob : Dio. Cfr. Perez, Fragrarne,
lOM oelesto sono vestiti di bianche stole; 9U Ocm». Lipt. XII, 833.
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1012 [EMFIBEO]
Pas. XXXI. 13-27
[àkoiu]
13
10
10
25
Le facce tutte avean di fiamma viva,
E Tali d' oro/ e l' altro tanto bianco,
Che nulla neve a quel termine arriva.
Quando scendean nel fior, di banco in banco
Porgevan della pace e dell'ardore,
Oh' egli acquistavan ventilando il fianco.
Nò lo interporsi tra il disopra e il fiore
Di tanta plenitudine volante
Impediva la vista e lo splendore ;
Chh la luce divina à pfìnfttrante
Per r universo secondo Gh\k degnoj
Si che nulla le puote esser ostante.
Questo sicuro e gaudioso regno,
Frequente in gente antica ed in novella,
Viso ed amore avea tutto ad un segno.
18. FUMICA: «Mpeotus eomm qoati
oarbonnm ignis ardeotiam et qoad Mpe-
otiu iMnpadftram. Hmo entTi«io discnr-
rens in medio animalinm, spIeDdor ignts
et de igne fulgor egrediene. Bt animali^
ibant, et revertebantor in Bimilitodinem
fnlguria oorotcantiB. » Ezechiele, I, 18
e seg.
li. D'OBO: «....et renee eins aooincti
auro obrixo »; Daniele^ X. 5. - biahco:
« yeatimentcìm eins oandidom qoasi nix •;
Daniele, VII, 9. - « LI angeli hanno la ca-
rità loro inverso Iddio ardente oome/iu»-
co; reserciiio loro presiosissimo e fer-
missimo come ò l'oro, cioè io servizio e
compiacere a Dio ; la pnrìtàe nettezsa so-
pra ogni netteua e purità [neve] » ; Buti,
16. DI BANCO IH BANCO: d'ano in altro di
qaei gradi in so' qaali i beati sedevano.
17. POBOBVAN: oomonioavano alle ani-
me beate.
18. KOLi : eglino. - vrntilando : bat-
tendo le ali in alto, nelle loro elevazioni
a Dio. « Gli angeli battendo le ali trae-
vano dal giallo pace e ardore e poi re-
oavanlo ai beati»; Oom. Cfr. Thom. Aq.,
Bum, theol. 1. 108. 2, 4.
19. IL DISOPBA: il trono so coi siede
Iddio.
20. PLENITUDINB ! Al. MOLTmjDnCK.
Cf^. Moore, Orit., 600 e seg. « Non por
fitto, ma pieno; nò Tono all'altro in-
gombra il moto, nonchò il iome adom-
bri»; Tom.
21. IMPEDIVA: «né l' interporsi ch'essi
boaU spiriti ffMevano, volando in A gran
nomerò, tira la divina sede ed 11 fiora, ìbh
pedi va che l'occhio di chi stava nella rosa
vedesse lo splendore divino, e ebe il di-
vino splendore ginngesae fino ad esse
occhio »; BdU,
22. PENBTBARTB: ofr. Par. 1, 1 e seg.
« Fassa ogni cosa per tatto *1 moada.
Iddio illomina ogni cosa, aaeondo ek*è
degna d'essere illominata d» Ini, per si
ftitto modo, che nulla oosa può eaaoie
ohe impacci la looe d'Iddio, choBon paori
a chi n*ò degno. > BuH,
24. OSTANTI: d'impedimento. AL ha-
VANTI.
26. SICURO : tranqoillo e boato. « Pri-
mo pregio della pace e oondisloBO dei
gaodio è la sicortà, doè non temore pe-
ricolo nò di danno nò di dolore, sé part
immaginarlo »; Tom,
20. rBKQUBNTB: nomerooo, popolato di
santi dell' antico e del noovo Patto. Oosi
tatti gli antichi ed il pia del modonL
Altri per la genU antica intendono gli an-
geli, per la gente novella ì beati (D'Af .,
Vent., Lomb^PorLt Po0ir.,eoc.).Maaooo
gli angeli genleì
27. VISO: la vista, gU osflfaL^ tutto:
del tatto, intéramente"'- sbgho: Die.
Tatti tenevano rivolti l'ooohio ed U mo^
re verso ona stessa meta, verso la glo-
ria di Dio.
V. 28-61. SPuppTé nella viHmneéètim
gioH4B coUtte. • Dante, oontemplaads
tntta insieme la gloria e la ft»rma del Pa-
radiso, stopisce. D eoo stupore va oe-
soendo in proporaioiie deU*<^gyetto «a-
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[empibeo]
Par. ixn. 28-42
[stuporb] 1018
28
81
34
87
0 Trina Luce, ohe, in Unica Stella
Scintillando a lor vista, si gli appaga,
Guarda quaggiù alla nostra procella 1
Se i barbari, venendo da tal plaga,
Che ciascun giorno d'Elice si cuopra.
Botante col suo^lio ond' elPò vaga.
Vedendo Eoma e rflSua sua opra,
Stupefaciensi, quando Laterano
Alle cose mortali andò di sopra ;
Io, che al divino dall'umano.
All' etemo dal tempo era venuto,
E di Fiorenza in popol giusto e sano.
Di che stupor dovea esser compiuto I
Certo tra esso e il gaudio mi facea
Libito non adire e starmi muto.
(■''^C
rftTigUoso ond' è moeao. Il montanftro si
torlM ed ammatisoe, entrando in nna
dita qualunque, [cflr. ^wg, XXVI, 67 e
aeg.]» ^ti dovevano rimanere attoniti i
barbari del settentrione vedendo la pri-
ma volta quella Roma, di col Virgilio
ateaao eeclamò: SeUieet et nrum faeta
est putchérrima Boma. Ora quanto più
dovette stupire il Poeta, venuto dal
soggiorno degli uomini a quello dei beati
e dal tempo all' eternità I » B qui « una
fiera puntura dell'esule ed intemerato
(dttadino di Firenze.... Allo stupore sot-
tentra la curiosità pia ed il desiderio di
notare ed imprimere nella memoria ogni
mirabile cosa, oomeil peregrino si consola
pensando ohe, tornato in patria, descri-
verà in ciascuna sua parte il tempio visi-
tato per voto. » L. Veni., Sim., 298 e 299.
28. nr Uhica Stblla : in una sola es-
senza. Dio è luce, è uno e trino; V unUà
è significata dalla rtella, la trinità dalla
trina luce. Luce trina, ma in unica es-
eenaa di lume.
29. APPAGA: può essere seconda pers.
■Ing. per appaghi (ofr. Ncmnuc., Verbi,
46 e seg.), od è tersa pers. e s' ha da in-
tendere: O Trina Luce, che sei pure
qoell' Unica Stella che si gli appaga !
80. QUAGGIÙ : Al. QUA00IU80. «Rivolgi
gli occhi a questo procelloso e pien d'ogni
miseria pelago d^a vita umana »; Dan.
Ctr, Pwg, VI, 70e seg. Boet., Oont.phil,
I, metr. 5.
31. DA TAL: dal settentrione, su cui
mot» sempre l' Orsa maggiore, che, se-
condo la fftvola, ò lanini^ Elice ; cfir. Ovid.,
Met. n, 401-630. Purg. XXV, 181.- pla-
ga : parte del mondo } cfìr. Par. XIII, 4 ;
XXIII, 11.
88. FiGUO: Boote.
84. ABDUA: eccelsa; le maravigliose
sue fabbriche; ctr.Virg., Aen, Vili, 97
e seg.
86. ANDÒ DI 80PBA : « vinso di magnifi-
cenza e di potensa tutte le altre città »;
iMn., Veli., Dan., Lontb., ecc. - « La-
terano è preso per Boma, i cui edifloii
andavano sopra tutte le opere dei mor-
tali edificate altrove »; Com.
89. FiOBBHZA: né giusta, né sana, ma
« simigliante a quella inferma, Che non
può trovar posa in su le piume », Purg.
VI, 149 e seg. Amara puntura! «Daqnella
città dov' è più briga, triboli e odii, che
ò Firenie, a quella santa lerusalem ce-
leste, dov' ò la gloria e l' allegrexca pre-
ditta »; Lan., An. Fior.
40. COMPIUTO : « ripieno; ma la parola
dantesca comprende un concetto di so-
vrabbondansa e fors'anco di perfeeio-
ne »; L.Vent., aimil., 298.
41. MI FAGKA: io.
42. uiilTO: piacere; cfr. I^f. Y, 66. In
messo tra lo stupore e la gioia io non
amava nò parlare nò sentir parlare, ma
stava mirando. Così i più. Al.: Parte esso
stupore e parte il gaudio mi facevan dolce
il restarmene tatto assorto in quella esta-
tica contemplasione.-NON udire: Al. IL
NON UDQtB. « Lo stupore ed il gaudio lo
rendevano astratto e muto»; Oom,
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181. MOVK: cfr.
erede in uno Iddi «
loro ohe dicono e^
no, contm coloro
a Dio; e dice eh.
non ò raoaao, con •
ch'elli ha in 8è h,
elli sia principio
tntte le cose»; o-
182. Disio: Dio
e desiderato; cfr /
tepA. XU. «, H ; 7
chi, Leg. sul i). I
138. PROVE: cfr.
I» 2, 3, dorè si a-
Vedi par© TAoj/i ]
^^•»I>€lib. arb.
pAtZ. Ili, pr. 10 ^^
Sug. a 8, Vict., i
186. Quinci: eh o
niffestarsi In terrai
dei profeti, ecc
187. VOI: Apoyt
fri Atti, le ^i,,^
denominazione d.^
J^J'^*.I libri.
»i divisero sin dal
^^^^titm evangeli,
cfr. Jren. I. a/e ,
601; VI. 65», vii
— ■ --ue-K * --1C «*"
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tfPIBEO]
Di ohe la mente mia era 8o«^^» .^is«. .
r^^ z^^^^A^^ ed altro mi.n8x>«z^i^-^ r
ice, e v:E<3_i -c^xi Bene
; glorio» ^^
un. e pex* Ji. ^^ .^^ene
n atto ^i^^^
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abito disj^' dT^» ;
nar lo 4;ixo ^3 JEjsióiro
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morti le is<:>.xr"4>dLx-o. >
elo&ttor<e ^^»^& jKscmftK-aooli p<
è tre, oioò JiP-g^^^ jL ^J»^ :K*isUaol<
fu ■iiriniiniwpi ■■ ■■ J ■■ ^lal nmi
dare ad iii.t^».XKQR^^:Kr^^ ohe el
cioè on DaÌKr«»^<9.^9-JL^>, 1a cai
melitela mi px»1k»m:S.<^» rDE^rinitai
68. PKL &€> m^ m^m. ^z:» ^ ^A.1. dì
minoiare dal j_l ■ ■■ ■"■ ■ i jjHi h]
69. BORTi&o = ■ ■ ■^■»r<iiirono
te, deetlnaroa- —
V. 70-98.
pena ndlte ]<
aensa dargli -^
va gli ooohi LsB. ■ ■
oome di oorozK^s^ ^
eh* ella da aò J.-J
sabllme, òh^ 4
in an dal plta
vedrebbe tax^
legione del t^x^ —
flièdlTeron S^i
gle di Beatrio^ ^_
attraTeraaro 'v «»:Kr
m* è In terra 1* «^^
oolaMÙ, U¥*c-— ^-
fijiA umile, 4^
^ O donna, -To-m:^^
jfi]^B», ohe i»^.K-
stl scendere ^:l-i
,j^ dal tno i>or
^a«laelafor«;j
abile e capao«,
p^laaervltti ^a,
dotto alla lil>««-^i,
^-gmdo tutte ^vx.4
i?ìfffitf
^QQglg
1014 [BMPIBIO]
Pab. XXX!. 43-56
C0TUPOSI]
48
40
52
55
E quasi peregrìn che si ricrea
Nel tempio del suo vóto rigaardando,
E spera già ridir com' elio stea;
Si per la viva lace passeggiando,
Menava io gli occhi per li gradi,
Mo sa, mo giù, e mo ricircnlando.
Vedea di carità visi snadi.
D'altrui lume fregiati e del suo riso,
Ed atti ornati di tutte onestadi.
La forma general di Paradiso
Già tutta mio sguardo avea compresa,
E in nulla parte ancor fermato il viso;
E volgeami con voglia riaccesa
Per domandar la mia donna di cose.
48. 1 QUA0I: « e qoMi pellegrino che
prende diletto Allorché intomo intomo
ya gaardmndo nel tempio dove aveva
fktto il roto d* andare »i BetH.
44. BIOUÀRDANDO : girando gli sguardi
attomo in quel tempio ch'egli area fiotto
roto di visitare, per poter poi liwne la
descriaione tornato in patria.
45. ridir: cfr. Inf. XVI, 84.-8TRA:
stia; cfr. Inf. XXXIU, 122. Pwrg. IX«
144 j XVn. 84.
48. MO 8U : Al. OR 8U, OR GIÙ, KD OR;
lesione sprovvista di autorità. Ctr.Virg.,
Aén, II, 88 ; VIU, 810 e seg.
40. DI CARITÀ: Al. A CARITÀ. - 8UADI :
persuadenti , persaasivi.
50. d'altrui : del lame, onde Iddio gli
irradiava. - del 8U0 riso : del ftilgore
proprio, che nasce da sentita letlsia; cflr.
Par. IX, 70 e seg.
51. ATTI: « questo dice a differenzia
ohe fanno li nomini li atti disonesti, quan-
do hanno alcuna allegressa, come gri-
dare, andare a testa alsata, ecc. •Lan.
An. Fior.
V. 62-89. 8tin Bernardo, Fin qui il
Poeta ha compreso la forma generale del
Paradiso, passeggiandolo quasi In estasii
senza affissarsi sopra rerun particolare.
Appena vedeva cosa che lo fìscesse ma-
ravigliare, egli ne domandava Beatrice,
soliu ad appagarlo. Qui si ripete in certo
modo la soena del Paradiso terrestre,
Purg. XXX, 45 e seg. Dante si volge per
&re una domanda a Beatrice, e non la
vede pih accanto a so; ma, appunto là
dove egU s' aspettava di veder Beatri-
ce, scorge un vecchio venenado, aere-
no in volto, spirante pia teneressA d V
more e vestito di Manca stola, allo atteaso
modo di totti gU altri beati. %|LilE»SS.
a)M|tedÌGlfdrvanx, San BemafiioCcfr.St.
lOtJ, !I dottore mellifluo, il oontj
te, che sottentra a BeatrioèT^
'^MlOt sottentrò a VirgiUo. « Dot* è :
tricer > domanda 11 Poeta. B 11 a
sene: « A guidarti al desiderato t
del tuo viaggio. Beatrice m*indnaae a la-
sciare Il mio seggio. Se volgi lo sgoaido
a quel giro ch'ò terso a contare daU^alt»,
tu la vedrai nel trono che i suoi UMrilile
acquistarono. » S. Bemardo irìnill "ìtmii
la contemplaaione, per la quale V —Si»
* smtà «in VW5nè della lAvinltt, XJt.
Oom. L^>t. UT, 828 e seg.
68. MIO sguardo : Al. n. mio BOSUAMM»',
lo mo sguardo.
64. IN NULLA PARTI: ad alcuna parti-
colarità.
65. RiAOCRBA: tomaia ad aoeendeni,
dopo che lo stupore ed il gaudio gli ava-
van Cstto « libito non udire e alani mu-
to »; cfr. T. 41 e seg.
58. C06S: intende forse dei portieolari
della rosa celeste; ma, non avendoilFoeta
detto di quaU coee volesse domandare
Beatrice, è inutile 11 volerìe Indovinare. -
Ma Roneh.: «C'èpooodaindovlnaro. Se
Dante dee portar piene tutta le voglie
che son nate In Paradiso (IX, 110). dee
appunto trattarsi dei partieolari delk
rosa celeste, che leggendo il suo pen-
siero, e prevenendo la sua dimanda, gli
Tengono poi intatta spiegati, ae un da
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CfeMPIBBO]
FàB. tXXI. 57-69 [8. BEBNÀBDO] 1015
58
6L
67
Di ohe la mente mìa era sospesa* <
Uno intendea, ed altro mi rispose:
Credea veder Beatriee, e vidi un sene
Vestito con le genti gloriose.
Diffuso era per gli ooohi e per le gene
Di benigna letizia, in atto pio,
Quale a tenero padre si conviene.
Ed « Ella ov' è? > di subito diss'io ;
Ond' egli : « A terminar lo tuo disiro
Mosse Beatrice me del loco mio;
E se riguardi su nel terzo giro
Del sommo grado, tu la rivedrai
Nel trono che i suoi morti le sortirò. >
BMiirloe, da im Bemaido d* lei preoi-
samente Inyiatogll A Urminar lo mio di-
tiro (▼. 06). »
67. DI ciu: delle quali ooee. -bospbsa:
preoooapata.
68. nmiiDSA : io crederà di parlare alla
mia donna, ed invece di Beatrice yidi
accanto a me nn sene. - uspobb: « ri-
ap<mder$ qni importa un incontrare, cesia
Huioir dicota, per rispetto ad un'altra »;
Ou.
60. BXMB: yecohio, lai tonox, « Aetas se-
nectntls habet rererentiam non propter
oonditionem corporis, qnod in defectn
est, sed propter sapientiam anime, qo»
Ibi esse presnmitnr ex temporis antiqoi-
tete. Unde in electis manebit rererentla
aenectntls propter plenitndinem divin»
aapientie, qne in eis erit, sed non ma-
nebit senectntìs defeotos. » Thotn, Aq.,
Bum. tkeol, Ul Suppl. 81, 1.
61. DIFFUSO : « DIfltasa est gratta in la-
biis tnis»; PtU XLIV, 8. Cfr. U Jfo-
«ftofr. m, 17. Yirg., Aen. I, 691. -osmi:
gote, latinismo antiqnato.
64. ILLA: Beatrice. Per impeto d'afifetto
non la nomina, ayendo U onore pieno di
lei talmente da non supporre possibile
che altri non intenda di chi egli parU.
66. ▲ TEEMIHAB: a compiere ogni tao
desiderio.
67. TKBZO : nel l^' giro Maria, nel 20
BTAk. JBfiL 8^ Bachete ed accanto A Tel
Matrice; etr. Farad. XXXII, 4 e seg.
« liòlmikiero del tre ò la radice del nove,
perocché sensa numero altro, per so me-
desimo moMplioato, tk nove. Dunque se
il tre è fiittore per sé medesimo del nove,
e lo Ikttore dei miracoli per sé medesimo
è tre, doò Padre, Figliuolo e Spirito San-
to, li quali sono tre ed uno, questa donna
fti accompagnata dal numero del nove a
dare ad intendere che ella era un nove,
cioè un miraooto, la cui radice è sola-
mente la mirabile Trlnitade» ; Vit,N.,^ 80.
68. DSL SOMMO : Al. DAL SOMMO ,' a Co-
minciare dal grado più alto.
60. BOBTiBO : sortirono, dettero in sor-
te, destinarono.
V. 70-08. JJaddio a BetUriee. Ap-
pena udite le parole di San Bernardo,
sensa dargli veruna risposta, il Poeta le-
va gli occhi in alto, e vede Beatrice dnta,
come di corona, de' raggi del divin lume
eh' ella da so riflette. EUa ò in luogo si
sublime, che qualunque occhio mirasse
in su dal pih basso fondo del mare non
vedrebbe tanto da so lontana l'ultima
regione dei tuoni. Ha tanta distanza non
gli ò di verun impedimento, perohò l'effi-
gie di Beatrice per venire a lui non deve
attraversare verun corpo interposto, co-
m' ò in terra l' aria o l' acqua. Vedutala
oolassh, il Poeta si congeda da lei con
una umile, grata e devota preghiera.
« O donna, fondamento della mia spe-
ranxa, che per salvarmi non isdegna-
sti scendere giù nel Limbo, io ricono-
sco dal tuo potere e dalla tua bontà la
grada e la forza per cui sono stato tetto
abile e capace di vedere tante cose.
Dalla servitù del peccato tu mi hai con-
dotto alla Ubertà dei figlinoU di Dio [otr,
tìiov. Vin, 84. Som. VIU, 21], impie-
gando tutte quelle vie e mettendo in
opera tutti quei messi d^e erano in tuo
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1016 [EMPIREO]
Par. XXXI. 70-88 t^DDio a beatbics]
70
73
76
79
82
Senza risponder gli occhi sa levai,
E vidi lei che si facea corona,
Riflettendo da sé gli etemi rai.
Da quella region che più su tuona,
Occhio mortale alcun tanto non dista,
Qualunque in mare più giù s'abbandona.
Quanto li da Beatrice la mia vista ;
Ma nulla mi facea, che sua effige
Non discendeva a me per mezzo mista.
€ 0 donna in cui la mia speranza vige, at^^/vT^
E che soffiisti per la mia salute '
In Inferno lasciar le tue vestige;
Di tante cose, quante io ho vedute,
Dal tuo potere e dalla tua bontate
potere per compiere la mia liberasioDe.
Conaerra in me gli effetti della tua ma-
gnifloensa, aflinchè 1* anima mia« da te
gnarita, abbandoni il corpo nello stato di
grazia. » Dalla apparente grande lonta-
nansa Beatrice accenna al Poeta con nn
celeate sorriso che egli è da lei adito ed
esaudito; quindi toma a fissarsi in Dio,
fonte eterno d* ogni bene.
70. BBICZÀ HISPOMDKR: < ne* grandi affetti
l'nomo corre di presente, sensa fk«pporre
nnlla di messo, oy' ò tirato il pih > ; Oe*.
71.C0B0NA : i raggi cbe partono da Dio,
▼anno al volto di Beatrice ; ivi si rifletto-
no e le fanno nna luminosa corona. Ctt.
Thom. Aq„ 8wn. theoL III Suppl. 06, 1.
73. BEUIOM : dalla parte pih alta del-
l'atmosfera terrestre.
76. QUÀLUHQUE: ohinnqae. - B* abbah-
DONA: scende gih nella piti profonda vo-
ragine del mare. «Kel canto che precede,
ci ha dato il Poeta nn' idea grandiosa
dell' ampiessa della celesteGerasalemme,
accennando anche a una notabilissima
elevazione di quella, col portare a più di
mille i gradi nei qoali ai distribuiva l'or-
dinamento dei beati comprensori. Ades-
so viene a un concetto anche pih concreto
e di maggior effetto, circa lo svolgersi del
preziosissimo flore in altezza: dicendo
che dalla più elevata regione dell' aria in
cai si formi la meteora del filmine al più
profondo seno dei mari, ci è men distanza
ohe dal seggio di Beatrice alla base del-
l' infimo grado dove era il Poeta ,* e in-
tanto ci richiama aX fktto importante
della profondità delle acque marine....
Le distanze dal cupo seno di queste aDe
più alte regioni aeree, nelle quali ai far>
mino meteore parventi al nostro ooeliio,
era ed ò ciò che di più Imponente per alU-
tndine può presentarci per modo aenalMle
la faccia esteriore solida, liquida e fluida
di questo nostro povero mondo. » Ant.
77. iruLLA: si immensa distansa non
mi era punto di ostacolo.
78. MEZZO : d' aria o d'acqua ohe atte-
nua 1* oggetto, e Kon era meiao ohe divi-
desse l'eflSge di Beatrice da mo; imperò
che immediate io la vedeva, aio^è tra
lei e me non era messo locale; e per que-
sto dà ad intendere come elli vedeva
Beatrice; cioè colli occhi mentali (T), e noa
corporali ; e tra gli occhi mentali e la cosa
veduta non ò alcuno messo > ; ButL
79. VIGE: ò in vigore, vive, fiorisce.
Ctr. la Cansoqe della Ff7a N., Ì 10, dove
Beatrioe è chiamata « la speraasa dai
beati.»
80. SALUTE : cflr. Fttty . XXX, 138 e aeg.
81. IH JiTFCBNO : nel Limbo, ohe kwat-
mente è la parte superiore dell' Inlbrao;
cfr. Inf. U, 82 e seg. Purg. XXX. 139
e seg. -VESTIGE: qui in senso letterale:
lasciar le impronte dei propri passi, per
dire: mettere il piede, introdursi la un
luogo. CAr. SonehMH, Appunti, 187 e asg.
Senso: non Isdegnasti di scendere ^ae
air Inferno.
82. VEDUTE: nel viaggio per i tre r^gni
del mondo di là.
88. TUO: non dal mio sapere, né da'mlei
meriti. «Hoc non ex vobis. Del eaim do-
num est »; Bpk, n, 8.
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tEHPIBBO]
Par. XXXI. 84-97 [addio a bbatbice] 1017
85
01
9A
97
Riconosco la grazia e la virtute.
Tu m' hai di servo tratto a libertate
Per tutte qaelle vie, per tatti i modi,
Che di ciò fare avéi la potestate.
La taa magnificenza in me custodi
Si, che V anima mia, che fatta bai sana,
Piacente a te dal corpo si disnodi I >
Cosi orai; ed ella, si lontana
Come parca, sorrìse e rìgnardqmmi ;
Poi si tornò all' etema Fontana.
£ il santo sene € Acciò che tu assommi
Perfettcunente > disse, « il tao cammino,
A che prego ed amor santo mandommi.
Vola con gli occhi per qaesto giardino ;
86. 8IBY0 : efr. Tkam. Aq., 9um, theoh
U, n, 188. 4. Pwrg, I, 71.
87. ATEI: ayevi; ofr. JnA XXX, 110.
Narmw., V$rbi, 404 e Mg. «lieta poena-
mm et exhortfttione pnemiorom, qnro
vi» et qui modi poterant liberare mo a
eervitate »; B$nv. La lezione àvkan è
inattendibfle.
88. CUSTODI : oastodisclinl, conservami
i tuoi benefloii.
88. sakà: il peccato è malattia epiri-
toAle } la rioonoiliaaione con Dio, guari-
gione; ett. Purg. XXVIi, 140.
00. PiACurri ▲ TK t nella grasia. - si
DIBHODI: si disciolga.
92. PABKA! al Poeta, ancor mortole;
maitre in verità n^*BmpÌreo non v'ha
piti misara alcuna, né di tempo né di spa-
SÌO.-80RBIBS: qnel sorridere e rignar*
dure il Poeto che la invoca, è segno tacito
e benigno eh' egU ò udito ed esaudito.
03. 81 TOBKÒ : si volse novamento a
Dio ; ofr. Purg. XXVIII, 148. - Fonta-
na : « «pud to est fona vitae ; et in lumi*
ne tuo videbimus lumen »; Ptl XXXV,
10. Cfr. G«rem. U, 18; XVU, 13. Par.
XX, 118 e seg.
T. 04-117. 1 primi eanforH deU'ui'
tinta guida» Tutto quanto assorto nel
penaare a Beatrice, Danto non si ò an-
cora curato di colui che ella gli ha man-
dato a torminare il suo disiro. Per San
Bernardo egli non ha avuto che una pa-
rola: JBlla ov'è> Il cuor suo non ha luogo
per altri. B non appena udito la risposta,
ha rivolti sens'altro a lei gii occhi e la
mente. Finito la sua preghiera, ode di
nuovo il santo vecchio volgergli la pa-
rola: « Affinchè tu compia perfettomen-
te il tuo cammino, al qual fine io son
venuto a to, mosso dalla preghiera e
dalla carità di Beatrice, vola cogli occhi
per questo Paradiso ; chò la visto di esso
ti renderà più acconcio lo sguardo ad
innalsarsi sino alla visione di Dio. La
Begina del dolo, del cui amore io tutto
ardo, ci fktk ogni grasia, giacché io sono
Bernardo, il suo fedele. » Ali* udire .il
nome di San Bernardo ed al mirarne la
carità, Danto si sento tutto pieno di ma-
raviglia e di toneresxa. B il santo cosi
continua: «La gioia del Paradiso non
ti sarà noto intoramento, se tieni gli oc-
chi soltonto alla sua infima parto. Alsa
lo sguardo su per i gradi tanto, che tu
vegga la Regina di questo regno. »
04. BENB : cfr. V. 50. - ASSOMMI : con-
duca al sommo, termini; cfr. Purg,
XXI, 112.
06. CAMMINO: il oui fine ultimo è la
visione beatifica della divinità. < Quasi
dioat, ut felidtor perfidas et finias lon-
gum itor, idest, disoursnm et prooessum
tnaB speculationis, et sic compleaa tuum
opus tot vigiliis elaboratum »; Benv.
06. PRKOO RD AMOR : la preghiera ed il
santo amore di Beatrice.
07. VOLA : non gli resto che poco tompo
al viaggio mistico, e poco spasio al poe-
ma. Invece il Ronch.t « Ma il vola non
credo implichi rapidità, bensì accenni al
grande spado ohe la sua visto dovea su-
perare ». Ma in verito quel grande spade
nulla gii faeea, v. 77 !- giardino : l'as*
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1018 [BKPIBSO]
Pab. XXXI. 98-111
[8. BEEHÀBDO]
100
103
106
109
Che veder luì t' acconcerà lo sgaardo
Più al montar per lo raggio divino.
E la Regina del delo, ond'i' ardo
Tatto d'amor, ne farà ogni grazia;
Però ch'io sono il suo fedel, Bernardo. »
Qoal è colui che forse di Croazia
Viene a veder la Veronica nostra,
Che per l'antica fama non si sazia,
Ma dice nel.pensier, fin che si mostra:
« Signor mio Gesù Cristo, Dio verace,
Or fa si fatta la sembianza vostra? » ;
Tale era io mirando la vivace
Carità di colai, che in questo mondo.
Contemplando, gastò di quella pace.
semblea degli eleMi; ofr. Par. XXTTT,
71; XXXn, 89.
98. T'AtXJOMOlBl: A\ T*ÀCUIBÀ; lesio-
ne ohe ai potrebbe aooettare, se Bon fosse
sproTvistadi aatorità. Aeeofuiare è osa-
to qui nel senso di rendere acconeio, o
rtnderé atto. Senso: Il vedere la gloria
dei beati disporrà rooohlo tao a vedere
la divina essensa.
99. AL MOHTAB: < a montare più soso per
lo raggio divino, doò per la grada di-
vina, ohe non è altro ohe uno raggio della
sna divinità, ohe raggia nelle soe orea-
tare»; BuH,
100. ABDO: celebre ò la divosione 4L
S. Bernardo pét SLTC^cginé HaHàT^àlUi
Q«ale sono ispirati i snol scritti. Ad onta
di ciò, egli combattè contro i canonici di
Lione che volevano introdarre la feeta
della oonoesione immaoolata.Cfìr. Bernar-
di, Epitt., 174, ad Canon. Lugdunengei.
102. Bebm ABDO : il notissimo santo,^.
1001 da famiglia nobile a Fontainee (i)S
jon), nSrrnSnKOBlSinrCIleaax, nel 1115
primo abate di Glairvanx, m. nel 1158. Fa_
promotore deUa'^BoMlidi erociata, awèiT
sarÌQ di AbeìiiTttcrettllltfffevoIlfeimo con-
sigliere di vescovi, principi e papi. Cf!r.
Aeta Sanet. ad 20 ang. Keander, Der
hi. Btmhardt und teine ZeUtaUer, Beri.,
1813 : 8» ed. 1865. MorUon, TU lift and
iimet qf 8. Bemh., Lond., 1868; 2» ed.
1868. e. KUfer, Vorttudien zu einer Dar-
eteUung dee Lébene und Wirkent dee hi,
JBem. V. Olairvaìia, 1886. Oom.Lipt.IIl,
886eseg.
108. Cboaxll: qui nominata peir on
paese lontano in genere, o finrae, eome
opina il Boneh., perchè « fin d* allora la
Croaila era celebre per il fltnatfiio deOe
sae plebi. »
10 ft. YsBOincA : dal lat. «sra e dal gr.
6Ìx(bv, vera ieon, cioè vera immagtee.
Cosi snol chiamarsi il santo Sadario ohe
si conserva nella basilica di San Pietro
a Boma. « Bst igitnr Veronioft pletora
Domini vera »; Oervae. a TOb., Otta im-
perialia o. 25. Ctt. NieoL IT., JBp. d. SO
Apr. i290; Aeta Sanet. Fébr. I, 448 e
seg. Ohiffiet, De Unteit OhrieH, Antveip^
1624. Oarrueei, Stor. ddtarte criet. lU,
(Boma, 1878), tav. 106 e seg. Heaph^,
The likeneee ef Ohriet, Lond., 1880. « In
qnel tempo che molta gente va per ve-
dere quella imagtne benedetta, la qnale
Gesù Cristo lasciò a noi per eeempio
della sna bellissima Agora »; VUa Jf., § 41.
Cfr. G,Vm. Vm, 86. PHrar., Cbitf.. I,
8on. Xn, (14). D Ancona, VUa N. di D.,
2* ed., 248 e seg.
105. amticà: la prima traccia della
leggenda della Veronica ai trova nelle
Clementine, Mom. I, 85; U, 467. Cfr.
Bueeb., Hiet. eeoL. YU. 16-18. Aola Semtt,
Fébr, I, 468 e seg. -bizia: di mirarla.
106. pur CHB : tatto il tempo nel quale
la Yeronioa si mostra in San Pietro ai
devoti.
108. OB FU: la domanda non eq;krlme
dabbio, ma stupore e maravif^
109. VIVACE t 11 vivo ftiooo d'amore.
1 IO. cx>LUi : il contemplativo San Ber-
nardo.
111. OOHTEifFiiànM): ofr. 8, B$r%^ Me*
.itizedbyVZ^OOgTC
tBVPt&Eo]
Par. xxti. 112-127 is. Bernardo] 1019
113
115
118
121
124
127
< Figliaol di grazia, questo esser giocondo »
Cominciò egli, « non ti sarà noto,
Tenendo gli occhi por quaggiù al fondo ;
Ma gaarda i cerchi fino al più remoto,
Tanto ohe veggi seder la Regina,
Cai questo regno è suddito e devoto. >
Io levai gli occhi; e come da mattina
La parte orientai dell' orizzonte
Soverchia quella dove il sol declina ,*
Cosi, quasi di valle andando a monte
Con gli occhi, vidi parte nello stremo
Vincer di lume tutta l' altra fronte.
E come quivi, ove s'aspetta il temo"* t:*-vn.\.
Che mal guidò Fetonte, più s'infiamma,
E quinci e quindi il lume si fa scemo ;
Cosi quella pacifica oriafiamma
•J'Vv*
dital, piis, e. 1. Oom. Ltpt. Ili, 836. -
ouarò: pregnttò nelle eoe contempi**
stoni Tetenia beatitadine; oflr. Thom.
Aq„ Bum, théol. Il* n, 180. 1. 7.
112. DI GKAZLà: « perdooohò non da* no-
stri meriti siamo rigenerati, ma per la
divina grasia »; Land., VeU. - B88BR:
questa gioia, vita beata, del Paradiso.
114. II. FONDO : nel basso del Paradiso.
115. REMOTO: lontano, perohò il pih alto.
110. Bsoima: la Vergine Maria, « Re-
g;ina ooelomm, Domina Angelonun », co-
me la chiama la Chiesa. «
V. 118-142. Gloria di Maria. Come
nel mattino la lace d' oriente TiQce Top-
posta laoe dell'occidente, cosi, levando
Io sguardo dai bassi ai più alti cerchi della
rosa celeste, il Poeta vede lassù nella
parte più alta, in nn maggior lame ed
in messo a migliaia di angeli festanti,
nna celeste bellessa ridente, che riempie
di ineflhbne letixU tatti i beati. È Maria,
il coi splendore rende fioca la Ince degli
•Itri splendori. B S. Bernardo, vedendo
gli occhi del FigHud di grazia fissi ed
attenti a Maria, fissa In lei anche il
proprio sguardo con tanto afTetto, che
r ardore della saa contemplaiione ao-
oresoe l'ardore della contemplasione del
Poeta. Cfr. Oaprì, La Verg. Maria néUa
D. O, in Omaggio a D., 469 e seg.
120. bovbbchià: di luce. «Il Poeta nota
due atti nel cielo. Prima, l'oriente più
illnmimito dell'occidente ; e a questo atto
paragona Io splendore di Maria, che nel*
l'altimo altissimo cerchio vinceva di lace
tatto le altre parti della rosa celeste. Poi
nota che il lame nel Inogo dove spunta il
sole, va scemando quanto più s'allontana
dal centro. Così lo splendore raggiante
c^ seggio di Maria andava diminuendo
gradatamente nello scostarsi da lei. »
L. VeTit., Sim., 8 e 4, dove si dta Luean,
Phart. II, 719.
121. ▲UBANDO: coli' occhio, guardando
in alto. Ctr, Purg. XXX, 22 e seg.
122. PABTi : nel sommo cerchio vidi una
parte splendere più di tutta la superficie
rimanente.
123. FBOMTE : « tutta l'altra alteisa, che
era in tondo, l'una parte incontra a l'al-
tra»; BuU.
124. QUIVI : in quella parte dove il sole
sta per ispnntare; da levante. - temo:
timone del carro del sole.
126. MAL : cfr. Pwg. IV. 72. - Fbtom-
te: cfr. Inf. XVII, 107; Pur^. XXIX,
118 e seg. Par. XVII, 8. - s' infiamma:
cfr. Ovid., Mtt. XV, 192 e seg.
128. 81 FA : Al. È FATTO ; appare meno
vivido, essendo diminuito d' intensità.
127. ORIAFIAMMA: AlCUni ORIFIAMMA;
OBKAFUMMA ; OBOFIAMMA, ccc.; Ut. au-
rea Jlamma, frane, ori/lamme, chiama-
vasi l'antico stendardo dei re di Francia,
il quale consisteva in un pesao di stoflk
lisda e rossa, partita abbasso in tre code,
intorniata di seta verde eeospesa ad an«
itizedbyijaOgle
1020 [BMPIBEO]
Pab. ixii. 128-142
[8. BSBHÀBDO}
180
133
186
189
142
Nel mezzo s' avvivava, e d' ogni parte
Per egaal modo allentava la fiamma.
Ed a quel mezzo, con le penne sparte,
Vidi più di mille angeli festanti,
Ciascun distinto e di fulgore e d'arte.
Vidi quivi ai lor giochi ed ai lor canti
Ridere una Bellezza, che letizia
Era negli occhi a tutti gli altri santL
£ s'io avessi in dir tanta divizia.
Quanta ad imaginar, non ardirei
Lo minimo tentar di sua delizia.
Bernardo, come vide gli occhi miei
Nel caldo suo Oalor fissi ed attenti,
Li suoi con tanto affetto volse a lei,
Che i miei di rimirar fé' più ardenti.
lanoU donU. Beoondo i pfù, Danto chia-
ma la Vergine stessa pacifica oriaftam-
fna, cioè .aarea fiaquika. Ma il Bonch,
chiede: « 0 danqae Maria era più vira
nel meno, e meno, in gradaxione, dalle
parti! B gli angeli si recavano al messo
di Maria! » Secondo altri, Dante chia-
ma eoA quella parte del cielo splendente
tra r oro e )a fiamma, ore era il seggio
della Vergine. Alconi intendono del con-
sesso di totti i beati. Cfìr. Oom. JApc.
III. 888.
128. mtL MEZZO : nel pnnto medio del
sommo cerchio. AI.: Nel messo di so, nel
sno centro (!).
129. ALLBNTATA: scemava di luce lo
splendore raggiante dal seggio di Maria,
il qoale dall' una e dall'altra parte get-
tava raggi che ngnalmente diminuivano
in ragione della distansa.
180. mzzo : dove era il seggio di M»-
ria. -PKirifB: ali; cfr. Purg. Vili, 29;
IX, 20, eco.
182. d'abtb: di movimento. RiBplen-
de vano qual piti, qnal meno, e volavano
qnal più, qnal meno veloce. Al. diversa-
mente. Bua ! e Variato di splendore, e di
canto e Casta ; questo dice per denotale
ohe tutta quella moititndine d'agnoli
era variata nelli splendori e ne le feste
che fsoevano intorno a la Bein» del de-
lo: imperò che ciascuno aveva lo suo
splendore, seoondo Io grado della earlti
sua. » Cosi pure Land.» VéU.,J}an., VcnL,
Lomb., eoo. -« Per pih o meno spióidore,
e per più o meno letlsia di moti e d'atti »;
Frat. Cod pure Br. B., Oorn., eoe.
184. Bkllvzza: Maria ohe rallegnva
gli aspetti di tutu i beati.
186. B s'io : e quando pure avessi tanta
ricohessa di parole, quanta di fantasia.
137^ AD UCAGDIAB: Al. IN IMAOIXAB.
188. LO MINIMO: non ardirei tentare di
esprimere la minima parte di tanto gio-
conda bellesxa.
UO. SUO: cfr. V. 100 e seg. - Calob:
Maria; Al. galsb.
142. fé' PIÙ: Al. ti ¥tR nù. «Come
èlio si avvide di me attento a guardare in
quella parte, dirixsò gli occhi suol a quel-
lo medesimo scanno con tanta aflbaloae,
eh' io m'accorai che 1 miei in quello atto
si fecero in guardare più attenti e ardenti
e vivaci »{ Lan., OU,, An. Fior,
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[BMPIBEO]
Par. XXXII. 1-6 [ROPÀ CELBSTS] 1021
CANTO TRENTESIMOSECONDO
EMPIBEO: DIO, ANGELI E BEATI
ARTIFICIO DELLA ROSA CELESTE, PARGOLI BEATI
MARIA E GABRIELE
I GRANDI PATRIZI DELLA CELESTE GERUSALEMME
Affetto al suo piacer, quel contemplante
Libero ofiScia di dottore assunse,
E cominciò qaeste parole sante :
. < La piaga che Maria richiase ed anse,
Qaella eh' è tanto bella da' suoi piedi,
È colei che l'aperse e che la pansé.
Y. 1-39. ArHfteio déUa rota eéls-
9t0. Tatto intento a vagheggiare Maria,
oggetto del ano amore, il contemplante
San Bernardo assame spontaneamente
r officio di ammaettrare il Poeta circa la
dispoeisione dei beati nel beleete conses-
so. Maria siede nel mezso del sapremo
gradiBo; sotto di lei, disposte in imiU
jfnrtttio in gradino Tana sotto l'altra,
seggono Eva, Rachele, Sara, Rebecca,
Rat, e così di segoito altre donne ebree
non nominate.Qae8te donne formano qua*
si una linea di separadone tra* beati
deU*antÌoo e quelli del naovo Patto. Gli
scanni del primi sono totti occapati, il
nomerò degli eletti del recchio Testamen-
to essendo ormai compiate Dall'altra par-
te Ti sono ancora alcani (ma non molti,cfr.
Par, XXX, 181 e seg.) seggi vaoti, che
saranno oecapati a mano a mano nel
corso dei tempi, finché sarà compiuto il
nomerò degli eletti del naovo Patto. Sai
più alto gradino, in fliMoia a Maria, siede
Giovanni Battista, il maggiore tra quei
cli?*WlirìiìlEr*ar donna (ofr. MaU. xT,
11) ; so#»o di lui 8. Trancesoo, poi S. Be-
nedetto, 8. Agosttno, ed tftri non no-
minail di gradtno In gradino, i qaalt
da qoesta parto formano la line» di di-
visione tra' beati del nuovo e quei del
vecchio Patto, come fanno dall'opposta
parte le donne ebree. Alla destra della
Vergine siedono prime San Pietro, poi
S. Giovanni rXvaagelisla; aHasinistra
di lei primo Adamo, poi Moisò. In (kc-
cia a S. Pietro siede S. Anna, in faccia ad
Adamo, Lacla. Dalla metà ingiù di tutta
la rosa celeste stanno i pargoli beati.
1. AFFETTO: fisso, intento. Le lezioni:
l'affbtto, l'bffbtto, sono inammis-
sibili.
4. PIAGA i/'^ÌJMfyfit^ - BICHIU8R: e Illa
percussit, lata sanavit »; Aug., 8erm., 18.
- xmstL : « plaga.... non est drcumligata....
neqne fota eleo»; Itaia, I, 6.
5. QUELLA: Eva. -BELLA: ossendo crea-
ta da Dio sènza mezzo. - da' : a*.
6. l'afebsb : trasgredendo il divin pre-
cetto. - PUNSI: inaspri, sedncendo Adamo
e precipitando cosi tatto il genere umano.
Nò il trasgredire il precetto di Dio ed il
sedurre Adamo fo tutt'una cosa, ma fa*
reno due cose ben diverse; cfr. Qenen
III, 6. Secondo il Roneh, 1 due verbi a^r-
$e e punM alludono e ai due aspetti della
ferita, lacerazione dei tessuti e puntura
ai nervi ; e alla prima si riferisce il ri-
chiutc, alla seconda, Vunn* »
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1022 [EMPIBEO]
Pab. ixxil 7-2
[BOSA CELESTE]
10
13
16
19
22
25
Nell'ordine che fanno i terzi sedi|
Siede Rachel di sotto da costei
tebefiiyt, lacuty e colei *^ , - r\
Che fa bisava al oantor, che, per doglia
Del fallo, disse : '^ Miserere mei „ ,
Puoi tu veder cosi di soglia in soglia
Giù digradar, compio eh' a proprio nome
Vo per la rosa giù di foglia in foglia.
E dal settimo grado in giù, si come
Infine ad esso, snooedono Ebree,
Dirimendo del fior tntte le chiome ;
Perchè, secondo lo sguardo che fée
La fede in Cristo, queste sono il muro
A che si parton le sacre scalee.
Da questa parte, onde il fior è maturo
Di tutte le sue foglie, sono assisi
Quei che credettero in Cristo venturo :
Dall' altra parte, onde sono intercisi
Di vóto i semicircoli, si stanno
7. nill'obdihb : Del teno grado. - se-
di : Mggl, piar, di itdioi ofr. Di«M, Wdrt, *
I«, 876.
8.RACiaL! otr. In/. 11, 102; IV, 60.
Purg. XXVII, 104. Rachele figura la
eontemplaiione, S. Bernardo il contem-
plante.
0. cx>if Bkàtbioi : cfr. Iftf, U, 102.
Par. XXXI, 67 e seg.
10. Saba; U moglie del patriarca A-
bramo, madre dei credenti in Cristo
ventare; ofr. JBbrH, XI, 11. - Rrbeoca:
moglie dei patriarca Isacco; cfr. Gtn,
XXIV-XXV. - lUDiT: U flgUa di Me-
raris, che accise Oloferne e liberò i Gin-
dei ; cfr. Purg, XII, 58 e seg. Hugo a 8,
Viet,, Adnotat, elueid. aUeg. V§t. Tétt.
IV, 18; IX, 3.- COLEI: Bat, bisava del
re Davide ; cfr. il Ubro di JZul.
12. FALLO: adolterio con Betsabea ed
assassinio del marito di lei ; ofr. II R$g,
XI e seg. -DISSE : nel salmo penitenaiale,
8alm. L.
18. DI 80GUA: di grado in grado, se-
dere Tana appio dell'altra.
15. vo : scendo di grado in grado per
la rosa, nominandole ad ana ad nna.
17. INFIMO AD ESSO: oome dal ptlsM gn-
do al settimo. Donne ebree tooomao «b«
serie rettilinea attraverso tatù i gnM.
18. DIBIMBNDO : separando, dal lai. ^
rintere. Le donne ebree separano il cer-
chio Testamento dal nuovo. Il Jhn è h
rosa; le chiome sono le foglie deBa ra«.
10. FÉE: fo', fece; ofr. Pur$, XXXIU
12. e Secondo che rignardarono gli m-
mini a Cristo venato, o a diate vtst»*
ro sono distinU; e U distinsioiie è ftta
visibile da qaesta parete di donae psM
tra messo, ohe separa inaleiDe ed obIks»
Tra il vecchio ed il nnovo Ti isi ■■natii tt
donne son vincolo, vincolo di
di aspettazione, d'amore. » j^ms.
22. PARTE: a sinistra delle
MATURO : tatti i seggi oocopail. DaMT'
dei morti avanti la venata di Cristo
sano è pih nel Pargatorio.
25. dall'altra: a deetra deOa
- OfTBECiBi: interrotti: vi
seggi Uberi per i beati veaUiri.
26. DI VÓTO ISEiaCIBCOLI: AL H
IM SBMiciBOOLi. Qoa 0 là vi
Cora vuoti; onde sono imtérHwi
oinM^ e inUrcifi l beatt»
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ifeSBMN
; i aiad
[BMPIBBO]
PàB. XXXII. 27-89 [BOBA CELESTB] 1023
23
31
34
37
Quei eh' a Cristo Tenuto ebber li visi.
E come quinci il glorioso scanno
Della Donna del cielo e gli altri scanni
Di sotto lui cotanta c^rna fanno ; ^
Cosi, di centra, quel 3eÌ gran Giovanni, /Ì*'^ '^^
Che, sempre santo, il diserto e il martire
Sofferse, e poi l'Inferno da due anni;
E sotto lui cosi cerner sortirò
Francesco, Benedetto ed Angustino,
Ed altri sin quaggiù di giro in giro.
Or mira l'alto provveder divino:
Che l'uno e l'altro aspetto della fede
Egualmente empierà questo giardino.
27. u VISI: gU sguardi della tbàe,
80. cmHÀ: divisione, separMione; dal
lat. eénure. Come di qaa gli soanni ove
dedooo Ilaria e le altre donne, ftmno co-
tale separaslone dei credenti in Cristo
venato dai credenti In Cristo ventnro;
cosi dirimpetto la fluino gli soanni ove
siedon Giovanni Battista e gli altri beati
nominati v. 85 e seg.
31. OBAif : <Kon sarrexit inter natos
mnlieram maior lohanne Baptista » ;
MaU. XI, 11. Cfr. Luea, VII, 28.
32. 8BIIPBK SAHTO: Sin dal ventre di
eoa madre. « Spirita sancto replebitar
adhao ex ntero matris so» »; Luca, I,
15. - D10BBTO: cfr. MaU. Ili, 1. Marco,
I, 4. Luca, III, 2 e seg. Thom. Aq., 8um.
theol. m, 28, 1-3. - mabtIbo: cfr. Par.
XVIII, 134 e seg.
33. L* IHTEBRO : il Limbo. Dalla morte
di San Giovanni Battista alla morte di
Cristo scorsero circa dne anni, il qoal
tempo il Battista dovette trascorrere nel
JAmbo.
84. GKRifSB: ebbero in sorte di stare
tra mosso alle anime de' dae Testamenti.
« I>l Ikocia alla santa tra le donne, siede
U aanto tra gli nomini, padre d'anime a
jyio conquistate; sotto Ini i fondatori
d* ordini religiosi vengon di contro alle
madri glndee, come padri d'anime an-
ch'eoa! »; Tom.
85. ITKAliCBSOO: i tre nominati, Fran-
oeaoo d'Assisi (cfr. Par. XI, 48 e seg.),
U fondatore dell'Ordine de' Mendicanti ;
Benedetto di Norcia (Par, XXII. 28 e
aeg.ìf '1 fondatore della vita monastica
•ttlv», • S* Agostino (cf. Par. X, 120),
il fondatore della teologia scientifica, fo-
rono in certo modo i continnatori del-
l'opera di Giovanni Battista, nel e pa-
rare Domino plebem perfoctam »; Luca,
I, 17. Si adempie qni l'alto dino di
Dante ; cfr. Par. XXII, 58 e seg. - Au-
GUSTIKO : cos), dal lat. Auguttinui, i più
antichi e più autorevoli codici. Al. Aoo-
8TIH0.
86. DI aiBO! di grado in grado, d'nno
in altro di questi scaglioni che girano
attorno.
88. ABFKTTO : lo Sguardo dalla fede in
Cristo venturo ed in Cristo venuto. Il
numero degli eletti ò eguale d'ambedue
i lati. « Dante pensa che tanti sieno
i beati del Vecchio Testamento, ossia
quelli che si salvarono per la fede in Cri-
sto venturo, quanti quelli del Kuoto Te-
stamento che credettero in Cristo ve-
nuto. Questa ò una opinione poetica. Il
vecchio Testamento fh prtparazione, e il
tempo della preparazione non vuol essere
coflà fruttuoso, come il tempo della reden-
sione compiuta. Il numerodei beati dopo
Gesù Cristo ci pare che debba trapassare
immensamente quello di coloro che lo
precedettero. » Com, Cfr. Oom. Lips.
Ili, 846 e seg.
V. 40-84. Pargoli bwU, Dalla metà
in giù di tutta l'immensa rosa celeste
seggono i bambini salvati non per alcun
merito proprio, essendo morti in età te-
nera, ma per i meriti altrui. B qui tocca
nuovamente l'arduo problema della di-
vina predestinadone, sensa dare anche
qui altra solosione, ohe quella data al-
trove (cfr. Par. XX, 134-^ i X^78-
Jtized byVj (JOQT
1024 rEBffPIBEO]
Pab. xixii. 40-52
[PÀBOOLI BBiTl]
40
43
46
40
62
E sappi che dal grado in giù, che fiede
A mezzo il tratto le dae discrezioni.
Per nnllo proprio merito si siede^
Ma per l' altrui, con certe condizioni ;
Che tatti questi son spiriti assolti
Prima eh' avesser vere elezioni.
Ben te ne puoi accorger per li volti
Ed anco per le voci puerili.
Se tu li guardi bene, e se gli ascolti
Or dubbi tu, e dubitando sili ; t«^/^
Ma io ti solverò '1 forte legame,
In che ti stringon li pensier sottilL
Dentro all'ampiezza di questo reame
102): CkMÌ Tnole Iddio, e dò ohe Dio yoole,
è giasto, benché sia per noi inoompren*
siblle.
40. FRDB; ferisce, Uglia, divide. Da
qoel grado in giù che taglia nel loro
ponto di mezzo le dae anzidette linee
di eeparazione. e Imaginare ergo doas
lineas rectas interseoantes se in rosa in
modnm omcis, ita qnod siut qaatoor
quarteria : in dnobns soperioribns stani
beati veteris et novi Testamenti qni me-
raenmtin vita illam asternam beatitadi-
nem ; In aliis daobos qoarteriis infbrio-
ribns stant illi qui nihil mereri potae-
ront, sicnt parvnli qai praemortni sont
anteqnam haberent nsnm liberi arbi-
tri »; Benv,
41 . DiBCBBzioxi : divisioni : le dne linee
che dividono i dae €upetH della fede,
43. l'altrui: non di Cristo (Lomb.,
Biag., Br. B., Frat., Oom., eoo.) che
per i meriti di Cristo furono salvati tatti,
bambini ed adulti ; ma per i meriti, doò
I>er la fede, del loro parenti e oongianti
{Lan., OtL, An. Fior., Post, Oatt., P€tr.
Dani,, Benv.t Buti, Land., VM., Dan,,
Vent.,wto.). Boneh.: « Percbò esdndere
i meriti di Cristo! Si sa che questi si
estendono a tutti, ma qui, come spesso
altrove, si sottintende, ma tolanunU per
Taltrui, mentre agli adulti occorrono, ol-
tre ai meriti di Cristo, anche i propri. »
Ma San Paolo non era di quest'opinione:
« lustiflcati gratit per gratlam ìpsius, per
redemptionemqu» est in Christo Jesu » ;
Bom. m, 24. Dove sono qui i propri me-
riti f U Boneh. continua: « Ovvero vuol
dire, ma, e pei meriti di Cristo, e sotto
determinate oondisioni, mentre per gH
adulti condizioai non ve ne sono. » Ko:
la condizione è la fede in Cristo, che i
bambini non possono ancora avere, ma
che per gli adulti ò la condiiio Hne qua
non; efr. Par. XIX, 103 e eeg.
44. ASSOLTI : sciolti dai legind del cor-
po, morti.
45. KLEziONi : fiux>ltà di scegliere, we
della ragione. « Vera elezione è quells.
la quale procede dalla radooinazlone; il
quale raziocinare non puote eesere ne'
«uiduUi»; OU.
47. PUKBiLi : secondo Thom. Aq., Bum,
theol. ni. Sappi., 81, 1-2 intii i beati ri-
susdteranno nella medesima età, cioè
giovanile, rimuiendo ai veochl l'aspetto
venerando delta veochiaia (efr. Por.
XXXI, 51»), ma non tutti nella mede-
sima statura. Invece Dante snppmieclie
i beati si mostrino in Paradiso ndla età
e statura in che si trovavano quando mo-
rirono. Né si può immaginare ohe Dante
ammetta diversi d* aspetto i beati sol-
tanto ora, prima doè della risnrresiooe,
dicendo egli in Par. XXX, 43-45 che li
vede quali saranno oZTiittlma giuHiiia,
48. ASCOLTI: « quando cantano le lode
d'Iddio; imperò ohe in vita eteraa lì
beati sempre cantano le lode d'Iddio»;
BuU.
49. DUBBI: se questi bambini ftirono
salvi sensa proprio merito, perchè hanno
esri diversi gradi di beatitudine! - aiu :
lat. «Off, tad.
50. 'L FOBTB: Al. FORTI. L* articolo
sembra qui necessario. - lksaìoc: del
•"""""■ Stfeoogle
[XMPIBEO]
Pab. mn. 53-70 [pàrooli beati] 1025
55
58
61
54
67
70
Casual punto non puote aver sito,
Se non come tristizia, o sete, o fame ;
Che per etema legge è stabilito
Quantunque vedi, si che giustamente
Ci si risponde dall'anello al dito.
E però questa festinata gente
A vera vita non è sine causa
Intra so qui più e meno eccellente.
Lo Bege, per cui questo regno pausa
In tanto amore ed in tanto diletto, |
Che nulla volontà è di più ausa, ^^ ^ '
Le menti tutte nel suo lieto aspetto,
Creando, a suo piacer di grazia dota
Diversamente ;^ e qui basti U effetto.
E ciò espresso e chiaro vi si nota
Nella Scrittura santa in quei gemelli
Che nella madre ebber l'ira commota.
Però, secondo il color dei capelli
58. PUHTO: qui il omo non h* laogo,
nemmeDO nel minimo ponto, come non yì
tuumo luogo né tristessa, né Mte, né Al-
me. Cfr. Thom, Aq., Bum. iheoL HI, 69, 8.
54. FAMS: ofr. Itala, XLIX, 10. Apo-
oa/.VII, 16; XXI, 4.
56. QUAMTUMQUS ! tlltto dò Oho tu TOdi
in qnesto celeste regno, lino alle più pio-
eole coee, è prestabilito ab etemo oosi
pnntoalmente, ohe il fhtto oorrisponcle
al Tolere di Dio, il grado della gloria al
gndo del merito e della grasia, come
r anello corrisponde al dito.
58. FMTIKATA: affrettata (cfr. Purg,
XXXTTT, 90), venuta prima del natami
ano tempo alla vera vita celeste. Chiama
ooei 1 bambini morti avanti l'età della
ragione ed accolti in delo.
59. BOIB CAUSA: sensa cagione. Kon
a caso» non scoia ragione i biunbini sono
distinti in gradi più o meno eccelsi di
gloria e beatitadine.
60. urrsA BÈ: « per rispetto di so me-
desimo, doò tra loro, dee che l' ono ha
più beatitadine che V altro »; BuH, Solla
lezione niTBAai, ixtbabi, che yeramente
ò di molti codd., edii. e comm. ant. cfr.
Chm, Lip$. m, 849 e seg.
61. Bbob: Dio. ' PAUSA : riposa, ha pace.
68. AUSA: osa, ardita. I beni celesti sa-
perano qoalsiad ornano dedderio; nes-
65. ~ IHv. Oowun., 4» odia.
sono paò innalsard a dedderare di più
e di meglio.
64. USTO: cfr. Purg, XVI, 89.
66. L*BFFBTTO: il sapere che Iddio
opera cod, sensa cercarne la ragione.
« Blectorom alios magia, alios minos di-
lezit ab letemo»; Petr. Lomb., 8erU, III,
82. Cfr. Pwrg. IH, 87 e seg.
67. CIÒ : che sino dalla loro creaslone
Iddio dota gli enti radonali diversamen-
te, secondo il sao solo beneplacito.
68. OEMELU: Bssù e Giacobbe, il pri-
mo rigettato, il secondo prescelto da Dio
già prima che nascessero; cfr. Oen.XXY,
ai e seg. Bom. IX, 10 e seg. Dante segae
qai 8. Paolo, nel laogo ora dtato, tra-
dnoendo semplicemente il testo biblico
nel lingoaggio poetico.
09. MADBB : Rebccca. - oommota : com-
mossa. Ebbero, secondo il racconto bi-
blico, contrasto d' ira nel seno materno ;
cfr. 09n, XXV, 22.
70. BBCONDO IL COLOB : allode al rac-
conto scritturale, che alla sna nasdta
Esaù, « raftis erat et totas in morem
pdlis hispidos»; Chn. XXV, 26. Senso:
Conviene che ogni pargolo abbia on grado
di gloria, rispondente al grado della gra-
da datagU da Dio. « n color dt^ eapeUi è
la grada che ciascun bambino ebbe dee*
vate nella eoa santiflcaski^e, il Ivms che
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1026 [BMPIBBO]
Pab. xzxii. 71-84
[PiBeou BBin]
73
76
79
82
Dì coiai grazia, l' altissimo lume
Degnamente convìen che s'incappelli
Dunque, senza mercè di lor costome.
Locati son per gradi differenti,
Sol differendo nel primiero acume.
Bastava si nei secoli recenti
Con l'innocenza, per aver salute,
Solamente la fede dei parenti.
Poi che le prime etadi fnr compiute,
Convenne ai maschi alle innocenti penne.
Per circoncìdere, acquietar virtute;
Ma poi che il tempo della grazia venne,
Senza battesmo perfetto di Cristo,
Tale innocenza laggiù si ritenne.
•'InoftppellA è U glori* éb% der'etsere
propontonftto a ootocto grasia»; Oom.
Cfr. Cbm. Xtpt. in. 850-852. « n oonoetto
è, ohe oonriene ohe 1* altisaimo lame, il
Inme beati tlcao te, o lo splendore dirlno,
si tàoeìtk aureola, oorona di gloria, i^in-
eappeUi, oonrenleiitemeD te al color d^oth
pelUt doè al qoale e quanto della grasia
ohe Dio largì a questi pargoli: e non
già ohe qui si diano eapelli alla gracia,
ma i eapeHi ed a loro colore si pongono
oome simbolo e Agora del bellissimi e
vari doni di questa grasia medesima, se-
condo ohe si usa anoo nelle saore oarte »;
Br, B. Cosi tutti i moderni.
78. MBKOft: merito; ofr. It^. IV, 84.
- COSTUME: virtù, opere. Sensa merito
di loro opere; ofr. r. 42. « Non peròhò
ebbero meriti proprii diyersi, ma perchè
ci Al tra loro diversità nella grazia (om*-
fM) riocTuta dalla bontà di Dio, oh' era
Ubera in ciò di fiure»; Oom,
75. ÀCUm : « in voluntate divina, quam
autor vooatprimam aoumen, idest, prl-
mam oausam aoutam et snbtilem, nam
penetrat omnia, ad quam reduountnr om-
nee oauam ; ergo bene diversa gratia Dei,
nondiversitasmeritorum, datisttsdlver-
sitatem glorie »; Benv. Secondo altri, il
primioro aoume è il primo raggio della
grasia. I più: Kell'aoutesu di vista, atta
a mirar Dio più o meno dappresso, già
loro dapprima comunicata da Dio stesso
per messo della grasia.
70. BASTAVA sii era bensì bastante.
▲L BASTAVA u — bastava loro. - bbcih-
Tii nnovli nella prima età del mondo.
da Adamo sino ad Abramo, bastava s
salvare i bambini la fsde dei parenti nel
venturo Bedentore.
78. FIDI: in Cristo ventato; ofr. Pm,
XIX, 108 e seg.
80. AI MASCHI: cfr. Thom. Aq., 9mm.
Osol. I. n. 81. 6; in, 70, 3. 4. Oom. Lfpt,
III, 868 e seg. - allb nni(x«rn: AL lb
imrocmTi. Bisognò che i maschi, me-
diante il rito della ciroondsioiie, acqui-
stassero Ibrsa alle penne dell* innocsBss
per volare al delo.
88. PBRnmo : la dfconcisloBeBoa sta
che un battesimo imperiato; efr. Assk
Aq., am^ theoL m, 70, 1-4. Dopo Cristo
il bambino non battéssato ò relegato I^f>
già. Aloè nel Limbo ; cfr . 8. Bom,, TnuL
ad Hug. de 8. Viet, do qutuL oò ^90
propot. 0. 2. Thom, Aq., Am». tkooL UE,
08, 2, 0. Ptir. XX, 127.
V. 85-00. Jl soiMto mOm Torgino»
Contlnoa 8. Bernardo: « Blgnarda ofa-
mai nel volto di Maria, che più di og^
altro somiglia in ispleadore a quello dsl
divin suo Figlio. Solo (issando lo ^Isn-
dorè di lei puoi renderti atto a mirare
Cristo sensa rimanerne abbagliato.» Bi-
tornando coU* estatico sguardo alln Ver-
gine Madre, U Poeto vede in lei rteon-
centrarsi tutto il gaadlo divino, ptovnto
dagli angeli, che tnsvdano tra il gran
flore e Dio, da cui scendono per porgere
della pace e dell'ardore. Nulla di qnanto
ha contemplato siii qni, poòparagoBanl
alla beato vlatodi Maria, né hBTvi in tat-
to U Paradiso cosa alcuna tanto a Dto 8»*
migttante. L*aroangsleQabrlsle,llbntoil
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[BMPIBEO]
PàB. XXXII. 85>99 [SALUTO ÀMÀBU] 1027
85 Bigoarda ornai nella faccia oh' a Cristo
Più ai somiglia; che la sua chiarezza
Sola ti può disporre a veder Cristo. >
88 Io vidi sovra lei tanta allegrezza
Piover, portata nelle menti sante,
Create a trasvolar per quella altezza,
91 Che quantunque io avea visto davante,
Di tanta ammirazion non mi sospese,
Né mi mostrò di Dio tanto sembiante.
94 E queir amor che primo li discese,
Cantando < Ave Maria j gratia piena! » ,
Dinanzi a lei le sue ali distese.
97 Rispose alla divina cantilena
Da tutte parti la beata corte.
Si eh' ogni vista sen fé' più serena.
•oUe tU dlnaiud ali* Vergine, inton* VA-
ve Maria, e UiM 1 beati della corte cele-
ste ricantano Ate Maria, deche da tutte
le parti echeggiando l' angelico salato,
brilla di nnova Ince il Paradiao ed ogni
fronte B'abbella e raaeerena.
86. CBI8T0 : rima al aolito con sé ates-
0O; cfr. Par. XU. 71 e eeg.; XIV, 104 e
•eg.; XIX, 104 e aeg.
86. 81 bomiguà: di looe. Al. s'abso-
MIOUA.
87. DiBPOBRB:crana visione è scala ad
altra pih alta »; Tom,
88.ALIJMBBEZA: « la gloria e il gaudio
della pace e dell'ardore che in lei piore va
dA Dio »; Om.
89. MBHTi t angeliche « porgeran della
pace e dell'ardore »; Por. XXXI, 16 e
eeg. Oli angeli sono quasi altrettanti va-
si, nei quali è portata l'allegreisa ohe
▼ien da Dio.
90. OSSATI ; le mMH tante (—gli an-
geli) farono create per volare fira 11 trono
di Dioele sedi dei beati ; cfr. Por.XXXI,
4 e aeg. - « Li agnoli forono creati da
IMo, perchè portasslno le sue Imbascia-
te, e però s' interpetra angelo metto »;
91. QUAMTUVQUi: tutto dò ohe io aveva
-veduto prima di allora, e Tutto il grande,
il bello, eoe ch'Io vidi non è pari alla
bdtà di Maria, né è capace di darmi ima-
gise della divinità com' essa »; Oom,
92. BO0Pmi non mi tenne sospeso in
tanta ammirasione; ofr. Por. XX, 87.
96. aEMBUim: oosa tsnto divina, e
però tanto somigliante a Dio. - « Quanto
la cosa è pia divina, è più di Dio almi-
gliante»; Oonv. II, 6.
94. AMOB: l'arcangelo Gabriele; cfr.
Fot, XXni, 108 e aeg. - lì : sovra laVer-
gine Maria, v. 88.
06. DiSTUB: « stava suU' ali aperte, ri-
cantand<4e quello che le era tanto glorio-
so, e ohe in Kasaret le aveva detto »; <k$,
97. BUPOSic: fMondo eoo alle parole
dell'arcangelo Gabriele, oppure segui-
tando la salutaslone angelica. - cauti-
LENA : canto. « Acquista nobiltà dal con-
cetto e dall' aggiunto ohe le si accompa-
gna»; Tom.
99. OGNI VISTA : Il sembiante, l'aspetto
di ogni beato.
V. 100-114. 1/ arcangelo Oabrieie.
Non conoscendo l' angelo ohe, libratosi
sulle ali dtnansi allaVergine, ha intonato
la salutaslone angelica. Dante ne doman-
da San Bernardo, il quale gli risponde,
quello essere l'angelo eletto da Dio per
recare il fausto annunsio alla Vergine
di Kazarette, onde è in lui tanta baldimsa
e letisia. quanta mai può esser In angelo
o in anima beata. Ed 1 beati vogliono essi
pure ohe cosi sia, non potendo il loro vo*
lere discordare menomamente dai volere
divino. Sembra ohe il Poeta voglia isti-
tuire con questi versi una diversità di
grasia per puro divino beneplacito anche
negli angeli, come negli nomini. Come vi
sono nomini privOegiatl, cosi ancheange-
U. In terra il privilegio genera invidia ; in
cielo letisia e contento.
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1028 [BXPIBKO]
Pàb. XXXII. 100-114
[eABlIILX]
100
103
106
100
112
« 0 santo Padre che per me comporto
L' esser quaggiù, lasciando il dolce loco
Nel qoal tu siedi per etema sorte,
Qual è queir angel, che con tanto gioco
Q-aarda negli occhi la nostra Regina,
Innamorato si, che par di foco ? »
Cosi ricorsi ancora alla dottrina
Di colai ch'abbelliva di Maria,
Come del sole stella mattutina.
Ed egli a me : € Saldezza e leggiadria,
Quanta esser può in angelo ed in alma,
Tutta è in lui; e si volem che sia,
Perch'egli è quegli che portò la palma
Giù a Maria, quando il Figliuol di Dio
Carcar si volle della nostra salma.
100. OOMPOBTB: Comporti, soflH; ofr.
Par. XXXI, 80 e Mg.
101. QUAGGIÙ: nell' Infimo gnAo doli*
celeato roM.
103. BTBBirA: < per predestìnaiione di-
Tin* fletto di (• »b eterno ; imperò ohe Id-
dio ftb etemo predestinò ciaacnno spirito
al grado della beati tndlne eoa •\Buti.Ott.
Moti, XXV, 84. We9i 1. 4. 1 PUtro 1. 2.
iOS. GIOCO: festa, tripudio; cflr.Par.
XX, 117.
105. FOCO: ardente di oeleete letisia;
« Aspeotns eomm qnasl oarbonnm ignis
ardentinm.... Splendor ignis, et de Igne
fblgnr egrediens »; Ex»eh. 1, 18. Ctr. Ptd-
ci, Mwrg. VIII, 84.
107. COLUI: San Bernardo. - abbel-
liva : si fftoeva bello guardando ICaria;
cfr. Par, XXn, 24; XXVI, 188. -«Ri-
traeva dalle beUesse di Maria, come Ve-
nere stella ritrae sna bellessa dal sole •;
Oom. • « Qai nsa il verbo aò6eU«r«; al>
trovo oJbhMirH; Par, XXII, 24. Lieve
differenaa, ma par v*è. Là seno molte
anime ohe si fimno piti belle, irraggian-
dosi r una r altra redproeamente. Qai è
San Bernardo ohe rioeve, qaasi inoonsa-
pevolmente, beUeua da Maria, in qaanto
aflSsandosi in lei partecipa del sno splen-
dore»; L. V$nt., 8im., 28.- « Siont Venne
stella matntina assooiat solem in caren
sao et illaminator pr» csteris ab eo; ita
Bernardas tamqaam stella, qaia ftiit doc-
tor, et dootores flgnrantor in forma stel-
^rom in oorpore SoUs, assooiavit Ma-
im ex snnuna devotione et compassio-
ne ; nnde devotisdme describit planetim
eins, et ideo bene pr» «eteiia fUnmina-
batnr ab ea »; Ben*.
108. DSL 80LB: «lo qoale dì seBafUle
laoe sé prima e poi tatti i eorp* «^^
stiali ed elementali allamina »; Qm9. TU,
18. - STELLA : Venere.
109. BALDEZSA : quella sicanaaa di atti
che dà l'esser contento di sé; cfr. Pmr.
XVI, 17.-LBQGLAOEIA: vagbeasa di moli.
- « Dat inteUigi spiritaalia et oorpora-
lia > <f) { Bms.
110. ALMA: anima nmana.
111. VOLEM ! vogliamo; cfr. Piar. XX,
188. e Qai d nota la nnitade della vo-
lontade de' Santi, la qnale si ò una eoa
qaella del re di vita etema »} Ltm., ete.
113. QUEGLI: Al. QUELLO. -LA PALMA:
l'annansiaiione. «Sapponendo ^e tutte
le donne ebree desiderassero e qoasi con-
tendessero di essere eiasonna la madre
dell'aspettato Messia, sensatamente dice
che r arcangelo Gabriello, dichiaraBdo
Maria Vergine madre di Gesù Cristo,
recaseele la palwta, doò la vittoria, so-
pra di tatto Taltre donne *; Lomb. L'ar-
cangelo Gabriele che annnnmia a Maria
essere ella prescelta a madre del Salvai
toro, si dipinse generalmente con ma
palma In mano.
114. SALMA : del peso ddla carne.
V. 116-188. I grandi pairiet iMto
€f€ru9aìmmm9. San Bernardo
invita il Poeta a segaiilo odio sgnardo,
mirando là dove egli gii mosti età i pria-
dpdi perseaaggi deOa cotto osisele. Alla
[EMPIBBO]
PàB. IXXII. 115-180 [GBÀNDI PATBICI] 1029
116
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121
12i
127
130
Ma vieni ornai con gli occhi, si com'io
Andrò parlando; e nota i gran patrioi
Di qaesto imperio ginstissimo e pio.
Qaei due che seggon lassù più felici,
Per esser propinqnissimi ad Angusta,
Son d' està rosa quasi due radici.
Colui che da sinistra le s' aggiusta,
È il padre per lo cui ardito gusto
L'umana specie tanto amaro gusta.
Dal destro vedi quel padre vetusto
Di santa Chiesa, cui Cristo le chiavi
Raccomandò di questo fior venusto.
E quei che vide tutt' i tempi gravi,
Pria che morissej della bella sposa
Che s' acquistò con la lancia e coi chiavi.
Siede lungh*esso; e lungo T altro posa
■inistra della Vergine siede Adamo t alla
di lei destra San Pietro : allato a Pietro
l'evangelista San Oioranni, allato ad
Adamo, liosò, il legisIaV>re d'Israele.
Dall'opposta parte, di contro a Pietro,
quindi alla destra di Gioranni Battista
(ohe siede dirimpetto a Maria) siede San-
t'Anna, la madre della Vergine Maria.
Dirimpetto ad Adamo, dunque alla sini-
stra del Battista, slede Lncia, colei ohe
Indusse Beatrice a soccorrere 11 Poeta;
efr. Jf|A Ut 07 e seg.
115. 8Ì ooM'iot « vieni collo sguardo
appresso al mìo parlare, alla contessa
cho ti darò di qnesti primari soggetti »;
Lomb. Salle lesioni viBMirs, vikkk, yikn-
H' OMAI, cfr. Oom. Lipi. Ili, 857.
116. PATBioi : piar, di patrieio, come
ojlei da officio, eco. Cfr. Parenti, Annotai,
al JHz, 1, 78 e seg. Pattici chiama Dante
i più ragguardevoli tra' beati. « Seuato-
rM de ordine illustri hnius alm» Rom»,
ubi imperat princeps iustissimus et ole-
mentiesimus »; Benv. - « J gran patrici
cioè li grandi padri j chiamavansi a Be-
rna padri quelli ohe consigllayano la re-
pablica, e patrieio si chiamava chi era
di quello ordine •; BuH,
119. Augusta t Maria, reginaecelii cfr.
Par. XXIII, 128. Come vi sono diversi
gradi di gloria, così pure di felicità. La
Tergine è al sommo grado; chi le è più
dappresso, è pih felice.
120. BADICI : Adamo fh il primo dei ere-
denti in Cristo venturo. San Pietro il pri-
mo dei credenti in Cristo venuto.
121. SINISTRA : lato meno nobile, la vec-
chia legge essendo meno nobiledellanuo-
va. - 8'aogiubta : le si avvicina, le sta
accanto.
122. PADRE: dell'umana specie. -ar-
dito: « ha senso in Dante più grave
d' adesso >; Tom. - gusto : del fratto
vietato.
123. tanto amaro : le fìitlche ed i do-
lori della vita e l'amaro calice della
morte; cft. Par. XIII, 89.
124. PADRB: San Pietro.
126. RACCOMANDÒ : cfr. MatL XVI, 13.
Thom. Aq., 8um. theol. Ili Suppl. 17,
1. -FIOR : del regno dei cieli ohe ai mostra
qui al Poeta in forma di candida rosa ; ctr.
Par. XXXI, 1. - venusto : bello, vago.
127. QUEI: San Giovanni Evangelista,
autore dell'Apocalisse, il qoal libro è con-
siderato come il compendio profetico del-
la storia della Chiesa sino alla fine del
giorni.
128. sposa : la Chiesa ; cfr. Par. X,
140; XI, 32 e seg.; XII, 43; XXVII,
40; XXXI, 8.
129. s'acquistò : da Cristo col proprio
sangue; cfr. Atti XX, 28. - chiavi : Al.
ola VI : chiavi per chiodi e chiavare per
inchiodare si usarono anticamente anche
in prosa; cfr. In/. XXXIII, 46. Purg.
Vni, 137. Par. XIX, 105.
130. luxgh'esso: allato ad es«> San
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1080 [BMPIBBO]
Pab. xxxn. 181-142
[6RAKDI PÀTKICl]
133
138
139
142
Quel duca, sotto eoi visse di manna
I^ gente ingrata, mobile e ritrosa.
Di contro a Pietro vedi seder Anna,
Tanto contenta di mirar soa figlia,
Che non mnove occhi per cantare *' Osanna ! „
E contro al maggior padre di famiglia
Siede Lucia, che mosse la tna donna,
Quando chinavi, a roinar, le ciglia.
Ma perchè il tempo fogge che t'assonna,
Qui fiarem punto, come buon sartore,
Che, com' egli ha del panno, fa la gonna ;
E drizzeremo gli occhi al primo Amore,
Pietro} efr. Inf, XXT, 97 e seg. - L* al-
tro : AdMDO.
181. quiL: Moaè, ohe oondnne g^
laneUti nel deeeito, dove vlasero qo»-
rant*»nDi di mann*; efr. Ktod. XTI,
1885. Qiot. VI. 82 84. Àpooal. II, 17.
132. INGRATA: rimproyero tetto tante e
tante volte da Dio al popolo d'Israele.
133. Anka: Sant'Anna, figlia del sa-
oerdote Matthan, moglie di Gioachino e
madre della Vergine Maria. Cfr. Evang,
de noHv. Maria e ProUvang. Jaeobi in
^oòrie., Ood. Apoer, N T€$t. 1, 19 e eeg.
87 e eeg. Aet, Band iul. VI. 238. TOìé'
moni, Memor. ad Hi»t. EeH. I, 268. «T.
Oerton, Denai. Virg. Marice.Opp III, 69:
< Anna tribù nnptit:
iSalommiaa,
Ex qaibnt Ipta Thit p«perit tre« AooaHAriM.
Qua* daztre Joiepb, Alpbmu 2eb«djBOiqtie. »
136. PER CANTARE: benché ella canti.
138. PADRE: Adamo, padre di tutto
il genere omano.
187. Lucia: cfr.In/:iI,97-100.P«ry.IX,
66 e eeg. Cfr. Ori$U\f<Mri, DeUa Lucia «i-
raeuiana Hfnbolo della carità e deOa i€in-
ta religione eeraJUa nel delo danteeeo ;
Hil. 1890. -M0B8B: cfr. If\f. II, 100108.
138. CHINATI: avendo perduto la epe-
ranca di giongere sul dilettoso monte,
Ir\f. 1, 64. -A RUINAE: in basso loco, ver-
so la selva oscora; cfr. Inf. I, 81.
V. 180*161. PreparoMiofie aUa pre-
ghiera. Continaando, 8. Bernardo dice
al Poeta : « Fuggendo il tempo assegnato
all' alta toa visione, è necessario por ter-
mine alle parole per dar laogo alla finale
oontemplaaione del primo Ajnore, e ikr
oome il sarto ohe raggnagUa l'opera aOa
quantità del panno. Ha attnchè io, pn>>
cedendo fidodoeo nelle proprie tue fiocss
e credendo inoltrarti nella looe divina,
non abbia per avventerà a retrocedete la
pena di tanto orgoglioicon viene impetrar-
ne grasia per messo dell'oraaioiie. « Apsr-
temente oonfessaqni il Poeta ohe nella via
del delo arretra ohi crede inoltrarsi mo-
vendo le ali sae,cioè colle sne forse nntora-
li, essendo assolnumente neeeesarìn la di-
vina graxia, la qnale orando oon viene ehe
a noi discenda da Colei che in cielo è po-
tentissima. Cfr. L VetU., 8im. 877. OapH
in Omaggio a D. 476 e seg.
189. t'assonna: ti addormenta, ti ra-
pisce in estasi, cioè ti è da Dio conceduto
all'alU tua visione; cfr. Por. 1, 78 e seg.
Il poema doveva const«re di cento canti ;
quindi il Poeta si vede costretto a volare
verso la fine, né ci dà le ragioni del seo
sistema rimunerativo, oome hn fhtto del
penale. Ronek.z « Pare pinttoeto non vi
siano altre ragioni che quelle che oiaseo-
no può trarre di per sé, sia dal fttto che
ogni anima si mostra in quella stella di
cui sub! l'influensa, sia dalla comune
nosion teologica che tanto si avansa in
gloria, quanto fecesi in graain, sensa di-
stinsione alcuna dei diversi modi oon eni
questa grazia si manifestò. »
140. SARTORE: cfr. JV. XV, 21. Lasi-
militndlne non è troppo degna del laogo
e della persona. Cfr. L.Vent., L e.
141. LA GONNA: l'abito, la veste più o
meno ampia.
142. Amore : Dio. Altrove {Tttf. Ili, 8.
Par. VI. Il) chiamapn'moilmor* lo Spi-
rito Santo. Qui, sul punto di doversi
alla visione della SS. Trinità, ehlamajir»-
mo AfHore Iddio^Xno e Trino.
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[BMPIBBO]
Pab. XXXII. 148-]
SI che, guardando verso la
Qoant* è posaibil, per lo su
145 Veramente, né forse tu t' arri
Movendo l'ali tue, credenc
Orando, grazia convien cli<
148 Grazia da quella che può aiu
E tu mi segui con l' affezlo
81 che dal dicer mio Io cor
151 E cominciò questa santa oraa
148. GUABDAinx) : ta. - PivftTBi : t'id- ragioni
dentri, t' inainal. mo mei
145 TKBAMBirnB : me, lat. verunUamen, ohe ta ]
ofr. Par, 1, 10. - irÈ fobsi : effinohè non ti : ino
arrence per arrentara ohe ta, tentando 148. i
d* inoltrarti, non abbia a retróoedere, e Ctt, Bt
credendo di andare io sa, ti rimanga. Di 149.
nè/or§e per (/(finehè non, alla latina, non tendo t
mancano altri eeempi: oflr. Oom. Lip$, ghiera.
Ili, 860. - « Ne forte ta retrocedaa et 160.
elongeria a fine intento.... qnasi dioat: mloon
ne temere tentes oam pericnlo tas ruin» non di[
▼olare ad tantam alUtadinem propriis Dan. -
viribns tnis et com tote stadio theolo- sao et
già, qaia tono magis elongareris a si- tem eie
gno qaaato magis accedere féstinares »; 18 ; ofl
Benv. 0, 7.
149. MOvniDO : per toa propria virtù ; 151. (
< movendo lo ingegno tao in alto co la il cantc
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1082 [BMPIBBO]
Pab. xxxm. 1-8
[0BA2I0MB]
CANTO TRENTESIMOTERZO
EMPntEO: DIO, ANGELI E BEATI
LA SANTA ORAZIONE, INTERCESSIONE DI MARIA
VISIONE DELLA DIVINITÀ, L' ULTIKA SALUTE
€ Vergine Madre, figlia del tuo Figlio,
Umile ed alta più che creatura,
Termine fisso d'eterno consiglio.
Tu se' colei che l'umana natura
Nobilitasti si, che il suo Fattore
Non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l'amore.
Per lo cui caldo nell'eterna pace
V. 1-39. Ita satUa oratfione. Con odo
danciodi vi visaimo affetto, San Bernardo
comincia ad esaltar Colei, ohe vaol ren>
dere propisia al snoi preghi, ed intona
una lande di Maria, tanto magnifica e
anblime, qnanto giusta e propria. Celebra
nelle prime tersine 1* eterna predestina-
eione di Lei all'altissima dignità di ma-
dre di Cristo, da oni, come da principio
e fonte, derivano grafie e grandezse in-
comparabili, mostrandola principalmen-
te come oggetto prefisso negli etemi con-
sigli dell' Incarnazione, e nell' economia
dell' umana sai vessa (v. 1-12). A provare
poi che veramente Ella è la speranza pe-
renne dei mortali, ricorda ed esalta la
grandessa della potensa e della misorl-
oordia Saa ; i dne pnnti sn che si fbnda
la fiducia de' suoi devoti, e che assicu-
rano eflScace la sua alta protezione (v.
18-21). Dopo d' aver cosi reso propizia
la potente ed amorevole Avvocata, l'o-
ratore deve esporre le preghiere per
Dante; ed in primarChe il mistico viatore
affidato a lui venga sublimato alla vi>
sione divina; grazia veramente singola-
rissima e non mai concessa ad uomo
mortale, ma che Dante richiede ed at-
tende da Colei ehs può ciò che vuoU!
Prosegue adunque S.Bemardo additando
a Maria l'umile e divoto peOegrino ve-
nuto a Lei dopo la A lunga via, e raddop-
pia, per ottenergli la grazia saprema, la
forza dell' ailbtto e dell' eloquensa <▼. S2-
83). Ma il Poeta restava tuttavia nel mon-
do, ed avea a temere di ricadere nella
selva oscura dei vizi umani; e però il
santo rivolge a Maria ancora una pre-
ghiera: ohe Blla, la quale avea iniziata
e omai compiuta la salvessa di Dante,
ora ne lo confermi, e il suo sguardo ma-
temo lo vegli dagli allettamenti della in-
ferma natura umana (v. 34-39). Cfir. Za«i-
Umi, VùTOM. di8.B.aUa F. M. Boi., 1886.
2. UMILE SD alta: ctt.Luco, 1, 48 e seg.
8. TEBMIMK: predestinata da Dio ab
etemo a madre del divin Redentore. Cfr.
Prov. VIII, 22 : « Dominus poeaedit me
in initio viarum snamm, antèqnam quid-
qnam faceret a principio», sentenza ap-
plicata dalla Chiesa alla Vergine Madre.
6. suo : dell'umana natura, il Fattore,
della quale è il divin Verbo aeoondo
Giov. I, 3. Ooìoit. I, 18. EbrH I, 2.
6. HOM DISDIONÒ : Al. NOH 81 SDIOKÒ. -
SUA : dell'umana natura ; figliuolo di don-
na; ott, Rom, I, 8.
7. l'amobk: vicendevole tra Dio e gli
nomini.
8. PEfi LO CUI : per il quale amore tante
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Cempibbo]
Pab. xxxm. 9-
[OBAZIONB] 1083
10
18
16
19
22
Cosi è germinato questo fiore.
Qui se' a noi meridiana face
Di cantate; e ginso, intra i mortali,
Se' di speranza fontana vivace.
Donna, se' tanto grande e tanto vali,
Che, qnal vuol grazia ed a te non ricorre,
Soa disianza vuol volar senz'ali.
La tua benignità non por soccorre
A chi domanda, ma molte fiate
Liberamente al domandar precorre.
In te misericordia, in te pietate.
Li te magnificenza, in te s' adana
Qaantanqae in creatura è di bontate I
Or questi, che dall' infima lacuna
Dell'universo infin qui ha vedute
anime sono Citte degne di essere nel Pa-
radiso e (brmarri la rosa celeste.
9 OBBMIirATO: piodottO. - FIOBS: la
eandida rosa.
10. FACI: f\aoco, o lame, cheaocende
la oarità. « E dice meridiana per ampli-
ficar più la cosa, con ciò sia ohe 11 mie
allora ptù scalda e ferve, ohe più lo veg-
giamo a messo giorno soìito •; Dan.
12. YITACB : fonte sempre viva, inesaa-
ribile, di speraosa.
14. QUAL: qaalanqne, chiunque.
15. DISIANZA : desiderio; come in Por.
XXII, 05; XXIU. 80. Il desiderio di
ohianque vuol grasia e non ricorre a te,
è Tane ed illusorio, come quello di chi,
non avendo ali, TOiesse volare ; vale a
dire : desidera 1* impossibile. Ogni grasia
vlen da Dio per l' intercessione di Maria.
18. UBSRAMKNTB : Spontaneamente,
senxa esseme pregata, prevenendo la
preghiera.
21. QUANTiniguB : tutto ciò ohe ; cfr.
Par. VIII, 103. « Quasi dlcat: qnod sin-
gnlss virtutes distri bntao indi veraiscrea-
toris hnmanis et angelicis, fkoientes illas
diversimode excellere, sunt aggregatfe
dignissime in ista ; ita quod casta virgl-
nitas qu» est in spiritibuslunaribus, pru-
densoperositas mercnrialium, benignitas
vel benigna caritas venereorum. darà sa-
pienza M>larium, andax fortitndo martia-
liom. inclita institia ioviaUum, solitaria
eontemplatio satumalium, omnes cumu-
latìm reperiantnr in ista domina perfeo-
tiaeima; ita arder seraphinomm, splen-
05.* — Dis. Oomm., 4» edU.
dor chembinomm. etc., ita amabilitas
Raohelis, sapientia Bebecc», fldelitas
Sar«, etc. Ergo bene ex his et aliis
mnltis licet concludere: tu potes, scis,
vis et debes esaudire humillimam snp-
plicationem petends; potes enlm, quia
es regina magnifloentissima; scis, quia
es sapientissima, quia inoreatam sapien-
tiam habnisti in te inclnsam ; vis, quia
es mater dementlssima et pUssìma; et
debes, quia nata de stirpe nobili David,
et nobilissimo principi sodata. • Benv.
22. LACUNA : dal più basso Inferno, dal
pnnto « Al qual si traggono d'ogni parte
i pesi » Jf%r. XXXIV, 111. - « Lacuna
per Bioettaoolo, o Scolatoio d'acque mor-
te, porse a Dante una bellissima imma-
gine deli' Inferno; ohe infstti quello è lo
scolatoio delle ribalderie, o fecce del mon*
do ; e però nel concetto riuscirebbe a vo-
ler dire Latrina. Ma intendendo cod,
questa lacuna verrà a significare tutto
il gran voto d* Inferno, ohe riceve a di-
verse altezse la scolatura di tutti i peo-
cati ; e ooìì'in/tma, ne nota il fondo. » Oet.
Omì in sostanza i più. Boneh.: « Ma vi è
un guaio ; che così si verrebbe quasi a
escludere dalle viU tpirituali da lui ve-
dute, tutto 11 resto, cioè la maggior parte
dell'Inferno. Kon sarebbe forse una pro-
posta dispresxabile, l' interpretare, in ge-
nerale, venendo dalla terra, la quale, se
al XXII, 161 potò esser chiamata oiuoto
in relazione al poco spazio abitato, ben
potrebbe chiamarsi lacuna in rapporto al
maggiore spazio occuMto dalle acque. » '
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1034 [IMPIRBO]
Par. xxxin. 24-40
[OBAZIOn]
25
31
84
87
40
Le vite spiritali ad una ad nna,
Supplica a te, per grasia, di virtate
Tanto, ohe possa con gli oochi levarsi
Più alto verso P Ultima Salate.
^d io, che mai per mio veder non arsi
Più chMo fo per lo sao, tatti i miei preghi
Ti porgo, e prego ohe non sieno scarsi,
* Perchè ta ogni nabe gli disleghi
Di saa mortalità coi preghi taci.
Si che il Sommo Piacer gli si dispieghi.
Ancor ti prego. Regina che paci
Ciò che ta vaoli, che conservi sani.
Dopo tanto veder, gli afiPetti saoi.
Vinca taa gaardia i movimenti umani I
Vedi Beatrice con quanti beati
Per li miei preghi ti chiudon le manil »
Gli occhi da Dio diletti e venerati.
24. LI ymi 1 tre ttott degli splritt:
dADoati. purganti, e betti. Cfr. Inf. 1,
112 e aeg.
25. A TI: efr. Par. XV, 85. - pkb
qbazia: a fine di ottenere per gnudn
tanto di Tirtù, ohe eoo. Cfr. Tkcm, Aq,,
Sum. theol, 1, 12, 6.
27. Ultima Saluti : Dio; ofr. Thom.
Aq., Bum. thsoL I, 1, 4; I, 12, 1, 8.
28. HOH ABBI: non deeiderat mai di
rodere io etoMO VUtUma SabUs più di
quanto desidero ohe la regga Ini. In
cielo li ooeerra perfèttamente il precetto
erangelioo di amare il prossimo oome sé
stesso.
80. 80AB8I: insufficienti; cfr It^.XXVl,
85 e seg. Par. VU, U8; XV, 78.
81. RUBI; ogni impedimento ohe, per
essere ancor mortale, non gli permette-
rebbe di rodere V Ultima Salute ; errerò,
« quella oscurità che dà il corpo all' ani-
ma • ; Lan. - DIBLBOHI : dissipi.
82. 001 FRBOHi: Intercedendo per lui
presso Dio.
88. PucKB: Dio. - DispnaHii mani-
festi ; cfr. Par. VII, 06.
85. ruoLi : mei ; forma dell' uso an-
tico ; ofr. IfafMiuc, Verbi, 759 e seg.
86. raoRB: dopo la risione delia Di-
ri nità, che assorbitce qualsiasi sltracon-
sidttrasiooe. Altri meo bene : Dopo tante
^HMe redote dorante 11 mistico suo riag-
^ per i tre regni dell'etemità.
87. I MoriMXirn: gli urti delle nmaae
passioni. « Tua custodia in tali apede
risibili ohe per lui saranno apprese, rin-
oa ogni alteraaioae umana, cioè eorpe-
rsa, ohe quelle potesse imbiigare iJ^n.,
An.Fior.
39. PEB LI Min : affinchè tu SMudisca le
mie preghiere tendono a te le loro mani
giunte. - « Olà Dante si Ib' dire pili rotte
da altri ch*egli era In grasia di Dio: ora
Ik che tanti beati preghino per la eoa
etema salute. Vuol dire ohe questa so-
pra ogni cosa gli stara a enore, poiché
non mette sulla lingua di Bernardo pie-
ghlera per le sue temporali neoesattào
per la sua gloria terrena »; Om-w.
V. 40-46. Jiaercsesione d< Mmrim,
Abbassati e fisi in San Bernardo^ ^
occhi di Maria dimostrano che la pre-
ghiera di lui è stata gradita ed accolta:
quindi si rirolgono a Dio, presso 11 quale
ICaria intercede ora per il Poeta. Volendo
ihrci omoscere l'efficacia della preghe-
rà, ed ispirarci la più dolce e figliale
flduda rerso la Vergine Madre, Il Poeta
ci ta rodere gli ocdii di Lei rirdtt be-
nigni ed amoreroU a oolnl ohe la inroca.
Molte rotte descrisse gli occhi di Beatri-
ce, chiamandoli e Iwùtnti^ e betti, e tnM-
raUti, e pUni difaviUe d'amof, e di i«-
Usia pieni. Ma gli occhi di Maria sono
da Dio dUetU • veméraU, doè diletti dal
Padre e renerati dal llglio ; e questi oe-
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[IMPIBEO]
Pàb. mni. 41-54 [sgvà&do a dio] 1085
43
48
49
S2
Fissi neir orator, ne dimostraro
Quanto i devoti preghi le son grati.
Indi all'Eterno Lume si drizzare,
Nel qaal non si de' creder che s' invii
Per creatura l'occhio tanto chiaro.
Ed io, ch'ai fine di tutti i disii
M'appropinquava, si com'io dovea,
L' arder del desiderio in me finii.
Bernardo m'accennava, e sorridea,
Perch'io guardassi suso; ma io era
Già per me stesso tal qual ei volea ;
Che la mia vista, venendo sincera,
E più e più entrava per lo raggio
Dell' alta Luce che da so ò vera.
ohi ti volgono oon materno affetto a ohi
la inToea, e sono sorgenti permuii di eter-
na beaediiione, mostrando a prova qoan*
to lesone grateledirotepreghiere; quindi
ritornano a rivolgersi all'Amor loro, per
porgere le preghiere a Dio. Cfr. Cfaprì,
L e.. 481.
41. nkll'obatob: Ai, man obatob;
l'oratore è nn solo, oioè San Bernardo;
e in lol sono JUti gli ocohi di Maria, la
quale non poteva flMarli oontemporanea-
mente in totti i heati oranti. - nb : d,
a San Bernardo ed a me; oppure ne
vale qui mi (del qual uso non manoano
esempi), ohe veramente a San Bernardo
non oooorreva ohe si dimostrasse i divoti
preghi essere grati alla Vergine Madre.
43. Lumb: Dio, ofìr. Pwrg. XIU, 88.
44. 8* DTvn : « penetret et intret in id »;
Bén9.CoA^nT^8errav.,Land.,Tal., VeU.,
Dan., Voi., TmA,, Lomb., e quasi tutti
i moderni. Gli antichi, Lan., OU., Oats,,
BuH, An. Fior,, eoo., lessero 8' nm, che
Lan., spiega: *inii si è verbo informativo
ed è tanto a dire oome diventare shnile
dJ quella oosa ohe è considerata. » B 11
BuU: « iniare, eUtè mettere dentro. » I
oodd. hanno in generale ntu o u»wu; è
diiSdle deddere se il primo sia da leg-
gere inH o ImM (— Invii), ed il secondo
innii o ìmuU, Senso: nessun occhio,
eioè nessun intelletto, penetra tanto ad-
dentro nella visione di Dio, come la Ver-
gine Madre.
V. 46-57. Sguardo a Dio, Avvicinan-
dosi a Dio, fine ultimo di totti i suoi de-
sideri. Dante sente spegnersi in sd l'ar-
dore del desiderio e cominciare la pece
ineflkbile del godimento. San Bernardo
gli accenna di levare gli occhi in alto al
sommo Lume, sorridendo per la gioia
dell' impetrata grazia ; ma già il Poeta è
per sé stesso inteso ad inoltrarsi collo
sguardo su per il raggio divino. Ciò che
egli vede, è sopra ogni concetto umano,
né si può adeguatamente esprimere con
umana fisvella. « Troppe volte parrà for^
se, e aragione, ch'e' si confessi impotente
ad eeprfanere si alti concetti ; ma e l'al-
tessa di quel ch'e'dice, e 1* altessa con
la quale e' significa la propria impotenr^i,
son cose sovrane ; nò mai più altamente
da umana poesia ta parlato di Dio»; Tom.
48. FIKR : Dio ; cfr. Thom. Aq., 8um. th,
I, 44, 4; II, U. 44, 1; 122, 2; 184. 1.
47. m'appropinquava: mi avvicinava.
- com' io dovba : come era naturale.
48. FIKU : cessò in me, fa sedo, essendo
certo di essere soddisfatto. Cosi qaasi
tutti. Invece if art., Todeteh., ecc.: com-
piei, » l'ardore del desiderio giunse in me
al massimo grado, a cui potesse arri-
vare (f).
60. BUBO: verso Dio.
61. PBB MB: sensa aspettare il suo cen-
no. - TAL : già erano gli occhi miei fissi
in Dio.
62. VBHBHDO: divenendo. - siircERA:
pura ; facendosi sempre più chiara.
63. E PIÙ : sempre più : « continoo ore-
soendo per gratiam infnsam »; Beno. -
BAOOIO: divino.
64. DA 8à : per sua essensa. La luce di*
vina ha sola la verità e lai^i^gÌpA44i (
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1036 [IMPIEBO]
Pas. xxxin. 55-66
[80CC0S80 Dirnro]
55
58
61
Da quinci innanri il mio veder fa maggio
Che il parlar nostrO| eh' a tal vista cedoi
E cede la memoria a tanto oltraggio.
Qoal è colai ohe somniando vede,
£ dopo il sogno la passione impressa
Rimane, e l'altro alla mente non riede ;
Cotal son io ; che qoasi tatta cessa
Mia visione, ed ancor mi distilla
Nel caor lo dolce che nacqae da (
Cosi la neve al sol si dissigilla;
Cosi al vento nelle foglie lievi
Si perdea la sentenza di Sibilla.
eslstenia in «è medMim» ; ogni •Itrs looe
non è oh« nn nggiodellA laoedivin*. Cfr.
Oio9, 1. 9. Tkom. Aq„ 8um. thsoL I« 16, 5.
66. MAOOio : mafi^giore ; efr. M^. VI, 48 ;
XXXI. 84. F«r.Vl. 120;X1V, 97;XXVI,
W;XXVIU. 77.
56. R08TBO t niDMIO. Al. MOSTRA ; UÀ
Dante non mol soltanto dire che vide più
ohe non dica, benel che vide più ohe non
si poeea esprimere eon Hngoagglo ama-
no, fbeee poro dal più sario, acato ed elo-
qaente maestro di lingua e di stile.
67. LA MEMORIA : Al. LA MATSR1A } Cfr.
Moore, Orit., 601. » oltraggio : eccesso,
qai in senso bnono. Dopo 11 Trecento
qaesta voce non si osò più se non con
signiacasione cattira. Cfr. Oono. Ili, 8:
« ....dico che poco ne dico per dne ra-
gioni. L'nna si è, che qaeste cose che
paiono nel soo aspetto toverchUno Vin-
UUetto nottro, V tdtrtk si è che fisamente
in esso guardare non si pad. perchè
qnlTi si inebria Tanima; sicché incon-
tanente, dopo di sgoardare, disvia in
ciascuna sua operasione. »
V. 58-76. IntuffMenma wmoiMi e
Boeeof§9 divino. La visione cessa, ma
Dante ancor ne sente la dolcexsa. Invoca
la Somma Luce, che gli conceda lagrasia
di dare una benché j^lida immagine di
lei, quale essa gli si mostrò ; che del suo
folgore vincente ogni immagine umana,
se esso tomi un poco alla memoria d^
Poeta e sia da lui descritto, si avrà
dalla gente più chiaro concetto.
68. BOMmIaHDO: Al. SOGNANDO; 80V-
niando. « Sai fine della visione beatìfica
et spenge nel Poeta la memoria delle ce-
lesti cose Tedote, ma gli resta in cuore
r impressione della dolcessa che gHeae
Tenne; come l'uomo che dsstatoal o— -
tinua a provare la passk>ne(sla d'aUnno
sia d'aUegreasa) cagioBata da un aogn^,
benché di questo più non si rleotdi »;
X. Vwnt., Bima., »6. Cfr. Dmn. U, 1.
60. LA rAflSiONB : il commovimeatodet-
l'animo; cfr. Purg. XXI, 106eaeg.; 0
tristo o lieto sentimento prodotto dal ao-
gno-.cfr. Par.XXIU, 48eseg.«Qniper
esemplo dice chetante gli è rimase di tì-
sione eoa. quanto rimane del sogno a colai
che si ricorda oh*d s' insognò, ma non sa
che »; XaA., An. Fior,
60. L* ALTRO: il liflumente del sogno,
le cose sognate.
6 1 . CRSBA : dalla memoria. MentreaeBa
mia mente é quasi tutta épenta la ricor-
dansa della beata visione, dura tuttavia
nel cuor mio la d<4oeesa provata In essa
visione.
63. DISTILLA : « rerbo eh' esprime la
gioia scendente nel cuore quasi a gocce
presioeisslme, perché mef^lo ne gnwtansii
la soavità, e tutto ne fosse inebriato »;
L.VmU,, l. 0.
64. 81 DiBSioiLLA: SÌ scio^ie e pMde,
disCscendo la sua forma. « Cotesta vi-
sione, presa nel suo oggetto, si dilegnò
dalla mia mente oon la preatessn oon la
quale si dilegua la neve al sole, e oosae
le foglie nelle quali vi erano scritte le
▼arie parti della sentensa della Sibilla.
Il vento celere dispergeva qua e là per
la grotta cotesto foglie. > Oàm,
06. LA 8ENTRNKA : gli oraooU della 8I>
bilia cumaoa scritti su foglie ohe 11 vento
dissipava all'aprire della cavemn; efr.
Yirg., Am. UI, Ul e seg.
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[BMPIBIO]
Pab. xzxin. 67-77 [soccobbo Dirnro] 1087
67
70
73
7«
0 Somma Lnce ohe tanto ti levi
Dai oonoetti mortali, alla mia mente
Sipresta un poco di quel che parevi,
£ fa' la lingua mia tanto possente,
Ch'una favilla sol della tua gloria
Possa lasciare alla fdtora gente;
Ohe, per tornare alquanto a mia memoria,
E per sonare un poco in questi versi,
Più si conceperà di tua vittoria.
Io credo, per l'acume ch'io soffersi
Del vivo raggio, ch'io sarei smarrito,
67. n LBYi: Mi tanto eleymta al diso-
pr» dei oonootto dei morteli.
60. UH POCO : no» tenne immegiiie ; ofr.
Twr, I, 22 e ee^. Coneedimi nne qualche
memoria di te. - pabivi: apparivi, mi
tf moatrarti.
72. LA8CIABI: deaoritta; non per am-
bizione di fiuna, li per l'altrui ealate,
oome pure per la gloria di Dio. « Propter
bonnm effBotnm aeqaotamm, ai boo albi
eoneedatnr, quia in landem Dei et ntili-
tatem mortallnm »; £«nv.
78. PIB TOBM ABS : ao toma un poco ali»
mia memoria, e soona nei miei yerai.
75. viTTOBiA : « del tao eommo valore
ed infinita eooellensa, oon la qoale e per
In qnale vind e soperi le ooae tatto »;
/>an. - «Della toa sabliaUtà per la qnale
Tind ogni intelletto»; Oom.
V. 76-108. Vition» déUa JHtdtUUL
Se, vinti dalla soverchia aontessa del
raggio divino, gli occhi miei si fossero ri-
Tolti ad altra parte, non avrei più potato
fissarli in esso. Bssendo dnnqne certo che,
staoeando gli occhi di là. mi sarei mnarri-
tOfOontinaai a gnardar nella divina luce,
tantoché io congiansi il mio sguardo con
la etossa essensadivina. Quanto grande è
la grasia, dalla quale a me venne l'ar^
dire di ficcar la mia vista per entro la
divina luce tant*oltre, che compii di
▼edere tutto ofò che di vedere mi era
possibile! Nel profondo dell'eterna luce
vidi che si racchiude, legato insieme con
ddee vincolo d'amore, come i quaderni
in un volume, tutto dò che per l'universo
trovasi sparso. Vidi la tottama e Vacci-
dtnU, e il modo con cui si collegano ed
(^»erano. Itasi insieme in guisa, che ciò
che io ne dico, è un sem^ce cenno, un
barlame appena del vero. B oredodi aver
por veduto la forma prima di queeto di-
vin vincolo di amore legante in uno tutti
^ enti, e lo credo perchè, narrando que-
ste cose, sento maùiore gioia. Un punto
solo di quella contemplaaione suscitò in
me una ammiraaione maggiore di quella
ohe in venticinque secoli gli uomini tribu-
tarono all' impresa di Oiasone.per laquale
ebbe a maravigliarsi Kettnno che vide,
cosa nuova, l'ombra gettata dalla nave
Argo sulla superficie del mare. Io ardeva
di mirar tuttavia nella luce divina, per-
che essa incatena al forte l'animo, ohe non
può staccarsi mai da lei, nella quale si ac-
coglie ogni bene (oh' è il proprio oggetto
dell'umana volontà), e ftior dellaqnale non
si possono vedere che imperfstte imma-
gini di qud beni, che solo in lei sono pei^
fatti. Ma rispetto al vero eh' io vidi, ed al
poco oh' io rammento, la mia (avella sarà
più insnfiidentedi quella d'un bambino. »
76. l'acumk: «la sottigliesaa et eccel-
lensiache usciva de la Divinità »; BvAi, -
BorPBiiei: seni' abbagliare.
77. 9MABRIT0 : abbagliato. B<mch.:* Ma
oome mai abbagliarsi, evitando la luce T »
Ci avevano già pensato gli antichi. Lan.»
OU., An. Fior.: « Dice che tanto era l'acu-
me del raggio della Divinità, cioè la eo-
cellenda ohe s'elli avesse torto il viso,
elli sarebbe smarrito. E nota qui lo di-
verso che è dalla visione del vedere qua
giù alla visione della divina boutade.
In queste eocellensie di qaaggiuso, co-
tanto quanto lo senso più vi si fioca,
cotanto fifto maggior male al senso, si
oome appare chi fisso guarda nel rag-
gio del sole e come appare nello aba-
cinare.... In quella celeste visione della
divina cMcniia è tutto lo contrario, che
cotanto quanto più vi si mira, tanto si
diventa più possente e rimnovesi da
ogni corrosione, ecc. » Cod pure Benv,,
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1088 [iMPOtio]
Pab. xxxm. 78-91
[Dirunrl]
Se gli oochi miei da lai fossero avòisL
70 £ mi ricorda ch'io fui più ardito
Per questo a sostener, tanto ch'io giunsi
L'aspetto mio col Valor infinito.
82 0 abbondante grazia, ond'io presunsi
Ficcar lo viso per la Luce etema,
Tanto che la veduta vi consunsi I
85 Nel suo profondo vidi che s'interna,
Legato con amore in un volume,
Ciò che per l'universo si squaderna;
88 Sostanzia ed accidente, e lor costume,
Quasi conflati insieme per tal modo,
Che ciò ch'io dico, è uo semplice lame.
•1 La forma universal di questo nodo
BmH, Land,, Yétt. e giù giù sinoal Oom.,
78. ATÈBSi: (partedp. del Terbo l*t.
avtrtere) distolti, rivolti mltrove. « Lo
contrario operm 1» laoedivinAaqadlo ohe
opera U laoe del mondo: la laoe del mon-
do quando aransa la potensia senaitiTa,
oorrompe lo aenao; ma la Inoe divina,
quanto più oreeee nell'ani ma nmana, tan-
to più oreeoe lo oognoadmento e k> di-
letto ; e diventa Tanima umana più àbUe
a contemplare Iddio, quanto più vi sta
e quanto più v*ente« »; BvU,
80. FiB QU18TO : perchè io sapera che
se gU oochi miei ai fossero rivolti altrove,
non avrei più potuto fissarli nel raggio
divino. - onnnit congiunsi la mia vista
oonressensadivina.* Ciascuna santa ani-
ma, ohe contempla Iddio, adlnnge a Dio,
secondo la sua fiieultà dd comprendere ;
imperò che ogni cosa che cognosce.cogno-
sce secondo Ut sua Cumltà, e non secondo
la fiuraltà de la cosa cogauscinta; e però
Iddio, secondo so, è incomprensibile; ma
ciascuna mente ne conosce tanto quanto
può, si ch'ella rinuu&e contenta»; Bufi.
82. GRAZIA : r ardire non si fondava
sulle proprie forse, ma sulla grazia di-
vina. - PBBBUHSi: presi ardire, osai; cor-
risponde al fui ardito (v. 79). Qui in
buon senso, secondo l'origine.
84. VKDUTA : la vista. - COIIBUHSI : con-
sumai : giunsi ad esaurire tatto ciò che
nella divina luce era di visibile; tanto
n'appresi, quanto era la focoltà della mia
vista. Così Bua, Tèa,, Dtm., ecc. Altri
erroneamente; stancai la vista iLand.,
Bimg,, Tom , Blmnc, eoe). OttiaMunenta
Oom.'. • vidi quanto era a me visiMle. »
85. suo: della luce etema. - 8' ihtkb-
HA: si trova raccolte, e entra Tubo ««1-
l'al^t» legato ed unito con i
quello che si manifesta e vede per I
verso mondo ; perchè essendo Iddio e
toro dtH tutto, tutte ie cose tornano a Ivi
come a suo principio, e cosi in lui tntte
si vedono»; VM,
87. 81 SQUADUor A t sl divide. € Trasia-
sione dai libri, che In uno o più voliusi
si legano. Adunque con amore e per
messo d'amore vide legato il Poeta «iè
che si ffiuidmia, per aver detto voluase,
ciò che si legge, manifesta e vede in tat-
to l'universo; peroioochè in Dio sono le
Idee, forme ed imrasgini di tutte le eoae
da lui create. » Dmn.
88. sUBTAHZiAt tutto olò die per aè
sussiste. « SubttanHm.^. signifleat ease»-
tiam, cui competit sic esse, id est, per ae
esse, quod tamen case non est ipsa eins
essentla »; Tkom. Aq., Ann. làJ, S, 5; cfr.
iMd. ni, 77, 1. -AOCiMum : U vario mo-
do di essere delle cose; ett. Tkom, Aq.,
Am». tik. I, n, 58, 2. - OO0TUMB : lelaBkme,
proprietà, modo di operare ; lat. hmbitm».
89. QUASI! Al. TUTU, tarti, eoe. Cfr.
ifoors. OrU., 602. - oohplati: uniti.
Kon è distinto In Dio scoidente dn so-
stansa, non essendovi in lui acddente;
cfr. 2%o«». Aq., Bum. thtol 1. 1, 6. - pkb
TAL MODO: cof^/tofi, uniti poT oosl stnpett-
do ed ineflhbile modo, che dò eh* lo dico,
non è di esso più che un sempDioe barlmne.
91. MODO : la de>lp nnioim di i
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[mpmio]
Pà&. xxxni. 92-105
[DIVIHITl] 1089
97
100
108
Credo ch'io vidi, perchè più di largo,
Dicendo questo, mi sento ch'io godo.
Un punto solo m'ò maggior letargo
Che venticinque secoli all'impresa
Che fé' Nettuno ammirar l'ombra d'Argo.
Cosi la mente mia, tutta sospesa,
Mirava fissa, immobile ed attenta,
£ sempre di mirar faceasi accesa.
A quella Luce cotal si diventa.
Che volgersi da lei per altro aspetto
È impossi bii che mai si consenta;
Però che il ben, eh' è del volere obbietto,
Tutto s' accoglie in lei, e fuor di quella
È difettivo ciò che 11 è perfetto.
ed aeoideote ; ofr. Thom, Aq., 8um, théd,
I, 4. 3. « Credo eh« io vedessi io eeem-
pUre la forma che lega neil* unità del-
l'ordine tatto il creato, perchè, dicendo
dò, mi sento allargare il gaudio •; Oom,
M. PUNTO : di tempo. - LETARGO : sfa-
samento conoentrsto e profondo di ma-
ravifflia ohe fa dimeotioare ogni altra
ooea. Senso : Tattaqoanta l'ammirssione
ohe in Tentici nqae seooli gli nomini tri-
bntarono all'impresa degli Argonauti
raocolta insieme, ò minore di quella ohe
io provara nel momento in coi tenevo
fiso lo sguardo nella Divinità. Sopra le
altre interpretasioni della oscura e diflS-
die terzina cfr. Oom, Lipt. Ili, 873-875.
▲irobiesisne del Boneh, aveva risposto
antidpatamente assai bene il Poi.: « Spie-
gare, oomenuino i più. letargo per oblivio-
ne, dimenticanBa. è quanto trar fuori di
strada il lettore, perchè un manifesto con-
traddire a Dante, ohe nella terdnasosse-
gnente afferma chiaro trattarti ansi qni di
nn' att«nsione profonda, d'una spede di
assorbimento della niente in Dio; come
può propugnarsi infotti il concetto di di-
mentieansa, se l'Autore, certo non sensa
moUTO, si feoesoUedto di ben calcare nel
lettore l'idea, che la sua mente era vi-
vamente raoodta, profondamente atten-
ta, ardentemente fissa in quella contem-
plaaionef Edè perdo ohe non abbondansa
qnaal insolita, a dire la stessa idea, ab-
biamo qni a mente ben quattro aggiunti,
BOtpeta.JUea, immobiU,aUefUa, col verso
•egnento che tutti li rlassomee quasi, per
dir ood, li condensa. »
05. YBMTicnrguB: r impresa degli Ar^
gonanti fu, come si calcolò, 1328 anni
prima dell'era volgare.
96. NiTTU!! o : Dio del mare. La nave
Argo, essendo la prima a for ombra sulla
superficie del mare, fo cagione di mara-
viglia allo stesso Nettuno. Gfir. OalvUo,
BpUh. Pel., 14. Par. II. 16 e seg.
07. sospesa: preoccupata, piena di ma-
' ra viglia. Spiegai! senso dd letargo, v. 04.
09. DI M1BAB: Al. DBL MIBAR; DE RI-
MIBABt HBL MIRAB; DI OUABDAB. - FA-
CEASI : cresceva in lei l'ardore, l'inten-
dtà della contempladone. « Augent spi-
ritales delitife desiderium in mente dum
satiant »; Oreg. Magn., Hom, in Bvang,
26. Cfr. Purg. XXXI. 120.
100. Luce: divina. « Quanto il bene
eh' è oggetto della volontà è maggiore,
tanto pib questa è da lui tirata ; lo d
prova nel fatto. Dunque il bene infinito
l'attrae totalmente e cessa la libertà di
distaccarsi da lui. > Oom.
101. PER altro : per mirare altro ob-
bietto; cfr. Thom, Aq., 8um, th, I, n,5, 4.
102. sioombrhta: né dall'umana vo-
lontà, né dal divin vdere.
103. PEBÒ CHE : < e dò avviene perchè
il bene ohe è obbietto ddla volontà, come
dell' intelletto il vero, tutto d aduna e
raccoglie in essa luce, essendo Dio viva
fontana d'infinito bene, dal quale ogni
bene e felicità deriva; e tutto quello di
bene eh' è in essa luce, è vero e per-
notto bene ; là ove all' incontro quello
di' è fuori di Id è fslso e manchevole »j
Dan. Cfr. Par. V, 4-12.
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1040 [BVPIBIO]
Pab. xxxin. 106-120
[BS.TBIVITi]
lOS
109
U2
115
118
Ornai sarà pia corta mia favella,
Pure a qael ch'io ricordo, che di un fante
Che bagni ancor la lingua alla mammella.
Non perchè più d'nn semplice sembiante
Fosse nel vivo Lume ch'io mirava;
Che tal è sempre qaal era davante ;
Ma per la vista che s'avvalorava
In me guardando, una sola parvenza,
Mutandom'io, a me si travagliava.
Nella profonda e chiara sussistenza
Dell' alto Lume parvenu tre giri
Di tre colori e d'una continenza ;
£ l' un dall' altro, come Iri da Iri,
Parca riflesso, e il terzo parca foco
Che quinci e quindi egualmente si spiri.
IM. oobta: imperfetto; ofr. Por JLI,63.
107. PUBI : soltoiito. SI TiooTdft di pooo.
ed Miohe quel pooo si oonfetM incapace
di eeprimerio. - chi di uh farti: Al. chk
D'urFAKTE; cfr. Pwrg. XI, M; XXV. 61.
108. CHS BACHI : ancora laUanto, ohe
appena balbetti j ofk>. StaJt., Theb. IV, 700.
V. 100-126. li mistero della 88, Tri-'
nitA. Accingendoci a toccare della SS.
Trinità, il Poeto previene l'obbiesione
<^e gli si potrebbe fare circa la yarieto
delle immagini, sotto le qnali egli si sfor-
sa di ritrarre TinelEàbile natura divina,
dicendo ohe yariava la sna yista, n<«
l' oggetto. Non perchè in Dio fosse va-
rieto di aspetti, essendo egli essenxial-
mente semplice ed immatabile; ma per-
chè la soa visto nell'atto stesso di gnar^
dare Iddio attingeva novello valore,
r onioo ed immutabile sembiante divino
trasmntovasi relativamento a lai, se-
condo che egli con mntoto visto U goar^
dava. Egli vede dunque nell'essenza di-
vina tre persone distinte, ma ugnali ; tre
giri di egual misura, ma di diversi colori,
dei quidi due sembrano l'uno riflesso
dall'altro, a mo' di due arcobaleni e il
torso par ftiooo che esca da qne' due.
B qui ripeto, che né la lingua ò suflB-
ciente ad esprimere il concetto, né il oon-
oetto sa elevarsi all' altexsa della visio-
ne. Assorbito dalla troppa luce, la mento
del Poeto si aluto con ammirare e rlco-
noeoer IneifiibUe l'infinito grandeaia del-
l'oggetto ohe vede.
100. HOR PXBcaà : « non vedevo ohe un
punto ; ma la mia visto rinfonato vedeva
in quell'uno inenarrabili cose»; Tmm.
111. QUAL SSA: immutabile; oAr. Piar.
XXIX, 146.
118. PABVHKZA: apparensa; olir. Por.
XXVIII, 74; XXX, 106.
114. 81 TRAVAGLIAVA: « 8Ì mutovA,
quanto al cospetto mio; ma non quanto
a l'essere suo, che è sempre immutabi-
le »; Bmti, Cfr. Purg, XXXI. 125 e seg.
< Travagliateri chlamavansl 1 prestigia-
tori. Ogni mutaaione è un lavoro, e to-
bor vale e lavoro e trmvagìio. » Tom.
115. PBOFOHDA : chiama la «ustùtonea
dèU'aUo Lume, cioè la divina Esaenxa,
profonda e chiara : profonda, ptrdiè Tin-
tolletto umano non può penetrarvi ; dUa-
ra, perchè la fede ce ne rassicura. «Prs-
/oiìdo e chiaro, le due qualito d* ogni
cosa grande, e più cospicue in quelle che
più somigiiaao a Dio »; jJVm.
116 PABVHMi : mi apparve. Usa 11 sing.
per il plur. forse per adombrare TunltÀ
dell' Sssensa nelle tre Persone. I Irs giri
figurano le tre Persone della SS. Trinità.
117. OOHTIHHRZA: cosìi i^ù (S.Or.,Berì.,
Vai., Ckut., Ckue., ecc.); Al. oortsrkh-
ZA ; capacità, dimensione. La eontinenza
rappresenta la parito, l' identito della so-
sUmsa; i colori figurano i vari attributi.
118. Imi: Iride, l'arcobaleno. Il riflètè
Unte è il Padre, il r^fleno il Figlio, a
fuoco lo Spirito Santo; ofr. Par, X. 1 e
seg.i Xm, 56 e seg. Bammento il 90»^
ex .^cnròq del simbolo niceno.
120. QUiHCi B QUUTDi : Spirato, o prooe-
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[SMPIBBO]
PàB. XXXIII. 121-182 [DUE HATUBE] 1041
m
124
127
130
Oh, quanto è corto il dire e come fioco
Al mio concetto I E questo, a quel eh' io vidi,
È tanto, che non basta a dicer '* poco „ .
0 Luce Etema, che sola in te sidi.
Sola t'intendi, e, da te intelletta
Ed intendente te, ami ed arridi !
Quella circulazion che si concetta
Pareva in te come lume riflesso.
Dagli occhi miei alquanto circonspetta,
Dentro da sé del suo colore stesso
Mi parve pinta della nostra effige ;
Per che il mio viso in lei tutto era messo.
dento egoAlmente dall' ima • dall' altra
Penonat egnalmeato dal Padre e dal
Fi^. Cfr. JBpiphan, Aneor. § 8. Thom.
A^.. Ann. <A«oI. 1,88.4.
121. OOBTO : « insnflSoiente, quanto alla
soetoDsa delle eoee, e/toea, debole, qoanto
alla form» del dire » ; Tom.
132. 1 QUB8T0: e il ooDoetto allavisione
è« men ohe pooe »; 2Vm.- i{ofM^: « U con-
cetto rispetto alla Tisione non basterebbe
a dir poco ; la parola rispetto al concetto
resta addietro anche lei ; onde on doppio
motiTo d* insaffidenaa a dare ai lettori
idea adeguato di quanto allora egli vide.»
123. TARTO : 00^ piccola parto, ohe non
basto dir jM>eo, dovendosi in vece dir tmUa.
124. stDi t riposi, stai ; dal lat. tidere,
126. T* nrrarDi: perfettamento. La luce
che «ola ^imUndé, è il Padre; U lace dalla
solaintendento inUOeOa, doè intesa, è il
Figlio; 1* Inoe amante ed arrid^nU è lo
Spirito Santo. Non sono tre loci, è ana
sola etoma loee. Le sostanse creato, ben-
ché siano assistito da lame di gloria, non
possono comprendere la luce Infinito che
a misar» della finito loro capacità; cfr.
MaU. XI, 27.
128. Aia SD ABSIDI: Al. A MB ABSIDI.
Cfr. Moore, Orit., 602 e seg. - Senso : ami
e sorridi alla luce inUndénis ed intelUita,
doòal Padre ed al Piglio, procedendo lo
Spirito Santo da ambedue; ote.Riekar. a
S.Via„DéTrin.JlhZ.
y . 127-189. 21 «Miitoro deUe due na^
Iure ìm CriMo, JX secondo dei tre giri
anaidetti, quello che mi parerà ibrmato
come hioe riflessa, mi sembrò, poiché
gli occhi miei lo ebbero alquanto girato,
dentro sé stesso dipinto della effige uma-
na. X Tolendo comprendere come al Ver-
bo divino si conTenne l'i
io era simile al geometra che sto fitto con
la mento e cogli occhi nell'arduo proble-
ma della quadratura del droolo, per tro-
vare quel dato certo ohe gli abbisogna,
doé l'esatto rapporto te« il diametro
e la ciroonferensa. Io roleva compren-
dere dò che non é dato a mento umana
di comprendere. Cfr. Purg. XXXI, 121
e seg. Por. II. 40 e seg.; XIII, 26 e seg.
127. ascuLASiOH: quel secondo cer-
chio, o giro (del Figlio), che parevm ri-
JléMto eonu Iri da Iri; cfr.v. 118 e seg. -
« Nella circolasione della luce più giran-
do il mio guardo, parevami die quello
che mi sembrava lume riflesso {il Verbo
divino) oontonesse come dipinto la nostra
umana natura. Cioè, qui Danto aflbrma
di aver veduto il Verbo congiunto al-
l'umana natura. > Oom. - con cbtta : do-
termina la generasione etoma dal Padre.
128. IN TB: Al. UT TBB. Cfr. Moore,
Orit., 603 e seg. Continua l'apostrolb alla
SS.Trinità, dunque n TB. Senso: il se-
condo dei tuoi tre giri, o Luce Btoma,
che pareva procedere da to come il rag-
gio riflesso procede dal diretto, mi parve
aver in sé stesso dipinto l'effige umana.
120. CIB00H8PBTTA : Contemplato in-
tomo intomo. Trattandosi di giri, la
veduto era circolare.
180. suo : dello stesso colore della dr-
coladone. « La fbrma umana era ndla
medesima persona divina ; doé la stessa
persona dd Verbo sussistova nelle due
sue proprie nature, divina ed umana >;
L.Yent.,Sima.,lU,
131. NOSTBA: umana. - BmoB : imma-
gine; cfr. FUipp, n, 7.
182. FBB CHB: onde la mia visto erain-
litized byXjOOgle
1042 [BMPIBBO]
Pab. zxxm. 138-U5
[FIHB]
188
136
130
143
145
Qoal è '1 geometra che tutto s' affige
Per misarar lo cerchio, e non ritrova,
Pensandoi quel principio ond' egli indige ;
Tale era io a quella vista nuova:
Veder voleva come si convenne
L'imago al cerchio, e come vi s' indova;
Ma non eran da ciò le proprie penne;
Se non che la mia mente fu percossa
Da un fulgore, in che sua voglia venne.
All'alta fantasia qui mancò possa;
Ma già volgeva il mio disiro e il velie,
Si come ruota oh'igaalmente è mossa,
L' Amor che muove il sole e l' altre stelle.
tenunente oooapftta » oontempUureil pro-
fondo mistero.
188. B'AFFloi: «'«ppUo» oon tuUe le
forse della sua mente; ofr. Oonv, II, 14.
De Mon. Ili, 8.
185. PRINCIPIO: 11 termine medio, osaU
il rapporto del diametro alla droonfo-
rensa. - didioe: lat. indiget, abbisogna.
180. VISTA: vedata, visione, -nuova:
maraviglloea, straordinaria.
187. CONVENNS: per qnal modo l'effi-
gie amana si nnl al divin cerohio, l'ama-
na natura alla divina.
188. B'iNDOVA: vi trova il sno dove,
vi si alloga; oioò come avesse Inogo
l'amanita neUa divinità.
189. DA CIÒ : ma le mie forse intellet-
tnali non bastavano a comprendere tale
mistero.
V. 140-145. I/uUitmt iOuminamiO'
ne 6 PulUma beoHtudine, Indarno il
Poeta s'ingegna di comprendere 11 mi-
stero dell'anione delle due natore in
Cristo. Ma mentre egli si sforsa di com-
prenderlo, nn folgore di luce divino gli
penetra negli occhi e gli rivela il vero.
E qai la mente saa, per quanto subli-
mata, non può vedere oltre. La visione
cessa. ICa di tale oessaaione, perchè vo-
luto da Dio, il Poeta è contento, il suo
volere e desiderare essendo ormai pie-
namente conformi al volere di Dio. Tale
uniformità « formale ad osto beato stss»
(Par, III, 70), mostem che egli ha oramai
conseguito i' ultima perfodone e l'ultima
beatitudine.
141. FULOORB : da un lampo della gra-
da divina, in cui venne ìa vof/Um deOs
mia mente, doè, m'apparve qud ohs Is
mia mente bramava eonosoere, vale i
a dire ebbi la spiegadone del mlsttce
dell'unione delle due nature, divina ed
umana, in Cristo.
148. KANCÒ : la mia sublime vialoDe
oeesòt mi mancò la virtti di piti veden
la Divinità.
148. IL VBLLB: 11 volere, la volooU;
cfr. Par, IV, 25.
144. COMS BUOTA : oou quella udt>r
mità di moto, onde ndle varie sue psrti
d muove una ruota, ubbidiente d rice-
vuto impulso.
145. L' Amob : Dio. Incominciò il ?•-
radiso colla « gloria di Colui ohe tatto
muove »; lo fluisce ooir« Amor die mbo-
ve il sde e l'dtre stelle. » TermlDsnéo
tutt'e tre le cantiche colla pardaiCe8f
vuol ford intendere, che line nltteodal
suo poema è di elevare le menti d delo.
Chi ha condderata la miseria dd peocato
e deddera di liberarsene, eses a rimitr
le tUUei ohi d è purificato dd peoesto.
d sente jmro e ditpotto a $aUr§ atU itdk;
ohi ha conseguito la rioondliadone oee
Dio, la comunione intima oon Lui, è vdtto
oon moto libero, equabilee tranquiUedal-
r Amor eh» muove U toU e VaUrv deSf.
«Et quia, invento Prindpio seu Primo,
videlioet Deo, nlhil est quod ulterins qa»*
ratur, qnnm dt Alpha et Omega» idsit
prindpium et finis, ut Visio Id>annis de*
slgnat. in Ipso Deo terminater traotatat,
qui estbenediotus In saocula seouloram.»
Bp. Kafd, 88.
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RIMARIO PERFEZION
DBIXA
DIVINA COMMEDIA
DSL DOTTOB
LUIGI POLACCO
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pbopbibtI lbttebabia
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RIMABIO PERFEZIONATO ^>
DBLLA
DIVINA COMMEDIA
COMPILATO
Prof. Dr. LUIGI POLACCO
AVVERTENZE
n primo numero indica ì% cantica, il secondo il canto, 11 terzo il veno.
Neil' ordinare alfabeticamente i Tersi, le parole apostrofate furono, di regola, riguardate come
9 dalla lettera mancante ; e qoindl p. ee. i due versi
< L* ana appresso dell' altra infln che *1 ramo >
< E quel baron, che i\ di ramo in ramo >
nono nell'ordine In cui sono qui scritti, perchò il primo termina con «Il ramo» ed il se-
con «tn ramo». Se non si snppoDora la 1 in luogo dell'apostrofo (e sarebbe stata cattiva
il non supporla), i versi si sarebbero segniti in ordine inverso.
la
accia
abbia
Miter Tebe; ed ebbe, e par ch'egli abbia 1 14 60
aa paura; che. poder ch'egli abbia, 17 8
altro pes<>«, che più larghe l'abbia. 1 98 84
i difetio di carne, ch'io m'abbia; 9 38 61
»mma non cred' io, che tante n' abbia, 1 96 19
conoscenza alla cambiata labbia, 9 98 47
li rivolse a queU* enfiata labbia. 17 7
si rivolse a me con miglior labbia,' 1 14 67
dove comincia nostra làbbia. 1 96 91
0 vidi on Centauro pien di rabbia 1 96 17
unghie sovra sé, per la greoi rabbia 1 98 80
0 martirio, fuor che la tua rabbia, 1 14 66
orna dentro te con la tua rabbia. 17 0
non intendere all'asciutta scabbia, 9 98 49
traevan giù l'unghie la scabbia, 1 98 89
pienamente ; ma perch' io non 1* abbo, 1 89 6
a ling^tia che chiami mamma e babbo. 1 89 0
lon è Impresa da pigliare a ffabbo, 1 89 7
abl
atterrò r orgoglio degU Arabi, 8 6 49
sito fu nomato, e Deci e Fabl 8 0 47
>ettre rocce, Po, di che tu labi. 8 0 01
Abile
•odo *1 cielo, sempre fu durabile. 8 90 190
ìzl che all'ovra inoonanmablle 8 90 190
lollo effetto mal raalonabUe, 8 96 197
aea
0 Fatto ha del cimitero mio cloaca
1 L' oltracotata schiatta, che s'indraoa
p Ovver la borsa, com'asjopl si placa.
Che cadde di quassù. la$rgiù si placa
▼ 11 luogo mio, li luogo mìo cho vaca.
Che, sempre che la vostra chiesa vaca,
arra
b Oro ed argento fino o cocco e biacca,
t Cagglono avvolte, poiché l'alber fiacca;
Sì come quei, cui l' ira dentro fiacca,
Fresco smeraldo allorachè si fiacca,
1 Che '1 mal dell'universo tutto Insacca.
1 Che ne condusse in fianco della lacca.
Cosi scendemmo nella quarta lacca,
E in su la punta della rotta lacca
▼ Che Al concetta nella fiaba vacca :
aece
a Com' io credetti : Fa' che tu m* abbracoe.
mMa ver?<)?na mi fér lo »ue minacce,
s r m'asbcitai in su quelle spallacoe:
aeei
e Nel porta un carro prima ch'altri '1 cacci.
mO Roboam. già non par che minaed
a Già mezza aragua, trista in su gli stracci
arda
a Come quella che tutto '1 plano abbraccia.
Come fa Tuom che spaventato, affffhlacola.
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49
Vedasi la nota in fine (pag. 97).
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accia
— 2 —
b Come (k 11 merio per poca boaaool».
QoItI era rAretln, ohe dalle br»ooia
Ma la bontà Infinita ha t\ gran braccia,
E per le cotte giò ambo le braccia.
Ma Barbaricoia il chiuse con le braccia.
Che i giganti non (kn con le tue braccia
Ebbe U Santa Chleta in le eoe braccia :
Trafugò lui dormendo in le eoe braccia,
e Come wlean nel numdo andare a oaooia.
om m -..f/v. Al r^^mm^w^mm. eh' alU cacda
nata caccia,
trrendo in caccia,
iw innanzi caccia,
tdo la caccia,
«oer caccia:
da
oonfacola.
altri *1 dlalaoola.
non ti dlspiaocia,
Bo alla faoola,
l'ardiU flMcla.
cangiata Otccla
» dalla fkcda
con la (kccia,
i la (kccU;
à la (kocia.
■U la (kccia.
> la (kccia:
Ita la (kcda:
B quella (kccia
questa (kccia,
a che ti (kccia;
, Jiile (kcda,
E chinando la mia a la tua (kccia.
Però ricominciò: Se Tuom ti (kccia
ir Da mezxo il petto usda fuor della vhlaoola ;
Eran l'ombre dolenti nella ghiaccia.
S'egli è che si la destra costa g-iaoola,
1 Si torse sotto *1 peso che lo iospaooia i
1 Come (koe le coma la lua»aooia:
nOli orribili giganti cui minaoola
p Spirito incarcerato, ancor ti piaccia
Tra lor testimonianza si prò oaooia.
m Per lei, tanto oh' a Dio si ■atistaooia,
E che la (terza similmente aoacoia
Di quel che credi che a me aoddl sfaccia ;
t E tra '1 pie della ripa ed essa, in traoda
Kitoma indietro, e lascia andar la traccia
Dal Tecchio ponte guardaram la traccia,
T L'anguille di Boliena e la ▼•maooia.
a Perch* lo pregai lo spirito più avaoolo.
fDisaemi : Qui con più di mille riaoolo :
E '1 Cardinale, e degli altri mi taccio.
a Mentre che tutto in lui veder m* attacco,
e Voi. cittadini, mi chiamaste Ciacco :
d Dicendo: Or vedi, come io mi dilacco ;
f Come tu vedi, alla pioggia mi fiacco ;
• D' invidia s\, che già trabocca il sacco.
La corata pareva, e '1 tristo sacco*
aee
o Rendè lui '1 cenno, eh' a ciò si oonf aca
t Di suo dover, come il più basso tace
Non dimandai: Che hall per quel che (kce
Per apparer ciascun s' ingegna e (kce
Tutti i coperchi ; e nessun guardia (kce.
E giunge u tempo che perder lo (kce
Qui se' a noi meridiana (kce
Ma ciò, che il segno, che parlar mi (kce.
Ciò ch'ella cria, o che natura (kce.
Dinanzi agli occhi miei le quattro (kce
Di mondo in mondo cercar mi si face.
Che di giusto voler lo suo si (kce.
Per sua cagion ciò ch'ammirar U (kce;
Presso è uii altro Bcoglio che via (koe.
Lume è la8»uso, che visibil (kce
Disvi uppato dal mondo f,*Uaco.
1* anima, santa, che '1 oaondo IkUace
'noe 3 11 8J) ferace
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^ primo, e dietro a tanta pace
ul pose *1 mondo in tanta pace.
E giammai non si videro in tonaca
ir Lo corpo, end* ella ta cacciata riaoa
Conforti la memoria mia, che giace
Dappiè guardando la turba che giace:
L'esser di tutto suo contento giace.
E '1 Carro tutto sovra '1 Coro giace.
Quando disanimato il corpo giace;
Ditene dove la montagna giace.
Bcoglio non si potrà, perocché giace
La(^ù per «piella ripa, che più giace.
La gente, che per li sepolcri giace.
p Dicendo : Frati miei. Dio vi disa paca.
D'aprir lo cuore all'acque della pace,
O vita intera d' amore e di pace i
Dentro dal del della divina {«ce
Diede per arra a lui d'eterna pace.
Per lo cui caldo nell'eterna pace.
Della molt'anni lagrimata pace,
In la sua volontade è nostra pace:
Quind si va chi vuole andar per pace.
Contemplando gustò di quella pace.
Voi dite, ed io '1 fkrò per quella pace,
Virgilio incominciò, per quella pace
E venni dal martirio a questa pace.
E da eslglio venne a questa pace.
Tal mi (kce la bestia senza pace.
Al carro volse sé come a sua pace.
Che solo in lui vedere ha *
Siscalzò
Con costui pose ,
Noi pregheremmo lui per la tua pace.
Chi ha voluto entrar con tutta pace.
Ad ogni cosa è mobile che place.
Se quei, che leva e quando e eoi gli piace.
Come il signor, ch'ascolta ouel che 1 piace.
Più r è conforme, e però più le piace ;
Ma seguimi oramai, che *1 gir nù piace :
Seminarla nel mondo, e quanto piace
Per questo regno, a tutto il regno pLaoe,
Lo sommo bene, che solo a sA piace.
Dietro allo sposo: si la sposa juace
Mi volvi, cominciai, oom^a te place.
Ed io : Tanto m' è bel. quanto a te piace :
Di quel eh' udire e che psLrlar ti piace.
Ma parla, e chiedi a luC ee fdù U piace.
E se l'andare avanti pur vi piace.
Com'io vidi un. che dlcea: Sa voi piace
Non rioonosco alcun; ma s' a voi piace
■ Per sé natura, e per la sua se«nace.
Per lo regno mortai, eh' a lui sog'giace
Libero è tutto, perchè non soggiace
Che '1 perder tempo a chi più sa più apiaoe.
t Che non sembiava imagine che tace.
Dal tuo volere ; e sai quel che si tace.
Un poco attese ; e poi : Da eh' ei ai tace.
Per la novella, tosto ch'ei si tace;
Mentre che '1 vento, come (k, si tace.
Da' predicanti, e '1 Yangelio si tace.
Mi rtpingeva là dove '1 Sol tace.
▼ Oh ignota ricchezza, oh ben verace I
Vostra aM>rensiva da esser verace
Fermo si affisse ; la gente verace
Signor mio Gesù Cristo. Iddio v
L'alto trionfo del regno verace.
Dinanzi a noi pareva si verace.
Se' di speranza fontana vivace.
Tale era lo mirando la vivace
Nella più somigliante è più vivace.
Incominciò a fkrsi più vivace :
Che si dilata in fiamma poi vivace.
Voglio informar di luce si vivace.
t Però alla dimanda, che mi ffaoi
Dovea ben solver l'una che tu faci.
g O difloea di Dio. perchè por ffiaoi 1
1 Per esser pur allora volto in laoi.
mA privilegi venduti e m«*ndaci ;
p In tutte tue question certo mi piaci,
r In veste di pastor lupi rapaci
Debbono essere spose, e voi ruiaci
m Che gli occhi miei si (kro a lui aertzaci,
O Simon mago, o miseri seguaci.
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8 97!
1 14.
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119J
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119
— 8
adi
1 Eplcoro tatti i ino! segnaci,
t riso e pianto son tanto seguaci
I riso, cKe tacendo dloea : Taci :
al disio ancor, che tu mi tad.
petente e LetA ohe dell' on taci,
men segnon voler ne* id& veraol.
"veml i rami gravidi e vivaci
enne serra la città di Baco»
ra Tlralli, ed ha nome Benaoo.
li al palude ; e le cannucce e il braoo
mio Maestro disse : Quegli è Oaoo,
Tale aperte gli giaceva un draoo,
le mie vene (krsi in terra laeo.
0 in Italia bella giace un laco
•angue fece spesse volte laco.
ad' io ftai sovraggiunto ad Orl&oo
»«qae
ndo colei, che siede sovra r acque,
volte il fé' girar con tutte r acque,
io del monte per le lontan' acque 1
i m'apparve un'altra con quell'acque
discorrer di Dio sovra quest'acque,
mai non vide navicar sue acque
le l'umana specie inferma s'iacqne
prima,' quasi torpente, si giacque;
ndo per gran dispetto in altrui nacque;
la sifflilltudiiie, che nacque
alla mente P^glo, e che mal nacque,
K) a suo proae, qnell'uom che non nacque,
Us che con le sette teste nacque,
dalla nuova terra un turbo nacque
rora ire in giù, com* altrui piaoque,
mi cinse, si come altrui piacque.
.pron
rimi . . .
r d'ogni altro comprender, come i piacque,
ai si cominciar, dopo lui piacque :
che virtude al suo marito piacque.
Uce Nin gentil quanto mi piacque,
questo intesi e ritener mi piacque,
eh* al Verbo di Dio di scender piacque
mile pianta, cotal si rinacque
Ito ch'io dico, sì come si tacque
on so s' ei piò disse, o s' el si tacque ;
lo bel salutar tra noi si tacque :
iercavamo. E come qui si tacque,
acqui
vea detto ; s\ nel dir gli piacqui.
volte cinse me, si com' io tacqui
raggio sì, uè si mostrò s\ aor«
Ilio, per che poi rimase inaerà,
spigoli di quella regge sacra.
essun era stato a vincer Acri,
solca far 11 suoi cinti piò macri.
lommo ufficio, né ordini «acri
rr per taglio m'era parut acro, 9 81 8
m^ha fotte per moli' anni macro, 8 85 8
i, che se' di ih dal fiume sacro, 9 81 1
sai continga che '1 poema sacro, 8 95 2
Ada
parve Anteo a me. che stava a bada 1 81 188
'intelletto tuo ben chiaro bada 9 4 70
od' io sentl\ come cosa che cada, 9 90 197
scorto r hai per s\ buia contrada. 1 8 88
ia i signori e grida la contrada, 9 8 198
mie abete in alto si diirrada 9 99 188
immo al punto dove si digrada: 1 8 Ili
adorezsa, poco si diraaa : 9 2 198
e tenne Lorenxo in su la irrada, 8 4 88
ne dlnoottrl là, dove si guada, 2 19 84
ote ta della buona Onaldrada: 1 18 87
Uà natora sì oltre s' inrrada 8 99 180
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197
ai
mE poi rlglunger6 la mia masnada,
r àia così salda voglia ò troppo rada.
Prima ch'altri dinanii gli rivada.
Valse alle guance nette di rugiada.
Quando noi ftimmo dove la rugiada
Che poi non sentì pioggia ne rugiada t
s Chò pianger ti convien per altra spada.
Del pregio della borsa e della spada
Sì crudelmente, al taglio delln spada
Tal che ta nato a cingersi la spada.
Pece col senno assai e con la spada.
Lt' un l'altro ha spento, ed è giunta la spada
O Saul, come in su la propria spada
Duo Soli aver, che l'una e l'altra strada
Chi* avrei volato gir per altra strada,
Io non osava scender della strada.
Onde la traccia vostra ò fìior di strada.
Quando avem volta ia dolente strada:
Gli occhi oramai verso la dritta strada.
Sol si ritomi per la folle strada :
E diversi emisperi ; onde la strada.
Così l'avria ripinte per la strada
E brìgavam di soverchiar la strada
VedeV io te, segnata in su la strada
Un alber che trovammo in mezza strada.
Noi aggirammo a tondo quella strada
Li paaM miei per sì selvaggia strada,
Com' uom che torna alla smarrita strada,
V Che non è spirto che per l' aer vada
Vedrai com'a costui convien che vada
Per viva forza mal convien che vada ;
Tutto che nudo e dipelato vada.
Qual prender suol colui eh' a morte vada.
Dante, perchè Virgilio se ne vada.
In vera perfezlon giammai non vada,
Cred' io perchè persona su non vada.
Sotto '1 chinato, quando un nuvol vada
Tenea, com* uom che riverente vada.
E disser: Vien tu solo, e quel sen vada.
Ed io vi giuro, s'io di sopra vada.
Né concetto mortai, che tanto vada.
ade
b Senza danno di pecore e di biade.
E spregiando natura e sua boutade :
e E dece toro piò avaccio cade
Così s'allenta la ripa, che cade
Che spesse volte l'anima ci cade
E caddi, come corpo morto cade.
Tra* Sardi e' Corsi il vede quando cade ;
Senz'arrotarsi, per sé stessa cade
Non rugiada, non brina piò su cade ;
Principio ta del mal della clttade,
Che di là cangia sovente contrade,
d Puossi far forza nella DeXtade,
e Per le scalee, che si foro ad etade,
t Biscazza, e fonde la sua tacnltade,
n afa tosto flen li fktU lo ITaiade,
p Qual Temi e Sfinge, men ti persuade,
L'altro piangeva sì. che di pietade
r E perchè tu piò volentior mi rade
Nuvole spesse non palon, né rade.
Ma quinci e quindi l' alta pietra rade,
pacca le stelle a noi parer piò rade,
u Piò e meglio una, che le cinque spade.
E correa centra '1 del. per quelle strade.
Quivi conosce prima le sue strade,
t Sappi, che tosto che l'anima trade,
V Memoria, intelligeniia e volontade,
adi
b Né ricovrar poteansl, ee tu badi
e Perchè a poco vento così cadi 7
d Nel seme suo, da queste diruitadi,
g Questi ne invieranno agli alti gradi.
Disse : Venite; qui son presso 1 gradi;
Menava io gli occhi per li gradi.
Senza passar per un di questi guadi :
o Ed atti ornati di tutte onestadi.
r A questo annunzio vengon molto radi :
Ecco di qua, ma fanno i passi radi,
• Vedeva visi a carità suadi,
u Le imagini di tante umilltadiUQ|p
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9 10 08
clcIo
__ 4 _
•do
0 Poi seguitai lo Imperador Oarrado ;
Qie sedea 1), gridando: Su Oarrado.
g Come tu vedi ornai, di grado in yrado,
Discende mai alcun del primo grado.
Poi Tòlto a me : Per quel slngular grado,
TsAto per bene oprar gli venni grado.
Lo suo primo perchè cne non ha ffnado,
S\ che poi sappi sol tener lo guado.
p Mia donna venne a me di Val di Pado.
r Questa question feo* io. E quei : Di rado
V Riguarda bene a me si com'io vado
Faccia alcuno '1 cammin, pel quale io vado.
adre
a Che lacrimando non tornassero adre.
1 Rime d'amore ns&r dolci e leffgrladra :
L'antico sangue, e l'opere leggiadre
znNò quantunque perdeo l' antica madre,
Che non pensando alla comune madre,
Si fér duo figli a riveder la madre,
p Di sé, Virgilio dolcissimo padre.
Quando i* udi' nomar sé stesso il padre
Guglielmo Aldobrandeschi fu mio padre.
adro
1 Al fine delle sue parole il ladro
■ Gridando : Togli, Dio, che a te le squadro.
a S\ che, m puoi, nascosamente aooaffl.
g Però, se tu non vuoi de' nostri gratti,
r Poi r addentar con più di cento raffi :
a Del mondo che giammai più non t'allaffa ;
Scintillando a lor vista t\ gli appaga.
Che la verace luce che le appaga,
Lei lo vedere, e me 1* ovrare appaga.
E te e me col tuo parlare appaga.
Altro vorria, e sperando s' appaga.
d Che in verso 'l del più alto si dìalac-a.
Che 1* onestade ad ogni atto dismaffa,
p Sentiva io là. oV e' sentia la piara
Ed attenta, rivolta invèr la plaffa.
Se i barbari, venendo da tal plaga
E tanno oui la gente esser presaga,
m Ma mia suora Rachel mai non si amaca
Quasi com' uom cui troppa voglia smaga :
T L'intento rallegrò, s\ come vaffa.
Rotante col suo figlio, ond'ella è vaga.
Si che veggendola lo sospesa e vaga.
Ed io all'ombra, che parea più vaga
A guisa del parlar di quella vaga,
O anima diss'io, che par si vaga
EU' è de' suoi begli occhi veder vaga.
a ìfa perchè dentro a tuo voler t'adaffe»
b Cm\ un sol caler di molte brace
0 Che soverchia dell'aere ogni oompace ;
1 Quel eh' io or vidi e ritegna l' imave,
Usciva solo un snob di quella imago.
Guizza dentro allo specchio vostra image,
mSl ftktta, ohe le genU U malvare
p Che sia or sanator delle tue piare.
Quindici stelle che in diverse place
avvi
a Ma non so chi tu se', né perdiè acirl»
g Ma nel commensunur de' nostri gikggl
mCome. distinta da minori e mtkggl
Perchè non li vedem minor nò maggi.
E duo di loro In forma di messacd
r Che si vela a' mortai o(m gli altrui racci.
Per lo mio corpo al trapassar de' raggi.
M'apparvero splendor dentro a duo raggi
SI, disviando, pur convien che i raggi
- /;*7^J*^ P*»^' ch'io togUeva i raggi
■ S?^^^ "^<^*»« ft» dubbLr ben sacci,
^^T**'"t,<^o°<*^«*on 1»t«ne saggi.
« pochi scagUon levammo! saggi.
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Sentimmo dietro ed io e gli mici Sa^gi. 8 S7
t Nel proprio lume, e che dagli occhi il traccli 8 6
anri»
a Tal che il tuo sncoeaaor temenza n' accia :
Come colui che nuove cose assaccia*
Di tutte queste doti s' avvantaccla
o Di sua noDilitìi convien che caccia.
Ed egli a me: Nessun tao passo caggia;
Poi appresso convien che questa caggia
Giusto giudido dalle stelle caggia
p Ond'ei si gittar tutti In m U piaccia»
Dell'alta ripa, alla scoperta piaggia.
Con la forza di tal che testé piaiàffi^
r Che l' ardor santo, eh' ogni cosa raccia,
s Fin che n'appaia alcuna secala saccla.
Costei eh' è Bitta indomita e selvacclAt
La turba, che rimase 11, selvaggia
Verranno al sangue, e la parte selva^ia
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a Dunque all' essenzla, ov'è tanto aTraa-
[taccio* 8S6
1 Che cosi è a lui ciascun llncaacclo, 1 81
Dal principio nel ftioco. in suo linguaggio 1 87
mTrovammo l' altro, assai più fiero e macrlo, 1 81
Da quinci innanzi il mio veder fti maggio 8 23
Cosi accende amore; e tanto maggio,
o A me pareva andando (kre oltracciò.
Ed egli a me : Nessun m' è f^tto oltraggio,
E cede la memoria a tanto oltraggio.
p Più volte m'ha n^to esto pas«acclo ;
Che dato avea la lingua in lor passaggio.
r Quando sarai dinanzi al dolce raccio
E più e più, entrava per lo raggio
Altro non è che di suo lume un raggio.
Ed or discemo perchè dal retacelo
s Perch'io mi volsi al mio Consiglio sacclo.
Aiutami da lei. fomoso saggio.
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Ma qual Gherardo è quel che tu ner eaggio 9 18
Hai contra te. mi comandò quel Saggio. * "'"
Se vuoi campar d'esto loco solvacelo:
In rimproveno del secol selvaggio 1
E cuce sì. com'a sparvler selvaggio
T Avvisando lor presa e lor ▼antacOTlo,
(V. avvantaggio 3 «6 31) vantaggio
A te convien tenere altro vXacclo,
Faceva a' pie continuo viaggio.
Da lei saprai di tua vita il viaggio.
Ma poscia ch'ebber colto lor viaggio
Facemmo adunque più lungo viag^o
Là dove i' son, fo io questo viaggio.
Così, rotando, ciascuna il vlsacclo
aslie
a Com'io voleva dicer: Tu m'appaclto:
p Come son già le due, le cinque piacb^r
La molta gente e le diverse piaghe
▼ Che dello staro a piangere eran vac^o-
Sì che tacer na fèr le luci vaghe.
asili
p Come Dio vuol che '1 debito si pacbi*
s Non vo' però, lettor, che tu ti smacbl
▼ Per veder novitadi. ond'ei son vacl^
a Le donne e i cavalier, gli affanni e gli adt
La casa Traversara, e gli Anastacii
mLà dove i cuor son iktti sì laalvacl*
acla
a Batte col remo qualunque s' adaclA*
Nepote ho io di là che ha nome Alacla
b Caron dimenio, con occhi di bracliS
d Che la tua stanza mio pianger dlsacla
mNon fkoda lei per esemplo malvacla
Forte piangendo, alla riva nuUvagia,
aclo
dCh'avea noal suolo, e di lume disac^o.
uLa via è lunga, e '1 cammino è zaalTacio,
p Non era cammixiata di palaclo,
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«eli
r«chè detto fu : Perchè t* abbagli
V eterno proposito t' arrna^li*
liù Ti' perderanno gli ammiragli.
'pera in Talamono. o perder&rU
?rra è terra 11 mio corpo, e sarÀg-ll
aclla
tor dorate *on. ch'egli abbaglia,
ti maravigliar, se ancor t* abbaglia
'animo cho vinco ogni battaglia,
federico la mettea di pavlia.
unga scala convien che si «affila :
a è, che Tiene ad invitar eh* uom sagUa.
ro ad esse Chiusi e Slnlg-ag-lla;
ozi agli occhi, fatte della tag-lia
:ieco agnello, e molto volto taglia
i rigoardi Luni ed ITrbliiafflla
-mir lo viso, tanto che mi ▼ag-lta.
1 m' Intendi, or Ca' lì che ti raglia.
Affile
che con le dita ti dlsmag-lie,
col tei di scardova le aoafflle,
e fai d' esse Ulvolta tanaglie ;
«Silo
I m'aTea del sabito abbarbaglio,
rizzò Tarco tuo a tal bersaglio,
«e : Certo a più angusto vaffllo
nsna
re Sile e Cagnan s* aocomparna
itre che quel mare intomo baffna.
«nte di sudore ancor mi bagna,
nille fonti e plb, credo si bagna,
ima in Cocito già si bagna,
alla chiude e 1 suol termini bagna,
srk r acqua che Vicenza bagna
» questo, la buia oampairna
(gio ad ogni man grande campagna,
rgesso color per la campagna,
ra, e gxuiTdA, e Tede la campagna
i ristrinsi alla fida oompairna,
Bo nn legno, e con quella compagna
> dice di fsrml sua compagna,
10 presi per la ontloarna,
» Manilla, e poi corse In Ispaffna.
i quinci e non mi dar più laff na ;
oa a casa, e qua e là si lagna,
'6 se Caron di te si lagna,
I dell'Alpi, che serran !• «marna
ti* egli a me : Di sua maggior mag-arna
li coetame, e plen d'ogni magagna,
ama/jna \ ?0 6i) Maviia
a tutta quella turba magna;
i eorse con firetta alla montagna ;
L'aTrla tratto su per la montagna 1
do e rigirando la montagna
riprende, perchè men sen piagna,
là per Itd carpir si fa la raffna.
oooTien, che senza lui rimarna.
capei qtii su non ti rimagna.
Me, e fa speranza rlng-avarna.
olle dir lo spirto di Homarna,
ol peggiore spirto di Romagna
lit» e l'altro Tidi Insin la Spagna,
Lcqna, che nel detto lago atac-na.
ae ad Arll, ove *1 Rodano stagna,
asne
» mio perchè non m' ao«omparne 7
ilo a* pll dà delle oaloag-ne ;
d; e batti a terra le calcagno;
do che le stelle son oomparne;
hol gentili, e cura lor mararne,
gè etemo eoa le rote magna,
mr per ovra delle ruote magne,
a veder la tua Roma, che piagne,
l'intenda colai, che di là piagne,
11 molte volte se ne piagne
ala «ovra a noi ornai si piagne 1
a* sepolti le tombe terragne
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a C'ha disviate le pecore e gli agni,
o Con noi per poco e va là coi compagni,
Perchè non gli ebbe Gedeon compagni,
r vidi Elettra con molti compagni.
Ed era quel che sol de' tre compagni,
g Cesare armato con gli occhi grifagni.
Seguite già da miseri guadagni.
La gente nuova, e 1 subiti guadagni.
mPer questo l'Evangelio e 1 Dottor magni
Mi Air mostrati gli spiriti mairni.
p L'altro era quel, che tu, Gaville, piagni.
Fiorenza, in te, si cho tu già ten piagni.
T SI, accostati all' un de' duo vivagni,
Si studia si, che appare a* lor vivagni.
«goo
e Come suo figlio, e non come compagno.
Cosi volse gli artigli al suo comrvagno,
g Ma r altro fu bene sp&rvier grifagno
r Ed lo a lui: Se 1 presento rlgagno
s Cadder nel mezzo del bollente stagno.
Fanno Cocito ; e r^ual sia quello stagno,
t A volger ruota di mulln terragno,
▼ Come 'l Maestro mio per quel vivagno.
Perchè ci appar pure a questo vivagno 1
a Vedi le triste che lasciaron l'ago.
E, come vespa che ritraggo l'ago.
Rado sen parte ; si tutto l' appago.
b Che qui staranno come porci in brago,
d Che i marinari in mezzo al mar dismago :
Tr'ambo le ruote; e vidi uscirne un drago,
i Fecer malie con erbe e con imago.
1 Prima che noi uscissimo del lago.
m Ch'avere atteso al cuoio ed allo spago
V Io volsi Ulisse del suo cammin vago
Ed io: Maestro, molto sarei vago
Trasse del fondo, e gissen vago vago
ssgra
a E con tempesta impetuosa ed agra,
d Pistoia in pria di Neri si dimagra ;
mTragge Marte vapor di vai di Magra,
«grò
a Non fora, disse, a te questo si agro :
mE cominciai: Como si può far magro
Se t'ammentassi come XeleAgro
a Che la verace via abbandonai.
D'una dell'arche: però m'accostai,
MI volsi intorno, e stretto m* accostai !
Disegnerei com' lo m' addormentai ;
La vedovella mia. che molto amai,
Risposemi: Cosi com* lo t'amai
Del mondo seppi ; o quel valore amai
E. senza udire e dir, pensoso andai
Nò per lo fuoco In là più m'appressai.
Perch'io tutto smarrito m'arrestai.
Con affezion ritrassi od ascolta.
Costoro, e Persio ed lo ed altri assai,
E. quando l'alo furo aperte assai.
Certo non la flrancesca si d'assai.
Trema forse più giù poco od assai ;
E la costa superba più assai.
Che la Barbagia di Sardlgna assai
Grazioso fla lor vedervi assai.
Com'a lui piacque. Il collo gli awingMai;
o Di ragionar, drlzzaiml, e cominciai,
Io era lasso, quando cominciai :
Con lieto volto, ond'io mi confortai,
d E quasi stapef^tto dimandai
Com'a lei piacque, gli occhi dirissai,
Pensa, lettor, sMo mi disconfortai.
Al Duca mio. e gli occhi a lui drissai.
• 1' non so ben ridir com' io v' entrai i
f Del sonno, ed un chiamar : Sorgi, che fai ?
Ed ei mi disse: Volgiti: che fUI
Se gloriar di te la sente C&i j
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Onde Tieni, e chi se' ; chò ta ne tei 8 14 18
Sì che 1 suoi raggi ta romper non fki. 8 e 67
Ivi è Romena, là dov'io falsai 1 80 78
f Ed io dissi al Poeta: Or ta giammai 1 89 ISl
Dico nel delo, io me ne grlorlal. 8 16 6
QniYi sospiri. pianU. ed alti ffnol 1 8 88
Che tuono accogUe d' inflniti guai. 14 8
Forse a memoria de' suoi primi guai; 8 8 10
Cosi vid*io venir traendo guai, 1 6 48
Io sentia d' ogni parte traggcr guai. 1 18 SS
AU' orribile torre; ond'io guardai 1 88 47
li Disse: Tu guardi si. padre: che bai? 1 88 61
Perchè ardire e franches» non hall 18 188
Ed io a lei: L'angoscU che tu hai 1 6 48
Pensa la nuova soma che tu hai. 1 17 99
Ch'ai primi effetti di lassù tu hai. 8 11 8
1 Io non piangeva ; si dentro Impietrai : 1 88 48
Vinto dal sonno, in su Terba Inchinai 8 9 11
Senza indugio a parlare inoomlnolal : 1 87 85
1 Per ch'io al cominciar ne lagrlmal. 1 8 84
E come i gru van cantando lor lai, 1 6 46
Neil' ora <£e comincia i tristi lai 8 9 18
Perch' io '1 corpo suso arso lasciai. 1 80 76
Che la Barbagia doV io la lasci&L 8 88 96
Ma palese nessuna or ven lasciai. 1 87 88
Cosi sparì. Ed io su mi lo vai 8 1 109
Senza risponder gli occhi su levai. 8 81 70
Dinanzi a quella flora ti levai. 1 8 119
mChe le Muse lattar più eh' altri mal. 8 8S 108
Mio. e degli altri miei miglior, che mai 8 36 98
Sotto r ombra perpetua, che mai 8 88 88
Nulla speranza gli conforta mai. 1 0 44
Che la prima Virtù creasse mai. 8 86 84
Nò Creator nò creatura mai. 8 17 81
La gran variazion de* freschi mai : 8 28 86
Romagna tua non è, e non (ù mai, 1 87 87
Che. non gustata, non s'intende mai. 8 8 89
Quanto vuol cosa, che non ta più mai 8 14 16
Ch'io non credetti ritornarci mai. 1 8 86
Mirabil cosa non mi sarà mai; 8 16 4
Di vostra terra sono; e sempre mai 1 16 68
Non so come, quassù non tremò mai: 8 81 67
Sì, che non par ch'io ti vedessi mai. 1 6 40
Ad altro forte, tosto ch'io montai, 1 17 96
n Vocali e consonanti; ed io notai 8 18
o Sordello allor: Ora avvalliamo omal 8 8
E disse: GerTon. moviti omai: 1 17 97
Rispose, quanto più potremo omai : 8 6 68
Lo Sol vi mostrerà, che surge omai, 8 1 107
Ma la notte risurge ; ed oramai 1 84 68
p Ch'ai sommo do' tre gradi eh' or parlai, 8 91 68
Co* idè ristetti e con gli occhi passai 8 88 84
Traggo cagion del luogo ov'io peccai* 1 80 71
Paroto. per le quali io mi pensai, 1 16 66
Allor conobbi chi era. e pregai 8 8 86
Volgi la mente a me. e prenderai 8 17 88
E dal colore e dal fircddo prlmal ; 8 8 108
DUigit€ justitiam, primai 8 18 91
r O ben creato spirito, che a* ral 8 8 87
Or, come a* colpi degli caldi ral 8 8 106
Riflettendo da sé gli etemi rai. 8 81 79
Più s' abbelllvan con mutui ral. 8 88 84
E la mia Donna : jàentro da que* ral 8 86 89
Dritto le^to. e lU^rignardal 14 6
Provi, se sa; che tu qui rimarrai, 1 8 88
^-_.. , ristai. a 4 46
:hè ristali 1 8 191
vedrai 8 81 68
m ;u *1 sai. 8 17 98
lo sai; 8 89 98
li: 1 6 41
su sarai. 8 16 61
onfortal
sessal. 8 18 88
U stai. 8 11 1
l svegliai, 8 88 70
t rasmntal. 8 18 146
mi trovai 14 7
i' vi trovai, 118
^ ondo nsai, 1 89 119
^ B vai. 8 16 49
ìbè vai! 8 a 90
del tea vai, 8 14 11
48
E taato d'uno In altro vaneggiai.
Dalla cintola In eu tutto il vedrai.
La vista {dù lontana, lì vedrai
Però riguarda bene, e sì vedrai
Ch'assai illustri spiriti vedrai.
Prima che slam lassù tornar vedrai
a Assai la voee lor chiaro 1* abbaia.
Pur ch'egli avesse avuta l'anguinaia
Ma vassi alla via sua. checché gli appaia.
Quanti son gli splendori a che s'appaia.
o Panno a^tu&re In mezzo la oalaada
Così entrammo noi per la callaia.
d Ove colpa contraria 11 dispaia.
Che per altezza i salitor dispaia.
La grave Idropisia, che sì dispala
g Se noi togllessi da sua figlia Gaia:
Che alcun altro in questa turba gaia
Quant'ella a compiacermi venia gaia.
h Né ferma fede per esempio o* baia.
Dopo uno scheggio, ch'alcun schermo t*bala ;
mPer Daniel, vedrai ohe in sue migliaia
p (L'Angelo è ivl| prima eh' egli paia.
E però eh* io mi sia, e perch* io paia
Né per altro argomento che non paia.
Sì, che 1* ansito oonvlen che si pala
Ombra non v' é, né segno che si pai* ;
Lo buon Maestro : Acdocohé non si paia
Col livido color della petraia.
E similmente l'anima prlmaia
Dintorno il po^o, come la prlmaia.
Sì della mente in la vita prunaia,
r Da ouel eh' è primo, così come rata
Vedi l'albOr che per lo ftimmo raia.
La prima luce, che tutta la raia,
T Che 'I viso non risponde alla ventraia,
«lo
g Regger si vnole. ed avea Oaligato
E tanto più dolor, che pugne a guaio.
p Ch'io mi specchiava in esso. qtAle 1' palo.
Ricominciò '1 cortese portinaio ;
Così discesi del cerchio prima! o
Là ne venimmo; e Io scaglion prim^o
s E Galli, e quel ch'arrossan per Io staio.
T Grande era già la colonna del ITalOf
a Sentiimi presso quasi un muover d' ala,
^ — ». ,.-. u-^.-.. .. diritta l'ala;
E leva l'ala
T( lover l'ala.
Ch alla mia ala.
Sì . senz'alai
0 Or [a cosu oala,
N< L monta e cala,
Qt en erto cala :
D' giù la cala;
Qt ìon si cala.
Se mar non si cala.
d Ix lirul dismala,
f Qc». .. .^-.~« . Ila sua fiala
1 Dove l'acqua di Tevere s'insala,
mPoci/tct. che son senz'irà mala.
• Noi eravamo al sommo della scala.
Mostrate da qual mano invèr la scala
Uno innanzi all'altro, prendendo la scala
Con un sol cenno su per quella scala.
Che ti conduce su per quella scala.
Volgemmo i nostri passi ad una scala:
La più minata via é una scala.
a Veggiono in oriente, innanzi l'alba, 8 19
b Mi venne in sogno una femmina balba, 8 19
a Con le man monche, e di colore aoialba. 8 19
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di sé, di notte fùria e ealea.
Cui ^non volere e giusto amor oavaloa.
t Tale per quel giron suo paese Calca,
a 18
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Il
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9 94
9 24
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^▼alier di schiera che oavalolil,
!tir del mondo sì gnn tnallsoalolil.
d parti da noi con maggior Talobi ;
Alda
tando l'ombre come cosa salda. 9 91 186
•rsader dell' amor eh' a te mi scalda, 9 91 184
Aide
Aleseandro, in quelle parti calde
an di fboco dilatate falde,
me cadere infine a terra salde ;
aldi
disiri più che fiamma caldi
ioni menti son più, e men caldi.
tir BOTra '1 grifone stavan saldi.
t' arem dinanzi agli smeraldi,
mmo tra i martiri e gli alti spaldi,
aldo
Perugia sente freddo e caldo
li furo, accesi di quel caldo
e rendo ragione in qnesto caldo,
rere giogo Nocera con Gualdo.
1* avea generato d' on ribaldo
Maocarlo, qni è Bomaaldo ;
ITO i piedi, e tennero *1 cuor saldo,
li fandglio del buon re Tebaldo :
Al» eletto dai beato TTbaldo,
ale
IO tendea su l' una e 1* altr* ale
Ato 1' occhio mio po'ea trar d'ale
accia aperse, ed indi aperse l' ale :
ino già chinaTa in giuso l'ale;
Illa grop^ del fiero animale,
in figura del fireddo animale,
odoleoti, e piò dolor gU assale.
ouna d'esto incendio non m'assale. . .
» cb* è in (ùria, e buon che tu ti cale 1 19
» lo Minotauro fisir cotale :
la è 11 fine, ed ogni fin cotale
k cornice mi parea cotale,
d all'acqua che ritorna ornale.
mbo dell' interno Oiovenale,
Ubile ancora, ad Immortale
so potenza di dm altrui male :
nto pia va su. e men fa male.
a nulla, fendendo, (ìscea male.
■alea, ma pur non (kcea male.
la coda non possa far male,
le l' avrenuirio d' ogni malo.
rchè flrode è dell'uom proprio male,
usi dipartir da tanto malo.
e Livio, e Seneca morale:
iocTOto lo colpo mortale.
mia morte, qual cosa mortale
che la gran dote provensale
a di mio figlio fu; dal quale
U buono accogUtor del quale,
npo al pan desìi angeli, del quale
vestita, e nella faccia quale
linciò, tu ti (kresti quale
nvof^Uenza inverso te fu quale
\r dovea di lui. e '1 chi, e '1 quale ;
potete ben per l' alto sale
>t-e de' passi, con che sale.
Tuppoasi al pel. com' uom che sale,
ferskl •\ come sa di sale
avesoo ad andar: che il poggio sale 9
tali* alta ripa, che pur sale,
voi niente ornai si sale.
%i veduto) quanto più si sale,
kdere e *1 salir per l'altrui scale,
l scende per s\ fktte scale :
bellezza mia. che per le scale
r nftl parran corte queste scale.
i ben : che per siflktte scale.
doTOTi, per lo primo strale
•amente ; e questo è quello strale
1 14
81
1 14
90
1 14
88
9 81
118
1 9 181
9 81 190
9 81
116
. 1 8 188
8 11
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8 92
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> 1 19
97
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98
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8 9
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00
9 99 111 1
9 SO
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1 9
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1 11
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1 4 141 1
1 19
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68
9 90
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9 90
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2 4 180 1
8 9
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8 91
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0
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82
9 81
66
8 17
66
t DTogenes, Anassagora e Ta:
Ed egU a me : Questa monU
Io son ftitta da Dio, sua mei
Diretr' a me che non era pid
Un carro in su duo rote tri
ali
a Mentre che i primi bianchi i
Sotto ciascuna usdvan due i
Diversamente son pennuti in
Là dove Gabriello aperse l' i
Allor m'accorsi, che troppo t
Quei, che U fimno in basso l
Che per mare e per terra bai
La benedetta immagine, che
Vedi che la ragione ha corte
Ma batterò sovra la pece 1* a
E come gli stomei ne portan
Ognuno era pennuto di sei al
Sua disianza vuol volar senz'
La Santa Chiesa, sotto aUe s
Come '1 (kloon eh' è stato assi
Sentendo fender l'aere alle v
Vennero appresso lor quattro
o Gridò : Fa* te' che le ginocoh]
AgU altri, disse a lui: Se tu
Fa dire al falconiere : Oimè,
Filoso al capo, e papi e cari
A qnesto intende 1 papa e i <
Enno dannati i peccator cari
Come mosser gli astor celes
Tra gli ladron trovai cinque
Vele di mar non vid'io mai i
Ormai puoi giudicar di que' e
Virgilio inverso me queste co
Ed lo : Maestro, tra quesU co
Se fosser vivi, sarebber cotali
d Son dereUtti ; e solo ai Deor
e Che fosser di piacere a queste
Suso alle poste rivolando egui
1 Col caldo e con la luce, èn s\
mCosl di quel, come degli altri
Che furo immondi di cotesti n
Lo scendere e 1 girar, per li i
t: di Maremma e di Sardigna
Cosi quel fiato gU spiriU mali
Io cominciai : O frati, i vostri
Che son oagion di tutti i vosti
Dell'oro, l'appeato de'mortj
O insensata cura de* mortali.
Cercando va la cura de' morta
L' opinTon. mi disse, de' morta
Di carttade ; e giuso, intra 1 e
Ma voglia ed argomento ne' m
Tal è il gludicio etemo a voi
p Un. crocifisso in terra con tre
q Roteando can ava, e dlcea: Q
La sinistra a veder era tal, qi
s E tu in grande onoranza non i
Qual dolor fora, se degli spe«
Che di pietà ferrati avean gli
Cer 0 non ti dovrion pugner li
t Per conservar sua pace ; e ftin
u Oma' vedrai di si (ktti utlcia
▼ A veder se tu sol più di noi ▼
Donna, se' tanto grande e tant
alla
a La cieca cupidigia, che V ami
b Che muor di teme e caccia via
1 Dell' alto Arrigo, eh' a drizzare
alla
a Ciò che dee soddlster chi qui s
E l'uno 'l capo sopra l'altro a
Vengon di là, ove '1 Nilo s' avt
Che cima di gludicio non s'av
e Dlss' egli a noi, non s' apre qu<
f Quandunque V una d' oste chlai
Sì conio verme, in cui formazic
E la speranza di costor non teJ «
Così li ciechi, a cui la robaQaJOOQlC
alla
— s
Puote bene etser tal. che non si falla 8 0 63
Nati a formar TangeUca farfalla, 8 10 125
a: Di che l'animo vostro in alto ffaUa, 8 10 127
E della chiave bianca e della gialla. 3 6 A7
La destra mi parea tra bianca e gialla ; 1 84 43
Pria con la bianca, e poscia con la gialla 8 9 118
e Sovresso il meuo di ciascuna apalla, 1 84 41
E l'on soflèria l'altro con la spalla. 8 18 69
Ma non trasmuti carco alla sua spalla 8 6 fi6
aUe
A E venimmo ad Anteo, che ben cinciu* ali», 1 81 118
« Ix) pane altrui, e com'è duro calle 8 17 88
Che mena dritto altrui per ogni calle. 1 1 18
Diriua prima il suo povero calle. 8 14 40
Ond*io che non sapeva per qual calle, 8 8 40
E riduceml a ca' per questo calle. 1 16 64
Com'ho £&tt'io, carpon per questo calle, 1 86 141
Diriotro guarda, e ni ritroso calle. 1 80 89
Già eravam là *ve lo stretto calle 1 18 100
Ora sen va per uno stretto calle 1 10 1
Si trasmutava per lo tristo calle. 2 88 89
ar Tra brutti ponà più degni di ffalle 8 14 48
8 E fa di quello ad un' al tr' arco apalle. 1 18 108
Mira, 0' ha Catto petto delle spalle : 1 80 87
Tutto gela'o alle fidate spallo. 8 8 49
Quando Annibal co' suol diede le spalle, 1 81 117
Lo mio Maestro, ed lo dopo lo spalle. 1 10 8
E quel che più ti graverà le spallo 8 17 61
Qual sovra il ventre e qual sovra le spalle 1 88 67
Pur ier mattina le volsi le spalle : 1 16 69
Poscia gli volse le novelle spalle, 1 86 188
Guardai in alto, e vidi le sue spalle 1 1 16
T E non restò di ruinare a valle 1 90 86
Disse Sordello. a guardia della valle, 8 8 88
O tu, che nella fortunata valle, 1 81 116
SI fUfTue sufolando per la valle, 1 86 187
Gli abitator della misera valle, 8 14 41
ih' era a veder per quella oscura valle 1 99 66
E questo basti della prima valle 1 18 98
Là ove terminava quella vallo 1 1 14
Con la ^al tu cadrai in questa valle; 8 17 88
Riepos'io lai. mi smarrì* in una valle, 1 18 60
alll
a Che vergine, che gli occhi onesti awalll : 8 88 67
- 8 88 63
1 91 63
8 8 98
8 6 102
1 91 67
3 e 100
a 28 66
1 81 66
1> A terra ed intra sé, donna che balli,
Disser : Coverto couvien che aui balli,
t Ch'io accusai di sopra, e de'lor talli,
Sì oh" è forte a veder qual più si Calli.
ar La carne cu^ll uncin, perchè non traili.
L' uuo al pubblico seguo i gigli frialll
Volsesi in su' vermigli od in su' gialli
-v Non altrimenti 1 cuochi a' lor vassalli
allo
b E come surge e va ed entra in ballo
0 Ed avvegna che, si come d'tm callo.
Ricorditi, spergiuro, del cavallo,
E, si come visiere di cristallo,
E come in vetro, in ambra, od in cristallo
Sì che, se il Cancro avesse un tal cristallo,
t Alla novizia, non per alcun fallo ;
Uscirò ad esser che non avea fallo.
Disse Sinone; e son qui per un fallo,
1 All'esser tutto non è intervallo ;
8 E Bioti reo, che tutto '1 mondo Ballo.
Cessato avesse dei mio viso stallo,
alma
a Che'l vostro mondo ftioe, pria eh' al tr' alma.
Quanta esser puote in angelo ed in alma,
p Ch'el g'acqulsiò con l'unae l'altra palaMk;
Perch'cgli è quegli che portò la palma
Ben ai convenne lei lasciar per palma
8 Carcar il voile della nostra salo&a.
8 86 103
1 83 100
1 80 118
1 33 88
8 89 86
8 86 101
8 95 106
8 89 98
1 80 116
8 99 27
1 80 120
1 88 108
8 9 118
8 88 110
8 0 183
8 89 119
8 9 181
8 88 114
a L' udire, ed a mirare una dell' alme 8 8 8
o Come dicesse a Dio : D' altro non calme. 8 8 18
p Ella giunse e levò ambo le palme. 8 8 10
almi
a Poiché Panlcnte Spirto vi fece alai.
Raphcl mal amèch zati almi,
d Pisiche e meiatlnicbe. aia dà-lmi
p Perocch'io ne vedea Irenia gran palmi
s Coi non si convicn |«iù dolci salmi.
Per Moisé, per profeii, e per saimi,
alo
o Nel montar su, cosi sarà nei calo.
mNon era vinto ancora Montemalo
• Non v'era giunto ancor SardanapAlo
alpe
a Ricorditi, lettor, se mai nelP alpe
t Non altrimenti, che per pelle taOpe;
alse
e Lo rivocai; s\ poco a lui ne oalse.
t Immagini di ben seguendo false.
Se le ft»ion che porti non soa fklse,
s Ma chi ti mena a si fingenti salse ?
T Bassando "1 viso ; ma poco gli valse :
Nò l'impetrare spirauon mi valse.
alUs
a Tal signoreggia e va con U testa alta»
d Piangerà Feltro ancora la dilfalta
mSl, che per simil non s'entrò in Malta.
alt*
a In luogo aperto luminoso ed alto.
Se la lucerna, che ti mena in alto.
Si leva tm colle, e non sur^ molt'alta,
Batteansi a palme ; e gridavan si alto.
Che fece alla contrada grande a<s salto.
Mal non vengiammo in Teseo l'atsalto.
Quando chiamò, per tutto queir assalto
e Che di vederli in me stesso m' esalto.
r Italica, che siede intra Rialto
s Venga Medusa, e si il funem di smalto:
Quant'è mestiere insino al sommo smaltsi.
Colà diritto, sopra '1 verde smalto.
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a Mentre cha«\ per Torlo, uno innanzi altro, i *
s Diceva: Guarda; giovi ch'io ti sojatro. >'
«Ivo j
a Credi per certo che, se dentro all' alvo J J
o Non ti potrebbe far d'un eapei calvo. *i
s Sovr'esso Gerfon ti guidai salvo, ■*
alsl
a (Tanto son gravi), e chi dlrietro gli a?^
r Or vogUon quinci e quindi chi riacaw
s Dello Spirito santo, magri e eoalsl,
almo
b Con questo vivo giù di bal»> in balso,
Videmi *I Duca mio. su per Io balzo
i Lettor, tu vedi ben cornalo innalso
r Con altri, che l'ndiron di rimbalao.
Alior si ruppe Io comun rlnoalso ;
Non ti maravigliar s'.io la rincalzo.
a Già era in ammirar che si gli affama*
Onde s'attrista si, che '1 oootraro ama;
Che vede, e vuoi dirittamente, ed aou:
Di quel Maestro, che dentro a *è l'axsa
Vieni a veder la gente quanto «'atta;
Più v'è da bene amare, e più vi e'aott:
b Ti tòrrà questa e ciascun' altra bx«asa.
Io cominciai, cooie colui che brama.
Si governasse, generando brama.
Ed egli a me: Del oontrairto bo lo iffmsaa:
Spera ecoellenxa; e sol per queeto brassa
Questi può dar di quel che qui si brama.
S'avessi avuto di tal tigna brama,
o Per satlsÙLT al mondo che gli oìiiama:
Se innanzi tempo grada a sé noi chiama.
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i!
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anca
a, sol», e d\ e nott« chlamA :
iù Benaco, ma Mincio si chiama
wme da indi si dirama
a mia ragion non ti disfama,
a risposta so domandi fama.
podere, grazia, onore, e fema
sraU nandi e di gran ùuna.
ti può nel mondo render (kma;
(Mrnar ti yien della toa (^ma.
di state talora esser yrama.
in sen va c<kì quella turba grama,
al sai lusingar per questa lama.
Mito ha corso, ohe trova una lama,
magrezza e di lor trista squama i
na sanu di metter la trama
fi e 113
1 90 77
8 10 13
2 IS 76
1 89 82
fi 17 118
1 16 107
1 81 197
fi e 117
1 90 81
1 16 109
1 89 98
1 90 78
fi 98 89
8 17 101
peccator U piedi, e delle «-ambe l 19 98
ote erano a tutti accese Intrambe ; 1 19 96
ezzate aTorian ritorte e strambe. 1 18 97
ame
tarebbe un agno intra duo brame 8 4 4
i lupa, che di tutte brame 1 1 49
lo intesi là dove tu obiame, 9 93 88
tarebbe un cane intra duo dame. 8 4 6
ana parte e l'altra avranno fame 1 16 71
a per me ha *1 titol della fkme. 1 83 98
nodo, prima si morria di fiune, 8 4 9
ngamente m'ha tenuto in fiime 8 19 98
come tristizia, o sete, o thme ; 8 88 64
tett'alta, e con rabbiosa fame, 1 1 47
non reggi tu, o sacra (kme 9 92 40
ftr non aver via né forame 1 97 18
i mostrato per lo suo forame 1 88- 96
lo sentirei le giostre fframe. fi 99 49
rertivan le parole grame. 1 97 16
e genti f#* già viver grame. 1 1 61
ti solverò *1 forte legame, 8 89 60
(Ut surge ancor nel lor letame, 1 16 78
oon tutto eh* e' fosse di rame, 1 97 11
io che. se in cielo altro reame 8 19 98
all' ampiezza di questo reame 8 89 69
1 le bestie Flesolaue strame 1 16 78
s) non l'apprende con velame. 8 19 80
l futuro nói squarciò '1 velame. 1 88 97
AMI
inar lo spoeo perchè l' ami, 8 10 141
edo che la sua madre più m'ami, fi 8 78
). die gran segno è che Dio t'ami; fi 18 146
1 convfen che misera ancor brami, fi 8 76
rgoti per quel che tu più brami. fi 18 148
der pùoeal. e di veder si brami. 8 10 46
iovanna xnia, che per me oblaml fi 8 71
Doie orologio, che ne chiami 8 10 180
mi sprona ch'io mercè né chiami. fi fi9 80
le la dà, perchè da lui si chiami. 8 7 188
io 1* ingegno e l' arte e l' uso chiami, 8 10 48
eh' er' entro al Sol, dov'io entra' mi,8 10 41
osante Vergini, se fami, fi fiO 87
»rrà in pace le tue funi : fi 97 117
ino mio con esse; ond'lo leva* mi, 9 97 118
olte risorge per U rami 8 7 191
>lce pomo, che per tanti rami fi fi7 116
» l'aer, sotto i verdi rami, fi fiO 86
e Federigo hanno i reami : fi 7 110
ilei propinqui tu ben mi rinfami. fi 18 160
agendo nel vico degli strami, 8 10 187
sere a Virgilio: Men che dramma 9 80 46
tsa non fiermai peso di dramma. fi 81 09
> i segni deU* antica fiamma. 9 80 48
dtar la coronata fiamma, 8 98 110
scaldar, della divina fiamma, 8 81 86
lal modo allentava la fiamma. 8 81 199
almo che inOn di fuor s' infiamma ; 8 98 188
4 guidò Fetonte, più s'infiamma, 8 81 196
Je il fkotolin corre alla mamma, fi 80 44
) f^tolin. che Invèr la mamma 8 88 Ifil
ikeida dico; la qual mamma fi fil 07
iella pacifica orifiamma 8 81 187
a B r uno e l' altro coro a dicer : Amme, 8 14 69
f Anzi che fosser sempiterne fiamme. 8 14 88
mForse non pur per lor. ma per le mamme, 8 14 84
a Qoand' io che meco avea di quel d'Adamo,
Similemente il mal seme d'Adamo:
Alla miseria del maestro Adamo :
Io senti* mormorare a tutti : Adamo :
Ma voi prendete l'esca, si ohe l' amo
Che all'ultime fironde appressavamo,
b Ed ora lasso un gocclol d'acqua bramo.
e Ed ei mi disse : Quel fu il duro oamo,
e Disfrenata saetta, quanto eramo
Fatti avea duo nel loco ot' eravamo,
g (E non so lo perchè) nel mondo rramo,
1 Risonò per le spere un : Dio lodiamo,
r Di fiori e d'altra fW»nda In ciascun ramo.
L' una appresso dell* altra, infin che 'I ramo
E quel baJron, che *\ di ramo in ramo,
E però poco vai trtno o rlobiamo.
Per cenni, com' augel per suo richiamo.
u Là 've già tutti e cinque sedevamo.
a La vipera che il Molanese aooampa,
Che misuratamente in core avvampa.
1 Da Beatrice, e dalla santa lampa
s Così dloea, segnato della stampa
Segnata bene dell* intema stampa ;
T Per che mia Donna : Manda fuor la vampa 8 17
a Indi spirò: L'amore ond'io avvampo
0 Fin alla palma, ed ali* uscir del oampo.
Io Tidi già oavalier muover campo,
1 Di quello incendio tremolava un lampo
• E tal volta partir per loro scampo :
o Jeu tui AnuuU, que plor e vau cantan :
d Tan m' abelis vostre cortes deman,
Eu vei jausen lo jom, qWesper^ denan.
e Quanto di là dal muover della Obiana,
d PIÙ di speranza, eh' a trovar Diana :
f Poi si tornò all'eterna fontana.
Veder mi parve usc)r d' una fontana,
1 E durerà quanto il mondo lontana ;
Da un principio, e sé da sé lontanai
Così orai ; e quella s\ lontana,
mO anlnm cortese Mantovana,
Pietola più che villa Mantovana,
p Lì si cantò non Bacco, non Peana,
Per eh' io, che la ragione aporta e piana
Ed egli a me : La mia scrittura è piana ;
E oomlnciommi a dir soave e piana.
Vi fosse su caduto, o Pietrapana,
r E come a gracidar si sta la rana
s Sì che 1* anima mia, che fìfttt' hai sana,
Se ben si guarda con la mente sana ;
t Bestia, e Pistoia mi fu degna tana.
Perch* ei rispose : l' piovvi di Toscana,
Se mai calchi la terra di Toscana,
n O luce, 0 gloria della gente umana.
Ed in una persona essa e 1* umana.
Vita bestiai mi piacque, e non umana,
V Tu gli vedrai tra quella gente vana
Stava com* uom che sonnolento vana.
Sarebbe dunque loro speme vana!
Di spigolar sovente la villana :
a Di compagnia ad ogni muover d*anca.
Biancheggiar tutta, ond'el si batte l'anca;
E '1 buon Maestro ancor dalla sua anca
b L* immagine di sua sorella bianca,
d Solo il peccato è quel che la disf ranca,
f Ch' io cominciai come perdona franca :
i Chinati e chiusi, poi che *1 Sol gì' imbianca,
9 8
10
1 8 116
1 80
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9 89
87
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1 80
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fi 14 148
9 82
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1 80
68
8 84 118
8 89
88
1 8 118
8 94 116
8 14 147
1 8 117
^ 8
19
9 8
80
9 8
84
3 17
6
9 8
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8 17
9
8 17
7
8 96
89
8 93
84
1 99
1
8 86
80
1 fifi
8
9 96 149
9 98 140
9 26 144
8 13
28
9 18 168
8 81
03
9 83 113
1 8
60
9 88 117
3 31
01
1 9
68
9 18
88
8 13
88
9 18
86
2 6
84
1 9
66
182
99
189
31
8 81
80
9 6
86
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lae
1 94
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1 94 194
9 18 161
9 18
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88
1 88
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1 94
8
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43
1 94
6
8 7
78
1 8 139
1 2 128
anca
— 10
an
81
Perchè del loflM ino poee t'imblanea; 8 7
mNoi ci volgemmo anoor pare a nmn au^no» 1 93
Lo TillMMllo. a ool U roba manca. 1 24 7
L* amana creatura ; e •' ona manca, 8 7 77
a Ma per lo peeo quella gente stano» 1 98 70
Volgemmo, e duoendemmo a mano stanca, 1 19 41
Tal nU toc* io di mia Tlrtote stanca, 1 9 180
B Di qoei, ohe al plngeva eoa la canoa. 1 10 45
b Uscla di Gange fuor colle btianoe. 9 9 0
Fan cosi cigolar le lor bilance.' 1 98 109
0 Andate, e predicate al mondo oianoe; 8 99 ILO
g QuanV io veggio, dolor giù per le raanoe 7 1 23 88
E qnel tanto sonò nelle sue goanoe; 8 SO 118
S) ohe le bianche e le TermigUe goanoe, 8 9 7
1 DeU' Braagello Aro scodi e ianoe. 8 98 114
r B r on rispose : Oimè 1 le cappe ranca 1 98 100
Per troppa etate divenivan ranco. 9 9 9
anebe
a Si volge appunto in sol grono dell* anche, 1 84 77
Maestro, dissi lui. or mi di* anche : 1 7 67
Carcava on peecator con ambo l anche, 1 91 86
Mettete! sotto ; eh' io tomo per anche 1 91 89
SI che in inferno io credea tornar anche. 1 81 81
Si oom* et dice : e negli altri ofllci anche 1 99 86
b Che è. che i ben del mondo ha si tra branobe 71 7 68
mNel fbsso so. diss'el. di Malebranche, 1 83 149
Del nostro ponte disse : O Malebranche, 1 91 87
■ B che già fti. di quest* anime etancbe 1 7 63
Le lingue lor non si sentono stanche. 1 98 90
n Che Branca d*Oria non morì nnqnanche, 1 83 140
a Volse la testa ov*egll avea le sanclie ; 1 81 70
Non era gionto ancor Michel Zanche. 1 88 144
Usa con esso, donno Michel Zanche 1 92 88
anelli
t Mi parea lor veder fisnder li fianchi. 1 88 86
1 Vuo^tuche questo ver più ti s'Imbianchi? 8 8 118
1 Gualandi con Sismondi e con ILantranohi 1 88 89
mCbe muovon queste stelle, non son manchi, 8 6 110
m In picciol corso mi pareano stanchi 1 88 84
Che la natura, in quel eh* è uopo, stanchi. 8 6 114
aacla
b Che d* ogni colpa vinse la bUanoia. 8 18 49
Per suo valor, che tragga ogni bilancia. . 8 0 08
e Non prendano i mortali il voto a ciancia: 8 6 81
e L*altro vedete ch'ha (ktto alla rnanola 8 7 107
Poi gli addentò l' una e 1* altra guaucla : 1 96 54
Si che mi tinse runa e l'altra gimncia, 1 81 8
Si trasse per formar la bella guancia. 8 18 88
t Che tragge un altro Carlo fuor di Francia, 9 90 71
Padre e suocero son del mal di Fraucia: 9 7 100
1 Ed in quel che, forato dalla lanata. 8 18 40
Sem' arme n'esce, e solo con la lancia 9 20 73
Cosi od' io, che soleva la lancia 1 81 4
E quindi viene *1 duol. che sì li lancia, 9 7 111
Ed OD serpente con sei pie si lancia 1 99 50
mPrima di trbta e poi di buona maaoia. 1 81 6
Come ta Jepte alla sua prima manda ; 8 6 66
p Co' pie di mezxo gli avvinse la pancia, 1 20 63
SI. eh' a Florenxa fk scoppiar la pancia. 9 90 70
aneo
a Venimmo, alpestre e per quel ch*ivier*anoo, 1
Lassù non eran mossi i pie nostri anco, 9
S' io riguardava in lei. come specchio anco. 9
Or te ne va* : e perchè so' vivo anco, 1
b Quando scendoan nel fior, di banco in banoo 8
Or ti riman, lettor, sovra '1 tuo banco, 8
Venire appresso vestite di bianco ; 8
Tal foce; e quasi tutto era là bianco 8
Conduce il leoncel dal nido bianco. 1
Segnato avea lo suo sacchetto bianco. 1
E l'ale d'oro; e l'altro tanto bianco, 8
^U; un. quando a colui dall'altro fianco, 9
Or dal «Inlstro ed or dal destro fianco. 9
E quella a cui 11 Savio bagna "1 fianco. 1
OuM^l*«tfS^'*T'^- ^«ntilAndo 11 fianco. 8
?^i„l.'* .'* r»*^ «•»• «el fianco 1
*- acqua splendeva dal sinistro fianco 8
19 9
10 98
99 69
17 67
81 16
10 99
97 00
17 60
81 14
4 74
10 96
97 .69
81 18
19 4
98 67
Sedevi coi dal mio sinistro fianco.
Quando Beatrice in sol sinistro fianco
Tra tirannia si vive e stato franco.
mChe dritto di salita aveva manco.
Là, dove okio ingegno parM^ manco
Fosse *1 partire, assai sarebbe manco
O per tremoto, o per sostano manco:
m S' esser vooi lieto assai prima che etaaco.
u Aquila si n<m gli s* affìsse anqnanoo.
Certo, Maestro mio, diss'io, ongwancc
aada
b Che venia verso noi dall' altra banda,
Virgilio mi venia da quella banda
La carne de' okortaU è tanto blanda.
e Per che qoal segoe loi, com'ei comanda,
d B della gente. «ìhe per Dio dimanda,
E però non attese mia dimanda;
11 buon Maestro, senxa mia dimanda,
Sappia, qualonqoe il mio nome dirai nda.
Già non attendere' lo toa dimanda,
ff Dal nascer della qoerda al fisr la rhlanda.
La dolorosa selva le è grhlrlanda
Le belle mani a fkrmi ona ghirlanda.
i Perchè da nolla sponda s'inffhirlaada:
Foor di qoel mar che la terra inghirlaada.
1 rdico, che arrivammo ad una landa.
Donna veder andar per ona landa
r Quivi fermammo i |»edi a randa a randa,
e E per dolor non par lagrima apanda:
Di pentimento che lagrime spanda.
La maggior valle in che 1* acqua si spanda.
Che per diversi salti non si spanda:
▼ Ma il soo pecolio di noova vivanda
Se'Lete si passasse, e tal vivsmda
aade
b Looe con loce. gaodiose a blande,
g Fé' savorose con fiuue le g-hlande,
Volgeansi circa noi le duo rlU.rlande;
Cosi vid'io l'on dall'altro r>*ande
Poiché 1 trlpodio e l' altra f^ta grande
Godi. Fiorenza, poi che se' si grande.
Per eh* egli è glorioso, e tanto grande
p Presso al compagno, 1* uno ali* altro pandc.
Laudando il cibo, che lassù si praade.
e E per lo intemo il nome tuo ai apande.
▼ Mele e locuste tonai le vivande.
aadt
a Or vo* che sai^i. innand che più andi,
d Pio gaodioso a te. non mi dimandi.
Lo buon ìlaestro a me : Tu non dimandi
Mostrarti un vero, a quel cIm ta dlmasdi
ff Sua previdenza in questi corpi g>randi;
Ch* avean le turbe, ch'eran mcdta e granii
To credi *l vero ; che i minori • i gnsdi
p la che. prima che pensi, il peoaler pandi.
m Lo Ben, cIm tutto U regno che ta •eaadi
aisd*
a La rivestita voce allelniando ;
Deus, venerunt gentf»^ alternando
Verace amore, e ohe poi cresce amando.
Udendo quello spirto ed ammirando ;
Allora *1 mio Signw, quasi ammirando,
Egli si mosse ; e poi cosi andando,
E vidi spirti per la fiamma andando :
Allor si mosse centra *1 fiume, andando
Suso andavamo ; ed io pensava andando
Con gli occhi a terra stannosi ascoltando.
Ma che s'arrestin tacite, ascoltando
b Di qui laggiù, sovra ad ogni altro baodo.
Più ch'i' non deggio. al mio uscir di Uaè»
Dell' umana natura posto in bando :
Cotal, qnal lo la lascio a maggior bande.
Quale i beati al novissimo bando
e Cosi, benedicendomi cantando.
Veni, sponsa, de Libano cantando.
Del grand' ardore allora odi' cantando ;
L'apostolico lume, al eoi comando
Trasse le noove rime, cominciando^:
E va rabbioso altrui così eonciaadcÙ
lo
— u —
llrinaiml a lui é\ dimandando :
tome pieno tatto *1 mio dimando,
l comtmslA : lo dico e noa dimando
itia *1 disio, fo ben •* io non dimando,
or eh* io feci il subito dimando.
loella non rispoee al rao dimando;
io lo soddisfeei al eoo dimando.
Mta chiese Loeia in soo dimando,
idaro a noi : Qui è rostro dimando,
aver al può diletto dimorando,
dmi qaaU è quei, che disiando
r le eelTatl^' ombre, disiando
paescTgglar la costa intomo orrando,
indi abbraccia '1 servo, ffratnlando
rò si partoa Soddoma gridando»
rruar^ntdo « 6 65) g-oardando
mllmi tn ancora, inoomlnoiando
donno inoomindaroa lacrimando :
Joesto impedimento, or* io ti nuu&do,
la cima qua e là menando,
ilTiato e c<msorto menalo nando 7
ninciò a erollarsi mormorando
i per Carlo Marno, e per Orlando*
a sonò si terribilmente Orlando,
)1 di ponte in ponte altro parlando,
» dice a Moisè, di sé parlando :
n per6 visti, spiriti, parlando
per la vira luce paaseg>c-iando.
A' sì chiaro, eh* lo dieea pensando :
I dietro a sua bellexxa, poetando,
mmi, e fommi nutrice poetando :
r Virgilio si trasse a lei predando
DBariendo la rista a quando a quando.
Sole, ed io non m* era accorto ; quando
^à cascherò io altresì, quando
poco Ite tra uno ed altro quando,
io a Ini : T mi son un ehe, quando
nimmo ; e tenevamo '1 colmo, quando
lontre all'un eentii cominciar: Quando
«ò voce di ftiori. e disse : Quando
I mi stav* io. Ed ella disse : Quando
, quella ood' io aspetto il come e *1 quando
vivutodllà ''
i quando
Shpponta ogni ubi ed ogni quando,
quei Roman, che vi rimaser, quando
pò la dolorosa rotta, quando
i«, ed io a te lo raccomando.
Uetro a noi Tandò reiterando.
so. mo giù e mo riolrenlando
tacque lìeatrioe, rlcnardando
Moderai più doglia, riguardando,
l tomolo dei suo voto riguardando
»ta volsi 1 passi, ripensando
del venir piò e piò risohiarando.
U muoversi un'altro roteando ;
Kiol passo con picciol aernitando.
U oontra eè la sua via seguitando,
laadavaae gir, solo aruardando
ei detta dentro, vo sirnlfloando.
» preoodecter me slmoneg-clando,
àrdua sua materia terminando,
1 collo r assennò si, ehe, tirando,
l'Aretln. ehe rimase tremando,
dò. per ehe già Cesar, trionfando,
aiutaa 1* arsura Terrornando.
B* oedilo segue suo ikloon Telando.
prima voce, ehe passò volando,
sado eoa trombe, e quando eon campane, 1 £9 7
rsennata latrò, A come cane % 1 90 SO
uido Ali desto innansi la dimane, 1 88 87
h ascoltando, timida si fané t 8 27 83
tatto sannnto. e OralKiaoane, 1 91 199
aretini ; o vidi gir «naldane, 1 99 6
BOD cose nostrali e eon latrane | 1 29 9
be dipinge da sera e da mane, 8 97 98
Katelotomo lo boUentt pane: 191194
eran eon meco, e dimandar del pane. 1 88 88
some donna onesta, ehe permane 8 97 81
Q' assetate vene, e si rimane 8 96 88
seofM 1 3S 95) sane
padre e 1 ilgli; e oon raents aoane 1 88 86
8 16 48
1 16 78
8 9d 10
8 91 48
1 18 78
8 6 ee
1 10 186
1 9 07
8 4 18
9 7 08
8 98 14
9 90 6
9 7 60
8 94 140
8 90 78
8 96 48
9 88 8
1 9 06
1 90 88
9 16 46
1 20 86
8 18 4^)
1 81 18
1 91 1
8 96 41
8 18 90
8 81 40
8 91 44
8 80 88
9 91 08
8 0 07
9 95 190
9 4 10
1 19 70
8 93 10
9 94 69
1 91 8
8 10 89
1 90 00
8 81 07
8 91 40
8 91 100
8 90 19
1 16 77
1 81 10
1 9 00
9 18 80
8 81 48
8 99 8
9 81 60
8 81 44
1 10 189
8 98 18
8 18 41
9 90 0
1 31 14
8 6 06
8 94 64
1 19 74
8 80 86
1 80 20
1 80 81
9 96 77
9 86 81
8 18 46
9 13 88
t Che tutto intero va sopra le tane. 1 91 196
Ma né di Tebe ftarie. nò Troiane 1 80 99
n Non punger bestie, non che membra umane, 1 80 24
Prende nel core a tutte membra umane 9 M 40
▼ Ch* a (hrsi quelle per le vene vane. 9 96 49
f AUor disse *1 Maestro : Non si franca 1 99 99
p Credo che un spirto del mio sangue piang-a 1 90 90
r Attendi ad altro ; ed ei là si r&manca. 1 90 94
anse
e Donna è gentil nel del, ehe si oomplance 1 9 84
f Di quella eoste, la dov'ella frange 8 11 49
81 che duro giudido lassò firange. 1 9 90
cCome Cs questo talvolte di Oance. 8 11 61
p Da Porte Sole, e dirietro le plance 8 11 47
t Che la vostm miseria non mi tane»» 1 9 09
Ansi
e Nel mondo suso ancor io te ne oancl | 1 89 188
mOdio sovra colui ohe tu ti mangi, 1 89 184
p Cbe se tu a ragion di lui ti piansi, 1 89 136
anso
f Dinanzi mi si fl»ce un pien di fanso,
p Rinpose : Vedi ehe soa un che piango,
r Ed io a lui: S'i'vcgno, non rimanso;
ansno
a Che è occulto, come in erba Tansae.
1 Perch* una gente impera, e l' altra lansue,
Quaggiò, dove TafTetto nostro langue,
• DI gente in gente, e d'uno in altro sansae.
O poca nostra nobiltà di sangue,
ani
a E già, per gli splendori antelucani,
Buona umiltà, e gran tumor m' appiani.
0 Dicendo : Via oostà eon gli altri oani.
Urlar gli Cs la pioggia come cani :
Non altrimenti (kn di state i cani
Queir avvocato de* tempi cristiani,
1 Tre pasd d fitcea '1 fiume lontani ;
Quanto, tornando, albergan men lontani,
D'un altro pomo, e non molto lonteni.
Che l'aU sue. tm Uti si lontani.
mCom' io dell* adomarmi colle mani ;
Vidi gente sott* esso alzar le mani.
Allora stese al legno ambe le mani ;
Per li miei prieghi ti chiadon le mani.
Di qua. di là soccorrean con le mani.
Ecco Pangel di Dio: pi^^a le mani:
E *1 ventre largo, ed unghiate le mani ;
Mi volse, e non si tenne alle mie mani
A recar Siena tutte alle sue mani.
Traendo piò oolor eon le sue mani.
Similemente agli splendor mondani
p Volgonsi spesso i miseri profani,
r Già deU*otteva con sete rimani.
Spirito maledetto, ti rimani ;
• Quegli ò, rispose. Provenzan SalTanl t
Ciò che tu vuoli. che conservi sani,
O voi. eh* avete gì' intelletU sani.
A rimpalmar li legni lor non sani.
Fanno lamenti in su gli alberi strani.
Sotto '1 velame degU versi strani.
t O da pnld. 0 da mosche, o da tafani.
Or se tu l'occhio della mente trani.
Che cacciar delle Strofkde 1 Troiani,
u Vedi, che sdegna gU argomenti umani.
Vinca tua guardia 1 movimenti umani:
Ancora freno a tutti orgogli umani.
Oltre la difension de' senni umani :
Ale hanno late, e colli e visi umani,
T Che permutasse a tempo li ben vani.
Quasi bramosi fantolini e vani,
Di Malebolgo. e gU altri pianti vani;
Quale neU'Arzanà de* Tinlsiani
anna
a A retro va chi piò di gir s* aHanna.
Non per lo mondo, per cui mo s' affanna
1 7 84
1 7 62
8 10 8
1 7 80
8 16 1
9 97 109
9 11 110
1 8 49
1 e 19
1 17 49
8 10 119
9 98 ^0
8 97 111
2 84 104
9 2 33
8 97 107
9 94 106
1 8 40
8 SS 39
1 17 47
9 2 29
i e 17
1 0 69
8 li 123
9 98 68
1 7 77
1 e 21
8 10 128
X 8 3b
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8 83 sa
1 0 61
1 91 9
1 13 16
1 9 63
1 17 61
8 10 121
1 13 11
8 9 31
8 83 37
8 88 72
1 7 81
1 13 13
1 7 79
a 94 108
1 91 6
1 91 7
8 11
8 18
arnia
— 12 —
La virtò, eh* a ragioa discorso ammanna,
DI quel, che il elei veloce loro ammanna»
Di contro a Pietro Tedi seder Annat
Sapere, e di color, che la tè assaana.
e Con gli altri, innanzi agli altri apri la oanna
Ov* e questa giastida che *1 condanna 7
Tal colpa a tal martirio lai condanna :
1-: disse : O tu, coi colpa non condanna,
IT O madre sua veramente Oiovanna,
1 E, se r antiveder qui non m* incanna,
Se troppa simlglianza non m* inganna :
Con liu son va, chi da tal parte ioganna :
Che r obbietto comon, che '1 senso Ingannai
mDa* oggi a noi la cotidlana manna.
Quel duca, sotto coi visse di manna
Ma per amor della verace manna.
n Colui, che mo si consola con nanna.
o Fan saoriflcio a te, cantando Osanna,
E nelle voci del cantare Osanna
Che non muove occhio per cantare Osanna.
0 Or tu ohi se*, che vuol sedere a scranna
Con la veduta corta d' una spanna 7
amie
e La gittò dentro alle bramose oanne.
s Le bocche aperse e mostrocci le sanne :
E *1 Duca mio distese le sue spanne,
anni
a la non curar d' argento né d' affanni.
S'arresta punto, ^ce poi cent'anni
Che fé' Cidlia aver dolorosi anni :
Sofferse, e poi T inferno dà due anni.
Qu&l fùr li vostri antichi, e quai far gli anni.
Ma disse : Taci, e lascia volger gli anni :
Né hanno air esser lor più o meno anni.
Olà discendendo 1* arco do' miei anni,
Lasciala tal. che di qui a miiranni
Di questa fiamma stessi ben mill'anni,
L'un degli quali, ancor non è molt'anni,
Ravenna sta, com* è stata molt' anni :
Per la novella età, che pur nove anni
Egli è Ser Branca d'Oria; e son più anni
Da qualche parte il periglio V a« sanni ;
d Fosd chiamata ; e fUi degli altrui danni
Che va piangendo i suoi etemi danni.
C^me air annunzio de' futuri danni
Quivi si piangon li spietati danni :
Giusto verrà dietro a' vostri dannL
ff Così di contra quel del gran Giovanni,
Moisè, Samuello, e qnel Giovanni,
(ho quei, che son nel mio bel San Giovanni,
Ditemi dell*ovil di San Giovanni
1 Ma pria che '1 Guasco l' alto Arrigo in^ an •
M'ehbe chiarito, mi narrò gl'inganni [ni.
Io credo, dissi lui, che tu m'ingauini;
E perchè tu non credi ch'io t'inganni,
E se tu credi forse ch'io t'inganni.
p Però va' oltre: l'ti verrò a' panni.
Con le tue mani al lembo de' tuoi panni.
E mangia e bee e dorme e veste panni
s Tra esso degne di più alti so%nui ?
Della donna del dolo, e gli altri scanni
Non lianno in altro cielo i loro scanni,
E questo fia suggel eh' ogni uomo scanni.
t E '1 gran Centauro disse : El son tiranni.
Senza guerra ne' cuor de' suoi tiranni ;
▼ Sì che Cervia ricopre co' suoi Tanni.
anno
a Per sua diffi<a in pianto ed in affanno
Se si ritrae, cadere in più aflknno
Io gli risposi: Ciacco, lo tuo afl&nno
In quella parte del giovinetto anno,
Quante sì (Ktte ftivole per anno
d Voglia assoluta non consente al danno ;
t on tristo annunzio di futuro danno,
l lì. •*l'* *** quelle che temono il danno
K ?«- ^?' P*^' ^^ * '^*?P*'' ^or «Janno,
V -^«^ 1? *f "^ "on '^«der lor danno.
■> che fa u prinj». e l'altre tanno.
929
40
a 28 107
8 82 188
1 18
99
1 98
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1 98
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1 18
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9 89
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8 82 181
8 19
84
9 93 111
9 11
11
8 98
61
8 32 140
8 18
79
8 18
81
1 8
97
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98
1 e
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8 17
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1 10
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1 12 108
8 82
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98
8 9
4
8 4
88
9 18 114
9 14
65
9 97
86
1 19
19
1 97
40
3 17
80
188 187
9 14
69
9 18 110
1 10
49
9 14
67
1 19
106
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6
8 89
81
e 4
90
1 10
17
8 16
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-8 17
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67
8 16
76
9 8
89
Di sotto lai cotanta cerna tenne :
Che la fona al voler si mischia ; e (^nno
Tutti r ammiran, tutti onor gli (knno :
Che l'anima col corpo morta fknno.
Quivi le brutte Arpie lor nido fhnno,
8\ come 1 peregrin pensosi tkono.
Perchè '1 turbar, ohe sotto da sé fiuino
E quelle cose, che di lor si (hnno.
Se non che i cenni altrui sospicar fanno ;
Che di su prendono, o di sotto fknno.
Il Creata fu la materia eh' egli hanno ;
Ch* onora te e quei eh* udito l' hanno.
Qoelle fiere selvagge, che in odio hanno.
Suo eimltero da questa pare hanno
Le distinzion, che dentro da sé hanno.
Poscia che le cittadi termine hanno.
8 81
8 4
1 4
1 10
1 1$
2 93
9 96
8 7
9 12
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3 7
1 2
1 19
1 10
8 2
8 16
i Per lo qual non temesti torre a Incanno 1 19
mHa ella tratti seco nel malanno.
p Che le cappe fornisce poco panno.
r Che si volgono ad essa e non ristanno ;
8 Vidi il maestro di color che sanno.
Sì che le pecorelle, che non sanno.
Semplici e quete. e lo perchè non sanno;
Quasi scornati, e risponder non sanno.
Ch'io ne mori*, come i Sanesi sanno.
Ed egli a me : Vedrai quando saranno
Venni quaggiù dal mio beato scanno,
E come quinci il glorioso scanno
Che non pur non fatica son ti ranno
Ad una, a due, a tre; e l'altre stanno
Tal mi féo' io, qui son color che s^^anno.
Che innanzi agli altri idù presso gli stanno. 1
Che tutte queste a simll pena stanno 1
Di vèto i semieireoli, el stanno 8 81
t Quando di Giosafl^t qui torneranno 1 10
V Che, quanto posson, dietro al calor Tanno, 9 98
9 11
8 11
9 98
1 4
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1 19
4
6
Allor feo'io come color che vanno
Comincia' io; ed egli: Ombre che ranno
Questi organi del mondo cosi vanno.
E vagabonde più da esso vanno.
Parlerei a que' duo. che insieme vanno.
In queste srelle, che Intorno a lor vanno.
Come son ite. e come se ne vanno
E già le notti al mezzo d\ sen vanno :
Ma dimmi, se tu sai, a che Terranno
Per quell'amor che i mena ; e quei verranno. 1 0
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1 6
a Di nostra Donna in sul lito adriano.
L' alto preconio, che grida l' arcano
Traversa un* aoqna e' na ninne l' Arcliiaao.
b Torneandosi co' denti a brano a brano.
E quel dilacererò a brano a brano ;
0 Che ciascon suo nimico era cristiano.
Parte dall'altra, del popol cristiano;
Per te poeta fui, per te cristiano:
d In quel loco fu' io Pier Damiano,
t E fa' saper a* duo miglior di Fano,
f Cesare fui, e son Oinstiniano
Atamanto divenne tanto insano.
Che infine ad essa gli par ire invano.
Per le rotture sangulnentl, invano.
Molta virtù nel del sarebbe invano,
ÌV. vano t 9 81) invano
S Pietre Mangiadore, e Pietro Ispano.
1 Avendo guerra presso a Katerano,
Stopetecensi, quando Laierano
Di quella valle fta'lo llttorano.
Che ftiggla innanzi, sì che di lontano.
Quanto 11 senso s' inganna di lontano :
Forse seimila miglia di lontano.
Ancora era quel popol di lontano.
Punge, se ode squilla di lontano,
E se dal dritto più o men lontano
Le cose, disse, che ne son l<nitano:
Ovidio è '1 terzo, e l' ultimo è ILnoano.
mAndar carcata dia ciasonna snano,
Snrta, che l'ascoltar chiedea con mano.
Queste si perootean, non por con mano.
Quanto un buon gittator trarria eoa mano :
Non fu nostra in'.enzion oh' a destra mano
A vostra facultate. e piedi e mano
Ed una spada nuda aveva in mano.
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'ebbe 1 nlmlcl di suo donno in mano,
faecte ninfe, eoo quei luiuì in mano
^r«mò il mondo Vi, di nmno in mano
ra colai con quella spada in mano,
colormr distenderò la mano.
'allA prim'arte d«gnò por la mano:
i distendi oramai in qua la mano ;
i caramente mi prese per mano,
eseml allor la mia scorta per mano,
nto «en Ta, che te meriaiano
itan profeta e il metropolit»no
giù e su dell'ordina mondano.
n qneatl Fiorentin son Padovano,
de terra nel meszo del pantano,
di genti fangose in quel pantano,
nar si tolse, e lasdolli di plano,
mai tomi a veder lo dolce piano,
ij^gendo a piede e sanguinando il piano,
ina già^ r ombra quasi al lette piano.
>i andavam per lo solingo piano
no«tra Tla, ristemmo sa In un piano
«poso : Andiamo in là, eh' ei Tegnon piano :
ti corpo etto, ed un suo prossimaao.
Snella Roma onde Cristo è Romano.
Fiorenza in popol giusto e sano,
l'altro che Tobia rifece sano.
U sarai tn poco tempo nllvano,
h mercatante in terra di Soldano :
Idil seder sopra 1 grado soprano,
ridando : Vegna 11 cavalier sovrano
i' tuoi amori a Dio guarda il sovrano,
irattier (ù non picclol, ma sovrano,
««li * Omero poe'a sovrano,
sciocche '1 tetto men ti pala strano,
T Semelè contra *1 sangue tebano,
) Genovese parte dal Tosoano.
Santa Chiesa con aspetto nmano
i, |«r ftaggire ogni consorzio umano,
tsorerebbe in tre volte un corpo umano :
. che al divino dall'umano.
1 io adii : Per Intelle to umano,
alla sapem di vostro stato umano,
nva giostizla, e primo tempo umano:
Sisto e Pio e Calisto ed Xrrbano
visse, e vi lasciò suo corpo vano.
t, dove il nome suo diventa vano,
»e. »e r antiveder qui non è vano,
lando s' appressano, o son, tutto è vano
>rtileinente ; ed ora è tetto vano,
Illa sua sponda, ove confina il vano.
>ntro alle leggi trassi il troppo e 'Ivano,
l'io dirizzava spesso 11 viso in vano,
land' io incominciai a render vano
cortesia fa lui esser villano,
ippi che '1 mio vicin Vitaliano
ìé la natura del monre ci aSransa fi 97 74
lall si fanno rundnando manse fi 37 76
^>ra le cime, innanzi che sien pranse, 2 37 78
anta
>1 dire, e con la luce che m' ammanta ; 8 fil 66
ugnre, e diede il punto con Oalcanta 1 90 110
el modo ehe li tegoente canto canta. 8 0 133
a r altra che volando vede e canta 8 81 4
ctripilo ebbe nome; e cosi '1 canta 1 90 US
on o»en ah' all' altro Pier, che con lui canta ; fi 7 195
atta està ffente, ohe piangendo canta, 2 93 64
aceva dir 1* nn No, raltro SI can'a fi 10 60
ella melode che lassù si canta. 8 91 114
Ispose a me; però qui non si canta 8 SI 62
r non lo intesC nò quaggiù si eanta 9 88 61
1 soo Leon cinquecento cinquanta 3 16 87
la bontà che la fece ootanta ; 8 816
dito questo, quando alcuna pianta 9 98 116
t campo, e seminar la buona pianta, 8 94 110
a toa dita, che di colai è pianta 8 0 1S7
ftlore aprendo, s'innovò la pianta. 9 82 09
"ani* ò del seme soo minor la pianta, fi 7 197
i lor medesme, e non toechin la pianta, 1 18 74
l tusm celar qaal hai vista la pianta, 9 88 66
} fai radice della mala pianta. 9 SO 48
1 99
88
9 88
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1 17
68
Cade virtù nell'acqua, e nella pianta
A rinfiammarsi sotto la sua pianta.
E di cui è la invidia tanto pianta,
q Dinanzi parea gente ; e tutta quanta.
Più grata fia, per esser tutta quanta :
Ben lo sai tu. che la sai tutta quanta.
Nò la nota soffersi tutta quanta.
8 Lo carro e i buoi traendo l'arca santa,
E saper dèi. ohe la campagna santa.
Finito questo, l'alta corte santa
Che solo all' uso suo la creò santa.
Come la carne gloriosa e santa
Deatro al suo raggio la figura santa.
Mi si mostrava la milizia santa,
Al parto in che mia madre, eh' è or santa,
In teme e in sete qui si rifa santa.
Giù per li gradi della scala santa
In cui riviva la sementa santa
DI Giosuè in su la Terra Santa,
Sì, che buon fhitto rado se ne schianta.
Qualunque ruba quella o quella schianta,
E fì*atto ha in sé, ehe di là non si schian'a
t L' arder la vision, e quella è tanta.
Fu fatto il nido di malizia tanta.
Ch' io attenda di là, ma perchè tanta
V Costanza di marito ancor si vanta.
ante
a Esser baciato da cotanto amante.
De' miei maggior mi fer sì arrog-ante,
E vidi le fiammelle andare avante.
Quel giorno più non vi leggemmo avante.
Da' denti morsi della morte, avan'e
Mi disse, '1 viso un poco più avante.
Secco vapor non snrge più avante
Allor porsi la mano un- poco avante.
Che si chiama Aoquacheta suso, avante
Ogni uomo ebbi in dispetto, tanto avante,
Quando noi fummo fatti tanto avante,
Io vidi una di lor traggersi avante
b Mentr'è di qua. la donna di Brabante,
0 Affé to al suo piacer quel contemplante
d Che già nnove qulstlonl avea davante.
Che quella di colui che gli è davante :
In che si mise, oom' era davante.
Che tal è sempre qual era davante.
Ch' io '1 vedea come '1 Sol fosse davante
Ch' ella ci vide passarsi davante.
Perchè volle veder troppo davante.
Per ch'io mi volsi, e vidimi davante
Che quantunque io avea visto davante.
Che mi sembiava pietra di diamante.
Poi si rivolse tutta dislante
Che solo il fiume mi tecea distante
e Che più savio di te già, fece errante.
Addimandò: ma contra il mondo errante
Chi crederebbe giù nel mondo errante.
f Ma come d' animai divegna fante,
E sallo in Caropagnatico ogni tente.
Di quella sozza scapigliata tente.
Pure a quel eh' io ricordo, che d' un fante.
Porfido mi parea sì flammefffflante
e La virtù ch^ è dal cuor del ff e aerante,
Vidi di costa a lei dritto un «-Ic-ante,
Onde rifùlge a noi Dio giudicante
1 Creata fu la virtù Informante
1 Prima da monte Ve««o invér levante
o Sì che nulla le puote essere ostante.
p Che la luce divina è penetrante
Dietro alle poste delle care piante.
L'anima d'ogni bruto e delle piante
Qualche firaschetta d'una d'este piante,
Sopra Questo teneva ambo le piante
Fa sì che tu non calchi con le piante
Quella col capo, e quella con le piante ;
La flagellò dal capo infln le piante.
Ov' ha 'l vicario di Pietro le piante
La greve pioggia, e ponevam le piante
Del qual ti tescian ventiquattro piante.
q E cominciò : Le cose tutte quante
Come libero fui da tutte quante
Anime fortunate tutte quante.
Cambiandosi lo membra tutte quante ;
ante
^ u —
ai
Col tìbo ritora&l per tutte quante 8 9S 183
CoDobber l'altre, e legntr tutte quante. 8 7 86
Elle giaoean per terra tutte quante. 1 6 87
■ Sì che t' aTacd 1 lor divenir santa, 9 6 87
Lo raggio e il moto delle luci sante. 8 7 141
Foese la quinta della luci tante t 8 SO 60
Li raggi delle quattro luci tante 9 1 87
Piover, portata nelle menti tante, 8 89 89
Sicuri appretto le parole tante. 1 0 106
E cominciò quette parole tante : 8 83 S
Quìtì tto io con qtiei. che le tre tante 9 7 84
K U tronco tuo gridò : Perchè mi aolilaiit*? 1 18 83
Atea di Tetro e non d'acqua sembiante. 1 8S 24
Lo del del giutto rege ; ed al lembiante 8 90 66
E di tratti pennelli avean lemblante : 9 89 76
La creatura, ch'ebbe il bel sembiante, 1 84 18
E non fé' motto a noi ; ma fe' tombiante 1 9 101
Qui ti taoette, e Cacemi temblante 3 9 64
Vedi Tiretia. che mutò temblante. 1 90 40
Turbato un poco d'in nel tembi&n'e: 1 98 146
OU occhi drlzxò Ter me con quel temblante. 8 1 101
Non perchè più eh' un tempUce tembi&nte 8 88 109
Ne mi mostrò di Dio tanto temblante. 3 82 98
Lo tuo tacere e '1 tramutar temblante 8 6 88
Tal. ch'io torriti del tuo vii tembiante. 8 99 185
Portava, a' tuoi capegU simiffllante, 9 1 86
Che r univeno a mo fa timiffliante. 8 1 106
Che motte me a far lo timlgUante. 9 9 76
(V. simigliaste) somigliante
Ed or t' accotela. ed ora è in piede stante. 1 18 189
t Né corrutcar. nò figlia di T»nm»nte 9 91 60
La bocca mi badò tutto tremante : 1 6 186
S' appretenti alla turba trionfante, 8 99 181
▼ E a Forlì di quel nome d vaoante, 1 16 90
Non la fortuna di primo Tacante. 8 18 99
Ma perchè l'occhio cupido e.vaffante 8 89 164
Di tanta molUtudine volante, 8 81 80
antt
a Francesco e Povertà per quetti amanti
Un corollario voglio che t' ammanti,
O dolce amor, che di riso t'ammanti,
NegU atU l'altre tre ti fero avanti.
Gli tolte '1 trapattar del fdò avantL
E poi che ftunmo un poco piò avanti.
E disse : Pria che noi tiam più avanti,
E nulla vidi: e ritortiU avanU
Vegnati voglia di trarreti avanti,
E 1 diavoU si fecer iuta avanti,
o E che non muove bocca agli altrui oantl.
Vie pib lucendo, oomindaron canti
Traemmod coti dall' un de' oanU
Che t' apprettavan da diversi canti.
Vidi quivi a' lor giuochi ed a' lor canti
I>alle Infernali I che quivi per canti
E toman lagrimando a' primi canti,
Tanto eh' lo posta intender che tu canti.
Ch' io ritratti le ville o^roostanti
Quetti altri ftiochi tutti oontemplantl
Yeggendo tè tra nemld cotanti,
d E raccottàrsi a me. come davanti,
Uno manendo in tè. come davanti.
Or quel che t'era dietro t'è davanti,
Che per lo pian non mi parea davantL
E vidi poi. ohe noi vedea davanti,
f E cosk vid' io gik temer U fanti.
Vidi più di mfile angeU festanti,
g Simil farebbe tempre a' veneranti.
Sappi che non son torri, ma gigaaiiit
mGuardalmi innanzi, e vidi ombre con manti
p Senza mio lagrimar non fùr lor pianti.
Perocch' io vidi Aiochi. e sentii pianti ;
Si consonava a' nuovi predicanti ;
q Conoscerete voi di tutti quanti.
Dall' umbiUoo in giuso tutti quanti.
Sì che veder si potean tutti quantL
B Era negU occhi a tutti gli altri santi.
Ow fis nascere 1 fiori e 1 flrutU tanU.
Ora Michele, e Pietro, e tutu i Santi.
™2w>o ester eaglon de'^pensier santi:
Ch aveano spirto sol di pensier tantìi
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1 91 94
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9 18 47
8 89 84
1 17 199
9 99 80
9 7 89
1 81 88
1 4 117
8 81 186
8 89 48
8 18 61
9 81 188
8 8 84
8 li 78
8 90 16
Già montavam tu per gli teagUea tanti,
Vennermi poi parendo tanto tanti.
Ti tcaldi, t* io vo' credere a' semblaAti,
Colui che più ded'alto. e Ik tembianU
La ìor oonoordia e i lor lieti sembianti.
Attenti ad atooltar ne* lor tembianiL
Di grande autorità ne' lor tembianti :
Quelle ttimando tpeeddati sembianti.
Lo viso mio terni va i tuoi tembianU;
t Dell'eterno Valor, potda che tanti.
Che per vederti ha motti patti tantL
Farti, e fioccar di vapor trionfanti.
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a Non era di ttnpor tremando affranto.
In lui di ragionarmi ancora alquanto.
Di dò ti piaccia contolu« alquanto
Rittaro, e tratter té indietro alquanto;
Da ch'ebber ragionato insieme alquanto,
hd aneha la ragion lo vede alquanto.
Per lo remunerar, oh' è altrettanto.
Più e man distributa, ed altrettanto.
Non tapendo 1 perchè. Cero altrettanto.
Di tua vittoria e del papale ammanto.
e Se non gli è rotto il cerchio d'alcun canto 9 89
Li nottrl voti, e vóti in alcun canto. 8 S
Di quel tignor dell' altissimo canto. 1 *
Memoria, od uso all'amoroso can'o 8 É
Tre sovra U tèmo, ed una in dascon canto. 9 tà
La luce in terra dal mio destro canto, 9 i
Sì che m'inebriava 11 dolce canto.
Sì com'io tacqui, un dolcissimo canto
Come t'avrebbe trasmutato U canto.
Sarà ora materia del mio canto.
B percosse del legno il primo canto.
Come 1 pastor ohe prima udir quel canto.
Sì cominciò Beatrice questo canto ;
Questa è Menra dal sinistro canto :
Ora conoscevi morto del suo canto,
E dar materia al ventesimo canto
Se di saper ch* io sia ti cai cotanto.
Senza tua perfezion (bsser cotanto.
E lo spirito mio, die già cotanto
E anetta torte, che par giù cotanto»
Deu* Ortolano etemo, am* io cotanto
Poeda che il grido t* ha motto cotanto ;
mO in etemo ftiticoso manto I
Sappi ch'io fui vettito del gran manto :
DeJ luogo in giù dov* nom t'affibbia il manto. 1 8L
Donna m'apparve, sotto verde manto 9 89
p Che ti bagnava d'angosdoso pianto : i so
Sì oh' io non posso dir. se non che pianto 8 9
Pd sospirando, con voce di pianto, l 19
Della regina dell' etemo pianto. i 8
Nd d allegrammo ; e tosto tornò la pianto : 1 8É
Dinanzi a noi chiamar così nel pianto, 9 9Q
Non odi tu la pietà del suo pianto! i a
Con loro indeme. intenti al tristo pianto: 1 SS
Tornate già in su 1* usato pianto.
q Lumi, li quali nel quale e nel quanto
Or pwohè in drooito tutto quanto
Io era già disposto tutto quanto
• Pd ripigliammo nostro cammin santo.
Trasformato così '1 difldo santo
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saa
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in
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ti
li
8M
Coti nel fiammeggiar del fulgor santo.
Pur stabiliti per lo loco santo,
E già la vista di quel lume santo
Ove sponestl il tuo portato santo.
Continuò così *1 prooMso santo :
Veramente qoant'io del r^no santo
Dicea con gli altri : Santo, santo, santo.
Al Padre, al FlgUo. allo Spirito santo
Fu il cantor dello Spirito santo,
Son del piacer dello Spirito santo.
Dagli serittor dello Spirito santo;
E non sai tu che '1 delo è tutto santo
t Tesifone è nel messo : e tacque a tanto.
Venendo qui, è affiuinata tanto.
Per la distanza: e parveml alta tanto.
Che non soccorsi quel che t* amò tanto.
Dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto
Ques'o monte saUo vèr lo del tanto,
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aocrite di tanto.
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.to nella vista, s'ello è tanto
y e dento ciò faceuer tanto,
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atro tutte piombo; e gravi tanto,
ìA 0 l' altra raota e U tdmo in tanto
intelletto ti profonda tanto,
%noo voto, ti poò render tanto,
Onmana. onde *1 mar non ha vanto? 1
laon •* averian dato mal vanto :
lesta andata, onde gli dai ta vanto
ansa
>▼« *1 ciel. che tntU gU altri aTansa.
acquista nel del, che t\ gli avanza.
> per via di foor dal monte avanza.
li. per quei di là, molto t' avanza.
•r^e che la tna virtute avanza ;
a Tinoe con tna beninansa.
ndo alla mia buona Ooatansa
è la luee della gran Cottania,
azione, e della doppia danna,
A e r altre moatero a tua danza,
e. per tentir più dilettansa
ra Ria t\ lunga diaXansa,
vellr di tubita diatansa.
Blcura. e per 1* altrui f allansa,
r ha dilatata mia ffidansa,
gru a me: L'onrata nominansa,
chi ton n'hanno cotanta orransa,
divien quant* eli' ha di possansa.
è la tapTenza e la postani
o patì la tnprema Poitan
)t 'I tene, e r ultima potsanza
. puntura della rimembranaa,
jominciò : Cosa non è che aanaa
parlando, e la bnona sembiansa
io U. ma di miglior tembianza,
^oconde. che la tua tembianza
teatrlce tratmutò tembianza ;
vrtttisa) sobransa
ni disae: Quel che ti so-vransa
guisa die l'uomo all'uom tovranza;
io disio, che pur con la speransa
Ido amore, e da viva iperanza,
IO a noe cantare eisa sastansa,
i «oo grado e contra buona nssnsa,
montagna, o che tia ftoor d' usanza.
k*è tanto di là da nottra usanza,
amai
h dovetti lor patteggiare ansi 7
a i patti vottiri in bene avansl,
sei di Lemotl credon ch'avanzi,
li agevolezze, o quali avanzi
te in mal (kr lo teme tuo avanzi t
là non m'afiatico come diansi ;
e *1 mio Maettro a Ini, pur dianzi
endo té ttetta ti dinansi.
Bderem con queeto giorno innansi,
» dunque a' nottri gradi innanzL
Iti. perchè del passare innanzi
to (ed additò uno spirto innanzi)
d' amore e proto dl^ romansi
(ktto é d'altra forma che non stanai,
•toia. Fittola, che non ttanzi
ape
•no In voi. t\ come ttudio in apa
or aalnte maggior corpo oape,
di lode 0 di biatmo non cape,
datarti ti che non vi cape,
b mente mia, tra quelle dapa
e ooetui. ohe tutto quanto rapa
> ti fdete, rimembrar non sape,
prime notizie, uomo non tape,
diio che più ama, e che più tape
*PP«
i a solver àncora, eh' a^irrappa
lo: Sovra quella poi t'aggrappa;
ra via da veitito di oapps.
mx tu montar di chiappe in ohiappa.
tu ti fronde, e da' piò ti ratteappa
8 0
0
8 18
88
8 8
67
a 80
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1 98
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8 82 140
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8
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1 4
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3 87
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1 84
80
1 84
81
184
88
1 18 188 1
appi»
e Qui ee% nelle parole tue mi oappia. a 81 81
s Ora ohi fotti piaodati eh' io sappia } 8 8170
Che qui vi piglia, e come ti scalappia, a 81 77
a Tu '1 tal ; che non ti fta per lei amara
E nulla pena il monte ha più amara.
Chi è colui dalla veduta amara.
Forte colà dove vendemmia ed ara ;
Da Dio anima ftai. del tutto avara ;
b Ed al tuo corpo non volle altra bara,
o O Beatrice, dolce guida e oara...I
Raocomandò la tua donna più cara,
Libertà va cercando, eh' è t\ cara.
Perche alla vieta mia, quant' ella è chiara,
La vette eh' al gran d\ tara t\ chiara.
La lucente tustanzia tanto chiara
d Ed io a lui : Dimottrami e diobiara.
Quel ch'avarizia fk, qui ti dichiara
t Poi tkrk ti, ch'ai vento di Fooara
i Ripetendo le volte, e tritio impara ;
P E del tuo grembo l'anima preclara
r £ virtù da cui nulla ti ripara,
s Alla dimanda tua non satiaffarat
Nel tempo che colui, che '1 monda sobiara,
Ma quell'alma nel elei che più si schiara,
(V. satis/ìtra 3 ti 93) soddisfarà
a Come la motca cede alla sansara.
Quando ti parte il giuoco della sarà,
arba
b Per udir te' dolente, alza la barba ; 8 81
d Con men di resltteDza ti dibarba 8 SI
J Ovvero a quel della terra di Jarba, 8 81
a 1 73
a 10 117
1 88 08
1 86 80
a 10 118
8 11 117
8 98 84
8 11 118
a 1 71
8 81 89
a 1 75
8 88 89
1 88 91
a 18 116
1 88 80
8 6 3
8 11 116
8 88 86
8 81 03
1 88 96
a 91 01
1 88
a 6
a Con quel della Sannella quel dell* jlrca.
Che non curaste di mettere in area.
L'aquila vidi tcender giù nell'arca
b Che tetto fla iattura della barca,
Collega fti a mantener la barca
Lo Duca mio ditoete nella barca,
O vd che tlete in picdoletta barca.
Non è pareggio da piccola barca
Per lui, 0 per altrui, ti eh' a tua barca
Quantunque può dateun, pinger tua barca ;
o M'andava io con quell'anima caroa,
Sovra la porta, ch'ai preiente è carca
Discemer pud che buona merce carca.
E l'omero mortai che se ne carca,
E sol, quand' l' fui dentro, parve carca.
Come colui che l' ha di pensier carca.
O navicella mia. com' mal' te' carca I
Quando gli apparve d'angeli s\ carca.
mQual non si sente in questa mortai marca.
P La sua natura, che di larga parca
Né -da nocchler, eh' a sé medesmo parca.
Infln lattù U vide il patriarca
E quetti fb il nottro patriarca,
r Che gli tia fotte e poi te ne ranunarca ;
E, qual etce di cuor che ti rammarca,
▼ Dietro al mio legno che cannando Taroa,
Ma quando ditte: Latda lui, e varca,
E nottra tcala inflno ad otta varca,
Quand' io udì'. Venite, qui ti varca,
arche
a Che teppelllte dentro da queU' arche
e Più che non credi, ton le tombe carcha.
a Ed egU a me : Qui ton gU eresiarche
i Per viver meglio esperienza imbarche I
mBeato te. che delle nostre marche,
s Ma poiché ftiron di stupore scarohe,
areta
■'Si^ !\.^v'**^-.** "??"*• • ** *«!'» »»rcla, 1 80 198
' 9^.® • *!.'*° "**• • »"»<>'• «ni rinfarcia; 1 80 196
s Allora il monetier : Coti ti sanaroia 1 80 184
area
a Per non venir tenza oontlglio ali* arco i 8 6 181
Su per lo toogUo inflno in tu raltr*aroo, 1 87 184
8 16 08
8 8 84
a 88 195
9 16 06
8 11 110
1 8 80
8 8 1
8 93 67
8 8 80
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a 18 a
8 16 04
8 11 193
8 98 65
1 e 87
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a 88 189
8 82 79
a 10 46
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a 88 197
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8 88 63
a 18 43
1 8 195
1 0 ISO
1 0 197
a 86 76
a 86 73
a 88 71
arco
— 16 —
Sin mi portò sovra H colmo dell' Arco. 1 18 188
Col cielo insieme avea cresciuto l'arco. 8 18 02
Al quale ha or ciascun disteso l'arco: a 16 48
Da troppa tesa la sua corda o l'arco, S 81 17
I' Tidl mosso me per tutto Taroo, 8 87 80
Che fé' r orbita sua con minor arco. 8 88 80
0 Da quel, ohe scommettendo acquistan oaroo. 1 87 180
(V. incaroo 1 30 12) carco
K '1 frifon mosse '1 benedetto carco, 9 83 SO
Nel qoal si (èco Europa dolce carco. 8 87 84
S\ scoppiarlo sott'esso 1 grave carco. 8 81 10
Quivi soavemente spose il carco 1 18 180
Suo si discarchi di vergogna il carco ; 8 18 08
Sotto i miei piedi per lo nuovo carco. 1 18 80
1 E quella si aùnegò con l'altro inoaroo. 1 80 18
Molti riflutan lo comune incarco: 9 0 138
Chò Questi che vien meco, per l'inearco 8 11 48
1 Prendendo Tun eh'avea nome Zi«areo, 1 80 10
mLombardo ftd, e fu' chiamato Marco s 9 10 46
p AI montar su. coiitra sua voglia, è pareo. 9 11 40
■ Co6\ prendemmo via giù porlo soaroo 1 18 88
Senza chiamare, e grida : Io mi sobbaroo. 9 0 185
vMa dilmi, e dimmi s'io vo bene al Taroo: 8 18 4i
E quegli accorto gridò : Corri al varco ; 1 18 SO
La lionessa e 1 lloocini al varco : 1 80 8
La bella donna che mi trasse al varco, 8 88 83
Che sarebbe alle capre duro varco. 1 19 188
SI ch'io vedea di 14 da Gade il varco . 8 87 68
E quale ò il trasmutare, in picdol varco 8 18 64
E la voce allentò per lo suo varoo. 8 81 81
Si va pib corto; e se o' è più d' un varco. 9 11 41
arda
a Fatta com' un secchione che tutto arda; t 18 78
b Cosi scopersi la vita bniriarda. 8 10 108
S" Lo Duca mio, dicendo: Quarda, rttarda; 1 81 88
Pesa il gran manto a chi dal fitngo 'I guarda ; 8 19 104
Per lo ubero arbitrio : o però guarda 9 18 74
1 Venimmo a lei: O anima lombarda, 8 6 OL
p Ma dimmi, se tu sai, dov'è Piooarda; 8 81 10
Ma riconoscerai ch'io son Piecarda, 8 8 49
r K se la mento tua ben mi rlg'uarda, 8 8 47
Tra questa gente, che si mi riguarda. 9 84 18
Sola soletta verso noi riguarda: 8 8 60
■ E cui paura subito sg-acliarda, 1 81 S7
t AUor mi volsi come l'uom. cui tarda 1 81 20
E nel muover degli occhi onesta e tarda ! 8 0 08
La mia conversione, oimè ! fti tarda ; 8 19 100
La luna, quasi a mezza notte tarda 8 18 70
Dissi : Ella sen va su forse più tarda. 9 84 8
Beata son nella spera più tarda. 8 8 01
arde
a Com' io, la carità che tra noi arda.
Di che *1 polo di qua tutto ouanto arde.
182 88
. , . J 8 90
ff E '1 Duca mio : Pigliuol. che lassù ffuarde? 8 8 88
*^ • • ^ ■ 1 82 80
I 88 84
I 8 80
r Pure al pcnsier, di che 8\ ti riguarda.
t Ma perchè tu. aspettando, non tarda
Pur là dove le s elle son più tarde,
ardi
a I^ Donna mi sgridò : Perchè pur ardi 8 89 01
Dall'ampio loco, ove tornar tu ardi. 1 8 84
b (> Romagnuoli tornati in bastardi I 9 14 09
Al tempo degli Dei filisi e bnriardl. 1 1 78
r E ciò che Tien dlretro a lor non riardi ? 8 80 OS
Ma dimmi la cagion che non ti guardi 1 8 82
1 K li parenti miei ftiron Ztombardl, 1 1 68
mOV è il buon Lizio ed Arrigo Manardl, 8 14 07
r Ov* Ercole segnò li suoi riguardi. 1 80 108
a Fin nel M&rrocco ; e l' isola de' Sardi, 1 80 104
t Di venenoìii sterpi si che tardi 8 14 95
Che r ubbidir, se già fosse m' è tardi ; 1 8 80
Io e 1 compagni eravam vecchi e tardi, 1 86 108
Nacqui tuo Julio. ancorché fosso tordi, 1 1 70
C he si movleno incontro a noi si tardi, 9 89 09
ardo
* ?,^® •*"' *"»« ▼Inse il vecchio Alardo; 1
^ edl, che non Incresco a me che ardo. 1
Rispondi a me. che In sete ed In fuoco ardo : 9
80 18
87 84
80 18
81 100
suo fedel Bernardo^ ~" 8 81 108
§J* ««?ina del delo, ond' l' ardo 8
b PwcS^'io Z*J:^?^^ ftioco <md'losempr'ardo 8 3
" r-oroccn io sono li suo fedel BemAÌ>ilo. ft i
Tanto che 'I venerabile Bernardo 8 II
A Ceperan. là dove fii bnvlardo 1 88
e* Currado da Palazzo, e *I buon Obarardo, 8 It
Che diceva: Anastasio papa sruardo, 1 lì
Per contrastare a Roberto Oulaoardo ; 1 29
Per quella croce, e Roberto Oniscardo.
1 Sarà la oortosia del gran bombardo.
La voc«, che parlavi mo lombardo,
Francescameate il semplice Lombardo.
r D' Isidoro, di Beda e di &ieoardo
Ch' avrà in te ti benigno riruardo.
Certi si feron, sempre con riguardo
Al tristo flato ; e poi non fla riguardo.
Questi, onde a me ritoma il tuo riguardo
Poscia trasse Guglielmo e Kinoardo,
a Duo ne segui Io mio attento ag-uardo.
L' amore a maraviglia e '1 dolce sguardo
Chò veder lui t* acuirà lo sguardo
Ma quella folgorò nello mio sguardo
Region ti conduce, ha nello sguardo
t Perch' lo sia giunto forse alquanto tardo,
Io dissi : Al suo piacere e tosto e tardo
Lo nostro scender convien esser tardo.
Gravi, a morir gli parve d' esser tardo.
Corse, e correndo gli parv* esser tordo.
L'antica età la nuova; e par lor tardo
K ciò mi fece a dimandar più tordo.
Fla primo quoL che tra gli altri è più tardo.! 17
O tu che vai. non per esser più tardo, 2 21
are
a Di là dal flumlcel. per aaualrara
1* son Beatrioe. che ti faccio aadara s
Non impedir Io suo ùitole andare,
£ là m' apparve, sì oom' egli appara
Quivi, secondo eh' io potè' aaooltara,
o E con ciò ch* è mestieri al suo oampa
Noi sapevam. che quell'anime oare
Che '1 mio anteoessor non ebbe care.
E per lo ftibbro loro a veder care ;
Facevan noi del cammin oontldare.
Ciò ohe per sua materia fe' ooaatare.
E il Duca a lui : Caron. non ti oraooiara ; 1 f
d Quando ta detto : Chiedi, a dimandai^. " *
Ciò cho si vuole, e più non dimandare.
CIÒ che si vuole, e più non dimandare.
Lo elei poss'lo serrare e dlaserrara,
a Non t'inganni l'ampiezza dell'entrare.
Cosi si mise, e cosi mi fe* entrare
f L' un disposto a patire e I* altro a fara«
Me tuttavia, e noi mi credei tkn.
Fin d' ora assolvo, e tu m' insegna fare,
e* Mentr'io mi dllettova di raardara
0 E giunto lui, comincia ad operare,
p Ma, perchè paia beA quel ohe non pare.
Dunque com^ costai fu senza pare t
Troppo di pianger più <^e di parlare.
Amor mi mosse, che mi fti parìare.
Tal mi foc'io. non potendo parlare.
Produsse osto visibile parlare
Verrai a piaggia, non qui : per paaaare.
Per maraviglia tutt'al ro penaare.
Come dò sia, se '1 vuoi poter pensare.
r Ancora all' Orse più stretto rotare,
a Che sognando deudera aoiraare.
Con questo monte in so la terra atare
t Qie 1 aura etema fìtcevan trajaara :
arsint
a SI, che dal fuoco salva l'acqua e gli ar#ÌBÌ. 1 U
mOra oen porta l' un de' duri asarrini; 1 U
arse
a Le penne piene d' occhi ; e gli occhi d'Argo, 8 21
Che fe' Nettuno ammirar V ombra d'Argo. 8 Si
1 Credo eh' io vidi ; perchè più di larg-o, 8 dS
Tanto, che in questa non posso esser largo. 8 M
Un punto solo m' è maggior letargo, 8 8^
a A descriver lor forma più non aparffo 9 8^
8 18
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a Rota fùr quivi, e vòlti negli amari
In campo gltmti coM<vo avjraraari i
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8 II
8 18
17 -
' 1« porte qne* nostvl avrertari 1 8 116
padri, e per gli altri che (ùr o»rl, 8 14 00
limali fe'ch'eirha più cari, 9 29 188
Surse drizzi gU occhi chiari, 8 18 106
le vecchi in abito dispari, S 90 18«
presi ad ogni altra dispari : 9 18 lao
l moetrava aloon de* famigliari 9 99 188
lon stette là con essi rtiAri, 1 8 113
M-udenza è qoel veder impari, 8 18 104
> intomo, di chiarezza pari, 8 14 87
■esi a me con pasti rari. 1 8 117
; che son molO, e i buon son rari 8 18 108
i d' orizzonte che rischiari. 8 14 89
aria
e In Ini che poteva aiutarla; 8 90 114
verace fede, a irlorXarla, 8 94 44
) il baccelller s'arma, e non parla, 8 94 46
la gloriosa, onde si parla, 3 90 118
Bghi ftitU a Dio per anaoitarla, 8 20 110
atarla, non per terminarla : 8 94 48
arlo
all'orto SQO, per aiutarlo.
itenea nella prigion di Carlo
«de tra Romagna e qnel di Carlo,
IO si, che to potrai chiosarlo.
oeflzio tuo senza ffinrarlo,
che morto son. convien manarlo
■i mosse spirito a nomarlo
, che solo innanzi agli altri parlo,
0 dirò, e scuro so ch'io parlo;
leo fti detto. Ed io ne parlo
it' è ver cosi com' io ti parlo.
1 '1 mio Maestro, a tormentarlo ;
8 18 79
9 11 187
9 6 69
9 11 141
9 6 65
1 98 49
8 19 68
9 5 67
9 11 189
8 19 70
1 38 61
1 88 47
Udo tu cantasti le crude armi
Ma i monti, e rompe muri ed armi ;
mio BeUisar commendai l'armi.
I di provedenza 6 buon eh* io m' armi,
a Fra Doldn dunque che s* armi,
mor già ti trasse le sue armi.
«Tien che di fortezza t*arml.
1 Cantor de' bucolici carmi,
perdessi gli altri per miei carmi,
ice Padre mio, per confortarmi,
ape verso me. per colpo darmi
per grazia piacque d^ inspirarmi
al fin de' passeggiati marmi x
to del grlfoo seco menftrmi,
i&io Uaestro piacque di mostrarmi 1
dodo lo mio Duca a parlarmi ;
lo: Gli occhi suoi già veder parmi
fao fin. eh' io dovessi posarmi.
Ange l' avarizia, per parlarmi,
•taron nel fosso a riguardarmi
0 ^ sarei per rinfrescarmi ;
: Fa' che le viste n<m risparmi ;
a mi si tolse, e fé* ristarmi.
non vuol qui tosto seruitarmi.
99 86
17 9
6 96
17 109
98 56
81 117
84 91
89 67
17 111
97 oa
17 107
6 93
17 6
81 118
84 17
17 4
97 64
6 97
99 63
28 68
97 50
81 110
84 19
88 67
^ ton'a luce affaticarne; 8 14 68
uo Maestro : Voi potete andarne, 9 6 81
loto in apparenza daUa carne. 8 14 66
OQ ti cura della propria carnet 9 90 84
corpo di costui è vera carne 9 6 88
^ ciò che potrà dUettarne. 8 14 60
^ hioootra noi. e dimand&me z 9 6 99
f«a. che pool tu più farne, 9 90 89
0 vender sua figlia, e patterriame. 9 90 80
n lo intendimento tuo aocarno 8 14 92
»« prima diesa, tu parU d'Amo. 9 14 94
^ foue che in sul passo d'Amo 1 18 146
nwo sasso, intra Tevere ed Amo, 8 11 106
uenttn discendon ginso in Amo, 1 80 60
;«5?'2r ^^'^ n«l ▼olto mi disoamo. 1 80 69
>w eatto lavorare indamo. 1 18 160
Sempre mi stanno innanzi, e non indarno;
Dirvi eh' lo sia. sarta parlare indarno ;
Troppo la gente, e per non stare indarno.
p Che le sue membra due annf portarne,
r Quei cittadin, che poi la rifondarne
aro
a Forse qoal diede ad Eva il cibo amaro.
Com' ella parve a me; perchè d'amaro
Giù per lo mondo senza fine amaro.
Sotto *1 quel tu nascesti, parve amaro.
Salvo che *1 ntodo v' era inù amaro :
Come uscir può. di dolce seme. anuun>
Dopo la tratta d* un sospiro amaro.
Poi ella e il sonno ad una se n' andare.
E forse a lei sari buon, s' io l' apparo,
li duo poeti all' alber s' appressare ;
S'io potessi ritrar come assonnare
^oo spermentar con l'antico avversare,
Dicendo : vedi lA '1 nostro avversare ;
e L' inno, che quella gente allor cantaro :
Ella si tacque. E gli angeli cantaro
Nel dire e nel guardar d' avermi caro 7
Gridò : Di questo cibo avrete caro.
Ditemi (che mi fla grazioso e caro)
Tu ti rimani ornai: chò '1 tempo 6 caro
Come Almeone a sua madre fe' caro
Grata m' è più ; ed anche questo ho caro,
Facdangll onore ; ed esser può lor caro.
Né credo che il mio dir ti sia men caro,
Però ti prego, dolce Padre caro.
S\ che, se luogo m' è tolto più caro.
L' esercito di Cristo, che si caro
Gli occhi a cui più vegghiar costò sì caro :
Quest'ultima preghiera, Signor caro.
Di vostra coscienza, si che chiaro
Si nel tuo lume, ch'io 4iscerao chiaro
Patto m'hai lieto, e cosi mi ftk chiaro.
(E drizzò gii occhi al del), ch'a te fia chiaro
Ella ti tolse, e come il dì fu chiaro,
Tra '1 padre e '1 figlio : e quindi mi ta chiaro
Conforme a sua bontà, lo turbo e il chiaro
Cadea dall' alta roccia un liquor chiaro ;
La Donna mia del suo risponder chiaro ;
Per quel eh' l'odo, in me, e tanto chiaro.
Per ereattira l'occhio tanto chiaro.
C^ni buono operare e '1 suo centrare.
d Fissi nell' orator mi dimostrare
Qui ti posò: e pria mi dimostrare
B tutti e sette mi si dimostrare
Indi all'eterno lume si drlssaro,
f E le labbra a Attica la formare.
ff Mostrava come i figli si ffittaro
Ma se le tue parole or ver g>iararo,
1 E come morie lui quivi lASciaro.
Oli occhi della mia Donna mi levare,
mE ritrarre a color che vi mandare.
Sì che, oom' elli ad una militare.
Nella fronte degli altri si mostrare,
p Venendo teco sì a paro a paro.
Che diretro ad Annibale pass&re
Ma oltre ptden meos non passare.
Quelli che anticamente poetare
Q Sì com* a Pela presso del Quamaro,
r Par dlflérente, non da denso e raro :
Si movea tardo, sospeccioso e raro :
Ma per color che dietro a noi restaro
E poi che le parole sue restaro,
E come sono in distante riparo.
Pa quella parte, rade non ha riparo
Se per veder la sua ombra ristaro,
s Che bolle, come i cerchll sfavillare.
Forse in Parnaso esto loco sog'naro.
t Sott'esso giovanetti trionfare
V Faono i sepolcri tutto il loco varo ;
a E creder dee ciascun che già, per arra
Non è nuova agli orecchi miei tale arra:
e* Per la lor bestia si lamenti e varrà,
Pur che mia coscienza non mi garm
mCome le piace, e '1 villan la sua marra.
n Più malmenare ! e beata Navarra,
arro
- 18 -
1> E M florentino spirito bissarro 1 8 69
o 1/ aquila che 1mcì6 le penne &i earro, 8 88 86
n Ch' io vf^glo eertamente (e però *1 narro), 8 83 40
Qairi '1 lanciammo, che più non ne narro : 1 8 64
■ Per eh' io avanti intento l'occhio «barro. 1 8 66
Sicuro d'o^ intoppo e d'ogni ibarro; 8 83 48
»r*e
• Quando V Angel di Dio lieto d apparso. 9 87 6
Come la prima Egualità T'apparw, 8 16 74
Forocchè al Sol, che t' allumò ed arso 8 16 76
r K l'onde in Gange da nona riarso; 8 87 4
s The tutte timigUanze sono scarse. 8 16 78
Là dorè '1 tuo Fattore il sangue sparso, 9 97 9
arsi
a Qnal Tenne a Climenè, per acoortarst
Cominciò *1 I>uca mio. in accostarsi
Oltre, quanto potean gli occhi allang-arsi.
Di ragionar co' buoni, o d'approssaral.
Poi, come nel percuoter de' ciocchi arsi
Di non uscir dove non fueser arsi.
Ed io. che mai per mio veder non arsi.
Li margini fon via, che non son arsi.
Che non po*rebbe qui asslmlrllarsi ;
Onde gli stolti sogliono anvurarsl,
0 Ne da quello era loco da canoarsi:
Loro a parlar di me ; e cominciarsi
f Ed ecco a poco a poco un ftimmo farsi,
Poi verso me, quanto poteran flirsi.
Dintorno a questa vennero e formarsi.
Si del cantare e sì del flammoffffiarsi
K Di grado in grado scendere e virarsi,
i Non fosse umiliato ad incarnarsi.
1 Pietosamente piangere e lardarsi ;
Là dove vanno l'anime a lavarsi.
Conviene insieme chiudere e lovarai;
Tanto, che possa con gli occhi levarsi
nPrima che possa tutta in se mutarsi;
p Or può sicuramente indi passarsi
q Era il colmo dell' M. e 11 quotarsi
Insieme appunto, ed a voler quetarsi,
r Rigiur.se al letto suo per ricercarsi.
In for r nom sufficiente a riloTarsi,
s Come sotto gli scudi, per salTarsi,
Noi andavam co' passi lenti e scarsi ;
E tutti gli altri modi erano scarsi
Quei ch* ancor ùk li padri a* figli scarsi ;
E ciò fece li nostri passi scarsi
Ti p.>rgo (e prego che non sleno scarsi).
I*oi disse : Ornai è tempo da scortarsi
t Lo glorioso esercito, e tornarsi
Le condizion di quaggiù trasmutarsi,
Solea valore e cortesia trovarsi
8 17
• 1
9 10
11
8 16 140
a 16 180
8 18 100
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a 16 144
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16
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1 14 18a
a 8a
17
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14
9 16 116
9 14
89
9 14
80
9 14
84
r Fu '1 sangue mio d' invidia si riarso,
s Tanta sua grazia, non ti sarò scarso :
Visto m'avresti di livore sparso.
art»
a Ma non fla da Casal, nò d' Acquasparta, 8 19 194
e Nostro volume, ancor troveria carta, 8 19 199
Ch'uno la fugge e l'altro la coarta. 8 19 196
arte
a Che si chiama Equatore in alcun' arto, 9 4 80
Tratto f ho qui con ingegno e con arte : 9 97 180
Non mi lascia più gir lo flren dell'arte. 9 88 141
Molte fiate alla intonzion dell'arte. 8 1 188
Fuor se' dell' erte vie, fuor se' dell' arte. 9 97 189
i'iascnn distinto e di fulgore e d'arte. 8 81 188
Qui si conviene usare un poco d'arte. 9 10 10
Tal, non per fuoco, ma per divin'arte 1 91 16
Si come mostra w^porlen^a ed arte; 9 16 Si
O tu. che onori o*rni scienza ed arte, 1 4 78
O somma Sapienza, quanta é l'arte 1 10 IO
^l pesca per lo vero e non ha 1* arte : 8 18 188
^atnra c<»rto, ouando la^ciA l'arte 1 81 49
^ lli^i f^ì Ghib^llln. fkccian lor arte 8 6 108
•*ppl tutte; e si menai lor arte. 1 17 77
Lasdasser d' operare ogni lor art« ;
E li comincia a vagheggiar Dell'arte
Mai non t'appresentò natura od arte
Si vede di giustizia orribil'arte.
La mia materia; e però con più arte
Ma i vostri non appreser ben quell'arte.
L'onor d'Agobbio, e l'onor di quell'arto
L'altia rimase, e cominciò quest'arte
Alla cera mortai, fk ben su' ane.
Dal divino intelletto e da sua arte :
Ond'io che fui accorto di sua ar e.
Che ferro più mm chiede verun'arte.
e Nel suo volume cangerebbe oar«o.
Rimasa è giù per danno delle carte.
Frate. dlss'egU. più rldon le carte
Ma perchè piene soa tutte le cario
Tu troverai non dopo molte carte.
E qnal li troverai nelle sue cane.
Esto pianeta ; o si come comparto
La provvidenza, che quivi comparte
E quanto giusto tua virtù comparte !
d C^ dal modo degli altri li dipAa-to 7
Sempre chi la giustizia e lui dipiirte.
Pur com'un fesso che muro diparte,
ìia per salirla mo necsun diparte
Cosi da questo corso si diparte
Quinci addivien eh' Esaù si diparte
Giovanni è meco, e da lui si oiparte.
Che mai da circuir non si diparte
A quel che scende ; e tanto sì diparte
mPer tòr via tali esecutori a Max-««.
Da si vii padre, dae si rende a Marte.
Qnal diverrebbe Giove, s'egli e Marte
Vedea Timbreo. vedea PaUade e Marte.
P Oppone, e l' altro appropria quello a j
Tutte quante piegavano alla parte
Che si moveva d'ima e d'altra parte.
Celestlal, giacer dall'altra parte.
Di piegar, cosi ointa. in altra parte.
Si tosto, come degli angeli parte
Vedevan lui verso la calda parte.
Sì udirai, come in contraria parte
L' opinion corrente in fiilsa parte ;
Come li vide dalla firedda parte
91
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S.
1
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1
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Sì
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Sì
91
11
Le spallo e il petto e del ventre gran parte, 1 1
in parte
leasi in i
pare.
Da scrivere, io por cantere' in
Ma non si ch'io non dlscemea
Noi ci appressammo, ed eravamo tn' parte.
Pugna col Sole, e per essere In «larte
L' onore è tutto or suo. e mio in parte,
(^agion. che tu dimandi, od oltre in parte.
Veduto hai. figlio, e se' venuto in parte
A me ed a' miei primi ed a mia parte :
Tanto, clie mal da lei l'occhio non parte.
Silenxio posto avea da ogni parte.
Nel mezzo s'avviava, e d'ogni parte
Cosi fkcevan quivi d'ogni parte.
Clie inviscava la ripa da ogni parte.
S'ei fùr cacciati, ei tornir d'ogni parte.
Salta lo raggio all' opposita parte.
Meco la vista dritto a quella parte
Oliando mi vidi giunto in quella parte
Montati, dello scoglio in quella parte.
Or quinci or quindi al lato che si parte.
Indi venimmo al fine, ove si parte
Per la ragion che di*, quinci si parte
Vie più clte indamo da riva si par:e.
Nota non pure in cma sola parte.
Giacob isporger la superna parte,
s Calar le vele e raccoglier le sarto;
Altri tk remi, ed altri volge sane ;
Non però dal lor esser dritto sparto
Che tra gli avelli fiamme erano sparte.
Ambo le mani in su l'erbetta sparte
Mi strinse, raunal le flrondc sparte.
Mirar le membra de' Giganti sparte.
Ed in quel mezzo con le penne sparte
Rinchiusa fui. e eh' or son terra sparte.
arti
a Grazia da quella che può e aiutarti :
Li cerchi corporai sono ampi ed arti.
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- 19 —
assi
r saol fonte a* rivi di Tostr' arti. 8 2 06
(«a istaozla può diliborartl 8 a 04
0 l'ale toe. credendo oltrartl, 8 82 146
» raggio più che in altre parti, 8 a OSI
listendo per tatte lor parti. 8 98 66
dal dicer mio lo cuor non parti: 8 88 160
pantan ch'atea da tutte parti. 1 80 90
' lo ti dicerò, m vuol sasiarti ; 3 88 6a
lini poi, che Intorno erano sparti { 1 80 83
arto
nel fondo foracchiato ed arto. 1 10 42
t contenerlo sarebbe arto. 8 88 88
signore, e sai ch'Io non mi parto 1 10 88
enimmo in su l' argine quarto ; 1 10 40
dal terzo, e il terzo poi dal quarto. 8 28 £0
eguiva '1 settimo sì sparto 8 88 81
arve
rò. dlss'io. ciò che mi apparvo
bianza non sua in che dlsparve i
Se tu avessi cento larve
pe gente stata sotto larve,
alpebre mie. così mi parrò
cogitazlon quantunque parve.
arri
'erenza, Donna, a dimandarvi
i vostra stadera non sien parvi.
aper se l' uom può aatlaf arvi
2 16 186
8 80 08
2 15 187
8 80 01
8 80 80
8 16 180
8 4 184
8 4 188
8 4 136
ro Peccator fui nella casa
da sé, perchè la nostra casa
Ita mortai m'era rlmnsa,
ta sola m' è di là rimasa.
ir di male in peggio si travasa.
8 81 188
8 10 148
8 81 184
a 10 146
8 81 126
tXi il doloroflo Aioco oasoa,
e Doetxe piante, cruando casca
M '1 tempo In su 1* aperta frasca,
lo a pie della vedova fiasca ;
^gia dietro alla celeste I^asoa.
lardando, pur che l'alba nasca t
trovar lo cibo onde gli pasca,
tdi par che 'l loro occhio si pasca.
1 17
9 88
8 83
9 82
8 sa
8 28
8 88
1 17
i collo a ciascun pendea una tasca. 1 17
asce
ero ebbe nome; e nelle ffasco .2 7 100
lo e mirra son l'ultime fasce. i 84 111
U terra, dove l' acqua nasce» 9 7 08
tè biada in sua vita non pasce, 1 94 100
to, cui lussuria ed ozio pasce. 9 7 109
fiSDlce muore e poi rinasce, 1 84 107
asehl
Btegglar Bresciani e Bergamaschi,
ivlpn che tutto quanto caschi
▼il fine convien che tu caschi !
DKQe nostro Caorslni e Guaschi
KloQ di (piassù per tutti 1 paschi,
1 fiume giù pel verdi paschi,
asela
100 grave corpo non s' accascia. 1 84 54
^ lo scendessi aU'infemale ambascia 8 80 188
9 16 80
1 83 06
1 84 58
1 88 09
8 10 144
8 86 136
8 16 87
8 86 181
8 16 85
1 88 04
1 84 50
8 10 148
8 18 140
1 80 71
1 80 78
8 87 60
8 87 58
8 87 56
1 80 76
^ qui per la infernale ambascia :
T» In entro a &r crescer l'ambascia :
> leva su; vinci l'ambascia
«nenfe un'altra gente fascia,
^™*M« del monte che la fascia I
«en la leu^ia che mi fascia ;
'incominciai: Con quella flwcia,
f » 0 così natura lascia
* . e M veder fummo non lascia :
^^,.«t«w n pianger non lascia;
^«"glo in terra di sé lascia,
^ Ungheria, se non si lascia
«nosceranno, e quel di Rascia
aae
o Chi m* ha negate le dolenti case ?
Io tei giubbetto a me dolio mie case.
r Gli occhi alla terra, e le ciglia avea
Sovra '1 cener che d'Attila rimase,
Nel petto al mio Signor, che fuor rimase,
asl
q Levata s' è da me, che nulla quasi
r Saranno, come l'un, del tutto rasi.
Risposo : Quando i P, che son rimasi
8 180
18 161
8 118
18 140
8 116
18 110
19 183
18 181
c Come suol seguitar per alcun caso, 1 86 41
E più e men che re era in quel caso. 8 10 66
Nella mia mente fé' subito caso 8 14 4
n Mi porì '1 dito su dal mento al naso. 1 85 45
Che v'era imaginato, e gli occhi e '1 naso 8 10 69
E i raggi ne ferian per mezzo il naso, 8 15 7
Cantando con colui oal maschio naso, 8 7 118
o Che già dritti andavamo in vèr l' occaso ; 8 15 O
p losino a qui l'un giogo di Parnaso 3 1 16
r Avendomi dal viso un colpo raso : 9 92 8
M' è uopo entrar nell'aringo rimase. 3 1 16
Essere al Sol del suo corso rimase; 8 16 6
Dicendo: Cianfa dove fla rimasof 1 85 43
E se re dopo lui fosse rimase 8 7 116
Già era V Aogel dietro a noi rimase, 8 88 X
t La gloriosa vita di Tommaso, 8 14 6
vLl precedeva ai benedetto vaso, 8 10 64
Fammi del tuo valor si fetto vsmo, 8 1 14
Bene andava il valor di vaso in vaso; 8 7 117
Muovesi l'acqua in un ritoodo vaso, 8 14 8
h E la lor deca vita è tanto bassa, 1 8 47
1 Fama di loro il mondo esser non lassa, 1 8 40
p Non ragioniam di lor. ma guarda e passa. 1 8 51
8 10 48
8 9 87
8 8 88
8 10 46
1 17 76
8 8 86
8 10 44
1 17 78
1 86 88
1 86 80
8 a 86
8 8 83
1 86 01
1 17 74
8 8 04
a Che sovra il Sol non (U occhio eh* andasse.
Che per parlarmi un poco s' arrestasse,
b Che vedemmo staman, son di là basse,
£ se le fantasie nostre son basse
0 Ed io, temendo no '1 più star crucciasse
f£ drizzò '1 dito, perchè in là irnatasse.
S\ noi direi che mai s' immarinasse ;
1 Tomaimi indietro dall'anime lasse,
n Prima che si Enea la nominasse ;
p Come fosse la lingua che parlasse.
Soavemente disse, ch'io posasse:
r Perchè l' ombra sorriso e si ritrasse,
s Mi diparti' da Circe, che sottrasse
t Quindi storse la bocca, e di fuor trasre
<:om' ei parlava, e Sordello a sé '1 trasse
assi
b Egli avean cappe con cappucci bassi 1 93 61
Allor con gli occhi vergognosi e bassi, 1 8 70
Indi rlcondnciavan V inno bassi. 9 96 180
Sotto i pie del gigante, assai più bassi. 1 88 17
Tanto che 1 tuoni assai suonau più bassi ; 8 81 108
Questa i^anura a' suol termini bassi. 8 1 114
0 Dell'altro: e s'egli avvien ch'io l'altro cassi, 8 8 88
Per la pineta, in sul lito di Chiassi, a 88 SO
Le mio parole, quanto oouverrassi 8 38 101
e Non potea riveder dond' io m'entrassi: 8 88 84
f Che qua e là. come gli aspetti, fassi. 8 83 106
Appresso il flne eh' a quell'inno fàssl, 8 86 187
Che in Cologna per li monaci fassi. X 83 63
1 Di grado in grado, come quei che lassi. 1 11 18
O superbi Cristian, miseri, lassi, 8 10 181
Le teste de' fìratel miseri lassi. 1 88 81
Lo suo contrario più passar non lassi; 8 8 87
mQuando si strinser tatti a' dori massi 8 8 70
n Ed ella: Se tacessi, o se nerassi 8 81 37
p Dicere udi' mi : Guarda, come passi ; 1 83 10
Che giva intomo assai con lenti passi 1 88 60
Già m'avea trasportato i lenti passi 9 28 89
E più corrusco, e con più lenti passi, 9 88 108
Perch* lo guardava a' loro ed a' miei passi 8 85 195
£1 cominciò: Flgliuol, segui 1 miei passi, 8 1 118
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assi
Col fttlBO lor piacer Tolier miei poMl, 2 81 80
1' dico dopo 1 nostri mille passi, 9 8 88
Dissi lai. trova, che '1 tempo non passi 1 11 14
Quando noi (érmerem 11 nostri passi 1 8 77
Fidanza avete ne' ritrosi passi ; S 10 188
r Ch* io UscUl la questione, e mi ritrassi 8 81 104
Seaza parlare, e tutto mi ritrassi 9 1 110
s Figllaol mio. dentro da cotesti sassi, 1 11 16
La colpa tua: da tal giudice sassi. 8 81 S8
Col viso quel che vien sotto a quei sassi: 8 10 118
m_- A^^ il»! J.1..1I. Burgon sassi. S 81 106
va dubbiando, stsssi. 8 8 78
aro non trapassi, 8 9 86
urlar mi trassi. 1 8 81
stolU bene abbasso, 8 18 116
tlto. e l'altro basso,
xa esse basso.
tra la cima e il basso,
, volse in basso
lel mondo basso,
impre era il più basso
B in lor più basso,
nostro tanto basso,
0 *1 tenni basso,
mi il viso basso,
ra U viso basso,
anromento casso,
flbUar del casso,
a principio del easso :
> ivi era easso :
)gno il re fu casso ;
M, il ventre e U casso
incor tutto M casso :
, e tante casso
lo oontrappasso.
Lamo: O Crasso,
sì gran fracasso,
lell'aer s'rasso,
cerebro. lasso I
> il corpo lasso,
1 trotUre è lasso
1 ch'era giik lasso.
quel ch*io lasso,
^ r— . nciai: O lasso!
E sol di quell'angoscia parca lasso.
Non n'usciresti, pria saresti lasso
Ed un di lor, che mi sembrava lasso.
Ma qui m' attendi : • lo spirito lasso
Disse '1 Maestro ansando com' uom lasso.
Per (krti muover lento, com' uom lasso,
p Appresso porse a me l'accorto passo.
Fuggir cosi dinanzi ad un, che al passo
Venir, tacendo e lacrimando, al passo
Poi eh' entrati eravam nell* alto passo.
Così nell* un come nell'altro passo;
Ma or ti s'attraversa un altro passo
Menò costoro al doloroso passo I
Disse '1 Maestro mio fermando '1 passo,
Indietro (ed e non innanzi '1 passo
Non V* arrestate, ma studiate il passo,
Con noi venite, • troverete '1 passo
Parca; e tal sen g\a con lento passo.
Si volse indietro a rimirar lo passo.
Ora a masnelore, ed ora a minor passo.
Mi disse : Non temer, che '1 nostro passo
E quivi fb del fosso il nostro passo
Volgendo il viso, raflirettò suo passo,
8 Che si stavano all' ombra dietro al sasso.
Ed io mirava suso intomo al sasso.
E s* io non fossi impedito dal sasso.
Io sono Aglauro che divenni sasso.
Dritta saUa la via per entro *1 sasso,
E rotollo. e percosselo ad un sasso;
Poi uscì fbor per lo fòro d' un sasso,
t Nel oongiungersi insieme e nel trapasso.
fóndo è capo sì, che non oi basta
8 90 118
9 4 108
1 18 184
8 14 108
1 80
18
1 8 108
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80
1 90
10
1 96 198
1 6 Ilo
8 11
64
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8 4
88
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La fé, senza la qual ben tur non basta,
e- Della doppia tristizia di Oiooasta.
8 Dell'arco, ove lo scoglio più sovrasta.
t Per quel che Clio lì con teoo tasta.
«stt
a B posda appresso Dio m* allaminastL.
b Ad ogni tua question. tanto che basti.
Non si porla; però r esempio baati
E questo modo credo che lor baati
Che soB qnlnc' entro se l'unghia ti basti
0 Gridavano, e mariti che fùr oasti.
Ma son dei oerchio ove son gli occhi casti
S' io era sol di me quel che orsasti
d Ma luce rende il Salmo Dslsotasti
Ma tu chi se', che di noi distanAasti 7
Ti stenebraron sì, che tu drissasti
8 Non son gli editti eterni per noi s'uasti.
Latin sem noi, che tu vedi sì guasti
1 Ed egli a lui: Tu prima m'inTiaati
1 In Utica la morte, ove lasciasti
Tu '1 sai. che col tuo lume mi ISTasti.
p Con tal cura conviene e con tai pasti
B to che se' dinanzi, e mi provasti.
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o Sotto '1 eoi rege fu già '1 mondo casto. 1 14
g In mezzo '1 mar siede un paese g-uasto, 1 14
Del capo ch'egli avea di retro guasto. 1 Si
p La booca sollevò dal 6ero pasto 1 89
Per eh' io *1 pregai, che mi largisse 'l pasto, 1 U
astro
a Che parve fkioco dietro ad alabastro. 8 11
Al piò di quella croce corse un astro 8 14
o E così tosto al mal giunse l' easplastro : 1 X
mCosì mi fece sbigottir lo Ma8tz*o, 1 f^
n Né si partì la gemma dal suo nastro, 8 li
▼ In poco d'ora, e prende suo Tinoastro, 1 Si
a B come quei, che con lena attannata 1 :
Non senza prima flar grande anlrata, 1 I
Che, non men che saver, dubbiar m'acs rata.l li
Non fa la sposa di Oisto allagata
Ne' boschi lor per altezza asaaiirata.
Poi mi promise sicura 1* andata,
b Novella Tebe I Ugncdone e '1 Brigata.
Federigo Tignoso, e sua brigata ;
0 Questa rooeta non era ancor cascata.
L'aiuta sì, ch'io ne sia consolata.
Nel tempo che Giunone era ornociata
Sien dipartiti, perchè men eraodata
d Che tien volte le spalle invér Dacaiata.
La <*^ow»^^ sua, ohe tanto si dilata
(E r una gente e l' altra 6 dirodata).
Poi oerchiaro una pianta 'disponi lata
Che nel lago del cuor m'era durata
s Uscite, ci gridò, qui è T sntrata.
Esamina le colpe nell'entrata,
f Come mostrò ed una ed altra fiata.
Or vo* che sappi die l'altra fiata
Rispod lui, runa e l'altra fiata;
Sentite prima, e pd lunga fiata.
L' occhio lo sostenea lunga fiata :
Pd è di rame inflao alla f oroata :
La sua testa è di fin* oro tonnata.
Femmina sola, e pur testé fonnata
g Noi pasaamm* oltre, dove la vaiata
Orgoglio e dismisura han g-snerata.
Porse a questa mina, ch* è ar^ardata
Si volge all'acqua perigliosa, e siLata:
Che di fuor toma cai indietro d guata.
Guatar l'nn l'altro, come al ver d guata.
i Cantando come donna innamorata,
1 Così gridai colla fkoda levata :
O«do die s'era inginooehion levata.
Ch'io mi sia tardi al secoorso levata,
n Dico, che quando l'anima mal nata
O gente umana, per volar su nata,
o B la fHcda del Sol nascere ombrata.
Or muovi, e con la tua parola ornata,
p B quel oooosdtor delle psooata
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— 21 —
^r*tort$m teeta tunt iieoeateu 8 89 8
do rimembro con Ouido da Prata 8 14 104
d* lnf)9nio e di notte privata 8 16 1
volta in git, ma tutta rivaraata. 1 83 98
9k.xn« orientai tutta rosata, 8 80 88
klnae Itoselo alla porta «aerata, 8 0 180
rallan quella erra aoonsolata: 1 8 77
sorse alla rista, aooparobiata 1 10 58
vera credenxa. seminata 8 88 77
a^ aprir, di' a tenerla serrata, 8 0 188
*1 qoal se dÌTOta fosse stata, 8 89 88
>oci ore la roccia era tagliata: 8 18 87
t." eeeer può di nnvol tenebrata, 8 10 3
parola oa sopra toocata 8 88 70
roee tanto da sé trasmutata, 8 97 88
1. che sani ogni rista turbata, 1 11 81
ìn»ere ad aognlsto d' oro usata ; 3 87 48
io a Tisiutrli presi usala 8 28 81
>ro e per argento adulterate i
ro la voce: O anime affannate,
&xigeU con duo spade aSooate,
capo ; ed eran dinanzi a8W0PP*te.
ose, o alto ingegno, or m* aiutate x
ro e* è 1* una già. se 1* arrabbiata
sonoeeer sé della bontate,
1« ooae di Dio, che di bontate
fttxuiqoe in creatura è di bontate.
» creando, e alla sua bontate
1* intelligenzla sua bontate
Ata con un 1 la sua bontate.
too podere e dalla tua bontate
1 colombe dal desio oblamate,
dlflèrenti membra, e conformate
.ozi & me nwi Air coie create,
o a lui : Per Tostra dirnitate
Ltte e sole (Uro e son dotate
date ogni speranza, toì eh' entrate,
cbe le Tiste lor fViro esaltate
s Anchlse fini la lunga etate ;
il dimanda, ma molte fiate
Msriaee, padre, del tuo caro frate,
t fuor prima, e poi cominciò: Frate,
alo Dottor ; ma e* gli dine : Frate,
yoido, o d'Alessandro, o di lor tn.ib,
xa le gambe, e levati su, Arate,
Vix^lllo mi disse : Cbe pur ff nate 7
an le Ind mie si inebriate,
prima 1* aAm avea tutte ins'annate.
serpi le man dietro avea legate :
che mi Tal, e' ho le membra legate t
ni* bai di serro tratto a libertate
ecorser d'està innata Hbertate;
della volontà la libertate.
di, come foglietto pur mo nate,
e pojcnam che di necessitate
«•se seco di necessitate.
si parrà la tua nobilitate,
eoo eegni e con parole ornata
riolenza è quando quel che pata
>num coetorum t^ofenzia fiate
lei cammino e si della piotate,
te miierloordla, in te piotate,
an, per l'aer dal voler portate ;
eml la divina potestà te,
t di dò (kre avean la po' estate,
ritenerlo è In voi la potestate.
$o e con gli altri ad una potestate.
ei sorgendo : Or puoi la quantitate
airende ben ; ma la sua qulditate
in0«ta pare a me sua qulditate.
. else vivete ogni cagion recate
» for quest'alme per essa scusate ;
rg^ò tra l'ombre triste smossioate 7
reraa g«nti nude e spaventate,
lo è snstansia di cose sperata,
L cbe le ardite femmine spietata
roecbò nella terza bolgia stata.
•andò sé sovra sua unitala,
andò dismento nostra vanitate,
rcooe tra^an dietro e ventilate,
a penetrare a questa varitate ;
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Yedrassi l'avarizia e la viltate
Che vlnoe la divina volontate.
Si e' hanno piena e ferma volontate.
atl
a (V. graU 3 t3 6) avffrati
(T. gtuM 3 29 4t) arruati
Guardando ed ascoltando gli ammalati.
Perocché son con noi insieme andati.
Io vidi duo sedere a so appoririati,
b Che, posta qui con questi altri beati,
K ventarmi nel volto, e dir: Beati
Qui twjent affermando esser beati,
Ed altri mol i ; e Oscegli beati :
Vedi Beatrice, con quanti beati
e Dinanzi alla pietà de' duo oornati,
Dei secoli, degli angeli creati
Nel qual tu le'. dir si posson creati.
d Che. per veder gli aspetti desiati,
Falsiflcare in sé Buoso Donati,
t Letizian del suo ordine formati.
8" Che tanto ai peregrin surgoo più S'^i^ti,
Quanto i devoti prieghi le son grati.
In che i ffravi labor gli sono grati.
E come ch'io mi volga, e ch'io mi ruati.
Che hai ohe pure in vèr la terra goatit
E tu lo vederai. se ben vi guati :
Ed io : Perchè ne' vostri visi guati,
1 E noi lasciammo lor cosi impacciati.
Poner gli uncini verso gì' impaniati,
Li nostri affetti, che solo infiammati
(V. formati 3 3 51) informaU
Da creata virtò sono informati.
1 Col corpi, che lassù hanno lasciati.
Le tenebre fùggian da tutti i lati.
Ma questo vero è scritto in molti lati
Che le stelle apparlvan da più lati.
Veggendo 1 gran Maestri già levati.
Poirebbesi vederi già son levati
Già eran sopra noi tanto levati
mDal capo a' pie di scblanze maculati i
n Cosa eh' lo possa, spiriti ben nati.
Posato al nido de' suoi dolci nati
Mi volsi a riguardar gli altri mal nati.
Lo viso in te di quesf altri mal nati.
Israel con suo padre e co* suoi nati.
Ma gli elemend che tu hai nomati,
p Di vita uscimmo a Dio pacif leali,
h poi che 1 due rabbiosi fùr passati,
(V. appog tiati ì t9 73) porffiati
s Spiri'i umani non eran salvati.
Ed egli a me : Tutti saran serrati.
Di sotto, per dar passo agli sf arsati.
Poco amendue dall' angel sormontati.
t Nuovi tormenti e nuovi tormentati
V OU occhi da Dio dUetU e veneraU,
a Lo Duca mio gli s'accostò allato,
E Ik' ragion ch'i' ti sia sempre allato.
Non era ancor di là Nesso arrivato,
b Del viio mio nell'aspetto beato,
O per altrui, che poi fosse beato!
Grldaron gli altri; e l'animai binatoi
La gittò giuso in quell'alto burrato
e La mia letizia mi ti tlcn celato,
81 come '1 Duca m' avea comandato.
Se quei che ci ama, è per noi condannato ? i
Vedea colui, che (ù nobU creato
d Non ci può tórre alcun : da Tal n* è dato.
Tra tutto l'altro ch'io t'ho dimostrato.
Crisostomo ed Anselmo e quel Donato,
81 che non piacque ad Ubertin Donato
Di spirito profetico dotato.
f Quasi animai di sua seta fasciato.
Di qua. di là, e poi die eo'al fiato:
Non è il mondan rumore altro che xm flato
Secondo l' artificio, figurato
g Che. per ftigglr periglio, contro a grato
Conoscerebbe quanto m'era a grato
Io, che duo volte avea visto lor grato.
Se quind e quindi pria non è g-ustato.
i Per lo contrario suo m'è inoontrato.
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ÌA morte prMe labltaaa ed atra. 8
Gli occhi ha TennigU. e la barba unta ed atra. 1
Piangono ancor la trista Cleopatra, 8
Graffia gli spirti, gli scaoia. ed isquafera. 1
Con tre gole caoinamente latra
Bruto con Cassio nello Inferno latra,
»4r«
E che altro è da voi air Idolatre,
Ahi. Coflt&ntin, di quanto mal fu matro,
Che da te prese il primo ricco patro I
brla.
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Uta. 1 98 109
ft. 9 16 90
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atte
0 Non Tedi tu la morte che 1 ooaabatte
Seco medesmo a suo piacer combatte.
f Com'io, dopo colai parole fatte.
Fossero state di smeraldo (alte;
1 Non t&te come agnel ctie lascia il latta
mUomini siate, e non pecore matte,
r L* altre togliean V andare e tarde e ratte.
Al mondo non ftir mai persone ratte
t Ed or parevan dalia bianca tratte.
atti
a LeTan la Tooe, e rallegrano gli atti;
E qual più pazienza avea negli atti,
o Ver è, che più e meno eran contratti,
d Oh qual io vidi quei che son disfatti
f Nascere in chi la vede ; così fatti
Fiorian Fiorenza in tatti 1 suoi gran ùitti.
o Cupido si, per avanzar gli orsatti.
p Per la fessura della pietra piatti.
r Che sarete visibiU rifatti,
t Di sotto al capo mio son gli altri tratti.
Come da più letizia pinti e tratti
Era già grande, e gik erano tratti
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a Di dimandar, venendo inflno all' atto
Ed una donna in su l'entrar, con atto
Nel mezzo strinse potenzia con atto
Che membra (émounili aveano ed atto;
E quel ch'io nomerò, li fora l'atto
Non perdea per distanza alcun suo atto;
Tal, qual io dico; e Cissi col suo atto.
o E nel Vicario suo Cristo esser eatto.
d Non mi lasciar, diss' lo, così disfatto ;
E lascia il corpo vilmente disfatto.
f Tu fosti, prima ch'io disfatto, fatto.
Anzi che l' altro mondo fosse fktto :
Nò mi fu noto il dir prima che il fatto.
Perchè men paia il mal futuro e *I fatto.
Ma quando io fui sì presso di lor fktto,
Rividll più lucente e maggior fktto.
Perchè hai tu cosi verso noi fkttof
L' alto valor del voto, s' è sì fatto,
p Che. nel fermar tra Dio e l' uomo il patte,
Sì ch'io temetti non tenesser patto.
q Tra gli scheggion del ponte quatto qizatto,
r Ove In un punto fìiron dritte ratto
Non lasciò, per l'andar che fòsse ratto,
Ritroviam Torme nostre insieme ratto.
Fuor ch'una eh' a seder si levò, ratto
La bestia ad ogni passo va più ratto
Un lume per lo mar venir sì ratto.
Perch'io mi mossi, ed a lui venni ratto ;
Dal qual com'io un poco ebbi ritratto
t Vegg^ io a coda d' una bestia tratto
Volte m'hai sicurtà renduta. e tratto
Kstatica di subito esser tratto.
L' arco del dir. che inflno al fbrro hai tratto.
O tu. che se' per questo Inferno tratto.
Io vidi per la croce un lume tratto.
Falsava nel parere il lungo tratto
Jeronimo vi scrisse lungo tratto
Poscia hai 'l sangue mio a te sì tratto.
Perocché l'occhio m'avoa tutto tratto
ande
IT Con canti, quai si sa chi lassù ir^ude.
1 Vid'io fìEursi quel segno, che di lande
p Muove la testa, e con l' ali si plaude.
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a Che nulla volontado è di più ansa,
o A vera via. non è n'ne o^nsa
p Lo rege, per coi questo regno pausa
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e E non er'aneo del mio petto esausto 8 14
t Esso litare stato accetto e rausto ; 8 1
o Ch' è una in tutti, a Dio ttci olooansto, 8 14
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istro
— 23 -
«■«irò
he son sicari d'Aquilone e d'Austro. 8 82 90
a cerchio le tkceran di «è olaustro. 8 38 07
ctae guardia lasciau li del plaustro, 8 88 96
mvn
kella tua terra. E r un l'altro abbrsooiaTa.a
loindi Oocito tatto i'arr«lava: 1
« finedde membra che la notte aerava, 8
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eneado e trapassando, ci ammirava 8
'oscia gli alzai al sole, ed ammirava 8
>' un ^ran palazzo, M col ammirara. 8
'arte sen già. ed io retro gli audara, 1
. me. clie tutto ctìin con loro andava. 8
•or di Beatrice ragionando andava, 8
:app'io per un che dentro T'annerava; 1
empo era già che l'aer s'annerava, 8
ensando ciò che '1 mio cor s'^nnunslava ; 1
i4 eran desti : e r ora s' appressava 1
h' a guisa di soorpion la punta armava. 1
ra l'altre vidi un'ombra, che aspettava 8
er suo signore a tempo m'aspettava; 8
[a. per la vista cIm s' avvalorava 8
occiaTa '1 piando e sanguinosa bava. 1
he diretro a Micol mi bianol&errÌ*va< 8
uldsTaci una voce, che cantava 8
el suo profondo, ond'ella pria cantava. 8
egli occhi era ciascuna oscura e cava, 8
soggiungendo : Dentro a quella cava, 1
videmi e conobbemi; e oniausava, 8
>me amor vuol, cosi le colorava. 8
vola, e dalla noce si disclilava, 8
ero d'Ogni tristizia ti diserrava. 1
r(?s«o a Colui eh* ogni torto disgrava. 8
X lingua, e posc'a tutta la drtssava 8
por suo sogno ciascun dubitava. 1
d io. cui nuova sete ancor frugava, 8
» troppo dimandar, ch'io fo. gli rrava. 8
a come al Sol. che nostra vista grava, 8
pnian vèr noi; e ciascuna gridava: 1 10 7
'alto Dottore, ed attento ruardava 8 18 8
(reso alla cagion per ch'io guardava, 1 89 14
Mtrice in suso, ed io in lei guardava: 8 8 88
ti vano tutta sua coda r bissava, 1 17 86
aello spirto beato ; ed io g-ustava 8 18 8
incixiese. E il dolce Duca incominciava: 8 8 71
'. scontrata i 23 93) incontrava
le dall' CMS la pelle s' informava. 8 88 84
re ira noi ed Aquilone intrava. 8 4 60
iella sinistra riva che si lava 8 8 68
a^gior difetto men vergogna lava, 1 80 148
a' che le bolle che '1 bollor levava, 1 81 80
> monto, a guisa d'orbo, in sa levava. 8 18 108
s'i la mia virtù quivi mancava. 8 17 64
'osa. lettor, s'io mi maravigliava, 8 81 184
quella Donna, eh' a Dio mi menava, 8 18 4
ff^ di sotto, e vidi un che mirava 8 8 47
^ntr'io laggiù fisamente mirava. 1 81 88
«se nel vivo lume ch'io mirava, 8 88 110
>nimmo fuor là ove si montava. 8 87 07
>è. a' io fusai giù sta'o. io ti mostrava 8 8 66
riguardar chi era che parlava. 8 17 60
l un di lor non questi che parlava. 8 11 74
rrendo. d'ima torma, che passava 1 16 6
teli saper che '1 féi. perch'io pensava 1 10 118
le fontane di Brenta e di Piava, 8 8 87
1 deiforme regno cen portava 8 8 SO
quella parte della V rra prava 8 8 80
eer alcun di nostra terra prava. 1 10 9
. doppia fiera dentro vi radiava, 8 81 188
eik '1 Maestro mio mi richiamava; 1 10 116
li il sorpente. e quei lui risruardava: 1 86 01
Lzi co* pie fermati sbadigliava, 1 86 89
mavan forte, e '1 fumo si scontrava . 1 86 08
è disiava scusarmi, e scusava 1 80 140
u dichiarasse ciò che pria serrava. 8 8 61
or della bocca a ciascun soverchiava 1 10 88
(Ino al grosso: e l'altro dentro stava. 1 10 24
a s'avvide il Poeta, che io stava 8 4 68
i innanzi alquanto, che là dov' io stava ; 8 18 88
m*j%sl i pie del Ino^o dov'lo stava. 8 10 70
tra«sc a sé del luo^fo. dov'lo stava. 1 81 84
Sur
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Cos!
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ozia
— 24-
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DI noi chiarirti, a tao piacer ti Bada. 8 6 190
Ma «e la Toetra maggior voglia sazia 9 96 61
Qual lodoleita, che in aere ai 8p»sla S SO 78
Cb*è pieo d* amore, e più ampio il spazia; S 86 68
Del lume, ohe per tot o *1 eie! si spazia 8 6 118
Se oltre promlBsion teoo si spazia. 9 98 188
Ed io: Per mezza Toscana sì spazia 9 14 16
Di ftior dai qual neseon vero si spazia. 8 4 186
g Al drudo suo. quando disse : Ho io grrasi»
• B quinci sien le nostre riste saai».
ABil
p Son di lor vero ombriferi pr«ffaaii :
■ Prima che tanta sete in to si sasii x
t Anche soggiunse : Il fiume e li topasii
aslo
b Ubaldln dalla Pilla, e Bonifasio
Se* tu già costi ritto Bonlfikziot
r Che Dio ancor ne lodo e ne rinprasio.
Disa^uaglianza ; e però non ringrazio
0 Se* tu s\ tosto di queir aver sasio.
Lo dolce ber che mal non m* avria sado ;
Perchè mi tàcdi del tuo nome sazio.
Ti si lasci veder, tu sarai sazio;
E sì (b tal che non si senti sazio.
Vidi messer Marchese, ch'ebbe apaaio
S'io avessi, lettor, più lungo spazio
La Bella Donna mossesi, ed a Stasio
La bella Donna, e di poi &me atrasio ?
Dopo dò poco, vidi quello strazio
t Ben supplico lo a te, vivo topasio.
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9 83 184
1 18 67
1 8 68
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o Poscia vld'lo mlUe visi oarnasai
K E verrà sempre, de* gelati sruasai.
p Sappi eh' io sono 11 Camiolon de* Passi ;
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e Cominciò egli a dire, e tu, Oag'nasso ; 1 91 118
d Llbleooco vegna oltre, e Drarhimaaso, 1 91 181
e* Poi si rivolse, e ripassoasi 11 g-aasso. 1 19 189
p A Rinier da Cometo, a Rluier Passo, 1 19 187
E Far&rello, e llubloante pazzo. 1 81 198
■ Io dico pena, e dovria dir «ollasso t 9 93 79
E non pure una volta, questo spasso 9 28 70
L'odor eh* esce del pomo, e dello sprasso 9 98 68
e Che crede e no. dicendo: eli' è. non è;
t Lo del perdei, che por non aver tè:
Dell* opera che mal per te si fe*.
E con Rachele, per Cui tanto te*,
IT Quivi parevi morto in Oelboè,
nxModicum, et non xfidebiti» ma ;
Modicwn et voa videbìtìs me.
n D'Abel suo flgUo. e quella di Noè,
p A lei di dir, levata dritta in piò,
r Abraàm patriarca, e David re,
8 Qual è colui che cosa innanzi a sé
t O folle Aragne. s\ vedea io ta.
a Un Sol. che tutta quante l' aooandea,
O Jacopo, dicoa, da Sant'Andrea,
Ad essa gli occhi più che mai ardea.
Disse il dolce Maestro, che m' avaa
Esaminando, già tratto m'avea,
e Prima raggiò nel monte Oitorea,
Là dov'io più sicuro esser oradaat
d Innanzi ch'Atropòs mossa le dea.
Cogliendo fiori; e cantando dioea:
Ricominciò: La grazia che donnea
La mente innamorata che donnea
D'aver negletto dò che ftw dovea,
M appropinquava, si com'io dovea
-. SSi"*° *.W oom* aprir si dovea;
? Aia: ^l**** conobbi ed Ettore ed Bnea.
f if^f "* esso e 11 gaudio mi taoea
iCH*,!^ I*foi*.appena s*latendea.
né daUamor che in lor s'intrea,
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vxAdkaerit pavim0nto tmima mea.
Che quella viva luce che si mea
Onde m' era colui otte mi movea,
p Tosto che fiod là 've '1 fondo parea.
E. Te Deum koidamus, mi parea
Giovane e bella in sogno mi parea
Vidi Cammina e U Pentesilea
E menommi al o^poglio, che piane**.
Vidi «ente per asso ohe piangea,
Ridolfo imperador fb. che potea
Di questa aiuola : ma *1 Sol procede»,
r Che colpa ho io della tua vita rea 7
Tale immagine appunto mi rendea
SI che tardi par altri si ricrea
E quasi peregrln, che si rt«ea
Di tante fiamme tutta rieplendea
s Che con Lavinia sua figlia sedea.
Ond' uscì il sangue, in sul qual io sedea.
Bernardo m* accennava, e aorrldea.
Che lo mio viso non la sostenea.
Ed egli a ma : Come il mio corpo staa
E spera già ridir oomegli stea;
Quando a cantar con organi si stea :
t Cotal vantaggio ha questa Tolomeak
E per la viva luca traeparea
▼ Vede luodole giù per la TaUea,
Per ch'io mi mossi col viso, e -vedea
Gii per me stasso tal qual ai Tolea ;
Assai più là ohe dritto non volea.
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a Par allegrezza nuova che s'accrebbe, 8 8
0 Maglio in gloria del del si canterebbe, 8 11
Ad ogni promisaion si converrebbe. 8 89
Poi che la gente poverella crebbe sii
Per coi tanu •tofiazza in terra crebbe, 8 %9
d Di mia età. dove ciascun doTrebbe l 87
e E se il mondo sapesse il cuor ch'egli ebbe 8 6
Ad Innooeozio apersa, a da lui ebbe 8 11
Se dò non fosse, ch'a memoria m'ebbe 9 18
Così tetta, mi disse : Il mondo m* ebbe 8 8
i A cui di me per caritata iaorebbe. 9 13
Ciò che pria mi piaceva, allor m* increbbe: 1 87
1 Assai lo loda, e pia lo loderebbe. 8 6
s Ahi miser lasso 1 e giovato sarebbe. l 97
Della mia vita; ed ancor non sarebbe 9 18
Molto sarà di mal. che non sarebbe. 8 8
t (V. vedereò^ 3 29 119) terrebbe
▼ Che, sa '1 vulgo il vedesse. Tederrebbe 8 S8
d E detto l'ho, perchè doler ten debbia.
n Ond'ei repente spenerà la nebbia,
«bbre
e Perchè le sue parole parver ebbre.
t A guarir ddla sua superba febbre :
1 Dentro Siratti a guarir dalla lebbre ;
«be
p Oh sovra tutta mal creata plebe,
t Ch'alntaro Anflona a chiuder Tebe j
s Me' foste stata qui pecora o sebo t
•br»
e Di che fooei quastion cotanto crebra ;
1 Assai t' è mo aperta la latebra,
t Che non ai turba mal; anzi è tenèbra.
e- Che l'altra Ihcoia da ddla Oindeooa.
p Per l'ignoranza, che di questa pecca
Fu l' nom che nacque e visse senza pecca.
Sapplendo chi voi siete, a la sua pacca,
r E santi., che la colpa che rimbecca
s Ch* è oroosito a quel, che la gran aecoa
Sa quella, con ch'io parlo, non si sacca.
Con asso inslama qui suo verde secca.
b Porta 00^; ood'al. come duo beecbl.
Che recherà la tasca co' tre becdd :
1 La lingua, coma btu»^0M '1 naso leoclil.
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aa. eh* area perdati ambo gli oreoobi 1 89 fi9
«ae fiate m'intronan gii orecchi, 1 17 71
•e : Perché cotanto in noi ti speoeM ? 1 39 64
ecclklA
rista "1 tempo che ti s'apparaoDlxl*. 8 17 46
indi, «ì come Tiene ad oreoobia 8 17 «8
non come dal tìbo in che ci apeoolila 8 17 41
•celkto
lete come attento lo m* appareoohlo
endo sa per lo modo paraoobio
e tue donne al (tuo ed al pennaooblo.
Tedreetl il Zodiaco rubeooliio
le mie ciglia, e fedmi U aoleoolilo,
ne quando dall'aoqoa, o dallo apeooliio
cuoio e d* oaso, e yenir dallo specchio
«ero in compagnia di qnello specchio,
dltrina giostiiia (k suo specchio,
non QS^ne ftior del eammln veooliio.
bbio, ebe m*« digion cotanto vecchio,
ridi qoel de' NerU e quel del Vecchio
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mdo Maria nel Qglio die di baeoo. 9 98 80
iieea, fra me stesso pensando : Booo 9 98 98
isitòn ai ftuae &tto «eooo, 9 98 98
le ceeaar le sue opere biaoe
poi il moeser le parole bieco
nell'ultima bolgia delle dlaoe
ene dio cento, e non sentì le dieoe.
) gU assegnò sette e dnaae per dieoe.
quel valor che 1* ano % r altro teca :
r lo Air&r frodoleote oh'ei fece
aiondo Berlinghieri ; e ciò gli foce
ì 'i tradimento icsiome con lai fece,
reh* io noi feci Dedalo, mi fece
la cosa incredibile mi fece
U' Immagine mia. li mio si fece;
r tornar Della a Colai che ti fece.
Ilo Spirito Santo, e che d fece
coste a quel che piò vTaggi fece ;
l mondo su, dove tornar gli lece,
ti Mgniterò quanto mi lece,
ano Sfinos, a cui &llir non lece.
Ito è licito U. che qui non lece
utonque alla natura umana lece
dove bolle la tenace peue.
Ile 1* iuTemo la tenace pece
aVÀ disposto a tutto nostre prece,
Uo per proprio dell'umana space,
poscia e prima tanto aoddiateoa,
, digli ehi tu fosti ; sì che, in vece
I narlcar non ponno. e 'n quella reco
adir ci terrà giunti in quella vece,
orario suon prendiamo in quella vece
» qu^li lasdò un diavolo in sua vece
•chi
[ diritti occhi torse aUora in blachl :
ide con essa a par degli altri ciaolii.
egoti eh' alla mente altrui mi recbl :
eel
ié todeMt ed a ciò fttr non bieci,
l piò si convenia dioer: Mal feci,
Lrovar puoi lo gran duca de* Oraci,
andò toT gltmti, assai con l'occhio bieco
f primo mnghio del carcere oiaoo.
tu pur mo in questo mondo deco
inci so TO. per non esser più cieco:
Migendo disse : Se per questo dece
r cedere al pastor si fece arreco.
toose '1 Duca mio. slam con quel Greco,
Jtro che s^ue, con leggi e meco.
leese di veder s'altri era meco;
ir animo, col viso, d'esser meco;
n Rincresca ristare a parlar meco :
tien la terra, che tal eh' è qui meco
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ede
— 26 —
Del retaggio miglior nenoo possiede
Nullo ; però che 'l pastor che praoed» |
Ma dimmi della gente che proceda.
Ed io : Maestro, assai chiaro procede
Noa ti maraTigUar, che ciò procede
Ond' ella : I* deserò come procede
Così di grado in grado si procede.
r Che non si paote dir dell'altre red«.
Ch' uscir dovea di lai e delle redo :
Ai fìrati suoi. s\ oom* a giuste rode.
Gonfia *1 cappuccio, e più non si rlolilada.
Queir umido vapor ohe in acqua rlede,
Qoand' una è férma e V altra va e riede ;
£ se di voi alcun nel mondo riede.
Che poi non si porla, se 1 di non riede.
Rimane, e l'altro alla mente non riede;
Ad usar lor vigilia quando riede.
Che r una dallo indarno u' non si riede
Dice che l'alma alla sua stella riede,
E già il Sole a mezza terza riede.
Che solo a ciò la mia mente rltled».
m Dell' universo, in su che Dite sied»,
Lo giovinetto che retro a lui siede.
Per nullo proprio merito si siede,
V L' esser heato nell' atto che vede.
Per che la gente, che sua guida vede.
Chi guarda pur con l' occhio che non vede.
La gente grossa il pensi, che non vede
E però quando s' ode cosa o vede.
Ed egli a me : Quanto ragion qui vede
Di veder quella eesenzia, in che si vede
Ov' ogni cosa dipinta si vede.
E come in Damma tevilla si vede.
Non è simile a ciò die qui si vede.
Di li dal modo che in terra si vede,
Qual è colui che sognando vede.
Nei veder di Colui die tutto vede.
Di quella il cui beli' occhio tutto vede.
Sono, quanto ragione umana vede.
Che quale aspetta prego, e l' uopo vedo,
«di
a Ladro alla sagrestia de' belli «rredl :
o Dell'eterno statuto quel ohe chiedi.
Mi trasse 'l Duca mio. dicendo: Chiedi
Forse ch'avrai da me quel che tu chiedi.
1' non posso negar quel che tu chiedi :
Perch'io dissi: Maestro, or mi conoedl
Ed anche vo* che tu per certo eredi.
Non son colui, non son colui che credi:
E cosi puote star con quel che credi
Ma or conviene esprimer quel che credi.
De* corpi suoi non uscir, come credi.
Però parla con esse, ed odi. e credi:
Lasciala per non vera, ed esser credi
Pensa, se tu annoverar le credi;
Fu di grado maggior che tu non credi.
Quassù tra noi, se giù ritornar credit
Ch' ò parte della fede che tu credi :
Disse U Centauro, voglio che tu credi
Tu non se' In terra, si come tu credi ;
d Ma pria nel petto tre flato mi diedi.
Tra i quinto di e 11 sesto : ond' io mi diedi
L' alto lavoro, e tutto in lui mi diedi.
E poi che a riguardare oltre mi diedi.
La mento e gli occhi. oV ella volle, diedL
naPoi sorridendo disse : Io son Manfredi,
Ch' ei non peccare : e s' egli hanno meroedl,
p Gaddo mi si gittò disteso a' piedi,
E questo ti fla sempre piombo a' piedi,
Cos) Beatrice ; ed io che tutto a' piedi
Che si lasciò cascar l'uncino a' piedi.
Ma con la testa e col petto e co piedi.
Vèr lo sepolcro più giovani piedi.
Tosto che con la Chiesa mossi 1 piedi*
Per che lo spirto tutti storse 1 piedi:
Diretro a noi gridò : Tenete i piedi.
Già si chinava ad abbracciar II piedi
A tanto segno piò muover 11 piedi.
Quel sangue sì. che coprla pur li piedi:
Da sé non lascia lor torcer li piedi.
Che mischiato di lagrime. »' for piedi
*>1 là per te ancor llmorUi piedi!
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8 18 144 1
E gii la luna e sotto i nostri piedi :
Quel de* passuri, e quel de' passi piedi.
Divoto nii glttai a' santi piedi :
Quella ohe tanto bella e da' suoi idadi
A dime chi tu se', che 1 vivi piedi
E poi secondo il suo passo procedi.
r Mi disse : Dunque che a noe rf olsledi ff
E vivo sono; e però mi richiedi.
Non corse come tu oh' ad esso rledl.
Sicuramente omai a me ti riedL
Ond' io ti priego, che quando tu riedi.
Ed al mondo mortai, quando tu riedi,
m Nell'ordine, che Canno i terzi aedi,
E '1 Duca mio a me : O tu, che sledi,
▼ Al carro tieni or gli occhi, e. quel die ▼•di,
O santo padre, o spirito, che vedi
Questi, Isonne di cui pMtar mi vedi.
Quivi mort. E come tu mi vedi.
Ti ftt maravigliar, perchè ne vedi
Col tkìto immaginar, s) che non vedi
Ed al s\ ed al no, che tu non vedi ;
Ed altro è da veder che tu n(» vedL
Non thr; che tu se' ombra, e ombra vedL
D' averlo visto mai. el disse : Or vedi :
Lo buon Maestro disse: Figlio, or vedi
Si come tu da questa parte vedi
Vere sustanzie son ciò che tu vedi.
Che spiriti son questi che tu vedi t
Con Beatrice, s\ come tu vedi.
Veggio ora chiaro, si come tu vedi
Nella miseria dove tu mi vedi.
e Da questo passo vinto mi ooncedo.
Non pur di li da noi. ma certo io erede,
t Snprato fosae comico o trair«do.
d Cosi foss' ei, da che poro esser dee I
Vèr la sinistra mia da quelle Dee.
In essa gerarchia son le tre dee,
e Infine ad esso succedono Bbree,
L' ordine terzo di Podestadi de.
Nò con ciò che di sopra *l mar roseo Ae.
B la dlsposlzion che a veder èe.
f Che. se cheUdri, iaculi, e (aree
Perchè, secondo lo sguardo che f ee
Sanza la vista alquanto esser mi (be ;
aaRlmontò *1 Duca mio. e trasse aaee.
r Né tante pestilenzie. nò si ree
0 Noi d partimmo, e su per le soalee,
A che si parton le sacre scalee,
t C<» tre melode, che suonano in tree
•Arsa
A Che cane a quella levre. ch'egli aoeeflta.
Se l' ira sovra *1 mal voler s* ay g-nefle,
b Sono scherniti; e con danno e eoa beffa
d Come Os ohi da colpa ti dlalere»
Che acqua è questa che qui ti dispiega
1 Ivi cosi una comloe leg-a
Virtù diversa t& diversa lega
E poi l'affetto l'intelletto lega.
Ma se* venuto più che mezza lega
Che questi vive, e Minoa me non lega;
Di dirne come l'anima ti lega
Che per piacer di nuovo in voi si lega.
Nel qual. si come vita in voi. ti lega.
n Venite a noi parlar, s' altri noi nleg-a.
Che senza di^inzione afferma o niega,
p Si tosto come 1 vento a noi li pieg-a.
Novella vision oh' a sé mi piega.
E se, rivolto, in vèr di lei el piega,
A guisa di cui vino o sonno piegai
Per lo suo amore adunque a noi ti piega.
Se non che l' arco suo più tosto pieéa.
Perch' egli incontra, che ^ù volte pega
Liberamente dò che '1 tuo dir praya.
Per cotal prego dotto mi fu : Prega
Pio presso a noi ; e tu allor li prega.
Di Marzia tua, che in vi ta ancor ti prega.
— 27 —
BOcoodAmente si riaera 8 18 S
•ti come r uom da lei si «l^ra f 9 19 60
i\ com'aom, che dal tonoo si sloga, S 16 118
gè intenàone, e dentro a voi la apleffafa 18 88
suna mai da tal membra si spiega. 1 18 90
IpUoata per le «telle spl^a, 8 8 187
sti. disM, quell'antica streff», 9 10 68
« la terra che '1 Soldan oorrewe.
ice colai, ca* ìtI «lewe I
ime nude vidi molte tpcegge,
• temuta da ciascun, che lewa
rea posta lor diversa legge.
nover non mi può. per quella legge
^r ponente un pastor senza legge,
0 Giason sarà, di cui si lef^e
1 8emirami8, di cui si legffe,
»brobrlo di noi per noi si legge,
V io fui ribellante alla sua legge.
itr' a* miei in ciascuna sua legge 1
ibito fé' licito in sua legge,
ercbè non servammo umana legge,
e donna del elei ti muove e reggB,
re. così fla a lui chi Francia regge.
I tu mal nel dolce mondo regge,
uMsia della donna che qui regge,
itte parti impera, e quivi regge :
ft ben. che per lei tu mi riolieirffo.
t'ixnbestlò nell' imbestiate meh^gge,
1 vidi giammai menare etree-g-hla 1 80 76
a scaldar s'appoggia tegghia a torchiai 80 74
colili che mal volentier vggìiitki 1 80 78
volete che con voi m'asae^rla, 1
li è la cagione, in voi si obeflrffla* 8
tica disse : Attendi, e fa che feirviit 1
arroaiarsi quando '1 fuoco il foggia. 1
sona compagnia che l'nom tretnoìieg»!
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0 però non sia di peggior rrerff la [ria 8
PUaol. disse, qual di questa greggia 1
de^li agni della santa greggia, 8
•ciò trapassar la santa greggia 8
>Tan gli altri della trista greggia. >
»rpo suo per astio e per inverg-ia, 8
L muover suo nessun volar parearvia ; 8
jriangrondo e ridendo pariroleg-iria, 8
andar li compagni, e si pasaeirria 8
dalla Broccia dico: e qui provesrffia 8
re par che innanzi si proveggia ;
enta pria s'è tal ch'ella ti rewla.
tempre j
1
. 1
kdo: Quando fla di' i' ti rÌTevffia? 8
i ^rOMÌ vapor Marte ro8seffg>ia 8
roachione, avvisava un'altra sohefTffla 1
lè vedrai la pianta onde si scheggia, S
klti a destra sopra la sua scheggia, 1
ta {ghirlanda, che intorno vaffìieff gria 8
di mano a lui, che la vagheggia, 8
do noi fummo là, dov'ei vaneg-vla 1
n a* Impingua, se non si vaneggia, 8
a 8* implnffua, se non si vaneggia. 8
li corto, ed ancor par ch'io '1 ifeggim, 1
in* apparve, s* io ancor lo veggla, 8
sa* Ir. ch'Io per me non la ohevfflo. 1
[oala i' vivo ancora ; e più non cheggio 1
spoe'lo, e qui ragion non cheggio. 8
lel peccato, ove mo cader deiririo ; 1
» vien con la quale esser non deggio 1
si Tien l'allegrezza, ond'io Xlauiaeg'- 8
alArità della fiamma pareirvlo. [rio 8
% lA Bucoession; pensa che a peg-fflo 8
KTcb* io tviggA questo male e peggio, 1
*i tacer mi fti avviso il peggio, 1
e«ll ancora: Or di, sarebbe il peggio S
> a lai : Poeta, i' ti rloheff vio 1
r sien salvi insino all' altro •chevrio, 1
t è 1* Mia dttade e l' alto eefffflo i 1
.Th trlonlkr nell'alto seggio. 1
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▼ E non so ohe; si nel veder ▼anevg'io. 8 10 114
Ed io : Non già ; perchè impoeslbil veirrlo, 8 8 118
Più lungo esser non può. però ch'io veggio 1 16 110
Omo! MÌMstro, che 6 quel ch'io veggio 1 1 81 187
lo cominciai: Maestro, quel ch'io veggio 8 10 118
Mi leva sovra me tanto, ch'io v^gio 8 81 88
d Da quella bella spera mi diale rba ; 8 84 80
p Che 1* immaginar nostro a cotai pieghe, 8 84 80
O santa suora mia, che si ne •prmgh.m 8 84 88
d Perchè in ogni nube gU dialeg-lil 8 88 81
S\ che il sommo piacer gli si diapleirbi. 8 88 88
f Cosi sicuro per lo inferno fregili. 1 16 88
n Io comincila: E' par chefh mi nieffhl, 8 6 88
Esser non pnote il mio che a te si nieghi. 8 1 67
p La tema nostra 11 tuo animo pierlii 1 16 81
Che decreto del del orazion pieghi: 8 6 80
Queir ombre che preg&r pur eh' altri preghi 8 6 26
IX>nna scese dal del, per li cui preghi 8 1 63
Più eh' io fu per lo suo, tutti i miei preghi 8 38 89
Rende in dispetto noi e nostri preghi, 1 16 80
a Ma da eh' è tuo voler che più si apieffhl 8 166
«Vi
o Quando si partiranno i duo colle tri»
E contro agli altri prindpi e collegi :
d Di sé lasciando orribili diaprefrll
Nel qual si scrivon tutti i suol dispregi t
e Sai quel che fé*, portato dagli erreffi
f Sono al suo petto assai debili tre ci.
Bontà non è, ohe sua memoria fregi :
p Dio in disdegno, e poco par che '1 previ :
r Quanti si tengon or lassù gran reri.
Dicendo: Quel Ai l'im de* sette regi.
Al dolor di Lucrezia in sette regi
Che potran dir li Persi ai vostri r^i.
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1 8 61
8 10 114
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1 8 47
1 14 70
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1 14 68
8 0 41
8 10 118
«Vìa
d Sola va dritta, e il mal cammin diaprevia 8 8 188
e Del barba e del fìiutel. che tanto erre^la 8 10 137
n E quel di Portogallo e di NorTevia 8 10 139
p Uso e natura sì la privlleria, 8 6 130
a Che vostra grate onrata non si afregria 8 8 128
▼ Che mal aggiusta '1 oon'.o di Vineffia. 8 10 141
«kIo
0 Poi mi dissero: O Tosco, ch'ai oolleffio
Nel quale è Cristo ab^te del collegio,
d Dir chi tu se' non avere in dlaprefflo.
f Oggi cdui che la fascia col fregio.
p Del gran barone, 11 cui nome e '1 cui predio
DI grido in grido pur lui dando pregio.
Or, se tu hai si ampio privUeflo,
Da esso ebbe milizia e privilegio :
E s'ei son morti, per qual privilegio
«VII
1 Che si deriva, perchè vi s* immegrlf.
a Come tee' io, per far migliori apeffli
Col volto verso il latte, se si averli
«Vito
mDi dolce disfar, s'adempia meglio,
Del suo figliuolo; e. per celarlo m^lio.
Da te la voglia tua. diseerno meglio
p E nulla face lui di sé parerllo.
a Di questa vita mlran nello aperlio,
E Roma guarda si come suo speglio.
Perch' io la veggio nel verace speglio
•V Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,
Ma perche *1 sacro amore, in che io veglio
«VB>^
c Le destre spalle volger d oonTema,
Al fondo della ghiaccia ir mi oonvegna.
d Per l'assentir di quell'anima derxxa.
E l'altra terra, secondo ch'ò degna
Ed egli a me : La tua preghiera è degna
Per sola grazia, non per esser degna ;
I Così U Maestro. E quella gente degna.
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wo
egna - 28
AnlmA fla a ciò di me plii degna ; 1 1 199
Quando io adi' questa profferta, degna 8 98 69
a degna 8 13 89
aria linproffn», 9 98 110
le U cor m'impregna 1 88 118
era indeg-na: 1 8 64
l'iaffeirna 8 98 60
all'interna 8 19 88
indo insegna. 9 8 108
ra insegna, 9 99 194
di ona insegna, 1 8 68
levna. 8 98 114
I prairna. 8 18 84
0 raaaegn». 8 98 64
he lassù rema, 1 1 184
le sempre regna. 8 18 40
, gli adorna; 1 8 60
ne e aerna, 8 18 80
i si Boaterna. 1 96 78
il' io ti sov verna, 1 88 116
1 dai ciel "regnm, 9 8 88
uta qua regna: 1 98 68
Ut per me si vegna. 1 1 196
genti derno S 98 168
rime inaerne. 9 98 104
si aperne. 1 14 149
ro a ma verna t 1 14 140
firmi
iggiù derni. 9 1 84
Dio su non degnlt 9 91 90
che ter sì degni, 1 6 78
* in re r ni» 8 18 89
ir poser gl'ingegni. 1 6 81
ihe m'inaernl, 1 8 77
ionvien eh* •' regni. 9 91 94
} i regni. 8 18 84
noi sette regni: 9 1 88
Sguardi 1 aernl 9 91 89
i quesa segni. 8 18 80
oa la terni s 9 1 60
-irno
o Che di llone avea (koda e contorno.
Per veder della bolgia ogni contegno.
E più con un gigante io mi converno.
Dimmi '1 perchè, diss'io; per tal convegno
d Pensa oramai qual fu colui, che derno
K di salire al ciol diventa degna
Per l'universo, secondo eh' è degno.
Da ogni creatura, com'è degno
Sì ch'io non so trovare esexupio degno.
Che la materia e tu mi farai degno.
Vedi quanta virtù l' ha fatto degno
CIÒ che fa poscia d'inteUetto degno.
Si sdebitò cosi: Non so; ma degno
S'io son d'udir le tue parole degno.
Dirò perchè tei modo fu più degno.
Al mio signor, che fu d' onor sì degno.
Che Ca l'ttom di perdon talvolta degno.
Forse cui Guido vostro ebbe a diadorno.
Ahi quanto mi parea pien di disdegno !
Credendo col morir fuggir disdegno,
E la propria cagion dei gran disdegno.
Allor chiusero un poco il gran disdegno,
I^ tempie a Menalippo per disdegno.
Ma perchè veggi mencio ch'io diaerno
Agli occhi de' mortali, il cui Inragno
Poser silenzio al mio cupido ingegno.
( aroore vai per altezza d' ingegno,
Pensa oramai per te, s'hai fior d'ingegno;
K voi nascete con diverso ingegno.
Qui vince la memoria mia lo ingegno;
Ornai la navicella dei mio ingegno,
Tutto, qual che si sia. il mio ingegno;
S' ella non vien. con tutto il nostro ingegno
Le tue parole e U mio seguace ingegno.
1 S?^ f^**/ con^nsi al vostro ingegno.
Or ^!Ìfi°*.'^. *'•»'•* •* cWovasse al lerno,
vLfl^Sff * ?**?• "O" " V^^' del legno
Venir vedraimi al tuo «filetto legno.
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9 18 40
8 4 40
8 18 106
8 96 116
8 1 86
Per le nuove radici d' esto legno
Che s* argomentin di campar lor legno ;
Ottd'egli avvien eh* un medesimo le^o.
Pria che piegasse il carro il primo legno.
p Vedem talvolta, quando l'aere è prarno,
O gloriose stelle, o lume pregno
Ma ciò m' ha f^tto di dubbiar più pref
Giii era 11 mondo tutto quanto pregno
Che dal principio suo (dov* è s\ pr^no
r Tanto che i' ombra del beato rerno
Quella milizia del celeste regno.
Che Pallante mori per dargu regno.
Tanto, che non si poeson trar d«i re^
Per tntti i cerchi del dolente regno.
L' imperador del doloroso regno
Per li messaggi dell'eterno regno;
Onesto sieoro e gaudioso regno.
Esso ricominciò : A questo regno
Che sì ardito entrò per questo regno:
Così corremmo nel secondo regno.
t canterò di qnel secondo regno.
Muover si volle, tornando al suo regno,
Vegna vèr noi la pace del tuo regno.
L' aperse, chò non v* ebbe alcun ri terno.
Nella corte del ciel. dond* io rlverno,
a O ta, che mostri per sì bestiai aerno
Ch'avea certo colore e certo segno.
8empr* esser buona; ma non ciascon segno
Voigesi schiera, e sé gira col segno.
Ma solamente il trapassar del sc«no.
Di Pietro in alto mar per dritto segno!
Come 1 delfini, quando fknno segno
8ia questa spera lor. ma per Ikr segno
E voisimi al Maestro ; e quei fé' se^no
E '1 savio mio Maestro fboe segno
Sovra pensier, da tò dilunga il segno.
Non sta d'un modo; e pero sotto U segno
Nel fboco il dito, in quanto io vidi '1 c^no
Dello Spirito Santo, ancor nel segno,
E sì come saetta, che nel segno
Che in pochi luoghi passa olirà quel •cgno)
Veramente, però eh' a questo segno
Si muove centra il sacrosanto segno.
Viso ed amore avea tutto ad un segno.
Marte quei raggi il venerabil segno,
V Che potev' io più dir, se non : I' rerno 7
Virtù del del mi mosse, e con lei regno.
E oom'io riguardando tra lor vegno.
Ed io a lai : Da mo stesso non vegno:
ero
d Se la vendetta etema gli diaptero,
1 Ed io a lui: Per fbde mi tt laro
n Malignamente gii si mette al nero.
Che non mi fk<^ dall' attender nlero.
Discolpi me non potert'io fkr niogo-
p Vedi, che nel disio vèr lei mi ploro.
Ecco qui Stazio, ed io Ini chiamo e prero.
Via d^andar sa ne drizza senza prego.
Così rispose: e s(«ginnse: Io ti prego.
Parlar, diss' lo, Blaostro, assai ten prlaro,
8 Si fin con noi. come l' uom si Ea aero ;
Dentro da nn dabbio. s'i'non me ne apiaro-
«ri*A
a Neil* aer dolce che dal Sol s' allerr»»
Non ne potrebbe aver vendetta allegra,
f Sì com'el flace alia pugna di Fler<^
1 Che dir noi poeson con parola intarnu
n Or ci attrisUam nella belletta narra.
In Mongibello alla ftieina negra,
d B friggìo, come tuon che si dllarna,
a Che somigliò tonar che tosto aerna :
t Come da lei l'ndir nastro ebbe trerna,
««ne
o Sì spesso vien chi vicenda oonaerna.
d O Tirtù mia, perchè sì U dUar «• 7
p Ella provvede, giudica, e peraerno
a Gli niami raggi che la notte aerno,
t La possa delle gambe posta la trarna.
Le soe permutazioa non lianno trierno :
— 29
•1
tnfA ad Immaginar, non ardirei
di qaest* acqua convien che ta bel,
eh' io ti parlo, mercè di oolel
Udo partUmci. il nome di colei
Q d'altra rogriè. (ktta, che ookd,
pa, Rebeeca. Indit. e colei
de RadMl di sotto d» oostol,
ru«ado lo gindieio di costei,
U'eccelBO giardino» ove coetel
Udo i giganti fèr paura al Del ;
'1 fe* cóosorto in mar degli altri Del
9 regno, come il loro gli altri Dei.
rte a cantar degli uomini e de* Del.
n deei'Mas, quae sunt pauperum Dti^
permatuw, come saper dèi.
Diodo Beatrice, che tu dèi
reodetta di Dio, quanto tu dèi
natora del luogo. 1* dloerel
Fò necessitato fu agU Bbrel
no setteotrlon. quanto gli Ebrei
il Principe de* nuovi Panael
che d'entrambi un sol consiglio fei.
l'idioma di* usai e eh* io fel
lUco spirto, del rider eh* lo fel;
I qoante grazie voUe da me. fel,
i tao aspetto tal dentro mi fel.
m d fece, ed lo Ter lui mi fel :
U piedi già esser ti fel;
j con Saradn. né con Oindei j
fero, prima che tu più t* Inlel,
1^0 saver non ha contrasto a lei :
u ; e noi attenti pure a lei,
• prende ciò che si rivolge a lei.
*tìe riporterò di te a le?
isQol con tanto afletto volse a lei.
■oo servata; ed Intorno di lei
per U riva ; ed lo pari di lei.
•M con gU occhi stava; ed lo in lei
? *" poveri giusti, non per lei,
i fsUo disse: Miserere mei.
*»* . àenedicti patH$ mei,
I credi che a me tuo penaler mei
■e A nggio di Sol, che puro mei
B eraa cento tra* suol passi e 1 miei,
^ non si. che tra gU occhi suoi e 1 miei
[r DO venieno 1 tuoi pensier tra 1 miei
vmto fb -1 diletto agU occhi miei,
» die fti manifesto agli occhi miei l
«la piacque tanto agli occhi miei,
II mi disse *1 Sol degU occhi miei.
MU. che guida In alto gU occhi miei,
fertena avesser gU occhi miei.
«r coperti d* ombra gU occhi miei;
» cte salir non poeMn gU occhi miei
«wdo, come vide gU occhi miei
nbU (ùron U peccau miei ;
nsndo Terso \k di qnesU miei
Ì;Ì. J?* ^'"*» • Koawi»»' noi potei.
mundAr, come noi ristemmo, quei
^ nostri atU, e di che fummo rei:
w con lor, eh' e* non saranno rei.
•Mo U vidi non esser tra* rei l
wo era pronto, ancora mi rendei
Fatalo e confesso mi rendei:
_*io Dante mortaU. lo mi rendei
» modo che a levante mi rendei
npo non è da dire, e non saprei.
ìm a te piace. volenUer saprei
^ M. se si conosce, U cinque e 1 sei.
l^dMpensare o due o tre per sei,
f« dogento con sessanta sei
™*gin« di fuor tua non trarrei
■no una ruota di sé tuta e tre!.
sver nptida di dò che tu vei,
» » a lui: S*eiser puote, i* ▼orrei,
•••
«« par ftioeo fonder la oandeUt
«J»po lume sé medesmo cela.
■*™un»to numero .si cela.
i*«atarQa lo membro che Toom cela,
8 81 187
S 80 78
8 16 58
S 86 80
1 14 14
8 88 10
8 88 8
1 7 88
8 S8 110
1 81 90
8 1 08
1 7 87
a 81 186
8 18 98
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8 88 185
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8 88 188
1 S7 87
8 88 187
1 7 86
8 87 66
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8 1 88
8 81 141
8 6 48
8 89 8
8 1 05
8 18 88
8 B'2 18
8 87 68
8 16 66
8 88 78
8 89 10
8 8 60
1 88 88
8 86 118
1 14 18
a 1 86
8 80 76
8 81 184
1 81 88
8 88 81
8 4 87
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8 8 181
1 81 Ile
8 87 60
1 16 18
a 80 88
1 ai 117
a 8 64
8 88 77
1 87 88
8 8 118
a 89 18
8 86 60
a 4 86
8 16 67
8 18 01
1 81 118
1 88 80
1 10 81
8 80 71
1 81 07
a 80 80
a 17 67
8 88 188
1 86 110
Per lo dosso d'Italia si oonrela,
d Per runa parte, e dall* altra il dipela,
i Perfetta vita ed alto morto inoiela
1 In numero, che mal non fti loquela,
n Questi è divino spirito, che ne la
r E se tu guardi quel che si rivela
t Per apprender da lei qual fu la tela
Poi llquefetta in se stessa trapela,
V Mentre che '1 ftimo Tuno e l'altro vela
Nel nostro mondo giù si veste e vela ;
E per soverolìlo sua figura vela,
e Se cosi è, qual sole o qual candele
La seconda bellezza che tu cele.
Lucia, nimica di ciascun ^rndele
Tal cadde a terra la flora crudele.
Che lascia dietro a sé mar t,\ crudele.
Veggio *1 nuovo Pilato si crudele,
d Per grazia fenne grazia che diavole
f Non par che ti flacesse ancor fedele
Era la lor canzone, al luo fedele.
E disse : Or abbisogna il tuo fedele
Veggio rinnovellar Tacete e '1 tele,
mVuoIsi cosi nell'alto ove JCiohele
r Che mi sedea con 1* antica Raohele s
V Porta nel tempio le cuoide vele.
Quali dal vento le gonfiate vele
Per correr miglior acqua alza le vele
Poscia dlretro al Pescator le vele I
«U
o Quand* io dissi : Maestro, se non celi
Deh. ftate. or fla* che più non mi ti coli ;
Non ti maravigliar, più che de* cieli.
Render solca quel chiostro a questi dèli
Gridò a noi: O anime c-udeii
Ei ne verranno dietro più crudeli.
g Lievemente passava e caldi e veli,
A sofiérir tormenti e caldi e geli
1 Prima Aen triste, che le guance impeli
p Già mi sentla tutto arricciar 11 peli
r Un poco, pria che *1 pianto d ras-g-ell.
81 che tosto convien che d riveli.
• Che.. come fe. non vuol eh* a noi d sveli.
▼ Levatemi dal viso 1 duri veli,
Tutta rimira là dove U Sol veU.
ClIfS
a Poi fkre a voi secondo che v* abballa.
E come vlen la chiarissima ancella
E gli altri duo che '1 canto suso appella.
b Vòlta vèr me si lieta come beUa t
A noi venia la creatura bella,
E donna mi chiamò beata e bella,
E comlndò : L' amor che mi fa bella
I' fbi colui che la Ghisola bella
Di vista in vista Infino alla più bella;
Non mi ti celerà Tesser più bella:
La Donna mia. eh' io vidi far più bella.
E come agli occhi miei d fe' più bella.
La quinta luce eh* è tra noi più bella.
Se ben m* accorsi nella vita bella.
Là*v*eravam; ma naturai onrella
o Quest* ultima giammai non si cancella,
D*aver tradita te delle castella.
Con tamburi e con cenni di castella.
Né già con sì diversa cennamella
d Prima eh* lo dell* abisso mi divella,
e E elusela, e glrosd Intorno ad ella.
Acutamente sì, che In verso d*ella
D* una radice nacqui ed lo ed ella :
Io non m* acoord del salire In ella ;
f Io vidi In quella glovtal faoella
Là onde scese già una fe«ella.
Per entro *1 dolo scese una fecella.
Ma sforzami la tua chiara favella,
E ohi, rareglando Dio, col cuor Cavella.
Perché T hai tu per divina Cavellal
Ed avea in atto impressa està fevella.
A trarml d* erro tin poco mi (kvella.
Ornai sarà più corta mia fkvella.
ella
Ma non con questa moderna floivella.
Grillando: Questi ò desso, e non &vella.
Sognare agli occhi miei nostra favella.
Con tutto 1 cuore, e con quella favella
Per cui del mio sì ben ci si C&Tella.
Sì preciso di sopra si favella.
Con angelica voce in sua fó.veUa :
Opera naturale è eh' nom favella ;
Che gridava : Or se' giunta, anima f eli* I
Guarda composta fiera è ftitta fella,
E simigllante poi alla nammella
Por ben causar la rena e la fiammella:
mChe bagni ancor la lingua alla mammella.
Però scendemmo alla destra mammella,
Allor pose la mano alla mascell*
n InnocenU f!&cea l'età novella.
Segue allo spirto sua forma novella.
Qual conveniasi alla grazia novella ;
Frequente io gente antica ed in novella.
Io udi' poi : L^antlca e la novella
Laggiù ne gola di saper novella.
Come che suoni la sconcia novella.
Se vuoi ch'io porti su di te novella,
p Quel Pietro fa che, con la poverella.
Poi che ponesti mano alla predella.
Guarda quaggioso alla nostra procella.
Q La nos'ra via un poco inflno a quella
Col cor negando e bestemmiando quella,
A giusta voglia, se non come quella
Giù la gran luce mischiata con quella.
La lucerna del mondo; ma da quella,
Tutto s'accoglie in lei; e fìior di quella
Di questo sacrificio : V una è quella
Perchè quivi era imaginaia quella,
Pur di non perder tempo ; sì che in quella
Questi m' apparve, tomand' io in quella ;
Venir per l'acqua verso noi in quella,
Qtiale quei toro che si slancia in quella
Mi torse '1 viso a sé. E però quella.
Carbone in fiamma, così vidi quella
r Per lo piacere uman. che rlnnovella
Turgide (knsi; e poi si rinnoveUa
s Che gir non sa. ma qua e ìk saltella :
E lasciar seder Cesar nella sella.
Che sì corresse via, per 1* aere, snella.
Ammaestrato dalla tua sorella,
10 fui nei mondo vergine sorella;
Comincia a fkurai tal, che alcuna stella
Si mosse voce, che l'ago alla stella
Giunga li suoi corsier sott' altra stella ;
Per r affocato riso della stella,
l^igliavano il vocabol della stella
Né nave a segno di terra o di stella,
l'erchò mi vinse il lume d'està stella.
Lucevan gli occhi suoi più che la Stella :
Par tremolando mattutina stella.
Con miglior corso e con migliore stella
Che n' ha congiunti con la prima stella.
Per lo candor della temprata stella
Ed egli a me : Se tu segai tua stella,
O trina luce, che in nnrca stella
11 quale e '1 quanto della viva stella.
Più a suo modo tempera e ens-g-ella.
li: però lo minor giron suggella
In quella forma, ched in lui suggella
Come figura in eera^ si suggella.
•He
a Fummo ordinate a lei per sue anoelle.
Duo branche avea pllose infin l' ascelle ;
l' vidi entrar le braccia per l' ascelle,
b Tanto oh' io vidi delle cose belle.
Mosse da prima quelle cose belle ;
Si trovan molte gioie care e belle
Quasi obliando d^ire a fiirsi belle.
Ed ogni giro le fkcea più belle.
Dentro alla danza delle quattro belle.
S ^^ *^^ ® fioche, e suon di man con elle,
t Ed io a lui : A quelle tre faoeUe.
O anima che tanto ben faveUe.
Fa che di noi alla gente fevelle :
Non rimaner che tu non mi teveUe.
*^ Imperatrice di molte faveUe.
8 le 88
1 28 96
8 18 79
8 14 88
8 IS 88
8 5 48
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8 SO 84
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1 6 64
lanto oenigoa avea di nior i
Che mi scolora, pregava, la i
E ha di là ogni pilosa pelle.
Che si perdea di là ; e la sui
Diverse lingue, orribili (kvcUe,
Omai, diss'io, non vo'che tu &velle»
Tratterò quella che più ha di felle.
Goder pareva '1 del di lor fiammelle.
A questa voce vid'io più fiammelle
mB quella che ricopre le mammelle.
Pece la barba inmetro alle mascelle»
Non ti basta sonar con le mascelle,
a La prima di color, di cui novelle
Dal muto aspetti quindi le noTelle.
Anzi che *1 atto sia, sa le novelle.
Rifatto sì. come piante novelle
Traggo la gente per udir novelle.
Io porterò di te vere novelle,
p Di quella fera alla gaietta pelle.
Tanto benigna avea di fyior la pelle ;
Ile.
sua pelle
Sì ohe duo bestie van sott' una pelle :
Che fece Nicoolao alle pulcelle,
4 Tanto allungar quanto accorciavaa qvelle.
Così al viso mio s' affisar quelle
E *I canto di que* lumi era di quelle :
E queste son salite ov'eraa quelle
Sì ruminando, e sì mirando in quelle.
Poiché privato se' di mirar quelle !
Ma dimmi *i ver di te ; e ehi son quelle
Perch'Io dissi: Maestro, chi son quelle
r Tu queste degne lode rlunovelle?
Dipinte avea di nodi e di rotelle.
s Mei ci appressammo a quelle fiere snelle s
Ale sembiaron le lor gambe snelle.
Parer tornarsi l'anime alle stelle.
Puro e disposto a salire alle stelle
L' Am<»r che muove il sole e V altre s'elte.
B tomi a riveder le belle stelle.
Ed egli a me : Le quattro chiare stelle
Per sua dimora ; onde a guardar le stelle
Ma per quei poco, vedev'io le stello
E quindi uscimmo a riveder le stalle.
All'altro polo, e vidi quattro stelle
E '1 Sol montava *n su con quelle stelle
Moi sem qui ninfe, e nel ciei semo stelle ;
Risonavan per l'aer senta stelle.
Saettando qual* anima si avella
V Ma già volgeva il mio disiro e *l velie.
Queste son le quistion ebe nel tuo velie
•Ut
a Vedi l' erbetta. 1 fiori e gli arboscelli*
b Cacciarli 1 ciei per non esser men belli.
Poscia rivolsi gli occhi agli occhi belli
Posponendo '1 piacer degli occhi belli.
Mentre che vegnan Ueil gli occhi belli.
o Quel peocator. forbendola a* capelli
Però, secondo il color de' capelli.
Più e più fossi cingon li castelli.
Por dinsnder lor ville e ìw castelli.
e Ugo da Sanvlttore è qui con ellt.
Ch' alcuna gloria i rei avrebber d' elll.
Seder ti puoi e puoi andar tra elll.
f Già ptxr pansanao. prl
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8 SS
a 4
pria ch'io ne favelli.
Qual* che* si fosse, lo maestro felli.
Tu vedrai ben perchè da questi ftiU
g Volgendom' io con gli etemi Oemelll,
Nella Scrittura Santa in que* Gemelli
i Degnamente oonvien ohe r incappelli.
1 Lo qua! giù luce in dodici UbeUii
mLa divina giustizia gli martelli.
p Alla ripa dì fuor son pontioelli }
Che far de* primi scalzi poverelli,
E di David coi malvagi pan r elll.
4 E eh* io non m*era lì rivolto a qvelll.
Sappi ch'io son Beriram dal Bornio. queQi 1
Tale imagine quivi (kcean quelli : i
A tale ioMgin eran &tti quelli : 1
E rechiti alla niente ehi son anelli, 1
r Degli angeli che non tana ribelli, 1
lolbci'l padre e *1 figliola tè ribeUi: 1
Poi cominciò : Tn vuoi ch* io rinnoveUl 1
s Ma chi s' avvede, che i vivi smgir«lli S
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81
«Ilo
bello ovile, ot'Io dormii agnello
Qcsser Guido ed anche ad Anviolello.
;osì riposato, a coeì belio
1 che Roma di carro coti bello
odili Dominar Gerì del Bello,
iando eoae, die *1 tacer è bello,
;lìa mostrando e facendosi bello,
1 ciel, coi tanti lumi fanno bello,
-à la pruoTa, sì ch'a te fla bello
sccol primo qoant* or fu bello ;
cor dilato scende OT'è più bello
n donna di proTincie, ma bordello I
isi fiUcon, axe ascendo del cappello,
che l'an capo all'altro era cappello:
1 mio battesmo prenderò il cappello;
uiA* io fu* chiesto e tratto a qoel cappello
iLoimo appiè d' un nobile oaetello.
:nato è or da voi lo mio oer vello.
itente fìiron d'acqua, e Daniello
sì Beatrice, qual fé' Daniello,
lirei anche, ma io temo eh' elio
era nel viso, e il dimandar con elio
quel del Sol sarla pover con elio;
i eraram partiti già da elio,
che tre venti si movoan da elio.
tao pensier da qui innanzi sovr* elio :
1 gran proposto, volto a Farfarello.
l suo maestro disdegnoso e fello t
ì V avea Catto ingiustamente fello.
ei gridò: Nessun di voi sia fello.
.- tradimento d'un tiranno fello,
eso intomo d'un bel finmioello.
9r della selva un piccol flumioello,
ne dal fkbbro l'arte del martello,
non l' abbatta esto Carlo novello
non distingue l'on dall'altro oatello.
tadinanza, a così dolce ostello,
i serra Italia, di dolore ostello,
primo tuo rifùgio e '1 primo ostello
sndendo il cibo di qualunque ostello.
' io vidi lui a pie del pontioello,
dron quel di sotto '1 ponticello,
' escono i cani addosso al poverello,
fo Melohisedech, ed altro «nello
•toto informativa, come quello
ascoltar; sapete quale e quello
1 per l'arena giù sen giva quello.
) U te ne porti dentro a te per quello
;t* altro secno; che mal segue quello
ale del Bulicame esce il rasoello,
nettare per sete ogni ruscello,
a Cianffbella. un Lapo Salterello,
icende lasso, onde si muove snello,
rendo: O Mantovano, io son Bordello
io : Si come cera da sacello,
circular natura, eh* è suggello
»de rimage, e fisssene suggello.
i là con Ganellone e Tebaidello,
membra d' oro avea quanto era nooello,
ne : Fatti in costà, malvagio uccello.
i senza veder logoro od uccello,
3 in su la Scala porta il santo uccello;
anto si conveniva a tanto uccello:
ane Cephàs, e venne il gran vasello
:tati saran ftior di lor vasello,
rr'4kltnil sangue in naturai vasello,
1 altra voce ornai, con altro vello
' a più alto leon trasser lo vello,
n avean penne, ma di vipistrello
«lo
jito al figlio pallido ad anelo
I più non arse le figlia di Belo,
•moesi. come a candellier oandelo.
r tikT disposto a sua fiamma il candele.
I occhi miei ghiotti andavan puro al oielo,
questa parte cadde giù dal cielo ;
i eh* altra creatura, giù dal cielo
ran di te nella corte del cielo,
partorir li due occhi del cielo.
il Tanai, ìk sotto lo freddo cielo,
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— 82 —
emi
Non eredo ohe coA a baod» strema S 98 95
Ma se r&mor della «pera saprema 9 16 09
E foHe U cielo In sua Tirtù soprema, 8 18 74
t Per dixlanar. quando più n* ebbe tem». 9 9S 97
Perocché t) mi caccia il lungo tema, 1 4 148
Ma cbi pensaase il ponderoso tòma, 8 98 64
Non Ti sarebbe al petto quella tema; 9 16 54
Più che giammai da ponto di tuo tdnia 8 80 98
Fuor della quota nell aura che (.rema | 1 4 160
eb' ha r abito dell* arte e man ohe trema. 8 18 78
Noi biasmerebbe. se sott'esso trema. 8 98 66
Che. come Sole il tìso che più trema. 8 80 96
g Dove la oosta <koe di sé rrambo ; 9 7 68
1 Là, doTO più eh' a mezxo muore il lembo. 9 7 79
s Tra erto e plano er' un sentiero «ffliembo, 9 7 70
eaabre
1 Fossero in una fossa tutti inaembre ; 1 99 48
ugual suole uscir dalle marcite membra 1 98 61
Hai tu mutato, e rinnovato membro t 9 6 147
n Provvedimenti, eh* a mezzo novembre 9 6 148
r Quante volte, nel tempo che rimembro, 9 6 146
9 Di Valdichiana, tra 1 luglio e 1 aeUembre.l 98 47
eaabrl
mAhimè, che piaghe vidi ne* lor membri, 1 16 10
r Ancor men duol, pur eh* io me ne rimembri. 1 16 19
• Sostati tu. ohe all'abito ne sembri 1 16 8
«■se
• (V spreme 3 4 112) eapreme
V Dall' un de' capi, che dall'altro ffoma.
Tacer che dire ; e quindi poscia geme
E dentro dalla lor flamma si geme
1 Col pastorale : e 1' un coli' altro Insieme
Ivi f accoglie l' uno e l' altro insieme,
E vidi cento sperule, che insieme
Ulisse e Diomede, e cosi insieme
Dell* altra, si che vèr diciamo insieme
Poi si ritraseer tutt« quante insieme,
Cos) di quella soheggia usciva insieme
Parlare e lagrimar vedrà' insieme.
Poi con dottrina e con volere insieme
p Disperato dolor che il cor mi preme,
Per lo perfètto luogo onde si preme ;
Quasi torrente eh' alta vena preme ;
t Io suva come quei che in sé ripreme
8 Ma se le mie parole esser don seme,
Oad' usci de' Itomani il gentil seme.
L umana spezie, il luogo, il tempo, U seme
Licenzia di combatter per lo seme,
Ch' ogni erba si conosce per lo seme.
Però, quando Piocarda quello spreme,
t Cadere, e stetti come l'uom ohe teme.
Perocché, giunti, Tun l'altro non teme.
Ch'attende ciascun uom che Dio non teme.
Ma consentevi in tanto, in quanto temo,
Di dimandar, sì del troppo si teme.
«■al
A Virgilio, a cui per mia salute die' mi i
p Potean le mani a spendere, e pente' mi
r Che qui é buon con la vela e co' remi.
Dritto si, oom' andar vuoisi, rifemi
B Quanti risurgeran co* crini scemi,
Mi rimanessero e chinati e soemi.
Ma Virgilio n'avea lasciali soemi
Toglie '1 pentir vivendo, e negli stremi I
t Di sangue m' é rimasa. che non tremi :
«mim»
a Disposato m'avea colla sua
tnSieoa mi fé'; disfecemi M.
1 18 41
9 96 44
1 96 68
9 16 110
9 96 46
8 88 98
1 96 66
8 4 114
1 8 106
1 18 48
1 88 0
8 19 07
1 88 5
9 96 48
8 19 88
8 9a 96
1 38 7
1 96 60
1 8 104
8 18 96
9 16 114
8 4 119
1 18 46
9 16 119
1 8 108
8 4 110
8 99 97
9 80 61
9 99 44
9 19 6
9 19 7
9 99 46
9 19 9
9 80 40
9 99 48
9 80 47
9 6 186
9 6 184
b Di quel di Spagna, e di quel di Boemma, 8 19 195
i*^""^** J" P"^"** d' ingigliarsi all' emme, 8 18 118
tf.^" V» *»°*^ conoMiuto l'emme. 9 98 88
vuando 1 contrario segnerà un eìnme. 8 18 198
^ 'Siti *!"*" e quanto «emme 8 18 115
occhiaie anella senza gemme : 9 28 81
Vedrassi al Ciotto di aemaaleauna
La gente, ohe perde Gerusalemme,
i Eifetto aia del eiel che tu iaireatma I
8 If
9 m
8 U
o O flrooda mia. in che lo oompiaeamiBi 8 11
t Ch'io caddi vinto. B quale aUoia femaai. 9 9ì
Cotal principio, riepondendo, femmL 8 11
i Che questa gioia preziosa ingemmi, 8 11
r Poi, quando '1 cor virtù di (hor rendemmi, 9 81
t Sopra me vidi, e dloea : Tlenunl, *«^— « 9 81
t 1
9 1
t 4
tu
9 17
9 7
a 81
8 90
1 17
9 18
9 90
9 96
9 IT
1 17
9 8t
991
991
9 4
881
t 18
1 17
9 4
99S
881
918
890
880
a Colà, disse qoell* ombra, n'andaramo
E colà il nuovo giorno atteaderamo.
f Maestro mio. diss' io, che via faremo T
r Qui si ribatte *1 mal tardato remo.
a Ed egU a me: L'amor del bene, aeamo
Qnand'io m'accorsi die '1 monte era sceme
E quinci e quindi il lume si Ik seeoM;
Ed ènne dolce così (atto scemo.
Gente seder, propinqua al luogo «eeino.
Lo mio dover por penitenzia scemo.
Farota ben di me ^1 volere scemo;
Se forse a nome tdoì saper obi eeaao.
Si purga qui nel giro, «love semot
E quando noi a lei venuti semo.
Girando il monte come ter aoleaao.
Quando *1 mio Duca: lo eredo ch'alio atraaao
Per ben dolermi prima ch'alio stremo.
B d'ogni lato ne stringea lo stremo.
Con gu occhi vidi parte nello stremo
Pace volli con Dio in sullo stremo
E dieci passi Aimmo in sullo stremo
Quando noi tammo in su l'orlo snpraiao
t Rimase addietro, e la quinta era al tamo,
B come quivi, ove s'aspetu il t&mo
Gridando a Dio: Omai più non ti temo:
▼ A giudicar : che noi, che Dio ▼edemo,
Cbe quel che vuole Dio e noi ▼olamo.
empi»
e Che tutta ingrata, tutta matta ed ampia :
8 Sarà la compagnia malvagia e soeaspij^
t Ella, non tu, n'avrà rossa la tempia.
ampie
a E cerca e truova. e quell' ufficio adempia i
e Ahi, anime ingannate, tetue ed empia, l
Non torcendo però le lucerne empie,
r Itivolta s'era al Sol che la riempia,
e > con le dita della destra scempie ì
Uscir gli oreccld delle gote scempie :
t Quel dalle chiavi a me sopra le «empie : I
Qtiel eh' era dritto, il trasse *n ver le tempie, :
Drizzando in vanità le vostre tempie I i
eaeplo
e Dimmi, perchè ouel popolo è si empio
Sangue sitisti od io di sangue t* empio. i
a Mostrava la ruina e il crudo scempio
Ond' io a lui : Lo strazio e *1 grande
t Sovra Sennacherib dentro dai tempio.
Tale orazlun te ter nel nostro tempio.
e Cbè io per me indarno a dò eontamplo. 8 91
O milijda del ciel, cu* io oootemf^ 8 u
e Udir conviemmi ancor, come l' eeemplo 8 M
Tutti sviali dietro al malo esemplo. 8 li
t Del comperare e vender deatro al tempio, 8 a
In questo miro ed angelico tempio, 8 M
ampo
a Cbe più mi graverà, com* più m* atteatpo. 1 91
t B se già foese non saria per tempo 1 9e
Tu sentirai di qua da pioeiol tempo 1 91
aimpr»
a Quando la brina In sulla terra aaaempra 1 94
i Se non colà, dove il gioir s'ineempra 8 16
t Che '1 Sole i crin sotto l'Aquairio tempra. 1 96
Muoversi, e render voce a voce in tempra 8 MI
Ma poco dura alla sua penna tempra ; 1 94
re
— 33 —
ende
1 cantar di qae\ che notan seaipr* S 80 93
9r: Donna, perchè t\ lo «tempra ? S 80 86
ilchè intasi nella dolo! tampra S 80 84
ce, a cMierl con anfaaiban», 1 84 87
lai ftd giunto alsò la taata appena. S 4 118
fia 1 17 35) arena
asooadeira in man che non balena. 1 89 84
te alla dlrina cantilena 8 82 97
veltri eh* oscisier di catena. 1 18 196
fclijdo eletto alla gran cena 8 84 1
l'aTacdaTa nn poco ancor la lena. 8 4 116
che ton^gn tkìlÌM. la lana, 1 18 189
&ama eh* acquista o perde iena ; 9 88 193
imero sinistro il carro mena 7 9 4 180
sella Toglia all'arbore d mena, 8 98 78
penti, e di sì diversa mena. 1 94 88
capo ha dentro, e ftior le gamba mena. 1 84 68
». ai là, di giù, di so gli mena; 1 6 48
arte *1 giunse ancor, né oolpa *1 mena, 1 88 46
■e. or va*, a vedi la lor mena, 1 17 89
tal, perch'io mori*, qui non mi mena. 1 89 111
che attende là. per qui mi mena, 1 10 69
[' ultimo dì quaggiù ti menai 1 16 47
per indugiar d* uà alla pena, 1 98 44
dava a cantar s\, che con pana 8 18 17
I parole e *1 modo della pena 1 10 64
per ^T 1* amico suo di pena, 8 11 186
etra sconcia e (kstldlosa pena 1 89 107
•e* messa, ed a sì fittta pena, 1 6 47
eoa) ad alleggiar U pena 1 98 89
anima lassù che ha maggior pena, 1 84 61
he di posa, ma di minor pena. 1 6 46
lo. si rinfirasca nostra pena; 8 88 71
\i la risposta cosi piena. 1 10 66
U a me: La tua dttà. eh' è pièna 1 8 48
eddo tempo, a schiera larga e piena ; 1 6 41
1 se*. d'<Kni semenza è piena, 8 88 118
»r dar lulesperienxa piena, 1 88 48
1 che l' età mia fosse piena. 1 16 01
0 a loro era la selva piena 1 18 184
» la vostea voglia è sempre piena ; 8 84 8
eoa di piacere a sentir piena. 8 19 91
1 Maestro : Acciocché tutta piena 1 17 87
ido : Ave, Maria, gralia piena, 8 89 96
(db oltre veggio in su la rena 1 17 86
» si vanti ubia con sua rena ; 1 94 86
rioar con l'arco della aohlena. 1 98 90
1 gnfflar, che talvolta la schiena l 84 69
o«ni vista sen fé* più aerena. 8 82 99
«fi topnk in la vita serena, 1 16 49
ni tenne in la vita serena, 1 6 61
d* Arexxo; ed Albero da Siena, 1 98 109
unente nel campo di Slena, 8 11 184
, cantava, lo son dolce sirena, 8 19 19
oa che vedi non surge di vena 8 28 181
dosaa a tremar per ogni vena 8 11 188
o ne liberò con la sua vena. 8 88 76
Inanima sovr'altra in noi s*aoeanda. 8
ft on lume, che 1 tre specdd accenda, 8
idond, si cinto, fkra ammenda: 1
venne in Italia, a, per ammenda, 8
fc rapina ; e poscia, per ammenda, 8
e al del Tommaso per ammenda 8
Ina è nata, e non poru ancor benda, 8
•are a riguardar la Oarisenda 1
Jenna virtù nostra oompranda, 8
e, e qnare voglio che m* intenda. 1
I* a nulla potenzia più intenda : 8
lar meco, fk* si ch^lo t' intenda ; 8
•sa sì ch'ella In contrario penda; 1
foese 1 gran Prete, a eoi mal prenda,l
b me: Fatti *n9ua, si eh* io ti prenda: 1
a dttà, coma ch'nom la riprenda 8
sonvlen ch'egualmente riaplenda. 8
k nel quanto tanto non si atenda 8
4 8
9 101
97 68
90 67
90 66
80 69
94 48
81 186
4 9
87 78
4 4
94 41
81 188
97 70
81 184
84 46
8 106
8 108
•■4e
a Che vista sola, sempre amore accende i
(V. ractxnde % 8 78) accende
Dalla mia destra parte, e che s'accenda
Che la menta divina, in che s'accende
Lo raggio della grazia, onde s* accende
Se non die dalla parte, onde s'accende
Dell'eterno palazzo più s'accende.
Lo del, che sd di lui prima s'accende.
Crescer l' arder, che di quella s' accende,
Surga ogni amor che dentro vd s' accende ;
Ciascun conftisamenta un bene apprende,
Da perfetto veder, che come apprende,
Ancdderamml qus^lonque m'apprende
Perocché solo da sensato apprende
Amor eh* a cor gentil ratto s'apprende.
Laggiù dimora, a quassù non ascende.
Ed lo : Sa quello spirto eh* attende,
b Posda che trasmuto le bianche benda.
Di capo l'ombra dalla saere benda.
e Loca ed amor d* un cerchio lui comprende,
Quanto più di bontats in sé comprende.
Per Id assai di lieve d comprende
Par questo la Scrittura oondiaoende
Par che di giugner lui dascun oontende.
d E così dalla calca d ditende.
SI, che la sua parvenza d difende ;
Intra TiqtlDO, e 1* acqua che discende
Nave che per corrente giù discende.
Né sa, né può qual di lassù discende ;
U* senza risalir nessun discende ;
Sulla marina dova '1 Po discende
D' nn ruscelletto che quivi discende
Dall' eml^erio nostro si discende
Da questa parte con virtù discende.
Or d spiega, flgiludo. or d distende
Tanto, quanto la tomba d distende,
e (V. itende ^ 15 71) estende
t Folgora parve, quando l' aer fende,
i Come tango inarino; ed ivi imprende
Si piange; or vo*, che tu dell'altro intende,
Attribuisce a Dio, ed altro Intende ;
La nobile virtù Beatrice Intende
Filosofia, mi disse, a ehi la intende,
E quanta gente più lassuso intende.
Dove natura a tutte membra intende.
Ei non s* arresta, e questo e quello intende ;
Ciò eh* io dico di me. di sé intende ;
Che '1 bene, in quanto ben. come s* intende,
Colui che *l cinge solamsnte intende.
o Che mi ta tolta, e *1 modo ancor m* offende.
Dlss* io. là dove di', che usura offende
Quanta ignoranza è quella che v' offende t
p Fertile costa d* alto monte pende,
Cd corso eh' egli avvolte, e poco pende.
Dd bassissimo pozzo tutta pende.
Come natura lo suo corso prende
Qual va dinand, e ciual diretro '1 prende,
Nel del che più deUa sua luce prende
Necesdtà pero quindi non prende.
N'andai infine ove '1 cerchiar d prende.
Che l'abbi a mente, s'a parlar ten prende.
Si dice l'un pregiando, qual ch'nom prende.
Indi d volge al grido, e d protende,
r Sa r occhio o il tatto spesso noi raooende.
E come specchio 1* uno all' altro rende.
Bla si come carbon che fiamma rende.
Dall' altra d* ogni ben fktto la rende.
Pd che morì: cotal moneta rende
Che tanto dal voler di Dio riprende.
Per r universo penetra ; e rlsplende
Io veggio ben sì come già risplende
Della oostellazioo. che lì rlsplende ;
Multiplicato in te tanto risplende.
Per molta lud, in che una risplende,
a Che l'nna costa sorge, e l'altra aoende :
E per autorità che quind scende.
Se subito la nuvola scoscende.
Onde r ultima pietra d scoscende.
Sarebbe fironda che tuono scoscenda.
Sì che ogni parte ad ogni parte splende.
Sa non d temperasse, tanto splende.
8 8
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8 87
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8 10
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8 18
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8 17 197
8 6
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8 14 188
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1 6 100
8 11 190
8 11
127
8 8
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8 8
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,8 87 118
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80
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76
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8 17 129
8 6
e
8 14
04
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43
8 17
49
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8 10
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1 6
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1 84 180
8 80
9
9 98 197
8 96
68
184 198
8 14 181
886
66
,8 17 125
'8 4
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1 11
97
8 16
73
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28
8 97 114
1 6
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1 11
06
1 7
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8 11
46
1 84 139
1 94
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1 11
£9
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6
8 1
4
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40
8 18
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a 19
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a 98 188
9 11 196
a 88 126
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7
8 16
91
8 10
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8 90
6
1 94
40
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86
a 14
185
1 24
49
8 21
12
1 7
76
8 91
10
elide
Sì ebe qaantonqae euità ti «t^nd».
T»l«, dftl cono che In destro ti steode.
Dell* vostra nuttMia non si • eado,
t Tal mi 090* io; e tal, quanto ti Mnde
Colol, lo Qol MTttr totto traaoeade.
a 10
8 15
8 17
a 19
l 7
▼olemo prendere.
tal oontlglio r«nder«.
1
1 aa
p Non molto lonfi. per
r Olà non eompio di U
• Che noi poeelam noli' altra bolgia so^nder*, 1 88 88
eB«l
a DlM*lo. Ed OffU a me : Tn vero «ppr«ndl, 8 16 88
0 PardMi anoor lo tempo per oaleadi ? 8 16 87
t Or to ehi ee\ che *1 noetro Aimo fendi, 8 16 88
1 Poi ti qoeiaro foei looenti Incendi 8 18 100
Son le mie noU a te ohe non le intendi, 8 19 98
r Che W i Romani al mondo reverendi, 8 18 108
a Coel oom'to del eoo raggio m'accendo, 8 11 18
Li tool pontieri onde cagioni, apprendo. 8 11 81
0 Poich'era neooMarlo. né oomaendo. 8 4 8
Toeto tot eovra noi. perchè correndo 8 18 87
d Voce, che fionae di eootra, dicendo i a 14 188
B *1 Duca dlaee : 1* ton un che diacendo 1 89 84
Oiò d* atto in atto, tanto divenendo 8 18 68
1 B qoette oontingenie eteere intendo 8 18 64
B di mostrar 1* Laf»nio a lai intendo. 1 89 86
Chi oom* i' odo quinci, e non intendo, 1 84 74
mCoo seme e senta seme il cial movendo. 8 18 66
p E duo dinanti gridavan piang-endo t 8 18 60
Qui ambedue, rispose Ton piangendo: 1 88 99
Poi ftunmo fittti soli procedendo, a 14 180
r Altra risposta, disse, non U rendo, 1 84 76
Per ohe. s* io mi tacca, me non riprendo, 8 4 7
■ Che pria m'area parlato, sorridendo 8 11 17
t Si dee seguir con V opera tacendo. 1 84 78
Ci sentlrano andar : per6 tacendo 8 14 188
Di fieri lupi, Igualmente temendo } 8 4 8
V Per quel ch'io vidi, di color, venendo, 8 18 80
ene
parte, e parte in vàr l' arene,
che «al sia '1 duca d'Atene,
a Volasser
Tu credi ._
Qnal si partì Ippolito d' Atene
b B s'eUa d'elenuiti e di balene
Del tuo oooslglio (U per alcun bene.
La a fitràTEd elU: L'altrui bene
Come avarizia spense a ciascun bene
F&nnomi onore, e di ciò (knno bene.
Di si CttU animali, assai (b* bene.
Cotanto effetto, e discemesi 1 bene
Queir infinito ed inel&bil bene
Che ti menavano ad amar lo bene
O con men che non dee, corre nei bene,
È corto recettaoolo a quel bene
B fklla disslmile al sommo bene.
Di gratuito lume il sommo Bene;
r 8* appellava in terra il sommo Bene,
e Qoti rosse attraversate, o qtud catene
Ond'elli: Or ti conforta, che conviene
Dunque nostra veduta, che conviene
E da questa credenza d conviene
Eli si chiamò poi. E dò conviene;
Onde la vlsToo crescer conviene.
Quinci comprender puoi ch'esser conviene
Procedere anoor oltre mi conviene
Lo Oenesi dal prindplo, conviene
Ed al gridar che più lor si conviene :
Peroc^è ciascun meco ti conviene
Quale a tenero padre si conviene.
Tal di Fiorenza partir ti conviene
t U Colobi del mooton privati tene.
g DlfAiBo era per gli occhi e per le g-ene
p Centra mal dilettar con giuste pene.
E d'ogni operazion ohe meru pene.
Ma vleosl per veder le vostre pene.
Che le terre d'Italia tutte piene
Ma perchè le tue voglie tutte piene
r Di che tutte le cose son ripiene,
Quanto aspetto reale ancor ritiene I
Giustizia vuole, e pietà mi ritiene.
Ed in sua dignità mai non riviene.
a 86 44
1 18 17
8 17 46
1 81 68
a 6 128
a 10 88
8 19 181
1 4 88
1 81 60
8 9 107
a 16 67
a 81 88
8 17 101
8 10 00
8 7 60
8 14 47
8 86 184
a 81 85
a 10 ai
8 19 58
8 84 76
8 80 186
8 14 49
a 17 108
8 8 111
1 11 107
a 86 48
1 4 91
8 81 63
8 17 48
1 18 87
8 81 61
8 7 84
a 17 105
1 18 81
a e 184
a 8 108
8 18 64
1 18 66
a 10 93
3 7 88
■ Ckedea veder Beatrice, e vidi «a Berne
Sovra la qual si fonda 1* aita apcae.
Dispregia, poi che in altro poe la ^
Do^ràodtl così n>ogliar la speee I
t In alto, fisso alle cose terrene;
pare alle co
Però ch'intenta d'argomento tleaa.
PIA giusta e più discreta ne la tkat;
Cosi giustizia qui stretti ne tiene
E perohò V usorlere altra via tiene,
V In ramo, che een Ta, ed altra viene.
Ali disse: Guarda qoel grande, cho vima
L'altro è Orazio satire che vln^
Creeoer lo raggio che da esso viene.
Doloe armonia da organo, mi vieni
Partiti, bestia: che qoeoa non visae
Ogni villan che parteggiando vleee.*
Come a lucido corpo raggio viene.
L' ona gente sen va, l' aura sta visse,
J
SU
ss
lU
SI
SI
SI
ss
i!
SS
11
1
81
31
n
1
SI
SI
b A voti manchi sì eoa alM beni,
e Prima che ta a queste none ceni.
t Quando Fetonte abbandonò gli treai,
mGli moderni pastori, e ehi gli meni,
p Coopron de* manti lor gli palafreni.
Su mi levai ; e tutti cran già pieai
Beatrice mi guardò con gu oedii ^eei
E gU occhi avea di leii^ si plsoi
Noi Siam di voglia a moverei si pleBi,
r E andavam col Sol nuoro alle reaL
Che. vinta mia virtù, diedi le resi.
Né qoand' Icaro misero le reni
Vedi U noetrt ecaonl sì ripieni,
• Che dipingono il oiel per tatti 1 eeal.
Quale ne' plenilunii eereni
O pazienza, che tanto eoetienil
t Se villaaia noe'ra giustizia tieni.
in quel gran se^^. a che tn gli oodd ^
Gridando *1 padre a ini : Mala via tisd;
V Ed un di quelU splrU disse : Vieni >^
Vodi'homeeee. dioea: sorgl.dvied. >|
•■la I
p ilfmOu* o daU UUa plenie. '
e Si levur cento, ad voeem temU eeain. >
V Tata dicean: Bmtdietu* qm venia; >
S
SI
11
SI
Si
SI
8
SI
Si
SI
S
11
91
II
II
SI
s
ll.ll
11
•■■ss
0 Quei ohe morrà di colpo di cotenna. J
p Quella, che tosto moverà la penna, •
Che noi eeguiieria lingua né penna. *
r Quel che fé' noi ch'egli osci di JUveant» S
e LI si vedrà il duci ohe sopra Benna •
Isara vide ed Era, e vide Senna. *
•■B«
a Io veggio ben l'amor oha ta m'aeoeaa*» J
Molte fiata già. Arate, addivenne J
Che delle noetre certo non avvenne, ■
e Lo spazio dentro a lor quattro eontcast •
K\ Ah* la »ait»a tfk mAWA ai nAntaiHIA. '
1
s
I
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I
1
I
1
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s
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Sì ohe la gente in mesto si conteaes,
B prima poi ribatter le convenne
B le labbra ingrossò «[uanto '
ra, come si conve
Veder voleva, come
E eome a* rivi grandi si convenne.
Si re' di quel ohe fkr non si eonveaas;
Me stesso, tanto, quanto si oonvenas.
d Ma nondimen paura il suo dir dieane,
Di Mirra scellerata, che diveane
Quando di maschio fammin*. divons,
B tal nella sembianta sua divenne,
p Tali eran quivi; salvo eh' alle penne
Fossero Augelli, e camblassersi pena».
Trattando l'aere oon l'eterne peone.
Convenne a* maschi all' innocenti pana^
Al vdo mi sentia creeoer le penne,
B quella Pia. che guidò le penne
Che riavesse le rnssohlli peone.
Ma non eran da ciò le proprie peue;
E, sotto r ombra delle sacre peans.
Brano in veste, che da verdi penne
Io veggio bea eome le vostr
iitizedbyCiOOgTC:
— 85 —
più ci li ritenne.
In diedro, e ti ritenne,
cangiando. In tu la mia pervenne,
risposta così mi prevenne:
bilone apparre. Ohe ritenne
ino. dia nalla la ritenne.
. Notaio, e Qnittone, e me ritenne
Bl ci
l»e n
■tremo d* Bnropa ti ritenne,
innocenza laggiù si ritenne,
a braccia m'arTinee e mi sostenne ;
1* altro, olM in là len ts, sostenne,
tè V occhio da preiso noi sostenne ;
Li mia eonfetsion non mi sovvenne.
■so. eh* altra volta mi tOTrenne
le osò, e mai non taro strenne,
' aflbsioa del Tel Gostanza tenne ;
a peggior sentenzia oh' ei non tenne.
M a peccar eon esso eoe) venne,
lossia cadde, ed a' fossati venne
poiché *1 tempo della grazia Tenne,
lello sfkTllIar che insieme Tenne,
troppa materia ohe in là venne,
0 voler soTra voler mi Tenne
Ili dir, ma la Tooe non venne
wnindAr oon r altro che poi venne.
ino nccese. e quella che pria venne,
1 poco sovra noi a star si venne,
senta toa. e di* onde a te venne :
al collo d'on grifim tirato venne.
n talgore, in che sua voglia venne.
MMoa più e più verso noi venne
•BBl
n pa^role e oon mani e oon cenni,
i mia compagnia costai sovvenni.
in rispose lai : Da me non venni :
8 0 0
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3 8 7
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8 88 88
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1 86 186
a 87 181
1 17 88
1 9 11
8 87 11
a 8 81
8 86 47
a 88 108
8 88 141
a a 87
a 1 60
a 1 64
a 1 68
, tao dir d' amor m* è caro cenno,
egrli m' assenta oon lieto cenno
aspettar mio dir più, né mio cenno:
a (ra ma medesmo, al nnovo cenno
tenti, verso lor daca per cenno;
ro al viver bene an picoiol cenno
in' altra da lungi render cenno
ersi a me oon salatevol cenno:
, eh* io parlassi, ed arrisemi an cenno
quanto canti gli nomini esser donno
A U maschi loro a morte dienno.
r argine sinistro volta dienno ;
par saper lo nomerò in che enno
la e Lacedemona, ohe fanno
iù d
yui parole
notar mi fenno, 8
^ a te venir mi fonno, 8
Ite psut)la Stazio moover fenno 8
contingente mai neoau fenno ; 8
B peso per ciascun di voi si fenno; 8
i passò per risola di Lenno, 1
veder eh'el ta re. che chiesa eenno, 8
par entro i pansier mlran ool senno 1 1
ricca, to eon pace, tu oon senno. 8
Eo avarizia, tra cotanto senno. 8
i*io ftai sesto tra cotanto senno. 1
cominciai cosi: L'alfetto e il senno, 8
lo rivolto al mar di tatto *1 senno 1
Blali digrignar pure a lor senno, 1
eh* lojwtei di me fera a mio senno, 8
gU è Glasoo. ohe per eaore e per senno 1
ulo tea non fere a suo senno; 8
88 87
19 86
87 188
16 116
ai 188
8 141
8 6
4 88
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8 188
8 O
4 100
10 00
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88 86
18 00
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16 180
8 187
88 88
4 108
16 78
8 7
81 184
10 88
18 88
87 141
ir del langaa e delle piaghe appieno, 1 88 8
ioa pOMO ritrar di tutti appieno; 1 4 146
Ito e epesso, a guisa di baleno. 8 86 81
«■a vedovella gli era al treno, 8 10 77
troppa siourtù m'allarga U fireno, 8 88 80
vmbni stretto naUe mani U fireno 8 80 66
vai, perehè ti raoconeiasse 1 fireno 8 6 88
mol toaon agU occhi stretto '1 (nno, 8 86 118
la sdiiera che corre lenza frano. 8 6 48
Mrata, Avleeana a OalXeno, 1 4 148
1 Borea da quella guancia, ond* i
mDi manio a più, e di minore i
Come dal suo maggiore è vinto
Che color non tomasser soso in
Che di volger mi fé* caler non
Con vista carca di stapor non i
Quando li regi antichi venner i
Senz'esse fora la vergogna mei
Per coltivare omai verrebber n
Ogni lingua per certo venia m
Che molte volte al fetto U dir
S) oh* al volger del tdmo non v
Sovresso in vista al vento si n
n In pelago noi vede ; e nondin
p Di nuovo acquisto, e si d* amici
lo mi rivolsi d*ammirazion plei
Dintorno a lui parea calcato e
Ed ogni valle onde '1 Rodano è
Di Quanto per tua cura fosti pi
Neir epistola poi. sì eh* io son ]
Anzi n*è questo luogo tanto pl(
r E quel che fe* da Varo insino i
Tra *1 Po e 11 monte, e la marj
A dioer sipa tra Savena e '1 K4
Che dentro a questi termini è i
e Recati a mente il nostro avaro
Le tue marine, e poi ti guarda
Immagini quel carro a cui lo i
Summae Deus cUmentùte^ nel
Q>* hanno a tanto comprender |
DaU* erba e dalU fior, dentro a
Come poteo trovar dentro al tu
Mentr'^io diceva, dentro al vive
Lume non è, se non vien dal i
Indico legno lucido e sereno.
Come rimane splendido e sereni
Di prima notte mai fender sera
Ridor lo mondo, a suo modo, •
Più chiaro assai, che luna per
Lo delo awivan di tanto seren
V Od ombra della carne, o suo v<
(Y. veleno 3 19 66) veneno.
enam
d Per che già la credetti rara e
Ma perehè Santa Chiesa in ciò
Pia testimonio al ver che la di
Richiede ancora aiuto a tua dii
i Ponete mente alla sua voglia i
Vidi la figlia di Latona inoax
mConvienti ancor sedere un poco
Di quel che cade della vostra i
o La eolpa seguirà la parte offe
p Che r ha per meno ; e chi ad ai
E tosto verrà fetto a ohi ciò p«
Sempre del fonte onde vien quel
e Ben è che ragionando la com]
d E notte avesse tutte sue diapi
i E pria ohe in tutte le sue parti
0 In te non sono ancor dall* aoqu
Da eh* io intesi queU* anime off
SI che scusar non si posson l' o
p Fin ohe *1 PoeU mi dlBse : Che
Poco sofferse ; poi disse : Che p<
A questo punto vogUo che tu p
T Dicendo: Intanto ohe tu ti ria
• Caina attende chi in vita ci s]
Della fùlgida fiamma che lo n»
Dal padre suo. la propria nuuu
Che U Sol corcar, per 1* ombra
Che la voce si mosse, e pria si
eaal
d Credo che *1 fenno i eorai rari
t Yòlitando cantavano e tacien
Ed al si ed al no dlsoordl fon
Che li prlnd parenti intramba
1 Similamente al (timo degli ino
mPrlma cantando a eoa nota m.t
DI quella pietre, ohe spasso vu T
p Ma dimmi qua! ohe to da ta n^glC
ensi
36
«
Io gta pensando ; ed el disse : Tu Mnsl
r Vostra resorrezloa. •• ta ripensi
■ D'ammirazUme ornai; poi dietro a* seiuil
Partita in sette ceri, a doo miei sensi
Da quell'ira bestiai ch'i* ora spensi,
t Un pooo s'arrestavano e t»olensi.
a SoTra me. come pria, di caro assenso
o Cosi 1 Maestro ; ed io : Aleon oompenso.
Deh metti al mio voler tosto oompenso,
p Perduto : ed egU : Vedi, ohe a ei6 penso,
cai* lo possa in le rifletter qael cfa*lo penso
s 6\ che s'ausi prima un pooo il senso
k JD uuun Mkr» «KivMU, • «ui
Dell' operante, quanto pl<
In che piò tosto onora t
Quel, che Timeo dell' ani
a B buon sarà costui, s'anoor s' aaunenta
) più appresenta
ra s' appresenta :
Quel, cfie Timeo dell'anime argomenta
E vedrai il oonenier che s'argomenta:
Mercè del popol tuo che s'argomenta.
C3ie fk colui eh* a dioer s'argomenta.
Quale è colui eh' adocchia, e s* argomenta
B se dal fbmmo fuoco s' argomenta.
Colpa nella tua voglia altrove attenta.
Mirava Ossa, immobile ed attenta.
Fosse la gente di Nembrotte attenta;
La punta del disio, e non s'attenta
Per vogUa di volare, e non s'attenta
Moaser la vista sua di stare attenta
Se la tua andienza è stata attenta
Temendo *I flotto ohe in vèr lor s'avventa
b E quale 1 Padovan lunao la Brenta,
0 B Impossibil che mai si consenta :
L'altra beatltudo, che contenta
Florenxa mia, ben puoi esser contenta
A rilevarvi suso ta contenta ;
Per che la voglia mia sarta contenta
Prima cantando, e poi tace contenta
Per tei* di sé la mia voglia contenta.
In parie fla la tua voglia contenta;
d Io veggio tuo nipote, che diventa
Ciascuna cosa, quale eli* è, diventa.
Son di tiranni, ed un Marcel diventa
Piò corto per buon prieghi non diventa
A quella luce coUl si diventa.
Che per veder non vedente diventa;
1 Tal mi sembiò 1* imago della impronta
Con poco moto seguitò la impronta.
La divina bontà, che '1 mondo impronta.
Che del valor del cielo il mondo impronta
1 Ella sea va notando lenta lenta:
Che saetta pravisa vien più lenta.
E la maggiore e la più Ineolenta
p Di Santa Chiesa, ancor che alfln si penta,
Giron oonvlen che senza prò si penta
r Ma esso guida : e da lui si rammenta
Con ansila parte ohe su si rammenta
Sorridendo rispose, or ti rammenta
Gabriel e Miobel vi rappresenta,
s Che fa per li Giudei mala sementa.
Anzi ohe Chiarentana il caldo senta{
Perocché, come dice, par che senta
Come tu vedi, ed è mestier ch'e'senta
Parole gravi ; avvegna oh' io mi senta
Par che del buon Gherardo nuUa senta.
Del flero flume, e tutti gli sgomenta
Tal era io. con voglia aooesa e spenta
Di' eh'è rimase della gente spenta.
La lingua eh' io parlai ta tutta spenta
Nell'aer d'ogni parte, e vidi qienta
Ed a tal modo il soooero si «tenta
t O tuo parlar m'inganna, od e* mi tenta.
Guastatori e predon. tuta tormenta '
Della sua strada novecento trenta
Per ogni tempo ch'egli è stato, trenta.
V Se non ch'ai viso e di sotto mi venta.
Puote nomo avere in sé man violenta
» Che sotto a petto del Uone ardente
itaooo d'amor par sempre ardente.
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Tedi Ckddo Bonetti; vedi Aadeata.
o Come li fece subito e oandente
Per la oontraddtrioo che noi oon santa.
Bd altra andava oontinuaoseata,
d Dietro a olii fbgge. ed a chi nostra 1 damta
Cosi quelle carole, diflerente
Qual d' una idaata. In tanto diflerente
Segue, oom' u maestro fk il disoeata.
Te kteis ante si dlvotaaante
Cominciò egli allor sì doleaaaeata,
Onge d'intorno la città dolente.
Per me li va nella città doleats;
Qie si riehindon per esser dtdente,
E Modena e Perugia fti dolente.
Colui che perde si rimaa dolente
Di Puglia ta del suo sangue dokesite
Ma dimmi ohi tu ee*. che in sì dolente
Barbariceia con gli altri suol dolente.
e Intra sé, qui nlù e mano eoeellente.
Vedi se Ikr si dee l'uomo eoooUente.
f Perché diede *1 oooalgUo trodelente,
r Sopin giaceva in tona aloona rente,
B però quesU (bstinata gente
Possa lasdars alla ftatora gente ;
Prender sua vita ed avanzar la geate.
Seguendo lui, avria buona la gente.
Nessun riparo vi può tw la gente.
Da quella parte, onde il core ha la gente:
Che con la coda percuote la gente:
Se s'adunasse ancor tutta la gea'e.
Con raltro se ne va tutta la gente:
Per lui fla trasmutate molte gente.
Va per lo regno deUa morte gente!
Per me si va tra U perdute gente.
Già venU su. ma di piccola gente.
Non viste mai ftaor efa'alla prima gente
Lo nkio Maeetro, ed io, e qnelte gente
Vedi che non pur io. ma queste gente
Diretro al Sol, del mondo senza gente.
Da man sinistra m'apparì una gente
1 che s
I ffinstaaaenta
Quantunque vedi, sì <
Come giuste vende te riui
1 Mi si faoeaa stimar veloci e lente.
B son pareva, sì venivaa lente.
Di gemme U sua flroote era Inoeate,
Qnaat* esser oonvente da sé Inoeate!
mBd altro disse, ma non l'bo a menta:
B qual da lato gU si reca a mente.
Da queste due, se te ti reciti a amate
Perch'io a lui: Se U riduci a meate
B quest'atte del del mi venne a mente.
Indarno di rlduriasi aUa mente.
Che dove l' argomento della mente
Essere alcun de* raggi delte meste
Che fboe me a me uscir di mente.
Com* a nessun tocresse altro te mente.
Da pigliar occhi per aver U meste.
Esaminando del «<t "*"**" te mente.
Non tener pure ad un luogo te mente.
Per lo nostro sermone e per te mente.
81 vuol laedar che non eegntr te moite.
Ma te U solverò tosto te mente:
Flooa dirtotro agU occhi tuoi te mente.
Da' oonoettl morteli, alte mte mente
Foree ti tira ftior delte mte mente
QueUa che imparadisa te mte meato:
B porteraine ecrttto neUa mente
Si ciran sì, ohe '1 primo, a chi pon meste.
Vidi molt* ombre, andando, poaer mente.
E ee *1 mondo laggiù ponesse mente
Allor si volse a uoL e pose mente.
Io nd volsi a man destra, e posi mente
Li pensier vani tetomo alte tua mente.
Che plangeaa tutte assai miseramantei
Cooosoeresa aU'alber moralaaante.
n Colui ohe moetca sé più nerUdroata,
Ma però di levarsi era niente.
Tutte adunate parrebber niente
o ParigU stete giunti all' oooidanta.
Che già, ragliando» tatto l'oooMeste
Poi u rivolse nel voetre ooddento,
NeU'ora credo, ohe daU' oriente
Olà s'Imbianoava al balio d'orlante.
91
te
37 -
NT» tatto rider rortonte.
nodo gU oeehl Terao 1* orienta,
1 did OM di SilTio lo parente,
i 1 laoeero il fkeetie ior parente.
UMd l'ombra del primo parente.
Ito di là, da quel oh* egli è, parvente.
a per eolor, ma per Inme parvente,
Ufiunente •! riCà parrente
) ia foeeto «peccmo ti mrà parvente.
. per emer battota, ancor si pente.
'uMlver non ti può chi non al pente;
% vorrebbe; ma tardi al pente,
ini Btatrioe. ed ella pienamente
bai vedute eoee. che possente
arda la mia virUi, t*ell*è ponente,
a può di ma natura eater poMonte
ttrìtk lingna mia tanto poMente,
ftodo d vidi venire on Poaaente
grao teatonsia ti (kran predente.
vadiMll a quei che fla preeente.
eor fla grave il memorar i»«iente.
dò non pensa la torba presente.
Mia ebe contro alla vita presente
B tntti 1 raffi, ed assai prestamente
M anetUa Dei, s\ propriamente,
i Bsattiee si bella e ridente
•ado od volsi al soo viso ridente,
'vostri sonsl. oh* è del rimanente,
«a come quei che si Msente
r l'alta torre alla dma rovente,
I io boea con l'ombra più rovente
voler Ior parlar serretamente.
foel ebe w col baialo sernente.
Morde a sé. eom'ogni altra semente
1 organar le posse ond'ò semente,
■ole andò, e fa. sensibilmente.
nto ovra poi ohe già si mnove e sente»
r tante elroostanze solamente
lo 11 pente, chi guarda sottilmente,
l prMs 1 sonno ; il sonno che sovente,
waeda por, che tosto sieno spente,
• •* altra è maggio*, nulla è si spiaoente.
imi Diovati, che atUsosamente
bsae la meglio s\ subitamente,
ajwnedetto roetro ta tacente;
liobè legista e l'ubbidiente
» : Va' sn tu. che se' valente.
«Mie Scotto Al, che veramente
•■tt
^,1 Maestro, che l'andare aUentl t
•j« qnaU ed in sogno ed altrimenti
"«tti verw me, non altrimenti.
^ in lo specchio U Sol. non altrimenti
nsjoAr la mia terra altrimenti,
■f i miei di rimirar fé' piò ardenti.
%«itt di su da rafftri ardenti.
■ni gridavano: ▲ nUppo Ardenti.
.**'«• mio, dlM'io. bene argomenti;
* lo: Por filosofici argomenti,
r» la nstansie. e poi tra gU argomentL
Li '•ìT*' •* ^ qnlnci argomenti,
^w gift cadde, che tutti argomenti
•1 «sUo suo caler fissi ed attenti,
^ «nn gU occhi miei fissi ed attenti
«oavam tntti fissi ed attenU
«tal: Frate, perchè non t'attentt
« «^Uvam per lo vespero attenti
"^risDlendere a* miei blandimenti i
nea^adnori. o saran s\ ooeenti 7
i quando tu oonsenti |
miei eeser contenti,
se mi contenti
Ini, parevan si contenti,
. ^, Ior. ohe son contenti
'^ Bonar parean tutti contenti,
rJ!^ ^ 0M« eontlnventi
j conviene schiarar; dieer oonvienti
j^iere cagne, bramoee e correnti,
?t!^ in giro pi6 e men correnti,
*; Ubtr nom l'un si recasse a' denti.
2* 000 trsggoQ la voce viva a' denti.
* Hv. bocca dirompea co* denti
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Riprese il teschio misero co' denti.
In sé medesmo si volgea co' denti.
Cangiar colore, e dibatterò 1 denti.
Non vedi tu eh' e' dl«rrignan li denti.
In quel che s* appiattò miser 11 denti.
Vidi per fame a vóto usar li denti
Locati son per gradi diflerenti.
Sì che tre ne Iacea cosi dolenti.
Ch' ei Canno ciò per li lessi dolenti.
Poi sen port&r qoeUe membra dolenti,
O Niobe. con che occhi dolenti
Si fkn sentir con gli sospir dolenti!
Di QuegU antichi spiriti dolenti.
e Turno u suggetto de' vostri elementi.
Che Ibeser dall' umana colpa esenti :
Li flgU di Levi ftirono esenti :
g Quando che sia. alle beate venti :
Ditemi chi voi siete e di che genti:
Ed egli a me : L* angoscia delle genti
Ahi Pisa. vUuperiodeUe genti
Far di costui alle (kngose genti.
Ylsn dietro a me. e lascia dir le genti :
Quant'era allora 1 e quali eran le genti
Tutto smarrito, e riguardar le genti
Mormorava U Poeta, molte genti :
Che pasturò col rocco molte genti
Fuor che mostrargli le perdute genti.
Ed io: Maestro, qoai son quelle genti.
i O benigna virtù che si gl'Impronti,
Cotale amor convien che in me s* imprenti ;
Quivi sto io co' parvoll innooenti.
Di che le creature Intelligenti
Veniva a me co' suoi intendimenti,
Oli occhi miei oh' a mirar erano Intenti.
1 E fhor n'usdvan si dori lamenti.
Ma di tenebre solo, ove 1 lamenti
Che non paressero impediti e lenti
Volgendosi vèr lui non ftiron lenti.
Delr ombre e della pioggia, a passi lenti.
Cosi fìrugar, oonviensi 1 pigri, lenti
P(4chè r vicini a te punir son lenti.
Gridando: Che è ciò. spiriti lenti t
Contro i raggi serotini e lucenti :
Più dold in voce che in vista lucenti.
mChe. come vegglon le terrene menti
Con sei occhi piangeva, e per tre menti
Nel primo mondo dall'umane menti.
Intra duo dbi. distanti e aoventl
n Di Ior semenza e di Ior nascimenti.
p Solamente la fède de* parenti.
Bestemmiavano Iddio, e 1 Ior parenti.
Ed argomento delle non parventi :
Ed egU a me : Non vo' che tu paventi i
DiMl: Come verrò, se tu paventi
AgU occhi 11. ebe non eran possenti.
A cui tutti U tempi son presenti ;
r Ed io: Maestro. 1 tuoi rarionamenti
Bastava si ne' secoli recenti
Or con uni or con altri rerrimenti.
Per confondere in sé duo reggimenti.
Come a colw. che troppo reverenti,
Ond'eUa pronta e con occhi ridenti t
Che lo splendor degli occhi sud ridenti
Strinsermi gli occhi agli occhi rilucenti,
• Allora udì' : Dirittamente senti.
Di vita etema la dolcezsa senti.
Quella pietà, die tu per téma sentL
Di palesarvi a me non vi spaventi.
Che gli altri mi sarian carboni spenti
Furon creati, e come ; si che spenti
Tra sette e sette tuoi figUnoU spenti!
Che gli altri sensi m'eran tutti spenti;
t Perch'io diad: Maestro, osti tormenti
V Né giugneriesi. numerando, al venti
Giammai la cima per soffiar de* venti.
Come s'avviva allo spirar de' venti
Di fredda nube non diaceser venti.
Io vidi pift ftUgor vivi e vinoenti
•■6#
a Ma. perdio poeta vostro aooorffimento
Parer lo aventorato adornamento.
I Fatto v'avete Dio d'oro e d*arironto:
ento
- 38 -
L' una era d' oro. o 1* altra era d' ait?eato :
8 8 118
sanz' argento.
8 88 88
eBir«
Ben conobbi 11 ▼eleo deU
arg-omento.
a 81 76
e Da òhe ta tqoì ■aper cotanto addentro.
1 i
— *«
8 4 88
0 Dal centro al carchloet) dal oerohlo al oentroa li
1 18 110
Che del eoo masxo fece 11 lame centro.
8 ti
8 17 186
Fece del destro Iato al morer oentro.
8 11
8 86 3
1 1
8 0 18
d Poi rispoee 1* amor ohe t' era dentro :
811
>nto.
1 86 44
Secondo eh' è perooeaa ftiori o dentro.
SU
Ot
a 8 188
e O dolce lume, a col fldansa V entro
ili
aio?
1 18 114
Perch* V non temo di venir qoa eatro.
1 i
Bnto
1 a 79
SIS
tento 3 sa 86
1 Penetrando per qoeeU ond* lo m' laventro 8 Bl
Bnto
. 1 26 48
8 8 16
8 4 78
AMBA
i
o B quel che leffoe In la oirooaf erense.
810
a 8 ISO
880
1 8 77
Da poi ohe Carlo tuo. bella Clemense,
8 9
a 18 8
Di tre colori e d'ona oontenenea;
Itf
1,
a SI 68
aso
o:
3 88 108
888
Lo
8 sa 80
Di òhe ti fk; l'altr'e la oon-renense.
8 88 111
8 5
o.
1 88 80
Ta vederai mlrabU oonTonensa,
Sta
Ito
a 6 117
Ed io por turno e contra ooeoXense.
St7
•nto i 1 6 86
Fita Tdr lei. e CàtU tkr oredenea
ss?
ito
1 14 88
Che reteer loro T*è in iole eredensa.
8M
1 26 48
d Plft aenU *1 bene, e coe\ la doffUense.
1 e
888 6
e Non Tegliate negar r eeperXensa,
196
lento
a 84 1
890
nto:
1 10 68
8 6
tnto:
a 81 78
t Fa per daecono di t^ Tia Floreaaa,
110
8 88 7
Ili
8 17 181
In daecon delo, a eoa Intelllffensa.
818
1 88 88
B però di Mistansia prende intensa;
S9«
a 18 48
p La tua miaura, non alla parvensa
Sif
Lio
a 18 1
Che mi Urgiecon qui la lor parrenxa.
8 91
ento
1 8 69
In me. guardando, una iole parvenza.
Tanto distante, che la tua parveua
89S
to.
8 6 78
319
o
1 88 101
Fusi di raggio tutta sua parvenza
890
1 a 186
111
anto
, 8 6 11
Morte indugiò per vera penitenza.
Sto
1 88 84
890
1 8 181
Però non ebber gU wscbi miei potenza
Sto
Ito
a la 47
S9S
to,
1 9 66
Tempo era stato ch'alia tua preeensa.
Sto
a 6 116
■ E fermalvl entro, che non th eolenaa.
8 »
a 8 188
Ed egU a me : Ritorna a tua ■elenza.
1 0
1 10 67
Che ricever dovea la eoa semenza;
893
1 83 106
8 9
8 86 1
Considerate U vostra semenza:
Ite
B.
1 6 88
Deh, se riposi mal vostra semenza.
110
1 10 66
1 0
ento.
a 81 64
Che qui ha inviluppaU mia sentenza.
1 10
lo,
1 a 81
Se tu riguardi ben questa sentenza.
Nella profonda e chiara anaalstensa
1 11
tnto.
a 6 78
889
nto;
1 14 ao
887
a 81 66
1 6 87
•Bse
»i
188 108
e Di ftior dall'altre due olroonferenee.
8 14
a 84 8
Che più non Ik che brevi oontinarenee ;
d Oli altri giron per varie diSerense
e QueU' esser parte per diverse eeaense
a 13
3 17 188
8 9
8 88 107
8 91
1 8 188
p Comindan per lo del nuove parvenae*
8 14
ventc
a 6 118
8 19
8 9
nto
a 8 180
a Dispongono a lor fine e lor aemenee.
,
8 81 71
8 13
8 6 74
8 14
1 14 80
888 9
••
1 9 67
a Ond'ei rispose: Tu vedrai Anteo
t> E nell'antico vostro batlsteo
181
»•
a 8 116
aio:
Che dello smisurato Brlareo
131
e Che per amore al fina oombatteo.
1,5,
n tre 8 18 84
siei
!^.
3 88 108
Olorta in esoedUu, tutti. Dea,
880J
f.
1 18 16
e Moronto ta mio frate ed BUeeo;
8 16 1
1.
a 18 86
t Averrols che 1 gran comento tee.
Soleva Roma, ohe U buon mondo feo.
1 4 ]
e
8 88 106
8 10]
1 18 18
8 88 104
Dar nomar Oiosoè. com'el si lèo;
8 19
8 18^
m:
1 18 14
Tal, ohe 1 Maestro in vàr di me si fiso,
■?s
tntr«:
8 18 aa
Col manca l'acqua sotto qua! si fte;
8 17
— 39
8 16 138
8 18 40
S 17 99
1 4 140
8 18 49
8 90 138
8 18 87
9 10 104
1 81 108
1 6 64
9 17 81
1 6 08
8 19 88
1 4 149
dndl 11 toprannome tuo si feo.
ti nome deiralto Macoabeo
r sua ipoaa e il giotto MardooheOv
:ori<le dico; e vidi Orfeo,
tizia era ferza del paleo.
( intender lo grido ti poteo.
tosto imbianca, te 1 vignaio è reo ;
eagioo ohe il mondo ha ftUto reo,
ne porri nel fondo d'ogni reo.
a vidi, per col tanto reo
me qoeita immagine rompeo
ppe tede al oeoer di 8iol&eo ;
UD ad Ostlenae ed a Taddeo,
ide geometra e Tolomeo,
1 ventre innanzi agli occhi sì t'aaeiepa. 1 80 198
Ila rea la sete onde il crepa. 1 80 191
)ie quel ch'aveva enfiata Vepa; 1 80 110
•re
, perocché air atto die oonoepe 8 99 180
era corpo (e qui non si oonoepe 8 9 87
parea, venendo verso r epe 1 96 8a
10 e nero come gran di pepe. 1 96 84
Icevette. com* acqua reoepe 8 8 80
tanti nuMU in essa si recepe. 8 90 187
■er eonvien se corpo la corpo repe), 8 9 89
1 eanicolar, cangiando siepe, 1 96 80
vomente in essa forve e tape. 8 98 141
•rP«
Satan, pape Satan aleppe.... 17 1
el Savio gentil, che tutto aeppe, 17 8
a è la fkisa che accusò Oluaeppo ; 1 80 07
M. quaad* io piovvi in questo rx^PPO ; 1 80 06
febbre acuta gittaa tanto leppo. 1 80 00
era
re che r Decidente non s'annera. 8 97 68
sritade alla gente eh* avvera 8 18 86
la dimanda tuo creder m* avvera 8 99 31
'appiccar, come di calda céra 1 96 01
MIO, ancor che buona sia la cera. 8 18 89
congiunta, e la mondana cera 8 1 41
spennar per la scaldata cera, 1 17 110
ri nel tuo arbitrio tanta cera, 8 8 118
i, potrai dir, enei da Dnera 1 88 116
on né r altro già parea quel ch'erat 1 96 68
ardo si movea, secondo ch'era 8 88 86
ir. che l'altre qui quand'olia e* era. 8 81 84
>le in pria, che rih nel corcare era. 8 17 0
mbra. che di do dimandata era, 8 14 28
i credetti : e ciò che suo dir era 8 6 18
n'era 1 parlar coli dov'era. 1 4 106
). eh' io non avrei visto doV era, 1 16 14
aea il dimandò poi. chi egli era: 1 84 191
Ite più aseai di quel eh' eli' era, 8 6 188
•0 giù da Fiesole, e rii era 8 16 188
a la mia, quando vidi ch'i' era 1 17 119
per quella cerchia dov'io era: 8 99 88
Mse, e venne al loco doV l'era, 1 8 101
ironlava il punto doV lo era ; 8 18 91
ilo guardassi in suso: ma lo era 8 83 60
lilla a me. che gii grande li era. 8 8 117
fcvlllar dell'amor che 11 era, 8 18 71
ntu U gente che lì era, 8 94 67
dentro ad un lume, che li era 9 97 60
lezza e virtù creednta m'era, 8 80 188
Hi, però che gii negU occhi m'era 9 88 08
oro li. e qui mezza notte era. 8 16 6
> ancora, si come prlm'era. 1 84 180
i tkl rlniembrar dove e qual era 8 88 40
*en cinquanta gradi sallt' era 8 4 16
11 parte li. dove sempr' era. 8 99 66
> del oercliio. in che avanti s'era, 8 11 14
«re un lustro sopra quel che V era, 8 14 68
id dimandato altri chi v'era, 1 89 118
tolto poco tempo a volger era. 8 1 60
tempo è. In questa gola fera. 1 84 188
•gar vidi alla biforme fiera 8 89 06
veduta, ftoor che della fiera. 1 17 114
Ad alber sì. come l'orribil fiera
Vlder BeatHce vòlta in sulla fiera.
ff Di cui segò Fiorenza la gru reterà.
1 Ed altra è quella e' ha l'anima intera:
Ivi è perfotta, matura ed intera
La madre sua, che. con loquela intera.
Che nulla promisdon rendono intera.
Credo però che più di Id s'invera.
1 E fla la tua immagine lervlera
E per magrezza e per voler leggiera.
Questo diss' lo diritto alla lumiera.
Cosi n'andammo insino alla lumiera,
Ed io senti' dentro a quella lumiera.
Tu vuol saper chi è *n questa lumiera,
m£d ambedue girard per maniera
Che danno a dubitar fklsa matera.
Perocché forse appar la sua matera
Come raggio di sole in aequa mera.
Incominciar, ùicendod più mera:
Tale, che nulla luce é tanto mera.
n Così si fk la pelle bianca, nera.
Quello emispùio. e l'altra parte nera,
p Che d nomava da quel della Fera.
Ben é che '1 nome di tal valle péra :
La madre Id, ed ella primavera.
Dipinte di mirabil primavera.
r fi vidi lume in forma di riviera
E come augelli surti di riviera.
Sotto 'l suo velo, ed oltre la riviera
Questi *I vocalMl di quella riviera,
DlBS' lo a lei. verso questa riviera.
• Alcuna volta in aer Canno aoniersK
Qi'essi mi fooer della loro schiera.
Fanno di sé or tonda or lunga schiera:
Quando incontrammo d'anime una schiera,
Ch' uscio per te della volgare schiera 1
Ci riguaroava, come suol da sera
Qui é da man. quando di li é sera :
Tanto pareva gli in vèr la sera
Lo Sol sen va, soggiunse, e vlen la sera;
Di qud die apporta mane e lascia sera.
E sì come al salir di prima sera
Fatto avea di li mane, e di qua sera
Questi non vide mai 1* ultima sera.
O giustizia di Dio. quant'é aevera,
Sommo pastore, alla fode sincera
E quello avea la fiamma più sincera.
Che la mia vista, venendo sincera.
Anima deena. il grado della spera,
E il prindpio del dì par della spera,
A diradar cominciansi. la spera
Tu hai li piedi in su picdola spera.
Ten porti, che son nate in questa spera,
S' ademnleri in su l' ulUma spera.
V Ed avri quad l 'ombra della vera
Disse : Beatrice, loda di Dio vera.
Di nostra oondizion com'ella é vera.
Ogni contraddizione e Calsa e vera.
Io dirò cosa Incredibile e vera :
Dell'alta luce, che da sé é vera
Di ciò ebb'io esperienza vera,
E volse 1 pasd suoi per via non vera.
Comlndò ella : Se novella vera
Sì che la vista pare e non par vera^
Cy, severa 1 24 119Ì vera
Sola sedead in su la terra vera,
erb»
a El, per trovare a conversione acerba
Sente '1 saper della pietate acerba.
Per cui eli' esce della terra acerba.
e Ma veggendomi in esso, io trassi all' erba:
Qual d te' Glauco nel gustar dell'erba.
La vostra nominanza é color d' erba ;
Reddlsd al frutto deli'itaUca erba;
Di te : ma lungi fia dal becco l' erba.
a A cui l'esperienza grazia serba.
La tua fortuna tanto onor ti serba.
La rabbia fiorentina, che superba
Oente avara invidiosa e superba:
Cod la madre al figlio par superfack.
Nella presenza del Soldan superba
T Trasumanar significar per verba
— 40 -
te aoerb».
8 80 70
BrdAU*erbe
8 80 77
•«perbe.
8 80 81
Merbo,
1 91 88
acerbo:
8 10 48
MI r acerbo:
8 18 8
• acerbo 1
18S 18
&ù acerbo.
1 0 70
drizialn«rbol 9 78
U nerbo.
1 81 86
^ss.:""-
1 81 84
8 10 46
raperbo.
1 S5 14
1 0 71
k Terbo t
1 86 16
rbo
8 18 2
Terbo
8 10 44
oeroa.
8 16 68
■i cerea.
8 17 49
a e meroa.
8 16 61
rea.
8 17 61
reroa,
8 16 00
jrca.
8 17 47
l
ne oerohi.
9 17 180
» cerchi;
9 17 187
m
gran oerolii» 1 SS 184
cerchia.
9 9 4
nte cerchia.
9 14 1
B cerchia.
a 14 60
•erobla
9 9 9
nolcoperehia
: 1 98 186
»rohl» :
8 14 07
■op«rohia.
1 98 188
io toperehia;
9 9 6
▼erobia
8 14 08
del oeroblo
, l 7 44
1 in cerchio,
1 11 9
» cerchio
9 99 09
in ooperoblo 1 7 48
l '1 coperchio
9 99 04
coperchio
1 11 6
aooverohio
. 1 81 47
Mi Barobio
191 40
robio
1 11 4
perchio.
1 7 48
■overobio.
9 99 06
rchio.
191 01
obarol.
1 10 106
dftircherd
1 7 88
0 farci.
1 7 49
fbr Ki&arei
1 7 40
ondo laroi.
1 16 108
aaaroi.
1 10 104
Chi dietro all'ocoellin eoa rlta perde;
V Mentre ohe la nieranxa ha fior del verda.
Che ooRtno a Verona *1 drappo verde
Mentre ohe gli occhi per la fionda verda
Di taot dal regno, qoad lungo *i Yerda,
a Tu te a* andrai oon qneeto antivadar^s
Qoaata pareami aUor peniaado avara s
Nel proMimo si danno; e nel eoo arerà
b E le Romane antiche per lor bara
o Che qoel può lorgere. e qoel può oad^ra
(E e\ come veder li poò cadere
d Per vedere in Beatrice U mio dovara,
f Onde omicidi, e dascon che mal fiera»
i Foeeer le none orreToU ed tatara,
mE vidi le ene loci tanto mara,
n E qoegU: Ei son tra le anime più narai
o Per vedere on (tarare, altro onwerm
p Faliiflcato fla lo too parara.
A terra è torto da fklto plaoara.
Cominciò ei, ohe ti <krà piacere
Quanto qoesU virtù t'è In piacere,
Talor la creatora. e* ha podera
8\ sotto te. che nessuno ha podere
• Dispregiò cibo, ed acquistò aapara.
Mi (te* desideroso di sapere
Che gran disio mi s^ge di s^iere
Oli altri duo ponti, ohe non per sapere
Lo gin» primo per diverse aobiara.
E Beatrice disse: Ecco le schiere
E pose me in so r orlo a aadara.
Vinceva gli al'ri e 1* ultimo solara.
Bicolto del girar di queete apara,
t Disse ; Che hai. che non ti pool taaara ?
B vidigU le gambe in su tenere.
NeU'ecclissi del Sol. per traaparara
▼ Nò per me lì potea cosa vadara.
Io levai gli occhi, e credetti vedere
Questo non è. Però è da vedere.
Del mio attender, dico, e del vedere
Vegna in Oerostdemme per vedere.
Lo Duca mio. che mi potea vedere
Se tanto scendi. gU ftkni vedere.
Diehlarerantl ancor le cose vara.
Alle cose, che son fbor di lei vere.
In bozsaoehioni le susine vere.
Ben fiorisce negli uomini *1 volara ;
'occhio oaroo, 1 18 110
oberoo. 1 18 117
itaroo, 1 18 118
arda, 9 18 101
n si parda 9 18 108
rinvarda. 9 18 100
l che parda.
perde.
1 10 184
8 8 188
a E quale U maadrlan. ohe ftaocl albarya.
Lo Carrarese che di sotto alberga,
Aronta è quei ch'ai ventre gli s* attarga»
a Ouardande perchè fiera non lo aparga }
T Li duo serpenti avvolti oon U varrà.
Guardate dal pastor ohe *n so la veiga
er«bl
a Tosto divegna. si ohe 1 del v*albarrbl
t Che se ne va diretro a* vostri tarffbi t
V Ditemi, acciò eh* ancor carte no varcbl,
•ri
0 Nomar le donne antiche e i oavallarl.
f Si muove, e varca totti i vaUoe fari.
1 Qìk mostravam com' eravam larciari i
E paion si al vento esser legglsrL
asE poscia morto, dir non è maatiarl.
n Sema costringer degli angeli nari.
p Con la persona, awegna che i panaiarl
E il lume d'uno spirto, che. in pensieri
Che per 1* effetto de* sod ma' pensieri,
r E quesU r Arcivescovo Barsiari :
a Essa è U luce etema di Birieri.
Rispose adunque: Piò che to non apari
V SUlo^nò invidiosi vari.
Poi cominciai: Poeta. Tolantiari
Io m'era mosso, e seguia volentieri
•rio
a Tosto Ubere flen daU* adaltarlo.
o Di Roma, che sonata oiaAt«rio
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P d T» per moro itntto a* inerii i
■mi. e Q Dott mio ti moMe p«r li
^ coati» 1 piacer mio. per plàoerll.
^ te «mteUaate a qaella
eoa dar TOita eoo dolore se
iiit«rmA,
■rio dido eertiAcato f ftml.
leedii di Beatriee, eh'eraa fermi
Nh'oo li moioe, e gli altri et«t«er fermi.
K della rteta della mente infermi,
r ow ti fMe. e '1 eoo voler piacerai
» ToU alla giostizU eenza solierml t
aro gli da tntU i vwtri echermi.
di to. Malaeoda. qui vedermi
I T'aeeorgete voi. che noi slam vermi
crnn*
otto al qaale è eooiaerato on ermo,
Udo 1 liaeetro ta torr' eeeo termo,
Modo ebe 1 poeU hanno per fermo.
■errigio di Dio mi fei »\ fermo.
I avea membro che tenesse fermo.
m in Brina U popol tatto infermo,
11*00 desiati fenno aU* altro sohermo;
1 1' è giovato di me fere eetiermoi
I col ttogoe doloroso eermo 7
g riflonrinnomini U tene sermo ;
Udo d worse Cerbero, il gran vermo,
) gU animali, inflno al ploelol Termo.
«rasa
>U. la n la divina bnatemn,
Itran presti orrnuk in eoa oavemn,
h mina in o\ fetta cisterne;
a Parnaso, o bevve in sua dstema.
U la boeea toa. si che dleoema
■to, die 1 suo principio non disoema
ttr lo viso per la lace eterna
rtgoardando nella loee etema,
^bndor di viva looe etema,
jgilo avete la prigione etema t
*» a Ngnir la provvidenza etema.
«Mgoavate eome l'oom s'eterna:
istn e messaggier di vita etema,
im dimenio, che poscia il governa
dove Dio Bensa messo governa.
Bto al consiglio die il mondo governa,
l'sMer poò. Quei sa che si governa,
tempre nera fe la valle Inforna 7
■no profendo vidi che s'Interna.
l' occhio per lo mare, entro s'interna:
lai di leàda onde s' interna.
A con mano a guisa di lanterna,
v'ha guidati f o chi vi fe Inoerna,
eolo ben, diss'io. sacm lacerna.
è feoeva a sé stesso lacerna ;
ara e btiona Imagine patema
labbil; ed bai voler che si rloema
lea che nella mia lingua si eoema.
• sella giastlsia ■empitema,
sesta primavem sempiterna.
Ciallo della roea sempiterna,
ne per 1* universo si eqaadema ;
uer mio ch'ai tao sentir si sterna,
•tnalemente Osanna sverna
Offlbm che di qtia dietro mi vema.
di lode al Sol die sempre verna.
va Troia in cenere e In eaTOme s
roler di oolul che qui ne oemo t
«va U cagno che li si dlsoeme I
>si mim e poco si discerné.
aoe in voce voce d dlsoeme.
vi batte chi tatto disceme.
M dispieiga le beUexse etemo.
*andovi le sue bellesse etema,
a fide tra le ninfe eteme.
SM
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1
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• 18
86
Al Mode, credo, di lor vM8 etons. 8 8 81
1 Vld* le la cesa loee altre Ineomo 8 8 18
TU' io. sopra ssIgUala di loeerso. 8 88 88
o GU Assiri, poi che to ssorto Olofomo, 8 18 88
s La Olente, ensando. di fi astia che soomo 8 86 8»
DI toue la sosrssTie oeaspltomo 8 16 80
La divina beota, che da si spome 8 7 64
Tal varo allo Istelletto saio stome 8 16 87
Se disiassimo esser piò saperne, 8 8 78
Come fe'l sostro le viste saperne; • 88 80
▼ Tlrtà di carità, che fe Tolome 8 8 71
8 1 78
1 84 8
8 87 140
8 1 74
1 84 1
8 1 76
8 87 144
8 87 148
d Coo rarmoola che temperi e dlsooml.
Diesel Haestm ado.ee to 1 dlscemL
ir Sappi die la terra son è chi rovorni ;
Novallameote. Aaaor. che *i del governi,
1 Vexilia Regi* frodnmt Inforni
s Qnsodo la rooca. che to sempiterni
Raggeran si questi cerchi snpomi.
Ila prima che gessa* tatto si STorni,
era»
e Là entro certo nella valle oemo
d Qol il trovai, e pel volta non diemo.
Ma certo, poco pria, se ben diaoemo,
Ond' io per lo tao me* penso e discemo.
Ov* io jper me più oltre non discerao.
Noo vid'lo diiaro sì. com'or discerao.
e Tutta i dipinta nel cospetto eterno.
Fossero : ed ei mi disse : Il feoo etemo
Om conosce die il giodido etemo
Tu te ne sorti di costui 1* etemo
E disse: U tempoml feoeo e l'etemo
E trarrotti di ani per luogo etomo,
r Ma io fero deli altro altro grovomo.
Che fecer di Montagna il mal govemo,
i Ch'i'disced quaggiù nel basso inferno,
1 in questo basso infem '
su prese, e quel d' 1
Fin Che l'avrà rimessa nell'inibmo
1 8 71
1 80 94
1 12 87
1 1 118
1 87 189
a 4 77
8 17 89
1 8 73
8 80 68
1 • 106
1 17 127
1 1 114
a 6 108
1 87 47
1 la 86
1 8 76
8 6 104
1 1 HO
a 86 117
1 se 113
3 80 64
8 17 86
8 17 37
1 27 49
1 26 116
1 80 96
8 80 60
1 18 3»
8 87 125
a 4 79
1 87 61
1 80 08
8 4 81
n qi
L'angel di Dio ini prece, e qoel d'infemo
Fin Che l'avrà rimessa nell'lnibmo
saFu migilM- febbre del parlar materno.
Che quanto durerà 1* uso moderno,
o Fa crastino laggiù dell' odierno,
p Latin, rispose quell' amor paterno,
a La contlngensa, che feor del «nadorno
s Le dttà di Lamone e di Santemo
O firate. disse, questi ch'io ti soemo
E non credo che diano in sempiterno.
Di die ragiono, per l'arco snperno,
lovò a Dite del cerchio superno.
Fa corsa, e femmo in sa 1 grado superno.
Che '1 messo cerchio del moto superno,
T Che muta parte dalla state al varno:
Che feman come man bagnata il verno,
B che sempre riman tra l sole e 11 vemo.
ero
a (V. adulUHo 3 9 14S) adultero
òr ooperbite. e via col viso altiero, 8 18
Intorno ad esso era '1 grande Assuero, 8 17
0 Appresso vedi '1 lume di quel oero 8 10 IH
(V. cimiterio 3 9 I4n) cimitero
Io fei oom d'arme, e poi fel oordirli*ro, 1 87 6
d Come in ispeochio. fiamma di doppiero 8 88
f Qoiv'è Alessandro, e Diooldo fero, 1 18 10
Segue la fersa; e cosi queste fóro 8 4 8
Che PoUnnia con le suore fero 8 88 8
Ahi quanto egU em nell' appetto fiero I 1 81 8
Un erodflsso dispettoso e fiero 8 17
i Ch'ei fe dell'alma Roma e di suo impero 1 8 -r
Perchè suo figlio, mal del corpo intero 8 18 li
Che fe al dire e al fer cosi intero. 8 17 8
Si oome sono, in loro essere intero; 8 7 18
Seguitar lei per tutto l' inno intero. 8 8 1
B eerto il creder mio veniva intero; 1 87 6
Se fosse stato il lor volere intero. 8 4 8
1 S'io fessi par di tanto ancor ierri«ro, 1 80 8
Certo, cbe^l trapassar dentro è leggiero 8 8 1
Con un vasello soelletto e leggiero. 8 8 4
Con l'ale aperte, e sovra i pie leggiero I 1 SI 8
Tanto, che U suo andar ti aia logoro, 8 4 9
mB quanto U santo aspetto fecea mero. 8 88
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ero
-42 —
L* angttUoa natora e *1 minl«t«ro.
Che tMto piangerà quel iBon*ataro,
a E qoelU fronte e* ha *1 pel omì neiro,
£ vidi dietro a noi un oiavol n«ro
Da poppa stava *1 eeletUal noooMoro,
p Prima che l'abbia in vista od in pensiero,'
L'amor dell* appareoca e il sao pensiero
U' siede il saccessor del maggior Piero.
fl E più di oeoto spirti entro «edlero.
Alior sarai al fin d*6sto ■•ntlero t
lo sarei messo già per lo sentiero,
Sì che veggiate il vostro mal sentiero.
Voi non andate giù per un sentiero
E fece Muzio alla sua man seTero,
Gli angeli, frate, e *1 paese sinoero
Perchè si &. montando, più sincero.
▼ Aguzza qui, lettor, ben gli occhi al ▼•vo»
Per aiutarmi, al miliesmo del vero
Credendo e non credendo dioer vero ;
Ombre che vanno intomo, dioon vero:
Per iscnsùrmi. e vedermi dir vero ;
Saper ta messo, che, se U vero è varo,
Oe^ miseri mortali aperse il vero
Non tornò vivo alcun, s* i' odo il vero.
Non vide me' di me chi vide il vero.
La quale e U qoale (a voler dir lo vero)
Ha posto in luogo di suo pastor vero.
E Obizxo da kstl, il qual per vero
Più non rispondo ; e questo so per vero.
Per che, se ciò e' ho detto i stato vero,
erri
• Ricominciò a gridar : Perchè mi seerpi 7
Se stati fossim* anime di serpi.
Uomini (tunmo ; ed or sem fatti sterpi ;
•rr»
a Pino a Mlnoo, che ciascheduno afferra.
Quel ohe più basso tra costor s' atterra,
E fuor di sua natura in giù s' atterra ;
d Le lagrime, che col boUor disserra
La porta del piacer nessun disserra;
Dove chiave «u senso non disserra.
Con qoell' aspetto che pietà disserra.
Come fuoco di nube si disserra,
B '1 giogo di che Tever si disserra.
e Ella sorrise alquanto, e pd: S'egli erra
Che ritrarrà la mente, che non erra.
Come Livio scrive, che non erra :
Se la memoria mia in ciò non erra,
g All' uomo non ftusesse alcuna ff aerra.
Dentro v' entrammo senza alcuna guerra :
E che se fossi stato all' alta guerra
Nimico a* lupi, che gli danno |
Già si solea con le spade far r
Che per tal donna giovinetto io guerra
AnOaraol perché lasci la guerra!
M'apparecchiava a sostener la guerra
Per 11 Troiani, e per la lunga guerra
Dimmi se i Uoniagnuoli han pace, o guerra;
Ed ora in te non stanno senza guerra
Lo bevero s' assetta a fu* sua guerra.
Per cui ed Alessandria e la sua guerra
Nulla ignoranza mai con tanta guerra
Orando all'alto Sire in tanta guerra.
Che fecero alle strade tanta guerra.
i Seder là solo, Arrigo d' Inr^Uterra t
0 La oondizion che tal fortezza serra.
Di quei che tm muro ed una fossa serra.
Dove Codto la freddura serra.
Vinca la crudeltà, che fuor mi serra
Lo pan. che 'l pio padre a nessun serra :
Su l'orlo che. di jttetra, il sabbion serra.
E libero è da indi, ove si serra,
t L' esalazion dell' acqua e della terra.
Cb'avrebbon vinto 1 figli della terra*
Caduto se* di quella dolce terra
Al qn^e ha poeto mano e cielo e terra.
Che già in su la fortunau terra
Queir AttlU ohe fti flagello in terra,
cla''IÌ!?22 corpo che Uggioso in terra
leva gu anlinai. che sono in terra.
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8
Adora per color, che aooo is tana
Ch' apri le strada tra il cielo e la terra.
Ch' ei eomlnciò a tu sentir la terra
S' aperse, agU occhi de* Tebaa, la terra.
Che r aggravava già. in vèr la terra ;
B noi movemmo tpiedi in vèr la terra.
Guardando V ombre che glaeaan par
Sol par lo dolca eoon daua soa latra
a Porche la gente a' piedi mi a* atterri,
d D* arte e d* ingegno avanti che disserri,
e Da Piar le tenjgo; e dissami eb*lo erri
a Fòlgore para, sa la via attraversa s
d Cerbero, flora crudele e diversa,
Entramoko giù per una via diversa,
f Come *1 ramarro, sotto la gran farsa
p L'acqua era buia molto più dia persa
Due e nessun l'imagine perrersa
r Sovr' una fonte che bolle, a riversa
Per 1* aer tenebroso si riversa :
s Sovra la gwxta, dia quivi è soauaersj
a 81 eoma rocchio noetro non a* aderse,
D* OB suo compagno, a la bocca gli apersa.
Per che di sràdLa in grazia. Dio gli aperse
Onde, si tosto coma gli ocdii i^ersa
Per lei tremò la terra e 1 ciel s'i^araa.
Morta la gente, a cui il mar s*ap«se.
Che quel da me. perchè alior non s'aperse.
Con la tua mente, la bocca t'aperse
e In puigazioB dell'anime converse,
SI. che '1 pregno aere in acqua ai eooverae.
Ed a Bea&ice tutta si converae;
Come quel fumo ch'ivi ci coperse.
Da Pratomagno al gran giogo coperse
B f^tanMina col braccio wA coperse.
d Che chi '1 vide quassù gUel oisooperss
Del garofano prima discoperse
B tranne la brigata, in dM disperse
Però d'im atto uscir coca diverse ;
Pooda oonchiuae : Dunque eaaar diveraa
Che fùr parole alle prime diverse.
e Sì ch* io approvo dò ohe fuori easerse ;
aaCoel ginattaa qui a terra il merse
o Sé stessa a vita senza gloria offerse.
Indi mi tolse, e bagnato m'oOisrse
Mi s'accostò, e l'omero m'offorse.
Cominciò ei: se non.... tal ne s'ofliarse.
Bd onde alla credenza tua s'oflòrse.
p Che, volando per l' aere, il figlio perse.
Quanto possibil ta, poi che la perse
B rtprendeane le genti perverse.
B l' Abbagliato il uo senno prof erse.
B se tanto segreto ver proflerse
r Io vidi ben, si com'ei riooperse
s Per eh' im nasce Solone ed altro Serse,
Bla Blle^tonto. là 've passò Seraa,
Sempre con danno l'attender sofferse.
Guardando alla peraoaa che soflèrsa,
81, che da prima il viso noi aoflbrse;
B quella, che l'aflìMuio non sofièrae
Che r ocdiio stara ^erto non soOana :
Onda credette in quella ; e non adferse
*~ ndro I
Più odio da Leandi
Di lei dò che la terra non aoHhrsa :
Questi, scacciato, il dubitar somaerse
Abbracdommi la testa ; a mi sommerae ;
ersi
a Aprimi gli occhi. Ed io non glieli apersi.
Non guS celai, ma tutto gliel'apend:
Allora più che prima gli occhi aperai;
B come l'occhio più e ^ù v'aperal.
Se gli occhi mid da lui fossero aversi.
Poi disse: Fieramente furo avversi
o Di Malebolge. sì che i suol oo&versi
Ond'io gli orecchi con le mas eoparsl.
d 81 che per duo fiate gli dispersi.
Per gire ad essa, di cdor diversi.
U
— 43
f
qtial più altri nacquero e dÌTerd ; 8 18
enti aaattaroa me diTertl, 1 S9
olor della pietra noa dltertl. 8 18
Genovesi, aomlni diverti 1 88
9\ profonde che 1 fondi tlen perai, 8 8
1* ombre, che veder più non potersi, 8 18
eli oochl per vaghoxza rlooporsi, 8 18
Humi gente Innanzi a noi sedersi, 8 18
redo, per Tacome ch'Io soffersi 8 88
nelle flàoda, eh* lo non lo soffarsl : 8 8
Idi o viglile mal per voi sofferei, 8 89
R. prima oanzon, eh' è de* aoBuaersi. 1 80
he non slete voi del mondo spersi? 1 88
1 per vetri trasparenti e tersi, 8 8
I me tanto stretto. Per Tederei, 8 8
loova pena mi oonvien fhr Tersi, 1 80
i cose a pensar, mettere In versi. 8 89
ttm-rìen ch'Elicona per me ▼ersi, 8 88
ir sonare nn poco. In questi versi, 8 88
148
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48
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18
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8
1
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74
rgomentar ch'io gU fkrò STrerso. 8 8 68
Syel color, che, per lo sole avverso, 8 87 88
o. alquanto del color oonsperso 8 6 80
reità '1 mondo In caos converso : 1 18 48
io allora tutto 11 del cosperso t 8 87 80
lo : CIÒ che n' appar quassù diverso, 8 8 69
he dal fktto il dir non sia diverso. 1 88 18
visitando vai per V aer perso 1 6 89
*1 secondo tinto più che perso, 8 0 87
seenne e della pnzxa. onde *1 perverso, 8 87 86
e* bai pletii del nostro mal perverso. 1 6 98
ed altrove tal fece riverso. 1 18 46
ella : Cero assai vedrai sommerso 8 8 61
Beo marmo era sì pulito e terso, 8 8 96
Loto per la costa da traverso 8 6 88
Mita per lo lungo e per traverso. 8 0 80
^Mse amico il Re dell' universo, 1 6 01
■DÒ si, ch'Io pensai che T universo 1 18 41
alver fondo a tutto l' universo. 1 88 8
tando Mi$erere a verso a verso. 8 6 84
qoelle dMine aiutino '1 mio verso, 1 88 10
eri*
6 ti prego; e tu, padre, m'accerta,
'ù tiene un sospir la bocca aperta.
più
che per materia t* ò aperta,
ila, r * -" '-
so di quella, agevole ed aperta.
cechi suol belli quell'entrata aperta;
Ulto ella versa da duo parti aperta.
10 *1 Sol th la rosa, quando aperta
, che per lui ne fla la terra aperta,
esce al fontana salda e certa,
iortonate I e dasouna era certa
I tu qualunque cosa t'ò più certa;
I ristori vapor che gel converta,
eoo altra materia si converta.
) di pel maculato era coperta,
fkoea trasparer per la coperta
\ per Francia nel letto deserta.
[ che la verità gli i discoperta,
resi via per la piaggia diserta,
\ Liorld e TurbLit, la più diserta,
•eoo quasi al cominciar dell' erta,
" di qua da lei discende l'erta,
_ trovammo la roccia sì erta,
r r oÀrere, ancor che alcuna offerta
«ce terra, della piuma, offerta
1 spirò: Sens' essermi profferta
IDlsa d' oom che in dubbio si raooerta,
rie<^rse : e ftmne ricoperta
Teggia eoo immagine sooverta.
wr oon contenti aUa pelle scoverta,
erte
rsa dinaod a me con l'ali aperte
i per urlare avrlan le bocce aperte.
Mva a lui tener le labbra aperte,
i« le sveigognate fosser certe
Ita fisceva l'anime conserte.
, la pioggia continua eonverte
nembra con l' umor, che mal converte.
IH
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3 82 66
1 8 180
8 28 194
8 16 118
8 86 106
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8 6 64
1 1 88
8 80 101
8 16 180
8 9 66
1 1 88
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1 1 81
1 8 188
8 8 47
8 6 60
8 88 187
8 86 108
8 0 64
8 88 180
8 88 60
8 16 118
8 19 1
8 88 108
1 80 66
8 83 106
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8 87 186
1 80 68
tmbro tutta ei
coperte,
coperte.
Pria toggt, che ìé guance sien coperte,
e Altre s anno a giacere, altre stanno erte;
i Altra, com'arco, Il volto a' piedi in verte,
r B fede ed innocenza son reperto
L'nn verso '1 mento, e l'altro In so riverte.
erti
a Ifa quando fummo liberi ed aperti
o Fatti gli avea di so contenti e certi.
Che gli atti loro a me venlvan oerU,
Di vU cilicio mi parean coperti ;
d Sollngo più che strade per diserti.
i Io stancato, ed ambedue incerti
o Poscia che gli occhi miei si furo offerti
p E sem sì plen d'amor, che, per piacerti,
e E tutti dalla ripa eran eofkerti.
•rio
a Lì si vedrà tra l'opere d'Alberto
Frate e maestro (ùmml, ed esso Alberto
Secondo che l'affetto gli è aperto.
Quanto per l' Evangelio V è aperto.
Sovra '1 tuo sangue, e sia nuovo ed aperto.
Ma mislml per l'alto mare aperto
Colui che la difese a viso aperto.
Com* e* vedranno quel volume aperto,
0 Speme, diss' io, è uno attender certo
Ed io, per confessar corretto e certo
Jacopo Rusticucci fui : e certo
Comlneia' lo. per voler esser eerto
NeUa sentenzia tua ; che mi fe certo
A ciò non fu' lo sol, disse : né certo
Tu se* omal del maggior punto certo ;
E non voglio che dubbi, ma sle certo.
Quel che tu sii, od ombra, od nomo certo
Se tu di tutti gli altri esser vuol certo,
E di mallsla gravido e coperto :
Allora tal, che palese e coperto
S'io fùssi stato dal fuoco coperto.
Così foss'lo ancor con lui coperto,
E quel, che 'ntese 'l mio parlar coperto
d Per che 11 regno di E*raga fla deserto.
Quivi mi fece tutto discoperto
Risposi lui, m' hanno amor discoverto ;
Senza la qual per questo aspro diaerto
Picdola. dalla qua! non (Ui diserto
Quand' l' vidi costui nel gran diserto,
Yonlmmo poi in sul lite diserto.
Che nudrlro '1 Batista nel diserto ;
Che '1 glardin deU' imperio sia diserto.
Lo mondo è ben così tutto diserto
e Soave, per lo scoglio scendo ed erto,
Levai Io capo a profferir più erto.
Ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto,
Uom. che di ritornar sia poscia esperto.
1 Sì che, stracciando, ne portò un lacerto.
niDisse '1 mio duca; ond'egli ha cotal morto.
Con grazia illuminane, e con lor merto;
Benigno ; e non guardare al nostro merto.
Grazia divina e precedente merto.
Se dritto 0 torto va, non è suo merto.
Là dove Simon mago è per suo merto,
Usdnne mai alcuno, o per suo merto,
o Dinanzi agli occhi mi si fa offerto
Se credi bene usar quel eh' hai offerto.
Che s' amore è di ftuHi a noi offerto,
s DI bella verità m'avea scoperto.
Indi nn altro vallea mi tn scoperto.
Che par centra aUo ver ch'io t'ho scoperto.
Dal collo in giù, sì che 'n su lo sciarlo
Girando su per lo beato serto.
E eome noi io mal ch'avem sofferto,
B Llbleocco : Troppo avem sofferto,
" " '1 Dottor
E credo ohe ':
iior l'avria soffèrto.
Ila poco poi sarà da Dio sofferto
Ma fti' io sol, colà, dove sofferto
Che avete tu e '1 tuo padre sofferto.
Pronto e libente In quello ch'egli è sporto,
Questo superbo voli' essere sporto
(V. ««peno 2 1 13S) sporto
erva
mCerchlAto dalla fironda di Minerva,
p B^ealmente nell' atto ancor proterva
r B u più oaldo parlar dietro riserrax
— 44 -
• 80
• 80
9 80
f Tadté all'ombra, mentre che *l Sol ferve, S
Chò plft e tanto amor quinci io forre, 8
o Sorteggia qoi. il come ta onserve. 8
p Le oapre. state rapide e proterve 9
• Ma l'alto caritii, che ci (k serve 8
PoggUto •' è, e lor poggiato serra ; 9
«rvl
n Ore lasciò 11 mal protesi nervi. 1
• Colui potei che dal Serro de' servi 1
V B Franoesco d'Accorso; e ancor vedervi, X
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f Tratte da amor le corde della fera». 9 18
• Che sempre, a guisa di fanciullo, eohersa 9 16
E 1 buon Maestro: Questo cinghio steraa 9 18
t E com'io dimandai, ecco la tersa 9 18
Quanto tra l' ultimar dell' ora tena, 9 16
b Ahi come faoean lor levar le berse
t Vidi dimon cornuti con gran terse,
t Le seconde aspettaTa. né le terse.
••»
a E seminre di mirar (koeasi acoesa.
fcgli han queir arte, disse, male appresa,
o (Ahi fiera compagnia I) ma nella oMesa
OiÀ tutta lo mio sguardo area compresa.
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1 18 89
d Tal volto l' ombra che per
li«0(
ditesa
Cosi, giù d'una ripa dfsoo« osa.
Al piano, è sì la roccia discoeoesa,
L'infamU di Creti era distesa.
Non averebbe in te la man distesa;
1 Che yentieinque secoli all' Impresa,
Perchè, pensando, consumai l'impresa.
E della gente ch'entro T'era incesa.
Con l'ale a|«rte. ed a calare intesa:
A tol da cui to noto non è intesa;
Pure alla pegoU era la mia intesa.
Se io ho ben la tua parola intesa,
1 Rispose *1 Savio mio. anima lesa,
o Ma piceiol tempo ; ohe poca è 1* offesa
S\ che in poca ora avrta V orecchia ofltoaa.
L' anima tua è da viltade offesa :
p Che tu saprai quanto quell' arte pesa.
Che gU lo incaroo di laggiù mi pesa.
Indurlo ad ovra, eh* a me stesso pesa.
Però qualunque cosa tanto pesa
Più dalla carne, e men da' pensier presa,
r Ma non cinquanto volte fla raccesa
E TolgeamJ con voglia riaccesa
s Cotol di quel burrato era la scesa.
Dall'Alpe, per cadere ad una scesa.
Se la cosa dimessa in la sorpresa.
Troppa è più la paura, ond' è sospesa.
Di che la utente mia era sospesa.
Cosi la mente mia tutto sospesa
In sogno mi parea veder sospesa
Satistar non si puA con altra spesa.
t E come giga ed arpa, in tempra tesa
«se»
o Non perchè nostra conoscenza oresoa
e Onde to rena s' acoendea, eom' esca
Del tuo disio, mi disse. s\ eh' eli' esca
Subitamente iMdano star l'esca
t Isootendo da sé 1* arsura fresca.
Così vid'io queUa masnada fresca
mA dir to sete, sì ohe r uom ti mesoa.
r Com* uom che va. né sa dove riesoa i
t Senza riposo mai era to tresoa
esohl
a B 'I tronco: Sì col dolce dir m'adesobl,
• Ma non tacermi, se tu di qua entr* eso£L
^ose qui l'argento de* Franoesebis
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Là dove i peccatori stonno tresohi.
i Perch'io un poco a ragionar m'iaveselii.
r D'alcuna ammenda, tua fhma rinlreaebi
a Acceso da Tirtù, sempre altro aecesa,
B vede presso a sé le fiamme acoese.
Sì com'egli eran candetobri apprese.
Che tante lingue non son ora appresa
Di sopra flaouneggtova il bello arnese
Siede Peschiera, bello e forte arane
Con sì contento tobbto sempre attese.
Alle lor grida il mio Dottor s'attese.
1» Che pennelleggto Franco Boiornese t
E non pur lo qui piango bolognese:
o Fa pianger Monfsrrato e '1 Canaveee.
Ricominciò colei che prto ne chiese,
E quando per to barba il riso chiese.
Da loro aspersTon l' occhio comprese :
Disse : a costor si vuole esser cortese :
Flglinol mio, disse il Maestro cortMe,
Che donerà questo prete cortese.
Che tu mi sie de' tuoi prieghi cortese
I>inanzi al mio venir ta sì cortese.
Ben non sare* io stato sì cortese
Che nel mio seme se' tanto cortese.
(Colpa di qoeUa ch'ai serpente orese),
d Sì, ohe '1 viso abbmctoto non difese
In ohe to Santo Chiesa si difiBse.
Ed avanti che sien di là discese,
E quell* amor che primo lì discese.
Onde d'aUora, che tra noi discese
Rimontò per la vto onde discese :
Fu sì sCogato, che '1 parlar discese
Ove la riva intomo più discese.
Dinansi a lei le sm ali distese
GU diretani alle cosce distese.
Indi, a partirsi, in terra lo distese.
Ed lo, quando '1 suo braccio a ms distese,
E come to mto toccto si distese.
t Chi ricevesse *1 sangue ferrarese,
E ravvisai to toccto di Forese.
i Recenti e vecchie, daUe fiamme inoeseX
Dell'eccellenza, ove mio core intese.
Onde l'altro lebbroso che m'Intese.
Regina centra sé chiamar s' intese ;
La prima cosa che per me s' intese.
mCondussi a ùur to vogUa del Marobese.
Guardando in suso, e QugUelmo marebese.
Di mezza notte nel suo mezzo mese.
n Non rechi to vittoria al Nuvarese,
o Perch' io possa purgar le gravi offese.
La gente, che non vien con noi. oflbse
p Conrormi fieno al viver del paese.
Tutti oonvegnon qui d'ogni paese:
Ti prego, se mai vedi quel paese
Ben ti dovrebbe assai esser p«lese
Che to tua aflbslon mi fe' palese.
Ch'egli aveano a Marta, mi fa palese
Ma neUa voce sua mi (ti palese
E con gU anterior le bracoto prese ;
Tende Te braccia, poi che '1 totto press,
Pei^ con ambo le braccto mi prese.
Fui oonosduto da un. che mi prese
Lo Duca mio di sobito mi prese.
Forse in tre voU tanto spazio prese
r Questo (kvlUa tutto mi raccese
E dietro pw le ren su to ritese.
s Gente sì vana come to sanese t
Rimossi, quando Beatrice scese.
Poi che l' un pie per girsene sospese.
Di tanto amnurauon non mi r
Che seppe tor le temperate spese.
di quei oandort la so si steee
t Ch'io gli vidi venir con l'aU tese.
V Pastore, s quel di Brescto e '1 veronese
est
a Le tre faville e' hanno i cori aooesi.
Per le quali eran sì del tutto acessi.
Umani corpi già veduti accesL
Selva sarasao i nostri corpi appesi.
D'esser di là dal centro, ov'lo m'appresi
— 46 —
sraT&m ancora al tronco attesi,
Oodentl fummo, e bolognesi,
ìhe '1 treaiar cessò, od el oomplésl.
te parole brerl, ch'Io comprasi
ui, per qoel ch'Io da vlcin comprati,
gii occhi miei non si (bseer difeai.
son I* antico, ma di lui diaoaal t
\o •taremo immobili e distesi,
tti perch' io venni, e qoel eh' io intasi
I daol mi prese al cor quando lo 'ntesi,
eh' io divenni tal, quando lo 'ntesi,
ti son duo, ma non vi sono Intesi :
ben parean di miseri e d'otXesi.
0 peKloti, • sol di tanto offesi.
issi lai. per li vostri paesi
(atta Europa, ch'ei non sien palesi?
losiro amore, onde operar perdésl,
mdo r altra sotto gravi pesi,
oal si traggon d'ogni parte i pesi:
di piombo sì grosse, che li pen.
piem e nelle man legati e presi ;
iati, e da tua terra inaleme presi.
ijjprsst 1 34 107) presi
I le : .
man commesse mi protesi,
1 Dovella vista mi raccesi,
che di comandare i' la rioliiesl.
k fosti cotanto, quant' io scesl :
ndo noi ftimmo d' un rumor sorpresi,
ci restammo immobili e sospesi,
ti gli lor coperchi eran sospesi.
)bbi che in quel limbo eran so'
ra intra color che son sospesi.
basta, perch' ei non ebber battesmo,
Tebe, poetando, ebb'io battesmo;
De tre donne sii tor per battesmo,
J. che sii altri non sono '1 oentesmo ;
ihlar mi fé' piò che '1 quarto centesmo.
) toma dinanzi al Onstianesmo,
l mondo si rivolse al Crlstianesmo,
I questi cotai son io meaesmo.
qoeil' opere fosser 1 Quel medesmo,
koxi al battezsar più d'un millesmo.
Indi 11 pozzo più del pacanesmo,
gamento mostrando ]
I spirò da quell'amore acceso ;
per lo mezzo del cammino acceso
verni tanto allor del cielo acoeso
sazi a noi tal, quale un (tioco acoeso,
appresso con l' occhio piò acoeso
U altri duo un serpentello acceso,
Sio di Sole ardesse si acceso,
erato, a sé mi fece atteso,
I manifesto, s' i* non fossi atteso
tado colui che innanzi sempre atteso
, Duca, che mi vide tanto atteso,
fti per fantasia gi&mmai compreso ;
ao 1 Ravignani, ond'è disceso
■to tristo ruscel, quand' è disceso
eadde giuso innanzi lui disteso.
p) non noe mai tanto disteso.
Kon si fiueia di quel eh' egli è inceso
i qoel che non puoi avere inteso,
M lo ritenere, avere inteso,
i per dottrina fosse cosi inteso.
l dolce soon per canto era già inteso !
i'dica: end' lo sospiro, e sono inteso,
io. eh'a rimirar mi stava inteso.
Irai; e saprai se m'ha offeso,
■de tutte e con sembiante offeso,
ri la niente a quel eh' io ti paleso,
(Ita moneta già la lega e '1 peso ;
plnM con la forza del suo peso;
naova fellonia di tanto peso,
«m io d' una parte e d' altra preso |
I. donde j *
prima è preso
nella parte, dónde prli
aadomi di lui. lo fossi
loeehà il cibo rigido e' lìai preso
11* alto Bellindone ha poscia preso.
dw s'Io non avessi un ronchlon pre
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S SO 141
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a 88 81
8 84 88
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8 18 0
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1 90 80
1 88 17
8 0 88
8 16 89
1 88 44
s Per non tenerm
La qual mi feci
Non è piò temp
Dell'eterno piac
E del cammin (
t K quel, che mi
Disse, perchè la
a Quando al cinqu
Siccome ronda
D'intender qual
o Richiama lui, p
Cotal son io, eh
Anima trista, o
E gonfiar tutta.
Io stava come '1
Coel per li gran
Oli vien dinanx
Beatrice, ta la
e Intorno, come '1
E s' io avessi gì
Vede qual loco
Nel cuor lo doli
E promettendo i
Alla mia Donna
Io vedea lei, nu
t Noi salivam pei
i La voce mia di
E dopo *1 sogno
mQoantonque gre
p A cui porge la
Rivolsersi alla I
s Che da'pièdiC
Lo spazzo era a
Belila Isggiuao
Tal era io in qi
Così diss'io a q
La oener ti rae
a E te mio firate <
Ivi pareva eh' e
Trlangol. sì eh'
Li popoli suggei
e Che centra i ba
Né che le ehlav
I' eredo eh' ei ci
d Ma non sì, che
Terribil eome f
Convenne rege i
e E per colei, che
Lo suon delle p
Le leggi son, m
Se '1 mi consoni
Tra le grandi o
Anzi ò formale
Con queste gent
Non, $i ett dar
t E non vedea pe
fp
Che *i serpente
Che
Ruminar può,
mO ira o coseien]
n Da gente, che p
S'essere in cari
Li motcr di qui
o Olà fbgglria, pe
p Non fàeea segn<
lo eredo ben eh
€3ie non avea o
D' altrui 1 ower
r Da Pinamonte i
Che convenne el
8 Soli tre passi a
De* nostri sncoc
Già ftir le genti
Le gambe con 1
Perch' una fknsì
t Sì che parsa oh
T Questi parsa eh
Com'è del fta I
Por me, come (
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— 46 -
61
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>nd* ells n«l
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lo rid^^^l,
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idi • sp^^sl
ipewi;
ef^U stessi
Cum iu«w; 11 luavB^ru, cu o^ll ttMCl
▼ Che te '1 Oorffon ti mostra, e tu *1 vedessi.
Ti colse nebblA. per la qoal Tedenl
Poi deatro a lei odi* : Se to Tedenl.
1 e 60
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1 4 64
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be B*A ooBoesso, 1 89 11
I Ti confesso 8 8 84
sé dimesso. 8 7 117
> star dlmoMO. 1 88 16
8 18 46
8 10 41
1 8 87
a 1 61
888 SO
8 88 111
8 80 184
8 94 117
>ne ed omo. 8 80 8
I proaiimo; ed ano 9 17 118
Dtrate In eeio. 8 87 11
t In terra è fesso. 8 8 86
lo <ÌBno. 1 90 84
1 x'svu puwu «uu viuur ai uirO impveSSO 8 19 48
Dentro da »ò del tuo colore istesso 8 88 180
mCh' ei sia di tua grandezia in bawo messo. 8 17 117
Ed tin di loro, quasi dal del messo, 8 80 10
Ben m'accorsi ch'egli era del del messo. 1 8 86
Quale è colui ohe nella fossa è messo. 8 87 16
Tu non aTrestl in tanto tratto^ messo 8 88 108
Per che il mio viso in lei tutto era messo. 8 88 189
Da voi. per tepidezza. In ben tkr messo, 8 18 106
Com* un poco ai rageio si fU messo 1 88 A6
Io t' ho per certo nella mente messo, 8 4 04
Che questa, per la quale lo mi soa messo. 8 1 88
n Poi mi tentò, e disse: QuegU è Messo, 1 18 67
p Tanto, quanto al poder n' era permesso | 8 80 186
tcuto Adesso
le arbore adesso,
;li altrlappresso ;
^11 altri appresso.
PP'^fO-
notte appresso,
tre appresso
>co appresso
ippresso.
lieno i^ipresso,
un poco In oesso,
lon ©or
» dentro ad esso
shlnassl ad esso,
dato ad esso
in esso,
i dentro da esso,
la esso.
Fartftaa noi a Chlron costà da presso t
Quando la nostra Imaglne da presso
"■ • — 1 da pre
06
Diansi non er* io sol ; ma qui
Però che sempre al («imo vero è presso
Trapassate oltre senza (htrì presso
Per ch'io rarcal Virgilio, e femml
SI disse come noi gli ftunmo preeso :
Ma. per la sua folfia, le ta si presso,
SI alto e si magnifico processo,
^ sua bestiaUtate il suo precesso
' f!**??* *■ ••• °®"* '**™* reflesso,
a B ehi per esser suo vldn soppresso
Quando '1 rapor che '1 porta piò è spei
"««J^ndo la sinistra Inuuul «pesso ;
Trionfo, per lo quale lo piangospesi
1 18
1 80
8 80 189
8 4 96
8 84 116
8 10 68
8 87 18
8 1 68
8 7 118
8 17 87
8 88 188
8 17 115
spesso, 8 88 84
1 8 88
spesso 8 88 107
Per quattro visi lo mio aspetto stesse 3
E te* di sé la rendeita egli stesso.
Ed io, seggendo in questo looo '
Era intagliato lì nel marmo stesso
Che più tergo fu Dio a dar se stesso
Dinanzi agli occhi tal, ebe per te stese
Averti ftitta parte per te stesso.
Di tua lesione, or pensa per te stesso
•SiSfc
a Vedi colà un angel che s* appresta
Addossandosi a tei. s'ella s'arreata.
Che prende il figlio, e ftigge. e non s*
Se corso di giudldo non s'arresta.
Che di subito chiede oto s' arresta,
o E sì giungean al sommo della oreata.
d Come persona che per forza è desta :
Come la madre ch'ai romors è desta,
E n Duca disse a me : Più noo si desta
E *1 tuo firateUo assai rie dù dlreeta.
Lascerà pd quando sarà digesta.
Fu* io, con Tita pura e disonesta^,
t VeUU sotto l'angelica festa.
Sema ristar, contente a breve fteta.
Dalla sinistra quattro fikcean (beta.
Dlsosd tanto, sol per fiuH fbeta
Risponder: Quanto fia lunga la festa
Se non col cuore alla patema fbsta.
Di fkre al dttadin suo quivi festa;
L'acqua, dlss'io. e il suon della foresta.
Da tu^te parti ptr la gran fbresta.
g Carlo Magno perde la santa vesta.
mE poi mi fta la bolgia manifesta :
Questa rivelasion d manlfes'a.
Per la caglon ch'a vd è maaiftsta.
Tutta tua vision te manltesta.
Per la cagione ancor non manifesta
Non la lasdasse parer manifesta;
SI come il fiammeggiar ti manifesta.
Andai, ove sedea la gente mesta.
Qui le trascineremo; e per la mesta
Del minor cerchio una voce modesta.
Voltando e percotendo gli molesta.
Che taro: Or vedi la pena molesta
Che, se la voce tua saura molesta
Ciascuno al prua dell'ombra sua molesta.
o Pudica in teoda, e nell'andare oneatst.
Se non lo ter : che la dimanda ooesra
Con gli occhi fitti pure in quella onesta.
p Quando verrà ia nimica podeeta.
Quell'anima gentil fta cosi presta.
Quando una doona apparve santa e presta
E la liiigua. eh' aveva unita e presta
LI verno d'ogni parte tersi presta
Né più amor mi fece esser pio presta.
Di* s'altro vud udir; ch'io venni presta
q Dell'altre due. che s'aggiungeaao a qneeta
Di cosa, eh' lo udi* contraria a questa.
Venne genie col viso incontro a questa.
Vedi s* alcuna è grave come questa.
Mentre che tomi, parlerò con questa.
Or dalla rossa, e oal canto di questa
O VliviUo, Virgilio, ohi è questa 1
Nel mb pensar dicea: Che cosa è qnestat
Pd gridò terte: Qnal grazia m*è qoestal
Ond' io : Maestro, di' che terra è quMta t
Ond'io che son nuMial. mi sento in questa
r Ndl'altro d richiude, e *l temo resta.
La bntera Infemal, che mal non resta.
Ma perchè *1 balenar, come vlen, resta.
Ma non però eh' alcuna sen rivesta :
s Dal ssrvlglo del dì l'ancella sesta.
Come '1 sol muta quadra, l' ora sesta.
E oom'd giunse in sulla ripa sesta,
t Nave sMiza nocchiero in gran teaapesta.
Che mugghia come te mar per tempesta.
Con quel terore e con qudla tempesta
Noi discendemmo *1 ponte dalla testa.
Ti fia ddovata in mezzo della testa
Ed ecco dd profóndo della testa
Tutto ohe il vel che le soeadea di testa,
D' una di lor, oh* avea tre occhi in testa.
Ooardommi im ]
Jtized b
Da «TO» vro ucciu in <
ts
17
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SI
94
8
93
80
- 47 —
&▼&, oomlnolò : Drizza la testa ;
a 18 77
Tanto Togl'io che Ti sto
AUa qual forse ftai tropp
o VITO ten Tal cosi partom
li oreechi ritira per la tetta.
1 26 181
i *1 braccio alto con tatta la tatto
1 88 las
id* io moTor, a renir, la testo
S 8 85
Fidandomi nel too parlai
» portai in 14 Tolto la testo.
1 81 19
Più è tacer, che ragiona;
perni ralto sonno nella testo
14 1
Alle sue noto : ed ecco *1
p L'animo, ch'è ereato ad
ancor so per to strema testo
1 17 48
ido Tidi tre flMce alto sua testo!
18ft 88
Al ftaoco. non l'aToi tu <
188 48
Con tutto '1 suo gradir o
Mentre ch'eUa ficea, pei
iggmk dintorno ootal vesta.
8 14 89
a so» terra fla di doppto Testa,
8 86 98
Come Ftolto a scotersi rta
Per che mi tece del Toni
«•t«
Col Doea mio. si Tolse ti
odo : Amato da eoi male aToato,
9 18 86
soflèra oonglonto sono ed osto.
8 84 141
q Ringrazto U Sol degU ai
eh' lo di cormsear Tidi gran testo.
8 80 84
Come dicesse : lo son toh
mi al cambiare in maggior testo
8 80 94
Ed è legato e totto come
IO le corti del ctel mani reste.
8 80 96
Lo grasso e 1 magro un
8 11 48
Ma gli altri son misurat
f oataperti, perchè mi moleste ?
allangarsi. an* altra : Io sono Oreste
1 88 81
: 9 18 89
E questo genti_pregan pi
tridroptoo: Tìadi'Ter
Inondo mi sgridò: Porche mi peste?
or parole, che renderò a queste.
1 88 79
Qual negligenza, anale s
Poi disse a noi: m olb
9 11 46
8 84 189
Poseto che m'ebbe ragio
In queUa luce onde spirs
BasU de' miei maggiori
r Là 'Te del Ter fosti a Tr
della bocca: Che cose son qoestel
8 80 89
iw'io. padre, ohe tocì son questo 1
9 18 84
l*eTangeUo, • per toì che sorivests
pare altro ohe prima, se si sveste
, 8 94 187
8 80 99
joaai Tetro aUo color che *1 TostOi
1 89 77
Non Al tremooto mal tat
880 80
% carne d'Adamo, onde si Testo,
8 11 44
Poioomtodò: Colui che
Doto si truoTa prto l' ult
esU
t O luce mia. espresso to i
E serbolo a chiosar con i
perchè Tali deh perchè non t* arresU f
8 0 61
eoe onud ; non vo* che piò t* arresti.
9 19 189
E coma il tompo tooga L
a 6 110
d TOlgiam co* principi oelesti
kncbe la cagion di IxA ohiedesti.
8 6 84
«a
8 84 199
b QoìtI to ripa fiamma to i
qaello Iddio che ta non oonosoestl.
1 1 181
Ma là dOTO fortuna to bi
tra cagione al mio rider oredestt,
9 91 197
d S'era per noi, e Tòlto al
oaU ta nel mondo gii dioesti:
le paiole che di ivi dioesti.
8 8 86
f Fanno dolore, ed al dolo
9 91 199
s Che to rifletto, e Tto da
ta mi meni là doT'or dicesti.
1 1 188
Surge to TOrmena, ed to f
aoal maturo dò che to dicesti.
dice tfeque nubent, intendesti,
>me agli occhi mi far manifesti.
9 19 141
9 19 187
«s
8 8 114
b VòlU a sinistra; ed al U
Inda* io, to Tool ch'io manltesti
8 1 94
o Guardò to sé, ned in me
8 94 197
Che già legaTa l' umile (
klor, che ta ftki cotanto mesti.
1 1 186
MutoTa to bianco aspetU
il. che Tedi qui, ftaron modesti
8 99 68
d Virtualmente, ch'ogni al
Dtoanzi l'altro e dietro!
quelle membra, con le qoai nasoesti ,
9 6 47
landò a render to qoal ta paresti
9 81 148
Senza Toler dlTtoo e tote
gU aTea totU a tonto intender presti ;
8 98 60
Fertond '1 Sole to su l'o
rimando a colui, che sé ne presti.
9 18 108
mCe n' andaTamo, spesso '1
A ctoger lui, qual che f(
»lo incominciò; Tutti sem presti
8 8 89
vina Tirtù, se mi ti presti
8 1 aa
li Sanese. rispose ; e con «nesti
a 18 106
Così mi chiese questi pei
Indi sen Ta quel padre e
»r te Tederai, come da questi
8 6 Ila
o se* quegU che mi rispondesti,
odo nell' aere aperto ti solvesti 7
Mi VirglUo. dal qual tu togliesti
ome quando Marsla traesti
»rMr di colui, ohe tu vedesti
a 18 104
Tu duca, tu signore, e ti
a 81 146
s Ch'io mostri altrui questo
a 91 1S6
Ma come Constantto cìùt
8 1 90
Entrai per lo cammino a
8 88 66
Ma tanto più maUgno e
Scalzasi Egidio e scalzai
rda se alcun di noi unque Todesti.
a 6 49
ohe credesti si, che tu vinoesU
8 94 186
t Quant'egUbapiùdibuoE
esAo
eogUetole al pie del tristo cesto :
a dlTina grasto era contesto.
1 18 148
s
a Lì si Tedrà to superbto <
8 19 88
Sol quel ch'aTemo. e d'i
io che dal piacere in atto è desto.
ise flato fh tacito e desto
9 18 81
8 19 76
Con perpetua Tisto, e chi
Penela, quando alcun di
r di mortol non fki mai si digesto
8 10 66
Che, saziando di sé, di s
e a Teder lo strazio disonesto.
1 18 140
DcUa fsde cristtona, il s
lame, come in altro raro Inreato.
8 a 81
0 Diss'egli allora, che s'a;
d A che la mto risposta è
on m*è *1 detto tuo ben manifesto 1
a 6 88
»oaer non lascto a toì Dio manifesto.
9 9 198
Nostra sembianza Tto pe
lAse tanto occulto e manifesto.
8 19 48
ar Me più d' un anno 1& prc
li a to poot* esser manifesto.
8 87 190
1 Con l'altre primo creacu
toa loqoeto ti to manifesto
1 10 86
La Toce tua sicura, bald
buon cristiano: f&tti manitesto:
8 84 69
Mentre che. piena di stu
* intoUetto. e fieU manitesto
a 18 17
O anima, che Tal per e»
l prtmo fosse, fora manifesto
*1 primo amor, che in lai (ù manifèsto
8 8 78
8 19 74
K.'SiolJJS^TcK Google
età
— 48
8 1 81
1 4 84
8 0 94
8 97 104
8 8 68
9 94 14
1 le 109
8 19 198
9 14 144
8 97 108
8 19 118
1 19 08
1 1 17
8 0 96
1 96 94
1 7 97
1 18 99
1 1 SI
9 14 140
1 4 80
1 97 8
8 0 44
1 18 90
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8 19 eo
8 0 99
1 97 1
1 4 68
9 14 149
9 0 49
1 1 19
9 81 190
8 97 108
8 8 70
1 18 94
8 19 68
1 14 99
1 19 100
9 94 16
1 7 99
Che partorir lettila in to la lieta
Somblania ayOTan me trUU né lieta.
Quivi la Doana mia rid' io •\ lieta,
Inoominoiò. ridendo, tanto lieta.
Da indi mi riepoee tanto lieta.
Non ao qoal foeie più. trlonftì lieta
Che ta teneatl nella Tlta Ueta.
tuS\, die non pool toOrìr dentro a raa mete.
Che doTrla r oom tener dentro a eoa meta.
Qoinoi cominflia c(»ne da eoa meta.
Indaoe. (kleegglaado la moneta,
E guarda bea la mal tolta moneta,
p Vestite già de* raggi del pianata.
Che più laoente le ne fé* D pianeta.
Né doloeeia del flgUo. ne U pietà
Or dieceodlamo ornai a maggior pietà.
Alla man deetra Tldi onora pietà;
La notte, eh* io paeeai oon tanta pietà.
Ed aUor, per litrlngerml al Poata,
Onorate l'altiMlmo poeta:
Con la llcenxia del dolce Poeta;
E Tengooti a pregar, dlioe *i Poeta;
Di Oerfon. trovammoei ; e 1 Poeta
Per trionlkre o Cesare o poeta,
Om nella madre lei teoe profeta,
q Percuote pria che da la corda qneta,
GIÀ era dritta in en la fiamma e qoeta
Poiché la voce fu restata e quota.
Oli era r aura d* ogni parte quota.
Venian gridando, un poco il peeeo qneta.
AUor fti la paura un poco quota.
Quando TOdea la cosa in sé etar queU,
La natura del moto che quieta
Frate, la nostra Tolootk quieta
r Di che la prima bolgia era repleta.
E come ta creata, fta repleta
▼ Ora è diserta, come cosa Tleta.
E se non fosse ch'anoor lo mi Tleta
SI disse prima, e poi: Qui oon si vieta
Quando mi mosti, e 1 troppo star si vieta.
•te
a Diss'egli a noA. guardate, ed attaadata,
b E roraielo alquanto. Voi bevete
0 Flammando forte a guisa di oomete.
Perchè ci trema, e db che ooavandete.
Non Ti maravigliate; ma credete,
E Virgilio rispoee: Voi credete
f Non s'ammiraron. come voi farete,
1 Così Beatrice. E quelle anime liete
Posolaehè raocogiienie oneste e lieta
m Voi ohe intendendo il terxo del moTete ;
p Ed essi quinci e quindi avean parete
Cerca di soverchiar questa parete
Dinne com'è che tki di te parete
q Non fla men dolce un poco di quiete,
r A sé traeali con Tantica rete ;
Di morte entrato dentro dalla rete.
E il savio Duca : Ornai veggio la rete
8 Vèr noi. dicendo a noi : Se vo* sapete,
A disbranuuvi la decenne sete.
Tanto del bor quaot* è grande la sete.
Come r etico (k. che per la sete
Che tutti questi n' hanno ma^ior sete
La concreata e perpetua sete
D* un giro, d* un girare, e d'una sete,
Sordel si trasse, e disse: Voi chi siete?
O voi. che senza alcuna pena siete
Ma noi Siam peregrin, come voi siete.
T Veloci quasi corno il del vedete.
Qie queeto è corpo uman che voi vedete ;
eil
p Uberi dal salire e da' pareti ;
Tacevansl ambedue già li poetL
t Ewi 1» flgu» di Tiresia, e Tett;
eto
o Del sangue mio. di Un. di quel di Cleto, 8 97 41
Ch?^*«*!5* ^°"* *" ••"* «>* decreto 9 10 84
180
80
8 9ft
8
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8 8
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8 89 117
9 99 110
9 99 118
va' .^ .V* ■***•»» "»». "onza decreto
«<l ora n, com'a sito decreto.
' presunzion, se tal decreto
1 194
8 140
Là V è mesUer di eonaorto divieto t
Come m' hai visto, ed ance esto divieto.
Ch'aperse il Giel dal suo lungo divieto;
t E sani' obe, si tosto come al feto
Sparoer lo sangue dopo molto fleto
La casa, di che naoqiie il vostre fleto
1 Vedi oramai se tu mi puoi Car lieto.
Che se veduto aveeai oom Carsi lieto,
O Signor mio. quando sarò io lieto
Che dò che soocea drixsa in segno lieto.
Ma per acquisto d'eeto viver lieto
E posto fine aJ vostro viver lieto.
Lo Motor primo a lui si volge liete»
mDi mia semensa cotal paglia mieto.
p D' intagli tai. ohe eoo por Polioleto,
q Ed aaeor saiia Borgo più quieto.
Del suo lume te U del sempre qaMo,
r Spirito nuovo di virtù re pioto,
• r% doloe 1* ira tua nel tao eerreto I
etr»
o B come suono al collo deUa oetoa
p DeUa sampogna vento che penetra t
Che scende chiaro giù di pietra in pietre,, 8 90
etri
a Verameote, né forse tu t' arretri.
d Ed egli a me : Perchè i nostri diretri
i Orando grazia eoovien ohe s'impetri;
Al so, mi di. e se tuoI eh* lo t' Inmetri
p Sì ohe, guardando verso lui, penetri.
Soia* quod ego fui suceeeeor Patri.
eire
d Vede colui che se n'alluma dietro, 8 9S
De' Malebranche: noi gU avem già diatro: 1 93
Allor si mosse ; ed io gli tenni dietro. 1 1
Certo non chieee se non : Viemmi dietro. 1 1»
i Più toeto a me. che quella d'entro ixupetro.l 9J
mOià era (e oon paura il metto in metro) 1 84
Gridando sempre in loro ontoeo metro. 1 7
^ . ^ . . ^ j^
997
896
1 It
1 1
2 IS
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899
9 19
Ch'io pur risposi lui a questo metro:
Tanto or' ivi lo incendio i
Con eeso, t
» nota oon soo metro;
p Noetro signore in prima da San Pietro»
SI ch'io vegga la Porta di San Pietro.
Verso *1 castello, e vanno a Santo Pietro,
r Per esser lì rifratto più a retro.
Si rivolgea ciascun, voltando a retro.
Che Li batteaa crudelmente di retro.
Poi per lo vento mi ristrinsi retro
Pree^do Stazio che venisse retro.
t Così tomavan per lo cerchio tetro.
Or dirai tu. oh' el si dimostra tetro
Di qua, di là, su per lo sasso tetro
▼ Come fai dentro, in un bogUente vetro
E sé rivolve, per veder se '1 vetro
E quei: S'io fiossi d'impiombato vetro.
E trasparean come fastuca in vetro.
Così, oooie color toma per vetro,
a Con quello ^oso eh' ogni voto aooetta.
Come persona in od dolor s' aOretta,
Ood'esta oltraootanza in vd s'alletta?
Quivi di riposar l' affiumo aspetta :
Ch'ei vive, e lunga vita ancora aspetta.
Onde il Duca d volse, e disse : Aspetta,
IM là. ^ù che di qua, essere aqwtta.
Che, desiando o temendo, l'aspetta.
Ed io : Maestro mio, or qui m^ aspetta.
Volse 11 viso vèr me. ed : Ora aspetta
Ed egli a Id rispondere: Ora aspetta
Già pud scorgere quello che s' aspetta.
Se qui per dimandar gente s'aspetta,
E il nome tuo. da che più non s' aspetta
Tratto Al' ha della costa ove s'aapetu.
Del qual con gran dialo sdvar s'aspetta.
Che la (brtona, che tanto s'aspetta.
E oon ardente afibtto il sole aspetta.
Dir U poes'io; da indi in là t'aspetta
Nuovo aogelletto due o tre aspetta ;
La provvidenza, ohe ootaato assetta.
8 8
9 10
1 9
9 4
1 81
1 99
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888
9 19
9 91
9 il
— i» —
nato Ali di là Ugo 01»p«tt» :
I occhi miei alquanto oirconspetta,
fica Tlrtode ha In té oollett* t
a drcolazion, che sì oonoetta
DB' egli ebbe sua parola d«tt«,
woerai ogni ooea dilatt»
a* via. TOMO, ornai : oh* or mi diletta
' è più cara a Dio e più diletta,
oecel che a cantar più ai diletta»
« la elaaee correrà diretta }
me cocca in «uo segno diretta,
odati del del, gente dlspetta.
li ledere in prima avrai distratta.
rrapo avrà a' indugio noatra eletta.
la Donna mia ai alava eretta
m con r acqua onde la temaalnetta
ttl« e vidi duo moatrar gran fretta
diase '1 Maeatro ; e quegli in firetta
{Ada di quaaaù non taglia in fretta»
do li piedi auoi laaolar la fretta.
negUo Bteaoe a te. che a lor, la fretta.
«Tagliava, e pungeaml la fretta
: Buon Duca, aodiamo a maggior fretta;
[oal al volge quel o' ha maggior fretta.
la quale il Sol mootra men fretta:
oi (kral. quantunque vorrai, fretta,
di ornai ohe '1 poggio l'ombra vetta,
t ingannò, la g-loTlnetta.
Dondo. per aeguirla, giovinetta
t'Intendi, e. da te inteUetta
lehé queata gente maledetta
wehò l'uom più oltre non ai metta i
a centeama di' è laggiù negletta,
;nitoaa coaolenxa e netta,
■pattar più colpi, o pararoletta,
mol. quanto la ooaa è più perfetta,
iella mente, oh' è da aè perfetta,
io vidi una nave piooioletta
che foaae allor da lei reoetta.
»il novellamente h Francia retta.
kente mia. che prima era ristretta»
* veggi' or la tua mente ristretta
I ta la mia mente al riatretta
elligenaia, quest'arco saetta,
M quantunque queato arco aaetta,
non foaae il fùoeo che aaetta
.'arco dell'eailio pria aaetta.
i non pinse mai oa sé saetta,
si tpiega indamo, o si saetta.
II la ripa, e par si la via soliletta
firma sustanxlal, che setta
altra già m' avea lasciata Setta,
miti la via della sua setta.
lolla quivi gravida e soletta :
to in bene operare è più soletta:
do venimmo a quella foce stretta»
&cole sentì già grande stretta,
rinoa avea ciascun la lingua stretta
'ha nostra ragion la mente stretta,
srdavagli '1 carco e la via stretta,
f U avea del cui (ktto trombetta.
oche di Medea si (k vendetta,
ra dir : Signor, (kmmi vendetta
•er, tosto ne terlan vendetta ;
idoleami alla giusta vendetta,
do si dice che giusta vendetta
I non vieni a crescer la vendetta
ido, come suol; ma la vendetta
ti sarebbe nota la vendetta,
■e alla porta, e con una Terrlietta
fc vedrai di •opn^ in su la vetta
ett«
tM tanU vUtà nel cuore aUette ?
a che tal tre donne benedette
I flffUe d'Adamo: e benedette
> vidi le duo luci benedette.
r figure oom'lo l'ho oonoette ;
i'on nomare all'altro oonvenette,
al frustato celar si credette
irti si come mi psurver dette.
tntm, sorelle mio dilette.
eh' io respiri a te, che U dilette
8 90 49
8 88 188
8 18 61
8 88 187
a 4 07
8 17 60
a 14 184
a 88 91
9 17 80
8 97 147
8 8 106
1 8 91
a 4 90
9 18 18
8 88 10
9 91 9
1 88 89
1 81 180
8 98 IS
a 8 10
1 18 18
8 91 4
9 8 48
8 1 188
8 88 18
1 88 84
a 8 61
1 18 98
8 8 108
8 88 186
I 6 109
1 98 109
8 97 148
8 8 8
a 81 89
1 e 107
8 8 101
1 8 16
a 17 94
9 90 61
9 8 18
8 7 ea
a 17 99
8 1 119
8 8 108
1 18 16
8 17 87
1 8 18
a 81 68
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e Libere fùr da quelle genti elette,
Ma Vaticano e l'altre parti elette
Con archi ed aaticcloole prima elette:
Poada che i fiori e l'altre fireache erbette,
f Con le parole muover le flammette.
g Ch' lo disal : O tu che l' occhio a terra vette,
i B '1 mio parlar tanto ben t' Impromette 7
mAl auon delle parole maledette t
E piede innanzi piede appena mette ;
Di fkre allor che fuori alcun ai mette.
E qual più a guardare oltre ai inette.
Cosi 1* aer vicin quivi si mette
n Non vanno i lor pensieri a Massarette,
p Proserpina nel tempo ohe perdette
Che, quando Domizlan li perser^ette
Che nò prima né poscia prooedette
Quello che la spenmsa ti promette.
Forma e materia congiunte e pnrette
r Per l' altrui raggio ohe 'n lui si riflette.
Virtualmente l'alma che ristette.
Me e la Donna, e '1 Savio che ristette.
Vedendoci calar, ciascun ristette.
Per che nostra novella si ristette,
E 'l dolce Duca mio si si ristette,
s Òiorrean Centauri armati di saette.
Come d'arco tricorde tre saette;
Io non gli conoscea, ma e' servette.
Ancor vèr la virtù, che mi seguette
Alla milizia, che Pietro seguette,
Fer dispregiare a me tutt* altre sètte;
O caro Duca mio, che più di setta
Poi le si mise innanzi tutte e sette.
Per un eh' io son. ne farù venir sette, '
Mostrarsi dunque cinque volte sette
D'alto periglio ohe incontra mi stette,
E mentre che di là per me si stette.
Come si volge, con le piante strette
Diretro al dittator sen vanno strette,
t E quasi contentato si taoette.
▼ Sì ohe non teman delle lor vendette ;
«AAl
a Ond'io a lei : Ne* mirabiU aspetti
E la radice tua da quegli aspetti
Di Paradiso, e l'nna in quegli aspetti
Ch' io credo che per voi tutu s* aspetti,
o Vieni a veder Monteoohi e Oappelletti,
Cominciò poi a dir, son tre oercbietti
Che vi trasmota da' primi oonoetti.
Intendi come, e perchè son oostretti.
d Come subito lampo, che disoetti
Ma, com' io dissi lui, U suoi dialetti
Per cupidigia di costà distretù,
e Produoerebbe sì li suoi a Setti,
Sì li notai, quando furon eletti.
Non conosciamo ancor tutti gli eletti ;
O ben flniU, o già spiriU eletti.
E poi eh' ebber li visi a me eretti.
ar Sì come Penestrlna in terra «etti.
i E dò esser non può. se gì' intelletti
mRlcordlvi. dioea, de' maledetti
Oridavan tutti insieme 1 maledetti.
Tutti son plen di spirti maledetti :
O Rubicante. ftk' che tu gli metti
Or mi vien dietro, e guarda che non metti
n Però n* è data, perchè fUr negletti
o Dell'atto l'occhio di più forti obbietti;
p E manco '1 primo che non gli ha perfetti.
Teseo combatter co' doppi petti ;
Ditemi voi. che sì stringete 1 petti,
r Per che Virgilio e Stazio ed io ristretU,
s Color già tristi, e oostor con sospetti.
E poi mi disse : Tuo cor non sospetti :
Dell'alta ripa, e stetter fermi e stretti.
Ma sempre al bosco gli ritieni stretti.
Voldmi a' piedi, e vidi due sì stretti,
E voi, mortali, teDotevi stretti
t Domandommi consiglio; ed io tacetti.
a Di molta lode, ed lo però l'aooetto :
Con la sua dma, sì che l'alto affetto
E quando l'arco dell'ardente affetto
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— 50 —
Devota, per lo tuo ardente affstto
Del Destro amor tu hai cotanto affetto.
Per abbracciarmi con lì srande affetto,
E de' primi appetibiU l'affetto;
Che. nmiraniio lei, lo mio affetto
Quella, che pianse dal destro, è Aletto i
Qie volgerti da lei per altro aspetto
Par con colui e' ha sì benigno aspetto.
Ficcai gli occhi per lo cotto aspetto
Si cblaman Troni del divino aspetto,
Provando e rlm^vando, il dolce aspetto ;
Biondo era e bello, e di gentile aspetto,
B la mia Donna in lui tenoa l'aspetto.
Giurato avria poco lontano aspetto.
Restato m* era. non mutò anoetto.
Oh ombre vane, ftoor ohe neU* aspetto!
Con quel consiglio nel quale ogni aspetto
Mi contentava col secondo aspetto.
Che s' accoglieva nel sereno aspetto
Che ti tremolerà nel suo aspeiCa
Fosse orizzonte tstto d' un aspetto.
b Poi giunti ftunmo aU'angel benedetto.
Poscia, fermato il ftaoco oenedetto.
Rimbomba là sovra San Benedetto
Disposò lei col sangue benedetto,
Risposi : Siete voi qui, ser Brunetto ?
e Fesso nel volto dal mento al olnfletto :
Lascia parlare a me. ch'io ho oonoetto
Ma per necessità ; che '1 suo concetto
Le menu tutte in suo lieto ooepetto
Indi rimaser U nel mio cospetto.
Tempo futuro m' ò già nel cospetto.
Da tutti i pbsi del mondo costretto.
d Che divello così, com' lo ho detto.
Noi sem venuti al loco ov* io t' ho detto.
Si che t'abbaglia il lume del mio detto.
Con questa distinzion prendi il mio detto;
B se. continuando al primo detto,
Lor compatire a me. più che se detto
Pereh' ei fhr Greci, forse del tuo detto.
Ma quel più. che cagion fu del diletto ;
Poi siete quasi entomata in difetto.
Non s'ammendava, per predar, difetto,
Non ti fla grave, ma fleti diletto,
E dM saver che tutti hanno diletto.
La possa del salir più che *1 diletto.
Che mai da me non si parti il dilette.
Esser non può cagion di mal diletto;
Necessità '1 o* induce. • non diletto.
Del primo padre e del nostro Diletto.
Noi leggevamo un giorno, per diletto
Agli occhi miei rVsominoiò diletto.
Però ch'andasse ver lo suo diletto
Che tu disoemi. con tanto diletto.
In tanto am(n« ed in tanto diletto.
Mentre ch'egli è nel primi ben diretto*
Fin che il i^usere etemo, die diretto
B quando U carro a me fti dirlapetto,
Quand' io mi ftii umilmente disdetto
(V. ristretto 1 19 127) distretto
e Cortese i fa. pensando 1* alto effetto.
Diversamente; e qui basti 1* effètto.
Né si dimostra ma che per effetto.
Da indi in giuso è tutto ferro eletto.
Cominciò ella, in questo luogo eletto
Neil' empireo elei per padre eletto :
Di su la croce al grande uiflelo eletto.
Ad un scaleo vie men che gli altri eretto.
E sta 'n su quel più che 'n su l'altro, eretto,
1 Cb'a poetar mi davano intelletto.
C hanno perduto il ben dell'intelletto
Non pare indegno ad uomo d'intelletto:
Che lume fla tra '1 vero e 1* intelletto.
Però, là onde venga Io intelletto
La conoecensa sua al mio intelletto;
Cosi rimaso te nello intelletto
Ma, perch' lo veggio te nello intelletto
Invér lo segno del nostro intelletto:
Nel Vero, in che si quota ogn' intelletto
Dftir anima il possibile InteOetto. ^^
f^*'J5***'Ì? «"«nebbiar vostro intelletto.
La glustlsiA di Dio neU' interdetto
luai sarà in pergamo interdetto
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Parvero aver l'andar più interdetto.
1 Appena toro 1 pie suoi giunti al letto
Che si divalli giù nel basso letto.
Ciascun di noi d' un grado feoa Ietto ;
Ciò mi tormenta più che qnesto 1 "
Della sua palma, sospirando, letto.
nPrlneipio del cader fta il maledetto
Vedi come sttwpiato è Maometto,
o Ma l' altro paote errar per malo obblotto.
Perocché '1 ben. eh' è del volere obUetto^
p L' articolar del cerebro è perfetto,
E difetUvo dò eh' è a per^tto.
E poi che tutto su mi s'ebbe al petto.
E 1 mio bum Duca, che già gli era aJ peuoto
E tante mi tomai con esse al netto.
Si vede giunger le ginocctiia al petto.
Per la bocca e per gu occhi osci dei setto.
Ouardomml, e con le man s' Morse 11 pi
Guardate là, come si batte il pett
Con l'unghie si fendea eiasonna il petto;
E poro argento son le braccia e *1 petto.
Che m'avea contristato gli oodd «n petto.
L' andar mostrando con le poppe il pettOL
Quel Sol. che pria d' amor mi scaldò 1 petto.
E mostrommi una piaga a sommo *1 petto.
Questi è colui che giacque sopra '1 petto
B quei driazò, volando, suso il petto:
Apri alla verità ohe viene il petto.
Portandosene me sovra 1 suo petto,
r Ove dovila per mille eaaer ricetto t
(V. dirimpetto t t9 151) rimpetto
Vedrai aver solamente rispetto
Lo gel. che m'em intorno al cuor ristretto»
Né si stancò d'avermi a sé ristretto,
s Bili givan dinansi. ed io soletto
Rispose: Ben è vivo, e sì soletto
Ma poco i valse : che Tale al sospetto
Soli eravamo e senza alcun soletto.
Maravigliando tienvi alcun sospetto;
Veramente a così alto sontetto
Sovreaao nd; ma non v'era sospetto;
£ prendemmo la via o(m naen «ometto
Qui si oooviea lasciare ogni soletto;
Ch' io mi strinsi al Poeta per soletto.
Della neve riman nudo *1 sorretto
t Come, per sostentar solalo o tetto.
dal quarto al quint* argine ò tradotto.
Che<i
a Un disio di parlare ond'io ardeva {
0 Ed una melodia dolce correva
d Ascoltando '1 mio Duca, che diceva
Sì tra le frasohe non so chi diceva;
Feo* io in tanto in quanto ella dieeva,
(V. dovea 3 33 47) doveva
e Legno è più su ene fb mono da Bva
MI fa' riprender l'ardimento d'Eva,
1 Presso e lontano li né pon né leva,
L* Agnel di Dio. die le peccata leva.
Oltre andavam dal lato che ai leva.
Nel transito del vento, e poi al leva
p Io aentia vod; e dascnna pareva
Non ai amarriva. ma tutto prendala
r La legge naturai nulla rileva.
s (V. torridea 3 33 49) sorrideva
E qoel durando più e più splendava,
v(V, voUa 8 33 SI) voleva
•v«
b Sangue perflttto. che mai non al bava
Che la ecaietta de* tre gradi breve.
Tu ohe forse vedrai il ade in breve,
Binoae : Dioerdtl mdto breve.
r Ona*io : Maestro, di*, qnal coea rroTa
Eterna, maledetta, fireada e greve :
Ed io: Maestro, che é tanto greve
1 Qoaal alimento che di manaa leva.
Ed eaaer mi parea troppo più lieve,
Qì* altrimenti acquistar non aaria lieve.
n Si di vivanda, ohe atratta di nova
Grandine groaaa, e acqua tinta, e seve
Perché non pioggia, non grando, non neve,
r Figlio, la mente tua guarda e ileava.
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> profondo inOsmo gli rlooTO,
la terra che questo riooTe.
lel che il dolo in tè da sé rioere,
me fS&tica andando li ricere t
«Ti
e lorriM parolette brevi.
tua poMa in questi versi breTi.
■e glosUzia e pietà vi dl«rrevl
nma loco, che tanto ti leTl
leeondo '1 disio vostro vi levi,
io trascenda questi corpi 11«t1.
^rtAr quinci, s\ che mondi e lievi
al vento nelle foglie lievi
rlortosi. e rendigU lonff»TÌ,
)sta un poco di quel che pareri;
■i : Già contento requXévl
«uni di te. si eh' io rlleTi
«Tole
role formar di«oonv«n»Tol6. 1 84 66
indo andava per non parer tlovole, 1 84 64
« ronchioso, stretto e mmlmm^yrolm, 1 84 88
«rr»
imo (kllo scritto di OinsTr». 8 18 18
« la sua famiglia men perseTra, 8 16 11
Beatrioe. eh' era un poco moewra,, 8 18 18
•■mA
aati rivi s'empie d'allerr»BB«
ria 1 0 ineflkbile allegressa i
ante e il quale di quella allegresza.
li sonra lei tanta allegressa
) perdei la speranza dell' altasBa.
is«a mia nell'ampio e nell'altaxza
e a trasvoLar per quella allessa,
sonar la Speme in questa altessa :
onformato. e quel ch^eipiù appresB»,
ni date a parlar tutta oaldeBBa ;
iella eh' lo notai di più balleBBa
àQllo vi lasciò di più ohlaresBa ;
te Oesà a' tre fé' più chiaresia.
l'assomiglia, che la sua chiarexsa
mi trassi olire per aver oontaBBa
ilù parea di me voler contessa,
» 1* afbtto. d' amor la doloeBBa
universo, però che mia abbrasBa
iondunre ad onor ior rlovineBBa.
!a mi porse tanto di vraveBBa
parlava ancor della lar^baBaa
ta vita, per etti la largbesia
r eccelso ornai e la largbes:
ande lume, quant' è la largì
aggior don, ohe IMo per sua larghezsa
lava carea nella sua ma^raBaa,
m senti* un vento dar p^maBaa
ra di maggio moovesl ed olassa,
b' sentir d^ambrosla ToraBBa;
»me te chi guarda, e poi Ca prasaa
Isa brama sicura rioDbasBa 1
e damando, dalla sna riochesn
U bere a Forlì con m«n aeoobaBBa,
wm' uom che suo parlar non apaBBa,
" tetti s' lia in che si spessa.
Ui
iè può sostener che non si spessa.
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amo appiè d* una torre al daaaasao.
a fin lassù tecea spiaoer suo laaso
s dinansi, eh* io voglio esser masso,
d' arco, tra La ripa secca e '1 messo,
atre ch'andavamo in vèr lo messo,
lammo 'i moro, e gimmo in v6r lo messo
» tremava noli' etemo rasso :
ema totto par guardando il resse.
I eolttl, ch'è si presso al riprasso
per fraddo; onde mi vien npresso.
1
ul a me sen va piangendo Ali
rivi : e però son fessi coal.
» a Ini : Forese, da quel di
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n verno avrebbe un mese d'un sol di.
a Che menò Cristo lieto a dire BU
r Appresso '1 Duca a gran passi seo ffl
p Ond' io dagr incarcati mi parti*
q Cinqu' anni non son vòlti insino a qni.
B lutti gli altri, che tu vedi qui,
s Poscia tra esse un lume al aoniarl,
u Sperent in te di sopra nd s* ndl.
Del diavol visi assai ; tra' quali udì*,
a La virtù oh' ebbe la man d'Anania.
L' altra prendeva, e dinanzi 1* apria
Antigone, Deiflle ed Ariria,
b Le mura, che soleano eeser badia.
Che ponesse le chiavi in sua balia 7
Che purgan sé sotto la tua balla.
Quivi nd misi a ter barattarla.
Tu hai dallato quel di Baoobaria,
0 E mosse meco questa oosapagrAia.
Taciti, soli e sensa compagnia.
Consigliò 1 Farisei, che oonvenia
Ed indietro venir gli oonvenla.
Che ne 'nvogllava amore e oortasia.
Mi mosse la infiammata cortesia
O che Dio. solo per sua cortesia
Liberi soggiacete : e quella orla
Di che la tede speziai si cria:
d E con le suore sue Daldamla.
Che seguirai tuo Figlio, e terai dia
Ed lo udii nella luce più dia
Perché la Donna, che per questa dia
Subitamente cosa che dtsTia
Però, se il mondo presente disvia.
Quando l'anima tua dentro dormia
Ch'apri Faensa qtiando si dormia.
a Cosi di Moisé come d' Blia.
f Poi piovve dentro all' alta f antaala
Avesse satistetto a sua follia.
ir Per non dir più. e già da noi sen ffla
Una Donna soletta, che si già
i De' Serafin colai che più s'indi*.
1 Vedesi quella che mostrò Lancia ;
Fd egli a me ; Baldezza e larriadria.
Venne una donna, e diise: Io son Xinoiai
mForse qnal fu dell'angelo a Maria.
Più alla Croce si cambiò Maria.
Di colui ch'abbelliva di Maria,
Ambo vegnon nel grembo di Maria,
Facean sonar lo nome di Maria,
E per ventura udi' : Dolce Maria :
Qual prender vuogll, io dico, non Maria;
Mestier non era partorir Maria ;
Né Pier né gU aJtri chiesero a Mattia
Così la cirecOata melodia
Di quegli spirti, con tal melodia,
E ohi noi sa, s' egU ha U fede aia ?
Da terra 1 piedi; e la regola mia
Io mi raggiunsi con la seorU mia:
Più lieta assai, che di ventura mia.
Nella sua vista, e ootal si moria.
o Per l'altro modo quell'amor s'obblia
p Forse per forza già di parlaala
E Beatrice sospirosa e pia
RioordiU di me, che son U Pia :
Ben dovrebb'eeser la tua man più pia.
Tal toma' lo. e vidi quella pia
E dopo '1 past
Ma quei la di
Ed erto più ai
Portan aegnat
Fu de' miei w
Salsi colui ohi
Né d addema
Fontano igual
Qualunque pa
Che n'avean I .
q State contenti \
r Nel luogo che
Ed ha natura
E molta gent<
Sacca son plei
Mostrai' ho Itxi tutta la gente ria;
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— 62
Al'ri rimondo qui la vita ria.
s Or tre or quattro, dolce «almoAla
Savia non lai, aTTegna ohe Sapi«
OU re* sentir come r una admoia.
Ed io attento all' ombre, che semtla
Meglio di lena ch'i' non mi lentia;
Come d'on tizio Torde. ch'arto sia
Ma io noi vidi, nò credo che eia.
Gianni del Soldanier eredo che sia
L'anima tua: e tk ragion che da
Tutta è in lui. e A Tolem che «la :
Come, nerohò di lor memoria eia.
Come (a donna che in partorir aia ;
Falsità, ladroneccio e almonia.
Ma nelle Ikoce r occhio si amani».
Lo piò sanza la man non si spedi».
Ed lo te ne tarò or vera spia.
t Sperino in te, nell'alta taodfa
Ma patsaTam la selva tuttavia»
n Trarsi vèr noi; ed in ciascun s' ndiat
E anatto. a coi di bocca asola
Nel folgòr chiaro che di lei uscta.
Quel mi svegliò col puzzo che n' usoia.
Per un confuso suon che (mot n' osoia.
Dove uno scoglio della ripa uscia.
V Fieramente diceva : ed ei vsnfa.
Quando un' altra, die dietro a lei venia,
E s\ come ciascuno a noi venia.
Ci apparve un' ombra, e dietro a noi venia
Dentro da sé. che di ftior non venia
Ben sottilmente) per alcuna via.
Per lui campare, e non e' era altra via
Della sua scurtada, e ditte : Via,
O Brettinoro, chò non fuggi via.
Che Cristo apparve a' duo eh' erano in via.
Posta trascorrer la infinita via,
Boon ti sarà, per alleggiar la via.
Attraversato e nudo ò per la via.
Su per lo scoglio prendemmo la via,
E riposato della lunga via.
Non era lunga ancor la nostra via
Come 1 firati minor vanno per via.
E proseguendo la soUnga via
Sii' agevolerò per la sua via.
Non lascia altrui passar per la sua via,
Ond'era pinta tutta la sua via.
E cigola per vento che va via;
Per lo serpente che verrà via via.
Ch'emisperio di tenebre vinoia.
Iba
) Messo t'ho innanzi: omal per te ti olbai
Del benedetto Agnello, il qnal vi ciba
p Se per grazia di Dio questi preliba
Dietro pensando a ciò che «i preliba,
Anzi che morte tempo gli prssorlba,
s Quella materia ond' lo son fktto scriba.
lb«
0 Danzando al loro angelico caribo.
L' anima mia gustava di quel cibo»
t Sé dimostrando del più alto tribo
Ibra
d Cambiando l'emisperto, si dillbra,
1 Cadendo Ibero sotto l'alta Libra,
Coperti del Montone e della Libra.
Quant' ò dal punto che il zenit i libra,
T SI come quando 1 primi raggi vibra
Ica
a Fin che alla terra ciascuno s'abbica;
Sopraggridar ciascuna s'affatica;
Pur come quella, cui vento aflktioa.
Tosto che parton l'accoglienza amica,
Al padre, fuor del dritto amore, amica.
Ed egli a me : Quell' è l' anima antica
Fiorenza dentro dalla cerchia antica.
Lo maggior corno della fiamma antica
Col non sarà quett'ora mollo antica,
oei Tito tu per quella tchinuia anUca.
- K.*!***! Pareaml più tè ttctta aoUca
00 tuta; ma petto eh" io '1 dica.
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O dolce frate, ohe vuol tu ch'io dica?
Non vi movete ; ma l' un di voi dica
f Ben si oonvien che la lunga fatica
E libero voler, che. se Catlea
Li denti addosso non ti sia fktiea
S'ammusa i'una con l'altra forstloa,
n Come le rane innanzi alla nlaaiea
Più nel suo amor, più mi si fe' nimica.
Poi vince tutto, se ben si natrioa.
o Di pentar al mi punse ivi r ortloi^
p Si stava in pace, sobria e pudicHa.
Nelle ftmmlne soe ò più
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a Io por sorrisi, eoam V oom che aaamioaas 8 81
NeU'orlo, dove tal seme s* appicca; 1 tt
t NmtU occhi, ove '1 sembiante più al fiooa. 8 11
r E Niceolò, che la costuma riooa 1 at
s Alla pasdon da ohe ciascun si sploca. 8 il
Rispose al detto mio : Tranne lo Strlooa, 1 8f
a Di verno la Desola in Aasterieo^
e Non avria pur dall'orlo fatto orioolz.
t Com* era quivi : chi, se Taasbenzioeh
leciti
d Di vera luce tenebre diepiedti.
f Oh. diss'io lui. se l'altro non ti fleobl
r In più poaaedltCHr (àccia più rloohl
Ed egli a me : Perocdiè te rifioelfcl
s Mi disse : Quel folletto è Oiaaai Sobieoìil,
A dir ohi è, pria che di qui si sploobi.
lecMa
d Ma guarda fiso là, e disvItleclLia
i Con l'argine secondo l'iacrodcoltla,
n Quindi tentimmo gente ohe si aioolila
p E sé medesma con le palme pieolzla.
Olà scorger pool come ciascun si picchia,
r Di lor tormento a terra gli ranizieolàla
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a Io vidi, ed anehe 1 cuor mi s* aocapxloeiav 1 IS
Lo terzo ohe di sopra s' amasassleola, 8 t
Ancor li ^edl nell' arena areioela x 1 14
D' una petrina ruvida ed arsicela, 8 0
b Ma come s'a^ipressava Barbarlooia, 1 ts
r Lo cui rossore ancor mi raccaprleela. 1 14
s Ch' una rana rimane, e 1* altra splooia. 1 S8
Tacendo divenimmo là 've qiiceia 1 14
Come sangue che fbor di vena picela. 8 •
le«
b Per ohe tornar oon gli occhi a Beatrloa
Poco sofliorae me ootaLBeatrioe.
Non so se intendi: io dico di Beatrice :
E tre fiate intorno di Beatrice
Del ano parlare e di quel di Beatrice.
E tutto In dubbio dissi: Ov'è Beatrice 1
Ch'io sarò là, dove Aa Beatrice;
Guardami ben: ben son. ben son Beatrice:
Quando mi volai per veder Beatrice,
o Sovra me starsi, che coadaoitrlea
Girato ha '1 monte in la prima oomiee,
E lasse, su per la j^ima comioe.
O a lui acquistar, questa comica,
d Continuò, come ooltu che dice.
Nettare è foestc di die ciascun dice.
Farò come colui che piange e dice.
Virgilio è questi che così mi dice
E «flchi a lei U ver. s'altro si dice.
Se interpretata vai come ai dice I
Poscia mi disse : Quel, da coi si dica
Se quanto infine a qui di lei si dice
Se di là sempre ben per noi si dice.
Non a (brmar. se quella noi ti dice,
A costui fa mestieri (e noi vi dice
t Di questo monte, ridente e felice.
Non sapel tu. die qui l'uomo è fltlicet
Presso di lei. e nel mondo fisUeel
Vld'io usdre un (tioco si ftlice.
L'età dell'oro e ano stato felice.
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— 53 —
S:
rieordanl del tempo fellee
0 ben è che noa (k r oom felice ;
che nel fooce fkri» ruom telioe:
idre MIO veramente Pelloe I
1 a mia bella figlia. renltrio«
atto me, por per B e per ZOB,
4e di Coetanza ImperAdrio* :
■ato in terra dalla ina nutrie»,
coi flCMae diami ogni p»iidio«
1 altro vero andare alla radioe.
[oel ch'hanno al voler boona radioe t
ozia. d*ognÌ ben fratto e radice 1
l'a conoscer la prima radice
ra aederei in sa la tua radice.
I aepettando, io Ali la toa radioe:
ta innocenie romana radioe;
la mia fimtasia noi mi rldlo» |
sarebbe a fornir questa ▼io«.
l«lie
' anime, che Dio s' ha flitte aasloh*,
odi in qoa mi ftar le serpi amiote ;
aron tatti, e poi le gentf antiob»,
0 ; Le naove e le scrittare antiche
fidr gli qplrti per diverse bioli*.
) dicesse : V non vo' che piò dlohé :
d : od emmi a grado che to diche
nani aliò con ambedao le floli»,
storàr di seme di f ormlolie ;
Qrecl, Ormannl e Alberlohl,
cosi grandi come antlolii,
Id&aieri ed Ardinghi e Bostlold.
lei
più vedere o per più farvi smiol ?
nel capestro a Dio si fero amici.
L t'aspetta ed a* suoi benetioi:
ir m'aiuta ciò ohe tu mi dioi,
ine. disse, dunque là 've dici
duo che seggon lassù più felici,
limmi: Voi, che siete ani Allei,
aUongati e' eif vam di liei.
h* io m* accorsi che '1 passo era llcL
>iando condizion ricchi e m»mdiol :
ano anew» s\, ohe i suoi nlmlol
tffUri 3 12 128) oSloi
ò parlando, e nota i gran patrio!
parton poi tra lor le paooatriol,
Hido suo ed ambo le peadloi
•nne dedooendo insino a qnlol:
lisa che i valloni sceman quioL
liaato ed Agostin son quid,
ì" està rosa quasi duo radlel.
I«n de* vostri efletU le radici:
reamente per diversi uffici ?
tai^noregio, che ne' grandi ofBol
lasse, volta nel terso epiciclo |
k creder lo mondo in eoo perlaio,
leo
delle bratoda del sao dolce amico i
io al vero son timido amico,
iisoese di Fiesole ab antiuo,
foeeto tempo chiameranno antico,
s* ascose : ed io in vèr l' antico
mi fk sovrenir del mondo antico.
Di dov' è Terenxio, nostro antico»
prodotto fosti, 0 padre antico»
b Tondetta del peccato antioo.
oncobijia di Titone antioo,
dico se* ta Oaoolanimloo ;
m* ascondeva quanto bene io dico.
waoedeUe. in mano a aoel ch'io dico,
1 adirti tosto, non la dico.
gli a me : Mal volentier lo dico;
entro è io secondo Federico,
seoQTiea fkuttar lo dolce fico.
1 trovammo Pioto il gran neatlco.
. Cara, per toc ben fkr, nlalco.
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A quel parlar, ohe mi oarea nimico. ]
r Or aul t'ammira in ciò ch'io ti repUoo ; I
Ho io appreso quel che, s' io '1 ridico I
Parlando più assai oh' lo non ridico : ]
m Devoto quanto posso, a te enpplloo 1
V Dimmi se son dannati, ed in qnal tIoo. i
Ida
a In cosa che 1 molesti o forse anoida ; 1
Ma tale accel nel boschetto s* annida. I
Onde nel cerchio secondo s'annida 1
e Insieme ftd cristiano e Caoolag-aida. I
La perdonansa di che si oonfida | 1
Sempre ool& dove più si confida. l
t Viver di cittadini, a eos\ fida I
Rea la scelse gii per cuna fida ]
Onde la Scorta mia sapota e fida I
Poi sopra il vero ancor lo piò non fida. 1
In sé sicura e anche a lui più fida, i
Noi ci movemmo colla scorta fida ]
Può r uonu) usare in colui che si fida, ]
Ed uno ineomineiò : Clasoun si fida i
g La sposa di Colui, eh* ad alte «rida <
Maria mi dio, chiamata in alte grida, 1
Che la seconda morte dascon gnda: ì
Qoando piangea, vi fkcea tur le grida. ]
Se mala cupidigia altro vi grida, i
DritU nel lume della dolce Oolda. i
Che dietro a' piedi di si fetta guida i
B disse a Nesso : Toma, e si gli folda, ]
Oppresso di stopore alla mia Ooida {
Che quinci e quindi le fossor per guida. I
SI oome cieco va dietro a sua guida i
Che tu mi segai ; ed io sarò tua guida, ]
E il pastor della Chiesa ohe vi goida : 1
1 D' acque e di fironde ; ohe si chiama Ida ; ]
mE la miseria dell' avaro Mida. i
p Cui traditore e ladro e patrlcida 1
r Pur che '1 voler non possa non ridda. 1
SI che il Olndeo tra voi di voi noa rida, 1
A predicare, e pur che ben si rida, i
Perla qual sempre convlen che si rida. 1
• Non ti maravigliar perch' io «orrida, i
Ove i bolUti Ohoean alte strida.
Ov* adirai le disperate strida, :
n Qoesto modo di retro par eh' nodd*
Iddi
e Come flt l'onda 14 sovra Oariddl. ]
r Cosi convlen che qai la gente riddi. :
▼ Nuove travaglio e pene, quante io tIAAI ? :
Ide
a Fu da Demofoonto; ne Aloide i
f Guarda com' entri, e di cui tu ti fide S
ff E '1 Duca mio a lui : Perchè por rride ? :
Che qoesta bestia, per la qnal tu gride,
p Ma del valore eh' ordinò e provvide.
Cosi fec'io. poi che mi provvide
Del coi latino Agostin si provvide,
r Nell'altra piodoletta luce ride
Che pria turbava, si che '1 del ne ride
Non però qoi si pente, ma si ride,
n Ma tanto lo impedisce, che l' noci de :
▼ Che, giuso in carne, più addentro Tlde
Rispose, poi che lacrimar mi vide.
Gridò Minòs a me, quando mi vide,
E, come stella in cielo, il ver si vide.
Idi
a Prima che *1 poco sole omai s'annidi.
Io veggio ben si come tu t'annidi
Ed intendente, te ami ed arridi I
d Detto mi Iti; e da Beatrice: Di* di'
Non perch'io pur del mio parlar diffidi,
E '1 mio Conforto : Perchè pur diffidi,
f Prima che all'alto passo tu mi fidi.
SI pareggiando 1 miei co' passi fidi
g Quel, che dipinge 11, non ha ohi *1 r«ldi,
Sovra sé tanto, s'altri non la goidL
Io cominciai : Poeta che mi gnidi,
Perchè non corra, che viriù noi gnidi ;
Noa credi tu me teco, e ch'io ti gaidii
idi
— M -
Tra color non TOgliftto eh* lo ri gnidi.
1 M' ha dato 1 bon. eh' lo ttOMO noi m* InvlAl.
1 A' raggi morti gli^ ne' bassi Udi.
n Quella Tlriù ehe è forma per 11 nidi,
r Perch' el eormsea si come tn ridi (
In gingnere a veder, eom'lo rividi
• O lace etema, che sola In te «idi,
V Del mio Conforto ; e qoale lo aUor Tidl
Quivi seder cantando anime vidi.
La testa e 1 collo d* un'aquila vidi
Quando drizzo la mente a dò oh* lo vidi ;
▼Idi,
O mente, che scrirestl dò ch'Io vidL
Al mio concetto ! e quieto, a quel eh' io
U florl e le fkviUe. si ch'io vidi
O Lsplendor di Dio, per cu' lo ridi
D' esser abbandonato, quando lo vidi
Dammi virtude a dir oom'lo lo vidi.
Idle
i Di quel che U fh detto. Ecco le insidi*
Non TO' però, che a' tuoi vicini iaridie,
p Vie piò Ut che il punir di lor perfidi*.
Idia
i Converte, poetando, lo non l' inTidio i
a Del misero Sabello e di MMisidio.
o Taccia di Cadmo e d* Aretusa Ovidio :
Ida
a Per mareggiare intra Sesto ed Abido.
o Ma Dione onoravano e Onpido,
d E dieeano eh'el sedette in grembo a IMdo,
CotaU usdr della schiera ov'è Dido,
r SI fbrte ta V aifcttuoeo grido.
Tener lo campo, ed ora ha Giotto U grido,
Poi cominciò da tutte parti un grido
Di sagrlflci e di votivo grido
Cosi ha tolto r uno all' altro Oaido
Dicendo : Non dubbiar, mentr' lo ti guido.
n Chi l'uno e l'altro caccerà di aido.
Con r ali aperte e tunaoB al dolce nido
Pria che Latona in lei fkcesse 11 nido
All' umana natura per suo nido,
r Voi liete nuovi; e forse perch'Io rido.
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d Voi vigilate nell' eterno dio,
S\ che, se non s* ai^nm di die In die.
Nò tra r ultima notte e 1 primo die
Lame ti fieno al come che tn die.
f O per r una o per l' altro tae, e fio
mChe la madre mi die, l'opere a&io
Ricomlnci&ron le parole mie :
Poi cominciò : Se le parole mie.
p Tal, che diletto e doglia partario.
Del carro stando, alle snstande pio
• Appresso a' savi, che parlavan sio.
Rispose Stazio, là dove tn sle.
Dal voi, che prima Roma «olKorfo,
a Ed ecco pianger e cantar s' adio,
Ch' al fine dolla terra il suono aooio
T Oli accorgimenti e le coperte tìo
DI proceder per tute le sue vie
Paùo, che Caccia il seool per sue vie ;
ira
p E r altra : Nella vacca entra Paoif o
r Poi come gru, eh' alle montagne Rifo
• Queste del gel. quelle del sole «oliif o t
Ifa
g Però ti china, e non torcer lo vrifo.
• Mettine giuso (e n<m ten venga «ohifo)
t Non ci &r Ire a Tizio né aTifo i
b Se tal ta l' una rota della bira.
Prima ohe Federigo avesse brirat
B Tinse in campó*laéùa eivU briga,
altra cosa desse briga.
Non però che hiv» com aease oru
Ombre portate dalla detta briga:
——"»-« |>v>va>t.o «■■iiw „__„ .
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f Genti, ohe l'aer nero s\ gmmtlM^f
Quella od non poter la voglia iatrigr*.
r Di quella terra ohe '1 Danubio ri«a
Facendo In aer di sé lunn riga;
» e Po riga
In sul Paeee ch'Adige „
Dioendo: Vedi, sola questa riga
Onde Porto cattolico d riga.
, poa mento I
m Se non mi eredi. |
aUa spira.
H
1 I
9 ì
8 I
1 I
9 14
9 'ì
8 li
9 U
a Qual'è il geometra ohe tutto s* affido
b E nd in compagnia dell' onde hlgm,
o MI parve pinta della nostra oSi^o,
Ma nulla mi (koea, che sua eO^ 8 8J
g Appiè delle maligne piagge crlffo. 1 1
i Pensando, quel principio ood' egli indira ; 8 83
8 Una palude da, C ha nome Stiro, 1 1
▼ In Inlèmo lasdar le tue vosttro;
O Donna, in eoi la mia speranza vir^t
irr«
a Quando s'afllseer, si come s'aflinra
Per che, come fk l'nom che soo s'ofllggo.
mTeneva *1 Sole il cerchio di morirro.
Che 1 Sole avea lo cerchio di mariggo
t Se di bisogno stimolo il «ratirro ;
▼ Se traeva novitato in sue TOStirr«»
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881
8 81
881
9 8i
8 81
9 Si
9 8i
1*1
b Tutti, fuor oh* un rendnto In panni blrl*
I DI me son natt 1 FUippi e i £airi,
p Flglind ftai d'ott beccaio di Pariri*
Irlo
b Che Leto nd poò ttere né fkr birio.
1 Che l'anima sicari di Utirio<
9 90
a m
990
99S
8 fi
8 •
servigio. 8 91
luella alcun vostiria 8 6
j^
s Tu vud saner se con altro sorviria.
Tutto m'omrd "^
▼ Non è. se non <
si pronto al
n di quella
Ed egli a me: tu laod tal vestigio,
1*11
a Co' Ouelfl sud ; ma tema degli artirll
B pd dUteoe 1 dispietoU arSglT
o Che tutti ardesser di sopra da' oirU*
AIU battaglia de' debuT dglL
Cotal d foce, e si levai UdgU.
E pd d* aiTondgllarml d ooaairli.
Cosi Beatrice. Ed to. ohe a*sud eondgli
Movea sospinto da tanti conatglL
d Mi disse, di parlar; ma parla, e dlrU
f Che veggendo la mogUe co* due firu
Poi c'ha pasduto la dcogna i Ogll,
Mdto flato già planser iflgU
r Erano abituati; ma di rirli.
Carne d tooe ; qoivi son 11 giglL
Che Dto traamuti l'armi pw sod gifU.
mOnd'to: Forse che tn ti astra virll,
p Gridò: Tendlam le reti, si ch'to pirli
Innand ehe l'undn vostro mi jdgU,
Ma piò d* ammirazion vo* che u piglL
r E volser cootra lui tutti i roadrli :
T Anzi di rose e d'altri flor Toraiirll :
IrUa
a Dlnand all' uno. e tutto a lui s* appirlin. 1 86
Ed abbraoddlo ove '1 minor s'apfigUa. 8 7
Senza eome palese vi s'aJipiglia. 8 86
Certo a odnl che meco s'^ASSottirlin, 8 19
Ed intomo da esso t' assottiglia. 8 86
o Spade all'eterno, che un muover di oirU» 8 11
E si vòr nd aguzzavan le della. 1 IS
E oontra 1 suo Fattore alzò le ciglia 1 84
Tal parve quegli: e pd chinò le dgUa. 8 7
Nò gli gravòviltii di cuor to dglia. 8 11
rAm'lA MiUÉB lAVft^tA In In» 1* -*^ìt». J 86
1 4
881
1 88
8 18
8 16
* *i
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886
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8 81
1 80
181
8 81
191
8 80
[cuor to dglia.
Compio tenea tovato in lor to dgUa.
Poi ohe Innalval un poco più to dgUa,
Quando chinavi a rolaar b dglia.
E troneo 1 naso Infln eotto to dglia.
Innata v*ò to virtù che oonotrlin,
Qnal or saria Cincinnato e OomSriin*
Lucrezia. Giulia, Marzto e Cornicia.
f Cosi àdoooblato da,
itized by
C^&^'
kBiiciia.
— 55 —
itti
itro al maggior Padre di fitmlglla
t per lor tra sì fktta famiglia;
ira fliofloflca Camiglia.
ira quivi la qaarta fomiglia
a sua donna, e con quella famiglia
^giaTa con la sua nmlgiia
è gita se n* è la tua fanuglia,
si sTfa r umana famiglia,
irimo aspetto, della bella tìglim
■aedo come sfdra e come figlia,
è o per suo del. conoepe e figlia
) contenta di mirar sua figlia,
li figliar tal conti più s' ImplffllA.
lè r animo tuo tanto s'impiglia,
(r parer dispetto a maraTifflla.
abitar sarebbe a maraviglia,
kta altexza, non è maranglia,
lenti, non è maraviglia:
«rchò non ti fa«ci maraviglia,
umto parve a me gran maraviglia,
lile guardar per maraviglia
.to a riguardar per maraviglia
parrebbe di là poi maraviglia
0 lembo, e grl^ : Qual maraviglia 1
h' io dirò, non sarà maraviglia,
a vede, ond' ei si maraviglia,
tenuta allor tal maraviglia,
utr-iviglia) mera V tarli»
indicar da lungi mille mirila
atto ch'ella volge undici miglia,
rean ben tre carati di mondiglia
la Donna mia ; poi disse : Pirli»
che del cammin sì pooo piglia
'è il principio là onde si plgUa
Idi, come l'uom cui sonno pigila.
ra appena In Siena sen piaplrli»,
i fa ciò che quivi si pispiglia t
!k Bagnacaval, che non rifinii»,
% dinanzi, e quella era ▼ermlrllAi
lalenò una luce vermiglia,
a di fbor d* ogni parte vermiglia :
Nioni amori o rei accoglie e Tirila.
8 89 186
1 80 88
X 4 188
8 10 49
8 11 86
8 16 186
8 14 118
8 87 141
8 87 187
8 10 61
9 88 118
8 89 184
9 14 117
8 6 10
8 11 00
8 10 84
8 10 47
8 88 60
8 97 180
1 84 87
8 6 8
1 98 07
9 88 116
1 16 84
1 86 47
9 7 11
8 16 197
8 10 80
1 80 86
1 80 00
8 88 01
9 11 108
9 18 04
1 8 186
9 11 111
9 6 19
9 14 116
1 84 80
1 8 184
1 88 00
9 18 66
IffUo
la addietro, ond* lo si mi assottlrUo 9 98 68
U gente sotto infine al oirUo t 1 19 108
Sol vagheggia or da coppa, or da ciglio. 8 8 18
al nome dlTisbe aperse U cigUo 9 97 87
noti mi fé* le gambe e *1 ciglio. 9 1 61
Inque, che mi fan cerchio per dgUo, 8 90 48
el Nasetto, che stretto a oonsirUo 9 7 108
racda aperse, dopo alcun oonsiguo 1 84 99
di qua chi ne darà consiglio, 9 8 69
(li a me : Dell' etomo consiglio 9 88 81
ine fisso d' etemo consiglio. 8 88 8
untato in del nuovo consiglio, 8 1 47
tanto effetto ta del suo consiglio, 8 80 41
KloveUa consolò del tirilo. 8 80 46
ttnxa, la speme, dolce figlio. 8 8 66
a per madre sua, questo per figlio, 8 6 8
eglio assai che Vlncislao suo figlio 8 7 101
Ine Madre, figlia del tuo Figlio, 8 88 1
Uo un pooo, disse : Or vedi, figlio, 8 97 86
uto il popol suo tanto, che *1 rirlio 8 16 169
fagffendo e disfiorando *1 giglio: 9 7 106
mi far dir mentr' io mi maravirlio, 9 98 60
lier nel sangue e neU' aver di plrlio. 1 18 106
Ugnasse anch' el volle dar di piglio 1 89 78
oca mio aUor mi die di pigUo, 8 1 40
la mina, e diedeml di pigilo. 1 94 94
dò allora, e con libero piglio 9 8 64
Ise intorno intorno con mal piglio. 1 88 76
costei, oad' lo prindpio pigilo, 8 8 10
oca a me si volse con qiel pigilo 1 84 90
; e presegli '1 braccio col ronoirlio, 1 99 71
uottiglio 2 83 63) sottlrlio
0 la proda del boUor ▼ermirlio, 1 19 101
che U gelso diventò vermiglio; 9 87 80
ir divisUtt fatto vermlgUo. 8 16 164
con intenxion sana e benirna»
fieme madre a suo figUuol, benigna.
9 88 188
8 16 60
Ed aUa sedia, che fb già benigna
, e Guido di Oarplrna ? 8 14
o Pier TraversarOi !_
dOmél vedete l'altro che dirrirna; 1 88
r Quel che rimase, come di rramirn» 8 88
Verga gentil di picdola gramigna 1 8 14
mA s« traendo la coda mallrn», 9 88
r Quando in Bologna un Fabbro si rallirna f 9 14
a Di Logodoro ; e a dir di Sardiraa 1 99
Del vlllan d'Aguglion. di quel da Sirna, 8 18
t Non s' apparecchi a grattarmi la tirna.
Ma per colui che siede e che tralirna.
Se la gente, ch'ai mondo piò traligna,
▼ Tal che si mise a drcnir la virna.
Irne
o Nel primo cerchio che r abisso olrno«
88i
osi
1 99
8 18
8 16
8 18
01
188
109 '
184 t
100
80
68.
08
00
Quel moto che più tosto il mondo cigno ;
d Alon cinger la luce, che '1 dipirna*
Ma leggi EzechTel, che li diplgne
Cht son quaggiù, nel viso nu dipigne
1 4 94
8 88 87
8 98 88
9 90 100
1 4 90 ,
9 90 109 {
i Venir con vento, con nube e con irne;
Distante intorno al punto un cerchio d' igne 8 98 96 •
• Andiam, chò la via lunga ne soapirna, 1 4 99
Rime, lettor ; eh' altra spesa mi «trirn* > >0 88
irno
b Veggendo *1 delo a te così banirno. 1 16 60 !
O animai graxToso e benigno, 1 6 88
Parlare in modo soave e benigno, 9 10 44
o Con r ale aperte che parean di oirno, 9 10 48
f Tutto di pietra e di color ferrirno, 1 18 8 '
m£ tiene ancor del monte e del maoirno, 1 16 68
Tra 1 duo pareti del duro macigno. 8 10 48^.
A noi venendo per l'aer malirno, 1 6 88
Nel dritto messo del campo maligno 1 18 4
Ma quell' ingrato popolo maligno, 1 16 81 '
o Di cui suo luogo (Ucerò l' ordirlo. 1 18 8
a Noi che tingemmo *1 mondo di sanr^irno : 1 5 80
l«a
» Rispose adunque : Io son Frate Alberi ro, 1 88 118
d Dimmi chi se' e s'io non ti diabriro.
t Che qui riprendo dattero per tiro.
n Qual sotto foglie verdi e rami nirvi
p B quasi amia dipartirsi pirri.
t Dinansi ad esse Èufiratès e Tirrl
U
d Sicuramente, e credi come a Dii.
Ed lo, ch'ai fine di tutti 1 diali
Perchè non satisfece a' mid dlsli I
Dimandai, disse, ancor, se piò disil
Md seme acced : e però, se dlsli
f L'arder del desiderio in me finii.
i S'io m'intuassi, come tu t'immii.
lY. invìi 3 33 44) inii
1 88 118
1 88 180
i'
— juel Signor, che tosto su gì' invìi.
Nel qual non d può creder che s* invìi
p Sotto la pece f E quegli : Io mi partii
Sempre col canto di que' fbochl pil
Però sentiste il tremoto, e U pil
Cosi da un di quelli spirti pil
r Lo Duca : Dunque or di' degli altri rii :
• Cinquecento anni e più, pur mo sentii
Uà
o Che Cleto impone a ciascuno e oompilai
f Ma perchè lei che dì e notte flUa,
p Che questi porta e ohe l' angel prosila
Ile
r Io vidi quello eserdto rentlle
a Mirar farien ogn' ingegno «ottile 7
Chò '1 velo è ora ben tanto sottile,
Qual di pennel fa maestro o di atile,
n Quad aspettando pallido ed umile :
▼ O Illon, come te basso e Tlle
o L'antiche leggi, e fbron sì elvill,
f Non giugno quei che tu d' ottobre fili.
9 83 110
9 88 114
8 88 118
8 6 188
8 88 40
8 8 70
1 89 88
8 6 110
8 88 48
8 8 81
8 91 79
8 88 44
1 99 68
8 0 77
8 81 70
8 6 181
1 88 64
8 81 88
8 81 97
9 91 96
9 91 98
iU
— 66 —
p Ed anche per le voci pnerlli. 8 89 47
• Or dubbil tu. e dubitando siU } 8 8fl 48
In che U stringon li pentier sottili. 8 89 61
Verso di te, ohe fki tanto eottlU 9 6 149
Ula
mO frati, diesi, che per oento mlli* 1 98 118
Che riAxlxeva più di miUe milia; 8 98 78
q Cosi degli occhi odei ogni quisquilia 8 98 78
• Dalla man destra mi lasciai Sibili», 1 98 110
▼ A questa tanto piociola ▼isilia 1 88 114
81 newda è U sua sùbita rigilia. 8 98 74
Ulo
o Poi cominciò : Nel beato oonollio 9 91 18
In questa fossa, e gli altri del condilo. 1 98 199
E con r antico e col nuovo concilio» 8 98 188
Di Sol desiderai questo concilio; 8 98 190
• Che me rilega neir etemo esilio. 9 91 18
Tanto vilmente nell'eterno esilio 1 98 198
Che s'acquistò piangendo nell'esilio 8 98 184
Fu per se la cagion di tanto esilio, 8 96 110
f Quivi trionik sotto l'alto Clllo 8 98 188
ir Quindi, onde mosse tua Donna Virgilio, 8 90 118
Noi ci volgemmo subito e Virgilio 9 91 14
AUor vid'io maravigUar VirgiUo 1 93 194
Illa
o Per cui morie la vergine Camilla, 1 1 107
d Lk onde invidia prima dlpartllla. 1 1 111
: Non altrimenU ferro dlsfaTlUa 8 98 88
Ed onde ogni scienza disfoviUa, 9 16 88
Cosi la neve al Sol si disigilla, 8 88 84
Giù per le gote, che '1 dolor distilla. 9 16 86
Ciò che da lei senza mezzo distilla 8 7 87
Mia visione, ed anoor mi dlstUla 8 88 89
Ma voi chi siete, a coi tanto distUIa. 1 98 87
f Quost'é 11 principio, qnest'è la favilla 8 94 146
i Più che '1 doppiar degli scacchi, s' Immilla. 8 98 83
p Colui, ohe luce in mezzo per pupilla, 8 90 87
s Che qui appresso me cosi solntllla. 8 8 118
E, come stella io cielo, in me scintilla 8 94 147
QneUi, onde l'occhio in testa mi scintilla, 8 90 86
L'incendio lor seguiva ogni scintilla; 8 2B 81
Ogni livore, ardendo in se sfavilla 8 7 86
E che pena ò in voi die si sfavillai 1 98 80
Si perdea la sentenzia di Sibilla. 8 88 80
La sua imprenta. quand'olia alriUa. 8 7 88
Ch' lo tocco mo, la mente mi sigilla 8 94 143
Di lei nel sommo grado si sigilla. 8 8 117
t Or sappi, che là entro si tranquilla 8 8 116
V E dir: Se tu se' sire della villa, 9 16 87
Sovra '1 bel fiume d'Amo alla gran villa, 1 98 86
Che l'arca traslatò di vUla in villa. 8 90 89
Questi la caccerà per ogni villa. 1 1 100
IU«
a Deidamfa ancor si duol d'Achille, 1 98 89
Cantai di Tebe, e poi del grande Achille, 9 91 88
Tempo si volse, e vedi '1 grande Aetiille, 1 6 86
E '1 gran Chirone, che nutrì Achille : 1 19 71
d Io dubitava, e dioea: Dille dille. 8 7 10
Ch' amor di nostra vita dlpartlUo. 1 6 88
f Surgono ionumerabili faville. 8 18 101
Al mio arder fur seme le faville, 9 91 84
S'ei posson dentro da quelle fkviUe 1 96 84
E, quasi velocissime faville. 8 7 8
mDintorao al fosso vanno a mille a milla. 1 19 78
Onde sono allumati più di mille; 8 81 86
Vedi Paris. Tristano. E più di mille 1 8 87
Rlsurger parve quindi più di mille 8 18 108
E rlprego che '1 priego vaglia mille, 1 98 88
p Tornan de' nostri visi le postille 8 8 18
Non vlen men forte alle nostre pupille; 8 8 16
s SI come '1 Sol, che l'accende, sortllle; 8 18 106
Del sangue più. ohe sua colpa s<»iille. 1 18 76
Che mi disseta con le dold stille i 8 7 19
t O ver per acque nitide e traaiquille, 8 8 11
1111
f (V. ttaaifi favilli
Quanto parevi ardente in que' flallli. 8 90 14
1 Poscia elle 1 cari e luddl lapuSIr^ 8 80 i«
• Po«er silenzio agU angeUdsqìSli, |S }J
8r
8 II
8f
91
8U
99
UIO
d Ond' io sovente arrono • distavillo.
p Ch'egli acquistò nel suo fkrsi pusillo ;
s Né ch'io fossi ùgan di sigillo
Da Cristo prese l' ultimo sigillo.
Quando a colui ch'a tanto oen sortlUe,
v Divenisser segnacolo in vessillo.
Ilo
f Che teeo mite Boma nel booo flUo, 8 H
Pd Tolaa più in flretta • vanno in filo ; 9 9<
n Come gii augd ohe veman lungo il Wilo 9 M
p Comincia* lo, dall'alto prlmipllo, 8 91
s Non vede più daU'nno all'altro atiloi 8 M
B seguitai: Cerne 11 verace stUo 8 ■
a Dell'attendere In so, mi dl«e: Adlasa
Intra Sleetri e Chlaveri s'adlma
0 Gli occhi nostri n'andar suso alla elaaa.
Dell'albero ohe vive della cima.
Alle sostanzie, e quelle ftxron dma
Come la flronda, ohe flette la dma
Parole e sangue : ond' io lasdal la ebaa
Fu frequentato già in so la cima
Poscia portar la rosa in su la cama ;
Ond' io levai le mani in v6r la dma
Cosi, levando me su vèr la cima
Ld tanto, e ti travolta nella dma.
Ne fece volger gli occhi alla sua dina.
Lo titoi del mio sangue fk sua dnaa.
Che (k dal mazzo ai fine il primo oUaaa ;
d Tal vinse, che giammai non d divlma.
1 Pura potenzia tenne la parte ima {
K come qod che adopera ed istiaaa.
Dorme lo ingegno tuo, se non istlma
1 Che l'avea temperato oen sua liaaa.
Che del soverduo visibile lima.
o SI dt'ogni musa ne sarebbe oploaa.
p Vaghe^l*^ U no fkitor l' anima priiua*
Cinque mil'anni e più l'anima prima
Io dico seguitando, ch'assai prima
Allo splendore assai più che prima.
S* egU aveste potuto creder prima.
Spiriti son beati, che giù. prima
Dall'ora ch'io avea guardato prima.
Rivolga '1 dolo a sé, sdirai : ma ^ma.
Come '1 bue ddUan che mugghiò prima
Ed io son quei, che su vi portai prima
Eletto seco, riguardando prima
Ch' io ho veduto tutto il verao prima
r Ciò e' ha veduto pur colla mia rima,
s A giudicar, si come qud che stinaa
La verità che tanto d sublima;
Per la propria virtù che la sobllma;
Une
o Tanto che gli augelletU per la eiaaa
p Ma con piena letizia l' aure priaso,
r Che tenevan bordone alle sue rime,
lazi
p Nella mia mante, disse : I oarohi primi
s E posson quanto a veder sai sublimi.
V Così velod seguono 1 cod vimi
laila
a Che fklaal U metalli con alohimla;
s Com'to fbl di natura buona soijula.
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ass
818
d Posda con pochi pasd divenimmo s
p Da quelle cerchie eterna d partLouno.
s Assia laggieramento quei salimmo,
lazo
1 Che d'alto monto scenda giuso ad imo.
Questa isoletta intorno ad imo ad imo.
Se più lume vi fosse, tutto ad imo.
E come olivo in aoqua di suo Imo
1 Porta da' giunchi sovra *1 molla limo.
Amor nasca In tre modi in vostro limo.
888
8 88
888
1 88
1 80
1 18
1 18
1 18
8 1
8 1
198
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8 1
9 17^
— 57 —
mi
do è nel Tèrde e n«* fioretti opimo t 8 80 111
mna nebbU aodar daTaatl al primo 8 1 08
er sé stante, alcono esser dal primo. a 17 110
0 di aobe), se V impeto primo 8 1 184
parlammo insino al luogo primo 1 39 87
seo al sommo del mobile primo» 8 80 107
i, se. dirldendo. bene •timo, 8 17 118
dèi pib ammirar se bene stimo, 8 1 186
% parlarmi, sì oom'lo stimo; 1 80 86
r ascose nel ftioco che gli affina.
bè *1 ben nostro in questo ben s* affina,
1 corpo uscirò: e tutta la Oaina
ti aranti. AUchlno e Caloabrina,
scolina 2 26 146) oalina
hanno riso, e però mal oamailna
loca stette un poco a testa oblna,
Uel mio. ciascuna è oittadina
urbaricda guidi la doolna.
rohla quella dove U Sol declina ;
da Yeroello a Marcabò dlobina.
lamd indietro, che di qua dlchina
aUe, onde Bbenzlo si dichina,
k profonda congiunzion diTina
ggla vostra via dalla divina
suo TisTon quasi ò divina;
da QuoUa Imaglne divina,
•miiuan quivi la virtù divina,
ricorsi ancora alla dottrina
volte l'evangelica dottrina,
i BOgnitata, e veggia sua dottrina
US guida al som de Teaoallna,
erra *1 del, che più alto fastina.
la più d* esser fitta In r «latina :
ima è qui tra voi. che sia latina;
i già vidi su 'n terra Latina,
sa t' hai per non perder Iiavlnai
oaaio fbl Currado Malaapina :
bbi il tremolar della marina,
ondlnella presso alla mattina,
vai gli occhi ; e come da mattina
ba vinceva r óra mattutina.
> del Sol la s!ella mattutina.
imbrltl di Pier da Medlolna,
mi ta soave medicina.
« la mente nostra, palleirrina
eo. persona umile e poroffrina,
vivesse in Italia peregrina,
lei portai l'amor che qui raffina,
i gli spirti con la sua rapina,
tro figUe ebbe, e dascona regina,
o che veggi seder la Regina,
rda negli occhi la nostra Regina,
gendo Ante, e diceva : O regina,
ido glnngon davanti alla mina,
re, alla tua. pria eh' all' altrui mina.
;ar potrete su per la rulna.
guardar s' alcun se ne soiorinat
0 una essensia si una e si trina
[ che i peccator di là nnoina.
aldlmagra. o di parte vlolna
lB«l
montavamo, già partiti linei,
lieta voce disse : Intrate qnlnol,
1 misere mani, or quindi or ouind
0 m' innamorava tanto qulnd.
kll'entrar della porta incontro naoinol.
aio retro, e : Godi tu che vinci,
tminciai : Maestro, tu che vlnd
mi legasse eoo si dold vlnd.
ccbè a me venia : Risurgi g vinci,
iBdl
ha Flrente tanti Lapl e BlnAl,
ozi che lasciassi il paroo e il dindi,
o Sé', grifoo. che non diaoindl
è : pero agi' Ispani ed agi' Indi,
quanto più e su. fora dagl' Indi
»^amo si grldan qulnd e a^indit
8 86 148
8 80 187
1 88 68
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8 6 181
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8 81 180
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8 1 118
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1 6 88
8 6 188
8 81 116
8 88 104
a 17 86
1 8 84
a 17 80
l 88 187
1 81 116
8 84 140
1 83 141
a 8 116
a 18 87
a 18 86
1 14 41
8 14 187
1 14 46
a 16 80
1 14 48
a 14 180
8 14 188
8 80 108
8 11 106
a 88 48
8 88 101
a 88 41
8 88 106
Posdachè mal ti torse il ventre quindL 8 88 48^
Divento, eh' or vlen qulnd ed or vlen quindi. 8 11 101
m Che ftima avrai tu più. se vecchia solndi 8 11 108
Ine
a Nell'ordine ch'io dico sono aooline
e Se dò non fosse, il del che tu eammlne
Ma Vienne omal, che già tiene '1 confina
Che solo amore e luce ha per confino.
ì d a Treepiano aver vostro confine.
Serpentelli e ceraste avean per orina,
d O spiritaU 0 altre disolpllne I
Ma per larghezza di grado divina,
e Guarda, mi disse, le ferod Brina.
t Veder le volte tanto più festine.
Di Campi e di Certaldo e di Fiffffbine,
Per treoent' anni ed oltre, infino ai fine
Che drizzan ciascun seme ad alcun fine.
Onde, se '1 mio dido deve aver fine
Dell* etemo valore, il qiiale è fine,
Disposto cade a provveduto fine.
Alle sfitcdate donne fiorentine
i La spola e '1 ftaso, e feoerd indovine ;
m£ qnd. che ben conobbe le meaoblna
p Come da noi la schiera d partine.
r Che non sarebber arti, ma mine ;
a Sai quel che fé dal mal delle Sabina
Che non era la calla, onde saline
Qoai Barbare Air mai. qual ffaraoine.
Sotto Sibilla Caino e le spine.
Con una fìorcatella di sue spine.
V Ob quanto fora meglio esser vicina
Vincendo intomo le genti vicine.
Più al prindpio loro e men vicine {
Che nostre viste là non van vicine.
8 1 100
8 8 106.
1 80 184 j
8 88 64<
8 16 64^
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8 88 88
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3 16 68
8 e 48
8 1 111
a 80 114*
ìmmM
f Ma sia qual vuol che T assonnar ben tinva. 8
1 (V. luiinghe 2 1 92) lusinffa
p Come pintor che con esemplo pinva, 8
r (V. rieinghe S l 94) rioinjra
8 OU occhi spietati, udendo di Slxlnffa, 8
(V. itinghg 8 1 96) aUnffa
a Sì che la fkcda ben con gli ooeU atUn^he 1
1 Quaggiù m' hanno sommerso le Inaing-he, 1
Come tu di*, non e* è mestier lusinghe ; 8
p Appresso dò lo Duca : Fa' che ping-be, 1
r Va^ dunque, e fa* che tu costui rloinrbe 8
s SI che ogni suddume quindi atin^be : 8
UiBlila
a Giudica e manda, secondo eh' awing-bia. 1
0 GIÙ nel secondo, che men loco oing-bia, 1
r Stavvl Minòs oiribilmente. e rinffbla : 1
Ingro
ir Ch* ancor si pare intorno dal Oarding-o.
1 Io Catalano, e costui Loderlnro
s Come suol esser tolto un uom solinffo
Ingra»
d E qui è uopo che ben si distin^va.
1 Ove dinand dissi: U' ben s'impingua,
1 In si aperta e sì dbtesa llnr«a
d La tua ragione, ed assai ben dlstinvue
1 E che s'incontran con si aspre linffve.
Se mo sooasser tutte quelle lingue
p Ma dimmi : quel della palude pinone
Del latte lor dolcissimo più pingue.
8 Di tanto grado, che mai non d stinr^ie
iBl
a Dimandai tu, che più gli t* avvicini,
o Io vidi gU Ughi, e vidi i OateUinl.
Per me ; ma un de' neri Oberubinl
Cosi duo spirti, r uno all' altro obini,
E quad nu perdei con gU occhi chini.
Già nel calare. Ulustrt cittadini i
Giacendo stretti a' tod destri oonfinl ?
38 68
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90
1 80
or
1111
— 58 —
Qaest* opera gli tolse quel oonflnl.
I>al qu&le in qua staio gli sono a' orlai :
4 A chi avesse quel lumi divini
Di faville d'amor, con si divini,
f O visibili 0 no, tanto festini.
Ciò eh* lo dirò degU alti Fiorentini,
Bl m'indoasero a batter i fiorini,
jnVenir sen deve giù tra* miei mesoUnl,
• Pria cominciato in gli alti Serafini.
Poi fùr li visi, per dirmi, supini t
t > d io a lai: Chi toa U duo tapini,
▼ Ma poco tempo andrà, ohe 1 tool vloini
a Coe\ da* lumi che 11 m* apparinao
i Che mi rapiva senza intender l*lnno.
t Di molte corde, tka dolce tintinno
IBO
a Pranceeeo. Benedetto ed Agostino,
[y. Pennino 1 20 65> Apennino
Dalla sinistra costa d'Appennino,
Qxe sovra 1* Ermo nasce in Appennino.
E di Cologna, ed io Thomas d*Aqnino,
Che sotto U sasso di Monte Aventino
e Con questa orazlon piociola, al oammino,
Al cui odor si prese *1 buon cammino.
E chi è questi che mostra *i cammino!
Anzi imiwdlva tanto *1 mio cammino;
Che Domenico mena per cammino.
Come quel flume, e' ha proprio oamoìiao
Segnar potria, se fesse quel cammino.
Natura generata il suo cammino
Come gente che pensa suo cammino.
Correr lo mar per tutto suo cammino,
Perfeitamente. disse, U tuo cammino.
Non va co* suo* fìratel per un cammino.
Non anderà con lui per un cammino.
TI traviò s\ fuor di Campai dlno.
Oh. rispoe*ogli, appiè del Casentino
Per andar par di lui : ma *1 capo chino
10 ora Ingiuso ancora attento e chino,
4 Ei cominciò : Qtial fortuna o destino
Ch'eran con lui, quando TAmor divino
Vostri risDlende non so che divino.
Vedergli dentro al consiglio divino;
E fla prefetto nel (òro divino
Seco ne porta e r umano e U divino.
Or mira l'alto prorveder divino.
So non vincesse 11 provveder dl^o.
Più a montar per lo raggio divino.
Quivi è la rosa, in che U Verbo Divino
t Simili fata v*ba al fantolino.
Però non fui a rimembrar festino.
Venuto se* quaggiù ; ma Fiorentino
g Che tu non ti nvolgl al bel rÌMi*dino
leualmente empierà questo giardino.
Vola con gii occhi per questo giardino;
11 Calavrese abate Olovaoohino.
1 Di tra. Tommaso, e 11 discreto latino ;
Dicendo: Parla tu. qnesU ò Latino.
S\ che *1 raffigurar m* è più latino.
Dall'altra parte, e vidi 1 re Latino.
Conosci tu alcun ohe sia Latino
K quando Lachesls non ha più lino,
mScmpre acquistando del lato manoino.
GIÙ nel ponente sopra *1 suol marino ;
Non creda monna berta e ser Martino,
Ed ecco qual. sul presso del mattino,
Temp'era dal principio del mattino;
E volta nostra poppa nel mattino,
p Ad inveggiar cotanto paladino
Tra Garda e Val Camonlca, Pennino
4 Per seme da Giacob, e vlen Qnirino
a E solo in parte vidi '1 Saladino.
t Vidi quel Bruto che cacciò Tarantino,
Luogo è nel mosso là, dove *1 Trentino
u Tu dèi saper eh' io ftil '1 conte ITroUno,
Che io non temerei unghia nò uncino.
Ch io fai do* monU là intra Urbino
^ «fwide armento, ch* egli ebbe a -ricino :
Poco * da un. che fu di là ricino :
i. ohe m*ò a destra più ricino.
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87
Cbe 1 soon dell* acqua a* era sì vieltto, 1 14
Or ti dirò perch'i* soo tal ricino. 1»
Guarda U calor del Sol che si Ik vlao, 8 U
i Questo oenteslm'anno ancor s'iaoinav*. 8 •
p Del nostro dolo, che piò m'ò propinqna, 8 t
r Si ch* altra rlta la piima reliaqm* I 8 8
iB^ne
o NOI quale nn cinquecento dieci e oiaqne, 8 31
d B ooel gigante cbe con lei dellaqne. 8 88
p A dame tempo già stelle propiaqna, 8 81
a Lo eolio poi eoa le braccia m* aTvlaaa,
e Poi di sua preda mi coperse e eiase.
Legno con legno spranga mal aoo olnse
Nulla vedere ed amor mi oostriaaa.
d E oom* ambo le lad mi dipinse
E di trista rergogna si dipinse ;
i Benedetta colei che In te s* laoinsa.
B *1 peocator. che intese, non s'intljaae,
p E dimanda qoal colpa quaggiù 1 plaae :
Quel oolor che rlltà di toor mi plase.
La dolce Doona dietro a lor mi pinae
r E mane e aera, tutto mi ristrinse
PIÙ tosto dentro il suo nuovo ristrinse,
s Per più fiata gii occhi ci sospinse
Per che *1 Maestro accorto lo sospinse,
Trorò l'Archlan robusto; e quel so^isao
A poco a poco al mio roder si stiaae :
Di Lancillotto, come amor lo strinse :
Ai suo collegio, e *1 collegio si strinse ;
T Ma solo un punto ta quei che d vlase.
Cozzare insieme : tanrira gli rinae.
Sempre dintorno al ponto che mi rinae,
Ch* lo lèi di me quando '1 dolor mi rinae ;
81 sua virtù la mia natura rinae ;
Che laasù rlnce, oome quaggiù rlaae.
iBSl
a Tre rolte dietro a lei le mani aTrlaal* 8 I
d DI marariglia, eredo, mi dlpiasi; 8 I
p Ed lo, seguendo lei. oltre mi piasi. 8 I
1 &
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1 16
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1 9
1 9
1 9
o Io arerà una corda intomo data;
Ed io, ch* area d'error La testa data,
d La refflon degli angeli dipinta.
Laggiù trorammo una gente dipinta.
Prender la lonza alla pelle dlpuita.
q Porre ministri della fossa qiuatska
La prima rlta del ciglio e la quinta
t Trovammo risuonar quell* acqua tinta.
Sempre in quell'aria senza tempo tinta.
V Piangendo, e nel sembiante stanca e Tinta. 1 88
Ma vince lei. perchè vuol eaaer rlnCa, 8 80
E che gent* è, che par nel dool sì rlatat 1 8
1BÌ«
a Onde le fiere tempie erano aTTiata,
o E con Idre rerdlaslme eran ciatei
t Tre fterfe inlbmal* di sangue tlata,
IbU
e Ancor nel rotto tuo presso ch* astiati, 8 18
p Ma fla duetto loro esser so piati. 8 11
▼ Fien li tod piò dal buon roler sì Tlati, 8 U
iBiO
a D* una catena che 1 tenea aT^iato
o Bellindon Berti ridi andarne ciato
Onde fk l'arco il Sole e Delia il doto.
Che si reca il bordoo di palma ointo.
Infln ohe l'uno e l'altro da qoel dato,
E questo era d' un altro oircuaciato,
d Lasciando dietro a sé l'aer dipinto j
Voglio anche, e se non scritto, almea dipinto
Io mi iacea, ma '1 mio dettr dipinto
Fur verbo e nome di tutto *1 dipinto ;
181
8 10
8 19
8 83
8 89
8 88
8 19
8 89
8 4.
8 1«
— 50
area por D«ttira ivi dipinto,
to, col Tolto di rito dipiuto,
loan* tua senza U tIso dipinto;
è ino moto per altro distinto i
iva argento li d* oro distinto.
chiaro assai, che per parlar distinto,
h' egli sopra rimanea aistlnto
acera un incognito indistinto.
) non fòsse che da quel precinto.
omo onesto gli altri; e quel precinto
ome oiece da mezzo e da quinto.
arrolgeta infine al giro quinto,
quinto '1 quarto, e poi dai sesto il quinto.
na neU' Il del Tocabol quinto
noi appena, ei liete, ed io sospinto»
1 miei dubbi d'un modo sospinto,
so io dir ; ma ei tenea succinto
0 di pietra ed in petrato tinto,
nel punto che m'avera vinto.
irara si ratto, eh' arrla Tinto
so di ini. ma io sarei ben tinto.
:1, ciascun saria di color tinto,
tostro Uccellato*, che, com'è tinto
n e'iiaa detto a' dolci amid addio i
d'ogni lato ad esso m' apparto,
1 la Donna, che pria m'ai^urio
i ch'io a dimandar, la bociea aprfo,
indo : Colai fessa in grembo a Dio
tuo or che son più presso a Diol
Itosione ed a rendersi a Dio
alme d^no di salire a Dio,
potson iStr lo cuor tolger a Dio
possendo peccar, mi tolsi a Dio.
adorar deoitamente Dio:
a presenza del Pi^liuol di Dio,
IO a Maria, quando *1 i^^lluol di Dio
> EiustizU, se '1 PigUuol di Dio
Ili che mooion nell' ira di Dio
0 e cent'anni e più l'uecel di Dio
Ah il disoemi rimirando in Dio.
bestemmia di &tto o£R)nde Dio,
lo rispondo : Credo in uno Dio
1 giù tincon b\, che terso Dio
non si lascia tinoere a disio :
* egli : Frate, il tuo alto disio
pose in pace uno ed altro disio.
Asse : Soiti U tuo caldo disio.
moto, con amore e con disio,
'etemo piacere, al cui disio
che chiedea la tisti del disio,
tre ch'io tisei, per lo gran disio
ni largito m' ateta il disio
seder ne dotrla più li disio
&1 la tolontk, suoni '1 disio,
gi& r ora che tolge '1 disio
morder quella, in pena ed In disio
senza speme titemo in disio,
abe la tema si tolge in disio,
lesi al segno di maggior disio,
per empierti bene ogni disio,
dti dold pensier, quanto disio
disse un altro: Deh, se quel disio
lo, ch'atea di riguardar disio
la poi trarre te nel suo disio!
lonlsio con tanto disio
DO di loco, ove tornar disio :
Or cagion m'accesero un disio
che pareta prima disparlo.
I il sommo piacer sì ti tallio
copre '1 fosso, in che si paga il fio
ài superbia qui si paga *l fio :
Ita gran tempo per lo mondo fffo.
t lui disdegnoso ; onde sen g{o,
'io Ali dentro, l'occhio intomo inTioi
posso prender tanta grazia, eh' lo
*T. quanto le belle membra in ch'io
mi letate si, ch'io son piò ch'io.
Irò aU* antica scita Unto, ch'io
hh tu teggi lì coti com' io.
gli nomò e distinse, com' io.
• 7 70
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E anel che spera ogni (ledei com* lo,
Ond'ella, che tedea me sì com' io,
Ma tieni ornai con gli occhi, sì com* io
Tacette allora, e poi comincia' io :
Non ti maratigliar; che, dicend'io.
Che non gli è tendicata ancor, diss'io.
Ed: Ella ot'òt di subito diss'io.
Se tu non tornii Ed ci: Chi fla dot' io
Poi foce sì, eh' un ftisoio er* ^11 ed io.
Della teglia assoluta intende ; ed lo
Ecco, dolenti lo tuo padre ed lo
Com* a quelle parole mi fec'io:
Poscia si pose là, dote naeqn* b :
Del dire e del tacer, si sta; ond'lo
Poi mi ritolsi a loro, e parla' io.
Poco dinanzi a noi ne Ai : perch* io
E di costoro assai riconobbe io.
Perciò non lagrimai, né rispos'io
Ricordati, rioordaU.... E se io
Apri gli occhi e riguarda qual son lo ;
Per te si teggia, come la tegg* lo ;
M'ImpigliAr A, ch'io caddi; e lì tid'io
mPiangetan elli : ed Anselmuccio aio
La forma qui del pronto creder mio;
Ed attegna eh' io fossi al dubbiar mio
Temendo, un poco più al Duca mio
Queste parole fùr del Duca mio :
Così rispose allora il Duca mio.
Noi passammo oltre, ed io e '1 Duca mio
Le man distese, e prese il Duca mio.
L' occJdo, per dimandar lo Duca mio,
E sonar nella tooe ed io e mio.
Che l'essere del mondo, e l'esser mio
Dolce di madre, dicer : PigUuol mio,
E Virgilio mi disse : Figliuol mio.
Con buona pTetate aiuta '1 mio.
Ot6 s'adempion tutti gli altri, e 11 mio.
Mosse Beatrice me del luogo mio;
Quegli che usurpa in terra U luogo mio.
Quando mi tolsi al suon del nome mio.
Io cominciai : Voi siete '1 padre mio.
Se' fotte a sostener lo riso mio.
E tolsi gli occhi allora al Signor mio :
Quando sarò dinanzi al Signor mio.
Tanto eh* io tomi. Ed Ella : Signor mio.
Che *1 tuo parlar m' infonde, signor mio,
Per eh* ella, che tedeta il tacer mio
Che fece crescer 1* ale al toler mio ;
n DI quella nobll patria natio,
o A te clM Oa, se U tuo metti in obbllo 7
Che Beatrice ecclissò neU'ebblio.
p La fiamma dolorando ei partlo.
Com' una dimensione altra patio.
Tempo aspettar tacendo non patio;
Di benigna letizia, in atte pio.
Di queste imperio giustissime e |io.
E cominciò : Per esser giuste e pò
A lagrimar mi fonno tristo e pio.
Ed in ciò m' ha fott' egU a sé più pio.
Bramò Colui che *1 morso in sé punlo,
r Io sen Virgilio ; e per nuli* altre rio
Per tal difotti, e non per altro rio.
Drizzar gli occhi ter me di qua dal rie.
Poi tldl gente, che di fuor del rio
E prona sono a trapassar del rio.
Notabile, com* ò il presente rio,
Cotal Al l' ondeggiar del sante rio.
Piena di duolo e di tormento rio.
Ed ecco l'andar più mi tolse un rie,
s Centra *l corso del elei, ch'ella saffufo
La tista mia che tante la segule,
Virgilio quando prender si ssntfo,
t Ridendo, parte quella che tosalo
u 1* mi tolsi a Beatrice, e quella udfo.
Come nostra natura e Dio s* unio.
Infln che l'altro Sol nel mondo usalo.
A poco a poco un altro a lui n' uscio.
Vicino a' monti de* qua! prima uscio;
Piegata l'erba che in sua ripa uscio.
Patta più grande, di sé stessa uscio.
Subitamente questo suono uscio
Poscia che 1 padre suo di tita uscio,
T Maria, cantando ; e cantando vanio
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1 Come, qoaado lA nebbU ti dlBsipA*
■ In tu r estremità d* un'alta rlp».
E son nel pozio intorno dalla npa
Prendendo più della dolente ripa.
Ove s'aggiunge coir ottava ripa,
I Che la memona il sangue ancor mi solp*.
E perchè noe ra colpa sì ne sdpal
CIÒ che cela '1 vapor che l' aere stipa i
Ahi giustizia di Dio 1 Unte chi sttpa
Venimmo sopra più crudele st^ :
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1 81 117
A Tol dlTOtamente ora swpira
Sempre 1* amor che drittamente spira.
Sovra lant'arte di natura, e spira
Che V ano e 1* altro etemalmenta spira.
Ma nostra vita senza mezzo spira
Che la viva giustizia che mi spini
Come quando una grossa nebbia spira.
So stessa lega sì, che fuor non spira.
Questa palude, che il gran «uso spira.
Ancor sarei di li dove si sidra.
Come la rena quando il turbo spira,
t Quaggiù, e piò a sé r anima tir».
Che la destra del cielo allenta • tira.
Per lo disio del pasto che 14 U tira ;
Per forza di demon eh* a terra il tira.
Nullo creato bene a se la tira.
Al passo (brte, che a sé la tira.
Di eompleesion potenziata tira
Che ciò che truova attivo quivi tira
K disse : Io veggio ben come ti tlia
O fleliool disse, insin quivi U tira.
Deirantieo avversario a sé vi tira;
Se lento amore in lui veder vi tira,
g Principati ed Arcangeli si glrmno ;
r Questi ordini di su tutti rÌJnir»aOa
« Tutti tiraU sono, e tutu tirano.
Irei
d Che vegnan d* esto fbndo a dipartirai.
Non Ti dispiaccia, se vi lece, dirci
u Onde noi ambedue possiamo naoirei
ire
a In quella parte, ove snrge ad aprire
o QH'teuno-mpttese,nimvumlavo$ooì»TÌr;
Sì ch'ella par qui meco oontradire.
d (V. dùtrv) daaira
Vide *1 carro d'Ella al dipartire.
Lo buon maestro comindommt a direi
Ei oomlndé liberamente a dire:
Con duo campioni, al col &re. al cai dire
F. Tederai il tuo credere e *1 mio dire
Sì uniformi son. eh' io non so dire
Io m* era inginocchiato, e volea diro ;
Credendo ch^altro ne volesse dire ;
D* una vera città ; ma tu vuol dire.
Libero fa da ogni altro dlslre.
Così l'animo preso entra in dlslre.
E dissi eh* al suo nome il mio disire
Ma ella, che vedeva il mio disire.
Perché, aporessando sé al suo dlslre.
• Senza dlstlnzfon nell* «sordire.
f Che stralunava gli occhi per ferire,
DI veder quel ohe gli oonvlen fuirvire,
g Fin che la cosa amata U te s-ioire.
Che Dio parsa nel volto suo gioire :
i (V. ire) gif
Che la sentenza retro non può ire
Oltre la gran sentenza non può ire
aNon attender la forma del martire :
Ch' alma beau non può mai mentire,
dò ohe non muore e ciò che può aaorire
p Che. per veder, non Indugia '1 partire s
Con lei ti lascerò nel silo partir» :
r Ma per la mente che non può reddire
Fu' lo. e vidi cose che ridire
Tanto poss' io di quel ponto ridire.
Solo ascoltando, del mio riverire :
Di che si vede Eurmpa rlTestire,
■ Per la sua forma, eh' è naU a salire
Ed lo era con lui : ma del salire
Sì come nnvoletU, in su salire :
Alle qua' poi se tu vorrai salire.
Che noi potea sì con gli occhi se^aire,
Ond'io mi féd ancor piò là sentire.
Che vien dinanzi a' tre sì come sire.
E quanto fla plaoer del giusto Sire,
Che partorisce, amando, il nostro siri;
Così il triforme effètto dal sno sire
Congiunto, si girava per le spire
Ch'ode le besUe e le firasohe etonalre.
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— el-
isa
i Tolete 0 Tederò o «dire,
lon proponimento, per udire
potesd da Piccarda adire.
0 mi panre per rispoeU adir0
emente a coiai« che Tenir*
lo fisplende si, che dal Tenlre
0000. perchè «peran di renire
1 0 Lombardi, io ne Auro Tenlre.
quattro grand* ombre a noi reoire :
Udo so per lo MOglio venire.
1 primo pensier, del eoo Tenire.
tri
me difse: To, perch'io m'adiri,
s un* altra fiata omai •' adiri
i cirnvlen che tanto '1 ciel m* mggirl
eh' alla difension dentro a' aggiri,
le in terra, non Toglio oh' amniri |
oe 1 danno ; e nero n<m ti aounlri
dal qoal non e a ohe •'«spiri,
Isiri) assiri
woMeste i dabbioii dlslrl t
do che ci afflggon li diairi
mi, e aoddiafkàóml a' miei diilri.
Illa a me : Per entro i miei diairi,
diacordi gU nostri diairi
ler l'alto Sol che to diairi,
Doato loco al ver che to dlsiri,
è s'appontano i Teatri diairi,
irato m'ha degli altri gin.
à somma, che per gli empi giri
alle note degli etemi giri.
Itro aaaai del ver di c[iiesti giri,
tdral non capere in questi giri,
•to e la Tirto de' santi giri.
Ito lame parrermi tre giri
1 dall'altro, come fri da Zrl,
m mi lascerebbe ire a' martiri
on aom per lo popolo a' marilri.
è laggiù non tristo da martiri,
lo dolce assenzio de* martiri
marò di segni e di martiri,
moro della terra ed i martiri
avTenia di daol sema martiri,
indai : Francesca, i tool martiri
se : Qoel confitto, che tu airi,
ita è La cagion di che ta mixi.
% soa natura ben riasirl;
loto e to» viriate, che rimiri
te noi verso gli alti sslirl.
1 di IMO. gU coi soffrir!
i muove U maniaco a' sospiri.
dir lor con sì alti sospiri,
indogial al fin li buon sospiri;
do Deli& barba co' sospiri
oi privili devoti e con sospiri
rea pianto, ma' che di sospiri,
ami : al tempo de' dolci sospiri,
i sensa lagrime e sospiri
igorgando lagrime e sottri,
facciam le lagrime e 1 sospiri
baldanza, e dicea ne' sosp&i :
onan eooie goal, ma son sospiri
kti motor convien che spiri.
e la terra, che perde ombra, aplri,
Inci e quindi Igoalmente ai niei
ÙLuU a di femmine e di Tiri.
Irmi
da mia Incominciò a dirmi.
Con tanta aospizion tk Irmi
ocfaegiplare, e a me oonvlen partirmi,!
0 noQ poaao dal penaar partirmi,
rio, e più non voUe «dirmi.
Ir*
id* ammlrarion : ma ora ammiro
o a quel che più ianansi apparirò,
«li epirti die me t'apparirò,
Taoilrl quando disse a Oirot
dre ftk sopra flgllool dsliro|
isiro) doslro
is 1 Greci poi lo dipartirò |
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B della aohiera tre ai dipariiro
Ben puoi to dire : lo ho fermo '1 dlslro
B quei e* hanno a giuatizla lor diairo
Che Al albergo del noetro diairo ;
IM rfudir non foi aenm diairo.
Ond'^li: ▲ terminar lo tuo diairo.
( Con suiunt, aens' altro, ciò fornirò.
Moatrava come in rotta ai fuirrlvo
r Dell' aoqua che cadea nell' altro rlro.
Io aono amore angelico, che giro
Veduto a noi venir, lasciando '1 giro
E gli altri fin qua^^fflù di giro in giro.
Per l'Inferno quaggiù di giro In giro:
Oli occhi aveguati rivolgendo in giro,
A queata voce lo Infiammato giro
Deu'aer puro infino al primo giro.
Ma tutti fenno bello il primo giro,
L'Angel che n'avea vòlti al aeato giro,
E, ae riguardi au nel terzo giro.
Cominciare a vedere, e fere tm giro
mB che per aalti fu tratto al martire.
Sotto la pioggia dell' aapro martiro,
Oiuao in deldauro, ed eaaa da nuurtiro
Bd anebe le reliquie del martiro.
B poi che, per la aete del martiro.
Che aempre aanto. il diserto e '1 martiro
Per maraviglia obliando '1 martiro.
B r un gridò da lungi : A qual martiro
Ch'ei portò giù, di questo gaudio miro.
Pensa che Pietro e Paolo, che morire
p Quando tre ombre insieme si partire,
s 8on le duo luci sole che salire ;
(Vedi Seiro) Sohlro
Quando la madre da Chirone a IBtolro
Predicò Cristo, e gli altri che '1 sevulro ;
Di cui le Piche misere sentire
Agli occhi miei, che vinti noi soffrire I
B sotto lui co8\ cerner sortire
Nel trono, che l suol merti le sortirò.
Ond'ella, appresso d'ano pio sospiro.
Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro
Po per Onorio dall' etemo aplro
Per aentlr più e meo l'eterno apiro.
Alla ntla Donna dirizzò lo aplro,
O vero sfevillar del Santo Spiro.
Che si fecea nel suon del trino spiro,
t Dltel costinci; se non. l'arco tiro.
a Più fùr di cento che. quando 1* udire,
▼ Che a considerar fu più ohe viro.
Ed ella : O luce e tema del gran viro,
s Onde si coronava il bel sattiro.
Dolce color d' orientai zaffiro,
Irr*
o Onde Torquato e Quinzio che dal olrro 8
mEbber la fama che volentler mirro. 8
p Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro, 8
Irsi
d Un amen non saria potuto dirsi
f Indi rapper la ruota ; ed a fuirrlrsl
p Per che al Maestro parve di partirsi.
Irti
d Com' lo r ho tratto, saria luiuro a dirti i
Che cosi fosse, e già voleva dirti :
s Disse: Dentro da^fùochi son gli spirti!
Ed ora intendo mostrar quegli spirti
n Conduoerlo a vederti ed a udirti.
Maestro mio, risposi, per udirti
Irf
mDove mortai le tempie ornar di mirto.
u Br'io di là, rispose quello spirto.
Tanto fu doloe mio vocale spirto.
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o Come dioea. non per colpa oemmlsai
d Credendo qoella quindi esser deolsa,
Con intenrion da non eeser derisa.
Vidi eont'Orso; e l'anima divisa
g B forse sua sentenzia è d' altra r«l6*
p Federigo Novello, e quel da Pisa
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iscldo
— 62
f Tatti si posan al tonar d'an flsolilo.
mSi quietò con caso 11 dolce mtaoblo,
r S\ come, per cessar (ktica o risolilo,
Imi»
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Della mia grazia e del mio paradiso.
Non è il Bruire al mio cantar prooiso;
Ma per chiare parole, e con preàso
r Come oom che trora suo cammin roolso.
O por lo modo osato t' bai rlpriao ?
Mosson le labbra mie un poco a riso;
A* miei Poeti, e vidi che con riso
Quell'altro flammeegiare esce del rtao
Quando leggemmo il disiato riso
Cosi lo rimembrar del dolce riso
Per quel, che Beatrloe non ha riso.
Chiuso e parvente del suo proprio riao:
Non si Tenia, cantando '1 santo riso.
Di non caler, oosV lo santo riso
D'altrui lume fregiati e del suo riso.
Che dentro agli occhi suoi arderà na riso
E caminoiò. raggiandomi d*nn riso
Ciò ch'io vedeva, mi sembrava un riso
8 Che non si oonverria. l' occhio sorpriao
Vincendo me eoi lume d* un sorriso,
▼ Mai non l' avrei riconosciuto al viso ;
Raggiava in Beatrice, dal bel viso
Diretro al mio parlar ten vlen eoi viso
Quinci rivolse in vèr lo cielo il viso.
Tu liai 1* udir mortai, si come *1 viso.
Poscia rivolsi alla mia Donna il riso.
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D* un giunco schietto, e che gli lari *1 viso, S ]
Quella lettura, e soolorooci *1 viso ; ' '
Poi alla bella Donna tornai *1 viso.
Tu se', cosi andando volgi il viso.
Quando per forca mi fu vòlto il viao
Entrava per 1* udire e per lo viso.
Dal primo giorno eh' lo vidi 1 suo viso
Amor del suo subietto volger viso.
Della fiBiooia di Dio non volser viso
1 I
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f Prindpio e fine con la mente fissa:
i Che pio non si pareggia mo ed issa,
r Lo mio pensier per la presente rissa,
isso
a Poco più oltre *I Centauro s' affisso
Tacito oonzm me ciascun s* affisse.
Ogni vergogna deposta, s'affisse :
IHiseò gridando, ed anche non s' affisse
Misericordia chiesi, e eh* e' m' aprissa :
Poi parve a me che la terra s'aprisse
Pur come sonno o febbre l' aoHalisso.
o Pareva a me che nube ne oopriaso
d Sette P nella fironte mi dsso risso
Vintim non habent, altamente disso i
Ridendo allora Beatrice disse:
Tal voce osci del cielo, e ootal disse :
Quando vivea più glorioso, disse.
Drizza la mente in Dio grata, mi disse.
Tosto che questo mio Signor mi disse
Lo tradito il mirò, ma nulla disse :
Quando se' dentro, queste piaghe, disse.
Allor oìi volsi al Poe^ ; e quei disse :
Mentre che l' nno spirto questo disse.
Convenne che cascando divenisse :
f Quasi adamante che lo Sol (arlBse
Che per lo carro su la coda fisse :
La vostra coodixion dentro mi Osse
ul' venni men cosi com'io morisso:
s Galeotto fta 1 libro e chi lo scrisse :
Della nostra basilica si scrisse.
Né O sì tosto mai. né 1 si scrisse.
t S'avventò un serpente, che '1 trafisso
Mostro alimento, all'un di lor traflsae;
u E prima che del tutto non s' ndlsao
Parea ohe di quel bulicame ascisse.
▼ Che, qual voi siete, tal gente ▼oaissa.
Prima che passi tempo quanto ▼isso.
Issi
a La scala su, ed eravamo affissi.
Perdo a figurarlo i piedi affissi:
La bella donna nelle braccia aprissi.
d Poi mi rivolsi al mio Maestro, e dissi :
Furo scontrati ; ed io si tosto dissi :
tf Ed assentì ch'alquanto indietro riasi.
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. '.per lol perdalo a morir gissi. 1 96 84
XHkTenno ch'io r acoua inffhiottlaai : S 31 102
normorar dell'aquila salissi 8 20 96
aspettava '1 cuore, ov'io la sorlssi. 8 80 80
o nel mondo gU alti Tersi scrissi, 1 86 88
7«s me sì dolcemente udissi, 9 81 88
aitasi un poco s'io udissi 9 17 79
voce quiVi; e quindi uscissi 8 90 98
aarltai di voi mentre oh* io Tissl, 1 96 80
Isso
mo r occhio per entro r sbisso
.«eparasion. che nell'abisso
:he sì s'inoltra nell'abisso
sti in terra per noi orooitisso,
» parlar direttamente fisso,
•xafln che in Dio pib l' occhio ha fisso,
ooltarll er'io del tutto fisso,
M> a-vesse, o che l' uom per sé isso
leccar lo specchio di Sfaroisso»
sr poco è che teco non mi risso.
b ogni creata vista è scisso,
io dall' accorger nostro scisso 1
istfs
ntc con ingegno ed arte acquista.
) più di piacer lo canto acquista;
A malizia, ch'odio in cielo acquista,
oso al monte dietro a me acquista,
jtiziar lassù fblgor s'acquista,
k adi* : Se quantunque s' acquista
la perDBzion quivi s' acquista.
He è quei, che volentieri acquista,
smeate operando all' artista,
ali* ultimo suo ciascuno artista.
ara tra i cantor del cielo artista.
. Tedeasi noli' ultimo artista.
*a vostra avarizia il mondo attrista,
ì totti i suoi pensier piange e s'attrista;
ga so^gellata del Battista.
Iter airme, tra Marte e '1 Battista,
. della città che nel Battista
ne a buon cantor buon citarista
i fòrza, 0 con fìrode altrui contrista,
r coaTien, che '1 mio seguir desista
.0 mortale alcun tanto non dista,
la mezzo quadrante a centro lista,
oai cadeva al petto doppia lista.
rsi per lo raggio, onde si lista
a la barba e di pel bianco mista
tra l' altre luci mota e misu
discendeva a me per mezzo mista,
a dltadinanca, eh' è or mista
manda no fei con priwhi mista.
cando alzato l' umile Salmista :
T'aTria luogo ingegno di sofista.
v' io Tedessl qui r anima trista
)me donna dispettosa e trista,
nbra di fbor, come la mente è trista,
pre con l' arte sua la (kri trista ;
a ad udir, turbarsi e (asti trista,
-oi, pastor, s' accorse '1 Vanirolista,
sue soioor di lui alcuna vista ;
igjzzar, senza aver altra vista,
k se *1 ealdo amor la chiara vista
formi chiara la mia corta vista,
Aneggiar co' regi a lui fu vista :
darà eosa mi si fece in vista,
oo di tanta reverenza in vista.
tir dell* tua. e dell' altra la vista
Fonte Branda mm darei la vista.
perchè poi ti basti pur la vista,
tommo er'alto che vincea la vista,
sto 11 da Beatrice la mia vista;
doca Oottiflredi la mia vista
rneeta vita, insino a questa vista,
)ci e tarde, rinnovando in vista,
la paura eh'uscìa di sua vista,
>oatra effigiata, ad una vista
late
4 le braccia duo di qtiattro liste ;
la mezzana e le tre e tre liste.
8 7 84
9 8 191
8 91 84
9 6 119
8 7 66
8 91 09
1 80 180
8 7 89
1 80 198
1 80 189
8 91 06
9 6 198
8 14 117
8 20 144
1 11 89
9 4 88
8 9 70
8 94 79
8 18 81
1 1 fio
8 18 77
8 80 83
8 18 61
8 16 61
1 18 104
1 1 67
1 80 74
8 16 47
1 18 148
8 90 149
1 11 94
8 80 81
8 81 74
9 4 49
9 1 86
8 14 116
9 1 84
8 18 49
8 81 78
8 16 48
9 14 70
9 10 66
8 94 81
1 80 76
9 10 60
8 0 79
1 18 146
9 14 71
1 18 106
1 18 147
8 94 77
8 18 78
8 90 140
1 10 108
8 9 68
9 1 89
9 14 78
1 80 78
1 11 90
9 4 40
8 81 76
8 18 47
8 80 20
8 14 118
1 1 68
9 10 67
1 96 78
9 90 110
mQuando n'apparver duo figure mista
Conftisiona e paura insieme miste
E bianche l' altre di vermiglio miste.
t Rispondi a me ; che le memorie trista
▼ Tanto salivan che non eran ▼iste ;
Al quale intender tot mestier le viste.
Divenner membra etie non ftur mai viste.
Isti
a Ancor che l'altra si andando acquisti. :
Ahi dura terra, perchi non t'apristi?
f O Buondelmonte, quanto mal f nrffiati
t Oh I dissi lui, per entro i luoghi tristi
Quetaimi allor per non ftu^li più tristi:
Molti sarebber lieti che eoo tristi, !
▼ La prima volta eh* a città venisti. i
Poi dimandò: Quant'ò che tu venisti !
Se tu mangi di noi : tu ne vestisti
Isto
a Non per avere a so di bene acquisto, ]
o Riguarda omai nella faccia, che a Oristo i
Vedendo in queir albór balenar Cristo. i
Si come dell'agricola, che Cristo ]
A lui, che tal che non conobbe Cristo. ]
Ma vedi, molti gridan : Cristo. Cristo, i
Ben parve messo e l'amigliar di Cristo; i
Senza battesmo perfetto di Cristo, i
Fu al primo consiglio che die Cristo. i
Non salì mai chi non credette in Cristo, i
Che in quella croce lampeggiava Cristo, i
&Ia ohi prende sua croce e segue Cristo, I
Sola ti può disporre a veder Cristo. i
mChe '1 pel del capo aveano insieme misto. ]
s (V. sussisto) suoslsto
Potesse, risplendendo, dir: Sussisto; I
t Da bocca '1 tireddo, e dagli occhi *l cor.trlsto :
V Quand'io ebbi d'intorno alauanto visto, ]
Quel che tu vuoi udir; perch'io i'iio visto i
mViene a veder la gente che ministra 1
Giù vèr lo fondo, dove la ministra
r Punisce i fklsator che qui registra.
Che di necessità qui si registra, i
s In su la sponda del carro sinistra, ]
Del lungo scoglio, pur da man sinistra; :
li»
a Pongono il ségno, ed esso lo m' addita. i
Se orazione in prima non m'aita, ]
Se buona orazion lui non aita, 3
La santa voglia d' esto archimandrita, i
Perchè l' ha tanta discordia assalita. 1
d L'ombra sua toma, ch'era dipartita. ^
f A lui che ancor mirava sua ferita, ]
Se prima fti la possa in te finita i
A quella terra, che n'è ben fornita t ]
ir Ed ei rispose: Fu fhtte Gomita, ]
Nel mondo su dovrebbe esser gradita. ]
Fu l'opra grande e bella mal gradita. 1
Fu' io a lui men cara e men gradita : ]
Ma perchè l'opra tanto è più gradita 1
i A batter l'altra dolce amor m'invita. ]
Mi pesa si, che a lagrimar m'invita:
Ma per sé slessa pur fu Isbandita i
Del no, per li donar, vi si (k ita. :
1 E poi, quando mi fu grazia largita 1
Come fu la venuta a lui largita 1 ]
m(y. margherita) margarita
Quanto più che Beatrice e Margherita, ]
Per entro sé l'eterna margherita i
E dentro alla presente margherita l
o In quella tela ch'io le porsi ordita. 1
p Li cittadin della città partita :
Fino a quel punto misera e partita I
Or sappi eh' avarizia fti partita ì
Chi fu colui, da cui mala partita
Lucida, spessa, solida, e pulita, <
Migliaia di lunari hanno punita. i
Or, come vedi, qui ne son punita. I
r IH seconda corona redimita 4
Poscia non sia di qua vostra redita: !
ita
— 64 —
Del buon dolor eh*a Mo no rimarita»
.. "■• "-a, tutta In »è romita.
ipirlo era ■alita,
più Uero uUta.
men tallta.
miglior aalita;
) sbandita
ir noa è ■•ntltaa
■a smarrita.
0 smarrita.
ta sortita,
perchè sortita
nostro spedita
m« l'arena trita,
ina paglia è trita,
) in ciol non è udita ?
me udita:
[sposta udita,
0 Fattore unita,
eoo lei unita,
nanendo unita.
« ond'ò uscita;
noi migliore oseita,
;una ▼•stita
aro in l'altra vita,
puote ater vita,
B della Tita
orlo della Tita,
M dolce Tita.
»ta dolce Tita,
koto flBoe in Tita,
la iniera Tita,
ondo a miglior Tita
Ile mirabil Tita
lui mirabil Tita
'ogni mortai Tita,
le e mutai Tita,
lin di nostra Tita
in nostra Tita,
de in pianta Tita,
>no in jMrima Tita,
in quella Tita;
smphoe Tita
la sua Tita.
ome, ed in sua Tita
■a la tua Tita
nella tua Tita,
di Santa Sitai
Ite
a Vendica te di quelle braccia ardita
d S' appressa la dttà, e* ha nome Dita,
1 Del cui nome fht i Del fta tanta lite,
mEd lo : Maestro, gii le sue mesohlta
E '1 signor mi parea benigno e mita
u Vermiglie, come se di fuoco uscita
Iti
f Che da sinistra n*eraTam feriti.
1 Alla mensa d'amor cortesi inviti.
Io lo sesuiTa, e poco eraTam iti,
Tanto «Il Ik eraTam noi già ili,
1 Oli occhi prima dritta a' bassi liti }
Tornate a rireder li Tostrl liti;
■ Volti a levante, ond' eraTam saliti.
Desiderosi d'ascolar, seffuiti
E verso noi volar fUron sentiti.
Perdendo me, rimarreste smarriti.
Tosto eos), oom'ei Airo spariti:
u Che per parlar saremmo appena uditi.
ito
a Lui che di poco rtar m' aToa ammonito.
Seguendo come bestie l'appetito.
Ch^ esser ti fece contra Carlo ardito.
Curio, eh' a dicer tu cosi ardito I
E disse a me : Or sii forte ed ardito.
K dissi: Va', ch'i'son forte ed ardito.
E mi ricorda eh' io tu' piò ardito
o Sarebbe al tuo fOror dolor compito.
fi./^'^*. 'i *»»«*«*«<• ft» disparito.
^ lo fui del primo dubbio diarestlto
Umbre mostrommi. e nominolle a dito
aia 81
s e 7s
9 80 187
9 1 108
8 4 88
9 8 68
9 18 68
118
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8 98 190
8 4 87
8 17 100
1 18 40
8 18 84
9 4 185
l 4 79
8 8 81
8 7 86
9 19 60
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8 7 108
8 7 189
8 96 91
999 89
8 1 104
9 8 70
9 11 198
8 4 86
8 96 88
9 4 181
8 7 104
9 98 77
8 18 88
8 11 88
8 99 116
9 80 186
111
8 6 196
9 18 64
9 8 69
8 18 110
9 7 180
8 7 89
1 16 88
8 17 88
1 4 77
191 88
9 16 100
1 8 68
9 16 88
1 8 70
9 16 109
1 8 79
9 4 67
9 18 97
1 16 01
9 18 98
9 4 66
8 9 4
9 4 68
8 9 9
9 18 96
8 8 8
1 16 89
1 16 88
l 17 77
9 96 84
1 19 00
1 98 108
1 17 81
1 84 60
8 88 79
1 14 66
1 89 186
8 1 84
1 6 88
a si risponde daU*aaeUo al dito.
Mostrarti, e minaodar forte col dito.
Quando diretro a me, drizzando *i dito.
Ed ora attendi qui : e drizzò *1 dito.
E '1 buon Sordello in terra fregò *1 dito
a Mostro peccato fti ermafrodito :
f In Cesare, affamando che '1 fornito
Levaimi allor, mostrandomi fnrnlto
V E fu con lui sovra '1 fosso irbormito.
1 Nella diserta piaggia è impedito
Salir di notte, fora egU impedito
Tu eri allor sì del tatto impedito
L'aspetto mio col Valore infinito.
Volando, dietro gli tenne, invairkito
Fino a costai si stette senza invito ;
Dentro ad un nooTO piò fai irretito :
1 Folle d'UUsse ^ di qua piemo U Ilio
mQoesta, prlTata del primo marito,
p Non basu da costoro esser partito :
Che non guardasti in là. sin fti partite.
Com'io dal loro sguardo fui partite.
Io era gli da quell'ombre partltow
Sotto 1 miei piedi, un sogno • più partite.
Non TarcberesU dopo '1 Sol partito :
Però ti sta', chi ta se' bea pux&ito ;
La tua superbia, se' tu piò poolto :
a TroTal lo Duca mio eh' era aalito
Oh quanto mi parerà sbicottito.
Tale era lo, e tale era sentito
Casual punto non puote aver sito,
E piò mi fora discoverto il sito
Che pria per me aToa mutato sito.
Ma folgore fuggendo '1 proprio sitow
O settentrfonai TodoTO sito.
Pietà mi Tinse, e ftai quasi emarrito.
Del tIto raggio, ch'io sarei smarrito,
E temo ctie non sia già si smarrito.
Mi disse: Perchè sei tu sì smanitot
Oro od arxento, quando tu sortito
Là, onde *i Carro già era sparito {
Che per etema legge è stabilito
u La mente tua conservi quel eh' ndito
Per quel ch'io ho di ini nel cielo adito.
Poscia oh' l'ebbi il mio Dottore adito
Tanto, ch'io non l'aToa sì forte adito:
RlmnroTerando a sé, com' hai adito.
Di oò ch'avoTa incontro a sé adito,
Et ooram patrt le si fece unito,
Itrlo
a Libero, dritto, sano è toc arbitrio,
mPer eh' lo te sopra a ta corooo o aUtrio,
Iti»
d Di sua cireonfèrenm, è derelitta.
Per carità ne consola e ne ditta,
RagionaTan di me Itì a man dritta;
La sua famiglia, che si mosse dritta
Ella ridoa daU' altra rlTa dritta.
Lo qual trasse Fotin della Tia dritta.
f E duse l'uno: O anima, che fitta
ir Del puzzo, che *1 profondo abisso Bitta, 1 11
Che quel dinanzi a quel diretro gltta ; 8 li
Che ralla terra senza seme gitta. 9 M
■ D' un gramde aTcllo, ot' lo Tldi una aoritta 1 il
t Sotto le ciglia a Venere trafitta 9 «
Itto
a MugghiaTa con la Toce dell* afflitto. 1 f!
Quando ha paora, o quando egli è alBitto, S 8
d Com' aTesse lo Infamo in gran diapitto : 1 1(
Vedi là Farinata che s' è dritto : 1 9
Col pianto di colui (e ciò ta dritto). 1 1
Blaestro mio. diss' io quando f^ dritto. 1 9j
e Però gli i conoeduto che d* Brltto 8 a
f Lo perfido assassin, che. poi eh' è fitto, 1 U
Ot' è la ghiaccia I e questi com' è Atto, 1 8
I* aToa già *1 mio tìso nel eoo fitto; 1 h
p Anzi che '1 mlUtar gli sia preseritto. 8 9
r Volsimi alla iUlstra col rispitto 2 9
Ed el grido: Se' tu già costì ritto, 1 li
e Non ha con piò speranza, com* è acritto 8 1
Di parecchi anni mi monti lo scritto. 1 à
— 65 —
IVO
lU Tlrtù, ohe ffià m'avea trafitto 7 9 80 41
» ei pareva dal dolor trafitto: 1 S7 18
i«ra a mane ha &tto il Sol trafitto 1 34 105
Ir»
Beai dlTlno, pib chiaro appariva;
doT'i'ara anoor non m'appariva,
•ao AxlRor, che nulla m'appariva,
opria 2 19 31) apriva
timido voler ohe non t'apriva,
liazza de'Trolao che tatto ardiva.
corno navo eh* alla piaggia arriv».
nalla novo a quel temane arriva,
n» <ktU la Tirtnte attiva,
prezioso corpo oh' eir avviva,
salda »), che più e più m'avviva,
^aodo prima, e poi avviva
mondo, che più ferve e più j' avviva
' io : Maeetro, il mio vedier t'avviva
ba triata misera e captiva,
:aptiva) cattiva
vedi Ennoé che là deriva :
on fossato ohe da lei deriva,
la natura lieta onde deriva,
wol del fonte ond'ogoi ver deriva;
Dio la tua ragion porti o deacriva :
inanz* del primo amante, o diva,
l'animo mio, che anoor fnwiva,
iraadoei me dietro, tea viva
tara il Sole; onde '1 giorno tta giva,
to che l'acqua nulla ne iuffhlottiva.
■a candido vel dnta d'oliva
ftr lo raol che d'ogni parte oliva,
poi ch'ei vide ch'io non mi partiva,
qiiritl Tiidvl, •! che priva
•pene volte la memoria priva,
a di vita, e 8Ò di pregio priva,
bramortlta tua virtù ravviva,
ante foglie, e quindi rlaaliva
aoest' é La via, e quella è già a riva,
lioail gluio; e quei ten venne a riva
kfeHdiaiTdal Sole, ed alla riva
to dicevi: Un uom natce alla riva
Ito fuor del pelago alla riva.
Il diritto m' hao petto alla riva.
.0 non tla ool voler prima alla riva,
riddenuno il cerchio all'altra riva
(gno per menarvi all'altra riva,
ndo fui pretto alla beata riva,
a topra di noi l'Interna riva
la più atpettar Utdal la riva,
fti detto: ▲ man deetra per la riva
lo loco, ove a tcender la riva
siator di aue'lnpi, io tu la riva
el tuo Polidoro in tu la riva
r della fiamma stava in su la riva,
diaoeudemmo in tu l'ultima riva
dalle mani angeliche saliva.
ogni*tjéiìA cade, che tallva
ià il Poeta innanti mi saUva,
eravam dove più non saliva
, ch'ogni vista ne tarebbe aoliiva.
Mtto. né chi legga nò chi aorlva ;
lo noi to rim'-mbrar. non ch'io lo tciiva
dette avea colui cu' lo serniva,
me stetto dicea; che mi sentiva
uicHa S 10 33) nsoiva
era. quivi, e tal puxzo n'usciva,
venia 2 19 29) veniva
Me. e dietro meco sen veniva,
a <^ se' costi, anima viva.
la predetta conoscenza viva,
divina foresta spetta e viva,
«de la carne loro, esondo viva:
bcce tutte avean di flanuna viva,
(ita di color di fiamma viva.
t' ascondeva la giustizia viva,
sorga su di cor che in grazia viva:
morte che el sostenne pcàrch'io viva,
I mi droooftUse luce vira,
I to, rispotl lui, quant'io mi viva;
roce astai più che la nostra viva.
non latdù giammai persona vira.
S 9 88
8 93 117
8 80 01
S 18 8
1 SO 14
S 17 78
8 81 10
S SO 09
8 9 140
8 4 190
9 90 eo
8 98 118
9 18 10
1 80 16
9 83 187
1 7 109
8 9 149
8 4 ne
9 18 19
3 4 118
1 1 20
9 81 80
9 97 0
9 9 48
9 80 81
8 88 6
1 8 80
8 83 47
9 38 196
9 14 88
9 33 198
8 81 11
9 90 04
9 9 40
9 4 188
8 18 70
1 1 98
8 98 88
9 94 78
1 7 100
1 8 86
9 81 97
8 93 110
9 98 4
9 11 48
1 12 1
9 14 68
1 80 18
9 9V 7
1 98 09
9 80 99
1 7 98
9 4 186
9 17 76
1 19 8
8 10 79
9 81 80
9 11 47
9 17 74
1 90 00
9 91 74
1 8 88
8 96 61
9 98 9
9 14 61
8 81 18
9 30 33
8 10 68
9 4 134
8 96 00
8 80 49
9 94 76
9 97 0
1 1 27
Possibile a salir persona Tiva. 9 11 61
Ed allor ùi la mia vista più viva 1 99 64
Come letizia per pupilla viva. 8 9 144
Ivo
o Tosto òhe luogo 11 la oiroonscrive, 8 29 88
Quati rubini, ch'oro circooicrive. 8 SO 66
Non drconscrìtto. e tutto circonscrive, 8 14 80
E sarai meco senza fine oive 9 39 101
Per l'uomo in terra se non fesse ciré t 8 8 116
4 Per viver colassù. non vide quive 8 14 26
r Mirabilmente all'una delle rive; 9 96 86
Fulgido di ftUgori, intra duo rive 3 SO 69
■ Ritornato di là, fe' che tu scrive. 9 39 100
No ; se '1 maestro vostro ben vi scrive. 8 8 190
V Di tal fiumana usciaa feviUe vive, 8 80 64
Però, in prò del mondo che mal vive, 9 82 108
Cosi e quanto nelle membra vive. 8 20 90
Queir uno e due e tre che sempre vive, 3 14 98
E puot'egli etter, te giù non ti vive 8 8 118
Ivi
a Di lei parlare i buon eh* a lui arrivi. 8 94 40
Perch'io: Maettro. &' che tu arrivi 1 94 79
De' buoni tpirti, che ton ttati attivi 8 6 118
In questa ferma lui parlare andivl : 1 96 78
0 Che quest'era la setta de' cattivi 1 8 68
Ma perchè questo regno ha flatto olvi 8 94 43
Contento ne pentier contemplativi. 8 91 117
ir Quant'io calcai fin che chinato givi. 9 19 69
1 Che ritraesse l'ombre e gli atU, ch'ivi 9 12 60
Da mosconi e da vespe eh' eran ivi. 1 3 60
lutti color eh' a quei tempo eran ivi 8 16 46
p Gridava: O tu dal del, perchè mi privi? 9 0 100
Q Ch' è or due volte dirubata quivi. 9 33 07
E pd. continuando, disse: Quivi 8 91 113
Nel nome di Maria finii, e quivi 2 0 101
Non t'è occulto, perché *1 viso hai quivi, 8 94 41
Ma or d fk togliendo or quindi or quivi 8 18 188
E quando li detiri pogglan quivi 8 6 116
Fotti dell'arco ^, che varca quivi; 1 24 63
Chi ei d furo, ed onde venner quivi, 8 16 44
Poiché la fiamma ta venuta quivi, 1 26 76
L'impeto tuo più vivamente quivi, 8 12 101
r Di lui d fec^r poi diverd rivi. 8 12 108
s Ciò che tu vuoi; eh' e' sarebber sellivi, 1 96 74
Ma tu che sol per cancellare sorivi, 8 18 130
Ed aggi a mente, quando tu le scrivi, 2 33 65
n Che pur con db! di liquor d'ulivi. 8 21 115
V Queste parole, ti le insegna a' vivi 9 33 63
Questi sdaurati, che mai non tnr vivL 1 3 64
Io dirò '1 vero, e tu '1 ridi' tra i vivi: 2 5 103
Del vero amore in su poggio men rivi. 3 6 117
lo era volto In giù, ma gU occhi vivi 1 94 70
Morti 11 morti, e 1 vivi parean vivi: 2 12 67
SI che 1 suol arbuscelli stan più vivi. 3 12 106
Per la vigna che guasti, ancor son vivi 8 18 132
Erano 1 quinto di qud che ton vivi: 3 16 48
IV*
a A donna, che *1 taprà, t'a Id arrivo. 1 IS 00
d E qud che vedi nell'arco deolivo 3 20 61
Si voUe con un canto tanto divo, 3 24 23
1 Ddla sua madre, e semplice e lascivo 3 6 63
n Dal suo bene operar, non gli è nocivo, 8 20 S9
o E come a messaggier, che porta olivo, 9 9 70
p Qual io divenni, df'uoo e d'altro privo. 1 34 27
Maraviglia sarebbe in te. se privo 3 1 139
r Lo tao salir, se non come d'un rivo 8 1 137
s E di calcar nessun si mostra schivo; 9 9 72
Ciò che narrate di mio corso scrivo, 1 16 88
Cosi Beatrice a me. com'io lo scrivo; 8 6 80
Però salta la penna, e non lo scrivo, 8 24 95
Noi dimandar, lettor; ch'io non lo scrivo, 1 84 93
V Per lo spirar, che io era ancor vivo, 2 2 68
Non che '1 Mtrlare, è troppo color vivo. 8 24 97
Che piange Carlo e Federigo rivo. 3 20 63
Com'^a terra quieto il Aioco rivo. 3 1 141
E quant'io l'abbo in grado, mentr'lo vivo. 1 16 80
A quella parte ove '1 mondo è più vivo. 8 6 87
Io non mori', o non rimasi vivo: 1 34 26
izia
ooc
e Di più tapere angosdoM earlsia;
d Lo minimo teotAr di co* dellsla.
Ond'el. dt'ftTM laceiooli a grmn dlTialA,
B sMo &T««ii lo dir tAoto diviilA,
(V. dfvixia) dOTlsia
r Por e
. .. col ìAggit ti vislU OallmU.
Lib«ro arbitrio, • non fOra rinatisi»,
DoU'alto Sire, infaliibll giaslirU,
MI dimo«traron, eb« oottra gioitleia
Parerà InTinata la noetrA ff uri zia
Che tu vedrai all'ottima ftoetlzia
Quiod addoleiioe la Tlva giuvtizia
Per eoipa del pastor, voctra fiostizla.
1 Lo cielo i voeui movimenti inlala;
Per eh* io prego la Mente, in che t'initla
Ov'ogni ben u termina e s'iniria.
Penta, lettor, ee quel che qui s'inizia
1 PeroechMo credo, cbe l'alta letlsla
Ri tere una bellezxa. ohe letiria
Amor di Tero ben pien di letizia,
B la mia Donna piena di letizia
Vedeael l'ombra piena di letizia
La mente mia, che di sé fa letizia
Col merte. è parte di nostra letizia.
mLama v'è dato a bene ed a mollsla.
Quando fb l'aer s\ pi^n di malizia.
Crollando il oapo: e disse: Odi malizia
Ha mrn velen ; però ohe eoa malizia
Qtii vederai Tona e l'sltra mlllsla
Ed ei mi cinse della sua milizia,
Discese, avria mestier di Ul milizia
n Tore<v giammai ad aleiwa naqniala.
Dietro gii andai incontro alla nequizia
Di fede. • non d'eretica nequizia.
p DI quel'a schiera, ood'tuoì la prlmlsla
Ditemi dunque, cara mia primizia,
Cbe si segnare in Toetra paeriala.
t Quando procuro a' miei maggior triatlsla.
Non credo eh' a veder maggior tristizia
V Ond'esee '1 ftimo che *i tuo raggio Tlala;
Iste
d Avrei quelle Ineffabili dellsle
1 B disToso ancora a più letisie,
p Mentr'io m'andava tra tante prlmlsle
lato
f Seguentuneote intesi: O btion Fabrlslo.
A dir: Colui non par corpo fittlslo.
te Vanno a vicenda ciascuna al riudislo ;
1 Ma se tu »ai e puoi, alcuno indialo
Parer la fiamma, e pure a tanto indizio
Questa ta la caglon che diede Inlalo
1-4 dove *1 Pnrèatorio ha dritto inizio,
o La meretrioe, che mai dsli'o spialo
O tu, che Tieni al doloroso ospizio.
Quanto veder si può per quell'ospizio,
v lasciando l'atto di cotanto utlslo.
Fede porUl al glorio^) uflzio,
V Che gran ricchezza posseder con vlslo.
Morte comune, t delle corti vizio.
Virtù non si resti ro, e senza vizio
Isso
A Dicendo : Tssa tao Ya', più non V adisse :
a Udimmo dire: O tu, a cui io drlsso
sr Su per la punta, dandole quel rnlsso
. f » •* pensassi com'al vostro guizzo
^* «>n»iunò al consumar d'un tisso.
▼ Ciò che par duro U parrebbe vlsso.
J Ma oom albero in nave si levò.
** T °5.* Governo, dove cade in Po.
Lucifero eoo Giuda, ci posò:
"o che 'n grembo a Benaoo star non può,
olslsl
^ Che con tanto lucore 9 tanto robW
8 0
111
8 81
138
1 28
100
8 81 186
8 S6
18
S 10
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1 29
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8 18 116
8 4
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46
8 6 lai
8 16
144
9 16
•78
8 18 118
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87
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8 8
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8 80
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16
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8 16
90
8 6 119
9 16
75
1 89
60
1 22 107
8 4
66
8 80
43
8 15 140
8 8
88
8 6 128
8 16 142
8 4
68
8 95
14
8 16
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8 16
94
1 99 111
1 98
58
8 18 190
998
99
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88
9 98
81
9 90
95
9 96
19
1 6
14
9 7
87
2 26
8
9 26
10
9 7
89
1 18
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1 18
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9 20
27
1 18
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9 7
85
1 97
91
1 97
10
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17
9 96
96
9 95
88
9 96
27
1 90
76
1 81 146
1 80
78
181 148
190
74
8 14
06
8 14
89
8 14
84
B quel coasigUo per migliore approbo
Le esttA UMTA. m viill niwieto irlo1>0
ita probo.
V Le sette snere. e vidi qoesto vlobo
u poote V( * •--
a Acuto si, die 11 viso, ch'egli aSnooa.
o Come stalla eoo stalla si oollòoa.
p B quale stella par quinci più poca.
921
8£S
8tS
8S8
898
SS
b m plaaero uà tal si fuor della boooa«
Ma '1 popol tuo l'ha in sotnmo della bacca
GomlBciò a frldar la fiera bocca.
Quando s'ebbe scoperta la gran bocca.
Ancor giù tornerai, acri la f
Allor sicuramente aprii la b(. .
L' un per la piaga, e l'altro perla
Quando un altro gridò: Che tiai tu, _
o B tratti gUen'avea più d'una oiooea,
SI dileguò, come da corda ooooa.
Chiroo prese uno strale, e eoo la eoeea
t Sì come di vapor gelati tloooa
r A pie a pie della stagliata roooa,
a B U Duca mio vèr lui: Anima selooea»
Lo dolce Padre mio, ma disse : Boooea
Come balestro firan^re. quando aoocea
Bd attenda ad udir quel ch'or *\ aoocea.
MoIU han giustizia in cor; ma tardi scocca,
t Che qtiel di retro muove dò che tocca t
Taccia Lucano omai, là dove tocca
Là, dove l'uopo di notrir nm toccai
E con men foga l'asta il seeno tocca:
Della Capra del del col Sol si tocca ;
Se tu non latrlt qual diavol ti toccai
Di questa dlgreoslon che non ti tocca.
Quand'irà o altra passfoo ti tocca.
2 I
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0 S'io aveesl le rime ed sspre e chiocce. l M
r Sovra '1 qual pontan tutte l'altre rocco, 1 a
c»cclie
1 Or TO' ohe tu mia sentenza ne laiboccke. 1 T
a B quegli a me: O creature sciocche, 1 T
t Quaeta Fortuna, di che ta od tocche, 1 ?
oeclsl
a B rlspoodaan : Sì, fk' che gliele accocchi. 1 Si
Quandimqae nel suo «irò ben e* adocchi, 9 M
o eh' io fed, riguardando ne' begli occhi. 8 M
Vidi sì torta, ohe '1 pianto degli eoehi l 9*
Luogo 1 mio Duca, e noo torcerà gli acoU 1 l:
r Certo i' piaogea, pogniato ad un da' rocchi 1 m
a Mi disse: Ancor se' tu def li altri aciocchi r 1 9»
t B com'to mi rivolsi, e roroo tocelU. 8 SS
Bl chinavan gU raffi, e: Vuoi di'lo 1 toc^ 121
a O dolce Signor mio, disc' io. adocchia 8 4
Però ch'ai nostro mondo non adocchia: 8 U
o Non gli avea tratta anoor )a ooxkoeohia, 8 SI
ir Sedeva ed abbracciava le riacochia^ 8 4
a L'anima sua, ch'è tua e mia airocchia, SflI
Che se pigrizia Ibsse sua slrocehJa. 8 1
•«ClilO
a B ti dee ricordar, se ben t* adocdzio, 1
o B vedrai oh' io son l' ombra di Capocchio, 1
e Contra i Saneai, a^^ussa rir me l^oeo^to 1
•ed*
a Quando ella più Terso le pale approccia:
Ma ficea gli occhi a valle; che a*
Dall'alt» parte la fuor troppo a'i
o Comladò nato colla voce chioccia :
d Lor «orse in questa valle d diroccia:
Non corse mal al toef
I
Poi eoo Taa giù per questa
r Oli la senta, ohe Ande a g
D'una ilBssora cbe lacrima gocda.
15
gooda a roeoia 9 88
iH
1 toeto acqua per doccia
n Qoai ohe per violeaza In alliral aocoia.
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'1
la
— 67 -
oda
« per oonft>rt«nni : Non ti ooeeia
rm tpediU p«r lungo la roccia,
la «i di«d« Alla peodenta roccia,
ti terrà lo toender qae«ta roccia.
In qael ponto qaesta veccbla roc<:la
1 7
9 20
X 88
1 7
1 IS
« la notte già col p è Marrocco.
ieea: Ylenne ornai, tedi eh' è tocco
i mira ne' comi della croca i
ra colui eh* era disteso la eroce
lo. che poeto son con loro in croce.
•t*è colei, che tanto è poeta in croce
l'Arno, e sdolee al mio petto la croce
i eoa Cristo talee In so la croce,
fece '1 segno lor di santa croce ;
dovei to 1 figilooi porre a tal croce,
odo ei parte f'anlnia feroce
ran mostrarsi rigido e feroce,
valse esser costante né feroce,
la man destra giace alcona foce,
re alfine all'entrar della foce,
leeian siepe ad Amo in so la (bce,
sorpo mio gelato in so la foce
te la manda alla settima foce.
Irra moglie più ch'altro, mi nuoce.
>«no vidi già dritto e Toloca
nsltà la Cs eefer veloce;
Cs in nobe il suo fooco veloce.
10 flomo real tanto veloce
11 s«n g(o, come venne, veloce,
se *1 eonte Ugolino avea voce
la driszò a* frati cotal voce:
snvertl qoel vento In ootal voce:
•gghlaio Aldobrandl, la eoi voce
venissaro al del, ttr di gran toco.
Iole blasmo a torto e mala voce.
Amldate. al suon della loa voce,
avao totti Insieme sd una voce
o«lie
te le mie parole non son tioolie,
rinfronsl si pastor; ma son si poche,
tò ch'ho detto alla mente rivocho,
oct
qoaitro eerohl gionge con tre orooi,
tra, e laggiù per lamenti tarool
sola che <u Cs tanto feroci,
a m' apparre da' colli alle foci i
o. più lieve che per 1* altre fod,
e a* mortali per diverse (bei
qoanto son diverse qoelle foci
Ito son grandi, e quanto son veloci,
iva in so gli Kpirìtl veloci:
I diretro a me con miglior voci
{ paupem $piHtu, voci
i a* avea beati, e le eoe voci
•«•
ante è eorto il dire, e come fioco
io divenni allor gelato e fioco.
0 eh* avrebbe ogni toon Iktto fioco,
adeile a colai eh* era già fioco.
Mr loMO silenzio parea fioco.
tdOCO) zooo
1 raj^taso suso infine al faoco.
we rnn, mi Cs'metter al Axoco;
«e, colorata come fuoco:
ttrro che boUente esce dal fàoeo.
•co, ohe per la città del fooco
lal ohe goarda l' Isola del Aioco.
Borato si ohe par di ftiooot
rasentare a quel distinto fuoco.
no ad ono, ed io temeva *1 fooco
eà : Io veggio l'aere, io veggio il Asoco,
%, oooM natora fkee in fuoco,
reeeo avea, dlsparve per lo (hoeo,
imo ad avvisar lo maggior fooco.
% TéDimm, e '1 tene parea fooco
•dar parea d'amor nel primo fooco:
4 180
4 187
8 18 84
1 88 190
1 16 48
1 7 91
9 0 196
8 11 79
9 9 40
1 88 87
1 18 04
8 18 184
8 11 70
1 93 199
8 18 188
1 S8 88
8 0 124
1 18 06
1 16 40
8 18 136
1 7 89
8 18 86
9 0 192
9 9 01
1 88 80
1 28 197
1 18 09
1 16 41
8 18 89
1 7 08
8 11 68
9 9 47
8 11 138
8 11 131
8 11 ISO
8 1 80
8 19 114
8 29 161
8 99 108
9 99 7
8 1 87
9 19 119
8 99 140
9 99 0
8 1 80
9 19 110
9 99 0
8 88 191
1 84 29
1 81 18
1 14 8
1 1 68
9 0 80
1 90 110
8 88 0
8 1 60
1 10 99
8 10 181
8 89 100
8 18 108
9 90 116
8 7 194
8 4 77
9 86 184
8 98 00
8 88 110
8 8 60
B tre ftate venne qoesto fuoco
Discorre ad ora ad or soblto fooco,
B credendo s'accese in tanto fuoco
Tal mi fec'lo a quell'ultimo fooco,
O voi. che slete ano dentro ad on fooco.
DI qoa dal sonno, qoand' io vidi un fooco,
M (V. giuoco) rioco
ver è eh' lo dissi a loi, parlando a giuoco :
B poi ch'ai totto si seatl a giuoco.
Da Quel che corre il vostro annoal giuoco.
Cambiò onesto riso e *1 dolce giuoco.
Delle magiche frode seppe il ^uoca
Qte lo saure omsl ne parrà ^uoco.
Fo degna di venire a questo giuoco.
Qual è queir angel. che con tanto giuoco
i 11 nome del bei fior, ch'io sempre in toc o
1 Ritomo a dichiarare in alcun loco.
L'alta mia tragedia in aleon loco;
Desiderate voi più alto loco
Por qui per uso. e forse d' altro loco
Mentre cn' io minava In basso loco.
Quando s'accorser ch'io non dava loco.
Alle nostre virtù, mercè del loco
Come la navicella esce di loca
Ma poiché l'altre vergini dier loco
L' es»er quaggiù, lasciando '1 dolce loco.
Ove parve al mio Duca tempo e loco.
Forse che siamo sporti d' esto loco ;
Apparecchiava grazioso loco.
Per veder cosa, che qui non ha lecci
Ecco Dite, d'ceodo. ed ecco il loco
So t'esaltasti per largirmi loco
Poiché la carila del natio loco
Gli antichi miei ed io nacqui nel loco
Che noteranno molto in parvo loco.
Oh' orrevol gente possedea qoel loco-
Pece l'oom buono, e '1 ben di questo loco
Piacciati di ristare in questo loco.
Lo Duca mio dlcea: Per questo loco
Potendo ritornare al santo loco.
E, quietata ciascuna in suo loco,
B pare stella che tramati loco.
Dirizzò gli occhi miei tutti ad on loco.
p Che, venendone incontro, a poco a poco
Qaelle ascoltava si fatta, che poco
Quell'altro che ne' fianchi è cosi poco,
E tanto, ohe non basta a dfcer poco.
A te mio cor. se non per dioer poco ;
Per sua dUSalta qui dimorò poco ;
Nulla sen perde, ed esso dura poco;
Venire a corruzione e durar poco;
B, a dare ad intender quanto é poco.
Tornata nella carae in che fo poco,
Si che '1 viso m'andava innanzi poco:
Per che, s'ella si piega asfal o poco.
S'Io meritai di voi nssal o poco,
Perocch' errar potrebbesi per ^oco.
Lod, e salir quali a)*sal e qua' poco.
Però ch'ogni parlar sarebbe poco
B quel, ch^ avea vaghezza e senno poco,
lo noi soflérsi molto né si poco.
Le mote larghe, e lo soen>ier sia poco:
DI lunxi v'eravamo ancora on poco.
Io mi fed al mostrato lonanzi on poco,
Yenivan genti innanzi a noi un poco,
Pd mi parea che, più rotata on poco
DI vedere ecdissar lo sole on poco,
Con qoell'altr' ombre pria sorrise un poco;
Dianzi venimmo, innanzi a vd on poco,
r Motàr lo canto in on O longo e roco,
i 8\ mi parlava, ed andavamo introcqna.
n Ben ten dee ricordar, ohò non ti nooque
ottn
a Là, dove *1 collo alle opelie s' annoda.
B venne a lui dicendo : Che t* appro'da 7
b Di vederlo attoflkre in qoesta broda,
o Qodle fiecavan per le reo la coda
Ma in so la riva non trasse la coda,
d Di dò ohe vero spirto mi disnoda,
f B qoella sona imagine di ^^^^i^\r>
8 16 88
8 10 14
8 SO 110
3 96 191
1 26 79
1 4 68
1 20 113
1 17 102
8 16 42
2 28 06
1 20 117
2 2 66
3 20 117
3 82 103
a 23 88
8 7 182
1 20 113
3 3 60
2 0 26
1 1 61
9 0 20
3 1 06
1 17 ICO
8 83 7
3 82 101
1 26 77
2 2 69
2 26 188
3 26 123
1 34 20
8 23 86
1 14 1
3 10 40
8 10 130
1 4 72
9 28 02
1 10 24
9 90 118
8 4 81
3 18 100
8 16 16
1 81 10
1 1 09
2 33 0
1 20 116
3 S3 183
1 10 20
2 28 Oi
8 16 18
3 7 126
3 10 183
3 20 113
1 31 11
3 4 70
1 20 81
2 26 120
8 18 104
1 84 24
1 20 114
8 1 68
1 17 08
1 4 70
2 26 136
2 0 28
2 0 98
3 95 110
8 8 67
2 2 64
9 0 97
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l 21
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1 24
05
1 17
0
2 14
67
1 17
7
oda
- 68 —
Truova le Tolpl •\ piene di firoda.
Quel di Oallur», vasel d^ogni froda,
g Che Mio 11 suo PaUor tutta la roda.
Di tal disio converrà ohe tu goda.
1 B fé* lor si, che daseon se ne loda:
Posse eonchiaso tutto in una loda,
mTutti gridaron: Vada Malaooda;
0 Né lascerò di dir: perch'albi m'oda:
Traggasi aTsnti uno di iroi che m'oda,
p Di' che facesti per venire a proda ?
Ed acoeonolle che venisse a proda.
Ed egli a me: Avanti che la proda
Ed ecco ad un, eh' era da nostra proda,
t La beUeua ch'io vidi si trasmoda
ode
K 8' alcuna parte in te di pace rode.
Volve sua spera, e beata si gode.
Cosi ne disse ; e però che si gode
Per vedere ogni ben dentro vi gode
1 Beo m'aooors io ch'ell'era d'alte lode,
Pur da color, che ie dovriao dar lode.
Di luce in luce, dietro alle mie lode.
Spiriti per lo monte rtooder lode
inS*aco4>glioa per la croce una melode,
o Pa manifesto a chi di lei ben ode.
Com'a colui che non intende ed ode.
Ma ella s'è beata, e ciò non ode:
p Cerca, misera, intomo delle prode
Non saprei dir qoant'e'mi fece prode,
r Li vivi tuoi, e 1 un l'altro si rode
odi
e Prima ehe la mattia di Caaalodi,
La tua magnlfloenza In me oustodl,
d Piacente a te dal corpo si dianodi.
t La verità nulla menzogna frodi.
g Ma perobi di tal vista tu non grò di,
mPoi Fiorenza rinnova genti e modi.
Per tutte quelle vie. per tatt* 1 modi,
0 Apri gii orecchi al mio annunzio, ed odi.
Però t* assenno che, se tu mai odi
odo
g Dicendo questo, mi sento ch'io grodo.
1 Che visser senza infamia e senza lodo.
min porpora vestite dietro al modo
B nel presente tenete altro modo.
Io non so chi tu sie, né per che modo
Ed egli a me: Questo misero modo
Xabia mea. Domine, per modo
Amore rpira, noto, ed a Quel modo
Che mordendo oorrevan di quel modo,
A nostra redenzlon pur questo modo.
Tutti conflati insieme per tal modo,
E l'esemplare non vanno d'un modo;
Una parola in tutte era ed un modo,
n O frate, issa vegg'io, diss'egli, il nodo
Porse di lor dover solvendo *1 nodo.
Bl d* iracondia van solvendo '1 nodo.
Appresso tutto '1 perirà ttato nodo,
Prega'io lui, solvetemi quel nodo.
La forma univa>sal di questo nodo
L' una giunge a Capocchio, ed io sul nodo
Se li tuoi diti non sono a tal nodo
DI pensiero In pensier dentro ad un itodo,
o E' par ohe voi vegglate, se ben odo.
Tu dici : Ben discemo dò eh' l' odo :
Quel sono spirti, Maestro, chTodoI
Di qua dal dolce stil nuovo eh' l'odo.
Dls5>l: Maestro, che è quel ch'i' odo t
O dolce Padre, che è quel ch'i'odoi
Mi sembri veramente qtiand'io t'odo.
r Che frutti infamia al tra<litor ch'Io rodo,
m Ma pari in atto ed onestato e sodo.
Tanto per non tentare è fatto sodo.
Grattar gli fece il ventre al fondo sodo.
ofllss
p Con le bellezze d'ogni sua paroSia;
r Per che si pnrn, e si risolve la rotti a,
« i-emisper]© dell'aere, quando eolEia
S 14 68
1 SS 8S
8 SO SI
1 8 57
1 SS 84
8 80 17
1 SI 76
S 14 66
1 81 74
1 SS 80
1 17 6
1 8 65
1 S4 87
8 80 19
8 e 87
1 7 06
8 SI 78
8 10 184
8 14 124
1 7 02
8 10 18S
8 SI 71
8 14 123
3 10 1S6
8 14 126
1 7 94
S 6 85
S SI 76
8 0 88
1 80 86
8 81 88
8 81 00
1 SO 00
1 84 140
1 84 144
8 81 86
1 84 142
1 SO 87
8 88 08
1 3 86
a 88 181
1 10 89
1 33 10
1 3 84
8 88 11
8 84 68
1 80 86
3 7 67
8 83 88
8 88 60
8 16 80
a 84 66
a 88 16
8 16 84
8 80 188
1 10 06
8 38 01
1 30 88
3 88 68
8 7 63
1 10 97
8 7 68
8 16 SS
8 84 67
1 3 88
a 88 13
1 83 13
1 33 8
a 88 136
8 S8 60
1 80 80
8 88 84
8 28 89
8 88 80
OS»
o Siede la fortunata CallarorA,
d Tienti coi. corno, e con quel ti diaf ova.
Ch'era sicuro '1 quaderno e la doflra;
E vedi lui che 1 gran petto ti doga,
t Si rompe del montar l'ardita fora.
Dietro alle quali, per la lunga toga,
■ Cercati al collo e troverai la aog-a
Dove slede la chiesa, che soffgloffa
In ohe sogglaoe il leone e soggioga.
SI
1 Sii
Sii
1 91
1 11
Sii
9 11
811
S\ che, come noi slam di soglia in soglia
L'angél di Dio, sedendo In su la iOfuia.
E dell'assenso de' tener la soglia.
Libera volontà di miglior sogUa.
Cominciò egli in su P orribil soglia,
E oomlndò: In questa quinta soglia
Queste misere eaml, e tu ne epovlia.
E iemalmente, quell^amw si spoglia.
V Che mal può dir ehi i pien d'altra vogrlia.
Che volo- dò udire è basu. voglia,
(he mai non empie la bramosa voglia.
Per 11 tre gradi su di buona voglia
Che grazia partorisce e buona voglia;
Vinse paura la mia buona voglia.
Quelle sustanzie ehe, per darmi voglia
Tenersi dentro alla divina voglia,
A cui mi volsi, conobbi la voglia
Per lo seguir ohe fWoe in lui la vorlla;
Perchè mi parli. Tu vedi mia voglia;
E quel, pensando ch'io *1 liBsd per voglia
Di f<ir Io mèle ; e questa prima voglia
Penhé ricalcitrate a quella voglia^
Che divina giustizia con tal vugUa,
osUe
a B l'altra, il eul ossame ancor s*aoeoclle
e Tosto ohe sale dove '1 freddo il eogrllo*
SI rade volte. Padre, se ne ocgHe,
d Quand'Eolo Sdrooeo fuor dlsoiorlia.
Gon quella, che sentì di colpi dovile.
Quando per dilettanze ower per doglie,
t Di questa rosa nelP estreme lodile ?
Cantando, rioevesmo latra le fb^ie,
I le foglie
Come d* autunno si leran 1
ossi* j
f Bsenon gliha, perehòsonoa tal tosrlAf ^M
p Che mena *1 vento e che batte la piotarla, 1 II
r Perehè non dentro della città rogrvia ^ ^
onrio
a Che aveva in me de* suoi raggi 1* apporrlo. 9 Si
p E diedi *1 viso mio incontra *I pomario, S 9
r Lo Sol, che dietro fiammeggiava ronio, 2 9
osll
r infine al pozzo, ehe 1 tronca e raooovU.
a Cosi da imo della rocda eoog-ll
B come a tal fortezze dal lor eoffli
osll»
a Se più awien ehe fortuna t'aooofflia.
Molti son gli animali, a cui s* amnaoslla,
b Tal volta un animai ooverto broff-lia
d Che notturno ariete non dispoglia.
Tanto, che tardi tutta si dispoglia,
E ehe idù volte v'ha cresduta doglia?
Verrà, ohe la farà morir di doglia.
Poi cominciai : Non dispetto, ma doglia
E dlseer: Padre, asrai d fla man doglia.
Mi dà di pianger mo non minor doglia.
Che fu binava al oantor, che per doglia
Ed lo che son giaduto a questa doglia
Ben è ohe senza termine si doglia
ff Vo per la rota già di foglia in foarUa.
B frutta sem^«, e mal non perde foglia,
g L'altro temaro, ohe così germog-lia
i Com'allo re ohe in suo voler ne invoglia.
r Or, perchè a questa ogni altra si raooofflia,
8 Umflemente ohe '1 serrarne soiog'lla.
Però mi di', per Dio, ohe sì vi af og-lia ;
Puoi tu veder eosì di soglia in aoglia
Lio
8 1 se
1 18 101
1 8 110
8 80 116
2 6 109
8 4 8
a S 104
S 88 10
8 80 118
1 88 11
1 18 108
1 3 114
8 6 107
18 105
: a 108
I a 108
I 1 80
eoroDarmi allor di qo«ll« fog1i«,
Arpia, pMoendo poi delle tae fo^a,
no Accennando, tatte l9 raoooQrli*;
la l' InQmo grado lo sé raccoglia
a saI coma oairaara il raccoglie
anima bana ad a«a il raccogUa,
rocche tampra qolTi si raeeogUa,
1, qoal di ramo In ramo il raccoglla
raccoglie) rlooirli*
il apaochlarri in piò di mllla soffile,
e deiranalla fa* si alta ■pcffli*.
ma l'altra varram par no«tra spoglia,
nda alla tarra tutta la sua spoglia;
r una lagrlmotta oba *1 mi toglie ;
è non è giusto aver ciò cb'nom «1 toglie.
: io: Sa nuora legga non ti toglie
a mi solea quotar tutta mie voirllet
4pa • Tergogna dell* umana Toglie),
n dico, chi eercasse a foglio a foglio 8 18 181
Uà mala coltura, quando '1 lodilo 8 18 118
ma quando eogUeodo biada o loglio, 8 8 184
«ti, sanza mostrar l'usato orgoglio, 8 8 186
lor mi dolsi, ed ora mi ridofflio, 1 88 18
a le scheggio e tra* rocchi dello aoofflio, 1 86 17
irata al monte a spogUarri lo scoglio, 8 8 128
leggerebbe: V mi soo quel ch'io «orilo. 8 18 188
più 1* IngagDo afljreno eh' lo non sogUo, 1 86 81
Offa»
che quel eh' i, come non foese, tkgogntk ; 1
i per la vista che non meno agogna. 8
qnal che Prato, non ch'altri t'agogna. 1
1 disse: Mal contara la bisog'na 1
uino a' perdoni a chieder lor bisogna, 8
>ominciai: Madonna, mia blfosoa 8
k non si fSft per noi. ohe non bisogna, 8
t nuovo ohbietto, e però non bisogna 8
è Taramente proTreder bisogna 8
1 frate: Io udì' già dire aSoloyna 1
avara povertà di Oatsloyna 8
ittendo i denti In nota di oiooffna. 1
ntì a Normandia prese e Onasoo^na. 8
cominciò con forxa e con man corna 8
mpre a aael ver, eh' a ikcoia di menzogna, 1
'egli è OQglardo. e padre di meniogna. 1
i Dondiman, rlmoaaa ogni moizogna, 8
rica più di carco non si posrna. 8
rchè in altrui pietà tosto si pogna, 8
A a sé a noi buona ramorna 8
D ▼' an tre vecchi ancora, in cui rampogna 8
a Dio a miglior vitA 11 rlposna:
lascia pur grattar dov'è la rogna. 8
^e non parli piò oom'uom ohe sogna. 8
quale è quel cne suo dannaggio sogna, 1
i eh* io attendo ; e che '1 tuo pender sogna 1
t muso fbor dell'acqua, quando sogna 1
che laggiò non dormendo si sogna, 8
i, se presso al mattln, 11 ver si sogna, 1
iiil« a quel che tal volta si sogna, 8
della propria, o dell* altrui vergogna, 3
ride insln là dove appar vergogna 1
1 ella a me: Da tema e da vergogna 8
rò che senza colpa fa vergogna: 1
sangue mio non tolse la vergogna, 8
r qualuoque lasciasse, per vergogna 8
i nair uno è piò oolpa e più vergogna. 8
ilsimi verso lui con utl vergogna. 1
Mi cittadini, onde mi vien vergogna, 1
ogo
pari, come buoi ohe vanno a giogo, 8 18
% eba *1 eofferse il dolce Pedagogo. 8 18
80 138
18 66
86 e
88 140
13 68
83 89
11 83
£9 80
8 79
83 148
8 77
88 86
80 66
80 64
16 184
88 144
17 187
8 81
18 64
11 86
16 181
16 138
17 189
83 83
80 186
16 188
88 88
S9 88
86 7
11 87
17 126
88 34
88 81
16 186
80 68
16 110
£9 84
80 184
28 6
coma di Letào beestl anooi ;
mpo vegg'io, non molto dopo anool
n credo ohe per terra vada anool
tuo piacer, perchè di noi ti gioì,
al teca U écUnola di Hindi
k qnal vedrai ianiuizl che tu mnoi.
li si fece 1* un più presso a noi.
a 83 86
8 80 70
8 13 68
8 8 88
8 18 14
8 88
8 8
Ove Beatrioa stava volta a noL
D*un Quarto lume, eh* lo vidi con noL
Che noi ad essa non potem da noi,
M fatta, eh* assai credo che lor nòL
Udì* gridar: Maria, óra per noi:
Io pensava così: Questi per noi
Quindi parliamo, e quindi rldlam noi.
Come la scala tutta sotto noi
E tre spiriti venner sotto noi,
D* anime che movleno i pie vèr noi.
Che rifletteva 1 raggi s\ vèr noi.
Indi si mosse un lume verso noi
Guardate che *1 venir su non vi nòL
Esser potrà eh* al veder non vi nói.
p Che i*ano andasse al prima e l' altro al poi:
Cosi nacque da quello un altro poi,
E, se rimane, dite come, poi
Cosi cantando comlndaro ; e poi
Vittima fé* di Currsdlno ; e poi
AUcr soffiò lo tronco forte, e poi
L'anime a Dio, qulv' entra* io. a poi
Ed intendemmo pure ad essi poL
Con nmiltate, obbedTendo poi,
E chiamat' ombra; e quindi organa poi
Dell* esser su, oh* ad ogol passo poi
Sonava Osanna ^\, obe una ne poi
Onde, me' che dlitanzi, vidi poi;
Per compassìon di quel eh* 1 vidi poi :
Ancor ti^ prego, ReKii>a. che puoi
Ed lo ridendo, mo pensar lo pud,
E. se tu ricordar non te ne puoi,
Se tu da te medetmo aver noi pnoL
Deireterno consiglio, quanto pool
Che per lo monte aver sentiti puoi.
In questi nocchi ; e dinne, se tu puoi.
Ed io: Maestro mio, fa', se tu puoi
■ GU unghioni addosso si che tu lo souol.
Dopo tanto veder, gli affetti suoi.
Venuto a mano degli avvertari suoi.
Fugò Beatrioa col raggio de' suoi,
Coei facciano gli uomini de* suol.
Per <kr conoscer meglio e sé e 1 suoi.
In me ficcò Virgilio gli occhi suoi.
Nel qual, se inteso avessi 1 prleghl suol,
E Tun nell* altro aver li raggi suol.
Non potea 1* uomo ne' termini suoi
Che lasciò Cristo de* vicari suoL
t Come del suo voler gli angeli tuoi
Lume eh* è dentro agnzzeran li tuoi
Leva, diss'io al Maestro, gli occhi tuoi:
DI sua mortalità eo'prieghi tuoi.
▼ Brevemente sarà risposto a Toi.
Vostra sustanzia, rimarrà con voi
Ch' lo straniassi me giammai da voi ,
Se non quando gridar : Chi slete voli
Ditel costinci: che volete voli
ol»
oCol
Col pugno gli percosse l' epa croia.
In su le vecchie a In su le nuova ouoia,
g Di questa Inculenta e cara gioia
Che 11 splendeva: Qttesta cara gioia,
LI vanti cerchi mo«trAr nuova gioia
Ch* è principio e oaglon di tutta gioia I
mOrande fama rimase, e, pria che muoia,
Qual si lamenta perchè óui si muoia
n E l'un di lor, che si recò a noia
La C3igion di mia sorte, e non mi noia;
Ma tu perchè ritorni a tanta noial
p Lo refngerlo dell'eterna plola.
Onde ti venne! Ed lo: Ia larga plda
t L* altro è '1 fal^o Sinon greco da Troia :
Figliuol d'Anohise, che venne da Troia,
ola
o Lo cuor che 'n sul Tamigi ancor si còla.
Giunto all' umor che dalU vite cola.
g Tratto m'avea nel fiume inflno a gola,
Sovr'una inerite che 'nfino alla gola
Ond'lo fui tratto fuor dell'ampia gola
Costui par vivo all'atto della gola:
Per la dannosa colpa della vola.
Passammo, udendo colpe della gola.
ola
— 70 -
8 8 83
1 98 64
186 40
S 0 88
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8 82 67
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188 48
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9 34 132
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8 7 97
8 80 186
lola
8 20 70
8 80 4
B eome a«1I orbi non ^«roda *1 Sol«,
DI rao oolor daMona. piia che '1 Sola
Dicendo: Hai ben Tednto, oome 1 Sola
Tra dlMsordanti UU, oootra 1 Sole
La nane in me ohe vede e paté il Sole
Qaal di ftiggir, qoal di veder lo Sole ;
Vidi riTOlta. a riguardar nel Sole:
Che prima avea le ramora il eole,
Viwe VirglUo. assentirei un eole
Più eoa rattesza, nacque al monda wi Sola,
QoanVè 1 cooTento delle biaacba stolli
Là dove tratta deUe hlAocbe stole.
La bocca tua per dir mal, come suole:
Nella noetra cdttà. si come «uole,
Diae. r ingegno tuo da quel ch'e'eikolet
Piccava io cosi, come fkr eoole
Là. doTO rorizsonte pria fkr noia.
E ti come eecondo rag^o loole
CIÒ ch'i* udiva, qual prender li soala
V Men che di roee, e pio die di viole.
Per non eofMre alla virtù che ▼noie
Ma non può tutto la virtù che vuole ;
Qual è colui ohe tace e dicer vuole.
Ma OrTenta, ee proprio dir vuole.
B tal che intaoda e ei ricorda a vuole.
La tre ditpoeizioo, che *1 Cial non Tuola;
Luca del ctel di sé largir non vuole ;
L'umana probitate: e questo vuole
Più utilmente compartir li vuole.
Or flsamente rlguvdar si vuole:
Pur coma parepia che tornar vuole ;
•Ifo
8 Tra Pachino e Piloro, sopra '1 8olto
r Nati per me di Carlo e di Kidolfo.
a Non par Tifeo, bm per nascente solfo»
olve
b Tu non hai &tto si all'altre bolfe:
mLuogo è in Infrrno, detto MaleboUro»
■ Perché la vista tua pur ti soSolg^e
V Come la cerchia che d* intorno *1 volre.
Che miglia ventlduo la valla volge ;
oli
d B colle ciglia ne minardan duoli ?
Ben sei crudel. se tu già non ti dnoU,
f Pianger senti' Ara *1 sonuo i ndd flfflinoll,
I 8a la vostra memoria non s'imboli
n Vasd in Saoleo, e discendeei in VoU :
o B come cerchi io tempra d' orinoli
p Come stalle vicine a' fermi poli ;
Si Aro sprre sopra fluì poli,
8 Diss' lo : deh senza scorta andiaraei soli.
Lo Duca mio ed io appresso, soli.
Poi, si cantando, quegli ardenti Soli
Ha s'ella viva sotto molti soU;
Se tu se' s) accorto come suoli,
B se non piangi, di che pianger suoli f
▼ Quieto para, a l'ultimo che voli ;
Chi non s' impenna si che lassù voli.
Con e«eo i piò ; ma qui conviea eh* uom voli ;
Dicendo: Di* a lor ciò che tu tuoIì
•Ite»
a Non da Pirati, non da gesta ar^olioe.
o E maszerati preseo alla Oattolioa,
mTra l'isola di apri s di MAioUea
oli»
o sta, coma torre, frrmo. che non eroUs
i Perchè la foga l'un dell'altro insoUa.
r Che nella mente sampra mi rasapoll».
Che sempre l'uoi
Piramo in su la morte, e riruardollA,
s Così, la Bkia doresza ftttta soUa.
8 12
a 82
a 4
8 8
8 80
889
8 1
a 82
9 21
8 11
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885
1 80
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3 9
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8 9
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8 II
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1 11
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1 18
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1 18
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1 8s!
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1 91
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8 10
a 4
1 89
1 88
1 88
1 88
9 6
9 6
a 87
ipra
in cui pentter rampalla 8 5
e riruardollA. 9 87
8 87
•He
b La riviera del saagua, in la qual bolle
o Patta sono epalondta, e la oooolle
Eran i dttadin miei, presso a CoUe
Scalone a Pompeo, ed a qua! colla.
Dal flmdo giù. ch'eig^unsaro in sul colla
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a 18
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— 71
fui, oomM'ti dioo. folle,
er amlMLge. In che la gente lòlla
. lo Scotto e ringbllete folle
»» cupldigU, oh ira fblie.
, il eaor de' monad •\ folle,
che la venata dod tia folle:
■o eMo mi ftal qui troppo (bile,
'eterna poi t\ mal e'immollel
ftocabei: e come a quel fa molle
■si la loMoria e U Tlver molle
per Toler di Roma il toUa t
el di Dio che le peccata toUe.
ave «tara tanto non al tolle
del oomindar tatto si tolle;
di partin'lndi a tottt toUe.
lo è qoal che ditrool ciò che Tolle,
reeao al tempo che totto *1 del volle
ia m'avea parlato; e, come volle
pregava Dio di qael eh* e* volle,
alta prowldeoxa che lor volle
al valor non conobbe oè volle.
: mi di* qoaato tesoro volle
olii
lo In vftr Madian discese i colli.
>, chi sete. B qaei piagare i colli;
«elletU, che de' verdi colli
ano, se tu sai, pfrchè tal crolli
3hl lor, eh* eran pria pur dentro molli,
lo I lor eanali e freddi e molli,
U Kbrei, ch'ai ber si mostrar molli,
r gridare infloo a*sooi pie molli 1
rno per mostrargli, e moatrorolU
rime tra es«i, e rlserrolll:
▼oli formati, che satolli
1. vivo, aseal di qael eh* i* Tolll,
olio
ve «pira, e oondacemi Apollo,
dolgono, e*:
S 18 118
8 17 SI
8 19 isa
1 12 49
8 2S 81
1 a
1 19
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8 17 88
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1 9 89
1 88 67
1 9 87
8 6 00
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, _ '1 tinto aspetto e broUo ;
'una gli s'avvolte allora al collo,
.V» a m^, sì che *n contrario il collo
Itri pochi, che driiaaste '1 collo
sommo pinge noi di collo in colio,
m potea con esse dare nn crollo,
che giunto 1* ha : e giugner paoUo ; 8
por qoello, a guisa di rampollo, 8
l'altra alle braccia; e rlloffollo 1
qui. ma non si vien satollo, 8
« miseria d'esto loco soUo 1
olo
9em«nte, s\ che parli. eocOlo, 8 14 6
no al capo non faoevan brolo, 8 29 147
211 accomolando duol con duolo, 1 28 110
NU caldo si sentì del doolo. 8 6 66
li occhi fuori scoppiava lor doolo: 1 17 46
«li orecchi mi percosse un duolo, 1 8 66
iMa militante aloan fisrliuolo 8 90 69
\h non dee a padre alcun flgliaolo. 8 1 83
ooa Maestro disae: Ornai, ogliaolo, 1 8 67
a tal che l'avea per flglioolo. 1 89 117
co ma volgendo au* altro polo, 9 1 89
le stalle già deU' altro polo, 1 26 187
non oonosco il Pescator né Polo. 8 18 180
più prova, di contarla solo; 1 88 114
ch'Io gli mostrassi l'arte; e solo 1 8B 110
0 chi na; ma so ch'M non è solo: 9 14 4
estingueva mentre eh* era solo: 1 14 86
Il settimo cerchio, tutto solo 1 17 44
irono di me un veglio solo. 8 1 81
liro da tutu un veglio solo 8 88 143
olol, oba volle viver solo, 8 18 184
ivi dttadlo, col grande stuolo. 1 8 68
rimesi a rlguadar lo stodo, 1 88 118
la Spagna livdse lo stuolo. 8 6 64
Di eiks raggia tutto nostro stuolo; 8 80 04
stl setts col prlmaio stuolo 9 88 140
ndie, vide sovra lo suo stuolo 1 14 88
lo e' veporl, e quando ai caldo snolo. 1 17 48
'el provvide a acalpitar lo sudo 1 14 84
30 solveva ftior del maria suolo. 1 86 1&8
sapnl Isvar per l'aere a volo : 1 89 118
Ddle mie ali a eoe! ali
De* remi (kcemmo ale a
Prima che morte gli al
E saltò *1 Bubloon, Ax
o Or va', diss'd; che quei
e Verso la valle, ove mai
Di giorno in f^rno pii
o Ma riprendendo Id di ]
i he mi rimise ndle pri
p Mentre eh' io flmna rai
Quanta soiTerson l'ossa
▼ Non furon leonine, ma
Dd trlonfU veicolo uni
e Lo buon Maestro a me
Poi, cume turbo, in su
o B moto a moto, e canb
Lo Navarreae ben suo
r E con le branche l'aer
Sorddlo ed egli iodieti
CkMÌ mi disse, fd indi s
Dov'era *1 petto, la ev<!
t La benedetta fiamma p
Dietro ali anUco che L
Saltò, e dal propoeto k
In dietro in dietro, si <;
Che del bel monte il «
V Posdachè Gottantin l'i
Più ta. e *1 mar fuggii
Ed io Incominciai, pose
E venni a te così, com
Vieni a veder ohe Dio
Gli occhi lucenti, lagrl
Ciascan dall'altra costi
B tremando ciascuno a
E nd suo giro tutta n<
L*uno a Virgilio, e l'i
p Tanto, ch'io ne perdd
Ch*ella mi fa tremar I
t Tu se' solo colui, da et
Che dal segreto *uo qu
▼ Dd cor di Federigo, e
Vedi la bestia, per cu'
a Tal si fé Flegiàs noll*l
Però par va', ed in ao
61 torÌMi *1 viso di coli
Attento d fermò com't
E tal. balbuzlendo, am
Dicendo: Frate mio, gì
Pon giù *1 ttm'i d'I pi;
ElU mi disM : Volgiti
Com*uom che va seoon
Quale colai che grandi
Ch* altra potenzia è qu
d In questa altexxa, che
Non fu dal voi del ca(
f E fa sonar la selva, m
Per l'aer nero e per L
mQuesta gonte che prem
Quella che giva intoro
Me anche fu così nostr
r Come il quattro nel sei
L* ombra, che s*era al
Poi oh* ebbe la parola
Alcuna d sedea tutta
Persila a lui aggroppa
Sovra le mie qnlttio-i
B tosto s'avvedrà ddh
Ma poi che pur al moi
■ Nel mortai corpo, così
Questa è quad legata
Punto non fu da me g
Ma p ù al dodo avea
Che poi divora, con }^^^ by
Google
olta
72 -
PoccU ohe rebbi tot(» da ma tclolta.
Seder toTT'eno una pattaoa totolta
MaoTer dOTCAti mia canie ««polta.
Disia poi di vederla sepolta.
Ed ogni permatanza crtdi stolta,
t Che da lai sia talU l'anima tolta.
Dlss' io ; ma a te oome tanta ora è toltal
E, coiue perchè non eli fosse tolta»
Sorella fa, e cosi le fa tolta
Ma questa sonnolenza mi ta tolta
Si lagnerà che V arca gli sìa tolta.
L'aspetto tao m'avea la vista tolta:
V E baclavansi Insieme alcaoa volta.
E con essa pensai alcuna volta
Come si veoe qui alcuna volta
Del toc errore, e perchè altra volta
Casella mio, per tornare altra volta
Che tenga fbrte a sé l'anima volta.
Cosi vi<rio l'altr* anima, che vòlU
Montare in sa, qui si convien dar volta;
Paggio *1 serpente, e gli aoeeli diér volta
Quando le ripe igaalmente dièr TOlta,
E gianti là, con gii altri a noi dièr volta,
Le nostre spalle a noi era già vòlta.
Veggendo '1 Daca mio tornare in volta,
Per suo arbitrio alcun, saata la volta
L'aer si volge con la prima vAlta
Di*M Io mio Signore, a questa volta:
Co' p'edi alle sue orme, è tanto volta,
olfte
a Onde un poco mi place che m'ascolto.
O dolce padre mio, se tu m' «scolte,
Velando gli occhi, e con le gambe avvolte
iuS«>mpre dinanzi a lui ne sunno molto:
Manto fu. ohe e^reò per tf rre molte ;
r Fin che le nuove note hanno rioolte;
E per queste parole, sa ricolte
a Donne mi parver non da ballo sciolto,
Ond'eran tratte, come ftiro sciolte;
Chi porla mai por con parole sciolte
Clio tu non vetii, con le trecce sciolte.
Pur l'ossa mie per Ottavian sepolte
t Quando le gambe mi fùron si tolte,
V Prima eh' a questo monte fosser vOlte
Dicono ed odono, e poi son giù volte.
rh<« t'avria fiitto noia ancor più volte.
Ch'io ora vidi, per narrar più volte 1
Puro iterate tre e quattro volte.
Cinesi colla coda tante volte,
Si fur girati intorno a noi tre volte,
olii
a Principe glorToso essere accolto.
Cotanto giorfosamente accolto.
/^ P<*.* .<*• '* gratular si fu assolto,
'o 3 27 76) assolto
1 1« 109
2 Sii
149
S 31
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1 89 101
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8 13 197
9 18 138
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46
8 96
98
8 11
19
8 96
96
o Oh* udDr parlar di oosì fktto colto.
Poi disse: Più mi daol che to m'hai eoUs
Hanno a passar la gente modo edito
Si fa il terren col mal seme, e i-oo oolts.
Quei s'attufTù. e tornò su oozk volto ;
d Poi eh' f U' avea *I parlar cosi dlsololto.
Presso di qui, ohe parla, ed è dlaeiolto^
Ho io il braccio a tal meetler diselolto.
i Chi, nel diletto delia carne involto,
mio dioo al poco per rispetto al molto
Quel che ta vuoi veder, più là è molto^
Co'lor segnaci d'ogni setta, e molto
Come 1 Roman, per l'esercito molto.
E tegui fin ohe l metto, per lo mtdto.
Una Imita leggiera e presta molto.
Brano ignudi, e stimolati molto
B tutto ohe ta sii venato molto
r (V. ricollo) raccolto
Sesta, che dentro a sé m*avea rfloolto.
Da fkstidiosi vermi era rloolto.
Benisnamente fui da lui ricotto.
Vidi l'I sol braccio destro esser rivolto
Da lei avrei mio intento rivolto.
A dir mi cominciò tutto rivolto ;
8 Qnand'io. da tutte questa cose sciolto.
Si volse, e mal non fu mastino sciolto
Che non stimava l'animo non sciolto:
Onde la Donna, che mi vide se:olto
Vespero è già colà, dove sepolto
8'uille qui con simUe è sepolto ;
Che, servando, fkr peggio. E cosi stolto
t NapoU l'ha, e da Brandizio è tolto.
Come fec'io, il corpo suo l*è tolto
B da ogni altro intanto s'era tolto:
Veramente da tre mesi egli ha tolto
Perchè '1 veder dinanzi era lor tolto
(V. eolio 1 18 30) tolto
Dicendo a lui: Ancor che mi sia tolto
Che Quand'io fui dell'altra vita tolto.
Mirabilmente apparve esser travolto
V B non mi si partia dlnanii al volto ;
Col Sole e con le sette fiamme al volto
Già eran gli occhi miei rifissi al volto
Onde pianse Ifigenia il suo bel volto.
Non se' ancor per tutto il cerchio vòlto;
Le invetriate lanlme dal volto.
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SU
B poi ch'alia man destra si ta vòlto, 1 »
Tal Al negli occhi miei quando tal vòlto, 8 16
Figliuoli d' Eva, e non chinata *1 volo, 2 it
Ma drlztò verso me l'animo e '1 volto, 1 14
B mastro Adamo gli peroosae '1 volto 1 M
Di tempo, in bianca oonna, auando 1 volto 3 Ifl
Elle rigavan lor di sangue li volto. 1 9
Che dalle reni era tornato '1 volto, 1 20
Dal mezzo in qaa ci venian verso *1 volto. 1 IS
Oad'io ohe er'ora alla marina xòlte, 2 S
Aloan tempo 11 sostenni col mio volto ; 9 90
Ignito sì. che vinceva il mio volto 8 23
Più era già per noi del moete vòlto. 9 11
Salvo ohe pio flsroce par nel volto 1 8i
Meco il menava in dritta parta volto. 9 90
Gridar: Qui non ha luogo il santo Volto; 1 21
II viso, e guarda oome tu se* vòlto. 8 tì
■ Mentre che '1 tempo suo tutto sia vòlto. 1 8^
In poco d'ora, e lo smarrito volto, 9 IS
Non dee addur maraviglia al tuo volto. 1 14
Ch' io toi per ritornar più volte vòlto. 1 1
oltre
o In fama noa si vieo. né aotto coltre : 1 94
o Quando ftd su, ch'i' non potea più oltre; 1 S4
Ben mille passi e più ol portammo oltre, 9 21
p Come fkn bestie spaventate e poltre. 9 £4
s Che andate pensando si voi sol tre t 9 94
Ornai convien ohe ta così ti apoltre, 1 24
olve
d Nel primo ponto che di te mi dolve.
p E come l'alma dentro a vostra pelva,
r A diverte potenzie, si risolve;
8\, ohe d' curata impre«a lo rlvolve,
■ Da questa tema acdoechè ta ti solvo,
V Dalla mente profonda, ehe lui volve,
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— 78-
OlTi
ora OB poco indietro ti rlvolTl,
mi conienti n\ quando ta solvi,
dlTlaa boutade, e *i groppo stoIvI.
..^. db/B di giungere alla ebloma
Itra traendo alla rócca la chioma,
la eerwice mia eoperba doma,
ODsolando asara l'idioma
Ilo la gente ancor di là mi noma;
«wll* Ombra gentil, per eoi si noma
\nido da Castel, che me* ti noma
Mti che ancor rive, e non ti noma,
dw la r^ia. eh' era perlsoma
le la pina di San Pietro a &oma ;
1. eolo Infiamma allor che quel da Roma
onlmal che la Chiesa di Roma,
'Trolaitl e di Fleeole e di Roma,
toloaano a eè mi traiae Roma,
mio oarear dispoeto area la soma.
le nel taatgc, e té brutta e la soma,
«r Ibrlo pietoso a questa soma,
caddi in ria eon la seconda soma.
1 11 94
1 11 sa
1 11 96
1 81 68
8 16 194
a 11 68
8 16 198
a 91 81
9 18 89
9 18 196
9 11 66
1 81 61
1 81 69
9 18 80
9 16 197
8 16 196
9 91 88
9 18 84
9 16 199
9 11 67
9 91 98
appcoito eorra mezzo '1 fosso piomba. 1 19 9
tra t[iMl che in etemo rimbomba. 1 8 99
i ermTSuno alla seguente tomba, 1 19 7
seon ritrorerà la trista tomba, 1 6 97
qua dal soon dell'angelica tromba, 1 6 98
coATlttn ohe per voi suoni la tromba, 1 18 6
i era ia looo vn s*udla *1 rimbombo
sUe a quel, che l'amie ùuino, rombo |
•oabr»
II, se Innanri a me nulla s' adombra,
,doTO armonizzando il ciel t'adombra,
I noa paresse arer la mente Ingombra
B Focaccia; non questi che m'ingombra
I Tono all'altro 1 raggio non ingombra.
qnal molte fiate l'uomo ingomua
l corpo, dmtro al quale io fkoer' ombra :
n qoeKli a coi fu rotto il petto e 1* ombra
1 pallido si fiBoe sotto l'ombra
me fUeo veder bestia quand'ombra,
additano) : e quest'altro è quell'ombra,
Ipoee del magnanimo queU* ombra.
trai oereare, e non troverai ombra
vostro regno che da sé la «vombrav
L arroneigUÒ le impegolate ohloma,
1 capo tronco tenea per le ohi<mie
rtmoHdo del tìor tutte le chiome;
pA ohe si ohiamaro, attesi come,
vista ; e se volesse alran dir: Cornei
id'el crollò la testa, e disse: Cornei
tal della Pressa sapeva aik come
subito drizzato gndò : Come
I meee e poco piò prova' io come
I boato senza capo andar, si come
dal settimo grado in giù, si oome
reb'lo le dioo; ma non vedi etMne;
Irto, diss'io, che per salir ti dome,
• Aere gli ocelli suoi lo dolce lomo ?
«onte Guido, e qualunque del nomo
^vevaa di oostm già detto il nome :
«apea già di tutti quanti il nome;
k volsi al savio Duca, udendo il nome
i come quel, che la cosa per nome
guniti eooto 0 per luogo o per
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1 16
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9 81 144
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1 9 44
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9 98 188
i digradar, eom'io.
m Humana bella; e del suo nome
qoei mirava noi, e dioea : O me !
As al fiuielal si fk che è vinto al pome.
«Ita in casa sua già l' elsa e '1 pome.
mp non poote. s'altri n<m la prome.
/yloiDA sembran tutte l'altre some.
1 99 86
1 98 191
8 89 18
2 99 89
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8 90 91
9 18 108
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9 97 46
8 16 109
8 90 98
9 10 206
d Ond'egli a me: Perchè tu mi disoUoml,
a MI fé* voglioso di saper lor nomi t
L' ovra di voi e gli onorati nomi
E dissi : E' converrà che tu ti nomi,
p Per che lo spirto, che di pria parloml,
Lascìo lo refe, e vo pei dolci pomi,
t Ha fino al centro pria convien eh* io tomi.
Se mille fiate in sul capo mi tomi.
T Mei fkre a te ciò che tu fkr non ▼nómi;
OBa^
1 89 100
9 14 74
1 16 68 .
1 89 98
9 14 76
1 16 91 <
1 16 68
2 89 109
9 14 78
ir SI eh* è la muifk dov'era la i
■ Ma 1* orbita, che fe* la parte eoatma
t L' eccellenza deU' altra, di cui Tonuna
8 19 114
8 19 119
8 19 110
a Deh se tanto lavoro in bene assommi,
B 1 santo Sene : Acciocché tu assommi
d Un lampeggiar di riso dimostromml 7
t Perché de^fbochi. ond'io figura fommi,
1 Nell'aquile mortali, inoomlnciommi,
mA che priego ed amor santo mandomatl
r Destra si volse indietro, e riirnardommi s
Come parca, sorrise e riguardommi ;
Per che 1* ombra si tacque, e riguardommi
s IA tutti i loro gradi son li sommi.
Li suoi compagni più noti e piò sommi.
T Né per tanto di men parlando vonuni
a Ma sol d'incenso lagrime e d'amomoj
o E qual é quel che cade, e non sa comò,
E quel d* un* acqua, non sapendo corno 1
o Chi nel viso degli uomini legge Omo,
p Chi crederebbe ohe 1* odor d' un pomo
«Od* altra oppUazion ohe lega 1* uomo.
9 91 119
8 81 04
9 91 114
8 90 84
890 89
8 81 06
1 16 88
8 81 09
9 91 110
8 20 86
1 16 109
1 16 100
1 94 110
1 94 119
9 98 86
9 93 89
9 98 84
1 94 114
f Cb» mal noa
o Sì, oh'ambed
s Dentro raccolto
nn'sblo oriasòa,
' Sion
9 4 72
9 4 70
9 4 68
Qualunque in mare piò glò s*s
Tal, cb'é piò «ave a chi piò s
L'amor, ai*ad esso troppo s'al
a Cbè, oome vedi, anoor non m* abbandona.
Cosi sen va, e quivi m* abbandona
8* abbandona ;
troppo s'abbandona,
Poi che le ripe tedesche abbandona :
Noi passavam so per l' ombre che adona
Nostra virtò. che di leggier s' adona,
Dell'onor di Cicilia e d^A.raarona,
b Quinci non passa mai anima buona t
La mia sorella, che tra bella e buona,
Qnal (ù creata, ta sincera e buona:
Non é fBlidtà. non é la buona
Dalla sembianza lor, eh* era non buona.
La prima volontà, ch'é per sé buona,
Connurta e ciba di speranza buona,
0 Ma essa, radiando, lui oagiona.
Qi* oscivan patteggiati di Caprona,
Lume eh* a lui veoer ne oondisioaa :
Cotanto é giusto, quanto a lei oonsuonat
Formata in cerchio a guisa di corona,
E vidi lei. che si fkcea c<m>na.
Par di noi centro, e di sé flir corona,
Fulgeami già in fironte la oorona
Non avea catenella, non corona,
Montereggion di torri si oorona;
Nell'alto Olimpo già di sua corona.
Di Bari, di Gaeta e di Orotona,
d Perché s* accrescerà ciò. che ne dona
f xjn ihunioel, che nasce in Faltorona,
fMuovaosi la Capraia e la (iorvoaa.
Dello demonio Cerbero che introna
1 Quando ambedue li figli di Catena,
Cosi cinger la figlia di Latona
a Ond'eUa toglie anetva e terza e nona.
p Amor, eh* a nuli' amato amar perdona,
Ma dimmi ; e come amico mi perdona
1 6 106
1 8 100
8 31 76
8 17 108
9 17 136
8 8 60
1 6 84
9 11 10
9 8 116
1 3 187
9 84 18
8 7 86
9 17 184
1 21 90
8 10 86
1 8 107
8 10 00
1 91
8 14
8 10
8 93
8 81
8 10
8 8
8 16 100
1 81 41
9 94 16
8 8 69
8 14 46
9 14 17
1 88 89
1 8 89
8 90 1
8 10 67
8 16 08
1 6 108
9 29 19
96
48
88
06
71
66
64
ona
— Te-
che ristar non potem ; però perdona,
Perdoniamo a daacano, e tu perdona
Piangendo a Qaei che roleutier perdona.
Non alzara la rooe altra persona.
Prete costai della bella persona
Dabitando, consiglio da persona
8* era allongaia, unio a sé in persona
Che fosse a reder più ohe la persona.
TorreggiaTan di mezza la persona
Poeoia eh' io ebbi rotta la persona
le m'accostai con tutta la persona
Pia riTostita la nostra persona
Dimmi s' io Togglo da notar persona
Sii ch'egli annieghi in te ogni persona.
Sopra lor Tanità die par persona.
Di sorr' esso rech' io questa persona :
L' anima mia. che, con la sua persona
Più strinse alcun di non rista persona :
r E come amico omai meco rari ona:
Di coi dolente ancor Melan ragiona.
Amor che nella mente mi ragiona.
Or drizza *1 riso a quel che si ragiona :
Però al ben che '1 di ci si ragiona ;
Ma come tripartito si ragiona.
■ Secondo raflbzion eh* a dir ci sprona.
Ben Teggio, padre mio, s\ come sprona
Che la (UTina giustizia gli sprona
Ma libera da lui. che si la sprona.
Ben puoi saper omai che '1 suo dir suona.
Qualunque melodia più dolce suona
Che la dolcezza ancor dentro mi suona.
Che il nome mio ancor molto non suona
Del bel paese là dorè il sì suona ;
t Che *1 b\ e '1 no nel capo mi tsnsona.
Giove dal dolo ancora, quando tuona.
Parrebbe nube che squarciata tuona.
Da quella reglon, che più su tuona,
▼ Io Ali Abate in San Zeno a Vsrona,
■ Fanno dell'orizzonte insieme sona,
S). che ritenga il fll che fi» la zona.
1 18 Ila
2 11 17
a 8 120
2 20 128
1 8 101
8 17 104
S 7 82
8 18 102
1 81 48
2 8 118
1 21 87
8 14 44
2 24 11
1 88 84
1 6 86
8 14 19
2 2 110
2 82 17
2 82 21
2 18 180
8 8 118
8 7 84
8 80 121
2 17 188
8 80 118
8 17 106
1 8 126
8 11 21
1 8 188
8 28 87
8 8 114
2 14 21
1 88 80
1 8 111
1 81 46
888 88
8 81 78
8 18 118
8 88 8
8 10 88
o Che sol per pena ha la speranza eionoa ? 1 8 18
In questo fondo della trista oonea 1 8 16
r Che ne' monti di Luni, dorè ronca 1 80 47
s Ebbe tra bianchi marmi la spelonca 1 80 48
t Perch'io traeva la parola tronca, 1 8 14
E '1 mar non gli era la veduta tronca. 1 20 81
onclftl
b (lie tante voci usoisser tra que* bronchi 1 18 86
mLl pensier o'hai si ftuan tutti monchi, 1 18 80
t Verb. disse '1 Maestro : Se tu tronchi 1 18 88
•■eia
b Troppo sarebbe larga la bigoncia 8 0 66
n E men d' un mezzo di traverso non ci ha. 1 80 87
o B stanco chi '1 pesasse ad oncia ad onda, 8 8 67
Ch'i'poteed in cent'anni andare un'oncia, 1 80 88
s Cercando lui tra questa gente sconcia, 1 80 86
Dell'empio suo pastor, che sarà sconcia 8 8 68
b Ben discemeva in lor la testa bionda;
o Vedi la compagnia ohe la circonda;
Così 'n la proda, che '1 pozzo circonda ;
Ck)me virtù eh' a troppo si confonda,
d Perchè la sua bontà si disasconda :
f .\lcuna volta per la selva fonda
Quind si può veder, come si fonda.
Sovra la qual ogni virtù si fonda.
Che l'uso de' mortali è come fronda
Nuli' altra pianta, che facesse Aronda,
^ccla d'Ascian U vigna e la gran ftronda.
Delfica Deità dovria la fìronda
£d ella : Vedi lei sotto la fionda
Rinnovellato di novella fronda,
CorpnaU ciascun di verde fronda,
f niJLM^"* *** lei bevre la yronda
nii^J^Jt^^"^?' " *="* P*»"^ ™' innonda
miremad quando alcunaanima monda
2 8 84
8 88 88
1 81 48
a 8 86
8 86 66
1 80 188
8 88 108
8 84 00
8 86 187
8 1 108
1 88 181
8 1 88
8 88 86
8 88 144
8 88 88
8 80 88
8 4 118
8 21 68
n Ma per vento, che in terra li naaoonda, 8 I
o Ancor degU occhi, chinandomi aU* onda 8 I
Nel monta che ti leva fdù dall' onda. 3 |
Laggiù, colà dove la batte l'onda. 8
D'ambedoe gli emiaperi, e tocca l'ooda. 1 1
Non piate l'occhio inaino aUa prlm* coda, 81
Io ritornai Halla tantisalm' onda 8 t
p (E *1 Sol mostrali. Costai per U profonda 8 I
Appresso utd della luce profonda. 8 1
Con più doloe canzone e più profonda. 8 8
L'altra, per grazia che da ti profooda 8 1
Quanto la tua veduta ti profi»da 8 1
Non è i' affezion mia tanto profonda, 8
r Nò di iattanza : ed egU a dò risponda, 9 1
Ma Quei, che vede e poote. a dò ri^Kmda 8
Si pregherà perchè Cirra risponda.
E pur convlen ohe novità rimoda.
Sì che la fkocia mia ben ti ritpoada;
s Ordite a qtiesta Cantica seooada.
Sì oome luce luce in del seconda.
Come discente, eh* a dottor seconda
Dalla Drim' ora a quella ch'ò seconda.
Poca &villa gran fiamma seconda :
Per salir sa. e tal grido seconda
Con questa vera carne che *1 saconda.
Di vero amor, ch'alia morte seconda
Perocché alle percosse non seconda.
Non in quel ch'ama, che poscia seconda;
Che *1 Maestro con l'occhio sì seconda
Ma perchè tappi che sì ti seconda
A rlmpetto di me dall' altra sponda.
Ed alquanto di lungi dalla sponda
Più e più appressando invér la sponda,
E l'altro scese all'oppodta sponda.
t Perocché, oome in su la oercnia tonda
Di tua lunghezza divenuta tonda.
E già iemotte Ai la luna tonda :
Che mi va innanzi, l'altr'ier, quando tonda 8 8
Ed io: Sì, l'ho sì ludda e ti tonda, 8 8
OBd«
a O cupidigia, che i mortali affondo
Mirate la dottrina, che t' ascondo
e Per che. te tu alla virtù cireondo
La verità che laggiù ti confondo.
L'alto aniverto teco. corrispondo
f Come l'augello, intra ramate fronde.
Le tue radid. e ncsU altri le fronde.
Di mio amor più oltre che le fironde.
Ed ona voce per entro le fironde
E gridar non so che verso le fironde.
Zefflro dolce le novelle fironde,
r Queste sottanzie, pdchè Air riocondo
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mTutte l'aoque che son di qoa più monde, 8 K
n La notte che le cose d nasconde.
Che mi raggia d'intorno, e mi
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lor disio, e noi i
so ver, l'efibtto noi nasconde,
i quella che nulla natoonde ;
[ diretro a tè piombo naaoonde.
dei a Colui, che ti nasconde
, da coi nulla ti natconde;
talvolta ad ogni uom ti naaoonde,
mmo del paatan noi ti naaoonde.
t'amasti, ed avesti ben onde ;
.* lieta, ohe to hai ben onde :
CMQviene an termine, da onde
ilto iongi al pereaotar dell'onde,
sarai di là dalle laivbe onde.
w: Più pensava Maria, onde
Qw -.ér sinistra oon toe piccole onde
Ed egli a me : Sa per le todde onde
E già venia an per le torbid' onde
Di ritrar gli oedii Aior delle tue ondel
r Ed indi 1* altrui raggio ai ritonde
Diasi : Qoeato che moe t e che risponde
Che pregano, e '1 pregato non rlapoode.
Là, dove agi' innocenti ai risponde.
Ma '1 popol tuo soUedto rispondo
Ch'alia sua bocca, ch'or per voi rifonde;
a Per cui tremavano ambedue le sponde :
t Delle aoatanzie che-t'amUoa tonde.
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ondi
lo : O oreatora, ohe ti mondi, 8 16 81
e il Ifaettro mio disse : Rispondi, 9 16 SO
«Tigli* adirai m mi socondl. 8 16 88
on asconder qoel ch'io non asoondo. 8 87 66
isolino ; e qoeU* al.ro. ch*è biondo, 1 18 110
tna colpa gift gli aggrara al tondo ; 1 6 66
e per l' acqua li pesce andando al fondo. 9 96 186
r che ragionando andaro al fondo, 8 18 67
» a sinistra giù calando al fondo, 1 14 196
andò gli occhi pur qoaggiuso al fondo; 8 81 114
Xo è vinto pria che vada al fondo,
to, che per ficcar lo viso al fondo.
ibé sua Tista non disccrna U fondo,
la distinto in dieci valli il fondo.
benché dalla proda veggia il fondo.
8 11 80
1 4 11
8 90 79
1 18 0
8 10 61
1 10 18
9 6 198
8 16 86
8 80 6
1 97 64
1 80 6
1 11 48
8 81 119
Idi per le coste e per lo fondo
ommi per le ripe e per lo fondo;
eh* io pensai co* miei toccar lo fondo
le 'L parere infine a questo fondo ;
perciocché giammai di questo fondo
guardar nello scovcrto fondo,
ange là dov'esser dee riooondo.
iool di grazia, questo esser giocondo,
penti agli occhi suoi ; ma nel giocondo 8 81 109
le *1 tuo cuor, quantunque può. giocondo 8 99 180
ad udire ed a veder giocondo, 8 15 87
che Beatrice discendesse al mondo, 8 81 107
moralità lasciare al mondo. 9 18 60
nona die mai tornasse al mondo, 1 97 69
quando tu sarai tornato al mondo. 9 8 130
u&mo per tornar nel chiaro mondo: 1 84 184
Iscendiam quaggiù nel cieco mondo, 1 4 18
andò 1* caligiue del mondo. 9 11 80
• a Roma la gloria del mondo 8 97 69
l biancheggia tra i poli del mondo 8 14 88
oando ta sarai nel dolce mondo, 1 6 88
conosce assai di quel che '1 mondo 8 90 70
rorvidenza che governa 'I mondo 8 11 98
di tal amor, che tutto '1 mondo 8 10 110
nostri in cielo, in terra e nel mal mondo.l 10 11
io die vien quassù del mortai mondo, 8 96 85
en qua
ente dal figliastro su nel mondo,
riva eoe! dal nostro mondo,
ra in gluso, e vedi quanto mondo
to bisoj^na a noi di questo mondo,
Te 1* ora sesta, e questo mondo
i di colui, che in questo mondo,
inno le letane in questo mondo,
laque priva sé del vostro mondo,
sta che riceve il vostro mondo,
ombre M^indo. andavan sotto *1 pondo, 9 11
flgUuol, che per lo mortai pondo 8 97 64
i*mcarvaroD pria col troj^ pondo. 8 88 80
(già nn pozzo assai largo e protondo, 1 18 6
i ; ma '1 cela lui i* esser profondo. 8 10 68
lallati (àcean nel wofondo 8 14 100
lo '1 messo del dolo, a noi profondo, 8 80 4
non Intesi; sì parlò profondo.
I di lik, che miran più profondo,
v'è l'alta mente u'sì profondo
tema d'infàmia ti rispondo.
1 14 199
8 99 198
8 96 131
8 80 9
8 81 110
1 80 0
1 11 43
8 10 60
8 16 80
9 81 111
8 10 119
1 87 66
prl gli occhi a quel ch'io ti rispondo; 8 18 40
oo ti dico, e più non ti rispondo. 1 6 00
ò il terzo spirito al secondo. 8 6 189
trae per dar luogo altrui secondo, 8 96 188
o narrai che non ebbe secondo 8 18 47
> conforto del fuoco secondo 8 96 87
«re diasi: Non sorse il secondo; 8 11 86
ir tanto non surse '1 secondo. 8 io 114
00 en, ei primo ed io secondo, 1 84 186
ti ala or primo, ed io secondo. 1 18 1J4
mol beni : e però nel secondo 111 41
k primo, e ta sarai secondo. 1 4 16
di meritare in vd, secondo 8 18 66
mente angosciate tutte a tondo, 8 11 98
Incido che rimane adunque ó tondo. 1 18 7
1 a me : Tu sai die *1 luogo è tondo, 1 14 184
ar^o totti; e ciascuno era tondo, 1 10 16
ita Tien per questo etereo tondo. 8 98 189
Nel vero farsi come centro in tondo.
Che làn giunture di quadranti in tondo.
Che porta *1 del. per un pertugio tondo ;
Che kifeo Troiano in questo tondo
E vidi gente per lo vallon tondo
•ne
a Achitòfel non fe' più d* Ab salone
Sarlensi i Cerchi nel pivier d' Acons,
E tu mi seguirai con r aflesione
Oirando e mormorando, r aflbzlone ;
Libero è qui da ogni alterasione :
Per le fosse degli occhi ammirasione
(V. Abaalont) Ansalone
Come del corpo il dbo che s'appone.
b Fu trasmutato d' Amo in Bacobirlione,
Mi disse: Mira, mira: ecco *1 Barone,
Per esser fi' di Pietro Bernardone,
0 Esserd pnote, e non d'altro, cagrione.
Che non (krobbe, per l'altrui cagione.
Ancor di dubitar ti dà cagione
SI eh* a bene sperar m'era cagione
D' Achille e del suo padre esser cagione
Senza quell'ombra, che mi fu cagione.
Intese cose che fùron cagione
Ma prego che m' additi la cagione,
S' alcun v'ò giusto: e dimmi la cagione,
L' un dell' altro giaceva ; e qual carpone
Ed egli a me : La grave oondislone
La mia risposta; ma sua condizione
d Circa e vicino a lui Maia e Blone.
Simili corpi la Virtù dispone,
e Andovvi poi lo Vas d' elesione,
g Cosi ne pose al fondo Oerlone
Quivi ben ratta dall'altro ripone:
Vidimi giunto in su V altro girone,
Alcuna cosa nel nuovo girone ;
Sappi dio se* del secondo girone,
IMceva l' un coir altro in sul groppone 7
Così far molti antichi di Ouittoue.
1 Ma regalmente sua dura intensione
Non Al latente la santa intenzione
L'aspetto del tuo nato, Zpe rione,
1 La vista die m'apparve, d*nn leone.
mSette volte nel letto, che 'l Montone
o Caccerà l'altra con molta offensione.
Dolce mio Padre, di', quale oflènsione
Che cotesta cortese opinione
E così ferman loro opinione
Si eh* io commendo tua opinione :
E ohi 'l s'appropria, e chi a lui s'oppone,
E cominciò quesU santa oraslone.
p IH tutta l'animai perf esione;
Sempre la conftision delle persone
Nò fia qual fu in quelle duo persone.
Là ci traemmo : ed ivi eran persone
Perch'io partii così giunte persone.
Che non potean levar le lor persone.
K, discarcate le nostre persone.
Noi volgend' ivi le nostre persone.
Fin che l' ha vinto '1 ver con più persone.
E vedere in un tempio più persone :
Muovere a noi. non mi sembran persone.
Ma perchò si fa forza a tre persone
Che tiene una sustanzia in tre persone.
E vedemmo a mandna tm gran petrone,
Secondo la sentenza di Platone.
Quivi vid'io e Socrate e Platone,
Democrito, ohe il mondo a caso pone.
Ole nel cielo uno, ed un quaggiù la pone,
Al fondamento che natura pone.
Sì come quando '1 colombo d pone ,
Per cento mote, e da lungi d pone "
Com' oom che per negghiezza a star d pone.
Ove menar volea mia professione.
A tal querente ed a tal profesdone.
Fin che *1 maestro la quistion propone,
A Dio, a sé, al prossimo si pnone
r Com' udirai con aperta ragrione.
Matto è chi spera che nostra ragione
Cod m* armava io d' ogni ragione.
La violenza altrui per qual ragione
Perchò tu veggi eoa quanta ragione
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41
5
8 18 61
8 14 108
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1 80 7
1 88 187
8 16 65
8 88 148
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1 8 88
1 17 183
8 19 107
9 16 83
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1 18 17
1 91 101
8 96 194
8 11 01
8 86 69
8 99 142
1 1 45
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1 6 66
8 17 89
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8 18 87
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1 88 189
1 90 79
1 17 186
8 19 109
9 96 196
9 15 87
9 10 118
1 11 99
8 8 86
8 4 101
8 4 84
1 4 134
1 4 186
8 16 68
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1 17 131
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8 84 61
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1 11 33
8 8 84
8 94 40
8 4 90
8 6 81
one
— 76 —
Ma Tol torcete alla r«llffIoB«
Ordine aenta la religione
Primo sigillo a soa rellgTone.
■ Là nurger nuovo ftunmo dal sa^bioBe.
Che tu verrai neir orrlbll sabbione.
Ch* è principio alla via di salTasioa».
E disse : Posa, posa, Soarmiffllone.
Attraversando senza alcun sermone.
Con maggior ehiovi, che d* altrui sermone,
E flfite re di tal oh' è da sernume.
Cantaron si, che noi dirla sermone.
Di più direi ; ma *1 venir e U sermone
Cose che daran tede al mio sermone.
Ed io, continuando il mio sermone,
Passo passo andavam senxa sermone.
Ma quel demonio ohe tenea sermone
Se 1 plÀ si stanno, non stea tuo sermone.
L* ora del tempo, e la dolce staslone :
D*ognl vlrtnte, come tu mi suone.
Tirarti verso lui ; si che tu snone,
t (V. tentone) tensione
S\, che i mie' occhi pria n'ebber tensoae.
Ed egli a me : Dopo lunga temone
Dal suo principio, ch*é *n questo tronoone.
T Noi demmo U dosso al misero ▼elione,
Quivi mi parve in una visione
s Empedocles, Eraclito e Benone :
onl
a O Alberto tedesco, che abbandoni
Prima che la milizia s'abbandoni;
E dovresti inforcar li suoi arcioni,
b E tutu 1 suoi voleri ed atti buoni
Con pomi ad odorar soavi e buoni.
SI che questi parlar ne palon buoni.
o Ma per l'altnu, con certe oondlsionl:
M'era In disio d'udir lor eondizl(ml.
Ma tu chi se*, che nostre condizioni
d Noi andavam con li dieci dlmonl
A mezzo '1 tratto le duo disoresioni«
Per mostrarsi di parte. E cotai doni
e Prima ch'avesser vere elesionl.
K Co' santi, ed in taverna co* ghiottoni.
mE Al nomato Sassol Mascheroni :
o Pier Pettinagno in sue sante oraslonl,
p Cavaller vidi muover, né pedoni,
r Dell'Indo; e quivi non è chi ragioni
Ma tosto ruppe le dolci ragioni
Sì come io credo, e spirando ragionll
B Ed aspetto Carilo, che mi soa^ionl.
Senza peccato in vita od in sermoni x
Diretro; ed ascoltava 1 lor semuml
E perchè non mi metti in idù sermoni.
Per non esser corretta dagli sproni,
t Su sono specchi, voi dicete troni,
O bene nato, a cui voder li troni
•■Jo
a Di questo ingrassa il porco santo Antonio,
o Rofflan, qui non son femmine da eonlo.
S' io dissi (kilso, e tu falsasti *1 conio,
E mal fk Castrocaro, e peggio Conio,
Pagando di moneta senza conio,
d E tu por più che alcun altro demonio.
Ben faranno 1 Pagan, da che *1 demonio
Cosi parlando il percosse un demonio
8 8 148
a ai 41
8 11 98
1 16 117
1 18 10
1 a 80
1 ai 105
1 81 0
a 8 188
8 8 147
a la 111
1 18 116
1 18 ai
a 84 7
1 88 70
1 ai 108
1 17 84
1 1 48
8 16 60
8 86 80
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1 6 64
1 88 141
1 81 7
a 16 88
1 4 188
8 6 07
8 5 117
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8 10 78
8 89 188
8 0 68
8 88 48
8 6 118
8 18 180
1 aa 18
8 88 41
8 0 60
8 88 45
1 aa 16
1 88 65
8 18 188
1 aa 11
8 10 71
8 88 180
8 18 188
1 82 60
8 18 76
8 88 188
1 88 67
8 6 06
8 0 61
8 6 116
(V. demonio) dimenio
. sanza prova d'alcun testimonio,
Giammai rimanga d'essi testimonio.
K se di ciò vuoi tede, o testimonio.
Ma tu non fosti si ver testimonio.
8 80 1S4
1 18 66
1 80 li6
a 14 116
8 80 186
1 80 117
a 14 118
1 18 64
8 88 laa
a 14 180
1 18 68
1 80 118
a MI richinava come l'uom ch'assonna.
Ma perchè '1 tempo fugge che t' *««^»nnii;
d E come al lume acuto si dissonna
Fra me, dille, diceva, alla mia I>onna
Risonò per lo dolo ; e la mia Donna
m. 5nJ*.^"*^> **? "*<*^ ^ *«* Duma. 8 88 187
K Allo splendor, che va di gonna la renna. 8 86 78
i Ma quella reverenza, che s' indonna 8 7 S
8 7 16
8 88 180
8 86 70
8 7 11
8 86 68
8 88 187
0 Corse Dfana. ed Elice oacoionn»,
61 che però nulla penna oroUoiu&o.
dCh'avran di consolar l'anime donne.
Indi al cantar tornavano; indi donne
Indi alle ruote si tornir le doooe.
1 Come vlrtute e ma^monlo imponne.
p Volsed in su colui che si parlonne,
t Che precedeva, tutta trapassonno
▼ Mosse le penne poi e ▼entUonae,
d Questi pareva a me maestro e donno,
p Per che 1 Plsan veder Loooa non ponao.
Per simigliarsi al punto, quanto ponsò,
a Più lune già; quand'io tedi mal sonno,
t Per che *1 primo temaro teraainonno.
T Quegli altn amor, ohe dintorno t^ Tonno,
oae
a Negli occhi santi anuir, qui r abbandono x
Perchè, se del venire 1* m'abbandooo.
b Ed ^11 a me : Saper d* alcuno è b nono ;
Voi conoeoete e dò ch* ad essa è l
Taraeia, come tolto le fu *1 buono
d E che di più parlar mi fkcd dono.
Di levar gli occhi soci mi fece dono.
p Prima che giunghi al pano del perdono.
Lo colpo tal, che disperar perdono.
r Ben puoi veder perch'io cosi ragiono.
Se' savio, e intendi me* ch'io non ragiooo.
a Superbia!, invidia, ed avarizia sono
Con sor Brunetto, e dimando ohi sono
RlqM»e ; non errar, conservo aono
Tosto che (te 14 dove l'erbe sono
Disse : mota pensier, pensa eh' lo sono
Io non Enea, io non Paolo sono:
Dinanzi a' suol maggior parlando sono.
La colpa della invidia, e però sono
O sante Muse, poi che vostro sono.
E fsro un grido di si alto snono.
Io mi rivolsi all'amoroso suono
Lo £ren vuol esser del contrarlo snono ;
Udire in voce mista al dolce suono.
81 appressando sé, che ^1 dolce snono
Se mal quel santo evangelico snono.
Avvenne a me. che senz' intero snono
Qui pose fine al lacrlmabil snono.
Seguitando il mio canto con quel mono.
Che 'l tempo saria corto a tanto snono.
t Né io lo intesi ; si mi vinse il tuono.
Io mi rinM attento al primo (
o Quanto più lieve slmil danno eoata.
Quanto di qua per un miglialo ti eonta.
Tu '1 vedenti ; però ani non si conta.
Va' via, rispose, e ciò che tn vuoi, conta;
d Infln là, dove più non si dlsmonta:
E '1 balzo via là oltre si dlsmonta.
t Fanno Acheronte. Stige e Flevetonta ;
mQuand* una voce disse : Qui si monta t
o Quindi non terra, ma peccato ed onta
Malvagio tradltor. ch'alia tua onta
Che 1 Pesd gulszan su per l' orisaoatn,
p (V. pronta 2 13 20) ponte
Con la qual giostrò Giuda ; e quella ponte
DI quel ch'ebbe or cosi la lingisa pronta.
S'altra cagione in contrario non pronta,
E fece la mala voglia tanto pronta
Con poco tempo, per la voglia pronta.
r Che mai non posa, se non si railrontn.
•b4«
a Su la trista riviera d'Aoheronto.
(V. adonti) adonto
Euripide V* è nosco, e AntIf onte,
b Io (ni di Monteteltro ; io son Bnonooate x
o Non temer tu; ch'io ho le cose oonto.
Con cagne magre, studiose e conte.
Perocché nella fede, che th, conta
Ed egli a me: Le cose ti Ben conte
Ora chi se' ti prego che ne conte :
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— 77 —
or
por m'eran le com non conte:
h eh* aroft eolle saette conte
do : Le parole toe sien conte.
echi mi cadder giii nel chiaro fonto;
si. eh' accese amor tra 1* uomo e '1 fonte.
a qoello In serpente, e questa In fonte
lua di ftaor del mio intemo fonte.
* tu quel Virgilio, e quella fonte,
aerò poeta, ed in sul fonte
Ino nature mai a fironte a fronte
ir di lume tutta l'altra fironte.
h* io To tra costor con bassa flronte.
i s\, che perla in bianca fironte
i s' ergea col petto e colla fironte,
»& mcMi dinanzi dalla fironte
do la nova gente aitò la fidate
molti altri. E qui chinò la fironte,
0 per lei si mi girò La fironte.
do lo sentii a me grarar la fironte
fc vergogna mi gravò la (ktmte
lall* un lato tutti hanno la fironte
che è1 Ond'io levai la fironte
.. che già di lauro ornir la fironte.
. mi batteo l' ale per la fironte ;
) In sé, mi feria per la fronte.
i-onti 1 6 701 fironte
do lo gli vidi sì turbar la fironte,
endo lui, portava la mia fironte
a quattro un sol corno avean per fhmte
ler gli Al d'aver sicura fironte.
nome tuo nel mondo tegna fronte.
»1 Ivi con vergognosa fironte.
qoasi di valle andando a moni*,
t dceroASti d* accedere al monte 1
ratene la via di gire al monte,
landò *1 lupo e i Tupicini al monte,
1 a man destra per salire al monte.
mpla che U traggo all'alto monte,
■a. quasi ròcca in alto monte,
livenimmo intanto appiè del monte.
). eh* io vidi in prima appiè del monte.
te fiate ragionlam del monte,
tiè non sali il dilettoso monte.
com' ella sie' tra *1 piano e *1 monte,
bè per noi girato era si il monte,
altra sponda vanno verso 1 monte :
alto di i giron del sacro monte ;
k prlm* ombra gltta il santo monte ;
aste orientai dell' orlasonte
la passò di là dal co del poni»,
(K di aè un meizo arco di ponte:
Dome noi venimmo al guasto ponte,
ino dei Ginbbileo. su per lo ponte
sni"**'*^ man del Duca e pronte
ni volsi a Beatrice: ed ella pronta
mbiar lor materie fosser pronte.
Indarno vi sariea le gambe pronte.
ipnxve con le ciglia intomo pronta.
▼Id'lo |dù (àeoa a parlar pronta:
fc parer di trapassar si pronte.
em le firoode. tremolando pronta,
en guidata sopra Rnbnoonte,
ormanti^ sormonte
chi per ingiuria par eh' adonti
9 che di ciò pianga, e che n* adontL
bè. per grazia, vuol che tu t' affronti
rse in Valdigrieve i Buondelmonti.
wi Montamurlo ancor de* Oonti ;
'aula piò segreta, co' suoi conti;
terrà lungo tempo le fronti,
i oonvlen, che '1 male altrui io^pronti,
enne ; ond* io levai gli occhi a' monti,
e di perder perch* altri su monti,
si sarebbe vòlto a Slmifonti,
k tre S<dl, a che l'altra sormonti
rafflaeaa, che gli era piò di oontrn,
aspettar cosi, com'egli Inoontra
asael sa, che mi parva una lontra.
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I 88
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88
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86
• B tal Cristian dannerà l' BtXopo, 8 10 109
1 L'uno in atemo ricco, e l'altro Inope. 8 18 ili
p Che saranno in giudioio assai man prope 8 10 107
•pia
0 Tra questa cruda e tristissima oopia 1 84 91
• Sensa sperar pertugio, od eutropia. 1 84 83
Mostrò giammai oon tutta l' Btiopla, 1 84 80
a B quale Ismene già vide ed Asopo, 8 18 91
d Ma forse reverente, agli altri dopo, 2 86 17
N'andavam l'un dinanzi a l'altro dopo, 1 28 8
Subitamente da gente, che dopo 8 18 89
• Qie d'acqua firesca Indo o Btlòpo. 8 86 81
1 Vòlto era In su la fkvola d' Isopo 1 88 4
t Dov'ei parlò della rana e del topo t 1 88 6
n Pur ohe i Teban di Bacco avesser nopo | 8 18 98
Né solo a ma la tua risposta è uopo ; 8 86 19
oppa
o Sopm le spalle, dietro dalla ooppa, 1
d Perch* eli' e quella ohe '1 nodo diaffroppa.8
g Quante bisce egli avea su per la ffroppa, 1
E che porti costui In su la groppa, 1
i Che si firange con quella in
E anello aiSuoca
lue B'intonpft.
>' intoppa, 1
i qùalunqw
E &' causar, s' altra schiera v' intoppa,
pChi ribatta da proda, e chi da poppa}
Chiron si volse in sulla destra poppa.
Voltando peti per forza di poppa :
r Chi terzeruolo ad artlmon ria toppa:
Chi (k suo lagno nuovo, e chi ristoppa
t Che non si volga dritta per la toppa.
Qui vid'io gente più ch'altrove troppa.
Piò cara è l' una ; ma 1* altra vuoi troppa
oppia
a Che V un coli' altro Ca. se ben s* aoaoppla 1
d Che la prima paura ipi fe' doppia. 1
8 E conte l'un pender dall'altro aooppla, 1
oppio
a Qui ed altrove quello ov'io l'aoooppio. 8
d Prima era scempio, ad ora e fatto doppio 8
a IH far ciò che mi chiedi ; ma io soopplo 8
oppo
e Riempion sotto U dglio. tutto il ooppo.
r Io non ti verrò dietro di galoppo,
Qual esce alcuna volta di galoppo
Che le lagrime prime flanno rroppo.
Di sé a d un cespuglio fece un groppo.
1 B va per fkrsl onor del primo intoppo ;
r AJichin non si tenne, e di rintoppo
E '1 duol. che tmova. in su gli occhi rintoppo,
t Le gambe tue alle giostre del Toppo.
Rispose : Malizioso son io troppo.
In questo regno si, eh' io perdo troppo.
E l'altro, a cui pareva tardar troppo.
80 88
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1 13 118
a EuBoè si chiama ; a non adopra,
o Che oiascun giorno d'Elice si onopra,
o Presso a oolor, che non veggon por 1* opra.
Che dopo lui verrà, di piò laid'^i^ira.
Veggendo Roma e l'ardua sua opra
Trovai un tal di voi, che per sua opra
r Tal che coovian che lui a ma rionopra.
a (V. $euopra) soopra
Tosto oonvlen oh' al tuo viso si sonopra.
La sete tua, perch'io più non ti scuopra.
Ed in corpo par vivo ancor di sopra.
Alle cose mortali andò di sopra ;
A tutt' altri sapori osto è di sopra.
Ei disse a ma : Tosto varrà di sopm
E oh' io son stato oosV sottosopra,
or
d Sovagna vos a tamps de ma dolor
f Car. sitot vei la passada folor
▼ Ara vos prec, par aqualla ▼alon^j^
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8 86 148
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ora
— 78 -
r m'aoovor»,
, m' accaonu
kccaora.
B accaora
allora:
), allora
ig\ì allora,
lora,
;U allora.
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ancora:
211 ancorai
> ancora,
ancora
noora.
ancora
i ancora,
il ancora,
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B ancora.
Aoora.
ere ancora;
acora
incora
ancora
ncora
rincora,
ancora
knt«nora
Larora
' a^Talonu
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dimora:
timora,
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dimora.
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8 8 1S6
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a 1 88
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d dimora
a 8 188
i, dimora
8 6 b7
Lsoolor»,
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divora
1 81 148
tiglio fora
a 18 70
fora.
8 81 88
io mi fora
8 86 86
tondo fora,
1 84 108
o fora.
8 10 89
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1 82 80
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1 16 68
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isci' fuora.
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1 8 81
irrinouora. 8 80 60
a* incuora
1 11 118
IO infiora
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8 81 7
Infiorai
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s' infiora
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in&aora,
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imora.
8 81 6
onamora
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8 80 64
Bimora,
8 88 70
kpora ;
8 81 8
mora.
a 8 188
a, mora;
8 8 70
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a 8 184
onora
8 81 86
ora ad ora
1 16 84
%mì orai
1 8 83
'ora
8 6 86
a:
8 14 16
er l'ora;
1 18 80
l'ora
8 88 80
ra ora.
a 18 68
Ti ora»
a 11 180
s'ora
1 84 104
DI rederlo chinare, e fa tal ora
K peccatori inflno all' oltim* ora:
p Guglielmo (ta. coi quella terra plora.
Secando se ne ra l'antica prora
Quel che Condendo va Tardità prora,
Qoaai ammiraglio, che in poppa ed ia pwa 1 S
11
11
I
ti
1
SI
r Di sno dover, qoirlUa si ristora:
Doto tempo per tempo ti ristora.
orM
f Da* lor costami <k' che tu ti forbì. 1 1
o Vecchia Oima nel mondo li diiama orUt 1 1
a Ed è ragion ; che tra gU laai «orbi 1 1
0 Bestia malvagia, che colà si oorea. 1 1
t Torcendo in sa la renenosa forca, 1 1
1 Coa tatti e quattro i pie coopre ad iaforea, 1
r Ed egli : Or va*; che il Sol noo si rleorea S
% Che, perchè *1 capo reo lo mondo torca, >
Lo Duca disse : Òr convlea che si tarss 1 1
f Lo tempo va dintorno eoa le forca. S 1
r Ben se' tu manto che tosto raooorca, 1 1
t Cbò li. dove appetito non ai torca, • i
p Ed altri assai, che son peggio che porti, t i
r SI che la via col tempo si raccorci. > <
Ma perchè sem dJgrcsai assai, ritorci > i
1 E disse: SUte In là. mcotr'io lo iaforec 1 1
p D* ogni parte ana sanna. come a porco, 1 i
a Tra male gatte era venato '1 aorco : i '
a Quel ohe par si membnito. e che s'accorda I
Gii dice U vero, e vede oh'el s'acen^ >'
Ver è ohe, come forma non s' accorda >
0 Pur come batter d* occhi ai ooacorda, 1 1
Fa segnitar lo guisso della corda, >'
Onde a pigliarmi fbcc Amor la carda. I •
D' ogni valor porte cinta la corda. *
Cen porta la virtù di quella corda, *
d Distar cotanto, quanto si discorda
i Che segui alla sua dimanda iarorda,
1 Sanno la vita sua viziata e lorda;
Poi si rivolse per la strada lorda. ^
altra eora stringa e asorda. 1
J1
BiD* aomo, eui i
Di Giosuè qui par eh' ancor lo moràL. * l
r Ond'io rinposi lei; Non mi ricorda >*
Del fbUe Acàm ancora si ricorda. * '
Così la mia memoria si ricorda * '
SI. mentre che parlò, mi si ricorda * *
Cerbero vostro, se bea vi ricorda, ^ <
Né henne cosolensa che rimorda. * '
a Perchè a risponder la materia è aorda; * '
ord«
0 Ch'io le pregasti, a tacer (ùr concorde f < ^
E per autorltade a lui concorde. ' *
Ma di* ancor te to tenti altre cordo * J
E cantava : Beati mutntlo oord», t •
E fece quietar le tantt corde, ' '
1 Cotai li fecer quelle (koee lorda ^ J
mPoscia: Più non si va. se pria non asorda. 1 »
E si raoqueta poi ohe 1 pasto morda. 1 J
Con quanti denti questo amor ti morde. 8 M
a Come saranno a' giusti prieghi aordc * ]!
Ed al cantar di U non siate sorde. > \
L'anime si eh' esser vorrebber sorde. ^ '
0 81 che parta tra ette ogni concordia. > |2
a Pure Agnus Dei eraa le loro aaordia: * \\
asPregar, per pace e per mlaericordia, > ^*
1 Quel mi sgridò: Perchè te* ta ti incordo 1 U
1 Vidi un ool capo si di merda lordo, ^ ^
r Ed io a lai : Parche, te bea rioarde ^ "
— 79
ori
she di questa In me t'acooM anore.
S88& è, così corre ad amore.
coDTeniasI al loro ardente amore,
do Virgilio cominciò : Amore
I. e come concedette amore
ecchio pedre, né *1 debito amore,
ti fl&mmegglo nel ealdo d* amore
e. eh* avete Intelletto d* amore.
d lo nuovo peregrin d* amore
inteUettoal piena d* amore,
bella Donna, oh' a* raggi d'amore
nelle o* hanno Intelletto ed amore,
sne in noori amor l'eterno amore.
aon poeta tornar l'eterno amore.
Inatto eoi del ano etemo amore.
ia bella Ciprigna il folle amore
lami *1 lungo studio e 'l grande amore.
dando nel suo Figlio con l' amore,
rentre tuo si raccese l'amore,
aradiso. tanto il nostro amore
dreoooritto. ma per più amore
isseremo gli occhi al primo Amore.
i. che mi dimostra il primo Amore,
omma SapTensa e '1 primo Amore
nel^ el, flglinol. Ai sens' amore,
nlda 0 fr«n non torce lo suo aimore.
I procede innansi dall* ardore
evan della pace e dell* ardore,
0 si dà, quanto trova d'ardore;
scendeva 1* etemale ardore :
1 ta tatto serafleo In ardore.
er poterò dentro a me l' ardore
uà cliiaretxa seguita l'ardore,
e* lo mio maestro e lo mio ««toro :
ìel la Toce del verace autore,
no stati, e mischiar lor ooloro :
wore) eoro
Bogllon esser testlmon del onoro,
»Tijgaati e intenerisce il cuore,
mte umana, perchè poni il cuore
ohe lì non si qneiava '1 cuore,
igrime atteggiata e di doloro,
me si Ta nell' eterno dolore ;
> '1 toeilB, a doppiar lo dolore.
Ola a me : Nessun maggior dolore,
da, che trascende ogni dolsoro.
a miseria ; e dò sa 1 tuo dottoro.
lenti antiche nell'antico orroro;
per soooli molti in grande errore ;
uella fede che vince ogni errore :
el mio mormorar prendesti errore,
latomie ò sempre senza errore :
tizia mosse '1 mio alto Fattoro :
0 che. mossa da lieto Fattore,
pria Tolse le spalle al suo Fattore,
i natora, che dal suo Fattore
aitasti s\, che '1 suo Fattore
principi ordinò in suo faroro,
andò ed iscegliendo flor da fioro,
ro fruito verrà dopo *1 flore,
i'tnterporsi, tra '1 disopm e *1 flore,
tuee e spande il maleoetto flore,
è germinato questo flore.
1 tao mortai potere al suo ffnifforo
it* ò possibll, per lo suo fulgore.
di* s' io veggo qui colui che fnoro
li eoavien da questa ripa in (bore,
die la fiamma sua paresse taore.
por le creature, che son ftaore
Ba eternità, di tempo Aiore,
anindò : Noi semo usciti ftaore
leo di Traiano imperatore :
adava si, che senza alcun laboro
non è nero ancora, e *l bianco muoro.
è. che quale in contumacia muore
paia *1 giorno pianger che si muore :
che non pure a lei (kceane onore
^e lieta, sol per fu^ onore
lello stile, che m'ha flitto onore,
tt' è Rinier ; qoest' è '1 pregio e 1* onore
8de er'alto già più di du' oro ;
8 19 111
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p Però C ha fktto lopo del paatoro.
Ma. come fatto fm roman pastore,
8 9 182
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8 1 116
8 97 146
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00
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48
Questi ne* cuor mortali è permotoro :
(V. fermotore) promotore
Le poppe volgerà u'son le prore,
a Di picdol bene in pria sento aaporo :
Qui Ikrem punto, come buon aartoro
Dimmi, maestro mio, dimmi, airnoro.
Non aver tema, disse il mio signore :
Impediva la vista e lo aplondore.
Così vid'io lo schiarito splendore
Noi sem levati al settimo splendore,
Ch' esser non può, ma perche suo splendore
Di cherubica luce uno splendore.
▼ E degli vizi umani e del valore :
Cresce sovr'essa l'eterno valore.
Del roman prlnce. lo cui gran valore
SI die degli occhi tuoi vinco '1 valore ;
Lo primo ed ineflàbile valore.
Perocché gente di molto valore
Io ti (krò vedere ogni valore.
Raggia mo' misto giù del suo valore.
Fatto s* è roda poi del suo valore.
Quanta ha di grazia sovra suo valore.
Laudato sia '1 tuo nome e *1 tuo valore
Di render grazie al tuo dolce rapare
Con le sue schiere, perdocchò *1 vapore
O per troppo o per poco di vivoro.
Non stringer ma railaiiga ogni vigore.
ore»
i E quel corno d'Ausonia, ohe s'imberrà 8 8 61
a Da ove Tronto e Verde in mare ayorva. 8 8 68
Di Rodano, poich' è misto con Sorya, 8 8 09
or^e
a Talvolta si di fuor, ch* uom non s* aooorvo, 9 17 14
Non m'acoors'io, se non com'uom s'aocorgea 10 30
p Che 1* atto suo per tempo non si porro. 8 10 89
Chi muove te, se *1 senso non ti porge 1 9 17 10
a Per sé. o per voler che giù lo aoorre, 8 17 18
Oh Beatrice, quella che si scorge 8 10 37
a Ruota e discende, ma non me n*aooorro, 1 17 116
g I* sentia già dalla man destra il vorrò 1 17 118
a Per che con gli occhi in giù la testa aporr o.l 17 190
ori
a In Fano si. che ben per me s' adori,
B quale, annunziatrice degli albori.
Si fs sentir, come di molti amori
Ecco chi crescerà U nostri amori.
Or sai tu dove e quando questi amori
Fatti mi furo in grembo agli Antenori,
Impetuoso per gli awerd ardori.
Nel tuo disio già son li tre ardori.
b Fatti per luogo de' batto saatori.
Cosi si ritraean sotto i bollori,
o Di sette liste, tutte in quei oolori,
Du* archi paralleli e concolori,
(V. cuori) cori
Qie da si fatto ben torcete 1 onori,
d Per ch* io mi volsi indietro a* miei Dottori,
a Io riconobbi i mid non fald errori.
t Tutta impregnata dall' erba e da' fiori ;
Cosi dentro ima nuvola di fiori.
Per firatta nube, già prato di fiori
E d'ogni parte sTmescean ne' fiori,
Ond' io appresso : O perpetoi fiori
Salve, Rt'jina, in sul verde, e in su* fiori
Piena la pietra Uvida di fori
Quindi torio; ma gli profondi fori.
Nuovi tormenti e nuovi frustatori,
Sansa veder principio di tulrori.
Significava nel chiarir di fnori.
Poco potea parer 11 del di fuori:
E ricadeva giù dentro e di fuori.
Che per la valle non parean di fuori.
Dieci pasd distavan quei di fteori.
Nascendo di quel d'entro quel di fuori
Quando r anima imia tornò di fuori
Traggono i pesd a dò che vien di fuori
8 6 71
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8 le 90
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10
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30
84
81
13
10 110 J
e 101
ori
SUn U r&noeehl por eoi miMO fbori.
Gli rami aeliUatà, abbatte, e porta taorl ;
B 8' aoa eatraTa, on* altra osdane AiorL
mDi lor ftolere e fìt chiare e mavffiorl.
Questi stendali dietro eran aacf lori
Non mi parean meno ampi, né maggiori
Di là eoo noi. ma eon peini maggiorL
Che non eonoederebbe, che i motori
o Poi. come inebriate dagli odori.
Ma di eoavità di mille odori
Sentir mi (kte tatti i voetri odori.
p lo come capra, ed ei come pastori.
E (k fuggir le Aere ed i pastori.
Nel fondo erano ignudi i peooatorl :
Si tiavan d' ogni parte i peccatori :
Che perdonane a* suoi poraoc«torl(
■ Vid'io coti più torbe di aploadorl
S\ Tid'io ben più di miUe splendori
Ed ecco un altro di quecli splendori
T S^ che. per temperanza de' vapori.
Ch'amor oonsonse. come Sol vapori,
•ri»
g Qulv'era slorfata l'alta gloria
Perch'olla fàvorò la prima gloria
Son io qui esaltato a quella gloria,
Colol. che tien le chiaTi di tal gloria.
— sa —
Ch' una (kvilla sol della tua gloria
uChe poco tocca al "- '
Che, per tornare t
mChe poco tocca al papa la mo moria.
Che, per tornare alquanto a -'
Ed in terra lasciai la mia i
quanto a mia memoria.
■ Per avvisar da presso un'altra storia.
Commend&n lei, ma non segoon la storia.
T In alcun cielo, dell'alta Tlttoria.
Mosse Gregorio alla sua gran vittoria;
Di Dio e di Maria, di sua vittoria.
Più si conceperà di tua vittoria.
•rio
a Mie son ricolte, seni' altro alutorlo.
o Ornai dintorno a questo oonsistorlo
mChe ricever la graiia è moritorlo.
I SS 26
1 9 70
S 80 «9
9 97 90
1 99 79
1 19 16
1 18 97
8 89 44
8 80 67
9 7 80
8 19 S4
8 97 86
1 9 78
1 18 90
1 88 98
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8 88 88
8 0 108
8 9 18
a 80 86
8 19 16
8 10 78
8 9 184
8 19 14
8 88 189
8 88 71
8 9 196
8 88 78
8 19 16
9 10 71
8 19 18
8 8 18t
8 10 70
8 88 187
8 88 70
8 88 69
8 89 67
8 88 60
0 Che carltate a suo piacer conforata.
d Perchè 'n Ano al morir si vegghl e dora&a
t FalslQoando se in altrui torma ;
Uann' ordine tra loro; e questo è forma.
Dell' empiezza di lei. die mutò forma
1 Muoveti lume, che nel del s'informa,
n Donna più su. mi disse, alla cui norma
Testando, e dando al testamento norma.
Al q ■ "
o Neir
Qui
t Per
8 108
8 100
Kì quale è (ktu la toocata norma.
Sell immagine mia apparve l'orma:
Qui veggion l'alte creature Torma
guadagnar la donna delia torma.
1
8 1
a 17
a 17
8 8
1 80
8 1
8 17
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1 80 48
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19
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40
106
81
•rme
d Lasciatemi pigliar costui die dormo, *
f Sordel rimase, e l'altre gentil forme:
Non trasmutò, sì ch'ambedue le forme
n Insieme si risposero a tai norma,
o B '1 foruto ristrinse insieme l'ormo.
Sen venne suso, ed io per le sue orme
a 8 06
a 8 08
1 80 101
1 80 108
1 80 100
8 0 60
a Di riverenza *I viso e gli atti adorna, 8 18 88
Qui si rimira nell'arte che adorna 8 9 106
Nel gran flor discendeva, ohe s' adoma 8 81 10
r Pensa che questo d\ mai non rawioma. 8 18 84
Una nata, ed altra si ritoma 8 81 8
B Là. dove lo suo amor sempre sovsioma. 8 81 18
t Per venir verso nd : vedi che torna 8 18 80
Per che il mondo di su quol di giù toma. 8 8 108
Non della colpa, eh' a menu non torna. 8 0 104
orno
a Sopra li (lori, onde laggiù è adorno. 8 8 04
KK»or di marmo candido, ed adomo 8 10 81
1 1 su vidi io cosi l'etere adorno 9 97 70
Por piacermi allo specchio qui m'adorno; 9 97 108
i itltcr»! color si mostra adorno; 8 80 98
\u^cuUu quel miracolo più adorno^. 8 18 68
E l'altra del di bd
Avesse *1 dd d' un altro Sole adone.
Si speoohia, qoad per vederd adorasi
0 Di mezzo '1 ewl caodato '1 Oapiieomo;
Ma io senti* sonare un alto corno
Drizzando pare in su 1* ardente eone;
In Muso 1* aer nostro, quando 1 cono
immagini la bocca di quel oomo,
d (V. intorno) dintorno
ir B di sabito parve giorno a rlomo
Dianzi, nell'alba cke precede al dono.
Quivi era mea die notte • mea «e gi«
Lf — .- t— . -. — indar del fisns.
lo X dd giorno
E I eran del gisno
Bi notto e giòns,
M j aa 'i giono.
Di il giMno
B< 1 giorno in p«BS
Cb b il nuovo gion»,
Di ie tutto gkino^
1 Vt idade d'iatomei
Si Lnge d'intono
Vi tro e d'intono
E, L e d'intorno.
CI ar d'intonuw
A i d'intono.
Li d intomo:
SI do ginn intono
SI intomo intono
Q movendo intono
Ijì fla intorno
Di udan intono.
Pi de intorno,
Qt k ripa intono.
E I ben pio-rorBO,
r Qi o ha ritomo.
Po^ ..«o ..«j^w ^Mm ii«»za ritomo,
■ Ma la natura li avrebbe soorao.
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Però è buon pensar d' on bel sogvlorao. S |
Ed altm roteando firn soggiorno; ^^
Che ftitto avean con nd coivi soggioroo. I '
a Del mio flgllaol eh'è morto; oodlo m'accoro. S M
Come dimandi a dar l'anaato alloro. > "
o Cod Ikoean li padri di coloro,
Pd d rivolse, e parve di coloro
Tengoo l'anime triste di eoloro.
Temo di perder vita tm edere,
S. eonsittoro) oondatoro
ftmno grasd, stando a ooaslstoro.
Quando Ai ratto al sommo eonaistero.
Vice ed afide, nd beato coro
Mischiato sono a qoel cattivo oom
Io sentiva osannar di
L'I
Ed
Per
SU
i3
sa
L'altro, ch'appresso adorna U nostro eora. t i4
Bd Urania m^ aiuti ed eoe coro ' ^
E*er la campagna; e parve di costoro 1 ^
.^_.- parve <
Dinne s'alcan Latino è tm ooetwo.
La misereila Infra tatti costoro
Vedrai trascdorar tatti eoototo
d Dimandò *1 Duca mie. sansa dimoro:
e Lodiamo i oald ch'ebbe Eliodoro ;
f Di Orazlan. ehe l'ano e l'altm fOro
In qoell' arche riodiissime. die fliiro
Ed esser mi parca là. dove IBro
Quand'olii un poco mppadaU Oro.
NO for fodeU a Dio. ma per sé tàn.
E terrà sempre, nel qual sempn On:
Che in Sennaar con lui saperbe Oro.
1 Dimalidlettovuoifisrbuoolavozv.
Etemalmente a cotesto lavoro
Vedea Nembmtte appiè del gran lavoro,
O buono Apollo, air ultimo tevora
Ond' hanno i fiumi dò che va eoa loro,
Giueo alle gambe ; onde '1 deenrio loro
Comlndò 11 Duca mio ad un di loro.
Dd mezzo, ch'em ancor tm nd e lem:
Ed eran tante, ohe '1 numem loro.
ArmaU anoora. Utomo al padre loro.
o Di cavalieri; e l'aquile dell'oro
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— 81 —
orta
lor suMrbia I o lo palle dell* oro
» più oltre, sette alberi d'oro
kqaila nel del eoa penne d'oro.
« a raggio di sole specchio d*oro:
i« che '1 sai, di ohe sapore è r oro.
tabilool», OTo si lasciò 1* oro.
pestro monte, ond'è tronco Peloro,
aestor, oh'andse Polidoro.
foe. che render pnoesi per ristoro 7
I là '▼• si rende per ristoro
i si Tire e gode del toserò,
a mia mente potei fkr tesoro,
l raccomandato il mio Tesoro,
Ooe. in che ridea Io mio tesoro
Ima Ausi di craeeto tesoro
rse a santa Chiesa il suo tesoro.
ad' io adi*: Se io mi trascoloro,
•rple
dato al Tauro, e la notte allo Scorplo.
era die '1 salir non volea storpio,
•rr»
loritk, se fior la penna abborrs.
sse all' altro : I* vo' ohe Booso corra,
ihè '1 torello a soa lussarla corra,
ìoova gente: Soddoma e Oomorrai
oa che^l primo passo lì trasoorra,
rid* io la settima aarorra
I svegliato dò ohe redo abborro
4 s' inganna ; e dietro ad esso corre,
la sua voce, che *1 suol ben disporro,
• convenne legge per Cren porro t
due Oammetto, che i* vedemmo porre,
ramento al dimandar prooorro.
rolsi, come parvol, che ricorro
lo spirito visivo, che ricorre
qua! vuol grazia, ed a to non ricorre,
iella, come madre, che soo orro
che la stimaUva noi soccorre;
oa benignità non por soccorre
noi ftiMuno al pie dell'alta torro,
ft vera dttade almen la torre.
to, eh* appena '1 potea 1* occhio tórre.
•rrl
len che poi nel maginare aborri;
mi parve veder molto alto torri ;
(gli a me: Però che tu trascorri
orsa
su l'arere, e trai me misi in borsa.
lUnmi se tu l'hai nella tua borsa.
1^00 suo e Soddoma e Caorss,
to abbi però la ripa corsa
quello che fidanza non imborsa.
nel suo conio nnlla mi s'inforsa.
rode, end* ogni coscTenxa è morsa,
iramento (u Ogliuol dell'orsa,
wsa 1 19 68) scorsa
soggianse : Assai bene è trascorsa
orso
Kl padre verace che s'accorse
to Catalan, eh' a dò s'accorse,
MMn'io cominciai, ed ei s'accorse,
ido in Elisio del flgUuol s'accorse,
(nai né to né '1 Duca mto s' accorse,
Baal né io ned d prima s'accorse,
inòs mi porto: e quegli attorse
nto buono ardire al cor mi corse,
^ù non disd : eh' agli occhi mi corse
iqoa eh' io prendo giammai non si corse ;
ia con Tito a (kr vendetta corse
ido mi vide, totto si distorse,
or dell' influenzia e '1 biasmo, torse
i la mazza d' Ercole, che forse
vi metteto in pelago; che forse,
lor taceva, e dentro dicea: Forse
ido mi preae, dicendomi: Forse
ane all'emisperlo nostro: e forse
8 le 110
9 80
48
9 9
£0
8 17 198
9 90 117
8 93 186
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9 4 109
1 87 184
1 9 181
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89
8 8
6
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5
1 97 198
1 84 124
Lo Savio mio in vèr lui gridò : Forse
Provvide alla milizia, eh^era in forse.
Tal che di balenar nd mise in forse.
Lo dolce padre, ed io rimango in forse;
Una voce di presso sonò : Porse
Ragionava '1 Poeta, i* tomo forse
mNulla giammai si giostamento morse:
B quando '1 dento longobardo morse
Tanta riconoscenza il cuor mi morse.
Uba medesma lingua «ria mi morse,
B poi che per gran rabbia la d morse,
B quando vide nd sé stesso morse,
0 E nove Muse mi dimostran l' Orse.
p La pena dunque che la croce porse.
Udir non poto* quello eh* a lor porse:
Parlando, di parlare ardir mi porse.
Sald colei che la cagion mi porse.
Poi fisamente al Sole gli occhi porse ;
Sì pia 1* ombra d*Anchise d porse.
Per che *1 lume del Sol giù non d porse ;
Alle vere porole che ti porse I
Che su nel mondo la morte ti porse 1
r Lo popol disviato d raccorse.
Che cLascon dentro a pruova si ricorse.
Quella che appar di qua, e su ricorse.
Mia coscienza dritta mi rlmorss,
E poi la medicina mi riporse.
Un dice, che la Luna d ritorse
s Carlo Magno vincendo, la aoccorse.
O pietosa colei che mi soccorse,
E, com' è detto, a sua sposa soccorse
E la terra che pria di qua si sporse,
t Questo prindpio male inteso, torse
Che di lott' altre cose, qual mi torse
E la sinistra parto di se torse.
Al suon di lei ciascun di nd si torse.
Di Paradiso, perocché d torse
Quando la Donna a me tutta d torse,
Qual cagion, disse, in giù così ti torse 1
Mentre che sì parlava, ed ei trascorse t
Mercurio e Marte a nominar trascorse.
Ma per la Usta radiai trasoorse.
Sue invenzioni, e quelle soo trascorse
Ed ecco un lustro subito trascorse
orsi
a Dell' aquila di Cristo ; and m* accorsi
L'ottova bolgia ; si com' io m' accorsi.
Non ne conobbi alcun: ma io m'accord
Subito, sì com' io di lor m' accord,
e Alla mia caritato son concorsi ;
Per ch'io dentro all'error contrario corsi
1 Quando 1 cavalli al cielo erti levOrsi;
Di manicar, di subito levòrd,
mAmbo le mani per dolor mi morsi.
Però ricominciai : Tutti quei mord.
Or col ceffo or col piò, quando son mord
o E qual colui ctie si vengiò con gli orsi,
p Poi che nel viso a' detti gli occhi porsi,
s Nel doloroso carcere, ed io scorsi
t Per veder di cui fosser, gli occhi torsi i
orso
e E come sare* io senza lui corso 9
mCome t'è plcdol fallo amaro morso I
Venire dando all'accidia di morso.
Come ciascun menava spesso il morso
r Veramento '1 Oiordan volger retrorso
Ei mi parea da sé stesso rimorso :
s A ragazzo aspettato dal sicizorso,
MiraBlle a veder che qui il soccorso
Del pizdcor che non ha più soccorso.
E Quei, che m' era ad ogni uopo soccorso,
t Poscia riguardi là dov* e tra «corso,
Taat'era già di là da noi trascorso:
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a Donna del Clel, di onesto cose accorta, 9 0 88
Del mar d Aa la dolorosa accorto, 1 80 10
Ed egli a me. corno persona accorta : 1 8 13
Che sopra sé tutto fiammelle ammorta. 1 14 00
Nostro intoUetto ; e, s' altri noi d apporta. 1 10 104
o (V. porta 1 SO 30) comporta
orta
— 82
taa eoe a&iraiiro, erm
Cho sì et Mtronl nella i
d Negli ocohl guarda, e »
1 Chi ▼& dinansi a tchiei
Ed ancor quatto quascb al comporta
Lo bai pianeta cha ad amar oonforts.
L'altro, ctM nella ylita lui conforta.
Io la mirava; a oooia '1 Sol conforta
Più che dalP altro, era la ooata oorta,
~ vita corta,
. sovra i pie dUtort»,
schiara par isoorta,
- QniritU se' 1 attendi tu isoorta,
JmTosto ch'io usd' fuor dell'aura morta,
^ Qui vive la pietà auand* è ben morta.
La Caccia tua. ch'io iagrimai già morta,
Sanar le plaghe, o* hanno Italia morta.
Sotto cui giacque ogni malizia morta,
PiangevisT entro l'arte, perchè morta
Poscia atta vide Polissena morta,
E qn&si ogni potenzia quaggiù morta :
Sovr' essa vedestù la scritta morta ;
Ogni viltà convien che qui sia morta.
■. Parò comprender puoi, ohe tutta morta
^Sovra suol freddi rivi l'Alpa porta.
K^JBd el: Frate, l'andare in su cha portai
^ Poi fìimmo- dentro al soglio della porta,
Ciascun cha della bella insegna porta
Che del fbturo fla chiusa la porta.
Ne disse : Andate là, quivi è la porta.
L' aguato del cavai, che fo' la porta
■' -,é llalebolge invèr la porta
^ noi entranuno per la porta,
àngal di Dio, cha siede in su la porta.
,^ _0lKoUa in Albia, ed Albia in mar ne porta:
^Ck'àl giudleio di Dio paasTon portai
^Hel plodol cerchio s'entrava per porta,
1/ obliquo cerdiio che 1 pianeti porta.
Che già r usare a men segreta porta,
E del Palladio pena vi si porta.
Vid'io scritte al sommo d'una porta;
Lo sito di ciascuna valle porta.
Dentro al cristallo, chi *i vocabol porta,
llr La fBsta di Tonunaso riconforta
Ubbidirà alla mia celesta Beorta,
Cosi lo sguardo mio le Ikcea scorta
Pne anime che là ti fknno scorta:
Cominciò agU a dira : Ov'è la scortai
^ Del duro scoglio, sì che la mia Scorta
i ' Secondo ch'avea detto la mia Scorta:
r^ Cosa non fti dagli tuoi occhi scorta
*" Passando par 11 carchi senza scorta,
^ Velando i Pasci ch'orano in sua scorta.
\ Le sette donne al fin d' un' ombra smorta,
f t Io vidi un' ampia fossa in arco torta,
^. La divina Scrittura, o quando i torta.
E se la strada lor non fosse torta,
> Tanto il dolor le fé' la mente torta.
Risposi lui, veggendola si torta.
Perchè (k parer dritta la via torta,
Filoso&ndo; tanto vi trasporta
•rie
a Gridava : Lano, si non (Uro accorto
Non se ne sono ancor le genti accorta
L' anime, che si fùr di me accorte,
Traean di me. del mio vivere accorta
Sovra colui cha già tenne Altaf orto,
o O santo Padre, che per me comporto
In te ed in altrui di ciò contorto;
Per alcun che dell' onta sia consorto,
A questo ufldo tra le tue oonswta.
Da tutte parti la beata corte.
Le minuzie de* corpi lunghe e corta
Posola vengiata fta da giusta corte.
L'accusa oel peccato, ut nostra corta
Lo Ben, che n contenta questa corte,
SI che. veduto *1 ver di questa corte.
Come libero amore in questa corte
Che dura molto, a le vite son corte.
E dinanzi alla sua spiritai corte.
Tanto, eh' e' vuol eh* io veggia U sua corta
Che vuol slmile a sé tutta sua corte.
Ti ponga in pace U verace corta.
r Con pietre un giovinetto andder. forto
Come I dlss' egU ; e perchè andate forte,
ma ragionando andavam forte,
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Che scotassa una torre così forte.
Questa selva selvaggia ad aspra e dortc.
Per altra via, che fa s\ a^pra a forte.
Cha solvaranno questo enigma (torte.
S' accolsero a quel luogo, eh* ara forte
Guardando '1 fuoco, a ijnmaginanrto Córta
Che fe parer lo buon Marzucoo forte.
Non ti parrà nuova cosa, oè Corte.
Venimmo in parta, dova 1 nocchier. fòrte.
Mi legga amora o liavamaate o Corta,
Ma quast'è qnal ch'a eamer mi par ftrte.
Posata di di la di l'amò piò torte.
Non ti dea oraoud parer piò forte
Udendo la sirena, sia più torte.
Si movaan lumi, sdnUUaado torta
Che innanzi a buon signor to serve forte.
A l<tf, ohe lam«itar gli to sì Cartai
Nudi a graffiati, toggendo sì torte.
Mi presa del costai placar sì fòrte.
Nascendo, sì da questa stella Corte.
mE quel dinaasi : Accorri, accorri. mort«.
Del padre corsa, a eoi. e<un*alla morte.
Del viver eh* è un correre alia morta ;
Questi n<m hanno speranza di morta ;
Non mi celar chi tosti anzi la morta.
Lo nostro imperadore, anzi la morte.
Fiera di Ohin di Taceo ebbe la morta,
Allor temetU più cha mal la morte ;
E lui vadaa chinarsi par la morte.
Le vostra cosa tutta hanno lor morta.
Qui poote esser tormaato, ma noa morta.
Fèr la dttà sovra quell* casa morte ;
Tanto è amara, cha poco è più anorta :
Dlcaan : Cad è coatni. che eoua morte
Amor condusse noi ad una morte :
Ch' a Dio ed a* Giudei piacque una morte :
O Duca mio, la vfolaota vaatiA
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p Ma dagli occhi tocca oempre al dal porta, 8 15
Vegna rimedio agU occhi che fòr porte, 8 84
Questa parola da lor d fùr pòrta. 1 6
Io vidi più di mille in so la porte 1 8
Tal divenn'io alla parola pòrta; 1 IT
La nootra carità non serra porte 8 8
Tu nota; e sì coma da me eoo porla 8 9i
Tuttavia, perchè ma* vergogna porte 8 81
r E 1* ombre, ohe paraan cosa riasorta, 8 9t
S'io non avami vista la ritorta. 1 81
s Volsord verso ma le buona seorta, 9 91
Dirò dall'altre coaa ch'io V* he scorta. 1 1
K tua parole flen le nostre scorte. 9 16;
Chi v'ha per la sua scala tanto aoertal 9 91
Maravigliando diventare smorta, ^
Della quartana, o' ha già l'unghie
Che invidlod son d'ogni altra sorta,
Mantova rappell&r senz* altra sorta.
Nel qual Vn sledi, per atema aorte.
Del nome tuo e della vostra aorte.
Quivi urlava eoo le mani sporta
t Così si veggion qui diritta a torta,
Son queste mota intorno di lui torte.
•rtl
a Tanto mi parvar snUti ad acoortt
Dicendo: latrate: ma tocdovi accorti.
Quivi lume del ciel ne C»ca accorti.
Disse a* compagni : Siete vd accorti,
Posda U pie dlriètro insiam» attorti
o E la grazia di Dio ciò gli oomportL.
Le nozze suo per gli altrui eontortil
Qie al re giovane diedi i mal confòrti.
Indi m' han tratto su li sud cootortL
Superbia to* ; che tutti 1 mid consorti
Ove le duo nature son oonsortL
Guizzando più che gli altri sud conaortL
Era onorata ad asm e sud cooaortL
E 1 duo pie della Aera, ah' eraa corti.
Alla salute sua enn già eorti.
Li tuoi ragionamenti sten là corti;
d E quando rar ne' eardial distorti
t Qie toro ali' osso,- come d'un caa. torti.
Che di metallo aon sonanti e forti.
Che ne conceda i suoi omeri ftortL
Che gli organi del^eerpo mraa fbrtl
JtizedbyV^OOgle
— sa-
li laso* io ; che non gli ujran forti,
ben mosirir disio de' corpi morti;
non Mglion thn l piò de' morti,
onesto visii&i V nsao de' morti,
mmmo tutti già per forza morti,
ftt dì gli chiamai, pt^ch' e' fùr morti :
lo giusto disdegno ohe t' ha morti,
che. spirando, rai reggendo i morti:
titi da cotesti che son morti,
ch'io noi tei tra' tìtì, qoi tra* morti.
(e menato m' ha de* veri morti,
e : per altre rie, per altri porti
e si muovono a diversi porti
misero del suo n' avea duo pdrti.
vieghi miei, piangendo, fùron pòrti,
mensa d'esto girmi porti,
istinto a lei dato che la porti
erchò tu di me novella porti,
the di lui di là novelle porti:
ai oonvien ch'io questo peso porti
lieve legno convien che li porti,
egli a me : Se tu vuoi eh' io ti porti
dimandati, ma perch'ei rapporti
te nature per diverse sorti,
drlna voi, che '1 mondo fece torti,
ad' ebbe detto ci^, con gli occhi torti
lui saprai di sé e de* suoi torU.
•rio
he Osceva U ciascuno aocox'to
uel medesmo. che si ftie acoorto
io. che del color mi ftai acoorto.
la sua gran virtude alcun conforto :
suoli al mio dubbiare esser conforto t
lato m' era solo il mio Conforto.
0 t* avrei all' opera conforto,
egli : Io ti diro, non per conforto
iga promessa coli* attender corto
) ritomo a compier lo cammln corto
Ebro e Macra. che per caromln corto
; dica Ascesi, ohe direbbe corto.
i che passin mill'annil eh' è più corto
dissi lui, or se* tu ancor morto 7
te Ut carne, che se fossi morto
acesoo venne poi. com*i*fkii morto.
sia in to luce prima che sii morto.
ìò : Quale i' (m vivo, tal son morto,
io non fossi s\ per tempo mono,
. era ancor molto lontan dall'orto,
!hmde. onde s'in(h>nda tnt'o Torto
ut quel delle firutta del mal orto,
né occaso mai seppe, né orto,
on occaso quasi e ad un orto
1 timon gira per venire a porto,
sto da Ini a lor di bene ò p6rto.
jmoi ftUllre a glorioso porto,
ib del sangue suo già caldo il porto,
mondo su. nulla sctenzia porto,
tasngio *I sonno ; e diventai smorto,
iniDclò *I Poeta tutto smorto :
4o m* hanno del mar dell' amor tOrto,
srehio che nlb tardi in cielo é torto.
candio, 6 giace dispettoso e torto
liana : Noi portar ; non mi tv torto.
viso m* ara alla marina torto.
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kpaoeo. in dò che non s' ammorsa 1 14 68
volontà, se non vuol, non s'ammorza; 8 4 76
ra il Duca mio parlò di Corsa 1 14 81
rio il carro di tutta sua fona ; 8 88 116
e saata di tutta sua forza. 1 14 69
% dall'onde, or da pioggia, or da orsa. 9 89 117
1* arbor già, rompendo della soorsa,
ta eonferisce a quel ehe sforsa.
Illa volta violenza il torsa ;
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tra è colei, che s'anclse amorosa, 1 8 81
lon potea mia cura essere ascosa, 8 9 87
hccia sua a noi tien meno ascosa, 1 86 87
> me volger per alcuna chiosa, a 80 89
noo ci diceva alcuna cosa | 8 8 84
Che Infine a 11 non fu alcuna cosa
Ciascuno amore in sé laudabil cosa ;
SI ohe. se stella buona, o miglior cosa
Giunto mi vidi ove mirabil cosa
Per ohe non dee parer mirabil cosa
r non vi discemeva alcuna cosa.
d Come ti stavi altera e disdarnoaa.
Della valle d'abisso dolorosa,
Nel monta, a nella valle dolorosa,
t Così s' è r ombra sua qui furiosa.
1 Poi é Cletqiatràs lussuriosa.
n A veder la vendetta, ohe nascosa
La sua radice incognita e nascosa.
Or ti puote spparer quant' é nascosa
De* qoai la fkma. nel tempo é nascosa.
Oscura. profond*era e aal>nlosa
o Quel tu al mondo persona orcoorliosa |
Porse la mia parola par tropp* osa,
p Siede lungh' esso ; e lungo raltro po>A i
Ne* qua! mirando mio dlido ha posa.
Che è moto spiritale, e mai non posa
Che 1* animo di quel eh' ode non posa.
B forse in tanto, in quanto lu quadre! posa, :
Cuopre e discuopre i liti senza posa, i
A guisa di leon quando si posa.
r Quante il villan, oh* al poggio si riposa, :
La ffeute ingrata, mobile e ritrosa.
In nórma dunque di candida rosa
s Badommi '1 volto, e disse: Alma sdarnosa, :
Pria che morisse, della bolla sposa
Che nel suo sangue Cristo fece sposa. ]
Che succedette a Nino, e fb sua sposa ;
Ciò eh' io dioea di queir unica Sposa i
a Se '1 del gli addolda o Io 'nfbmo gli attosoa. :
o Dimmi ove sono, e ftt* eh' io gli conosca ; ]
Alcun, oh' al fstto o al nome si oonosea ; ]
f Levando i monoherin per l'aria fosca« ]
Voi, ohe correte si per l' aura fosea :
mGridò : Ricordera'ti anche del Mosca,
Iacopo Rusticueoi. Arrigo e '1 Mosca,
t Che ra '1 mal seme della gente tosoa.
Ed un che intese la parola tosca.
oaela
a Lo Duca con iktica e con anrosola
Spirito ed acqua fssd. e con angoscia
Tutto smarrito dalla grande angoscia
Conobbi allor chi era; e quell* angoscia.
o Ella, pur ferma In su la detta coscia
Quando noi fummo là dove la coscia
Movendo *1 viso pur su per la coscia.
Che cotai colpi per vendetta croscia I
p Volse le sue parole cosi posola :
Di vello in vello giù discese poscia
Non m* impedì l'andare a lui: e poscia
Tal era '1 peccator levato poscia.
•scie
r Ond'io tremando tutto mi raooosclo.
■ Allor fb' io più timido allo scoscio.
Far sotto nd tm orribile stroscio.
b Finitolo, anche gridavano : Al bosco
Quando nd d mettemmo per un bosco.
o Oridavan alto: Virum non covnosco ;
Guarderò' io, per veder s'io'l conosco.
Per altro soprannome io noi conosco,
f Non flrondi verdi, ma di color fosoo.
Quando in Faenza un Bernardin di Fosco.
n Ugolin d* Azzo, ehe vlvette nosco,
r Di gran virtù, dal quale io riconosco
t Quand'io senti' da prima l'aer tosoo ;
Non pomi v'eran. ma stecchi eoo tosco,
r ftai Latino, e nato d' tm gran Tosco :
Che di Venere avea sentito *1 tosco.
Non ti maravigliar s* lo piango, o Tosco,
Rispose a me ; che parlandomi tosco,
T Con vd nasceva, e s'ascondeva vosco
Non so se 1 nome suo giammai fu vosco.
Dio sia con vd, che più non vegno vosco.
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Por la bue» d'un mmbo. <À'egU ha roM 1 Mi
■ Goardommi nn poeo, e poi qoMl •AoffBAM 1 U '
Ond*ei lord le dglia oa poco la soaos 1 U
b Sotto lo imperio del bnoa BarbaarowM, S 18 ]
t E tale ha ^à l*aa pie deatro la foaM. I U 1
Lete Tedral, ma fuor di qaeaa Ama. 1 U 1
Mi dine : Che &i tu in qoeeta foial 1 U
La maladetta e trentoimta faen. 1 H
ir Ed nn. che d*ona uenik. atsnrra e ireow 1 IT
La tkeeiti raa mi parea loaga e tiw. 1 U
1 Vaaiieaggendo; e quanto ella più isffroasai 114
mSÌ come ruota che Igoalmeate è Bossa, I B
SI che poteste sua Tog-lla eoer moM». *■
La tana parea nere toatè ntoen. > V
o Giammai a buon Toler, tornò all'oaaa; f ■
Ed a tua proporzione eran r altr' oaa. 1 ^
L* altr' era, come ee le carni e 1* om « ■
Comineiv di ooetor le «aerate oen. < «^
p Se non che la lut > mente ta pTcoaaa a 9
8* aggingoe al mal rolere ed alla poaM. 1 u
E tristo da d' avenri aTQto possa : • ^
Ringhioei più che non chiede lor pom, 1 »
All'alta fkntaala qui manoò poesa. **
Di TiTa speme, che mise soa po«a • *'
Del goTorno del regno, e tanta po«a * ■
Ch*aUa corona redoTa promoasa • ',
r Quando ia colpa pentota è rimossa. } »
Rispoee; ma UboUor deU*acqua rossa 1 »'
Vidine un' altra, pift cbe sangue, ros» 1 ^,
Venlan damando : l*nna tanto rossa, >"
o E sì rinoendio immaginato eosse. * '
Per che *1 del, oom' appare ancor, si cmm: i ni
t Noi pur giungemmo dentro aU'alte fosse, 1 >
Cosi sen giva, e non credo che fosse * ",
Maggior paura non credo che fosse, ' ^^^
Le mura mi parea ohe (erro fbsse. ; ' '
r mi volgea per veder or* io fosse. • \'
Ed ancor non sarei qui. se non Cosse, • *; i
Se la Scrittura sorra toI non fbsse. f ''
Prima oh' io flior di puerizia fbsse, •"
Tal modo parrò a me. che quivi fbsse • *
S'io credessi che mia risposta fbsse \*ì
E non sapendo là dorè si fosse. *.:
Qi' alcuna ria darebbe a chi so i
Aociocchè re snffloiente fbsse:
III'
SU
V Se non è giunta daU' etaU rrosse 1 \ \l
O terreni animali, o menti grosse l ' tzì
Dove le resistenze eran più grosse. l"
Bft I dopo sé. solo accennando, mosso ' ff .
E quella tesa, oom' anguilla, mosse. ;{''
Pensa chi era, e la cagion die '1 mos0, • "
Per occulta virtù, che da lei mosse. f JT
Al modo suo. l'aguta punta mosse ;fl
Con V ufido apostolico si mosse. * ti
Da sé, ch'è sommo ben, mai non si mo"^ ' t!
Che da dma del monte, <mde si mosie. * *z
Ant&ndm m Slmn*ntA. nnAm al mnaM. * *
Antandro e Simoenta. onde si mosw,
Altre rirolgon sé. onde eoo mosse,
I Di qua da Trento l'Adice por
E negU sterpi eretid pereoese
Poi vvr Durasse ; e FarsagUa i
Itti
p Di qua da"¥rentó f' Adice porooose. \ }! J
E negU sterpi ereUd perooese * ^
Poi vvT Durasse ; e FàrsagUa jpercosM 'J i
Quando con gU oochi gli occhia po^^'iS
Tosto che nella vista mi perooeee ly, ,
Tosto eh* nn lume il volto mi pereoese. * !! ,
SI come in certo grado si percosse. ^fi
Non ho parlato si che tu non pooss * fT
O vaoaglorla delle umane posse, ; tt
r Che da ogni altro intento mi rimosse; > *' |
Non altrlmenU Achille si risoosse. ; !
Ch'entro 1* affoca, le dimostra rosse. ' • i
m Questa fiamma otaria senm più scosse»
E mal per Tolomeo poeda i
e Ahi quanto nella mente mi
Ma più ò '1 tempo t^ che 1
d Chi fosti, e perchè vftltt avete
f Drizzai la testa per veder chi
Movien. che ricipean gli
Digitized by VjOOQ
IIT
— 85 —
ostra
m poter TederUt. bea eh* io fiMsi
moscer lo loco dov'lo fossi,
a ponsari eh' lo loioo fossi I
r lo indietro rirolto mi fbssl,
ooloi eh* lo eredea obe ta fosd,
;hò ni s\ alti ni si grouut,
lehio riposato intomo mossi,
a ainUtra, ed lo dietro mi mossi.
li lA, ODd'io Tlrendo mossi,
occhi, por testi dal Sol poroossl,
stero 0 volere insieme paossi.
sansa 1 quale a IHo tornar non pnossl,
Ichò al pooo il tIso ritormossi
Ile, onde a forza mi rimossi,
raTam dalla selva rimossi
mi, pria nell'acqua riperooasi,
dolente 1 eome mi riscossi.
STO ioono, si eh* 1* mi riscossi,
o metalli sì looentl e rossi,
non starà piantato co* pli rossi ;
. Toce disse; ond*lo mi soossi,
«to loogo, dalla schiena sooesi
lo eh* avean piò e meno addosso :
qoetarmi r animo commosso,
ndo a veder, senxa montare al dosso
o ad essi tk' che dopo *1 dosso
odo ad or ad or la 'està, e *1 dosso
iva aleoo de* peccatori 1 dosso,
0 che disse, ancor che sovra 1 dosso
1 lo viso, come tieni '1 dosso,
dna voce ascio dall'altro fosso,
venimmo; e ooindl giù nel fosso
Tali* orlo delraoqoa d'on fosso
t celano 1 piedi e Valtro grosso;
lindo : To stesso ti (ki grosso
cagion sarei con gli alm mosso |
di bene l'ano e l'altro mosso.
0, e pare in vftr noi esser mossol
li parlando a dubitar m' hai mosso),
li parlava ad ira parea mosso,
agli Oman privati parea mosso,
aanxl a me, esser peroosso ;
) io a lai; od egli a me: S'io posso
vidi, e però dlcer noi posso,
quel, dolce padre, a ohe non posso
ondo parea dlcer : Piò non posso,
d* on modo ; e l' altro, piò rimosse,
li a te da tutti ripercosso.
)ce l'ArMa colorata in rosso,
le vedresti, se l'avessi scosso.
I* ebbe sospirando il capo scosso.
nilemente con essa s' aeoosta.
che piò al becco mi s' accosta,
glon. che si presso mi t'accosta:
k r alma, che fla glò affo sta,
tosta) auffosta
ro ne te* volar dall' altra sosta
onosoe quanto caro costa
Ina che laggiù cotanto costa,
die già si eaopn della costa,
lo "1 mio Duca mi tentò di costa,
•di che nel petto, onde la costa
I voi. ohe scendete la costai
ure il canto, e fbggir v6r la oosta,
palato a tutto '1 mondo costa ;
monte, a cui Cassino i nella costa,
U toc* io in quella oscura costa:
•0 da Maria, per quella costa
fi si pensa quanto sangue oosta
co doo dalla sinistra costa,
dea a me la mia sinistra costa,
osse collo, ni piegò sua costa :
atre volte si poco ti costa,
an fflà cotti dentro dalla croata i
k de* trisU della fh>dda crosta
gente ingannata e mal disposta.
echi fosse agli occhi miei disposta.
.. in prima eh' ella sia disposta.
Mto. Nicoala e ranaaffoata
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i Un* altra storia nella f^cda imposta :
a O anima, che sei laggiù nascosta.
Vita beata, che ti stai nas^xìsta
o DI questa dolce vita e dell' ^ osta.
p Con men disdegno, die quando i posposta
Ma vedi là nn^anima, eh' a poMta
DoV io teneva gli occhi si a posta.
Di qua, di là discesero alla posta :
Ma queU' altro magnanimo a cui posta
Per la corona, che già v' i su posta.
Sente '1 porco e la caccia alla sua posta,
Quand'io dalla mia riva ebbi tal posta.
Felice te, ohe sì parU a tua postai
Tanto, che data v'i l'ultima posta,
B per novi pensler cangia proposta,
r Quando la sua semenza i già riposta,
Ch' io (ÌMseva dinanzi alla risposta.
All'alto fine, io U (krò risposta
Lo mio Maestro disse: La risposta
Lo Duca, già facendo la risposta.
Di ciò ti fttrà 1* occhio la risposta.
Ed io, eh'avM già pronta la risposta,
B 1 tre, che ciò inteser per risposta.
Non mi Cft degno delia taa risposta;
Che della selva rompieno ogni rosta.
s Che dal fianco dell'altre non si scosta.
Per veder meglio a* passi diedi sosta ;
% Che fu nel cominciar cotanto tosta.
Ni la nostra partita fu men tosta.
Quella ne insegnerà la via piò tosta.
Mal ta la voglia tua semjMV si tosta-
oste
o Lo dosso e *1 petto ed ambedue le oosta
Appigliò si aue vellute coste :
Tra '1 folto pelo e le gelate crosta,
i Ni fùr tal tele per Aracne imposta
p Ed ei prese di tempo e luogo posta :
■ Con pio color sommeeee e soprapposta
oste
a Per quanto ir posso, a guida mi t* accosto.
Ni. Sol calanao, nuvole d'aorosto.
e Che l'andar mi (koean di nnUo costo.
d Ad ascoltarmi tu sii ben disposto.
E tu m' hai non pur ora a dò disposto.
Tu m' hai con desiderio il cor disposto
Ed a trista mina par disposto.
i Vienne oramai; chiH tempo, che n*i imposto.
Ed lo risposi com*a me (U imposto.
n Nel parlare avvisai l' altro nascosto ;
Ed io: Buon Duca, non tengo nascosto
p Rispose : Luogo certo non c'i posto ;
Ed io a lei : Se '1 mondo fosse posto
Lo dedmo suo passo in terra posto,
Perocohi '1 luogo, u* fui a viver posto.
Sazio m'avrebbe dò die m'i proposto.
Ch' io Bon tornato nel primo proposto.
r Com' io avviso, assai i lor risposto ;
Per non intender dò eh' i lor risposto.
Cosi pregò '1 Poeta ; e si risposto
t AUor Virgilio disse : Digli tosto.
Io volsi '1 viso e '1 passo non men tosto
Da' noi. perchi venir posslam più tosto
B volete trovar la via piò tosto,
B con tranquillo aspetto: Vien piò tosto
Qulnc' entro satisfatto sarai tosto,
B sappi che '1 suo muovere i si tosto
Vapori accesi non vld' io si tosto
Ma già non fia *l tornar mio tanto tosto,
B tu cortese ch'ubbidisti tosto
astra
o Fuor mi rapiron della dolce chiostra :
Dimmi se vien d* Infimo, e di qual dilostra.
Quando noi ftunmo in su l'ultuna chiostra
dlHsd: Maestro mio, or mi dimostra
g Per Io suo mezzo cerchio, ali* altra giostra.
Perir toraeamenti. e correr giostra,
mB cominciare stormo, e (ìu> lor mostra,
Ma dice nel pender, fin che d mostra :
E quest'altro splendor, che ti si mostra
Qual merito, 0 qual grazia mi ti mostrai
ostra
— 85 —
Che d&Uo BCOgUo r altra valle mostra. 1 ao 88
n Mostrò ciò che potea la lingua nostra, 8 7 17
Questi chorcati, alla sinistra nostra. I 7 88
m tatto il lame delia spera nostra, 8 8 111
Potean parere alla veduta nostra ; 1 88 48
Viene a veder la Veronica nostra. 8 81 104
▼ Or fu s\ btta la sembianta vostra? 8 81 108
Corridor vidi per la terra vostra, I 88 4
•stri
o Qui son li frati miei, che dentro a*oUostri 8 88 80
d Ed io a lui: L'affetto, che dimostri 8 89 88
Dimmi : Che è cagion per che dimostri, 8 88 110
i Fairanno cari ancora i loro Inoliiostrl. 8 90 114
V Ch' io veggio e noto in tutti gli arder Tostrl, 8 88 64
£d io a lui: Li dolci detU vostri 9 88 118
ostro
0 Che licito ti sia l'andare al chiostro, 2
Con le duo stole nel beato chiostro 8
E piò di caritate arde in quel chiostro. 8
i Non portò voce mai, nò scrisse inchiostro, 8
& Quand'era nel concetto noi e nostro. 8
Perchò quanto si dice più lì nostro. 9
Tanto con gli altri, che '1 numero nostro 8
Ore poter peccar non è più nostro. 8
p Fa' gli per me un dir di paternostro, 8
r Ch' io vidi, ed anche udii parlar lo rostro, 8
▼ Torcesse in suso *1 desiderio vostro.
£ que to apporterai nel mondo vostro.
OUS
e Che nella madre ebber l'ira oommota.
d Cosi all' orazion ptmta e devota
D'anime turba tacita e devota.
Ahi gente, che dovresti esser devota.
Che giù per l' altre suona sì devota.
Per r orazion della Terra devota.
Creando, a suo piacer di grazia dota
g Allor mi disse : Quel, che dalla rota
Lo mio Maestro allora in su la gota
Ma quando scoppia dalla propria gota
i Por come sposa tacita ed inunota.
mCosl diretro a noi, più tosto mota,
n Temprava i passi un'angelica nota.
Se tu ne vedi alcun degno di nota;
Tin tin sonando oon si dolce nota.
Dentro alla tua letizia, fiunml nota
Ch'appena fora dentro al fuoco nota:
L' altra letizia, che m' era già nòta.
Poi disse : Bene ascolta chi la nota.
Ciò che confèssi, non f&ra men nota
Nel torneare e nella mira nota
Mìsesi U nel canto e nella nota;
Glugnendo per cammin gente non nota.
Ed In dolcezza, ch'esser non può nota,
E dò espresso e chiaro vi si nota
Se bene Intendi ciò che Dio ti nota;
p Qual fin baiaselo in che io Sol peronota.
r Come di Paradiso. fU remota t
O predesiinaslon, quanto remota
(V. remota) rimota
ÌV. rttota) rota
ilcuna fiata quei, che vanno a mota,
Veoire a' due, ohe si volgeaao a mota.
Tre donne in giro dalla destra mota.
Che tu vedesti dalla destra mota.
Coni vid'io la gloriosa ruota
Che fosse ad altro vòlta, per la mota,
E Stazio ed io segui avam la ruota
Rivolge sé centra '1 taglio la ruota.
E di' perchò si tace in questa ruota
Però girl Fortuna la sua ruota,
t Vostra natura, quando peccò tota
Che la prima cagion non vegglon tota I
V Se non riempie dove colpa vota,
OiostlnTano. se la sella è vota I
Fu. quando Grecia fu di maschi vota
81 passeggiando l'alta selva vota
_ „ oio
« 5 Veltro poi dolcemente e devote
"tra parte m'eran le devote
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La figlia al padre ; che '1 tempo e la doto
Non la tua oonversion, ma quella dote
r Quinci fUr quote le lanose rote
Percotendo, rlnose. altrui lo gote
Premevan sì, <uie bagnavan le gote,
a Sì ohe vostr'arte a Dio quasi è nipota.
Ch'io metta *1 nome tuo txa l'altre nota.
E mentre io gU cantava eotal note.
Diverse voci fanno dolci noie:
Le uscì di bocca, e oon sì dolci note.
Ora ineomtoctan le dolenti note
Pur r anime che soo di fama nota :
E non senza diletto ti fien noto.
E, so tu bea la tua Fisica note.
Ben si de' loro aitar lavar le noto.
Ma qui taoer noi posso ; e per le note
Onde, se ciò ch'io dissi e questo nolo,
p In alcun vero suo arco percuota.
Crescendo sempre, infln oh* ella 1 percoete.
In ohe lo strai di mia 'ntonzioo pereaote.
Là dove mol'O ^anto mi peròiole.
Neil' aer vivo, tal moto perraoto.
Che le più alte cime più percuote ;
Dove l'un moto all'altro si perraote;
Forte spingeva con ambo le piote.
Essere agginnto. come Qoel che pnoto
Dee r oom ehlndor le labbra quant' el poete.
Che la voce non suona, ed esser poote
Ciò che '1 mio dir più dichiarar noe poots.
Con tanto ordine fb*. ch'esser non poote
E fktto gliiotto sì. eh' esser noe può e.
Che l'arto vostra quella, quanto poote.
Della cornice, onde cader si poote.
A mostrar dò. che in camera si paolo.
Vuoisi così oda. dove si poote
Vuoisi così colà, dove si paolo
O se dd messo cerchio tkr d poote
Di qua ohe diro e fkr per lor si poote
In noi r affetto sì, che non d poote
Ed andar so di notte non d poote ;
Ma nel mondo sendbUe d poeto
E la percossa pian a tanto poote.
Vivo son io. e caro esser ti poote,
r Le lod Assi, di lassù remote ;
E quanto le eoe pecore remoto,
Quant* elle eoo dal coatro più remote.
Anime sono a destra qua remoto :
(V. remole) rimote
Leva dunque, lettore, ali* alto moto
Beatrice tutta neU'eierae mote
Che Intorno agli occhi avea di fiamme mote.
Con l'ordine ch'io veggio in qodle moto.
Non hanno molto a vdger qoollo mote
S' egl' intende tornare a qoesto mote
Però ti eoa moscato in qoesto roote.
Rendon dolce armooia tra questo raoto.
Possan uscire allo stellate rooio.
Avendo gli occhi alle superno ruoto,
s E quella poi, ginuido intomo, scuoto :
V Non avea caso di (kmiglla vOto ;
S'olio non don di lunga grazia vote.
Più tornano all*ovll di latto voto.
mFdiot$ ignei
s OscNina, $tmetu$
malahòtKI
J)mu Sàbaòth,
e Qnosii 4 Membrotto, per lo col mal ooto.
Mi disse, appresso il tuo poorll ooto.
d Cui questo régno è suddito o devoto.
De' sud oomandamenti era devoto.
S'io tomi mal, lettore, a qool devoto
Io rispod : Madonna, d devoto,
r Sotto 11 governo d' on sol raleoto,
1 Più non d avrai, se non pasmndo U loto.
asMatoralmeote fU sì ratto moto.
Non scese mai con sì vdooe moto
n Come '1 suo ad altrui ; eh' a nullo è noto.
Che non per vista, ma per soooo è noto
Cominciò egli, non ti sarà noto
Non dlmos rato, ma fla per sé noto,
p Lo mie peccata, e *1 petto mi poronoto.
— 87 —
ove
go è laggiù da Belxebù remoto
[{ìxel cooiixie ohe pib è remoto,
lual dal merlai mondo m*h& remoto,
guarda 1 corchi fino al più remoto.
remoto) ri moto
ià«, Pléglkt, tu gridi a roto.
li&mlo stare, e non parliamo a voto;
te rirolve, eome raoie, a voto,
rilegate per manco di voto.
/Uggir ini, lasciò qui il luogo voto
oou>) -moto
procedemmo più avanti allotta,
tr mi pskrve on tal dlfloio aUotta:
nella mandria, fortunata allotta,
ripeti&m PigmalTone allotta,
ruol saper, mi disse quegli allotta,
eravamo tutt'e tre allotta,
laudo V emiqwrlo nostro annotta.
Ito *1 d\ dura; ma quando s'annotta,
tórre il blasmo. in che era oondotta.
puoi veder che la mala condotta
m Batara, che in voi sia corrotta.
D che *i destro piede è terra ootta,
n ▼* era mestier più che la dotta,
a quel ben ferire ond'olla è vUotta,
la voglia sua dell'oro ghiotta;
le l*ombr*era da me alia grotta,
uca mio; che non v'era altra grotta.
lati quinci e quindi dalla grotta.
k la lesta, uscia taor della grotta,
oali accolte forao quella grotta,
ktevene su per questa grotta :
liù oltre dnqu'ore che quest'otta,
o *1 peculio suo quoto pernotta,
una pstrte, taor ohe l'oro, è rotta
compier, che qui la via fta rotta,
do di lussuria ni sì rotta,
color dinanzi vider rotta
opo eè te le persone dotte;
[aanati venite alle mie rrotte ?
* Parnaso a ber nelle sue grotte.
il come quei che va di notte,
ido Ibor della profonda notte
9 l^T^l d* abisso cosi rotte 9
•tu
> e GiOTannl e Jacopo condotti
el moo pomo gli angeli ùk ^biotti,
qoal fùron maggior sonni rótti ;
1 84 187
fl 82 111
8 8 48
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a 87 87
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1 14 114
1 81 110
1 81 118
8 87 88
1 14 118
1 81 114
1 5 06
8 8 88
a 88 88
a 1 48
a 88 66
8 88 67
a 1 44
a 1 48
a 89 78
a 88 74
a 88 78
dbo ne soleva essere addotto, 1 88 44
Itrimenti l'anitra di botto, 1 88 180
La » me : Chi t' ha dunque condotto 8 18 180
;li » me : Sì tosto m' ha condotto 8 88 86
colai che l' ha quassù condotto, 8 80 140
ran disio, diretro a Quel condotto, 8 4 89
)rre al ben con ordine corrotto. 8 17 186
trcb* Lo mi sarei bruciato e cotto, 1 18 48
Ili» mia col suo pianger diritto. 8 88 87
uo} disotto
lor cbe ben conobbe il ral^otto, 8 8 87
l loro abbracciar mi facea ghiotto. I 16 81
e al fk della vendetU ghiotto: 8 17 188
: Coetoi oh'ò meco, e non fa motto. 8 18 141
>oxne si storce, e non te motto : 1 84 66
ei»" io a dir, se puoi, te motto. 1 19 48
t poartier. oh'ancor non facea motto. a 8 78
[»o a' miei flglinoi senza ter motto. 1 88 48
ctii rivolsi al suon di questo motto, 8 8 86
o ^laestro ancor non fece motto 8 6 7
ti cilpose, sin mi giunse al rotto, 1 18 44
2>itoma su crucciato e rotto. 1 88 188
ye. pur me. e '1 lume ch'era rotto. 8 6 8
» r&lo di Dio sarebbe rotto, 8 80 148
jjvam per enUt> *1 sasso rotto, a 4 81
., «ftove pareami in prima un rotto, a 8 74
e Disse '1 Maestro, è Giuda Soariotto. 1 84 88
Fosse gustata senza alcuno scotto. 8 SO 144
Non poterò avanzar : quegli andò sotto 1 88 188
Un non sapea ohe bianco; ed al di sotto 8 8 88
Degli altri duo, C hanno '1 capo di sotto, 1 84 64
Vidi una porta, e tre gradi di sotto, 2 9 76
Io ti sredea trovar laggiù di sotto 8 88 88
Gittate mi sarei tra lor di sotto, 1 16 47
Questo triforme amor quaggiù di sotto 8 17 124
Lo ranio da sinistra a quel di sotto. 8 6 6
E piedi e man voleva '1 suol di sotto. 8 4 83
O qual che so', ohe *1 di su tien di sotto, 1 19 46
L'anima mia. del tormento di sotto; 8 13 137
Ed io senti* chiavar l' uscio di sotto 1 83 46
•Ta
0 L'aquila da Polenta là si oova, 1 87
g Seguette, come a cui di ben ter giova : 8 9
L'alma sorprende, e di voler le giova. 8 21
Però col prego tuo talor mi giova. S 13
Ma, perchè sappi che di te mi giova, 8 8
Che porta il lume dietro, e sé non giova. 2 28
1 L'imago al cerchio, e come vi s' indova: 8 33
mCh'io solva il mio dovere, anzi ch'io muova: 8 lo
Spirito eletto, se tu vuoi ch'io muova 8 18
l veggio intorno, come ch'io mi muova,
41
84
68
147
187
68
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43
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se
70
134
46
139
126
Spirito eletto, se tu vuoi ch'io muova
Mi veggio intorno, come ch'io mi muova, 1 6
Più ch'm altra conviene che si muova 8 86
Si sente si, che surga, o che si muova 8 81
n (Y. nuova) nova
Onde la luce, che m'era ancor nuova. 8 8
Perchè se cosa n'apparisce nuova, 1 14
E progenie discende dal del nuova. 8 28
Oh quest'è ad udir sì cosa nuova, 8 13
Colui, che mai non vide cosa nuova, 8 10
Regola e qualità mai non l' è nuova. 1 6
Questa lor tracotanza non è nuova; 1 8
Tal era io a quella vista nuova ; 8 33
Questi fta tal nella sua vita nuova 8 80
p Io sono al terzo cerchio della piova 1 6
E l'altro di', che si fa d'està piova 1 1 14
Che si alti vapori hanno a lor piova, 8 80
Della mondizia il sol voler te prova, 8 21
Beato spirto, dissi, e temmi prova. 8 9
Non sbigottLr. eh* io vincerò la prova. 1 8
La terra cbe te' già la lunga prova, 1 27
Fuor di sua regTon, te mala prova. 8 8
Fatto averebbe in lui mirabil prova. 8 80
Lo vero, in che si fonda questa prova. 3 26
r Quando dicesti: Secol si rinnova; 8 22
Per misurar lo cerchio, e non ritrova, 8 88
Sotto le branche verdi si ritrova. 1 27
% Sempre natura, se Fortuna trova 8 8
La qual senza serrarne ancor si trova. 1 8
Che ciascun ben, che fuor di lei si trova 3 26
Novello a noi. perchè qui non si trova. 8 10
Ed io allor: Blaestro, ove si trova 1 14
ove
a Non ti potria menar da me altrove. 8 4 66
In una parte più, e meno altrove. 8 13
Son li consti occhi tuoi rivolti altrove 1 8 8 120
e L'altra dubltazion che ti commuove 8 4 64
d E questo cielo non ha altro dove 8 27 109
Il variar che tenno di lor dove ; 3 22 147
E vidi scendere altre luci dove 8 18 G7
Qiiaro mi ta allor com' ogni dove 8 3 88
I quali andavan, né sapevan dove, 8 13 126
Ond'egli a me: Avaodo sarai, dove 1 33 106
Parer mi (èco in volgermi al suo dove 8 18 SO
g Rimasero ordinate, si che Oiove 8 18 96
Già tutto il mondo quasi, sì che Oiove, 8 4 62
Quindi m'apparve il temperar di Oiove 8 22 146
Com' io vidi calar l'uocel di Giovo 8 32 112
Di sua potenza centra 'l sommo Giove, 131 92
E se lidto m' è, o sonxmo Giove, 8 0 118
mPerchlo: Maestro mio, questo chi muove ? 1 83 104
Solo ed etemo, che tutto '1 elei muove, 8 84 131
Pur eome gli occhi, ch'ai piacer che i muove 8 12 26
II mozzo, e tutto l'altro intomo muove, 8 27 107
Cantando, credo, il ben ch'a sé le muove 8 18 99
Le braccia, ch'el menò, giammai non muove. 1 81 96
Quivi sostenni, e vidi com* si muove 8 82 143
Perchè non toma tal qual ei si muove, 8 13 122
ove
Non hft poi Am, perchè non »! muore 8 7 68
Ella è quel m*re, al qoal tolto ti mooTè 8 8 86
E se nulla di noi piata ti muove, 9 6 116
La gloria di Colai ohe tutto muore 8 1 1
n Alla Tirtnde delle eoee nuove. 8 7 78
A ben manifeetar le ooee nuove. 1 14 7
Non che de* fiori e delle focile nuore. 8 89 114
Del cuor dell'una delle lud nuove 8 18 98
o Lo Moondo firon dal terzo, ed ove 1 14 A
p L'amor cbe^l volge e la vir ù eh'eiplov6 8 87 111
Veggeodo la cagion ohe '1 flato piove. 1 88 106
Ciò che da eeea tenta mezxo {dove 8 7 70
Fuoco di «peasa nube, quando piove 9 89 110
Anche la verità, ohe quinci piove 8 94 186
Del sommo ben d* un modo non vi piove. 8 8 80
E di ciò sono al mondo aperte prove 8 18 194
Pialte ha nome; e léce le gran prove, 1 81 04
Ed a tal creder non he io por prove 8 94 188
r Che dal eoo letto ogni pianta rimuove. 1 14 8
•vi
mE gli oochl A andando, intorno ainovl. 1 98 76
n Venta ti pian, che noi erevam nmovi 1 88 71
p Esperienza, se giammai la provi, 8 8 66
r Tre specchi prenderai, e due rioamovi 8 8 07
Tr'ambo U primi gU occhi tuoi ritrovi 8 9 60
t Per ch'io al Duca mio: Fa' che tu trovi 1 .98 78
ovo
mMa per quella virtù per cui io ainevo l 19 01
n Che mi commise qneet' ufleio nmovo ; 1 19 88
p Danne un de' tuoi, a cui noi tiamoa pruovo 1 19 88
osto
n E chi rubare, e chi elvil neroslo,
o S' ailàticava, e chi si dava all' omio i
■ Sen giva, e chi s^uendo saoerdoBio,
8 11 7
8 11 0
8 11 6
1 Con gU occhi vòlti a chi del (kngo invoss» 1 7 196
mEd un eh' avea l' una e l' altra man mossa 1 88 108
p Cosi girammo della lorda possa 1 7 197
s SI che '1 sangue (hcea la <kccia sosse, 1 98 106
Quest'inno di gorgogllan nella stressa* 1 7 196
Con la lingua tagliata nella etrossa, 1 98 101
b Nazione, e duo corone han fktto bosse. 8 18 188
mLa sua scrittura flen lettere mosse, 8 10 184
8 E parranno a ciascun l' opere sosse 8 18 186
o In etemo verranno agli duo oossl j 1
mCol pugno chiuso, e quelU oo'crin mossi. 1
s La sconoecente vita, che i fé' sossi, 1
o Che giova nelle fkta dar di oosso 7 18
Per uon smarrirsi, e per non dar di ootso 9 16
g- Ne porta ancor pelato '1 mento e il rosso. 1 0
mA cui non puote '1 On mai esser mosso, 1 8
E qual forato suo membro, e qoal mozzo 1 98
Pur: Guarda, che da me tu non eie mozzo. 9 16
s 11 modo della nona boi ia sosso. 1 98
M'andava lo per l'aere amaro e sozzo, 9 16
t Ciascun Pugliese, e là da Tayliacosso 1 98
a Con esso un colpo per la man d'Artù ; 1 89
t Se Tosco se', ben dèi saper chi e' fa. 1 89
p Col capo si, ch'i' non veggi' oltre più; 1 89
« Sopra la qual doppio lume s'adduaz 8 7 6
r Non è fkuitin che sì subito zoia 8 80 89
■ Coti, voljrendoti alla ruota sna, 8 7 4
Molto tardato dall'usanza sua; 8 80 84
t Superiti ttttrans clariUUe tua 8 7 fi
Ma è difttto dalla parte tua, 8 80 80
e Rivide, e là dov*Bttore el ouba:
ff Donde discese folgorando a Oiuba;
t Dove sentia la pompeiana tuba.
8 (
8 i
8 (
i Quando Qionone a f uà ancella imb«
a Del mio Maee . usol' fbor di tal n«b«.
Come n volgon per tenera nate
r O immaeinativa, che ne mbe
t Nostre sirene in quelle dolci tabe.
Perchè d'intorno soodIb aaiUe tube,
«M
e T*banno mostrato i Serafl e i Olierabl,
d E Quella, che vedeva i pensier dabi
a Al ponto Osso che gli tiene ali* abi»
«ter*
o Che. (uggendogli Innanzi, dal oolùtero
d Che Al serrato a Giano il suo delubro.
r Con ooetui corse insino al lito mbros
b lUretr'a noi. che troverai la baea.
Già torto taae della sepolcral baca.
Ch'io vidi duo ghiacciati in una bq
0 Se lungamente l'anima oondnoa
E come vivo wt che si conduca.
d Ricominciò : Ta vuoi eh' lo mi dedaea
Mi traggo a ragionar dell'altro dvea.
Però sappi eh' io son Guido del Doea.
Per la {mpaodata via, retro al mìo Doea;
E secuitava l'orme del mio Duca.
ParoM fùron queste del mio Do^ :
Per altra via mi mena il savio Duca,
Promesei a me per lo verace Doea;
i Degno è, che dov'è l'un l'altro s'indaea
1 E vengo in parte, ove non è che laoa.
Una gridò : Ve*, che non par che loca
Così la gloria loro insieme luca.
Ed ecco, si come ne scrive Loca
£ se la Ouna tua dopo te luca,
mB come '1 pan per dune si maad-aea,
a Là *ve '1 cervel s'aggiunge ooUa amoa.
r Vuol andar su. poi^ '1 Sol ne rilaeas
t Ma da che Dio in te vuol che tralaca
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9 Ei mormorava ; e non so che Oentaeoa 1 1
1 E ee' Alessio Interminei da ILaoea : 1 1
Piò d' un ohe d' altro, fé' io a quel da Looes. 1 1
p Della giustizia che sì gli pilnooa. t \
s Ond'io ntm ebbi mai ia lingua stnoca» 1 \
s k.à egli allor, battesdoel la saoea : 1 ]
mB di Franceechi sanguinoso maeehie, 1 1
s Là. dove soglioo. fhn de' denti aiaoebiow 1 1
V E U mastin vecehio,e 'innovo daVarracalde 1 1
a Alle cumle Slzii ed Arriraeot.
b Sacchetti, Giuochi. FUkatl e Barmoel.
o Lo ceppo, di che nacquero i Oaltaoei,
'^ ' io 1 vidi uomo di sangue e di e
9^
81
SI
li
(V. corrucci) oraooi ,
t Sì come a muleh'io ftd: soo Taaal Faeet 1 a
aiEd io al Duca: Digli che noa mneel.
««et»
b Muoversi pur su per Teetrema bvoelas
o Chi è colui. Maestro, che si eraoela,
a Diss'io. e coi più rossa Aamma •aoetaff
a Dinanzi quel che *1 tempo eeco addaoa,
o Fece li deli, e die lor chi ooadaea.
Che su e giù del suo lume oondooe,
d Che quel della mia tuba, ebe dedaeo
Cerchiando '1 mondo, del soo caro daoa«
Ordinò general ministra e duce.
lì
19
IS
1
9
W
eer» di costoro, e chi U duce. 8 18 67
tao pUc«re om&l prendi p«r daee; 9 97 131
fu sommo cantor del sommo Duce. 8 95 79
Alo ancor ne splende 11 sommo Duce. 1 10 109
atto e Toce di spedito duce 8 80 87
Msa Tlen ciò che da lace a l«o« 8 9 148
rirtù mista per lo corpo luce, 8 9 148
lido tutto al carro della loce, 9 4 89
lo intelletto tao V erema luce. 8 5 8
rlbaendo egualmente la luce : 1 7 76
Teggiam, come qoei e* ha mala laoe, 1 10 100
to. àia noi segolTa la mia lace. 8 91 80
maggior corpo al del eh' è pura lace ; 8 80 88
molte stelle mi Tien questa luce ; 8 98 70
'egli a me: Se Castore' e Poliuo* 9 4 61
xwe generate, che produe* 8 18 68
t è formai prlndolo che produce. 8 9 147
a gloria fotura. Il qual produce 8 96 68
quella terra sol da sé produce. 9 97 186
t U Sol, che in la fronte U nino* ; 9 97 188
altra cosa vostro amor sadno*, 8 6 10
la poi più 0 man traino* : 8 18 60
conosauto. che quivi traluoe. 8 6 19
x>lor d* oro, in ohe raggio traluca, 8 91 98
mia memoria labili e oadmol. 8 90 19
lo nuoTO cammin. tu ne ooadmol, 9 18 17
Tor de* ciechi che si fknno duoi. 9 18 18
ti Tid'lo allur, come a lor duci, 9 99 64
or dén sempre li tuoi raggi duci. 9 18 91
e U s^no del mondo e de' suoi duei 9 20 8
1 caiMJUff giammai di qua non tuoi. 9 99 66
sa, disse, vèr me l'acute Imoi 9 18 16
icaldl 1 mondo, tu sovr'esso luci ; 9 18 19
eli* affatto delle vive luci, 9 90 69
» che tutte quelle tIto luci, 8 90 10
mi dimostri amore, a cui riduci 9 18 14
tutto il tempo ohe '1 AiocogU abbruoi* x 9 98 187
la piaga da sesxo si rlouoi». 9 96 180
««•
) si conTerrebbe al tristo bnoo,
senza tema a dicer mi ooadmoo.
remerei di mio concetto il suao
1 89 9
1 89 6
1 89 4
che conviene ancor eh' altri si ohlud», 1 88 94
;iarato da quella Erlion omd», 1 0 98
, coma la morta mia fo cruda, 1 83 90
di passando la vergine cruda 1 90 89
trama un spirto del cerchio di Oluda. 1 0 97
la qoal si distende e la lapalud», 1 90 80
e pertugio dentro dalla muda, • 1 83 99
a coltura, e d'abitanti nuda. 1 90 84
oco ara di me la carne nuda, 1 0 95
•caldo (brro mai, né battè aaouda. 8 94 109
Sol più oltre, cosi *i del si cliioda 8 80 8
Ita oblivTon chiaro oonoMuda 9 88 08
oaizTt», che si ti conchiude. 8 94 08
Baserà al dover le genti cruda. 8 8 48
9 che intasar le parole crude. 1 8 109
dar mai in alcun tanto crude, 1 80 98
» : La prova che '1 ver mi disobluda 8 94 100
ado inohiuso da qual oh* agli iaohiuda 8 80 19
altrlxnaDti *1 trionfo, che luda 8 80 10
tuell* anime, ch'eran lasse e nuda, 1 8 100
i* lo vidi due ombre smorte a nodo, 1 80 90
manta oramai saranno nuda 8 88 100
osto fla che Padova al paluda 8 8 46
)cehier della livida palude. 1 8 88
rafflianiaato ed Adica rloltluda ) 8 8 44
a scovrire alla tua vista ruda. 9 88 109
1 pcM^M. quando del pordl si schiuda. 1 80 97
8 98 196
8 98 124
8 96 193
adi
;inM> è tutto d' angelici ludi.
a ne* duo paauliiml tripudi
a Dominauooi, e poi Tirtudi ;
«do
0 Poi. di sonetto pieno e d' ira crudo.
Benigno a sud, ed a' nimld crudo.
Quel pria, eh' a dò Aura era pt6 crudo.
d Dentro vi nacque l'amoroso drudo
A me rivolse, quel feroce drudo
1 O tu che leggi, udirai nuovo ludo.
• Tanto, che sol di lei mi foce aondo
Sotto la protezion del grande scudo,
Lascisi il collo, e sia la ripa scudo,
a Assai mi fu ; ma pr con ambedua
Dico con runa, o ver con ambedue.
Or va*, che un sol volere è d'ambedue:
Dell' un dirò, perocché d'ambedue
Ad artigliar ben lui, ed ambedue
Del mio Maestro i passi ; ed ambedue
Lo mio Maestro ed io soli ambedue
E misegll la coda tr' ambedue,
(V. amtedtM) ambodue
b La prime eran cornuta come bue ;
d Ventiquattro seniori a due a due,
Se vud saper chi son cotesti due.
Ed lo rimasi in via con esso due.
Ed eran due in uno. ed uno in due :
Disse : Volgiti in qua. vedine due
Che del Atra e del chieder, tra vd due,
f Mio figlio fo, e tuo bisavo tue :
Ma il benedetto Agabito. che ftae
A dimandarla umilmente chi fbe.
E tal eolisd credo che in del Aie,
Ed Ismene sì trista come fue :
Così per una voce detto Aie.
E quando innanzi a noi sì entrato fue.
Cdul vedrai, colui che impresso ftae.
Del padre loro Alberto e di lor fue.
Tamto che '1 dnghio sotto i pie mi foa.
E, Beati miaerioorden. Aie
Così gli dissi; e poiché mosso Aie,
Ellera abbarbicata mai non Aie
Che l'umana natura mai non Aie,
Slmile mostro in vista mai non Aia.
Quando diritto appiè del ponte Aie.
Diretro a tutti dioeao : Prima Aie
Del nostro Pellicano, e qtiesti ftae
Tanto s' area, e: Deh chi siete 1 ftaa
Lo caldo sghermidor subito Aie :
L'altro per sapienza in terra Aie
B questa è la ragion perché 1* uom Aie
g Quando mi disse : Volgi gli occhi in viua:
Per la fìreddura, pur col viso in gius
E vidi uscir dell'alto, e scender giua
1 Onde riguarda come può larviùe
p Simonide. Agatone, ed altri pina
Or (s*io non procedesd avanti plue).
Tua cognazione, e che cent'anni e pine
O quanta e quale vld' io lei far due.
Che la sembunza non si mutò plue :
Una natura in Cristo esser, non plue.
La Donna mia così ; né però plue
a Sì avieno inviscate l'ale ane.
Quand' io parlai, all' allegrezza stia I
Additandomi un balzo poco in sue,
Tadto poscia riguardare in sue.
Per r altrui membra avviticchiò la sue.
Della vagina delle membra sue.
notabili flen Topen
Perchè ad un line fhr l'opere
Che notabili flen l'opera sue.
Come la mente alle parole sue ;
Per aroreesame le parole sue.
Mi drizzò con le parole sue.
Sì mi prescrisser le paro e stae.
Posda, che prima, le parole sua.
Pd procedetter la parole sue.
Sì mi sprooaron le parole sue,
Prode acquistar nelle parole sua;
Mise Aaor teste per le parti sue.
Tronche a privata delle punte sua.
Che vedesse *1 Qiordan le rede stia.
E dimanda se quind si va sue.
Dtmqoa a Dio oonvenia con la via sua
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— 90-
t Sieno 1a eterno le bellezxe tn«.
Tatti caatavan: Benedetta tue
Quivi «i veggloa delle genU toe
Tu Rli racM)rei con l'opere toe.
Cominoerebber le parole toe.
S\ al venir, con le parole toe.
Veder lo letto delle piante toe.
E di noi parli por, come le tua
Entra nel petto mio, e spira toe
SS» 87
S SS 86
s SS loe
8 18 sa
8 18 80
1 S 187
S 18 10
s 16 se
8 1 18
a Qoando 1 fklcon s'appreeaa, giù e^attufla ;
b Or pool, flgliool. veder la corta bnSa
ito Calcabi
ibrina della bolla,
mLe ripe eran grommate d'ona nufla,
r Per ohe romana gente «i rabbuffa.
a Nell'altra bolgia, e che col moto sbullav
■ Che con gli occhi e col naao ftusea amffa.
Che qoei campaste, per aver la sa£Dk.
Ha tolto loro, e posto a qoesta soflk:
mga,
a Di qiiel che U eiel della marina asoioffa, S
Che rimagine lor vie pift m'asdoga, 1
t Del loco, per mal oso che gli Irura. 8
La rigida giustizia, die mi droga, 1
Rivolti al monte, ore ragion ne finga; S
A metter piò li miei sospiri in tnya. 1
Virtù cosi per nimica si Alga 8
Avvegnaché U sobiiana fOga 8
a E *1 fummo del rosoel di sopra adagia 1
Che la terra cristiana tutta adoggia, 8
b Quale 1 Fiamminghi tra Gassante eBmwla 1
1 SS 181
1 7 ei
1 ss 188
1 18 106
1 7 68
1 18 104
1 18 108
1 SS 180
1 7 58
Ma se Doagio. Goanto, Lilla e Broggla 8
f Fanno lo schermo, perchè *1 mar si forvia; 1
g Ed io la cheggio a Qoei che totto vluwia. S
«Via
p Tra Io gambe pendevan le mlBOvla; 1
mCom' lo vidi on, cosi non si pertuvl»t !■
t Che merda th di qoei che si traavovi** 1
«Vlo
b Su per lo collo, come fosse bn^lo. 8
Questi che vive (e certo io non vi boglo) 8
1 Così, rimosso d'aspettare indnvlo, 8
Ricompie forse negligenza e Indogio 8
p Prende soa forma, e sì o<»ne al partuvlo 8
Però ne dite ond' ò presso '1 pertogio. 8
14 86
80 68
14 88
80 70
8 8
80 78
14 87
8 1
16 a
80 44
16 4
SO 46
16 6
SO 48
88 86
88 88
88 87
80 87
18 108
80 86
18 107
80 88
18 111
a Quale qoei cane, eh' abbaiando affu^aa,
p Che solo a divorarlo intende e puvna ;
Prese la terra, e con piene le pogna
Centra miglior voler, voler mal pogna;
s Trassi dell' acqoa non sazia la spuvaa.
ni
a Procacclam di salir pria che s' abbui ;
1-. (fisamente già ta apposto altrui.
Dell'acqua, più che non suol con altrol.
Con ranermar che fa credere altrol.
Questi si tolse a me, e diessl altrui.
Qual si fo danno del ben furo altrui.
Fan di Gain favoleggiare altrui %
Che soole a riguardar giovare altroL
Ma rivolgiti ornai inverso altrol ;
Sì eh' io la vegga, e eh' io la mostri altro! ;
.jual se' tu, che così rampogni altroii
Kisposer tota, il satisfKre altrol.
Ma (h sua voglia della voglia altrol,
A seder ci ponemmo ivi amba dui
i:: mantovani per patria ambedoi.
a Se mai sarai di fuor de' luoghi bui.
Però, se campi d'esti looghfbai.
Ma Aitemi, cne son U segni boi
o Lo Duca stette: ed io dissi a oolul.
Guardai, e vidi l' ombra di colui
^o **^o, ma' che al parer di colol.
Chi é più scoUerato di colui
VI si mostrò la suora di colai
1 6 88
1 6 80
1 6 86
aso 1
8 SO 8
8 17 68
1 84 188
1 8 80
8 86 106
8 80 186
8 6 188
8 8 61
8 4 64
8 SS 18
8 16 68
1 88 87
1 16 80
8 88 181
8 4 68
1 1 60
1 84 141
1 16 88
8 8 48
1 88 86
1 8 68
8 sa 17
1 SO 88
a 83 180
Sì ch'Io m*esca d'on dobhlo per eoaSola
Di quella vita mi volse costoi.
Folco mi disse qoella gente, a e«l
Drizza la testa, drizza, e vedi a eoi
Se Giove stanchi il soo labbro, da eoi
Looe la loco di Romeo, di cui
Pam fliascona rubinetto, in coi
O gloria de' Latin, disse, par col
O donna di virtù, sola per eoi
Oratia Dei I tieut Ubi, cut
f La beUa imago, die nel dolee fruì
Incontanente Intesi, e certo fui.
Riqwsaml: Non nomo; uomo già ftil;
E tosto eh' io al primo grado rai,
Qoando ti gioverà dicere : i* fkd
O pregio etemo del loco oad' i* ftal,
Boggea siede e la terra, ond' io fbl.
In giù «on messo tanto, perch'io ftai
Tosto che '1 Doca ed io nel legno Ad,
Siede la terra, dove nata Ibi,
Poiohò di rigoardar pasdnto ftai.
Onde l'oltimo di percosso fui:
Così, pd die da essa pteso fui.
Ver è di'altra fiata qoagglù fbi
Si tosto come in so la soglia fui
E qoind e qoindl stopefktto ftal :
Qoal fosti meco e qoale io teoo nd.
Tosto di* al pie della soa tomba ftai,
h Alto sospir. che duolo strinse in l&ul,
1 Così qoei lume ; ond* io m'attesi a lui t
Mostrando gli occhi giovinetti a loi.
MiMrere di me. gridai a loi.
Mi pinser tra le sepdtore a Ini,
Di te mi loderò sovente a loi.
Ch'io mi sforzai, carpando af^rMso lui.
E pd mi fece entrare appresso lai.
Cosi disse '1 mio Doca; ed io con loi
Donnescamente disse : Vien eoo loL
Ma i Provenzali che f&r centra loi
Lo mondo é cieco, e to vien ben da luL
Cb* io domandava *1 mio Doca di loi.
(ungesse
loli^:
loi.
Di me s* impronta, eom* io fé' di lui ;
Che ne* miei occhi ritirai * *
Longa fiata rimirando 1
Com^esser posso più. ringrazio Lai
kd omllmente ritornò vèr lai,
n Incontra, mi rispose, che di aui
r Se. com'io dico, la vista ridul.
Per che gridavaa tatti : Dove rul,
• Da qoei del, eh* ha minor U oercfal «ul |
Che richiamava l' ombre a' corpi «oL
A Dio spiacenti ed a* nemid sol.
Per aver pace co' seguad soL
t Mi dimandò : Chi Air gU maggior tul f
▼ Nd odiremo e parleremo a ▼ul,
ni»
a 61 come riso qol, ma giù o* abbuia
Tal d partì da cantaro all«lul«,
Perch'a lor modo lo intdlotto attula,
b E forse che la mia narrazioa buia.
Mostrargli mi coovien la valle boia:
f Non è ladron. né io anima fuia.
Voglia di sé a te poote esser Ada.
Messo di Dio anciderà la Ada,
1 Dio vede totto. e too veder s* Inlnla,
nien»
a Qoal ella sia, parole non d appuloro.
p Bfal dare e sosa tener lo mondo puloro
a Qoesti risorgeranno del aepuloro
1 Ma lietamente a me medeama ladulvo
r Conlzza Aii chiamata; e qol rafulg^,
▼ Che forse parrla fbrte al vostro tuIco.
mUm
b Rimanea della pelle totta brulla.
Sé per sé stessa, a goisa d*una bulla
e Che di sd ale fknnod ououUa,
L* ona vegghiava a stadio ddla culla,
f Prima che sia, a goisa di fanciuUa,
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8 8
816
8 16
— 91 —
une
M in mi» rislooe una teodalla, • 17 M
▼eggl*. per mexzal perdere o lnll«, 1 88 89
peccatore, a galea di mftoinlla, 1 84 00
la sua eepoltora; ed aacor ai&lla 8 16 118
i*io. beato spirto; ti che nulla 8 9 74
nel dlnanil il mordere era nalla. 1 84 68
che per Ira hai Toloto eeeer nulla 1 • 17 86
alma eempllcetta, che la nalla. 9 16 88
itraeee ; d' aggaagUar earebbe nalla 1 98 SO
qoe la voce toa. che U del traatuUa 8 8 76
wttor toma a ciò che la teraetolla. 9 16 80
pria U padri e le madri traetolla; 8 16 198
io dal mento inein dove ei trulla. 1 98 84
MI por lo eoo tangoe è Iktto brullo 9 14 81
a casa da Calboli. ove nullo 9 14 88
ben richiecto al Toro ed al trastullo | 9 14 88
Il del Telodnimo m* Impulno. 8 97 00
i Tirtò, che lo igaardo m'indulso, 8 97 07
lo piacer divin, che mi rltulao, 8 97 86
«14o
a fiamma d' amor non è adulto.
perchè Dio voleMe. m* è oooulto
\u> decreto, ùato, eia sopulto
oli* dir : Beati, coi alluma
ido coloi che tatto U nuwdo alloma
che non pooto perchò '1 elei 1* assuma.
1 fiomo d'ogni parto ai consuma,
a la qnal, chi eoa Tita consama.
petto lor troppo ditio non fuma,
oente, che qol lace, in torra fbma;
» '1 Maestro, che. seggendo in piuma,
roote. e beo eenti* muover la ^ama.
to rapporta, ti che non presuma
fumo In aere, od in acqua la soliiuma.
non sentito di cotanto aoume.
ler oonviensi per lo forto acume :
inserendo nel primiero acame.
»lti ila savor di forto arrume.
r lo monto, del cui bel oaeumo
aai su Bismantova in cacarne
•andò r abertà del suo cacume.
a. moneta ed ufldo e sostumo
uo, senza mercè di lor costume,
jxzìM ed accidenti e lor costume,
DO per lo naturai costume
sappia quali sono, e qual costume
libilo, fuor di tutto suo costome.
ate gik dall'onde del bel fioma,
loto voi. ohe oontra *1 cieco fiume
mi parve un mormorar di fiume,
genCa alla riva d'un gran fiume:
scenda della mento il fiume.
pondo di parlar si largo fiume 1 1
flanima del Sol, che pioggia o fiume 8
La.1 grazia, l'altissimo lume
linciai, di veder l'alto lume.
av&n si la sua bcda di lume,
li »lirl poeti onore e lume.
>eransa mi dava e (iscea lume.
o diaceroo per lo fioco lume.
vitèi del suono, e 1 grande lame
-1» per lo del di lume in lume,
•plendor, eh' io pensai eh' ogni lame
. bski, figlio, dentro a questo lume
mio vidi, ohe raggiava lume
^ ob* lo dico è on semplioe lume.
> vidi ingenunato il sesto lome,
r»do ohe eplendesee tanto lome
»eo ti ricordi e vedi lume,
ovooo a scaldar le fredde piuma {
on 1' »U snelle e eoo le piume
Mt «oò trovar poea In sa le piume,
* «.Ito volo ti vesti le piume.
i, «Dovendo qoell' onesto piome
8- 7 60
8 7 66
8 7 68
9 94 161
8 SO 1
8 91 loa
8 80 8
1 94 40
9 94 168
8 91 100
1 94 47
8 84 149
8 81 08
1 84 61
8 1 84
8 98 18
8 89 76
8 17 117
8 17 118
9 4 96
8 90 91
9 6 146
8 89 78
8 88 88
8 91 84
1 8 73
9 88 66
8 88 68
9 1 40
8 90 10
1 8 71
9 18 00
1 1 80
_ l 80
8 89 71
9 18 86
9 1 88
1 1 89
9 4 80
1 8 76
8 1 89
8 17 116
8 91 89
8 16 69
8 88 16
8 88 00
8 90 17
9 98 64
9 6 148
8 91 86
8 4 98
9 6 160
8 16 04
9 1 49
• Se tosto grada risolva le seliiuma 9 18 88
▼ Tratto leggendo nel magno Toluma 8 16 60
OU miei da ciò che pare in qoel volume, 8 98 14
Che m'han fatto oeroar lo tuo volume. 1 1 64
Legato eoo amore In un velame, 8 88 86
«mi
0 Io gli sovvenni, e lor dritti oostuml 9 99 86
NeU'aUto di Dio e ne' costumi, 8 S8 114
f F pria eh' lo conduoead i Gred a' fiumi 8 88 88
Ma per paura chioso Cristian fu' mi, 9 98 90
Del poverel di Dio narrata taml, 8 18 83
Flato, mentre oh' io in terra Ai' mi. 8 80 183
1 Si sigillava; e totti gU altri lumi 8 88 110
B vidi lai tornare a tatti i lami 8 86 181
Bd atteserd a nd quei santi lami, 8 18 89
n Ruppe 1 silendo ne^ conoordi nxuni 8 18 81
▼ Quattromila trecento e duo Tolumi 8 86 119
Lo real manto di tata i vdomi 8 88 118
f Portando dentro accidioso fummo} 1 7 198
Flta nei Umo dlcon: Tristi ftunmo 1 7 181
• B fiume poliolar qoest'aoqoa al summo, 1 7 110
a Qoestl la torra in sé stringe ed aduna.
Per eoa bontato il suo raf^iare aduna.
Anche di qua noova schiera s' aduna.
In te magnificenza, in to s'aduna
Quanto veduta non n' aveva alouna.
8\ oome voi: ma oelad in alcuna
Parrieno avere in sé mistura alcuna,
b Awegna che d muova bruna bruna
Quando n' i^tparve una montagna, bruna
Coe\ sen vanno so per Tonda bruna.
Così por entro loro schiera bruna
Surger ver via, che poco le sta bruna ;
0 Che venia lungo l'argine; e ciasouna
Per lo gran mar dell'essere, e ciascuna
Solo ne°parvoletti; poi dascona
Sì mi die dimandando per la oruna
Come vecchio sartor fit nella cruna.
Che noi fosdmo fbor di qoella cruna.
Poscia vijli avventard nella cuna
d Tale, balbuzlendo ancor, dipana.
Si flace la mia seto men digiuna.
Qie d' ogni pasto buon parca digiuna.
Dal suo lucente, che non d disuna
f De' ben. che son commesd alla fortuna,
Ond'ei piegò, come nave io fortuna.
Così (k di Fiorenza la fortuna ;
Forse a spiar lor via e lor fortuna.
Quando 1 geomantl lor maggior fortuna
Se voler fu, o destino, o fortuna,
i L* oom ddla villa quando l' ava Imbruna,
Blaggiore aperta molto volto impruna,
1 Or questi, che dall' infima laouna
Lo lume era di sotto dalla luna.
E oome *1 volger del del della luna
Intiepidar più '1 freddo della Iona.
Tanto, che pria lo stremo della luna
Questi ne porta il foco Invér la luna ;
Che tutto r oro. oh' é sotto la luna.
Raggiar non lascia Sole ivi, né luna.
Guardar V xuì V altro sotto nuova luna ;
Qualunque dbo per qualnque luna ;
r (V. rauma) raduna
Al quale ogni gravezza d rauna.
So. dove *1 meato indietro d rauna,
u Venimmo dove quell'anime ad una
Die diand *1 monto ; e perchè tutti ad una
Oittand di qoel lito ad ona ad ana
Le Vito spiritali ad una ad una,
Forto peroosd '1 pie nel viso ad una.
Ciascun' ombra, e badard ima con una
Non poterebbe (kme posar una.
Sternalmente rimanendod tua.
aB«
b Porge la barba in sulle spalle bruno,
o Sì, che appena rimaser per le cune,
f In Aolide a tagliar la prima funo.
8 1 117
8 18
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80
1 86 136
8 16
80
8 88
99
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81
180 188
1 8 118
8 86
84
8 19
6
1 10
17
8 1
113
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9 81
87
1 16
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8 10
10
8 88 118
6 87 ISO
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8 18
60
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8 16
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8 10
88
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9 10
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116
1 7
64
9 88
88
1 16
19
8 87 188
1 88
74
8 10
18
9 4
17
9 91
86
1 8 116
8 88
S4
1 88
78
9 86
88
1 7
66
8 18
60
1 80 107
1 80 100
1 80 111
QDga
— 92 -
g Oh quanto tarda a me oh' altri qnl vluar» 1
l Che ro<»hlo noi potea menare a lunr»
p Pare a noi converrà viooer la pnasa.
mB Pirro e Setto ; ed in etemo muiiv*
p La divina giaitizla di qua pnnre
r Lo fondo suo, infln eh' ei si r^gginutf
«■fft
D Tu vedrai ben, se tn là ti ooniriunffl*
L Per le tenebre troppo dalla laarl,
p Però alquanto piò te stesso punvi.
«■I
Bb Ed egli a me: Vano pensiero ftdmai :
Dovre' io ben riconqscere alouai,
b Ad ogni conoscenza or gli fi» bmai :
d Se di nuovi vicin fosser dirlaal.
1 Già eran Qnalterottl ed Zaiportaal,
r Avvegna che col popol si rana!
«■•
a E più di dubbio nella mente *d«ao.
Non trovando ì\ in terra cibo alouao.
Non hai tu spirto di piotate alcuno 1
b Lo giorno se n' andava, e r aer braao
Si eh' io però non vidi un atto bruno.
Per lo papiro suso un color brano.
Tu vederai del bianco fatto bruno.
U' non si muta mai bianco né bruno.
Ancor, se *1 raro fosse di quel bruno
Da che fatto fu poi di sangue bruno.
0 Così l'ottavo e 'l nono: e olaaoh«daao
Tanto possiede più di ben oiaaouao.
Tre volte era cantato da ciascuno
E 80 guardi al principio di ciasctmo.
Gli altri duo riguardavano: e ciascuno
Già cieco a brancolar sovra ciascuno.
d Ed io con orazione e con dirlaao.
Che tu entrasti povero e digiuno
Vorrebbe di vederla esser mgiuno.
Solvetemi: spirando, il gran digiuno
Poscia, più che 11 dolor, potè 11 digiuno.
E seguitò : Grato e lontan digiuno.
Dal Torso fu ; e porga per digiuno
lo son d'esser contento più digiuno.
Fora di sua materia si digiuno
Già di veder costui non son digiuno.
g Già di larghezza, che '1 messo di Olaao
mCh'ad ogni morto saria giusto maao.
n Alle prime percosse ! e già aessaao
Non vide mai sì gran ftiUo If ettmao,
p Che fu già vite, ed ora è ftttta praao.
E colsi un ramicene da un gran pruno :
B Vid' io li tre cascar ad uno ad aao
Molti altri mi nomò ad uno ad uno;
Di principii formali; e quei, fuor ch'uno.
In numero distante più dall'uno:
E regna sempre in tre e due ed uno,
Benedetto sie Tu, fu, trino ed uno.
Mentr'io andava, gli occhi miei in uno
Quel traditor che vede pur con l'uno.
Vedi che già non se' nò duo nò uno.
Dell'eterna letizia, che pur uno
Disi' io, senza miracoli, quest'uno
Delle fatiche loro; ed io sol uno
> Ed un di loro Incominciò : Ohiuaaa*
1 Tornate, disse, intrate innanzi dnaqm«,
X Pon mente se di là mi vedesti aaqa«.
k Libero ulOcio di dottore aasnas*,
> E colei che l' aperse e die la pana*,
i La piaga, che Maria richiuse ed aa««,
nasi
Tano, ohe la veduta vi ooasaasi I
r P*r Questo a sostener tanto. ch'Io rinasl •
bondante grazia, ood'io pr«saa«i 8
1 •
8
1 •
6
1 •
7
1 19 186
1 IS 188
1 18 lai
1 81
86
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88
181
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1 7
64
8 16 180
8 16 188
8 16 181
8 15
60
8 18
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1 18
86
1 8
1
9 94
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66
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84
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899
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196
67
1 88
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1 98
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96
1 88
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98
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68
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76
1 18
49
898
89
8 14
83
118
88
1 98
88
8 94 111
1 18
88
1 83
71
8 94
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8 9
71
888
86
8 14
80
8 16
47
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a Looe divina sovra me s' appaata.
Da questo elelo, in cui l'ombra s'apponla
Comincia dunque, e di' ove s' apponta
Or qui alla quistioo piima s'a^ianta
Del trionfò di Oristo fu aasaata.
b Questi (e mostrò col dito) ò Baoaairlaata,
o Tua oonfiMsion conviene esser ooa^oata.
Raab; ed a nosir* ordine congiunta.
Coi la destra del elei fu s\ congiunta.
La eoi virtù, con mio veder congiunta
Della vista che hai in me ooaanata,
Rloomlndò seguendo senza oaat* ;
d La vista in te smarrita e non d«taat«:
g Mi stringe a seguitare alcuna irlaata i
Anzi m' assisi nella prima giunta.
mLa somma eeeenzia, della quale è amate.
Di nominar dascon, da cfa'^è si munta
La lena m'^ra del polmoo s\ monta
p Noi pur venimmo alfine in so la paate
Volgendo 1 suo parlare a me per punta,
t DI là da lui. più che l'altre trapaate,
naie
d C ha le mie fhmdi si da me dlacivate, 1 18
g B quegli a noi : O anime, che vlaat* 1 18
Per che sì fnie guizzavan le giunte, 1 18
p Tal era lì da' calcagni alle poat«. 1 18
Disse : Chi fosti, che per tante punta 1 18
a Qnal sooie 11 fiammeggiar delle ooee «ate 1 18
aatl
g L'antico verso ; e quando a noi fbr si^ntl,
p Prima che sien tra lor battuti e amati ;
a Qual soleno 1 campion fira nodi ed aati,
aaU»
a Che ik natura, e quel eh' & poi avrlaato.
Perchè da lui non vide organo assmnto.
o Allor, come di mia colpa ooaipmato.
Che m* avea di paura il coor compunto,
Di che dasoun di colpo ta componto.
Ed io, eh' avea lor cuor quasi oooapoato.
Che 'l suo nato è co' vivi ancor eoariaato.
Mira quel cerchio, che più gU è eoogloato.
Mentre eh' l'era a Virgilio oongin&to
Coverehla. e sotto 1 cui colmo ooasaato
Qualunque trado In eterno è consunto.
d E discendendo nel mondo deraato.
Perchè '1 prego da Dio era dlsslaato.
Sì die per sua dottrina fo' disgiunto
Vedi 1* entrata là 've par disgiunto.
ir Ma poi ch'io fui arale d'un colle rimato,
E se' or sotto l' emisperio giunto.
Poi si volgea ciascun, quand'era giunto.
Ole quando (ùl sì presso di lor giunto.
Olà era '1 Sole all'orizzonto giunto.
Tu se' omai al i urgatorio giunto :
Però si mosse, e gridò : Tu so' giunto.
mPer gli occhi Ibi di grave dolor mmato.
p Gerosalem col suo più alto paato :
Fatti sioor. che noi slamo a boom ponto :
E là, doV io fermai cotesto ponto.
Per r aflbcato amore, end' egli è ponto.
Uomo sì duro, che non (òsso ponto
Onde nel cerchio minore, oV • 1 ponto
Anzi che sieno In sé. mirando *1 ponto
Quando mi volsi, tu passasti 11 ponto.
Da ogni mano air opposito ponto.
Pia nostra conoscenza da qoel ponto.
Forte soqieso. disse : Da quel punto
Taot'era pien di sonno In so qoel ponto.
Non vedi to ancor: qoesi'è tal ponto
Perchè Aaoco d* amor compia in on ponto
Fermò le piante a terra, ed In on ponto
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r Ed In altrol vostra pioggia rlplmo.
s Tu mi stlUastl eoo Io stillar smp
t Dice, e<dor che sanno '1 nomo tao i
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lira
r la lo» teme waza fin» eupal S 90 19
Metta «U tu, antica lupa. 9 SO 10
'gliocehi'lmal,chetutto'linoadoooo4pa9 90 8
naginl chi bene Intender o«p«
atre ch'io dico, come (torma rupa.
8 18
8 18
api
cesa poi per più pelaf hi oupl, 9 14 89
sto ph trova di can fkrti lupi 9 14 BO
I noa temono ingegno che le oooilpl. 9 14 64
1 è senza ca^oQ r andare al oupo : 1 7 10
ti»e : taci, maledetto lupo ; 17 8
la vendetta del superbo stmpo. 1 7 19
nppe
?Uo che tu ornai U disvilupp*, 9 88 89
^ che 1 vaso che '1 serpente ruppe, 9 88 84
i vendetta di Dio non teme suppe. 9 88 86
frisia. lusinghe e chi aSattura,
U come *1 taooo maovesi in altura,
ntocK, ed io diretro lnv6r l' altura.
BOQ con che coeclenia m* asslQura,
sito m' invita, attesto m' assicora,
«porto ftimml: Di', chi t'assicura
»m la viu di BonaTantura
rebbe al Sol troppo laiga olntura.
n donne contiglate. non cintura
»re, che per l'orribile costura
>Ue ed al& più che craatura,
BUpa stilla, che mai creatura
ita la somma d'ogni crcatuia,
Creatore a quella creatura,
"•uni sopra quella creatura
oere e di naaogiar n'accende cura
eravamo attenti ad altra cura,
ud io mi trasmutai ad altra cara,
per lo monte che l' anime cura,
«io color, quando posi ben cura,
w'*»» l'altro la contrarla cura
u che dimanda con cotanta cura.
Baiando sé di cura in cura,
fonare ancor mi mise in cura;
JDotma mia, che mi Tedeva in cura
w» sssallti soo da maggior cura;
2**™«: Porse maggior cura,
» un poco per me tua maggior cura.
»»»w» ed altri non han di me cura;
•8 non fosse ch'io drizzai mia cura,
l * «* riKffce tutta la mia cura
Ma mia commedia cantar con cura.
« la mia risposta è con più cura,
( qpando al mal si torce, o con più cura,
«"do Diù di lui che di sé cura.
**5i ' ^ • • ^°** •«*"* cura
«>woi e PUlppeschi. uom senza cara ;
• «curo 2 6 Ill)OTra
^ posposi la sinistra cura.
» n ji *° ^^' ^® '^ ^®^ "on ha in sua cura,
• 1 «sio vostro solo bave In sua cura;
•M altro dialo, sì che tua cura
°PPo da me, e questa dismisura
wo »uo amor laggiù pose a drlttura;
"oto In femmina ftioco d' amor dura,
«e pruno battagUe col del dura.
" poco verde in sulla cima dura,
Moanto a dir qual era. è cosa dora.
»«<» moUe, e quella di li dura.
^ più In sua materia dura:
cu la Obma ancor nel mondo dura.
1,1 pozzo e n pie dell' alta ripa dura ;
m dal ooUo éella ripa dura
■«"> passammo come Wra dura ;
»arg<nnenU: Se il buon toler dura.
S, j. '. J'^ttore adopra sua fattura.
« disdegnò di ftind sua (httura.
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Ristemmo per voder r altra tassura
Rotto m'era dinanzi alla tirura;
E fti di quegli specchio allallgura,
E si distende in circolar figura
Per mensola talvolta lina figura
81 che notte nò sonno a voi non fura
L'ocdiio alla nostra redenzion futura;
Toccando un poco la vita (tatara:
Dette mi f&r al mia vita (tatnra
g Com' avria (ktto 11 gallo di Gallura.
S' appiocAr sì. che 'n poco la orluntura
Che vuol provarsi t non altri, il ti riura 7
1 E cosi nulla (ù di tanta ingrlura,
1 Equivocando in sì (ktta Iattura.
KbfBan. baratti, e simile lordura.
mDieendo : Spirto, in cui p)anger aiatura
Sì traotssammo per sozza sustura
Non funian quinci e quindi la misura.
Di montar mi scema la misurai
E col sao lume il tempo ne misura.
Per seguitar la gola oltre misura,
Ch' è senza fine, e sé in sé misura.
S'alia natura assunta si misura,
E ne* secondi sé stesso misura.
Compiè *1 cantare e '1 Tolger sua misura.
Peróne sia colpa e duol d* una misura.
Sette volte cerchiato d'alte mura.
Quale, dove per guardia delle mura
n Si Ifl^e che l'angelica natura
Son r opere s^:uite. a ohe natura
DI quel sommo Ippocrètte, che natura
Lo ministro maggior della natura.
Ma tre persone in divina natura.
Appiè del Tero il dubbio; ed è natura.
Qael piegare ò anìor, qaello è natara,
Por lo nncol d'amor che fk natara:
Dependo il dolo e tutta la natara.
Ond' hanno sì mutata lor natura
Qual mi fec'io, che pur di mia natara
A maggior forza ed a miglior natura
E quinci appar, ch'ogni minor natura
In che era contratta tal natura.
Crucciato quasi all' umana natura :
Tu se* colei che r umana natura
o Sì che la dama di colui oscura.
D' un* altra verità che m' è oscura.
E vldiia mirabilmente oscura.
Fatto ha la mente sua negli occhi oscura.
Mi ritrovai per una selva oscura.
Solo dinanzi a me la terra oscura.
p Gli colombi adunati alla pastura.
Che par che Circe gli avesse in pastura.
Qual sapesse qual era la pastura
Per modo che lo stimin lor pastura ;
Se cosa avviene ond' egli abbian paura.
Non (hceva nascendo ancor paura
Di', il mio Maestro, e non aver paura.
E vidi cosa eh' io avrei paura,
Quella medesma voce, che paura
Io mi Tolsi da lato, con paura
Tal che di qua dal rio mi fé' paura.
Coloi ch* a tutto *1 mondo (b' paura ;
Fu^iand errore, e giugneami paura.
Che nel pensier rinnova la paura 1
Sì nel cammln. che v61to è per paura:
E che muta in conforto sua paura,
Credette Clmabue nella pintura
Vien. cradel, vieni, e vedi la pressura
Come in peschiera eh' è tranquilla e pura
Cui meo distava la favilla pura :
Sotto r osbergo del sentirsi pura.
Ancor dirò, perchè tu veggi pura
r Ix> sguardo a poco a poco raOi^ura
La qual tk del non ver vera rancura
s L'una nd (k tacer 1* altra sconiriva
Là onde T^non tali alla scrittura,
Al(k ed Omega è di quanta scrittura
Mille e cent* anni e piti dispetta e scura,
Così, (brando l'aura grossa e scura
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Noa to Ikrà «l bella ••poltvxm
Che ooo il Mvpe mal tua •Moltont t
E T««lni SanuLflor eom'è aioara
Volitali a loro, od : O feola vlcura.
Dotto f 11 «00 per mo ; e too «leora
Me Taiflo udir che la trovò tloora
Da tottl. come bircia, o per aTaainra
t E flà *eeo;« «ir ulUma tortnr»
Che ro0 U lati all'altra bolgia tur».
▼ L' amico mio. e noo della ▼ent«ra,
Ben tetragono al oolpl di Tontora.
Ed io a lai : Qoal fona, o qua! veatora
Giagnemmo in prato di fireaoa ▼ardur».
Che ai diatende bu per la yerdara.
1 Quando rosso e lelTatloo l' InnrbA,
t Chi siete Toi. e chi è quella turba
Non altrimenti atapido ai torba
«r«lil
b Come talvolta ataano a riva i bnrolU, 1 17 18
1 E come là tra U Tedeschi Inrohi 1 17 81
t Non làr mai in drappo Tartari né TuroM. 1 17 17
«re
0 E qneate eooe por f(ir oraatur* |
Posarsi quelle prime creatore
Sì dentro a* lumi aante creatore
t Or D. or I. or L. in sue flriur«
r Col sangue auo e con le sue iri^atur*.
mNon son rimase acerbe nò matura
Le biade la campo pria che sien mature;
L' acqua e la terra e tutte lor mistura
n ch'é sola una persona in doo nature.
p E se natora o arte W pastura
Qoasi congratulando a lor pastura.
In carne umana, o nelle sue pinture;
r Con la mia Donna sempre, di rldure
• Che fUron come spade alle aoritture,
Incominciai: O anime sioure
Esser dovriaa da oorrozion sioure.
B le mie lud, ancor poco sicure.
Non sien le genti ancor troppo stoore
JBkT%Wk
p Ore r umano spirito si purra,
r Ma qui la moria poesia rlsurira,
e E qui CaUiopea alquanto surra,
orire
V Riprofondavan sé nel miro r«rre,
a Neil* ora, che la sposa di Dio auree
t Che '1 ben disposto spirto d* amor turye \
Tanto mi piace più quanto più turge.
u L' allo disio che mo t' infiamma ed urgr*
Che i'una parta e l'altra lira ed orge.
«riro
i Tal mi Ibc' io (ma non a Unto insurffo)
1 Quali nella tristizia di Liourffo
p Son Guido Guiniselli; e già od pnrvo,
ari
a Leva la testa, e &' che t'asslourl;
e Chi è quel grande, che non par che curi
d Tutte le cose, (ùor che i dimon duri,
E giustizia e speranza fkn men dori.
Chi, per amor di cosa che non dori
D' incenerarti, sì che più non dori,
f Tu sai che tante volte la tirurl.
Le vostre destre sien sempre di turi.
mS'i. che la pioggia non par che '1 maturi ?
Convien ch^a^nostrl raggi si maturi.
Non quel che cadde a Tebe giù de* muri.
o Per tuta i cerchi dell' Inferno osourl
p Quale per li seren tranquilli e puri
a Se voi venite dal giaoer siourl,
Movendo gli oodki ohe sUvan aicorL
arU
b Gridando: Perché tienlt e : Perchè burli »
p Percoievaasi incontro, e poscia pur U
u E d una parte e d'altra, con crand'urU
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iirm«
d NeU*<Mra che non poò 1 caler diuno
• Vinto da Terra e talor da Saturno ;
819
8 U
a Così giù veggio, e niente aiBirnro. 1
b Ogni oom v^e baraitier. (bor che Bontvxo: 1
d Otto volte la coda al dosso duro .
Qoando mi vide star por fermo • dm.
Perch'Io: Maestro, il senso lor m'è doro
Cbe stai Bel loco onde parlar m'é doro.
8e non etano, ed io eterno doro :
Col pogao suo. ohe non parve meo dsrow
Laggiù '1 botto; e per lo eccello doro
f Fatto avea prima, e poi era Catturo
Disae: Qoeeti è de'rtt del fùooo furo:
Con tanta fretta a seguitar lo ftxro.
ir Di qoMta commedia, lettor, ti rinro.
1
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1
1
1
1
8
1
1
mB oòndndài: O pomo, che maturo'' 9
Da questa parie, oa^^ '1 flore è maturo 9
Ed lo mirava ancora all' alto aauro. 1
La tede in Cristo, queste sono il mora 9
Dall'altro cinghio, e '**«"**«»x^"> lo mura; 1
Ch'ella mi tece entrar dentr'a qoel mora, 1
Tra Beatrice e te e qoesto moro. 9
n A col dascona sposa è figlia e auro ; 8
o Oneste parole di oolore osouro 1
Non potean ire al fondo per l' oecoro : 1
Verso di noi come la notte oecuro; 9
QoeU'è il più basso loogo ed il ptù oaooia 1
Forse d'esser nomato sì oaeoro. 1
Oli (kr lo possa, tralignando» oscuro. 9
p Qoesto ne tolse gli occhi e l' aer puro. 9
Con occhio chiaro e con aflètto poro; 9
Lor sen gira ; ma non però, cha poro 9
r (V. afflguro 1 94 75) raSlvuro
B sì vestito andando mi rsu&onro. 1
s Ch' lo vidi per qoeir aer grosso e sauro 1
Diventa in aj^arenza poco e scoro. 8 s <
Come noi Aunmo già nel posso sonro 1 9i j
Meravigliosa ad ogni coor aiouro; 1 ÌM 1
Ben so U cammln ; però ti là' aicoro. 1 9 '
O Ugolln de' FantoU. sicoro 8 U 1
Volgiti 'n qoa, e vieni oltre aleuro. 8 B
Stonendo ; e p(d mi riteoe sicoro 9 W I
t Qoella sonò, oome fosse on tamburo t 1 91 j
▼ Qoel, che credettero in Cristo ▼•atmre. 9 ai
un»»
d 11 coi amor molte anime deturpa;
t Qolvi fu' lo da quella gente turpa
u Di qoeUa legge, il col popolo maurpa«
nrr*
a In una borw gialla vidi aaaurro,
b Mostrare un' oca bianca piò ^e burro.
o Poi procedendo di mio sguardo il curro,
nrfo
ff Del fosso : che nessuna ntostra 11 furto.
• Io stava sovra '1 ponte a veder aurto,
n Cadoto sarei giù sansa esser urto.
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Sin
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a Poi disse a me: Egli stesso o'aeeuaa :
Di', di', se qoesto « vero ; a tanta srinsm
Al oaato mio : e qoal meco s* ausa.
o B sillogismo, che la mi ha ooneblmaa
Che '1 uen legato, o anima oonfus* ;
LtmghesBo me, per ttx colei eonAiBa.
Era la mia virtù tanto oonAisa.
««ioiando ed a Sleheo ed a Orousai
è qoella Rodopea, cbe delusa
DeUo Spirito Santo, oh' è diffusa
Che dagU organi suoi fosse dleokluna.
Toeto oom'è per aegao foor i
Che 1 malo amor deU'anlflM disusa^
1 0 •anffm*
m8e tede dm
mcMS, o mper Infusa
o Ogal dimostraztoo mi pare ottusa,
r Bit unqwtm eoeli J«mua reolusa 7
Ancor noo era eoa boeoa rlclUusa,
IM
1
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91
91
91
05 —
uta
odo Iod« nel eoora ebbe riebiasa. 8 9 lOt
ioilo 1» tenti' eeser richloia: i 10 4
I fora stata al iUlo degna sous» ? S 10 6
' anima gentil ohe non fa looia, i 88 180
alo ad eaeo, a come ta le* msa, 9 88 198
} on linguaggio nel mondo non •' osa. 181 78
8 17 188
8 17 199
8 17 194
•entirà la toa parola brusca.
0 trovai U, ai re' prima oomuioa,
rispose : Cosdenxa fuso»
I giudicata in su le tne aooua* 7 1 98 40
iach'nn*altrad*oncercbiolaohlus«, 8 18 ft
a la Caeda, non mi aarien obioae 8 16 198
ornar della mente, cbe si chiose 16 1
di tristizia tatto mi ooniusa, 16 8
dall' etemo fonte son diSnaa. 9 16 189
0, che tanto Tinoe oostre Musa, 8 19 7
» chi se', che *n SQ lo scoglio muse. 1 98 48
cchè le ferite soa rlolUuss, 1 98 41
Ito primo splendor quel eh' e' rafuss. 8 19 8
'efuse) rifuse
:he Todestl fb, perchè non souss 9 16 180
tuo parlare, ma perchè i* ausi
^ml, e nel soo abito mi ohiusi,
poter qoei Aixgirsi tanto chiosi,
kYTegnaehè gli occhi miei oùnfusl
0 si sa qoal poi mia vita fusi I
ra pianta mia che sì V lasusi,
capere in triangolo da' ottusi,
ire e trasmatare : e qai mi scusi
Ini poi a mal, più eh'a ben, usi.
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8 8 104
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1 96 146
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8 17 18
8 17 16
1 96 148
8 8 106
ir PUOI
, cn'a<
lommi di qoel eh' io m' accuso
.' ad altro intender m' aToa chiuso.
> le pecorelle escon del chioso
en che nella quinU loco è chioso.
Dglio od altro, che nel mare è chioso,
tato, onde '1 cammln nostro era chioso
ria non potea parlarmi chioso,
re che r orizzonte il di tien chioso.
ter<^* io non proceda troppo chioso,
'a luce percuote '1 viso cUoso,
Iti indietro, e tien lo tìso chioso
lanto affido; ch'ai sari dstruso
oar nel del, quindi fono diffuso,
di oramai nel mio parlar dlfltiso.
ta più lo suo parlar diflUso,
io nel quinto giro fui dlsoliiuso,
1 piacer santo non è qui dischiuso,
otar aatlsflur per sé dischiuso.
1 si laro, e l' altro cadde riuso,
ilmmaglnar mio cadde giuso,
d, e quindi temeva U cader giuso.
eli ha pensato, per gittarsi glusQ I
ti dovea gravar le penne in 0uso
tino in ramo, cosi quello in gioso;
kvan tutte, riguardando in giuso
li porla con Id tornare in giuso.
lado a terra, tutta vùlta in giuso.
lattalkr, per non poter ir giuso
dèi eaper, se tu vien pur mo giuso.
•à quel d'Alagna andar più giuso.
e do^e Alarla rimase giuso,
anche per li gradi scender gioso
me toma colui, che va giuso
i troova pd, venendo^iuso,
di lume, tutto fosse Infuso
dell* atto suo, per gli occhi inftiso
le quai ciascun cambiava muso,
dette atterrando l'occhio e 1 muso;
g^xso & ootal motto levò 1 muso,
lor disdegnosa torce il muso :
A passali ch'ei ta si racchiuso.
IMO m' ha in sua grazia richiuso
che *1 mar ta sopra nd richiuso,
ir ne convenla dal lato schiuso
•se paro ahcor lo corpo suso
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9 17 48
9 86 117
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1 8 68
9 7 68
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8 80 148
8 11 71
8 91 81
1 16 188
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a 8 81
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9 16 40
1 96 149
9 96 116
1 88 184
B però ammiri dò ch'Io dissi suso,
B d qiandeva per le foglie suso.
8i che poedUl sia l' andate in suso :
Vld' io uno scalèo eretto in suso
B la cornice spira flato ìa auso.
Venir notando una Igura in suso.
Si che i diletti lo inviard 'n soso :
Alla quarta levar la pofpa in suso,
Usdr dd primo, e rlsaUre in suso.
Che la notturna tenebra, ad ir suso :
Quanto dlsubbidiepdo intese ir suso.
Delle coee fkUad. levar suso
Nulla sarebbe del tornar mai suso.
Di color nuovo, e genera '1 pel suso
D' ogni beHessa più fanno mù suso.
La roccia per dar via a chi va suso.
Gli altri dopo il griftm sen vanno suso
caie la morte dlssdve, io men vo suso,
I Io era ben dd suo ftw»in«yii> ^so
Od altra vanità con s\ breve uso.
Per modo tutto ftaor dal modem' oso,
B flsd gli occhi al Sde dtre a nostr' u
Quando sufolerò, com' è nostr' uso
Maggiore assai cbe quello oh' è in nostr'
Che d'altro dbo Catto in
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8 91 90
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B. 8 1 64
1 99 104
uso 9 17 46
9 14 44
a Lo nome di cdui che in tem addusse 8 S9 41
r B tanta grazia sovra me rilusse, 8 89 48
s Dall'emù culto che'l mondo sedusse. 8 89 46
asta
a Colui, cbe da sinistra le s* mggìumtak.
Per esser j' — • • • • -
ir L'umana a
• propinaaissimi ad Augusta,
i specie tanto amaro rusta.
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8 88 118
8 88 198
a B visd a Roma sotto '1 bucm Augusto,
Rallegrasse AfMcano. ovvero Augusto ;
B gli inOammati infiammar sì Augusto,
b Sen venne, ed arrivò la testa e '1 busto {
e Poiché il superbo nion ta combusto.
Quel dd Sol. che sviando fa combusto.
f Mendicando sua viu a Arusto a frusto,
B d'un serpente tutto l'altro fusto.
te Quando ta Giove arcanamente viusto.
BsurTendo sempre quanto è giusto.
Ingiusto fece me c(mtra me giusto.
Si d conserva il seme d' ogni giusto.
PoeU (tei, e cantai di quel giusto
A dimandar ragione a questo giusto.
La fkoda sua em flscda d' oom giusto.
Còl becco d' osto legno dolce al arusto,
K '1 Padre, per lo coi ardito gusto
Tanto di grazia, cbe l'aipor del gusto
L'animo mio. per disdegnoso gusto,
r Cosi d'intorno all'albore robusto
▼ Raccomandò di questo fior Tenusto.
Indi partisd povero e ▼etusto :
A destra vedi qud Padro vetusto
astra
f Se non, ciascun dido sarebbe frustra,
i Nostro intelletto, se '1 ver non lo iUustnk,
1 Posad in esso come fera in lustra,
uta
a Con una spada ludda ed acuta.
Crucciato prese la folgoro acuta.
Ma per tu esser ben lor voglia acuta.
Gridando: Buon Vulcano, aiuta aiuta.
Dell'alto scende virtù, che m'aiuta
Per che la mano ad accertar s' aluta.
Che più la perde, quanto più s' aiuta
Lo montanaro, e rimirando ammuta.
Venir dormendo con la (keda arguta.
Lo qual negli alti cuor tosto s'attuta:
d L'anima, co' era fiera divenuta,
f Prima al parlar, d fende; e la forcuta
La Donna mia la volse in tanta futa,
mE s'egli stanchi gli altri, a muta a muta.
Che segue '1 tacco là 'vunque d muta,
p Che dascun'ombra fece in sua parata:
1 1 71
9 99 116
1 18 68
1 17 8
1 1 76
9 99 118
8 6 141
1 17 19
9 99 190
9 94 164
1 18 78
9 sa 48
1 1 78
8 6 187
1 17 10
9 SS 44
8 82 199
9 84 169
1 18 70
9 82 46
3 32 196
8 6 180
8 89 194
3 4 198
8 4 196
8 4 197
ma
— oc —
ut
Perocché quindi h« poscia toa paraU,
Poi Tidi quattro ia umile parata ;
Del carro, e lasciar lei di sé p«an«ta.
r Poi si parti ti oome ricreduta :
Che taati prieghi • lagrime rifliit».
Come la chi per lei vita rifiuta.
s Con cosa in capo non da lor saputa,
E r altro dietro a Ini, parlando sputa.
t Che la figura impretta n<» trasmuta
▼ Ciascun sentire insino alla Tsduta.
Che non si può fornir per la veduta:
Ma perché tanto sovra mia Ttduta
Poscia per indi, ond' era pria ▼enuta.
Or ti piaccia gradir la sua venuta :
«*•
a Aver le luci tue chiaro ed aouta.
In atto, molto più che prima, acute.
o Poiché le prime etadl fiir compiuta.
Poiché lo ipontalizie fùr compiute
S'egli ha le parti ugualmente compiute.
Le sue magnlficenxe conosciute
Da lui diitinto e da lui contenute.
t Kurialo e Nlso e Turno di terute :
mNoQ ne potran tener le lingue muta.
L'alti-e potenzio tuite quante mute;
p Queste parole m' eran sì plaoiuta,
E non pur le naturo pro-rveduta
s Sol con mia Donna a più alta saluta
Con l'innocenza, per aver salute,
Or perché mai non può dalla salute
Accoglie in sè con sì (ktta salute.
Di queir umile Italia fla salute.
Ma esse insieme con la lor salute.
Maggior bontà vuol Ut maggior salute ;
1-:: che soffristi per la mia salute
U' sì dot ir di mutua salute;
Tu se' si presso all' ulUma salute.
Più alto verso V ultima salute.
t Dall'odio proprio eoo lo cose tuta:
T MI Al iuo«trò, che tra Taltre veduta
Dell' universo insln qui ha vedute
DI tanto cose, quante io ho vedute.
Lo del seguente, e' ha tante vedute,
Non rùr più 'osto dentro a me Tenuta
Di quello spirto, onde parean venute.
Per circoncidere, acquistar Tlrtnta.
L' auima mia per acquistar virtute
Con povertà volesti anzi virtute.
Si gira un corpo, nella cui virtute
Secondo '1 più e '1 men della virtute,
Supplica a te per grazia di virtute
Ma sapienza ed amore e virtute,
Volge e contenta. Ai esser virtute
Sol veti dalla carne, ed in virtute
Riconosco la grazia e la virtute.
Me sormontar di sopra a mia virtute ;
Quindi ripreser gli occhi miei virtute
Amor sementa in voi d'ogni viriate,
Parran faville della sua virtute
L'anima sua di si viva virtute,
aU
a LI miei compagni fec* io si acuti.
Dicendo: Padre mio. che non m'aiuti?
b Fatti non Toste a viver oome bruti,
d Già eran li duo capi un divenuti,
mGridava: Ohimè! Agnel, oome ti mutll
Quel di e Pallro stemmo tutti mad.
Quale i fendulll vergognando muti
p Ma dinanzi dagli ocdii de* pennuti
in una (àccia, ov'eran duo perduti.
r E sé rioonoeoendo, e ripeutatli
Ch'appena poscia gU avrei ritanutl
t (V. ntefiult) tanuti
▼ P • • • -
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9 81 66
1 96 198
osciaché fummo al quarto di Tenuti, 1 88 67
a (V. aguto) aouta
ato
Torcendo e dihattento *1 corno a^nta.
Nel tempo che '1 buon Tito, conT aluto
Ma disse: Parla,
we: Parla, e sM breve ed arguta
col corpo ch'i' ho sempre aTUto.
1 97 189
9 91 69
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b Quei che pende dal nero oeO», è Bruta;
0 Dissi : Or direte dunque a quel eaduto,
Allor gli ta l'orgoglio si caduto.
Se da contrari venti é combattuta.
Sopra Campo Picea fla combat uto;
Qusad'egii ebbe il suo dir così oompimta.
Di che stapor dovea esser compiuto !
E die ta tardi da me oonosoluta.
Di gente, ch'io non avrei mai ereduta.
Ed io a loro: Pftii nato e oresoiuta
d Coro' esser puote eh' un ben, distrlbuto
f S\ eh' ogni Bianco ne sarà feruta :
E disse agli altri: Ornai non sia fierato.
Tronca dal lato, code l' uomo é forouta.
r E. perche tanti secoli fflaeluta
i Qi* è di torbidi nuvoli iUTOluta s
1 lo vidi an fatto a guisa di IXuta,
mB l'altro é Cassio, che per si membruto.
Ben sapev'ei. che volea dir lo muto ;
lo venni in luogo d' ogni luce muto.
E s'io Ali dianzi alla risposta muto.
Libito non udire e starai] muto,
p Non per far, nia per non fare ho perduto
Per eh' io là, dove vedi, son perduto.
Di sè. che se da pochi é posseduto T
r Poeda ch'io v'ebbi alcun rioonoseiuto.
Che fbce per vUtate li gran rifiuto,
s Già nell'error, che m'avete soluto.
t Diss' io. che se mi fbni pria taoiuto ;
Sovra 1 quali io avea l' ooeliio tannto,
T E da partir, die tutto avem Teduto.
Vedendo altrui, non essendo Teduto:
Ond'usd *1 sangue per Giuda Tenduto,
Rispose lui. soa io di qua venuta :
Deffripocrtd tristi se' venuto.
A tarmisi sentire : or son venuto
Ed all'eterno dal tempo venuto.
Lasciami andar : che nel cielo é TOluto
alia
d Se fosse a^^Hinto la cera dedutta,
Ond'era sire, quando (ti distrutta
t Secondo spezie, meglio e peggio frutta;
p Era in quel tempo, si com'era è r
" La luce del sunel — " " —
Dinanzi a me. Tose
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a Passava SUge con le frante asciutta,
d Vid' io più di mUle anime distrutta
t Biscia per l'acqua si diiegoaa tutta,
a Già t' ho veduto oo' capelli asoiuttl,
b Di riguardar più me. che gli altri brutti f
d SeguTterieno a tua ragion distrutti.
f Vir.ù diverse esser eoavengon frutti
1 Che 1 lieti onor tomaro in tristi lutti.
fDi Cesare non torse gli occhi putti.
Però t'adocchio più che gU altri tatti.
infiammò centra me gli animi tutti.
Una sola virtù sarebbe In tata
a Com' lo potea tener lo viso asoiutto,
b Ma tu ehi se', che si se' (atto brutto ?
S'el fb s\ bel com'egli è ora brutto.
Non di parente, né d'altro più bratto
Come il fk«nge il sonno, ove di butto
E in quel medeamo ritornò di botto.
o In tre giorni é distinto e oostautto.
Concreato fu (vdine e coatratto
E perchè fosse, quale era, in costrutto»
Che passar mi convien senza oostrntlo.
Udito avevan l' ultimo oostmtto :
d Ora conosce oome *1 mal dedutta
Se cosi fosse, in voi fora distrutto
Avvenga dw sia il mondo indi distratto.
E poi che fti a terra sì distratto.
f Del trionfo di Cristo, e tutto 1 frutto
Sotto buona intenzion die tB* mal fkutto,
Vide nel sonno 11 mirabile ftntto
Qui mimavera sempre ed «gni ftutu»:
8 li
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Se Dto ti iMol. I«tCor. pnmim fratto
Coni» *1 piaesr di Dio, ^^i^ato ooel frotto,
B dMftr ▼«dette een» fratto
Per beo letizia, e per oialo at«r lutto.
Or m'h&i Mrdota ; V eono oica obi latto.
Bd lo A lui : Con piangere e con lutto.
Ben dee da Ini prooedore ogni lotto.
Gh'etemalmente è dato lor per lotto: _ _
Nel mondo. In ohe poro atto Ai prodotto. 8 88
Plùeplaoe a Dto: e peròetan di s«tto 111
Io mi rlToId addietro allora tutto 8 88
Pueaml che '1 eoo vlao ardeeee tatto,
Com'è! e'aooece, ed aree, e oener totto
81 troTolee coti alcon dal tatto:
De' violenti 11 prliBO oereUo è tofcto;
Dal ooeeeedTO. 41 eoi «ra totto.
1 80
888
8 8
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8 88 88
1 84 101
1 80 17
1 11 88
8 18 88
Qm, qoaatoaqoe la Qileoa guarda, tatto
MeU* esser eoo raggiò Insieme totto,
Qi*lo ti oonoeco, aneor sle lordo totto.
Che fratto golssa, pria die muoia totto ;
Vedi oggimal qoanVesoer dee quel totto.
Por suso al elelo, A eome se totto
Che, se pototo avesto veder tatto»
» Beeo la flora eoo la coda aruasa,
Booo oolel die tatto *1 mondo appuaaa
lizzo
1
888 I
8 80 I
1 8 I
8 17 41
1 84 8S
8 16
8 8
1 17
1 17
• Che fli per barattare ha 1* oooUo MTunno I
vQoeUe genlL eh' io dioo, ed al OaUuaao
p Che aTOrio dentro, e sostoner lo punso
8 le 8^
8 16 01
8 16 61
NOTA
n preeente BtMABio pebfbsiokato è stato recentemente riprodotto (purtroppo eoi verai mutilati
oon pareoohi errori di leesicografla) in una edisione fiorentina della Divina Commedia
n fUto stesso della riprodnsitme dimostra quanto esso Bdcabio pebfb&okato goda ormai la stimn
I competenti in materia, e eome sia naturalmente chimmato a prendere il poeto del Rimario
)ti40 (usuale), mancante di un ordino rigorosamente alfabetioo ed incomodo nella oonBultasione.
Koto però ohe per la eompHasione del mio Bimasio pbbtbzionato (comparso la prima volta nel
umo 1808, ed. HoepU, liilano) io ho dovuto scrivere 14388 sohede (quanti sono i versi della D. O.) \
dinarle alikbeticamente una per una nelle singole rime secondo il nuovo criterio ordinativo da m<
magtwato; trascriverle in manoscritto adattato ali* composisiooe tipografica, e spendervi Ìntom<
ks core che sarebhe lungo enumerare; - e tutto dò richiese un lavoro di parecchi mesi, punte
loevole in sé stesso, ansi molesto e fMicoso assai all' attensione e alla vista.
n riprodurre dunque l'opera mia sensa Attica propria è una lesione sensibile ai diritti d' autore |
- visto che ormai il mio Rdiabio npissiOHATO, per la sua provata utilità e praticità, sarà vo
itlflri MooHo anche in altre edisioni della Dìvìtm OomtMdia - rivolgo qui » tutti i signori Editor
ItaUa e deU' Estero la preghiera di non omettere d' avvertire a tempo me e l' editore comm. Hoepl;
Qe loro intensioni, per evitare dlsaggradevoli oonseguenae.
Xrieste, agosto 1903
Doti. LOIOI i'OLACCO.
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INDICE
DEI NOMI PROPRII E DI COSE NOTABILI
CONTENUTE
NELLA. DIVINA COMMEDIA
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INDICE
DEI NOMI PROPEII E DI COSE N(
COJTTEKUTK
NELLA DIVINA COMMEDIA
Ato«U (degli), fiimiglia. Inf., o. 82.T. 106.
Inf., 0. 25. V. 140.
AkkAsUAto a'). Inf., e. 20, v. 182.
Al^ele. Inf., o. 4, v. 66.
Abldo. Farg., o. 28, t. 74.
Al»r»«m. Inf., e. 4. v. 68.
AbMblome. Inf., o. 28, v. 137.
AeAm. Parg., o. 20, v. 109.
Ae«ldlesl. Inf., o. 7, v. 121. Parg.,
o. 17, ▼. 85 e seg.
Ae«orao (di) Franoeaoo. Inf., o. 15,
V. 110.
Aeber«Bie. Inf., o. 8, ▼. 78; o. 14,
▼. 116. Pnrg., 0. 2, v. 105.
AeblUe. Inf., o. 5, ▼. 65; o. 12, v. 71 ;
o. 26, V." 62; e. 81, v. 5. Pnrg., e. »,
▼. 84; 0. 21, y. 92.
Acliitom. Inf., 0. 28, v. 137.
A««ne. Par., o. 16, v. 66.
A«4aaeliet». Inf., o. 16. t. 97.
Ac^naapArta. Par., o. 12, v. 124.
Ac^uArl*, Mgno dello 2<odiaoo. Inf.,
o. 24, V. 2.
Acri, oHU. Inf., o. 27, v. 89.
Adam*. Inf., o. 3, v. 115; o. 4, v. 65.
Parg., e. 9, ▼. 10; o. 11, v. 44; e. 28,
T. 142; 0. 29, y. 86; 0. 82, ▼. 87; e. 38,
V. 62. Par., o. 7, ▼. 26, 86, 148; o. 13,
T. 37, 82, 111 ; 0. 26, y. 83, 01, 100 ; o.
82, y. 122, 136.
Adanto, bresciano. Inf., e. 80, y. 61,
104.
Adlee, o Adige, flame. Inf., e. 12,
V. 5. Pnrg., e. 16, v. 116. Par., e. 9,
V. 44.
Adlmarl, ftunlgUa. Par., o. 16, v. 115.
Adrian», lito. Par., e. 21, v. 123.
Adriano IV. Par]
Adrlailco, mare.
Parg.. o. 14, y. 92
Adnlaiorl. Inf., e
AlTrlcano Belpl<
V. 116. V. Soiploi
AirnblAo, o Airap
y. 16.
Airanaennone. P
AiTA^ne, poeta. ]
Aslanm. Parg., i
Airnel, intendono i
gelo, o per Agnoli
e. 25. y. 68.
Airobblo,o «abbi
AffosUno (S.). Pai
82, y. 35.
AiroaUno, frate mi
Agosto, meee. Par
Airnirlloae. V. B
Airnsto. y. AagQi
AlairlA Fleaclil.
Alairna, o Anair*
y. 86. Par., e. 30
Alardo, Inf., o. 2
Alba I^nnira. Pai
Alberlclil, famigli
Alborliro de' Mani
Gaudente. Inf., e.
Alb«ro, o Alb«i
o. 29, y. 109. V.
Alberti (degli) {A
leone). Inf., o. 82
Alberto, abate. Pi
Alberto degli Albe
Alberto d'Austrif
Par., e. 19. y. 115
Alberto della Scala
Alberto Ha^no.
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102
INDICE DII NOMI PBOPRII E DI COSE NOTABILI
Albi A (Elba) fiume. Porg., o. 7, v. 09.
Alboino della Scala. Par., o. 17, ▼. 71 (?)
AielUmlaUpimiainf.,o. 29,y. 43 eseg.
Alelde. Par., o. 0, v. 101. V. Ercole.
Aidobr»adeac* Guglielmo. Parg., e.
11, ▼. 5».
Aldobrttndl (Tegghiaio). Inf., o. 16,
V. 41.
AleMABdrl» della Paglia. Parg., e. 7,
V. 1»6.
Aleaa»Bdr«, conte di Bomena. In£,
e. 80, ▼. 77.
Aieaa»Bdr« degli Alberti. Inf., o. 82,
y. 66. y. Kapoleone.
Aieaa»»dr« Feréo.Inf., e. 12, ▼. 107.
AleMABdr» HaffBO.Inf.,c.l4, v.31.
Alenalo da Lacca. V. Interminei.
Aleito, farla, e. 0. t. 47.
AlfeBBO^re di Spagna. Par., o. 19, v. 125.
AlfoBso, re d'Aragona. Porg., o. 7,
V. 116.
AlfoBso, re di Maiorioa. Par., o. 19,
V. 187.
AU, discepolo di Maometto. Inf., e. 28,
V. 82.
AII«iaBO, demonio. Inf, e. 21, ▼. 118,
e. 22, V. 112.
Allfflilerl, famiglia. Par., e. 16, ▼. 138.
Alighieri, bisavo di Dante. Par., o. 15,
V. 91.
Alaaeone. Porg., o. 12, ▼. 60. Par.,
e. 4, V. 108
Alpe. Inf., e. 20, ▼. 62. Porg., e. 17,
V. 1; e. 88. V. 111.
Alpi. Par., e. 6, y. 61.
Aliaforta, ròcca. Inf., o. 29, y. 29.
Alyera», monte. Par., e. 11, y. 106.
AmAtt. Porg., e. 17, y. 26.
Amai», moglie del le Latino. Porg.,
e. 17, y. 86.
Ambrogio (S.). Par., o. 10, y. 121.
Aml«la«e. Par., e. 11, y. 68.
Amldel, famiglia. Par., e. 16, y. 186.
Amore. Parg., e. 28, y. 66 ; e. 31, y. 117.
ABaiTBlf o Aiasaa, città. Parg., e.
20, y. 86. Par., o. 80, y. 148.
Aaaaila, marito di Safira. Parg., e. 20,
y. 112.
Aaaala, diaoepolo di Orlato. Par., e.
26, y. 12.
Aaaaaasora. Inf., e. 4, y. 137.
Aaasiavl, famiglia. Parg., e. 14, y. 107.
ABastairto, papa, confaso da Dante
con Anaatagio imperatore. Inf., e. 11,
y. 8.
Aaehise. Inf., e. 1, y. 74. Parg., o. 18,
y. 187. Par., e. 16, y. 25; e. 19, v. 182.
Anfealbena, serpente. Inf., c.24,y. 87.
Anflara^. Inf., e 20, y. 84.
\naoae. Inf., e. 82, v. 11.
AaceU (coro degU). Par., e. 28, y. 126.
Corrispondenza di ciascon coro angeli-
co ad ano de'noye cieli. Par., e. 28,
y. 76. Descrisione della Agar» deg^
angeli. Par., e. 81, y. 18.
Aasell ribelli. Par., e. 29, ▼. 50.
Aasloiollo da Carignano. InL, e. 28,
y. 77.
Aalnso immortali. Par., e. 7.
Aalnse de' fimdalli. Int, e. 4, y. 80.
Par., e. 82, ▼. 45 e seg.
Anna (S.), madre di Maria Vergine.
Par., e 82, y. 188.
Aaaa, saocero di CalflM. Inf., e. 23,
y. 121.
Analbale. Inf., e. 81, v. 117. Par.,
e. 6, y. 50.
Aaaelmo (S.). Par., e 12. y. 137.
Aaaelnsaeelo, nipote del conte Ugo-
lino. Inf., e. 83, y. 50.
Aaiandro, città. Par., e. 6, y. 67.
Ab tenera, secondo giro di Oocito. Inf. ,
e. 82, ▼. 88.
Aaieaorl, o Padovaal. Parg., e 5,
y. 76.
Aatèo, gigante. Inf, e. 81, ▼. lOO,
118, 130.
Aauronie. Porg., e. 22, y. 106.
AaUsoae. Parg., o. 22, y. 110.
AaUoeo, re di Sirla. Inf., e. 19, y. 87.
Aatoalo Ab. (8.). Par., e. 29. y. 124.
Aatoalo (Frati di Sant') chiamati «
campanelUt. Par., e. 29, y. 124.
Anaiaal di Locca. Inf, e 21, y. 88.
Appeanlao, monte. Inf, e 16, y. 96;
e. 20, y. 65 ; e 27, y. 29. Porg., e. 6,
y. 96; e. 14, y. 81, 02; o. 80, y. 86.
Par., e. 21, y. 106.
Af««»11m«- laf t o. 19. y. 106. Porg.,
e. 29, y. 105. Par., e 25, y. 94 e aeg.
ApolUae. Porg., e. 20, y. 182.
ApoUo. Par., e. 1, y. 13; e 2, y. 8.
ApoaioU. Porg.. e. 22. v. 78.
AqoUoao, yento. Parg., o. 4, y. 60;
e. 82, y. 99.
ArAbl. Par., o. 6, y. 49.
Aravae.Inf , e. 17, y. 18. Poi^g., o. 12,
y. 43.
Aragona. Parg., o. 8, y. 116.
Aravoaeae. Par., o. 19, y. 187.
Arbla, fiame. Inf, e. 10, y. 86.
Area del Testamento. Porg., o. 10, ▼.
66. Par., e. 20, y. 89.
Area (daU'), famiglia. Par., e. 16, ▼. 02.
Areaavell. Par., e. 28. v. 125.
Areblaao, flame.Parg., e. 5, y. 95, 125.
ArdiBSlii, £uniglia. Par., e. 16, y. 98.
AreUoI. Inf, e. 22, y. 6. Porg., e. 14,
y. 46.
AreilMo (1'). y. 6iiflblino.T
VHtìlCK l)£l NOKI PBÓPBII B Di CÒSB NOTABILI
lOi
Aretl»« (1*). V. BeninoMA.
Arelaaa. Inf., o. 26, ▼. 07,
Aress*. Inf., o. 29, t. 109.
Arsenti Filippo. lof., o. 8, ▼. 61.
Aivl«« flgUA d*Adrmsto. Piirg., o. 22,
V. 110.
Arv*, nave. Par., o. 88, ▼. 98.
Arso, pastore. Parg., o. 29, t. 95| o.
82, ▼. 85.
Aiv^Umi, gente. Inf., o. 28, v. 84.
Aiv«B*«iÌ« P»r<f 0. 2, T. 16) o. 88,
▼. 96.
ArlABB», figlia di Hinoe. Int, o. 12,
V. 90. Par., o. 18, t. 14.
Ariete, segno lodiaoale. Pnrg., o. 82, y.
58. Par., o. 1, v. 40; o. 28, ▼. 117.
ArlateUle. Inf., e. 4, v. 181. Pnrg., o.
8, y. 48. Par., o. 8, t. 120 ; e. 26, v. 88.
ArUy dttà. Inf., e. 9, y. 112.
Arate e insegne di funlglie d'osorai.
Inf, e. 17, y. 56 e seg.
Araaldo Daa Ielle, Pnrg., e. 26, y.
115, 142.
Arno, iinme. lof., o. 18, v. 146 ; o. 15, y.
118; e. 28, y. 95; o. 80, y. 65; 0. 88,
y. 88. Pnrg., e 5, y. 122, 126 ; o. 14, y.
17, 24, 51. Par., o. 11, y. 106.
AroBi», o AroBie. Inf., e. 20, y. 46.
ArpB, istramento mnaioale a eorda.
Par., 0. 14, y. 118.
Arpie. Inf., e. 18, y. 10, 101.
Arriso de*FÌfiuitl. Inf., o. 6. y. 80.
Arriso HabbHIì. Pnrg. e. 14, y. 97.
Arrise, re d'Inghilterra. Pnrg., e. 7,
T. 181.
Arrise T imp. Par., e. 8, y. 119.
Arrls« TU imp. Pnrg., o. 6, y. 102 ;
o. 7, y. 96 : e 88, y. 48 (f). Par., o. 17,
y. 82 : e. 27, y. 63 (f). Seggio preparato
per Ini in paradiso. Par., e. 80. y. 187.
Arrlsveel, famiglia. Par., e. 16. y.l08.
Arrlo, eretico. Par., e. 18, y. 127.
Ar«*, re d'Inghilterra. Inf., e. 82, y. 62.
ArsBBA, o AreoBBle de' Veneiiani.
Inf., 0. 21. y. 7.
Aeeeal, o Aaalal, città. Par., e. 11,
y. 58.
AeeiBBo, castello. Inf., e. 29, y. 181.
Ae«eBte, calsolaio. Inf., e. 20, y. 118.
Aeopo, iinme. Pnrg., e 18, y. 91.
Aaelrl. Pnrg., e. 12, y. 59.
Aeanero, re. Pnrg., e 17, y. 28.
AetlBOBaB (esempi di). Pnrg., e. 22,
y. 142.
Astri. Dubbio di Dante snlla infinensa
di «sd. Pnrg., e. 16, y. 61 e seg.
AteaaBBte. Inf. e. 80, y. 4.
AtOBO. Inf, e. 12, y. 17. Pnrg., e. 6,
y. 189; 0. 15, y. 98. Par., e. 17, y. 46.
Atropo», Parca. Inf, e. 88, y. 126.
Attuo, re. Inf., e. 12, y. 184; e. 18,
y. 149.
AttrosloBo (Sistema della) espresso da
Dante. Par., e. 28. y. 127.
A«s«eto, per EMerigo II. Inf, e. 18,
y. 68.
A«s*eto OttoTlBBO, imp. Inf, e. 1,
y. 71. Pnrg., e. 7, y. 6; e. 29, y. 116.
Par., e. 6, y. 73.
AnU«e, città. Inf, e. 20, y. 111.
ABroro. Pnrg., e. 2, y. 8. Concubina
di Titone. Pnrg., e. 9, y. 1 (1).
AnsoBlB, o Itoli». Par., e. 8, y. 61.
AoatrlB o Ansterrleek, o Oster-
rleeli. Inf., e. 32, y. 26.
ABstro. Pnrg., e. 80, y. 89 ; o. 81, y. 72 ;
0. 82, y. 99.
ATorl puniti. Inf e. 7, y. 25 e seg.
Pnrg.. e. 19, y. 70 e seg.
AyorlalB. Inf. e. 1, y. 49.
AreatlBo, colle. Inf., e. 25, y. 26.
Ayerrela, o Ayerroe. Inf, e. 4.
y. 144.
ArleoBBO. Inf, e. 4, y. 148.
Asso degli Ubaldini. Pnrg.. e. 14, v. 105.
AsaollBO, o BasellBO. Inf, e. 12, y.
110. Par., e. 9, y. 29.
AasoBO TIII da Bete. Inf, e. 18, y.
56(1). Pnrg., e. 5, y. 77.
B
B e lee, detto per Blee, sincope di
Beatrice. Par., e. 7, y. 14.
BoblloBlB. Par., e. 28, y. 185.
BoeeoBtI. Pnrg., e. 18, y. 92.
BaeeliisiloBe, fiume. Inf, e. 15, y.
118. Par., e. 9, y. 47.
Boeeo. Inf, e. 20, y. 59. Pnrg., e. 18,
y. 98. Par., o. 18, y. 25.
Badia di S. Benedetto. Inf, C.16,y.l00.
BasBoeay allo, castello. Pnrg., o. 14,
y. 115.
Basooreste, o Basoorea, dttà.
Par., e. 12, y. 128.
Baldo d'Aguglione. Par., e. 16, y. 56.
Barattieri. Inf, e. 21 e 22..
Barbasi»» luogo in Sardegna. Pnrg.,
e. 23, y. 94.
Barbare (donne), più modeste delle fio-
rentine. Pnrg., 0. 23, y. 103.
Barbari settentrionsli. Par., e. 81,
y. 81.
Bar baricela , demonio. Inf, e. 21,
y. 120; e. 22. v. 29. 59. 145.
Barbaroeaa. V. Federigo I.
Bari, città Par., e. 8, y. 62.
Bartolomnseo della Scala. Par., e.
17, y. 71.
Baraeel, famiglia. Par., e. 16, y. 104.
104
IVDICB DBI NOMI PBOPBII B DI C08B KOTÀBILI
llMiterB», «pede di carro. Pug., o.
30, T. 16.
li»Ul«te (S. Gio.). Inf., 0. 18. T. 148.
Parg., 0. 83, v. 102. Par., o. 16, t. 85,
47; o. 16, V. 184; o. 82, T. 81.
B»iiUi«v moneto. Inf., o. 80, t. 74.
B»ttto4e« di Fir«nae. Par., o. 15, t. 184.
Be»U ohe non adempirono interamente
i Toti Catti. Par., o. 8 e seg.
B«»tl ohe fbrono in vita operoel per
desiderio d'onore. Par., o. 5 e aeg.
B«»U ohe furono dominati da amore.
Par., 0. 8 e aeg.
B*»il Confeaaori e Dottori. Par., e. 10
eeeg.
BettU ohe combatterono per la Fede.
Par., 0. 14 e aeg.
BettU che nel mondo amminJatrarono
rettamente glnatisia. Par., e. 18 e aeg.
It«»a ohe Tiseero nella aoUtadine e
nella oontemplaaione. Par., e 21 e seg.
Beaiiiae, figlia di Carlo n, re di Pa-
glia. Porg., e. 30, T. 80.
BAttteiee» o Btoe, gentildonna. Inf.,
o. 2, T. 70, 108 1 o. 10, ▼. 181) e 12, t.
88; 0. 15, T. 90. Porg., e. 1, t. 58; o.
6, ▼. 46; e. 15, T. 77; e. 18, ▼. 4«, 78;
o. 23, y. 128; o. 27, v. 36, 58, 186; e
80, V. 78; o. 81, v. 80, 107, 114, 183;
c. 82, V. 86, 85, 106; e. 88, v. 4. Par.,
e. 1, ▼. 46, 64; o. 2, y. 23; o. 8, y. 127;
o. 4, y. 18, 189; o. 6, y. 16, 86, 122; e.
7. y. 16} o. 9, y. 16; o. 10, y. 87, 52, 60 ;
e 11, y. U; e. 14, y. 8, 79; e. 15, y. 70;
o. 16, y. 18 ; o. 17, y. 5, 80 ; o. 18, y. 17,
68; 0. 21, y. 68; 0. 22, y. 125; o. 28, y.
84, 76; 0. 24. y. 10, 22, 65; c 25, y. 28,
187; e. 26, y. 77; o. 27, y. 84, 102; o.
29, y. 8; o. 80, y. 14, 128; e 81, y. 59,
66, 76; c. 82, y. 9; o. 88, y. 88.
Be»4rl««, figlia d' Obisao da Ette.
Pnig., 0. 8, y. 78.
B«»trl««, figlia di Bamondo di Pro-
yensa. Porg., o. 7, y. 128.
B^emmrim (di), abate. Int, o. 82, y. 119.
B«dl»y yenerabile. Par., e. 10, y. 181.
B«l««««». Parg., 0. 4, y. 128.
B«UlaetoB Berti. Par., e 15, y. 112;
o. 16, y. 99.
BeUlaar, o B«lUa*rl*. Par., o. 6,
y. 25.
B«U* (del) Oeri. Inf., e 29, y. 27.
Bel», re di Tiro. Par., o. 9, y. 97.
Bela«bù. Inf., e. 84, y. 127.
B«B»«o, lago. Inf., 0. 20, y. 68, 74, 77.
B«Me4l«4io (8.) patriarca. Par., o. 23,
y. 40; o. 83, y. 85.
B«Me4l«Mo (BadU di San). Inf., e. 16,
y. 100.
t^aeTCBio. Pnrg., o. 8, y. 128.
B«BlB«»a» d'Areuo, deoignato oome
'l'Aretino'. Porg., o. 6, y. 13.
Berir*^Baaa«kl. Inf.. o. 20, y. 71.
BerllBffklerl Ramondo. conte di Pro-
yensa. Par., o. 6. y. 134.
BeraardlB di Foaoo. Porg., e. 14,
y. 101.
t^rmmr^m (S.), abate. Par., o. SI, y.
102, 139; 0. 82. y. 1. Prega la Tergiiie
Maria per Dante. Iyi. e. 83. v. 1 e aeg.
B«rM»r«*, ftate. Par., e 11, y. 79.
B«niard*B« Pietro. Par., o. 11, y. 89.
B«r4tt, o Ba^MB» B«r4B. Pu-., e. 18,
y. 139.
B«r41 BellineioB. Y. Bellinoion.
B«r«rBai dal Bornio. Int. e 28. y. 134.
B«y«r*, per Castoro. Inf.. e 17, y. 82.
BlBBelO, fiudone. Inf.. e. 24, y. 150.
Bl««, nome sincopato. V. Beatrioo.
BUU. y. PilU.
BlBdi*, nome sincopato. Par., e. 29,
y. 108.
Bla«Bal*, fiume. Inf., o. 32, y. 56.
BlaaaBBioTBy monte. Parg., e. 4, y. 36.
B*cc» degli AbatL Inf., e. 33, y. 196.
■••Bila. Porg., e. 7, y. 98. Par., e.
19. y. 125.
Boesi* Seyerino. Par., o. 10, y. 125.
B^loffBB. Inf., o. 28, y. 142. Parg., e
14, y. 100.
B^loffBcae Franco. Pnrg., e. 11, y. 88.
B^loffBMl. Inf., 0. 28, y. 108.
B*la«BBy casteUo. Porg., o. 24, y. 24.
B^bbUI Ooido. Inf.. e 20. y. 118.
B«B»T«B4«rB (8.). Par., e 12, y. 137.
B^BlflasiOy ardy. di Eayenna. Porg.,
o. 24. y. 29.
B^Birast* TUl. Inf., o. 19, y. 63; e
27, y. 70. 86. Porg., e. SO, y. 87 ; e. 82,
y. 149; o. 83, y. 44. Par., e. 9. y. 132;
e. 12, y. 90; 0. 17, y. 49; e 27, y. 22;
0. 30, y. 148.
B«Blteal* da Signa. Par., e. 16, v. 56.
BoBUir*, o BB^BiBT^y de'Datl. In£.,
e. 21, y. 41.
B*r«B, yento. Par., o. 28, y. 81.
• di Firense. Par., e 16, y. 134.
(dal), y. Bertram.
B^ralere Gnglielmo. Inf., o. 16, v. 70.
B^atfeMl, fliiniglU. Par., e 16, y. 93.
BrAbBBitf. Parg., e 6, y. 23.
BrBB«B d'Oria, genoyese, traditore.
Inf., e 38. y. 137, 140.
BrBBda, fonte in Slena. Inf.. e. 80, y. 78.
BrBBdiBlo, o BrlBéUai, dttà. Porg.,
0. 8, y. 27.
BreBBo, capitano. Par., e. 6, y. 44.
BreBtB» fiame. Inf., o. 15, y. 7. Par.,
0. 9. y. 27. ^
Bl», città. Is^(^a^W. 68.
tKDlOB DBt NOVI PKOPBIl K DI OOSt NOtAfilLI
106
lireselttal. Inf., o. 20, r. 71.
BreMlMoro, dttà. Pnrg., o. li. t. 112.
BrlAr««, gigante. Inf., o. 81, t. 08.
Parg.. 0. 12, V. 28.
llrlc»i» (il). Inf., o. 33, v. 89.
BrlBdtol. y. Brandiiio.
BrlMO, filosofo. Par., e. 13, v. 125.
llr*««l» (dalla). Y. Pier della Broot-ia.
Brami», città. Inf., o. 16, v. 4. Porg.,
o. 20, T. M.
Branelleaekl. Y. Agnel.
BrnB*iio Latini. Inf., o. 15, t. 80,
82, 101.
Braio I«««l*, nemico di Tarqoinio.
Inf.. 0. 4, T. 127.
Braio Mmrem^ nodaore di GinlJo Ce-
Bare. Inf., e. 34, ▼. 06. Par., o. 0, v. 74.
Baeaaaae. Y. Boemia.
Basse», o Baffi», città. Par., e. 9,
T. 02.
Bal»BMaU Oioranni. Inf., e. 17, t. 72.
BaU«»ai« di Yiterbo. Inf., o. 14, v. 79.
Baaaafflaai» degli Orbisani. Porg.,
0. 24, y. 10, 20, 86, 60.
Baoacoat« di MonteliBltro. Porg., o.
6, ▼. 88.
BaoadiciBiaate de' Baondelmontf.
Par., 0. 10, T. 140.
Baoadelaiaail, flunlglia. Par., o. 16,
T. 00.
Baaao da Boera, cremonese. Inf. , e. 82,
V. 110.
Baasa degU Abati. Inf., o. 25. t. 140.
BaoiiO Donati. Inf., e. 80, t. 44.
€:»««1» d'Asciano. Inf., e. 29, ▼. 181.
Caeel»saM». Par., o. 16, v. 28, 97,
135, 145; e. 16. v. 28eseg.; e. 17; e.
18. y. 2, 28, 50.
Caeel»alaalea Yenedioo. Inf., e. 18,
V. 50.
Caca, ladro fiimoso. Inf., e. 26, v. 25.
C»dBao. Inf., e. 25, ▼. 97.
C!»ffB»Ba, fiome. Par., e. 9. v. 4fl.
C»ffB»aaa, demonio. Inf., o. 21, v. 110;
e. 22, T. 100.
C»ir»a, pontefice. Inf., e. 28, y. 115.
€7»la», primo giro di O>cito. Inf., e.
6, ▼. 107; 0. 32, v. 68.
CaUta e le spine, ombra nella Luna.
Inf., o. 20, y. 120. Par., e. 2, y. 61.
Calaoy primogenito di Adamo. Porg.,
o. 14, y. 132.
Calatereaa, o G»l»Trea«. Par., o. 12.
▼. 140.
CAUuroff», o Gk»l»karr», città.
P^r., e 12. y. 62.
V»lteall, ftunlglia. Porg., e. 14. y. 89.
C»le»brla», demonio. Inf., e 21, y.
118; 0. 22, y. 188.
<^l«»ai», o€»lc»Bta, indoyino. Inf.
o. 20, y. 110.
Galfacel, ikmJglia. Par., e. 10, y. 106.
Callaia, ninb. Porg., e. 25, y. 181.
C»llaia I, papa. Par., e. 27, y. 44.
G»Uiopé», o <?»lUap«. Porg., e. 1,
V. 9.
G»ni»l4oll (eremo di). Y. Ermo.
fTaaUcioBa Alberto de' Passi. Inf., e.
82, y. 08.
CTaasasUl». Inf., e. 1, y. 107; e. 4. y.
124.
G»BsaBÌBo (da), fiuniglia. Y. Gherardo.
Caasasiaa (da) Bicdardo. Par., e. 9,
y. 50.
G»aBp»ffa»Uea, loogo. Porg., e. 11,
y. 00.
CTaaspaldlaa, nel Casentino. Pnrg.,
0. 6, y. 92.
Gaaspl, castello. Par., e. 10, y. 60.
C»B»veaa, contea. Porg., o. 7, y. 136.
C»B««lllerl,fkmiglia.Inf., e. 32, y.03.
Y. Focaccia.
Caaera, segno dello Zodiaco. Par., e.
25, y. 101.
C»B Kr»a«la della Scala, accennato.
Inf., e. 1, V. 101 (!). Par., e. 17. y. 70.
C»aaaBe prima: così chiama Dante la
Cantica dell* Inferno. Inf., e. 20. y. 8.
Gaaraa, città nsoraia. Inf., e. 11, y. 60.
Caaralal. Par., e. 27. y. 58.
Caaa. Inf.. e. 12, y. 43.
CTapaaéo. Inf., e. 14, y. 83 ; e. 25, y. 15.
GapaeelUa. Inf., e. 29, y. 130; e. 80,
y. 28.
CapaaaacelU, ikmiglia. Par., e. 10,
V. 121.
CappallaUl, fiuniglia. Porg., e. 6,
y. 100.
Capraia, isola. Inf., e. 38, y. 82.
Caprleorao, segno dello Zodiaco.
Porg., 0. 2, V. 57. Par., e. 27, y. 69.
Caproaa, castello. Inf., o. 21, y. 05.
Cardlaale, detto cosi, antonomastioa-
mente, il cardinale Ottayiano degli
Ubaldini. Inf., e 10, y. 120.
Cariddl. Inf., e. 7, y. 22.
Carlvaaao (da) Angiolello. Inf., e. 28,
V. 77.
Carlseada, torre in Bologna. Inf., e.
81, y. 136.
Carlilk, yirtù. Dante esaminato solla
medesima da S. Giovanni Evangelista.
Par., e. 26.
CarllBO «•* Paasl. Inf.. e. 32, y. 69.
Carlo I, re di Paglia. Porg., e. 7, y.
113, 124; e. 11, y. 137.
106
IKDICB DEI NOMI PBOPBtl B DI C08B HOTABILt
G»rl* U, re di Puglia. Inf., o. 19. t. 99.
Pnrg., e. 7, V. 127 ; o. 20, t. 07. Vende
Beatrice ena figlia ad Asso d'Bete. Itì,
79 e 80. Par., o. 0, t. 106 ; o. 19, t. 127 ;
0. 20, T. 63.
C»rl* Mavb», imp. Inf., o. 81, t. 17.
Par., 0. 6, y. 96: o. 18, v. 43.
Cari* M»r«eUo.Par., o. 8, t. 49. Ami-
co di Dante, o. 8, t. 66, 72 ; e. 9, v. 1.
Cari* JB*beri«, re d'Ungheria. Par.,
e. 8, T. 72.
Cari* 0«BBA4«n«,Te di Paglia. Infl,
o. 6, ▼. 69. Parg., o. 5, t. 69; e. 20,
T. 71.
CarM», dansa. Par., e 24, t. 16.
CaroB o GAr*B4e« Inf., o. 3, t. 94,
109, 128.
CarplCB» (Goldodi), Parg., o. 14, t. 98.
Varrareae. Inf., o. 20, t. 48.
Carra, ooetellasione. Inf., o. 11, t. 114.
Parg., e. 1, V. 80. Par., e. 18, t. 7.
y. Orsa maggiore.
Casale, città. Par., e. 12, ▼. 124.
- Gaaaladi, castello e fiunigUa. Inf., o.
20, T. 96.
Casella, mnsioo. Parg., o. 2. t. 91.
CaseaUao, paese. Inf., o. 80, t. 65.
Parg., 0. 6, T. 94; e. 14, ▼. 48.
Casino, monte. Par., o. 22, r. 37.
Casserà (del) Oaido. Inf., e. 26. t. 77.
Cassero (del) Iacopo. Parg., e. 6, t. 73.
Casslao. Y. Casino.
Cassio, acoiaore di Cesare. Inf., e. 84,
V. 67. Par., o. 6, v. 74.
Castello Sant'Angelo in Boma. Inf.,
e. 18, ▼. 32.
Castello (da), famiglia. Parg., e. 16,
V. 126.
Castlfflla, provincia. Par., e. 12, t. 68.
Castlil^ (Baempi di). Parg., e. 2.% ▼. 121.
Castore. Parg., e. 4, ▼. 61. V. (Smolli.
Castoro. lof., e. 17, ▼. 22.
Castroearo, oontea di Bomagna. Par-
gat., e. 14, T. 116.
Catalano de' Halavolti. Inf., o. 28, v.
104, 114.
Catalogna, provincia. Par., o. 8, t. 77.
CatelUal, fiunlglia. Par., e. 16, v. 88.
^ Catena, città. Par., e. 8, ▼. 62.
yj Catone, nticense. Inf., o. 14, ▼. 16.
Parg., e. 1, T. 81; e. 2, v. 120.
Catrla, monte. Par., e. 21, v. 109.
Cattolica (la), terra. Inf., o. 28, v. 80.
CaTal«antl(Javalcante.Inf.,o.l0,v.60.
Cavaleantl m. Francesco. Inf., e. 25,
r. 151.
Cavaleantl Gianni Schicchi. Inf., e.
30, T. 82. 44.
«^Taleanu Gaido. Inf., e. 10, ▼. 68.
Parg., o. U, V. 99.
CaTaUerl, o FraU GaBdenU. laL,
e. 28, T. 103.
CeeUlo Stado. Parg., o. 23, t. M.
<^elna, fiome. Inf., e. 18, ▼. 9.
Celestino ▼ (San Pier). Malameata
accennato. Inf., e. 8, y. 59. Gloste-
mente inteso. Ini, o. 27. y. 105.
Ceneri, serpenti. Inf., o. 24, y. 87.
fJentanri. Inf., e. 12, y. 56; e. 25, y.
17. Parg., e 24, y. 121.
€}entanro (gran). Y. Kesao.
Ceperano, terra. Inf., e. 28, ▼. 16.
Ceplias. Par., e. 21, y. 127.
Cerbero. Inf., e. 6, y. 18, 22, 32; o. 9,
y. 98.
CereU, fkmiglia. Par., e. 16, y. 66.
Cerere. Parg., e. 28, y. 61.
Certaldlo, castello. Par., e. 16. y. f 0.
Ceryla, città. Inf., e. 27, y. 42.
Cesare Giallo. Inf., e. 1, y. 70 ; e 4,
y. 123 ; 0. 28, v. 98. Parg., e. 18, y. 161 j
e. 26, y. 77. Par., e. 6, y. 67 j o. U, y.
69; e. 16, y. 10.
cesare, titolo dell'Imperatore. Inf^ e.
13, y. 65. Parg., e. 6, y. 92. 114. Par.,
e. 1, v. 29; e. 6, y. 10; e. 16, y. 60.
Cesare Tiberio. Y. Tiberio.
Cesena, dttà. Inf., e. 27, y. 52.
CAelMrl, serpentt. Ini, o. 24, y. 86.
Clier*bl, o Chernblnl. Par., e. 28,
y. 9Jr.
Cbemblea lace. Par., e. 11, y. 89.
Chemblnl neri, demmil. Ini, o. 27,
y. 113.
Chiana, dame. Par., e 18, y. 23.
Cblara (Santa) d' Aesisi. Par. . e 8, y. 96.
Cblaraniontesl,oredati £iJ8ari.Porg.,
0. 12, y. 106. Par., e. 16, y. 105.
Cblarentana, monte. Ini, o. 15, y. 0.
Chlaslo, liame. Par., o. 11, y. 48.
Cblassl, o Classe, laogo distrutto
preMo Bavenna. Purg., e 28, y. ^.
Cbl*.yeri, terra. Parg., e. 19, y. 100.
Cblesa di Boma. Porg., e 16, y. 127.
Cblrone, centaaro. Ini, o. 12, y. 65,
71, 77, 97. Parg.. e. 9. y. 87.
CUnsI, città. Par., e. 16, y. 75.
Claeeo, goloso. Ini, e. 6. v. 52, 58.
Ciampolo. Y. Giampolo.
Clanfa de' Donati. Ini, e. 26, y. 4t.
ClanffbeUa della Tosa. Par., e. 15.
y. 128.
Clapetta Ugo. Parg., e. 20, y. 4S. 40.
ClelUa, o SleUla. lol, e. 12, y. 108.
Purg., e. 8, y. 116. Par., e. 8, y. 67.
Clelllano, boe. Ini. e. 27. y. 7.
Cielopl. Ini, e. 14, v. 65.
CleManro (S. Piero la), tempio in Pa-
via. Par., e. 10, y. 128.
Clmabne. Parg., e. U, y. 94.
IHDTCB DBI NOm PBOPKH 1 DI COBB ROTABILI
107
ClBeUui»t«. Par., o. 15, y. 129. Y.
Quiniio.
Clone de* Tarlati, Moeimato. Porg., o.
6, T. 16.
Cim^tÈm di OermaleiDine, per Carlo, re di
Gemaalemme. Y. Cario II.
Cipri, Ì8(^ Inf., e. 28, t, 82. Par., e.
19, ▼. 146.
CIprlvBAy o T*Ber«. Par., o.8, t. 2.
Clr«e. Inf., e. 26, ▼. 91. Purg., e. 14,
T. 42.
ClrlaMo, demonio. Inf., o. 21, t. 122;
o. 22, T. 56.
Ciro, re. Porg., o. 12, r. 66.
Clrr», città. Par., o. ], t. 86.
Citerò», 0 Yeaere. Porg. , e. 27, t. 96.
ClemoBio lY. Porg., e. 3, ▼. 125.
ClemoBio Y. Inf., o. 19, t. 83. Parg.,
e. 82, T. 148 e seg.; o. 83, v. 44. Par.,
o. 17, ▼. 82; 0. 27, t. 68; e. 30, v. 142
e Mg.
Clemems» divina. Inf., o. 2, t. 94.
Clemensa, regina. Par., e. 9, v. 1.
Cieop»ir*a, o Cleopair». Inf., o. 6,
V. 68. Par., 0. 6, ▼. 76.
Cleto, papa. Par., o. 27, t. 41.
CllmoBé. Par., e. 17, v. 1.
Cll^, Moaa. Porg., o. 22, t. 58.
Clote, Paroa. Parg., o. 21, v. 27.
Coeito, fiome. Inf., e. 14, t. 119; o. 81,
T. 128; 0. 88, T. 156; e. 84, v. 52.
Colchi. Inf., e. 18, y. 87.
Coleo, città. Par., e. 2, y. 16.
€3oUe, città. Porg., e. 18, y. 115.
Chiosa», o €k»loBl» agrippina. Inf.,
e. 28, y. 68. Par., o. 10, y. 09.
€^loaBe d' Sroole. Inf., e. 29, y. 106.
ColoMBoel, famiglia. Inf., e. 27, y. 86.
Comme^iiAS ood chiama Dante il suo
poema. Inf., o. 16, y. 128.
€^Blo, contea in Romagna. Parg., e.
14, y. 116.
comalcllerl fraadolentl paniU. Inf., e.
26, y. 31 e seg.
€^Bte Qoido. Par., e. 16, y. 98.
CoBtemplaUTl e solitari. Par., e. 22.
y. 81.
CoBt'Orao. Parg., e. 6, v. 19.
Coraeto, castello. Inf., e. 12, y. 137;
o. 13, y. 9.
f^rBlffllB, o €}orBellB. Inf., e. 4, y.
128. Par., e. 15, y. 129.
CToro, yento. Inf., e. 11, y. 114.
€}orrB«o. Y. Corrado.
C^ral, popoli. Porg., e. 18, y. 81.
Corso Donati. Parg., o. 24, y. 82.
CortifflBBl, fkmigUa accennata (t).
Par., e. 16, y. 112.
CoaeleBSB para. Inf., o. 28, y. 115.
CToeoBBB, dttà. Parg., e. 8, v. 124.
CToatBBtlBo Magno. Inf., e. 19, y. 115 ;
o. 27, y. 94. Parg., e. 82, y. 125. Par.,
e. 6, y. 1 ; o. 20, y. 65, 57.
CoatBBtlBopoll. Par., e. 6, y. 5.
CoatBBBB. Y. Ooatansa.
Graaeo. Parg., e. 20, y. 116.
€;retl, o Creta, itola. Inf., e. 12, y. 12 ;
e. 14, y. 95.
Creaaa. Par., e. 9, y. 98.
Crtooatoaao (S.). Y. Gioyanni Crisost.
Ototlaal. Inf.. o. 27, y. 88.
Cristo. Y. Gesù Cristo.
Croasla, provincia. Par., o. 81, y. 108.
Caalaaa, sorella del tiranno Aziolino
da Romano. Par., o. 9, v. 82.
Capirlo. Par., e. 8, y. 7.
Cariasi, i celebri tre fratelli Albani.
Par., e. 6, y. 89.
fTarlo, o Cnrioae. Inf., o. 88, y. 98,
102.
Carradllao. Parg., e. 20, y. 68.
Carraio I, imp. Par., o. 15, y. 189.
Carraio da Palasse. Parg., e. 16, y.
124.
Carraio Malaspina. Parg., e. 8, y. 65,
109. 118. Carrado Malaspina l' antico.
Ibid. y. 119.
Daaalata, città. Inf., e. 14, y. 104.
DaaleUo, profeta. Parg., e. 22, y. 146.
Par., e. 4, y. 18; o. 29, y. 184.
]>aaleilo, Arnaldo, poeta proyensale.
Porg., e. 26, y. 115, 142.
Daaaatl, conoscono le cose ayyenlre,
e non le presenti. Inf., e. 10, y. 101
e seg.
Daaola, per Danabio. Inf., e. 82, y. 26.
Daate chiamato da Beatrice per nome.
Parg., e. 80, y. 55. Amlcisia grande
del medesimo con Carlo Martello. Par.,
e. 8, y. 65. Osserva in Roma il tramon-
tar del sole. Parg., e. 18, v. 80.
Daaablo. Par., e. 8, v. 66. Y. Danoia.
DayMe, re. Inf., e. 4, y. 58; e. 28, y.
188. Parg., o. IO, y. 65. Par., e. 20, y.
88; e. 25, y. 72; c. 82, y. 11.
DeeI, romani eroi. Par., e. 6, y. 47.
I>eeretall (libro delle). Par., e. 9, y.
134.
Dedalo. Inf., e. 17, y. Ili ; e. 29, y.
116. Par., e. 8, y. 126 e seg.
l»elaalra. Inf, e. 12, y. 68.
Oeldamla. Inf., e. 26, y. 62. Parg., e.
22, y. 114.
l»elllle. Porg., e. 22, y. 110.
Isella, appellata la Lana. Porg., e. 29,
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108
INDICE DEI KOHt PBO?BII E DI COSE NOTÀBILI
l»eia«A deità, Apollo. Par., o. 1. v. 82.
Delo, isola. Parg., o. 20, t. 180.
l»em«erlt«. Inf., o. i, v. 136.
l>emoro«Bie. Par., o. 9, r. 101.
1»1«B», dea. Parg., e. 20, v. 182; o. 25,
V. 131.
1>I»B», riviera. Porg., o. 18, v. 153.
Dldoae, o Dldo. Inf., e. 5, v. 61. 85.
Par., e. 8, V. 0.
DUlvems» (B«empi di). Parg., o. 18,
v.M.
Dio (Unità e Trinità di). Par., o. 83, v.
115 e seg.
Jiloveaès, o Dlosene. Inf., o. i, t.
187.
l»lome4l«. Inf., e. 26, y. 56.
Dione, per Venere, dea. Par., o. 8, v.
7. - Per Venere, pianeta, o. 22, v. 144.
DloBlalo Areopagita. Par., o. 10, ▼.
115; 0. 28, V. 180.
DiOBlalo tiranno. Inf., e. 12, t. 107.
l>loa«orldo Anaraabeo. Inf., e. 4, t.
140.
l>lie, città infernale. Inf, o. 8, t. 68;
0. 11, V. 65; o. 12, ▼. 80; 0. 84. v. 20.
DoAfflo, città. Porg., o. 20, v. 46.
]>ol«ÌBO, fhite. Inf., o. 28, t. 55.
l»omenlc»Ml. Par., o. 11, v. 124.
l»omeBl«o (S.). Par., e. 10, v. 05; o.
11, V. 89, 121; 0. 12, v. 55, 70.
DoaitiuMlOBl, coro d' angeli. Par., e.
28, V. 122.
l>omÌBl«MO» imp. Parg., o. 22, r. 83.
l>OB»tl, flimlglia. Par., e. 16, v. 119.
l»OM»U Baoto. Inf., o. 30, v. 44.
l»OM«U Cianfà. Inf., o. 25, v. 43.
l>OB»U Corso. Porg., e. 24, r. 82.
l>OB»il, V. Forese e Piccarda.
l»OB»io,grammatioo. Par., o. 12, v. 137.
DoBBo fiorentine biasimate. Parg., e.
23, y. 94 e seg.
l>r*sklvBasBO, demonio. Inf., o. 21,
V. 121 ; e. 22, V. 78.
I»r»so. Parg., e. 82, ▼. 131 e seg.
I»ne» d'Atene. V. Teseo.
l»oe» (del), famiglia. Parg., o. 14, v.
112.
M^uem (del). V. Goido.
Dner». V. Baoso da Daera.
l>ar»aso» città. Par., e. 6, y. 65.
E
Ebreo donne. Par., o. 32, y. 17.
Ebrei. Parg.. e. 4, y. 83; o. 18, y. 184;
o. 24, y. 124. Par., e. 5, y. 49; o. 32,
y. 182.
Ebrei (schiayitù babilonica degli). Par.,
0. 28, y. 133.
Ebro, fiaroe. Par., o. 9, y. 88. V. Ibero.
Eeo. Par., e. 12, y. 14.
Eelos« IV di VirgiUo, aeceonate.
Parg., e. 22, y. 70.
EenbAy regina. Inf, e. 30, ▼. 16.
Effigio, frate. Par., o. 11, v. m.
E^a», isoletta. Ini, o. 29, y. 59.
EiTtito. Parg., 0. 2, y. 46. Par., e SS,
y. 55.
Eleas« Inf., e. 5, y. 64.
Elettra, figlia di Agamennone. Inf., e.
14, y. 121.
Eli, nome d* Iddio. Par., o. 26, y. 136.
Ella, profeta. Inf., e. 26, y. 85. Porg.,
0. 82, y. 80.
Ellee. Pnrg., e. 25, y. 181. Par., e 31,
y. 82, 33. V. Orsa maggiore.
EUeoaa, monte. Parg., o. 29, y. 40.
Eliodoro. Parg., e 20, y. 113.
Elio*, o EeeeliM. Par., o. 14. y. 9S.
EUaabetta (Santa), madre di San Gio.
Battista. Parg., e. 18, y. 100.
Eliaco, profeta. Inf., e. 26, y. 34.
Eliaco, antenato di Dante. Par., e 15,
y. 188.
Elisio, campo. Par., o. 15, y. 27.
Ellespoato. Parg., o. 28, y. 71.
Elsa, flame. Parg., o. 33, y. 67.
Eaia, fiame. Par., o. 10, y. 143.
Easpedoelèa, o Eaapedlocio. Int.,
0. 4, y. 138; 0. 12, y. 43-43.
Eaea, troiano. Inf., o. 1, y. 74; e. 2.
y. 18, 32; 0. 4, y. 122; e 26, y. OS.
Porg., e. 18, y. 187. Par., e. 6, y. 3;
e. 15, y. 27.
Eaelde di Virgilio. Inf., o. 1, y. 84;
0. 20, y. 113; 0. S6, y. 82. Pnrg., e.
21, y. 95 e seg.
Eolo. Parg., e. 28, y. 21.
Epicuro. Inf., e. iO, y. 14.
Equatore. Parg., o. 4, y. 80.
EqalBoalale, orto del Sole. Par., e.
1, y. 88.
Era, fiame. Par., e. 6, y. 59.
Eraclito. Inf., o. 4, y. 188.
Ercole. Inf., e. 25, y. 82 ; e 26, y. 108 ;
0. 31, y. 182. V. Alcide.
Eretici paniti. Inf., o. 10 e seg.
Erinie. Parg., e. 12, y. 60.
Erlac, farie. In£, o. 9, y. 45.
Erlsltoae. Parg., o. 23, y. 26.
Erltone, maga. Inf., e. 9, y. 28.
Erasaflrodlto. Purg., o. 26. y. 82.
Ermo, o Ercaao di (^amaldcdi. Pnrg.,
o. 6, y. 96.
Ero, donseUa. Parg., o. 28, y. 73. V.
Leandro.
Eaaù. Inf., e. 3, y. 60 (T). Par., o. 8, y.
130; e. 82, y. 68, 70
Esaoasa diyina. Par., o. 28.
INDICE DEI vomì PROPBII B DI 008B NOTABILI
109
ISfiia, o listi, «Mtello. Inf, o. 12, t.
111. Parg., 0. 5, V. 77.
Kftier. Porg., o. 17, t. 29.
Kfti« (da). V. Aszone, Btjatrice, Obiszo.
£ieoele e I*oliMle«. Inf, e. 26, v.
54. Parg., o. 22, v. 66.
Etiope ed Ktlopo. Parg., o. 26, t.
21. Par., e. 19, v. 109.
JBIIopI, aco6QDAti. Inf., 0. 81, v. 44.
Etiopi», provincia. Inf., o. 24, v. 89.
EtB»» o HoBVibello. Par., o. 8, t. 67.
Ettore, Inf., 0. 4, ▼. 122. Par., 0. 6, T. 68.
Eaelide. Inf., e. 4, v. 142.
E«rratoa, fiani«. Pnrg., o. 88, ▼. 112.
E«BOO, e To»Bto. Parg., o. 26, v. 95.
Evaoè, fiume. Parg., o. 28, v. 181; e.
83, ▼. 127.
Earlalo, Inf., e. 1, v. 108.
Euripide. Porg., o. 22, v. 106.
Earlpllo. Inf., e. 20, v. 112.
E«ro, vento. Par., o. 8, v. 69.
Earopa, figlia d'Agenore. Parg , o. 8,
V. 123. Par., o. 6, v. 6; o. 12, v. 48;
e. 27, V. 84.
Ets. Parg., e. 1, ▼. 24; o. 8, v. 99;
e. 12, V. 71; 0. 24, V. 116: e. 28, v.
142: 0. 29, V. 24; e. 30. v. 52; o. 32, v.
32. Par., o. 13, v. 38; o. 82, v. 6.
Emeriti», re. Par., o. 20, ▼. 61.
Eseekiello, profeta. Parg., o. 29, v.
100.
Fabbro. V. Lambertaodo.
F»brlxlo, console. Parg., e. 20, v. 25.
F»bll, romani. Pnrg., e. 6, v. 47.
r««asa, città. Inf, o. 27, v. 49; o. 82,
▼. 128 Pnrg., o. 14, t. 101.
F*l»rl4e, accennato. Inf., o. 27, y. 7.
Falsari, alchimisti, paniti. Inf., o. 29.
FalslAeatorl di monete, della perso-
na, de'&tti. Inf., 0. 80.
Faltoroaa, monte. Porg., e. 14, v. 17.
Faasavosta, città. Par., e. 19, v. 146.
Faaelalll sensa oso di ragione, salvati
per virtù del battesimo. Par ., e. 82, V.48 .
Faaelalll morti sensa battesimo, rite-
nuti nel limbo. Par., o. 82, v. 82.
Faao, città. Inf., o. 28, v. 76. Pnrg.,
o. 6, T. 71.
FamtoUa o Fmatoll, fiuniglia. Parg.,
0. 14, V. 121.
Faree, serpenti. Inf., e. 24, v. 86.
Far Carello, demonio. Inf., e. 21, v.
128; e. 22, v. 94.
Farinata degli Uberti. Inf., e. 6, v.
79; e. 10, V. 32.
Farlmata, figlio di Marsnoco degli
Scomiglani. Parg., e. 6, t. 17.
Farisei. Int, o. 28, v. 116.
Farisei nuovi. Inf., e. 27, v. 85.
Farsafflla, regione. Par., e. 6, v. 65.
Fe^le, virtù teologale. Dante esaminato
solla medesima da San Pietro. Par.,
0. 24.
Federico I Barbaroasa. Porg., e.
18, V. 119.
Federigo II, imperatore. Inf., e. 10,
V. 119; e. 18, V. 59, 68; e. 23, V. 66.
Porg., e. 16, V. 117. Par., o. 8, v. 120.
Federigo novello. Porg., o. 6, v. 17.
Federigo, re di Sicilia. Porg., e. 7, v.
119. Par., e. 19. t. 130 ; e. 20, v. 68.
Federigo Tignoso. Porg., e. 14, v. 106.
Fedra, moglie di Teseo. Par., o. 17,
▼. 47.
Feliee Qosman. Par., e. 12, v. 79.
Feltro, o Feltro, città. Inf., e. 1, v.
105 (f). Par., e. 9, V. 52.
Feltro, per Monte Feltro. Y. Monte
Feltro.
Fenlee, nccello. Inf., e. 24, v. 107.
Feaieia, provincia. Par., e. 27, v. 83.
Ferrara, città. Par., e. 15, v. 137.
Ferrarese, sangue. Par., e. 9, v. 56.
Fetoa, o Fetonte. Inf., e. 27, ▼. 107.
Parg., 0. 4, V. 72; o. 29, v. 119. Par.,
e. 17, T. 8; e. 31, V. 125.
Fialte, gigante. Inf, e. 81, v. 94, 108.
Flamaslaslil, Inf, e. 15, v. 4.
Flesebl, conti di Lavagna, accennati.
Porg., e. 19, V. 100 e seg.
Fiesolaae, bestie. Inf, e. 15, v. 78.
Fiesole, dttà. Inf, e. 15, v. 62. Par.,
e. 6, V. 68; e. 15, v. 126; e. 16, v. 122.
Fi fanti, famiglia. Par., e. 16, v. 104.
Arrigo. Inf, e. 6, v. 80.
Fisvbine, casteUo. Par., e. 16, v. 60.
Flllppesebl e Honaldi, fiuniglie.
Porg., e. 6, V. 107.
Filippi, re di Francia. Porg., 0. 20, V. 60.
Filippi, famiglia. Par., o. 16, v. 89.
Filippo Argenti, Y. Argenti.
Filippo il Bello, re di Francia. Inf, e.
19, V. 87. Porg., e. 7, v. 109 ; e. 20, v.
48, 86 ; e. 82, v. 152 ; e. 88, V. 45. Par.,
o. 19, V. 120.
Filippo, re di Frauda, detto KateUo.
Porg., e. 7, V. 108.
FUlide. Par., e. 9, v. 100.
Fiordaliso, insegna dei re di Franda.
Pnrg., e. 20, V. 86.
FioreaUna rabbia. Purg., e. 11, v. 113.
FlorenUne donne. Pnrg., e. 23, v. 101.
Par., 0. 15, V. 97 e seg.
Fiorentini. Inf, e. 15, v. 61 ; o. 16, v.
78; e. 17, V. 70. Porg., e. 14, v. 50.
Fiorentini GhibeilinL Pqrg., e. 11, v.
118. itizedbyCjOOgle
uo
IHDICB DBI NOMI PBOPBII E DI COSB HOTÀBILI
Fl^reauM o nreBse,olttà. Inf., o. 10»
V. 92: o. 13, V. 143; o. 18, ▼. 76; o. 23.
V. 95: 0.24, T. 144 ; o. 26, ▼. 1 ; o. 82, t.
120. Parg., e. 6, ▼. 127 ; e. 12. v. 102; o.
14, V. 64 : o. 20, v. 75 ; o. 24, v. 79. Par.,
o. 6, V. 53 ; e. 9, v. 127 ; 0. 15, v. 97; o.
16, V. 26, 40, 84, 111, 121, 184, 146, 149;
0. 17, T. 48; 0. 26, V. 6; e. 29. v. 103;
0.81, ▼.89.
FlorlBl, moneta d'oro. Inf.. o. 80, ▼. 89.
Fisi«A, (d* ArlstotUe). Inf.. e. 11. ▼. 101.
neseioBf»» 0 FletfetOBte. Inf., o.
12, V. 47, 76, 101, 117, 121, 125, 128 j
0. 14, ▼. 11. 77. 81, 89, 116. 121. 131.
182. 184.
FlevlAa, re de* Lapiti. Inf.. o. 8. ▼.
19, 24.
Fleffra, ralle. Inf.. o. 14, v. 68.
r*eae«lB de' CanoeUierl. Inf.. o. 82.
V. 63.
Wemrm, monte. Inf., o. 28; ▼. 89.
Foleo di Marsiglia. Par., o. 9, ▼. 67,
82, 94.
^•l; centauro. Inf., o. 12. ▼. 72.
FoBtiMiB (de la), fàmiglfa ferrareee.
Par., 0. 9, T. 62 (nella nota).
ForBboaelilf fttmigUa. Pnrg.. o. 16.
r. 109.
Forese de' Donati. Parg.. e. 28. ▼. 48.
76; 0. 24, V. 74.
Font, oittà. Inf., e. 16, v. 99; o. 27,
▼. 48. Porg.. 0. 24, t. 82.
FortBB». Inf., 0. 7, t. 62. Suo reggi-
mento descritto. Ivi, v. 78 e seg.
ForiBBB maggiore, termine astrologi-
00. Pnrg.. 0. 19. v. 4.
Foa«« (^ Bernardino. Porg., e. 14. ▼.
101.
FoUnOy eresiarca. Inf, o. 11 . v. 9 e seg.
FrsB««a«»da Polenta. Inf., o. 5. ▼. 116.
FrBB«ea«» gente. Inf., o. 29, ▼. 128.
FrBB«ea«BaaeBtey o Ali» FMMiee»
•e. Parg.. o. 16, ▼. 120.
FrBB«es««Bt. Inf., o. 28, ▼. 8 ; 0. 27,
▼. 92-93. Par., o. 11, ▼. 86-87, 94; o.
12. ▼. 112.
FrBBecaclif, o FrBBeeal. Inf, o. 27.
V. 44; e. 32, T. 116. Par., o. 8. ▼. 75.
FrBB«eM>« d'Accorso. Inf, e. 16,t.110.
FriMieMeo d'Assisi (S.). Inf. o. 27, ▼.
112. Par., 0. 11, T. 60, 74; 0. 18, y. 88;
o. 22, ▼. 90 ; 0. 82, ▼. 85.
FranelB. Inf, e. 19, ▼. 87. Purg.. o. 7,
T. 109; 0. 20, V. 43. 61, 71. Par., o. 15,
▼. 120.
Ftbbco Bolognese. Pnrg.. e. 11, ▼. 88.
FrBBBoal. V. Franceschi.
Fr»«4oleBU. Inf , e. 11, V. 19 e seg.
VrlaoBl, nomini d' alta statara. Inf,
0. 81, ▼. 64.
F«eel Vanni. Inf, e. 24, ▼. 12S.
FBlcert da OUboU. Parg., o. 14, t. a.
Farle. Inf. o. 9, t. 88 e seg.
e
ClBbrlele, o C(»brlello, are«Dgelo,
Pnrg., e. 10, ▼. 84. Par., e. 4, t. 47;
0. 9, ▼. 138 ; e. 14, T. 86 ; e. 23, ▼. 94«.
103; e. 32, ▼. 94 e seg., 112.
«•«dio, figlio del conte Ugolino della
Oherardesoa. Inf. o. 83, t. 68.
«««e, 0 €a41ee. Par., o. 27, ▼. 81.
«sMiB, città. Inf, 0. 26, t. 92. Par^
e 8, ▼. 62.
ClBlB» donna triTigiana. Porg., e. 16,
▼. 140.
ClBlBMilB. Par., e. 14, V. 99.
«Bleoiio. Inf, 0. 6, t. 187.
ClBlleae, o dmleBe, medico. Inf, e.
4, ▼. 143.
CiBllV»!, fiimiglia. Par., o. 16. ▼. Iti.
ClflOlslB, provinola. Par., e. 25, t. 18.
ObUI, fkiniglia. Par., e. 16, v. 105.
CkiUe rosso in campo d'oro, insegna del
Gindicato di GaUara.PaTg., e. 8, ▼. 8L
e»llitr». Inf. e. 22, v. 82. Porg-. e. 8.
▼. 81.
C(»llvaae, laogo. Par., o. 16, ▼. 5S.
CiBBelloBe, o CInBe di Magansa.
Inf, 0. 82, ▼. 122.
ClBB^e, flnme. Pnrg., e. 2, y, 5; e. 37.
▼. 4. Par., e. 11, ▼. 61.
ClBBlBieAe. Poig., o. 9. ▼. 28.
dmWlB, borgo. Inf, o. 20, ▼. 65.
ClBr^iBipe, via di Firense. Inf, e. 33,
▼. 108.
«BBdeBU oayaUeri. o frati. Inf, e. 33,
T. 108.
OBTllle, terra. Inf, o. 25, ▼. 151.
«e^eeme. Parg., e. 24, ▼. 125.
«lelboè, monte. Porg., o. 12, ▼. 41.
CtonaelU, o CtomlMl, segno dello Zo-
diaco. Porg., e 4. ▼. 61. Par., e. 22,
▼. 110, 152; e. 27, t. 98.
Clemeal* libro sacro. Inf. o. 11, t. 107,
«OBBAlOy meae. Par., e 37, t. 142.
OoBOT». Par., e 9, ▼. 92.
«lemoTeae, stato. Par., e. 9, t. 00.
OoBOToai biasimati. Inf., e. 82, ▼. 151.
«OBlUl iUnstri nel Limbo. Inf, o. 4.
C^BiaeeB, donna lacoiiese. Par;g., e.
24, ▼.87.
OerareMB angelica. Par., o. 28.
«orice. Par., e 9, ▼. 124.
«ori del Bello. Inf. e. 29, ▼. 27.
«ierlOBO» re di Spagna. Inf, e 17, ▼.
97. 188; e. 18. ▼.20. Poig., 0. 27, ▼. 32.
CleraMiBlB. y«^
Digitized by V
INDICI DBI NOMI PBOPBII X DI COSE NOTABILI
111
e. 84, V. 11 4. Pur^., o. 2, v. 8; o. 4,
V. «8; e. 23, T. 29; 0. 27, v. 2. Par.,
e. 19, ▼. 127 ; e. 25. v. 66.
Gesù, 0 <i«sù Crtoto, mensionato od
afloennalo. Inf., o. 4, v. 58; o. 12, v.
88; 0. 19, y. 91; o. 84, v. 115. Porg.,
o. 15, ▼. 88; o. 20, v. 87; o. 21, v. 8;
0. 23, V. 74; 0. 26, v. 129; 0. 82, v. 78,
102; e. 83, V. 68. Pmr., o. 11, v. 72,
102, 107; e. 12, ▼. 87, 71, 78, 76; e.
13. ▼. 40; e. 14, V. 104 e seg.; o. 17,
y. 38; 0. 19, y. 72, 104, 106, 108; o.
20, y. 47; 0. 28, y. 87, 72, 106, 186; e.
25. y. 15. 88, ^18, 128; e. 29, y. 98,
109; 0. 81, y. 8, 107; 0. 82, y. 20, 24,
27, 83. 86, 87, 125; 0. 88, y. 181.
«llier«r«Me« (delU), fkmfgUa. Inf.,
0. 32, y. 125 e seg.; o. 88, y. 1 e »eg.
V. Ugolino.
Cllier«rd* da Cammino. Porg., e. 16,
y. 124, 183, 188.
CllUb^lllnl, persecutori de' Papi, e per-
segaiUtì dai Papi. Par., e. 27, y. 48.
eiilte«IU«l e ««elfi ripresi. Par., e.
6, y. 100 e seg. ^
OklB di Tacco. Parg., o. 16, y. 14.
«llila»l»b«ll«, sorella di Caooianlinico.
Inf., 0. 18, y. 66.
elaeobtee. Y. Jacob.
«l»««po. y. laoomo.
Cll»aapol*, o Claaapolo. Inf., e. 22,
y. 32, 44. 47, 48, 77, 98, 121, 128, 185,
186.
«ll»M«toii* MalaieaUu Inf., e. 5,
y. 107.
«IlABlIsllJMBl» fkmigUa. Inf., o. 17, y.
69 (n.).
€ll»ml«*l*, monte. Inf., o. 18, y. 88.
CII»mU dei Solianierl. Inf., o. 82, y.
121.
ei»«Bl ««MtecM Cayalcanti. Inf., o.
80, y. 82, 44.
«!»■• dalla Bella, accennato. Par., e.
16, y. 182.
«■««•, dio. Par., 0. 6, y. 81.
€IUm*b«, capitano degli Argonauti.
Inf., o. 18, y. 86. Par., o. 2, y. 18.
Cll»»«m*, ebreo. Inf., e. 19, y. 86.
OIMMenr» (stretto di). Inf., o. 26, ▼.
107.
CI10», atramente mnaicale a corda. Par.,
o. 14, y. 118.
0f«»«U. Inf., 0. 81, y. 44 e seg. Porg.,
o. 12, ▼. 88.
GM^ll^» 0 Fl^rdiallB*, insegna dei re
di Franda. Porg., o. 7, y. 106; e. 20,
y. 86.
BUaevr»» donaeUa. Inf., e. 6, y. 188.
Par., o. 16, y. 16.
<ii»eaat«, regina di Tebe. Porg., e
22, y. 66.
Cllor«»B«, fiume. Purg., e 18, y. 185.
Par., e. 22, y. 94.
«I«a«è. Porg., e. 20, y. 111. Par., e. 9,
y. 125; 0. 18. y. 88.
eioMo, pittore. Porg., e. 11, y. 95.
Cltoy»«elilBO calabrese, abate. Par.,
o. 12, y. 140.
Cll*y»BM»9 madre di 8. Domenico.
Par., 0. 12, y. 80.
«■•T«Bm» di Honteibltro. Purg., e 5,
y. 89.
«■•TMiB» Visconti di Pisa. Purg., e.
8, y. 71.
Clloy»Bal (8.), tempio in Firense. Int,
e. 19, y. 17.
eioTABBl Battista (8.). Y. Battisto.
dloTABBl (8.), apostolo ed evangelista.
Inf., 0. 19, y. 106. Purg., o. 29, y. 106,
143; 0. 82, y. 76. Par., o. 4. y. 29; e.
24, y. 126; e. 25, y. 04, 113 e seg.; o.
32, y. 127.
eioyannl (8.) Crisostomo. Par., e. 12,
y. 186 e seg.
dloyannl (o Clloy»BeT), re. Inf., o.
28, y. 186.
«!• vanni XXH. Par., e. 27, y. 58.
eiore, re degli Dei. Inf., e. 14, y. 52 ; e.
31, y. 46, 92. Purg., o. 12, y. 32; o. 29,
y. 120; e. 32, y. 112. Par., o. 4, y. 62.
eioye, pianeta. Par., e. 18, y. 68, 70,
96, 116; o. 22, y. 146; e. 27, y. 14.
Cll^y* sommo, è chiamato dal Poeta il
vero Dio. Purg., o. 6, y. 118.
Clloyemnle, poeta. Porg., o. 22, y. 14.
eirsna de Bomeil. Porg., e. 26, y. 120.
etr*l»mo (8.). Y. leronimo.
einbAt re. Par., e. 6, y. 70.
einbblleo del 1800, accennato. Inf.,
e. 18. y. 28. Purg., o. 2, y. 98 e seg.
diad» Maccabeo. Par., o. 18, y. 40.
«Ind» 8carÌotto. Inf., e. 9, y. 27; o. 19,
y. 66; e. 81, y. 143 ; c. 84, y. 62. Purg.,
o. 20, y. 74; e. 21, y. 84.
«Indi» (8.) Taddeo. Purg., o. 29, y. 144.
ei««* Guidi, fiorentino. Par., e. 16.
y. 128.
eindieeesft, quarto giro di Oocito. Inf.,
o. 9, y. 27; e. 84, y. 117.
eindlet. Inf., e. 28, y. 123; e. 27, y. 87;
Par., e. 6, y. 81; e. 7, y. 47; e 29,
y. 102.
eindliUu Y. lodit.
eiaUa Cesare. Y. Cesare.
CUnname. Inf., e. 80, y. 1. Par., e. 12,
y. 12; 0. 28, y. 82.
eia*«lil, flunigUa fiorentina. Par., e.
16, y. 104.
«!«•«• della laca. Poig., e. 6, r, h
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112
INDICE DEI NOMI PROPBn E DI COSE NOTÀBILI
Int, o. 30, V. 97.
einseppe (S.), sposo di H. V. Porg.,
o. 16» V. 91.
OI«sUb1»bo imp. Pnrg., o. 6, ▼. 89.
Par., o. 6, T. 10. Doppia gloria delle
armi e delle leggi. Par., e. 7, t. 0.
eivattal» diyina. iDf., o. 2, t. 90.
ei»vco. Par., o. 1, t. 08.
«odentl^ oCi»«dl«ail,caTalierl. Inf.,
0. 23, ▼. 108.
eolfo di Catania. Par., o. 8, ▼. 08.
«olfo di GibUterra. Inf., e. 20, ▼. 107.
«•1*81 paniti. Inf., e. 0. Porg., o. 22
e seg.
«•aalU^ frate, Tioario di Nino Visconti
nel Olndioato di Gallura. Inf., o. 22,
▼. 81 e seg.
«oaa^rr», città. Porg., o. 20, ▼. 40.
«•rson», isola. Inf., o. 88, v. 82.
Ci«rsoflie, testa di Hednsa. Inf., o. 0,
▼. 60.
«ora» di Lnsa, tosooto di Peltre. Par.»
0. 9, ▼. 68 (nota).
«oatoBttao. Y. Ckwtanttno.
OoatikBaA, regina d'Aragona. Porg.,
o. 8, ▼. 115, 148; 0. 7, v. 129.
«•ati^nasà, imperatrice. Pnrg., o. 8, t.
118. Par., 0. 8, ▼. 118; o. 4, ▼. 98.
«•itlfì*e«l Buglione. Par., o. 18, v. 47.
«•Temo, castello, oraG^>Tòmolo. Inf.,
0. 20, T. 78.
C(r»fli»e«B*, demonio. Inf., o. 21, t.
122; e. 22, ▼. 84.
drBBlaa», monaco. Par., e. 10, y. 104.
Greci, popolo. Inf., e. 20, y. 76; e. 30,
y. 08. 122. Porg., o. 9, y. 89; o. 22,
y. 88. Par., o. 6, y. 09.
«reet, funigUa. Par., e. 10, y. 89.
ereelB. Ilif., e. 20. y. 108.
Orefforfo Kagno (S.). Porg., e. 10, y.
76. Par., o. 20, y. 108; e. 28, y. 188.
erlflnallBO d' Aresso. Inf., e. 29, y. 109
e seg.; 0. 80. y. 81, 87.
«ri rene. Pnrg., o. 32. y. 20 e seg.
«aalBBdl, Ciniglia pisana. Inf., o. 83,
y. 32.
On»M*, terra. Par., e. 11, y. 48.
«a»14r»«» Berti. Inf.. o. 10, y. 37.
Cla»14«r*ttl, fiunij^. Par., o. 10,
y. 188.
e««Bi*, o eterni, dttà. Purg., e. 20,
y. 40.
«««••hi, 0 ClB«a««Bl« Par., e. 27,
y. 68.
«««■eo CU). Clem. V. Par., o. 17, y. 82.
«nbMo. V. Agobbio.
«a«ae«Sa«. Pnrg., e. 20, y. 00.
e«eiii • OMibeliiBl ripresi. Par., o.
e, y. 100 e seg.
««•IO, fbyoritl da*P^. Par., e. 27,
y. 46.
«n«ll*l«a« AJdobrandesoo. Porg., e.
11, y. 59.
««irllelsao Borsiere. Y, Boralere.
««rllelmo, daoa d'Orang*. Par., e.
18, y. 40.
««Sltolaao, marchese di Monferrate.
Purg., e. 7, y. 134.
«nrllel«s«, re di Nayarra, aof>Mniato
Purg., e. 7, y. 104.
ClnsllelBa« U, re di SciUa. Par., e.
20, y. 62.
«bMI, famiglia. Ini, e. 30, t. 77. Porg^
e. 6. y. 17; e. 14, y. 48. Par., o. 16.
y. 04, 98.
e«ld« Bonatti. Inf., e. 20, t. 118.
««!«• CayalcaatL Inf., e. 10. y. 63.
Pnig., e. 11, y. 97.
««!««, conte di Hoatefaltco. laf., e. 27.
y. 67 e seg.
«Bldo, conte di Bomèna. Inf., e. M.
y. 77.
««Idlo, da Castello. Purg., e. 16, y, 136.
CNildl« da Honforte. Inf., e. 11. y. 119.
e«M« da Prata. Purg., e 14, ▼. 104.
enldl« del Cassero. Inf, o. 2S, y. 77.
««M« del Duca. Pnrg., o. 14, t. 81;
e. 15, y. 44.
««!«• di Carpigna. Puig., o. U, y. 98.
««Mov«err«. Inf., e. 16. y. S8.
««Mo Guinisem. Purg., e U, y. 97;
e. 26, y. 92, 97.
ChBldl« Bayignani. Par., o. 16, y. 98.
««iae»r4« Boberto. Inf., e. 28, y. 14.
Par., o. 18, y. 48.
ClalM«B* d*Aresao. Purg., e. S4, y. 56;
0. 26, y. 124.
«BlasaBie, o CtaasBBte, ylQagglo la
Fiandra. Inf., o. 16, y. 4.
S«l«, 0 Al«, yapore intomo 1» tua.
Par., e. 28, y. 28.
I«««b, o «l«e«bb«« patriarem. Par.,
e. 8. y. 181 ; e. 22, y. 71 ; e. 82, ▼. 68. 79.
I«eopo da 8. Andrea, gentiluomo pa-
doyano. liof., o. 18, y. 188.
I««opo (8.) apostolo, il maggioKtt.
Purg., e. 29, y. 143 ; e. 82. y. 76. Par.,
0. 25, y. 17, 80, 32. 88, 46, 77. *
I««opo del Cossero. Purg., o. 6, y. 73.
I«««po da Lentino, detto II Kotalo.
Purg., 0. 24, y. 56.
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INDICE DBI NOVI PBOPBII E DI COSE NOTABILI
118
Iae«po, o I»«omo . di KAvAm. Porg. ,
e. 7, V. 119. Par., o. 19, v. 137.
I»eopo Rastioood. V. Rastiooooi.
lacnil, aerpontì. lof., o. 21, v. 80.
K»rlMi, re di Numidi». Porg., o. 81,
V. 72
!»••»•. Y. Giasone.
lb«r«, flame. Parg.. e. 27, v. 8.
lenr^.Inf , o. 17, y. 109. Par., o. 8, v. 128.
Idi», monte. Inf., o. 14, v. 98.
lepte, o I«ae. Par., e. 5, v. 88.
leroMimo, o «liralamo (S.), Par..
e. 29, V. 87.
l«raaalèai. V. Oerusalemme.
IllseBi». Par., o. 5, ▼. 70.
Uer«a, o Iterila, città. Pnrg., o. 18,
▼. 101.
IIIOB, o Troia. lof., o. 1, t. 76. Pnrg.,
e. 12, T. 62. V. Troia.
lUaailBaio, frate minore. Par., o. 12,
▼. 130.
Imola, città. Inf.. o. 27. v. 49.
laaporAaal, famiglia. Par., o. 16, v.
183.
KB«ro«all pnnitl. Inf., o. 9.
I««l, o Ia«laal. Pnrg., e. 26, v. 21 ;
e. 82, T. 41. Par., o. 29, y. 101.
iMdlla. Inf., 0. 14, y. 82.
Indico, legno. Parg., e. 7, y. 74.
Ijadlo, flnme. Par., o. 19, y. 71.
Imdloylaly puniti. Inf., o. 20.
iBdlvIVOMso fUae. Par., o. 29, y. 120
e 86g.
ImfaBcaU, fiunigUa.Par., o. 16, y. 128.
lBK«Bal usati a donne, puniti. Inf.,
o. 18, y. 91 e seg.
lMK«ff«l malamente diretti oontro la
naturale inoUnaiione. Par., o. 8, y.
130 e seg.
lBCkll«*«t o lacloao. Par., o. 19,
y. 122.
Imgfcntorra. Purg., e 7, y. 181.
iMMoeoaao III. Par., e 11, y. 92.
Imo» moglie di Atamante. Inf., o. 30,
y. 6.
iBtoraalmoI, o Intoraalvelll Ales-
sio. Inf., e. 18, y. 122.
IvTMloal puniti. Purg., o. 13 e seg.
Iole, amata da Broole. Par., o. 9. y.
102.
XoaaflM, o losaflOMie, yalle. Inf., e.
10, y. 11.
iosa*. Purg., 0. 20, y. 111. Par., o. 18,
y. 88.
Iporioao. Par.^ o. 22, y. 142.
IpoorlU puniti. Inf., e. 28.
Ippoorato. Inf., o. 4, y. 143. Pnrg.,
e. 29, y. 187.
IpFoUio, Aglio di Teseo. Par., o. 17,
y.46.
Iracondi puniti. Inf., o. 7, y. 109 e
aeg. Purg., o. 16.
Irl, o Iride. Pnrg., o. 21, y. 60 ; o. 29,
y. 78. Par., o. 12, y. 12; o. 28, y. 32;
e. 33. y. 118.
Isaac, o Isacooy patriarca. Inf., e. 4,
y. 69.
Isaia, profeta. Par., o. 25, y. 91.
Isara, o Isero, fiume. Par., o. 6, y. 69.
Isidoro (S.) di SiyigUa. Par., o. 10,
V. 131.
Isf Ale. Inf., e. 18, y. 92. Purg., o. 22,
y. 112; 0. 26, y. 96.
IsmoBo, figlia di Edipo, re di Tebe.
Parg., 0. 22, y. 111.
Isascao, fiume. Pnrg., o. 18, y. 91.
Isopo, o Ksopo, fdglo. Inf., e. 2d,y. 4.
Ispacaa. Purg., e. 18, y. 102.
Ispaal. Par., o. 29, y. 101.
Israele, popolo. Pnrg., o. 2, y.46. Par.,
e. 22. y. 95.
Israele, o «llaeobke, patriarca. Inf.,
0. 4. y. 69.
Italia. Ini. e. 1, y. 106; e. 9, y. 114;
0. 20, y. 61. Purg., e. 6, y. 76, 106, 124;
0. 7, y. 95; o. 13, y. 96; e. 20, y. 67;
0. 30, y. 86. Par., o. 21, y. 106; e. 80,
V. 137.
Italica erba. Par., o. 11, y. 106.
Italica terra praya. Par., o. 9, y. 26
e seg.
ladlty o «Ivdltta, Par., e. 82, y. 10.
lalla, o eiaUa, figlia di aiulio Ce-
sare. Inf., e. 4, y. 128.
lallo. y. Cesare Giulio.
IvMOy 0 eiiuioac. Par., o. 28, y. 82.
I<accdeaaoaa, o Sparta, città. Pnr-
gat., 0. 6, y. 189.
I«aclicals, Parca. Purg.. o. 21, y.26;
0. 25, y. 79.
Itadlslaoy re di Boemia. Par., o. 19,
y. 126.
I.adrfl puniti. Inf.. o. 24 e seg.
liacrtc. Inf. o. 26, y. 94.
I<avo di Garda. Inf.. o. 20, y.68, 74, 77.
Itamasaa^ o Clermaala. Inf., e. 20,
y. 62.
Itamtecrtacdo, ikbbro. Purg., o. 14,
y. 100.
I<ambertl, fiuniglia. Par., o. 16, y.
110 (n.). Y. Mosca.
Itaaaoae, flnme. Inf., o. 27, y. 49.
IjaBCillotto, amante di Gineyra. Inf.,
0. 6, y. 128.
I<aBft*aBcU, famiglia pisana. Inf., e.
33, y. 88.
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U4
INDICI DBI NOVI PBOPBn E DI COSE NOTABILI
Ii»BCt», Ibntenft. Parg., o. 29, y. 112.
I«»BO, saneae. lut, e. 18, ▼. 120.
I«»po, per !»••#•. Par., o. 29, v. 108.
Ijapo Salterello. Par., e. 16, t. 128.
lt»t«r«Bo, per JB^aaA. Par., e 81,
V. 86.
I«ai«r»Bo, tempio. Inf., o. 27, v. 86.
Ii»tlB» terra, per Italia. Ini, o. 27,
T. 27; 0.28, ▼. 71.
Itailnl Brunetto. Int, o. 16, t. SO,
82, 101.
IìaUbo, re. Inf., o. 4, r. 126.
IjAtlBO, per IìbUbbo. Inf., e. 22,
V. 66 { e. 27, ▼. 83; o. 29. v. 88, 91.
Pnrg., e. 7, v. 16; e. 11, t. 68; e. 18,
T. 92.
liBtoBBydea. Pnrg., o. 20, y. 181. Par.,
e. 10, y. 67 : o. 22. y. 189; e. 29, y. 1.
liBymVBB, flnme. Purg., e. 19. y. 101.
liBylBB, o IjbtIbIb» figlia del re La-
tino. Inr, 0. i, y. 126. Parg., o. 17,
y. 87. Par., o. 6, y. 8.
li^BB^ro. Parg.. o. 28, y. 78.
JLeBreo e MelleeriB^ accennati. Inf.,
o. 80, y. 6, 10 e seg.
I<«dB. Par., 0. 27, y. 08.
Ijeaioal o Uaiosea, città. Porg., o.
26. y. 120.
LeBBOy isola. Inf., o. 18, y. 88.
Ii«OBey eegno dello Zodiaco. Par., o.l6,
y. 37; 0.21, y. 14.
lieoae, poeto, nel eeneo morale, per la
snperbia; e nel politico, per la casa di
Francia. Inf., o. 1, y. 46.
licrlcly o lierlee» città. Parg., e. 8,
y. 49.
I«etè, o Ii«ièo, fiame. Inf.. o. 14, y.
131, 136. Purg.. e. 26, y. 108: e. 28,
y. 180; e. 30, V. 148; o. 88, y. 06, 123.
Ii«vl, • I<eyt. Purg., e. 16, y. 182.
lilB. Parg., e. 27, y. 101.
labaao, monte. Parg., e. 30. y. 11.
liiberBliUi (Eeempi di). Parg., o. 20,
y.31.
Ubero arbitrio Parg., e. 16, y. 71 e
seg.; 0. 17, y. 49 e eeg.; o. 18, y. 74;
e. 27, y. 140.
I4lbla. Inf.. 0. 24. y. 86.
Eilbleoe«ay demonio. Inf., o. 21, y. 121 ;
0. 22, y. 70.
Ubra, eegno dello Zodiaco. Parg., e.
2, y. 6 ; e. 27, y. 8. Par., o. 29, y. 2.
Uaarso di Nomea. Porg., o. 26, t. 94.
IjUla, città. Porg., e. 20, y. 46.
UUBba. Inf., e. 4, y. 24 e aeg. Par.,
o. 82, y. 82 e eeg.
laao (S.) papa. Par., o. 27, y. 41.
Utaale de' Santi. Pnrg., o. 18, y. 50.
« aeg.
▼lo, iatorioo. Int, o. 28, y. 12.
Iilslay o I4«la di Yalbona di Oewaa.
Pnrg., 0. 14, y. 97.
liiMleriBipa degU Andalò. InU, o. 23,
y. 104.
I«asa«ora, ginriedlsione in Sardegna.
Inf., 0. 22, y. 89.
IfOBabardla e Marca triyiglaoa dr^
coscritte. Ini, e. 28, y. 74. Parg., e
16, y. 115. Par., e. 9, y. 35, 44.
I«OBabar4o, di Lombardia. Inf., e. I.
T. 68; e. 22, y. 99. Pnrg., e. 6. t. 61;
0. 16, y. 46, 126.
I«oaibar4o (U gran), detto Bartok»-
meo della Scala. Par., e. 17, t. 71.
I.aaibar«a (il semplice), appellatiyo di
Gnido da Castello. Pnrg., e. 16. y. 126.
lioaibarda parlare. Inf., o. 27, y. 20.
liaBcobardo dente, per Longobaxdi.
Par., e. 6. y. 94.
■••Baa, poeta, nel senso morale, per la
lassarla; nel politico, per FlreDae.
Inf., e 1, y. 82.
lioreaso (S ) martire. Par., o. 4. y. 83.
lioUo degli AgH, fiorentino, soìeida.
Inf., 0. 18, y. 161.
IiBea (S.) eyangelista. Pnrg., e. 21, y.
7; e. 29, y. 187.
IfBeaae, poeta. Inf., e. 4, t. 90 ; o. 26,
y. 94.
Ii«eea, città. Inf.. e. 18. t. 123 : o. 21,
y. 38; e. 83, y. 80. PnrK., e 34, y.
20, 86. 46.
I««ela (S.) yerglne e martire. Inf , e. 2.
y. 97. 100. Porg.. e. 9, y. 55, 50, 63.
Par , e. 82, y. 137.
lioeirere. Inf., e. 81, y. 143; o. 34, y.
89. Parg., e. 12, y. 25. Par., e 9. t. 128$
0. 19. y. 47; e. 27, y. 26; o. 89, t. 56.
liBereala. Inf, o. 4, y. 128. Far., e.
6, y. 41.
liBclle, mese. Inf., o. 29, y. 47.
Inaivi» nome di motti re di Fraoda.
Purg.. e. 20. y. 50.
liOBa, pianeta. Inf., o. 7, v. 64 1 e. 10,
y. 804 e 15, y. 19; e. 20, y. 126-7; C
26. y. 181: o. 29, y. 10; e. 33, y. 26.
Pnrg.,jj^ 10, y. 14; 0^18. y. 76; e 19,
y. 2; ^gJO, y. 182,v^ 23, y. 130:^28.
y. 88; e. 29, y. Wj 78. Par., cU, y.
116;^. Cv. 25 e seg.t e. 10, fHl?; o,
16, y. 82; e^, y. IsTe seg.i e 27.
>. 182; 0. 287 y. 20; e. 29, y. Tr»7.
liBBl, dttà. Inf., e. 20, y. 47. Par., o,
16, y. 78.
I<apa, dinotante, nel scaso morale,
rayuisia; nel politloo, la ooxla re*
mana. laf., e. 1, y. 49. Paig., e 30,
y. 10.
liBaaarlacl poniti. Inf., e. 5. Porg.,
e. 35 e seg. ^ j
.i'edbyV^OOgle
INDIGB DBI NOMI PBOPBU B DI C08B NOTABILI
116
Inf., 0. 1», V. se.
. Inf., 0. 18, ▼. 40.
<8.), eremita. Par., e. S2,
▼. 4».
Mmélmm, Parg.. e 24, t. 196.
M»««ir« Adamo, breedano. Inf., o.
SO, T. 61, 104.
Mttnn*. Pnrg., 0. 24, ▼. 146.
MASr% o mmmrm, fiame. Par., e. 9,
T. 89.
MA«r» (Tane di). Y. Yaldlmagra.
]lA«litBar«* 0 HAlBard», Pagani
Inf., e 27, ▼. 60. Parg., o. 14, ▼. 118.
Mai*, per Mercvri*. Par., o. 22,
▼. 144.
Mml^llMh o H»i*r««, isola. Inf., o.
28. V. 82. Par., o. 19, ▼. 188.
mmtm—^km^ demonio. Inf., o. 21, t. 76,
79:0. 28. y. 141.
MmlaaplM» di Lonigiana. Pnrg., e. 8,
y. 18, 124. Y. Corrado.
MttlAtMi» di Rimini. Inf., o. 27. y. 46.
Y. Gianciotto e Paolo.
M«l»4ea4UiO, Uraono. Inf. , e. 28.y. 86.
H»l*te*lve. Inf., 0. 18, y. 1; e. 21, y.
6|C.24. y. 87tc.29, y. 41.
>I«lebr«Bclie, demoni. Inf., o. 21,
y. 87; e. 22, y. 100, o. 23, y. 23; 0.
33. y. 142.
>f»li«v prigione. Par., o. 9, y. 64.
ll»B»r«l. Y. Arrigo Maoardi.
Manfredi, re di Paglia. Porg., o. 8.
y. 112.
MABfre^l.di Faenza. Inf. e. 83. y. 118.
HttBfre^l Tebaldello. Inf., o. 82. y. 122.
H»a«la«or« Pietro. Par., o. 12, y. 184.
JI»Bio, indovina. Inf., o. 20. v. 66.
Porg., 0. 22. y. 118.
M»aioT«,oittA.Inf., e. 20, y. 98. Parg.,
0. 6, y. 72.
M»«4oTMitt, yilla. Parg., e. 18, y.88.
M*nt«yAMl. Inf., o. 1. y. 69.
9Uuii*v»MO. Inf., 0. 2, y. 68. Porg.,
o. 6, y. 74; o. 7, y. 86.
M»«me4iAB« legge. Par., e. 16. y. 143.
M»*me44«. Inf., o. 28, y. 31, 62.
M»re»te*, oaetello. Inf., e. 2g, y. 76.
■•rea d'Aneona. Porg., o. 6. y. 68.
JI»re» trivlgiana e liomte»r«l« oÌr-
ooecritte. Inf.. e. 28, v. 73-4. Parg., e.
16. y. 116. Par., o. 9, v. 25, 44.
H»reello, nemico di Giallo Ceeare.
Parg., o. 6, y. 126.
■»rch«aey per Obisso (o Anof) d' B-
•te. Inf., 0. 18. y. 66
■wrvheae (metser) de'BigogUosl. Par-
gat., 0. 24, y. 81.
Mmr— Lombardo. Porg., e. 16, y. 46,
180.
H»r4*«kèo. Porg., o. 17, y. 29.
MAMmaa» tra Plaa e Siena. In£, o. 29,
y. 48. Porg., e. 6, y. 184.
M»rsk«rl4» d'Aragona. Poig., e. 7,
y. 128.
H»rl» Ter^lae. Inf., e. 2, r. 94 e
aeg., 124. Porg., o. 8, y. 89; e. 6, y.
101; 0. 8, y. 87; e. 10, y. 41, 60; 0.
18, y. 60; e. 16, y. 88; o. 18. y. 100;
0. 20, y. 19, 97; o. 22, y. 142; e. 88,
y. 6. Par., e. 8, y. 122; e. 4, y. 80;
e. 11, y. 71; 0. 18, y. 84; e. 14, y.86;
0. 16, y. 183; e. 16, y. 36; e. 28, y.
86, 111. 126. 187 ; o. 26, y. 128 } e 81,
y. 100, 116. 127; o. 82, y. 4. 29, 86, 96,
104, 107, 113, 119, 134; 0. 88, y. 1, 34.
M»rl» di Brabante. Porg., o. 6. y. 23.
MarUh donna ebrea. Porg., e. 28, y.80.
M»rr— •« InC, o. 26, y. 104. Parg.,o.
4, y. 139.
H»ral», satiro. Par., o. 1, y. 20.
HAraUla, città. Porg., o. 18. y. 102.
M»r4e, dio. Inf., e. 13, y. 144; o. 24,
y. 146; e. 31, y. 61. Porg., o. 12, y.
31. Par., e. 4. y. 68; o. 8, y. 182; o.
16, y. 47, 145; e. 22, y. 146.
Marte, pianeta. Porg., o. 2, y. 14. Par.,
o. 14. y. 86, 101 ; e. 16, y. 38; o. 17, y.
77; 0. 27, y. 14.
MarilBO, o ser Martlao. Par., e 13.
y. 139.
MarUna IT. Porg.. o. 24, y. 22.
Marcia, moglie di Catone Utioense.
Inf.. e. 4. V. 128. Parg.. o. 1, v. 79, 85.
Marsacca degli Soomigianl, pisano.
Parg., e. 6, V. 18.
Maaeheraal Sassolo. Inf., e. 82. y. 65.
MaaUa noovo e yeochio. Ini , 0. 27,y.46.
MaieMa, o Haillde. Porg., o. 28, y.
40 e seg.; o. 29; o. 31, y. 92 e seg.;
0. 32. y. 28. 82 e seg.; e. 33, y. 119. 121,
130 e seg.
Maiiaa d* Aoqoasparta, cardinale. Par. ,
0. 12, y. 124.
MaiUa (S.) Apostolo. Inf., o. 19, y. 94.
MaA^a, maga. Inf., o. 18, y. 96.
Maalef, famiglia. Par., e. 16, y. 109.
Madlelaa, terra. Inf., o. 28, y. 78.
MaAliarraaaa, mare. Inf., e. 26, y.
100 e seg.; 0. 28, y. 82. Par., e. 9, y. 82.
Medaaa. Inf, o. 9, v. 62.
Megera, foria. luf, e. 9. v. 46.
Xrlaaeal. P irg.. e. 8, y. 80.
Melaao, città. Purg.. e. 18, v. 120.
Malclilaedaeto. Par., o. 8, y. 126.
Meleavra. Parg., o. 26, y. 22.
MellaarSa e Iiaaraa, accennati. Inf.,
o. 80, y. 6, 10 e seg,
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116
INDICB DEI NOMI PBOPBII B DI COSE NOTÀBILI
HellMO di Samo. Far., e. 13, v. 125.
MeBAUppo. Inf., 0. 82. t. 181.
M«re«rlo, dio. Par., o. i, ▼. 63.
Merenrlo, pianeta. Par., o. 5, y. 06
e seg.
Meretrice sedente sul carro. Parg.,
0. 32, V. 148 e aeg.
Meaeklte» tempU di Maometto. Cliia-
ma ooai Dante le torri di Dite. Inf.,
e. 8, ▼. 70.
MeaaerMaroheBede'Bigogliofi. Parg.,
e. 24, V. 81.
Meielle, tribuno. Pnrg., o. 9, v. 187-8.
Hleliele arcangelo (S.). Inf., e. 7, ▼.
11. Parg., e. 13, V. 61. Par., o. 4. r. 47.
Hleliele Scotto. Inf., o. 20, ▼. 116.
Mleliel Zanche. V . Zandie Michele.
Hleoi, moglie del re Davide. Pnrg., e.
10. V. 68, 72.
Mld», re di Frigia. Parg., e. 20, T.106.
MllABe e MllMieal.y. Melano e Me-
laneae.
BUaele, flome. Inf., e. 20, v. 77.
HliierTs.Parg.,o.80,y.68.Par.,c.2,y.8.
JIlBQSy o MlBOl. Inf., e. 6, y. 4,' 17;
0. 18, y. 96; e. 20, y. 86; e. 27, y.
124; c. 29. y. 120. Parg., o. 1, y. 77.
Par., 0. 13, y. 14.
HlBe«»«re. Inf., e. 12. y. 12, 26.
Mlr», luogo nel Padovano. Parg., e. 6,
y. 79.
HIrr», figUadi Cinira. Inf., e. 30, y.38.
MetfeBa, o Medea», città. Par., e.
6, y. 76.
Medlte. Y. Mordrèc.
Meiaè. Inf., e. 4, y. 67. Parg., e. 82,
y. 80. Par., e. 4, y. 29; o. 24, y. 186;
e. 26, y. 41; C.32, y. 131.
HelUÌ, o MoUkmrmy fiume. Pur^., e.
7, y. 99.
HeBaldli e FUlppeaelil. Parg., e. 6,
y. 107. .
MeBferreio. Porg., e. 7, y. 136.
HeBferte. Y. Quido.
Memslbelle, o Eiaa* Inf., o. 14, y.
56. Par., e. 8, y. 67.
Meatavaa^ cavaliere. Inf., e. 27, y. 47.
neafaperil, terra. Inf., o. 32, y. 81.
Moaie di S. GiaUano tra Pisa e Lucca.
Inf., e. 38. y. 29.
MeateeeÌKl, famiglia. Parg., o. 6, y.
106.
Moaie Feltra, luogo in Romagna,
[chiamato dal Poeta semplicemente
Feltro Inf, e. 1, y. 106 (f)]. Purg., o. 6,
v. 88.
Moateaiale, oggi detto Montemario.
Par., e. 15, y. 109.
eaieaaarle, castello. Par., e. 16,
7. 64.
Meaierenrieae, castello. Inf.. e. 31,
y. 41.
Moatoae, dal vello d*oro, rapito ai
Colchi. Inf., e. 18, y. 87.
Meaioae, fiume. Inf., o. 16, y. 94-99.
Meatoae, segno dello Zodiaco. Porg.,
e. 8, V. 134. Par., e. 29, v. 2.
Merdrèc, figlio del re Artù. Inf., e.
32, v. 61.
Moraato, fratello di Cacoiagnida. Par.,
e. 16. y. 186.
Merroeea. Y. Marrocoo.
Meaea degU liberti, o lAmberii. Y.
Uberti.
Mesal Andrea (dei), acoeanato. IbL, e.
16, v. 112.
Meul Bocce (dei). Int, o. 13, r. 148.
Mnae.Inf., e. 2, v. 7 ; o. 32, ▼. 10. PargM
o. 1, v. 8; e. 22, V. 102, 106 ; e. 29, v. 87.
Par., e. 2, v. 9 ; o. 12, y. 7 ; e 18, v. 88;
0. 23. y. 66.
Maaio Scevola. Par., e. 4, y. 84.
Habaeeetfeaeaer. Par., o. 4, v. 14.
Halade, ninfe. Pnrg., e. 83, y. 49.
Napeleeae degli Alberti. Inf., o, 32,
v. 21, 65 e seg.
MapeU, città. Pnrg., o. 3, y. 27.
urarelaae. Inf., o. 30, v. 128. Par., o.
8. v. 18.
HaaeMo. Parg., o. 7, y. 103.
fTawildlo. Inf., e. 26, v. 95.
Haaate. Parg., e. 7, v. 124.
Hatl^, profeta. Par., e. 12, y. 136.
KTayarra, provincia. Inf., o. 22, y. 48.
Par., e. 19, y. 143.
Hararreae. Y. Ctampolo.
Naaioa tra Feltro e Feltro. Int, o. 1,
y. 106.
Maaaarette. Par., e. 9, y. 187.
Ne^llseatl alla peniteosa, panifiL
Parg., dal e. 2 fino al e. 7.
Bferrl, o BTerl. laf , o. 24. v. 148.
NèUa, moglie di Forese. Pai|(., e. 23.
v. 87.
Neaabreiie, o HembraUe, Int., e
31, v. 77. Purg., 0. 12. v. 84. Par., e.
26, v. 126.
Merli, famiglia. Par., o. 16, v. 115.
Meaae, centauro. Inf., o. 12, v. 67, 98,
104, 116, 129;o. 13, v. 1.
Metta ao, dìo del mare. Inf., e. 28,y. 83.
Par., e. 33, v. 96.
MIeeolae di Bari (S.). Purg.. o. 20, v. 32.
Mleeol^ lU. Inf., e. 19, v. 31 e aeg.
Mleeolò SalimbeQi^(o Bonsignorl f> Inf.,
e. 29, v. 127. GoOgl'
INDICI DKI NOUI PROPBII B DI COSE NOTABILI
117
M l««sl», dita. Par., o. 19. v. 146.
BTilo, flaroe. Inf. o. 34. v. 45. Porg., o.
24. V. 64. Par., o. 6, v. 66.
k/^lBfe. Parg.. o. 29, t. 4 : o. 81, v. 106.
BTIafe, virtù. Parg., o. 82, v. 98.
BTInre eteme, ohiamate le stelle. Parg.,
o. 28, y. 26.
BTlBO, re degli Assiri. Inf., o. 5, v. 59.
Brino yisoonti. di Pisa. Parg., o. 8, t.
53, 109.
Mlobè, regina di Tebe. Parg., e.l2,T.87.
BTUo Troiano. Inf., o. 1, t. 108.
Bro»reae,oiroT»reae. Inf.,c. 28, v. 59.
Noeer», città. Par., o. 11, v. 48.
Ho*. Inf., o. 4. V. 56. Par., o. 12. t. 17.
Noli, città del Genoresato. Porg., o. 4,
T. 25.
NormoBdio. Porg., o. 20. t. 66.
BTorTOSlA, Par., e. 19, ▼. 139.
Ifoiiklo. V. Iacopo da Lentino.
SfOTello Alessandro, vescovo. Par., e.
9, V. 52 53.
BlovoUo. V. Carlo II Federigo.
NoTOasbro, mese. Parg., e. 6. v. 143.
NaasMl». Parg.. o. 31, v. 72.
0
Oblaso da BsU. Inf., e. 12, v. Ili ; e. 18,
V. 56(f)
OcooBO, mare. Par., e. 9, v. 84.
Oderlal d'Agobbio. Porg., o. 11. v.79.
Ofliel, diversità di essi, necessaria alla
società. Par., o. 8, v. 118 e seg.
Ollaspoy monte. Porg., o. 24, t. 15.
OUto» sacro a Minerva., Porg., e. 80,
V. 68.
Oloforae. Porg., e. 12, t. 59.
Oaaborto di Santaflore. Porg., o. 11, v.
58, 67 e seg.
OaaerOy poeta. Inf., o. 4, v. 88. Parg.,
0. 22, V. 101.
OmleM«. Inf., o. 11, v. 87; e. 12.
Oaorio ni. Par., o. 11, v. 98.
Orasi, eroi romani. Par., o. 6, r. 89.
Oraalo, poeta. Inf., o. 4, v. 89.
OroBlOBO. Qoanto valga. Porg., o. 4,
V. 188.
OrblaoMl Boonaglonta. Parg., o. 24, v.
19, 80.
Or«ol»M di Porn. Inf., o. 27. v. 45.
Oroato. Porg., o. 18, v. 82.
OrToo. Inf., e. 4, v. 140.
Orto (d*). Y. Branca d'Oria.
Orlaoo, terra. Porg., o. 5, v. 80.
OrloBdIo. Inf., 0. 81, v. 18. Par., o. 18,
T. 48.
OrmoBiil, (kmiglia. Par., e. 16. v. 80.
Ors* ■SHSfflore, chiamata Carro. Y.
Oarro, ooateUaoione.
Ors«y costellasioni. Porg., o. 4, t. 65.
Par., e. 2, V. 9.
Orsini, famiglia. Inf., e. 19. t. 70*1.
Orso, conte. Porg., e. 6, v. 19.
Osterieeb, per Aostrla. Inf. ,o. 82. v.26.
OaUo Tiberino. Porg., e. 2, v. 101.
Oail«Mse Cardinale, Enrico di Boss,
comm. delle Decretali. Par., o. 12, y. 88.
O4foo«bero, re di Boemia. Porg., e. 7,
v. 100.
04«»vloBO Y. Aogosto.
Oitobro, mese. Porg., o. 6, v. 144.
OvMIO, poeta. Inf., o. 4, v. 90 ; 0. 25,
v. 97.
Ob». Porg., e. 10, y. 57.
Psi«blBOy promontorio. Par., o. 8, v. 68.
Pado, flome. Par., o. 15, v. 187. Y. Po.
Pmdovo. Par., o. 9. v.^46.
PodovAMl. Inf., e. 15, V. 7. Porg., o.
5, V. 75.
PaSABi di Faensa. Parg., o. 14, y. 118.
P»VO«o Kaghinardo. Inf., e. 27, v. 50.
PalOBso (da), fismiglia. Porg., e. 16,
V. 124.
Pmleraso. Par., e. 8, v. 75.
PalostlBB. Parg., o. 18, y. 185. Par.,
0. 9, V. 125.
PBllodo. Porg., 0. 12, V. 81.
PBlUUlio, statoa di Pallade. Inf., e.
26. V. 63.
PaUoBto. Par., e. 6, v. 86.
Paolo (8.) apostolo. Inf., o. 2, v. 28, 82.
Parg., e. 29, v. 140. Par., e. 18, v. 181,
186; 0. 21, V. 127; 0. 24. v. 62; 0. 28,
y. 138.
Paolo Oroalo. Par., e. 10, v. 110.
Paolo llalaioaia. Inf., o. 5, v. 74,
101. 104. 185. 140.
Paradiso terrestre. Porg., o. 28 e seg.
Parivi, o Parlai, città. Porg., e. 11,
y. 81 ; e. 20, v. 52.
Parla, o Paride. Inf., e. 5, v. 67.
ParasoaMo. Par., e 18, v. 125.
Paraaao, monte. Porg., e. 22, y. 65,
104; e. 28, V. 141 ; c. 81, v. 141. Par.,
e. 1, y. 16.
Paaire. Inf., e. 12, v. 18. Porg., o. 26,
v. 41, 86.
Passi, famiglia. Inf., o. 12, v. 187; o.
82, y. 68.
Peaaa, inno in lode di Apolline. Par.,
e. 18, V. 25.
Posaaoa, mosa. Par., o. 18, y. 82.
Poloo. Inf., o. 81, y. 5.
PoUea4rlBO, o PoaosirlMOy Pale-
strina, oittà. Inf., o. 27,^y. 102.
Digitized byCjOOQlC
118
IKDIOl Dll NOMI PROPBU I DI C08S 90TABILI
Pelòroy promontorio. Porg., o. 14, t.
83. Par., o. 8. t. 08.
Pea^», flroBdi», l'alloro. Par., e. i,
T. 82.
Penelope. Inf., o. 96, ▼. 96.
PeBBlno, monte. Inf., o. 90, t. 65.
PeatMllea. Inf., o. 4, t. 194.
P«ra (della), fiunigUa. Par., o. 16, t. 126.
Pertll*» inventore del bue dólUano.
Inf., 0. 27, V. 7.
Persi, 0 Peratoal. Par., e. 10, t.112.
Persio, poeta. Pni^., e. 22, t. 100.
Peraffitt. Par., e. 6, ▼. 75; e. 11, ▼. 46.
Peschiera, oaatello, ed ora forteesa.
Inf, 0. 20, V. 70.
Peaei, ooetellaslone. Inf., o. 11, ▼. 118.
Pnrg., e. 1, v. 21; e. 82, v. 54.
PeMinasae. Y. Pier Pettinainio.
Pia (Ia>, gentildonna senese. Pnrg., o.
5, V. 138.
Piava, o Piave, flnme. Par. , o. 9, v. 27.
Pieearda. Parg., e. 24, t. 10. Par., o.
8, V. 49: c.'4, v. 97, 119.
Pleeae, oampo, nel Posdatino. Inf., e.
94, T. 148.
Picke, le figlie di Pierio. Pnrg., o. 1,
V. 11.
Pier (8.) Damlaae. Par., o. 21, t. 121.
Pier diella Broeeia. Pnrg., o. 6,t. 22.
Pier delie Vigne. Ini, o. 18, t. 58.
Pier da Medioina. Inf., o. 28, ▼. 78.
Pier Pettinagno. Pnrg., e. 18, v. 128.
Pier Trayersaro. Parg., o. 14, ▼. 98.
Piera di Navarra. Parg., e. 7, v. 112,
125.
Pletela, villaggio mantovano. Pnrg.,
e. 18, V. 83.
Pletrapaaa, monte. Inf., e. 82, v. 29.
Pietre, o Piera (S.), apostolo. Inf.,
e. 1, V. 134: e. 2, V. 24 : e. 19, v. 91, 94.
Parg., e. 9, v. 127; e. 18, v. 51: o. 19,
V. 90; e. 21, V 54; 0. 22, v. 68; 0. 29,
V. 148; 0. 82, v. 76. Par., o. 9, v. 141 ;
e. 11, V. 119: e. 18, V. 181, 186; C. 21,
V. 127; e. 22, v. 88; e. 28, v. 189: e.
24, V. 34, 89, 69, 126: e 25, v. 12, 14;
0. 27, V. 22; e. 82, v. 124, 183.
Pietra (S.), tempio in Vaticano. Inf.,
e. 18, V. 82; o. 81, v. 59.
Pietro Bemardone. Par., o. 11, v. 89.
Pietro Celestino (8.). V. Celestino V.
Pietro degli Onesti (8.), detto Peoo»-
tore, e monaoo di 8. M. in Porto di
Ravenna. Par., o. 21, v. 122, nota.
Pietro Ispaao. Par , e. 12, v. 184.
Pietro Lombardo. Par., o. 10, v. 107.
Pietro Mangiadore. Par., e. 12, v. 184.
PivasalioBe. Parg., e. 20, v. 108.
Pila da), luogo in Toscana. V. Ubai-
dino dalla Pila.
Pilato noovo è detto Ffllppo il BeUo^
re di Francia. Pnrg., e. 20, v, 91.
PlUi, o BilU, Cuniglia. Par., o, 16, v.
103.
Piaa di San Pietro a Berna. Inf., e. 31,
V. 59.
Plaaaaoate BnonacorsL InC, e. 20,
V. 96.
Pio I, papa. Par., o. 27, v. 44.
Plraaio. Pnrg., e. 27, v. 88 : e 33, v. m.
Pireaei, monti. Par», e. 19, v. 144.
Pirro. Inf., e. 12, v. 135. Par., e. 6. v.44.
Pisa, dttà. Inf., 0. 88, v. 79. Pnrg ^
0. 6, V. 17.
Piaaal. Inf., o. 83, v. 30. Pnrg., e 14.
V. 68.
Plslstrato. Pnrg., o. 15, v. lOL
Pistoia, dttà. Inf., e 24, v. 126, 143;
e 25, V. 10.
Piato, o Platone. Inf., e. 4. v. 134.
Parg., 0. 3, V. 43. Par., e. -4, v. 24.
Plaato. Parg., o, 22, v. 98.
Plato. Inf., 0. 6, v. 115; e. 7, v. 2.
Po, flame. Inf., o. 5, v. 98 ; o. 20, v. 7&
Purg., e. 14, V. 92; e. 16, r. 115. Pte-,
e. 6, T. 51.
Po«esta4U, ooro d* angeU. Par., e V,
V. 128.
Pota, dttà. Inf., e. 9, t. US.
Pale, ncoelli, per comaooiiie. Par^ e
21, V. 85.
Pelea ta (da), fkmiglia. Ini!, e. 27, v. 4L
Poleata (da) Franoesoa. Inf., e. 5.
V. 116.
Polleleto, o PoUereto. Pvrg., e
10, T. 32.
Polidoro Troiano. Inf., o. SM, ▼. 18.
Pnrg., 0. 20, v. 115.
Pollaestore. Pnrg., e. 30, v. 115.
Polialee. Inf., e. 26, v. 64. Pnrg., e.
22, V. 56.
Poliaala, mata. Par., e. 28, v. 56.
Poliaseaa. Inf., o. 80, v. 17.
Pollaee. Pnrg., o. 4, v. 61.
Polo, detto San Pado apotti^e. Par^
e. 18, V. 186.
Polo ant«rtioo. Inf., e. 26, v. 137. Parg.,
0. 1, V. 28; 0. 8, V. 90.
Polo artico. Inf., o. 26| r. 128. Parg.,
0. 1, V. 29.
Poltroai. Inf., o. 3, v. S5.
Poaapeiaaa tnba. Par., o. 0, r. 72.
Pompeo n Grande. Par., e. 6, v. 53,
Peate di Benevento. Pnrg., o. t, ▼. 128.
Peate di Castd 8. Angelo. Int. e. 18^
V. 29.
Peate Vecchio. Inf., e. li, r. 146. Par.,
e. 16, V. 146.
Poatl, laogo di Francia. Poxg., e. 26,
V. 66.
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IKDICS DBI NOMI PBOPBII B DI C08B NOTABILI
119
^•rt« déir Inferno. Inf, o. 8, t. 1 e
seg.; 0. 8. T. 12^; 0. 14, r. 86.
P«rA« di tao Pietro. Inf., o. 1, r. 194.
P«rA« del Purgatorio. Parg., e. 10, v.
1 e eeg.
P«rt« Sole di PeraglA. Par., e. 1) ,t. 47.
P«riov»U«. Par., e. 19, r. 189.
P«Ter4A (Eeempi di). Porg., e. 20, t.
Pra«», dttà. Par., e. 19, r. 117.
Pr»t«, loogo in Romagna. V. Gaido
da Praia.
Prato, città. Inf., o. £8, r. 9.
ìPrmtowmmguOf monte. Parg., e. 6, t.
116.
Predicatori ripresi. Par., o. 29, ▼. 82
e seg.
Pr««Mi (della), fam. Par., e. 16, r. 100.
Prete, il gran Prete.Y. Bonifazio Vili.
Priamo, re. Inf, e. BO, r. 15.
Prloclpatl, o Prl nel pi, coro d'an-
geli. Par., e. 8, y. 84; o. 28, t. 125.
Prlaelano, grammatico. Inf., e. 15, r.
109.
Prodighi paniti. Inf., e. 7. Parg., e.
20; e. 22, V. 62.
Prosae. Parg., e. 17, v. 19.
Proaerplaa. Inf., o. 9, r. 44 ; e. 10,
▼. 80. Parg., e. 28, t. 50.
ProToaaa, o Procnaa. Parg., o. 7,
T. 126. Par., o. 8. v. 58.
ProTeaaale, dote. Porg., o. 20, t. 61.
ProTeaaall. Par., o. 6, t. 180.
ProTeaaaa Salvani. Parg., e. 11, r.
121, 184.
Paeelo Sciancato. Inf., o. 25, r. 148.
Paglia. Inf., o. 28, r. 9. Parg., e. 5, r.
69; 0. 7. r. 126. Par., o. 8, v. 61.
PavHoal. Inf., e 28, v. 17.
PorltA (Baempl di). Porg , e. 25.
Patlfarre (Mogliedl). Inf , e. 80, t. 97.
^aaraaro, oggi Qaarnero, golfo.
Inf.. e. 9, r. 113.
^nloalo Cincinnato. Par., e. 6, v. 46.
^Mirino, Par., o. 8, r. 181 e aeg.
B
Baak. Par., e. 9, r. 116.
Babano. Par., e. 12, ▼. 189.
BaelMle. Inf.. o. 2. t. 102 ; e. 4, ▼. 60.
Parg., e. 27, ▼. 104. Par., e. 82, r. 8.
Baffaello (S.). arcangelo. Par., o. 4,
T. 48.
Baaaoado Beriinghieri. Par., o. 6, v.
184.
Rascia, parto d'Ungheria. Par., o. 19,
▼. 140.
RaTCBBa, dttà. Inf.. e. 6. v. 97 ; e. 27,
r. 40. Par., e. 6. ▼. 61 ; e. 21, v. 123.
BaTlirBAal, famiglia. Par., e 16, r. 97.
Rea. Inf., e. 14, r. 100.
Reteeeea. Par., e. 82, r. 10.
Reao, flame d'Alemagna. Par., o. 6,
▼. 58.
Reao, flame di Bologna. Inf., e. 18, r.
61. Parg., e. 14, v. 92.
Reaarrealoae de* corpi. Par., e. 7.
Rialto, isoladi Veneila. Par., e. 9, r. 26.
Riccardo da San Vittore. Par., e. 10,
V. 181.
Ricciardo da Cammino. Y. Cammino.
Ridolfo d'Abebargo, imp. Parg., e. 7,
V. 94. Par., o. 8, r. 72.
Rlfe, montagne. Parg.. o. 26, t. 43.
RlfeoTroiaoo. Par., o. 20. r. 68, 105.118.
RIfforlloal, famiglia. Porg., o. 24, r.Sl.
RlnalBl, città. Inf., e. 28. v. 86.
RiBler da Calboll, forlireee. Parg., e.
14. Y. 88.
RlBler da Comete. Inf., e. 12. ▼. 137.
RiBler Passo. Inf., e. 12, r. 137.
RIaoardo. Par., e. 18, r. 46.
Roberto, o Roberto Oniacardo. Inf.,
e. 28. T. 14. Par., e. 18, r. 48.
Roberto, re di Frauda. Parg., e. 20,
V. 59.
Roberto, re di Paglia. Par., o. 8, r. 76.
RoboaBi,re d'Israele. Porg., e. 12,t tf .
Rodaao, flame. Inf , e. 9, r. 112. Par.,
e. 6, T. 60 ; e. 8, T. 59.
Rodopèa. Par., e. 9, v. 100. Y. Filli.
Roma, città. Inf., e. 1, v. 71 ; o. 2, v.
20; e. 14. T. 105; e. 81, v. 59. Porg.. o.
6, V. 112: 0. 16, V. 106. 127; e. 18, r. 80;
e. 21, y. 89 : e. 29, ▼. 115 ; e. 82, r. 102.
Par., e. 6, ▼. 57; o. 9. ▼. 140; e. 15, ▼.
126; e. 16, V. 10; e. 24, V. 63; C. 27, v.
2\ 62 : e. 31, T. 84.
RomasBo. Inf., e. 27, ▼. 87; o. 83, t.
154. Parg., e. 5, ▼. 69; e. 14, v. 02; e.
15. ▼. 44.
RomasBooll.Inf., e. 27, ▼. 28. Parg.,
e. 14. V. 99.
Romaaa Chiesa. Inf., e. 19, r. 57. Par.,
0. 17, V. 51.
Romaae antiche lodate. Porg., o. 22,
V. 145.
RoBuiae fabbriche, molte e magnifiche
anche intomo il tempo di Dante. Par.,
e. 15. V. 109.
Romaal, Inf., o. 15, t. 77 : o. 18, r.28;
e. 26, V. 60 ; e. 28, T. 10. Par., o. 6, v,
44:0. 19. r. 102.
■imperatori. Parg., o. 82, t.112.
i regi. Par., o. 6, r. 41.
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130
INDICE DEI NOMI PROPBII B DI COSE NOTABILI
RoBi«B«, castello. Par., o. 0, ▼. 28.
Romaai Pastora. Parg.. e. 19, v. 107.
BontAB Prlnelp»i«, o Inspirato-
re di Roma. Pnrg., o. IO. v. 74.
BoBsèB», terra. Inf, o. 30, ▼. 73.
RonseodiYiUanoTa.Par., o. 0, v. 128,
135.
BoBBOBldo (S.)Par., o. 22, r. 49.
Ronaolo, o Boasalo, V. Qafrino.
KonelavAlte. Inf., e. 81, v. 17.
VL^mmo Bsare. Inf., o. 24, v. 90.
Rak»eoate, ponte. Parg., e. 12, t.
102.
Raberio Gniscardo. V. Roberto.
Rableante, demonio. Inf., o. 21, y.
123 ; 0. 22, ▼. 40.
Rableone, flame. Par., e. 0. t. 62.
Rubra llto. Par., e. 6, ▼. 79.
Rampai poniti. Inf., e. 18.
Ranriert. V. Ubaldini.
Ra»tlcac«l Iacopo. Inf., e. 6. ▼. 80 ;
o. 16. V. 44.
RaiU. Par., o. 82. r. 11.
8
•abella, o Saballla, eresiarca. Par.,
e. 18, V. 127.
Sabeila, soldato. Inf.. o. 25, t. 95.
Sablae donne. Par., e. 6, r. 40.
HacebeUl famiglia. Par., o. 16, r. 104.
Salirà e Anaala. Parg., e. 20, r. 112.
Saladlaa. Inf.. o. 4, v. 129.
•alintbeal (o Bonslgnorit) Niccolò.
Inf., e. 29, r. 127.
Saiasiata reale. Y. Davide.
Salaasoae. Par., e. 10, ▼. 109-114; e.
13. T. 48, 02 96 ; e. 14, v. 85.
Salterello Lapo. Y. Lapo.
SalTaal Provensano. Porg., e. 11, t.
121.
SaasBiarltaaa, donna celebre nel
Yangelo. Porg., e. 21, r. 8.
Saaiaello, profeta. Par., e. 4, v. 29.
Saaeae. Porg., o. 18, v. 106.
Saaeal. Inf., e. 29, r. 122, 184. Porg.,
e. 11. ▼. 65; e. 18. T. 115 e seg., 151.
•aalèo, terra. Porg., e. 4, r. 25.
San malato, chiesa. Porg., e. 12,
V. 101.
Saaaella (déUa), lltmiglia. Par., e. 16,
V. 92.
Saataflora (Genti di). Porg., o. 6, y.
IH; e. 11, y. 58-69.
Sant*Aadrea (Iacopo da), geotiloomo
padovano. Inf., e. 18, y. 138.
Saaterao, flaroe. Inf., e. 27, y. 49.
Saato Folto. Inf., e 21, v. 48.
^*pt% geotildoana. Porg., o. 18, y. 109.
Sara, moglie di Àbramo. Par., e. 83,
V. 10.
Saraelae (donne) più modeste delle
fiorentine. Porg., e. 28. v. 103.
Saraelal. Inf., e 27, v. 87.
Sardanapalo. Par., o. 15, y. 107.
Sardi. Inf.. e. 26, y. 104. Par^., e. 18,
V. 81.
Sardlsaa, isola. Inf., o. 22, y. 89; e.
26, y. 104; e 29, v. 48. Parg., e 23,
y. 04.
Sartore (oso del). Par., e. 82, y. 1{0.
Sasaol Maaelieroal. Inf., e. 32. y. 65.
SatAa. Int. o. 7, y. 1.
Satnrao, pianeta. Porg.. e 10, y. S.
Par., e. 21, y. 18, 25; e 22. y. 146.
Satnrao, re. Inf., o. 14, y. 98. Par., e
21. y. 26; o. 22, y. 146.
Sani, re. Porg., e. 12. v. 40.
Sayeaa, fiume. Inf., e. 18, v. 61.
Saylo, flnme. Inf., o. 27, y.,.58.
Seal a (della) Alberto. Porg., o. 18, y.
121.
Seala (della) Alboino. Y. Alboino.
Seala (della) Bartolommeo. Par., e. 17.
y. 71, 72.
Scala (della) Cane, il grande. Piar., e.
17, y. 76.
Seala (<1ella) Oioseppe. Purg., e. 18,
y. 124-125.
Seala, stemma degli Scaligeri. Par., e.
17, y. 72.
Seandaloal e aeisasatlei paaiti. Inf.,
o. 28; o. 29, y. 86.
Scaraslslleae, demonio. Inil, e. 21,
y. 105.
SeUlayo, o SehlaToae. Porg., e. 80,
V. 87.
SeUleelil Cayaleaati. Y. Oìabbì
Sobiccbi.
SeUlro, isola. Porg.. e 9, y. S7.
Selplo, o Selploae AflMcano. InC,
e. 31, V. 116. Porg., e. 28, v. 116. Par.,
e. 6, V. 63; e. 27, y. 61.
Seiroeeo, yento. Porg., o. 28, y. 2L
Selsasatlei. Y. Scandalosi.
Seoralfflaal. Y. Farinata e Marsaeoo.
Seorplo, costellazione. Porg., o. 0, y.
5; e. 18. V. 79; e. 26, y. 8.
Seotto MleUele. Int, e. 20, y. 116.
Seotto, pel re di Scoaia. Par., e 19,
V. 122.
Serofa, stemma della flsmlglla Sotdtì^
gni. Y. Scrovigni.
SeroylsBlf Rinaldo degli, di Padova.
Inf., e. 17, y. 64.
Senri* oon corona imperiale destinato
in Paradiso ad Arrigo YII. Par., e. 80,
V. 138 e seg.
Seaaelè.Inf:,e.80,y.2.FMr.,o.SI,y.6.
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niDICB DBI NOMI PROPBII B DI COSB NOTÀBILI
121
■•■KlBAtorl di eoandali e scismi pu-
niti. Jnt, 0. 28« ▼. 85.
SeaUrauBls. Inf., o. 6, ▼. 58.
■«■•««• Inf., o. 4, T. 141.
»^m9»^ Y. SftiMse.
fi«m««l. Y. BanesL
SeaBAy fiume. Par., e. 6, t. 59; o. 19,
V. 118.
SeaaAar. Pnrg., o. 12, t. 86.
SeaasMkerIk. Parg., o. 12, t. 58.
Serali, o S«raflal. Par., o. 4, r. 28;
0. 8, V. 27; 0. 9, V. 77; o. 21, r. 92;
0. 28, ▼. 72, 99.
9«r«Ma, flam«. Inf., o. 21, v.*49.
9«r«aa* o Slreaa. Parg., o. 19, r. 19.
S«rFea41 dell* Libia. Y. GheUdri.
Sera«, re persiftno. Porg., o. 28, r. 71.
Par., e. 8, r. 124.
«••«•y dttà. Parg., e. 28, v. 74.
Beato Pompeo (o Tarqainio f) Inf. , e. 12,
T. 135.
SeatOy compasso. Par., o. 19, r. 40.
S«44a, dttà. Inf., o. 26, r. 111.
S«i4eaikre, mese. Inf., o. 29, t. 47.
S«44eB4rlanal sito. Parg., o. 1, r. 26.
S«Me WtmmL. Int, o. 14, r. 68.
Sflas». Porg., e. 83, t. 47.
•IklUa, o MTlllay dttà. Inf., e. 20. v.
126; e. 26, T. 110.
SlklUa Oomòa. Par., e. 83, y. 66.
Slclftée, marito di Didone. Inf., e. 5, t.
62. Par., e. 9, v. 98.
Slellla. Par., o. 19, ▼. 131. Y. Cicflla.
SleUlaaa vespro. Par., o. 8, ▼. 75.
Sleaa, dttà. Inf., o. 29, r. 109, 129.
Parg., 0. 5, ▼. 184; o. 11, r. 112, 123,
184.
SlestrI, terra. Parg., e. 19, v. 100.
Slfaatt. Y. Fifanti.
Slgrlarl. Par., o. 10, v. 186.
Sl«aa, terra. Par., e. 16, v. 66.
Site, fiame. Par., o. 9, v. 49.
SllTMtro (S.), papa. lof., e. 19, v. 117 ;
e. 27, Y. 94. Par., o. 20, t. 57.
«llTeatoa (fra). Par., o. 11, ▼. 88.
MUtIo, troiano. Inf., e. 2, ▼. 18.
SlBiiroail, castello. Par., e. 16, v. 62.
Slasaeata, flame. Par., e. 6, y. 67.
Slasaala«l pnniU. Inf., e. 19.
Slasaalde, Parg., e. 22, v. 107.
Slasoa asa«e. Inf., e. 19, v. 1. Par.,
0. 30, ▼. 147.
Slalsavlla. Par., e. 16, y. 75.
Slaaae, greco. Inf., o. 30, y. 98, 116.
ttlOB, monte. Parg., o. 4, y. 68.
Blrattl, monte, ora Monte Sant'Oreste.
Inf., e. 27, V. 95.
Slreae. Pnrg., o. 10, y. 19; o. 31, y. 45.
Par., 0. 12, y. 8. Y. Serena.
IfIriBKa, ninfa. Porg., e. 32, y. 65.
Kiaasoadl, fìtmiglia pisana. Inf., o. 33,
y. 32.
Slato I, papa. Par., o. 27. y. 44.
Stalla Camicia. Par., o. 16, y. 108.
Soaro, o Stoto. Par., e. 8, y. 119.
•oorato. Inf., e. 4, y. 184.
SodoBia o Soddoasa, dttà. Inf., o.
11, y. 50. Pnrg., e. 26, y. 40, 79.
SodoaalU castigati. Inf., o. 15 e 16.
Sosai yeti presso al mattino. Inf., o.
26, y. 7.
Sosai di Dante. Porg., o. 9, y. 19
e seg.; 0. 19, y. 7 e seg.; e. 27, y. 94
e seg.
Soldaalorl, «smiglU. Par., e. 16, y. 93.
Soldaalsan (dd) Gianni. Inf., e. 32,
y. 121.
Soldaao. Inf., e. 5, y. 60 ; o. 27, y. 90.
Par., o. 11, y. 101.
Solo (delo del). Par., o. 10-14.
Solitari e contemplativi. Par., e. 21
e 22.
Soloao. Par., o. 8, y. 124.
Sordollo, mantovano. Porg., e. 6, v.
74 ; e. 7, v. 8, 52. 86 ; e. 8, v. 88, 48, 62,
94|C. 9, v. 58.
Sorsa, dome. Par., e. 8, v. 59.
Si^asaa. Inf., e. 26, v. 103. Porg., o.
18. y. 102. Par., e. 6, v. 64; e. 12, v.
46; e. 19, y. 125.
Spooelftlo. Inf., e. 28, v. 25. Porg.,
0. 27, v. 105.
Speraaaa, Porg., e. 8, v. 135. Dante
esaminato snlla medesima da san Gia>
corno. Par., e. 25.
Spirito Saato. Porg.. e. 20, v. 98.
Par., e. 3, y. 63; o. 14. v. 76; e. 19,
y. 101; 0. 20. v. 88; e. 21. v. 128; e.
24, v. 92; e. 27, v. 1; o. 29, v. 41.
Stataa fessa, da coi escono 1 tre domi
d* Inferno. Inf., e. 14, v. 103 e seg.
Staaio Papinio. Porg., e. 21, v. 10. Cre-
duto Tolosano dal Poeta; ivi, v. £9,
91; e. 22. y. 25, 64; e. 24, v. 119; e.
25, y. 29. 32; e. 27, v. 47; o. 82, v. 29;
e. 83, V. 134.
StofaBo (S.), protomartire. Porg., e.
15, y. 106 e seg.
Stelle del polo antartico. Porg., e. 1,
v. 28.
Stlso» palnde. Inf., e. 7, v. 106; e. 9,
y. 81; e. 14, v. 116.
StlaiateimpressedaCrfstofnsan Fran-
cesco. Par., e. 11, y. 106 e seg.
Strleca, sanese. Inf., e. 29, v. 125.
Strofade, o Strofadl, isole. Inf., e.
13. T. 11.
Snleidl poniti. Inf., e. 18.
Saperbl poniti. Inf., e. 8.^Porg., e. 10
e seg. DigitizedbyGOOgk:
122
INBICB DEI NOMI PBOPBU B DI COSB HOTABILI
Twk*^— de' Popoli, prof, di leggo in Bo-
logna. Par., e. 12, ▼. 88.
T««U»«*BB*» terra. Inf., e. 28, t. 17.
T»sll«aieato, flume. Par., e. 9, t.44.
T»lde, meretrioe. Inf., o. 18, r. 183.
T«l»aaoae, porto. Pnrg., e. 18, v, 152.
Tale, o Tal«ta, lOletlo. Int, o. 4, t.
187.
Taaabemlech» monte. Inf. , o. 38, v.28.
TaaUiTlf ftame. Inf., o. 12, r. 120.
TMttlrl, regina. Pnrg., o. 12, t. 66.
Taaaly flnme. Inf., o. 82, v. 27.
Tarlati d'Areaso. Pnrg., o. 8, r. 15. Y.
Clone.
Tarlala, mpe. Pnrg., o. 0, v. 187.
Tar%alao, o Tarqolala, 11 snpertw.
Inf.. e. 4, T. 127.
Tartart. Inf., e. 17, ▼. 17.
TaantantcParg., o. 21, t. 60.
Taaro, segno dello Zodiaco. Pnrg., e.
25. V. 8. Par., e 22, r. IH.
Tebalde, p(»ema di Stado. Pnrg., e. 21,
V. 92.
T«kaldello de* Manfredi di Faenza.
Inf., e. 82, V. 122.
Tebaldo, re. Inf., o. 22, r. 62.
Tebaal. Inf., e. 20, r. 82. Pnrg., e. 18,
r. 98.
Tebaao «angue. Inf., o. 80, ▼. 2.
Te1»e. Inf., o. 14, t. 69; o. 20, v. 59; e.
25, y. 16; e. 80, r. 22; o. 82. v. Il ; e.
38, y. 89. Pnrg., e. 22, y. 89.
Tebe aoTeila, ò chiamata Pisa. Inf.,
o. 88, y. 89.
Tedesriie rli^. Par., o. 8. y. 66.
Tedeaelil, popoli. Inf., o. 17, y. 21.
Tedesco, o Aleataaao. Pnrg., o. 6,
y. 97.
TessUlalo Aldobrandi. Inf., e. 6, y.
79: e. 16, y. 41.
Telemaco. Inf.. o. 26, y. 94.
Teaal, dea. Pnrg., o. 88, y. 47.
Templari, soppresal e paniti. Porg.,
0. 20, y. 98.
Tereaalo, poeta. Pnrg., e. 22, y. 97.
Terra, dea. Pnrg., o. 29, y. 119.
Terra santa. Par., o. 15, y. 142.
Teseo. Inf., e. 9, y. 54; e. 12, y. 17.
Pnrg., e. 24, y. 128.
Teslfoae, feria. Inf., o. 9, y. 48.
Tesoro, libro di eer Brunetto Latini.
Inf., o. 15. V. 119.
Teil, dea. Parg., e. 9. y. 87 ; e. 22. v. 118.
Teyere, fiume. Inf., o. 27, y 80. Pnrg.,
o. 2, y. 101. Par., o. 11, y. 106.
Tboaaaa d'Aquino. V. Tommaso.
Tiberio, imperatore. Par., e. 6, r. 86.
TMèo di CaUdonla. Inf., o. SS, t. 190.
Tifo, o Tlffèo, gigante. Jnt, o. 81, y.
124. Par., 0.8, y. 70.
TliTMoao Federigo da Bimtiii. Paig., e-
14, y. 106.
Tlffrl, ftome. Pnrg., o. 88, t. IIS.
Tlmbréo, o ApoUo. Parg., o. 12,y JL
Timeo, libro di Platone. Par., o. 4, y.49.
TlraUl, o Tiralo. Inf.. o. S6. t. 68.
Tlraanl. Inf.. o. 12, t. 108 e aeg.
Tlreala, tebano. Inf., o. SO, ▼. 40. Turg^
0. 22, y. 118.
Tlsbo. Pnrg., 0. 27. y. 87.
Tliaao, il sole. Porg.. e. 9, t. 1.
Tito, imperatore, ^irg., o. SI, y. 81
Par., 0. 6. y. 92.
Tlslo, gigante. InU, e. 81. r. 1S4.
Toaate ed Baaoo. Pnrg.. o. S6, y. 85.
Tobia il yecehio. Par., o. 4. ▼. 48.
Tolomea, 80 giro di Coeito. In£, e.
88. y. 124.
Tolommeo, dandio. aatronoino. Inf.,
0. 4. y. 142.
Tolommeo, re d*Bgit(o. Far., e. 6,
T. 69.
Tolosaao, per Staalo Paptalo.
Pnrg., e. 21. y. 89.
Toiaaaa. per Tomnaaao d*Aqmno.
Par., e. 12. y. HO.
Tomnaaso (S.), apostolo. Par., e. 16,
y. 129.
Tommaso (S.), d'Aquino. Pai^.. e. 20.
y 69. Par., e. 10, y. 09 e se^.; e 12. t.
2. HO. 144; e 18. y. 82; e. 14. y. 6.
Toppo, luogo fra Siena ed Arecso. Inf,
0. 18. y. 121.
Toraeaasentl oayalleresfdiL Inf., e.
22, y. 1 e seg.
Torquato Uto Manlio. Par., e. 6, y. 46.
Torso, dttà. Purg.. o. 24. ▼. 23.
Tosa (della), famiglia. V. dangbella.
Toseoy gente. Inf.. o. 28. y. 108.
Toseaaa. Inf.. o. 24 y. 122. Parg., e
11, y. HO; e. 18. y. 149 e. 14. y. 16.
Toscaao per Toseaaa, regtooe. Par.,
o. 9. y. 90.
Teseo, o Toseaao, popolo. Inf.. e. 10,
y. 22 ; e. 22, y. 99; 0. 23, y. 91 ; e. tt,
y. 66. Purg., o. 11, y . 58 ; o. 14, t. 108,
124. Par., o. 22, y. 117.
Toseo parlare. Porg., e. 16. t. 187.
ToUaslil, famigUa. Par., o. 15. y. 128;
e 16. y. 1 2.
Traditori puniti. Inf., o. 82 e seff.
Traiano, imper. Pure., o. 10, y. 74, 76
e seg. Par., e. 20, y. 44r5. 1I2 e seg.
Trasflsnrasloae di Cristo. Porg.. e.
82. ▼. 78.
TraTOrsara^AunigUa. Pnig.. e. 14,
▼• l^edbyGoOgk
INDICE DBI NOMI PBOPBII E DI COSE NOTABILI
128
Wrm^^rmmrm Piero. Pnrg. , o. 14, t. 98.
Tr«ntla« Pastore. Inf.. o. 20, t. 67.
Tr«ni«. Inf., o. 12, v. 5.
Tr«svl»ao, terra. Par., o. 16, r. 54.
Trite»ldeU«. Y. TebaldeUo.
TrlnA«rla, per Sicilia. Par., o. 8, v. 67.
TrlBltA •anilaalai». Par., o. 13, ▼.
79;o. 83,T.U6e8eg.
Triat»v« di Comoraglia. Inf., e. 5,
▼. «7.
Triste, per Luna. Par., o. 23. t. 26.
Tr«l*. Inf., 0. 1, T. 74; o. 30, t. 98.
Pnrg., 0. 12, Y. 61. Par., e. 6, ▼. 6. V.
lUon.
Tr*l»ae farle. Inf., e. 80, r. 22.
Troiani. Int, o. 13, v. 11 ; o. 28. t. 10 ;
e 30, V. 14. Pnrg., e. 18, t. 136. Par.,
o. 16, ▼. 126. V. Wfeo.
Tr«taa« eaTmlIo, accennato. Inf., e.
26 r. 69.
Troal, coro angelico. Par., e. 9, r. 61 ;
e. 2h. V. 104.
Tr«Bio« flome. Par., o. 8, ▼. 68.
Talli* €l«eroaie. Inf., e. 4, t. 141.
TapiB«, flome. Par., e. 11. v. 48.
TwupUtm^ castello. Porg., e. 8, ▼. 49.
Tarclil. Inf.. o. 17, v. 17. Par., e. 15,
▼. 142.
Tara», re. Inf., o. 1, T. 108.
Vlbaltflal. famiglia. Parg., o. 14. v. 105.
17 baldi al (degli) Ottaviano, chiamato
Il OardinaU. Inf.. e. 10, v. 120.
VteaMlBl (degli) Rairgieri. Inf.. e. 33.
17 baldlaa della Pila. Porg., e. 24, r.*^9.
17baida(S.)d'Agubbio.Par.,o.ll,v.44.
Vbbrlaelil, famìglia. Inf.. e. 17. v. 62.
Vlb«ril,famiglia.lnf.,o.6.y.80;c 21 ▼.
108. o. 28 ▼. 106. Par., o. 16. v. 109-110.
lJlb«rUao, frate. Par., e. 12. t. 124.
Vlbertlaa Ooaatl. Par., e. 16, ▼. 110.
ire««llaiola, monte. Par., e. 15. ▼. HO.
Vslil, famiglia. Par., e. 16. v. 88.
Uff* di Brandimborgo. Par., o. 16, v. 1 28.
VV* C?lai^4ta, o Cap«to. Por^^., e.
20, ▼. 43, 49.
VV* d* S. Vittore. Par., o. 12, r. 188.
IT ««Ila d'Asse. Porg., e. 14, v. 105.
Usellaa della Oherardesca. Inf., e. 33,
V. 18 e seg.
Vsoltao de'Fantolin. Porg., o. 14, v.
121.
Vvaedaae della Gherardesca. Inf., e.
w 38, V. 80.
Ulisse. Inf., e. 26, ▼. 56. Porg., e. 19,
V. 22. Par., o. 27. v. 83.
UaMli^ (Baempi di). Porg., o. 10.
Vaslftcrla. Par. , o. 8, ▼. 65 1 o. 19, r. 142.
Vraala, maea. Purg., e. 29, y. 41.
Vrbaao I. Par., e. 27, v. 44.
Vrbleiaai. V. Orbisani.
VrblBO, città. Inf , e. 27, y. 29.
1Jrl»lsa«lla, città distrutta. Par., e. 16,
y. 78.
ITsara* Inf., o. 11, ▼. 95.
Usarmi paalil. Inf., e. 17, y. 44 e seg.
Utica, città. Parg., o. 1, y. 74.
Talboaa (di) Lilio. Y. Listo.
Taleaoiaalea, nel Bresciano. Inf., o.
20, y. 66.
Faldarao. Parg., o. 14, v. 3}, 41.
FaldlclilaBa. Inf., e. 29, y. 47.
Tal«llvreT«. Par., e. 16, y. 66.
Faldlotasra, o I«anlvtaaa. Inf.,
e. 24. y. 145. Parg.. e. 8. y. 116.
Tal di Podo. Par., e. 15, y. 137.
TaaffellsU quattro. Purg.. e. 29. y. 92.
FaaBld()llaMonna.Inf.,c.24,y.l25nt.
▼ aaal ra«el. Inf., e. 24. y. 125.
Taro, flome. Par., o. 6, y. 58.
Tarro, o Farraae. Parg., e. 22, v. 98.
▼a4le*ao, colle. Par., e. 9, y. 189.
Temetela (del), flimiglia. Par., o. 15, y.
115.
Tesila di Crete. Int, e. 14. y. 108
e Heg.
Tello d* oro : sna storia, oggetto di am-
miraiione nei secoli. Par., e. 83, y. 94
e seg.
Teltro. Inf., o. 1. y. 101.
Teaere, dea. Parg., e. 25, y. 132 1 e. 28,
y. 65.
Te aere, pianeta. Pnrg., e. l,y. 19. Par.,
e. 8. y. 2 e seg.: e. 9, y. 108.
Teaeslaal, o Tlalslaal. Inf., o. 21,
y. 7.
Tereelll, o Tereello, città. Inf., e.
28, y. 75.
Terde, flame, V odierno Oarigliano.
Parg., e. 8, y. 181. Par., e 8, y. 63.
Teroaa« città. Inf.,o. 15, y. 122. Parg.,
e. 18, y. 118.
Tereaese. Inf., e. 20, y. 68.
Terealea. Par., e. 81, y. 104.
Terraeehlo, castello. Inf., e. 27, y. 46.
Tese, monte. Inf., o. 16, y. 95.
Tespera. Pnrg., o. 8, y. 25; e. 15, y.
6, 139.
Tespra siciliano. Par., e. 8, y. 75.
Tetra impiombato, ossia specchio. Inf.,
0. 28. y. 25.
Tleeasm, o Tlaeeasa, città. Par., e,
•'^•*^* Digitizedby Google
12i
INDICE DEI NOMI PKOPBII E DI G08B NOTABILI
TIeo degli Strami, strada in Parigi.
Par., 0. 10, V. 137.
TIsne (delle) Piero. Inf., e. 13. v. 68.
TIltA. Danno ohe ne deriva. Inf., e. 2,
V. 45 e seg.
TlneialAo di Boemia. Parg., o. 7, v. 101.
Par., 0. 19, T. 126.
TUtevta, o Venesl». Par., o. 10, ▼.
141.
Tlolentl paniti. Inf., e. 12 e seg.
Tlp«r«« insegnade* Visconti, signori di
Milano. Porg., e. 8, v. 80.
TlrvtUo, poeta. Inf., e. 1, r. 79. Parg.,
e. 8, V. 27; e. 7, V. 16; 0. 18, v. 82; e. 21,
V. 126. Par., e 15, v. 2«; o. 17. v. 19 ;
0. 26, V. 118.
T triadi, gerarchia angelica. Par., e.
28, T. 122.
Tla««BM di Milano. Parg., o. 8, t. 80.
TlaeovM di Pisa. Y. Nino Visconti.
Tladoaslal, famiglia. Par., e. 16. v. 112.
TttAliABO del Dente. Inf., e. 17, t. 68.
Tlitore (monastero di San). Par., e. 12,
V. 188. V. Riccardo e Ugo.
T«lto Saai*. Ini, e. 21, r. 48.
TmU non adempiti. Par., e. 4, t. 137;
e. 5.
Tal««B«. Int, e. 14, ▼. 52, 57.
Xera«, o mmn^ re di Persia. Poig ., e
28, V. 71. Par., e. 8, ▼. 124.
z
Baas». Inf., e. 31, t. 115.
maaelMe Michele, siniscalco. Int. e 12,
r. 88; e. 83, V. 144.
KeOlrOt vento. Par., o. 12, v. 47.
%mm; o menoite (S.) di Verona. Pug.,
e. 18, V. Uff.
Seaoae CHttioo. Inf., e 4, v. 188.
«4*. santa. Inf., o. 21, v. SS.
modiaeo. Parg., o. 4, v. 6i. Par., e. 10.
V. 14, 16.
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